BENEDETTA PRIMAVERA
Nelle librerie e negli store digitali
dal 7 marzo
MAESTRI DEL FARE
Arti e mestieri nel nostro Paese vantano una lunghissima tradizione che affonda le radici negli insegnamenti del passato. Eccellenze che l’Italia crea attraverso la ricerca delle migliori materie prime, delle risorse più efficaci, degli stili più innovativi con imprenditori grandi e piccoli, artisti, professionisti, sportivi, in un mondo dove tutta la creatività, la sapienza, l’esperienza, l’estro, il coraggio, danno vita a uno dei simboli più importanti a livello mondiale: il Made in Italy. L’Italia vanta elementi distintivi che richiamano le bellezze dei nostri territori, la qualità dei nostri prodotti, dall’enogastronomia alla moda, così come nel design o nell’artigianato, nelle auto sportive, nella gioielleria e nella profumeria. L’Italia è “maestra del fare”, riconosciuta in tutto il mondo, che esporta passione, fascino, grinta.
Mi viene da pensare a tutte quelle eccellenze che sono state messe a dura prova prima dalla crisi pandemica, poi dalla crisi economica dettata dalla vicina guerra. Hanno riprogrammato il lavoro, la strada, le strategie per cogliere opportunità sempre nuove, continuamente in evoluzione, e si sono reinventate per rialzarsi più forti di prima. Il mio pensiero va a tutte quelle aziende, in questo caso soprattutto alle piccole e medie imprese, che non ce la fanno o che non ce l’hanno fatta, che si sono dovute arrendere alla contrazione economica.
Bisognerebbe che tutti noi tornassimo a valutare quelle che nel mondo sono le eccellenze italiane, che siano grandi brand o botteghe artigiane, come le migliori, le più prestigiose. L’italian life style ha radici nella cultura e nella storia del nostro Paese da cui trarre ispirazione. Si chiama anche “Italiofilia” ed è l’ammirazione, la stima e l’amore verso l’Italia e gli italiani.
Sta a noi credere di più nelle nostre abilità e, anche se nessuno è profeta nella propria patria, tornare ad amare ciò di cui, per il mondo, siamo maestri. Buona settimana.
Fabrizio CasinelliLORETTA GOGGI
L’attesissimo ritorno della regina della Tv con “Benedetta Primavera”, da venerdì 10 marzo in prima serata su Rai 1
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COMMISSARIO RICCIARDI
La seconda stagione della serie interpretata da Lino Guanciale tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni. Da lunedì 6 marzo su Rai 1
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MAYA SANSA
Intervista alla protagonista della serie “Sei donne”, racconto corale al femminile in onda il martedì su Rai 1
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MAURO CASCIARI
Conduttore e autore è tra i protagonisti dello show di Fiorello “Viva Rai 2!”
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VIVA RAI 2!
Una settimana di emozioni in via Asiago 10. Il foto racconto del RadiocorriereTv 18
FIORENZA PIERI
In “Che Dio ci aiuti” è suor Teresa, la nuova madre superiora del Convento degli Angeli Custodi. L’attrice toscana si racconta al nostro giornale
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CONVERSATIONS WITH FRIENDS
Quattro amici nella Dublino contemporanea. Le complicate dinamiche delle relazioni nella serie irlandese in esclusiva su RaiPlay dal 10 marzo 24
Viale
MIXED BY ERRY
Nelle sale il nuovo film di Sidney Sibilia
Il cantautore presenta il suo ultimo album al
DONNE IN PRIMA LINEA
Irene Di Pace, Funzionario Addetto all'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Genova racconta la sua esperienza in divisa
È la mia VITA
Come vive il ritorno da conduttrice in prima serata su Rai 1?
È una specie di bisogno di riabbracciare il pubblico. Sono trent’anni che non ho un programma mio. Ho fatto molto teatro, non è che non avessi contatto con il pubblico, però avevo desiderio di riprovare questa emozione, questo batticuore.
Dalle indiscrezioni sappiamo che vedremo un grande varietà, come quelli che la Rai ha nel proprio DNA, cosa ci dobbiamo aspettare?
“Benedetta primavera” non nasce per celebrare me, nonostante abbia 63 anni di carriera da festeggiare quest’anno, ma dal desiderio di fare un viaggio nel mondo dello spettacolo e del costume, una lettura dedicata sia al passato che al presente, con ospiti sia di ieri che di oggi. Uno scambio e un confronto tra i giovani e chi ha la mia età.
Con il titolo “Benedetta primavera” quale messaggio ci vuole dare? Cercavo qualcosa che mi identificasse subito. Il “maledetta” era molto giusto per la canzone, per il momento in cui l’ho cantata. Questa volta, andando in onda quasi a primavera, ho pensato che sarebbe stato bello usare il termine “benedetta”. È stata una scelta molto spontanea.
Nel ripercorrere tanti anni di una carriera luminosissima, è possibile non rimanere vittime della malinconia?
Assolutamente (sorride). Vivo tutto al presente, sono molto presente alla mia età, al momento attuale, alla società, a quello che succede. La malinconia non fa parte di me, mi godo ogni giorno e ogni esperienza.
Il suo nome è sinonimo di talento, come coniuga questo termine con i nostri giorni?
Ai miei tempi il talento era assolutamente necessario, poi ci volevano un briciolo di fortuna e tanta gavetta. Io sono partita dalla Tv dei ragazzi fino ad arrivare al sabato sera. È stata lunga, mi sono dedicata al canto, alle imitazioni, alla recitazione. Credo che i giovani di oggi abbiano più talento di quanto non ne avessero quelli della mia generazione, la nostra preparazione era un po’ naif. Oggi i ragazzi
L’attesissimo ritorno della regina della Tv con “Benedetta Primavera”, da venerdì 10 marzo in prima serata su Rai 1. Un viaggio in sessant’anni di spettacolo e di costume. «La malinconia non fa parte di me, mi godo ogni giorno e ogni esperienza» racconta al RadiocorriereTv: «Sono trent’anni che non ho un programma mio, ora sento il bisogno di riabbracciare il mio pubblico»
hanno le scuole di recitazione, di canto, ci sono i talent. Escono con più facilità. Bisogna comunque ricordare che il talento va coltivato, non è una cosa che dura per sempre se non lo sai usare.
Da sempre anche imitatrice, cosa deve avere un personaggio per essere nelle sue corde e per essere interpretato da lei?
Tutte le persone che ho imitato hanno un grande carattere, una personalità. E poi io imito solo quelli che amo, sono un’imitatrice sui generis.
Cosa la diverte, ancora oggi, di questo lavoro?
Questo lavoro è la mia vita, non posso raccontare la mia vita che attraverso il lavoro. Ho cominciato che avevo 10 anni, ora ne ho 72, molte tappe della mia vita sono legate al mio lavoro, che è cresciuto con me. Ogni volta è un’esperienza nuova, mi arricchisco sempre di più.
Ora le citerò alcuni momenti della sua carriera chiedendole di associare un’emozione o un ricordo, a ognuno di loro… partiamo dal 1968 con “La freccia nera” di Anton Giulio Maiano…
Dico una cosa un po’ buffa. Se a 18 anni non fossi stata piatta come una pialla non avrebbero mai pensato a me per “La freccia nera”, dove dovevo passare per un maschietto. Oltre al talento è stato dunque importante che io fossi piatta, cosa che personalmente mi faceva un po’ male (sorride).
“Canzonissima” 1972, cantava “Vieni via con me”, era la prima serata del Programma Nazionale… “Canzonissima” è stata il mio passaggio dalla prosa alla rivista, senza che io avessi mai ballato, fu una specie di salto nel buio. È vero che Pippo Baudo, che ha sempre avuto grande naso, mi ha scoperto cantante e imitatrice. Lui per me era una garanzia, ma pensavo anche che quella di “Canzonissima” fosse un’esperienza una tantum e che poi sarei tornata a recitare. Invece, facendo le imitazioni, sono riuscita a fare quello che, come attrice, non mi avrebbero mai proposto. Avevo una faccia dolce e delicata quindi nella prosa facevo sempre ruoli senza carattere: la ragazza buona, povera, orfana. Con le imitazioni mi sono divertita tanto a fare le vecchie, le brutte, le grasse, personaggi con i tic, i nasoni. È stato un grande divertimento e ho scoperto che potevo fare qualcosa di diverso da quello che i registi di prosa mi affidavano in quegli anni.
Sette anni dopo, è il 1979, arriva “Fantastico”, la prima edizione di uno dei programmi più amati. Lei cantava “L’aria del sabato sera”… “Fantastico” è stato una specie di consacrazione anche come conduttrice. Insieme a me c’erano Beppe Grillo ed Heather Parisi, ma Beppe non voleva assolutamente avere il ruolo istituzionale, dover spiegare i giochi, come votare, e così la Rai pensò bene di farmi presentare. Quell’esperienza fu importante dal punto di vista professionale e anche a livello di look. Venivo da un viaggio in India, da dove avevo portato molti vestiti che non avevano nulla a che vedere con gli abiti che indossavano le showgirl dell’epoca. Ero indiana, anche a piedi nudi, con le piume in testa. E poi incontrai mio marito… quell’“Aria del sabato sera” non la scorderò facilmente.
È il 1983, arriva “Loretta Goggi in Quiz”…
Fu il mio ritorno da figliol prodiga. Siccome in Rai non mi affidavano mai il ruolo di conduttrice da sola, ma dovevo sempre affiancare un conduttore, me ne andai a Canale 5, che allora era una piccolissima rete e feci “Hello Goggi”. Fu una consacrazione, con Enzo Trapani alla regia, Tony De Vita alle musiche, Diego Dalla Palma per il trucco, Gianni Brezza come primo ballerino e coreografo, andai “armata”. Sulla quantità di pubblico non potevo sperare, ma sulla qualità di quello che facevo sì, tanto fu che la Rai mi chiamò e mi propose questo quiz dedicato allo spettacolo, in cui cantavo, ballavo, facevo le imitazioni. Andò molto bene: è stato l’unico programma che feci per due anni di seguito perché sono solita non fare mai per due volte la stessa cosa.
