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Flavia Franco
Una storia avvincente, che comincia nello spazio delle sfide, continua sulle rive del Tigri, attraversa la spianata del Tempio e si completa durante la festa per la Principessa Pu-Abi, la sacerdotessa dallo straordinario copricapo d’oro. Un modo per scoprire l’affascinante civiltà dei Sumeri e le sue mille invenzioni: popolo di astronomi, osservatori del cielo e della volta celeste, inventori della scrittura e della ruota. Flavia Franco vive in provincia di Cuneo. Coordinatore di Tirocinio presso il Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, conduce laboratori di lettura e corsi di formazione. Per Raffaello ha scritto il racconto “Nel Regno di Belgarbo” e “Amo leggere”, guida teorico-pratica per sviluppare e consolidare il piacere di leggere.
I S B N 978-88-472-2455-1
Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it
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E V I R E L L U S DEL TIGRI Usi e costumi, religione, scuola nel mondo dei SUMERI
RIVE DEL TIGRI
Najeeba, una ragazzina sumera intraprendente e coraggiosa, è una campionessa nel gioco delle biglie e ogni giorno sfida e sconfigge i suoi coetanei maschi grazie alla sua abilità e precisione. Ma Najeeba ha un sogno segreto: nonostante le sue umili origini, vorrebbe diventare una scriba del tempio. L’incontro con il giovane Alalgar, figlio di un famoso artista a servizio del re, rivoluzionerà le vite di entrambi i ragazzini.
SULLE
Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).
UR, 2550 A.C.
Flavia Franco
La sfida a biglie
Città di Ur, 2550 a.C.
Il sole era allo zenit, la
DENTRO LA STORIA... Ha origine dai Sumeri il concetto di zenit. La parola sumera ZE.NIT indica il punto immaginario d’osservazione della volta celeste, che sta esattamente sopra la testa dell’osservatore.
calura quasi insopportabile. Tutt’intorno si udiva solo il frinire assordante delle cicale. Alalgar, nascosto in un anfratto del fiume e circondato da un muro di canne, non ne poteva più di quel frastuono ma non poteva certo andarsene: il secchio appoggiato per terra era quasi vuoto.
La sera prima, Najeeba gli aveva detto: – Chi di noi due avrà catturato più girini nel corso della giornata si aggiudicherà le biglie dell’altro. Davvero una scommessa allettante: Najeeba era una bravissima giocatrice e la sua collezione di biglie faceva gola a tutti. Era l’unica femmina che prendesse parte alle gare. Le altre ragazzine la osservavano, sedute sul gradino di fronte a casa oppure in piedi, appoggiate alla grande palma. Alcune la ammiravano, altre trovavano sconveniente che si mischiasse coi maschi, quasi fosse una di loro. – Najeeba è forte e coraggiosa! – diceva una. – Però sfidare i maschi non è un bene! E nemmeno partecipare ai loro giochi. Questo dice mia madre – rispondeva un’altra. Ma a Najeeba non importava dei giudizi, e nemmeno ad Alalgar. Lei era la sua migliore amica, a lei doveva tutto ciò che aveva imparato sul gioco delle biglie. – A Spariglia – gli aveva spiegato tempo prima la ragazzina – lo scopo del gioco è quello di colpire la biglia dell’avversario per impossessarsene. Stendendo rapidamente il pollice si lancia la sfera: chi centra la biglia dell’altro la conquista. Naturalmente devi essere
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sicuro di colpire il bersaglio, altrimenti è meglio passare la mano per non rischiare di perdere. Osservando le gare, Alalgar aveva scoperto che era più divertente giocare in gruppo perché si aumentava il numero delle biglie in palio, ma era anche più movimentato perché faceva crescere il numero dei litigi. Alcune volte le zuffe arrivavano a coinvolgere anche dieci bambini, che finivano per rotolarsi a terra come i maiali del contadino Atab, che lavorava la terra sulla riva destra del Tigri. In quei casi si sollevava una nuvola di terra rossa, gli occhi bruciavano e gli sfidanti si rialzavano ricoperti di uno strato di polvere spessa che incrostava gli occhi e le tuniche. – Una variante del gioco è La buca – aveva continuato Najeeba. – Si comincia tracciando una riga a terra con un bastoncino e, partendo da lì, si avanza di cinque passi. Quindi si scava una piccola fossa nel terreno. I giocatori, a turno, devono appoggiare la mano sulla riga e lanciare. Viene eliminato chi non riesce a centrare la buca dopo tre tiri. A La buca, le biglie degli sconfitti diventavano il premio del concorrente che riusciva a rimanere in gioco. E spesso finivano nelle mani di Najeeba.
