Storica National Geographic - gennaio 2019

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TRA I TESORI DEL FARAONE BAMBINO

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JULES VERNE

LO SCRITTORE VISIONARIO

- esce il 21/12/2018 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 11,50 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

NORMANNI CONTRO SASSONI

aut. mbpa/lo-no/063/a.p./2018 art.

SALOMONE E LA REGINA DI SABA

772035 878008

GIOIELLO DEL RINASCIMENTO

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periodicità mensile

NELLA TOMBA DI TUTANKHAMON

N. 119 • GENNAIO 2019 • 4,95 E

storicang.it

ROMA VA IN VACANZA

IL DUOMO DI FIRENZE


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EDITORIALE

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neanche l’ombra dell’oro, né di statue, né di carri. Della semplice lapide nera sulla tomba di Howard Carter, nel cimitero di Putney Vale, fuori Londra, colpisce solo l’iscrizione: “Possa il tuo spirito vivere, possa tu vivere milioni di anni, tu che ami Tebe, offrendo il tuo volto al vento del nord e facendo sì che i tuoi occhi ammirino la felicità”. La frase proviene da una delle coppe di alabastro che l’egittologo scoprì nella tomba di Tutankhamon. Quel ritrovamento di quasi cent’anni fa, ottenuto grazie a un’incredibile perseveranza, rese famosi sia Carter sia il faraone bambino, fino a quel momento di fatto sconosciuto e oggi sicuramente il più famoso di tutti i sovrani egizi. La scoperta della sua tomba, che era praticamente intatta (fatto inedito) e custodiva un immenso tesoro (oggi al Museo egizio del Cairo), generò un vero e proprio boom mediatico. Perciò risulta quasi incomprensibile che Carter sia morto di cancro quasi 17 anni dopo – all’età di 64 anni – senza aver ricevuto nessun riconoscimento ufficiale nel suo Paese, la Gran Bretagna. Ancora di più considerando che la sua era un’epoca nella quale gli archeologi importanti normalmente venivano nominati cavalieri della corona. Nel corso del tempo sono state sollevate diverse ipotesi sul mancato riconoscimento all’egittologo. Nessuna sembra però aver risolto quello che rimane uno dei molti enigmi gravitanti intorno allo studioso e alla scoperta grazie alla quale è passato alla storia. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale


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8 PERSONAGGI STRAORDINARI Mesmer, il guaritore

Alla fine del XVIII secolo, a Vienna e a Parigi fecero furore le sedute di terapia magnetica del medico tedesco Mesmer.

14 ANIMALI NELLA STORIA

Il purosangue inglese La passione britannica per le corse di cavalli portò a selezionare una razza leggendaria di purosangue.

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16 VITA QUOTIDIANA

Donne al lavoro nel Medioevo Al contrario di quanto si possa credere, nel Medioevo erano molte le donne che lavoravano, e lo facevano in tutti i settori.

118 GRANDI ENIGMI

Peter Stumpp: tutti contro l’uomo lupo Nel 1589 un uomo venne accusato di trasformarsi in lupo e di divorare bambini e adulti. Probabilmente si trattò di un complotto.

122 GRANDI SCOPERTE

I segreti della capitale perduta di Ani In Turchia, a due passi dal confine armeno, mille anni fa sorgeva Ani, una delle più ricche metropoli d’Oriente.

126 LIBRI E MOSTRE 128 INDICI 2018 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


54 ROMA VA IN VACANZA GIÀ DUEMILA ANNI FA,

i romani ricchi si dedicavano a un’attività comunissima al giorno d’oggi: il turismo. Nella loro fuga dalla città i patrizi non solo visitavano i grandi monumenti e i luoghi più emblematici di terre quali l’Egitto o la Grecia, ma cercavano anche rifugio nelle magioni di loro proprietà nel sud Italia. Specialmente in Campania, centro turistico privilegiato nel quale trascorrevano i mesi estivi con parenti e amici. DI JORGE GARCÍA SÁNCHEZ

IL TEMPIO DI POSEIDONE A CAPO SUNIO. LA GRECIA ERA UNA DELLE METE PREFERITE DEI ROMANI, CHE SEGUIVANO LE ORME DI OMERO.

20 Nella tomba di Tutankhamon Il 4 novembre del 1922 Howard Carter scoprì la tomba del faraone bambino, intatta e piena di tesori. L’archeologo avrebbe dedicato il resto della sua vita a classificare e restaurare le migliaia di oggetti rinvenuti e oggi esposti al Museo egizio del Cairo. DI JOYCE TYLDESLEY

68 Hastings, normanni contro sassoni Nel 1066 Guglielmo di Normandia invase l’Inghilterra e rovesciò la dinastia sassone. Qualche anno dopo fu realizzato un lungo arazzo che racconta la storia della vittoria normanna nella battaglia di Hastings. DI FERNANDO LILLO REDONET

82 Il duomo di Firenze Simbolo del potere e della prosperità della città toscana, la cattedrale di Santa Maria del Fiore stupì il mondo con la gigantesca cupola progettata da Filippo Brunelleschi. DI MANUEL SAGA

102 Jules Verne, lo scrittore visionario Nei suoi popolarissimi romanzi di avventure, riuniti nel ciclo Viaggi straordinari, il francese Jules Verne raccontò i due grandi sogni del XIX secolo: l’esplorazione del mondo e il progresso tecnologico. DI PEDRO GARCÍA MARTÍN

40 Salomone e la regina di Saba Nella tradizione ebraica, e successivamente in quella araba, l’incontro tra la regina di Saba e Salomone, figlio di David e suo successore sul trono d’Israele, divenne una delle leggende più feconde d’Oriente. In Etiopia la visita della regina di una terra ricca ed esotica fu uno dei miti attorno al quale si costruì l’identità del Paese. DI FRANCISCO DEL RÍO

SCULTURA SABEA IN ALABASTRO. MUSEÉ DU LOUVRE, PARIGI.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

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ROMA VA IN VACANZA IL DUOMO DI FIRENZE

Pubblicazione periodica mensile - Anno X - n. 119

SALOMONE E LA REGINA DI SABA JULES VERNE LO SCRITTORE VISIONARIO

NORMANNI CONTRO SASSONI

NELLA TOMBA DI TUTANKHAMON TRA I TESORI DEL FARAONE BAMBINO

PARTICOLARE DEL VOLTO DEL FARAONE BAMBINO (SECONDA BARA IN LEGNO DORATO). MUSEO EGIZIO DEL CAIRO. FOTO: ARALDO DE LUCA

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GIOIELLO DEL RINASCIMENTO

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Errata corrige • Storica 118 (dicembre 2018): Ci scusiamo per il refuso “glaciazone” nella copertina e nel titolo a pagina 22.

6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President of Strategic Development, ARIEL DEIACO-LOHR, KELLY HOOVER, DIANA JAKSIC, JENNIFER JONES, JENNIFER LIU, LEIGH MITNICK, ROSANNA STELLA


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PERSONAGGI STRAORDINARI

Mesmer: il mago del magnetismo animale Alla fine del XVIII secolo, a Vienna e a Parigi fecero furore le sedute di terapia magnetica del medico tedesco Mesmer. Per alcuni era un visionario, per altri un semplice impostore

Medico, mago e ribelle 1734 Franz Mesmer, figlio di un umile guardiacaccia, nasce a Iznang, una piccola località sulle rive del lago di Costanza.

1768 Dopo il dottorato in medicina, Mesmer sposa Anna Maria von Posch, una ricca vedova, e stabilisce il suo studio a Vienna.

1778 Deve lasciare Vienna in seguito alle polemiche per il trattamento inferto a una giovane pianista cieca, e ripara a Parigi.

1784 Due commissioni arrivano alla conclusione che il suo metodo è privo di basi scientifiche.

1815 Mesmer muore nell’anonimato a Meersburg, non lontano da dove era nato.

C

iarlatano e disonesto per i suoi detrattori, Franz Anton Mesmer godette tuttavia di grande fama e lasciò ai posteri l’onere di un giudizio sulla sua figura complessa ed enigmatica. Sono ormai celebri i suoi contributi quale precursore della psicoanalisi e della psicoterapia. Nel saggio Franz Anton Mesmer (1931), Stefan Zweig lo comparò addirittura a Cristoforo Colombo, perché aveva inconsapevolmente scoperto un nuovo mondo: l’inconscio. Mesmer nacque il 23 maggio del 1734 a Iznang, sulle sponde del lago di Costanza, in Germania. Figlio di un guardiacaccia dell’arcivescovado, frequentò corsi di teologia e si addottorò in filosofia, diritto e medicina. Nel 1768 sposò una ricca vedova. Musico virtuoso ed eclettico erudito, ospitava salotti intellettuali e serate musicali a cui parteciparono Mozart – che lo omaggerà poi in Così fan tutte – Haydn, Gluck e altri compositori dell’epoca. A Vienna Mesmer si dedicò a studiare l’influenza del magnetismo sulle persone. Verso la fine del 1774 si affidò alle sue cure Franziska

Österlin, che Mesmer sottopose a un trattamento di correnti magnetiche. Il medico attribuì il miglioramento della ragazza non solo ai magneti, ma pure all’energia canalizzata da lui stesso in qualità di magnetizzatore. L’osservazione lo portò quindi a una scoperta: l’esistenza di un “fluido universale” che agiva sul corpo permettendone la guarigione. Il medico chiamò tale energia “magnetismo animale” per differenziarla dal magnetismo delle calamite.

I primi successi Nel 1775 l’Accademia delle scienze di Monaco lo invitò a esprimersi riguardo a una serie di esorcismi praticati da padre Johann Joseph Gassner. Davanti al principe elettore della Baviera, Mesmer sostenne che le cure erano davvero miracolose aggiungendo, tuttavia, che esse non dipendevano da alcun esorcismo, bensì dal fatto che, senza saperlo, il sacerdote applicava il magnetismo animale. Con la sua affermazione, Mesmer rivendicò il carattere razionalista, laicizzante e illuminato della teoria da lui propugnata. Venne perciò eletto membro dell’Accademia e ottenne l’agognato, seppur effimero, riconoscimento della comunità scientifica.

Il “fluido universale” di Mesmer avrebbe agito sul corpo permettendone la guarigione LA PRIMA EDIZIONE DI MEMORIA SULLA SCOPERTA DEL MAGNETISMO ANIMALE. 1779. GRANGER / ALBUM

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CARISMATICO, IMPONENTE E MAESTOSO attirava l’attenzione per il suo aspetto imponente e il portamento maestoso. Ben proporzionato, alto e robusto, avrebbe raggiunto gli ottant’anni in magnifica forma. I pochi ritratti che abbiamo di lui rendono merito alla sua fisionomia armoniosa: un volto dalla fronte spaziosa, le sopracciglia ben arcuate, gli occhi chiari, il sorriso dolce e il mento carnoso. Durante i trattamenti indossava una tunica di seta lilla che ricordava quella dell’antico profeta persiano Zoroastro. Lungi dal voler sembrare un mago diabolico, emanava una serenità rassicurante per i malati. FRANZ MESMER

FRANZ ANTON MESMER, IL MEDICO TEDESCO, IN UN’INCISIONE COLORIZZATA DELLA FINE DEL XVIII SECOLO. ALAMY / ACI

Nel 1777, di nuovo a Vienna, Mesmer accolse nel suo studio una famosa pianista, Maria Theresia von Paradis, di 18 anni, cieca da quando ne aveva quattro. Con grande sorpresa, dopo aver iniziato il trattamento la giovane recuperò parzialmente la vista. Ciononostante, Mesmer venne accusato di frode da rivali potenti, come il medico di corte Jan Ingenhousz. Non solo: il padre di Maria Theresia, che temeva di perdere le attenzioni imperiali e il successo di pubblico in seguito alle pratiche cui si era sottoposta la figlia, irruppe in casa del medico con la spada sguainata.

Su richiesta dell’imperatrice Maria Teresa e dell’arcivescovo di Vienna, il protomedico di corte (a cui spettava la tutela della professione) ordinò quindi a Mesmer di cessare il trattamento e di mettere fine a quello che, in molti, consideravano un inganno.

Verso Parigi Dopo il grande fallimento Mesmer abbandonò Vienna e nel 1778 si trasferì a Parigi, dove sperava di ottenere la fama negatagli in patria. Messe in allerta dalle analoghe istituzioni austriache, l’Accademia delle scienze e

la Società reale di medicina chiusero la porta in faccia alle sue aspirazioni. Per vendicarsi Mesmer si procurò ben presto il sostegno dei pazienti e dell’opinione pubblica. La mesmeromania si diffuse nella società parigina, e nel suo lussuoso studio terapeutico nell’Hôtel Bouillon affluì una clientela variegata e sempre più numerosa. Qui Mesmer sperimentò il celebre baquet, una macchina magnetica di sua invenzione. Questa sorta di condensatore magnetico era una tinozza di forma circolare, o ellittica, al cui interno venivano poste l’acqua STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

FRANZ MESMER stabilì il suo

SEBASTIANO SCATTOLIN / FOTOTE CA 9X12

primo studio a Vienna, nel 1768. Nell’immagine, Michaelerplatz, con la chiesa di San Michele sullo sfondo.

magnetizzata e alcune sbarre metalliche che trasmettevano il fluido universale ai malati. Legati tra di loro con una corda, i pazienti formavano una catena umana attorno alla tinozza o a un albero magnetizzato affinché venisse potenziata la forza guaritrice del magnetismo animale e le sedute assumessero la dimensione di terapia

collettiva. I malati, per la maggior parte donne, andavano incontro a svenimenti, convulsioni o sogni ipnotici, e venivano poi condotti nella “sala delle crisi”. Non mancarono, però, le satire, che attribuivano la catarsi alla presunta pratica erotica e ai palpeggiamenti avvenuti durante le sedute.

IL DISCREDITO LA COMMISSIONE guidata da Franklin e La-

voisier concluse che era impossibile provare l’esistenza di un fluido magnetico incolore, inodore e insapore, e che il magnetismo animale non poggiava su basi scientifiche. Mesmer perse ogni protezione e divenne vittima di crudeli satire. CARICATURA CHE IRONIZZA SULLE TERAPIE DI MESMER. GRANGER / ALBUM

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Dopo le proficue cure di Parigi, Mesmer si sentì sufficientemente affermato per dare una svolta radicale alla sua posizione medica e politica: da sostenitore dei governi assolutisti ne divenne antagonista. Nel 1781 la regina Maria Antonietta gli offrì una rendita annuale purché insegnasse il magnetismo animale secondo le linee guida fornite dalla corona. Mesmer rifiutò il contratto e volle che il governo riconoscesse la validità della sua dottrina. In una lettera rivolta alla regina dichiarò che l’opinione pubblica era al di sopra dei re e annunciò la sua intenzione di abbandonare Parigi. Tuttavia vi fece presto ritorno per fondare la Società dell’armonia universale, i cui membri dovevano versare cento luigi d’oro per essere iniziati al mesmerismo. La società, legata alla massoneria, si espanse in Francia e in alcuni suoi possedimenti coloniali,


MAGNETISMO E IPNOSI

MESMER, di spalle, durante

una seduta di terapia a Parigi attorno a un grande baquet magnetico a forma di ellisse.

SEBBENE I SUOI METODI fossero

ALAMY / ACI

JOSSE / SCALA, FIRENZE

discutibili, Franz Mesmer riuscì a stabilire una forte relazione con i suoi pazienti e ad alcuni di loro alleviò i disturbi nervosi. La terapia attorno al baquet (sotto, l’unico esemplare conservatosi, a Lione) venne denigrata. Tuttavia in seguito diventò la base per lo sviluppo dell’ipnosi.

come Santo Domingo. Attirò nobili, borghesi, preti, medici, avvocati, funzionari, semplici cittadini e schiavi, e liberò definitivamente Mesmer dal controllo della monarchia e delle istituzioni scientifiche.

sfidato apertamente le istituzioni dell’Ancien Régime, il mesmerismo assunse importanza politica e si affermò sulla scena sociale precedente alla Rivoluzione francese. Quando tornò a Parigi nel 1788, lo stesso Mesmer ostentò simpatie per Amico della Rivoluzione i focolai di agitazione rivoluzionaria Nell’agosto del 1784 due commissioni e si schierò dalla parte dei giacobini reali composte da membri della facoltà di Vienna. Nel 1802 redasse persino di medicina e dell’Accademia delle un progetto di costituzione per la scienze, tra cui Benjamin Franklin, repubblica elvetica. In alcune memol’astronomo Bailly, il chimico Lavoi- rie sulle scoperte scientifiche (1799) sier e il medico Guillotin – inventore e in altri scritti, Mesmer illustrò il dello strumento con cui avrebbero suo pensiero sull’uomo, la morale e decapitato il re, Bailly e Lavoisier – la politica. Secondo lui, gli esseri visentenziarono l’inefficacia terapeutica venti sono animati dal magnetismo del mesmerismo. animale, principio di vita che converge La pubblicazione del documento in un invisibile fluido universale e li ufficiale, dato alle stampe in 20mila vincola agli astri. esemplari, sfociò in polemiche apOltre ai cinque sensi, esiste un passionate e in una guerra di pam- altro senso interno (o istinto), capaphlet tra sostenitori e detrattori del ce di captare l’armonia universale e magnetismo animale. Poiché aveva restituire la salute ai malati. Quando

il fluido si blocca o non scorre bene, causa una malattia. L’armonia fisica deve inoltre corrispondere a un’armonia sociale. La libertà è necessaria per la felicità come per la salute, e la repubblica deve reggersi sulla sovranità dei cittadini, nonché su un patto volto al benessere di tutti. Contrario alla pena di morte, Mesmer attribuiva un ruolo essenziale all’educazione e si batté per il riconoscimento dei diritti infantili. I suoi apporti teorici e i suoi insegnamenti suscitano ancora oggi l’interesse degli studiosi di medicina, politica, filosofia e letteratura. —Antonio Fernández Luzón Per saperne di più

SAGGI

Franz Anton Mesmer Stefan Zweig. Castelvecchi, Roma, 2015. L’illusione di Mesmer Giuseppe Lago. Castelvecchi, Roma, 2014.

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La Persia dei poeti  � � / Statua di Ferdowsi nella moschea Blu a Tabriz

Ci accompagnerà nel viaggio letterario Anna Vanzan, iranista che ha al suo attivo numerose traduzioni in lingua italiana di opere letterarie persiane. Le conversazioni con la studiosa avverranno in luoghi suggestivi, perennemente legati alla storia letteraria e culturale dell’Iran, che meglio ci faranno capire l’essenza e la peculiarità del popolo persiano. Arricchite da letture di alcuni testi letterari, queste conversazioni ci permetteranno di cogliere la continuità storica e culturale dell’Iran, aprendoci al contempo squarci sulla situazione contemporanea tanto culturale quanto sociale.

Fra le tanti arti coltivate sull’altopiano iranico, la letteratura è senza dubbio quella principale. Nel corso dei secoli, gli iraniani hanno forgiato una letteratura che si è imposta anche nelle aree circostanti diventando il modello da seguire; la poesia, soprattutto, è diventata l’emblema stesso della cultura e della nazione iraniane. Ora in Iran si produce moltissima letteratura di finzione, le cui autrici sono soprattutto donne, in un dinamico rapporto di continuitĂ e rottura col passato che rende la civiltĂ persiana sempre innovativa e vibrante, e che rappresenta la chiave di lettura per capire la complessa identitĂ dell’Iran.


3 Marzo Milano/Tehran

Ritrovo dei partecipanti a Malpensa dove un nostro rappresentante assisterĂ il gruppo nelle operazioni di imbarco. Partenza con volo di linea diretto Mahan Air per Tehran. Incontro con la guida del tour e trasferimento in hotel.

4 Marzo Tehran/Shiraz

TEHRAN

Kermanshah

KASHAN

Visita di Tehran con uno sguardo anche alla sua contemporaneitĂ : il piccolo ma suggestivo Museo Reza Abbasi, l’immancabile Museo dei Gioielli, e infine il ponte Tabiat, con i suoi 3 livelli attrezzati con panchine e caffè, dove si svolgerĂ il primo intervento della professoressa Vanzan. Volo per Shiraz.

5 Marzo Shiraz

Dopo la visita delle rovine di Persepolis, edificata da Dario il Grande nel 520 a.c, si dedica il pomeriggio a Shiraz, la culla della cultura persiana. Pausa letteraria davanti alle tombe dei poeti Hafez e Saadi e proseguimento delle visite con la Moschea Nasir Al Molk, l’ Eram Garden, il castello Karim Khan e il Bazar Vakil.

6 Marzo Shiraz-Pasargade-Isfahan km 520

Partenza per il sito archeologico di Pasargade, la prima capitale dell'impero achemenide sotto Ciro il Grande, arrivo a Isfahan nel tardo pomeriggio. Isfahan, una gemma incastonata nel mezzo della Persia, è una delle città piÚ belle del mondo, citata nelle opere dei piÚ famosi viaggiatori. La professoressa Vanzan spiegherà come questa città abbia ispirato poeti e letterati non solo iraniani ma anche indiani, turchi e centrasiatici.

7 Marzo Isfahan

Intera giornata dedicata alle visite: La Piazza dell'Imam e le sue Moschee, il palazzo Reale Ali Qapu, l'antico e suggestivo Bazaar, gli storici ponti Pol-e Shahrestan, Pol-e KhÄ ju e Si-o-se Pol.

8 Marzo Isfahan

Visita del Palazzo Chehel Sotun "Palazzo delle 40 colonne". Sosta ai Minareti oscillanti e alla Moschea del VenerdĂŹ. Infine il quartiere armeno e la cattedrale di Vank.

9 Marzo Isfahan/Kashan/Tehran Km 420

Sosta a Kashan per la visita del Fin's Garden e della casa Tabatatatei. Arrivo in serata a Tehran.

10 MARZO Tehran /Italia

Trasferimento all’aeroporto e volo per l’Italia.

Centro Storico di Antalya

ESFAHAN

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IRAQ

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Persepolis

COSA INCLUDE?

•Volo da Milano e tasse aeroportuali •Volo domestico Teheran Shiraz •Lettera di autorizzazione per il ritiro del Visto in aeroporto •Esperta guida locale parlante italiano •Pernottamenti in hotel 4 * •Pensione completa •Ingressi per le visite •Assicurazione medico bagaglio •Partecipazione ed interventi letterari della prof.ssa Anna Vanzan

COSA NON INCLUDE?

•Supplemento singola euro 250 •Assicurazione facoltativa annullamento •Voli da altri aeroporti, supplementi su richiesta •Pagamento del Visto in aeroporto •Mance

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La passione britannica per le corse di cavalli portò alla selezione di una razza leggendaria di purosangue. Nel XVIII secolo Eclipse divenne celebre per la sua imbattibilità

F

in dall’antichità gli esseri umani hanno cercato di selezionare determinate caratteristiche nei cavalli tramite incroci. Il tarpan è un equide euroasiatico ormai estinto, a partire dal quale fu creata la prima e più importante razza equina, quella araba. Questa si caratterizza per la frugalità, la capacità di resistenza, la velocità e l’eleganza. Nel nord Africa una volta dominava il cavallo berbero, un discendente degli equidi locali sopravvissuti alle ultime glaciazioni che avrebbe contribuito alla formazione di molte delle razze attuali. Tra i suoi primi eredi va annoverato il cavallo spagnolo, sviluppatosi proprio

CORSA DI CAVALLI AD ASCOT NEL XVIII SECOLO. OLIO DI J. N. SARTORIUS.

BRIDGEMAN / ACI

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

dall’incrocio tra gli equini nordafricani e le giumente della penisola iberica. La passione per questi animali si diffuse in breve tempo anche in Inghilterra, dove nel XVI secolo i sovrani ricercavano corsieri dotati di grande velocità per farli competere in gara. A questo scopo le giumente locali furono incrociate con altre razze. Per gli stalloni ci si affidò ai consigli dei viaggiatori inglesi che tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo avevano visitato l’Oriente. La scelta cadde sui cavalli berberi e spagnoli, che poi non erano altro che i rampolli della gloriosa dinastia araba. Tre furono gli stalloni da cui si sviluppò la popola-

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La nascita del purosangue inglese

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ANIMALI NELLA STORIA

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COPPA DELLA CORSA DI CAVALLI DI NOTTINGHAM DEL 1775, DI ROBERT SHARP E DANIEL SMITH. INDIANAPOLIS MUSEUM OF ART.

zione di purosangue inglesi: Byerley Turk, progenitore del leggendario Eclipse; Darley Arabian, che fu il padre del primo grande cavallo da corsa, Flying Childers, e Godolphin Arabian, antenato di Matchem e di Eclipse.

