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41 Eleonora Laffranchini
Il ragazzino ricostruisce così l’atmosfera dell’Italia della Seconda Guerra Mondiale, ritrova voci di uomini e donne che non si rassegnarono alla perdita della libertà e scopre l’importanza del 25 aprile 1945, giorno della Liberazione dell’Italia, quando finalmente si tornò a respirare.
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I S B N 978-88-472-2409-4
788847 224094
E 7,50
Il ribelle
Eleonora Laffranchini è nata a Brescia e vive a Edolo dove insegna Lingua e letteratura francese. Ama scrivere da sempre e si dedica in particolare alla narrativa per l’infanzia e l’adolescenza.
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BLU SERIE
Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).
Quando la mamma gli annuncia che avrebbero traslocato, il figlio protesta con forza. Non si è ancora rassegnato alla separazione dei suoi genitori e l’idea di abitare in una vecchia casa appartenuta al bisnonno non lo entusiasma affatto. Ma quel trasloco, nell’abitazione che tutti chiamano “la casa del partigiano”, si rivelerà l’inizio di un’avventura oltre i confini del tempo. In una mansarda che pare un museo, fra copie ingiallite di giornali antichi, fotografie e appunti, il ragazzo scopre la figura del bisnonno, giovane partigiano, e la sua storia d’amore con una studentessa coraggiosa che distribuiva copie di un giornale clandestino, sfidando le spie e la polizia.
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Eleonora Laffranchini
anni
Il ribelle Il 25 aprile, la Resistenza e la Liberazione
IL MULINO A VENTO
IL MULINO A VENTO Per volare con la fantasia
IL MULINO A VENTO
IL MULINO A VENTO Collana di narrativa per ragazzi
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Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Approfondimenti e schede didattiche: Paola Valente Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: AtosCrea 1a Edizione 2015 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0
2022 2021 2020 2019 2018 2017 2016 2015
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Eleonora Laffranchini
Il ribelle Il 25 aprile, la Resistenza e la Liberazione Illustrazioni di
Mauro Marchesi
A nonno Carlo, Partigiano nelle Fiamme verdi, detto Pino II, alfiere della libertĂ
Premessa Il 25 aprile è un giorno di vacanza. Si tratta di un evento importante per l’Italia, sancito da un’apposita legge. Ma cosa si festeggia in questo giorno? Il 25 aprile è l’anniversario della liberazione dal nazifascismo. In questo giorno, nel 1945, fu proclamata da parte del Comitato di Liberazione Nazionale l’insurrezione generale che portò, di lì a poco, alla fine dell’occupazione tedesca del nostro Paese e alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Ciò determinò la fine del regime fascista presente in Italia dal 1922, quando Benito Mussolini, a seguito della marcia su Roma, s’impadronì del potere. A partire dal 1925 il potere fascista assunse le caratteristiche di una vera e propria dittatura. Benito Mussolini divenne il duce. Furono emanate leggi che limitavano la libertà d’espressione e di stampa, che proibivano istituzioni politiche diverse dal fascismo e che organizzavano ogni aspetto della vita degli italiani. Chi si opponeva subiva dure conseguenze, tra cui il carcere, il confino in luoghi sperduti o, addirittura, la morte.
Nel 1938 l’Italia fascista si alleò con la Germania nazista di Adolf Hitler, patto che avrebbe portato sempre più il nostro Paese a posizioni estreme. Nacque il cosiddetto “Asse Roma-Berlino”, cui in seguito si aggiunse il Giappone. In questo periodo avvenne, tra l’altro, l’emanazione delle leggi razziali contro i cittadini di religione ebraica. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939, l’Italia, dopo un breve periodo di cosiddetta “non belligeranza”, si schierò a fianco della Germania. Il 10 giugno del 1940, davanti a una folla oceanica, il duce annunciò l’entrata in guerra. L’Italia, paese povero, non era in grado di sostenere un conflitto di quelle proporzioni e l’esercito subì sin dall’inizio una serie di gravi sconfitte. Nel 1943 l’Italia, già sottoposta a duri bombardamenti da parte degli anglo-americani, fu da questi invasa nel mese di luglio. Ciò comportò una crisi interna al fascismo. Il 25 luglio 1943 Mussolini fu deposto dai suoi stessi collaboratori e arrestato su ordine del re. Inizialmente il nuovo capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio, dichiarò che la guerra a fianco della Germania continuava, ma segretamente iniziarono le trattative di pace con gli anglo-americani. Queste portarono, alla fine dell’estate, alla firma di un armistizio, reso noto con un comunicato via radio il giorno 8 settembre.
