Raimondo Villano Cerimonia di Presentazione sotto l’Alto Patrocinio di: Ministero Beni e Attività Culturali
Edito con il Patrocinio di: Pontificia Accademia Tiberina Accademia di Storia Arte Sanitaria Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Accademia Europea Relazioni Economiche e Culturali Norman Academy of State of Florida USA and of Republic of the Gambia
Presentazioni di: Ven. Balì Gran Croce di Giustizia del Sovrano Militare Ordine di Malta Ecc.mo Fra’ Franz von Lobstein Past District Governor del Rotary International 2100-Italia Prof. Antonio Carosella
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Copia n. _____________
L’autore __________________________
CHIRON FOUND. Praxys dpt
© Copyright Raimondo Villano. © Ricerche, elaborazioni, copertina a cura di Raimondo Villano. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta in pubblicazioni e studi senza citare la fonte. Nessuna parte del libro può essere diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’editore. All right reserved. No part of this book shall be reproduced in publications and studies without root’s citation. No part of this book shall be stored in a retrieval system, or transmitted by ani means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise, without written permission from the publisher. Realizzazione editoriale: Prof. Dott. Maria Rosaria Giordano. Redazione: mobile 338 59 60 222; e-mail: farmavillano@libero.it Advisor executive: Francesco Villano. Edizioni Chiron Found. - Praxys dpt. © 2010 Fondazione Chiron, via Maresca 12, scala A - 80058 Torre Annunziata (Napoli) Tel. 081 861 22 99 Fax 081 353 29 81 website: www.chiron-found.org Vendite: Prof. Dott. Annamaria Giordano mobile 347 61 71 669. E-mail: annamaria.g10@alice.it; http://www.chiron-found.org Stampa LP - Napoli. Prima edizione gennaio 2010. Prima ristampa marzo 2010. Seconda ristampa settembre 2010. Terza ristampa dicembre 2010. Quarta ristampa marzo 2011. Quinta ristampa gennaio 2012. Prima edizione inglese gennaio 2011. Finito di scrivere il ventiquattro dicembre 2009. Foto di copertina di Raimondo Villano (2005): busto dal Chiostro dei Procuratori della Certosa di San Martino in Napoli. Serie numerata. Questo volume, privo del numero di serie e della firma dell’autore, è da ritenersi contraffatto. ISBN 978-88-904235-36. CDD 177 VIL tem 2010. LCC BH 81-208.
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Ai Confratelli Cavalieri Professi e non e alle Consorelle Dame del Sovrano Militare Ordine di Malta a me particolarmente vicini, di cui apprezzo il talento che stimola anche taluni miei studi e di cui, soprattutto, amo la profonda spiritualitĂ che ispira ed orienta significativamente la mia vita.
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Cerimonia di presentazione del libro:
sotto l’Alto Patrocinio del Ministero dei Beni e Attività Culturali
Con la partecipazione di:
Sua Em.za Rev.ma il Signor Cardinale Paul POUPARD Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per la Cultura
Prof. Dott. Comm. Tito Lucrezio Rizzo Consigliere Capo Servizi del Quirinale
Studiorum Universitas Ruggero II State of Florida - U. S. A. and Republic of the Gambia
Gr. Uff. Prof. Dott. Giulio Tarro WABT c/o UATI-ICET / UNESCO House - Paris Chairman of International Committe Biothecnologies and VirusPhere
Coordinatore: Duca Riccardo Giordani di Willemburg Gran Cerimoniere Norman Academy
Cerimonia: Sabato 2 Ottobre 2010 – ore 17,00 Casa dell’Aviatore Circolo Ufficiali dell’Aeronautica - Roma
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Edito con il Patrocinio di:
ACCADEMIA
TIBERINA
Istituto di Cultura Universitaria e di Studi Superiori
Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria
Norman Academy RECOGNIZED BY THE LAW OF THE STATE OF FLORIDA U.S.A. AND OF THE REPUBLIC OF THE GAMBIA NOT POR PROFIT ASSOCIATION ARTS, LETTERS, HUMANITIES AND OF THE HUMAN RIGHTS DEFENCE IN THE WORLD
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Indice Presentazione
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Presentazione
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Prefazione
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Parte prima Il senso della storia e il dovere della memoria
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La memoria come percezione di identità collettiva
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Il senso della memoria nelle arti sanitarie
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Essenza e logica della sottrazione dei fatti all’oblio
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La sede delle Epifanie divine nell’intreccio fra tempo ed eternità
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Parte seconda Paradigmi metodologici e tecnici delle scienze storiche
79
Concettualità e metodologia nell’approccio alla storia
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Euristica della storiografia della scienza
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Problematiche di interdisciplinarità della storia della scienza
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Approfondimenti inerenti la storia dell’arte sanitaria
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L’archivio storico e l’area museale
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Ruolo delle tecnologie informatiche nello sviluppo dello studio e della diffusione della storia sanitaria
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Approfondimenti correlativi tra libro a stampa e opera multimediale
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Studio sull’integrazione funzionale dei mezzi informatici:
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1. Approfondimenti sulla biblioteca virtuale on-line
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2. Approfondimenti sul museo virtuale on-line
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3. Il progetto Minerva nell’ambito delle iniziative comunitarie di digitalizzazione del patrimonio culturale 4. Esempi di reti di supporto alla ricerca e alla consultazione storica
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ACCADEMIA EUROPEA per le RELAZIONI ECONOMICHE E CULTURALI Il presidente
Roma, 7 gennaio 2010 Carissimo Raimondo, facendo seguito alla tua richiesta di patrocinio AEREC per la pubblicazione della tua ultima fatica letteraria: “Il tempo scolpito nel silenzio dell’eternità. Riflessioni sull’indagine diacronica per la memoria dell’homo faber”. sono lieto procedere con la concessione, in virtù dell’impegno straordinario profuso in quest’opera che, dai postulati programmatici, si propone come strumento di lettura del nostro Paese in un momento particolarmente delicato ma interessante di cambiamenti epocali e determinanti per il futuro. Augurandoti pieno successo per l’iniziativa, aspetto di leggere intanto ti giungano i più affettuosi e sinceri auguri di buon anno.