L’invincibile Eclipse In un firmamento punteggiato di stelle, Eclipse fu probabilmente l’astro più luminoso. Era nato nella primavera del 1764 nella stalla del duca di Cumberland, durante un’eclissi di sole, da cui aveva tratto il nome. Era il figlio di Spiletta e di Marske, secondo quanto riporta il General Stud Book, un registro genealogico dei cavalli britannici e irlandesi. Tuttavia sul padre in realtà non vi è certezza, dato che per negligenza in quello stesso periodo la giumenta fu montata anche da un altro cavallo, Shakespeare. Alla morte del suo allevatore, Eclipse fu acquistato per una cifra ridicola da William Wildman, un allevatore di montoni che, spaventato dal temperamento bizzoso di quel puledro, ne vendette la metà al colonnello O’Kelly. Questi ne commissionò l’addestramento a un famoso preparatore irlandese di nome Sullivan, che riuscì a trasformare il giovane cavallo in un fuoriclasse invincibile in gara. Ormai di proprietà esclusiva del colonnello O’Kelly, Eclipse divenne una leggenda vivente, capace di far


IL PUROSANGUE ECLIPSE con

AGE FOTOSTOCK

il proprietario William Wildman e i suoi due figli. Olio di George Stubbs. XVIII secolo.

mangiare la polvere ad avversari pur di grande caratura. Curiosamente, le doti straordinarie del cavallo rischiarono di mandare in rovina il business delle corse, perché nessuno si azzardava più a scommettere sui suoi rivali. C’è chi fu addirittura tentato di eliminare quel fulmine dal manto bruno, che secondo i dati dell’epoca poteva raggiungere i 90 chilometri orari. Sembra che le incredibili prestazioni del campione equino dipendessero da eccezionali capacità cardiache e polmonari. Dopo aver vinto tutte le gare alle quali aveva partecipato, e sempre più bersagliato dalle mi-

nacce, Eclipse fu destinato alle più riposanti mansioni di stallone, che fruttarono al suo proprietario ancor più denaro di quanto già avessero reso le sue vittorie. Nella sua progenie si distinsero più di trecento esemplari, alcuni dei quali vinsero a loro volta un discreto numero di corse. Oltre a una potenza e a una rapidità straordinarie, Eclipse trasmise ai suoi numerosi discendenti il forte temperamento ereditato dal bisnonno materno, Godolphin Arabian, che come il destriero di Alessandro Magno, Bucefalo, si lasciava montare da un unico cavaliere: nel suo caso un giovane arabo di nome Agba.

Eredi di questa stella del firmamento equino, i ricercatissimi purosangue inglesi sono oggi considerati i più veloci al mondo, e attorno a loro è sorta una fiorente industria dell’allevamento e delle corse. Dotati di grande energia fisica e mentale, gli animali di questa razza presentano spesso un carattere nervoso e irascibile che li rende adatti solo ai fantini più esperti. Ma il sogno di chi selezionò i primi incroci si può considerare avverato: oggi il purosangue inglese è giustamente ritenuto il cavallo più veloce in circolazione. —Nicolás Suárez Alarcón STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

Donne al lavoro nel Medioevo Al contrario di quanto si potrebbe credere, nel Medioevo erano molte le donne che lavoravano

N

on solo tessitrici e filatrici casalinghe o, al massimo, aiutanti nelle botteghe dei mariti. Nel Medioevo le donne venivano impiegate in tutti i possibili settori, compresi l’edilizia, le miniere e le saline. Vi erano imprenditrici che si autofinanziavano con propri capitali ottenuti dalla vendita di abiti e gioielli. Alcune donne col proprio lavoro riuscivano a mantenere sé stesse e i propri familiari in difficoltà, o a saldare i debiti dei mariti in un momento in cui le retribuzioni erano commisurate alle capacità e quindi non dipendenti dal genere. Dal canto loro le nobildonne erano impegnate nelle attività più varie: dall’organizzazione di laboratori per il ricamo, alla gestione di miniere, alla direzione di opere di bonifica, all’impianto di caseifici, fino alla gestione di alberghi. Lucrezia Borgia, ad esempio, era

un’abilissima imprenditrice agricola impegnata in lavori di bonifica e in svariate attività, tra cui la produzione di mozzarelle di bufala (di cui tra l’altro era golosa). Non raramente finanziava i suoi affari vendendo i propri gioielli: sacrificando una catena d’oro costruì l’argine di un fiume. Analogamente la madre di Lucrezia, Vannozza Cattanei, con la vendita dei propri monili sovvenzionò la ristrutturazione di un albergo nel centro di Roma, garantendosi in tal modo una cospicua rendita.

Settori femminilizzati

SALARI PERSONALIZZATI

AKG / ALBUM

AKG / ALBUM

Nonostante la sua capillare diffusione c’erano settori, come quello tessile, in cui il lavoro femminile prevaleva, dando vita a manifatture ben organizzate gestite da donne. Persino per la filatura della lana, ritenuta tradizionalmente un’occupazione di basso profilo svolta a domicilio, esistevano autonomamente: a Barcellona alla fine delle professioniste, proprietarie della del trecento alcune di loro davano vita materia prima, che agivano del tutto a piccole aziende in cui assumevano apprendiste, e giungevano a commercializzare direttamente il prodotto, vendendolo al mercato settimanale sulla piazza cittadina. Tre settori esclusivamente femmiNEL MEDIOEVO i salari erano determinati dalla nili erano caratterizzati da notevoli e resa, indipendentemente dal genere. Nei lavori autonome capacità organizzative: le fadi precisione in cui rendevano maggiormente, le si preliminari alla trattura (che include donne prendevano più degli uomini, come in Francia l’avvolgimento del filo sul rocchetto); nel ‘300 chi rivestiva l’interno delle armature, e nel ‘500 la filatura dell’oro; la confezione di veli le fabbricanti di passamanerie d’oro. e cuffie o di acconciature di seta e di DETTAGLIO DI UN TELAIO. SCUOLA FRANCESE, XV SECOLO. cotone. Articoli, questi ultimi, destinati alle donne e che richiedevano un


QUERELLE DES FEMMES Illustrazione

di Città delle dame (1404-5), opera nella quale Christine de Pizan, considerata la prima scrittrice europea della storia, elenca esempi di donne importanti del passato avviando un grande dibattito letterario sulla condizione femminile.

gusto prettamente femminile nell’ideazione. Perciò in tutta Europa veniva lasciata loro la gestione dell’intero ciclo produttivo (dalla realizzazione dei modelli, alla tessitura e alla commercializzazione), compreso il conferimento del capitale necessario ad avviare l’attività. Donne imprenditrici dotate di propri capitali commissionavano ad altre donne che lavoravano a domicilio (spesso, a loro volta, con delle apprendiste), la tessitura dei manufatti. Nella maggior parte delle attività spicca il massiccio coinvolgimento delle nobildonne come finanziatrici e come imprenditrici: nella Venezia

Donne e corporazioni, un rapporto difficile CONTRARIAMENTE A QUANTO SI PENSA, nel Medioevo non

erano le corporazioni a rifiutare l’accesso alle donne, ma succedeva il contrario. Motivi di carattere economico, o di tutela della collettività, portavano – solo quando strettamente necessario –, le istituzioni cittadine e le associazioni professionali a esigere che anche le donne fossero sottoposte alla giurisdizione corporativa, in cui esse non avevano alcun interesse a entrare. Preferivano infatti organizzarsi da sole, cosa che consentiva di lavorare in nero, evitando le tasse,

e di non avere obblighi di alcun tipo. Questo scatenava a volte liti feroci con la corporazione: ad esempio nel 1306 le autorità cittadine e corporative veneziane si misero a cercare casa per casa le sarte, per obbligarle a pagare le TASSE e a lavorare nel rispetto dei regolamenti.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

DEA / GETTY IMAGES

LA RACCOLTA DEL GRANO PARTICOLARE DEL CICLO DEI MESI DI MAESTRO VENCESLAO. TORRE DELL’AQUILA, CASTELLO DEL BUONCONSIGLIO, TRENTO.

d’inizio cinquecento le aristocratiche avevano fatto un business persino di un’attività tradizionalmente casalinga come la confezione dei merletti intuendo la possibilità di successo di un prodotto raffinato ma di semplice manutenzione. Molte di loro poi, come “mercantesse pubbliche”, controllavano tutto il ciclo di lavorazione dell’oro filato (durante il XIV e il XV secolo): è il caso della“mercantessa”Pasqua Zantani, in carriera per trent’anni all’inizio del quattrocento;

oppure partecipavano in prima persona a società commerciali per l’esportazione dei tessuti in tutta Europa. Altre operavano nella nascente arte della stampa (fine del XV secolo) firmando come editrici le pubblicazioni, come la nobildonna greca Anna Notaras, che aprì una tipografia a Venezia all’inizio del cinquecento per diffondere nella città lagunare la cultura della madrepatria. Altre ancora, soprattutto a Roma (come Vannozza Cattanei), erano attivamente impegnate nella gestione di alberghi e locande, vere miniere d’oro negli anni santi, oppure armavano navi

Alcune donne col proprio lavoro riuscivano a mantenere sé stesse e i propri familiari in difficoltà RITRATTO DI GENTILDONNA FORSE VANNOZZA CATTANEI, MADRE DI LUCREZIA BORGIA. MONDADORI / ALBUM

(a Marsiglia nel trecento e nel quattrocento) e assoldavano pescatori per cercare il corallo nel mare della Sardegna, che facevano poi lavorare e foggiare in perle da manodopera femminile alle loro dipendenze.

Edilizia e miniere Le donne medievali erano attivissime anche in attività molto faticose, nell’edilizia e nelle miniere: a Siena e a Pavia scavavano acquedotti e canali (dei 640 lavoratori reclutati nel 1474 a Pavia, 284 erano donne, tra cui anche alcune bambine). Nel XIV e XV secolo in Francia in Spagna le donne partecipavano come manovalanza alla costruzione delle cattedrali mentre a Messina nel XIII secolo avevano costruito le mura cittadine. In Francia le donne occupavano un ruolo notevole soprattutto nelle miniere di sale. In quelle di Salins (Jura), tra il quattrocento e il seicento


LE VIE DI FINANZIAMENTO ciale la prassi abituale per mettersi in affari era quella di autofinanziarsi con la propria dote, o con la vendita di abiti e monili preziosi. Talvolta le donne utilizzavano i propri capitali, anziché in prima persona, per finanziare operazioni di microcredito, soprattutto a favore di aziende femminili. L’usanza era tanto diffusa che, fra il trecento e il cinquecento ovunque (da Roma, alla Spagna, fino alla Germania), esistevano apposite figure professionali, le “imperlatrici”, dotate delle competenze tecniche necessarie a valutare i preziosi che altre donne cedevano in pegno, per ottenere somme da investire in attività manifatturiere.

le operaie svolgevano compiti di primaria importanza come maestranze specializzate, occupando ruoli chiave all’interno del contesto produttivo, con incarichi di fiducia tramandati di madre in figlia. Nelle loro mani si trovava la maggior parte dell’attività, e godevano (alla pari degli uomini), di indennizzi in caso d’infortuni o di malattia, e di una pensione d’invalidità o di vecchiaia accordata dal consiglio direttivo della salina, su richiesta dell’interessata che avesse lavorato a lungo (38-40 anni) e fosse ormai troppo debole e anziana o impossibilitata a lavorare. Così, nel 1476, un’operaia ormai attempata che lavorava da 38 anni chiese e ottenne la pensione settimanale che «era consuetudine assegnare ai lavoratori della salina», come raccontano i documenti amministrativi delle miniere. E come lei

GETTY IMAGES

PER LE DONNE di ogni ceto so-

DONNE PANETTIERE MINIATURA DAL MANOSCRITTO TACUINUM SANITATIS. FINE XIV SECOLO.

molte altre sessantenni che lavoravano da una quarantina d’anni. Non tutte chiedevano però la pensione: secondo gli stessi documenti alla fine del quattrocento un’operaia di 80 anni lavorava ancora insieme alla figlia. Sorprendente poi la longevità delle impiegate nelle saline: alcune raggiungevano i 110 anni, e non si trattava di casi isolati. Neppure in questo settore mancava l’imprenditoria femminile: a Milano, ai primi del cinquecento, alcune fornaci che rifornivano di laterizi i cantieri delle principali costruzioni civili e religiose erano di proprietà e gestite da donne; a Gaeta, tra il 1449 e il 1453, con le proprie imbarcazioni un’imprenditrice riforniva di materiale da costruzione il cantiere reale del castello, come rivelano i libri mastri. Nel Lazio, negli anni novanta del quattrocento la nobildonna roma-

na Cristofora Margani, vedova del mercante pisano Alfonso Gaetani ed erede delle importantissime miniere di allume di Tolfa (Civitavecchia), gestiva in prima persona l’attività occupandosi delle relazioni con i minatori, dei rapporti con il mondo mercantile e della consegna dell’allume alla Camera apostolica. Era cioè il fulcro di un universo in cui confluivano forze economico-sociali diverse. In tutta l’Europa medievale, insomma, i documenti mostrano uno straordinario brulicare di attività femminili del tutto impensate. —Maria Paola Zanoboni Per saperne di più

SAGGI

Donne al lavoro nell’Italia e nell’Europa medievali (secc.XIII-XV) Maria Paola Zanoboni. Jouvence, Milano, 2016. Il lavoro delle donne (A cura di) Angela Groppi. Laterza, Roma-Bari, 1996.

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NELLA TOMBA DI HOWARD C ARTER FR A I TESORI DEL FAR AONE


TUTANKHAMON Il 4 novembre del 1922 il britannico Howard Carter scoprì la tomba del faraone bambino, intatta e piena di tesori. L’archeologo avrebbe dedicato il resto della sua vita a classificare e restaurare le migliaia di oggetti rinvenuti e oggi esposti al Museo egizio del Cairo

TESTIMONIANZA FOTOGRAFICA

Howard Carter davanti a una delle due statue di guardiani trovate nell’anticamera della tomba di Tutankhamon, imballata e pronta per essere prelevata mediante una portantina di legno imbottita. Come quasi tutte le foto di questo articolo, questa fu scattata da Harry Burton, fotografo della spedizione di Carter. Le immagini sono state colorate dal Griffith Institute di Oxford. GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD. COLOR: DYNAMICHROME


GRADINI NELLA ROCCIA

La foto mostra l’inizio della scalinata che conduceva alla tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re, poco dopo la sua scoperta avvenuta nel 1922.

MARY EVANS / ACI

DIECI ANNI NELLA TOMBA REALE

22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

le cose in fretta, avrebbe dedicato il resto della propria vita lavorativa a svuotare la tomba ritrovata.

La ricerca di Tutankhamon Howard Carter era un artista di talento che divenne archeologo per caso. Nel 1891, all’età di soli 17 anni e senza un’istruzione formale, trovò impiego come disegnatore, con il compito di riprodurre le pareti decorate delle tombe rupestri egizie. Una stagione trascorsa a lavorare al fianco del pionieristico egittologo Flinders Petrie gli permise di imparare come si effettuava uno scavo accurato. I primi egittologi erano stati poco più che cercatori di tesori, sempre a caccia di

1922-1923 IL 4 NOVEMBRE 1922 viene

scoperto il primo gradino della tomba. Il 17 febbraio 1923 viene aperta la camera funeraria; il 5 aprile muore Lord Carnarvon.

1924-1925 IL 12 FEBBRAIO 1924

Carter scoperchia il sarcofago. Nel gennaio del 1925 ottiene un’altra concessione per proseguire i lavori. L’11 novembre esamina la mummia.

GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLOR: DYNAMICHROME

Q

uando il 4 novembre 1922 l’egittologo britannico Howard Carter scoprì la tomba perduta di Tutankhamon, questa era praticamente intatta. Al suo interno c’era ancora la mummia del faraone, circondata da un ricco e luccicante corredo di oggetti funerari. Quasi nel giro di una notte il fino ad allora insignificante Tutankhamon si trasformò in una superstar del mondo antico, mentre Carter, con sua grande sorpresa, divenne l’archeologo più famoso di tutti i tempi. La scoperta si rivelò insieme una benedizione e una maledizione, in quanto Carter, archeologo meticoloso che rifiutava di fare

1926-1927 CARTER e la sua squadra

iniziano a lavorare alla stanza dietro la camera funeraria. Nell’ottobre del 1927 cominciano a svuotare l’annesso.


1930-1932 VENGONO ESEGUITI

gli interventi finali e prelevati gli ultimi oggetti (i frammenti di uno scrigno), che saranno inviati al Cairo nella primavera del 1932.

L’APERTURA DEL SECONDO SACRARIO

Carter e la sua squadra aprono le porte del secondo dei quattro sacrari d’oro che coprivano il sarcofago del re. Carter riferisce: «I chiavistelli superiori e inferiori erano chiusi ed erano stati accuratamente legati con una corda, a sua volta fissata con delle graffe di metallo e sigillata».


IL TRASLOCO DEL FARAONE NEL SUO LIBRO LA SCOPERTA DELLA TOMBA DI TUTANKHAMON, Carter

SCALA, FIRENZE

ritrovamenti spettacolari, ignorando quelli banali o poco attraenti. Mettevano insieme impressionanti collezioni di opere d’arte e manufatti non collegati tra loro, avulsi da ogni contesto. Petrie fu invece uno dei primi a riconoscere che i siti antichi non dovevano essere saccheggiati, e che i manufatti non potevano essere semplicemente strappati al terreno. La sua insistenza su un metodo scientifico – la progettazione e l’esecuzione degli scavi, l’annotazione della stratigrafia e del contesto e la compilazione di registri accurati – avrebbe avuto una profonda influenza sulle pratiche di lavoro dello stesso Carter. Nel 1909, mentre lavorava come artista freelance e mercante di antichità, Carter conobbe George Herbert, quinto conte di Carnarvon. Il conte, che era già stato in Egitto per ragioni di salute, avrebbe voluto dirigere uno scavo archeologico, ma gli mancava l’esperienza necessaria per poter ottenere dal Servizio delle antichità egiziano il permesso di fare ricerche in un sito potenzialmente di valore. Anche Carter voleva darsi agli scavi, ma non aveva i soldi necessari. Fu quindi più che logico, da parte di Carnarvon, assumere 24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

I LETTI DEL SOVRANO

Letto funebre con le sponde laterali a forma di vacca, uno dei tre ritrovati nell’anticamera della tomba di Tutankhamon. Erano addossati alla parete più lunga della stanza.

Carter affinché scavasse per conto suo. E il sogno condiviso di scoprire una tomba reale fece ben presto trasformare il rapporto di lavoro in amicizia. Nel 1914 Carnarvon ottenne la concessione che avrebbe permesso a Carter di iniziare uno scavo nella Valle dei Re, il cimitero utilizzato dai faraoni egizi del Nuovo regno. Molti pensavano che stessero perdendo tempo: nell’area erano state rinvenute numerose tombe reali, ma erano state tutte svuotate nell’antichità. Carter, però, riteneva che ne mancasse ancora una. Il nome di Tutankhamon era noto grazie alle iscrizioni monumentali e a una serie di piccoli ritrovamenti fatti nella Valle dei Re, ma né la sua tomba né la sua mummia erano state portate alla luce. L’unico modo di trovare il faraone perduto era ripulire l’area della Valle dei Re fino al substrato roccioso. Il lavoro fu talmente lento e monotono che Carnarvon cominciò a dubitare che gettare altri soldi in quella ricerca fosse una cosa saggia. Carter non era d’accordo, e raggiunsero un compromesso: Carnarvon gli avrebbe dato i fondi sufficienti a togliere ancora una collinetta di macerie e spazzatura vicino alla tomba di Ramses VI. Il

JTB PHOTO / AGE FOTOSTOCK

spiega come furono prelevati gli oggetti che ostruivano l’anticamera della tomba del faraone. C’erano tre grandi letti zoomorfi – uno decorato con due teste di vacca, un altro con teste di leonessa e l’ultimo con teste di ippopotamo. A causa delle grandi dimensioni, per rimuoverli dalla tomba si dovette procedere a smontarli: «Sono state necessarie cinque persone per concludere l’operazione senza danni. Due reggevano la parte centrale, due si occupavano delle sponde con le raffigurazioni zoomorfe, mentre il quinto, da sotto, allentava i ganci con una leva […] Siamo riusciti a estrarre i letti senza incidenti e li abbiamo immediatamente depositati nelle apposite casse all’ingresso della tomba».


LA GRANDE NECROPOLI FARAONICA

Dopo sei infruttuose campagne di scavi nella Valle dei Re, Carter era sul punto di gettare la spugna. «Poi, appena dato il primo colpo di piccone in un ultimo disperato tentativo, abbiamo fatto una scoperta che superava di gran lunga le nostre più rosee aspettative». Era la tomba di Tutankhamon.

Tomba di Tutankhamon (KV62)


UNA SCOPERTA DA LASCIARE Dopo aver scoperto l’ipogeo del faraone, Carter dovette aspettare alcuni giorni prima Annesso. Questa stanza fu l’ultima a essere studiata e vi regnava un caos assoluto. Era stata profanata poco dopo la realizzazione e, come disse Carter, i ladri non si erano certo preoccupati di rimettere in ordine. Era piena di ushabti (figurine funerarie), mobili, contenitori…

Camera funeraria. Quattro sacrari d’oro sormontavano un sarcofago di quarzite, all’interno del quale c’erano tre bare con l’effigie del sovrano, una dentro l’altra. La mummia reale si trovava nell’ultima, coperta da una maschera d’oro.

Anticamera. Era gremita di oggetti: letti funerari, carri smontati, un trono sontuosamente decorato, vasi in alabastro e due figure di guardiani a grandezza naturale.


A BOCCA APERTA

di potervi entrare. Lo fece il 27 novembre, e quello che vide lo lasciò a bocca aperta Tesoro. Qui fu ritrovato il sacrario d’oro con le viscere mummificate del re e un’effigie di Anubi, degli scrigni in alabastro, alcuni modellini di navi, dei cofanetti in avorio e delle bare dorate in miniatura.

Il corridoio che conduce alla tomba è largo 1,7 m e alto 2 m.

Ingresso. Sedici gradini conducono al corridoio di accesso alla tomba di Tutankhamon.

ILLUSTRAZIONE: ELISABETTA FERRERO / WHITE STAR


VASELLAME IN ALABASTRO

primo novembre 1922 i collaboratori di Carter sgombrarono l’immondizia e si aprirono un varco in uno spesso strato di detriti alluvionali. Tre giorni più tardi scoprirono 16 gradini che scendevano fino a una porta bloccata. La perseveranza di Carter era stata premiata: aveva trovato la tomba perduta del faraone.

Un trionfo archeologico Quando gli chiesero quale fosse stata la sua prima impressione entrando nella tomba, Carter rispose con la famosa frase: «Strani animali, statue e oro: ovunque il luccichio dell’oro». La tomba era in effetti piena di uno sbalorditivo assortimento di articoli funerari: carri, letti, bauli, scatole, involti, curiosi oggetti rituali e molto altro. Questi non erano però sistemati come li avevano voluti gli addetti alla sepoltura. Nell’antichità la tomba era stata aperta e saccheggiata due volte e, nel ripristinare l’ordine prima di risigillarla, i sacerdoti della necropoli avevano fatto un lavoro mediocre. Le etichette apposte sulle scatole e sugli involti confermavano che mancavano alcuni oggetti, mentre altri erano al posto sbagliato. Dato che tutto era mischiato, c’era pochissimo spazio per lavorare. Carter para28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

gonò la situazione a «una gigantesca partita a Shanghai»: un gioco che richiedeva abilità tanto fisiche quanto mentali per estrarre un bastoncino dal mucchio senza muovere gli altri. Un gioco in cui non poteva cimentarsi da solo. Per lo scavo Carter riunì quindi una squadra multidisciplinare, che variava di stagione in stagione e il cui nucleo era costituito dall’egittologo Arthur Callender e dal chimico Alfred Lucas, oltre all’archeologo e conservatore Arthur Mace e al fotografo Harry Burton, in prestito dal Metropolitan Museum di New York. Quella di Tutankhamon fu la prima tomba reale a essere scoperta in condizioni di seppur vaga integrità. Nessun altro archeologo si era mai trovato davanti a oltre cinquemila fragilissimi oggetti, tutti con l’urgente bisogno di essere conservati. Dal momento in cui ne era stata aperta la porta, i manufatti erano infatti minacciati dal cambiamento improvviso delle condizioni ambientali. E c’erano anche altre preoccupazioni. Ogni volta che la squadra decideva di prendersi una vacanza dalla Valle dei Re, bisognava staccare la corrente, bloccare l’ingresso alla tomba, riseppellire la scala e piazzare una guardia: precauzioni considerate essen-

FOTO: GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLORE: DYNAMICHROME

GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLOR: DYNAMICHROME

Tra due dei letti con teste zoomorfe dell’anticamera era accatastata una collezione di splendidi vasetti di profumo scolpiti in alabastro.


GLI OGGETTI DELL’ANTICAMERA

Le foto mostrate in questa pagina vennero scattate nel dicembre del 1922 e testimoniano lo stato di disordine in cui fu trovata l’anticamera. Sopra, in primo piano, i grandi carri del re smontati e accatastati contro la parete. Sotto, i tre letti funebri con teste di animali. Su quello centrale era stato collocato un giaciglio di legno decorato con teste di vacca. Sotto c’erano diverse casse di cibo per l’aldilà.


