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A cura del CENTRO CATTOLICO DI DOCUMENTAZIONE - Casella Postale30 - 56013 MARINA DI PISA
Anno X V , n.89
dicembre 1996
Vandea e "vandee"
pag.
Card. G. Biffi: la Vandea italiana contro la falsa libertà
1
Card. P. Poupard: J . Cathelineau, "il Santo dell' Anjou"
2-5
A. Solzenicyn: onore alla memoria degli insorti vandeani
6-7
P. Buscaroli: Charette, l'eroe proibito
8-23
F. Cardini: quando 1' Italia si F . Pappalardo: insurrezione & tradizione
risvegliò
24 25
Lo scopo di questa «Rassegna Stampa» è di offrire ai cattolici ed a quanti reagiscono alla situazione attuale, spunti di riflessione e di documentazione che li aiutino ad affermare una sempre più incisiva presenza nella realtà italiana, nella prospettiva della costruzione di una «società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio» (Giovanni Paolo II). Si ringraziano coloro che vorranno aiutarci facendola conoscere e inviando materiale e notizie.
Q
uando il 19 giugno * 1796 i soldati francesi entrano in Bologna, che cosa portano Idealmente nei loro zaini? La storiografia "recepta" e dominante non ha dubbi in proposito: portano, più o meno consapevolmente, gli immortali principi dell'89, che avrebbero poi risvegliato la nostra terra dal suo lungo letargo e avrebbero dato una spinta decisiva verso una società più libera e più democratica.
L'intervento del cardinale Giacomo Biffi al convegno sull'invasione francese del 1796 GIACOMO BIFFI
contro la f alsa4ibertà
le che l'avessero. Che non fossero timori inimotiyati, fu subito chiaro dal comportaménto degli invasori. Non è il caso di ricordare tutto quel che fece da noi l'occupazione transalpina. BaIl che è incontestabile. Ma bisogna anche chiedersi: por- sterà qualche piccolo particolare, di quelli che di solito tano solo quello? E soprattutto: che cosa i bolognesi di non vengono messi in rilievo. Per esempio, ci fu una graallora pensavano che portastuita offesa alla città, che visero i nuovi arrivati? de cancellato il proprio stemDal 1789 al 1796 molti avma, posto sopra la grande pavenimenti si erano succedula che domina l'abside di San ti in Francia, e se ne era avuPetronio. Si vede che la "lito notizia anche nelle probertas" bolognese non aveva vince italiane. C'era stato, niente a che vedere con la "liper esempio, il tentativo di berté" che veniva sbandierasostituire la religione tradita. A titolo di contribuzione zionale con il culto abbadi guerra, ifrancesisi affretstanza comico della Dea Ratarono a infliggere il versagione, e quello ugualmente frigido di chi, come Robe- mento di una somma enorspierre, voleva imporre ai fe- me, in denaro, in oro, in ardeli di Cristo, il Dio con noi", gento e in natura; contribul'adorazione dell'Essere Su- zione che sconvolse l'econopremo; un essere che appari- mia della città. vá non solo supremo, ma anMa non se ne accontentache disinteressato e lontano. rono: asportarono anche 31 | C'erano stati iripetutiatdipinti dei più famosi maetentati alla pietà religiosa e stri ( il Guercino, il Carnicci, alle memorie storiche più ca- Guido Reni, Raffaello). Di re, quali la distruzione del questi soltanto 15 furono recorpo di santa Genoveffa, pa- cuperati, una voltafinital'avtrona di Parigi, e la laicizzaventura napoleonica, dalla zione del tempio a lei dedicamissione diretta da Antonio to. C'era stata la promulgazione della cosiddetta "legge Canova. Annotazioni analoghe possono essere fatte per dei sospetti", che aveva consentito di Imprigionare e di le altre città della regione, come Modena e Parma. La uccidere senza processo migliaia e migliaia di persone, soppressione dei conventi e che non avevano colpe se non delle confraternite aumentò quella di costituire con la lo- il disagio dei poveri, privanro esistenza un ostacolo al doli degli aiuti che venivano pieno trionfo dell'ideologia da secoliregolarmenteerogati, senza che le nuove istirivoluzionaria. tuzioni statali di assistenza C'era stato il genocidio riuscissero a supplire adevandeano con le sue crudeltà guatamente alle tradizionali e i suoi incredibili orrori, per- forme di carità. petrati non contro i nobili e i Fu imposta la coscrizione privilegiati ma cóntro una obbligatoria, derubando così popolazione che non voleva le famiglie dei contadini e derinunciare né alla fede dei pagli artigiani di braccia indi-, dri né al prezioso e stimato ministero dei suoi sacerdoti. spensabili per il sostentaPuò darsi che qualche torto mento di tutti. Senza dire che l'abbiano avuto anché i van- costringeva a esporsi al rideani: ce l'hanno anche gli a- schio molto ravvicinato di gnèlli quando si fanno man- perdere la vita in guerre sangiare dai lupi Ma c'è pur ' guinose e, per la gente semsempre qualche differenza di plice, incomprensibili In responsabilità tra chi sbrana questo contesto, non ci si può stupire che si verificasse un é chi viene sbranato. : Agli occhi dei pacifici abi- fenomeno come quello delle tanti della nostraregione,tut- "insorgenze". Ci si stupisce te queste cose - oltre il mes- invece che non sia stato stusaggio di libertà, uguaglian- diato un po' più in profondità: za, fraternità - c'erano ideal-, vale a dire, senza ricorrere mente negli zaini di quei mi- alle etichette di comodo, colitari stranieri. Sicché qual- me quella diritenerlemaniche apprensione era natura- festazioni retrive di oscurantismo o addirittura di de-
plorevole banditismo. Quando degli uomini, senza avere una divisa riconosciuta e senza appartenere a un esercitoregolare,impugnano le armi e le usano contro un potere organizzato, riesce difficile alla storiografia stabilire se essi - entro l'immancabile groviglio delle passioni e degli accadimenti - siano briganti o patrioti, sovvertitori malintenzionati dell'ordine vigente, quale che sia, o eroi generosi in lotta per i loro ideali La cosa più sicura - e più frequente purtroppo - per la storiografia prevalente è quella di badare a chi trionfa allafinee di far dipendere la classificazione dei buoni e dei cattivi da quella dei vincitori e dei vinti. Ma qualche volta può essere utile tornare a mettere tutto in discussione con un po' di spregiudicatezza, senza lasciarsi troppo condizionare dall'ideologia che alla fine è riuscita a sovrastare. Perché il quadro sia meno incompleto, suggerirei di non dimenticare che ci furono delle "insorgenze" di natura morale da parte di singoli cittadini È il caso di quei docenti della nostra università che si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica Cispadana, soprattutto perché conteneva l'impegno di "odio eterno al governo deire,degli aristocratici e degli oligarchici". Essi giudicavano che la loro coerenza cristiana li obbligava a non odiare nessuno. Furono una quindicina, che per questo motivo persero la cattedra e si condannarono a una vita di povertà. •'• \
to in mezzo alla prosperità e alla gloria». In quel gruppo di irriducibili c'era anche una donna, la professoressa Clotilde, TambronL n che mi dà modo di formulare un'annotazione solo apparentemente fuori tema. Finché lDniversità di Bologna, lungo il secolo XVm, rimase sotto l'influenza determinante della Chiesa, non mancò di annoverare delle donne nel suo corpo docente. Basterà ricordare, oltre la Tambroni, lafisicasperimentale Laura Bassi Veratti (morta nel 1776) e la mia concittadina Maria Gaetana Agnesi (morta nel 1799), insigne nell'analisi algebrica e nel calcolo infinitesimale. A lei, già aggregata alla nostra Accademia delle scienze, Benedetto XTV ha offerto invano la cattedra di matematica del nostro Ateneo. La presenza femminile scomparirà invece del tutto con l'avvento della laicizzazione ottocentesca. . ., ...
Senza dubbio, come si diceva, l'invasione napoleonica avviò bruscamente ma efficacemente la nostra penisola verso una più moderna visione dello Stato, mettendo in moto il processo risorgimentale. Ma ci sia consentito di osservare - pur se restiamo consapevoli che la storia non si fa coi futuribili che i Paesi anglosassoni, senza l'incursione francese e senza il verbo rivoluzionario, sono arrivati in modo meno traumatico, più stabile e più sostanziale agli stessi traguardi La loro democrazia maturata non contro i convincimentireligiosidelle popolazioni ma in loro perfetta armonia - non ha conosciu• Uno di essi fu il professor to le oscillazioni e i periodici Luigi Galvani, già famoso nel malanni di quella che da noi , mondo per i suoi studi sul- si è instaurata in conflitto con l'elettricità animale. Furono l'anima più intima e vera delmolte le pressioni e le lusin- la nazione italiana. Molti dei ghe che si esercitarono su di nostri guai trovano qui la lolui per farlo recedere dalla ro origine prima. sua decisione. Ma egli ai comVorrei concludere confespromessi con la sua coscienza preferì l'isolamento e la sando che mi affascina semmiseria, da cui lo liberò ben pre più la propensione del presto la morte, avvenuta nel Centro Culturale Manfredi1798. Di lui un suo collega, il ni per le cause perse, n mio professor Giuseppe Ventu- augurio è che continui su roli, potè scrivere: «Non o- questa strada: è la strada del stentòfierezza,non s'abbas- nonconformismo, della vera sò alle querele, e serbò im- laicità e, in definitiva, della perturbabile nell'avversa for- ragione non inceppata dai tuna quel modesto e dignito- pregiudizi e dai vari luoghi so contegno che aveva tenu- comuni
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Jacques Cathelineau, «il Santo dell'Anjou», un combattente sotto lo stendardo del Re del Cielo // 18 luglio ¡993. a Le Pin-en-Mauges. nella Francia Occidentale, presente il vescovo di Angers. S. E. nions. Jean Orclictmpt, è stato ricordato il primo generalissimo degli insorti vandeani contro la Rivoluzione. Nell'occasione S. Eni. il card. Paul Poupard, presidente del Pontifìcio Consiglio /ier la Cultura, lui pronunciato un'allocuzione, comparsa in L'Osservatore Romano. Édition hebdomadaire en langue française {anno 44. n. 32. 10-8-1993. pp. 8-9). con il titolo Soldat sous l'étendard du Roi du ciel e sottotitoli. Il nuovo titolo e la traduzione sono redazionali.
Caro Monsignore, Signori Rappresentanti delle Istituzioni Civiche e Amministrative. Caro Parroco di Le Pin-en-Mauges, Cari fratelli nel Sacerdozio, Fratelli e sorelle in Gesù Cristo. è una riunione di famiglia quella che oggi ci raccoglie tutti per celebrare con fervore, nel rendimento di grazie, uno dei nostri in questo villaggio dell'Anjou, Le Pin-en-Mauges, dove Jacques Cathelineau è stato battezzato il giorno dopo la sua nascita, il 5 gennaio 1759. I suoi resti mortali vi riposano in attesa della risurrezione. Qui è presente non solo la Vandea angevina. ma tutta la Vandea. attorno al suo primo generalissimo, Jacques Cathelineau. «il Santo delFAnjou». e. secondo la bella espressione di monsignor Chappoulie, l'eroe da vetrata.
Eroe da vetrata Oggi, l'anniversario che ci riunisce, nel fervore del ricordo e nella fedeltà della gratitudine, è quello della morte di Jacques Cathelineau, a Saint-FlorentLe-Vieil, due secoli fa, il 14 luglio 1793. L'esistenza così breve, esattamente trentaquattro anni, l'infanzia nascosta nel cuore della campagna angevina, il sorgere improvviso di un-giovane vetturale senza istruzione militare e senza relazioni politiche, la carica vittoriosa che, in un lampo, fa di contadini senz'armi un esercito temibile, e di un giovane dei Mauges senza preparazione un generale di un esercito d'insorti cattolico e regio per la difesa della fede in Cristo, per la fedeltà al Pontefice Romano, e per la libertà di professare la religione con i sacerdoti fedeli alla Chiesa di Dio, e non assolutamente a una Repubblica persecutrice: questa epopea, grazie al suo carattere improvviso e alla sua dimensione, alla sua ispirazione e alla sua dedizione, evoca irresistibilmente il mistero di una Giovanna d'Arco.
Famiglia cristiana Nato da una famiglia di artigiani — muratori e tagliapietre nella bella stagione, tessitori d'inverno
— il giovane Jacques cresce in una famiglia cristiana, dove impara, com'è accaduto a molti di noi nel nostro Anjou. ad amare di uno stesso amore i genitori terreni e il Padre celeste, a recitare la sera il rosario durante la veglia, a non cominciare il pane fatto in casa senza segnarlo con una croce, a non passare davanti a un Crocifisso al crocevia senza salutarlo e segnarsi con rispetto. Fra il padre Jean e la madre Penine Hudon, il fratello maggiore Jean e la sorella minore Marie-Jeanne trascorre giorni felici, come in tutte le case in cui ci si ama. Ma a dodici anni, nei Mauges. bisogna guadagnarsi la vita. Il parroco di La Chapelle-du-Genèt, don Marchais, amico del parroco di Le Pin, lo prende con sé al proprio servizio. Fa il cantore e i l sacrestano in chiesa, e lavora in canonica e in giardino. In questi cinque anni la sua fede si rafforza, la sua devozione si arricchisce, il suo savoir-faire cresce, e i l suo faire-savoirsi sviluppa. A Le Pin ritorna un giovane alto e bello, dagli occhi chiari, con i capelli ricci e che sa parlare, compagnone qualificato nei banchetti di nozze e nelle feste campagnole e cantore trascinante nella chiesa del villaggio. A diciotto anni sposa la sua vicina Louise Godin. di otto anni maggiore di lui. che gli dà undici figli, di cui, nel 1793, restano loro solo quattro figlie e un figlio.
L a Rivoluzione Jacques è venditore ambulante. Attraversa il paese, i villaggi e le fattorie a vendere pettini e saponette, filò e aghi, lana e fazzoletti di Cholet. zucchero e sale, medaglie e corone del rosario, che vanno a ruba presso i suoi clienti angevini. Gioviale e servizievole, franco e leale, robusto e fine, con i l volto vivace e dolce, la voce chiara e conquistante, vende la sua mercanzia e commenta le novità. Che sono cattive. La Costituzione Civile del clero vuol separare vescovi e sacerdoti da Roma e imporre loro il giuramento che a Le Pin come a La Chapelle-duGenèt rifiutano. E l'ora della prova e della persecuzione. Cathelineau moltiplica i pellegrinaggi a NotreDame de Charité. a Saint-Laurent-de-la-Plaine e a Notre-Dame de Bon Secours a Bellefontaine. Di notte, con la croce processionale davanti, i parrocchiani supplicano la Vergine di conservare la fede
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cattolica: «Confido, Vergine, nel vostro soccorso». ta. A partire dal giorno seguente, secondo Jean Un suo amico, don Cantiteau, ne è testimone: «Spes- Blon. suo cugino, la decisione di Cathelineau, lunso solo lui era la guida, il conduttore di centinaia di gamente maturata, viene presa. Egli si pulisce le persone che lo seguivano. Giti sostenuto — come mani dalla pasta per il pane casereccio che sta per pare — da qualcosa di più che umano, percorreva cuocere nel forno. La moglie gli si getta al collo, lo avanti e indietro, per supplica di non lasciarla quindici o diciotto volte, sola con i cinque bimbi tre leghe, cantando e inferiori ai dodici anni. Cronologia della guerra di Vandea facendo in questo modo «Abbi fiducia — risponnella Rivoluzione francese il viaggio». Oggi non è de —. Dio, per cui vado fino alla morte di un sacerdote a guidare la a combattere, avrà cura Jacques Cathelineau (1789-1793) processione. Domani di voi». Prende una spanon sarà un nobile a guida, si mette un rosario al dare l'insurrezione. E collo, si appunta un Sa5 maggio 1789 Riunione degli Stati GeneJacques Cathelineau, un cro Cuore sul petto e parrali laico, un semplice fedete, per la causa di Dio, 17 giugno 1789 II Terzo Stato si proclama le, fedele alla sua fede e seguito da ventisette uoAssemblea Nazionale alla sua coscienza damini senza fucile, con 12 luglio 1790 Costituzione Civile del vanti a Dio e davanti agli una forca, una falce in Clero uomini. mano e, nel cuore, una 27 novembre 1790 Giuramento Costitufede invincibile. Fra loro Da Parigi non giungozionale non vi sono né ufficiali, no più solamente cattive 13 aprile 1791 Condanna della Costituzioné nobili, né sacerdoti. È notizie, arrivano misure ne civile da parte di Papa Pio V I il popolo, il buon popolo persecutorie. Don Can30 settembre 1791 L'Assemblea Legislatidei Mauges, sono laici, titeau si deve nascondeva succede all'Assemblea Costituente brave persone, di modere. Cathelineau lo rassi20 aprile 1792 L'Assemblea Legislativa stacondizione, tessitori, cura: «State tranquillo, carpentieri, calzolai, dichiara guerra al re di Boemia e d'Ungheria Signor Parroco, con la contadini. Cathelineau fa 27 maggio 1792 Legge che esilia i sacermia cassa di mercanzia aprire la chiesa: «Voi non doti che rifiutano i l giuramento porterò di casa in casa potete combattere — la vera fede». 22 agosto 1792 Primi moti di massa dei dice ai vecchi, alle donvandeani a Chàtillon-sur-Sèvre e a Bressuire ne e ai bambini —, pre21 gennaio 1793 Esecuzione di Luigi X V I Il combattimento 0 gate per il successo del1 febbraio 1793 L a Convenzione dichiara per Dio le nostre armi». Gli uoguerra all'Inghilterra mini, che si sono tolti il 24 febbraio 1793 La Convenzione ordina cappello davanti al CroE questa fu, improvvila leva di 300.000 uomini cifisso, cantano l'inno samente, la scintilla. La . Marzo 1793 Sollevazione della Vandea della Passione con CaConvenzione decreta Militare e conquista del territorio thelineau, che li trascina l'arruolamento in massa 29 giugno 1793 Sconfitta dei vandeani a certamente a combattedei cittadini per sbarrare Nantes re per il Re, ma si tratta la via dell' Oriente all' indi Cristo Re: vasione straniera, 6.202 volontari per i l Maineet-Loire, dei quali 701 per il solo distretto di SaintFlorent. Sono i giovani del popolo che si sollevano. La piccola nobiltà, che non è potuta emigrare, cerca di farsi dimenticare. I l clero, che non è potuto andare in esilio e che rifiuta i l giuramento, si nasconde e cerca di calmare g l i animi. La gente del popolo, sfinita dai dispiaceri, rosa dalle indignazioni e dalle preoccupazioni, giovani contadini, artigiani e commercianti rifiutano di servire un regime che li disprezza e li perseguita. Un grido unanime solleva i villaasi e le fattorie, sale dalle case e dalle cantine: 7 CC «Non parti remo», lì 12 marzo 1793, a Saint-Florent, avviene la scaramuccia tante volte descritta e narra-
Vexilla regis prodeunt Fulget Crucis mysterium Qua vita mortem pertulit Et morte vita protulit Avanzano gli stendardi del Re Risplende il mistero della Croce Su cui la vita ha sopportato la morte e con la sua morte dà la vita. E così si darà, sotto lo stendardo del Re del Cielo, la vittoria di questi giovani contadini inesperti e la sconfitta dei repubblicani, battuti dagli irresistibili 3
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colpi di raspa del capo più prestigioso e più popolare della guerra di Vandea. condotta da uomini e da capi fra i diciotto e i trentaquattro anni. Cathelineau meriterà il bel titolo di «Santo dell'Anjou».
