Rassegna N. 106

Page 1

RASSEGNA A CEKA DEL CENTRO

CA TTOLICO

DI DOCUMENTAZIONE

STAMPA -CASELLA

POSTALE

30 , SÓOU MARINA

DI PISA

(Pi)

e-mail: rassegnastampa@h'.tmail.com

Anno X V I I I , n. 106

luglio - agosto 1999

In questo numero: Primo piano Scuola' i vantassi della carità "Parità": accordo fatto per la maggioranza Si va contro storia e memoria Questa scuola non è matura per spiegare il comunismo Politica internazionale Kosovo: intervista a don Lush Gjergji I complici dei dittatori Tibet: 1' olocausto si consuma in silenzio Caucaso: siripetonogli errori e le strategie della Cecenia Urali: viaggio nelT incubo ecologico A

VII

il V U

111 i v i

U U I ^ I V I I U I V

Politica interna Giustizia: Sofri torna libero perchè di sinistra La vera storia di Silvia Baraldini Privatizzazioni: Enel, fine del monopolio. Ma chi ci guadagna?

1-2 2 3 4

5 6 7 8 9

1 1

10 11-13 14

! 15 16

L d uumuu ueuiugrcijiLLi

17

"Caro Fo, Francesco non è il Che"

!

i

Società e costume Olanda: eutanasia anche ai bambini Italia: la sinistra vuole una legge che tuteli gay e lesbiche n o n c e più

Ì

18-19

Fondamenta 20-21 Il Male secondo San Tommaso 21 Josef Pieper:ristampatoil trattato sulla prudenza Il sale della memoria: dalla tarda antichità al Basso Medioevo a oggi, 22-23 le forme, gli schemi, le allegorie e l'importanza del ricordare

Questa raccolta di articoli si propone 1' obiettivo di offrire a quanti reagiscono di fronte alla crisi del mondo moderno, spunti di riflessione che li aiutino ad affermare una sempre più incisiva presenza nella realtà italiana, nella prospettiva della costruzione di una "società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio'" (Giovanni Paolo II). 1


IL 5 o U

0&£

di D a r i o A n t i s e r i

i^u^^^M

1 1

i l .monopolio statale dell'istruzione va'superaio se sì crede davveroi nel j liberismo

i vantatila della parata KlNW* J V

11 «voucher» non favorisce gli istinto confessionali ma'sostiene ì meno abbienti/" urante il vertice di magstatalisti che predicano la via delgioranza tenutosi l'altro zione al presidente del Senato di nanziamenti pubblici alle scuole la caverna. ieri a Palazzo Chigi Roc- un milione e 400mila firme a non statali, nella persuasione che, magari eliminando le (insiNon fa onore a un intellettuale co Buttiglione, segretario del favore della scuola libera. del calibro di Stefano Rodotà anLe acque politiche sono, dun- gnificanti) sovvenzioni alle scuoCdu, ha lanciato un ultimatum nunciare — come ha fatto tempo agli alleati di Governo: «Ci aspet- que, nuovamente e fortemente le non statali, scomparirebbero tiamo che il tema della parità agitate. Il Ddl del Polo sulla pari- così tutti i mali della scuola stata- fa — che l'introduzione del buoscolastica venga affrontato pri- tà è già calendarizzato al Senato le, va subito detto che sbagliano no-scuola nel nostro sistema scoma delle vacanze estive, almeno per il 20 luglio. Domani, o al e che stanno scambiando la ma- lastico avrebbe come effetto la "balcanizzazione" della società, in uno dei due rami del Parla- massimo dopodomani, un verti- lattia per il medico. mento. Se avessimo l'impressio- ce tra esperti e ministri è stato Tutti costoro errano di fatto e in quanto i cattolici si farebbero ne che non esista la volontà di convocato per tentare di scioglie- di principio. Di fatto: perché, se le loro scuole, gli ebrei le loro, i affrontare la questione, verrebbe re la vexata quaestio tramite la la scuola di Stato se la passa musulmani le loro scuole, e così meno un motivo fondamentale costruzione di un documento in male, la colpa non è della scuola via. Che un noto intellettuale vaper partecipare a questa maggio- grado di accontentare tutti gli al- non statale, che in Italia sostan- da ripetendo cose simili è un fatto sconcertante, giacché signileati della coalizione di maggioranza». ranza. L'impresa sembra davve- zialmente non esiste. Di princi- fica che addirittura va scompaDecisamente contrario all'ulti- ro impossibile. E qualcuno sta pio: perché l'unica terapia che rendo l'idea stessa di società matum di Buttiglione si è subito già alzando le barricate, tanto può guarire la scuola di Stato è aperta, cioè di democrazia. dichiarato il segretario dello Sdi che Beniamino Brocca, responsa- la competizione con la scuola La società aperta è aperta a Enrico Boselli. per il quale «la bile scuola per il Ccd, ha potuto non statale. più visioni del mondo, filosofiparità non può essere il finanzia- tranquillamente asserire che «a La qualità della scuola non è e mento delle scuole private». E, Buttiglione non resta altro che non sarà frutto di buone intenzio- che e religiose, a più valori, a se il capogruppo del Ppi al Sena- essere conseguente con le sue ni, di proclami ministeriali, delle più partiti, a più proposte per la to Leopoldo Elia, pure favorevo- affermazioni e lasciare questa prediche dei provveditori e dei soluzione dei problemi, a scale differenti di priorità di problemi, le alla parità, non sembra aver maggioranza». presidi. La qualità della scuola e alla massima quantità di critiapprezzato «le sollecitazioni asca. La società aperta è chiusa solutamente superflue» di ButtiUn forte stimolo alla presa di potrà essere unicamente il risulglione, il cossuttiano Marco Riz- consapevolezza circa la nevralgi- tato della competizione tra scuo- solo agli intolleranti. Ma per zo precisa che «per i comunisti ca rilevanza della questione del- la e scuola. Quindi tutte le propo- qualcuno è chiusa a tutti, meno qualunque vicenda che riguarda la parità scolastica è, nel frattem- ste di riforma, comprese quelle che ai seguaci dell'agnosticismo la scuola altro non può essere po, venuto venerdì scorso, 2 lu- sull'autonomia, saranno, in linea laicista. Dobbiamo forse chiudeche il dettato costituzionale, do- glio, da un convegno promosso generale, o inutili o dannose, fin- re il liceo israelitico di Roma, i ve non si prevede nessun tipo di dalla Fondazione "Amici di Libe- ché non si avrà l'illuminato co- licei dei Salesiani, le scuole laifinanziamento statale alle priva- ral" e dal Movimento per l'Euro- raggio di inserirle all'interno di che libere aderenti all'Aninsei? te». Da parte laica, avversario al pa popolare, con la presenza di un habitat competitivo, per mez- In Germania esistono scuole finanziamento pubblico alle Ferdinando Adornato. Pellegrino zo dell'introduzione del credito neutre, scuole protestanti e scuole scuole non statali è Giorgio La Capaldo. Mario Baldassarre An- di imposta o, ancora meglio, del cattoliche: forse che la Germania è Malfa. E ora il socialista Rober- tonio Martino, Angelo Panebian- buono-scuola (idea quest'ultima un Paese balcanizzato? In Olanda to Villetti insiste sull'urgenza di co, Innocenzo Cipolletta, Franco proposta per primo da Milton sono sorte scuole induiste e musultogliere l'insegnamento della re- Vittadini e il cardinal Camillo Friedman, ripresa successiva- mane. La balcanizzazione, invece, mente da Friedrich von Hajek e ligione dalla scuola pubblica, Ruini. riproposta in Italia da più di si è avuta proprio nei Paesi dove per poi avviare il discorso sul non esisteva la libertà di insegnaPer l'occasione è stato reso vent'anni da Antonio Martino). finanziamento delle private trapubblico un Manifesto in cui si È davvero avvilente sentire po- mento, dove erano state cancellate mite unariformacostituzionale. identificano sette obiettivi priori- litici ergersi a paladini della liber- tutte le scuole di "orientamento Nel programma del Governo tari. tà di scuola, brandendo la propo- confessionale", e dove veniva fiBerlusconi era stato inserito il O Lo Stato finanzi ma non gesti- sta di un aiuto per la scuola libe- nanziata una ipocrita scuola "neuproblema della parità scolastica, sca l'istruzione di tutti i cittadini. ra di 110 miliardi: più o meno il trale" di Stato. e si parlava senza mezzi termini costo del calciatore Ronaldo, di E che dire della "prudenza" — Q Si affermi una pluralità di del buono-scuola. La breve durafronte ai sei o settemila miliardi chiamiamola così — di tanti catofferte e istituti formativi, statata del Governo fu una delle caustanziati dalle famiglie che han- tolici, i quali proclamano l'indise per cui della parità non si fece li e non. no scelto di iscrivere i loro figli scusso valore prioritario della fa0 II raggiungimento della pari niente. Molti cattolici — e non alle scuole non statali. miglia ma, appena le famiglie solo loro — guardarono con sim- dignità tra le diverse scuole. Qui non si tratta di strisciare potrebbero esercitare la loro reO L'abolizione del valore legapatia l'ascesa di Romano Prodi come accattoni di fronte allo Sta- sponsabilità, per esempio nella alla presidenza del Consiglio, le del titolo di studio. to: si tratta di reclamare il dirit- scelta della scuola per i loro fiQ La fissazione di una cifra, da giacché Prodi aveva fatto del progli, cedono al primo assalto deto delle famiglie blema della scuola e della parità parte dello Stato, da spendere a scegliere l'edugli avversari, respingono la proannualmente per scolastica uno dei suoi cavalli di posta del buono-scuola, o del crecazione, cioè il la formazione di battaglia nel corso della campadito di imposta, e avanzano, semciascun cittadi- tipo di crescita gna elettorale. mai Io fanno, timidissime richieintellettuale e no. Il problema della parità venne ste di sovvenzioni, o invocano il O La possibilità morale, dei properò sostanzialmente accantonacappio della convenzione? Costodi detrazione fi- pri figli. to: il solo parlarne era come metro non dovrebbero dimenticare È un fatto inscale per questa tere le mani su un ferro rovente. la saggezza di Pubblio Sirio, il quietante dover cifra. Il Governo D'Alema nacque, quale sapeva che benefìcium acO La previsione ascoltare altri pocon l'appoggio dell'Udr, sulla cipere libertatem est vendere, o che gli studenti litici, ma anche base di un patto concernente prodi scuole non sta- insegnanti e docenti universitari, di chi, più semplicemente, ripete prio la parità scolastica. D'Ale- tali gravino sullo Stato per un mentre parlano della competizio- che «chi paga compra». ma, qualche volta e, più spesso, 10% in meno di quelli che scel- ne e del mercato come della fonDi nuovo, lo statista: la scuola il ministro Berlinguer hanno ten- gono la scuola statale. te di tutti i mali. Costoro insegnadeve essere tutta in mano allo tato di riproporre la questione no. E fanno finta di non ricordaSi ha. insomma, urgente bisodella parità. Ma subito qualcuno re che fascismo, nazismo e stali- Stato, perché essa è un settore si è messo a inveire contro in gno di una graduale iniezione di nismo hanno combattuto la com- strategico. Replica: ma è proprio televisione. Altri — che si dico- linee di competizione all'interno petizione e il mercato, esattamen- perché è un settore strategico no "liberali" — hanno firmato del sistema scolastico italiano. te come stanno facendo loro ora. che nel sistema scolastico va inun "manifesto laico" contro il Nessuna scuola sarà mai uguale Alchimisti dopo Lavoisier, costo- nescata la competizione. Nessun finanziamento pubblico della a un'altra, ma tutte potranno di- ro non si rendono conto che la settore è più strategico di quello scuola non statale. C'è stata an- ventare migliori, se si abbracce- competizione è il grande princi- del pane. Ebbene, forse che per che qualche manifestazione di rà il principio della concorrenza. pio che anima l'avanzata della questo dobbiamo scendere in piazza. Mentre si è cercato di far E a quanti urlano e scendono in scienza, la vita della democrazia, passare inosservata la presenta- piazza per protestare contro i fi- la ricchezza del mercato. Sono

D


piazza a favore dei forni di Stato? E non è vero che abbiamo il buon pane proprio perché i forni sono in competizione, perché se un forno ci servisse male, potremmo rivolgerci a un altro forno? Non dovremmo mai dimenticare che lo Stato onnisciente è l'altra faccia dello Stato onnipotente. Altra obiezione, questa volta da parte di un noto giurista italiano: la scuola deverimaneresaldamente e totalmente nelle mani dello Stato, a motivo del fatto che soltanto la scuola pubblica è in grado di garantire la formazione del cittadino. Ed ecco la replica di Angelo M. Petroni: «La tesi è semplicemente falsa sul piano descrittivo (qualcuno può pensare che il cittadino inglese formato a Eton è peggiore del cittadino italiano formato nel miglior liceo statale italiano?). Ma evidentemente è ancor più inaccettabile sul piano dei valori liberali. Dietro di essa vi è l'eterna idea dello Stato etico, di uno Stato che ha il diritto di formare le menti dei propri cittadini/sudditi, sottraendo i giovani alle comunità naturali e volontarie, prime tra le quali la famiglia». E, se giova ripetere che il buono-scuola è una carta di liberazione dei poveri, va anche respinta l'obiezione di quegli ambienti laicisti, dove ci si ostina a ripetere che il buono-scuola sarebbe un "favore" alle "scuole dei preti". Le cose non stanno affatto

così. La verità è che — con tutto il rispetto di chi lo merita — parecchi di quei cattolici che si interessano di scuola guardano con disprezzo la scuola libera. E altri, vogliosi del cappio della convenzione, si trovano fianco a fianco con tutti gli statalisti, e con quei laicisti che predicano il liberalismo e praticano lo statalismo. All'attenzione di quei laicisti "anticlericali" che combattono il buono-scuola come "strumento dei preti" vale la pena sottoporre un pensiero di quello che forse è uno dei più grandi liberali del nostro secolo, Friedrich von Hayek: «A differenza del razionalismo della Rivoluzione francese, il vero liberalismo non ha niente contro la religione, e io non posso che deplorare l'anticlericalismo militante ed essenzialmente illiberale che ha animato tanta parte del liberalismo continentale del XIX secolo». Aveva ragione, dunque, Albert Einstein: «È più facile disintegrare l'atomo che un pregiudizio». E il nefasto pregiudizio che, nel nostro Paese, intossica le menti di molti politici e di tanti intellettuali è l'equazione: è buono solo ciò che è pubblico; è pubblico solo ciò che è statale; è statale solo ciò che può diventare preda dei partiti. Ma c'è da chiedersi: svolge una migliore funzione pubblica una scuola statale inefficiente e sciupona, ovvero una scuola non statale attenta alle spese, efficiente e preoccupata dei risultati formativi?

Ma il Cdu non lo firma

Parità scolastica: accordo fatto per la maggioranza ROMA - Tutte le componenti politiche della maggioranza hanno firmato l'accordo sulla parità scolastica. L'accordo non modifica in modo sostanziale il testo già concordato a Palazzo Chigi. In particolare non è stata accolta la richiesta dei «centristi» della coalizione di prevedere borse di studio di ittiporti difieren/.iati per gli studenti delle statali e delle scuole parificate. All'accordo, siglato al Senato, non ha aderito il Cdu di Rocco Buttiglione. Ieri mattina c'era stata un'

altra riunione informale sullo stesso tema presso il gruppo del Ppi del Senato e in questa occasione Rocco Buttiglione aveva abbandonato l'incontro in segno di protesta per il «no» del governo alla proposta di differenziare gli importi delle borse di studio tra gli alunni delle scuole statali e quelli delle parificate.

PAGINA 4 — Mercoledì TLiigiio 1999 - N, 183 —«- SOLE-24.0RE ±

Comménti jèìnchìeste

«C'è stata una violazione del patto di governo» ha affermato il segretario del Cdu, il quale ha espresso «tutta l'insoddisfazione» del partito. Alla firma dell'accordo si è arrivati dopo un lungo braccio di ferro con i «centristi» della coalizione di Governo. Ppi, Udeur e Ri chiedevano infatti che venisse abolito il principio del pari importo delle borse di studio. Se questo elemento non viene rimosso hanno argomentato i rappresentanti dei 3 gruppi parlamentari - non si realizzerà una vera parità scolastica, ma si darà tuttavia un sostegno alle famiglie che, con un Basso reddito, affrontano spese per l'istruzione. Insomma non si poteva a loro avviso dare gli stessi rimborsi a chi investe milioni nella scuola privata e chi, frequentando la scuola statale che è gratuita acquista un computer o si iscrive ad un corso extrascolasti-

\Lltn Po

co. Questi argomenti non Ranno però fatto presa nè sul ministro Berlinguer nè sugli altri gruppi. È stato quindi ribadito il principio del pari importo. A questo punto i «centristi» hanno spostato la loro battaglia sull'opportunità di introdurre una «soglia di spesa» per ottenere il bonus. In pratica questo avrebbe favorito le famiglie che mandano i loro figli nelle scuole private visto che affrontano spese facilmente documentabili. Ma anche qui da Berlinguer è venuto un «no». Alla fine l'accordo è stato siglato in seguito alla assicurazione che le borse di studio verranno assegnate solo in seguito a spese rigorosamente documentate.