COLLARI RIPORTATI IN VITA

SCALA, FIRENZE

ziali per proteggere la tomba sia dai ladri sia dalle inondazioni. Grazie alla propria esperienza, Carter comprendeva appieno il grande paradosso dell’archeologia: e cioè che lo scavo di un sito è destinato a distruggerlo. Sapeva quindi esattamente che cosa andava fatto. Il lavoro doveva progredire lentamente e con metodo al fine di preservare ogni dettaglio. Tutti gli oggetti dovevano essere registrati – numerati, fotografati, indicati sulla piantina della tomba, descritti e disegnati – per poi essere trasferiti in un laboratorio di conservazione (una tomba reale vicina) dove venivano trattati e ulteriormente fotografati. Quindi dovevano essere imballati e inviati al Museo egizio del Cairo. A ogni oggetto o gruppo di oggetti venne assegnato un numero compreso tra 1 e 620, con le lettere utilizzate per le eventuali suddivisioni. Successivamente, al suo arrivo al Museo del Cairo, ogni manufatto ricevette un numero d’acquisizione sul Journal d’Entrée del museo stesso. Ad esempio, il primo oggetto a essere ufficialmente rimosso dalla tomba, un baule finemente dipinto che per Carter era il numero 21, divenne “JE61467”. Oggi la catalogazione dei reperti effettuata dall’archeolo30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ORECCHINI CON ANATRE

Nella stanza del tesoro furono ritrovati dei bauli con gioielli. Uno conteneva orecchini d’oro e pietre semipreziose con teste di anatra. A sinistra se ne può vedere un esemplare.

go e le fotografie associate sono conservate al Griffith Institute di Oxford, in Gran Bretagna, e possono essere consultate online gratuitamente. Ogni baule, scatola o involto estratto dalla tomba doveva essere sottoposto al proprio mini-scavo. Il baule dipinto fornisce un buon esempio dei problemi che i conservatori dovettero affrontare. All’inizio il manufatto sembrava essere in buone condizioni, con solo qualche scrostatura dello stucco che serviva da base alla decorazione. Dopo tre settimane nell’atmosfera secca del laboratorio di conservazione, però, il legno aveva cominciato a ritirarsi e lo stucco ad accartocciarsi, e fu necessario incollare nuovamente quest’ultimo al suo posto con della paraffina liquida. Ci vollero diverse settimane per svuotare il baule e inventariarne e fotografarne il contenuto: vi furono ritrovati un paio di sandali intrecciati, tre paia di sandali di pelle, alcune tuniche, due sacchetti o copricapi, due collari, perizomi, rotoli di tessuti e bende, un guanto e un poggiatesta d’oro. La stessa cura meticolosa nella catalogazione e nella conservazione fu perpetuata nel corso degli anni, via via che degli og-

GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLORE: DYNAMICHROME

UN ESEMPIO della straordinaria dedizione con la quale Howard Carter affrontava il suo lavoro è offerto dai numerosi monili di perline ritrovati nelle stanze della tomba di Tutankhamon. L’archeologo comprese infatti che era fondamentale mantenere la disposizione originale di ogni elemento. Come spiega lui stesso: «Anche se i fili dei collari sono quasi completamente decomposti, la maggior parte delle perline conserva ancora la sua posizione relativa. Una volta rimossa la polvere è possibile ricostruire la sequenza esatta del collare e mantenerla inserendo un nuovo filo direttamente in situ». Per essere ancora più preciso e garantire che la disposizione originale non venisse alterata, Carter preferiva «trasferire a una a una le perline su un cartone ricoperto di un sottile strato di plastilina».


IL LAVORO IN LABORATORIO

In questa foto scattata nel gennaio del 1924 i due collaboratori di Howard Carter – Arthur Mace, in piedi sul tavolo, e Alfred Lucas, seduto in primo piano – sono intenti a restaurare una delle due statue che sorvegliavano l’ingresso della camera sepolcrale di Tutankhamon. I due uomini si trovano nel laboratorio installato dall’équipe archeologica nella vicina tomba del faraone Seti II (KV15).


ANUBI, LA SENTINELLA

getti funebri venivano recuperati dall’anticamera, dalla camera funeraria, dal tesoro e dall’annesso. L’unico manufatto che ricevette sorprendentemente poca attenzione fu la mummia del re. Come molti egittologi della sua epoca, Carter deve aver ritenuto la mummia irrilevante dal punto di vista archeologico, e permise che venisse sbendata e sottoposta ad autopsia poco dopo che era stata estratta dal suo sarcofago d’oro.

Un disastro diplomatico Mentre Carter combatteva con gli aspetti pratici dello svuotamento della tomba, i pensieri di Carnarvon andavano al denaro. Tutankhamon avrebbe probabilmente rappresentato un salasso per le sue finanze per molti anni a venire. Gli sembrò quindi sensato fare un accordo con il Times, grazie al quale ricevette cinquemila sterline per i diritti esclusivi su tutte le fotografie e le notizie. La mossa, però, gli alienò le simpatie della stampa mondiale, dando vita a un rapporto difficile e stressante tra i giornalisti che continuavano ad affluire in gran numero sul sito e la squadra di scavo. Howard Carter non era portato per la diplomazia: era caren32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

te in quelle che oggi chiameremmo “abilità relazionali”. Aveva dei forti principi e non vedeva la necessità di evitare lo scontro. Questo era stato dimostrato in modo evidente nel 1905, quando, in qualità d’ispettore capo delle antichità per l’Alto Egitto si era trovato coinvolto nel “caso Saqqārah”: venuto a sapere che un gruppo di francesi ubriachi si era introdotto con la forza nel locale serapeum (il luogo di sepoltura dei tori sacri), Carter aveva autorizzato le guardie egiziane a difendersi. La cosa era stata considerata assolutamente inaccettabile, e il console generale britannico aveva chiesto all’ispettore capo di scusarsi con i francesi. Carter si era rifiutato di risolvere la questione con una bugia diplomatica e, arrabbiato per il mancato sostegno delle autorità, si era licenziato. Fino a quando, inizialmente, la concessione degli scavi era ancora nelle mani di Carnarvon, Carter era stato libero di concentrarsi sugli aspetti archeologici; ma con l’improvvisa morte del lord, nel 1923, i diritti erano passati a lady Carnarvon. Carter dovette quindi cominciare a fare da collegamento con il Servizio delle antichità, un ruolo per il quale era inadatto. Nel frattempo

GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLORE: DYNAMICHROME

GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLORE: DYNAMICHROME

La statua del dio Anubi su una specie di portantina si trovava nella stanza del tesoro. Sullo sfondo, il sacrario dorato che conteneva i vasi canopi con le viscere del sovrano.


L A MA SCHER A D’ORO

La fotografia della maschera d’oro di Tutankhamon fu scattata il 29 o il 30 ottobre 1925. Scrisse Carter: «Sullo sfondo del corpo mummificato, reso scuro dagli unguenti, si stagliava una maschera in oro brunito di grande splendore, fatta a immagine del sovrano […] Realizzata in oro battuto, la maschera è un esemplare unico di ritratto antico e ha un’espressione triste ma serena, che suggerisce una giovinezza prematuramente troncata dalla morte».


IL CARRO DEL FARAONE

«Ci troviamo di fronte al difficile compito di rimontare e restaurare questi carri, ma i risultati saranno di tale valore da giustificare tutto il tempo impiegato», scrive Carter in merito all’eccezionale ritrovamento avvenuto nell’anticamera della tomba. In questa foto del 1923 i due collaboratori di Carter, Mace e Lucas, riparano le fiancate di un carro all’esterno del laboratorio installato nella tomba di Seti II.


GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLORE: DYNAMICHROME


NELL’ANNESSO DI TUTANKHAMON NELLA SUA DESCRIZIONE della tomba, Howard Carter fa un resoconto dettagliato degli oggetti ritrovati nell’annesso e ricostruisce la laboriosa procedura seguita per prelevarli: «Per estrarre di lì gli oltre trecento pezzi presenti abbiamo dovuto adottare un metodo abbastanza prosaico. Per prima cosa, abbiamo cercato di farci spazio sufficiente per i piedi sgomberando il pavimento, che era quasi un metro più in basso, per cui abbiamo dovuto lavorare praticamente a testa in giù […] Più di una volta siamo stati costretti a farci sostenere tramite una corda, passata sotto le ascelle e tenuta da tre uomini che stavano nell’anticamera, per riuscire a sollevare un oggetto pesante posto in una posizione tale che la minima svista l’avrebbe fatto cadere».

TAVOLA DA GIOCO

SCALA, FIRENZE

la stampa internazionale, ancora profondamente risentita per l’accordo con il Times, rimaneva ostile, mentre quella egiziana conduceva una campagna contro ciò che riteneva “colonialismo archeologico”.

L’epilogo Nel 1924 una banale disputa sui permessi d’accesso indusse Carter a interrompere i lavori nella tomba. Il Servizio delle antichità, considerando la sua decisione una reazione eccessiva – nonché una violazione diretta della concessione di lady Carnarvon– confiscò il sito. Quindi, dato che Carter si era rifiutato di consegnare le proprie chiavi, assunse degli operai perché tagliassero i lucchetti dei cancelli della tomba. Seguirono mesi di negoziazioni, fino a che non fu raggiunto un accordo e il sito fu riaperto. Nel febbraio 1932 fu spedita al Museo egizio del Cairo l’ultima consegna di reperti. Il passo successivo, per Carter, era di pubblicare il resoconto degli scavi: un’impresa enorme e mai completata. Questo potrebbe spiegare perché non abbia mai ricevuto riconoscimenti ufficiali in Gran Bretagna. In un’epoca in cui gli archeologi preminenti venivano regolarmente ri36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

compensati con la nomina a cavalieri della corona, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi anche lui un trattamento simile. Il fatto che gli mancassero un mecenate e il sostegno di un’istituzione, e forse i suoi natali relativamente umili, non aiutarono la sua causa, ma la responsabile potrebbe anche semplicemente essere stata la sua complicata personalità. Carter morì a Londra il 2 marzo 1939 e lì fu sepolto, nel cimitero di Putney Vale. La grande maggioranza degli oggetti funerari di Tutankhamon è oggi conservata al Cairo e formerà il cuore del nuovo Grand Egyptian Museum di Giza. Tutankhamon continuerà a riposare nella sua tomba nella Valle dei Re. JOYCE TYLDESLEY EGITTOLOGA E AUTRICE DI TUTANKHAMEN’S CURSE: THE DEVELOPING HISTORY OF AN EGYPTIAN KING

Per saperne di più

SAGGI

La scoperta della tomba di Tutankhamon Howard Carter. White Star, Novara, 2005. Tutankamon Franco Cimmino. Il Saggiatore, Milano, 2017. Tutankhamon. I tesori della tomba Zahi Hawass. Einaudi, Torino, 2018. INTERNET

www.griffith.ox.ac.uk/discoveringTut

FOTO: GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD, COLOR: DYNAMICHROME

Carter ritrovò nell’annesso varie tavole da senet, un gioco molto popolare tra gli antichi egizi. A sinistra, due tavole, una delle quali è posta su un ripiano di ebano.


IL VIAGGIO DEI TESORI DI TUTANKHAMON

Queste immagini del 1923 non sono opera di Harry Burton, ma di un fotografo di cui non ci è giunto il nome. Mostrano un folto gruppo di turisti e curiosi (sopra), in trepidante attesa di veder emergere qualche tesoro dalla tomba. Sotto, alcuni operai sulle rive del Nilo caricano delle casse di oggetti già restaurati provenienti dalla Valle dei Re. Una nave li trasporterà alla loro destinazione finale: il Museo egizio del Cairo.


IL SOVRANO, VISTO DA CARTER

1

L’11 novembre del 1925 Howard Carter esaminò la mummia di Tutankhamon. L’egittologo fece una serie di disegni in cui ricostruì la disposizione degli oggetti posti sulla mummia reale. Nel suo successivo rapporto archeologico li descrisse accuratamente, come mostrato in questa pagina.

PETTORALE CON TRE SCARABEI DI LAPISLAZZULI RITROVATO SULLA MUMMIA DEL RE. LA DISPOSIZIONE È ILLUSTRATA NEL DISEGNO QUI ACCANTO, OPERA DELLO STESSO CARTER.

1 L’avvoltoio e gli scarabei «Al di sopra della cassa toracica, appeso al collo con delle cordicelle d’oro e lapislazzuli, c’era un piccolo pettorale che rappresentava un avvoltoio […] Poco più sotto c’era un altro pettorale costituito da tre scarabei di lapislazzuli con il simbolo del cielo, i dischi del sole e della luna. Le zampe posteriori degli amuleti fungevano da base per gli emblemi della sovranità neb, iscritti su una barra orizzontale da cui pendevano margherite e fiori di loto».


2

PUGNALE D’ORO RITROVATO SULLA MUMMIA DEL FARAONE, COME MOSTRATO NEL DISEGNO A SINISTRA, ESEGUITO DALLO STESSO CARTER. SULLA COSCIA DESTRA DEL RE FU SCOPERTO UN ALTRO PUGNALE, CHE AVEVA LA LAMA FORGIATA CON IL FERRO PROVENIENTE DA UN METEORITE E UN POMOLO DI QUARZO.

2 Il pugnale in vita «Abbiamo trovato un’altra cintura d’oro intagliato. Sotto, in posizione obliqua, c’era uno splendido pugnale, di ottima fattura […] Era decorato con oro granulato di un giallo brillante, circondato da fasce di pietre semipreziose alternate a vetri incastonati in cloisonné […] La lama del pugnale, in oro di particolare durezza, era di forme semplici ed eleganti […] Era protetta da una preziosa guaina dorata e ornamentata».

FOTO: ARALDO DE LUCA. DISEGNI: GRIFFITH INSTITUTE, UNIVERSITY OF OXFORD


SALOMONE E LA REGINA DI SABA LA STORIA DIETRO LA LEGGENDA


L’INCONTRO DI DUE RE

Così Lambert Sustris evocò nel XVI secolo l’incontro tra i due re. National Gallery, Londra. Sotto, diffusore d'incenso offerto a una divinità. III secolo d.C. British Museum, Londra.

THE NATIONAL GALLERY, LONDRES / RMN-GRAND PALAIS

RMN-GRAN

D PALAIS

Salomone, figlio di David e suo successore sul trono d’Israele, ricevette la visita della regina di Saba, desiderosa di conoscere il sovrano. È la Bibbia a raccontare quest’incontro al confine tra storia e leggenda, sullo sfondo del Vicino Oriente del X secolo a.C.


SCRITTURA SABEA

FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS

D

opo aver sentito parlare della fama di Salomone, la regina si recò in Israele con prodotti esotici dell’Arabia, cammelli, spezie, oro e pietre preziose, al fine di mettere alla prova il re con domande e quesiti difficili da risolvere. Con sua grande soddisfazione, il saggio sovrano seppe indovinare tutte le risposte, e quindi la regina tornò nella sua terra. È grazie alla Bibbia, esattamente per mezzo del Primo libro dei re e del Secondo libro delle cronache che conosciamo la storia dell’incontro tra Salomone e la regina di Saba. Ogni elemento della narrazione porta a credere che l’incontro tra i due sovrani sia stato

inserito nella Bibbia all’unico scopo di mettere in risalto l’incredibile saggezza di Salomone, sulla base di alcune voci che probabilmente circolavano in Siria e in Palestina e che accennavano al regno di una donna bella e potente nelle lontane, ricche ed esotiche terre dell’Arabia meridionale.

Il racconto diventa leggenda Grazie alla narrazione biblica la visita della regina di Saba a Gerusalemme finì per divenire uno dei più fantasiosi e fertili cicli di leggende e racconti d’Oriente. Ed è in seno all’antica letteratura ebraica che nacque quest’episodio ricco di fascino, condito di tutti gli ingredienti necessari a renderlo avvincente: la bellezza, il potere, la ricchezza,

DEA / SCALA, FIRENZE

C R O N O LO G I A

DUE REGNI MITICI

970 a.C.

957 a.C.

A Gerusalemme muore David, re di Israele. Gli succederà il figlio Salomone, secondo e ultimo monarca del regno unificato.

Termina la costruzione del tempio di Gerusalemme, voluto da Salomone. Vi collaborano artigiani fenici.

CONVERSAZIONE MISTICA TRA SALOMONE E LA REGINA DI SABA, CHE SONO RAPPRESENTATI SEDUTI. ICONA ETIOPE DEL XVIII SECOLO.

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM. SCULTURA: FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS

Testo commemorativo sabeo del V secolo d.C. Il sabeo, come l’ebraico, è una lingua semitica. Musée du Louvre, Parigi.


Terre d’Arabia LA SOVRANA SENZA NOME del racconto biblico posse-

deva dei territori nello Yemen, nell'Arabia meridionale. Tutta la penisola arabica era un deserto, tranne che nel sud, dove i venti monsonici lasciavano cadere abbondante acqua, che veniva conservata con zelo; vicino a Mārib si trovava la grande diga che fece la fortuna del regno sabeo, perché permise l’agricoltura e quindi il rifornimento dei centri urbani. La regione era conosciuta, infatti, come Arabia Felix: una felicità dovuta al fatto che era un punto di snodo per il commercio dell’incenso e della mirra, aromi utilizzati, per esempio, nei rituali religiosi del regno di Salomone. L’omaggio che, stando alla Bibbia, rese al monarca la signora di un Paese esotico e favolosamente ricco conferì al piccolo regno di Israele un’aura di grande splendore. SCULTURA FEMMINILE IN ALABASTRO PROVENIENTE DAL TERRITORIO SABEO. SECOLI VIII A.C.-VI D.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.

Rotta commerciale terrestre Rotta commerciale marittima MĀRIB

Capitale

931 a.C.

850 a.C. circa

VIII secolo a.C.

I secolo d.C.

Muore Salomone e il suo regno si divide in due: Giuda a sud, governato da Roboamo, e Israele a nord, governato da Geroboamo I.

Nella Stele di Tel Dan si fa cenno alla casata di David; è l’unica testimonianza archeologica che comprova l’esistenza della dinastia.

A quest’epoca risale il primo riferimento scritto al regno yemenita di Saba, proveniente da fonti assire.

Nell’opera dello storico giudaico-romano Flavio Giuseppe si menziona per la prima volta la relazione tra la regina di Saba e l’Etiopia. HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Il regno di Salomone DIVERSAMENTE da quanto succede nel

regno di Saba, non esistono prove archeologiche inconfutabili né testimonianze epigrafiche riguardanti il regno di Salomone. L’unica informazione che abbiamo è quella che ci offre la stessa Bibbia e che permetterebbe di situare questo regno nel X secolo a.C.

Regno di Salomone Possibile estensione Estensione che gli si attribuisce tradizionalmente Territori sotto la sua presunta influenza

TUTTAVIA, tale dato è messo in ombra da rielaborazioni tardive, le quali pretendono di collocare Salomone come il saggio monarca costruttore del tempio di Gerusalemme. L’estensione che il Libro dei re attribuisce al suo regno, dall’Eufrate al torrente d’Egitto, coincide esattamente a quello della satrapia transeufratica dell’impero persiano, e risponde piuttosto al sogno di presentare Israele come un regno degno di competere con le grandi potenze dell’epoca.

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

AKG / ALBUM

OFFERTA SABEA A UNA DIVINITÀ Questa piccola scultura di una donna seduta proviene dal territorio sabeo. Misura 27 cm ed è in alabastro. III secolo a.C.-III d.C.

l’esotismo, gli intrighi, la magia e l’amore. Man mano tali elementi confluirono in opere di differente genere, o tematica, come le Antichità giudaiche, di Flavio Giuseppe, del I secolo d.C., o il Targum Sheni, una libera traduzione in aramaico del Libro di Ester. Secondo queste fonti, un’upupa informò Salomone che il regno di Saba era l’unico sulla terra da lui non soggiogato e che la sua regina venerava il sole. Allora il monarca mandò l’upupa nella città sabea di Kitor, con una lettera in cui intimava alla regina di sottomettersi al suo potere. In risposta lei inviò una flotta «con tutte le barche del mare», cariche di doni preziosi. Sulle navi viaggiavano, inoltre, seimila giovani della stessa statura e aspetto, nati lo stesso giorno alla stessa ora e agghindati con abiti di porpora. I giovani consegnarono a Salomone una missiva in cui la regina annunciava che sarebbe giunta a Gerusalemme dopo un viaggio di tre anni. Quando alla fine la regina entrò nel palazzo di Salomone, pensò che il pavimento tirato a lucido fosse una piscina piena

d'acqua e alzò la veste, mostrando così le gambe. Salomone si accorse che la regina aveva le gambe pelose e glielo fece notare dicendo che non era una cosa appropriata in una donna. La regina gli presentò poi alcuni indovinelli, che il monarca risolse con facilità.

La Bilqis dei racconti arabi Gli arabi conoscevano sicuramente i dettagli di questo racconto, che adattarono alla propria sensibilità aggiungendovi nuovi particolari. La vicenda della regina di Saba era talmente famosa da comparire persino nel Corano. Infatti, nella sura o capitolo 27 sono riassunti molti elementi della leggenda già trattata dagli autori ebraici. Tuttavia nel Corano Salomone è descritto come un re devoto ad Allah, saggio ed esperto di magia, a capo di un esercito formato da uomini, spiriti buoni e uccelli. Si ripetono la comparsa dell’upupa e la descrizione della figura di una regina senza nome, ricca, potente e adoratrice del sole, che siede sul trono maestoso di un lontano Paese. Nel Corano il re


UNA CAPITALE MODESTA

La parte evidenziata nell’immagine indica l’estensione di Gerusalemme ai tempi di David, padre di Salomone.

LA CITTÀ DEL RE “PACIFICO” QUESTA RICOSTRUZIONE del regno di Salomone cerca di interpretare in modo critico i dati forniti dall’unica fonte a nostra disposizione, la Bibbia. Lo scenario che ne emerge sarebbe più realistico: quello di Salomone era un piccolo regno in crisi, che comprendeva il territorio tribale delle montagne di Giuda e che non lambì mai né il mare, dominio dei filistei, né il nord, dove poi si sarebbe assestato ed esteso il regno d’Israele. Le stesse dimensioni della capitale, la Gerusalemme di allora, dimostrano che si trattava di uno stato piuttosto modesto. Nella città che il padre David aveva conquistato, Salomone fece

edificare il primo tempio per accogliere l’Arca dell’Alleanza. La cinta muraria – innalzata sul monte Moriah e, secondo la Bibbia, dalle misure di 31 m di lunghezza, 10,5 di larghezza e 15,6 di altezza – fu la maggiore opera architettonica del regno. Il nome di Salomone, inoltre, è più che altro un appellativo (“il pacifico”), e solo grazie ai racconti biblici il re passò a incarnare il sovrano perfetto in cui si riunivano potere, saggezza, prudenza e pietà. Man mano Salomone diventò una figura mitica, che diede luogo ad altre feconde leggende sul magico Oriente. DAVID E SALOMONE, BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA, TORCELLO (VENEZIA), XI SECOLO.

SOPRA: MARCELLO BERTINETTI. SOTTO: MONDADORI / ALBUM


IL TEMPIO COSTRUITO DA SALOMONE A GERUSALEMME, O PRIMO TEMPIO, IN UNA RICOSTRUZIONE DI BALOGH BALAGE. XX SECOLO.

e a descrivere la sua incredibile bellezza, spiegarono pure che i demoni erano contrari al matrimonio, e sparsero la notizia che la donna avesse le gambe pelose come Lilith, il temibile demone femmina della notte. Per verificarlo, Salomone ordinò che i geni costruissero un pavimento di vetro. Bilqis lo scambiò per acqua e alzò la veste per attraversarlo, lasciando così a nudo le gambe. Dopo aver ordinato agli spiriti buoni di preparare una pozione depilatoria, Salomone poté finalmente sposarla.

La Makeda degli etiopi

BALAGE BALOGH / RMN-GRAND PALAIS

SIMBOLI RELIGIOSI DELL’A RABIA Lo stambecco era strettamente correlato al culto del dio sabeo Almaqah: simboleggiava il vigore e la vitalità della natura. Sotto, altare arabico con stambecchi. VII secolo a.C. Louvre, Parigi.

G. B

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manda alla sovrana una lettera, ma non per sottometterla quanto per invitarla a convertirsi; lei risponde mandandogli emissari e ricchi regali, che lui rifiuta. Nel racconto appare, però, un nuovo elemento: lo stratagemma cui ricorre Salomone per mettere alla prova la sagacia della regina. Mentre lei è in viaggio, il re manda uno spirito buono, un genio, perché le rubi il trono e lo porti a Gerusalemme, così da trasformarlo e vedere se la regina lo avrebbe riconosciuto. Dopo che ha superato la prova, Salomone le mostra il suo straordinario palazzo di vetro, costruito con l’arte della magia; la sovrana, impressionata dal potere del re d’Israele, abbandona il paganesimo e si converte alla fede in Allah. Gli esegeti del testo coranico aggiunsero ancora altri dettagli. Oltre a indicare il nome della regina, Bilqis (che probabilmente è una deformazione del greco pallakis, “concubina”)

Negli altopiani settentrionali del Corno d’Africa – le attuali Etiopia e Somalia – la vicenda biblica ispirerà diverse leggende fondative, nonché le tradizioni letterarie e folcloristiche più ricche circa la relazione tra Salomone e la regina di Saba. Tre aspetti permisero di adeguare tale narrazione al contesto etiope. Il primo fu il cristianesimo che, a metà del IV secolo d.C., era diventato la religione del regno di Aksum, da cui la moderna Etiopia. A poco a poco questa nuova religione, giunta probabilmente dalla Siria o dall’Egitto, incorporò molti elementi ebraici e si sviluppò in modo autoctono e originale. Il secondo aspetto riguarda la cultura etiope e il suo carattere semitico, forse dovuto alla stretta relazione con lo Yemen e, in particolare, con il regno di Saba. Difatti l’influenza di quest’ultimo in Etiopia è ancor più evidente nella scrittura, una derivazione di quella sud-arabica utilizzata in tale parte dello Yemen preislamico. Infine, la stretta relazione tra l’Etiopia e la regina di Saba fece sì che la sua dinastia fosse sempre legittimata e consacrata, soprattutto grazie ai racconti della Bibbia. Il vincolo della regina di Saba con l’Etiopia aveva origini molto antiche, perché già Flavio Giuseppe vi fa riferimento nel I secolo d.C., e la stessa opinione si ripete in autori cristiani come Eusebio di Cesarea od Origene. Non è perciò strano che fosse conosciuta anche dai cristiani di Etiopia. Uno sviluppo della leggenda compare nel Kebra Nagast, o Gloria dei re d’Etiopia, un’opera compilata nel XIII secolo, ma con elementi molto più antichi, e che contiene una storia romanzata sull’origine della dinastia etiope.