Nel 1988 c’è la fascia di mezzogiorno con “Via Teulada 66”… Venivo da un grande successo che era “Ieri, Goggi e domani”, con il quale avevamo vinto tanti Telegatti. La Rai mi propose il programma di mezzogiorno ed ero sicura di non essere il personaggio giusto: sono una che parla veloce, che scherza, ironica, non mi sentivo molto adatta a quella fascia. Mi dissero di voler cambiare e inserirono temi come gli scavi di Pompei, l’AIDS, il buco nell’ozono, il Telefono rosa, il Telefono azzurro e gli ascolti non erano più quelli dei giochi telefonici. Il programma era all’avanguardia, ma il salto fu troppo netto. Ricordo “Via Teulada 66” come l’ultima cosa che ho fatto in Rai quando ho capito che si andava verso una televisione un po’ diversa e che non mi somigliava più tanto.
Dieci anni in giuria a “Tale e Quale Show”…
Sono una persona che non giudica nessuno molto volentieri. Quando Carlo Conti mi chiamò gli dissi di non essere in grado di farlo, che non sarei mai stata in grado di giudicare un mio collega. Ecco, facendo “Tale e Quale Show” ho scoperto che si possono dire le cose in modo molto garbato, e se sono tecniche, e non riguardano il privato della persona, ci si può esprimere con sincerità. Quel programma è stato anche una scuola e mi ha ridato popolarità. Dopo la morte di mio marito non avevo più intenzione di fare niente, con “Tale e Quale” mi sono riaffacciata a una platea di milioni di persone. È stato piacevole. Devo dire che sono stata un po’ vigliacca perché ho fatto televisione senza farla (sorride). C’ero, ma il programma non era mio e non mi sentivo responsabile di niente.
Ma senza mai abbandonare il suo pubblico…
Mai, e devo tutto a lui. Non ho fatto niente per farmi ricordare, ho fatto il mio lavoro e basta. Non ho avuto tessere di partito, non ho lasciato spazio al gossip. Sono stata un po’ orsetta (sorride). Stefano Coletta dice che è il pubblico a desiderare che io torni. E io gli ho creduto, ecco perché sono qua.
Che cosa le dà gioia nella vita?
Intanto la vita. È un bene immenso, bella in tutte le sue sfaccettature. Fatta di gioie e di dolori, ma anche di momenti in cui metterti alla prova per cercare di dare un senso al perché ci sei.
Per la seconda volta nei panni del Commissario Ricciardi, personaggio iconico nato dalla penna di Maurizio De Giovanni, autore che ha saputo generare «questa mirabile invenzione», l’attore racconta al RadiocorriereTv il profondo legame con quest’uomo, capace di «trovare una via per affrontare la complessità dell’esistenza e della realtà, nel rispetto più profondo possibile degli altri»
Come nascono i rari sorrisi del Commissario?
Un po’ lo dice Bruno Modo, quando sorride Ricciardi è un evento. In questa seconda stagione succede più spesso, le crepe della diga che abbiamo visto apparire nella prima si aprono inesorabilmente, nonostante egli voglia continuare a mantenere una distanza di sicurezza che protegga gli altri da se stesso, non il contrario. Ricciardi è ormai “vittima” di una forza più grande di lui, ha assaggiato cosa sia il contatto più prossimo con gli altri e non riesce più a farne a meno. Dalla prima all’ultima puntata si vedrà proprio un incremento progressivo dell’apertura verso i propri affetti e la realtà esterna in generale. Questa è una delle cose che amo di più di questa figura, ogni sua manifestazione emotiva o relazionale è autentica, non è certo uno che dispensa sorrisi di cortesia. Per me, da questo punto di vista, è un esempio da seguire perché, come tutti quanti, anch’io non sempre riesco ad avere questa profonda e umanissima schiettezza.
Che esempio di essere umano sarebbe Ricciardi se vivesse nei giorni nostri?
Credo che farebbe lo stesso mestiere, è il modo in cui riesce a mettere a frutto il proprio dono, a dare un senso alla propria resistenza umana e sociale. Ricciardi decide di darsi alla giustizia perché trova che sia quella la maniera per dare sollievo alle manifestazioni che lo perseguita-
Quel suo profondo
RISPETTO DELLA
profondo RISPETTO DELLA VITA
no e che, in qualche modo, infestano la sua vita, rendendola impossibile. Creando giustizia trova che invece, non solo può dare sollievo agli altri, ma anche a se stesso. La sua occupazione sarebbe la stessa, immagino però un Riccardi molto impegnato sul fronte umanitario, magari proprio su cause dedicate all’inclusione, alla sorte degli ultimi della lista. In questo momento, forse, migranti e rifugiati.
Cosa rende questo personaggio così attraente? La cosa impressionante è il suo enorme senso etico. Ricciardi non è uno distante dagli altri, è in profonda connessione con gli altri. Di tutti i personaggi che ho incrociato sulla mia strada, dalla versione letteraria di Maurizio (De Giovanni, autore dei romanzi dedicati al Commissario Ricciardi), che ha generato questa mirabile invenzione, a tutti quelli di cui ho esperienza, lui è certamente quello più umano di tutti, quello che ha costruito la propria esistenza sul trovare un modo per relazionarsi con il suo dolore e con quello di tutti. Lo fa, però, sempre con un rispetto profondo della vita degli altri, astenendosi dal dare facili giudizi, dalla superficialità e dalle semplificazioni. È questo, forse, che gli rende possibile resistere in un momento storico molto portato a semplificare, a costruire la realtà attraverso slogan, decisamente costruito sull’annichilimento della complessità. È un uomo che, al contrario, riesce a trovare una via per affrontare la complessità dell’esistenza e della realtà, nel rispetto più profondo possibile degli altri. Questa è una grandissima lezione.
Esistono dei punti di contatti tra lei e Ricciardi? Ci sono, anche se io non sono vittima di una maledizione come quella che è toccata a lui (sorride). Alcune sfumature del mio modo di approcciarmi agli altri, quel rispetto di cui parlavo, in Ricciardi così macroscopico, corrisponde a quello che tento di mettere in pratica nella mia esistenza. In questa forma di discrezione e di attenzione agli altri sta un ponte, un punto di contatto forte tra me e quest’uomo, che è un’idealizzazione dell’antieroe veramente geniale e fulminante. Caratterialmente siamo senz’altro diversi, al dispetto delle apparenze, soffro di un’impulsività maggiore rispetto a quella che Ricciardi evidentemente doma con la forza della ragione (sorride).
Lo sgambetto dell’amore
«La più grande caratteristica “politica” del mio personaggio, ma forse anche dei napoletani, è quella di essere, oltre che profondamente antifascista, profondamente tollerante» afferma l’attore che nella serie “Il Commissario Ricciardi” interpreta l’anatomopatologo Bruno Modo
Come contrasta la morte il suo personaggio?
Mentre Ricciardi vede i morti e, attraverso le sue visioni da realismo magico un po’ napoletano, riesce a ricostruire la sua indagine, arrivando al colpevole, Bruno Modo ha verso la morte un atteggiamento estremamente più razionale, direi più illuministico. È il suo lavoro, fa quello per cui ha studiato e compensa quello che vede con una gigantesca voglia di vivere, combattendo in qualche modo la sofferenza perché non vuole assolutamente lasciarsi sopraffare dalla morte. Ne vede troppa e di tutte le età, ecco perché diventa l’amico più gioioso, più solare, anche se in questa seconda stagione a fargli lo sgambetto sarà l’amore. Non sveliamo nulla,
ma sono certo che negli occhi di molti usciranno tanti cuoricini e anche parecchie lacrime.
Bruno Modo e la politica…
La più grande caratteristica “politica” di Bruno Modo, ma forse anche dei napoletani, è quella di essere, oltre che profondamente antifascista, profondamente tollerante. La tolleranza è la sua bandiera, in questo mi ci riconosco molto anch’io. Per Modo, come si dice a Napoli “ogni essere po’ essere”, chiunque esita ha il diritto di farlo nel modo in cui ritiene più opportuno. Lui non sopporta la grisaglia, il colore nero ovunque, non tollera le rigidità, e anche in questo sono abbastanza d’accordo con lui. Quando la convivenza deve essere ordinata attraverso una regola, vuol dire che c’è un piccolo fallimento perché è venuto meno il rispetto. Modo è uno che invece rispetta e tollera e, per questo, per forza antifascista.
Quali sono gli elementi vincenti di questa serie?
Come diceva Eduardo De Filippo, “un grande copione e una grande compagnia”. In Ricciardi troviamo una grande scrittura, attori molto bravi, oltre che delle immagini interessanti.
Come un padre
«Se Ricciardi vivesse ai nostri tempi sarebbe fedele a se stesso: saldo ai propri principi e valori»: ne è convinto l’attore che, anche nella seconda stagione della serie tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni, interpreta “l’ombra” del Commissario
Bentornato Maione…
Per la seconda volta nei panni di Maione che, come tutti i personaggi, è stato attraversato da una evoluzione. È riuscito a superare le difficoltà familiari dovute alla tragica perdita di un figlio, ma si ritrova a dover gestire le preoccupazioni per le scelte di un altro figlio che desidera diventare anche lui poliziotto. Oltre ai malumori della sua famiglia, lo vedremo come sempre al fianco di Ricciardi nei casi di puntata.
Come cresce il legame con Ricciardi?
È un rapporto che si consolida sia a livello professionale stando sempre di più insieme sul campo, sia umano. Maione ha
con il commissario un rapporto quasi paterno, ha sviluppato un senso molto forte di protezione, di rispetto e di stima verso quest’uomo, malgrado lui non sappia fino in fondo cosa veda. Sente però di dovergli stare vicino.
Qual è la forza di questa storia?
L’empatia dei personaggi. Il pubblico a casa si riconosce in questi esseri umani, li fa propri, diventano come qualcuno di famiglia. È sempre una marcia in più avere nel racconto drammaturgico questa caratteristica, oltre che raccontare una bellissima Napoli degli anni Trenta e l’espediente che tiene incollato il pubblico allo schermo, ovvero il dono di Ricciardi di vedere i morti.
Che essere umano sarebbe il Commissario ai giorni nostri?
Sarebbe ancora più provato per tutte le situazioni brutte della nostra contemporaneità. Credo però che rimarrebbe in qualche modo sempre fedele a se stesso, saldo ai suoi principi e valori.
LA FORZA DELLA GIUSTIZIA
«Per Anna tutto gira intorno alla sincerità, nel privato come nella professione» racconta al RadiocorriereTv la protagonista della nuova e attesissima serie tv “Sei donne”, un racconto corale al femminile in tre puntate, su Rai 1 e in streaming su RaiPlay
Partiamo dal suo personaggio: chi è la PM Anna Conti?