II soldato di Dio
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Questo fu il carattere popolare della guerra di Vandea. a imitazione del capo, Cathelineau, democraticamente eletto: un combattimento per Dio.
Come Giovanna d'Arco
A Saumur un testimone racconta: «Tutti i vandeani, Cathelineau fa un segno di croce e si lancia. Lo sia i capi che i soldati, portavano sul cuore uno seguono tutti. La guerra di Vandea è cominciata. scapolare su cui erano le lettere iniziali dei santi nomi Incredibile epopea vittoriosa che porta questi insorti di Gesù e di Maria, attorno a un cuorefiammeggiante. di Dio, da Jallais a ChemilMoltissimi portavano il lé, e vola di vittoria in vittorosario». ria, da Cholet a Saumur e a Dall'alto, Cathelineau Jacques Cathelineau (1759-1793) Nantes, dove un colpo morarringa le truppe con la tale colpisce al petto i l gesua bella voce: «GuardaNasce a Le Pin-en-Mauges. nel dipartimento nerale in capo. Riportato a te le torri della fortezza. del Maine-et-Loire, il 5 gennaio 1759. Saint-Florent, vi muore il Presto ne sarete i padroStudia per cinque anni presso la parrocchia di 14 luglio: «Il Buon Cathelini. Le forze principali delLaChapelle-du-Genèt, forse per diventare sacerneau — annuncia suo cugidote, quindi è muratore e a diciotto anni si la Repubblica sono a Sauno Jean Blon — ha reso sposa. Ha undici figli, di cui cinque ancora vivi mur. Questa piazzavi farà al momento della sua morte. l'anima a Dio, che gliepadroni del corso della Poco prima della Rivoluzione cambia attività Vaveva data per vendicare Loira. La via verso Parie diventa vetturale e venditore ambulante; così la sua gloria». gi sarà aperta. Allora entra in contatto con molte persone e acquisisce Dall'inizio alla fine di rialzeremo gli altari e riuna grande influenza nella zona. Naturalmente questi quattro mesi Cathemetteremo il re sul suo eloquente, non aveva paura di niente e di neslineau è i l soldato di Dio. trono». suno. Con una fede molto viva, commentava a che fa mettere i propri uoUtopia ! diranno gli scetsuo modo gli avvenimenti del giorno. Quando mini in ginocchio per chietici. Ma Napoleone, che viene abolito il culto, guida più volte centinaia dere, con il grande scontro di parrocchiani in pellegrinaggi notturni a Saintera un esperto di uomini e di Chemillé, i l soccorso del Laurent-de-la-Plaine e a Bellefontaine. di soldati, scriverà nelle Il 13 marzo 1793, mentre sta facendo il pane, Dio degli eserciti, e che l i sue Memorie: «Catheliha la notizia della rivolta dei coscritti a Saintlancia in combattimento al neau aveva ricevuto dalFlorent-le-Vieil e decide di sollevare tutta la grido «Soldati di Gesù Crila natura le principali regione contro l'empietàrivoluzionaria:riuniti sto, avanti! Con le baionetqualità di un capo militaattorno a sé una trentina di parenti e di amici, si te, le picche, i bastoni!». re: l'ispirazione a non lancia nella guerra e s'impadronisce del castello Dal Bois-Grolleau alla lasciar mai riposare né i di Jallais e, il giorno seguente, di quello di chiesa di Saint-Pierre de vincitori, né i vinti. Nulla Chemillé. Con tremila uomini si unisce a Nicolas Cholet, con i l loro capo, avrebbe potuto fermare Stofflet, e i l 19 marzo insieme a lui prende recitano ininterrottamente la marcia degli eserciti Cholet, Vihiers e Chalonnes; il 23 aprile si il rosario, prima di cantare impadronisce di Beaupréau, il 5 maggio di regi. La bandiera bianca Thouars, il 14 maggio, a La Cl)àtaineraie, batte il Te Deum. avrebbe sventolato sulle il generale Chalbos, ma il 16 è battuto aFontenay ; A Fontanay Cathelineau torri di Notre-Dame priil 23 giugno conquista Angers. Rivelatosi importa religiosamente la croma che fosse possibile alle mediatamente il più popolare dei capi vandeani, ce processionale con cui guiarmate del Reno correre dopo la presa di Seamur, il 9 giugno, viene dava — come ho detto — i in aiuto del loro govereletto generalissimo dell'armata cattolica e repellegrinaggi di Notre-Dame no». gia. La scelta, fatta dagli stessi nobili, rendeva de Charité e di Notre-Dame In verità, Cathelineau, omaggio al suo valore e sottolineava il carattere di Bellefontaine. Con la sua come Giovanna d'Arco, eminentemente popolare della rivolta. voce forte, chiara e trascialimentava la sua ispiraFerito a morte il 29 giugno 1793. nel corso nante, lancia i l suo appello: zione e la sua determidell' attacco a Nantes, èriportatoa Saint-Florent«Se durante la carica vi rinazione a un ' altra fonte : le-Vieil, dove spira il 14 luglio. cordate di essere soldati di «Il primo movente che Gesù Cristo, vi avventerete lo fece soldato — dirà come leoni sui barbari nedon Cantiteau — fu la sua devozione: lo zelo mici del suo nome e delle vostre famiglie. Coraggiosi ardente perla gloria del suo Dio, Usuo attaccamenCompagni, raccomandate l'anima a Dio». to alla fede cattolica, il desiderio di vedere la monar-
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chia restaurata, ecco i primi e principali motivi che gli hanno fatto prendere le armi e che lo hanno reso intrepido in mezzo ai maggiori pericoli. Nella sua generosa decisione non entrarono assolutamente l'ambizione, il desiderio di fare la propria fortuna, di conquistare gloria e di farsi un nome».
Il Santo delPAnjou Cathelineau comincia la guerra con la forza di un crociato, la conduce come un capo militare di grande sagacia e bravura, con coraggio e con prudenza. Nel momento del consiglio, si fa ascoltare. Nel momento del combattimento, si fa seguire. Tutti hanno una fiducia illimitata nella sua parola. Per tutti è «il Santo dell'Anjou». E lo storico lo nota: finché fu alla testa dell'esercito vandeano, lo mantiene sempre all'apogeo della sua grandezza, «un popolo di giganti», dirà il vincitore di Austerlitz. la cui anima di corso comprese la fede dei Mauges e l'ammirò. Le testimonianze sono innumerevoli. Secondo la marchesa di Roche de laRochejacquelein. «non si è mai visto un uomo più dolce, più modesto e migliore. Era dotato di un 'intelligenza straordinaria, di un 'eloquenza trascinante. I contadini l'adoravano e gli portavano un grandissimo rispetto. Da molto tempo aveva una grande fama di devozione e di temperanza, al punto che i suoi soldati lo chiamavano il Santo dell'Anjou». Secondo Boutillier de Saint-André, «il suo valore mirabile, il suo zelo a tutta prova, il suo disinteresse ispiravano una fiducia illimitata ai soldati, che ai suoi ordini facevano miracoli. Era amato dai contadini soprattutto per la sua compassione e perché, nato nella loro classe, ne aveva conservato il costume, i modi e il linguaggio. Per questi motivi venne scelto come generalissimo dell 'esercito vandeano, e il semplice mercante di filo fu comandante, senza la sia pur minima opposizione, di grandi signori, sottomessi volontariamente alla sua autorità». Secondo don Cantiteau, «aveva veramente la fede». L'ultimo messaggio alla moglie fu questo: «Mia cara Louise, alleva i figli nel timor di Dio. Ripeti loro spesso che il loro padre, prendendo le armi, cercava solamente di salvare la religione cattolica nella quale sono stati battezzati. Offro la mia vita perché possano crescere da buoni cristiani nella pace religiosa». Come dice D. Autichamp, sarebbe impossibile negare che Dio ispirò Cathelineau. La liturgia odierna ci invita a meditare le parabole del Regno dei Cieli. Indubbiamente. Cathelineau, a due secoli di distanza, costituisce per noi una parabola vivente del Regno. Cathelineau fu un cristiano fervente, fedele alla sua coscienza fino all'eroismo, fedele al Dio del Cielo e al Papa di Roma fino
all'effusione del sangue. Questo è tutto il segreto della sua epopea: sfida le analisi umane, ma realizza il disegno di Dio.
Il sangue versato per Dio Come Giovanna d'Arco — Jacques Cathelineau ne era convinto —, la sua ispirazione gli veniva dall'Alto: «Dio ci ha chiesto di combattere — dice —perché non avevamo altro mezzo per affermare la nostra fede. Ma non e certo che otterremo la pace religiosa con le anni. Il sangue che si versa per Dio non è mai perso. Con quello di Cristo serve alla redenzione del mondo». Non sono le parole di un capobanda, ma di un figlio della Chiesa, di un uomo di fede e di speranza, d'amore e di pace. Oggi, nella nostra Francia, nella nostra Europa, nel nostro mondo, abbiamo tanto bisogno di fede e di speranza, d'amore e di pace. Cathelineau ce ne mostra la sorgente. Fratelli, come Cathelineau ha fatto tante volte nella sua giovinezza felice e gioiosa, come ha fatto nella sua lotta dolorosa e gloriosa, entriamo nel grande mistero dell'Eucaristia, memoriale del sacrificio della Croce, su cui Cristo ha versato i l suo sangue per la salvezza dèi mondo. Permettetemi, concludendo questa rievocazione troppo breve del Santo dell'Anjou. nel bicentenario del versamento del suo sangue per il diritto della coscienza, per la libertà religiosa, per la fedeltà alla Chiesa cattolica, di citare quel grande vescovo d'Angers che fu mons. Chappoulie, nell'invito alla commemorazione del 1959: «L'omaggio che renderemo al "Santo dell 'Anjou " ci insegnerà a conservare piamente nei nostri cuori il ricordo di quanti, con lui, lottarono e caddero eroicamente per affermare, di fronte a un potere centrale che trasformava il regime di Francia in una macchina da guerra contro la fede religiosa e contro la fedeltà alla Chiesa nostra madre, contro i diritti di Dio e della coscienza. « Venerando Cathelineau, non dimenticheremo che, senza il magnifico sacrificio dei vandeani, Bonaparte non avrebbe reso così rapidamente alla Francia il diritto di cantare il Credo dei suoi padri. Senza la morte di migliaia di loro, le nostre chiese non avrebbero ritrovato in una volta sola i loro sacerdoti e le loro campane. Saremmo colpevoli di ingratitudine non ricordandoci che alla Vandea schiacciata sui campi di battaglia Dio diede la vittoria della causa sacra per cui i suoi figli caddero con Cathelineau». Fratelli, dobbiamo avere i l suo stesso coraggio della fede, lo stesso ardore della speranza, lo stesso fervore dell'amore. Amen. * Card. Paul Poupard Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura
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Nel bicentenario della rivolta — ,r-.».. y.
Onore alla memoria della resistenza e del sacrificio degl'insorti vandeani del 1793 contro la Rivoluzione
Sabato 25 settembre 1993, in Francia, invitato dal presidente del consiglio generale di Vandea, Philippe de Vdliers, lo scrittore russo Aleksandr IsaevicSolzenicyn ha presenziato all'inaugurazione di un monumento a Les Lucs-sur-Boulogne, dedicato, in uno dei luoghi più significativi del martirologio vandeano, a ricordare l'insorgenza popolare contro la Rivoluzione detta francese, una rivolta scoppiata appunto nel 1793. Dell'avvenimento ha dato notizia la stampa internazionale, soprattutto — evidentemente — quella francese. Il quotidiano parigino Le Monde, del 28 settembre 1993, ne ha fatto ampia cronaca, riportando anche il testo del discorso, pronunciato dallo scrittore di fronte a circa trentamila persone, con il titolo «Toute révolution déchaîne les instincts de la plus élémentaire barbarie» e sottotitoli. Il nuovo titolo e la traduzione sono redazionali Due terzi di secolo fa, quand'ero bambino, leggevo già con ammirazione nei libri i l racconto che rievocava l'insorgenza della Vandea, così coraggiosa e così disperata, ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che da vecchio avrei avuto l'onore di partecipare all'inaugurazione del monumento in onore degli eroi e delle vittime di tale insorgenza. Sono passati venti decenni, decenni diversi a seconda dei diversi paesi, e non solo in Francia, ma anche altrove, l'insorgenza vandeana e la sua sanguinosa repressione sono state sempre di nuovo illuminate. Infatti gli accadimenti storici non sono mai compresi pienamente nell'incandescenza delle passioni che l i accompagnano, ma a una discreta distanza, quando vengono raffreddate dal tempo. Per molto tempo si è rifiutato di ascoltare e di accettare quanto era stato gridato dalla bocca di coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una terra laboriosa, per i quali sembrava fosse stata fatta la Rivoluzione, ma che la stessa Rivoluzione oppresse e umiliò fino all'estremo limite, ebbene, proprio questi contadini si ribellarono contro di essa! I contemporanei avevano ben colto che ogni rivoluzione scatena fra gli uomini gl'istinti della barbarie più elementare, le forze opache dell'invidia, della rapacità e dell'odio. Essi pagarono un tributo decisamente pesante alla psicosi generale, quando il fatto di comportarsi da uomini politicamente moderati, o anche soltanto di sembrarli, veniva già considerato un crimine. II secolo ventesimo ha notevolmento offuscato agli occhi dell'umanità l'aureola romantica che circondava la rivoluzione nel secolo diciottesimo. Di mezzo secolo in mezzo secolo gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; che danneggiano il
corso naturale della vita; che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori; che nessuna rivoluzione può arricchire un paese, ma solamente quanti si sanno trarre d'impiccio senza scrupoli; che generalmente nel proprio paese produce innumerevoli morti, un vasto impoverimento, e, nei casi più gravi, un degrado duraturo della popolazione.
Uno «slogan» intrinsecamente contraddittorio
Il termine stesso «rivoluzione»—dal latino revolvo — significa «rotolare indietro», «ritornare», «provare di nuovo», «riaccendere», nel migliore dei casi mettere sossopra, una sequenza di definizioni poco desiderabili. Attualmente, se da parte della gente si attribuisce a qualche rivoluzione la qualifica di «grande», lo si fa ormai solo con circospezione, e molto spesso con molta amarezza. Ormai capiamo sempre meglio che l'effetto sociale che desideriamo tanto ardentemente può essere ottenuto attraverso uno sviluppo evolutivo normale, con un numero infinitamente minore di perdite, senza comportamenti selvaggi generalizzati. Bisogna saper migliorare con pazienza quanto ogni giorno ci offre. E sarebbe assolutamente vano sperare che la rivoluzione possa rigenerare la natura umana. Ebbene, la vostra Rivoluzione, e in modo assolutamente particolare la nostra, la rivoluzione russa, avevano avuto questa speranza. La Rivoluzione francese si è svolta nel nome di uno slogan intrinsecamente contraddittorio, e irrealizzabile: Libertà, uguaglianza, fraternità. Ma, nella vita sociale, libertà e uguaglianza tendono a escludersi reciprocamente, sono antagoniste: infat-
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14 — /V. 222 ottobre 1993 Cristianità ti, la libertà distrugge l'uguaglianza sociale, è proprio questa una della funzioni della libertà, mentre l'uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere. Quanto alla fraternità, non è della loro famiglia, è un'aggiunta avventizia allo slogan: la vera fraternità non può essere costruita da disposizioni sociali, è di ordine spirituale. Inoltre, a questo slogan ternario veniva aggiunto con tono minaccioso «o la morte», il che ne distruggeva ogni significato. Mai, a nessun paese, potrei augurare una «grande rivoluzione». Se la Rivoluzione del secolo diciottesimo non ha portato la rovina della Francia è solo perché vi è stato Termidoro. La rivoluzione russa non ha conosciuto un Termidoro che abbia saputo arrestarla, e, senza deviare, ha portato il nostro popolo fino in fondo, fino al gorgo, fino all'abisso della perdizione. M i spiace che non vi siano qui oratori che possano aggiungere quanto ha insegnato loro l'esperienza all'estremo limite della Cina, della Cambogia, del Vietnam, a dirci che prezzo hanno dovuto pagare, da parte loro, per la rivoluzione.
Le grandi insorgenze contadine
L'esperienza della Rivoluzione francese avrebbe dovuto bastare perché i nostri organizzatori razionalisti della «felicità del popolo» ne traessero lezioni. Ma no! In Russia tutto si è svolto in un modo ancora peggiore, e in una dimensione senza confronti. Numerosi procedimenti crudeli della Rivoluzione francese sono stati docilmente applicati di nuovo sul corpo della Russia dai comunisti leniniani e dagli specialisti internazionalisti, soltanto i l loro
A Les Lucs-surBoulogne, il 28 febbraio 1794, le truppe della Rivoluzione massacrano 564 persone, dai 15 giorni agli 84 anni. L'eccidio raffigurato in una vetrata, nel transetto della chiesa parrocchiale di Saint-Pierre, opera del mastro vetraio Lux F o u r n i e r , nel 1941.
grado di organizzazione e il loro carattere sistematico hanno ampiamente superato quelli dei giacobini. Non abbiamo avuto un Termidoro, ma — e ne possiamo esser fieri nella nostra anima e nella nostra coscienza — abbiamo avuto la nostra Vandea, e più d'una. Sono le grandi insorgenze contadine, quella di Tambov nel 1920-1921, della Siberia occidentale nel 1921. Un episodio ben noto: folle di contadini con calzature di tiglio ('), armate di bastoni e di forche hanno marciato su Tambov, al suono delle campane delle chiese del circondario, per essere falciate dalle mitragliatrici. L'insorgenza di Tambov è durata undici mesi, benché i comunisti, per reprimerla, abbiano usato carri armati, treni blindati, aerei, benché abbiano preso in ostaggio le famiglie dei rivoltosi e benché fossero sul punto di usare gas tossici. Abbiamo avuto anche una resistenza feroce al boscevismo da parte dei cosacchi dell'Ural, del Don. del Kuban, di Tersk, soffocata in torrenti di sangue, un autentico genocidio. Inaugurando oggi il Monumento della vostra eroica Vandea, la mia vista si sdoppia: vedo con la mente imonumenti che verranno eretti un giorno, in Russia, testimoni della nostra resistenza russa allo scatenamento delle orde comuniste. Abbiamo attraversato insieme a voi il secolo ventesimo, un secolo di terrore dall'inizio alla fine, terribile coronamento del Progresso tanto sognato nel secolo diciottesimo. Oggi, penso, crescerà sempre più il numero dei francesi che capiscono meglio, che valutano meglio, che conservano con fierezza nella loro memoria la resistenza e il sacrificio della Vandea. Aleksandr Isaevic Solzenicyn
(') Calzature popolari in scorza di betulla (ndr).