TEL MEGIDDO

Si attribuisce a Salomone la costruzione delle ampie scuderie rinvenute in questo centro strategico al nord di Gerusalemme.

L’ARCHEOLOGIA non ci ha fornito risposte soddisfacenti circa i confini del regno di Salomone. Al giorno d’oggi, infatti, ci sono due teorie diverse e contrapposte. La prima è quella tradizionale, che attribuisce a Salomone alcuni degli strati scavati nei palazzi delle città di Megiddo e di Hazor, entrambe nell’attuale Israele. Se fosse vera, quest’ipotesi confermerebbe la versione della Bibbia, secondo la quale il re costruì stalle ed edifici. Tuttavia, molti autori si chiedono come una città così povera com'era la Gerusalemme del X secolo a.C. potesse dominare grandi centri urbani quali i due

appena menzionati. Un’altra cronologia ipotizza date più recenti per questi ritrovamenti, e li attribuisce piuttosto alla dinastia degli omridi, successiva a Salomone di diversi decenni. Nessun resto monumentale sarebbe allora riconducibile a Salomone, il cui regno, semmai esistito, doveva essere piuttosto modesto: «David e Salomone furono poco più che capi tribali di zone montuose», hanno indicato gli archeologi Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman. Ciononostante, il fascino emanato da questi personaggi è indiscutibile. TUNNEL CHE CONDUCEVA DALLA CITTÀ A UNA FONTE NASCOSTA SITUATA FUORI LE MURA.

SOPRA: DUBY TAL / ALBATROSS / AGE FOTOSTOCK. SOTTO: WALTER BIBIKOW / GTRES

OPERA DI SALOMONE?


LA REGINA DI SABA IN UN TEMPIO CIRCONDATO DA ACQUA. MINIATURA DI UN MANOSCRITTO ETIOPE RISALENTE AL XVII SECOLO.

La regina d’Etiopia LA REGINA DI SABA e la sua visita a Salo-

mone occupano un posto così importante nell’identità etiope che perfino la prima costituzione dell’Etiopia, promulgata nel 1931, ne riconosce l’attendibilità. L’articolo n.3, infatti, recita quanto segue: «LA LEGGE STABILISCE che la dignità im-

periale appartiene esclusivamente alla linea di Haile Selassie I, nato dalla stirpe del re Sahla Selassie, discendente della dinastia di Menelik I, nato a sua volta dal re Salomone di Gerusalemme e dalla regina d’Etiopia, chiamata regina di Saba». L’articolo viene ripetuto in modo identico nella costituzione promulgata dal negus (titolo che viene dato ai sovrani etiopici) nel 1955, che è rimasta in vigore fino al rovesciamento della monarchia e la nascita della repubblica in seguito alla rivoluzione del 1974.

POLITEISMO NEL DESERTO Sotto, mano di rame offerta a una divinità della città sabea di Zafār. Il testo menziona l’offerente e il dio cui la mano è offerta in voto. II-III secoli d.C. British Museum, Londra.

Il fine ultimo della Gloria dei re è dimostrare come il carattere sacro della dinastia provenisse addirittura dall’unione tra la regina e Salomone, dalla quale sarebbe nato il primo monarca etiope della stirpe. Secondo il Kebra Nagast, la Regina del Sud (così viene citata anche nei Vangeli di Matteo 12:42 e di Luca 11:31), ovvero la regina d’Etiopia, venne un giorno a sapere da un commerciante di nome Tamrin che esisteva un regno governato da Salomone, famoso nel mondo per la ricchezza e la giustizia. Mossa dalla curiosità, la regina Makeda si recò a Gerusalemme, dove rimase affascinata dalla saggezza del sovrano biblico. A sua volta, il re s'invaghì della bellezza di Makeda e cercò di trattenerla a sé con uno stratagemma. Makeda fu così costretta a rimanere a Gerusalemme e a giacere con lui. Ne nacque un bambino, Menilek, riconosciuto da entrambi i genitori. I sacerdoti di Gerusalemme lo battezzarono con il nome di David e gli permisero sia di tornare in Etiopia come re sia di portare con sé l’Arca dell’Alleanza. Anche se forse non è mai

avvenuto l’incontro tra Salomone e la bella Regina del Sud, è probabile che la Bibbia abbia usato per i propri scopi l’esistenza e la fama del regno di Saba, sul quale possediamo molte notizie grazie a iscrizioni rinvenute nel sud dell’Arabia, alcune delle quali risalgono all’VIII secolo a.C. Grazie a queste, e ai ritrovamenti archeologici, possiamo oggi affermare che quella di Saba fu una cultura florida per quasi un millennio prima dell’arrivo dell’islam. I suoi abitanti dominavano buona parte dello Yemen e a lungo rimasero a capo di una coalizione cui aderivano altri popoli culturalmente simili, di Maı̄n, Qatabān e Hadramaut.

Il regno di Saba La prima menzione del regno di Saba risale all’VIII secolo a.C. e proviene da fonti assire. Qui la terra sabea è descritta come abitata da un popolo di mercanti «il cui luogo è molto lontano» e divenuta ricca grazie all’esportazione di spezie e incenso. Sappiamo che gli abitanti di Saba effettuarono alcune missioni diplomatiche e commerciali inviando

ALAMY / ACI

RMN-GRAND PALAIS

SCALA, FIRENZE


LE ROVINE DI MĀRIB

La fotografia corrisponde all’antica Mārib, situata a sud dell’attuale città omonima, e costruita sul sito, ben più remoto, della capitale di Saba.

HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

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AKG / ALBUM

IL REGNO DEI PROFUMI

Sotto, diffusore di incenso del territorio sabeo, lungo il quale passavano le rotte che portavano il prodotto fino al Vicino Oriente e al Mediterraneo. 300 a.C. circa. British Museum.

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regali e ambasciatori alla corte assira, allo scopo di stabilire o rinforzare le relazioni tra i due regni. Poiché i resoconti assomigliano a quelli che riguardano le missioni diplomatiche del regno d’Israele (tra i secoli IX-VIII a.C.) e di Giuda (IX e VI a.C), possiamo dedurre che pure gli autori della Bibbia ne fossero venuti a conoscenza. Nelle più antiche iscrizioni sabee, redatte in arabo meridionale con un alfabeto completamente diverso da quello arabo classico, si accenna alle figure dei re, che si tramandavano il potere per discendenza in linea materna. I sovrani chiamavano sé stessi “unificatori”, capi di una confederazione di popoli sui quali mantenevano l’egemonia politica e militare. La capitale del regno era l’imponente città di Mārib, situata in una fertile oasi al limite del deserto. La prima fioritura di tale cultura durò all’incirca fino al I millennio a.C., momento in cui il controllo delle vie dell’incenso passò in

FRANCISCO DEL RÍO SÁNCHEZ UNIVERSITÀ DI BARCELLONA

Per saperne di più

SAGGI

La regina di Saba Paola Gribaudo (a cura di). Electa, Milano, 2000. La regina di Saba Sandra Reberschak. Bompiani, Milano, 1995. ROMANZI

L’imperatrice del deserto Anne Lise Marstrand-JØrgensen. Sonzogno, Venezia, 2016.

ALAMY / ACI

STELE FUNERARIA SABEA CON L’IMMAGINE DI UN UOMO INTENTO AD ARARE. I-III SECOLI D.C. LOUVRE, PARIGI.

mano ad altri popoli del sud dell’Arabia. Da allora, a quanto risulta, i sabei mantennero solo delle colonie commerciali nel Corno d’Africa, nell’area che poi sarebbe divenuta l’Etiopia, mescolandosi così alle popolazioni locali. Più tardi, mille anni dopo Salomone, tra il I e il III secolo d.C., Saba riacquistò un ruolo predominante nel panorama politico ed economico dell’Arabia meridionale. Durante quel periodo i suoi sovrani stabilirono la capitale a Z.afār e si fregiarono del titolo di “re di Saba e di Raydan, di Hadramaut e dello Yemen”, per dimostrare che governavano su più popoli dell’Arabia meridionale. In realtà il titolo era conteso pure dai re di Himyar, un altro popolo dello Yemen con cui i sabei erano spesso in lotta e che divenne poi la potenza egemonica della regione. Come mille anni addietro, la prosperità di Saba risiedeva nella maestria nel gestire le risorse idriche e nel controllo delle rotte commerciali di spezie e incenso. Il collasso arrivò con la distruzione della grande diga di Mārib, costruita sette chilometri a nord della città, nel VI secolo d.C. Alcuni decenni più tardi, la conquista musulmana finì per oscurare il glorioso passato dei sabei. Tuttavia, il ricordo dell’antico splendore rimase nella leggenda, in cui sfolgorano le fastose ricchezze che una regina senza nome mise ai piedi del sovrano più saggio della terra – lui sì, con un nome. «Essa diede al re centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono mai tanti aromi quanti ne portò la regina di Saba a Salomone». Con queste parole il Primo libro dei re elevò il capo di un regno montagnoso e non molto esteso alla categoria di autorevole sovrano, che riceveva il riconoscimento dello stato più florido dell’Asia. E fu così che la sua immagine rimase consacrata per l’eternità.


SALOMONE E LA REGINA DI SABA

Nel XIX secolo, il pittore francese James Tissot, autore di numerose rievocazioni della Bibbia, ricostruì nel seguente modo l’incontro, avvenuto a Gerusalemme, tra Salomone e la regina dell’Arabia meridionale.


ALLA RICERCA DELLA REGINA Wendell Phillips era un archeologo e avventuriero nordamericano che riuscì a integrarsi nella società tribale dell’Arabia meridionale, e che poi diventò multimilionario grazie al commercio dell’olio. Nel biennio 1951-1952 poté far scavare le rovine di un antico tempio vicino a Mārib, la capitale dei sabei, che gli arabi chiamavano Haram Bilqis, «il santuario di Bilqis». Non trovò, però, nessun indizio che potesse dimostrare l’esistenza della regina di Saba o il legame tra il tempio e la sovrana. IL RE MA’ADKARIB. STATUA IN BRONZO DEL VI SECOLO A.C. OFFERTA AL DIO ALMAQAH NEL TEMPIO DI AWWĀM. NATIONAL MUSEUM OF YEMEN, SANA’A. A AKG /

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Wendell Phillips, il Lawrence d’Arabia statunitense Ad Awwām, Phillips trovò sia bellissime statue in metallo sia ulteriori elementi che dimostravano come in quel luogo si celebrassero rituali in onore del dio Almaqah. La foto mostra Phillips (a sinistra) con la sua più importante scoperta: la statua di Ma'adkarib. Vicino a lui, Frank P. Albright, dell'American Foundation for the Study of Man (AFSM), fondata dallo stesso Phillips. AFSM / GETTY IMAGES

AFSM / GETTY IMAGES


IL TEMPIO DI AWWĀM IN UNA FOTOGRAFIA SCATTATA DURANTE GLI SCAVI DI WENDELL PHILLIPS NELLA ZONA, 1951-1952.

STELE VOTIVA SABEA IN ALABASTRO DESTINATA AL DIO ALMAQAH. I SUOI MARGINI LATERALI SONO DECORATI CON FIGURE DI STAMBECCHI. 700 A.C. CIRCA AKG / ALBUM

SAUL LOEB

/ GETTY

IMAGES

Il tempio dei sabei Le iscrizioni ritrovate nel tempio di Awwām, com’è oggi conosciuto Haram Bilqis, risalgono almeno al VII secolo a.C. Il tempio, il maggiore della confederazione tribale sabea, era dedicato al dio solare Almaqah. I sabei si chiamavano "figli di Almaqah". A sinistra, diario degli scavi di Wendell Phillips con note sull’epigrafia sabea.


R O M A VA I N I T U R I S T I D E L L’A N T I C H I TÀ


VAC A N Z A Se andavano in Grecia o in Egitto, gli antichi romani non perdevano occasione di visitare i monumenti piĂš celebri. I piĂš facoltosi avevano anche delle ville marittime dove trascorrevano i mesi estivi con gli amici

VACANZE AL MARE

I ricchi romani amavano godersi il tempo libero in lussuose ville con vista sul golfo di Napoli, soprattutto nei periodi di calura estiva. Olio di Ettore Forti. XIX secolo. BRIDGEMAN / ACI


C R O N O LO G I A

Turisti e viaggiatori romani 75 a.C.

Mentre esercita come questore a Lilibeo (Sicilia), il giovane Cicerone visita l’isola e scopre la tomba di Archimede.

64 a.C. - 19 d.C.

Strabone scrive la Geografia, in cui racconta anche il suo viaggio in Egitto con il prefetto Elio Gallo.

I secolo d.C.

Plinio il Giovane descrive le piacevoli attività cui si dedica quando si ritira in una delle sue ville di campagna.

117 - 138 d.C.

L’imperatore Adriano trascorre gran parte del suo regno viaggiando per l’impero, con una particolare predilezione per la Grecia.

160 - 180 d.C. circa

Nella sua Guida della Grecia in dieci volumi Pausania descrive le località e i monumenti che reputa degni di interesse.

ALCUNI VIAGGIATORI ALLOGGIANO IN UNA MANSIO O STAZIONE DI POSTA. RILIEVO. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA. DEA / ALBUM

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UNA DESTINAZIONE ALLETTANTE

Pompei (sopra) era una fiorente località. Molti facoltosi romani possedevano ville di lusso all’interno della cittadina ai piedi del Vesuvio, o nei dintorni.

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Roma si possono forse rintracciare le origini di un’usanza praticata oggigiorno da milioni di persone: il turismo. Se infatti viaggiare era un’attività comune tra gli antichi romani, che si spostavano per i motivi più svariati (commerciali, professionali, familiari, personali, religiosi, intellettuali o militari), c’era anche chi viaggiava per puro piacere, soprattutto tra le classi agiate. Lo stesso termine turismo viene dal francese tour, che a sua volta rimanda al latino tornare (“girare”) e contiene implicitamente l’idea di un viaggio con un rientro, non diversamente dalle ferie estive dei nostri giorni. I nobili romani distinguevano tra il negotium, il tempo dedicato alle faccende e agli impegni quotidiani, e l’otium. Quest’ultimo era il periodo di riposo, in cui si allontanavano dal caos urbano per rifugiarsi in una delle numerose ville marittime ai piedi del Vesuvio o per esplorare i monumenti delle


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TABULA PEUTINGERIANA. FRAMMENTO RAFFIGURANTE LA CITTÀ DI ROMA. ÖSTERREICHISCHE NATIONALBIBLIOTHEK, VIENNA.

HENRYK SADURA / AGE FOTOSTOCK

UNA CARTA STRADALE

province orientali, soprattutto nel caso degli ufficiali e degli amministratori che lavoravano in quelle regioni.

Il desiderio di conoscere il mondo

scultorei più famosi del passato. Erano diffuse soprattutto quelle della Grecia, ma ce n’erano anche dell’Asia Minore o dell’Italia meridionale. Rispetto alle guide di viaggio di oggi le periegesi potrebbero essere definite dei trattati storico-artistici che informavano i lettori in merito alle usanze specifiche di una determinata zona e descrivevano i principali complessi religiosi e le rispettive feste e tradizioni. Plinio il Vecchio riferiva che i suoi contemporanei adoravano letture di questo tipo, in particolare quelle su Egitto, Grecia e Asia. Seneca, dal canto suo, amava uscire dalla città, perché questo gli permetteva di conoscere persone nuove e scoprire meraviglie naturali prima sconosciute, specialmente i fiumi (un elemento naturale,

TRASPORTI ROMANI

Sotto, replica di una carruca, carrozza a quattro ruote, coperta e trainata da due o quattro cavalli. RömischGermanisches Museum, Colonia.

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I romani non erano immuni al fascino irresistibile del viaggio. Non a caso nel corso del II e III secolo d.C. si diffusero i racconti di avventure esotiche (come Leucippe e Clitofonte, Le efesiache e Le etiopiche), grazie ai quali i lettori potevano immedesimarsi nelle giovani coppie di innamorati che si ritrovavano al termine di varie peripezie tra tribù etiopi, pirati greci e despoti orientali. Achille Tazio, Senofonte Efesio ed Eliodoro di Emesa sono alcuni dei nomi di questi “Salgari dell’antichità classica”, che sapevano trasportare il loro pubblico in località remote con la semplice forza dell’immaginazione. I bibliofili più colti potevano sfogliare anche i volumi delle periegesi, le narrazioni descrittive dei monumenti architettonici e

LA TABULA PEUTINGERIANA è l’unica mappa conosciuta che mostra la rete di vie dell’impero romano, del Vicino Oriente e dell’Asia fino all’India e allo Sri Lanka. Composta da undici pergamene, è una copia del XIII secolo circa di un originale risalente probabilmente al IV secolo d.C. ed è conservata nell’ex biblioteca delle carte imperiali di Vienna.

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IL MOSAICO DEL NILO

L’Egitto era una delle mete turistiche preferite dai romani. Questo frammento del famoso Mosaico del Nilo, del I secolo a.C., mostra un gruppo di persone che bevono lungo il fiume. Galleria nazionale d’arte antica. Colonna Barberini, Palestrina.

DEA / ALBUM

spesso divinizzato, che esercitava un grande fascino sugli antichi), tra i quali citava il Tigri, il Nilo e il Meandro. Insomma, sono gli stessi autori greco-romani a fornirci informazioni sulle principali destinazioni turistiche dell’epoca e sui punti di interesse artistico e naturalistico presenti in questi luoghi.

Attraverso la Grecia Alcune regioni esercitavano un’attrazione particolare sui viaggiatori grazie al loro patrimonio culturale. L’Ellade e le province asiatiche evocavano reminiscenze delle tragedie classiche e dei poemi omerici. A Pilo si venerava il sepolcro di Nestore; ad Atene la tomba di Edipo; Oreste riposava a Sparta, mentre Agamennone e Ifigenia giacevano a Micene. A Troia, cui 58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

L’EGITTO DIVENTA DI MODA

Questo vaso in ossidiana con intarsi di lapislazzuli, malachite e oro è un buon esempio della passione per le antichità egizie che si diffuse nella Roma imperiale. Museo archeologico nazionale, Napoli.

D E A / A L B UM

i romani erano particolarmente legati per le origini del loro eroe Enea, si potevano ancora intuire le tracce dell’accampamento degli assedianti achei o dell’altare di Zeus, dove il re troiano Priamo aveva perso la vita per mano di Neottolemo. Ciononostante la località era famosa soprattutto per le presunte tombe degli eroi omerici, come Ettore o lo stesso Achille, cui si recarono a rendere omaggio Giulio Cesare e alcuni dei suoi successori, come Adriano, Caracalla, Diocleziano e Costantino. Tra le tappe obbligate di un viaggio in Grecia c’erano destinazioni quali Corinto, Epidauro, Delfi, Sparta o Olimpia. In queste località si svolgevano importanti feste e giochi sportivi, che rappresentavano anche il momento migliore per una visita. Altre città erano famose per i loro monumenti locali: a Rodi, per


TURISMO CULTURALE CICERONE APPROFITTÒ del periodo in cui fu questore di Lilibeo (in Sicilia) per dedicarsi al turismo. Qui scoprì la tomba di Archimede, come racconta lui stesso nelle Tusculanae disputationes: «Mentre passavo in rassegna con lo sguardo tutti i monumenti […] notai una colonnina che poco sporgeva dai cespugli, sulla quale si trovava la figura di una sfera e di un cilindro. E io subito ai siracusani […] dissi di ritenere che fosse proprio ciò che cercavo».

esempio, c’erano i resti del Colosso, la cui massa bronzea di 33 metri di altezza raffigurante il dio Helios era crollata durante il terremoto del 226 a.C. I visitatori si divertivano a esplorare i frammenti dei suoi enormi arti, trasformati in grotte artificiali, o a cercare di cingere il pollice della statua con le braccia, un compito che Plinio il Vecchio riteneva impossibile.

Appassionati d’Egitto Ma la terra che più meraviglia suscitava nel turista romano era l’Egitto. La stranezza dei riti religiosi e della scrittura geroglifica disorientavano e al contempo affascinavano i visitatori. Anche i monumenti provocavano stupore e sconcerto, che si trattasse delle piramidi di Giza o delle tombe sotterranee della Valle dei Re, sulle cui pareti sono ancora visibili i segni del passaggio di centinaia di viaggiatori che vi hanno inciso nomi, date, brevi biografie, poesie e opinioni. Sappiamo per esempio che un certo

Isidoro, originario di Alessandria, studiò legge ad Atene, che il centurione Januarius visitò le cripte con la figlia Januarina e che Antonio trovò la valle quasi altrettanto stupefacente di Roma. Circa la metà delle incisioni è stata rinvenuta nella tomba di Ramses VI, in passato ritenuta il sepolcro di Platone e per questo meta di pellegrinaggio dei filosofi neoplatonici, che vi entravano con la riverenza di chi visita un tempio. Molti di questi graffiti non sono altro che i commenti lasciati dai turisti. «Non mi è piaciuto affatto, se non per il sarcofago», scrisse qualcuno. Un avvocato di nome Bourichios era seccato perché non comprendeva i geroglifici: «Di questa scrittura non si capisce niente!», scrisse. Un altro monumento egizio di particolare richiamo era la coppia di sculture sedute di Amenofi III conservate nel suo tempio funerario, nei pressi di Luxor. Greci e romani le ribattez-

IL SACRO UCCELLO IBIS

Plutarco menziona nei suoi scritti il culto che gli egizi riservavano a questo uccello, animale sacro del dio della scrittura Toth. Scultura del periodo tolemaico.

ERICH LESSING / ALBUM

CICERONE DAVANTI ALLA TOMBA DI ARCHIMEDE. OLIO DI PAOLO BARBOTTI. XIX SECOLO. MUSEI CIVICI, PAVIA.

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I COLOSSI DI MEMNONE

Sulle basi di queste statue, che si ergevano all’ingresso del tempio funerario di Amenofi III sulla riva occidentale del Nilo, ci sono almeno 90 iscrizioni lasciate dai viaggiatori romani a testimonianza della loro visita. JOHANNA HUBER / FOTOTECA 9X12

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RICOSTRUZIONE DEL GOLFO DI PUTEOLI (ODIERNA POZZUOLI), IN PROVINCIA DI NAPOLI. BAIA SI TROVA NEI PRESSI DI CAPO MISENO.

VACANZIERI FUORI CONTROLLO

B ACQU ERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

aia era per i romani sinonimo di caos estivo e turismo di massa. Le locande, le ville e le strutture termali della cittadina campana non godevano di buona reputazione. Ovidio riferisce quanto fosse facile «andare a caccia» di donne sole e vedove. Seneca racconta di persone ubriache in spiaggia, orge e chiatte che attraversavano il lago Lucrino ospitando ogni sorta di dissolutezza. Le grida e i canti si intensificavano al calar della notte, tanto in riva al mare quanto nelle innumerevoli osterie. Il poeta Marziale sottolinea che anche una matrona esemplare come la fedele Penelope avrebbe lasciato Baia trasformata in Elena di Troia. Marco Terenzio Varrone dice: «Non solo le ragazze diventavano pubbliche prostitute, ma persino uomini anziani si comportavano da efebi».

zarono subito “colossi di Memnone”, ritenendo che una delle statue raffigurasse il re etiope alleato dei troiani. Al mattino, quando la brezza soffiava attraverso le crepe provocate dal terremoto, le statue emettevano un suono curioso, in cui molti credevano di riconoscere la musica di una lira, oppure un fischio o un pianto. C’era anche chi ingaggiava scalpellini locali per fare incidere sul colosso i propri componimenti, come un poeta lirico di nome Paeone che scrisse dei versi in onore del suo mecenate Mezio Rufo, o la poeta Giulia Balbilla, che viaggiava al seguito della moglie dell’imperatore Adriano, Vibia Sabina.