il libro ed
Ernesto Carpentieri
Via Sebino 11 – 00199 Roma - Tel. 0039-06.85.86.57.00 Fax 0039-06.84.14.531 Web site: www.aerec.org e-mail: info@aerec.org
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Presentazione
G
entiluomo di compositi interessi sociali e storici, dalla vasta e, oserei dire, addirittura imponente bibliografia, il confratello Raimondo Villano presenta alla nostra attenzione l’ultima sua opera di saggistica dal titolo “Il tempo
scolpito nel silenzio dell’eternità. Riflessioni sull’indagine diacronica per la memoria dell’homo faber”. Si tratta, in effetti, di un “agile” volumetto, giacché consta di appena poco più di cento pagine, che si distingue sia per consultabilità ed eleganza che per le scelte iconografiche, invero raffinatissime. Mi corre, tuttavia, l’obbligo di fare una precisazione, ovvero che non sia di inganno l’espressione adottata di “volumetto” giacché il fonema che ci siamo permessi di utilizzare, sia ben chiaro, si riferisce ad un’opera tutt’altro che di esiguo spessore non solo in virtù degli argomenti trattati, in effetti tutti, ma proprio tutti “tosti”, bensì anche per la profondità delle cognizioni e per la meditata attenzione. Per avere una vaga idea in proposito, del resto, appare sufficiente porre mente locale già ai soli titoli dei capitoli della Parte Prima e Seconda, benché vada confessato che per una lettura attenta alcuni di essi presuppongono, se non proprio impongono, un’immediata conoscenza dei relativi testi. Soffermandoci, poi, a riflettere sui principali temi portanti, intesi però nell’accezione più alta del termine, dal coacervo di un’ideale “summa”, l’opera ci riconduce, relativamente agli aspetti della “memoria”, all’aforisma frutto della saggezza antica che con Marco Tullio Cicerone suggerisce che la memoria diminuisce se non la si tiene in esercizio (“memoria minuitur nisi eam exerceas” in “De senectude”, VII VII. 21) mentre, per ciò che concerne la “storia e sua metodologia”, essa rimanda ancora a Cicerone là dove asserisce “historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, qua voce alia nisi oratore immortalitati commendatum ” (“De orat”, II, 9, 36) ma anche, impegnandoci in un ragguardevole “salto” nel tempo, a Massimo D’Azeglio, da cui apprendiamo che “la storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire”, a Francesco Domenico Guerrazzi che ne “Il buco al mare”
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ricorda come “la filosofia della storia è l’arte di cercare e scoprire le leggi regolatrici del mondo morale”, a Carlo Belgioioso che in “Scuola e famiglia” afferma che “la storia è il notaio della coscienza pubblica” e, inoltre, a Giacomo Bazzellotti che trattando di Francesco de Sanctis puntualizza come “i recenti progressi del metodo hanno allontanato sempre più la storia dall’arte dandole un carattere sempre più scientifico”. Soffermandoci, ancora, sugli aspetti della Storia della Scienza e, in particolare, della scienza sanitaria e sua diffusione, ci sovviene in mente sia la riflessione di San Gregorio Magno, “quando mundus ad extremum ducitur, tanto largior nobis aeternae scientiae aditum aperitur”, che quanto asserito da Carlo Cattaneo, ossia che “scienza è ricchezza” nonché la considerazione di Gaetano Negri che “il tratto fondamentale dello spirito moderno è che tutte le forze dell’intelligenza sono portate all’investigazione dei fenomeni fisici e morali considerati per se stessi all’infuori di ogni pregiudizio di ogni elemento metafisico” (“Segno dei tempi”, 125). Ma cosa che ci sta più a cuore, oltre che come storici, in qualità di membri Professi dei Giovanniti, infine, a proposito delle considerazioni sviluppate sulla sede delle epifanie divine nell’intreccio fra tempo ed eternità, desideriamo riservarci di partecipare un ultimo fondamentale rimando all’interessantissimo sintetico precetto di Giovenale che nelle “Satire” (10, 356) ricorda che “orandum est ut sit mens sana in corpore sano”: “bisogna pregare affinché una mente sana sia in un corpo sano”! Roma, 6 febbraio 2010 Fra’ Franz von Lobstein Ven. Balì Gran Croce di Giustizia del Sovrano Militare Ordine di Malta
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Presentazione
I
l libro, che si compone di due parti ben distinte e pur collegate nell’unità dell’idea di fondo, affronta l’arduo compito di accostare due ambiti disciplinari e scientifici tradizionalmente differenziati sia nell’interna
strutturazione che nelle finalità conoscitive: la Storia e l’Informatica. Lo scopo dell’accostamento è di ordine pratico-operativo, che, senza compromettere l’autonomia di entrambe le discipline e senza intaccarne gli statuti né alterarne le interne logiche, dispone le potenzialità dell’una (l’informatica) al servizio dell’altra (la storia) per dilatarne e potenziarne l’ampiezza degli orizzonti conoscitivi e per accrescerne la carica pedagogica. Alla base o alla radice di siffatta operazione, complessa e ardita al tempo stesso, v’è la ferma fiducia che la differenziazione delle “due culture”, tema dominante nella seconda metà del secolo scorso, sia destinata a lasciare il posto ad una auspicata integrazione in un “sapere”, nuovo e antico al tempo stesso, che pare profilarsi all’orizzonte non troppo lontano del tormentato nostro presente. All’attesa, ancora piuttosto smarrita e confusa, di un tale avvento sembra alludere persino il titolo del libro: “Il tempo scolpito nel silenzio dell’eternità”, dove l’immagine del tempo che faticosamente scolpisce i propri segni sulla sconfinata lastra dell’eternità non riesce neppure a scalfire, di essa, l’intatto e assorto silenzio. E così si ricompone, per noi uomini, il mistero del rapporto tempo-eternità. Allora: ha un senso il generoso sforzo dell’autore di richiamare la nostra limitata intelligenza di mortali a misurarsi ancora con il problema tempo-eternità, se esso problema è costitutivamente al di sopra delle possibilità intellettive dell’uomo? Certamente. Anzi si direbbe che il senso intimo e globale di tutto l’impegnato e impegnativo discorso che fa il Villano consiste proprio nella consapevolezza del limite e nello sforzo di spostarlo ancora più oltre utilizzando gli strumenti della moderna tecnologia. Ed è in questo sforzo che scienza e storia si ritrovano a collaborare al fine di far crescere l’uomo in conoscenza senza peraltro autorizzarlo al folle volo di Ulisse oltre le colonne d’Ercole della sua finitezza.
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La lunga e articolata riflessione sulla storia, sul suo senso e sui suoi fini è alimentata e sostenuta da una valida documentazione e da autorevoli riferimenti, ma non è fine a se stessa, perché è volta alla prospettiva, più limitata, dell’arte sanitaria e, più precisarmente, della storia della farmacia, di cui l’autore è appassionato cultore. Dall’affermazione dell’opportunità e dell’utilità di conoscere il passato per meglio vivere il presente e per più consapevolmente preparare l’avvenire deriva, come logica conseguenza, l’individuazione dell’informatica come la tecnica che oggi consente di ampliare straordinariamente, di facilitare, arricchire e diffondere i segni e le testimonianze del passato a tutto vantaggio sia dell’arricchimento culturale del presente che della propiziazione d’un più largo orizzonte conoscitivo per il futuro. E con in più i vantaggi offerti dallo strumento informatico, che consente di superare ed eliminare le due grandi difficoltà che hanno fino ad ora limitato le possibilità operative dell’uomo: gli ostacoli del tempo e dello spazio. Non è certo la conquista dell’onnipotenza, che appartiene soltanto a Dio, ma è un gigantesco passo avanti fatto dall’uomo nella graduale ma infaticata marcia di avvicinamento al “gran mare dell’Essere ” supremo. Ed è merito di Raimondo Villano averlo intuito e fatto oggetto della propria ricerca. C.mare di Stabia, 4 marzo 2010 Prof. Antonio Carosella Past District Governor del Rotary International 2100-Italia
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Prefazione
Q
uesto lavoro scaturisce da un particolare coacervo di elementi correlati alla mia condizione di cultore di storia, di cattolico giovannita, di professionista sanitario e di cittadino socialmente impegnato in una Nazione splendida
nella sua pur evidente complessità. Una lettura non sommaria dell’opera credo, invero, possa segnare un momento nel quale si fa memoria di importanti istanti e aspetti della nostra storia. Nel contempo, fuor d’ogni retorica, lo scorrere dei capitoli ritengo sia occasione che può far volgere lo sguardo al futuro riscoprendo l’opportunità, il valore e il dovere della testimonianza, della narrazione e dell’aiuto alla conoscenza. Una lettura, dunque, da cui emergono non soltanto solide architravi concettuali per sorreggere l’impalcatura del ricordo, per non dimenticare, bensì anche un lavoro letterario che si cimenta nel compimento di un’ulteriore opera altamente civile, putrellando elementi di riflessione di pacificazione sociale, di concorso al ravvivamento del sentimento di coesione nazionale, particolarmente bisognoso d’esser coltivato e diffuso nei tempi attuali, nonché di custodia e protezione delle autentiche radici che, sostanzialmente, riguardano tutto il Paese. D’altro canto, con profondo sentimento cristiano, ho inteso sviluppare coerenti riflessioni con il proposito di collaborare per la diffusione del regno di Dio nel mondo d’oggi e, in un fecondo metabolismo di fede e ragione, umilmente concorrere anche allo sforzo di aprire uno spazio per tutti i popoli e per quanti conoscono Dio da lontano o per i quali Egli è sconosciuto o addirittura estraneo: per aiutarli, in effetti, ad “agganciarsi a Dio”, al cui cospetto sta ogni creatura umana(1). In qualità di accademico, infine, ho approfondito taluni aspetti metodologici e di valorizzazione di comparti della disciplina storico-sanitaria. Raimondo Villano _________________ (1) I concetti di riferimento sono quello del “cortile dei gentili”, riservato nel Tempio di Gerusalemme ai pagani che volevano pregare l’unico Dio e che Gesù volle sgomberare da chi l’aveva trasformato in “un covo di ladri”, e le riflessioni di pertinenza espresse dal Santo Padre Benedetto XVI nel discorso alla Curia romana per la presentazione degli auguri natalizi (Vaticano, Sala Clementina, 21 dicembre 2009).