il Giornale
L'eroe proibito Dalla Vandea alla Bretagna: viassio revisionista attraverso due secoli di memorie. Tra spiagge, isole e fortezze la ricerca del filo rosso che grazie al passato ci fa capire il nostro presente
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NANTES Piero Buscaroli
la Place d'Armes, che cercavamo, adesso si chiama Viarmes, precisa la signorina al Castello. Saliamo, a piedi, in un quartiere ricostruito a casaccio dopo i bombardamenti inglesi e americani, che non furono sull'amica Francia, in attesa di «liberazione», più pietosi che sulla Germania e l'Italia. Curiosa inoppugnabile sorpresa. Place Viarmes è un'immensa baraonda bordata d'orribili edifici d'ogni moderna specie. Su un lato un orrendo albergo, su quello opposto cartelloni pubblicitari nascondono la nascita di qualche altra orrenda cosa. Quando si danno al brutto, i francesi, non l i passa nessuno. Il vento veloce solleva un polverone che fa turbinare migliaia di foglietti, pianetine oianche Ti qualche gelato a po-
co prezzo. Banchetti, trespoli, avanzi, dicono d'un mercato appena smontato. Della fucilazione, di cui cerchiamo il posto, solo il nome di un ristorante, «Le Charette», chiuso. Al bar vicino domandiamo se non vi sia un ricordo di quell'avvenimento di due secoli fa. Senza gentilezza mostrano col dito un angolo in fondo, nell'ombra dei platani. C'è, infatti, insolentemente circondata di paracarri e stupidi segni bianchi in terra, una vecchia grande croce di pietra giallastra, il sacro cuore vandeano al centro. Nel basamento, la targa di ghisa, ossidata, corrosa, quattro piccoli gigli agli angoli: «lei a eté fusillé/pour son Dieu et son Roi/le general vendéen Charette de la Contrie. 29 mars 1796». I «blu» del generale Travot l'avevano catturato sei giorni prima nei boschi della Chabotterie, il castello d'un seguace, nel cuore della Vandea. Di tre anni di battaglie e di agguati, delle migliaia di contadini soldati, che al suo richiamo si addensavano filtrando tra paludi e foreste, per poi tornare a dissolversi verso le loro case, gli rimaneva una trentina di fedeli comprese le donne, le ragazze che sempre lo seguirono nelle sue imprese. I l clero si era piegato al nuovo regime, preti e abati lo denunciavano. I l conte d'Artois, il futuro Carlo X, atteso fino allo spasimo sulle spiagge dell'Atlantico, era l'ultima speranza. Ma non venne, e la speranza si spense. Gli ultimi passi della sua guerra, Charette l i mosse a piedi. Affidò il cavallo a un contadino, che si affrettò a consegnarlo ai soldati del generale Hoche. Riunì i suoi ultimi volontari e dichiarò, «con una dolcezza che non era più nelle sue abitudini. Siamo traditi, venduti, a
voi resta la speranza di confondervi nella folla. Legato al giuramento al mio Re, io non posso lasciare il mio posto senza il suo ordine, la mia fede mi prescrive di aspettare il destino. Rassegnato ai decreti della Provvidenza, mi difenderò da soldato, e morirò da cristiano». Non disse che aveva scritto a Luigi XVIII: «Sire, la viltà di Vostro fratello ha rovinato tutto. Egli poteva sbarcare su queste coste, e tutto perdere, o tutto salvare. Il suo ritorno in Inghilterra ha segnato la nostra sorte. Non ci resta che morire, inutilmente, al Vostro servizio». Il Re e la Provvidenza di Charette erano rimasti nei cieli sublimi che risplendono sugli eroi. Fortunati i popoli che hanno i loro eroi, per quando ne hanno bisogno. La mattina del 23 marzo 1796 i centomila uomini dell'armata di Hoche, su quattro potenti colonne, mossero per farla finita con quei trenta che fecero tremare la Repubblica. Una, che veniva da Chauché, al comando del generale Travot, s'imbattè nel piccolo sruppo del generale vandeano, già ferito. Charette spara sull'aiutante generale Valentin, manca il colpo, e i «blu» lo incalzano con fuoco serrato. Lo salva, ancora una volta, Pfeiffer, l'attendente tedesco che, come in un travestimento da «Don Giovanni», si mette in testa il cappello col pennacchio bianco che Charette si ostina a portare, e così attira su di sé la fucileria repubblicana, cadendo subito ucciso. Charette sfugge per l'ultima volta, incappa in un'altra colonna, i suoi cadono, è di nuovo ferito. Tenta di passare un torrente che lo separa dalla foresta, si difende come un diavolo, un colpo di spada gli tronca due aita. La sua resistenza sovrumana cede, è a terra, stremato. I l domestico, Bossard, e due compagni lo prendono a braccia, Bossard è ucciso, e subito dopo i l giovane La Roche-Davo, il terzo si carica il suo generale sulle spalle, ma presto crolla, taglia un stran ramo di frassino, ce To nasconde sotto, ma il generale nemico che accorre in persona con tre dei suoi «blu», lo scorge: «C'est lui, c'est Charette!»,
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agosto 1996
e si getta sul corpo disteso. Accecato dai sangue d'una ferita, che gli riempie gli occhi, il vinto tace. Uno dei cacciatori «blu» lo riconosce: «Tenez ferme, c'est notre homme!», e Travot, che non crede alla sua fortuna, domanda: «Dov'è Charette?». Eccolo qua, risponde il ferito. La cattura di Charette, riferiscono abbondanti cronache, «mise la Repubblica in delirio». «Fatichiamo, oggi», scrive Michel de Saint Pierre, «a figurarci che cosa rappresentasse quella cattura. La personalità, e poi il mito, del Cavaliere, del capo inafferrabile di immense legioni fantasma, avevano incantato e sconcertato l'Europa. Suvarov, il capo degli eserciti russi, gli scriveva come a collega e maestro. Napoleone, a Sant'Elena, ripenserà alle sue gesta. Rifiutò di andare in Vandea a dare man forte ai colleghi Haxo, Turreau, Hoche, i macellai in uniforme. Restò all'Armata d'Italia e, una volta console, potè dedicarsi a risanare le ferite orrende che i suoi colleghi avevano inferto a questo popolo. I l Concordato del 1802 fu salutato in Vandea come «la vittoria dei vinti». Il giorno di Pasqua, le chiese della «patrie vendéenne» gridarono insieme, con la voce di bronzo delle campane, che i l popolo sterminato viveva ancora. Era stato sul punto di soccombere alle «colonne infernali», come le battezzò Turreau, che ne fu l'inventore e il capo, mandate ad applicare un programma di sterminio sistematico: ancora si legge nel libro scritto da Gracchus Babeuf per incarico di Fouché, che tentò di far dimenticare, coi crimini del «boia di Nantes» e dei suoi compari in uniforme, i crimini suoi propri, nel momento che la reazione termidoriana incalzava verso la ghigliottina gli artefici del Terrore. Riuscendoci, purtroppo, come la successiva carriera testimonia. Al padre del comunismo utopistico dobbiamo perciò, per un curioso pa-
radosso, quella descrizione della strage indiscriminata del popolo vandeano, repubblicani compresi, che s'intitolò: Du systèrne de Depopulation, OLI la vie et les crimes de Carrier». I l « genocide vendéen», così lo definì Raynal Secher, riaprendo la questione nel bicentenario della «rivoluzione diabolica», è il modello delle stragi comuniste nel ventesimo secolo, fino alla «pulizia etnica» perpetrata dai banditi di Tito contro gl'Italiani, a partire dal 1943. Gli storici controrivoluzionari dei nostri tempi, giovani e giovanissimi, come Jean-Joél Brégeon, hanno trovato in Babeuf la conferma di quanto avevano scoperto: che fu realmente intrapresa, in Vandea, a partire dal 1793, la distruzione «scientifica» di una popolazione, giudicata non assimilabile, per conformazione razziale, al resume ateo e repubblicano. Gli storici radicali massoni e comunisti avevano intenzionalmente lasciato in ombra i l libro di Babeuf, perché smentiva, fin dai suoi giorni, l'immagine redentrice della Rivoluzione. Ne denunciava i l meccanismo intimo, di cui il Terrore era il solo esito possibile, con caratteri che si mantennero nel passaggio dal giacobinismo liberale e democratico al bolscevismo: «Col sistema di spopolamento e la conseguente diversa ripartizione delle ricchezze tra i destinati a sopravvivere, tutto si spiega, le guerre della Vandea, la guerra esterna, e proscrizioni, le giiillottinaaes, le foudroyades (folgorazioni, ossia fucilazioni, in massa), le noyades (gli annegamenti in "massa), le confische, le requisizioni, le appropriazioni, le elargizioni a determinate categorie d'individui (...) i l pensiero di Rousseau, spiegava Babeuf, in interpetazione perversa». La massima, «che tutti abbiamo abbastanza, e nessuno troppo», fu trasformata in incitamento a liquidare gli «oziosi», gli «inutili», i «parassiti». I robespierriani, che inventarono a Parigi i l «popolicidio», e Carrier, che l'applicava a Nantes, si erano persuasi che, «a conti fatti, la popolazione francese eccedeva le risorse del suolo», e poiché si era deciso di ridurre i l numero, conveniva comin-
ciare con questi cristiani recidivi e realisti incorreggibili. Fu tra i primi, Babeuf, che portassero nella politica moderna il ricordo di come i Conqidstadores spagnoli imposero il Vangelo agl'Indiani d'America. La républicanisation della Vandea seguì i l modello anche nella scelta delle vittime, «uomini agresti, semplici, buoni, umani, vicini alla natura, e per conseguenza adattissimi a cadere nel tranello della libertà». In America, «pugnale in una mano e crocefisso nell'altra, s'intimava a poveri diavoli, che mai avevano sentito parlare di una tale chiamato Gesù i l Galileo: riconosci il tuo Dio, o ti uccido... Qui, coccarda "nazionale" in una mano, e il ferro nell'altra, gente che mai s'era fatta un'idea della libertà, era convertita con la breve formula: credi nei tre colori, o ti pugnalo. Solo gli scenari sono cambiati, il fondo dei due quadri è identico». L'avo patriarcale dei nostri comunisti poteva ben farci la figura del santone, perché i manovratori del Terrore erano allora i «patrioti» liberali. Ma i clienti di quegl'istituti di rieducazione democratica che si chiamarono ufficialmente Glanvoe Upravlenie Lagerej, e familiarmente Gulag, non faticarono a riconoscere i l profumo delle lontane origini, quando i l glorioso bicentenario si mise in moto. Lo disse Aleksander Solgenitsin, chiamato a inaugurare, due anni or sono, i l «Mémorial de Vandée», eretto su due ettari di campagna, con al centro, alta su una collina, la chiesetta dei Lucs de Boulogne, la città martire della Vandea, nelle cui mura tutta una popolazione fu sterminata, parroco in testa, dal fanatismo dei «blu» repubblicani. Ma, ecco l'imprevista sorpresa, la Storia ufficiale, venerata e truccata in due secoli di tirannide ideologica, rimetteva in moto la sua sorella disprezzata; l'antistoria irrazionale, ribelle alla crudele equazio; ne hegeliana del «razionaj le uguale al reale». L'anti! storia, irrisa e demonizzal ta dai nipotini di Hegel, diI ventava reale e operante 1 controstoria. Contemplata nel suo culmine delinquenziale, spoglia dei suoi panni solenni, la Rivoluzione apparve in tutta la sua miseranda decrepitez-
za. Non più la difendevano i dogmatici falsi, non più riluceva «en bloc» secondo una pretesa idiota e famosa. Ripassati al bucato dell'antistoria, gli «eroi della Rivoluzione» rivelavano la stupidità scientifica dell'astronomo Baillv, la malafede volpina dell'abate Sieyès, la vanità incosciente di Mirabeau, la corruzione di Danton, i l sadismo criminale di Robespierre. L'immagine dipinta dalla storiografia massonica e repubblicana si dissolve nel liquame dei sofismi, delle vergogne, nell'orrore dei fiumi di sangue inutilmente dissipato. Risplende la verità che Alessandro Manzoni vecchio aveva inciso nella pagine stupende del Saggio sulla Rivoluzione, i l grande l i bro stampato nel 1889 a cura di Ruggero Bonghi, che la cultura massonica e progressista riuscì a cancellare per un secolo: la Rivoluzione fu criminale e illegale dal primo giorno, dal 10 giugno 1789, e non lo divenne poi, come si è preteso, per gradi successivi. Cni sono più i Robespierre e i Carrier, i loro complici militari, grondanti palmette dorate, cordoni e galloni? Non più che ruote sdentate, pulegge rugginose di un potere perverso, che pervertì la Francia, e poi l'Europa. E, invece, risorge Charette, risorgono il carrettiere Cathelineau. il guardiacaccia Stofflet, i nobili ufficiali dell'armata reale, d'Elbée, Lescure, Bonchamp, i due fratelli de la Rochejaquelein, il più giovane dei quali, Henri, aveva appena vent'anni quando agl'insorti che lo eleggevano loro capo, rispose con una frase che doveva fare lunga carriera: «Io sono un ragazzo, ma col coraggio mi mostrerò degno 3i comandarvi. Se avanzo seguitemi. Se indietreggio uccidetemi, Se muoio vendicatemi». Mantennero la parola. Lui, e loro. Risuonano i gridi dei martiri sconosciuti, diffamati, cancellati. Dalle brume dell'offesa partigiana, che li aveva ridotti avanzi irresponsabili e folcloristici di arretratezza barbarica e provinciale incapacità a comprendere il nuovo, riemergono la buona fede, il coraggio, l'intelligenza: «Charette mi dà l'idea di un grande carattere... Lascia trasparire il genio», rifletteva Napoleone a Sant'Elena, E Las Cases stenografava.
Il genio. Atterrato dalla sua sventura, il capo di nazioni e di eserciti si chinava sulla sventura del capo d'una piccola nazione, e dei suoi improvvisati eserciti, fucilato a trentatré anni. Napoleone sapeva quel che gli storici negarono e nascosero. Che quella morte, mettendo fine alla rivolta di Vandea. aveva privato del suo ultimo baluardo il più antico dei troni di un'Europa cristiana, che non sarebbe stata cristiana come prima. Bonaparte sapeva, come Carnot, come Hoche. che mai la Repubblica era stata messa in pericolo dall'invasione esterna, come nel 1795 in Vandea. di dove l'invincibilità e l'inafferrabilità di Charette si erano propagate lino a Parigi come un presagio di catastrofe. Se soltanto il Re, i l suo fratello fellone, avessero osato sbarcare. Quando gli annunciarono la cattura di Charette, il generale Grigny mandò a Hoche un messaggio che soltanto gl'ignari trovarono stupefacente: «Charette è in nostre mani... Complimenti, mio caro generale! In verità dopo questa notizia siamo come ammattiti!». Tutto resta, ogni parola è testimoniata. La Repubblica fu logorroica e grafomane, le sue carte imbottiscono gli archivi. Aila tribuna del Direttorio, celebrano Hoche e Travot: «Eccoci infine liberati del più crudele nemico della República!». In tutti i teatri di Parigi il governo fa annunciare l'evento come «une des ees victoires qui sauvent les nations». Vittoria- ch'era costata alla Vandea la mone di trecentocinquantamila uomini, donne, bambini. Quattrocentomila, secondo altri.
Manifestazioni e mostre per il bicentenario della morte de «Le Roi de 1 24 marzo 1796, ChaVendée»
rette, prigioniero e coperto di ferite, è issato a cavallo, ai lati i generali Travot, Valentin e Grigny. Alla testa di una forte colonna, partono per Angers. I l 25 sopporta fieramente «la curiosité insultante du peuple». I n carcere lo affidano a un medico, per ammazzarlo con le parvenze di un sano. «Soffro molto», dice i l prigioniero. Gli medicano la ferita alla fronte, bendano il braccio ferito, la mano squartata, le dita mozzate. I l 26, vigilia di Pasqua, i generali vittoriosi lo invitano a pranzo per soddisfare la loro curiosità. Gli rendono i riguardi che credono di dovergli. Manca alla festa il solo Hoche, alle prese con gli ultimi sciuani normanni di Louis de Frotté. Charette mangia con appetito, parla con naturalezza. Sulla veste lacera porta il crocefisso, la croce di San Luigi, i tre gigli d'oro. «Perché si è lasciato catturare vivo?». Risponde: «Io mi sono battuto per la mia religione, signori. Avrei commesso un crimine contro le leggi divine, se mi fossi tolto la vita io stesso», e, dopo una pausa: «A ogni modo, proverò che non temo la morte».
Gli ufficiali blu cominciano a trovare questo nemico molto simpatico. Vorrebbero mandarlo a Parigi, dove, con la nuova aria che tira, avrebbe forse la vita salva. Ma i l comandante della piazza di Nantes, Duthil, rivendica alla città i l diritto d'essere «teatro dell'esecuzione del capo dei briganti». I l 28 lo interroga: «Dove sono i vostri ufficiali?». «Si sono arresi». «Dove sono ora?». «Dovreste saperlo meglio di me». «Chi dava gli ordini?». «Io solo, signore». Poi viene a Duthil l'idea, «singulière et cruelle», di una passeggiata per la città. Le idee dei boia. I generali della monarchia austriaca, dopo aver condannato Cesare Battisti, ne organizzarono una simile, per le vie di Trento, vile e torva, fin sotto casa sua. Le Roi de Vendée, come lo chiamarono, tra l'esaltazione e il dileggio, fu condotto per tutta la città «in un apparato che sembrava più adatto a un assedio, che alla scorta di un prigioniero coperto di ferite», osservò il primo biografo di Charette, Le Bouvier Desmortiers, nel 1823. Aprivano i l corteo i Cavalleggeri della Mili, seguivano cinquanta tamburini e cinquanta musicisti, alternando sinfonie militari e rullìi funebri, per attrarre la folla alle finestre. Poi i granatieri e i cacciato;! dell.r Guardia nazionale e, impennacchiati e trionfanti, i Duthil, Travot, Grigny, tre altri generali caracollanti, che rispondevano ai «Vivati» del popolaccio, già tutto coi vincitori. Seguiva Charette, sfinito e sanguinante, a piedi, attorniato dai gendarmi. Senza cappello, un fazzoletto alla creola a coprir la ferita alla fronte, sangue colava dalla ferita alla spalla, al collo un foulard bianco, al posto dei preziosi ricami di un tempo, la mano destra in un altro fazzoletto insanguinato.
Così si celebra la vittoria d'uno sconfitto La marcia ha qualche cosa di un calvario. Un ufficiale che gli tende, per pietà, la tabacchiera, vede le dita scarnite e mozzate. Eppure un testimone osserva «lair extraordinairement fier et imposant», la fronte alta, il colorico pallido, la barba, «gli occhi di fuoco, per quanto infossati». Due ore dura l'odiosa mascherata. Un testimone repubblicano scrisse: «Barbari e selvaggi danzano intorno alla vittima... tutt'altro che abbatterlo o umiliarlo, questa pompa e questo sfoggio servirono soltanto a rivelare la sua grandezza d'animo, la sua pazienza, la sua fermezza». Rivolgendosi a Duthil, i l condannato gli dice i l suo rimorso per non averlo saputo prendere e fucilare. Alla sorella e alla cugina, ammesse a visitarlo in carcere, chiede di trattenere le lagrime; «Ho bisogno del mio coraggio...». «Mi disse la signorina Charette», scrive Le Bouvier Desmortiers, «che non lo aveva mai sentito conversare con tanto spirito, e così amabilmente...». I l morituro radunava e distribuiva, quasi con astuzia, le ultime forze. Pensava, come i veri grandi, alla posterità. Volle scrivere a Boetz, il sarto fiammingo suo amico, che avrebbe cercato di fargli pagare il suo debito.