Lavoro e piacere Anche chi era all’estero per svolgere missioni belliche o diplomatiche trovava il tempo per fare turismo. È il caso di Lucio Emilio Paolo, che dopo la vittoria di Pidna nel 168 a.C. e lo smembramento del vecchio regno ellenistico di Macedonia andò a ren-

dere omaggio alla dea Atena sull’Acropoli, ad Apollo presso il santuario di Delfi, ad Asclepio nel recinto sacro di Epidauro e, naturalmente, a Zeus nel tempio di Olimpia a lui dedicato. Ma non trascurò nemmeno altre località emblematiche come Aulide, in Beozia, da dove era salpata la spedizione greca contro Troia guidata da Agamennone, o l’istmo di Corinto, sede dei famosi giochi. Alcuni anni più tardi il senatore Lucio Memmio trovò il modo di coniugare ozio e impegni lavorativi nel corso di una visita alla città egiziana di Arsinoe, l’anti-

SPORT E DIVERTIMENTO

Le donne e gli uomini romani amavano praticare attività fisiche, come testimonia questo mosaico della villa romana di Casale (Sicilia), dove alcune giovani fanno ginnastica. DAGLI ORTI / AURIMAGES



FESTE POPOLARI

A Baia i romani agiati si dedicavano a tutta una serie di attività che per gli stoici, come il filosofo Seneca, erano ripugnanti: «Non ho nessuna voglia di vedere ubriachi vagare lungo le spiagge, feste di beoni sulle barche, i laghi risuonanti di concerti e altri eccessi di questo genere». La festa di Nettuno, olio di Ettore Forti. XIX secolo. BRIDGEMAN / ACI


ISTOCK / GETTY IMAGES

ca Crocodilopoli. Memmio fu accolto con tutte le attenzioni da un funzionario del re La Grecia era una Tolomeo IX, tale Asclepiade, che durante delle destinazioni la sua permanenza non gli fece mancare preferite dei romani, nulla: gli organizzò una visita al labirinto (il che seguivano le orme di Omero e dei complesso funerario collegato alla piramide grandi filosofi. Sopra, del faraone Amenemhat III) e gli procurò i il tempio di Poseidone tipici panetti che i turisti davano in pasto a capo Sunio. ai rettili da cui la città prendeva nome, e in particolare al più importante fra questi: il UNA COPPIA SI BACIA DURANTE UN BANCHETTO. AFFRESCO coccodrillo che inPOMPEIANO DEL I SECOLO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI. carnava il dio Sobek. Il geografo Strabone racconta che questo enorme animale trangugiava la frutta, i biscotti e il vino che i visitatori gli gettavano passando. Ma non c’era bisogno di andare dall’altra parte del MediIL TEMPIO DI POSEIDONE

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terraneo per godersi una bella vacanza. A partire dall’epoca repubblicana molti patrizi romani cominciarono a dotarsi di una o più ville al mare o in campagna, dove si ritiravano quando volevano sottrarsi agli impegni quotidiani e dedicarsi a un otium completo.

Case di villeggiatura La zona preferita per le ville marittime era la Campania, che ospitava località emblematiche come Pompei, Ercolano e Stabia. La regione era facilmente raggiungibile da Roma e aveva un clima mite e spiagge attraenti che ne facevano un centro turistico privilegiato. Ben lo comprese all’inizio del I secolo a.C. l’imprenditore Caio Sergio Orata, che ristrutturava le ville del golfo di Napoli per poi venderle a caro prezzo ai senatori. Sulle spiagge campane il tempo trascorreva sereno, tra «le gozzoviglie, i canti, i concerti, le gite in barca», secondo le parole di Cicerone. Plinio il Giovane descrive le occupazioni estive cui si dedicava nelle sue ville:


DEA / ALBUM

VILLE CON GIARDINO I PALAZZI URBANI o rurali dei ricchi romani ospitavano magnifici giardini privati. Uno degli elementi protagonisti di queste vere e proprie oasi di pace era l’acqua, presente in fontane, laghetti o ruscelli. C’era anche una grande varietà di piante e uccelli, come per esempio colombe e pavoni, così come sculture ed elementi architettonici.

la meditazione, la lettura, i massaggi, il bagno, la musica, la pesca e le gite a cavallo. Se era in compagnia di qualche altro vacanziere delle case adiacenti, il passatempo prediletto era la caccia. Nel IV secolo d.C. l’oratore Quinto Aurelio Simmaco, proprietario di decine di abitazioni, trascorreva il tempo con i suoi amici Macedonio e Attalo chiacchierando, leggendo e dedicandosi anche lui alla caccia, uno svago che tra gli aristocratici andava per la maggiore. Tra i nobili poi erano all’ordine del giorno i banchetti, spesso allietati da spettacoli di musica, teatro, danza o esibizioni che oggi si definirebbero circensi. Ummidia Quadratilla, illustre nobildonna vissuta circa duemila anni fa, disponeva di una compagnia di pantomimi, funamboli e ballerini che animava le sue serate. L’archeologia è riuscita a conservare vari esempi di queste lussuose abitazioni, spesso circondate da ampi giardini e ninfei, decorate con pitture e gruppi di sculture in marmo e in bronzo d’ispirazione greca, e dotate di

biblioteche come quella della villa dei Papiri a Ercolano. Molte di queste residenze erano immense, come la villa del Pastore a Stabia, con i suoi quasi 19mila metri quadrati, o la vicina villa Arianna, approssimativamente di 13mila metri quadrati. In questi sontuosi ambienti di rappresentanza sociale, il patrizio romano poteva dedicarsi al riposo spirituale e al divertimento intellettuale come un raffinato sovrano ellenistico nel suo palazzo.

IL PIACERE DELLA NATURA

Stormi di gazze e colombe svolazzano e si posano sugli alberi e le fontane in questo affresco di un rigoglioso giardino romano che decorava il triclinio della villa del Bracciale d’oro, a Pompei.

JORGE GARCÍA SÁNCHEZ UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID

Per saperne di più

TESTI

Guida della Grecia. Pausania. Mondadori, Milano, 1982. SAGGI

Le ville marittime romane Lucio Esposito. Con-fine, Monghidoro (BO), 2017. INTERNET

Tabula peutingeriana www.omnesviae.org Storia delle vacanze www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/ laser/Storia-delle-vacanze1-9240145.html

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LE VILLE MARITTIME DEI

Gli affreschi di Pompei mostrano le diverse tipologie di ville in cui i romani

CASA SUL MARE. AFFRESCO PROVENIENTE DA VILLA SAN MARCO. ANTIQUARIUM STABIANO, CASTELLAMMARE DI STABIA.

U N A V I L L A I N R I VA A L M A R E Nella sua opera Immagini il filosofo Filostrato Maggiore descrive così il lusso di una villa affacciata sul golfo di Napoli: «Vivevamo fuori dalle mura, in un quartiere residenziale di fronte al mare; c’era un portico orientato verso lo zefiro [un vento proveniente da ovest], di quattro o cinque piani, con vista sul Tirreno. Ospitava varie sculture di marmo, che conferivano splendore all’edificio, ma il fiore all’occhiello erano i dipinti […] collezionati con gran gusto, che dimostravano il talento dei loro esecutori».

VILLA LAURENTINA. DISEGNO DELLA CASA DI PLINIO IL GIOVANE. KARL FRIEDRICH SCHINKEL. 1833-1834. STAATLICHE MUSEEN, BERLINO.


PATRIZI ROMANI agiati cercavano tranquillità e svago

VILLE DI VARI PIANI. AFFRESCO DEL TABLINUM DELLA CASA DI MARCO LUCREZIO FRONTONE A POMPEI.

FOTO: DEA / ALBUM

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L A V I L L A L AU R E N T I N A D I P L I N I O I L G I OVA N E Nelle sue Lettere Plinio il Giovane descrive così la sua villa a Laurento: «Sul davanti vi è un atrio semplice […] cui segue un portico che in forma di una D racchiude una corte, piccola ma graziosa. L’insieme offre un eccellente ricovero per il cattivo tempo, giacché è protetto dalle vetrate e soprattutto dalle grondaie dei tetti […] Tutt’intorno la sala ha delle porte, o delle finestre non meno grandi delle porte, e così lungo i lati e di fronte essa sembra affacciarsi su tre mari […]».


BATTAGLIA DI HASTINGS

Il 14 ottobre 1066 l’esercito di Guglielmo di Normandia sconfisse ad Hastings le truppe di Aroldo d’Inghilterra. Questo dipinto a olio dell’illustratore a loro contemporaneo Tom Lovell ricostruisce l’episodio bellico che segnò la fine della dinastia sassone. NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE / ALAMY / ACI

HASTINGS N O R M A N N I CONTRO S A S S O N I

Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia invase l’Inghilterra e rovesciò la dinastia sassone che governava il Paese. Qualche anno dopo fu realizzato un arazzo lungo quasi 70 metri le cui immagini raccontano la storia della vittoria normanna nella battaglia di Hastings



L’ABBAZIA DI BATTLE

Guglielmo I fece costruire quest’abbazia sul luogo della battaglia di Hastings. L’altare maggiore è situato nel punto esatto in cui morì re Aroldo.

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il Confessore, suo cugino, morto all’inizio dello stesso anno. A succedere al sovrano inglese era stato invece il cognato Aroldo, che si era proclamato re il 6 gennaio. Aroldo tentò di respingere l’invasore nello scontro di Hastings, ma per le sue truppe fu una disfatta. In poche settimane Guglielmo assunse il controllo del Paese e stabilì una solida monarchia dominata dalla nobiltà di origine normanna.

Un’opera di propaganda Esiste una fonte eccezionale di informazioni su questo evento epocale: un arazzo conservato presso il museo di Bayeux. Si tratta in realtà di un tessuto ricamato che venne elaborato nel decennio successivo alla battaglia per commemorare l’episodio. Questo capolavoro dell’arte medievale è stato attribuito all’arcivescovo Oddone di Bayeux, fratellastro di Guglielmo, che avrebbe commissionato il tessuto agli artigiani inglesi di Canterbury. A favore di questa teoria c’è il fatto che il primo riferimento scritto all’esistenza dell’arazzo si trova in un inventario dei beni della cattedrale di Bayeux redatto nel 1476. Inoltre il prelato compare in diver-

se scene, non solo in qualità di sacerdote ma anche di guerriero. Probabilmente l’opera fu realizzata in occasione della consacrazione della cattedrale, avvenuta nel 1077. Secondo un’altra ipotesi, la tela sarebbe stata esposta in vari luoghi della Normandia e dell’Inghilterra a scopo propagandistico, per poi concludere il suo viaggio a Bayeux. Una teoria più recente afferma che sarebbe stato lo stesso Guglielmo a commissionarne l’esecuzione al monastero normanno di Saint-Florent, presso il castello di Saumur. In ogni caso, una volta arrivato a Bayeux l’arazzo fu collocato nella navata centrale della cattedrale, a un’altezza dove fosse ben visibile durante la festa delle reliquie che si celebrava il primo luglio. Le reliquie svolgono una funzione molto importante nelle vicende narrate dall’arazzo. Con i suoi circa 70 metri di lunghezza per 0,50 di larghezza, il ricamo rappresenta la conquista dell’Inghilterra da parte dei normanni in 58 scene successive che compongono una sorta di film. Ogni immagine è accompagnata da brevi testi in latino che descrivono l’evento e i personaggi coinvolti. Paradossalmente il vero protagonista non è Guglielmo il Conquistatore, ma

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l 14 ottobre 1066 si svolse ad Hastings, una cittadina sulle sponde della Manica, una delle battaglie più importanti della storia inglese. Due settimane prima il duca Guglielmo di Normandia era sbarcato nel Sussex alla testa del suo esercito, che annoverava tra i quattro e i settemila uomini. Il suo obiettivo era il trono d’Inghilterra, che riteneva gli spettasse in quanto erede del re Edoardo

B

GUGLIELMO IL CONQUISTATORE

Guglielmo di Normandia s’impadronì dell’Inghilterra all’età di 38 anni e morì nel 1087, a 59 anni. Qui sopra, una moneta d’argento con la sua effigie.

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RIVALI PER IL TRONO

1064

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1077

Il re d’Inghilterra Edoardo il Confessore nomina suo erede Guglielmo di Normandia.

Il giorno dopo la morte di Edoardo, suo cognato Aroldo viene proclamato re d’Inghilterra.

Guglielmo sconfigge Aroldo ad Hastings e diventa il nuovo sovrano inglese.

L’arazzo che racconta la battaglia viene esposto durante la consacrazione della cattedrale di Bayeux.

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Aroldo di Inghilterra Guglielmo di Normandia

ITINERARIO DEI DUE ESERCITI VERSO HASTINGS.

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LA CATTEDRALE DI BAYEUX

L’arazzo commemorativo era destinato a decorare le pareti di questa cattedrale normanna, consacrata nel 1077.


BENOÎT TOUCHARD / RMN-GRAND PALAIS

Aroldo, lo sconfitto, che appare molto più frequentemente nell’opera. La storia inizia nel 1064: non avendo eredi, re Edoardo incarica suo cognato Aroldo di recarsi in Normandia per nominare il duca Guglielmo suo legittimo successore. Il viaggio è un susseguirsi di peripezie. Inizialmente Aroldo sbarca sulle coste controllate dal duca Guido di Ponthieu, che lo fa prigioniero e poi lo rilascia su ordine di Guglielmo. Quest’ultimo lo accoglie a braccia aperte e lo invita a unirsi a una spedizione contro i bretoni. Aroldo si dimostra un guerriero valoroso e salva anche dei soldati dalle pericolose sabbie mobili che circondano Mont Saint-Michel, conquistandosi la stima di Guglielmo. Poi giura solennemente sulle reliquie della cattedrale di Bayeux che sosterrà la successione del duca normanno al trono d’Inghilterra. Ma a partire da questa scena il buon cavaliere sassone mostra il suo vero volto e alla morte di Edoardo si proclama re. La reazione di Guglielmo non tarda ad arrivare: il duca prepara la spedizione contro l’Inghilterra, attraversa la Manica e affronta nella battaglia di Hastings l’usurpatore, che viene ucciso per aver infranto il giuramento.

L’ARAZZO IN CIFRE L’ARAZZO DI BAYEUX è un tessuto di lino ricamato lungo 68,38 metri, composto da nove pezzi di dimensioni comprese tra i 2,43 e i 13,90 metri. La parte centrale della tela è larga 33 centimetri e rappresenta il conflitto per la successione. Il bordo inferiore e quello superiore, di sette centimetri ciascuno, sono decorati con motivi differenti. Il ricamo è stato realizzato con un filo di lana di nove colori diversi.

RICCARDO SPILA / FOTOTECA 9X12

La vita quotidiana nell’XI secolo L’arazzo fornisce informazioni sulla storia della conquista che non compaiono nelle cronache. Costituisce anche un documento di grande importanza per conoscere la vita quotidiana dell’XI secolo: mostra i personaggi vestiti con gli abiti dell’epoca, intenti a partecipare alle attività proprie della nobiltà – come la caccia, i ricevimenti, i banchetti, un’incoronazione o una sepoltura –, spesso nella cornice di edifici stilizzati. Alcune sezioni del tessuto raffigurano la vita della gente umile, che lavora nei campi o serve nei palazzi. Le scene in mare o negli arsenali illustrano alcuni aspetti della navigazione e della costruzione di imbarcazioni. Le donne sono poco rappresentate e sempre nei limiti dei ruoli propri dell’epoca. Nell’opera compaiono solo tre figure femminili: una è probabilmente la figlia di Guglielmo, destinata ad andare in sposa ad Aroldo per rafforzare

i legami tra le due casate; poi Edith, moglie di Edoardo e sorella di Aroldo, appare nella scena della morte del sovrano; e una donna anonima fugge con il figlio da una casa in fiamme, a simboleggiare le vittime di guerra. Gli aspetti bellici hanno una certa rilevanza nell’arazzo: sono raffigurati assedi, accampamenti e tattiche di combattimento della cavalleria normanna e della fanteria pesante inglese. Il tessuto continua a stimolare ancor oggi nuovi studi, che ne evidenziano lo status di testimonianza storica senza precedenti.

LA REGINA ALL’OPERA

Secondo una tradizione la moglie di Guglielmo I, Matilde di Fiandra, avrebbe ricamato l’arazzo con le proprie mani. Olio di Alfred Guillard. Bayeux Museum.

FERNANDO LILLO REDONET FILOLOGO CLASSICO E SCRITTORE

Per saperne di più

SAGGI

Hastings. 14 ottobre 1066. Storia di una battaglia Antonio Montesanti. Ginevra Bentivoglio EditoriA, Roma, 2015. INTERNET

www.bayeuxmuseum.com

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UNA CRONAC A VISIVA Le pagine seguenti mostrano alcune delle scene centrali dell’arazzo di Bayeux, 1

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Aroldo e i suoi uomini cavalcano verso Bosham nel suo palazzo di londra, il sovrano d’Inghilterra Edoardo discute con Aroldo 1, che nell’immagine dell’arazzo appare in compagnia di un altro personaggio che non è stato identificato, e gli ordina di recarsi dal duca Guglielmo di Normandia per nominarlo successore al trono inglese.

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La scena seguente illustra il viaggio di Aroldo verso Bosham, sulla costa inglese. Da quella località attraverserà la Manica per raggiungere Guglielmo. Preceduto da una muta di cani, Aroldo ha un falco sull’avambraccio destro 2 ed è in sella a un cavallo nero seguito da vari cavalieri 3.


DELL’INVASIONE scelte tra le quasi sessanta che compongono l’intera storia 2

FOTO: JEAN GOURBEIX, SIMON GUILLOT / RMN-GRAND PALAIS

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Guglielmo riceve Aroldo nel suo palazzo il duca Guglielmo 4 precede Aroldo, che lo segue con il falco sulla mano. Un uomo accoglie i viaggiatori presso la torre d’ingresso. All’interno del palazzo, Aroldo discute animatamente con il duca Guglielmo 5, che siede in trono con la spada in mano ed è accompagnato da un consigliere.

Nella sequenza successiva un ecclesiastico con la caratteristica tonsura tocca sulla guancia una donna 6 situata tra due colonne sormontate da teste di animali. La scena è poco chiara; l’interpretazione comunemente accettata è che si tratti della promessa di matrimonio tra Aroldo e la figlia di Guglielmo, Aelfgyva.

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1 1

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Il giuramento e il ritorno di Aroldo aroldo presta giuramento vassallatico al duca Guglielmo nella cattedrale di Bayeux, su due reliquiari 1 e davanti a vari testimoni. Questa è la scena centrale dell’arazzo ed è il punto di svolta nell’atteggiamento di Aroldo, che fino a quel momento si è comportato nobilmente ma poi non onorerà la parola

data. L’imbarcazione con la vela spiegata 2 conduce Aroldo verso le coste inglesi. Da una torre di guardia un uomo osserva la nave mentre altre quattro persone contemplano da alcune finestrelle 3 il ritorno di Aroldo, che al suo arrivo si recherà presso la corte di re Edoardo a Londra.

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FOTO: JEAN GOURBEIX, SIMON GUILLOT / RMN-GRAND PALAIS

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Incoronazione di Aroldo e passaggio della cometa dopo la morte di re edoardo in una scena precedente, Aroldo viene meno al giuramento fatto al sovrano inglese e al duca di Normandia e si proclama re d’Inghilterra, seduto in trono con la corona in testa e gli attributi reali in mano 4. Gli viene anche offerta la spada, simbolo del potere regio.

L’incoronazione di Aroldo è seguita da un evento straordinario che viene interpretato come un cattivo auspicio: il passaggio in cielo di una cometa 5, osservata con ammirazione da un gruppo di persone 6. Alcuni commentatori identificano il corpo celeste con la cometa di Halley.

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Il duca Guglielmo attraversa il canale informato del tradimento di aroldo, il duca Guglielmo decide di invadere l’Inghilterra. Dopo la presentazione dei preparativi per l’invasione e dell’organizzazione dell’esercito normanno, c’è una scena di grande movimento, dove il duca si dirige verso le navi in sella a un destriero nero 1 seguito

da quattro cavalieri. Diverse navi cariche di uomini e cavalli 2 affrontano la traversata, accompagnate da altre 3 più piccole sullo sfondo che creano un effetto prospettico. Il duca è a bordo di un «grande vascello», come dice la scritta in latino, in una sezione successiva dell’arazzo.

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FOTO: JEAN GOURBEIX, SIMON GUILLOT / RMN-GRAND PALAIS

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La battaglia di Hastings viene qui rappresentato uno dei momenti più feroci della battaglia: «Caddero inglesi e franchi», dice l’arazzo. I due eserciti sono armati in modo simile: lunga cotta di maglia ed elmo conico con protezione nasale. Sulla sinistra un inglese armato di ascia affronta un cavaliere normanno con lancia e scudo 4. Al

centro c’è un altro scontro analogo 5, seguito da una scena molto vivace con una vista laterale dei cavalli normanni 6 . La fanteria inglese si difende su una collina dalla carica della cavalleria normanna 7 . Nella frangia inferiore sono rappresentati i cadaveri di uomini e cavalli 8.

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Il vescovo, il duca e i cavalieri franchi in un momento di debolezza delle truppe normanne, il vescovo Oddone 1 incoraggia i soldati piÚ giovani che stanno fuggendo dallo scontro 2. Con l’obiettivo di porre fine alle voci sulla sua morte, il duca Guglielmo con il bastone di comando in mano solleva l’elmo per farsi riconoscere dai suoi uomini, uno dei

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quali lo indica 3. Rincuorati dalla figura del loro comandante, i soldati franchi si lanciano in una carica decisiva contro la fanteria inglese, alla caccia dell’autoproclamato re, Aroldo 4. Nella frangia inferiore si possono vedere gli arcieri normanni 5 e i corpi mutilati dei combattenti 6.


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La morte di Aroldo aroldo cade colpito da una freccia in un occhio. Secondo alcuni commentatori la rappresentazione della sua morte è suddivisa in tre momenti: l’impatto del dardo 7, la caduta di Aroldo da cavallo 8 e il suo cadavere a terra 9 . Ormai privo del suo comandante, l’esercito sassone si ritrova allo sbando.

I normanni inseguono i fuggitivi inglesi . Nella frangia inferiore appaiono immagini di spoliazione dei nemici uccisi in combattimento . Probabilmente l’arazzo terminava con altre due scene che non si sono conservate, una delle quali rappresentava l’incoronazione di Guglielmo.


LA CUPOLA DEL DUOMO

La grande cupola che sovrasta la cattedrale di Santa Maria del Fiore si erge maestosa su Firenze. Con i suoi circa 55 metri di diametro è ancor oggi la più grande del mondo. SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12


GIOIELLO DEL RINASCIMENTO

IL DUOMO DI FIRENZE Simbolo del potere e della prosperità della città toscana, la cattedrale di Santa Maria del Fiore stupì il mondo con la gigantesca cupola progettata da Filippo Brunelleschi


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RITRATTO DI FILIPPO BRUNELLESCHI IN UN RILIEVO CONSERVATO ALL’INTERNO DELLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA DEL FIORE. 84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ALINARI ARCHIVES / GETTY IMAGES

hi mai sì duro o sì invido non lodasse Pippo architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname […]?». A quasi sei secoli di distanza non è ancora svanita l’ammirazione che nel 1436 Leon Battista Alberti esprimeva di fronte all’opera di Filippo Brunelleschi – Pippo per i suoi concittadini. Per dimensioni, purezza delle linee e sorprendente ingegnosità dei suoi creatori la cattedrale di Santa Maria del Fiore è senz’ombra di dubbio una delle grandi imprese dell’architettura e dell’ingegneria rinascimentali. La costruzione prese avvio nel 1296 e durò 175 anni. Il primo capomastro fu Arnolfo di Cambio, un architetto la cui opera s’inserisce nell’ambito del gotico italiano, una versione “temperata” del gotico diffuso in altre parti d’Europa. Dopo la sua morte, avvenuta tra il 1302 e il 1310, i lavori subirono una battuta d’arresto. Nel 1330 l’istituzione incaricata del cantiere, l’Opera del duomo, passò sotto la direzione dell’Arte della lana, una delle corporazioni più potenti della vita politica fiorentina, che finanziò la ripresa dei lavori. Da quel momento diversi architetti si succedettero nel ruolo di capomastro. Tra questi Andrea Pisano, che nel 1337 intraprese l’edificazione del campanile secondo il progetto originale di Giotto di Bondone. Nel 1348 i lavori s’interruppero di nuovo a causa della grande


LA PERLA DI FIRENZE

In questa veduta aerea di Firenze spicca la grande cupola della cattedrale, con i suoi 114 metri di altezza. La facciata dell’edificio è orientata verso il battistero e alla sua destra si erge il campanile di Giotto, alto 84,70 metri.


epidemia di peste, che colpì molto duramente Firenze. Nonostante gli sforzi per importare manodopera straniera, nel 1355 erano state terminate solo le pareti laterali e una parte della facciata principale. In quell’anno Francesco Talenti, al quale nel frattempo era stata affidata la direzione dei lavori, propose un ampliamento delle dimensioni originali della navata principale. Tale progetto fu approvato due anni dopo.