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“Timeo lectorem unius libri” San Tommaso d’Aquino
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Cigola la carrucola del pozzo l’acqua sale alla luce e vi si fonde. Trema un ricordo nel ricolmo secchio, nel puro cerchio un’immagine ride. Accosto il volto a evanescenti labbri: si deforma il passato, si fa vecchio, appartiene ad un altro... Ah che già stride la ruota, ti ridona all’atro fondo, visione, una distanza ci divide. Eugenio Montale
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P P arte
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“Voglio imparare i tempi della memoria perchè mi hai insegnato, dove sei, che il mio futuro è nel nostro passato (...) si perdono nel vento come cenere i segni della vita” Ugo Ronfani
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Il senso della storia e il dovere della memoria
L
a storia è come il terreno sotto i nostri piedi: non ci indica una direzione ma senza di esso non possiamo camminare(1). La storia evita di far smarrire il filo della propria esistenza ed il centro del proprio equilibrio. La produzione degli stessi scienziati, invenzioni e sapere innovativo, deve poggiare su un sentimento collettivo, diventare coscienza condivisa. Sono i più semplici meccanismi della memoria che ci obbligano ad attingere al ricordo e ad una sua elaborazione per proiettarci nel futuro(2). Il passato, in effetti, può essere considerato la migliore invenzione del futuro.
Negli studi storici, dunque, si scorge una delle pietre angolari della nostra esistenza e della nostra cultura. Per i greci (Esiodo, Pindaro) Lete, dea della dimenticanza, formava una coppia di opposti con Mnemosine, dea della memoria. Quasi a sottolineare che c’è una profonda connessione tra saper dimenticare e saper ricordare. Lete è, poi, come ricordano i lettori di Virgilio, Dante e John Milton, il nome del fiume degli inferi a cui le anime si abbeverano per liberarsi della loro precedente esistenza e poter, quindi, tornare alla vita di un nuovo corpo(3). Si può avanzare l’ipotesi che il mito prendesse in considerazione due diversi generi di perdita di memoria. Il primo, temporaneo, che consente di rimuovere provvisoriamente il ricordo di qualche avversità, provoca un benessere effimero, ma si risolve nel momento in cui la memoria, inevitabilmente, riprende il posto che le spetta, e aggiunge un di più di dolore a quelle sofferenze che si proponeva di alleviare. _________________ (1) Riferimento: Dietrich Bonhoeffer, Etica. Eredità e decadenza. (2) Bilotto Antonella, vicedirettore Centro Cultura d’Impresa, Settimana della Cultura d’Impresa, Se l’azienda si fa Storia, Sole 24 Ore, 12.11.06. (3) Paolo Mieli, Storia e politica. La memoria e l’oblio. Rizzoli, giugno 2001, pag. 23.
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Il secondo, definitivo ma tutt’altro che ultraterreno, è nella quiete che risolve i problemi della memoria fino a farli scomparire in un remoto passato. Forse la meta prefigurata da Tiresia è quella del secondo tipo di oblio, in cui si riesce a dividere il presente dal passato ed a trasformare il passato in storia(4). Il bisogno-desiderio di tornare ad interrogarsi su lunghi periodi e grandi distanze in funzione del presente è segno dei nostri tempi, delle loro malattie profonde, del bisogno di guarirne o, almeno, di porsi dinanzi a più precise diagnosi. Gian Battista Vico ci ha insegnato che nelle ore di confusione si deve ritrovare il fondamento. E la memoria storica è il fondamento della rinascita. La patientia historiae, l’arte di chi sa attendere che il caos si faccia caso e poi si converta in ordine e in senso (salvo a invertire, poi, nuovamente ed inesorabilmente la rotta), non può sottrarsi alla tristesse de l’historien, melanconia di un artigiano costretto a ripetere opere sottomesse alla devastante legge dell’umano, là dove il passaggio cronologico consentirebbe di correre ben altre avventure dello spirito. Ecco, quindi, in questa grande sofferenza della congiuntura breve, farsi forte la tentazione di guardare le cose più in lontananza, non per evadere gli obblighi del presente, viltà che non sfiora mai, bensì, al contrario, per dare al proprio tempo un destino più netto ed irrevocabile nel grande mare della storia. In pratica, di fronte alla disgregazione delle società complesse, come espresso da Salvatore Settis, si può interrogare con più acuta sapienza il nostro presente consentendo che ci dischiudano il proprio senso gli elementi classici della storia, che non finiscono mai di dire ciò che hanno da dire, che persistono come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile impera (Calvino) e che, avendo in sé superato la propria rovina e potendo esibire la propria grandezza mutila in modo più affascinante della loro piena integrità, sono sia memoria del tempo sia potenzialità di progetto. Il Colligere fragmenta ne pereant (Giovanni, cap. IV), la ricostruzione di frammenti del passato, lungo e difficile, di cui talora non restano tracce sufficienti, può da un canto rafforzare la consapevolezza di aver ereditato un privilegio ben meritato dai nostri padri e d’altro canto, raccogliendo i fili stessi di questa eredità nobilissima, può proiettarci verso il futuro che oggi, per effetto di una evoluzione rapidissima della società, della scienza e della tecnologia, più che una successione del presente è, di fatto, quasi un presente(5). “Con l’oblio” scrive Prosperi, “lo storico ha un conflitto professionale: scoprire che quel che è stato nascosto dalla polvere del tempo è il piccolo piacere per il quale lavorano gli studiosi del passato. Rendere vivo ciò che è morto e scomparso, vincere col tempo la lotta per strappargli le sue vittime è quel che fa sentire allo storico la sua posizione liminare tra morti e vivi come una missione eroica piuttosto che un esercizio pacifico dell’erudizione.
_________________ (4) Paolo Mieli, Storia e politica. La memoria e l’oblio. Rizzoli, giugno 2001, pag. 29. (5) Raimondo Villano, Riflessioni su alcune implicazioni contemporanee della storiografia farmaceutica, Atti e Memorie dell’Accademia Italiana di Storia della Farmacia, Rubrica Atti dell’AISF, Anno XXII n. 1, Aprile 2005. pagg. 12-14.
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Basta un restauro anche minimo di una testimonianza del passato a dare l’emozione di un incontro inatteso con la voce autentica dei morti(6)”. È fondamentale, tuttavia, che “l’adrenalina, di pur nobili emozioni, non si infiltri nell’inchiostro dello scrittore di cose storiche(7)”. È, in effetti, uno dei principi cardine della ricerca storica: analizzare i fenomeni rispetto alle loro cause ed agli effetti da essi prodotti. Libera da polemiche anacronistiche e da apologetica postuma, quindi, la storia ha il compito di rappresentare l’uomo e il suo agire a partire dai vari condizionamenti che egli subisce.
Ma “questa è la prima regola per scrivere storia: non si osi affermare il falso e poi non si osi non dire il vero, non ci sia il sospetto che la penna scriva a favore o a sfavore(8)”. Per lo storico, inoltre, è fondamentale anche possedere la modestia derivante dalla coscienza di essere al confronto con problemi ricorrenti della storia dell’umanità e _________________ (6) Paolo Mieli, Storia e politica. La memoria e l’oblio. Rizzoli, giugno 2001, pag. 67. (7) Mons. Walter Brandmüller, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, in: “Galileo e la Chiesa alla luce della storia del pensiero”- 2006 pagina 221. (8) Papa Leone XIII (1878-1903), Lettera Apostolica “Saepenumero considerantes”, Roma San Pietro, 18 agosto 1883, anno sesto del Pontificato.