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l 29 mattina «il flagello della Patria» subì il processo, assunse le sue responsabilità, respinse quelle altrui, fu condannato a morte, e l'esecuzione fissata per le quattro del pomeriggio. Accettò di confessarsi a un prete assermenté sol quando fu sicuro che, nonostante il giuramento alla Repubblica, la confessione era egualmente valida. Nuova marcia e mascherata alle quattro. Il condannato appare, in cima alla scalinata del Bouffay, «fiero, padrone di sé, imponente», nel totale silenzio. Un insulto risuona, Charette folgora con lo sguardo l'offensore che scompare nella folla. Scende gli scalini, conversando a voce bassa col prete che l'accompagna. Sull'abito spoglio spicca «l'ultima coquetterie»: la ferita alla testa e racchiusa dentro un foulard indiano rosso, annodato alla creola, un'alta cravatta bianca gli serra i l collo a nascondere la barba che non gli hanno permeso di radere; sulla giacca, alla spalla, si allarga una macchia di sangue. In rue de Gorge alza gli occhi verso il balcone di
sua sorella, da cui un prete amico, «refrattario», questo, lo saluta col fazzoletto bianco. Sulla Place des Agriculteurs, poi d'Armi, oggi Viarme, lo attendono, impressionante «carré», cinquemila soldati e una dozzina di generali repubblicani, più dorati e impennacchiati che mai. Al rullare dei tamburi Charette, impassibile, entra nel quadrato. Scambia qualche parola con Travot, che lo ricorderà come «un grande capitano, pieno di coraggio e di lealtà». Cerca con gli occhi i l plotone, percorrendo lo schieramento con lo sguardo, come se passasse i n rivista la guarnigione. L'abate assermenté lo prende per i l braccio, lo esorta al coraggio: «Signor abate, ho sfidato la morte cento volte. Le vado incontro, per l'ultima volta, senza sfidarla, senza temerla». Rullano di nuovo i tamburi, poi scende i l silenzio. La folla tace, sospesa. Charette recita a voce alta 1 atto di contrizione, abbraccia il confessore, lancia uno sguardo alla bara aperta, appoggiata al muro e le si pone accanto, diritto, in faccia al plotone di cacciatori che l'hanno catturato. L'ufficiale di servizio gli addita la pietra sulla quale deve inginocchiarsi. Rifiuta, come rifiuta la benda che un soldato vorrebbe mettergli agli occhi. Soltanto chiede che aspettino, a tirare, un cenno della sua testa. L'ufficiale trasmette i l desiderio al comandante del plotone. roit, le front haut», Charette sfila lentamente i l braccio sinistro dalla sciarpa, si raccoglie in un'ultima preghiera, piega la testa in un cenno di invito, il plotone fa fuoco. Soltanto sei pallottole lo colpiscono, sei nel corpo, una alla tempia sinistra. Osserva Le Bouvier Desmortiers che il corpo di un fucilato fa dapprima un movimento all'indietro, poi ricade i n avanti e atterra sulla faccia. «Quello di Charette, che la morte ha colpito, resta in piedi davanti a lei, l'occhio ancor risso sui soldati, la cui scarica ha comandato con lo sguardo. Il corpo cade con moto maestoso, prima si flette la gamba destra, poi l'anca... Più che cadere Charette sembra assidersi nella notte eterna». Uno stuccatore di Nantes, il cittadino Casanne, ebbe ordine di prendere la maschera dell'ucciso, con cui persuadere gl'increduli che l'imprendibile era davvero il morto. 40
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Dovette ripetere l'impresa quattro giorni dopo e rovistare sotto l'orribile mucchio di cavaderi intanto accumulati nella fossa comune, perché era circolata la voce che l'ufficiale comandante le truppe aveva venduto il cadavere ai vandeani: la macabra ricerca sotto lo strato dei freschi cadaveri, la minaccia di diventar presto uno di loro, è un perfetto modello di stile, degno delle successive imitazioni, dal bolscevismo alla resistenza. Le maschere di Charette, lo splendido foulard rosso, i suoi ritratti, le armi, i documenti dell'ufficiale di Marina che fu in giovinezza, del difensore delle Tuileries, del capo di guerriglia che diventò nel 1793, quando i contadini di Machecoul lo elessero loro capo, del generalissimo, al cui grado lo innalzarono i fratelli di Luigi X V I : le stampe che circolarono per tutta Europa dopo la sua morte, la lettera del maresciallo Suvarov; «Eroe della Vandea, onore dei cavalieri di Francia, l'universo è pieno del tuo nome, l'Europa ti contempla, io ti ammiro e mi complimento con te»; i pensieri di Napoleone nell'edizione originale del Memoriale di Sant'Elena, i libri, le raccolte, le biografie, 300, dalla prima del 1823 alle due, fondamentali, di Lenotre (1924) e Saint Pierre (1977), attendono il viaggiatore nella stupefacente esposizione allestita, per i l bicentenario, nel padiglione accanto alla Chabotterie. Acquistato dagli «Amis du Mémorial de Vendée», i l castello, con le sue sale, gli arredi, i solai, i giardini, le armi, i cannoni, i l vasto elegante ristorante, la sala di proiezioni, l'archivio, la libreria, la vendita di ricordi, dalle carte da giuoco alle repliche di oggetti, è diventato museo e baluardo culturale della controrivoluzione. Le strade di Vandea sono disseminate dei cartelli indicatori con la sua effigie: «Sur les pas de Charette», si svolge un affascinante itinerario tra i luoghi delle sue battaglie, dei suoi agguati, dei suoi trionfi, delle sue sconfitte, le chiese, i castelli delle sue feste, le rovine di quelli distrutti per odio e vendetta, le cappelle che gli furono dedicate, le piccole dimore nascoste che gli furono quartier generale, rifugio, alcova. Tutta l'estate vandeana crepita d'incontri, colloqui, mostre, concerti. C'è un'orchestra classica, la «Sinfonietta de Vendée», che si esibisce alla Chabotterie, nelle diverse città, e ai primi di agosto ha suonato la commedia musicale di Jacques Raveleau-Duparc, Charette, ou la victoire des Vaincus, commissionata dagli «Amis du Mémorial».
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otto questa croce, a Place de Vìarme, è cominciato un viaggio, senza mappa e senza programmi, alla ventura del caso. Ma nel caso c'è un ordine, che nasce e si sviluppa da sé. M i ero preso in valigia la ponderosa bio-
grafia del Lenotre, stampata da Hachette nel 1924. L'acquistai a Firenze, dal Gonnelli, l'aprile del '58, e la lasciai dormire in biblioteca, per quasi quarantanni. È la sorte di migliaia di libri, ereditati, ricevuti, comperati in mezzo mondo. M i decisi a leggerla nel bicentenario del martirio. Mentre la leggevo, il Teatro di Ferrara mi commissionò un programma di sala per i l Fidelio di Beethoven. Da tempo m'ero accorto di qualche cosa che gli storici della musica nascondono, per ignoranza o perdurante paura di Robespierre e dei suoi nipoti: che Beethoven scrisse Fidelio come un inno alla libertà, e i tiranni sono Robespierre e Carrier, il'boia di Nantes, che tentò di uccidere, nel carcere di Tours, il giovane aristocratico che nell'Opera è Florestano. Cercavo il boia, trovai l'eroe. Dietro Carrier, che la lurida testa lasciò sulla ghigliottina alla fine del 1794, sorgeva la figura di Charette, fucilato dai complici di Carrier nel 1796. Appena scesi all'aeroporto di Nantes, fittata un'automobiletta nuova, filiamo lungo la Loira, verso St. Nazaire. L'interminabile sequela dei moli e docks che accompagnano i l fiume fino al mare, s'interrompe, di tanto in tanto, lasciando lembi di rive intatte. Poco dopo i l sobborgo di Couèron, oltre Le Port-Launay, mi par di ravvisare, in una chiesetta e un borgo ai piedi delle colline, il luogo di una tremenda stampa di fine Settecento, raffigurante «les noyades de Nantes», gli annegamenti in massa con cui Carrier si sbarazzava dei preti, delle monache, degli uomini, donne e bambini, «nemici della rivoluzione». Sotto la croce eretta sul luogo dove Charette cadde in piedi, i l tempo lordato dai politicanti radicali e massoni, socialisti e comunisti; il tempo manipolato e truccato dagli storici di mestiere, di università, di accademia, di partito; il tempo confiscato e imprigionato; i l tempo truccato e falsificato, ricompone in stampi liberi, ariosi, diversi. C'è davvero un metodo, nel caso. Cerco Carrier e trovo Charette, i l bottino del viaggio. Uno di quegli eroi che consolano i popoli, e gli uomini, nelle ore buie. Charette offre i l filo, lo afferro, lo dipano, con pazienza, di isola in spiaggia, da una città all'altra. Trovo Chateaubriand a Saint Malo, Renan a Brieuc. Traghetto sull'isola di Yeu, di dove Charette aspettava i l fratello del Re, che non venne. A Yeu trovo i l forte dove De Gaulle fece morire i l maresciallo Pétain. La sua povera tomba. E Pétain mi riconduce all'estate del 1949. Tremenda estate: francese, e italiana. Da Mers-elKebir a Malta. Teppismo e pirateria d'inglesi. Ignavia e stoltezza d'italiani. Ondeggia e si attorce, i l filo revisionista. Va e ritorna, e non si spezza. I l viaggio, tra queste spiagge e memorie, diventa viaggio nella memoria. Che non si acquieta, s'interroga, interroga. ( 1-continua)
jl/eroe proibito ISOLA DI NOIRMOUTIER Piero Buscaroli
harette, mai sentito», mente il verduraio sulla piazzetta di Oudon. Seguiamo la strada statale lungo la Loira, a oriente di Nantes, tra i l fiume e l'autostrada per Parigi. Guida mia moglie. «Tu pensa e scrivi, e lascia guidare la mamma», hanno ingiunto i figli, da sempre dubbiosi delle mie virtù al volante. Il verduraio torna alle sue ceste, una ragazza ridacchia nell'angolo. Giriamo attorno a una brutta torre, superiamo un rigagnolo chiamato Havre: davanti a una piccola ferme, due uomini e una donna parlano animatamente: «Charette? Certo signori, non è nato a Oudon, devono prendere quella strada, a La Mabonnière, a sinistra, fino a Couffé, là è nato Charette... La casa c'è ancora. E jolie, ci vivono dei discendenti... No, la moglie è una Charette, i l marito si chiama, si chiama...». Sei mani ci salutano mentre ripartiamo. «Quelli sono dei nostri», dice mia moglie. Figlia di Franz Pagliani, nata in mezzo alla guerra civile, i nostri e i loro li distingue d'istinto. E i n realtà, perché questi agricoltori siano dei nostri e il verduraio dei loro, l'istinto lo scopre a volo, la logica tarda. E poi il bello delle guerre civili è che non finiscono mai, vedi qua. Dopo duecent'anni. Ha ragione Montherlant, che la Guerre civile la chiama al proscenio in apertura del dramma: «Io sono la guerra civile, sono la buona guerra...». Due o tre miglia di quiete campagne, una piega del terreno, i l ponte, un ciuffo di querce, i l campanile, Couffé. La ricerca è svelta, un furgone di fornaio esce dal cancello, entriamo. Madame Guérard des Lauriers, nata Charette, cura le sue rose nel giardino. La casa di Charette? «È quella che vede, la piccola, i l château fu aggiunto nell'Ottocento». Continua ad accudire le sue rose, possiamo andare, guardare. La casa originaria, di nobili forme seicentesche, è minuscola, si chiama gentilhommière: in queste contrade l'architettura è scandita in gerarchie precise. I l palazzotto che le si appoggia sarebbe, più che château, un manoir, frutto dei benefici della Restaurazione, quando il ricordo di Charette fu onora-
to, e Luigi XVIII, che non era sbarcato come lui sperava, gli fece dipingere un bel ritratto postumo. Gratitudine di re. Madame des Lauriers ci raggiunge con un pacchetto di pieghevoli, fotografie, l'invito permanente alla Chabotterie per lei e il marito: «No, questi non glieli posso dare. Le dò una fotografia della casa, ma vada ai Lucs, troverà tante cose... Là, sì che hanno i mezzi». Un vecchio amico dei tempi dell'Algerie française e dell'Oas, amico mio e di Pierre Andreu, l'allievo di Sorel, che mi raggiunge a Noirmoutier, mi spiega questo «là, sì», dove geme l'invidia per la regione attigua. Nella geografia amministrativa ed elettorale, Nantes, Couffé sono fuori della Vandea, che comincia poco più in basso. In Vandea il sentimento controrivoluzionario, risvegliato dal 1989, ha trovato un politico, il visconte e deputato Philippe de Villiers, che gli ha aperto le chiavi della finanza pubblica... «Non era mai accaduto. La Vandea era arrivata a vergognarsi del suo nome. Vendéon era un insulto, come, da voi, fascista. I giovani che andavano a Parigi per i concorsi delle carriere pubbliche erano sfavoriti. Nei casi migliori passavano per ottusi testardi, tetragoni al progresso. Fu una persecuzione che, aperta o strisciante, dura dal ritorno della Repubblica, più di cent'anni. Lei lo sa come vanno queste cose, prima si fucila, poi si epura, poi si diffama, poi si demonizza, e infine si scrive storia. Qua, dura da tre volte tanto che da voi. È vero, la droite ebbe momenti di splendore, giornali potenti, l'Action Française, ma furono fenomeni letterari, Maurras si esaltava ai suoi articoli, produceva soltanto carta: di vera azione, nulla, mai nulla...». «La sola destra che si risvegliò fu con Pétain, che tolse questo odioso nome, Répubblique, e lo cambiò in Etat français... Un bel taglio, certamente, purtroppo fatto nell'ombra dell'occupazione tedesca. E, due volte purtroppo, di una Germania che non capiva niente dell'enorme attesa, simpatia, volontà che c'era dietro la collaboration. Tutti hanno collaborato, naturalmente, erano convinti... Sa che cosa scrisse Pierre Drieu la Rochelle, prima di uccidersi? M i condanneranno per intelligenza col nemico. Peccato, solo, che il nemico non fosse intelligente. Neanche Ernst Jünger, che faceva l'ambasciatore della Wehrmacht presso l'intelligenza francese, e recitava con grande convinzione la commedia dei buoni costumi d'antan... solo ricevimenti, discorsi, contava niente...». «Ecco, con la nuova politica
regionale, e grazie all'imprudenza con cui loro si sono buttati nel bicentenario, la Vandea torna in onore. I ragazzi non si vergognano più di essere vandeani... Qui funziona ancora il telegrafo di duecento anni fa, basta far circolare l'ordine. I l 18 giugno hanno commemorato, come tutti gli anni, l'Appel di De Gaulle, l'incitamento alla ribellione che diffuse da Radio Londra. Nessuno c'è andato, nei paesi, solo i soldati, la polizia municipale, qui a Noirmoutier ci scappò una rissa...». Gli domando come mai nulla si veda qua, e come mai la croce di Nantes sia in quelle condizioni. «Ma perché è fuori della Vandea, là hanno ancora paura, il risveglio, là, è più lento, il paradosso è che Charette, le Roi de Vendée come lo chiamarono tra esaltazione e dileggio, venne al mondo e ne partì tuori del suo regno». I tre anni del Roi de Vendée, tre proprio precisi, descrivono una vicenda umana straordinaria. Sia per la singolarità degli eventi che fecero di Charette un capo di eserciti, sia per la trasformazione della sua personalità. Tutto comincia i l 14 marzo 1793, quando un'orda di contadini in rivolta, armati di falci, di forche, di mazze ferrate, occupa il borgo di Garnache, nel Pays de Retz, tra la Bretagne mantaise e i l Bas-Poitou, ai confini della Vandea vera e propria; massacra e disperde la guarnigione repubblicana e dilaga nel paese. Cercano i soldati blu per ucciderli (si diceva i blu dalle uniformi; oggi, diremmo i rossi), e un capo che li comandi. «Nessun altro popolo della Francia si era mostrato, fino allora, più docile, più sottomesso alle leggi, più attaccato alla sua terra, generalmente ingrata. La natura e la scarsità di comunicazioni lo isolavano dal resto del Regno. Povero, contento di poco, sopportava allegramente la sua miseria», scrive Lenotre, sbugiardando gli storici di mestiere che, ricopiandosi l'un l'altro, continuano a dire che furono i preti e i nobili a istigare i Vandeani alla ribellione; naturalmente (altre ragioni non dimorano in quei cranii) per salvare privilegi e prebende. All'assassinio del Re la Vandea fremette, ma non si mosse. Fu col baccanale organizzato dai caporioni repubblicani nella cittadina di Machecoul per festeggiare la morte del Re, che si sparse una voce nelle campagne: al districi fabbricavano manette in gran quantità per legare a due a due quei contadini refrattari al nuovo e al bene, e trascinarli nelle caserme. Per completare la sua azione criminale,