Si va contro storia e memoria Mario Mauro*

I

l ministro Berlinguer ha lanciato dalle colonne del Giornale, in una lunga intervista, un lugubre avvertimento sul futuro in Italia dei contenuti dell'intesa che regola l'insegnamento della religione cattolica nelle nostre scuole. Paventando il rischio che tale insegnamento sia vera e propria catechesi il ministro ha parlato esplicitamente della necessità di rivedere il Concordato. Non sappiamo se l'intenzione di Berlinguer esprima gli intenti dell'intero governo italiano (bene farebbero a pronunciarsi in materia il premier Massimo D'Alema e il ministro degli Esteri Lamberto Dini), resta tuttavia incomprensibile il senso di questa provocazione nella fase in cui secondo le stesse dichiarazioni di Berlinguer si prospetta una grande trasformazione della scuola, in cui tutte le impostazioni tradizionali sono rimesse in gioco e chiedono di essereripensate.In primo luogo la contrapposizione tra laici e cattolici sui temi deùa scuola, contrapposizione che, nonostante le contrarie apparenze, continua a essere determinante nel confronto politico sull'argomento. Caduta la Democrazia cristiana, che non poteva permettersi di suscitare contro di sé un fronte di tutti i laici, ha acquistato maggiore forza la richiesta sull'attuazione della libertà di educazione nel nostro Paese perché sia il Polo che l'Ulivo o centrosinistra che dir si voglia cercano il consenso dei cattolici. Ma questo spacca la maggioranza, componenti determinanti della quale ripropongono le pregiudiziali di sempre. L'esito di questo dibattito è alio stato attuale quel provvedimento votato dal Senato che riduce la parità scolastica a un problema di diritto allo studio e che stravolge, ci auguriamo temporaneamente, il senso vero delia riforma della scuola italiana, che è quello di assicurare più libertà e più qualità alle nostre scuole. Il risultato a oggi è invece quello di estendere la Grande omologazione alle scuole non statali, che perdono così il loro carattere di luogo in cui esercitare diritti di libertà e di scelta. Verrà così a mancare alia scuola privata la grande occasione offertale dalla necessità di riforma delia scuola statale; ma soprattutto si impedirà che le scuole statali abbiano lo stimolo fecondo di una concorrenza di alto livello. Una riforma di questo genere si risolverebbe in un disastro di quelli da cui non si toma indietro, destinati a pesare per generazioni sui futuro degli italiani. Disastro peraltro già annunciato tramite gli effetti devastanti dell'applicazione della nuova legge sull'obbligo che stanno scardinando il sistema della formazione professionale in Italia annettendo anche questa, col silenzio complice delle Regioni, a una impostazione centralista e statalista.

Eppure il ministro valuta essere il Concordato e l'insegnamento della religione cattolica il vero rischio per la mancanza di qualità e libertà del nostro sistema scolastico. L'AVVERTIMENTO DEL MINISTRO Chiaro a questo punto il senso della provocazione: è un avvertimento a quanti intendono rilanciare a settembre alla Camera sul tema della parità scolastica e alzare il tiro su quella legge. Se voi provate a ottenere qualcosa di più in favore delle famiglie che vogliono scegliere liberamente l'educazione dei propri figli, io metto mano all'unica forma di insegnamento non controllata direttamente dallo Stato nelle scuole statali. Ora, la riforma Berlinguer è profondamente estranea alla tradizione italiana, fa fuori la storia e la memoria; togliere alla scuola la memoria è un'operazione culturale disastrosa in un momento in cui non esiste più per i giovani una cultura alternativa, se non di mera evasione, di mera protesta. di mero stordimento della coscienza. L'insegnamento della religione cattolica è parte di questa memoria e già averne limitato l'incidenza impedendone la considerazione come credito formativo in vista degli esami di maturità la dice lunga sulla prospettiva culturale dell'operazione che ha in mente Berlinguer. Mai una generazione è stata così allo sbando di prospettive umane come questa, in cui la tecnologia cambia il mondo, così che il futuro diventa impensabile, perché troppo vario e diverso. Certi cattolici, purtroppo, oggi sono troppo clericali per riuscire a sostenere liberamente progetti alternativi. Del passato della Democrazia cristiana è rimasto il clericalismo e non il cattolicesimo. I clerico-progressisti di oggi, pur in una visione di segno opposto, riproducono l'identica posizione che ispirò a Sturzo la definizione di clericofascisti nei confronti di chi garantì l'appoggio dei Popolari al governo Mussolini. All'interno di questo governo tutta la cultura comunista e azionista si vergogna della storia d'Italia, del suo cattolicesimo e del suo umanesimo e punta, attraverso gli attuali megaprogetti del ministero della Pubblica istruzione, a un vero cambiamento fattuale, in cui la revisione del Novecento italiano si manifesta come il segno dell'anticipazione di quello che era la scuola fascista, rispetto alla quale peraltro dopo la propagandata intenzione di revisione del Concordato Berlinguer fa un ulteriore passo indietro. La seconda Repubblica italiana si fonda, perciò, sui dogma dell'istruzione statalista al pari della Prima 'Parlamentare europeo

IL GIORNALE

• S a W o 1 4 agosto 1 9 9 9

3


E S A M I

QUESTA SCUOLA NON È MATURA « P E R SPIEGARE» I L COMUNISMO MARCELLO VENEZIANI

N

on c'è traccia di comunismo nella storia contemporanea e negli esami di maturità, secondo il fu comunista ministro Berlinguer. Pensate, quest'anno c'è un anniversario speciale da ricordare: dieci anni fa cadde il muro di Berlino. Un evento che suggella tre cose importanti: 1) la caduta del comunismo, che resta l'evento più grande del nostro secolo, per vastità di popoli coinvolti e quantità di vittime travolte; 2) la fine del bipolarismo mondiale che è stato lo scenario più importante del dopoguerra; 3) la nascita dell'Europa unita, nata dopo aver cucito la frattura tedesca. Ma nei temi della maturità dell'era D'Alema questi eventi storici sono quisquilie, pinzillacchere. Invece, ben due tracce erano dedicate all'antifascismo. La prima è il tema sulla resistenza ai regimi fascista e nazista negli anni Venti e Trenta. E la seconda riguarda il cosiddetto saggio breve o articolo dedicato alla resistenza intellettuale al nazismo. Ma guarda un po' come è strana la storia nella scuola del ministro Berlinguer: di eventi davvero contemporanei, che riguardano il nostro presente e la nostra vita e che grandeggiano nel nostro secolo perché occupano i tre quarti della sua storia, la memoria è perduta. Di eventi che risalgono a sessanta, settantanni fa, se ne celebra l'uso e l'abuso. E ancora: di intellettuali che hanno patito il totalitarismo comunista e di cui alcuni sono superstiti non si fa il minimo cenno. Resta solo la resistenza intellettuale al nazismo. Ma non solo: quest'anno, anzi proprio questo giugno, cadevano anche i dieci anni della rivolta studentesca di Tienanmen (che coincidono, peraltro, con i (...) (...) trentanni del compimento della terribile rivoluzione culturale cinese). Un evento importante per i maturandi perché ricorda l'ultima grande rivolta giovanile, di loro coetanei, affogata nel sangue. E invece, silenzio. Forse perché, all'epoca di Mao, Berlinguer civettava con i cinesi nostrani, come ricordai tempo fa (e ieri P. G. Battista rivangava opportunamente questi trascorsi berlingueriani). Ora, non sono manicheo a rovescio e non pretendo che si ricordi solo la caduta del Muro di Berlino, la parabola del comunismo e i dieci anni di Tienanmen. Però, con salomonico buon senso dico: ma non era semplicemente più sensato dedicare una traccia alla storia del comunismo e una alla storia del nazismo? Ma ieri ho voluto fare zapping fra Tv e amici per sentire come si erano regolati i ragazzi con le tracce. Be', vi devo dire una cosa curiosa: ho sentito due Tg nazionali della Rai, due Tg nazionali Mediaset e tre notiziari regionali e locali; poi ho fatto svolgere un piccolo sondaggio all'uscita da un liceo romano. Risultato: nessuno tra i ra-

IL GIORNALE

• Giovedì 2 4 giugno 1 9 9 9

gazzi sentiti ha scelto le due tracce sul nazismo. Non sono la Doxa che si è fatta carne, il mio era un sondaggio alla buona. Però fra una trentina di ragazzi non sentire uno che abbia fatto quei temi che vuol dire? A mio parere due cose: uno, che l'argomento è uscito dalla memoria collettiva nonostante le massicce dosi ministeriali e multimediali, e i libri di testo. Anzi, forse a causa di questo, c'è una specie di crisi di rigetto per indigestione. Due, neanche i ragazzi più furbastri, quelli che si preparano le cartucce dei temi svolti, hanno previsto ragionevolmente che con una guerra appena finita, un ritorno di terrorismo (rosso), l'Europa unita e roba varia, si potesse tornare ancora una volta, e in dosi così massicce, sul nazi-fascismo. Ma lasciamo stare le polemiche e poniamoci un tema serio: io capisco quanti dicono che se togli l'antifascismo, elimini l'elemento identitario della nostra Repubblica. Di questo se ne parla oggi in un convegno a Roma. Capisco il bisogno di paternità e di legittimazione della nostra Repubblica. Però diciamo senza un filo di revanscismo una cosa elementare: mezza Italia e forse più non ha mai avvertito l'antifascismo come valore fondante e unificante del nostro Paese. L'antifascismo anzi stabilisce tre gravi fratture: quella con l'Italia del giorno prima, che fu largamente fascista fino alla caduta del regime; quella con l'Italia moderata, più assennata o più vile (secondo opposti punti di vista) che durante la guerra civile e anche dopo non fu né con i fascisti né con gli antifascisti; quella con l'Italia più piccola, che restò fascista anche dopo, a Salò e oltre. Aggiungiamo che l'insistenza sulla Repubblica antifascista come valore condiviso taglia o almeno penalizza pure quella mezza Italia che votò monarchia al referendum. E poi sappiamo bene che la memoria dell'antifascismo è stata per decenni monopolizzata o almeno egemonizzata dalle bandiere rosse; e l'uso politico dell'antifascismo è servito a legittimare i comunisti e il consociativismo. Per questo, molti italiani non l'hanno mai amato. Tutto questo ci porta a dire che l'antifascismo aveva un senso e un valore in presenza del fascismo, e aveva un valore residuale in presenza di un residuale neofascismo; oggi appartiene alla memoria storica del Paese insieme col resto. La liquidazione necessaria del neofascismo implica la liquidazione necessaria dell'antifascismo. Nel suo uso politico e ideologico, ma anche pedagogico e fondativo. E i valori condivisi, l'identità del Paese dove vanno a finire? I valori condivisi riguardano in positivo la libertà, la democrazia e il legame nazionale e in negativo il rifiuto di ogni totalitarismo, di ogni violenza e di ogni asservimento della nazione. E l'identità comune? È la radice italiana, amici miei, la storia, il paesaggio, la lingua, la tradizione. L'Italia è la nostra casa comune, l'antifascismo secondo Berlinguer ne è solo uno spigolo. Dove, col tempo, si sono rifugiati, insieme con tanta polvere, anche tarme e parassiti. Aprite le finestre delle aule all'aria nuova e al paesaggio antico.


Settantotto giorni segregato nella sua parrocchia. Parla il sacerdote che ha guidalo la resistenza non violenta

ANNULÉ

«Uck o Rugova? Decida il popolo»

Don Gjergji: la comunità internazionale non ci deveforzar BERGAMO. Don Lush, come sta? «Bene... sono vivo. Nonso come, ma sono vivo», n sacerdote sorride allo scampato pericolo. Il Kosovo, con il suo carico di odii. è lontano anni luce, qui nel quieto ufficio della sua casa editrice, la Velar di Gorle, fuori Bergamo. È in Italia nemmeno da una settimana, ed è tutto un susseguirsi di visite e telefonate. Ma mercoledì don Lush Gjergji tornerà in prima linea nella sua parrocchia di Binqa. dove le caserimastein piedi sono poche, e c'è da vincere la seconda sfida dopò quella di essererimastovivo::«La costruzione della pace». Don Lush, come siamo arrivati a tutto questo? La comunità internaziona-, • le non ha capito ciò che stava accadendo nel Kosovo già dai 1989. quando Milosevic proclamò il suo programma della Grande Serbia. Nei diecianni successivi sono stati espulsi 500mila giovani albanesi. Dalla estrema disperazione di un popolo è nato lUck. La sua comparsa, nella primavera del 1998, ha segnato l'inizio della guerra. Questi sonoifattì. I fatti sono anche che la non violenza, da lei insegnata al popolo insieme a Rugova e agli altri leader pacifisti, non ha portato a nulla. Questo non è un fallimento? No, tutt'altro. La strategia della non violenza ha salvato il popolo albanese da una , guerra civile. Perché, questa non è stata una guerra civile? Non è stato un conflitto tra popoli, ma tra Milosevic e alcuni frammenti del popolo, appunto l'Uck. Sostenere questo ha una valenza fondamentale adesso, nel dopoguerra. Significa che noi albanesi possiamo dire di non aver progettato, come popolo, questo conflitto. E lo stesso il popolo serbo. Questo sembra un po' come «scaricare» l'Uck. È una realtà che l'Uck non aveva un progetto politico sostenuto dal popolo ma si è comportato come un elemento di autodifesa. Torniamo ai fatti. Cosa ha fatto scattare secondo lei il coinvolgimento interna-

(A.Ma.) .Amico e collaboratore del «presidente» kosovaro Ibrahim Rugova, parroco, psicologo, giornalista e scrittore. Lush Gjergji è una delle personalità di spicco della «resistenza» albanese non violenta. Don Lush è presidente dell'Organizzazione di beneficenza Madre Teresa, che nel decennio successivo la revoca dell'autonomia al Kosovo ha intessuto una fitta rete di solidarietà destinata a tutti. Ottantacinque ambulatori, ospizi, orfanotrofi, mense in grado di sfamare 350mila persone al giorno: tutto in nome della piccola suora albanese. Don Lush era stato chiamato a partecipare ai negoziati di Rambouillet e Parigi, ma da sacerdote si è sentito in dovere di rifiutare. La Chiesa cattolica in Kosovo è fatta di piccoli numeri: 3% della popolazione, TOmila persone in tutto. 23 parrocchie di ari 3 croate. Quasi tutte le parrocchie, durante i bombardamenti aerei della Nato, sono state occupate e trasformate in

caserme e comandi delle forze serbe. Ci sono stati episodi di persecuzione anche ai danni dei cattolici: a Giacova 120 ragazzi e uomini sono stati uccisi. .Altri 200 sono scomparsi. Don Lush. 50 anni, è stato per molto tempo braccio destro di monsignor Nikola Prela. vescovo per i fedeli albanesi del Kosovo,figuravenerata nella provincia. Un vescovo che ha trascorso sei anni in carcere sotto il comunismo con l'accusa di «amare più il Papa che 0 compagno Tito». «Tutta la mia vita è stata un carcere», ricordava amaramente monsignor Prela poco prima di spirare nel 1996. E un martirio di paura e orrore è stato anche quello di don Lush durante i bombardamenti sul Kosovo: 78 giorni chiuso nella sua parrocchia di Binqa. nei pressi del confine macedone. Don Lash nei locali della parrocchia ha ospitato 200 albanesi, di cui 35 bambini. 5 paralitici e il resto anziani e malati. Gli altri abitanti non serbi del Paese. Vitina, sono tutti fuggiti.

ANTONELLA MARIANI - . . . «•.••..w. .

. : - ,• - -

nostro inviato

rionale per il Kosovo? La volontà degli Stati Uniti, che ha cercato di imporsi su Belgrado, poi sull'Europa, incapace di gestire i propri problemi e infine su Russia e Cina. Gli Stati Uniti con questa guerra hanno ottenuto molti scopi 50 anni dopo la nascita della Nato hanno potuto "reinventare" e ampliare gli scopi dell'Alleanza, ormai esauritisi Da associazione puramente difensiva la Nato ha potuto diventare esercito umanitario. Poi Washington ha dato una lezione e un ammonimento al mondo: possiamo intervenire e gestire la comunità internazionale senza rischiare neppure un uomo. Infine, Clinton ha potuto sperimentare nuove armi A questo punto cosa vede nel futuro del Kosovo? Credo che nell'arco di 10 anni si passera da un protettorato straniero a una gestione democratica. Ma è necessario che la comunità internazionale discuta una strategia per i Balcani. Così, con il benessere economico e una reale democrazia in ogni Paese, i popoli non saranno più costretti a verificare l'appartenenza. Così come è adesso, però, sembra di capire che il Kosovo non accetterà più l'autorità serba. Non con Milosevic. Se in Serbia ci sarà un governo democratico potremmo esaminare ipotesi diverse. Ma adesso non voghamo stare con

Z,':

ZZSÀ>

Milosevic. Il popolo albanese sta con il leader dell'Uck Taci o con il presidente «moderato» Rugova? Rugova è ancora molto amato. Taci è l'uomo duro "creato" da Washington. Ma ora vorrei che la comunità internazionale non forzasse né uno né l'altro ma lasciasse al popolo la possibilità di esprimersi Uberamente e comunque l'Uck deve disarmarsi e poi elaborare un programma politico. Perché Rugova non è ancora tornato a Pristina? :.. Perché è mal gestito dagli italiani. Gli dicono di aspettare. In realtà lo tengono di riserva per non mandarlo nella mischia troppo presto. Don Lush quale sarà i l suo ruolo nel Kosovo del dopoguerra? Voglio aiutare il mio popolo a superare la situazione di odio. La sofferenza maggiore che mi ha procurato questa guerra è vedere i miei vicini di casa serbi impazzire. Gli albanesi erano picchiati e cacciati, e loro cantavano e festeggiavano. Ma ho avuto anche grandi manifestazioni di affetto da cittadini serbi, che hanno cercato di proteggere e aiutare i miei 200 bambini e vecchi. Dobbiamo parlare di questi esempi e avere la forza di proporre la pace che è frutto del perdono. I tribunali saranno indispensabili per la giustizia, ma la ricostruzione deve coinvolgere gli animi.