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con i quali ci si deve confrontare con la piena consapevolezza della propria fragilità e limitata competenza(9). Va, poi, considerata la differenza tra un giornalista e uno storico che può essere spiegata in termini chiari: il primo si occupa dei vivi, il secondo (salvo che non faccia una storia del presente o una storia quasi simile alla cronaca) si occupa dei morti(10). Lo storico, inoltre, “racconta le cose accadute, il potere quelle che potrebbero accadere (…); la poesia ha a che fare con verità generali, la storia con eventi specifici(11)”. Lo storico, poi, quando si occupa di storia del presente ha il gravoso compito di far comprendere al “distratto” e al “superficiale” che quanto corre davanti ai loro occhi non può essere cosiderato solo confusione(12). Un fenomeno essenziale cui poco si bada, invece, è che non tutto il reale è “storico”, laddove per “storico” si intende ciò che è sufficientemente documentato e attestato(13). Uno snodo decisivo è il superamento di un’idea della lettura della storia come puro svago, la percezione che essa possa essere strumento di educazione e di crescita civile. È opportuno, altresì, non considerare la storia come una favola né ritenere possano esserlo il libri degli storici che, a loro volta, non devono dettare una linea ma semplicemente illustrare onestamente con i fatti il risultato delle loro ricerche: una storia di qualità e, dunque, ricca di dignità e di valori morali anziché contorta nei meandri di doppie e triple verità(14). Interrogandosi più in profondità sulle grandi questioni concernenti il ruolo dello storico, la domanda di fondo appare essere se fare storia oggi abbia ancora un senso e quale esso potrebbe essere: è una domanda, in effetti, che possiede una densità ed un rilievo che superano le preoccupazioni particolari di una disciplina e dei suoi cultori per dilatarsi a riflessioni molto impegnative sulla vita civile nel nostro presente(15). Benché appaia audace il proposito di rispondere, ritengo che allo storico possa essere attribuito un altro compito molto importante, cui vale la pena che egli tenti di dare un contributo in un’epoca in cui gli individui sono particolarmente disorientati e standardizzati: effettuare la praxis, lo sforzo, di far uscire la storia dal ristretto ambito degli studi specialistici per porla in contatto con le difficoltà che tutti devono affrontare. In effetti, ponendosi nei templa serena della sapienza allo studio diacronico di osservazione dei naufragi dell’uomo, appare con evidenza del tutto giustificata la sorpresa di Simmel su “quanto poco dei dolori umani sia trapassato nella loro filosofia”. _________________ (9) John Rawls, “Lezioni di storia della filosofia politica”, Feltrinelli, Milano 2009. (10) Sergio Luzzato, Docente di Storia Contemporanea a Torino. (11) Aristotele, Poetica. (12) Abs. rimaneggiato da: Ugo Tamballi, Il suicidio del comunismo - Il Sole 24Ore Domenica 31 maggio 2009, n. 48, pag. 37. (13) Gianfranco Ravasi. (14) Carlo Ossola, Cantinori, gli eretici e il fascismo, Sole 24 Ore, Domenicale, 31 luglio 2005. (15) Luigi Mascilli Migliorini, Gli inganni della memoria. Il Mattino, Cultura, 12.01.09
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Il contenuto di questa comunicazione culturale dello storico, dunque, serve a guardare in profondità all’identità di chi porta dentro di sé il pesante concetto della memoria, non tralasciando di considerare che “il passato è indistruttibile, anche perchè gli avvenimenti storici sono parte della trama delle nostre vite(16)”. Del resto è già stato sottolineato(17) come sia urgente un atto di coscienza capace di sceverare valori e modelli da richiamare per il presente per fare della storia non solo un cimitero di atrocità o un terreno di esaltazione bensì un lievito di dignità per il futuro(18). È del tutto evidente, infatti, quanto i buoni studi abbiano un indiscutibile valore civile.
Non ci illudiamo, però, di poter cogliere la sostanza delle cose come sono realmente andate, e ancor meno di poterle far conoscere una volta per sempre. Da tempo Droysen ha ammonito che con la ricerca storica “non sono le cose passate che diventano chiare, poiché esse non sono più, ma diventa chiaro quello che di esse, nell’hic et nunc, non è ancora passato(19)”. Noi ci proponiamo di “arricchire e ingrandire il mondo delle nostre idee con la conoscenza documentata della continuità dell’evoluzione morale dell’umanità, in cui tocca per il momento a noi, oggi viventi, di raccoglierla e continuarla, per la parte nostra, intendendone il nesso(20)”. _________________ (16) Eric J. Hobsbawn, “Il secolo breve 1914-1991”. (17) Da maestri come, ad esempio, Ernesto Sestan. (18) Carlo Ossola, ibid. (19) J.C. Droysen, Sommario di istorica, a cura di D. Cantinori, Firenze 1943, p.13. (20) Ibid.
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Le idee riguardo al passato, inoltre, non sono per niente definitive. Esse vengono costantemente modificate in base alle priorità del momento. Ogni volta che nello scenario contemporaneo e nelle nostre vite emergono nuove priorità, la lente dello storico si sposta e va ad esplorare territori oscuri, ponendo in luce fattori che sono sempre esistiti ma che gli storici precedenti avevano cancellato dalla memoria (21) collettiva per distrazione o leggerezza . (22) Dall’oscurità del passato risuonano nuove voci che vogliono essere ascoltate . Il presente reinventa di continuo il passato. In questo senso, tutta la storia, come diceva Benedetto Croce, è contemporanea. Sono questi cambiamenti di percezione che la rendono un’avventura intellettuale assolutamente affascinante. Diceva Oscar Wilde che “ il nostro debito con la storia consiste nel riscriverla”. Nel frattempo, lasciamo sbocciare i tanti nuovi germogli della storia. La storia non è mai conclusa, né va intesa come un verdetto definitivo. È un processo che non finisce mai. Gli storici non devono mai abbandonare la ricerca nell’interesse di un’ideologia, di una religione, di una razza, di una nazione(23). La storia, inoltre, non emette verdetti puramente autoritari. Anzi, essa “non è giustiziera, non è un tribunale che emette sentenze di assoluzione o di condanna. (...) La storia è il tentativo di capire come e perché gli uomini sono vissuti, e per far questo è necessario calarsi nell’epoca in cui sono avvenuti i fatti che si studiano e comprendere come e perché sono vissuti gli uomini senza dare un giudizio morale, pur mettendolo in connessione con l’epoca di cui ci si occupa(24)”. La conoscenza storica è in continuo sviluppo né mai potrà essere considerata definitiva: essa rivela in un’unica espressione qualcosa sia del soggetto, così come un ritratto esprime -anche se non esaurisce- al tempo stesso la personalità del personaggio raffigurato e quello dell’autore(25). La conoscenza storica ha una verità sempre parziale che è progressivamente conquistata con il susseguirsi delle ricerche e con lo svilupparsi della storiografia. La storia è sempre diversa ed imprevedibile benché possano ravvisarsi corsi e ricorsi storici(26). Considerando, poi, la riflessione di Albert Einstein che sosteneva che la fantasia conta più della conoscenza, è possibile che lo studioso dotato di fantasia abbia la capacità di confrontarsi con ipotesi apparentemente improbabili e lontane dai pregiudizi correnti ed arrivi a scoprire qualcosa di nuovo, purché fornisca conferme con i documenti. Il lavoro dello storico, tuttavia, è un’impresa fallimentare che è perseguita con slancio perché fa provare il brivido dell’esplorazione, perché ripercorrere il passato è emozionante, perché comporta grandi sfide intellettuali. _________________ (21) Arthur Schlesinger Jr, La storia, antidoto alla stupidità - (Ultimo articolo pubblicato) New York, 2007, traduzione: Marta Matteini per Sole 24 Ore. (22) Ibid. (23) Ibid. (24) Claudio Magris cita Giovanni Miccoli (Professore di Storia del Cristianesimo a Trieste) in “La coscienza della Storia”, Francesco Mannoni da: Il Mattino, Cultura, 16 gennaio 2007. (25) Immagine dello storico Henri-Irénée Marrou. (26) Giovanbattista Vico.
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Gli storici, infatti, sono anche prigionieri della loro esperienza: il bagaglio di conoscenze è carico di preconcetti dovuti al carattere di ciascuno ed al periodo in cui viviamo. Non possediamo verità assolute o definitive. L’impresa dello storico destinata a fallire è, dunque, la ricerca di un’oggettività che in termini assoluti è irraggiungibile(27). In definitiva, però, va riconosciuto che dal confronto di interpretazioni differenti nasce la vera conoscenza. D’altro canto non va sottaciuto che, dopo aver fatto per tanto tempo storia dei fatti, taluni storici si sono cimentati a fare storia di fenomeni, per così dire, più evanescenti: emozioni, percezioni, false notizie, fino ad arrivare, negli ultimi decenni ad essere particolarmente attratti dalla storia della memoria, dal modo, cioè, in cui la memoria storica si è codificata, stratificata, creata. Di come si è selezionata, a quali norme ha obbedito la selezione. Moltissimi sono stati, così, gli studi dedicati all’uso pubblico della memoria e della storia, alla costruzione delle varie memorie. È
opportuno, tuttavia, considerare che la ricerca delle domande che sono dietro ai percorsi delle memorie è per lo storico assolutamente un’operazione non solo legittima bensì persino doverosa. Interrogandosi ulteriormente sulle grandi questioni concernenti il metodo dello storico, in effetti, torna alla mente Nietzsce quando asserisce che “non esistono fatti ma solo interpretazioni”. _________________ (27) Arthur Schlesinger Jr, Ibid.