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la Convenzione regicida aveva ordinato una levée di 300mila soldati. All'idea che i loro figli dovessero offrire le loro forze a questa rivoluzione, i Vandeani si ribellarono. Loro unità sociale fondamentale era la parrocchia. Senza intese, senza parole d'ordine. Seicento parrocchie insorsero in un solo giorno. Ma i l capo, dove trovare un capo? Conquistati Machecoul e i paesi intorno, che cosa fare? Per dare un ordine a quel tumulto si formò nella cittadina un «Comité de pacification», presieduto da un avvocato intelligente, RenéFrançois Souchu. Senza farsi illusioni, ispirò tuttavia una dichiarazione solenne: «In faccia al cielo e alla terra, il Popolo del Pays de Retz, adunato nella città di Machecoul, non riconosce, né mai riconoscerà, per suo sovrano, altri che i l Re di Francia». Ma, intanto, dove trovare un capo? I contadini di Chauvé, un villaggio a mezza strada tra Machecoul e la costa di Pornic, davanti a Noirmoutier, tirarono fuori dalla sua gentilhommière un signor Danguy, già capitano e cavaliere di San Luigi più che sessantenne e quasi cieco. Invano cercò di convincerli che si teneva in piedi a fatica, lo issarono su un cavallo e lo spinsero avanti a loro, che l i comandasse, sordi alle sue preghiere di lasciarlo tornare a casa al tramonto. Non ci tornò. Costretto a combattere, combatté, come seppe e potè, fin che lo presero e ghigliottinarono, a Nantes, «chef de bande». Un marchese de la Roche-Saint-André fu visto cavalcare in veste da camera per mostrare ch'era costretto a marciare dai contadini che l'avevano sequestrato nel suo castello. Nessuno si faceva illusioni. Queste sorsero e salirono alte per merito delle vittorie di Charette e degli altri capi, e presto precipitarono per la doppiezza inglese e la viltà dei Borboni. Souchu cercò disperatamente di ottenere alla sua gente il perdono della Repubblica, facendo appello ai suoi stessi principi: «Quand le gouvernement viole les droits du peuple...». La risposta della Convenzione fu che ognuno degl'insorti sarebbe stato punito con la morte. La Vendée militaire era nata, la rivolta diventava controrivoluzione, ma ancora non aveva un capo. Fu Souchu che indicò ai rivoltosi un certo Cavalier François Athanase Charette de la Contile, che nel 1790 si era dimesso da tenente di vascello della Marina, e aveva sposato una vedova quattordici anni più vecchia di lui. Ora faceva il signore di cam-
pagna in una tenuta a Fonteclose, due leghe da Machecoul. La tradizione locale vuole che i Charette discendessero da una famiglia Carretto, o del Carretto, italiana, immigrata nel Medioevo. La stessa tradizione racconta che quando i contadini bussarono alla porta della dimora, più fattoria che castello, pur di non prendere i l comando di una ribellione che credeva senza speranze, il Cavaliere si nascose sotto il letto. Lo tirarono fuori. Era stato con gli emigrati a Coblenza, aveva misurato la loro vanitosa, vociferante inconcludenza. Tornò a Parigi, di nascosto, e fu coi «pochi fedeli all'antica divisa» e gl'indomiti svizzeri, alla difesa delle Tuileries dall'attacco della teppa, i l 10 agosto 1792. Qui perse la fede nel suo Re. Se a Luigi X V I non fosse mancato il coraggio; se fosse montato a cavallo, alla testa delle truppe fedeli, la plebaglia sarebbe stata sterminata. Charette apprese dal vivo quel che i mestieranti della Storia non riescono a capire. Che il tempo non ha direzioni fissate i n anticipo e le fatalità storiciste son fabbricate da un determinismo retrospettivo. La più gran parte delle rivoluzioni vincono soltanto perché, al momento di fucilare un centinaio di abati e avvocati, la mano trema. Charette vide tremare la mano del suo Re, prima ancora che gli tagliassero la testa, seppe che la Monarchia era ormai una fede senza speranza. E tuttavia, si arrese. Va bene, disse. Se proprio mi volete, verrò. Ma pretendo obbedienza assoluta, altrimenti vi punirò severamente. Gliela diedero. E qui comincia la metamorfosi di un elegantone, dedito ai piaceri di Venere, e decisamente snob, che aveva sposato la donna anziana sol per scommessa elegante. Le aveva chiesto la mano di sua figlia, diciannove anni. Ma quando la madre rispose: ci sono prima io, che sono vedova, la sposò. Per eleganza, controvoglia, come ora accettava di mettersi nella guerriglia, e diventò in pochi mesi un tattico consumatissimo, maestro della logistica e della sorpresa, capace di vibrare un colpo con una piccola banda qua e, pochi giorni dopo, adunare migliaia di guerrieri a molte leghe di distanza. Non'è propriamente la guerra partigiana che si è detta. È guerra i n campo aperto, con assalti alle città condotti in una serie di mobilitazioni fulminee, migliaia di contadini lasciavano le loro casupole e si adunavano dove il telegrafo dei boschi e delle paludi l i convocava. Poi tornavano a scomparire. «Bisogna insistere su questo punto», scrive Lenotre: «Un capo vandeano non sapeva mai in anticipo su quanti uomini poteva contare; finita una spedizione, i contadini rientrava-
no ai villaggi, per ritornare al quartier generale quando il tocsin (le campane a martello) li avvertiva che c'era bisogno di loro. Chi voleva restava a-casa, ma di solito ubbidivano con zelo, e ciascuno si portava pane per tre o quattro giorni. I l 10 agosto Charette passò in rivista a Legé, la sua capitale provvisoria, da 3 a 4.000 uomini venuti d'ogni parte del Marais e del Pays de Retz. La sua truppa cresceva per via, perché i «capricciosi volontari, per risparmiarsi le lunghe marce fino al quartier generale, aspettavano i l grosso dell'armata agl'incroci delle strade nei boschi. Se, nell'attesa, passavano i blu, l i massacravano e facevan man bassa di grano, cibarie, dei fucili che non avevano, della polvere, che fu la loro tortura. All'assalto di Nantes, in giugno, andarono in diecimila. Fu la prima grande sconfitta di Charette, la città maligna resistè all'assalto, Cathelineau morì. Per quel tipo di guerra, «Vandea e Bretagna paiono fatte a posta. I l suolo disuguale offre infiniti rifugi; le strade, sepolte tra ciglioni assiepati, diventano fosse, trincee le muriccie che contornano i campi e celano l'agguato: un labirinto di cammini trasversali e sentieri fuorvia le truppe, qua boschi, là paludi e canali, occulti nella macchia; altrove immense lande coperte di ginestre alte quanto un uomo. La loro disfatta non vantaggia di nulla il nemico, perché non hanno che bastoni, di rado un fucile; mentre ogni vittoria fornisce gl'insorgenti di munizioni e armi. Rotti in più punti sguizzano e si raggomitolano alle bande dei Bretoni, detti Sciuani, dal nome del taglialegna Jean Cottereau, detto Chuan». Si fatica oggi a riconoscere in questo territorio i l labirinto che fu, di paludi e foreste. L'agricoltura ottocentesca lo stravolse con le bonifiche e i tagli dei boschi. Allo stesso modo stenti a riconoscere, tra Ferrara e Bologna, la selva ariostesca che Guèrcino e Domenichino dipinsero, e i briganti signoreggiarono per secoli. Sorsero, tra quelle foreste, capi coraggiosi, i l guardacaccia Stofflet, i l carrettiere Cathelineau, i nobili ufficiali del Re, i d'Elbée, Lescure, Bonchamp: i giovani La Rochejaquelein. Su tutti, Charette subito emerse, anche se nessuna autorità, e men che mai i fratelli di Luigi XVT, per cui quella gente combatteva e moriva, si preoccupò di stabilire ferme gerarchie e così dare un ordine alla massa, che poteva sbandarsi, e lasciarsi trascinare fuori della sua terra, dove le «colonne infernali» del boia Turreau ne fecero strage, co-
me a Le Mans, a Savenav, a Cholet. La più impressionante delle metamorfosi fu quella che si operò in Charette. Non lasciò il suo gineceo di giovani e men giovani nobili castellane, spose di emigrati, fresche vedove di ghigliottinati e fucilati, ragazze del popolo, contadinelle, fornaie. Le trasformò i n un'orda di amazzoni fanatiche, che cavalcavano accanto a lui negli assalti, lo seguivano correndo a piedi. Non sdegnò l'eleganza, la adattò al suo vestire militare, sempre fantasioso, vistoso, ignaro della mimetizzazione, i pennacchi bianchi sul cappello che parevan fatti per attirare la fucileria repubblicana. I generali blu smisero presto di ridere di questo predecessore di Mao, di Giap, nella strategia della mobilità integrale. «Non è cosa facile trovare Charette», spiegava Haxo alla Convenzione: «Oggi è alla testa di diecimila uomini e domani vaga con una ventina di soldati. Lo credete davanti a voi, e invece è alle spalle delle vostre colonne. Ora minaccia quel posto, e presto è a dieci leghe di distanza, abile a eludere un combattimento, sorprende le pattuglie e le massacra, cattura gli esploratori, fa manbassa dei convogli...». E un mese più tardi, il più feroce dei generali repubblicani cade ucciso ai Couzeaux. Eppure non tutti i realisti lo accettano per capo. Si scavano solchi d'invidie, gelosie. Marigny rompe le intese tattiche, altri lo condannano a morte, perfino i l prode Stofflet rifiuta di collaborare. I Borboni lodano da lontano, mandano sciarpe e spade onorarie, lettere e diplomi. E non vengono. Un giorno, più di vent'anni dopo, a Sant'Elena, la conversazione si fermò su questa metamorfosi. Las Cases raccontò a Napoleone di aver conosciuto bene Charette nell'adolescenza: «Eravamo stati entrambi guardiemarina a Brest, abitavamo la stessa camera, mangiavamo alla stessa mensa. Le sue gesta di poi, la folgorante carriera, stupirono tutti noi, suoi amici, che l'avevamo giudicato di mediocre ingegno, con poca istruzione, facile all'ira, e soprattutto insolente; presagimmo che non sarebbe mai uscito dal gregge...». Ma poi ricordò un suo soprassalto di coraggio ed energia; una volta che, nel naufragio di un «cutter» disalberato, arrivò a uccidere un marinaio per costringere gli altri a seguire i suoi ordini, salvando la nave. La prudentia hominwn accumulata nel comando suggerì all'Imperatore una di quelle
spiegazioni che mai folgorano gli scribi, di cattedra o di partito: «Eccola, la scintilla che rivela il futuro eroe della Vandea. Non bisogna credere alle apparenze; un vero carattere sboccia all'improvviso, all'occasione giusta. Vi sono spiriti che, apatici e dormiglioni, quando si destano sono terribili... Ricordò che i l governo della Repubblica lo aveva richiamato dall'armata delle Alpi per mandarlo a quella della Vandea, ma si sareobe dimesso, piuttosto che assumere un comando con cui poteva soltanto aggravare i mali, senza speranza di alcun personale vantaggio. Aggiunse che, appena Console, suo primo pensiero fu pacificare quell'infelice paese, cercando di fargli dimenticare le passate sventure e sanare le sue piaghe...». Era un capo, infatti, non un macellaio. Sono queste le verità che i contemporanei conoscono, e gli storici come Michelet, e i politici faziosi, nascondono. Mentre il centenario del 1889 corrispose all'incontrastata vittoria della Repubblica, appena minacciata dall'agitazione boulangista, i l secondo centenario si è messo a scavare, ha cercato i dissensi, le crepe, talmente larghe, ormai, che è bastato infilarci dentro le mani, per far cadere polverone e calcinacci dall'intonaco ideologico corroso. Nessuno osa più intimare di «accettare la Rivoluzione in blocco» come voleva Clemenceau, alfiere della storiografia radicale massonica e marxista, oltre che primo artefice del mezzo secolo di guerre civili che costarono alPEuropa la distruzione. Nessuno più scusa il Terrore come un inevitabile eccesso, nessuno tenta di giustificare la barbarie scatenata sugl'insorti dell'Ovest. «Gli anni Settanta segnarono la rottura nella storiografia rivoluzionaria. Penser la Revolution di François Furet riabilitava le analisi, dimenticate o proscritte, dei Tocqueville, Taine, Augustin Cochin. Furet aveva dapprima flirtato con il comunismo e l'esperienza glielo rese nemico. La riflessione tornava al Terrore nel momento in cui l'intelligenza di sinistra, a lungo accecata dai miraggi che si conoscono, scopriva, tutti insieme, i Gulag, l'inferno cambogiano, e i "boat people", i disperati che fuggivano dal Vietnam liberato», scrive Philippe Conrad. Al duecentesimo compleanno, la «rivoluzione diabolica» riceveva in dono i suoi ultimi frutti. La Vandea tornava a dorare il blasone annerito, gli eroi risplendevano di una gloria negata, eppure intatta."
In nome di Luigi XVI il povero re G ISOLA DI NOIRMOUTIER
orriamo a ritroso, da Couffé e Oudon, sull'opposta riva della Loira, lasciamo di lato a sinistra Nantes, traversiamo il Pays de Retz, sopra i margini settentrionali della Vandea, fino a Pomic, la piccola città sull'Adantico, la cui conquista, i l 27 marzo 1793, fu la prima vittoria di Charette, come il fallito assalto a Nantes, i l 29 giugno, fu la prima grave sconfitta. Charette e Cathelineau tentarono di eliminare la perpetua minaccia che la grande città incombente rappresentava per la Vanaea insorta. L'attacco, cui dovevano partecipare più di diecimila uomini, fallì per le mancate intese tra i capi degl'insorti, Cathelineau, gravemente ferito, morì pochi giorni dopo. «La mancanza di unione fu fatale alla Vandea. Senza gli antagonismi che la laceravano, con centomila uomini i n armi, avrebbe potuto tenere in scacco, almeno temporaneamente, la convenzione; l'avrebbe, forse, spaventata abbastanza per risparmiare alla Rivoluzione il sanguinoso disonore del Terrore; si vorrebbe incolparne i capi dell'insurrezione, se non si riflettesse che il Re per il quale essi combattevano non era un potente monarca, ma un povero bambino di otto anni che i regicidi tenevano prigioniero in una oscura torre e ignorava perfino di avere fedeli seguaci. Ci sarebbe voluto il Delfino per capo, tutte le rivalità si sarebbero inchinate alla sua debolezza, tutte le ambizioni si sarebbero umiliate. Ecco perché Charette tentò di attrarre, in mancanza del ragazzo re, sulla terra di Vandea, uno dei fratelli di Luigi XVI, il Conte di Provenza o il Conte d'Artois, la cui sola presenza avrebbe unificato tutti gli sforzi e fatto, di tante bande disarticolate, un'immensa armata entusiasta» (Lenotre).
Tutta l'azione militare di Charette ebbe questo solo scopo: costringere la Convenzione a trattare, ottenere la consegna del piccolo Re. «Negoziare e combattere», l'insegna che sarà di Ho Chi Minh, due secoli dopo, Charette la mise in azione, tra le diffidenze e i sospetti degli altri capi, fino all'8 giugno del 1795, quando il ragazzo morì, nella sua oscura segreta alla prigione del Tempio. La tregua era stata firmata, Charette aveva discusso le procedure della consegna, nominato i suoi plenipotenziari. La notizia della morte del piccolo prigioniero, conosciuta a Parigi il ÌO giugno, arrivò a Charette il 18,"o il 20, altri dicono il 24. Quel giorno quattromila contadini erano ammassati a Belleville in attesa, tutti gli ufficiali avevanorispostoall'appello. Le vedette segnalarono l'arrivo di un reparto Hi cavalleria repubblicana, una trentina di cacciatori a cavallo, comandati da un capitano. Si tramanda ch'essi portassero una lettera con cui la Convenzione comunicava di non poter mantenere l'impegno preso. La congettura è probabile, perché da quel momento Charette si sentì libero d'osmi intesa, e riprese la guerra a oltranza. Fece arrestare i cavallesgeri blu e uccidere a sciabolatela guida che li aveva condotti fin lì. Charette dichiarò ai suoi ufficiali: «La Repubblica ha mancato alle sue promesse, il Re Luigi XVH è morto, e tutto fa supporre che l'abbiano avvelenato per non consegnarlo; dà ordine che una colonna di duemila uomini subito attacchi il campo trincerato dei repubblicani agli Essarts. Il campo è occupato l'indomani, di sorpresa, e Pageot, che comanda la spedizione, rientra trionfalmente a Belleville, il 26 giugno, con 300 prigionieri e grande bottino. Lo stesso giorno, Charette, libero del giuramento che l'obbligava al silenzio, rivela il tradimento di cui si crede vittima: «Ci mandarono delegati della Convenzione, Cardarne, generale delle armate repubblicane, e Ruelle, rappresentante del popolo: " I vostri voti saranno compiuti", ci dissero; "i vostri desideri più cari sono arche i nostri, lavoriamo d'accordo, e, in sei mesi al massimo, Luigi XVTI sarà sui trono, la Monarchia si ristabilirà sulle rovine dell'anarchia popolare". Quali sono stati il nostro sbalordimento, la nostra indignazione, quando
infine abbiamo appreso che il disgraziato figlio del nostro povero monarca, il nostro Re, era stato vilmente avvelenato do questa empia e barbara setta. Abbiamo ripreso le armi, e rinnovato il giuramento di non deporle se non quando l'erede presuntivo della corona di Francia sarà svi trono dei suoi padri-. Il 27 giugno dalle navi inglesi sbarcava, a Camac, una spiaggia all'apice della penisola Hi Quiberon. in Bretagna, l'armata degli emigrati: cir. • quemila uomini, ai quali si unirono subito diecimila Sciuari bretoni al comandi del loro capo, Cadau dal. Gli stessi che, neppure un mese più tardi, proteggeranno il reimbarco dei superstiti dopo il fallimento dell'impresa. Gli altri, appena arresi alle truppe di Hoche, saranno fucilali in massa. Charette rifiutò J. suo aiuto all'impresa. Ufficiale di marina, sulle coste americane s'era trovato molte volte alle prese con gl'inglesi, «nemici etemi della Francia», come scrisse al conte d'Artois, esortandolo a diffidare. La diffidenza reciproca degli insorti, e di questi con gli emigrati e gl'inglesi, affrettarono la catastrofe, ora che la Repubblica, respirando sulle frontiere, radunava la superiorità numerica schiacciante, per stroncare la ribellione. I due fratelli di Luigi XVI, il futuro Luigi X V m e il futuro Carlo X, avrebbero potuto assicurare forse la vittoria a quelli che per loro morivano, facendo di Charette il solo generalissimo e ordinando a tutti i loro setolaci di porsi ai suoi ordini. Non lo fecero, si tennero a distanza, protetti dal mare. Da allora fu soltanto una serie di stragi. Non restava, a Charette e ai capi tra loro dissenzienti e dispersi, che «morire, inutilmente», al loro servizio. Ancora nove mesi di lotta, e poi la fine. a.