I COMPLICI DEI DITTATORI

I

(...) Pechino ha avuto un comportamento addirittura complice. La famosa «par condicio» della sinistra italiana è stata esibita anche in politica intemazionale. Quando la Francia di Chirac fece esperimenti nucleari, nel '95, i «progressisti» scatenarono ilfinimondo.Qualche giorno dopo a «sperimentare» fu la Cina (una dittatura, dunque ben più pericolosa) e nessuno pronunciò parola Poi fu la volta delle proteste per la pena di morte negli Stati Uniti e in Turchia Tranquillo silenzio invece con la Cina che detiene il record di condanne capitali ( 17 al giorno), inflitte anche per molti reati insignificanti (la Cina è perfino sospettata di fare traffico di organi dei giustiziati).

ANTONIO SOCCI

eri il regime comunista cinese ha imposto il veto sulla visita del Papa a Hong Kong. Pochi giorni fa si è saputo della pesante repressione del governo di Pechino contro il movimento buddhista Falun Gong. E sempre ieri si è appreso che l'esercito cinese si addestra a una guerra contro gli Stati Uniti specialmente con un testo militare intitolato «Guerra senza limiti» (valutato con allarme in Occidente). Nel frattempo si fa più pesante la minaccia cinese contro Taiwan. Solo da pochi mesi Hong Kong (dove vivono 250mila cattolici) è tornata a far parte della Cina e già la libertà religiosa e l'autonomia ricevono un brutto colpo (in barba alla «costituzione» sottoscritta da Pechino e Londra). È la storia di sempre. A sentire Veltroni il «comunismo» sarebbe una favola inventata da Berlusconi per spaventare i bambini. Ma, come si vede, il comunismo non solo esiste tuttora, non solo domina il Paese più grande del mondo (1 miliardo e 200 milioni di abitanti), ma esibisce con arroganza la sua aggressività e la sua ferocia in faccia a tutto il mondo libero. Atteggiamento che dovrebbe far riflettere seriamente i governi europei che si sono illusi di addomesticare la tigre con la reticenza e gli affari. Infatti mentre il governo americano ha ripetutamente chiesto il rispetto dei diritti umani, l'Europa progressista - come si leggeva sull'Unità, tempo fa «si è astenuta dal compiere atti di provocazione», cioè «non ha agitato i valori democratici propri dell'Occidente». Anzi, il governo italiano guidato da post comunisti verso (...)

IL GIORNALE

• Martedì i o agosto 1 9 9 9

I | i I

L'Unità ha continuato ad accreditare un'autocritica di Jiang Zemin sulla strage di Tienanmen anche dopo che era stata smentita e il giornale dei Ds ha annunciato «aperture» democratiche in Cina, quando, proprio negji ultimi anni, si sono scatenate la repressione dei dissidenti e le persecuzioni, con arresti e torture orribili, ai danni di oppositori, preti e vescovi cattelici (per non dire dei terribili lager per bambini). Con buona pace delle «belle bandiere» dellasinistra «politicamente corretta» il regime cinese ha proseguito il genocidio in Tibet e la sua eugenetica razzista, ma nessuno fra le anime belle veltroniane ha trovatotitempo di occuparsene. La sinistra italiana ha applauditotiprocesso intemazionale a PinocheL Però nel marzo scorso ha accolto in Italia con baci, abbracci e contrattitipresidente cinese Jiang Zemin, carnefice peggiore dell'ex dittatore cileno (per poco è stata sventata una laurea honoris causa al tiranno). Cosìtigoverno D'Alema ha celebratotidecennale della strage di Tienanmen perpetrata in quel giugno 1989 in cui D'Alema e Veltroni si chiamavano ancora «comunisti» e si dicevano «orgogliosi» di esserlo. Per preparare questa onorevole visita di Zemin ti governo D'Alema spedì a Pechino, nel gennaio scorso,tisottosegretario agli Esteri Valentino Martelli (Udr) che (evidentemente a no-

me del governo) dichiarò: «In Cina una democrazia ditipooccidentale sarebbe una disgrazia, per noi e per loro». Si può immaginare con quanta gratitudine i tanti dissidenti rinchiusi dei lager cinesi avranno appreso lo zelo umanitario del governo italiano. Non a caso Veltroni ha voluto una campagna per rilanciare i Ds in nome dei diritti umani nel mondo. Per prima cosa chiese ti boicottaggio intemazionale della Birmania. E poco dopo - perfetta par condicio diessina - ti ministro del Commercio estero Fassino proclamò: «Fare affari con la Cina aiuta la democrazia» (titolo dell'Unità del 19 marzo scorso). Quanto l'aiuti lo dimostrano anche solo le ultime notizietia repressione del movimento buddista Falun Gong, ti veto al Papa, l'aggressività militare verso Taiwan e gii Stati Uniti. D Papa da tempo bussa alla porta di quell'immenso Paese. Di recente si è appreso che nel 1983 scrisse perfino a Deng Xiaoping, ma senza mairicevererisposta. Ricevendo semmai segnali di guerra. Come gli arresti di ecclesiastici, le persecuzioni dei cinque milioni di cattolici cinesi o nel '94 -tiritiro dei sacerdoti della Chiesa patriottica (formalmente fedele al regime) dalla Giornata mondiale della gioventù di Manila La scusa è sempre Taiwan,tiVaticano sarebbe colpevole di avere rapporti con quel Paese. In realtà questa aggressività è anche un segno di debolezza (150 milioni di disoccupati non sono un'inezia). In Vaticano - anno scorso - si è saputo di uno studio del Pc cinese da cui emerge la crisi del regime. Nel 1982 i lavoratori che dicevano di credere ancora nel marxismo eranoti69 per cento, nel 1996 erano crollati al 26 per cento. Il numero di chi professa una religione è salito del 9 per cento, ma quell'indagine non dice la percentuale di partenza. Anche ti caso del movimento buddista Falun Gong dimostra che si stanno aprendo grosse crepe e la cricca al potere, che domina con la corruzione e la dittatura su 1 miliardo di persone, ha paura. Anche di un Papa inerme.


PAGINA 30

Domenica 1 Agosto 1999 - N. 208

IL S O L E - 2 4 O R E

_

- | N TIBET

L'olocausto si consuma in silenzio di Claudia Gualdana

P

er un momento, concentriamoci sul presente. Anche se, quando ci capita di pensare al Tibet, vediamo bianche cime, altipiani incontaminati, grossi yak e bandierine di preghiera svettanti, dobbiamo cancellare queste immagini. Perché questi scenari stanno svanendo, per lasciar posto a una modernità forzata, imposta da un potere straniero. Sappiamo che molti tibetani vivono in Europa, in India, negli Stati Uniti; eppure, nonostante si pubblichino tanti libri sul loro triste esodo, la loro presenza è impercettibile. Forse perché i tibetani si comportano bene: non sono lesti con i coltelli, non rapinano, non delinquono, non si lamentano. Più semplicemente, lavorano, accettano la sorte con un sorriso, conservano la loro tradizione. Evidentemente queste cose non fanno rumore. Tuttavia, nel silenzio esplodono le narrazioni di alcuni occidentali. Ci ha colpito il libro di Javier Moro, giornalista e autore televisivo spagnolo che possiede il raro dono di saper scrivere. Le montagne del Buddha. L'idea alla base del suo lavoro alimenta altre pubblicazioni sul Tibet: quella di denunciare un genocidio di massa dall'inaudita ferocia. Però, qui assistiamo a qualcosa di nuovo. Per una volta, abbiamo la netta sensazione che il terrore sia tuttora palpabile, in quella lontana porzione di mondo. Moro intreccia due vicende in un contrappunto tragico: la parabola dell'esilio del Dalai Lama, fuggito nel 1959, e la fuga di due giovani monache, che hanno valicato l'Himalaia a piedi, dopo essere uscite dall'inferno della prigione di Gutsa. nel 1993. U paragone tra le due storie sottopone ai nostri occhi una verità inaccettabile: il genocidio continua, forse il Tibet non si salverà. Scopriamo che. dal 1989. la politica del controllo delle nascite è spietata. In quell'anno, un rapporto dell'accademia di Scienze sociali di Shanghai consiglia di praticare aborti su donne Appartenenti a minoranze etniche che contano più di 500mila persone: «Una dottoressa tibetana ha confermato che bambini perfettamente sani e ben formati vengono affogati in un secchio d'acqua appena nati». Nel carcere di Gutsa sono,tuttora imprigionati quanti desiderano la liberazione del Paese. È sufficiente una manifestazione pacifica, un sospetto, una frase: «Viva il Tibet libero», perché si apra uno scenario di torture. Lo provano le condizioni di salute dei profughi che arrivano in India. A Gutsa. gli aguzzini stuprano le monache con un manganello elettrico; le povere donne subiscono atroci prelievi di sangue, passano notti intere, nude, appese a testa ingiù. È loro proibito di pregare, di meditare, di esprimersi in tibetano. Ogni anno molte famiglie si separano dai loro bambini: li inviano in India, a Dharamsala. nei villaggi per l'infanzia fondati dagli esuli, affinché possano imparare la loro lingua, professare il buddhismo, studiare la storia tibetana. «Ben sapendo che eliminare una lingua è il primo passo per distruggere la cultura di un popolo — spiega Moro — limitano l'apprendimento del tibetano a un'ora e mezzo la settimana e fanno lezioni in mandarino, ignorando o travisando la storia tibetana». Fa male avere la conferma di aver vissuto nel secolo dell'odio. Ferisce l'impotenza dell'Occidente. E pensare che ai tempi dell'invasione «l'aristocrazia di Lhasa aveva tentato, fin dall'ingresso dei cinesi nella città, di adeguare le proprie antiche usanze agli ideali del socialismo militante. Le donne si dedicavano a opere umanitarie, come aprire scuole o lavorare gratuitamente negli ospedali». A quanto pare, la disponibilità al dialogo non sempre produce gli effetti sperati. Oppure, più semplicemente, la speranza e la fiducia non bastano a preservare una civiltà. Javier Moro, «Le montagne del Buddha. La grande sfida del popolo tibetano». Mondadori, Milano 1999, pagg. 246. L. 29.000.


Mosca scatena l'offensiva su. villaggi controllati dai ribelli del Daghestan e avverte i Paesi islamici: non interferite UALMUUUH1A pssissssss ,<y s '(HAL'MG TANGÒ),

co

§

In Caucaso è già massacro L'esercito russasta.'ripete^ó eripn e^^tTsttatepche delia Cecenia

^ - •• • Kizi'ar G

?

z n y

W^>v

:

ì ì CECENIA ' (ICKERIA),:-

i^asaviurt^«

^^xtMachàòkàìà

Buinaksk . • B o t l i k h

GEORGIA

c

^/•":Z—^izerbaS;

DAGHESTAN}^

Ferrovia km 100

RUSSIA

Mar Nero TURCHIA IRAN

d i Piero S inatti

I

l conflitto in Daghestan si aggrava. I russi cominciano a misurare le prime durissime perdite di uomini e mezzi. Circostanza che fa giustizia delle ipotesi secondo cui il conflitto servirebbe a Eltsin per proclamare lo stato d'emergenza e rinviare sine die le incombenti scadenze elettorali: oppure perricostruireun minimo di consenso attorno al Presidente e al "nuovo" governo, se i ribelli venissero sconfitti in tempi brevi e con perdite minime. Si è favoleggiato persino di un incontro segreto tra il capo dei ribelli Basaev e il segretario dell'amministrazione presidenziale Voloshin per ordire la provocazione. Questo dà la misura sia del discredito che circonda Presidenza ed Esecutivo, sia dei livelli cui può giungere, in Russia (ma non solo), la dezinfonnatsija. Più credibile, semmai, l'ipotesi secondo cui Basaev, in rotta con il presidente Maskhadov dopo sei mesi di premierato nel '98, avrebbe scatenato il conflitto per sabotare un accor-

do tra Mosca e Groznyj: esso avrebbe garantito ai ceceni finanziamenti russi per la ricostruzione e a Mosca la piena ripresa del trasporto del petrolio caspico verso Novorossijsk attraverso la Cecenia. Tuttavia, più di opinabili dietrologie contano i fatti. D principale è che il conflitto era annunciato dal maggio del '98, quando armati islamici si impadronirono del palazzo del Soviet Supremo a Makhachkala per lasciarlo poco dopo e riparare in Cecenia, e dall'agosto successivo, quando alcuni villaggi del distretto di Bujnaksk, ai confini con la Cecenia, proclamarono il primato della sharia, la legge islamica, sulle leggi russo-dagestane, e la sovranità del consiglio islamico da loro istituito (shura). Basaev promise allora di intervenire in loro aiuto. Makhachkala si limitò a rimuovere i posti di blocco installati dagli islamisti di quel distretto, limitrofo a quello dove ora si combatte. Nel maggio '99 nuovi segnali. Il governo daghestano avvisa Mosca che si sta preparando un attacco. Ma non prende alcuna misura preventiva e decide solo di alzare muraglie e reticolati lungo i confini tra Stavropol e la Cecenia. A luglio, alle prime incursioni dei ribelli ceceno-daghestani in alcuni punti della frontiera tra Russia e Cecenia, ['allora premier Stepashin. il ministro degli Interni Rushajlo e l'allora capo del- l'Fsb e ora premier Vladimir Putin affermano che non c'è pericolo di conflitto, né c'è bisogno di colpire preventivamente i ben localizzabili campi di addestramento di Basaev. Adesso, a meno di un mese

IL S O L E - 2 4 O R E

di distanza da quelle sottovalutazioni, Mosca mescola alla ben nota voce grossa proposte grottesche come quella del vice agli interni Zubov che invita Maskhadov a mandare unità cecene in Daghestan perché combattano a fianco dei russi contro Basaev. E si ripresentano le vecchie inefficienti e brutali strategie. Con la stessa sicumera con cui nel dicembre 1994 i "ministri della forza" russi (interni, difesa, sicurezza) promisero di liquidare le milizie separatiste di Djokhar Dudaev in due giorni, l'attuale premier Putin promette di chiudere il conflitto con i "banditi" in due settimane. Crede nella superiore potenza di fuoco di aerei, elicotteri e mezzi blindati che si inerpicano faticosamente sui ripidi sentieri delle montagne delle province di Botlikh e di Bujnaksk per combattere le piccole unità fanatiche, ben armate e ben addestrate e mobilissime di Basaev. Queste abbattono persino un elicottero in cui volano tre generaloni del ministero degli Interni, uno dei quali capo del suoi servizi di sicurezza: due giorni prima aveva rischiato la stessa sorte l'elicottero in cui volava il capo di Stato maggiore generale Kvascin. Di nuovo il déjà vu di un esercito pesante, poco mobile e inefficiente mandato a combattere un nemico motivato e mobilissimo. Come avvenne in Cecenia, si formano milizie improvvisate di civili: secondo Mosca e Makhachkala, devono difendere i villaggi dai ribelli. Una farsa, se già non si contassero i morti e 6 mila profughi che si aggiungono al milione e più deH'ìnfinifa tragedia post-sovietica.

Domenica 15 Agosto 1999 -


Urali, viaggio nell'incubo ecologico Mitossi*ná'tak, scorie nucleari sottoterra: coúúsopmút tra inferi èia Urss DAL NOSTRO INVIATO MAGNITOGORSK (Urali) — Benvenuti in quello che fu uno dei cuori siderurgici del paradiso in terra dei lavoratori. Dove la vita è breve, come lo era allora, ma più difficile, dopo il crollo dell'Urss. E dove bisogna sempre sperare che il vento continui a soffiare verso est, sopra il fiume Ural, sopra i due giganteschi e nerboruti uomini di bronzo che rappresentano, uno con in mano una spada e l'altro con un martello, il popolo che difese il Paese dall'invasore occidentale e quello che costruì la poderosa macchina bellica nelle retrovie. E soprattutto sopra il kombinat dell'acciaio, dall'altra parte del fiume, che vomita costantemente verso il eie-, lo una nube colossale, che oscura il sole all'alba e che si disperde verso la steppa siberiana, a inquinare fiumi, ruscelli e pascoli. Perché quando i l vento cambia, porta in città i veleni prodotti dal grande centro siderurgico. «Una volta, quando d'estate i fumi viaggiavano prevalentemente verso ovest, bambini e vecchi se ne andavano sul Mar Nero, nei campi per Pionieri e nei pensionati di Soci e di Yalta», racconta con nostalgia Yurij Kozlov, che ha vinto la sua battaglia con un quarto di secolo passato all'altoforno ma che forse non sopravviverà a quella con una pensione di 27 mila lire al mese pagata quando capita. E oggi? «Oggi i bambini stanno chiusi in casa e noi vecchi cerchiamo di respirare il meno possibile», dice ancora il vecchio capo squadra del kombinat Lenin, orgoglio di tutti i piani quinquennali. Yurij, a 54 anni, è già un sopravvissuto perché qui la vita media è di 51 anni. La chiamano aria, ma forse solo per non

spaventare i bambini. Certo, dentro ci sono ossigeno e anidride carbonica, come dappertutto. Ma poi i l kombinat ci mette del suo, perché la tutela della salute e dell'ambiente è sempre venuta dopo le priorità dell'industrializzazione e della difesa: arsenico, cadmio, nichel e tanto, tanto biossido di zolfo. La concentrazione massima ammessa dall'Onu è di 150 milligrammi per metro cubo di aria. A Magnitogorsk, quando si prendono la briga di fare le analisi, è di 665 mg. «Ma questo è niente — dice un funzionario dell'amministrazione cittadina —. Le cose sono migliorate da quando per la crisi sono stati chiusi sei altiforni su nove». E non bisogna credere che i 400 mila abitanti di Magnitogorsk siano quelli che stanno peggio. No, questa «ridente» cittadina fondata settant'anni fa sulla bocca di una grande miniera di ferro, è solo la prima tappa di un viaggio attraverso la pattumiera del mondo, l'area più inquinata del pianeta, la regione che meglio di ogni altra ci mostra l'eredità della perversa applicazione nel corpo del nostro pianeta del socialismo reale. Siamo nella (una volta) ricca regione di Celjabinsk, dove tutti gli incubi ecologici si rivelano un pallido surrogato della realtà. Alle pendici degli Urali, in una fascia «sicura» a più di tremila chilometri dalle frontiere occidentali dell'impero sovietico, sono concentrate molte delle industrie strategiche del Paese. Fabbriche di rame da far tremare i polsi al più sprovveduto dei Paesi del Terzo mondo. Acciaio, ghisa, plastica, concerie, metalli pesanti di tutti i tipi. E poi il nucleare, il fiore all'occhiello dell'ex Superpotenza.