I tedeschi reagirono subito a quello che ritenevano un tradimento: l’esercito tedesco invase la penisola e la occupò, fiancheggiato dai fascisti più convinti. Al contempo, però, i partiti politici antifascisti, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, si organizzarono per trasformare quella che fino a quel momento era stata resistenza politica in lotta armata contro gli occupanti tedeschi e i loro alleati fascisti. Tra l’autunno e l’inverno nel Nord Italia, a seguito della liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi, prendeva vita la Repubblica Sociale Italiana o “di Salò”, uno stato fantoccio a servizio dei nazisti. Cominciarono allora ad organizzarsi le prime formazioni partigiane.
Il movimento coinvolse persone di ogni condizione: giovani, anziani, donne, padri e madri di famiglia. Oltre alle azioni militari contro gli occupanti e i fascisti, la Resistenza agiva attraverso sabotaggi, diffusione di stampa clandestina e spionaggio a favore degli Alleati. Nonostante le privazioni, i lutti e le sofferenze, il numero di “ribelli”, come venivano definiti dai nazifascisti, crebbe e nel corso del 1944 le formazioni partigiane si strutturarono in tutto il Nord Italia. Il nemico reagiva con crudeltà e durezza, con rastrellamenti e scatenando il terrore per mezzo della violenza.
Nella primavera del 1945, mentre la Germania crollava su tutti i fronti, anche in Italia Alleati e forze partigiane si preparavano alla riscossa definitiva. Il 25 aprile 1945 partì da Milano l’ordine di insurrezione, il quale avrebbe portato finalmente alla pace. La collaborazione tra tutti i partiti antifascisti, avvenuta durante la guerra di Liberazione, portò nel 1946 alla proclamazione della Repubblica Italiana e alla promulgazione, l’1 gennaio 1948, della nostra Costituzione.
Partenze e traslochi Quando se ne andò era una mattina di novembre
e io ero a scuola. Fuori faceva un freddo cane. “Era così anziano che è dovuto andare in cielo. Qui era diventato tutto troppo difficile per lui, ma lassù ogni cosa sarà più leggera…” mi avevano detto e io avevo creduto persino di vederlo, lassù, che passeggiava fra le nuvole, affondandovici dentro con forza il suo bastone scuro. All’inizio ci avevo pensato tanto, poi non ci avevo pensato più. Il volto del bisnonno svanì pian piano come le favole della mia infanzia: dovevo fare i conti con la realtà e loro non ne facevano più parte. Qualche tempo dopo, mamma e papà si separarono e io li odiai. Capii che non eravamo più una famiglia unita quando papà restò fuori tre notti di seguito. “Devo star fuori per lavoro” diceva. “Mi mancherete”. Ma poi, pian piano, non lo disse neppure più. Mi trovai a fare avanti e indietro tra il nostro grande appartamento e il suo piccolo nella zona vecchia del paese e capii che né l’uno, né l’altro erano più la mia casa.
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La scuola intanto si faceva lentamente più dura, più coinvolgente e faticosa. A me però piaceva perché mi permetteva di non pensare a ciò che stava fuori: la scuola era il porto sicuro dei miei pensieri sul domani, sul futuro, sul mondo che speravo di conquistare un giorno. Come un pirata, ma un pirata buono, aspettavo di trovare un forziere pieno di dobloni d’oro da qualche parte, in un’isola sconosciuta, o magari proprio in un angolo nascosto del mio stesso paese. Io crescevo, in silenzio, e mamma sembrava non accorgersene neppure. Era presa da mille cose, soprattutto dalla sua passione per la scrittura. Scriveva di giorno, quando aveva un attimo libero, e spesso di notte, ma non mi faceva leggere mai nulla di ciò che scriveva. Forse pensava che non potessi capire o che non mi interessassero i suoi pensieri. – Mamma, posso leggere quello che hai scritto? – le chiesi un giorno. – Ti annoieresti molto, Giorgio, credimi. Perché non leggi le favole che ho scritto per voi quand’eravate piccoli? Non ti vedo mai a sfogliarle… In effetti da anni ormai non leggevo più quelle meravigliose favole, scritte e illustrate per noi dalla mamma. Non si era davvero accorta che ero cresciuto, preferiva pensarmi sempre seduto con le gambe penzoloni sul divano bianco del salotto con quei fogli in mano,
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mentre leggevo a mia sorella Sara le parole in stampatello maiuscolo delle storie scritte per noi. Erano favole meravigliose, piene di magia, di fate, di gnomi e di cose di tutti i giorni che diventavano vere nelle mani incantate di mia mamma. Ora quelle fiabe non mi bastavano pi첫.