Anna è una donna che si è fatta strada da sola, alle spalle una storia personale piena di problemi che non le ha impedito di rialzarsi, ricostruire la propria esistenza, studiare, laurearsi, creare una famiglia con l’uomo di cui si è innamorata e che credeva fosse un compagno complice, amico per sempre. Il pubblico la conoscerà, invece, nel momento in cui tutta questa sicurezza, che era stata in grado di costruire, crolla, lasciandola sola e in grande difficoltà. Nel suo lavoro
è spinta da passione, è dotata di un grande intuito, di istinto che vedremo in azione ancora di più quando, sulla sua scrivania, arriva il caso della scomparsa misteriosa di una ragazzina, Leila, e di suo padre. Mentre tutti cercano di dissuaderla, Anna intuisce che sotto c’è qualcosa di poco chiaro per cui vale la pena indagare, spinta quasi da un senso di immedesimazione verso questa ragazza, come se, salvando Leila, volesse salvare se stessa dalla sua infanzia difficile.
Quale viaggio intraprende la sua Anna?
Incontra molte persone, soprattutto donne, dalle quali si aspetta aiuto e complicità e, al contrario, riceve una chiusura totale, forse dovuta anche al suo atteggiamento un po’ brusco, chiuso, duro. Non potevamo però “imbrogliare” il pubblico nascondendo una sofferenza sotto una finta dolcezza, è una donna che ha sofferto e che sta soffrendo, dovevamo rimanere fedeli alla scrittura e alla verità. Per Anna tutto gira intorno alla sincerità, al senso di giustizia, nel privato come nella professione.
GIUSTIZIA
Con “Sei donne” arriva il debutto alla regia televisiva di Vincenzo Marra. Com’è andata?
Da Vincenzo ho ricevuto una fiducia totale, è stato lui a offrirmi questo ruolo e io ho accettato con entusiasmo perché è un professionista con cui avevo voglia di lavorare, un autore dotato di un linguaggio visivo, di una grammatica narrativa molto personale. A volte per un attore è stimolante affrontare numerosi provini, scoprire il personaggio un po’ alla volta, confrontarsi con il regista, altre, invece, percepire che in te viene immediatamente riconosciuto qualcosa di quel personaggio, può essere anche molto liberatorio, perché si lavora solo sulle sfumature o su alcune specificità.
La scrittura di Ivan Cotroneo e Monica Rametta è una garanzia…
Con Marra abbiamo lavorato in sottrazione perché nel testo c'era già tutto. La scrittura di Cotroneo e Rametta è molto chiara, il mio personaggio è stato ben delineato subito nella sce-
neggiatura, non si doveva aggiungere molto altro. Confesso, però, che l’inverno scorso avevo dovuto affrontare dei provini per ruoli da giurista e, alle riprese, sono arrivata con molto studio alle spalle. E poi, ho più volte consultato uno zio giudice dei minori, adesso in pensione, tartassandolo di telefonate perché volevo capire tutto di quel mondo. Alla fine, ero diventata più pignola di lui (ride).
Una serie e un set corali…
Con il cast si è creata una relazione davvero molto bella, ma non è stato un set facile. Vincenzo è un bravissimo regista, molto esigente e serio, a noi attori ogni tanto veniva invece un fou rire necessario per allentare la tensione di una storia complessa, ma anche del caldo sofferto. Abbiamo girato d’estate, in una Taranto che segnava 40°, è stato naturale creare dei momenti di svago e di distrazione. Ricordo con piacere il tempo trascorso con l’aiuto regista che la mattina ci faceva ripetere la scena in un contesto più rilassante, poi si tornava come soldati sul set, dove dovevamo rigare dritto. Credo però che la stessa serie girata d'inverno avrebbe avuto un sapore diverso. Nonostante tutto, il caldo e il torpore, ovviamente stancanti, ci hanno ben accompagnati.
Taranto, città poco nota al grande pubblico televisivo, in che modo entra nella storia?
Il luogo più presente nella serie è in assoluto la procura di Taranto, un palazzo bellissimo, importante, che ha qualcosa di caratterizzante. Il mare è molto presente, ci sono dei passaggi in macchina in cui si vedono delle zone bruciate dal sole, tra le quali si scorge il lato industriale della città. Non si parla però della città turistica, tra l’altro molto bella, perché non interessava restituire al pubblico una cartolina.
Quali sono le sfide di questo giallo psicologico?
Raccontare correttamente un universo femminile complesso, vario. È un thriller, certo, c’è tanto mistero, tutto ruota intorno a questo, ma i personaggi sono raccontati nelle loro diverse sfaccettature. Rispetto al passato si propongono molte più storie al femminile e il titolo di questa serie pone proprio l’attenzione su un racconto di donne che non devono sostituirsi agli uomini, o trasformarsi in essi, soprattutto se occupano posizioni di potere. Anna ha una tenuta molto sobria, sarebbe stato assurdo farle sfoggiare altri abiti, è rigorosa, è un giudice impegnato, non ha tempo di occuparsi di altro. Al di fuori di questo, però, tutto il suo universo emotivo è prettamente femminile, al lavoro funziona con un intuito e un approccio di donna
NOI GIOCOLIERI CON
Tra i maestri di buonumore (e di ironia) di Via Asiago nel glass-box di “Viva Rai 2!”. Il RadiocorriereTv incontra il conduttore e autore umbro: «Alle 7.15 accendi la Tv, vedi Fiore con la sua combriccola, ed è subito allegria»
Il pubblico ha decretato il successo di “Viva Rai 2!”. Cos’è stato a rendere questo show del mattino qualcosa di cui non si può fare a meno?
Il successo è arrivato perché Fiorello ha pensato di fare una cosa davvero nuova: portare un morning show comico, equiparabile forse a qualcosa di fatto a quell’ora in radio, ma in Tv mai, con uno stile diverso da quello dei morning show americani o europei, quindi fatto sulla strada senza dei giornalisti impietriti dietro a un bancone. Si va in onda da questo acquario che visto dall’alto sembra un po’ una giostra, un circo, un po’ carillon. C’è poi l’atmosfera, perché Fiorello sceglie prima le persone dei personaggi e questo crea un’alchimia unica, delicata e, probabilmente, irripetibile.
Alle 7.15 date la sveglia a sempre più spettatori…
Le persone si stanno abituando, anche con il passaparola, ad aprire la giornata con il buonumore. Quello di “Viva Rai 2!” è un pubblico anche nuovo. Accendi la Tv, vedi Fiorello con la sua combriccola, ed è subito allegria. Si parte con il buonumore e lo conservi per tutta la giornata.
Com’è cambiato il tuo risveglio da quando nella tua vita è entrato Fiorello?
Paradossalmente il mio risveglio è migliorato. Prima, facendo l’early morning show su una radio nazionale privata, dalle 5 alle 7 di mattina, mi svegliavo alle 4.15. Ora, vedendo che abito proprio a fianco a Via Asiago, mi alzo alle 5.15. Ero già abituato a essere “fantozzianamente” svegliato da una serie di automatismi: parte il tostapane, si accendono lentamente le luci, la radio e la stufetta elettrica. Ero già attrezzato a un risveglio velocissimo, e Rosario lo sapeva (sorride).
Dalla radio, a “spalla” Tv di Fiorello, come stai vivendo questo nuovo corso?
La sto vivendo benissimo, aspettavo questo momento da tre anni, era una possibilità già nell’aria da prima della pandemia. Un evento che arriva prima dei miei cinquant’anni, dei capelli bianchi, ed è il massimo che potessi sperare per il mio sviluppo professionale. Ora si può solo scendere.
FIORELLO
La leggerezza come risultato di una costruzione perfetta di chi la Tv di oggi la sa fare e immaginare. Qual è il punto di equilibrio?
Il punto di equilibrio è, secondo me, pensare che la propria nonna, la propria mamma e il proprio figlio stiano guardando il programma insieme poco dopo essersi svegliati. Devi pensare a un pubblico molto ampio. Suggerisco sempre due livelli di lettura, quello che capisce la maggior parte delle persone e un altro, se possibile, anche solo con una citazione, che capiscono solo alcuni. Vedo che il nostro programma ha un pubblico istruito, laureato, giovane rispetto a quello della Tv tutta, e altospendente. Davanti allo schermo ci sono anche tanti bambini. L’equilibrio è pensare alla famiglia, questa è la mia idea e penso sia anche quella di Fiorello. La Tv perfetta naturalmente non esiste, perché, dal mio punto di vista, la Tv è cinema fatto peggio. Dobbiamo però farla al meglio.
Una sfida quotidiana: stupire il pubblico. Da dove si parte?
Dal fatto che la creatività è una rivoluzione continua e lenta. Creatività è mettere insieme nella maniera più illusoria possibile elementi già esistenti. Stupire il pubblico significa inserire ogni tanto un piccolo elemento di cambiamento rispetto a ciò che si è già visto e fatto. Questo concetto è nella testa di Fiorello, anche troppo (sorride). Fosse per lui si stravolgerebbe tutto ogni giorno: vuole stupire noi, e ce la fa, e vorrebbe cambiare
sempre tutto. Alcune cose, alcune idee, io le terrei molto più a lungo, ma c’è da dire che il passato, il presente, e probabilmente anche il futuro, danno ragione a lui. Io lo seguo e imparo.
Ad aspettarvi un palcoscenico che cambia in continuazione… Si parte alle 7.15 da via Asiago, che è già un elemento di stupore. Al resto ci pensa Fiorello che ogni giorno prende la sua strada, al di là della scaletta e di quello che abbiamo preparato. Dovresti essere il saggio del gruppo, ruolo non facile a “Viva Rai 2”…
In realtà il saggio non sono io bensì Ruggero, che è sempre alle nostre spalle. Io sono la spalla sinistra di Fiorello e rispetto a Biggio son più saggio, perché lui è più pazzo (ride). Saggi sono gli autori, quelli più seri, che si occupano anche di fare la scaletta, l’impaginazione, i tempi. Loro sono una sicurezza, anche se poi Fiorello, che sa sempre cosa si dovrebbe fare, fa poi sempre di testa sua. Ecco, forse la mia saggezza è capire dove sta andando Fiorello, cosa farà durante la diretta. Mi guardo intorno, cerco di capire quando sta cambiando la scaletta, intorno a Fiore siamo tutti un po’ giocolieri. In base a quello che decide di fare dobbiamo girargli intorno senza cadere in terra. Che poi, anche se cadi, lui ti riprende al volo.