to della regione, ancora segreto e non segnato nelle mappe, c'è il centro militare di Mayak, dove lontano da occhi indiscreti si riprocessano e si sotterrano le scorie nucleari di mezza Russia. E i militari, oltre a quello di inquinare, hanno anche il vizio di tenere tutto segreto. Gli ispettori del ministero dell'Energia atomica non possono entrare negli stabilimenti. E quando c'è una fuga, i responsabili si guardano bene dall'avvertire le autorità civili, come è successo il 14 giugno a Tomsk 7 in Siberia (dove in 40 anni ci sono stati 25 incidenti nucleari). Non che i l resto della Russia sia in una situazione idilliaca, n crollo della produzione industriale di questi anni, lo stop ai centri di ricerca militari e civili, hanno certamente alleviato la situazione dell'inquinamento prodotto giornalmente. Tanto che in tutto il pianeta è calata la presenza di anidride carbonica. Ma altri fattori stanno peggiorando il quadro globale: diffusione della motorizzazione (ovviamente con auto e camion pestilenziali), mancanza di manutenzione e carenza di fondi per la ristrutturazione e lo smantellamento di strutture obsolete o comunque fuori esercizio. Pochi cenni sul nucleare. Nella penisola di Kola e sul Mar del Giappone sono ancorati 154 sommergibili nucleari con almeno cento reattori ancora attivi. Depositi sotterranei di scorie si stanno allargando e ormai minacciano di tracimare in vicini bacini d'acqua: il lago Karachaj, dove scarica il centro di Mayak, i fiumi Volga, Ob, Enissej. Secondo statistiche ufficia-

li, 9 milioni di persone vivono in zone contaminate. Gli effetti sono quelli immaginabili: neonati ritardati e deformi, cancro alla tiroide, eccetera. Poi c'è i l «semplice» inquinamento industriale dell'aria e dell'acqua. In un Paese che ha due volte le foreste del Brasile (710 milioni di ettari contro 357 milioni), la situazione del 55 per cento del territorio viene definita «ecologicamente inaccettabile» da Viktor Danilov-Danilyan, capo del comitato statale per l'ambiente. La micidiale diossina, secondo un'altra fonte, Veniamin Khudoleij, dell'Accademia delle scienze, inquina tre quarti del territorio russo. «Non è che prima stavamo meglio, solo che nessuno sapeva nulla — spiega a Celjabinsk l'ecologista Oleg Ganelin —.'Dopo la caduta del comunismo abbiamo saputo dell'uso cosiddetto pacifico delle esplosioni nucleari: si servivano delle bombe per deviare i fiumi e spianare le montagne». Di questo agghiacciante capitolo delle «conquiste socialiste» si sa ancora ben poco. E qui nella pattumiera del mondo, dove i comunisti continuano a essere il partito di maggioranza relativa, molti sono convinti che l'ecologia sia uno sport da ricchi. «Se hai la pancia vuota non ti preoccupi delle malattie che t i potranno venire fra qualche anno», dice convinto Egor Krasnov, un operaio disoccupato della cittadina di Karabache a 100 chilometri da Celjabinsk, dove 12 anni fa venne chiusa la locale fabbrica di rame, una delle peggiori dell'Unione Sovietica. L'anno scorso, nel pieno della crisi, il kombinat di Karabache ha riacceso i forni. Fabrizio Dragosei

In un luogo non precisa-

.9


IL GIORNALE

• Venerdì 2 7 agosto 1 9 9 9

GIUSTIZIA POLITICA

Sofri torna libero perché di sinistra Gianni Baget Bozzo

I

l marxismo è U pensiero fondamentale del moderno: per questo gli intellettuali moderni e persino quelli postmoderni sono implacabilmente filocomunisti. Il comunismo è stato un orrore della realtà, ma una giubilazione del pensiero. In questo è peggio del nazismo. Il nazismo non ha mai voluto sembrare verità, era orrore ed orrore si è detto. Il segno del Maligno sul comunismo è che anche quando tutti hanno saputo che era orrore, è stato dai suoi fedeli venerato come Paradiso perduto. Nell'Apocalisse vi è una bestia che viene dal mare ed è il potere totale: ed una che viene dalla terra che induce tutti ad adorarlo. Il comunismo è stato ad un tempo le due bestie. Siamo a dieci anni dalla fine del muro e da noi comunista è un titolo di onore mentre fascista è un titolo di obbrobrio, quando tutti sanno che gli orrori del comunismo sono infinitamente peggiori di quelli del fascismo. Quando gli Stati Uniti, il paese a cui dobbiamo la nostra libertà, ci invia una prigioniera per reati comuni, i comunisti italiani la esaltano come una prigioniera politica, come una testimone della libertà. Il detenuto in un paese libero viene accolto da eroe come un tempo erano salutati coloro che fuggivano dalla cortina di ferro. Dal punto di vista spirituale e storico, le cose peggiori del comunismo non sono i morti di fame ucraini, i deportati, i gulag, non è l'averraggiuntoun punto di orrore che mai l'umanità aveva raggiunto prima di Stalin: è quello di far credere ancora che il comunismo sia il nome di una grandezza umana, di una Verità fallita perché troppo alta per l'uomo. Il comunismo è orribile non per la potenza dell'orrore della sua realtà, ma per la potenza della sua menzogna. I COMUNISTI NON CAMBIANO

No, caro Veltroni, i comunisti sono sempre comunisti, quante volte l'ho scritto. E lei èfigliodella storia di quelle ginocchia sprofondate innanzi ai mostro, li porta nel suo stile politico, nel suo dire di non essere comunista: lo splendore della menzogna comunista. Ne contiamo a milioni: dalle fosse di Katyn in poi. Che il governo del comunista D'Alema abbia come ministro il comunista Diliberto ed apra le strade del carcere alla Baraldini, come una via di gloria, è un fatto rivelatore. Certo, Diiiberto non farebbe un gulag, visto che non ne ha il fisico, certo i comunisti non mangiano i bambini, come dice il nostro folle di Stato. Ma quel che è terribile nei comunisti, non è la morte che diedero: è la verità che tolsero. Il vero delitto del comunismo è la falsificazione della coscienza dell'Occidente, da cui non siamo ancora usciti. L'Italia ne è un clamoroso esempio. Della menzogna comunista il mondo è ancora pieno: e, mi duole dirlo, il mondo cristiano ha completamente dimenticato i Martiri. Dio si dimentica di chi li dimentica. I comunisti italiani sono comunisti perché dicono di non esserlo mai stati. Ciò che li unisce ai gulag non è la violenza, è la menzogna. Sono amico di Adriano Sofri, sono lieto che sia libero, ma non del modo in cui lo è. Egli è libero per la forza della Bestia, perché è coperto dalla sinistra e dai suoi intellettuali. Ogni giorno leggiamo di gente innocente rimessa in libertà dopo sette-otto anni di carcere. Non è perché è innocente come spero, che Sofri è fuori, ma perché è di sinistra. È libero in nome delia Bestia.

rie


RETROSCENA

LA VERA STORIA DI SILVIA BARALDINI E DELLE SUE AMICHE TERRORISTE VALERIO RIVA

A

nche i ricchi, nom de Dieu, hanno diritto a qualche soddisfazione. Silvia Baraldini, condannata in America per terrorismo a 43 anni di carcere (di cui solo 17 o 18 scontati), sta per tornare in Italia. E se questo può far piacere a mamma Dolores che da vent'anni a Roma, nel suo appartamentuccio di piazza di Spagna (12 milioni al metro quadrato), attende ansiosamente di poter riabbracciare la figlia, non si può non esseme contenti. Ma finirà davvero così, come in una puntata di Carràmba che sorpresa? Qualche dubbio, oddio, resta. E un sospetto: che dopo alcuni mesi passati a Rebibbia tanto per tacitare quei fessi di americani, la Baraldini si dilegui, con la benedizione di qualche nostro ministro, per riapparire dopo un certo tempo. Dove? A Cuba. Perché a Cuba? Perché Cuba è la chiave di questa ventennale soap-opera che con Beautiful, come vedremo, oltre la durata, ha più di un punto in comune. Non ci credete? Non mi resta che raccontarvi una storia che comincia, nientemeno, 36 anni fa. Partiamo, giusto, da Cuba. Anzi da Città del Messico. È il 1963. Dicembre. Mancano due settimane a Natale. Sto all'aeroporto di Città del Messico in attesa di partire appunto per Cuba. Mi ritrovo seduto accanto un signore che viene invece dall'Avana, molto diverso dagli sciamannati che ci stanno intomo. Bassetto, distinto, sui cinquanta, con un voluminoso attaché-case e abiti di Savile Row. Non Silvia Baraldini so perché, mi ispira fiducia. Attacco a chiacchierare. È la prima volta, gli spiego, che vado a Cuba (e la prima in un Paese «socialista») e la faccenda mi preoccupa. Ho anch'io, come vede, un attaché-case. Dentro ho un contratto in tre copie con la firma di Giangiacomo Feltrinelli e uno spazio bianco su cui dovrà andare quella di Fidel Castro. Un contratto di edizione per un libro di memorie, da cui dipende il mio avvenire di «funzionario editoriale». Ho avuto la disgrazia di partire da Milano in un giorno infausto, lo stesso giorno che a Dallas hanno ammazIL ( J / 0 M A L £ : zato il presidente Kennedy, e il viaggio, via New York, mi si è terribilmen-

te complicato. «.Andrà tutto bene», mi confona sorridendo il bassetto vestito da Savile Row, «non si preoccupi». Sembra ben informato. Quando lo chiamano per passare la dogana, mi porge un biglietto da visita: «Sono l'avvocato di Fidel Castro», dice. «Se ha bisogno, qualsiasi cosa, mi chiami. Sono a sua disposizione». Leggo il biglietto da visita. C'è scritto: Léonard Boudin, avvocato. Indirizzo e numero di telefono di New York. Che cosa c'entra l'avvocato di Fidel Castro con la storia di Silvia Baraldini? Calma e vedrete. Nell'81, leggo su un giornale americano che una latitante da dieci anni, una ragazza che di cognome fa Boudin, Kathy Boudin, è stata arrestata mentre fuggiva da un centro commerciale in un sobborgo di New York, Nyack, dopo un sanguinoso tentativo, fallito, di rapina a mano armata a un furgone portavalori della Brink's. Due morti, un ferito, un colpo (sfumato) da un milione di dollari (oggi equivarrebbero a quasi tre miliardi di lire). Boudin, Boudin? C'entra qualcosa con l'avvocato di Fidel Castro? Per trovare risposta dovrò aspettare altri due anni, fino al 1983, quando in una libreria di New York vedo un libro col titolo: Kathy Boudin and the Dance ofDeath. Autrice, una nota femminista americana, Ellen Francfort. Lo compro, 14 dollari e 95. Non è solo la storia della ragazza della rapina alla Brink's, ma anche del suo gruppo di ragazze. E soprattutto di suo padre. Che è proprio l'avvocato di cui ho in tasca ( ) j] biglietto. Leggo che è uno dei più noti (e più pagati) avvocati ebrei di New York. E famoso per due motivi: primo, non ìia mai perso una causa e secondo, ha bathito a scacchi il Che Gueuara. Quanto al gruppo di suafigliaKathy. scopro a pagina 102 che ne fa parte pure un'italiana: Silvia Baraldini, anzi è quella che alla fine ha avuto la condanna più pesante. Ma il nome Baraldini per il momento non mi dice nulla. Perché cominci a significarmi qualcosa dovrò aspettare il 1987, quando Enrico Franceschini darà inizio sul Corriere della Sera alla lacrimosa saga intitolata: L'italiana nel gulag Usa per terroriste. Dal libro capisco però anche che quella vigilia di Natale del 1963 non è stato un turning point solo per me, ma anche per l'avvocato Boudin e suafiglia.Diciannove anni ha Kathy, all'epoca; ed è all'ultimo anno di college alla Bryn Mawr, una delle scuole più esclusive, più costose (e più Beautiful) di New York. Così anglia, che si racconta che le allieve della Bryn Mawr si portino ciascuna da casa le proprie personali bustine di tè. Due anni prima la ra-

gazza Kathy, diciassettenne, ha accompagnato il padre in uno dei suoi viaggi a Cuba Ne è tornata così entusiasta che ha subito organizzato tra le sue compagne delle Bryn Mawr un gruppo anti-segregazione razziale. Sono tutte ragazze bianche, di famiglie ricche; vanno a fare del picketing elegante davanti alle scuole dei ghetti neri. Ma un giorno di metà novembre 1963 c'è un incidente, arriva la polizia, e Kathy Boudin viene arrestata Un'allieva delle Bryn Mawr in galera? Che scandalo! Per evitare alla figlia l'espulsione, l'avvocato Boudin pensa sia meglio farle cambiar aria In gennaio del 1964 Castro fa il suo primo viaggio in Unione Sovietica: ne toma con in tasca un accordo con Krusciov che garantirà a Cuba sei milioni di dollari ai giorno per 27 anni filati; più un invito per Kathy Boudin: sei mesi a Mosca, in incognito e tutto spesato. L'avvocato Boudin tira il fiato. Perché non sa quello che lo aspetta Finito lo stage moscovita, Kathy Boudin toma alla Bryn Mawr, si diploma magna cum laude, ma invece di proseguire per l'università a studiare medicina come vorrebbe sua madre Jean, saluta poppy and mommy e se ne va a Cleveland a fare del volontariato in un consultorio medico per dorme di colore. Due mesi dopo la città è a soqquadro per i Cleveland riots. Agosto 1968: Kathy si sposta a Chicago, dove il movimento studentesco (Sds, Students for Democratic Society) ha organizzato disordini perticongresso del partito democratico. Kathy è schierata con l'ala più radicale dell'Sds, la Action Faction. Uno dei capi dell'Action Faction si chiama Bili Ayers e vive con una compagna di scuola di Kathy, Diana Oughton. Con Diana Oughton, finiti anche i Chicago riots, Kathy torna a Cuba Al rientro a New York dall'isola, si sistemano con due amici in un palazzetto a tre piani di Greenwich Vtilage di proprietà dei genitori di un'altra ragazza. Cathy Wtikerson, che sono in vacanza ai Caraibi. Mentre Kathy e Cathy sono chiuse nella sauna all'ultimo piano, in cantina Diana e i due ragazzi confezionano una bomba Ma sbagliano, la bomba esplode,tipalazzetto crolla, le uniche che si salvano, nude come vermi, sono Kathy e Cathy, estratte dalle macerie e fatte scappare da due vicine: una è l'ex moglie di Woody Alien, l'altra la ex moglie di Henry Fonda e la madre di Jane Fonda. Più Beautiful di così... Kathy Boudin si dà alla latitanza Intorno a lei e a Cathy Wtikerson (tre anni per detenzione di materiale esplosivo) si forma così un piccolo clan di ragazze bene, tutte più o meno latitanti come lei: c'è Judy Clark, ci sono le due sorelle Bemardine e Jessica Dohr,


c'è soprattutto JoAnne Chesimard. che è la capessa e ispiratrice del gruppo: milita nel braccio armato del Black Panther Party, la cosiddetta Black Liberation Army, si fa chiamare con un nome di battaglia, Assata Shakur, e per il momento sta in prigione per aver fatto saltare nel 73 con una bomba l'ufficio di William Bundy al Mit. Le ragazze la idolatrano. Kathy (che in suo onore ha chiamato Chesa lafiglia)le scrive poesie appassionate. Punto di riferimento comune è una avvocatessa ebrea di New York, Susan Typograph. Di lei, dicono i colleghi machos, perfidamente, che le clienti non soltanto le patrocina, ma se le porta a letto... Nello studio legale di Susan Typograph a un certo momento approda anche Silvia Baraldini. Altra storia non meno Beautiful. Ottima famiglia di professionisti romani, molto agiati. A Roma, casa nel centro storico, le figlie che vanno a scuola dalie suore inglesi delia Mater Dei. Poi nel '61 (Silvia ha tredici anni) il padre, Michele Baraldini, viene mandato da Adriano Olivetti in America a dirigere l'ultimo acquisto della società di Ivrea, la Underwood, famosa marca di macchine per scrivere. A New York i Baraldini vanno naturalmente ad abitare in un quartiere chic, Reaverdaie, a due passi dalla casa di Toscanini. Silvia si diploma (stesso anno di Kathy Boudin) presso la Woodrow Wilson High School. Ma presto la Underwood sirivelaun bidone, e quando l'Olivetti è costretta a chiuderla. Michele Baraldini, deciso arimanerein America, si trasferisce a Washington, come addetto commerciale dell'ambasciata italiana. Ma è sfortunato: un infarto se lo porterà via ancora giovane nel 1977. Sua moglie e la seconda figlia Marina torneranno a Roma, Silvia resterà in America, lavorerà un po' alla Rai Corporation, poi alla casa editrice Simon & Schuster, e alla fine, già con l'Fbi alle calcagna, troverà rifugio nello studio della Typograph. Il gruppo delle ragazze transita attraverso tutte le tappe dell'estremismo e del femminismo. Prima abbandonano l'Sds per confluire nel Bpl (Black Panthers Party), poi dal Bpl per entrare nella Bla (Black Liberation Army), quindi nel Wm (Weathermen Movement) e poi nel Wu (Weathermen Underground), e quando il Wu si spacca in due, da una parte il Pfc (Prairie Fire Collective, che propone il sutfacing, cioè l'uscita dalia clandestinità), dall'altra LM19 (May 19th Coalition: macché surfacing, anzi una clandestinità ancora più totale), anche le ragazze si dividono: le Dohr e la Wtikerson con il Prairie Fire; la Boudin,