Modello persiano

Nel 1418, una volta conclusi i lavori del tamburo, fu indetto un concorso per la costruzione della cupola che fu vinto da Filippo Brunelleschi 86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PIETRO CANALI / FOTOTECA 9X12

Nel 1359 Talenti cedette il passo a Giovanni di Lapo Ghini, che si trovò di fronte al problema di elaborare una cupola adatta a ricoprire la crociera disegnata da Di Cambio. Ghini propose una soluzione in stile gotico tradizionale, con pareti sottili sorrette esternamente da una nervatura di contrafforti. L’architetto fiorentino Neri di Fioravanti presentò invece un progetto che si distingueva dai modelli utilizzati in Europa settentrionale in quanto era privo di sostegni esterni. La struttura da lui immaginata si reggeva tramite l’utilizzo di anelli in pietra e legno, che come i cerchi in ferro delle botti avrebbero impedito alla cupola di cedere alla spinta laterale. A differenza della proposta più tradizionale di Giovanni di Lapo Ghini, quella di Neri di Fioravanti suscitò grandi discussioni perché non prevedeva il ricorso ai tipici elementi gotici. Nel 1367 l’Opera del duomo deliberò a favore dell’idea di Neri, con una riserva: i pilastri del transetto sarebbero stati ampliati e la cupola avrebbe avuto un diametro di 55 metri. La soluzione del Fioravanti era a doppia calotta, prevedeva cioè la costruzione di due strati sovrapposti, uno interno di maggiore robustezza e un secondo più leggero che sarebbe servito da protezione contro le intemperie. Non era la prima volta che in Europa si adottava questa formula, originaria della Persia e molto popolare nell’architettura islamica. La proposta di Neri prevedeva una cupola ottagonale suddivisa in otto spicchi di pietra e dal profilo ogivale, che avrebbe raggiun-


IL BATTISTERO DI SAN GIOVANNI

Situato di fronte alla facciata del duomo, il battistero fu iniziato forse nel IV secolo. Ăˆ a pianta ottagonale e ha tre porte bronzee: una realizzata nel XIV secolo da Andrea Pisano, le altre due terminate da Lorenzo Ghiberti nel XV secolo.


to i 91 metri di altezza, diventando così la più grande cupola della storia occidentale. Fioravanti concretizzò la sua idea in un modello in mattoni, di circa 4 metri di altezza per 9 di lunghezza, che fu esposto all’interno del cantiere della cattedrale a indicare che i futuri lavori non avrebbero dovuto discostarsi dal progetto originale. Ogni anno l’Opera del duomo e i suoi architetti erano obbligati a confermare il loro impegno prestando giuramento davanti a esso con una mano sulla Bibbia. Il problema era che nessuno sapeva come realizzare un’impresa così eccezionale. Così nel 1418, una volta terminata la costruzione del tamburo alla base della cupola, fu indetto un concorso per decidere come concludere l’opera. A sfidarsi furono due celebri artisti: Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi.

L’UOVO DI BRUNELLESCHI

Filippo Brunelleschi dimostra ai membri dell’Opera del duomo la fattibilità del suo progetto. Olio di Giuseppe Fattori. XIX secolo. Palazzo Pitti, Firenze.

Brunelleschi vince il concorso

88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Cronologia dei lavori

ROMANICO

SOPRA: AKG / ALBUM. SOTTO: ALAMY / ACI. ILLUSTRAZIONE: FERNANDO BAPTISTA / NGS

Nel 1418 Filippo Brunelleschi aveva 41 anni ed era un rinomato maestro orafo. Era nato a Firenze nel 1377, dieci anni dopo la votazione a favore del progetto di Neri di Fioravanti cui aveva preso parte anche suo padre. Di fatto la casa della famiglia Brunelleschi si trovava proprio di fronte al cantiere della cattedrale. Non è difficile immaginare l’infanzia e la giovinezza di Pippo all’ombra crescente di Santa Maria del Fiore e davanti al modello di quella cupola così piena di incognite. Brunelleschi partecipò anche al concorso del 1401 per il battistero di San Giovanni. La prima delle tre porte in bronzo era stata realizzata tra il 1330 e il 1336 da Andrea Pisano, capomastro della cattedrale, e ora si cercava un progetto scultoreo più monumentale per la seconda porta, quella nord. In quel caso la sfida fu vinta da Lorenzo Ghiberti; Brunelleschi, sconfitto, si trasferì con l’amico Donatello a Roma, dedicando i quindici anni successivi allo studio della città, seppur tornando spesso a Firenze. Tra il 1416 e il 1417 l’architetto tornò definitivamente nella sua città, dove si stabilì nella vecchia casa di famiglia. Poco dopo il suo arrivo, l’Opera del duomo gli commissionò i disegni della cupola a partire dal modello in mattoni. Il concorso del 1418 doveva stabilire il sistema con cui procedere alla realizzazione del progetto di Fioravanti. Tra i favoriti, oltre a Brunelleschi, c’era il suo rivale Ghiberti. Una delle possibili soluzioni prevedeva il ricorso a una centinatura in legno, ovvero un sistema

1059–1170 Finisce la costruzione del battistero, insieme all’antica chiesa di Santa Reparata GOTICO


1296 Inizia la costruzione della cattedrale

1420 Costruzione della cupola

1359 Termina la costruzione del campanile

1471 Finisce la costruzione della cupola RINASCIMENTO

1377 Nasce a Firenze Filippo Brunelleschi

1402 Brunelleschi si sposta a Roma

1418 Brunelleschi partecipa al concorso per la costruzione della cattedrale

1446 Muore Brunelleschi

IL SEGRETO DELLA CUPOLA Una cupola immaginaria Nel cappellone degli Spagnoli di Santa Maria Novella, a Firenze, c’è un affresco che raffigura il duomo con una cupola che non esisteva ancora. L’opera di Andrea di Bonaiuto risale infatti al 1355, 65 anni prima dell’inizio dei lavori di Brunelleschi.

BRUNELLESCHI era noto per mantenere la massima segretezza sui suoi progetti. Non sono molti i bozzetti della sua opera arrivati fino ai giorni nostri. I pochi disegni conservati furono realizzati da collaboratori come Taccola o Bonaccorso Ghiberti, che videro in azione i paranchi e i montacarichi utilizzati durante la costruzione della cattedrale e ne descrissero il funzionamento, ma nulla si sa dell’origine di queste macchine. La riservatezza di Brunelleschi era tale che non volle rivelare all’Opera del duomo alcun dettaglio su come intendeva realizzare la cupola. Narra un aneddoto che durante il concorso del 1418 l’istituzione pretese che i partecipanti espo-

nessero pubblicamente le proprie soluzioni, ma Brunelleschi si rifiutò e propose in alternativa una prova di abilità: si sarebbe aggiudicato la vittoria chi fosse riuscito a far stare in piedi un uovo su un tavolo di marmo. Dopo aver contemplato il fallimento dei suoi avversari, Brunelleschi si limitò a schiacciare la parte inferiore del guscio picchiettandola contro il tavolo: l’uovo restò dritto. Quando gli fecero notare che così erano capaci tutti, Filippo rispose che era lo stesso per quanto riguardava la cupola: se avesse rivelato i suoi segreti tutti avrebbero potuto costruirla. Alcuni attribuiscono invece l’aneddotto ad altri personaggi, ad esempio a Cristoforo Colombo.


FACCIATA NEOGOTICA

La prima facciata della cattedrale fu demolita tra il 1587 e il 1588 per ordine del granduca Francesco I de’ Medici, in quanto considerata obsoleta. La parte frontale della chiesa rimase spoglia fino al 1887, quando fu completamente ricostruita in stile neogotico su un progetto di Emilio de Fabris basato sul disegno originale di Giotto. JUSTIN FOULKES / FOTOTECA 9X12



di sostegno centrale che tenesse in piedi le pareti durante la fase di costruzione. Un’alternativa era quella di riempire la crociera di terra per creare un cumulo di oltre 90 metri su cui poggiare la cupola. Questa tecnica era già stata usata in altre opere romaniche e gotiche, e intorno al 1496 sarebbe stata impiegata anche nella cattedrale francese di Troyes, dove fu eretto un cumulo di 30 metri di altezza. L’Opera del duomo respinse con sdegno tali ipotesi. Brunelleschi aveva una proposta molto diversa: avrebbe costruito la cupola senz’alcun sistema di supporto. Questa idea fece grande scalpore, perché nessuno sapeva come avrebbe fatto. Sebbene l’architetto fiorentino avesse deciso di non rivelare alla commissione i segreti tecnici alla base del suo approccio, il suo prestigio e la sua esperienza in precedenti incarichi svolti per l’Arte della lana gli valsero la vittoria. Nel 1420 fu scelta la sua soluzione, a condizione che si spartisse la direzione dei lavori con Lorenzo Ghiberti. Ma il suo rivale era ormai in una posizione di secondo piano.

Tagli e sabotaggi

Brunelleschi fece una proposta che lasciò tutti di stucco: avrebbe costruito la cupola senza alcun sistema di sostegno 92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PIETRO CANALI / FOTOTECA 9X12

Nello stesso anno venne redatto un memorandum in dodici punti che elencava i principi fondamentali del progetto. Nel testo si menzionavano le dimensioni degli anelli strutturali e della doppia calotta, così come l’imperativo di costruire la cupola «sanza alcuna armatura». Ma ancora una volta non venivano definite le modalità operative. In mancanza di documenti che descrivano con esattezza quale fu il procedimento seguito, tutto ciò che sappiamo è stato dedotto dall’osservazione e dall’analisi a posteriori. All’inizio dei lavori la fazione di Ghiberti ricorse a vari stratagemmi per sabotare la proposta di Brunelleschi. Questi fu più volte accusato di non essersi attenuto alle disposizioni del progetto originale di Fioravanti; la sua opera fu tacciata di problemi strutturali e criticata per non avere abbastanza finestre. Ma nessuna


L’INTERNO DELLA CATTEDRALE

I marmi colorati che decorano i pavimenti di Santa Maria del Fiore risalgono al XVI secolo e sono opera degli architetti Baccio d’Agnolo, Giuliano di Baccio d’Agnolo e Francesco da Sangallo.


1433

Particolari nascosti La cupola è composta da diversi milioni di mattoni. Sotto le tegole esterne di terracotta e l’intonaco interno si nascondono dettagli importanti. Gli esperti hanno scoperto per esempio che i mattoni hanno forme diverse a seconda della posizione.

Mattoni Gesso

Tegole

La cupola di Santa Maria del Fiore si erge su un tamburo ottagonale in pietra 1, dotato di grandi finestre circolari su ogni lato. Tra la base e la cuspide ci sono quattro catene di pietra arenaria rinforzate con ferro 2, che insieme a una serie di anelli di legno ingabbiano la struttura impedendo che si apra verso l’esterno. La cupola è sormontata da un oculo 3 e da una lanterna 4, completata nel 1461. La sfera dorata (realizzata da Andrea del Verrocchio) fu collocata sopra la lanterna il 27 maggio del 1471.

Il progetto

Il 7 agosto 1420 i muratori, gli scalpellini e gli altri lavoratori salirono sul tamburo della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Ammirando Firenze stendersi davanti a loro, consumarono una colazione a base di pane, melone e vino Trebbiano. Questo particolare rituale segnò l’inizio dei lavori di costruzione della cupola.

LA CUPOLA

1436

Livello 4 Per arrivare alla lanterna, i visitatori percorrono una scala che si snoda tra i pianerottoli che ci sono in questi livelli.

Oculo

3

Data di costruzione 1471

4

Lanterna

114 metri dal suolo

Gravità

Diametro 55 metri

2 3

1

4

Raggio di curvatura

Uno scheletro resistente La base della cupola tende a cedere verso l’esterno per effetto della gravità. Per ridurre questa tensione, Brunelleschi collegò la calotta interna alla copertura esterna tramite dei robusti archi verticali in muratura. Gli angoli vennero rinforzati con degli anelli orizzontali.

La proposta del Brunelleschi rispetta il progetto originale di Neri di Fioravanti, che prevedeva una cupola a sezione ogivale. Gli archi seguono la regola del quinto acuto, cioè il raggio della loro curvatura è quattro quinti del diametro di base, e i rispettivi centri sono posti a un quinto di diametro dagli angoli dell’ottagono interno. Il tamburo, separato ai vertici da elementi di pietra, è privo di un centro esatto, un’irregolarità probabilmente dovuta ad alcune imprecisioni in fase di costruzione.

Forme e linee


FERNANDO BAPTISTA / NGS

1422

1426

2

1

Livello 1

Trave di legno

Livello 2

Volta interna

Volta esterna

Livello 3

Ipotetica trave di pietra

Scala

Anelli di mattoni

Arco verticale di mattoni Spinta laterale


LA COSTRUZIONE DELLA CUPOLA la cupola senza l’ausilio di centine di legno rappresentava una sfida inedita per la Firenze del XV secolo. Brunelleschi confidava che utilizzando le tecniche corrette la struttura si sarebbe sostenuta da sé. A questo scopo ricorse a quattro strategie principali. In primo luogo, sia la calotta interna sia quella esterna furono suddivise in due sezioni. Quella inferiore è in pietra e va dal tamburo fino a circa 14,5 metri di altezza 1 . Quella superiore è in mattoni e il suo spessore diminuisce mano a mano che procede verso l’alto per ridurre il carico sugli anelli inferiori. La seconda strategia fu il ricorso alla disposizione dei

LA PROPOSTA DI COSTRUIRE

mattoni a spina di pesce, 2 che permetteva di connettere ogni nuovo anello di laterizi al precedente, prevenendo il rischio di distacco durante la fase di presa della malta. In terzo luogo il piano di posa dei mattoni non era orizzontale ma si inclinava progressivamente verso l’interno della cupola. Questa tecnica in apparenza rischiosa permise di massimizzare la superficie di frizione tra i diversi strati della costruzione, evitando che gli elementi interni si staccassero per mancanza di un punto di appoggio. Infine Brunelleschi utilizzò dei costoloni interni per collegare i due strati della cupola e degli archi verticali di pietra e mattoni per contenere la struttura dall’esterno.

Calotta interna 60° Mattoni verticali

Nella parte superiore, il muro raggiunge un angolo massimo di 60 gradi.

2

Mattoni verticali disposti ad angolo verso il centro

La disposizione dei mattoni Probabile localizzazione delle impalcature

Mattoni Pietra

1

FERNANDO BAPTISTA / NGS

La spina di pesce (in latino, opus spicatum) è una tecnica utilizzata fin dall’antichità a scopo decorativo. Brunelleschi la applicò alla cattedrale con un obiettivo strutturale. Gli archi obliqui a spina di pesce dividono gli anelli orizzontali di mattoni in segmenti separati l’uno dall’altro e allo stesso tempo li collegano alle sezioni inferiori della cupola. Ciò rende possibile costruire ogni segmento in modo indipendente, limitando i rischi di crolli. Una volta terminato un anello orizzontale, prima di procedere con lo strato successivo si collocano altri mattoni a spina di pesce.


La lanterna

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Santa Maria del Fiore fu consacrata nel 1436. Nello stesso anno venne bandito un concorso per il progetto della lanterna, l’elemento terminale della cupola destinato a filtrare la luce che entra attraverso l’oculo. Vinse Brunelleschi seguito da Ciaccheri, un suo ex collaboratore che avrebbe proseguito i lavori dopo la morte del maestro. La lanterna, anch’essa a pianta ottagonale, presenta dei contrafforti a sostegno degli otto pilastri in corrispondenza dei costoloni della cupola ed è dotata di otto finestre.

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I paranchi Brunelleschi è particolarmente noto per le sue macchine, cui ricorse sia per la cupola del duomo sia in altri contesti civili e militari. I paranchi e i montacarichi utilizzati a Santa Maria del Fiore avevano complessi ingranaggi a trazione animale e sistemi di arresto che impedivano la caduta dei blocchi di arenaria. Per la costruzione della lanterna furono usati esemplari di dimensioni ridotte pensati per essere azionati dalla forza umana, con meccanismi di precisione che consentivano di collocare i conci con grande accuratezza.

Carga

FERNANDO BAPTISTA / NGS


di queste controversie riuscì a delegittimare la sua soluzione, e nel 1426 fu approvato il proseguimento dei lavori senza strutture ausiliarie. Nel 1429 il peso della cupola provocò l’apertura di alcune crepe, rendendo necessari interventi di rinforzo con anelli di ferro e legno. Brunelleschi propose anche la costruzione di un nuovo circolo di cappelle che avrebbe dovuto migliorare la resistenza dell’edificio, ma l’Opera del duomo non l’approvò. Gli anni trenta del quattrocento furono un periodo di crisi economica, tagli salariali e carenza di materiali da costruzione. Ciononostante i lavori andarono avanti e nel 1436 il papa poté consacrare il duomo.

La conclusione dei lavori Nello stesso anno fu assegnato a Brunelleschi anche il progetto della lanterna che doveva completare la sommità della struttura, ma questi morì nel 1446 senza vedere la conclusione della sua opera, che venne terminata nel 1471, quando venne collocata la palla dorata sopra la lanterna (conclusa nel 1461 da Antonio Ciaccheri). Nel XVI secolo furono eseguiti nuovi interventi, tra cui la spettacolare decorazione interna della cupola. L’affresco, raffigurante il giudizio universale, fu realizzato principalmente da Giorgio Vasari tra il 1568 e il 1574, anno della sua morte, e quindi concluso da Federico Zuccari con l’aiuto di Vincenzo Borghini nel 1579. La facciata della cattedrale, ancora incompiuta, fu oggetto di proposte e dibattiti per tutto il XVI secolo. Alla fine fu demolita nel 1587 su ordine di Francesco I de’ Medici. Venne ricostruita nel 1887, in base a un progetto neogotico che mirava a recuperare i dettami stilistici proposti da Giotto cinque secoli prima. La tradizione vuole che sotto il duomo siano sepolti Giotto, Andrea Pisano, Arnolfo di Cambio e Filippo Brunelleschi. Anche se negli scavi del 1972 è stata rinvenuta solo la tomba di quest’ultimo, è affascinante pensare che i grandi precursori del Rinascimento riposino accanto alla loro opera immortale.

Per saperne di più

SAGGI

La cupola del Brunelleschi. Ross King. BUR, Milano, 2009. VIDEO

La cupola del Brunelleschi su National Geographic https://www.youtube.com/watch?v= 6ecKKg1Rn1w

98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

GUIDO BAVIERA / FOTOTECA 9X12

MANUEL SAGA ARCHITETTO E SCRITTORE


GLI AFFRESCHI DELLA CUPOLA

Cosimo I de’ Medici commissionò la decorazione dell’interno della cupola a Giorgio Vasari. Alla morte di quest’ultimo, gli affreschi furono affidati a Federico Zuccari che li concluse nel 1579.


LE CUPOLE PIÙ GRANDI DEL MONDO

Tempo di costruzione dell’edificio

Costruzione della cupola, se nota

La storia delle grandi cupole è un costante susseguirsi di influenze incrociate. Il Pantheon di Roma, la cui struttura superiore è alleggerita mediante il ricorso ad anfore vuote, o la cupola sorretta da pennacchi di Santa Sofia a Istanbul hanno influenzato architetture di luoghi e stili molto diversi. La cupola del duomo di Firenze riprende elementi di entrambi i monumenti, ma ricorre anche a soluzioni innovative, come la doppia calotta e i costoloni intermedi, che le permettono di raggiungere dimensioni mai viste prima. Nemmeno la cupola di San Pietro, opera di Michelangelo e discendente diretta del capolavoro di Brunelleschi, riesce a eguagliarla.

Santa Sofia L’enorme cupola si erge sopra la navata centrale ed è sorretta da quattro giganteschi pennacchi, che a loro volta poggiano su quattro pilastri. VI secolo.

5 anni, 10 mesi

Pantheon di Roma

circa 2 anni

È formata da cinque file di cassettoni decrescenti e culmina con un oculo di quasi 9 metri di diametro. Fu costruita nel II secolo d.C.

Diametro massimo

circa10 anni Forma attuale Cemento Copertura di bronzo

Mattoni e malta

Copertura di piombo

32 m

43,3 m

Angolo di visione dell’illustrazione


FERNANDO BAPTISTA / NGS

San Pietro a Roma Michelangelo Buonarroti progettò la cupola nel 1547. Il suo discepolo Giacomo della Porta la portò a termine sotto Sisto V (1585-90).

Duomo di Firenze La cupola di Santa Maria del Fiore è la più grande del mondo. Fu iniziata da Filippo Brunelleschi nel 1420 e si concluse nel 1471.

120 anni circa 5 anni

175anni 51 anni

Mattoni e malta con copertura di piombo

Mattoni e malta

50 m

Taj Mahal Tra i vertici dell’architettura moghul dell’India settentrionale, fu eretto nel XVII secolo per ordine di Shah Jahan. La cupola fu progettata dall’ottomano Ismail Khan.

55 m

16 anni circa 5 anni Copertura di marmo

Mattoni

28,4 m


SCIENZA E FINZIONE

Jules Verne, qui in una foto colorizzata del 1880, sosteneva che ogni dato geografico e scientifico contenuto nelle sue opere «è stato esaminato nel dettaglio ed è sicuramente esatto». Nella pagina seguente, copertina di un’edizione di Dalla Terra alla Luna, del 1865. FOTO: AKG / ALBUM


JULES VERNE

LO SCRITTORE VISIONARIO

Nei suoi popolarissimi romanzi di avventure, Jules Verne raccontò i due grandi sogni del XIX secolo: l’esplorazione del mondo e il progresso tecnologico


L

e biografie di Jules Verne raccontano un aneddoto, probabilmente apocrifo, sul fatto che sin da piccolo fosse attratto dall’avventura. Dicono, infatti, che a undici anni scappò di casa per arruolarsi come mozzo sulla nave mercantile Coralie e che il padre lo fece scendere poco prima che questa salpasse per l’India. A destare, però, la sua passione letteraria furono le storie che gli raccontava la maestra di scuola, moglie di un marinaio, così come la vista del molo dalla sua finestra. Quella selva di alberi maestri, di bandiere colorate e il viavai degli uomini sui pontili gli fecero sognare di avventurarsi per mari inesplorati. Jules Verne era nato in una famiglia borghese di Nantes, sulla Loira, l’8 febbraio del 1828. Suo padre, Pierre Verne, era notaio, erede di una stirpe di avvocati. La madre, Sophie Allotte, apparteneva a una casta di militari. La casa di famiglia si trovava in un quartiere esclusivo della città nella quale la maggior parte dei lussuosi palazzi apparteneva ad armatori di navi. Per quegli uomini, arricchitisi grazie all’“oro nero” della tratta degli schiavi, il XVIII secolo fu un periodo di particolare splendore: il vicino porto era infatti lo scalo dei vascelli negrieri diretti verso gli Stati Uniti. Ancora oggi, sulle facciate degli edifici si possono osservare le decorazioni predilette di questi commercianti: bassorilievi di esseri mitologici, di indiani, di africani e perfino di membri della famiglia del mercante. In Un capitano di quindici anni (1878) lo scrittore condannò «l’abominevole

traffico dei carichi di ebano» della sua città. Negli anni del liceo, durante i quali vinse un premio di geografia, prese a collezionare riviste scientifiche. Divorò libri di avventure, come Robinson Crusoe e Ivanhoe, e dedicò poesie al suo primo amore, mademoiselle Caroline. Il rifiuto della giovane, promessa sposa a un visconte, frenò la vena artistica di Verne che, deluso, accettò il consiglio paterno di studiare legge a Parigi. Per recarvisi viaggiò su due mezzi di trasporto che lo affascinarono particolarmente: il piroscafo, o nave a vapore, e il treno.

La vita parigina Lo scrittore arrivò così a Parigi nel 1847, alla vigilia della rivoluzione liberale che avrebbe rovesciato il re Luigi Filippo I e proclamato la repubblica democratica. Malgrado il fermento politico, Verne si limitò a frequentare la bohème del Quartiere latino che, al tramonto del Romanticismo, ammirava Balzac, Hugo e Musset; si introdusse nel salotto letterario di madame de Barrère ed entrò in contatto con Alexandre Dumas figlio, che gli diede qualche suggerimento. Grazie al

C R O N O LO G I A

NANTES, PARIGI, AMIENS

1828

1847

Jules Verne nasce l’8 febbraio a Nantes. Dopo gli studi superiori il padre lo convince a studiare legge.

Si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con gli intellettuali e i bohémien della città. Conosce Dumas figlio.

UN PASSATO INFAMANTE. QUESTO BASSORILIEVO SU UNA FACCIATA A NANTES RICORDA LA TRATTA DEGLI SCHIAVI CHE ARRICCHÌ LA CITTÀ. ALAMY / ACI


RIVOLUZIONE E REPUBBLICA

1863

1872

1886

1905

Dopo il successo di Cinque settimane in pallone, firma un contratto con l’editore Hetzel che lo obbliga a scrivere due libri all’anno.

Ormai celebre, e dopo aver ricevuto la Legion d’onore, si stabilisce ad Amiens in compagnia della famiglia.

Il nipote, un uomo disturbato, gli spara due colpi. Verne rimane zoppo. Più avanti muoiono la madre e Hetzel.

Jules Verne muore a 77 anni. Al suo funerale partecipano migliaia di persone, nonché autorità francesi e straniere.

BRIDGEMAN / ACI

Verne fu testimone degli eventi che portarono all’abdicazione di Luigi Filippo I nel 1848. Quest’olio di Eugène Hagnauer evoca la confusione seguita all’attacco del palazzo delle Tuileries.


di borsa finché, a 24 anni, entrò nella redazione della rivista letteraria Musée des familles per occuparsi della sezione scientifica. Più avanti conobbe Honorine Deviane, una vedova di Amiens che aveva due figlie, e la sposò nel 1857. Il matrimonio non gli apportò la stabilità che avrebbe voluto. Sentì piuttosto che lo soffocava e quindi, per sfuggire alla monotonia del focolare, viaggiò in Scozia, Norvegia e Danimarca. La coppia ebbe un figlio, Michel, che gli diede non pochi grattacapi perché, pur divenendo in seguito uno scrittore accettabile, non cessò di deludere i genitori e scandalizzarli per le sue storielle con attrici, da una delle quali ebbe un figlio illegittimo.