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sciava la cella del marito soltanto per consolare il suocero nella sua, e accompagnarlo al tribunale... Aveva assediato di suppliche i giurati, i membri dei Comitati. Quando il suocero fu condannato, la portarono via svenuta. «Le lagrime del vecchio generale che scendevano sui baffi grigi, la sua devozione commossa, 1 abbraccio del confessore, la seducente sopra La Rochelle. Non gli regalano nuora» descrisse l'approssimativo se non quello che si è già preso. Non Michelet. Non proprio tanto vecerano mutate le gelosie e le diffidenchio, i l maresciallo salì il patibolo a ze che cagioneranno il disastro delcinquantatré anni, seguito sei mesi l'armata realista. Mentre in questo dopo dal figlio Armand, marito di campo continuano i dissensi e le geDelphine e padre di Astolphe, conlosie, senza che i Prìncipi emigrati si dannato col prepreoccupino di dirimerli, a Parigi il testo d'una miscomité ae Salut public si trova sottosione presso i l mano, disoccupati, i difensori di Macomandante gonza, che la fame aveva costretto a prussiano, duca capitolare. Per non prendersi l'incodi Brunswick, di modo carico di ventimila prigioniecui aveva fatto ri, i generali prussiani e austriaci l i per conto della ISOLA DI NOIRMOUTIER rimandano a casa, dopo averli impeConvenzione. TaP i e r o B u s c a r o l i gnati, sulla parola d'onore, a non li i costumi milicombattere per un anno sulle frontietari. ino a mezzo Settecento, re. In quella suerra salottiera, ancoNoirmoutier fu un'isola senza riser- ra barocca {tìlonsieurs les Anglais, tiE tale il clima in cui gli affrancati ve e senza sospetti. Posta in quel- rez les premiers), poco importa ai sidi Magonza arrivarono a Nantes, l'ascella della costa atlantica dove la gnori austriaci e prussiani che cosa i assarono la Loira e avanzarono sul Vandea diventa Bretagna, poco po- macellai di Parigi faranno di ventimiays de Retz. I presidii repubblicani polata, il nome rievocava i l ricordo la soldati terribili, ansiosi di vendicaripresero fiato, Pomic, Machecoul, di un convento di monaci neri; una re lo smacco. Vertu, Aizenay tornarono ai «blu». iccola linda città, un piccolo porto, Ogni giorno il cerchio si stringeva Mentre i reduci di Magonza, rioru verso il 1770 che una striscia di e a Legé, fuggendo davanti agl'incenganizzati sotto generali intrepidi, terra larga pochi metri, ma contidiari, come ruron battezzati i soldati nua, cominciò a sollevarsi sotto le quali i Kléber, Beaupuy, Vimeux, pardi Kléber, si rifugiavano castellani, tivano per la Vandea, il loro comanacque che la separano dalle spiagge borghesi e contadini. I blu avanzavadante supremo marciava verso il padi Beauvoir. Lepisodio di bradisino su tutte le strade in un crepitare smo si è accentuato e oggi, a tener tibolo. Era il maresciallo Adam-Pnidi agguati e massacri. Il 19 settemd'occhio le maree, si può andare e lippe de Custine-Sarreck, nonno di bre, che la Vandea celebra come giortornare con la propria automobile quell'Astolphe de Custine di cui ho no di grande vittoria, le forze di Chapercorrendo il guado, chiamato Go- pubblicato poco fa un'antologia dalrette, d'Elbée, Bonchamp, Lescure e ìs. Come capita a noi che, senza sa- le Lettere russe. Veterano della guerStofflet fecero a pezzi i maguntini in per nulla delle tabelle orarie del ma- ra d'Indipendenza americana e couna battaglia feroce, cui si mescolare, attraversiamo la laguna madida e mandante di una divisione dell'Arrono le donne. mata del Reno, Custine nella seconpuzzolente, dove i turisti scaricati Una Penine Loiseau abbatte a sciada metà del 1792 aveva scompaginadai torpedoni zampettano alla ricerbolate tre repubblicani, fino a che, to con un colpo d'audacia la coalizioca di ostriche e altri molluschi. alla sua volta, perde la testa. I maL'estate 1793, seguita all'insurre- ne austroprussiana conquistando guntini ripiegano sotto la frenesia zione del marzo, la «grande armata Spira, Worms e Francoforte. Mentre dell'assalto di Charette che, sciabola cattolica» degl'insorti di Vandea, da a Parigi tremavano di veder comparinel pugno, coperto di polvere, gli abi25mila a 30mila uomini, di cui 5 o re «les allemands», i l maresciallo ti trapassati da cinque palle, esorta i ómila armati di fucile, conquista in portava la guerra nel territorio nemi- seguaci con appelli incessanti. due mesi la riva sinistra della Loira, co cogliendo una popolarità improvL'amante di un alto ufficiale blu, da Nantes ad Angers, issa la bandie- visa, simile a quella che sarebbe toc«femme superbe», che segue la battacata a Bonaparte. Ma le conquiste ra bianca coi gigli d'oro sul castello glia seduta in carrozza, si uccide con ottenute con spregiudicata imprudi Saumur; i generali discutono se un colpo di pistola sul punto di esseinvadere la Bretagna, la Normandia, denza tattica furono altrettanto velo- re catturata. Il pianoro è coperto di cemente perdute, le audaci irruzioni oppure osare la marcia su Parigi. morti e bottino, «un bagage immenCharette non è chiamato a consulto, esposero l'armata all'accerchiamen- se»; ventitré cannoni, 19 casse, una «l'homme de toilette et de plaisirs» to. Eppure, la primavera del 1793, piena di banconote, sei carri e otto non piace a Stofflet, il duro e incolto mentre i l suo Re saliva al cielo, i l ambulanze sono stipati di oggetti caporale alsaziano, e poco anche a maresciallo saliva di grado e diveni- preziosi rubati alle chiese, ai castelli, d'Élbée, l'ufficiale dell armata reale, va comandante dell'Armata del Re- alle dimore. «Niente prigionieri», ha devoto fino al misticismo. comandato Charette, e i suoi, che Signore di un vasto territorio, alLe prime sconfitte scagliarono i so- hanno imparato dai nemici, stermiloggia in una casetta di Legé, la sua spetti, e poi il boia, sugli ufficiali «no- nano i repubblicani fino all'ultimo. capitale. Sull'arco di pietra una pic- bili, soprattutto d'artiglieria e del ge- Il loro generale, Beyssier, espierà la cola lapide scolpita invoca «Deus nio» che, scrive Ippolito Taine, «era- sconfitta sulla ghigliottina, come Cuspes nostra», con la data, 1663. Con- no rimasti al loro posto, o perprinci- stine. gedati i contadini, attorniato da un pii liberali, o per attaccamento al doFu forse l'eco di questa vittoria, forpresidio di duevere, all'ombra incessante della ghi- se l'istinto che spingeva le donne a cento uomini e gliottina che veniva a prelevarli alle invocare, tra gl'insorti, proprio lui, dai suoi ufficiasoglie dei carnai di battaglia e perfi- che guidò un invocazione aa Noirli, Charette si no negli uffici di Camot». I l mare- moutier. Ne fu strumento una di concede una vasciallo fu una delle ultime vittime quelle piccole grandi figure che la canza di suo gudelle denunce di Marat, che fece in storia dimentica. Si chiamava Marie sto. L'ultima beltempo a veder cadere sotto le pugna- Lourdais, trentadue anni, bretone, la estate, alla late di Carlotta Cordav, prima eli la- proprietaria di una drogheria di vilcorte di Vandea, sciare l'altera testa nel cesto del bo- laggio. Da quando scoppiò l'insurresi balla ogni seia, dopo un processo d'inusitata lun- zione, Marie si trasformò in messagra all'aperto, nelghezza, di ben tredici giorni. «Custi- gera dei capi vandeani, camminò la piazza della chiesa, nei prati. I l ne apparve davanti al tribunale scorgenerale apre le danze con le favor- tato dai ricordi dei suoi trionfi, e so- senza sosta fin che durò la guerra, ite della società guerrigliera, la bru- stenuto dalla presenza di sua nuo- attraverso le paludi presso la costa, na Madame de la Rochefoucauld, la ra», la madre di Astolphe, di cui La- le oscure foreste dell interno, i grovili impenetrabili del Haut Bocage. bionda Madame de Bulkeley; le ra- martine, nella Histoire des Gironènne Souvenirs, di cui resta l'origigazze del paese danzano coi soldati. dins, cesellò i l ritratto: «La sua belQuell'estate i l «Conseil supérieur lezza, la sua grazia, l'intelligenza, la de l'armée royale» decreta a Charet- seduzione e le lagrime intenerirono te il comando sul territorio tra la gli spiriti più severi». La giovane donstrada di Nantes e Lugon, la cittadi- na aveva sposato i l figlio unico di na di cui Richelieu era stato vescovo, Custine, anch'egli già in prigione. La-
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naie, un documento eccezionale della storia militare. Fu Marie Lourdais che, verso 1*8 ottobre 1793, portò a Charette la lettera di una signora, Mourain de l'Herbaudière, vedova del sindaco monarchico eletto dagl'insorti il 16 marzo. I l 29 aprile, i blu di Beyssier ripresero l'isola e uccisero il sindaco coi realisti suoi seguaci. Per vendicarlo, la vedova chiamò Charette che, coi suoi luogotenenti, Pageot, Desnaurois, i tre fratelli de la Robrie, e il curato «refrattario» Remaud, divenuto suo «intendente», decise di tentare. In tre giorni raccoglie 2.000 uomini, il 28 settembre, attraverso Machecoul, la piccola armata giunge presso Bouin,
Francia»; i principi stavano per raggiungerlo, ora che la via del mare era aperta. E intanto, aprì le danze. E tuttavia, non si sentiva sicuro. Si accorgeva che incuteva soltanto paura, la ferocia delia guerra lo trasformava, il suo luogotenente Pageot mise a morte duecento sospetti. L'isola, che Madame de l'Herbaudière gli aveva assicurato minutissima e piena di seguaci, gli parve una trappola: «Temo che mi abbiate messo nei guai, le risorse che avevo sperato non ci sono, la massa della popolazione non è con noi». Riunì un presidio di 1.500 uomini, lo affidò all'amico Alexandre Pineau, di Legé, a un ufficiale di marina e altri tra i quali il più giova- •
sul mare, all'imbocco del Gois. Con la marea più bassa, il guado appare oggi più dr mezzo metro sopra la superficie dell'acqua, allora restava un piede sotto, solchi e forre erano nascosti; la traversata, facile per un esperto, diventava un'impresa a dover traghettare duemila armati nei quaranta minuti prima che l'acqua ritornasse. La signora de l'Herbaudière aveva assicurato che gli artiglieri repubblicani non avrebbero tirato, e cne molti erano disposti a collaborare, ma l'impresa risultò più complessa, e dovette essere ripetuta pochi giorni più tardi. Quando gli uomini di Charette, tremila stavolta, IT 1 ottobre passarono il Gois e dilagarono nelle praterie della lunghissima isola, la guarnigione si disperse e fuggì. Quelle orde tumultuose di contadini che cantavano e urlavano, le vesti lorde di fango, gli aspetti di banditi, le barbe, le falci, i forconi, la nomea di assaltatori invincibili, istigarono i difensori, asserragliati nello stupendo castello, a capitolare.
ne dei Robrie, e il 15 ottobre ripartì per Legé. Là fu informato, il 23 ottobre, della catastrofe toccata alla «grande armée» realista dell'Angiò, a Cholet. Spinta sulle rive della Loira, l'aveva passata portandosi appresso, fatale codazzo degl'insorti, 50mila donne, vecchi e bambini, che, affranti di paura e di stenti, trascinavano in miserabili carrette ciò che avevano salvato. Dei tre capi, Bonchamp era caduto, Lescure agonizzava e d'Elbée, i l generalissimo, in fin di vita con quattordici ferite, si era rifugiato nel castello di un amico con la moglie e il cognato, in attesa di andare a chiedergli asilo.
Wieland, il comandante repubblicano, offre la sua spada a Charette, che la tocca e gliela restituisce, invitandolo a passare al servizio di Luigi XVII. L'altro rifiuta, ma la cortesia militare che dimostra gli costerà la testa. Charette detta la capitolazione; l'isola appartiene al Re come l'artiglieria del castello, le navi nel porto, il comandante e i suoi soldati sono «prigionieri di guerra», e il vincitore si compiace di vederli sfilare dal balcone di una leggiadra casa che, dal nome di un sindaco della Restaurazione, si chiama oggi hotel Jacobsen. Deposte le armi, i vinti si lasciano disciplinatamente rinchiudere nel castello, divenuto prigione. A sera, nell'elegante quartier generale, fu gran festa, con tutto u bel mondo a invitati. Charette, a tavola coi suoi ufficiali e i notabili, chiese che gli presentassero le mogli e le figlie dei repubblicani che se l'erano svignata. Le esortò a unirsi alla sua causa, che rappresentava «la vera
Nonostante i continui dissensi, Charette non negò a d'Elbée lo scudo della sua piccola armata. Ricevette con deferenza i l ferito, che gli fu portato su una poltrona trasformata, con due bastoni, in portantina. Gli offrì l'ultima sua conquista, Noirmoutier, che i d'Elbée accettarono con gratitudine. Lo portarono nel Gois più di mille angioini, che dopo pochi giorni tornarono ai loro paesi. Noirmoutier era divenuto asilo di famiglie scacciate, di perseguitati, dispersi, preti refrattari, malati. S'illudevano d'aver scampato la bufera. Il 21 ottobre, il Comite di Parigi impartì ai generali l'ordine perentorio di «prendere l'isola, o sprofondarla nel mare».
L'ordine fu: a morte tutti i nemici uomini, dònne e bambini, della Repubblica
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ISOLA DI NOIRMOUTIER
la Piazza d'Armi non | dev'essere molto mutata da al! lora. I l castello da favola, con ! le sue muraglie, le t o r r i roton| de a punta, la chiesa, le belle i case di due soli piani, l'Hotel \ Jacobsen coi balconcini: lag: giù, i l M u n i c i p i o , e i n fondo i l porto canale, che taglia l'isola a m e t à , oggi pieno delle bianche barche oziose. Fu i n faccia a quel canale che si c o n s u m ò l'atroce vendetta della Repubblica, nel gennaio (o nevoso, per usare i n o m i di quei forsennati) del 1794. La targa è piccola, annerita, illeggibile. Porta la data del 1933. La scopre mia moglie, su una facciata scolorita e sconnessa che sa di oblìo e abbandono, tra le gelosie sprangate. «À la m é m o i r e de d'Elb é e / G é n é r a l i s s i m e des A r m é e s v e n d é e n n e s / e t de ses compagnons De Boisy et Douhoux d'Hauterive/Fusillés sur la Place d'Armes de Noirmoutier/le 7 Janvier 1794. Souvenir vendéen». Su una panchina della piazzetta, vociante del fastidioso andirivieni turistico, rileggiamo col lettore una scena d i m a r t i r i o che fa da prologo alle imprese delle «colonnes infernales» che si mettevano i n marcia quei giorni, apice del Terrore liberaldemocratico i n missione rieducatrice, mentre Carrier sterminava i nemici del bene a cento e duecento alla volta, e parendogli lenta la ghigliottina, faticosa la fucilazione, e difficile seppellire tanti cadaveri, prese ad affogarli nella Loira. Stermina i b a m b i n i dei Vandeani, raccolti dalla pietà dei Nantesi, da quattro a cinquemila i n pochi g i o r n i . I n tanto, a Bordeaux, Marsiglia e Tolone, si sparava coi cannoni caricati a mitraglia, millesettecento scannati solo a Lione. A l le ultime proteste locali, i l Comitato rispondeva: «La l i b e r t à
è una vergine, a cui non si deve alzare i l velo». Le scialuppe cannoniere repubblicane posero i l blocco all'isola i l 15 dicembre, e intanto Haxo preparava l'assalto, su tre colonne. Hyacinthe de la Robrie oppose una resistenza violenta ma breve, i Vandeani ripiegarono, le spiagge furono presto piene di B l u . La Robrie ricondusse le sue truppe alla città, dove i l loro arrivo pietoso fece cadere la volontà di resistere. I l morale era talmente basso, che i capi realisti decisero d i capitolare e mandarono due ufficiali a offrire la resa. Si davano prigionieri, con l'intesa che « n e s s u n o sarebbe stato inquisito per le sue opinioni, o per fatti a n t e c e d e n t i » . Haxo l i ricevette «in maniera franca e cordiale», ma avvertì: era solo u n soldato, e aveva accanto sorveglianti che lo costringevano alla circospezione. L i fece condurre ai tre R é p r e s e n t a n ts du peuple, deputati liberali i n funzione d i commissari politici, come poi nell'Armata Rossa. La loro risposta fu diversa: «Non si fa grazia ai briganti, si cementa la Repubblica col loro sangue!». Quei guerrieri scorati, che così facilmente cedevano alla lusinghe d'impossibili speranze, non sapevano che Haxo aveva viveri per nutrire le sue truppe solo ventiquattrore, e avrebbe promesso qualunque cosa per far cessare la difesa. Vennero altri ufficiali vandeani, fecero appello all'umanità del Generale, che si disse «ansioso di risparmiare i l sangue degli u n i e degli altri», e promise salva la vita a quanti si fossero arresi. I Convenzional i tacquero, e Haxo, rivolto ai tre parlamentari realisti, l i e s o r t ò a riunire le truppe nella Piazza e deporre le armi: «Assicurateli che s a r à loro resa la giustizia dovuta...». I soldati del Re buttarono le a r m i e si raggrupparono, «pieni d i fiducia nella parola dei blu», che subito l i misero i n fila e l i fecero marciare fino all'Hotel Jacobsen: «6 o 700 disgraziati s e n z ' a r m i » , l i contano come
montoni, l i chiudono nella chiesa. «Si lasciarono condurre senza la m i n i m a riluttanza». E subito c o m i n c i ò la caccia a d'Elbée, rifugiato i n una casa le cui proprietarie eran fuggite. Lo trovarono u n capitano Guillemet e u n brigadiere Dalicel, di cui resta i l racconto, i n una lettera: «Agonizzava, i l petto squarciato, vomitava sangue. Madame d'Elbée non lo lasciava un momento, aiutata da domestiche angioine. I l generale (sic) Guillemet e io domandammo che cosa pensasse. Rispose: Sono u n soldato come voi, ho abbracciato un partito, per m i a sfortuna, cattivo. Se non stessi per morire, v i avrei dato ben p i ù filo da torcere, se avessi diecimila soldati come voi, vi avrei ammazzato ancora duecentomila u o m i n i , e la Vandea non la prendereste. Io so che tutto ciò che prenderete i n quest'isola p e r i r à , io per primo. Non cercate dunque di strapparmi segreti, dal m i o cuore non ne uscirà nessuno. Fatemi morire quando vorrete». I Rappresentanti del popolo arrivarono con Turreau, accompagnato d'altri figuri. Al capezzale del morente stavano la moglie, i l cognato Douhoux d'Hauterive, l'amico Boisy, l'abate Durand. Turreau c o m i n c i ò sfottendo i l morente: «Eccolo qua, i l grande d'Elbée, generalissimo dei Vandeani!», p o i chiese di restare solo con l u i , forse sperando i n confidenze u t i l i . N o n ne ebbe, ma d'Elbée p a r l ò con asprezza di taluni suoi ufficiali, e biasimò Charette, «la cui ignoranza, ambizione, e ostinazione a fare per conto suo avevano fatto fallire le operazioni p i ù i m p o r t a n t i » . La causa storica del fallimento era già nella cronaca quotidiana. «Se t u fossi arbitro della nostra sorte come n o i siamo della tua, che cosa ci faresti?», domanda infine Turreau: «Quello che voi ci farete», fu la risposta. Nella notte c o m i n c i ò quella che Turreau c h i a m ò «la caccia ai conigli». Dai boschi, dai nascondigli, dai sotterranei, uscì un diluvio di preti, di mogli e
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vedove, d i combattenti fuggiaschi. Altre seicento persone si aggiunsero, nella chiesa, ai seicento che già c'erano. Pochi riuscirono a fuggire, tra i quali Hyacinthe de la Robrie, che portò a Charette la notizia del disastro. I l 4 gennaio, di prima mattina, u n ufficiale b l u «con grandi baffi», apre la porta della chiesa e annuncia ai prigionieri che torneranno liberi dopo «alcune formalità come la consegna dei passaporti... Per evitare confusione, verrete a trenta alla volta... Grida di entusiasmo accolsero ogni frase, i p r i m i prescelti uscirono tra l'invidia degli altri. L'ufficiale riapparve, due, tre volte, dopo lunghi intervalli; dalle finestre della chiesa alcuni scorsero u n drappello d i blu che tornavano dalla spiaggia con spoglie i n sanguinate sulle punte delle baionette. Sulla folla scese i l terrore. Lì stavano ammazzando t u t t i . La «consegna dei passaporti» era una sbrigativa corte marziale, coi Rappresentanti del popolo, Turreau e altri sconosciut i . Per quante ricerche si facessero p o i , non si riuscì a scoprire t u t t i i n o m i . Non meno «vergine» della libertà, anche la «legalità r e p u b b l i c a n a » aveva i suoi p u d o r i . U n ufficiale repubblicano scrisse, con vergogna: «Quel terribile tribunale era composto d'individui vestiti dell'uniforme, che non appartenevano ad alcun reparto. Nessuno seppe d i dove uscissero i pretesi giudici, arrivati al seguito del generale Dutruy, u n avventuriero ginevrino che p o i si s p a c c e r à per baron Dutruy...». Fiero della conquista, che attribuiva a se stesso, scrisse a Carrier: «Vittoria! N o n ho particolari, sono sfinito, dormo a Noirmoutier. Tutto preso, tutto nostro! Gli scellerati sono sotto chiave, i l rasoio finirà la festa». Carrier scrisse al C o m i t é parigino: «Mando ordini imperativi ai generali Dutruy e Haxo di mettere a morte, in t u t t i i paesi insorti, t u t t i indistintamente gl'individui d i entrambi i sessi che troveranno, e incendiare
ogni c o s a » . «Si a r r o s s i s c e » , scrisse Lenotre nel 1924, quando uno che scrivesse della Vandea doveva fare i conti con la verginità della Repubblica « u n a e indivisibile» e mostrare unzione e rispetto ai suoi gallonati assassini; «si arrossisce nell'incontrare un leale e coraggioso soldato mescolato a tali i g n o m i n i e » . Ma tale era la perversione morale introdotta dalla Repubblica, che quando lo a m m o n i r o n o , che la sua «sconv e n i e n t e » pietà per i vinti giustificava i «gravi sospetti da tempo accumulati su d i lui», e gli toccava d i scegliere «tra il silenzio e i l p a t i b o l o » , tacque. «In due giorn i l'affare fu sistemato, l'isola era un solo carnaio, dappertutto si fucilava. M o r i r o n o i prigionieri della chiesa: circa trecento erano evasi dalle finestre, l i ripresero quasi t u t t i . La "commission militarne" non era un t r i b u nale, ma u n m a t t a t o i o » . Bisognava uccidere, e alla svelta, perc h é i Rappresentanti avevano fretta di tornare a far festa a Nantes, «la Capua di Vandea». La data precisa della morte d i d'Elbée rimase incerta. I l massacro dei gregari d u r ò x« due giorni interi», i capi « p e r i r o n o per u l t i m i » . Nel 1822, i l sindaco Jacobsen concluse, dai documenti rimasti, che fu l'8 gennaio. Chi sieda nella piazza chiara, tra le gelaterie e i ristorantini di frutti d i mare, fatica a immaginare la truce scena d i quel mattino di gennaio, con i l porto per sfondo. Tre pali erano stati alzati, paralleli alla banchina, e la truppa, stanca d i due giorni ininterrotti d i fucilazioni, allineata ai bordi della piazza. Dietro i ranghi, poc h i curiosi; alle finestre dove s'era affacciato Charette, i memb r i della « c o m m i s s i o n m i l i t a i re», sulla casa di fronte i Conventionnels. Mentre avanzano l'amico d i d'Elbée, Boisy, e i l cognato d'Hauterive, che non l'hanno m a i lasciato, si avvicina, sulla Grande Rue, al rullo dei tamburi, i l corteo del principale condannato: sfinito dalle ferite, troppo debole per marciare, lo
portano su una poltrona laccata, i m b o t t i t a di velluto rosso. Lo depongono i n faccia alle truppe, la schiena al mare. Boisy e d Hauterive, un palo a testa, d'Elbée i n poltrona, un palo resta vuoto, la festa è rovinata. A uno dei politici liberali di Parigi viene l i d e a : «Wieland! Wieland!»; ma certo, fuciliamo i l comandante repubblicano che in ottobre si arrese a Charette, i n clima d i reciproca cortesia. Tanto basta a meritargli la morte. Mentre lo trascinano, stringe tra le mani un suo memoriale, preparato chissà quando, vorrebbe leggerlo. Già legati, Boisy e d^Hauterive e dalla sua poltrona d'Elbée, intercedono: «Non è dei nostri, fate morire un innocente!». I t a m b u r i coprono le voci, pratica comune alla Repubblica da quando Santerre coprì le ultime parole di Luigi X V I che volava al cielo. U n ufficiale a cavallo legge le sentenze, si odono gli u r l i di una donna, la moglie di d'Elbée, «voglio vederlo! voglio morire con lui...!». L'accontenteranno anche se non subito. I quattro cadaveri finiscono in una fossa scavata ai piedi del vecchio castello, sui mucchi accumulati nei giorni avanti. Sulla piazza deserta rimase la poltrona barocca fracassata dalla fucileria. Un marinaio la p o r t ò via, un abate l'acquisterà p i ù tardi, i mar- | chesi d'Elbée la comperarono al- I la loro volta, e infine la donarono a questo museo. Quattro giorni dopo la morte del marito, esaudirono i l desiderio di Madame d'Elbée. La condannarono a morte con Madame M o u r a i n de l ' H e r b a u d i è r e , la vedova che aveva chiamato Charette. Le legarono schiena contro schiena, così che la stessa scarica le t r a p a s s ò insieme, e le lasciarono nel loro sangue, contro i l m u r o d i un giardino. Esumate nel 1808 dalla buca dove le gettarono poi, furono finalmente sepolte nel cimitero dell'Isola. p.b.