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Giorno dopo giorno lei gli aveva insegnato i trucchi piĂš efficaci e alla fine era arrivata la sfida del tutto per tutto. Alalgar aveva accettato: non poteva sottrarsi, rischiando di passare per codardo. Le biglie di terracotta si scheggiavano con grande facilitĂ e non sempre era possibile sostituirle. Noccioli, noci, mandorle, ciottoli potevano funzionare abbastanza bene ma le biglie di terracotta erano decisamente migliori. Era un altro buon motivo per vincere la sfida: per questo non avrebbe abbandonato la postazione sul fiume finchĂŠ non avesse raggiunto la quantitĂ di girini sufficiente a farlo arrivare primo.
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La partenza
Quella mattina, Alalgar si era svegliato all’alba. I
primi raggi del sole illuminavano il cortile interno della casa. Dalla finestra entrava un’arietta piacevole. Alalgar avrebbe desiderato che quella finestra fosse più grande e che permettesse alla luce di rischiarare tutta la stanza ma sapeva bene che per combattere il sole del pomeriggio era più saggio che restasse così. Aveva raccolto e arrotolato la stuoia su cui aveva dormito. Si era lavato e rivestito, poi aveva guardato fuori: nel cortile c’era già parecchio movimento. Gli artigiani che lavoravano per suo padre iniziavano le attività non appena faceva giorno. Uscito sulla balconata di legno che correva intorno al cortile, si era diretto su per la scala che portava al piano superiore e da lì aveva raggiunto il tetto. Non era stata una notte particolarmente calda e, per fortuna, la
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terrazza era vuota: nessuno DENTRO LA STORIA... era andato a dormirci. Da lì poteva osservare Le case dei Sumeri erano fatte di mattoni crudi, ovvero di fango il paesaggio e la direzione seccato all’aria, e generalmente avevano un cortile e un terrazzo che avrebbe dovuto seguisul tetto, dove in estate si dormiva re per giungere al fiume: al fresco. prima a sinistra, infilando la stradina che portava al mercato, poi verso il laboratorio dei mattoni, giù fino al muro che circondava la città.
Attraversato lo spiazzo dei venditori di animali, si sarebbe diretto verso il campo degli olivi, poi dritto all’oasi delle palme. Da lì sarebbe cominciato il difficile: spazi desertici in cui era facile perdere l’orientamento. La sua meta, il fiume Tigri, distava più o meno una mezza mattinata di cammino. Ci era stato alcune volte accompagnando lo zio Naduk a pesca. Comunque quello era il giorno della settimana in cui la scuola era chiusa, perciò l’unico giorno in cui avrebbe potuto accettare la sfida dell’amica. – Mamma – aveva detto scendendo con un salto dall’ultimo gradino, – vado a salutare Naram. – Figliolo, non sai stare lontano dai tuoi compagni di scuola neanche un giorno?! In quel momento Alalgar si era vergognato: ingannare sua madre era davvero una brutta cosa. Tuttavia non aveva scelta. Mai e poi mai lei gli avrebbe permesso di raggiungere il Tigri da solo. Trangugiato in due sorsi il latte di capra che la donna gli aveva preparato, aveva infilato velocemente nella bisaccia una focaccia calda ed era schizzato fuori di casa.
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– Non intrattenerti a lungo – gli aveva gridato la mamma. – Oggi è una giornata importante per tuo padre: egli ne è orgoglioso e desidera che la sua famiglia gli sia al fianco. Ma le parole erano rimaste intrappolate nella stanza: Alalgar aveva già svoltato l’angolo della strada.
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Mi serve quella tavoletta
Nella bisaccia che Alalgar portava in spalla era na-
scosta una tavoletta di argilla, avvolta in un panno bagnato per evitare che si seccasse. Il giorno prima, a scuola, era riuscito a sottrarla dallo scaffale. Per fortuna il maestro Dumuzi non DENTRO LA STORIA... se n’era accorto altrimenti gli avrebbe dato una La scuola sumera era molto difbella tirata d’orecchie. Il ficile: le lezioni duravano dalla mattina al tardo pomeriggio, si fremaestro era buono e non quentava dall’età di sei anni fino a diciotto, e gli allievi venivano obusava mai la frusta, come bligati a studiare duramente. Chi faceva la maggior parte sbagliava veniva bastonato. degli altri insegnanti. – Gli allievi hanno le orecchie sulla schiena – era la tiritera che ripetevano in continuazione. Tuttavia farsi sorprendere a rubare sarebbe stato im-
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