Lo scrittore incontra l’editore

UNA DELLE PRIME FOTOGRAFIE AEREE DI PARIGI, REALIZZATA DA NADAR FORSE NEL 1865 (ANCHE SEXXXXXXXX VI COMPARE LA DATA DEL 1858). BRIDGEMAN / ACI

UNA MACCHINA VOLANTE

Nel Padrone del mondo Verne immaginò un veicolo che viaggiava via terra, mare e aria: lo Spavento. Nell’immagine, in una ricostruzione, ad ali spiegate. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

suo appoggio, infatti, scrisse opere teatrali, racconti brevi e libretti d’opera e, contro la volontà paterna, rinunciò a lavorare come avvocato. Al Cercle de la presse scientifique strinse amicizia anche con il famoso Nadar. Il fotografo aereo, che nel 1862 avrebbe immortalato la Ville Lumière da una mongolfiera, contagiò Verne con la sua passione per il volo aerostatico. Furono quelli anni di fame, destinati a causargli dei problemi digestivi cronici, ma anche di frenetiche letture. Lo scrittore alternava libri di matematica e di astronomia ad altri come L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfall, di Poe, che racconta un viaggio in pallone aerostatico sulla luna. Dopo un impiego come segretario nel Théâtre Lyrique, lavorò come agente

Nel 1862 avvenne un incontro decisivo. Jules Verne consegnò all’editore Pierre-Jules Heztel un manoscritto che univa letteratura e divulgazione scientifica. Si trattava di Cinque settimane in pallone, descrizione dei voli dell’amico Nadar. Il libro si rivelò un successo senza precedenti. Lo stesso Verne lo avrebbe riferito con queste parole: «Ho appena scritto un romanzo in una forma nuova, un’idea tutta mia. Se avrà successo, aprirà un nuovo filone, ne sono sicuro». Hetzel la vide allo stesso modo. Quando però lo scrittore gli portò un manoscritto futuristico intitolato Parigi nel XX secolo, l’editore lo rifiutò perché gli sembrava pessimista e molto tecnico. «Darebbe l’impressione che quello del pallone sia stato solo un caso felice», gli disse, e consigliò a Verne di tornare al suo stile originale. L’astuto Hetzel gli propose un contratto sostanzioso che, però, scritte in piccolo imponeva clausole infami. Verne si impegnava a scrivere due romanzi all’anno per la casa editrice in cambio di 20.000 franchi annuali per i diritti d’autore. Una somma senz’altro elevata, che però condannò l’autore a una produzione letteraria a cottimo per il resto della sua vita. Alla ricerca di tranquillità per poter scrivere al ritmo frenetico imposto dal contratto con Hetzel, l’autore si stabilì ad Amiens, lontano dal «rumore insopportabile» e dall’«agitazione sterile» di Parigi. Nella calma del suo studio lavorava dalle cinque alle undici. La casa si


LA CONQUISTA DEI CIELI

Anche se si servì della mongolfiera per fotografare Parigi, Nadar credeva, al pari di Verne, che il futuro dell’aviazione risiedesse in oggetti più pesanti dell’aria, spinti da eliche o potenti motori. ATELIER DE NADAR / RMN-GRAND PALAIS


La Casa della Torre, studio dello scrittore

V

ERSO LA FINE DELLA SUA VITA, Jules Verne si stabilì

nella Casa della Torre, chiamata così per via dell’alta torre che la sovrasta. Qui visse 18 anni, e qui ha sede il museo dedicato all’autore. L’architettura in ferro e vetro, tipica della seconda metà del XIX secolo, è simile a quella propugnata nelle esposizioni universali. Si accede alla casa tramite un giardino d’inverno, dove lo scrittore in genere riceveva i suoi ospiti. Al pianterreno si possono visitare diversi salotti decorati con i ritratti dei proprietari. Libri di “robinsonate”, ispirati cioè a Robinson Crusoe, e sue opere teatrali ricordano la gioventù dello scrittore. Al piano superiore si trova lo studio di Jules Verne, dove un mappamondo, cartine, libri e incisioni guidano il visitatore nell’universo dello scrittore francese. LA CASA DI JULES VERNE AD AMIENS, CON LA TORRE CHE LE DÀ IL NOME. ALAMY / ACI

trovava vicino alla stazione, e quindi di tanto in tanto si recava nella capitale o al porto di Le Crotoy, dove scioglieva gli ormeggi alla sua barca – ne ebbe tre, tutte con il nome di Saint Michel – per dedicarsi alla navigazione, il suo grande amore. Verne si integrò appieno nella vita sociale della città e divenne consigliere per l’educazione, i musei e le feste. Tra i suoi apporti, si può contare la costruzione di un circo, commissionato all’architetto Émile Ricquier, discepolo di Eiffel. La passione circense si rifletté nel romanzo César Cascabel (1890), che racconta le peripezie in carretta di una famiglia di saltimbanchi, i quali cercano di tornare nella natia Francia passando attraverso i luoghi vergini e i deserti di COPERTINA DEL ROMANZO LE AVVENTURE DI ETTORE SERVADAC (1877), CHE RACCONTA UN VIAGGIO NEL SISTEMA SOLARE. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ghiaccio nella parte occidentale degli Stati Uniti e in Siberia. Verne concepì la maggior parte delle sue opere di avventura, poi raccolte nella collana Viaggi straordinari, nella calma di Amiens. E scrisse fino all’anno della sua morte, nel 1905. Nel prologo alle Avventure del capitano Hatteras (1864-1865), Hetzel affermò che l’obiettivo della collana consisteva nel «riassumere tutte le conoscenze geografiche, geologiche, fisiche e astronomiche accumulate dalla scienza moderna e riscrivere, con la forma che le è propria, la storia dell’universo».

Viaggi straordinari e progresso I primi libri, di piccolo formato, uscirono a puntate sul Magasin d’Education et de Récréation. Tuttavia, ben presto Hetzel si rese conto che avrebbero avuto successo pure in un formato più grande e con una copertina illustrata. Nacque così l’idea delle celebri copertine dei Viaggi straordinari, concepite grazie alla tecnica del cartonaggio, che consisteva nel rilegare i libri con una copertina di cartone, poi foderata da una tela riccamente decorata. La popolarità dei romanzi di Verne spinse l’editore a imitare l’estetica dei libri e a rinnovarla secondo i gusti del pubblico. Le prime opere dei Viaggi straordinari sono un inno alla felicità che il progresso avrebbe comportato per gli uomini, e a raggiungere tale conquista sociale avrebbero contribuito la scienza e la sua divulgazione tramite i romanzi. Lo scrittore, infatti, univa nelle sue opere le letture romantiche della gioventù, le idee del Socialismo utopico e del Positivismo basato sulla ragione. Le storie di Verne comparvero in un momento di ottimismo collettivo, favorito dalla Rivoluzione industriale in Francia e dalla stabilità politica del governo di Napoleone III. Per questo i protagonisti dei viaggi sono sempre esploratori che hanno un atteggiamento positivo, e ai quali le macchine migliorano la vita. In Cinque settimane in pallone, il saggio inglese Samuel Fergusson percorre in compagnia di un servitore e di un amico il continente africano a bordo di una mongolfiera gonfiata a idrogeno. In Ventimila leghe sotto i mari (1869), il biologo francese Pierre


PIERRE-JULES HETZEL IN UNA FOTOGRAFIA DI NADAR, 1865 CIRCA. L’EDITORE SOTTOPONEVA LE OPERE DI VERNE A UN RIGIDO CONTROLLO PER ASSICURARNE IL SUCCESSO COMMERCIALE, E PRETENDEVA DALL’AUTORE UN RITMO SERRATO DI LAVORO. ADOC-PHOTOS / ALBUM

Hetzel, molto più di un editore PIERRE-JULES HETZEL, l’ateo e progressista editore di Jules Verne, era agli antipodi ideologici dell’autore, sebbene entrambi condividessero il proposito di diffondere la scienza tra le masse. Hetzel aveva partecipato alla Rivoluzione del 1848 e ai governi della Seconda repubblica francese; nutriva, inoltre, una fede cieca nell’educazione dell’infanzia, che doveva essere laica, gratuita e obbligatoria. Hetzel fu più di un editore per Verne. L’autore scriveva i manoscritti lasciando metà del foglio libero per le correzioni, molte volte suggerite dallo stesso editore, il quale si spinse persino a cambiare il finale delle Avventure del capitano Hatteras, impedendo così che questi si suicidasse, come invece voleva Verne. L’atteggiamento dello scrittore si può evincere dal carteggio tra i due: «Sarò sempre disposto a modificare quanto necessario», ammetteva a metà degli anni sessanta Verne, che firma una lettera del 1867 come «il suo Verne, che lei ha inventato». PAGINA MANOSCRITTA DI IL GIRO DEL MONDO IN OTTANTA GIORNI, CON LE CORREZIONI ALLA PRIMA VERSIONE, AGGIUNTE DA VERNE NELLA METÀ SINISTRA DEL FOGLIO. BNF


VIAGGIARE CON I LIBRI Attraverso i Viaggi straordinari, lo scrittore accompagnò i suoi lettori fino alle regioni artiche, alla selva africana o alle immensità dell’oceano Pacifico: luoghi inospitali ed esotici associati al nome di mitici esploratori come John Franklin, David Livingstone o James Cook. LA PRINCIPESSA INDIANA AOUDA, SALVATA PRIMA CHE VENGA ARSA VIVA ASSIEME AL CADAVERE DEL MARITO IN IL GIRO DEL MONDO IN OTTANTA GIORNI.

settimane in pallone 1 Cinque «L’acqua spumeggiava, e si

BRIDGEMAN / ACI

formavano rapide e cateratte che confermavano le ipotesi del dottore […] Si vedevano scaturire dal suolo sottili rivoletti d’acqua […] e correvano tutti verso quel corso d’acqua nascente, che si trasformava in fiume. “È proprio il Nilo!”».

IL CAPITANO NEMO CALCOLA LA SUA POSIZIONE ALL’INIZIO DEL VIAGGIO DEL NAUTILUS, VICINO AL GIAPPONE. DA VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

IN I FIGLI DEL CAPITANO GRANT UN CONDOR GIGANTE RAPISCE ROBERT GRANT DURANTE IL VALICO DELLE ANDE. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

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del capitano Grant 2 I«Lafigliparola pampa, di origine araucaniana, significa pianura erbosa. La vegetazione mette radici in uno strato di terra che copre il suolo argilloso e sabbioso, rossiccio o giallo […] dove giacciono in grandi quantità ossa antidiluviane».

LA GOLETTA MACQUAIRE È COLPITA DA UNA TEMPESTA NELL’OCEANO PACIFICO, IN I FIGLI DEL CAPITANO GRANT. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO


DETTAGLIO DELLA COPERTINA DEL LIBRO MICHELE STROGOFF, PUBBLICATO DA HETZEL E ILLUSTRATO DA JULES FERRAT. BRIDGEMAN / ACI

LA MONGOLFIERA VICTORIA CON I SUOI TRE UOMINI A BORDO. CINQUE SETTIMANE IN PALLONE FU IL PRIMO GRANDE SUCCESSO DI VERNE. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

5 Strogoff 5 Michele «La tenda di Feofar dominava sulle tende vicine […] Essa occupava il centro d’una vasta radura, circondata da una selva di magnifiche betulle e di pini secolari. Davanti a questa tenda, […] si apriva il libro sacro del Corano».

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Ventimila leghe sotto i mari

«La foresta si componeva di grandi piante […] Tutte tendevano verso la superficie dell’oceano […] sprovviste di radici, indipendenti dai corpi solidi […] E, a perfezionare l’illusione, pesci mosca volavano di ramo in ramo, come uno sciame di colibrì».

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Il giro del mondo in ottanta giorni

«Si era nell’alto Bundelkund, paese […] abitato da una popolazione fanatica, ostinata nelle più superstiziose e crudeli pratiche della religione indù […] Bande di indù dall’aspetto selvaggio facevano gesti d’ostilità vedendo passare il veloce pachiderma».

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«All’interno dell’Africa, intere tribù vengono ridotte in schiavitù dopo lotte sanguinose […] I villaggi, dati in pasto alle fiamme, rimangono senza abitanti, i campi vengono devastati e i fiumi trascinano via i cadaveri».

COPERTINA DI UN CAPITANO DI QUINDICI ANNI, IN CUI COMPAIONO I PERSONAGGI PRINCIPALI ASSIEME AL PROTAGONISTA, DICK SAND, AL CENTRO. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM. SFONDO: ALAMY / ACI

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Un capitano di quindici anni


I pericoli dell’uso errato della tecnologia

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EMBRA CHE LA VISIONE ottimistica della scienza contenuta

nei romanzi di Jules Verne dipenda in realtà dal suo editore Hetzel, secondo il quale i lettori non volevano racconti cupi o tristi sul progresso. Lo scrittore, invece, aveva una visione più pessimistica della tecnologia e dell’uso che ne avrebbe fatto l’umanità. In I cinquecento milioni della Bégum (1879), uno scienziato tedesco e uno francese si servono di un’eredità per fondare due città negli Stati Uniti. Quella francese è un modello di razionalità, mentre quella tedesca è un luogo industriale e militarizzato, nel quale si fabbricano armi per sottomettere la “razza latina”. Nel racconto Jules Verne anticipa l’uso del gas tossico e dei missili aerei, usati trentacinque anni dopo nella Prima guerra mondiale. COPERTINA DI UN’EDIZIONE MODERNA DI I CINQUECENTO MILIONI DELLA BÉGUM. RUE DES ARCHIVES / ALBUM

RIVOLUZIONE TECNOLOGICA

Grazie al telegrafo il mondo poté essere collegato in tempo reale. Phileas Fogg ne fece uso per riferire dei suoi progressi in Il giro del mondo in ottanta giorni. Sotto, una replica del telegrafo senza fili di Marconi. BRIDGEMAN / ACI

Aronnax, a bordo della fregata Abraham Lincoln, cade in mare e finisce nel sottomarino Nautilus del leggendario capitano Nemo. Dal canto suo Viaggio al centro della terra (1864) racconta la spedizione di un professore di mineralogia, il dottore tedesco Otto Lidenbrock, da un vulcano dell’Islanda fino al nucleo del pianeta. E nell’Isola misteriosa

(1874), l’equipaggio di un pallone a gas naufraga in un’isola sotto la quale si nasconde il regno acquatico del capitano Nemo. Con il passare del tempo, tuttavia, i suoi libri diventarono sempre più pessimisti. Alla fine del secolo le potenze europee si contendevano gli imperi coloniali, e la scienza e la tecnologia si misero al servizio dell’industria e del capitale. Verne cominciò a nutrire dei dubbi nei confronti del progresso e spostò i suoi personaggi da luoghi ancora vergini a mondi più riconoscibili. È il caso, per esempio, del romanzo Il raggio verde (1882), in cui una spinta romantica conduce i protagonisti verso le coste della Scozia per osservare tale fenomeno atmosferico. O del Castello dei Carpazi (1892), romanzo dalle suggestioni gotiche e vampiresche ambientato in Transilvania. Nel prologo a quest’ultimo, Jules Verne si lamenta che alla fine del «pragmatico XIX secolo» non ci sia più nessuno a inventare leggende, nemmeno nei paesi più magici.

Il padre della fantascienza L’Europa di Jules Verne visse un profondo cambiamento. Le fabbriche, le tecnologie, la macchina a vapore, il telegrafo e le comunicazioni trasformarono il mondo e lo rimpicciolirono: l’apertura del canale di Suez, la prima ferrovia transcontinentale negli Stati Uniti o la Transiberiana in Asia accorciarono, infatti, le distanze. I nuovi mezzi di comunicazione di massa fornirono notizie precise di tali conquiste. Era il terreno ideale perché lo scrittore francese vaticinasse il progresso tecnologico del XX secolo. E così, assieme a H.G. Wells, Verne si eresse a uno dei padri della fantascienza. Ma quest’adorazione per la scienza del futuro non fu premeditata ed era dovuta soltanto al suo zelo da divulgatore: «Io mi sono limitato a rendere finzione ciò che in futuro sarebbe diventato una certezza, e il mio scopo non era profetizzare, bensì diffondere la conoscenza della geografia tra i giovani», affermò in un’intervista del 1902. Le invenzioni o le realtà che immaginò Verne anticiparono i tempi. Alcune si avverarono: il sottomarino, le navicelle sulla luna, le capitali sovrappopolate, il telefono, le guerre batteriologiche e le videoconferenze. Altre


LUOGHI LONTANI

In Il giro del mondo in ottanta giorni, Phileas Fogg attraversa l’India da Bombay a Calcutta, dove si imbarca su una nave a vapore che lo porta a Hong Kong. Nell’immagine, il Kalighat Kali Temple, dedicato alla dea Kalì, a Calcutta. JOHN WARBURTON-LEE / ALAMY / ACI


Verne: un viaggiatore da divano e biblioteca

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ULES VERNE visse in tre città: Nantes, dove nacque, Parigi, dove studiò, e Amiens, dove rimase sino alla morte. Visitò la Scozia, l’Inghilterra e la Scandinavia e raggiunse New York in crociera. A bordo delle sue tre barche percorse la costa atlantica di Spagna e Portogallo, e viaggiò anche in Italia e nel nord dell’Africa. Non sembrano molti viaggi per uno scrittore che con l’immaginazione arrivò sulla luna, nonché in fondo al mare e che, nei suoi romanzi, fece il giro del mondo una dozzina di volte, sempre rimanendo nello studio della Casa della Torre. Per questo il suo biografo Herbert Lottman chiama Verne un «astronauta da divano». LE CATERATTE DEL NIAGARA. JULES VERNE EBBE MODO DI OSSERVARLE DURANTE IL VIAGGIO IN AMERICA CON IL FRATELLO, NEL 1867.

tavia, il treno portò con sé una percezione laterale dello spazio, perché i viaggiatori guardavano il paesaggio da un finestrino, il che anticipava due nuovi linguaggi: il cinema e i fumetti. Grazie alla velocità del nuovo mezzo di trasporto, Phileas Fogg e il suo inseparabile maggiordomo Passepartout coprono in treno la maggior parte di Il giro del mondo in ottanta giorni (1872). Non solo: lo sguardo degli uomini nella Belle Époque si alzò anche verso il cielo. In Cinque settimane in pallone gli esploratori osservano la terra dall’alto. In Dalla Terra alla Luna (1865), e nell’adattamento cinematografico di Méliès, gli astronauti contemplano panorami simili a quelli poi scrutati dall’equipaggio dell’Apollo 8. Quello stesso sguardo si dirige anche verso il mondo sotterraneo in Viaggio al centro della Terra, e verso le profondità insondabili dell’oceano in Ventimila leghe sotto i mari, dove il capitano Nemo ne percorre i fondali a bordo del Nautilus. I lettori avevano assunto una visione verticale del paesaggio, e i romanzi di Verne riflettono questa rivoluzione visiva dei tempi moderni.

Per amore delle mappe BRIDGEMAN / ACI

no, come i giornali parlanti e i trasformatori solari che uniformano le stagioni. Tutte, però, nacquero grazie a un’immaginazione prodigiosa e a una fede cieca nel progresso: «Il mio lemma è sempre stato l’amore per il bene e per la scienza», affermava. La sua opera contribuì anche a guardare in modo nuovo il paesaggio, la cui percezione subì cambiamenti rivoluzionari nel XIX secolo. Sin dall’antichità la visione tradizionale dello spazio era stata frontale, e da questa prospettiva Michele Strogoff, il corriere dello zar, osservava l’orizzonte durante la sua missione per i vasti spazi che separano Mosca da Irkutsk. TutVERNE IN UNA CARICATURA DI L’ECLIPSE NEL 1874, CHE DÀ INFORMAZIONI SULL’ADATTAMENTO TEATRALE DI IL GIRO DEL MONDO IN OTTANTA GIORNI. BRIDGEMAN / ACI

114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

La vita sedentaria non impedì allo scrittore di viaggiare con la mente, e così fece in Dalla Terra alla Luna e in altre opere. Nel 1894 andò a intervistarlo Mary A. Belloc, una redattrice della rivista The Strand Magazine. Quando gli chiese qual era la base delle sue idee scientifiche, Verne rispose: «Il segreto risiede nel fatto che mi sono sempre appassionato alla geografia. Credo che sia stato il mio interesse per le mappe e per i grandi esploratori del mondo a spingermi a scrivere i romanzi». Forse per questo, nella sua casa di Amiens, richiama l’attenzione un mappamondo adagiato sulla scrivania dello studio, la cui superficie è segnata dalle incisioni del compasso con cui lo scrittore misurava le distanze. PEDRO GARCÍA MARTÍN UNIVERSITÀ AUTONOMA DI MADRID

Per saperne di più

SAGGI

Jules Verne Herbert R. Lottman. Mondadori, Milano, 1999. Introduzione a Verne Bruno Traversetti. Laterza, Roma-Bari, 1995. Jules Verne Hachette, Milano, 2017.


AMANTE DEL CIRCO

Vista aerea del circo di Amiens. Durante l’incarico di consigliere comunale, Verne promosse la costruzione di quest’edificio modernista, che oggi ne porta il nome. ALAMY / ACI


VIAGGIO SULLA LUNA CON JULES VERNE

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Viaggio in treno siderale

L’avventuriero Michel Ardan calcolò che la distanza di 80.400 leghe si sarebbe potuta coprire in 97 ore, e prevedeva che in futuro «treni di navette compiranno in tutta comodità il viaggio dalla Terra alla Luna».

1. E 2. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO; 3. SPL / AGE FOTOSTOCK; 4. ALAMY / ACI; 5. AKG / ALBUM; 6. ALAMY / ACI

i romanzi dalla terra alla luna (1866) e Intorno alla Luna (1870) descrivono il lancio e l’orbita attorno alla luna di una navicella spaziale. Le similitudini con la missione Apollo 8, che nel 1968 fu la prima a orbitare attorno al satellite, sono sorprendenti: entrambe le spedizioni erano formate da tre uomini, le navicelle hanno peso e misure simili, seguono un percorso analogo e ammarano nell’oceano Pacifico. Verne calcolò il tempo necessario per raggiungere la luna e l’effetto della sua orbita sulla navicella. Per compiere una traiettoria in linea retta (la più breve), il punto di partenza migliore sarebbe stato vicino al 28° parallelo e, poiché il lancio doveva avvenire negli Stati Uniti, Verne scelse Tampa, a soli 200 km da Cape Canaveral, base di lancio della Nasa.

GETTY IMAGES

4 CARTINA CON IL PUNTO DI LANCIO DELLA NAVICELLA CHE VERNE DESCRISSE IN DALLA TERRA ALLA LUNA.

Gravità

Verne racconta che l’equipaggio «fluttuava come per miracolo» e i piedi «non toccavano la navicella». «Grazie all’annullamento delle forze di attrazione» lo spazio «faceva sì che gli uomini non pesassero».

ILLUSTRAZIONI DEI ROMANZI DALLA TERRA ALLA LUNA (1, 2 E 3) E INTORNO ALLA LUNA (4, 5 E 6). ORIGINALI COLORIZZATI DELLE EDIZIONI DI HETZEL, A ECCEZIONE DELLA 5, PROVENIENTE DA UN’EDIZIONE TEDESCA.


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I preparativi

I tre uomini portarono con sé termometri, barometri e cannocchiali; armi e un «completo rifornimento di vestiti adatti a ogni temperatura, dal freddo delle regioni polari al caldo della zona torrida».

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Astronauti gentiluomini

«La superficie lunare scorreva rapidamente davanti agli occhi dei viaggiatori, che non volevano perdere alcun dettaglio». Senza atmosfera «non c’è il crepuscolo, e la notte segue al giorno, così come il giorno alla notte».

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Ignizione

Un grande cannone doveva lanciare il proiettile a 11,2 kilometri al secondo, velocità sufficiente per lasciare la terra. Ma il calcolo non teneva conto della resistenza dell’atmosfera, che avrebbe disintegrato la navicella.

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Ammaraggio

«Un bolide enorme» attraversò il cielo e sprofondò nel Pacifico, vicino alla fregata Susquehanna. L’equipaggio riuscì tuttavia a mettere in salvo i tre passeggeri dal proiettile.


GRANDI ENIGMI

Peter Stumpp: tutti contro l’uomo lupo

I

l 31 ottobre del 1589 il pubblico radunatosi nella piazza principale della cittadina tedesca di Bedburg, nell’elettorato di Colonia, assistette a un’esecuzione terrificante. Il reo era Peter Stumpp, un uomo facoltoso di circa cinquant’anni accusato di aver assunto le sembianze di lupo dopo un patto con il diavolo e di aver assassinato diverse persone, tra cui bambini e donne incinte, per mangiarne il cervello. Stumpp venne prima sottoposto alla tortura dell’eculeo (o del cavalletto, simile alla flagellazione). Non appena ebbe confessato fu

punito con la condanna prevista per gli atti di cannibalismo, omicidio e «commercio carnale con il diavolo»: prima fu scuoiato con delle tenaglie incandescenti, poi messo alla ruota, dove gli vennero spezzate le ossa con l’estremità piatta di un’ascia per evitare che tornasse a vendicarsi dall’oltretomba. Infine fu decapitato, e il suo corpo arso sul rogo. La testa venne infilzata su un palo esposto nel centro della città, sopra la ruota su cui si era compiuta l’esecuzione. Sulla ruota svettava pure un simulacro a forma di lupo.