Buongiorno da Via Asiago 10
Nel nostro fotoracconto alcuni dei momenti più emozionanti e divertenti dello show in onda dal lunedì al venerdì alle 7.15 su Rai 2, ma anche in replica nella notte di Rai 1 e sempre a disposizione su RaiPlay
Cugini di Campagna, energia assicurata
Jamie contagia anche Fiore
Uno
In ricordo di Lucio Dalla, “4/3/1943”
Il gioco più
bello
In “Che Dio ci aiuti” è suor Teresa, la nuova madre superiora del Convento degli Angeli Custodi. L’attrice toscana si racconta al RadiocorriereTv: «Vengo da tanti anni di teatro di prosa, ho recitato in grandi drammi e grandi tragedie. Sono morta in scena infinite volte e ora sono felice di giocare con la commedia»
Com’è stato l’incontro con suor Teresa? Partiamo da quando mi è stata presentata per il provino. Come proposta è stata abbastanza spiazzante, mi chiedevo come potessi entrare nella serie come nuova madre superiora quando Elena Sofia Ricci era la madre superiora, quando Suor Angela era “Che Dio ci aiuti”. Ho pensato che fosse una scommessa azzardata, sia da parte degli autori, che nell’eventualità di prendere il personaggio.
Ma il personaggio le è stato affidato e lei è entrata in scena…
Mi ha affascinato da subito il fatto che “Che Dio ci aiuti” sia un mondo raccontato un po’ sopra le righe, nel quale c’è un po’ la sospensione dell’incredulità. Non è un mondo naturalistico, realistico, ma uno in cui i personaggi sono abbastanza caratterizzati, le cose che succedono sono a volte un po’ paradossali. E questo permette di recitare. La recitazione ti fa andare incontro al personaggio, ti fa costruire una personalità contaminata da quello che tu sei ma che è anche a sé stante. Il mondo della serie è pennellato un gradino sopra, nella direzione della commedia. Ti consente di creare un personaggio, di trovarne i tic, il modo di muoversi, di guardare, di parlare, di relazionarsi con gli altri, questo è stato molto divertente.
A proposito del genere della commedia, come se lo sente addosso?
La cosa divertente di questo lavoro è che si possono sperimentare un po’ tutti i registri. Vengo da tanti anni di teatro di prosa, ho recitato in grandi drammi e grandi tragedie. Sono morta in scena infinite volte, da Shakespeare a Čechov, ero abbastanza avvezza a un linguaggio più alto, poetico, letterario, quasi sempre nella direzione del dramma. Da qualche anno ho avuto modo di giocare con la commedia, che è una cosa divertente e in
questo il sostegno della scrittura è indispensabile. L’interpretazione sulla commedia deve essere calibrata sul tempo-ritmo delle battute, in modo che ci sia un effetto di risata. Se la scrittura non ti sostiene, e una cosa non fa ridere, non fa ridere. Credo che gli autori siano molto rodati sul linguaggio di questa serie, ho trovato copioni e sceneggiature che sostengono molto la possibilità di trovare effetti comici. In questo ho osservato moltissimo Francesca Chillemi che alla sua settima stagione, aveva grande famigliarità con questo linguaggio. Ci siamo molto divertite insieme.
Per un’attrice cosa significa vestire i panni di una religiosa?
Si può dire che sia un personaggio come un altro, che si porta dietro una costruzione di atteggiamento esteriore e di emotività interiore, e poi c’è un abito che regala l’immagine del suo personaggio. È chiaro che se devo fare una madre, una sorella, una moglie, i vestiti sono di solito più moderni e allora si può giocare sul colorire lo stile, che con Suor Teresa era già dettato dall’abito. Come professionista era molto comodo avere un unico costume di scena, dal punto di vista interpretativo invece non è facile sacrificare completamente la parte di vanità. Non che io abbia mai puntato troppo su quella, perché la mia preparazione è molto più culturale-intellettuale, sono un po’ una nerd da questo punto di vista. Mi è sempre piaciuto di più lo studio “matto e disperatissimo” sui libri che non l’esibizione di me stessa. Però è anche vero che nel momento in cui ti vengono proposti dei costumi di scena speri sempre che ti stiano bene, la tonaca invece è quella che è. Le scarpe sono dei mocassini bassi che non metterei mai (sorride).
C’è qualcosa che accomuna Fiorenza a Suor Teresa?
All’inizio pensavo non ci fosse nulla in comune, la vedevo come un personaggio costruito in un altro universo con una forte rigidità. Ma le maschere, i personaggi pennellati in modo deciso, spesso sono l’esagerazione di espressioni comuni che vediamo nel mondo. In questo senso la mia suor Teresa ha atteggiamenti di rigidità, si è costruita una fortezza per schermare la sua parte emotiva, il suo passato, e questa penso sia una caratteristica abbastanza comune. Lei è molto chiusa emotivamente, si sbottona solo con il piccolo Elia. Non che io sia una persona particolarmente chiusa o rigida, ma di sicuro mi sono costruita degli alti muri per proteggere le parti più fragili ed esposte del mio
animo. Insegno da anni recitazione teatrale e cinematografico e dico sempre ai miei allievi che il giro di boa di questo mestiere arriva nel momento in cui si riesce a mettere a disposizione il proprio vissuto, la propria emotività, con la maggiore emotività possibile ma senza farsi male. Impedendo agli altri di saccheggiare ciò che di autentico si mette in gioco. Credo che questa sia la soglia del professionismo.
La sua popolarità televisiva è giunta negli ultimi anni, ma la sua carriera ha avuto inizio molto prima. Come è cambiato il suo essere attrice?
In questo momento c’è un accesso a una visibilità maggiore, qualche volta mi è capitato di essere riconosciuta per strada o al supermercato ma la mia vita non è cambiata molto. Da una parte sono grata di essere arrivata a una responsabilità professionale importante nel momento in cui sento di avere gli strumenti per farlo. Penso che difficilmente la popolarità possa darmi alla testa. Dall’altra mi sarebbe piaciuto ottenere una visibilità come questa a vent’anni, quando ero molto più sicura del mio aspetto (sorride). Nella vita quotidiana sono talmente impegnata tra lavoro e famiglia che non c’è il tempo da dedicare a questa apparente notorietà.
Come nasce la sua passione per la recitazione?
Ai tempi del liceo facevo un corso di teatro a Firenze ed era il mio gioco preferito. Scoprii che immedesimandosi il più possibile nelle vicende di un personaggio, dimenticandosi completamente di aspetti esteriori, andando incontro a una immedesimazione vera, c’erano momenti di viaggio: vivi per un attimo un’altra vita e questo è divertentissimo. Un po’ come un sogno. Il personaggio ti può far porre delle domande, su ciò che sei, sulle dinamiche della società. Il teatro nasce per far vedere all’uomo se stesso e permettergli di migliorare.
“Che Dio ci aiuti” è un intrattenimento ma contiene contenuti di amicizia, supporto, giustizia, verità, una serie di valori.
Dove trova le energie?
Non me lo sono mai chiesta. Ho sempre pensato di essere una persona molto pigra, ma se guardo i fatti non sono mai ferma. Nella mia vita ho preso tanti treni da non poterli contare (sorride). Le mie energie vengono dal piacere di fare questa professione: la recitazione diventa brutta e meccanica quando ci si dimentica quanto sia bello giocare a quel gioco.
CONVERSATIONS WITH FRIENDS
Le complicate dinamiche delle relazioni nella serie irlandese in esclusiva su RaiPlay dal 10 marzo
Quattro amici nella Dublino contemporanea. Le complicate dinamiche delle relazioni fra loro: amori, tradimenti, tensioni sessuali e delusioni. Tratta dall’omonimo romanzo di Sally Rooney, la serie, prodotta da Element Pictures e distribuita da Fifth Season, sarà in esclusiva su RaiPlay dal 10 marzo. “Conversations with friends” racconta, in dodici episodi, la storia di Frances (Alison Oliver), una ventenne che vive a Dublino, dove frequenta Lettere al Trinity College con la sua migliore amica Bobbi (Sasha Lane). Dopo aver avuto una relazione durante gli anni
della scuola, le due sono rimaste amiche, scrivono e recitano poesie insieme. Il loro rapporto cambia quando, durante una serata di Poetry Slam, le ragazze entrano in contatto con Melissa (Jemina Kirke), scrittrice trentenne sulla cresta dell’onda, e con suo marito Nick (Joe Alwyn), attore di successo. Frances e Nick condividono da subito una fortissima intesa mista ad attrazione e, dopo una festa, i due finiscono a letto. La relazione termina bruscamente quando Nick lascia l'Irlanda per lavoro, ma è pronta a riaccendersi in estate, quando le ragazze accettano l’invito di Melissa a raggiungerli in Croazia. Proprio lì, Bobbi sorprende la sua ex-ragazza con Nick. Il mondo di Frances crolla all’improvviso: il suo rapporto con Nick, la sua amicizia
con Bobbi, la sua stessa salute sono in bilico. Ma è proprio a partire da questa crisi che con determinazione e fatica Frances cerca di ridefinire se stessa, le sue emozioni e i suoi desideri. «Passioni, fragilità, amori e ricerca di nuovi e possibili equilibri. Conversations with friends è tutto questo- sottolinea la Direttrice di RaiPlay Elena Capparelli - Un affresco delicato, che siamo contenti di regalare al nostro giovane pubblico, che avrà senz’altro modo di riconoscersi nei giovani protagonisti della serie, con le loro paure e il loro desiderio di nuove certezze». La sceneggiatura è di Meadhbh McHugh, Alice Birch, Mark O'Halloran, Susan Soon He Stanton. La serie ha debuttato il 15 maggio 2022 su BBC Three (UK), Hulu (USA) e RTE One (Irlanda).