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A Liics-sur-Boulogne, dove nel 1793 «colonne infernali» massacrarono seicento persone, termina il cammin della memoria dei martiri vandeani
L'eroe proibito
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LA CHABOTTERIE
Piero Buscaroli
_,uando partiamo da Noirmoutier, il Gois è sommerso. Ne indicano il percorso, fino alla terraferma, le piattaforme di legno piantate a distanze regolari per chi si lasci sorprendere dal ritorno dali'aìta marea. Imbocchiamo il ponte sulla Fosse, dove si prendono gli aliscafi per l'isola di Yeu. Risaliamo la costa. Ai tempi della guerra di Vandea, queste paludi, ora prosciugate, videro cento battaglie, agguati, stragi. Poste in epoche diverse, quali stazioni d'una viacrucis, si affollane croci, targhe, simboli; coi tempo infittiscono, anzi che diradarsi. Le strade che conducono al duplice Mémorial de Vandée, ai Lucs-sur-Boulogne, alla Chabotterie, sonc già memoriali esse stesse. Attraversiamo Bouin, villaggio ordinato, raggruppato attorno alla chiesa. «Nella scala di questo campanile», dice la targa di bronzo, murata nel 1994, «85 persone, di cui 55 donne, furono scoperte da un soldato del generale Maxo e catturate il 6 dicembre 1793. Nella maggie r parte, furono poi uccise». Nessuna memoria all'interno. Sulla strada per Legé, la capitale di Charette, ci accoglie una immensa croce su un basamento di pietra. Un cartello avverte che siamo nel «Champ des Fusillés», la targa di bronzo ricorda: «Dopo la presa di Bouin dalle truppe del generale Haxo, 35 abitanti legati insieme furono qui fucilati il lunedì 20 gennaio 1794». La croce di ferro nera, traforata alla maniera ottocentesca, si leva altissima sulla campagna deserta. D'ogni borgo si rinnovano le accuse, i lamen•J. ".Riempirei pagine e pagine se andassi dappertutto, e rutto trascrivessi. Di
egr i misfatto si denunciano oggi (ieri non era permesso) gli autori, nomi e cognomi. «Per troppo tempo rifiutammo di ascoltare i gridi degli uomini e donne sgozzati, bruciati vivi, squartati, dei contadini di una terra laboriosa, che d'una rivoluzione avrebbero dovuto essere beneficiari, e ne vennero invece a tal punto umiliati e oppressi, che finirono col ribellarsi. Le rivoluzioni distruggono i caratteri organici delle società umane, sovvertono il corso naturale dell'esistenza; annientano i migliori eli ima popolazione, e scatenano i peggiori». Quelli che scelsero Aleksandr Solgenitsin per inaugurare il Mémorial de Vendée, due anni or sono, sapevano che cosa facevano, e perché. Qua i ricordi dell'ultima guerra europea, dell'Indocina, le stragi della Cambogia, i fasti del comunismo universale, impallidiscono come imitazioni davanti agli originali. Qua fu applicato per la prima volta in modo sistematico il terrorismo contro una popolazione. Peggio che altrove, contro una gente della propria nazione. La Rivoluzione non inventò, certo, la crudeltà, e neppure il terrorismo. Le guerre di religione ne avevano dato raccapriccianti prove nei secoli precedenti. Ma introdusse stabilmente il terrore come guida dell'azione e del pensiero politico. Ne fece un ingrediente indispensabile, quale prima non era. Lo spiega Alessandro Manzoni fin dall'esordio del capolavoro della letteratura politica ottocentesca, il Saggio comparativo, che alla Rivoluzione dedicò nel primo centenario. Il Terrore: «Nome che, applicato a un'intera popolazione, presenta da sé l'idea dell oppressione che pesi anche su di quelli che non siano colpiti direttamente, e levi
agli animi il coraggio e fi- l'economia diventano arseno il pensiero della resi- nali dove ciascuno prende stenza. le armi che gli servono. Del resto, la ragione, per Ogni movimento è univercui un tal nome fu dato a sale, la Chiesa sembra riquella sola fase, fu perché dotta, invece, a residuo irin essa la cosa era arrivata razionale. Si vuole la relial colmo. Ma, come è chia- gione ma senza la Chiero per chiunque voglia da- sa». re un'occhiata ai fatti, il soEcco perché Léon Daupravvento di forze arbitrarie e violente era già princi- det definisce il secolo, in piato, quasi a un tratto, blocco, «lo stupido XIX secon la Rivoluzione, a ratte- colo». Come un tossico, il nere col mezzo d'attentati verbo della Rivoluzione insanguinosi e impuniti sul- vade ogni fibra del tessuto le persone, una quantità sociale, perfino nelle nadi pacifici cittadini dal ma- zioni che la contrastarono con le armi in pugno. Il nifestare, non che dal so«malefico impero» si difstenere i loro sentimenti». fonde, penetra senza Per primo Manzoni sveconfini, perdura. Dal la quanto la storiografia re12 aprile scorso mi tenvisionista sostiene oggi: go nel portafogli un rinon è vero che la Rivolutaglio di giornale. Di zione cominciasse con intanto in tanto, lo ritenzioni ottimiste e legali leggo. In una frazioe si pervertisse poi, anno ne dell'Aquila, chiadopo anno, come ha inculmata Sassa, «alcuni cato per più di un secolo parrocchiani hanno la menzogna repubblicachiesto alla Curia na. Manzoni è perentorio, l'allontanamento e apre la strada al venturo di padre Roux, un Solgenitsin: la Rivoluzioprete di origine, è illegale e criminale ne francese dal primo giorno, dalle priche il 21 me mosse diribellionesurgennaio, rettizia, di sofismi, di fro203° anni-di verbali e giuridiche, dal versario 10 giugno del 1789. Credella descono, poi, l'intensità e la capitaferocia; la «pressura», dizione di ce Manzoni, raggiunge il L u i g i XVI, ha culmine, lo supera, Himi- celebrato una messa di sufnuisce; eppure, le conse- fragio. Parrocchiani? Delguenze restano: «E pari- la parrocchia di Satana? A mente, cessato il Terrore tal punto il «malefico impropriamente detto, conti- pero» ha allungato i tentanuò quella pressura, in mi- coli pervertitori, fino a inonor grado e varie forme, culare nelle plebi devote ma per un più lungo spa- di una regione periferica e zio di tempo, a esercitare ignorantissima,la persua11 suo malefico impero». sione che decapitare un taSi diffuse nell'Ottocento le sovrano, da parte di tale un'antireligione, cui perfi- Rivoluzione, rosse legittino la Chiesa non tentò di mo e doveroso. opporsi, ma soltanto di La perversione è totale, riuscire meno appariscen- difficilmente rimediabile. te e sgradita, nella speran- Diritto, morale, religione, za d'essere dimenticata, e tutti uccisi. Manzoni capì risparmiata. A tal punto la per primo la vastità irrepaRivoluzione l'aveva corro- rabile della sciagura. Solsa e pervertita. Ma era spe- genitsin ratifica, e conferranza insensata, come ma. Ecco perché la revisiochiarisce Jacob Burckhar- ne, qualsiasi revisione s'indt nelle Meditazioni sulla traprenda nella storia mostoria universale: «Le idee derna, non può limitarsi della Rivoluzione francese al mezzo secolo delle guercontinuano a diffondersi, re mondiali, in buona parcon la massima energia, te conseguenze ideologisia in campo politico, sia che e geopolitiche di quelsociale. Operano, con l'au- la Rivoluzione. Deve tornasilio dell'uguaglianza uni- re indietro, rivangare l'inversale dei diritti, tenden- tera zolla, rivoltarla en ze costituzionali, radicali, bloc, come Clemenceau, il socialiste; la stampa favo- testardo distruttore, prerisce una immensa pene- tendeva che fosse accettatrazione nel pubblico. Le ta e venerata. In questa scienze politiche patrimonio comune, la statistica e
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jrospettiva
fa Vandea, i
suoi martiri e le sue memorie, gli sforzi dei suoi uomini, l'abnegazione dei suoi fedeli, lo slancio dei nuovi convertiti, appariranno milizia e laboratorio di un riesame, il cui fine sarà il ristabilimento di una storiografia adulta, concorrenziale e alternativa, che sostenga e onori le ragioni dei vinti. Fu come rompere un fetido incantesimo. Le celebrazioni del 1989 hanno suscitato il volontarismo di un popolo violentato, represso e offeso, che si batte per una rivincita morale sopra i soprusi di due secoli come se la causa fosse fresca e recente. Appena arriviamo davanti a una cappella neogotica, a Legé, si muovono le tendine della casetta di fronte, e compare sorridente una signora: «Voi siete qui per il nostro Charette», e comincia a raccontare. La chiesa odierna, ricostruita del 1915, sostituisce quella dove Charette assistè alle messe domenicali, l'estate 1793. Questa, la Cappella di Notre-Dame-de Pitié, la «Chapelle de Charette», fu costruita e a lui dedicata nel 1826, ma la sua statua fu abbattuta dai soldati, nel carnevale della ritornante rivoluzione del 1830. La guerra, intorno a questa figura, continua. Le forze? Su per giù siamo pari, da queste parti, noi e loro. Ma noi siamo attivi^ e loro depressi, confusi, tacciono. La signora ci accompagna e ci consegna a un'altra signora. Ecco la casetta con l'arco di pietra e la lapidina scolpita: «Deus spes nostra». Charette abitò questa casa, che apparteneva alla madre di Alexandre Pineau, comandante la divisione di Legé, massacrato a Noirmoutier dove Charette l'aveva lasciato tra gli ufficiali che comandavano il presidio. L'eroe eponimo fa da battistrada agli altri che con lui subirono il martirio. Nel risalto della sua figura i dissensi e le gelosie, la mancata coesione morale e il disordine militare che
cagionarono la sconfitta, si ricompongono nella rivendicazione delle idee, dei moventi, delle limpide cause. «Surles pasde Charette» è un'insegna che riassume e compendia, nella facilità elementare di un tracciato turistico, il periplo e la direzione di una revisione storica in movimento. I cartelli ci dirigono ai Lucs-sur-Boulogne, la città martire. La cappella occupa la sommità della collina che si leva su un paesaggio assoggettato e disciplinato a servire la memoria di un martirio mai riconosciuto, mai espiato, mai vendicato. Le due parrocchie dei Lucs contavano, nel 1789, circa duemila anime. I due curati, Barbedette e Voyneau, rifiutarono il giuramento alla Costituzione civile del clero preteso dalla Repubblica, e continuarono a esercitare il loro ministero nella clandestinità, con la complicità dei parrocchiani. Il sangue cominciò a scorrere già ITI marzo 1793, pochi giorni avanti larivoltadi Machecoul, quando i mezzadri di un nobile emigrato si opposero (massoneria e marxismo non gli avevano ancora iniettato l'odio di classe) alla vendita dei beni padronali. Una settima-
na più tardi, fu una delle prime parrocchie a insorgere; sarà tra le ultime a sottomettersi. Quando la Convenzione decise di annichilire la Vandea con la spedizione delle «colonnes infernales», Charette comparve ai Lucs e il 28 febbraio 1794, due di queste, comandate dai generali Cordellier e Martincourt, lanciate all'inseguimento del «Grand brigand», massacrarono la maggior parte degli abitanti del villaggio. Il 5 marzo ritornarono e uccisero tutti i superstiti, che si eranorifugiatinella cappella del Petit-Luc, sotto la protezione del curato Voyneau. L'altro curato, Barbedette, sfuggì alla strage e nel mese che seguì compilò l'elenco accurato degli uccisi, cinquecentosessantaquattro, tra cui centodieci Bambini di meno che sette anni. In nessun altro luogo di Vandea le «colonne infernali» giunsero altrettanto vicine a realizzare la dichiarata intenzione dello sterminio totale. L'elenco dei martiri, le cui ossa sono ammassate sotto le lastre del pavimento, si stende su lucide, spaziose tavole di marmo, coi nomi stupendamente incisi e dorati. Distrutta nel 1794, la chiesetta fu ricostruita nel 1867, dopo che il nuovo cucurato Jean Bart ebbe ritrovato e pubblicato il martirologio di Barbedette. Splendide vetrate raccontano con scene potenti e patetiche quella giornata di orrore. Ancora una volta, seppero bene che cosa facevano gli Amis du Mémorial de Vendée, quando scelsero la rupe su cui sorge la chiesetta quale centro e traguardo di un Chemin de la mémoire concepito come «luogo di evocazione e raccoglimento dedicato a tutti i martiri e alle vittime del Terrore». Le vie del vastissimo parcheggio ordinato nel piano confluiscono al pavillon d'accueil, che comprende una grande libreria con vendita degli antichi libri in ristampe anastatiche, dei nuovi e nuovissimi, dei pamphlet polemici, sintesi, rievocazioni, album fotografici, stampe, riproduzioni, manifesti, ritratti, fino ai souvenir della moda giovanile: le magliette, le battaglie coi soldatini, gli audiovisivi, le carte da giuoco, sui due mazzi, deibuoni e dei cattivi, i nostri e i loro.
Due secoli di storiografia di parte hanno giustificato errori e orrori del giacobinismo LA CHABOTTERIE
na semplice targa di bronzo dorato, «perché tutti ricordino», rievoca i l giorno che «Alexandre Soljenitsine e Philippe de Vilhers, Président du Conseil Général de la Vendée», inaugurarono il «Chemin de la Mémoire», il 25 settembre 1993. Quasi riprendesse di proposito l'intuizione del Manzoni, il martire sopravvissuto dell'Arcipelago Gulag denunciò tutta la Rivoluzione quale perversa e criminale, frantumando la mitologia menzognera di una temporanea e deplorevole degenerazione. Le stragi, gli episodi di sadismo e di Follia di cui si macchiarono le «colonne» repubblicane (a bambini e giovinette strapparono cuori e lingue, gli stupri furono compiuti con ogni strumento, animale e inanimato, le mutilazioni, gli sventramenti, gli scuoiamenti, le crocefissioni d'ogni specie, le impiccagioni inimmaginabili delle vittime formano oggetto di pubblicazioni riservate, non accessibili al pubblico; gli incendi di cascine e villaggi, le profanazioni di oggetti sacri, i furti, le appropriazioni formano un inventario che mai si è potuto completare fino in fondo) non si possono più scusare o minimizzare con le solite attenuanti della truppa stanca, innervosita dalla guerriglia; non sono, né possono considerarsi «incidenti di percorso», inevitabili in ogni rivoluzione. Precisò accuratamente Solgenitsin che facevano, invece, e fanno parte, di ogni tipo di «rivoluzione universale e sociale»; che terrore e crimine non sono degenerazioni impreviste, ma elementi costituzionali congeniti in quel tipo di mutamento perverso della società umana: «anche in Russia intere popolazioni resistettero strenuamente, come i Cosacchi del Don e degli Urali. E anche in Russia, come,in Vandéà, il potere centrale soffocò la resistenza nel sangue, in un vero genocidio. Fu la Rivoluzione francese a inventare i metodi che Lenin e seguaci perfezionarono e difhisero». I l terrorismo che oggi, vendicativo o ricattatorio, tiene in subbuglio le nazioni civili, è figlio ed erede di quella Rivoluzione, modello superato in vastità e numero delle vittime, non in sadismo e ferocia. Meno che mai, nel furore ideologico e nella volontà consapevole di sterminio di una precisa comunità umana. Furono pervertiti e perduti i sentimenti della buona fede, della solidarietà, dell'umanità, della pietà,
della lealtà, dell'unità famigliare. Allo stesso modo un grande storico dell'arte, attento ai moti delle anime non meno che allo sviluppo delle forme, Hans Sedlmavr, ha dimostrato che nello sconvolgimento e nell'abiura delle menti si produsse quella «perdita del centro» {Verlust der Mitte, è i l titolo del libro che descrive tale lebbra intellettuale ed estetica), quello smarrrimento delie finalità e della moralità dell'arte, quell'abbandono dei principi eterni da cui nacue il marasma babelico ella cosiddetta arte mo3derna.