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Ed il nostro tempo sembra confermare questa tesi o profezia: le interpretazioni in giro sono davvero tante e fra di loro conflittuali. Gli storici, tuttavia, cercano, o dovrebbero cercare, la verità e, talvolta, la trovano. Certo, si tratta di verità umane, falsificabili, quindi, potenzialmente revocabili. Però se la storia venisse falsificata, il nostro rapporto con il passato e anche con il mondo si sfascerebbe. Dire che il vero implica un rapporto con il falso e il finto (la storia che è abituata a inventare, come osservò ironicamente Manzoni) è affermare un’ovvietà. Ma i neoscettici tendono a dimenticarsi del falso sostenendo che tutto è finzione mentre i positivisti vecchi e nuovi tendono a dimenticarsi del finto; in polemica con entrambe le categorie, ad esempio, Carlo Ginzburg(28) cerca di dimostrare(29) che il falso nasce sia dal vero che dal finto e viceversa. Vi è, poi, la categoria del verosimile: un tema importante è costituito, infatti, da se può lo storico riempire gli spazi vuoti della conoscenza con il tessuto connettivo dell’immaginazione, servendosi della sua esperienza per distinguere il plausibile dal meramente fantastico. È un esperimento curioso. Inoltre, la verità è evidente o nascosta? E se è nascosta, dipende da una nostra incapacità di indiviuazione e comprensione o da un’originaria premeditata volontà di occultamento? E come possiamo disvelarla? “La verità è quasi sempre nascosta, anche quando è evidente(30)”. Qualche volta viene tenuta nascosta, talora non riusciamo a vederla: l’una non esclude l’altra. Per portarla alla luce vi sono molti strumenti. Uno di essi è lo straniamento(31): la capacità di guardare le cose a distanza, come se non le conoscessimo(32). La verità ha anche una valenza morale giacchè i fatti possono essere anche strumentalizzati ed il falso divenire menzogna. Ma ci si può cautelare da chi racconta menzogne usando il discernimento, facile ad affermare, difficilissimo ad attuare. Per di più, oltre ad essere attorniati da mentitori, sovente appare che mundus vult decipi, il mondo vuol essere ingannato! Lo storico, ancora, può giudicare fatti o avvenimenti che lo impegnano emotivamente o di cui è stato addirittura partecipe? Storici come Tucidide, Guicciardini, Marc Bloch hanno dimostrato che è possibile purchè si sostituisca il “giudicare” (dalle connotazioni moralistiche o giudiziarie) con il “conoscere”. Vi è, infine, da considerare il rapporto dell’era contemporanea del trionfo, in tutti i sensi, del virtuale con la verità: la società in cui viviamo, infatti, usa tecnologie che esaltano la potenza del virtuale; ma la verità può nascere anche dal virtuale che, se ignorato, può talora dare un’idea limitativa del vero. La nostra memoria si fa sempre più incerta nel confronto tra passato e presente giacché la separazione temporale, ovvia in sé, può trasformarsi in estraneità, quando non addirittura in avversione. _________________ (28) Notissimo storico italiano originario di Torino ma vivente a Los Angeles le cui opere sono tradotte in oltre venti lingue; predilige alla storia dei grandi scenari le ricostruzioni di fatti ed eventi circoscritti nel tempo e nello spazio, talora considerabili anche “minimi”. (29) Ginzburg Carlo, Il filo e le tracce, pag. 340, 2006. (30) Poe, La lettera rubata. (31) Ginzburg Carlo, ibidem. (32) Un grande maestro di questo modo di guardare il mondo è Montaigne.
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Il valore della contestualità va intesa nella maniera più completa possibile della diacronia storica e della trasversalità culturale. Per un popolo (o per una professione, un gruppo sociale o un singolo individuo) conta molto anche non percepire distanza ma fluidità tra passato e presente in quanto ciò pone in condizione di sentirsi figlio diretto. La lezione umanistica della storia è anche quella della continuità e della valorizzazione delle tradizioni intellettuali più profonde. Non va mai dimenticata la dimensione interiore che si può creare con la lettura. Con la cultura in senso generale. Parlare di un classico non significa riproporre ciò che esisteva in passato ma atteggiarsi ad intendere meglio ciò che è diverso da noi stessi(33).
“L’arte e la storia sono tra gli strumenti più validi per un’indagine sulla natura umana(34)” Ma perché intraprendere uno studio classico? Non per nostalgia né per illusione di continuità ma perché misurandosi con una cultura che è al contempo fondativa ed antagonista del nostro presente, si possa da un lato storicizzare i propri saperi e dall’altro mostrare come i classici, anche se superati nelle loro risposte, restano necessari per formulare le nuove domande. Un comune pensare e un’alleanza non più rinviabili, in particolare, per un Paese come l’Italia che sconta una duplice colpa: il deficit scientifico e la dispersione del suo patrimonio classico. _________________ (33) Salvatore Settis. (34) Ernst Cassiner.
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Tuttavia, le esigenze portano a dialogare discipline i cui legami con la classicità sono tanto profondi quanto trascurati. Mentre gli imperativi del mercato mirano ad emarginare i saperi umanistici ed i saperi scientifici non immediatamente applicabili, andare oltre le due culture significa restituire alla conoscenza lo spazio indispensabile nel quale possono maturare la ricerca e il pensiero critico(35). Siamo convinti, come già Epimenide, che la storia è profezia del passato(36). L’umanista propone l’osmosi dei pensieri, delle istituzioni e delle conquiste di ogni cultura, passata e contemporanea. L’Umanesimo è perciò un crogiuolo. Nella crisi gravissima e, tuttavia, feconda che l’umanità tutta intera sta attraversando - con il rischio di sostituire ai valori etici e storici l’utile individuale, le divisioni aggressive e il bisogno pigro di autorità ordinatrici - occorre ripensare l’Umanesimo. Ci si deve proporre di interrogare l’Umanesimo e domandare ai responsabili del governo civile di ogni nazione, e specialmente a quanti nell’Umanesimo riconoscono le proprie radici, di incentivare o di istituire la ricerca umanistica dovunque e in ogni modo possibile, a cominciare dalla scuola. Ma subito, prima che venga smarrito del tutto il senso universale della persona umana e prima che si dissolva la percezione dello spirito e delle sue esigenze. Chi si lascia ciecamente dirigere dalla logica dell’utile individuale non vede che il mercato deve svilupparsi in una nuova e progrediente struttura della società formata con il cemento dei valori etici, storici e culturali. La società sarà, dunque, lo specchio dell’umanità che prepariamo: non una realtà che annienta le identità, che non conosce l’individuo e ne ignora i bisogni ed i diritti. La conquista di un tale nuovo umanesimo ha la forza aggregante dei grandi moti spirituali che non conoscono frontiere. Una realtà comune significa molte cose, ma comincia in ogni caso con il vivere, crescere ed educarsi insieme. La cultura umanistica è una preziosa scuola di conoscenza(37). E non vi è dubbio sul fatto che il nostro secolo stia nascendo su una radice fortemente neoclassica per il fatto che per uscire dal pantano lasciato dal pensiero debole e dal management debolissimo, l’attuale crisi etica e politica esige valori classici da citare. Un esercizio culturale tra gli elementi formativi e fondativi della cultura occidentale serve a capire la nostra quotidianità. Caratteristica degli studi storici è l’analisi di fonti e documenti prodotti nel corso dei secoli. C’è, poi, una storia ricavata interrogando le tombe, contemplando i monumenti, ritrovando vestigia e, ancora, come o’ m oron, il cieco Omero, chi sa udire la storia rimormorata dalle pietre per narrarla. Le funzionalità originarie dei monumenti sono irrimediabilmente perdute: da quando furono abbandonati sono serviti a mille scopi diversi. Essi, però, sembrano oggi aver perso ogni potenzialità ma potrebbe essere sufficiente considerare l’importanza economica derivante dal turismo culturale per convincersi del contrario. _________________ (35) Convegno Internazionale Scientia Rerum, Bologna, 29-30 settembre 2005. (36) Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Appello per la Ricerca umanistica, 10 giugno 1993. (37) La Pergola Antonio, Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, “La polis Europa”, discorso del 22 giugno 1993 in occasione della presentazione al Parlamento Europeo degli Appelli per la Filosofia e per la Ricerca umanistica.
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La cultura è un investimento strutturale per il Paese; essa non è estranea all’economia perché, incidendo sulla qualità della vita e sull’orgoglio di appartenenza, diventa determinante per la produzione economica tout court(38).