la Clark, la Typograph e la Baraldini conl'M19. Ma che cos'è questo M19 (la sigla completa è: Organizzazione Comunista 19 maggio)? E perché 19 maggio? Perché, ufficialmente, è la data la nascita di Malcolm X e di Ho Chimin. In realtà perché è il compleanno di Kathy Boudin. Sempre ufficialmente l'M19 si proporrebbe, dice, di «costruire un movimento di liberazione femminilerivoluzionarioe antimperialista», o meglio un women's group che proclama di voler sconfìggere l'imperialismo con la lotta armata. In pratica è una cosa più modesta e meno retorica: una organizzazione semilegale di ragazzericchee bianche che serve da copertura e supporto logistico a un'ala (clandestina) della Black Liberation Army, formata in maggioranza da terroristi neri portoricani che si dedicano a compiere negli Stati Uniti audaci rapine e spettacolari assalti alle banche per finanziare il movimento indipendentista nell'isola. Come avviene la cosa? Facciamo un esempio (preso dalla realtà): una delle ragazze surfaced, cioè che hanno scelto di rientrare nella legalità (nel caso specifico: Bemardine Dohr) apre in centro (a Manhattan) in un punto molto commerciale (a un incrocio tra Broadway e la Ottantesima), un elegante negozio di abbigliamento per bambini (e lo chiama Broadway Baby). Una clandestina bianca dell'M 19fingedi andare a comprare, poniamo, un portenfant da Broadway Baby e paga (finge di pagare) con un assegno. Come garanzia per l'assegno, dà il suo numero di carta d'identità (è un numero falso, inventato). Due giorni dopo lafintaacquirente si presenta a una stazione di polizia, denuncia la perdita (o il furto) della carta d'identità e dà come referenza il negozio dove ha fatto l'ultimo acquisto, guarda caso proprio il Broadway Baby sulTOttantesima. La polizia controlla e così può fornire alla denunciante una replica di carta d'identità con identico nominativo e identico numero di serie (ma stavolta di tratta di un documento reale, pulito, legale). Lo stesso giorno, esibendo la carta d'identità «pulita», la ragazza bianca dell'M 19 noleggerà presso un car remai una o più automobili o furgoni che dovranno servire ai terroristi portoricani neri (che non possono certo presentarsi di persona a un autonoleggio) per portare a effetto Yhold-up. Ma l'M19 offriva anche altri tipi di supporto logistico. Per esempio: eseguirericognizionipreliminari sul luogo delia rapina. Una donna bianca, giovane, elegante, dall'aria benestante e istruita, che si presenta a uno sportello o a un

direttore di banca, non desta infatti nessun sospetto... Era, pare, uno dei compiti specifici di Silvia Baraldini (testimoni l'hanno vista, a Nyack. qualche giorno prima dell'assalto al furgone della Brink's, aggirarsi tutta in tiro, dressed up, nel centro commerciale scelto dai terroristi per la rapina; la Baraldini ha sostenuto di avere un alibi - «ero nello Zimbabwe» ma il tribunale non ci ha creduto). In altri casi il supporto era più diretto: per esempio, Kathy Boudin guidava personalmente la Chevrolet rossa che doveva seguire il furgone dentro cui si erano nascosti i rapinatori e raccoglierli una volta allontanatisi dal luogo del delitto; ma il poliziotto nero di guardia alla banca del centro commerciale spara ai rapinatori, i rapinatoririspondonoal fuoco, uccidono ti poliziotto e le due guardie giurate della Brink's; terrorizzata dalla violenza della scena Kathy Boudin perdeticontrollo della macchina, sbatte contro un muro, cerca di fuggire a piedi, barcollando, gridando, ormai completamente fuori di testa: «Non l'ho ammazzato io, è stato lui, è stato lui...». Una guardia carceraria fuori servizio che passa di fi per caso la soccorre credendola vittima e non complice; finché non arriva la polizia che non tarda a scoprirne la vera identità... Da Kathy la polizia risale al resto dell'organizzazione. Si scopre che prima dell'assalto al furgone della Brink's ha compiuto almeno altre tre rapine, tutte miliardarie, ma ti denaro non viene più ritrovato. Dove è andato a finire? E qui toma in scena Cuba L'assalto al furgone della Brink's si svolgeti20 ottobre 1981. Il primo processo (in cui la Baraldini subisce una prima condanna a 20 anni) avviene ti 3 settembre 1983. L'Fbi è persuaso di aver sgominato l'intera banda e di averne scoperto tutte le ramificazioni, politiche e criminali. Ma si sbaglia Pochi giorni dopo infatti un furgone portavalori della Wells Fargo viene sequestrato in un modo molto simile a quello usato ai danni della Brink's. Stavolta però non ci sono sparatorie, etifrutto delia rapina è molto più ingente: 7 milioni e 200mila dollari (oggi equivarrebbero a quasi 27 miliardi di lire). Insieme contimalloppo è scomparso ancheticonducente del furgone blindato della Wells Fargo, apparentemente sequestrato, ucciso e fatto sparire dai rapinatori. Non se ne sa più niente, fino a due anni fa, quando esce in Francia un libro, pubblicato da Stock, intitolato La Loi du corsaire, lo stesso libro esce anche in Spagna, nel marzo di quest'anno, dall'editore Tusquets, con molti più particolari e un titolo diverso: El furor


y el delirio. Nel libro vengono finalmente per la prima volta svelati i retroscena delle rapine multimiliardarie realizzate dai terroristi portoricani con l'aiuto delle ragazze bene del M19. ' Chi è l'autore dei due libri? È un giovanotto che se ne intende, anzi un protagonista: si chiama Jorge Masetti, è il figlio dell'omonimo giornalista argentino che fu, agli inizi degli anni Sessanta, il primo a tentare di organizzare un «fuoco di guerriglia» in America latina (nelle foreste di Salta, nell'Argentina del nord, e ci lasciò la pelle). Masetti junior, allevato a Cuba da Fidel Castro, è stato negli anni 70 e '80 un ufficiale di collegamento cubano con varie formazioni terroristiche in Argentina, Messico, Spagna, anche in Italia Alla fine degli anni '80 ha sposato Ileana La Guardia, figlia di uno dei due gemelli La Guardia che avevano organizzato quella Oficina Me che servì per molti anni come poderoso e multiforme organismo segreto destinato a rastrellare in Occidente e a procurare aifratelliCastro, con ogni mezzo (compreso il traffico di armi e droghe), grandi quantità di dollari e monete forti. Quando il traffico fu scoperto dalla Cia e dall'Fbi, Fidel Castro fu costretto a inscenare all'Avana l'atroce processo farsa contro il generale Ochoa e i due gemelli La Guardia, nel tentativo (non tanto ben riuscito) di scaricare su altri le proprie responsabilità. Dei due gemelli, uno, lo zio di Ileana, fu giustiziato (pare che Castro lo abbia ucciso personalmente), l'altro, il padre di Deana e suocero del giovane Jorge, è ancora detenuto. Approfittando delle conoscenze che hanno nella nomenklatura, Ileana e Jorge sono riusciti a fuggire in Europa.

(in particolare, al gruppo dei Macheteros), ma giustamente solo una parte, cioè appena 3 milioni e 200mila dollari; i restanti 4 milioni (15 miliardi di lire d'oggi) furono invece trattenuti dai cubani come provvigione o tangente sull'affare; e depositati nella banca privata deifratelliCastro, il Banco Financiero. I rapporti tra le ragazze dell'M19 e i terroristi/rapinatori del Black Liberation Army non sono sempre stati a senso unico. Qualche volta una mano anche i «fratelli» neri l'hanno data alle «sorelle» bianche. Per esempio nel 1979 hanno fatto evadere dalla prigione JoAnne Chesimard, la mitica Assata Shakur a cui Kathy Boudin IL GIORNALE • Domenica 2 2 agosto 1999 dedicava le sue poesie («Sei come vento leggero...), a cui Silvia Baraldini scriveva: «Vorrei vederti tutti i giorni, anche dopo...». Ai primi di luglio di quest'anno, il giornalista del Corriere Maurizio Chierici l'ha intervistata all'Avana, dove vive da 17 anni. JoAnne nel frattempo è diventata nonna. Ma non ha dimenticato le «ragazze» d'allora. Quando il giornalista le fa il nome di Silvia Baraldini, sospira: «Ah che bello, tutti assieme...» Lasci fare. Qualche ministro italiano che ci pensa c'è già. Valerio Riva

NOVEMBRE 1982 Silvia Baraldini viene arrestata per la prima volta il 9 novembre 1982 con l'accusa di aver partecipato alla progettazione ed esecuzione di una rapina a un furgone portavalori della Brinks a New York nella quale muoiono due poliziotti e un agente di custodia. Al momento dell'arresto ha 34 anni. GIUGNO 1983 Arriva il secondo arresto: alla Baraldini vengono addebitati il progetto di una rapina e la partecipazione all'evasione della leader nera Assata Shakur.

Che cosa racconta Jorge Masetti jr? Che l'autista del furgone portavalori della Wells Fargo non fu affatto sequestrato e ucciso dai rapinatori. Era invece semplicemente stato comprato, e per soldi, molti soldi, aveva acconsentito a tradire l'azienda per cui lavorava Fu lui stesso a guidare il furgone nel rifugio della banda. Fu fatto espatriare in Messico; una volta in Messico, Jorge Masetti gli procurò una nuova identità, nuove fattezze, documenti falsi, e lo spedì a Cuba. L'intera operazione era diretta, dall'Avana, dal diretto superiore di Masetti, Jesus Arbezù, capo della Sezione Usa e Portorico del Departamento de America dei servizi segreti cubani. (Anni dopo, Arbezù è stato ambasciatore cubano all'Onu...).

APRILE 1984 Silvia Baraldini viene condannata a 43 anni di carcere per terrorismo. Sconta la pena in sei penitenziari fra i più duri d'America: prima a New York, poi a Pleasanton-San Francisco (aprile 1984-gennaio 1987), nel carcere di massima sicurezza di Lexington nel Kentucky (gennaio 1987-luglio 1988). Esce dal carcere di massima sicurezza per essere trasferita a Rochester, dove deve sottoporsi a due interventi chirurgici per asportare un tumore all'utero. Verrà poi trasferita in un altro carcere di sicurezza in Florida. Attualmente è la detenuta numero 05125/054 nel carcere di Danbury, nel Connecticut

E il denaro? Seguì la stessa strada. Fu trasportato a Cuba, lavato, ripulito (com'era già avvenuto con i frutti delle precedenti rapine). Dei 7 milioni 200mila dollari rapinati alla Wells Fargo, una parte fu effettivamente consegnata agli indipendentisti portoricani

GIUGNO 1999 La svolta. Dopo gli incontri tra Diliberto e l'ambasciatore americano in Italia Foglietta e le pressioni di D'Aiema su Clinton dopo la sentenza di assoluzione del pilota della strage del Cermis («È stato un baratto», accusano gli esponenti del Polo), l'I 1 giugno arriva l'annuncio: Silvia Baraldini verrà trasferita in Italia il 25 agosto 1999. Dei 43 anni cui era stata condannata, ne ha scontati 17; altri 8 dovrà fame in Italia. Il resto della pena è stato condonato.

GIUGNO 1989 II ministro di Grazia e giustizia Giuliano Vassalli richiede per la prima volta agli Usa di applicare la convenzione internazionale di Strasburgo, che prevede la possibilità di scontare gli anni di carcere nel Paese d'origine. Ma gli americani rispondono di no. Faranno lo stesso per altre cinque volte.


ri «ajjfe&SU&ús:

UBERAUZZAZ10NE

Ma, AÌ)Z)/O

AL MONOPOLIO MA ALLA FINE CHI GUADAGNA? tennio a far quadrare i bilanci, riuscen-a secondo delle stagioni), da Francia, do a perdere laddove i privati guada- Svizzera, Germania. Rifiutando le cengnavano. Mentre lo Stato approfittavatrali nucleari, siamo infatti deficitari i possono essere varie della nazionalizzazione per scaricare Obbligato a vendere centrali per 15 angolature dalle quasull'Enel oneri impropri Ad esempio, le mila megawatt, e scendendo sotto «quoli valutare ilprocesso, forniture alle ferrovie a prezzi sconta- ta 50per cento», l'Enel cesserà presto di da ieri irreversibile, tissimi essere dominante. Perdendo, c'è da audella liberalizzazione Il mito del «pubblico è meglio», pro- gurarsi la possibilità di imporre tarifdelmercatodeU'elettricitàedel gressivamente declina. In Europa e dife e contratti che gli altri sin qui pseudoridimensionamento della qua- riflesso in Italia. Soto in Francia, per l'e-concorrenti erano lesti a far propri Chi rantennale posizione di molettricità, tenacemente resiste A lancia-otterrà tale manna? Non è chiaro: si atnopolio dell'Enel. La prima, reilsiluroderisivoèCarlo Azeglio Ciam- tendono decreti, regolamenti applicatiforse la più importante, è sipi premier, nell'ottobre 1993: «l'Enel vi Con l'amara sensazione che dal quacuramente politica; la seconverrà privatizzato», dichiara. Comincia si monopolio si passerà ali 'oligopolio: udaèpercosìdire«tecnka», cioè il lungo viaggio a ritroso: se pubbliciz-na manciata di produttori semipubbliquale sarà (non subito, però), zare è semplice, recuperare il mercato ci è e privati ne beneficeranno principalla nuova articolazione delben più complesso. Anche perché sonomente gli azionisti delle società stesse. l'ojfertcgla terza, riguarda l'u- moltissimi i pretendenti al ghiottissimoCompresi quelli di un Enel prossimo ad tenza In pratica, tutti gli itabusiness dell'energia. Non dimentican-andare in Borsa. liani do gli interessi dei dipendenti Enel, de- Egli utenti? Va delineandosi una riAndiamo con ordine. Parcisi a difendere condizioni contrattualiduzione scaglionata delle tariffe (il 17 tendo dal clima regnante aldi assoluto privilegio. per cento in un quadriennio), tuttavia, l'inizio degli anni Sessanta, si sente sussurrare, condizionata ad acNel frattempo, è emerso come il moallorché per un diktat dei sonopolio Enel sia tale sofo difacciata. De-cadimenti esterni, imponderabili, quali cialisti di Pietro Nenni, il nagli oltre 90 mila megawatt che consu- il prezzo del petrolio, essenziale alle censcente centro-sinistra procemiamo, una parte non trascurabile (cir-trali termoelettriche. La concorrenza, la dette alla nazionalizzazione «mano invisibile del mercato», dovrebca 20 per cento), viene dalle aziende mudell'industria elettrica, ritebero tuttaviafar miracoli., ne siamo sinicipalizzate (tipo l'Aem milanese, quonendo la misura essenziale altata in Borsa con straordinario succes-curi? Quel die sta avvenendo per benzilo sviluppo programmato delso) e società autoproduttrici, fra questena e gasolio, suscita comprensibili e difl'economia. Gran battaglia, la Edison del gruppo Montedison ed ilfuse ansietà. Venuti meno i controlli i con le società private esprogruppo Falck. Vi è poi una robusta quo-prezzi per il consumatore lievitano in priate e seppur lautamente inta importata (fra il 10 ed il 15 per cento,qontinuazione: sia che il dollaro ed il dennizzate (anche troppo), a greggio salgano o scendano. Dov 'èfiniprofetizzare con terroristici dita la «mano benefica»?Iministri, guarscorsi l'inizio dell 'era del «tutdandosi negli occhi, convocano i proto pubblico». duttori, annunciano inutili monitoragOra, il pendolo si muove in gi. Impotenti innanzi alla forza degli odirezione opposta. E, autentiligopoli ca nemesi storica, il decreto Che si eviti pertanto, ogni illusione. porta lafirma di un presidente Se politicamente la svolta è di prima del Consiglio di sinistra. Chiagrandezza, ponendofineal tabù dello ro come il sole che l'ideologia statalismo, quanto al trionfo del mercadelle nazionalizzazioni non to, siamo ancora lontanissimi. Le vicenharettolasfìdadel tempo. Cerdedei telefonie Telecom dovrebbero amto, s'è dovuto ottemperare alle maestrarci- caduto il monopolio, padirettive dell'Unione europea ghiamo veramente meno, abbiamo davche intimano la fine di ogni vero servizi dalla maggiore efficienza, monopolio; ma ben altro saoppure navighiamo a vista nel caos rebbe stato l'accanimento de«marketistico»? gli statalisti (vene sono ancoLiberiamoci dai paraventi di comora), qualora l'Enel avesse asdo, dei luoghicomunialla moda Se quelsicurato energia in abbonle stesseforze politiche che 40 annifa indanza ed a buon mercato. Invocavano le nazionalizzazioni ora ovece la società impiega un vensannano il mercato, qualchedubbio è legittimo. La nazionalizzazione (confusa, velleitaria, ideologica), restando un monumento al pressappochismo politico, fa temere che pure la retromarcia risulti inficiata dagli stessi vizi capitali. Con l'unica differenza c/#a//e nomenklature pubbliche si sostituiscono altre noA v v a l i l e menklature. Private. «Rieccoli?». Lasciando in sospeso l'interrogativo cruciale: la bolletta elettrica degli italiani GIANCARLO GALLI

V


«Eutanasia anche ai bambini»