La cosiddetta «immagine romantica della Rivoluzione» è in buona parte frutto di uno storico sommario, Jules Michelet, che, «repubblicano e democratico, dedicò al "popolo'' un culto sommario, commovente e ingenuo [...]. Trascura le conoscenze per fidarsi del proprio intuito, del proprio potere visionario. I l rumoreggiar della folla, gli assassinii, le bianche fanciulle dal collo troncato, le teste portate in giro infilate nelle picche"? tutto quel sommovimento allucinante, avvolto in una bruma sanguinosa, brilla ai suoi occhi come la luce di un istante favorevole e sacro» (Kléber Haedens). Di cervelli di simile risma si nutrì una cultura da fogne, che tuttavia gradualmente s'impose, soffocò e mise a tacere le voci contrarie, si assise in un trono che credette «immortale», coi «principii» di cui era espressione. Ora è finita. Per una volta, si avvera l'antica impresa, che «il tempo svela la verità». Nessuno aveva osato sconsacrare, svelare e schernire la Rivoluzione con tanta chiarezza. La scuola dei massoni, l'istruzione democratica e progressista, l'università pecorile e asservita non risparmiarono suasione e sofismi, lusinghe e ricatti, premi e cointeressenze per creare intorno alla Repubblica l'aura di una venerazione intangibile. Negarla, rifiutarla, era pericoloso. Tra gli scrittori moderni, i soli Maurras e Léon Daudet in Francia, i soli Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolim (negli articoli raccolti in Vecchio e nuovo nazionalismo) in Italia, osarono attaccare frontalmente il feticcio, già putrefatto agli esordi del nostro secolo. Un solo storico regolare, Pierre Gaxotte, condusse a fondo l'impresa di una storia organica e completa volta a smontare, pezzo'per pezzo, risalendo alle cause falsate, agli scenari retorici, demagogici e
bugiardi, l'oscena menzogna, l'immagine benefica e maestosa eretta dallo «stupido secolo decimonono». La Vandea, arretrata e appartata, ha offerto alla distruzione in corso l'accelerazione emotiva, la spinta irrazionale delle cause vive. Il suo risentimento ribolle di rivincita e rivendicazioni, si comunica alla Bretagna, alla Normandia, a tutti i figli delle «patries de l'Ouest». Piansero, costoro, in silenzio, i loro martiri. Si rassegnarono a un'acquiescenza che arrivarono a scambiare per un prezzo sacro di umiltà da pagarsi alla vociferante «Patrie» in pericolo, che chiamava i suoi «enfants» per farli morire inutilmente, sotto i l comando di generali somari e cinici; in tre guerre, democratiche e socialiste, tutte sonoramente e con poco onore perdute, nonostante le interessate finzioni delle altre due democrazie liberali («Ma perché ve la prendete tanto per la Francia, che, dopotutto, non esiste, e non conta niente, e ha sempre perso?», domandò Stalin divertito. E Churchill rispose: «Per bontà»). E tuttavia, nonostante i dubbi e le crepe, l'oleografia virtuosa e falsa e l'impegno retorico di mantener vivo i l fantoccio, cui una destra opportunista offre l'ultimo interessato sostegno, tengono e continueranno a tenere chi sa quanto tempo ancora. L'ultima stampella alla Rivoluzione svergognata l'ha offerta il gauíusmo, restituendo i favori ricevuti quando la resistenza accettò di farsi guidare dalla Croce di Lorena. Le due Francie non ancora si affrontano in campo aperto. Più che mai nemiche, più che mai divise, i loro interessi s'incontrano nella finzione ufficiale. I ministri, i prefetti ignorano qualsiasi tentativo di coinvolgerli nel movimento revisionista, anche
se i custodi degl'Invalidi dichiarano ai visitatori, che si sporgono dalla balaustra che circonda e sovrasta la tomba di Napoleone: «E un giorno gli metteremo accanto il Maresciallo Pétain». Ai deliranti conati estetici della Repubblica, che hanno sovvertito i l profilo di Parigi, i l Mémorial de Vendée offre i l contrario esempio di un moderno monumentale sobrio, virile, classico. L'atrio oscuro, che fa da antiporta al Corridoio della Memoria, si apre con una vasta vetrina, al cui centro campeggiano le falci, le picche, i forcali, le armi dell'insurrezione. Ai lati, si snoda la serie delle vetrine, delle proiezioni, delle planimetrie di battaglie, la folla degli oggetti, armi, documenti, arazzi, ordinati in una museogratìa efficace?'elegante. Usciti all'aperto, ci si muove salendo verso la cappella del massacro, accompagnati da stele metalliche scure, delle quali ciascuna reca un motto, un pensiero: «Non è l'uccidere un innocente come innocente, che perde una società, ma l'ucciderlo come colpevole», accusa una frase di Chateaubriand, mal traducibile, eppure terribile, che cela net suoi abissi il collegamento tra i Carrier e i Poi Pot, tra gli sterminatori del «Champ des Fusillés» e i partigiani della strage di Arcevia, di cui parlavo poche settimane or sono. La filiazione della barbarie rossa del secolo
IL
ventesimo dalla barbarie blu del decimottavo è dimostrata con ogni mezzo, intellettuale come emotivo. Pochi minuti d'automobile separano i l Prologo, grave e pensoso dei Lucs, i silenzi, le meditazioni, l'invocazione, dalla festa della Chabotterie, i l castello che della controrivoluzione è vetrina e spettacolo. Chabot è un pesce, assai brutto, d'acqua dolce, con una grossa testa. In italiano porta un nome assai poco decente, si chiama scazzone. Chabotterie voleva indicare, dunque, un castello circondato di acque, vasche e stagni, pieni di questo pesce. Così come a rratolino e altrove c'erano aamberaie, ed altri nomi di natura acquatica. Il nome, non compromesso con famiglie e partiti, superò indenne lo spazio di due secoli. Qui, dove la guerra di Vandea si concluse il 23 marzo 1796 con la cattura del più popolare e capace dei capi dell'insurrezione, si è stabilita oggi la roccaforte della controrivoluzione alla riconquista della sua dignità storica. Lo splendido castello, restaurato col suo mobilio e gli arredi, i quadri dell'ultimo Settecento, testimonia l'arte di vivere della società del Bas-Poitou, che dettava legge alla più rude Vandea. E insieme affascina, attraverso la favolosa storia dell'eroe, da oscuro aspirante di Marina a «Roi de Vendée» a martire dell'onore e della lealtà. L'esposizione, fantastica, che si snoda nelle vetrine del vastissimo padiglione destinato a museo, scenografia e archivio, testimonia le capacità e la volontà di un ceto culturale che nulla ha a che vedere coi tartufi dell'università, gli mia, gl'impiegati delle soprintendenze statali. E uno stile arioso, apre le sue sale in tono di sfida. «La Chabotterie si apre a seminari d'iniziazione alla storia della Vandea, e può servire da base di partenza per la scoperta del suo patrimonio». Respinta e addossata, per due secoli al muro delpianto e della vergogna di sé, la vittima della «rivoluzione diabolica» prende, all'improvviso, la testa del convoglio. Succede, come quasi trentanni fa avvertì Gaetano Arcangeli, poeta mio amico, non convinto che la sinistra possedesse i l monopolio della storia. «La Stona, sì, procede; / ma pure, qualche sosta, / a tratti si concede... c'è poi chi non s'avvede / che con manovra lesta, / senza che nulla s'oda, / i vagoni di testa, / ecco, passano in coda». p.b.
(Fine - Le precedenti puntate sono state pubblicate il 4, 11 e 19 agosto)
Il fenomeno delle insorgenze antifrancesi e aniiaiac¡ «bi
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Franco Cardini
on il secondo centenario della campagna del generale Bonaparte in Italia si è aperta que : st'anno una lunga fase di occasioni per ripensare i l passato. Le vicende connesse con il consolidamento interno e la proiezione esterna della Francia rivoluzionaria, culminate con le campagne d'Italia e d'Egitto del Bonaparte, la «Seconda Coalizione» e i l Consolato, furono un periodo nodale per la storia d'Italia e d'Europa. Il triennio 1796-99 fu anche quello delle grandi «illusioni giacobine», il banco di prova dell'esportazione nella penisola d'un radicalismo rivoluzionario che in Francia era già perdente e della soluzione dei tentativi (che c'erano stati: e interessanti, da Milano a Firenze a Napoli) di attuare le riforme connesse con il pensiero dei «Lumi» e con i l decollo della rivoluzione industriale. L'accelerazione imposta a questa dinamica dagli eventi francesi e il corto circuito che essa determinò nei rapporti tra vita civile, vita economica e vita religiosa furono come sappiamo causa dell'esplodere di un disagio che esisteva già prima che i l Bonaparte varcasse le Alpi ma che si trasformò a causa dell'arrivo dei francesi e dell'imposizione da parte loro delle nuove istituzioni repubblicane in un vero e proprio scontro fra ceti interessati al rinnovamento e ceti ben decisi invece a conservare un ancien regime magari cautamente rivisto o magari ad approfittare della reazione alla calata delle truppe del Bonaparte per eliminare anche gli esiti delle già avviate r i forme settecentesche. E un fatto che anche la questione" religioso-civile e quella meridionale, due altri nodi storici dell'Italia contemporanea, prendono l'avvio dal 1796. Ragione di più per ripensarci. È comprensibile che questo nodo di problemi si sia tradotto i n una «riscoperta» di quelle che - con entusiasmo e con allarme entrambi eccessivi - si sono definite le «Vandee italiane», vale a dire i molti episodi d'insorgenza antifrancese e antigiacobina che nel triennio 1796-99 si verificarono un po' dappertutto nella penisola, dal Veneto, alle Romagne, alle Marche, alla Toscana, al Merdione. I l rapporto con la tragedia vandeana è nato forse spontaneo, anche dato il carattere marcatamente religioso delle ragioni degli insorgenti (o di quelle che essi adducevano) e delle loro insegne e quindi
Quando il clima comune che sembra respirarsi nei casi appunto vandeano, italico o m quello spagnolo di qualche anno più tardo. Va da sé che le somiglianze ci sono, ma che molte di esse sono solo esteriori e che comunque non è proponibile fermarsi a esse. Più interessante appare l'interrogarsi sulla natura dei moti antifrancesi. Spontanea reazione popolare contro le misure antiecclesiastiche degli invasori e l'appoggio a essi fornito da alcuni intellettuali locali? Sistematica controffensiva dei vecchi ceti dirigenti appoggiati dalle potenze europee in lotta contro la Francia? Esito di antiche e nuove tensioni, di nodi talora secolari esplosivamente «venuti al pettine»? Si sono provati in molti a rispondere. Massimo Viglione, in La «Vandea italiana» (Effedieffe), ha tentato un bilancio generale delle insorgenze sottolineando non solo le somiglianze, ma anche le differenze rispetto alla Vandea. Per esempio, mentre l'aristocrazia francese del nord fu in genere solidale con i moti popolari contro la Repubblica (causati principalmente dalla Costituzione civile del clero e dalla leva obbligatoria), quella italiana fu molto più cauta e attendista. Un «carattere originale» dei nostri ceti dirigenti, storicamente inclini al trasformismo? Analoghe conclusioni fornisce la bella ricerca Insorgenti marchigiani (Sico) di Sandro Petrucci, mentre sull'ambiguità della situazione toscana alla base del movimento del «"Viva Maria» (reazione alla violenza anticattolica dei giacobini o esito del diffuso malcontento per quelle ch'erano già state le riforme religiose e socioeconomiche dell'età leopoldina, come aveva sostenuto anni fa in una ricerca fondamentale Gabriele Turi?) si è tornati con una pubblicazione del Comune di Montevarchi dedicata all'eroina dell'insorgenza in Valdarno, Alessandra e la famiglia Mari di Montevarchi. Che il Comune di Montevarchi si sia ricordato della sua Sandrina è significativo anche sotto un altro profilo. La storia del giacobinismo e dell'antigiacobinismo italiani alla rine del Settecento è infatti importante come capitolo della
storia delle donne. Se ne sqno ricordate Cecilia Brogi, che in Per il trono e per Valtare (Alberti & C.) ha tracciato i l ritratto commosso di alcune eroine di quelle vicende, da Maria Antonietta a Luisa Sanfelice a Lady Hamilton; e Maria Antonietta Macciocchi, che ha riproposto i l suo Cara Eleonora (Rizzoli) La vicenda di Eleonora Fonseca Pimentel è esemplare: non solo per l'alta qualità morale e intellettuale del personaggio e k sua tragica fine, ma proprio per i nodi problematici che vi sono sottesi. A questo riguardo, forse, ur. confronto tra le pagine dei Vìglione e quelle defla Maeciocchi appare illuminante. Ché in effetti i l cattolico e «filosanfedista» Viglione non esita a condannare senza mezzi termini l'atteggiamento sanguinario e vendicativo della regina Maria Carolina: i l ché"pe r è ridimensiona di parecchio le responsabilità del cardinale Ruffo mentre di pesantissime ne assegna all'ammiraglio Nelson, sul quale la Macciocchi appare più elusiva. Certo è che su tutte queste cose dovremo tornare. E dovremo tornare su un movimento che coinvolse personaggi per carattere, cultura e posizione latitudinaria tanto diversi quali Andreas Hofer e Michele Pezza detto «fra Diavolo», su cui si sono chinati con simpatia dall'Ongaro e il Morganti. Le polemiche sulle Insorgenze sono arrivate; ma, al pari deDe Id; di Marzo, non trascorse.
Roma, 2/10/96
| Secolo d'Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, a. XLV, n. 228
p. 16
Nel bicentenario della «Vandea italiana» un libro di Sandro Petrucci sugli insorgenti marchigiani
INSURREZIONE & TRADIZIONE
E carattere nazionale di una reazione popolare ai principi élla Ri FRANCESCO PAPPALARDO
L
Aricorrenzabicenlenaria dell'invasione francese e dell'inizio del cosiddetto triennio giacobino in Italia (1796-1799) è occasione propizia sia per rievocare e commemorare il fenomeno delle insorgenze contro-rivoluzionarie, sia perrifletteresu questa pagina dimenticata della storia nazionale e tentarne un'interpretazione, anche al fine di una identificazione più credibile delle radia dell'identità nazionale ilaliana, oggi al centro di un vivo dibattito nel mondo culturale e politico. Eppure, c'è ilrischioche l'occasione vada perduta. A Milano, nel mese di maggio, la Giunta comunale leghista ha celebrato con dispendiose iniziative il secondo centenario dell'occupazione francese della città, cioè l'inizio di una politica di spoliazione e di repressione protrattasi per anni non soltanto in Lombardia ma in tutta la penisola. In Parlamento è stato presentato un disegno di legge perfinanziarei festeggiamenti in onore della Repubblica Napoletana neL 1799 e annegata dopo pochi mesi in un mare di insorgenze, promosse proprio da quel popolo che francesi e giacobini pretendevano di «liberare». Cè anche chi pensa di celebrare il trattato di Tolentino, imposto dalla Francia rivoluzionaria allo Stato Pontifìcio, il 19 febbraio 1797, che segnò l'inizio di una «veloce ed opulenta rapina», come.scrisse Alessandro Verri, letterato e romanziere lombardo. Quest'ultima considerazione è riportata nel libro di Sandro Petrucci, Insorgenti marchigiani il Trattato di Tolentino e i moti antifrancesi del 1797, dato alle stampe quest'anno dall'editore Sico di Macerata (pp. 261, £. 28.000), che fornisce un importante contributo alla storia delle insorgenze in Italia. Il volume si apre con una Prefazione (pp. 7-10) di Marco Tangheroni professore di Storia medioevale presso l'Università di Pisa, che sottolinea il carattere nazionale. «Non stupisca l'uso di questo aggettivo "nazionale", applicato ad un'epoca in cui l'Italia non aveva una sua unità statuale» delle resistenze popolari contro la Rivoluzione francese e giacobina Le insorgenze, che si manifestarono in tutta la penisola sempre con gli stessi caratteri sebbene in presenza di popolazioni rette da-istituzioni differenti, situate in contesti geoeconomiti non uniformi e con le più diverse tradizioni, testimoniano che sul finire del Settecento la nazione italiana esisteva già in termini di cultura e di omogeneità religiosa Di fronte all'imbarazzante fenomeno della resistenza popolare sia gli storici marxisti sia quelli liberal-progressisti hanno visto venire meno i loro abituali schemi interpretativi e non hanno saputo offrire una spiegazione valida anche la storiografia puramente
«nazionalistica», che riduce le insorgenze a una reazione istintiva di fronte a stranieri troppo prepotenti fornisce una spiegazione. In realtà, si legge nella Prefazione, «la Rivoluzione era avversata perché percepita nella sua essenza reale: straniera si ma non solo di lingua e di modi; straniera alle tradizioni ai costume, alle credenze, ai legittimi interessi di un popolo». Questi aspetti non sono trascurati da Sandro Petrucci - medievalista, impegnato anche in studi di storia contemporanea, nonché studioso delle Marche, la regione in cui vive -, che con il suo studio, scrive ancora Marco Tangheroni, «mostra la via da seguire per la restituzione all'Italia (e anche alle "piccole patrie" locali) della memoria storica». Il volume si distingue, innanzitutto, per l'uso di un'abbondante documentazione inedita, reperita negli archivi locali e per la valorizzazione di fonti già note, ma utilizzate finora in modo inadeguato, che consentono una migliore e più profonda conoscenza di quegli avvenimenti Inoltre, le categorie interpretative dell'autore gli consentono di collocare la storia delle operazioni militari e degli avvenimenti politici che interessarono Io Stato Pontificio, di cui facevano parte appunto le Marche, nel contesto storico e ideologico della Rivoluzione francese, dimostrando che anche in quelle regioni le reazioni popolari suscitate inizialmente dalle requisizioni e dai saccheggi di un'armata straniera, avevano le loro radici profonde nell'avversione ai princìpi rivoluzionari e nella fedeltà al sovrano legittimo. Nello Stato Pontifìcio, eoa come nelle altre parti d'Italia, gli invasori francesi intrapresero una politica di sistematica predazione, soprattutto a danno dei più poveri, sottraendo anche opere d'arte di valore inestimabile, mai piùritornatein Italia; si macchiarono di sacrilegi,rapineai danni di conventi e santuari nonché di persecuzioni nei confronti degli ordini religiosi; lasciarono dietro di loro una sanguinosa scia di sopraffazioni e di violenze. A questo scempio, frutto di una ideologia rivoluzionaria imposta da una minoranza di intellettuali, le popolazioni reagirono con vigore e con determinazione, aggiungendo il tributo di sangue a quello pecuniario, e mostrando che i veri patrioti gli autentici italiani stavano «dall'altra parte». Sandro Petrucci mostra come i veri difensori della patria erano gli insorgenti bollati come «briganti» e «ribelli» da giacobini e repubblicani cioè dai collaborazionisti di allora. U contrasto tra i giacobini locali e il popolo era insanabile, non tanto e non solo per l'atteggiamento filofrancese dei primi quanto e soprattutto perché i giacobini non riuscivano a frenare l'anticlericalismo loro connaturato, mentre il popolo era sensibilissimo ad ogni offesa arrecata alle sue tradizioni religiose
IS