_________________ (38) Salvatore Settis.
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La memoria come percezione d’identità collettiva
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isogna comprendere che rinnegare la propria storia significa negarsi una credibile identità. Nessun albero, inoltre, può crescere in altezza se è privo di radici(39). Memoria e storia si accompagnano, indubbiamente, nel difficile cammino, individuale e collettivo, che si fa per ricostruire dal passato le ragioni del presente. La storicità dell’essere, il rapporto vitale tra passato e presente, non si esaurisce in una dimensione puramente biografica (la memoria, appunto), ma si realizza pienamente nel coinvolgimento, nelle forme che, come è ovvio, concretamente ognuno riterrà possibile e fecondo riempire con le cose del proprio tempo collettivo(40). La storia si rapporta alla collettività come la memoria al singolo. Chiunque sia privato di memoria si sente disorientato e perde riferimenti, non sa più dove è stato e dove è diretto. In egual maniera un Paese che non conosce e non comprende il proprio passato sarà incapace di gestire il presente e il futuro. In effetti, “più si guarda indietro più si riesce a guardare avanti(41)” e, d’altro canto, “il futuro influenza il presente tanto quanto il passato(42)”. É, dunque, agevole un processo di cosolidamento della consapevolezza che la ricerca storica è uno dei modi più efficaci di partecipazione alla realtà presente e di approccio al futuro. Ma si badi bene: approccio al futuro e non previsione del futuro! La storia, in effetti, ci insegna a pensare e a vivere ma non, al di là dell’ambito di pertinenza della teoria gadameriana della precomprensione, a prevedere il futuro per la semplice ragione che essa non si ripete mai! Se si vuol diventare persone adulte e mature, si deve indagare con coraggio nella propria storia personale. Analogamente le collettività, se vogliono crescere e contare nel mondo, devono esaminare senza ipocrisie la loro storia. È un esercizio faticoso e doloroso, poiché costringe a rivivere sbagli, leggerezze e perfino crimini ormai dimenticati. Nel ripercorrere la storia di una collettività occorre affidarsi ai documenti che devono essere studiati con metodo critico. Appare indubbio, inoltre, che la conoscenza della storia è una necessità morale per una nazione. La storia è il miglior antidoto contro le illusioni dettate dall’onnipotenza e dall’onniscienza. Conoscere se stessi è il presupposto indispensabile per controllare le proprie azioni e questo vale sia per la collettività sia per il singolo. La storia dovrebbe sempre ricordarci quanto siano limitate le nostre visuali. Dovrebbe darci la forza per non cedere alla tentazione di trasformare sensazioni momentanee in diktat morali. Dovrebbe aiutarci ad ammettere il fatto, purtroppo così spesso manifesto, che il futuro va ben oltre le nostre certezze e che gli eventi che ci riserva sono più variegati di quanto la mente umana possa concepire. _________________ (39) Mons. Walter Brandmuller, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche - “Discorso commemorativo” (Palazzo della Cancelleria, Città del Vaticano 16 aprile 2004). (40) Luigi Mascilli Migliorini, Gli inganni della memoria. Il Mattino, Cultura, 12.01.09. (41) Winston Churchill. (42) Friedrich Nietzsche.
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Merita, inoltre, di essere ricordata, a proposito del rischio di derive autoritarie del potere in una nazione, l’affermazione: “guarda, figlio mio, con quanta poca saggezza è governato il mondo(43)”.
Cinicamente, quanto sovente realisticamente, si può assentire all’affermazione che “la storia ci insegna che gli esseri umani si comportano con saggezza, una volta che abbiano esaurito tutte le alternative(44)”. D’altro canto, se si ha una percezione sufficientemente chiara anche dell’ironia della storia, si possiedono più strumenti per resistere alle drammatiche tentazioni del potere(45). Dunque, è condivisibile l’assunto che “chi sbaglia storia, sbaglia politica(46)” e, d’altro canto, che “chi controlla il passato, controlla il presente(47)”. Tuttavia l’annosa questione dell’unità d’Italia è un problema posto dal Croce (con strascico di riserve e diffidenze) che osservò recisamente: “L’unità della storia d’Italia comincia nel 1860, dalla costituzione di uno Stato italiano comprendente tutte o quasi le popolazioni chiuse nei confini geografici del paese(48)”. _________________ (43) Pronunciata dallo statista svedese Axel Oxenstierna. (44) Abba Eban, diplomatico (1915-2002). (45) Abs rimaneggiato da: Arthur Schlesinger Jr, La storia, antidoto alla stupidità - (Ultimo articolo pubblicato) New York, 2007, traduzione: Marta Matteini per Sole 24 Ore. (46) Giovanni Cantoni. (47) G. Orwell (48) Benedetto Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari 1939.
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Perciò le trattazioni che superino questo termine cronologico non possono essere “storicamente organiche” e “severamente scientifiche”, ma sono, “secondo i casi, manuali eruditi, enciclopedie, poemi o semipoemi epici, capolavori letterari, retorica politica, e via dicendo(49)”. Come è noto, in tal modo Croce irrigidiva e schematizzava un famoso giudizio di Antonio Labriola sulla “unità illusionale di una storia d’Italia”: Labriola, in effetti, distingueva fra processo di formazione della nazione italiana e processo di formazione dello Stato nazionale unitario, e giudicava necessario indagare sulla “unità di temperamento e d’inclinazioni, che costituisce il polo nel senso storico della parola(50)”. Nell’impostazione crociana è già stata indicata la tendenziosità di prescindere dal momento della lotta e del contrasto, quando “un sistema etico-politico si dissolve e un altro si elabora nel fuoco e col ferro(51). Ma, tendenziosità a parte, si potrebbe anche rilevare come nell’enunciazione del Croce si manifesti in tutta la sua coerenza quello schema di processo lineare del pensiero, da lui esposto soprattutto in Teoria e storia della storiografia, dove, appunto, tracciando la storia della storiografia “in conformità dei principi innanzi chiariti, (…) così per esemplificare il metodo enunciato, come per illustrare storicamente i concetti esposti nelle precedenti pagine teoriche(52)”, non solo si ignora ogni esperienza e tradizione extraeuropea, identificando tutte le civiltà umane con quella del nostro continente (anzi con la sua parte occidentale), ma necessariamente si escludono da ogni valutazione civiltà e culture, come quelle dell’America precolombiana o dell’Africa precoloniale o dell’Estremo Oriente, che presuppongono fin dalla prima approssimazione l’uso di strumenti culturali e l’accesso ad attrezzature mentali differenti dalla tradizione eurocentrica. Non a caso, del resto, la riflessione storica crociana bandiva altrettanto rigorosamente e con ragioni analoghe la storia universale: anch’essa “non storia”, “romanzo”, “utopia”, “pseudostoria”. In realtà, alle esigenze cognitive ed alla coscienza politica degli uomini d’oggi suona più vicino l’insegnamento del Burckhardt, quando, più di cento anni or sono, invocava “una gigantesca carta geografica dello spirito, sulla base di un’immensa etnografia, che dovrebbe raccogliere insieme ciò che è materiale e ciò che è spirituale, e dovrebbe cercare di venire a capo, secondo un nesso, di tutte le razze, i popoli, le morali e le religioni(53)”. E concludeva con parole che vorremmo far nostre: “Lo studio più autentico della storia nazionale sarà quello che consideri la patria parallelamente e in correlazione con la storia universale e le sue leggi, come parte della grande totalità del mondo, illuminata dalle stesse stelle che hanno rischiarato anche altre epoche e popoli, e minacciata dagli stessi precipizi(54). _________________ (49) Benedetto Croce, Conversazioni critiche, Bari 1939, pp. 184-95. (50) Labriola, Da un secolo all’altro, in Scritti vari di filosofia e di politica, a cura di B. Croce, Bari 1906, pp. 489-90. (51) A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, 1952, p. 192. (52) Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari 1948, pp. 151-52. (53) J. Burckhardt, Sullo studio della storia, Torino 1958, p. 20. (54) Ibid., pp. 26-27.