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La casa del partigiano Una mattina qualunque, mamma annunciò che ci
saremmo trasferiti a breve. In una casa proprio nostra: il nonno aveva deciso di ristrutturare la grande casa di suo padre. Era un edificio enorme che mi era sempre sembrato un rudere. Intorno aveva un giardino meraviglioso, alberi di ogni tipo e boscaglia fitta. All’inizio l’idea non mi entusiasmò. Sara invece aveva subito pensato al tunnel naturale che si poteva percorrere tra i piccoli cespugli davanti all’ingresso e già immaginava un sacco di giochi e di avventure all’ombra del giardino. – Tra quanto traslocheremo? – chiesi, passando senza preamboli al sodo. – Tra non molto – rispose mamma seccamente. – Tra qualche mese al massimo. Più passavano i giorni, più mi arrabbiavo all’idea di essere sradicato così, come una pianta cattiva. Nessuno aveva chiesto il nostro parere o anche solo i nostri desideri. Mi immaginavo là dentro, in quello che consideravo un rudere, seppure sarebbe stato ristrutturato.
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Chissà se fra le pareti si aggirava ancora il fantasma del bisnonno insieme a quello del suo bastone lucido, che faceva un rumore secco e metallico da far rabbrividire? Ricordavo di più quel suono che la sua voce, fioca come una candela che fatica a restare accesa. Perché mai io mi sarei dovuto trovare a vivere dentro quelle alte stanze da vecchi? Solo perché mamma voleva risparmiare i soldi dell’affitto? Glielo chiesi, una sera. – E non ti sembra una buona ragione? – mi rispose lei, senza offendersi. Io ai soldi non pensavo mai, o almeno non ci avevo mai pensato fino ad allora. Pensavo invece a tutte le cose da fare nella vita, a tutti i lavori che avrei potuto scegliere, alle persone che avrei incontrato. Il resto non contava granché.
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Le pareti della nostra nuova casa erano bianchissime e l’odore buono della vernice mi solleticava le narici in un modo simpatico e amichevole. Mi sembrò un bell’inizio e così feci subito pace con quei muri. Iniziava a piacermi l’idea di cambiare prospettiva e appoggiare lì dentro un po’ dei miei pensieri.
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La prima notte ero emozionatissimo. Mi chiedevo quali sensazioni mi attendessero al risveglio, quando avrei aperto la finestra sul giardino e gettato il primo sguardo verso il cancello dell’ingresso. Era fantastico quel cancello! Pareva la porta di un mondo fiabesco: in cima a due pilastri scolpiti di foglie d’edera, due draghi gettavano sguardi di fuoco tutt’intorno. Una volta avevo chiesto al bisnonno chi li avesse messi là quei simpatici mostri, ma non riesco a ricordare cosa mi rispose. Forse non mi rispose neppure, o non mi sentì. Era così sordo, ormai, che a volte sgranava gli occhi per catturare i suoni sulle labbra di chi parlava. Ecco perché, guardando gli occhi dei draghi, pensavo ai suoi. – I draghi esistono? – mi chiese mia sorella a bruciapelo proprio la mattina seguente, davanti al cancello. Aspettai un po’ a risponderle. Ero combattuto se dirle di sì, per metterle un po’ di paura, oppure trattarla da grande e spiegarle la differenza tra animali reali e mitologici. – No! – le dissi infine. – E, anche se esistessero, dei draghi come questi sarebbero buoni. Guarda quanto sono buffi! Lei si mise a toccare la punta del naso del drago di sinistra.
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– Hai ragione! Sembrano usciti da un cartone animato.
Il tragitto per andare a scuola era diverso, strade da attraversare e vetrine da sbirciare, quella del negozio di moto e quella della panetteria centrale in particolare. Davanti alla prima mi fermavo per immaginare viaggi senza meta nel vento dell’estate, davanti alla seconda annusavo l’aria come un cane segugio e tuffavo gli occhi dentro i krapfen appena sfornati che brillavano di zucchero come gioiellini al sole. Nel giro di un mese, tutto il tragitto mi era familiare come l’avessi percorso da sempre. A volte io e Sara ci fermavamo anche a prendere un paio di krapfen. Io tenevo gelosamente il mio nello zainetto, mentre Sara, il più delle volte, non resisteva e si divorava tutto il suo prima di varcare il cancello del cortile della scuola primaria. Da bravo fratello maggiore le toglievo le briciole di zucchero che le restavano appiccicate ai bordi della bocca. Sara sorrideva e diceva sempre più o meno la stessa frase, sbirciando furbescamente dietro la mia schiena: – Me ne sbafferei un altro! Poi, una volta a scuola, ognuno prendeva la sua strada per ritrovarci alle 13 davanti al portone, dove ancora era scritto in grande SCUOLA ELEMENTARE, e fare il tragitto all’inverso. ***
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