Oblé, proposta-choc: «Non è necessario che i genitori mno dkcordo» L'AJA — Dodici anni bastano per togliersi «legalmente» la vita. Senza permesso dei genitori. Senza autorizzazioni del padre o della madre. Se si è in preda a un male incurabile, se le sofferenze fisiche sono insostenibili, la legge difenderà la decisione. Permetterà l'eutanasia, la «morte di Stato», non solo agli adulti, ma anche a bambini dai 12 ai 15 anni. La proposta arriva dall'Olanda, il Paese europeo più liberale in materia di diritti civili, il più avanzato nella sfida a un tabù morale come quello della «dolce morte». Ma il disegno di legge, presentato ieri alla Camera dei deputati dal ministro della Giustizia Benk Korthals e da quello della S a n i t à Els Borst, è comunque destinato a spaccare le coscienze. La novità non consiste tanto nella piena legalizzazione dell'eutanasia. L'Olanda aveva depenalizzato la pratica nel '94, anche se esisteva ancora il rischio di essere condannati fino a 12 anni di prigione. L'aspetto più rivoluzionario della legge sta nell'aver inserito i minorenni tra coloro che possono far ricorso ai medici per mettere fine a una malattia terminale. Il testo, approvato a luglio dal governo olandese, è dovuto passare al vaglio del Consiglio di Stato. La Corte aveva accettato il principio che anche un minorenne possa essere in grado di decidere con «discernimento» quando morire. Ma il diritto di rivolgersi ai medici per l'iniezione letale, senza il

permesso dei genitori, era stato concesso solo ai ragazzi tra i 16 e i 17 anni. L'ultima versione del disegno di legge ha abbassato ulteriormente l'età. A certe condizioni: i genitori vanno comunque interpellati e solo in caso di rifiuto di uno dei due o di entrambi, il minorenne potrà procedere da solo. Saranno poi i medici a decidere se ^eutanasia è possibile o no. Attenendosi a sette criteri. Come la convinzione che non vi sia nes-

• ITALIA ED EUROPA Il Comitato nazionale per la bioetica si è da tempo perentoriamente espresso contro l'eutanasia. Ad eccezione dell'Olanda, tutti gli altri Paesi europei seguono la stessa linea • NEGLI USA Le attività del «Dottor morte» Jack Kervokian — 48 suicidi assistiti dal '90 al '98 — rimangono ai limiti della legge. Nel '97, la Corte suprema ha deciso che il diritto all'eutanasia non può esser affermato a livello costituzionale • IN AUSTRALIA L'eutanasia fu approvata nel 1995, ma abolita due anni dopo

¿^rtifLae

op.66*

suna speranza di salvare la vita al bambino, che le cure siano un crudele accanimento terapeutico e che «il paziente si trovi di fronte a una sofferenza disperata e insopportabile». Se il disegno di legge sarà approvato in Parlamento, l'Olanda si troverà così ad avere la legislazione in assoluto più avanzata sulla «dolce morte». Ma già nel '96, il Rapporto Van der Maas, primo bilancio sulla precendente legge, contava 3.200 casi di eutanasia nel '95, contro i 2.300 del 90. Né il resto dell'Europa, né l'America sono disposte a simili aperture. In Italia — dove il Comitato nazionale per la bioetica si è da tempo perentoriamente espresso contro — a luglio è caduta nel vuoto la lettera di una giovane disabile che chiedeva al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di autorizzarle l'eutanasia. E anche negli Stati Uniti: le attività di un privato come Jack Kervokian, battezzato «Dottor morte» — 48 suicidi assistiti dal '90 al '98 — rimangono ai limiti della legge. Nel '97, la Corte suprema americana ha deciso che il diritto all'eutanasia non può esser affermato a livello costituzionale, lasciando però gli Stati liberi di decidere. Ma nell'Oregon, dove l'eutanasia è stata ammessa, per una serie di ricorsi dal '94 al '98 solo un malato è riuscito a togliersi la vita legalmente. In Australia, la «dolce morte», dopo essere stata approvata nel '95, è stata abolita due anni dopo.


La sinistra vuole una legge che tuteli gay e lesbiche Ma i cattolici si dividono A N N A M A R I A GRECO

da Roma Il nostro ordinamento vieta ogni discriminazione in base alla razza, al sesso e alla religione. Ma qualcuno, nel centrosinistra, ritiene che questa definizione sia ormai superata. Più che di sesso, infatti, vuole che la legge parli di «orientamento sessuale», cioè non della tradizionale differenza tra maschio e femmina, ma delle «sfumatuL'Arcigay: re» che possono esserci «Una realtà all'interno di uno stesso genere. Insomma, che interessa del «complesso delle tre milioni concezioni, delle sensidi persone» bilità, delle preferenze sessuali e dei relativi comportamenti di persone eterosessuali, omosessuali, bisessuali, transessuali o per le quali, comunque, non vi sia una corrispondenza tra identità di genere e sesso anagrafico, purché tra loro consenzienti ed entro i limiti stabiliti dalla legge contro la violenza sessuale del '96». Nel provvedimento che sta per essere approvato dalla commissione affari costituzionali della Camera, un emendamento distingue infatti tra

Pro

vita sessuale e orientamento sessuale. E, al di là della fumosità dei termini, introdurre questa ottica di tutela dalle discriminazioni potrebbe avere pesanti ripercussioni su altre leggi, a partire dallo statuto dei lavoratori. Non sorprende che la proposta venga da Nicky Vendola di Rifondazione comunista, un po' di più che il relatore sia il popolare Paolo Palma che la definisce anche «d'ispirazione cristiana». Il deputato del Ppi tira in ballo l'intervento del Papa che criticò un pronunciamento del parlamento europeo sulla parità dei diritti per gli omosessuali, definendo moralmente inammissibile «l'approvazione giuridica della pratica omosessuale». Palma ne deduce che «la Chiesa

non avrebbe ceno criticato disposizioni normative che avessero come fine la tutela degli omosessuali dall'intolleranza». E si accaparra senza tanti complimenti un placet da Oltretevere. Davvero troppo frettoloso, per i parlamentari di An. Che insorgono denunciando «un'opera di disgregazione della famiglia basata sul matrimonio tra persone di sesso diverso». Mentre il Ccd preannuncia una serie di emendamenti, denunciando «equivoci pericolosissimi per l'educazione dei giovani», Emma Bonino applaude dalle pagine della rivista elettronica Noi, diretta dal presidente onorario dell'Arcigay, Franco Grillini. E chiede di dare piena attuazione al trattato di .Amsterdam che vieta nell'Ue tutte le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale. «C'è molto da lavorare - dice per garantire ai gay e alle lesbiche tutti i loro diritti». Sergio Lo Giudice, presidente dell'Arcigay, ricorda che si parla di una realtà che in Italia interesserebbe tre milioni di persone. Diversa la posizione di Alfredo Mantovano (An): «Il maestro ostentatamente gay - spiegapotrà, e anzi dovrà, insegnare anche nelle scuole materne: se però il genitore o il diretto- An: «Continua re didattico o chiunque l'opera di altro, oseranno sollevadisgregazione re delle riserve in nome delle esigenze di delle un'equilibrata crescita del bambino, potranno famiglie» essere puniti penalmente per manifesta intolleranza». Per Riccardo Pedrizzi questo può essere «un grimaldello di cui le lobby gay possono servirsi per ottenere riconoscimenti ed equiparazioni». E il vicepresidente della Camera. Carlo Giovanardi (Ccd), aggiunge: «Verrebbe perseguito penalmente l'educatore che non riconosce all'omosessualità i caratteri di normalità del rapporto tra uomo e donna».

Contro

IL GIORNALE • Mercoledì 28 luglio 1 9 9 9


.-^venire

Gkaveoi 2: uciio '999

CULTURALE SOCIETÀ

TENDENZE Mentre si apre la querelle sui 6 miliardi che l'umanità avrebbe raggiunto, i demografi abbandonano Malthus

La

N

ascite al centro di infinite polemiche. Secondo i l Census Bureau, vale a dire l'ufficio statistico degli Stati Uniti la popolazione mondiale avrebbe già raggiunto i sei miliardi di unità, mentre per le Nazioni Unite la soglia sarà toccata i l 12 ottobre prossimo. Non si sa bene quali delle due previsioni è più vicina alla realtà, anche perché sono diverse le nazioni che non forniscono informazioni dettagliate circa la loro situazione demografica ed altrettante che non dispongono di dati certi. Ma la vera controversia non è tanto su chi tra il Census Bureau e l'Onu abbia fatto meglio i conti, ma sulle conseguenze della crescita della popolazione. Per alcuni l'incremento della popolazione è un grande avanzamento per l'umanità, altri invece guardano alla crescita demografica come alla peggiore delle minacce per la sopravvivenza del pianeta. Per i questi ultimi la crescita demografica è una minaccia simile 0 addirittura superiore a quella dell'olocausto nucleare. Dall'altra parte invece salutano la crescita della popolazione come uno degli esempi più evidenti della capacità umana di progredire. Mentre Albert Gore, vicepresidente degli Stati Uniti, nel suo intervento di apertura alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione tenuta al Cairo nel 1994 dichiarò che «il pericolo della crescita demografica è paragonabile a quello della proliferazione nucleare», un gruppo significativo di economisti e demografi tra cui i premi Nobel per l'economia Gary Becker (1992) e Amartya Sen (1998), i l premio Nobel per la pace Norman Borlaug (1970), i professor i Jacqueline Kasun, Jean-Didier Lecaillon, E-

ster Boserup, nonché il demografo Gérard-François Dumont, sostengono che tutti gli argomenti contro la crescita della popolazione si sono dimostrati fallaci ed anzi l'aumento della popolazione del mondo rappresenta una vittoria sulla morte. Questi ultimi in particolare sostengono che osservando la storia non esiste un solo esempio di sviluppo legato alla diminuzione della popolazione. Non c'è alcuno sviluppo economico quando c'è stagnazione demografica, ovvero quanto il tasso di fertilità è inferiore al livello di ricambio generazionale (cioè inferiore a 2,1 figli per donna ndr), al contrario la crescita demografica è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per garantire lo sviluppo economico.

nonc'èpiù

Taiwan, Singapore, Cuba e Brasile. Riportando i dati forniti dalle Nazioni Unite, il demografo Massimo L i v i Bacci ha scritto in un recente articolo apparso sulle pagine del Sole 24 Ore che «la natalità italiana e di molta parte d'Europa è troppo bassa e alla lunga può compromettere sviluppo ed equilibrio». Come ha spiegato i l premio Nobel Gary Becker infatti «la ridotta crescita demografica riduce il dinamismo e l'innovazione, due fattori fondamentali per lo spirito d'impresa. I giovani sono quelli che apprendono prima e meglio l'utilizzo delle nuove tecnologie, se ci sono pochi giovani i l tasso di innovazione nella società si riduce». La bassisAnche sulla interpretasima natalità izione dei dati ci sono punnoltre altera t i di vista radicalmente i rapporti differenti. Seppure i l nudi età tra mero di sei miliardi di agenerabitanti della Terra possa far pensare a scenari ca- zioni creando pericolosi tastrofici, Il Dipartimento squilibri nel sistema pendegli Affari economici e sionistico. A questo prosociali delle Nazioni Uni- posito l'economista amete, nel suo ultimo rappor- ricano W. Patrick Cunto biennale sulle «Stime e ningham, nel corso di un proiezioni della popola- briefing rivolto al Conzione mondiale», sostiene gresso statunitense nelle che non esiste una bomba settimane scorse, ha afdemografica e che il mon- fermato che «l'unica prodo sta sempre di più inca- posta a lungo termine per nalandosi verso un pro- reintegrare la liquidità del blematico "inverno demo- sistema pensionistico stagrafico". Secondo i l rap- tunitense è quella di faciporto dell'Orni, infatti, so- litare la scelta delle famino 61 i Paesi al mondo che glie ad avere più bambihanno una crescita demo- ni». Cunningham ha spiegrafica inferiore allo zero. gato che «un incremento Questi 61 paesi rappre- della natalità statunitensentano il44% della popo- se dall'attuale 1,98 bambilazione mondiale, cioè 2,64 ni per donna a 3,6 potrebmiliardi di persone. Se be risolvere i problema di questa tendenza non solvibilità del sistema soverrà ribaltata, il rappor- ciale americano». Come to delle Nazioni Unite pre- misura per frenare l'invede un declino della po- verno demografico Jopolazione che non colpirà seph R. Pitts, deputato al solo i Paesi industrial- Congresso, ha proposto di mente avanzati ma anche «utilizzare 100 milioni di dollari che attualmente Cina, Tailandia, Corea,

E

vengono usati per piani di controllo delle nascite, in aiuti per l'infanzia». Emergono a questo punto le contraddizioni che caratterizzano la politica demografica delle Nazioni Unite. Nonostante , siano sempre più chiari i segnali di un rallentamento deUa crescita della popolazione, si continuano a votare documenti e varare programmi per una radicale riduzione delle nascite, tutta indirizzata verso i Paesi in via di sviluppo. Antonio Golini, direttore del Dipartimento demografico della Sapienza a Roma, di ritorno da New York dove hà partecipato con la delegazione italiana alla sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite denominata «Cairo+5», sostiene che dietro questa contraddizione «c'è il contrasto tra la concezione individualista dei Paesi del Nord del mondo e quella più legata alla famiglia dei Paesi in via di sviluppo». Concezioni divergenti soprattutto quando si parla di libertà e diritti. Secondo Gian Carlo Blangiardo, direttore del Dipartimento di statistica dell'Università di Milano, invece, la logica che vede il Nord ricco finanziare i piani di controllo della popolazione nel Sud del mondo è una chiara espressione d'imperialismo. «L'intensificazione degli interventi per la riduzione della nascite - precisa Blangiardo- avviene in un contesto generale in cui la fecondità dei Paesi del terzo mondo sta diminuendo ad una velocità molto più sostenuta di quanto era stato richiesto nel Piano di azione formulato al Cairo nel 1994». É quindi evidente che si tratta di «una scelta di natura imperialistica».

HI


Martedì 3 asosto 1999 6 ft A j o û o L i e . La polemica Dopo la dura risposta del premio Nobel a Padre Toschi, anche Franco Cardini boccia «Lu santu jullare»

«Caro Fo, Francesco non è il Che» di Franco Cardini

A

nzitutto, diamo a Cesare quel eh*è di Cesare e a Dario quel ch'è di Dario. Non so e m'interessa poco capire se sul serio meritasse il Premio Nobel: certo però è che Dario Fo è uno splendido animale da palcoscenico, un formidabile teatrante nato. E qui. tanto di cappello. Non ho visto Lu santu jullare andato di scena all'ultimo festival di Spoleto e il fatto che lo abbia applaudito D'Alema non mi dice nulla né sulla sua qualità estetica né sulla sua fedeltà storica alla figura di Francesco d'Assisi. Il Presidente del Consiglio non è né un critico teatrale, né un francescanista: è solo uno che si è divertito, e buon prò gli faccia. E poi è un rappresentante Ji punta d'una parte politica e d'un'ala dell'opinione pubblica che. quando parla Fo. deve per forza o divertirsi da matti o profondersi in lodi sesquipedali. Come facevano i fascisti quando cantava Beniamino Gigli. Va bene anche questo: si capisce. Se ci fossi stato anch'io, a Spoleto, forse mi sarei divertito quanto D'Alema e avrei applaudito anch'io: Fo mi piace, anche quando dà pareri politici che mi mandano in bestia. Ma. siccome non ho visto il suo spettacolo né letto il suo copione, non darò giudizi su cose che non conosco. Non dubito che. per preparare Lu santu jullare. il Fo si sia dato da fare anche sotto il profilo dello studio. E' una persona intelligente, è piuttosto colto, mi risulta che abbia buoni collaboratori. E' anche uno che legge, che va in biblioteca. Nessun duBBio che abbia mandato giù una dose ab-

Formidabile teatrante, ma pessimo storico: «Il suo Medioevo? Goliardia e Bisnami di sinistra» bondante di scritti francescani e magari di pagine di studiosi. Tutto quel che possef giudicare sono le sue dichiarazioni, riportate dalla stampa, e purtroppo l'infelice articolo che ha firmato (vorrei illudermi che non lo abbia anche scritto) sul «Corriere della Sera» di ieri, in risposta alle accuse formulate proprio su questo giornale dal padre francescano Tommaso Toschi. artendo da questi dati, resto dell'avviso che lo spettacolo di Fo possa essere divertente, magari esilarante, perfino teatralmente parlando «bello». Perché no? Ma quel che il suo autore dice di Francesco è d'una miseria intellettuale scoraggiante. Non si nasconda, il Fo. dietro Te spalle d'una studiosa come Chiara Frugoni, della quale avrà anche letto alcune cose, ma non le ha né meditate né capite. Non si trinceri dietro il vecchio Muratori per imbastire polemiche su aspetti secondari della polemica con padre Toschi: tipo la guer-

P

ra, fra Imola e Bologna, ch'è abbastanza irrilevante ci "fosse o no nel 1222. dal momento che la vita dei comuni dugenteschi era tutta una guerra, e nella vocazione di Francesco era appunto fondamentale il predicare la pace che spuntasse le armi delle contese civili e spezzasse il vortice delle vendette politiche e familiari. Non si riempia la bocca di nomi come Federico Visconti o Boncompagno da Signa. che — è chiaro — 1 altro ieri non gli dicevano niente e dei quali ancora parla senza sapere chi fossero. Il che va perfettamente bene. Il Fo è uno scrittore creatore di teatro: bravissimo, straordinario, geniale. E la sua versione teatrale di Francesco va presa per quella che è: una giullarata. un mistero buffissimo e ridanciano, l'ennesimo colpo d'ala d'un vecchio goliardico simpatico e fanfarone.ìsJon andiamo a cercarci la storia: né quella di Francesco, né quella del Duecento. Non può esserci. E qui un pochino dissento anche col padre Toschi. Capisco il suo disappunto per quello che gli è parso uno spettacolo offensivo, profanatorio nei confronti d'un grande Santo. Capisco che un francescano colto senta il dovere di insorgere. eròt reverendo padre, a che gioco giochiamo? Certo la verità va detta e Lei lo ha fatto. E Lei è senza dubbio coraggioso: affronterà 10 scandalo di tutti T codini travestiti da rivoluzionari i quali pensano che offendere il Fo è offendere la cultura e la cultura non si tocca: magari sarà messo alla berlina dai colti intellettuali che scenderanno al solito in campo per far quadrato attorno al Vate-Giullare democratico e che Le daranno dell'ottuso reazionario, del tartufo conformista. E invece i tartufi conformisti sono lqro. Mentre i l Fo lo sa bene, lui. di aver dietro politici che contano e strumenti massmediali pronti a far da cassa di risonanza a ogni fesseria che dice e trasformarla in Vangelo. Magari. Vangelo buffo. Mi"sta sempre simpatico chi combatte contro i mulini a vento ma ciò non toglie che la battaglia contro i mulini a vento sia inutile. E' tempo perso spiegare a Fo e a chi la pensa come lui che 11 nucleo fondamentale di quella che Giovanni Miccoli ha chiamato la «proposta cristiana» di Francesco sta-