DARIO FO: l’ultimo Mistero Buffo
Un omaggio al drammaturgo premio Nobel e al suo teatro, che continua a dare voci alla contemporaneità, in tutto il mondo. In onda il 10 marzo alle 21.25 su Rai 3
“Dario Fo: l'ultimo Mistero Buffo” racconta la storia del drammaturgo premio Nobel e del suo teatro. Il documentario, diretto da Gianluca Rame, è una produzione Clipper Media e Luce Cinecittà con Compagnia Teatrale Fo Rame in collaborazione con Rai Documentari e con il patrocinio di Fondazione Fo Rame. In onda in prima visione il 10 marzo alle 21:25 su Rai 3, è incentrato su un evento inedito: l’ultima messa in scena di “Mistero Buffo”, a Roma il 1°agosto 2016, l’addio alle scene del suo autore e interprete, il premio Nobel Dario Fo, scomparso soltanto due mesi dopo. Il documentario racconta un percorso che parte dal camerino di Dario Fo, con il suo spettacolo più noto, per percorrere insieme a lui un viaggio caleidoscopico che ci porta dalla Turchia all’Argentina, lì dove le sue opere, dalla drammaturgia potente e critica, infastidiscono ancora oggi lo “status quo” e il potere. Il novantenne Dario Fo si appresta a calcare per l’ultima volta la scena. Dentro la sua mente si accavallano i ricordi di una vita straordinaria. I suoni che giungono dalla cavea si fondono con il ricordo di altre figure familiari: Franca Rame, con cui Dario ha fatto coppia fissa in scena e nella vita, i loro intensi carteggi, le tante storie vissute insieme. L’anziano attore si alza, si porta lentamente dal camerino alle quinte e dopo un accenno di esitazione entra in scena mettendo fine all’attesa. La magia del suo teatro si compie per un’ultima volta ancora. Il Maestro sorride pensando alle tante compagnie che in tutto il mondo rappresentano le sue opere. A Istanbul dove è in scena in curdo la commedia “Clacson Trombette e Pernacchi” e a Buenos Aires dove “Muerte accidental de un ricotero” adatta il testo su Pinelli per parlare del caso di Walter Bulacio, assassinato dalla polizia nel 1991. Il film segue gli attori in un continuo confronto nel quale il teatro di Dario Fo diventa spazio di riflessione sulla condizione umana e sulle distorsioni del potere, superando differenze linguistiche, geografiche e culturali e confermando l’attualità e l’universalità del suo linguaggio.
Buffo
STORIA DI UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA
La climber iraniana Nasim Eshqi e le sue battaglie per i diritti e la libertà delle donne in Iran.
Disponibile su RaiPlay Sound
«In montagna la forza di gravità fa precipitare tutti allo stesso modo: maschi, femmine, ricchi, poveri, italiani, iraniani. E questo mi dà un senso di uguaglianza e dunque di libertà». La Natura come alleata per riequilibrare l’ingiustizia di appartenere al genere di serie B., il desiderio di non mollare e andare sempre più su per «guardare quello che c’è oltre il confine», esortare il mondo, anche dall’esilio, a non lasciare solo il popolo iraniano.
Nasim Eshqi, pioniera dell’arrampicata all’aperto, non ha paura di difendere i suoi diritti e quelli di tutte le donne che nel suo Paese non hanno alcuno spazio di libertà, neanche sulle pareti rocciose di una montagna.
“Climbing Iran”, il documentario di Francesca Borghetti (finalista ai David di Donatello e Premio del Pubblico al Trento Film Festival, disponibile su Rai Play) ci aveva fatto conoscere la sua storia già nel 2020, ora la sua voce “ribelle” diventa un podcast in cinque puntate per RaiPlay Sound.
“Nasim. Iran verticale”, un nuovo modo per continuare a essere un megafono per la sua gente. «Non so cosa significhi veramente nascere in Iran, - afferma Nasim - ma so che per essere una donna nel mio Paese devi essere una “Super Woman”, altrimenti non puoi sopravvivere».
RAI NELLA TOP TEN PER “NO WOMAN NO PANEL”
C’è anche la nostra tra le dieci aziende premiate a Milano per aver promosso una comunicazione inclusiva e accessibile. Il presidente Marinella Soldi: «Inclusione valore irrinunciabile e vantaggio competitivo»
Inclusione come priorità aziendale e vantaggio competitivo. C’è anche la Rai tra le dieci aziende premiate a Milano durante il Diversity Brand Summit per aver promosso una comunicazione inclusiva e accessibile. Il riconoscimento, in particolare, va al progetto “No Woman No Panel – Senza donne non se ne parla”, selezionato dal Diversity Brand Index 2023, l’unica ricerca italiana che misura la capacità delle marche di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla Diversity, Equity and Inclusion (DE&I), ideato e curato da Diversity e Focus MGMT. «Siamo fieri che Rai sia tra i migliori brand secondo il Diversity Brand Index. In qualità di Presidente della Rai – dice Marinella Soldi - credo nell’impatto e nella responsabilità
dei media nell'amplificare messaggi. Per questo ho fortemente creduto nell’adesione di tutta la nostra azienda all’iniziativa “No Women No Panel - Senza donne non se ne parla”. Un progetto che premia le competenze e il merito, al di là del genere. L’inclusione non è solo valore irrinunciabile per il servizio pubblico: è un vantaggio competitivo per tutti». Il progetto “No Women No Panel” - la campagna europea fatta propria dalla Rai per promuovere una partecipazione bilanciata e plurale di donne e uomini negli eventi di comunicazione - costituisce un esempio concreto e rappresentativo, anche dal punto di vista simbolico, di come Rai consideri la Diversity & Inclusion un valore aggiunto irrinunciabile per conseguire le finalità della propria missione nel rapporto con i cittadini-utenti e con i territori, in termini di reputazione e di risultati misurabili. Il progetto rientra nel modello di governance adottato dalla Rai sia nell’organizzazione interna, che nella sua missione di servizio pubblico, per l’avanzamento sociale, culturale ed economico del Paese nel segno delle pari opportunità, con l’obiettivo di valorizzare la diversità in ogni sua forma come risorsa, proponendo messaggi, azioni e servizi inclusivi e accessibili.
L’UOMO CHE DISEGNÒ
Una commedia drammatica di denuncia su temi d’attualità: dall’integrazione multietnica all’invadenza dei Social e il cinismo
della TV-spazzatura. Diretto e interpretato di Franco Nero, con Stefania Rocca, Robert Davi, Kevin Spacey, Faye Dunaway, Massimo Ranieri
Franco Nero torna nelle sale nelle vesti di regista e interprete di “L’uomo che disegnò Dio”, pellicola coprodotta da Rai Cinema. Sullo schermo veste i panni di Emanuele, un solitario e cieco anziano con un grande dono: la capacità di ritrarre chiunque semplicemente ascoltandone la voce. Nessuno conosce questa "magia", tranne la sua assistente sociale, Pola, e gli studenti della scuola serale dove insegna ritrattistica a carboncino. Nel cast del film Stefania Rocca, Wehazit Efrem Abraham, Isabel Ciammaglichella, Diana Dell'Erba e Vittorio Boscolo, nonché i Premi Oscar Kevin Spacey e Faye Dunaway, insieme a Robert Davi e Massimo Ranieri. La vita dell’anziano viene sconvolta dall’arrivo di due immigranti africane, presentategli da Pola: Maria è una vedova giunta in Italia
DISEGNÒ DIO
sperando in un futuro migliore per lei e sua figlia, Iaia. Le due si trasferiscono da lui occupandosi in cambio della casa. Una sera Iaia registra il vecchio pittore mentre sta disegnando un suo ritratto e carica il materiale online. La "magia" diventa virale in brevissimo tempo. Emanuele viene notato da Talent Circus, uno show televisivo che scopre strani talenti per sfruttarli per una migliore condivisione. Così Emanuele lascia la sua vita solitaria, in un primo momento per promuovere l'associazione umanitaria di Pola, ma dopo un po' diventa la star principale dello spettacolo. Con la fama e il denaro, iniziano a venire anche i problemi: tra accuse legali e invidia dei suoi stessi stu-
denti, l'unica cosa che Emanuele desidererà, sarà tornare alla sua vita solitaria, sperando che le persone possano riguadagnare le virtù di compassione e solidarietà, che spesso il successo e la fama dimenticano. “L’uomo che disegnò Dio”, tratto da una storia vera, è una commedia drammatica di denuncia su temi dell’integrazione multietnica, dell’invadenza dei Social e del cinismo della TV-spazzatura. L’insegnante è un uomo quasi invulnerabile, una sorta di “Samurai” non-vedente, ma capace proprio per questo di “vedere” gli altri con un’immediatezza
sovrannaturale, grazie al suo misterioso dono di ritrattista.
Mixed by Erry
Nella Napoli magica degli anni ‘80, dove Maradona è una divinità, Enrico sogna di fare il deejay, ma la vita lo porterà altrove. L’avventura, la passione e le emozioni del giovane e dei suoi fratelli sono raccontati dal film di Sidney Sibilia prodotto da Groenlandia con Rai Cinema. Nel cast Luigi D’Oriano, Giuseppe Arena, Emanuele Palumbo, Francesco Di Leva, Cristiana Dell’anna, Adriano Pantaleo, Chiara Celotto, Greta Esposito e Fabrizio Gifuni
Un tuffo negli anni Ottanta. La pellicola di Sidney Sibilia, già in programmazione nelle sale italiane, ci porta a Napoli e ci presenta Enrico (Luigi D’Oriano) giovane che vuole realizzare il proprio sogno: diventare deejay. Con l’aiuto dei fratelli, Peppe (Giuseppe Arena) e Angelo (Emanuele Palumbo), riesce a mettere in piedi un piccolo negozio di musica in cui vendere le sue compilation col marchio “Mixed by Erry”. Quello che parte come un gioco dai vicoli di Forcella si tramuta presto, e inaspettatamente, in un’avventura leggendaria e travolgente. “Mixed by Erry”, benché emblema del falso, diventa la prima “etichetta” in Italia, con una produzione che travalica i confini nazionali e trasforma una piccola impresa locale in un impero. “Mixed By Erry” racconta l’ascesa
Erry
e la caduta di Erry, primo “pirata” nella discografia italiana, e dei suoi fratelli. Una vicenda clamorosa che ha rivoluzionato il concetto di pirateria e portato la musica nelle vite di tutti. «Quando ero piccolo, nel mio quartiere a Salerno, non c’era il negozio di dischi, l’unico modo per comprare della musica era andare da Peppe – afferma Sidney Sibilia – il gestore di una bancarella che per cinquemila lire ti vendeva una cassetta Mixed By Erry oppure, se volevi risparmiare, per sole tremila lire una cassetta pirata Mixed By Erry. La qualità dell’ascolto era decisamente inferiore e anche il packaging non era curato come le originali, motivo per cui, potendosele permettere, Peppe consigliava sempre l’originale, che poi originale non era». Dai ricordi di gioventù, alla decisione del regista di portare una
storia sul grande schermo: «Un giorno mentre se ne parlava con il mio amico sceneggiatore Armando Festa, decidiamo di indagare e di andare a conoscere il grande DJ Erry. Scopriamo, innanzitutto, che Enrico “Erry” non era solo, ma l’impresa era curata con i suoi fratelli Peppe e Angelo. Ci rendiamo conto che dietro quelle cassette c’era una storia incredibile, epica, ma anche molto intima, che sfiora tutti i principali eventi storici di un decennio straordinario per la città di Napoli. Una storia che parla di quanto sia difficile avere sogni incompatibili con il posto in cui si è nati. Ma la vera spinta che mi ha convinto a fare questo film è stata la prima frase che ci ha detto Enrico prima di iniziare a raccontare la sua storia: ‘Io volevo solo fare il DJ’».