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Ma se anziché assumere, come fa Croce, la storia etico-politica nei suoi termini più restrittivi (e verrebbe fatto di dire, nell’ambito burocratico-amministrativo dell’assettto statale) la consideriamo nel significato più lato, per formazioni economiche e sociali più vaste e diverse, senza prescindere da fattori quali la caratterizzazione geografica del paese, la lingua, la cultura, i modi di produzione, ecc., potremo indicare con Gramsci nel momento dell’egemonia una valida chiave interpretativa. Ci sarà così possibile approfondire quella “metafora” che è “la rappresentazione ‘individualizzata’ degli Stati e delle Nazioni”, e considerare queste entità “come distinzioni di gruppi “verticali” e come stratificazioni “orizzontali”, cioè come una coesistenza e giustapposizione di civiltà e culture diverse, connesse dalla coercizione statale e organizzate culturalmente in una “coscienza morale” contraddittoria e nello stesso tempo ‘sincretica(55)”. Su questa base sarà il caso di sottolineare come gli sviluppi degli studi storici e delle scienze umane, dalla storia economica all’archeologia, dall’antropologia alla linguistica, abbiano portato, come osserva Cantimori, “a tale ampliamento di orizzonti da far quasi dimenticare le questioni ‘filosofiche’ o generali, tipo ‘storicismo’(56)”.
E proseguiva evidenziando come “quest’aria nuova, che viene da tutte le parti della rosa dei venti muove gli storici e gli studiosi di storia verso ricerche e scoperte che vanno dall’archeologia medievale alla storia delle tecniche agrarie, della emigrazione, degli insediamenti umani, del paesaggio umano (…)”. _________________ (55) A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, 1952, p. 187-88. (56) D. Cantimori, Storia e storiografia in Benedetto Croce, in Storia e storia, Torino, 1971, p. 405.
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Oggi, tuttavia, se da un lato è riscontrabile che la storia, arricchita anche dalla teoria sociologica delle organizzazioni o da studi antropologici, è la memoria intesa come percezione dell’identità che legittima ad essere compresi nella più vasta cultura collettiva, d’altro lato spesso persistono o riemergono nei caratteri originari delle nazioni e delle patrie profonde lacerazioni che ne connotano i valori identitari. In contrasto con questa idea c’è la visione della storia come esercizio di pacificazione, per non dire della diffusa consuetudine di rinnovare, in un alone romantico, talune specifiche epopee emblematiche. Vi è poi il tema dell’approccio intellettuale alla storia della nazione. Nel caso che la storiografia contemporanea la proponga in vari modi, risulta un’immagine profondamente lacerata e spezzata. Il problema è che o si ha una storia costruita sul filo di continuità o si hanno più storie e una storiografia divisa nell’impostazione stessa del percorso da seguire. C’è, poi, il rischio che abbiano libero corso nella cultura spunti difficili da definire storiografici ma piuttosto strumentalmente ideologico-politici. Più che insistere in modo irriflesso su di una rottura che ha perso il suo fondamento, è vantaggioso avviare una seria riflessione su quasi tutti i punti cruciali di divisione per aprire la possibilità di ricostruire un filo comune di continuità nella storia della nazione. I motivi di continuità che devono emergere non mettono in ombra i giudizi di valore ma individuano la trasversalità delle scelte e dell’evoluzione-costruzione sociale. Non va sottaciuta, d’altro canto, la realtà attuale fatta di un universo mediatico incline soprattutto a cogliere le fratture e, talora, a proporre continuamente una metastasi di microfratture. In tale circostanza può avere un ruolo determinante l’incidenza di una cultura che ritiene che tutto sia da buttare, salvo se stessi: tale evenienza, in effetti, si configura quale sorta di rinuncia alla storia come memoria comune, anzi quale rifiuto di tutto ciò che c’è di profondo nella memoria. È una rottura che non ricostruisce neanche un percorso nuovo: non è un revisionismo bensì, semplicemente, nichilismo storico. La storia, inoltre, ha riacquistato un ruolo centrale anche nel dibattito politico, culturale e persino etico. La sensazione che un passato condiviso custodisca le chiavi dell’identità collettiva è diffusa, oggi, tra il pubblico: e proprio il radicamento nel passato è spesso invocato, anche a livello politico, per fondare un sistema di valori e individuare un’appartenenza comune. Ma questa nuova centralità del discorso storiografico può comportare dei rischi in quanto il cosiddetto uso pubblico della storia risulta spesso finalizzato alla manipolazione propagandistica o, comunque, fondato su una manipolazione del passato. Come elemento di ulteriore turbativa non molto infrequente del caso di specie, è da considerare anche il fatto che “l’intellettuale, il tecnico è portato a ritenere che, al di là degli elementi strutturali di una singola contingenza politica, se lui è ‘ammesso a corte’, se è chiamato a far parte dell’establishment, ciò è di per sé un elemento che attesta il carattere liberale e innovatore dell’esperienza politica cui è associato(57). Nell’ambito di una salutare riflessione sui personaggi che agiscono nel teatro della memoria, poi, occorre metodo dialogico per rispondere ad un quesito di etica della memoria tenacemente attuale: ci sono cose che abbiamo il dovere di ricordare? _________________ (57) Paolo Mieli, Storia e politica. Filangieri e i Borbone. Rizzoli, giugno 2001, pag. 115.
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Ed in che misura questa memoria condivisa serve a rafforzare l’identità di gruppo? Secondo una certo filone di pensiero, le memorie condivise non sono morali. Tale paradosso, in realtà, è spiegato tenendo conto che solo le relazioni di appartenenza ad una nazione si fondano sulla costruzione di una memoria comune, intesa non come conoscenza oggettiva del passato bensì come rappresentazione mediata ed in parte mitica: una sorta, insomma, di fatale attrazione dell’ethos verso l’etnos, ovvero una prospettiva tendenzialmente etnica dell’etica(58). Nelle sfide globali che trasformano la politica internazionale in politica interna del mondo, la storia deve misurarsi alla prova di una società planetaria che trasforma e preme dall’interno contro gli esoscheletri degli Stati nazionali che insieme la contengono e la costringono. È più che mai necessario, allora, riflettere sulle identità storiche e culturali oggi in
gioco in un orizzonte più ampio: per scoprire che le identità non sono date e immutabili, ma si sono formate nel corso dei secoli e dei millenni, in un gioco incessante di intrecci e condizionamenti reciproci e con mescolanze talvolta sorprendenti. Solo una considerazione imparziale del passato in tutta la sua complessità può attrezzarci per rispondere alle sfide del nostro tempo decifrando la complessità del presente e può porci, senza spaventarci, di fronte a quella del futuro. _________________ (58) Avishai Margalit, L’etica della memoria, il Mulino, Bologna, 2007.
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Quando si compie una ricostruzione accurata, spesso essa accerta soltanto una memoria irrimediabilmente divisa, dovendo rispettare gli elementi compositivi della sua riflessione, cioè i fatti, i sentimenti, le diverse memorie appunto. E qui può subentrare la competizione politica sulla memoria, poiché da un contrasto lacerante escono due diverse interpretazioni della storia. Dal complesso intreccio di interpretazioni, un passato, dunque, può essere destinato a non passare giacché davvero nessuno può rendere condivisi pensieri che sono nati in contrapposizione e che possono essere solo consegnati alla storia come tali. Allo storico si richiede, inoltre, la capacità di saper “ripensare il noto” ogni qualvolta deve considerare i grandi temi consolidati della storia della cultura, quei motivi ricorrenti che alla fine inducono all’elusione in virtù del loro eccesso di reperibilità ma che studiosi e lettori si ritrovano rischiosamente sempre innanzi(59). Tra un’impressione ed una constatazione il termine medio, il nesso logico in grado di cambiare i due elementi (l’impressione, semplice fatto psicologico; la constatazione, elemento oggettivo) è il giudizio storico che serve in quanto politicamente efficace ed utile anche ai fini di un’azione correttiva. Un’identità condivisa, inoltre, non si costruisce cancellando il passato. Gli eccessi della retorica storica possono innescare di contraccolpo un’ondata antiretorica revisionista, un abuso strumentale e massmediologico della storia. Fra la revisione storica e la valutazione storica sembrerebbe esserci una sostanziale differenza: la prima implica un processo teorico, la seconda un giudizio morale. Altro problema di enorme rilievo è costituito dall’Europa che “sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia” qualora dovesse cedere alle tentazioni ed agli interessi a dimenticare i valori fondamentali e le comuni radici cristiane, perché così facendo si va incontro a una singolare forma di apostasia da se stessi prima ancora che da Dio. L’esclusione dell’elemento essenziale dell’identità europea costituito dal cristianesimo impedisce l’edificazione di un’autentica casa comune europea trascurando l’identità, costituita da un insieme di valori universali che il cristianesimo ha contribuito a forgiare, propria dei popoli di tale continente(60). Tra l’altro, non pochi protagonisti della politica e della cultura contemporanea hanno dimenticato o vorrebbero far dimenticare i fondamenti della nostra storia per poter realizzare più facilmente le proprie aspirazioni di modernizzazione. In questo senso può essere utile una riflessione storica che ponga in evidenza le origini ed i principi dell’identità europea, riflessione che deve ovviamente varcare gli angusti spazi del dibattito sulla Storia contemporanea e si proietti, invece, nel passato lontano là dove sono emerse le idee predominanti della Storia europea come l’autonomia e la dignità dell’uomo, la ragione e il diritto. Chi guarda alla Storia d’Italia dall’estero, ammette volentieri che essa ha dato contributi tra i più importanti alla formazione di queste idee(61).