P

va nell'imitazione profonda, rigorosa, dura, implacabile del Cristo povero, nudo, sofferente e impotente. el rifiuto violento, feroce, accanito di qualunque forma di potere, incluso il sapere ch'è esso stesso potere. E che quella via Francesco voleva percorrerla sino in fondo, lui e quelli che liberamente l'accettavano con lui: ma non era un rivoluzionario, non voleva cambiare il mondo e nemmeno la gente. Voleva soltanto crocifiggersi accanto al Cristo crocifisso e per il resto — come scrisse una volta a un ministro del suo Ordine — era convinto che si dovesse prendere la gente com'era, amarla tutta per quel che era e non voler farla migliore. Ma il Fo del cristianesimo non sa e non ha mai capito un accidente: della storia della Chiesa, medievale e no, ignora tutto. La sua visione del Medioevo, anche se ha scartabellato qualche buon l i bro, rimane a metà fra quella dei goliardi d'una volta che facevano la «festa delle matricole» truccati da menestrelli e quella d'un ragazzaccio invecchiato che ha letto un po' di Bignami. Una visione da maestrina di sinistra, socialeggiante ma non marxista (il marxismo è una cosa seria), con i prelati corrotti e i ricchi cavalieri violenti da una parte, il buon popolo che sgavazza allegramente e

N

che si ribella generosamente dall'altra. Ma questo è un cartoon di Walt Disney, questo è Robin Hood interpretato dal vecchio Errol Flynn: mica è Medioevo. Mi piace il Fo del «grammelot»: è una splendida vecchia maschera da piazza, uno sgangherato millantantore narcisista, un cialtrone di gran razza, un intelligente irresistìbile buffone. Ma il Fo maestrino fa pena. Parla della partecipazione del giovane Francesco alle lotte cittadine della sua Assisi e se le immagina uno scontro fra ricchi nobili da una parte, popolani sanguigni e preproletari dall altra: un qualunque Buon manuale gli avrebbe spiegato che il «popolo» del XIII secolo non era fatto per nulla di spiantati che volevano giustizia, ma era un composito ceto emergente che voleva compartecipare alla gestione del potere. Ce l'ha insegnato un socialista vero e grande. Gaetano Salvemini, caro compagno Dario. E gli svarioni tragicomici continuano. Francesco, dice il Fo, voleva leggere il Vangelo «sine glotta». Refuso del proto? Reminiscenza di una vecchia canzone di Gegè di Giacomo («Carlotta 'o saccio che sì poliglotta...»)? Boh. Fatto sta che Francesco i l fai*)

48


Vangelo lo leggeva pochinoie non gli interessava più di tanto: non era mica uno dei soliti ereticastri, non era mica un noioso predecessore di Wycliff e di Lutero. Francesco voleva seguire il Cristo povero, che si coglie più in certe rappresentazioni iconiche — e soprattutto nudo sulla croce — che non nella Scrittura e pretendeva che siile glossa — vale a dire senza dotti commenti che l'edulcorassero — i suoi seguaci intendessero e seguissero la regola del suo nuovo Ordine. La regola, compagno Premio Nobel: non il Vangelo ch'è altra cosa. E' allora, il castello di carta del Fo va rivoltato di sana pianta. Il suo è un Francesco educato, politicali)- correa, conformista. Dice qualche parolaccia: e capirai! Il Francesco vero faceva ben altro: si spogliava addirittura nudo per predicare, sbatacchiava ben bene — almeno con le parole — i frati che una volta promesso di seguir la regola mostravano pavidità, secondo una fonte minacciava addirittura farli picchiare da un confratello energumeno, il «pugilatore di Firenze»."Già: le fonti. Ti Fo dice di

averle lette, anzi l'ostenta. io gli credo. Solo che. non avendo le basi critiche per giudicarle, le ha lette male. E, volendo mettere disonestamente in scena un Francesco politicamente orientato, le ha manipolate. Perché, straccia qui ed estrapola lì. alle fonti si può far dire quel che si vuole. Ma il lavoro dello storico è un altro. Ecco dunque che. dietro la bella maschera teatrale del Fo iconoclasta e rivoluzionario spunta il grugno del Fo aggrondato censore. Ce avrà pur lette! il Fo. le opere di Francesco: tutte, non solo il Lamico delle Creature. Ma parlano ohimè delle virtù cristiane, dell'altezza del Sacerdozio, del Mistero Eucaristico. Con queste cose, non ci si fa il Francesco-Guevara. E allora via. Se ne sarà accorto, il Fo, che Francesco arriva alla conversione già maturo: verso i ventitré anni, che allora erano più o meno quaranta d'oggi. Un Francesco dunque che aveva Tatto le sue esperienze: aveva fatto senza dubbio all'amore, era andato in guerra contro i perugini, voleva farsi cavaliere. Magari, in guerra, avrà anche ucciso. Ecl era senza dubbio di ricca famiglia: cosa che al Fo dispiace tanto che lui la nega istericamente e stavolta contro tutte le fonti e i rac-

E

La corassiosa. ma vana battaglia di un francescano colto contro i codini travestiti da rivoluzionari conti di tutti gli storici. Insomma: il Francesco «di sinistra» che assalta le case dei ricchi, sì. anche se le cose non stavano così; il Francesco «di destra» che invece aveva fra gli amici più cari anche prelati e cavafieri (e ce li aveva), quello no. E non parliamo del Francesco che senza dubbio sta dalla parte degli «ultimi» (certo che ci stava), ma che al tempo stesso predica contro gli eretici. Bonariamente? Non lo so. Giullarescamente guasi di sicuro, sì, era il suo stile. Ma il Cantico delle Creature è uno splendido manifesto contro i catari, 1 quali predicavano che tutta la natura era cattiva e dannata. Ci ha mai pensato, il Fo, che, mentre Francesco scriveva queste cose contro i catari poco lontano, in Provenza, i crociati stavano appunto sterminando quegli eretici? Francesco collaborazionista d'un eccidio, magari senza volerlo? Paradossi, naturalmente. Ma per dire che il tìglio di Pietro Bemardone è un santo difficile e scomodo. Il Giullare premio Nobel però, queste cose non vuol capirle, né sentirsele dire: non gli interessano. Lui vuol fare solo una zeffirellata di sinistra, un santino di parte politica opposta a quello prodotto anni fa, ohimè, dal regista fiorentino. Ed ecco il compitino del giullare democratico: un Francesco" per bene, che è piaciuto a D'Alema e gentile signora ma può piacere anche a Flores d'Arcais come a Bertinotti.

U

n Francesco che rientra a puntino in quella «grande Chiesa che va da Che òuevara a Madre Teresa» di cui parla il teologo Jovanotti. Un Francesco per cattosessantottini invecchiati, per nostalgici in ritardo della vulgata di Don Milani (che anche lui, era un'altra cosa). Un Francesco da Casa della Cultura, che con quel grande Sovvertitore dello Spirito che fu il Povero d'Assisi non na nulla a che vedere.

00000 Padre T o m m a s o Toschi Fo non haribaltatosecoli di tradizione, ha semplicemente scritto una pièce teatrale del tutto incurante della realtà. E' un falso storico, che fa strame della personalità e del ruolo di Francesco. Francesco non era un capopolo marxista ante litteram, come vorrebbe Fo. Era, è vero, un grande rivoluzionario sociale, il più grande dopo Gesù Cristo, ma la sua lotta era contro l'egoismo dei cuori, non contro le classi sociali t^M. La Nazione. Il Resto del Carlino. Il Giorno. 8 luglio

c 0 o oc y

D a r i o Fo Andiamo! Un francescano che ignora la storia del santo fondatóre dell'Ordine a cui appartiene, denunciando un vuoto di conoscenzarintracciabilesolo in un povero infedele! Quando parliamo di rivoluzione nello spettacolo, intendiamo quella del nuovo pensiero cristiano, proposto dal Santo a cominciare dall'invito a leggere il Vangelo per quello che semplicemente è detto \ Il Corriere della Sera, 2 agosto

H5


di Giovanni Reale

E

sce per la prima volta la traduzione italiana integrale di una celebre opera di Tommaso d'Aquino, // Male, a cura di Fernando Fiorentino, pubblicato da Rusconi Libri. In precedenza erano state tradotte solo otto delle sedici questioni, ossia quelle concernenti i «Vizi capitali», a cura di Umberto Galeazzi per la Rizzoli. Le questioni sui vizi sono certamente le più fini e più godibili: ma per comprendere bene il pensiero di Tommaso su questo punto, è necessario leggere la trattazione per intero. Ricordiamo che a quest'opera fa esplicito riferimento il celebre thriller di David Fincher (con Brad Pitt e Morgan Freeman), Severi, ossia i sette peccati capitali: gola, avarizia, accidia, superbia, lussuria, invidia e ira. Un film da incubo che ha per protagonista un killer psicopatico, i l quale impersona questi sette peccati. Si tratta di un lavoro che rappresenta un modo opposto, ma significativo, di affrontare in ottica cinematografica questo complesso problema sviluppato da Tommaso in modo filosofico in ben altra dimensione. La trattazione del problema del male ha una storia assai lunga e complessa. Platone in certi suoi dialoghi (specialmente nel Fedone) indicava il «corpo» come origine dei mali per l'uomo. Leggiamo il passo più spinto in questa direzione: «Fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato quello che ardentemente desideriamo, vale a dire la verità. Infatti, il corpo ci procura innumerevoli preoccupazioni per la necessità del nutrimento; e poi le malattie, quando ci piombano addosso, ci impediscono la ricerca dell'essere. Inoltre, esso ciriempiedi amori, di passioni, di paure, di fantasmi di ogni genere e di molte vanità, di guisa che, come suol dirsi, veramente, per colpa sua, non ci è neppure possibile pensare in modo sicuro alcuna cosa. In effetti, tumulti e battaglie non sono prodotti da nuli'altro se non dal corpo e dalle sue passioni. Tutte le guerre si originano per brama di ricchezze; e lericchezzenoi dobbiamo di necessità procacciarcele a causa del corpo, in quanto siamo asserviti alla cura del corpo. [...]E la cosa peggiore di tutte è che, se riusciamo ad avere dal corpo un momento di tregua e riusciamo a rivolgerci allaricercadi qualche cosa, ecco che, improvvisamente, esso si caccia di mezzo alle nostre ricerche e, dovunque, provoca turbamento e confusione e ci stordisce, sì che, per colpa sua. noi non possiamo vedere il vero».

IL SCLE-24 CSS

..: : 'iiì • N

— PAGINA 27

R e l i g i o n i e società - /^NIMA E CORPO Tradotto per la prima volta in italiano un testo-chiave deli'Aqmnate

n Male secondo San Tommaso La vera natura dei cene, della Materia e il decisivo ruolo di Amore Naturalmente, si tratta di un testo "provocatorio"; infatti, Platone (anche in dialoghi anteriori al Fedone) attribuiva la causa del male soprattutto alla parte peggiore della nostra anima. Ma, in ogni caso, egli imputava all'elemento materiale l'origine metafisica dei mali. Anche Plotino, che ha abbozzato una nuova interpretazione del male come «privazione del Bene», preparando la concezione che Agostino porta in primo piano e che Tommaso stesso sostiene, non è riuscito a eliminare completamente la connotazione negativa della materia. Infatti, la materia per Plotino sarebbe la privazione estrema della potenza produttrice del Bene supremo; ma a tale "privazione" egli finisce con l'attribuire ancora una funzione negativa, e, in ultima analisi, la considera ancora fonte di male: «La materia è causa, per l'anima, di debolezza e di malvagità. Essa infatti è innanzitutto cattiva e il primo male: e l'anima stessa, qualora sia nella materia e l'abbia subita, genera il divenire e, se s'accomuna con essa, diventa cattiva; causa ne è la presenza della materia: l'anima infatti non parteciperebbe del divenire se non lo ricevesse in sé. per la presenza della materia». E stato Agostino (con alle spalle cospicui contributi in questo senso dati dalla Patristica greca) a imprimere una svolta decisiva a questa questione: la materia è una «creazione di Dio», e, in quanto tale, è essa stessa, come tutte le cose create da Dio, un bene: «Dunque, non si deve chiamare male questa materia che non si può percepire mediante qualche forma, ma che a malapena si può pensare con ogni sorta di privazione di forma. In effetti, essa ha capacità di ricevere forme. [..JD'altra parte, se la forma è un determinato bene, [..panche la capacità di ricevere la forma è pure un bene». Da che cosa dipende, allora, il male? Larisposta,che dà Agostino — la quale, sulla base dei testi biblici, capovolge il mo-

do di pensare tipicamente ellenico — è la seguente: il male dipende non da un principio negativo, ossia da una natura fonte di male, ma dalla «volontà» dell'uomo e a cattive scelte operate da essa. Ma se non esiste qualcosa che sia male in sé e per sé, quando la volontà pecca, che cosa sceglie? La risposta di Agostino è categorica: il peccato e il male morale non sono «il desiderio di realtà cattive, ma sono la rinuncia a una realtà migliore». Pertanto, il male sta non nelle cose e meno che mai in chi le ha create, ma nell'uso scorretto che l'uomo fa di esse: sta nella scelta di cose inferiori in luogo di ciò che è superiore. Tommaso riprende, approfondisce e sviluppa questi pensieri con grande finezza. A qualche lettore moderno la metodologia delle «questioni disputate», seguita da Tommaso in quest'opera in modo veramente capillare, può non piacere, o comunque disturbare: si passa dalla tesi alle obiezioni alla tesi, alle contro obiezioni, per giungere alla risposta generale e alle risposte alle obiezioni. È. questo, un esempio di metodo emblematico di insegnamento e di apprendimento. Fiorentino precisa: «Il confronto scorre sui binari d'una forma dialogicarigorosae avviene non più fra testi, ma fra ricercatori, aventi ognuno proprie convinzioni ben definite, difese con vigore e passione. Questo elemento della disputa è fortemente formativo, perché Yopponens, a differenza del testo, può replicare e rimettere in discussione la soluzione stessa, avanzata dal proponens. il quale è costretto a

CO

dare più solidità argomentativa alla propria tesi. Attraverso la quaestio si manifesta in concreto, nello stesso tempo e luogo, la teoria della comunità della ricerca, quella che Aristotele colloca nell'arco della Storia della Filosofia». Naturalmente, il lettore moderno può soffermarsi soprattutto sulle "risposte"; ma va in ogni caso ben rilevato che. sia nelle obiezioni che nelle contro obiezioni e nelle risposte specifiche alle obiezioni si incontrano pensieri di grande portata e spesso assai stimolanti. La concezione di fondo dell'opera di Tommaso, che riprende e sviluppa un concetto-cardine agostiniano, è la seguente: ogni affezione dell'anima deriva dall'amore; e l'amore può essere ordinato, oppure disordinato. Dunque, 1'"ordine", la "misura" sono fonte di bene, mentre il "disordine" e la "dismisura" sono fonte di male. Agostino esprimeva il fondamento di tale concezione nel modo che segue: «Non è senza misura Colui ad opera del quale è stata conferita misura a tutte le cose. [...]Ma se diciamo che Dio è la Misura suprema, forse diciamo qualcosa; però, se con ciò che chiamiamo misura suprema, noi intendiamo Bene supremo». Il male in tutte le sue forme è non altro che «amore disordinato». Scrive Tommaso: «La prima delle passioni è l'amore, dalla quale si originano tutti gli affetti dell'anima, come dice Agostino nel quattordicesimo libro della Città di Dio. Dunque, soprattutto l'amore disordinato deve essere posto come vizio capitale, specialmente perché Agostino, nello stesso libro, dice che l'amore di se' fino al disprezzo di Dio è il fondamento della città di Babilonia». Questo amore di sé, fino al disprezzo di Dio in senso supremo, è la "superbia". Essa non è, propriamente, uno dei sette peccati capitali, quanto, piuttosto, la fonte di tutti e sette, nel senso che ogni peccato capitale non è altro che una forma specifica di superbia. Ecco un bel passo in cui Tommaso esprime in modo perfetto il suo pensiero su questo punto: «Fra tutte le altre cose che l'uomo naturalmente desidera, una è l'eccellenza. Infatti, è naturale non solo per l'uomo ma anche per qualsiasi essere desiderare la perfezione nel bene bramato, la quale consiste in una certa eccellenza. Dunque, se l'appetito desidera l'eccellenza secondo la regola della ragione informata da Dio, sarà un appetito retto e


appartiene alla magnanimità, secondo quanto dice l'Apostolo Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi: "Noi, invece, non ci gloriamo oltre misura", quasi in un'altra regola, "ma secondo la regola con cui Dio ci ha misurati ". Se poi qualcuno viene meno a questa regola, incorre al vizio della pusillanimità; invece, se va oltre, ci sarà vizio delia superbia, come dice lo stesso nome. Infatti, insuperbirsi nient'altro è che andare oltre la propria misura nel desiderio della propria eccellenza. Perciò Agostino, nel quattordicesimo della Città di Dio, dice che la superbia è "il desiderio d'un'eccellenza perversa"». E così come l'amore di Dio è quello che regola tutte le altre virtù, e quindi è comune a tutte quante le virtù in una forma specifica, la stessa cosa si può dire analogicamente della superbia: «Benché sia uno specifico peccato secondo la ragione formale del proprio oggetto, tuttavia, secondo una certa diffusione del proprio dominio, è un peccato comune a tutti gli altri. Per questa ragione è detta radice e regina di tutti i peccati». Le analisi dei singoli peccati capitali, come abbiamo già sopra ricordato, offrono riflessioni e spunti veramente toccanti. Tommaso segue questo ordine. Parla innanzitutto della vanagloria, per passare quindi all'invidia, all'accidia, all'ira, all'avarizia, alla gola e infine alla lussuria. Una tesi di fondo che colpisce in Tommaso (così come in Agostino) è la seguente, in parte~desunta dal pensiero greco: nessuno vuole il male, e chi commette il male lo commette considerandolo come un proprio bene, o comunque giudicandolo in funzione di ciò che egli considera bene. Ecco un esempio particolarmente significativo: «Se accade che uno voglia a tal punto godere d'un piacere (per esempio per mezzo dell'adulterio o di qualsiasi altra cosa del genere che sia desiderabile), da non rifuggire dall'incorrere nella deformità del peccato, che s'avvede, essere congiunta con ciò che vuole, non solo si dirà che vuole quel bene che principalmente desidera, ma anche la stessa deformità, che preferisce sopportare pur di non essere privo del bene desiderato. Perciò l'adultero vuole certo principalmente il piacere e secondariamente la deformità, secondo l'esempio fatto da Agostino nel Discorso del Signore sulla montagna: uno sopporta volontariamente la dura schiavitù del suo padrone per amore della serva». Si tratta di una cospicua opera di Tommaso, curata da un suo amante, con gusto e con perizia. È forse finito il lungo periodo di "esilio" cui il grande santo filosofo è stato condannato nell'ultimo trentennio.