Il film è prodotto da Groenlandia con Rai Cinema.
RADICALMENTE PANNELLA
Tanti ideali poche ideologie. Dal 7 marzo su RaiPlay e il 10 marzo su Rai 3
La storia di un politico e attivista tra i più noti del ventesimo secolo. Protagonista di tante lotte per i diritti civili, dal divorzio, all’obiezione di coscienza al servizio militare, passando per l’aborto, la legalizzazione delle droghe leggere e la condizione di vita dei detenuti, che ha voluto denunciare con scioperi della fame e della sete. Nella ventunesima puntata di “Ossi di Seppia, quello che ricordiamo”, dal 7 marzo su RaiPlay e il 10 marzo su Rai 3, Mirella Parachini, moglie di Marco Pannella, fa un ritratto intimo e fuori dagli
schemi del leader storico dei radicali. «È difficile raccontare Marco proprio perché ci sono state varie fasi… Quello che ha caratterizzato la mia vita con lui, ma in realtà la vita di Marco anche senza di me, era che tutto era una priorità, lo era tutto quello che in quel momento era la sua azione di lotta... E la modalità di avere delle priorità che si impongono su tutta la quotidianità è una esperienza difficile da condividere.»
Un uomo che fra eccentricità, battaglie e rivoluzioni ha cambiato la società italiana. Nel 1955 fonda insieme ad altri politici il Partito radicale dei Democratici e dei Liberali, sancendo un nuovo inizio per quella sinistra radicale che non si riconosce più nel Partito liberale italiano. Marco Pannella muore a 86 anni, dopo una lunga malattia.
Nelle librerie e negli store digitali
IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE
Il dottor Paul Kersey è un chirurgo che si rende conto della violenza che sta devastando Chicago solo quando sua moglie e sua figlia vengono aggredite nella loro bella casa in un quartiere residenziale. La Polizia non ha tempo per risolvere il caso e Paul, desideroso di vendetta, trova il modo per ottenere giustizia. Il remake di un cult degli anni '70 è disponibile anche in lingua originale. Regia: Eli Roth. Interpreti: Bruce Willis, Vincent D'Onofrio, Elisabeth Shue, Dean Norris.
LA PORTA ROSSA
Il commissario Cagliostro, ucciso in uno scontro a fuoco, resta sospeso tra la vita e la morte. Solo una ragazza può parlare con lui. Serie ideata da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi, scritta da Sofia Assirelli, Carlo Lucarelli, Davide Orsini e Giampiero Rigosi. Le tre stagioni complete, nella sezione dedicata alle serie tv. Regia: Gianpaolo Tescari, Carmine Elia. Interpreti: Gabriella Pession, Lino Guanciale, Valentina Romani, Elena Radonicich, Gaetano Bruno, Antonio Gerardi.
Basta un Play!
GIARDINI FANTASTICI E
DOVE TROVARLI
L'architetto Jean-Philippe Teyssier accompagna lo spettatore in un viaggio alla scoperta dei giardini e dei parchi privati più belli del mondo, spesso veri musei a cielo aperto dentro realtà sempre più urbanizzate. I giardinieri, i paesaggisti, gli orticoltori, gli architetti, gli storici e gli amministratori immobiliari incontrati da Teyssier gli sveleranno l'arte del giardinaggio, oltre all’importanza e alla bellezza del verde. Nella sezione della piattaforma Rai dedicata ai documentari.
140 ANNI CON PINOCCHIO
In occasione dei 140 anni dalla pubblicazione del classico per ragazzi "Le avventure di Pinocchio" di Carlo Collodi, Raiplay Bambini dedica una collezione al burattino più famoso di tutti i tempi. Tanti divertenti contenuti ripropongono le avventure di Pinocchio in serie animate, colorate e coinvolgenti come "Pinocchio & Friends" ed il cartone francese "Il villaggio incantato di Pinocchio". E' presente una ricca gallery di film dedicati al burattino, dal lungometraggio di Enzo D'Alò, al Pinocchio di Matteo Garrone con Francesco Benigni ed anche una Fiction di Alberto Sironi con un cast d'eccezione.
LA GARA DEI RACCONTI
Lunedì 6 marzo nuova sfida della Gara dei Racconti di Radio1 Plot Machine. In onda alle
23.30 con Vito Cioce e Marcella
Sullo. Ospite la scrittrice Yolaine Destremau, che ha pubblicato il romanzo “La malaintesa” (Barta edizioni).
Ascolteremo due racconti inediti letti dalle voci di Radio1 Rai e poi votati sulla pagina Facebook Radio1 Plot Machine.
Live streaming e podcast sull’app RaiPlaySound.
Nelle librerie e negli store digitali
Rosalino Cellamare, in arte Ron, è uno dei più importanti e amati cantautori italiani. Raffinato e sensibile, con una delle carriere più prestigiose e longeve del panorama musicale italiano, debutta l’8 marzo a Senigallia con il nuovo tour teatrale che terminerà a maggio. Le altre date di marzo: il 9 a Bologna, il 12 a Montebelluna (Vi), il 18 a Prato e il 24 a Mestre (Ve)
SONO UN FIGLIO
L’8 marzo debutta con il suo nuovo tour. Perché questa data, notoriamente riconosciuta come la Giornata internazionale della donna?
È venuta a caso, nel senso che era una data libera del teatro e sono stato contento che si sia trattato proprio di quella giornata.
Una tournée teatrale che prende il nome dal nuovo album di inediti. Cosa dobbiamo aspettarci da questo spettacolo?
Dentro c’è tutta la mia passione, di uno come me che ha cominciato a scrivere nel 1980 quando uscì “Una città per cantare”.
Da lì non mi sono più fermato. Il teatro è un luogo molto affa-
scinante, un posto magico. Ogni volta che salgo le scale di un teatro penso a chi c’è passato. Lo spettacolo ripercorre la mia vita e dentro ci saranno anche una serie di canzoni che rappresentano la mia storia.
Nel disco ci sono anche giovani. Come li ha scelti?
Sono Donato Santoianni e Giulio Wilson. Mi hanno mandato alcuni loro testi e sono rimasto molto colpito. Ci siamo trovati così ad iniziare un disco durante la pandemia, che però ha rallentato il mio passo. Dato che non si poteva uscire e non si poteva fare nulla, con i miei musicisti abbiamo iniziato a buttare giù delle idee, in studio, al di là del cortile. In queste circostanze ho conosciuto anche Leo Gassman che partecipa all’album. Ho collaborato con altri, anche in passato, scegliendo sempre le canzoni che mi piacevano di più di artisti famosi, ma anche di altri abbastanza sconosciuti. Mi piace rendermi conto di cosa scrivono i giovani, di cosa pensano, di cosa vanno a cercare. E poi c’è questo disco che ho fatto, libero totalmente, nel quale racconto cose che non avevo mai raccontato.
Lei ha sempre prediletto la dimensione live. Il teatro le darà la possibilità di esprimersi maggiormente anche negli arrangiamenti e nei testi?
Certamente. Il teatro è bello perché le canzoni si possono raccontare, spiegare da dove vengono e perché.
Sarà uno show “confidenziale”, con un approccio più intimo, così come lo è l’album?
Assolutamente sì. In questa atmosfera ci saranno anche canzoni del mio repertorio, tanti mondi introspettivi ma anche molto allegri.
In questo album racconta se stesso. Quale Ron?
Canto l’ultima parte di me, di questo momento in cui mi è piaciuto non pormi più tanti dubbi sulle canzoni, sul fatto che possano o meno piacere. Ho scritto anche con giovani e con autori importanti, mettendo nel disco anche cose non mie. Credo che la cosa più bella di chi fa questo lavoro, sia cantare le belle canzoni che a volte non ti vengono. E allora incontri chi scrive per te come Bungaro. Ecco, questo è un album vivo, di un personaggio che sono io e che si trova sempre salvato in corner dalla musica, una cosa straordinaria. Anche quando pensavo di esser finito e di essere stato dimenticato, la musica mi ha rialzato. Tutte queste cose sono dentro alle mie canzoni, in un repertorio che la gente conosce, ma anche con novità come in questo disco.
L’album è dedicato a suo padre. La storia d’amore dei suoi genitori è nata durante la Seconda Guerra Mondiale e lei la racconta con delicatezza…
Mia madre e mio padre si sono conosciuti durante la Seconda Guerra Mondiale. Lui scappava dai tedeschi ed è finito in una cantina di una casa. Il giorno dopo conosce mia madre che vede questo soldato di cui si innamora. Da quel momento inizia una storia della quale facciamo parte anche noi figli: io, mio fratello Italo e mia sorella Enrica.
Aveva solo 15 anni quando conobbe Lucio Dalla. Ci racconta come è stato il primo incontro?
Fui chiamato da un talent scout della Rca, una casa discografica molto famosa in tutto il mondo, che venne a vedere un concorso per voci nuove. All’epoca non c’erano X Factor o Amici, ma c’erano dei concorsi. La mia maestra di canto iniziò a farmi fare una serie di concorsi. Mi ricordo che questo signore venne da me, che ero con mia madre e mio padre dato che avrò avuto 14 anni, e volle il numero di telefono. Dopo un annetto mia madre mi disse che questa persona aveva telefonato invitandomi a Roma dove un cantautore aveva scritto per me una cosa bellissima. Andai a Roma con mio padre e con il cuore che batteva. Ci misero in una stanza e poco dopo entrò il cantautore che aspettavamo, su una sedia a rotelle a causa di un incidente sul Raccordo Anulare… era Lucio Dalla. Ascoltai questa canzone e rimasi di stucco. Era “Occhi di ragazza”. Feci un provino, la cantai e tutti furono contenti. Arrivò a Sanremo, fu bocciata e tutti ci rimanemmo malissimo. Il seguito è abbastanza noto.