_________________ (59) Giammattei Emma - Croce e i fantasmi di Napoli, Il Mattino Cultura, 2006. (60) Abs da: Monito di Papa Benedetto XVI per la difesa delle radici cristiane dell’Europa, Il Mattino, 25 marzo 2007, pag. 3. (61) Rudolf Lill, “Rinascimento, culla dell’Europa”, Il Sole-24 Ore, 15 settembre 2005, n. 253, pag 10.
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Passando, poi, in esame altri fattori della storia, non si può non considerare l’onere e le profonde quanto iterative implicazioni di quel particolare “passato che non passa”, come ad esempio il vulnus rappresentato nella storia tedesca dal nazismo: una condizione che sembra adattarsi pressoché a tutti i Paesi dell’Europa continentale. Il ‘900 continua a far sentire il segno negativo ed irrisolto dei suoi drammatici lasciti. Con ciò la differenza con il mondo anglosassone si ripropone nettamente. Non che fratture profonde non abbiano attraversato nel ‘900 anche la società inglese o quella americana, ma il nocciolo essenziale della loro storia è “condiviso”. Non sfugge in questa riflessione il principio, da cui il giudizio storico non può prescindere, che quali che siano state le diverse posizioni e inclinazioni dei singoli, o anche dei gruppi, resta comunque come primaria ed ineludibile la responsabilità collettiva quando una società è costituita in un organismo che la rappresenta. Lo sforzo dello storico e delle scienze afferenti alla storia, però, possono talora risultare incapaci di penetrare a fondo il senso di certi fenomeni, quantomeno in
taluni suoi aspetti; in tal caso, tuttavia, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perchè ciò che è accaduto può ritornare e le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate. Anche le nostre(62)!” Non vanno tralasciate, poi, anche quelle particolari memorie che ebbero e sembrano conservare “un’idea impropria della remissione dei loro peccati(63)”. _________________ (62) Primo Levi, Anniversario dell’Olocausto - Giornata della Memoria 2000. (63) Acheson, Segretario di Stato USA dell’Amministrazione Truman.
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Non si può affatto negare, a tal proposito, l’esistenza di una storia che è, talvolta, una sequela di bugie a tutto vantaggio dei vincitori: è, in effetti, una storia riscritta in omaggio all’ideologia del committente.
La vera forza della storia in una società libera è, in ogni caso, la capacità di autocorreggersi. Altra forma di negazione del passato, inoltre, riguarda la memoria dell’anziano che, in quanto testimonianza vivente, è pietra angolare dello sviluppo storico. Va evidenziato innanzitutto, a tal proposito, che in epoca contemporanea sul rapporto fra anziani e società incide anche la crisi dei grandi valori di riferimento e che gli
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anziani corrono il rischio in talune realtà di trovarsi a vivere in una società che non vuole avere memoria del passato, che non crede nel futuro storico e non ha voglia di ragionare di trascendente: non si avverte, in tal caso, quel valore del continuum fra memoria e futuro che è la base su cui si è esercitata la funzione senile quale trasmettitore di valori assoluti(64). Certo non va sottaciuto, più in particolare, che la narrazione del passato recente risulta, per certi aspetti, una realtà impossibile agli occhi dei giovani di oggi cui sembra negata la possibilità di guardare con ottimismo al futuro. La conclusione, in tal caso, è triste giacchè, se è vero che, come recita un proverbio magrebino, “nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare le carovane” non si può disconoscere che, come afferma Serena Zoli, “oggi l’utopia non circola più e le carovane sono ferme(65)”. Il rapporto con l’anziano permette di calarsi nel pozzo dei ricordi, per risalirne con frammenti di vissuto. Immagini slabbrate da ricomporre con pazienza. Alla fine di una vita lunghissima prevale il bisogno di narrare e la pagina scritta sembra riflettere pause e complicità di un racconto ad alta voce. Non è ancora la storia oggettivata e lontana di un manuale ma biografia che si proietta in un passato ormai impensabile. Gli eventi della giovinezza hanno una qualità particolare e rimangono particolarmente vivi in noi. Così accade anche per ricordi legati alla figura del nonno: vivendo insieme il nipote può essere, per così dire, l’interlocutore preferito del nonno, il bambino al quale egli cerca di trasmettere la sua esperienza di vita, perchè la sua esistenza e la sua memoria si vanno consumando. Sembra che un vuoto si crei alle sue spalle, nella sua storia. Appare a tal proposito importante richiamare l’attenzione sulla superiorità del genere femminile nella conservazione della memoria. Le donne hanno un interesse più spiccato per il mondo dei sentimenti, per i legami familiari ed i rapporti intergenerazionali: sono “staffette” che contribuiscono molto più attivamente degli uomini a riannodare il filo tra passato e futuro. Ed è bene rammentare quella sorta di “legge della storia” secondo cui quando una realtà viene definitivamente a mancare si torna a sentirne la nostalgia e la necessità. Non è questo, dunque, il caso di una questione ideologica bensì di una mera questione di sopravvivenza dell’uomo che può narrare del passato parlando la lingua dell’esperienza, non quella dell’ideologia, la lingua delle piccole vicende dell’uomo, delle quotidiane storie, pur all’interno di grandi vicende che hanno sovente travolto uomini e cose. Tuttavia, il teatro della memoria non può essere una memoria che veda fluttuare nelle sue acque ricordi suscettibili di salire alla superficie, ora uno ora l’altro, di tanto in tanto. Deve essere, invece, un esercizio regolato da un percorso attraverso la memoria che non mira affatto a ravvivarla o rianimarla quanto, piuttosto, a addestrarla e disciplinarla affinché possa presentarsi per ciò che è, ovvero non una reviviscenza bensì il lavoro di sviluppo di una trama in negativo e il rigore documentale sotto cui _________________ (64) Dall’intervento di Giuseppe De Rita, già Direttore del Censis e Presidente del Cnel, pubblicato nel volume “In difesa della vecchiaia” di Marco Tullio Cicerone a cura Gavino Manca edito da Scheiwiller. (65) Serena Zoli, “La generazione fortunata. Lo speciale destino toccato a chi è nato tra il 1935 ed il 1955”, Longanesi & C., 2005.
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le presenze svaniscono o si frantumano. Un siffatto teatro propone, in effetti, non di concedersi solo al ricordo ma di praticare il difficile esercizio del confronto con il passato in quanto tale che, irrevocabilmente ed evidentemente, è fuori portata. Su quali basi, per quali vie si sono prodotti i cambiamenti? Qual è il peso di situazioni passate, capaci ancora di frenare il processo di sviluppo del nostro tempo, e quali tradizioni, invece, hanno offerto e offrono nel presente un incentivo ed uno stimolo per trasformare la società in cui viviamo? Senza ambizioni, lo storico può dare un contributo significativo per pervenire a risposte a tali interrogativi, per aiutare a comprendere chi siamo e quali radici e presupposti abbia la nostra società, tenendo presente che la nostra prospettiva d’oggi ci fa guardare al passato sotto uno scorcio critico particolare, capace di dare un certo senso a vicende in apparenza slegate ed eterogenee, come una luce radente dà risalto a particolari altrimenti male individuabili. Proprio guardando dal nostro punto di osservazione le età trascorse potremo inserire nella nostra prospettiva, per quello che ci interessa precipuamente, gli sforzi compiuti dagli uomini per creare in un certo ambiente geografico una vita economica, un’organizzazione sociale, e così via, secondo una logica che ripercorre ed esamina esperienze e testimonianze fino a precedenti remoti ed apparentemente dispersi, allo scopo di ricomporre diacronicamente gli aspetti tipici del nostro modo di essere.
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“Oratio brevis cogitatio longa” Marco Tullio Cicerone
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CDD 177 VIL tem 2010 LCC BH 81-208
“Ill tteemmppoo èè uunnaa ffiinnzziioonnee mmoobbiillee ddeellll’’eetteerrnniittàà” Pllaattoonnee
ISBN 978-88-904235-36