Prudenza: l'attualità di Pieper

M/fc/ji a e

Tommaso d'Aquino, «Il Male», Introduzione, traduzione e apparati di Fernando Fiorentino, Testo latino a fronte, Rusconi, Milano 1999, pagg. 1.428. L. 49.000.

E «Traktat ùber die Klugheit» scritto da Josef Pieper nel 1936, viene ora pubblicato da Morcelliana Massimo col titolo «La prudenza» (86 pagine, 15.000 lire) e con la prefazione di Giovanni Santambrogio. Questa rilettura della virtù nei suoi fondamenti classici e neoscolastici (Aristotele, Tommaso d'Aquino), acquista oggi attualità alla luce della rinascita contemporanea della filosofia morale. Pieper scrisse «Sulla prudenza» quando in Germania Hitler era al potere: «L'importanza di rileggere questo testo scrive Santambrogio - si racchiude in una semplice considerazione: il saggio di Pieper offre strumenti e categorie per tener testa alle situazioni di azzeramento dell'identità. Oggi la negazione non si presenta sotto le vesti della violenza ideologica, ma attraverso l'irruzione di una mal interpretata scienza e di un'innovazione tecnologica cheriducel'uomo a cavia da laboratorio».


I L SALE DELLA M E M O R I A di Lina Bolzoni

al di là. in quanto riguarda infatti alcune esperienze fondifficile dimenticare. damentali, e cioè il modo di Specie quando si trat- leggere, di pensare, di scriveta di qualcosa che ci re e di educare. L'autrice ha preso fortemente, che ha prende le mosse dalle tecnimesso in gioco sentimenti e che della meditazione monapassioni. Per questo Ovidio stica per mostrare come esse dedica una parte dei suoi Re- insegnino a plasmare la promedia amoris proprio alle pria mente, a creare una maptecniche per controllare la pa di "luoghi"; qui si collocamemoria, insegna cioè a guar- no i ricordi delle cose lette e darsi dai luoghi, ma anche sentite, di qui si derivano il dal dolce suono della cetra e materiale e le associazioni nedella lira, dalle chiacchiere cessarie per nuovi pensieri, degli amici, dagli spettacoli nuove parole, nuove opere. che possono risuscitare i fan- La "forza del pensiero" cui il tasmi dell'amore. titolo allude sta appunto in Ma spesso cercare di di- questo: nella capacità di comenticare non ha senso, per- struire nella propria mente ché rischiamo di distruggere, templi, tabernacoli, palazzi e insieme con le immagini che giardini; nel fare della proci fanno ormai soffrire, una pria memoria un archivio caparte di noi. della nostra iden- pace di riprodursi, e di genetità. Sarebbe come sforzarsi rare. È una memoria di cui la — diceva Bernardo di Chia- Carruthers sottolinea la differavalle — di radere via da renza rispetto alla memoria una pergamena delle parole e classica: è una memoria che finire col distruggere la per- si nutre della Bibbia, o megamena stessa, che è ormai glio di alcuni passi della Bibimbevuta dell'inchiostro con bia che si imprimono nella cui quelle parole sono state mente e nel corpo così da coscritte. Quel che Bernardo struire una griglia di loci cui tutto si riconduce, e da cui consiglia è invece di ridisportutto prende le mosse; è una re i ricordi nel teatro della memoria che ha come oggetnostra mente, così da riuscire to la Gerusalemme celeste, e a guardarli da un altro punto il mondo etemo dell'Aldilà: è di vista (che riesca a modifi- una memoria che mobilita le care la nostra intentio. la no- passioni e lega fortemente la stra disposizione emotiva). lettura alla scrittura, la conserCosì ad esempio, dice Bernar- vazione all'invenzione. do, la fiducia nel perdono di Dio permetterà di fare i conti Questa memoria richiede in modo meno angoscioso un costante imcon la memoria dei peccati. pegno di conL'esperienza materiale del- centrazione e di la scrittura su pergamena, co- elevazione mosì lontana dalla nostra, viene rale; suo nemiqui usata per descrivere un co non è tanto gioco fra memoria e oblio l'oblio, ma piutche invece ancora ci riguarda tosto la curiosida vicino. Quello di Bernar- tas, il vagare dido è solo uno dei moltissimi sordinato della mente, la forniesempi citati in un libro affacano con la realscinante pubblicato di recen- tà sensibile. D te da Cambridge University monaco — e il fedele — coPress: The Craft of Thought. struiscono percorsi, scanditi Meditano, rhetoric, and the da tappe, o innalzano scale, i making of images 400-1200 cui gradini arrivano fino al (La forza del pensiero. Medi- cielo, come nella visione di tazione, retorica, e la costru- Giacobbe (Gen., 28); operazione delle immagini dal 400 no secondo un metodo chet al 1200), scritto da Mary Car- unisce la geometria dello ruthers, una medievista che schema (il diagramma, la scainsegna alla New York Uni- la, la ruota) con il proliferare versity. Al centro del libro delle immagini, spesso sansta la riscoperta di una lun- guinolente e corpulente. Così ghissima tradizione, che è sta- ad esempio nel V secolo la ta viva soprattutto in ambien- Psxcomachia di Prudenzio te monastico, ma che va ben v

E

usa Virgilio per cantare la nuova materia epica cristiana, e cioè la battaglia tra vizi e virtù; in questo modo parte da un patrimonio di memoria saldamente collocato nella mente del pubblico e lo riveste di nuovi significati e di una diversa funzione: vizi e virtù sono associati a episodi e personaggi della Bibbia (secondo un procedimento che Dante ci ha reso familiare); ci viene messo davanti agli occhi, ossessivamente, il modo in cui ogni vizio viene ucciso, senzarisparmiarcidettagli sanguinosi; infine viene descritto un tempio dedicato alla Vittoria: in quell'edificio troveranno "luogo" tutte le immagini, là la molteplicità si ricomporrà nell'unità.

può compiere fisicamente un percorso del tutto simile a quello che i testi descrivono, cercando di fissarlo nella memoria. Sono, dice la Carruthers, macchine per la meditazione. La regola del gioco è creare uno scambio continuo fra occhio del corpo e occhio della mente. E così anche i diversi luoghi del monastero possono interagire, scambiarsi la funzione. Come capita nel 200 ad Amiens, nella Biblionomia di Richard de Fournival. La biblioteca è descritta sotto forma di un giardino: i libri, raggruppati nelle diverse arti liberali, sono "collocati" nelle aiole. Questo dimostra, scrive la Carruthers. che il giardino veniva usato per ricordare l'ordinamento della biblioteca. Un modo gentile e gradevole, potremmo dire, per costruirsi un efficace data base mentale, prendendo alla lettera metafore antiche, quali ad esempio quella della raccolta di testi che sceglie fior da fiore, che costruisce una antologia

Lo schema del percorso, del viaggio, gioca un ruolo essenziale e interviene a diversi livelli. Un percorso è ad esempio la lettura: si cammina per i luoghi del testo, e ci si lascia prendere dalle immagini che via via si trovano, si dialoga con i personaggi che si incontrano; si costru- — ossia appunto un giardino isce, sul fondamento del si- — ideale. gnificato letterale, l'edificio Davvero imponenti sono i prezioso dei sensi allegorici. testi e le esperienze, che il E anche i testi sono costruiti libro prende in esame. Si può in modo tale da prefigurare, restare perplessi di fronte a da guidare il percorso della singole analisi, o anche di lettura, facendo leva appunto fronte ad affermazioni di casulla memoria e sull'immagi- rattere generale: così ad nazione. Proprio a questo ser- esempio, dice la Carruthers. vono, secondo la Carruthers. le tecniche che lei mette in alcune caratteristiche formali luce hanno ben poco a che che le retoriche medievali fare con la tradizione classiraccomandano caldamente: ca dell'arte della memoria: le così ad esempio la brevitas sembrano piuttosto vicine ai spinge il lettore a far germo- procedimenti della mistica gliare il testo nella propria ebraica, o ad alcune pratiche mente, come il granello di orientali, come la meditaziosenape della parabola evange- ne del mandala e le processioni hindu. Si può osservare lica; l'oscurità, l'allegoria coperò che la tradizione ebraistringono il lettore a fermarsi ca ha una forte diffidenza nei a riflettere e a confronti delle immagini, ricordare, im- che giocano invece un ruolo pongono una essenziale nella vicenda che lentezza che il libro ricostruisce; chiunpuò essere crea- que abbia esperienza di un tiva; il ductus, Paese cattolico, d'altra parte, il modo cioè in ritrova tratti molto familiari cui il tema è nelle pagine dedicate alle protrattato, diven- cessioni come rituali di meta appunto un moria, capaci di legare luopercorso che ghi e immagini, e di suscitaguida a raggiun- re un forte coinvolgimento emotivo. gere la meta. Le chiese, i monasteri rendono visibile ciò che i testi Resta i l fatto, tuttavia, che suggeriscono all'occhio della il fascino centrale del libro mente: attraverso di essi si sta nella sua capacità di farci

ZZ.

(secjCz '


vedere in modo nuovo molte che della memocose, e di basilare importan- ria non serve tutza: modi di procedere, struttu- tavia soltanto a re di pensiero, meccanismi gettare nuova luretorici che'' spesso vanno ce su componenben al di là del Medioevo, e ti basilari della hanno una lunga durata. nostra tradizioQuando noi leggiamo, o ne culturale. E ascoltiamo le parole dell'apo- davvero di granstolo Paolo — dice ad esem- de suggestione pio Agostino nel De militate vedere come (Vm.4,7) — ognuno di noi possa aiutare a cerca di creare la sua immagi- capire esperienne, e quella delle persone ze di altre cultuche lui nomina. Agostino — re, pratiche e prodotti di monuno dei protagonisti del libro di che sono molto lontani dal della Carruthers — ci descri- nostro. È ad esempio il caso ve qui un modo di leggere dei Luba, una popolazione che cerca di visualizzare l'au- che vive nel Sud-Est dello tore, così da creare con lui Zaire. Nel 1996 i l Museo un rapporto più personale, co- dell'arte africana di New me avviene in un incontro, in York ha dedicato loro una un dialogo; proprio per que- mostra, accompagnandola sto la costruzione del ritratto con un catalogo {Memory. può funzionare da immagine Luba Art and the Making of della memoria, nel senso che History, a cura di Mary Nooci aiuta a ricordare — quasi a ter Roberts e di Alien F. Roricreare — il testo che si è berts) a cui hanno collaboraletto o sentito. to antropologi ed entomoloÈ un modo di leggere i gi, archeologi e testi che abbiamo dimenticastorici dell'arte. to, anche se è durato a lungo, Quel che viene e ha trovato espressioni affaalla luce è una scinanti (cfr. Purché leggere dimensione, maresti un piacere, «Il Sole-24 teriale e simboliOre», 15 marzo 1998). In ca, che lo sguarquesti ultimi anni ci sono rido occidentale cerche che ci possono aiutare aveva finora traa riscoprirlo. Ad esempio alscurato. Si è incune mostre e convegni sono fatti tradizionalandati alla ricerca di come mente guardato l'autore viene raffigurato, e ai manufatti Ludi come questo interagisca ba da un punto col modo di leggere i suoi di vista estetico: si sono duntesti. Possiamo così vedere le que scelti e collezionati solo diverse immagini di Dante quegli oggetti che in qualche presenti in alcuni manoscritti modo potevano essere interillustrati della Divina Com- pretati come opere d'arte, media che sono conservati al- con una netta preferenza per la Biblioteca Riccardiana di le statue antropomorfiche. Di Firenze (/ Danti riccardiani. molti manufatti, d'altra parParole e figure, a cura di te, non si capiva proprio Giovanna Lazzi e Giancarlo l'uso, la funzione, il significaSavino. Firenze. Polistampa. to. Fra questi, delle tavole 1996). Dai tesori della stessa rettangolari di legno, dette Biblioteca sono poi stati trat- lukasa, da cui sporgono grati 40 manoscritti che conten- ni di perle e a volte anche gono ritratti di autore: si co- immagini in altorilievo. mincia dai grandi scrittori Tra la fine degli anni Setdell'antichità e si arriva fino tanta e i primi anni Ottanta, agli autori del Quattro e del Cinquecento {Immaginare si è cominciato a considerarl'autore. Il ritratto del lette- le secondo un'ottica nuova, rato nella cultura umanisti- che teneva conto fra l'altro ca. Ritratti riccardiani, a cu- dellariscopertadella tradiziora di Giovanna Lazzi, Firen- ne dell'arte della memoria ze, Polistampa, 1998). Que- fatta da Frances Yates. in sta galleria di ritratti interagi- L'arte della memoria. Il l i sce così con le immagini create dalle parole, con i vari tipi. cioè, di ritratti letterari che, in uno dei saggi premessi al catalogo, La letteratura umanistica e le forme del ritratto. Linee per una ricerca, Paolo Viti ricostruisce con efficacia, inseguendoli fra poesie e trattati, lettere, commenti, biografie, e libri di "ricordanze". La riscoperta delle tecni-

bro della Yates riportava alla luce un modo di ricordare che si basava in primo luogo sullo spazio, sulla successione dei luoghi nello spazio. Mostrava inoltre come i sistemi di memoria fossero capaci di unire insieme le parole e le immagini, la conservazione e l'invenzione: una volta costruito — nella mente, o fisicamente — il teatro della memoria, vi si possono infatti recitare molti spettacoli, nel senso che si possono usare i luoghi e le immagini per creare di volta in volta nuove associazioni. Questi meccanismi di base si rivelavano di incredibile utilità anche nel caso dei manufatti Luba, dei lukasa in primo luogo. Si è visto che le perle e le varie sporgenze delineano un diagramma che rappresenta cose diverse, un'unica struttura che si ripete a livelli diversi della realtà: è ad esempio i l territorio Luba. con i luoghi dove risiedono i diversi spiriti protettori, ma è anche la corte del re, con l'ordinata disposizione dei vari dignitari; è l'anatomia del corpo umano e nello stesso tempo è la rappresentazione della tartaruga totemica della famiglia regale. Proprio perché è costruito così, il lukasa funziona da sistema della memoria: chi lo usa. magari ripercorrendo con il dito i suoi diversi "luoghi", può ricordare cose molto diverse, come i miti e l'epica delle origini, le migrazioni dei clan, gli elogi degli eroi e dei re. gli insegnamenti morali e così via. In questo modo il sistema di memoria genera le parole, la narrazione, costruisce di volta in volta quella "memoria" di cui la comunità ha bisogno. Il lukasa è usato nei riti, nelle danze, così che l'efficacia delle parole sia rafforzata dalla musica e dal linguaggio del corpo. E chi io usa non è a sua volta una persona qualsiasi: è un iniziato, che ha viaggiato nel mondo degli spiriti, ed è entrato a far parte del gruppo dei Mbudye, gli "uomini-memoria", gli storiografi di corte, che sono, come gli indovini, i depositari della saggezza.

In questi ultimi mesi le vicende della Serbia e del Kosovo ci hanno riproposto in modo tragico la questione della memoria, storica e individuale. Il modo in cui un lontano passato è stato reinventato si è intrecciato con la sistematica distruzione anche delle prove di identità delle singole persone, dai documenti di identità alle targhe delle macchine. Anche per questo può essere forse interessante riflettere su libri come quelli che abbiamo qui ricordato. Mi sembra infatti significativo che, tra passato e presente, tra cultura occidentale ed esperienze africane, la questione della memoria si ripresenti oggi in modo così forte, e così legata ai problemi delle molteplici forme dell'interpretazione. C'è come un bisogno di rompere i vincoli, le barriere tradizionali, per interrogarsi in modo più libero sul modo in cui ognuno di noi, e ogni singolo gruppo, ricostruisce via via il proprio passato, si ri-racconta la propria storia.

Pubblicato dalla Cambridge University Press un affascinante testo sui luoghi del pensiero, sui modi della creazione di quei «ritratti» che funzionano come immagini del passato e sul vero nemico deiricordi:non l'oblio, bensì il vagare disordinato della mente, quello che i latini chiamavano «curiositas» ¿3


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.