Da piccolo però ascoltava Celentano e Morandi… Esatto. Ballavo il twist benissimo e quando c’erano le feste di paese salivo sul palco e mi buttavo a cantare e ballare. Mi piaceva tanto Celentano, ma soprattutto Morandi per il suo modo di sentire. Cantavo le loro canzoni anche nei campi dove correvo e dove le persone restavano ad ascoltarmi.
Cos’è rimasto di quel bambino?
La voglia di non smettere di fare questo lavoro. Da bambino dicevo che volevo cantare e gli adulti facevano una risatina pensando che stessi scherzando. I miei genitori erano meravigliosi. Capirono la mia esigenza perché ero tanto convinto e in più facevo tanti concorsi. Vedevano anche che li vincevo per cui mi dicevano che, se questo mi rendeva felice, potevo continuare. Due genitori così sono straordinari. Non era semplice negli anni ’60 e grazie anche a loro ho iniziato a darci dentro e oggi posso dire di aver fatto tutto quello che desideravo.
Da oltre 60 anni le donne sono in campo per garantire la sicurezza di tutti. Irene Di Pace, Funzionario Addetto all'Ufficio Prevenzione
Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Genova, ci racconta la sua esperienza in divisa.
Le donne in Polizia sono circa 16 mila e i ruoli apicali sono ricoperti per il 35 per cento da donne.
Ci sono questure rette da donne, reparti mobili diretti da donne e istituti di istruzione dove i direttori sono donne
Le donne in divisa sono ormai una realtà che ha ampliato il panorama delle capacità disponibili e le possibilità di interagire in quei contesti dove la sensibilità femminile riesce a essere una soluzione e un tramite per risolvere situazioni complesse. «La nostra è stata la prima forza di polizia ad aprirsi alle donne con l’istituzione della Polizia femminile – dice Irene Di Pace - e siamo entusiasti di verificare come non ci sia alcuna differenza o preclusione nei ruoli». L’uguaglianza è tale, aggiunge, «solo se si rispettano le peculiarità di ciascuno, a prescindere dall’essere uomo o donna». Nel corso degli anni si è riusciti a sfatare falsi miti come l’inconciliabilità tra carriera in divisa e privata. Vestire una divisa comporta delle rinunce, ma spesso sono problemi che si hanno anche in altri lavori. Insomma, il coro è unanime: “Se c’è la volontà, si può conciliare tutto”.
Perché ha scelto di indossare la divisa della Polizia di Stato?
Ho scelto di indossare la divisa della Polizia di Stato perché credo nei valori della legalità, del servizio al cittadino e perché è un lavoro che mi consente di rendermi utile per il prossimo e, per questo motivo, mi appaga.
Quale emozione ha provato indossando la divisa?
È avvenuto quando sono entrata presso l'Istituto per Ispettori di Nettuno. Ricordo che è stata una grande emozione, sia perché era la realizzazione di un sogno, sia perché mi sono rimessa in gioco abbandonando la professione forense che esercitavo già regolarmente nella mia città natale.
Lei è funzionario addetto all'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Genova: di cosa si occupa in particolare?
VOLONTÀ E DETERMINAZIONE
Il lavoro principale del funzionario dell'UPGSP è il primo intervento. Si tratta di un ufficio che è il "front office" della Polizia di Stato e che, lavorando a stretto contatto con il cittadino, ha un considerevole impatto sull'immagine della Polizia stessa. Per questa ragione è importante, nel lavoro di un funzionario dell''UPGSP, assicurarsi della corretta gestione degli interventi, della professionalità e della cortesia degli operatori nello svolgimento del servizio. Particolare attenzione, poi, va prestata nei casi dei cd codici rossi (maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, violenze sessuali) che coinvolgono persone vulnerabili e che necessitano di un'immediata e efficace assistenza.
Qual è la percezione dei cittadini in relazione alla Polizia di Stato? Quali sono le motivazioni che spingono sempre più giovani a scegliere la divisa della Polizia di Stato?
Come risulta anche dal rapporto Italia 2022 curato dall'EURISPES la Polizia di Stato è la forza di polizia maggiormente apprezzata dai cittadini. È pertanto importante non disperdere questo patrimonio ed è altrettanto importante che chi decide di intraprendere questa strada lo faccia animato da una solida motivazione. Per questo, penso che chi decide di entrare nella famiglia della Polizia di Stato lo faccia perché crede nei valori posti alla base del nostro lavoro.
Come immaginava il mondo della Polizia di Stato prima di farne parte?
Sì, le aspettative che avevo hanno trovato puntuale riscontro nella realtà di tutti i giorni e, per questo motivo, sono soddisfatta della mia scelta.
Cosa vuol dire esserci sempre?
Essere sempre al servizio del cittadino e delle istituzioni. Vuol dire iniziare il servizio all'ora prevista e non sapere quando finirà. Vuol dire essere pronti a intervenire anche quando si è liberi dal servizio.Vuol dire lavorare durante le feste quando gli altri sono a casa con i loro cari e durante la notte quando gli altri dormono.
Il suo lavoro è conciliabile con la famiglia?
Nel mio caso assolutamente si, ho la fortuna di avere un compagno che ha intrapreso la mia stessa carriera e con il quale mi confronto spesso sull'attività lavorativa.
Quale consiglio si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere la sua carriera in Polizia?
Di seguire le loro aspirazioni senza timori e di mettere l'anima nel lavoro che fanno. Sono sicura che, così facendo, avranno dal loro lavoro grandi soddisfazioni e gratificazione.
Il Condannato. Cronaca di un sequestro
Nezio Mauro ricostruisce e racconta il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Sabato 11 marzo alle 22.50 su Rai Storia
I55 giorni che cambiarono la storia d'Italia: quelli del sequestro e dell'uccisione, per mano delle Brigate Rosse, di Aldo Moro. Li racconta Ezio Mauro in “Il Condannato. Cronaca di un sequestro”, prodotto da Stand By Me e Rai Cinema, con la regia di Simona Ercolani e Cristian Di Mattia, in onda sabato 11 marzo alle 22.50 su Rai Storia per il ciclo “Documentari d’autore”.
Ezio Mauro comincia dal giorno precedente a quel fatidico 16 marzo 1978. Le Brigate Rosse, l’organizzazione terroristica di estrema sinistra costituitasi nel 1970, sono ormai agli ultimi preparativi del rapimento, mentre Aldo Moro si prepara alla cruciale giornata politica che lo aspetta l’indomani in Parlamento. Il suo progetto politico sta per compiersi con la fiducia al governo di solidarietà nazionale presieduto da Giulio Andreotti. Sono gli ultimi frammenti di vita da uomo libero del più importante uomo politico italiano. Dopo ci sarà solo il buio della “prigione del popolo”. 55 giorni attraversati dalla schizofrenia di un Paese posto di fronte alla decisione più difficile di sempre: trattare o non trattare con i terroristi.
Ezio Mauro racconta gli eventi di quei mesi attraversando Roma e i luoghi simbolo di questa tragedia italiana: da via Mario Fani al covo delle Brigate Rosse di via Camillo Montalcini, sede della “prigione del popolo”, fino a via Michelangelo Caetani,
dove il 9 maggio 1978 viene rinvenuto il corpo senza vita del Presidente della Democrazia Cristiana nella Renault 4 rossa. Il racconto è impreziosito da materiali di repertorio unici: le lettere autentiche scritte dal Presidente, i comunicati originali delle Br, le armi usate dai brigatisti per eseguire la sentenza e le automobili diventate simbolo della vicenda. Non mancano foto d’epoca selezionate da vari archivi fotografici e il repertorio video dell’Archivio del Movimento Operaio fino ai servizi originali dei telegiornali Rai scelti grazie ad un attento lavoro di ricerca e documentazione. Si alternano, inoltre, tre tipologie di interviste: quelle ai testimoni diretti sui luoghi degli eventi più significativi, quelle con quattro dei protagonisti più importanti del caso Moro come il figlio Giovanni, Nicola Rana segretario particolare di Moro per quasi 25 anni, il Sostituto Procuratore Luciano Infelisi che ha guidato le indagini, oltre alla ex-brigatista Adriana Faranda, e quelle con personaggi che attraverso i loro ricordi forniranno dettagli storici e umani di quei 55 giorni. Tra loro, l’ex Presidente Giorgio Napolitano, ai tempi Senatore del Pci e primo comunista italiano ad essere invitato e accolto negli Usa; Claudio Signorile, che prese parte alle trattative del Psi con le Brigate Rosse; Giovanni Ricci, figlio di Domenico, autista di Aldo Moro, morto nell’agguato del 16 marzo 1978; Luigi Zanda, nel ’78 Segretario-portavoce di Francesco Cossiga, l’uomo più vicino al Ministro dell’Interno; Giuseppe Pisanu, nel ’78 deputato DC e capo della Segreteria politica nazionale della DC, guidata da Benigno Zaccagnini e molti altri.
La settimana di Rai Storia
Storia delle nostre città Oristano
E’ un’antica città di origine medievale, capoluogo della provincia omonima della Sardegna. Ultimo appuntamento con la serie in prima visione.
Lunedì 6 marzo ore 21.10
La guerra segreta
I re del doppiogioco
“Polo Nord”, l’elaborata operazione orchestrata dai tedeschi nel 1942. Riuscirono a catturare l’agente britannico Soe, scoprendo la rete di spie inglesi in Olanda.
Martedì 7 marzo ore 22.10
Passato e Presente
Le donne e lo sport
L’emancipazione femminile è passata anche attraverso la scoperta e la pratica dello sport, facendo sì che questo diventasse per molte donne un vero e proprio spazio di libertà.
Mercoledì 8 marzo ore 20.30
a.C.d.C.
I figli del sole: gli Inca
L’ascesa e la caduta di un grande impero andino. Le racconta l’ultimo dei tre episodi della serie, con l’introduzione del professor Alessandro Barbero.
Giovedì 9 marzo ore 21.10
Binario cinema
The Post
Stati Uniti, 1971. Katharine Graham è la prima donna alla guida del Washington Post. La storia è raccontata Steven Spielberg. Con Meryl Streep e Tom Hanks. Domenica 12 marzo ore 21.10
Reali in guerra Monarchie e totalitarismi
I rapporti ambigui e difficili delle varie famiglie reali d’Europa con i regimi totalitari dal 1918 fino alla Seconda guerra mondiale.
Venerdì 10 marzo alle 21.10
Passato e Presente Il Cile di Pinochet
La pagina più nera della storia contemporanea del Cile: la sanguinosa dittatura del generale dal colpo di Stato del 1973 alla sconfitta nel referendum del 1988.
Sabato 11 marzo ore 20.30
Cherchez la femme!
Rai 5 celebra la donna con una serata speciale dedicata alle eterne ragazze della musica mondiale: Diana Ross and the Supremes e Tina Turner. In prima visione, mercoledì 8 marzo a partire dalle 22.15
ock Legends”, in onda mercoledì 8 marzo alle 22.15 in prima visione su Rai 5, propone un ritratto di Diana Ross and the Supremes. Il famosissimo trio musicale ha fatto in pochi anni la storia della musica con brani come "Baby Love", "Stop! In The Name Of Love" e "You Can't Hurry Love". Diana Ross and The Supremes furono il gioiello di casa Motown e primo gruppo femminile in cima alle
classifiche negli anni Sessanta. Icona gay, idolo di Michael Jackson, leader e tiranna delle Supremes e forse anche di Berry Gordy, fondatore della Motown. Era la più talentuosa delle Supremes? No, ma sicuramente era quella più ambiziosa.
A seguire, alle 22.40, la protagonista diventa Tina Turner. Con una carriera lunga più di cinquant'anni, che va dagli anni Sessanta ai Duemila, viene spesso definita "La regina del rock and roll”. Nel 1991 è stata inserita assieme all'ex marito Ike Turner nella Rock and Roll Hall of Fame e nel 1967 è stata la prima artista afroamericana, e la prima artista donna, ad apparire sulla copertina di Rolling Stone. Nel 1986 ha ricevuto una stella nella Hollywood Walk of Fame.
La settimana di Rai 5
SCIARADA
Umberto Saba: le fratture della vita, l’unità della poesia
Omaggio al poeta triestino in occasione dei 140 anni dalla nascita (9 marzo 1883). In prima visione.
Lunedì 6 marzo ore 22.40
Under Italy
Trieste
Parte dai sotterranei di una delle più particolari città di frontiera del Nord d'Italia la prima puntata della seconda serie con Darius Arya.
Martedì 7 marzo ore 20.20
Visioni
La Forza Nascosta
Uno spettacolo teatrale che tratta di un insolito argomento: la storia della Fisica del ‘900 attraverso gli occhi di quattro scienziate che ne sono state protagoniste. Mercoledì 8 marzo ore 21.00
Opera
Carmen
Diretto da Daniel Barenboim, lo spettacolo ha inaugurato la stagione della Scala di Milano il 7 dicembre 2009.
Giovedì 9 marzo ore 21.15
Il Valdarno è superiore?
Tra Firenze e Arezzo una città lineare si è sviluppata lungo la valle dell’Arno. E’ fatta di tanti Comuni, ognuno con una forte identità e autonomia, ma in fondo tutti connessi. Qui c’è lavoro, benessere. Un doc di Guido Morandini.
Domenica 12 marzo ore 22.00
Orchestra Sinfonica Nazionale Rai
Apertura stagione 2022/23
Sinfonia n. 2 in do minore detta “Resurrezione” per soli, coro e orchestra di Gustav Mahler. Direttore emerito Fabio Luisi, dall’Auditorium “Arturo Toscanini” di Torino.
Venerdì 10 marzo ore 21.15
Teatro
I maneggi per maritare una figlia
Tullio Solenghi, affiancato da Elisabetta Pozzi, riporta in scena un classico della comicità di Gilberto Govi, scritto da Niccolò Bacigalupo. Prima visione.
Sabato 11 marzo ore 21.15
I CASI DI MIRA
Royal Detective
Su Rai Yoyo la seconda stagione della serie Disney ambientata nel magico regno indiano di Jalpur. Da sabato 11 marzo, tutti i giorni, alle 20.05
Arriva su Rai Yoyo la seconda stagione di “Mira Royal Detective”, l’apprezzata serie Disney di ispirazione indiana. Appuntamento da sabato 11 marzo, tutti i giorni, alle 20.05. Ambientata nel magico regno di Jalpur, la serie racconta della coraggiosa e intraprendente Mira, una semplice giovane cittadina che riceve dalla regina il prestigioso incarico di detective reale. Mira dovrà andare in giro per il regno e aiutare chiunque abbia bisogno di fare luce su un mistero e per risolvere un caso non si fermerà davanti a nulla!
Come detective reale di nuova nomina per la terra di ispirazione indiana di Jalpur, la coraggiosa e ricca di risorse Mira viaggia per tutto il regno, aiutando reali e cittadini allo stesso modo. Con l'aiuto del suo amico, il principe Neel, di sua cugina, Priya, e delle sue amiche Mikku e Chikku, Mira usa la sua lente unica per indagare su ogni caso che le capita.
Ogni episodio contribuisce a far conoscere le diverse culture e usanze dell’India e la narrazione è arricchita con leggende, musiche, cibi, mode, linguaggi artistici e danze tradizionali.
Protagonisti della serie insieme a Mira, il principe Neel, suo buon amico, la creativa cuginetta Priya e gli aiutanti Mikku e Chikku, due manguste dall’irresistibile comicità. Le loro avventure mettono in risalto il valore del pensiero critico e incoraggiano il ragionamento deduttivo.
La produziome si è avvalsa della consulenza di esperti come Nakul Dev Mahajan, danzatore e coreografo di Bolliwood (So You Think You Can Dance,) Deepak Ramapriyan, produttore musicale (Basmati Blues), Matthew Tishler (Fancy Nancy) e Jeannie Lurie (The Muppets) che hanno scritto e prodotto le canzoni originali, e Amritha Vaz (Miss India America) che ha composto le musiche.
per Radiocorriere TV
IN
I FILM DELLA SETTIMANA
CINEMA IN TV
Edward Newgate, un giovane e ambizioso dottore, s’impiega presso lo Stonehearst Asylum, remoto ospedale psichiatrico il cui direttore ha impostato delle terapie rivoluzionarie, specie rispetto all’epoca della storia, cioè la fine del XIX secolo. Ma l’apparenza inganna, in medicina e in narrativa: ben presto Edward scoprirà il lato oscuro di tutta la faccenda, non prima di aver sviluppato per una paziente, Eliza Graves, un sentimento che travalica di molto il rapporto fra dottore e paziente. La storia è basata su un racconto di Edgar Allan Poe, “Il sistema del dottor Catrame e del professor Piuma”, e grazie a un generoso allestimento produttivo riesce a riprodurre ottimamente il contorno gotico e la cupa inquietudine legata al contesto. Ma la sceneggiatura ha anche il pregio di gestire la tensione con qualche contrappunto leggero, a sostenere l’impegno drammatico del film di Anderson. Tra gli interrpreti, Jim Sturgess, Kate Beckinsale, Ben Kingsley, Brendan Gleeson, Michael Caine.
Rose abita nel New Jersey del 1927, tenuta isolata dai coetanei e dal resto del mondo da un padre eccessivamente protettivo, e sogna di incontrare una celebre attrice del cinema muto di cui raccoglie foto e ritagli di giornale in un album. Ben abita nel Minnesota del 1977 e sogna di incontrare il padre che non ha mai conosciuto. Le loro storie scorrono parallele, legate da una misteriosa connessione, finché una serie di coincidenze li farà incontrare nella magica cornice di New York, città che per entrambi rappresenta il simbolo di una rinascita, di una nuova vita. Protagonisti nei panni di Ben e Rose sono i giovanissimi attori Oakes Fegley e Millicent Simmonds. Inseparabile amico di Ben è il piccolo Jamie che ha il volto di Jaden Michael. Accanto ai tre giovanissimi attori nei panni dell'attrice Lillian Mayhew e di Rose adulta, Julianne Moore. Il cast si completa con Cory Michael Smith, Tom Noonan e Michelle Williams. Tratto dall'omonimo romanzo illustrato di Brian Selznick.
In occasione della Giornata Internazionale della Donna, Rai Movie propone in prima visione il film che racconta il dramma di una madre che, nell’arco di 11 anni, non riesce a rassegnarsi alla scomparsa di sua figlia. Siamo nel 1998, in una piccola città della Pennsylvania, dove Deb Callahan a soli 32 anni è già diventata nonna: sua figlia Bridget, avuta a 16 anni, ha appena partorito Jesse, che è ancora neonato quando Bridget sparisce. La ragazza, uscita una sera con il padre del suo bambino, non tornerà mai a casa. Col passare degli anni la sparizione diventa un caso irrisolto, e le indagini vengono sospese: ma Deb non si arrende, e continuerà a lottare per scoprire la verità, combattendo allo stesso tempo per mettere ordine nella sua vita e far crescere il piccolo Jesse in una situazione migliore. Un asciutto e convincente racconto sulla dignità femminile con Sienna Miller che, smessi i panni della diva/top model, si dedica con sicurezza a un ruolo più impegnativo e scabroso come quello di Deb.
Ogni giorno, da dieci anni, l'assicuratore Michael McCauley sale su un treno di pendolari per andare al lavoro. I volti nascosti dietro libri tascabili e pesanti ventiquattrore diventano familiari all'uomo, che dice di essere un buon osservatore oltre che un passeggero affezionato. Un giorno come tanti Michael viene avvicinato dalla sedicente psicologa Joann, che impettita sul sedile accanto gli propone una sfida apparentemente innocua: identificare un passeggero “fuori posto”, una persona che viaggia sullo stesso treno e risponde a determinate caratteristiche, prima della fermata successiva. Intrigato, Michael accetta la sfida, ma finisce coinvolto in una pericolosa cospirazione criminale… Tra gli interpreti del thriller, diretto da Jaume Collet-Serra, Liam Neeson, Vera Farmiga, DeanCharles Chapman, Patrick Wilson.
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