Patto con il diavolo Sembra che, durante il processo, Stumpp avesse con-

fessato di praticare la magia nera da quando aveva dodici anni, motivo per cui era divenuto così ricco. A quanto disse, era stato il diavolo in persona, con cui aveva stretto un patto, a regalargli una cintura magica che gli permetteva di trasformarsi in un mostro dalle sembianze di lupo, «forte e potente, con grandi occhi che brillavano come i fuochi di notte, denti affilati e crudeli, e un corpo enorme sostenuto da zampe robuste». L’uomo si dichiarò colpevole di tutti gli omicidi di cui era incolpato – quattordici bambini e due donne incinte, delle quali aveva divorato cuore e feto –, e riconobbe anche di aver avuto rela-

LE LOUP-GAROU ALLA FINE DEL XVI SECOLO, la Francia fu pervasa dalla feb-

bre del lupo mannaro, o loup-garou. Per esempio, nel 1573 il tribunale di Dôle accusò un certo Gilles Garnier di aver attaccato «in un vigneto, con le sembianze di un lupo, una bambina di 10 o 12 anni, e di averla uccisa con le sue mani a mo’ di zampe e con i suoi denti». UNA BESTIA CON LA TESTA DI CANE. MONSTRORUM HISTORIA. 1642. AKG / ALBUM

METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Nel 1589 un uomo venne accusato di trasformarsi in lupo e di divorare bambini e adulti. Probabilmente si trattò di un complotto

IL LICANTROPO O IL CANNIBALE, xilografia di

Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553) che evoca la terrificante leggenda dei licantropi. Metropolitan Museum, New York.

zioni incestuose con la figlia e un succubo, un demone dall’aspetto femminile che il diavolo gli aveva inviato più volte. Uno dei bambini uccisi era suo figlio: gli aveva mangiato il cervello. Il processo e l’esecuzione di Stumpp fecero scalpore in tutta Europa. Su alcuni volantini, subito tradotti in inglese, olandese e danese, si raccontava «la vera e sorprendente notizia di un contadino che, con le arti della magia, si trasformava in lu-


TERRIBILE RACCONTO NEL 1590 un inglese di nome George Bores, a

Bestie leggendarie La vicenda di Peter Stumpp è una delle molte storie di licantropi che, sin dai tempi antichi, stuzzicavano l’im-

maginario popolare europeo. L’incredibile ossessione per gli uomini che di notte si tramutavano in lupi e divoravano bestiame, uomini o cadaveri si giustificava con il terrore ancestrale provato da popoli che versavano in uno stato cronico di incertezza. Era questo infatti il caso dell’elettorato di Colonia dove, negli anni precedenti al processo, molti pastorelli erano rimasti vittime di attacchi feroci, probabilmente

BRITISH LIBRARY

po per sette ore» e si riferiva che Stumpp «aveva una cintura e, quando la legava al corpo, diveniva uno spaventoso lupo». Diverse fonti di quei tempi fanno cenno all’avvenimento, e il consigliere di Colonia Hermann von Weinsberg ne annotò i dettagli sul suo diario.

quanto pare testimone del processo contro Stumpp, pubblicò a Londra l’opuscolo Della deplorevole vita e morte di Peter Stumpp, un malvagio stregone che, sotto l’apparenza di un lupo [...] per 25 anni ha ucciso e divorato uomini, donne e bambini.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI ENIGMI

La deprecabile storia di Peter Stumpp

CHARLES WALKER / ALAMY / ACI

LE VIGNETTE qui sotto raccontano al popolo la vicenda di Peter Stumpp. Sulla striscia superiore compare l’uomo lupo, con una cintura sulla vita, mentre divora una persona; successivamente l’uomo lupo viene inseguito dalla gente. Una volta recuperata la forma umana, Stumpp viene portato al cospetto della giustizia per essere torturato, decapitato e arso sul rogo.

causati da animali, soprattutto da lupi, allora frequenti nei fitti boschi della Germania. Giravano inoltre voci su alcuni contadini morti mentre lavoravano nella foresta, e i cui corpi erano stati divorati dalle bestie. Non stupisce perciò che tornasse

in auge l’antica e sinistra leggenda di un mostro semiumano abitatore dei boschi.

Rancori e vendette Dobbiamo chiederci perché, quando cercarono un uomo diabolico che al buio si trasformava in lupo, i contadini puntarono il dito proprio contro Stumpp, il quale ebbe la sfortuna di essere un agri-

coltore ricco in un periodo di dure carestie e di grandi penurie causate dai cattivi raccolti. Solamente uno come lui avrebbe potuto destare con facilità invidie e sospetti. I testimoni di alcune morti assicurarono che il presunto lupo mannaro zoppicava con la zampa anteriore sinistra, e i concittadini lo misero in re-

Con Stumpp furono giustiziate sua figlia e una donna, accusate di aver partecipato ai crimini ERNESTO DI BAVIERA, ARCIVESCOVO DI COLONIA, IN UN’INCISIONE DEL 1584. MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

lazione col fatto che Stumpp aveva perduto la mano sinistra in un incidente mentre tagliava la legna. Difatti Stumpp, o Stumpf, in tedesco significa “monco”, soprannome affibbiato a quello che in realtà si chiamava Abal Griswold. Assieme a lui furono giustiziate altre due persone: Katharina Trumpen, una contadina vicina di casa, e la figlia di Stumpp, Sybil. Il caso di Katharina era simile a quello di Griswold. Dai documenti in nostro possesso possiamo dedurre che era vedova, proprio come Stumpp, e che faceva parte


ALAMY / ACI

BEDBURG si trova a 30 chilometri da Colonia. L’immagine ritrae l’ingresso della città medievale negli anni trenta.

dei contadini più danarosi della zona. L’accusa di connivenza e il successivo processo impedirono che lei e Stumpp fossero uniti e accrescessero il proprio potere davanti alle autorità. Una volta dichiarati colpevoli, avrebbero ceduto le loro terre ai signori locali, che ne avrebbero perciò disposto a proprio piacimento.

La Guerra di Colonia La condanna di Stumpp avvenne inoltre in un particolare clima politico-religioso. Nel 1577 fu designato arcivescovo di Colonia Gebhard Truchsess von

Waldburg, che in pochi anni si sarebbe convertito al protestantesimo, avrebbe sposato una giovane nobile protestante e avrebbe consentito alla nuova religione di penetrare nel suo arcivescovato. La reazione delle autorità cattoliche non si fece attendere: nel 1583 Truchsess fu sostituito da un nuovo arcivescovo cattolico, Ernesto di Baviera, il quale avrebbe dato inizio alla cosiddetta Guerra di Colonia (1583-1588). La cittadina di Bedburg si ritrovò nel pieno del conflitto proprio allo scoppio del caso Stumpp. Il

nuovo arcivescovo invase la regione per cacciare il signore locale, Adolf von Neuenahr, che aveva appoggiato Gebhard Truchsess. La gente assistette inerme agli assalti dei soldati che attaccavano villaggi e campi e assassinavano i pastori senza alcuna pietà al fine di impossessarsi delle loro greggi. Nel 1589 arrivò a Bedburg un nuovo signore, il cattolico Werner von Salm-Reifferscheidt-Dyck, che si scontrò con la riluttanza della popolazione, per la maggior parte protestante. Il signore decise così di dare al popolo una bella le-

zione dimostrando quale sarebbe stata la sua fine se non si fosse sottomesso. Werner von Salm-Reifferscheidt-Dyck scelse come capro espiatorio Stumpp, che si era convertito al protestantesimo al pari dell’antico signore Neuenahr. In altre parole: l’esecuzione di Peter Stumpp fu solamente un modo per intimidire i protestanti del territorio. —Isabel Hernández Per saperne di più Lupus in fabula Massimo Centini. Mimesis, Milano-Udine, 2016.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

I segreti della capitale perduta di Ani MAR NERO

GEORGIA

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TURCHIA

AZERBAIGIAN

ENI A

N

elle cronache medievali del Vicino Oriente era chiamata “la città delle mille e una chiesa” o “delle quaranta porte” per la sua magnificenza e la sua fama raggiungeva le più lontane contrade del tempo. Chi ebbe modo di visitarla all’apice del suo splendore, a cavallo tra il X e il XIII secolo, racconta che per la sua bellezza rivaleggiava con le contemporanee capitali d’Oriente: Baghdad, Il Cairo e Costantinopoli. Ani, la gemma più preziosa del potente regno armeno dei bagratidi che in quel tempo controllava gran parte dell’Anatolia orientale, era

Ani

stata scelta come residenza dal grande Ashot III (953977). Desiderosi di esaudire le sue richieste, gli architetti avevano sviluppato stili che ancora oggi stupiscono per la loro capacità di precorrere i tempi. Non pochi studiosi d’arte infatti hanno faticato a capire perché nell’imponente cattedrale di Surp Asdvadzadzin (Santa Madre di Dio) la navata centrale sia sorretta da colonne identiche a quelle che faranno bella mostra nelle più tarde cattedrali gotiche d’Europa. Ma non è il solo

961

La città viene scelta come capitale del regno d’Armenia dal re Ashot III; diventa una delle più belle d’Oriente.

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enigma a circondare Ani. A partire dalla stessa posizione sulle mappe, un altopiano desolato e battuto dai venti, al centro di un sistema viario che funzionò solo finché il regno ebbe modo di esistere e prosperare. Qui, come ricordano alcuni viaggiatori tra cui Marco Polo, che ne ha lasciato una confusa descrizione, passava uno dei tanti rami della Via della Seta. Ciò rese la città ricca e prospera, ma fu anche la sua condanna.

Una preda ambita Quando, dopo vari tentativi infruttuosi, le armate bizantine la conquistarono nel 1045 mettendo fine all’indipendenza armena, Ani incominciò lentamente, ma inesorabilmente, a decadere. Incapace di opporsi alle mire dei potenti vicini, passò di mano più volte. Furono eventi che comportarono

Alla morte di Gagik ha raggiunto l’apice del suo splendore. Nei decenni successivi inizia la decadenza.

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Si abbatte la furia distruttrice dei mongoli. La città non si risolleverà più e finirà con lo spopolarsi.

FLORIAN NEUKIRCHEN / AGE FOTOSTOCK

In un angolo remoto della Turchia, a due passi dal confine armeno, mille anni fa sorgeva Ani, una delle più ricche metropoli d’Oriente

VISTA della chiesa

di Tigran Honents (San Gregorio l’Illuminatore). A fianco scorre il fiume Akhurian.

terribili assedi e sanguinosi saccheggi. Come quello selgiuchide, che nel 1064 mise la città in ginocchio. Tuttavia, fu l’apparizione dei mongoli nel XIII secolo a darle il definitivo colpo di

1917

L’archeologo russo Nikolaj Marr esegue l’unica serie di scavi che si conosca nelle rovine della città.

BREVE PARENTESI. LA CONQUISTA DI ANI DA PARTE DELLA REGINA TAMARA DI GEORGIA (NELL’IMMAGINE) NEL 1199 RIPORTÒ PARTE DELLA PERDUTA PROSPERITÀ. IVAN VDOVIN / AGE FOTOSTOCK


DA FORTEZZA A METROPOLI grazia. Assediata e conquistata, Ani finì con lo spopolarsi. Oramai fuori da ogni via di comunicazione, non aveva più ragione di rifiorire ed esistere. Il suo ricordo venne meno e la sua bellezza sfiorì, finché non ne rimase che la leggenda. Terremoti, saccheggi e un clima implacabile contribuirono poi a sfigurarla inesorabilmente. Quando tra il seicento e l’ottocento i primi esploratori occidentali vi fecero capolino, anche il suo nome era

perduto da tempo. Si trovava in una terra di nessuno, al confine tra due imperi – quello ottomano e quello persiano – in eterna lotta tra loro, e chi vi si avventurava lo faceva a rischio della propria vita. Non vi era stato fatto nessuno scavo ma solo ispezioni frettolose, durate poche ore, che contribuirono però a generare grande interesse tra gli studiosi del tempo. Come narra l’esploratore Robert Porter nel 1817: «Entrando nella città ho tro-

SECONDO gli storici armeni, laddove nacque Ani, nel V secolo sorgeva una fortezza costruita dalla dinastia dei Kamsarakan. È l’unico dato certo a nostra disposizione, dopodiché per avere altre informazioni sarà necessario attendere quattrocento anni, quando i territori di Arsharunik e Shirak (dove sorge la città) furono unificati dalla potente famiglia dei bagratidi, il cui sovrano Ashot Msaker (806-827) era stato insignito del titolo di principe dai califfi arabi. Furono gettate in questo modo le premesse per un potente regno che, nel secolo successivo, si ingrandì su buona parte dell’Anatolia orientale. Nel 961 al tempo di Ashot III, Ani fu scelta come capitale, decisione che avrebbe portato l’insignificante fortezza a trasformarsi in una delle più belle città d’Oriente.

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GRANDI SCOPERTE

Ani sotterranea, la città ancora da scoprire NEL SOTTOSUOLO di Ani sorge un mondo ancora in gran parte sconosciuto i cui accessi sono disseminati

lungo le ripide pareti dei profondi canyon che circondano la città. L’unico tentativo di esplorazione fu operato dai membri della campagna di scavo di Marr e portò all’individuazione di centinaia di camere.

FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK

Le mura settentrionali

vato l’intera superficie del terreno ricoperta di pietre scavate, capitelli spezzati, colonne, fregi frantumati, ma ben decorati, e altri resti di un’antica magnificenza». Era chiaro che quella landa desolata custodiva un vero tesoro artistico. L’alone di mistero che la cir-

condava rimase tale fino alla fine del XIX secolo.

La città torna alla luce Nel frattempo la regione, al centro di infinite dispute territoriali tra l’impero russo e il sempre più decadente impero ottomano, era finita sotto il controllo zarista. La missione russa guidata dall’archeologo Nikolaj Marr ebbe modo di portare avanti

una serie di campagne di studio protrattesi fino al 1917, che ne rivelarono parzialmente il maestoso passato. Per la prima volta il sito venne ispezionato e scavato, e gli edifici ancora in piedi restaurati. I suoi segreti vennero in parte svelati: maestose chiese armene con i loro preziosi affreschi coesistevano a fianco di moschee più tarde, conseguenza delle successive

Oggi Ani non è più impenetrabile ma per arrivarci bisogna comunque percorrere un cammino difficile IL PRIMO ARCHEOLOGO A ISPEZIONARE IL SITO FU IL RUSSO NIKOLAJ MARR AI PRIMI DEL ’900. ALAMY / ACI

dominazioni islamiche. Furono riportati alla luce anche i resti di un antichissimo tempio zoroastriano, a riprova dell’originario culto armeno prima della conversione al cristianesimo. Ma è la cattedrale di Santa Madre di Dio, completata nel 1001 dal noto architetto armeno Trdat, con la sua pianta cruciforme e l’imponente cupola, collassata nel terremoto del 1319, a lasciare senza fiato. La città avrebbe potuto svelare molti altri misteri, ma nel 1918 l’esercito turco avanzò nuovamente, riconquistando la regione, e su Ani si abbatté una furia


PARTICOLARE

IZZET KERIBAR / GETTY IMAGES

dell’interno della chiesa di Tigran Honents.

iconoclasta e distruttrice. Era l’inizio di una nuova stagione di oblio. Per i successivi ottant’anni l’area divenne uno dei confini più impenetrabili del mondo su cui l’Unione Sovietica, erede dell’impero russo, fronteggiava la Nato e il fidato alleato turco. E l’antica capitale armena era proprio nel mezzo, in una terra di nessuno, avvolta da chilometri di filo spinato e circondata da letali campi minati. Fu sacrificata alla logica della Guerra fredda e così rimase fino alla metà degli anni novanta, quando le cose lentamente cominciarono a mutare con la dissoluzione dell’URSS.

Oggi Ani non è più impenetrabile ma resta pur sempre un luogo su un confine sensibile, tra due nazioni (Turchia e Armenia) divise da un tragico passato. Per arrivarci bisogna spingersi fino alla sonnolenta Kars, nella Turchia nord-orientale, e percorrere una monotona strada che taglia un altopiano brullo e ventoso in cui, per decine e decine di chilometri, non s’incontra anima viva. Oltrepassate le maestose mura in pietra rossa, ancora in buone condizioni, si accede a un vasto pianoro costellato di rovine ricoperte da erbacce e bassi arbusti.

Solo le strutture più monumentali, in condizioni di conservazione precaria, spuntano qua e là, solitarie. Poi all’improvviso il paesaggio cambia bruscamente: il terreno sprofonda per centinaia di metri verso un canyon in cui scorre l’Akhurian, un affluente del fiume Arasse, che delimita i contorni della città, fino a raggiungere la cittadella dove nel V secolo sorgeva una fortezza solitaria.

scena, sarà forse in grado di svelare una volta per tutte i suoi segreti. Al giorno d’oggi è il suo sottosuolo a reclamare attenzione; nelle viscere dell’altopiano nel quale sorge si intersecano centinaia di tunnel, con abitazioni e templi, a riprova di culti molto antichi. Ani sembra insomma celare tra le sue viscere ancora molti misteri. —Antonio Ratti

Segreti del sottosuolo

Per saperne di più

Ani è uscita dal suo secolare oblio ed è diventata Patrimonio dell’Umanità. Se non ci saranno altri colpi di

Gli armeni Gabriella Uluhogian. Il Mulino, Bologna, 2015.

SAGGI

INTERNET

virtualani.org

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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA STORIA MEDIEVALE

Piedi, simbolo del bene e del male

S Virtus Zallot

CON I PIEDI NEL MEDIOEVO Il Mulino, 2018; pp. 256; 25 ¤

porchi, simbolo di carità o al contrario di diabolica mostruosità, i piedi assumevano nel Medioevo cristiano significati molteplici. Erano il “mezzo di trasporto” di pellegrini e viandanti e, proprio per questo, oggetto di ammirazione, attenzione e cure. Nella Bibbia, lavare i piedi agli ospiti rappresentava infatti un gesto di grande cortesia e accoglienza. Ma i piedi erano oggetto di attenzioni anche se deformi e addirittura mostruosi co-

me quelli rappresentati nei resoconti di viaggio del “lontano geografico”. Generavano viva curiosità o persino attrazione perché ampliavano i confini del conoscibile e, dunque, della cultura dell’epoca. Piedi diabolici popolano leggende e iconografie. Il filosofo Giovanni Francesco Pico della Mirandola (1469-1533) in La strega, ovvero degli inganni dei demoni, fa dichiarare alla strega che il diavolo le era apparso in forma umana «salvo per i piedi, che

STORIA CONTEMPORANEA

Microstorie della Lunga marcia cinese

S Guido Samarani

LA RIVOLUZIONE IN CAMMINO Salerno Editrice, 2018; pp. 138; 12 ¤

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ono indomite combattenti, ma anche fragili e sofferenti le donne che parteciparono alla Lunga marcia. Fu una ritirata d’imponenti proporzioni, intrapresa tra il 1934 e il 1936 dall’Armata Rossa cinese di Mao Zedong per sfuggire all’accerchiamento delle truppe dell’esercito nazionalista del Kuomitang guidato da Chiang Kai-Shek. Si trattò di una sconfitta politico-militare che costrinse più di 80mila uomini e donne a percorre-

re circa 12mila chilometri in 270 giorni. Tuttavia, in seguito si sarebbe rivelata un’abile strategia: l’esibizione di un’enorme massa umana in cammino verso la rivoluzione. Nel focalizzare la propria attenzione sugli anni della guerra civile e dello sviluppo della rivoluzione comunista nel decennio 1927-1937, lo storico Guido Samarani si concentra su piccole storie destinate a rimanere nell’ombra. Alla marcia presero parte circa duemila donne, ma solo

sembravano sempre presi da un’oca, che voltava sempre all’indietro così da lasciare le impronte a rovescio», simboli di un modo di fare ingannatore. Il diavolo assume nell’iconografia medievale anche zampe di capre o rapaci come nella Discesa agli inferi di Andrea di Bonaiuto nel cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella a Firenze: il diavolo blu ha piedi umani dotati di sperone, quelli rossi e gialli hanno gli zoccoli, mentre quello azzurro ha zampe d’uccello. È estramamente variegato il campionario letterario e iconografico proposto dalla storica dell’arte Virtus Zallot nel passare in rassegna un vero e proprio “linguaggio dei piedi” nel Medioevo.

poche decine nell’Armata centrale in cui militava la gran parte dei dirigenti comunisti. Tra loro He Manqiu, nota in quanto una delle prime donne medico, formatasi proprio nel corso della Lunga marcia, e Li Zhen, ricordata come la prima donna generale nell’Esercito popolare di liberazione. E poi c’è He Zizhen, compagna di Mao Zedong, che durante la ritirata partorì e fu costretta ad abbandonare una bambina e, in seguito, fu gravemente ferita dalle schegge di una bomba lanciata da un aereo nemico. Sono le storie minime della retroguardia, con parole dell’autore: «Tanti altri che la storia spesso lascia dietro, esseri senza volto e senza nome».


FOTOGRAFIA

ARTE CONTEMPORANEA

© IMAGE ARCHIVE ZENTRUM PAUL KLEE, BERNA.

Paul Klee deforma la realtà

N

ell’arte si può cominciare da capo, e ciò è evidente, più che altrove, in raccolte etnografiche oppure a casa propria, nella stanza riservata ai bambini». Così il pittore svizzero Paul Klee (1879-1940) si esprimeva nei propri Diari (1898-1918) a proposito della necessità di una riforma dell’arte e di tutti «i corsi della vecchia tradizione». Gli scarabocchi dei bambini, le creazioni di persone con problemi mentali o quelle dei popoli preclassici erano per Klee gli esempi migliori di come l’arte sarebbe potuta tornare a forme naturali. Sviluppatosi in occasione del suo

SENZA TITOLO [Cuore nero e albero nero]. 1939.

Collezione privata (Svizzera), in deposito presso il Zentrum Paul Klee, Berna.

primo viaggio in Italia tra il 1901 e il 1902, il fascino di Klee nei confronti del “primitivo” e del “selvaggio”è documentato da una mostra che, attraverso un centinaio di opere dell’artista esplora le varie tappe di un viaggio alle origini dell’arte. Ne fa parte tutto ciò che, secondo i curatori della mostra, «gli permette d’infrangere lo stile monu-

mentale e anticheggiante» e deformare la realtà: policromie, astrazioni, caricature, illustrazioni satiriche, linguaggi inventati o alfabeti antichi come il cuneiforme e il geroglifico. PAUL KLEE. ALLE ORIGINI DELL’ARTE Museo delle Culture di Milano. Fino al 3 marzo 2019. www.mudec.it

ARTE CONTEMPORANEA

IL TATUAGGIO COME SEGNO DEL CRIMINE UN’USANZA straordinaria-

DISEGNO che riproduce

i tatuaggi del delinquente Francesco Spiteri. XIX secolo.

mente diffusa tra ladri e prostitute, assassini e banditi, ma anche tra selvaggi e sovversivi. Secondo il medico e antropologo Cesare Lombroso (1835-1909) il tatuaggio era soprattutto «uno dei caratteri speciali dell’uomo primitivo, e di quello in stato di selvatichezza». Alcuni di questi disegni dai significati misteriosi, provenienti dal Museo

di antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, saranno esposti al MAO in una mostra più ampia in cui il materiale storico e iconografico dialoga con la cultura contemporanea del tatuaggio. TATTOO. L’ARTE SULLA PELLE MAO, Museo d’arte orientale, Torino. Fino al 3 marzo 2019 www.maotorino.it

LA LANCIA AURELIA B 24 -

Centro storico Fiat.

L’ITALIA DEL BOOM ECONOMICO L’ITALIA del quindicennio

1946-1961 cerca di lasciarsi indietro i drammi della guerra per avviarsi verso una fase di benessere e consumi senza precedenti. Il Paese inizia però a mostrare i limiti di uno sviluppo sfrenato, che non presta attenzione al divario tra nord e sud e provoca migrazioni ed emarginazione. Speculazione e abusivismo edilizio cambiano il volto delle città. È un’Italia contraddittoria quella rappresentata dalla mostra fotografica Il sorpasso, che si richiama all’omonimo film di Dino Risi del 1962. Con oltre 160 scatti, molti dei quali di “oscuri fotografi d’agenzia”, i curatori hanno cercato di rappresentare un Paese che insegue il progresso, costi quel che costi. IL SORPASSO Quando l’Italia si mise a correre, 1946-1961 Museo di Roma Fino al 3 febbraio 2019 Palazzo del Governatore, Parma dall’8 marzo al 5 maggio 2019

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GRANDI STORIE

Vicino Oriente Agatha Christie e gli avori di Nimrud Göbekli Tepe, il primo tempio Fenicia, terra di porpora Gli ittiti e il potere dei carri da guerra I Re dei Re dell’Iran Jiroft, Mesopotamia d’Iran La creazione dell’impero musulmano Nabucodonosor II, leggendario re di Babilonia Zarathustra, il primo profeta

n. 110, p. 78 n. 112, p. 44 n. 117, p. 28 n. 113, p. 40 n. 116, p. 42 n. 115, p. 42 n. 113, p. 78 n. 108, p. 44 n. 107, p. 50

Egitto Dentro le piramidi Egitto, i pittori dell’aldilà Gli ebrei in Egitto Il papiro, la carta dell’antico Egitto L’harem dei faraoni La giustizia del faraone La tomba più bella Le mummie di animali nell’antico Egitto L’opera di salvataggio dei templi nubiani Mastabe, le tombe dell’Antico regno

n. 113, p. 24 n. 111, p. 30 n. 114, p. 26 n. 110, p. 30 n. 107, p. 38 n, 112, p. 30 n. 116, p. 24 n. 109, p. 26 n. 108, p. 26 n. 115, p. 26

Grecia Alessandro, da conquistatore a despota Cleomene, il re più famoso di Sparta Delfi, il santuario sepolto Erodoto, il primo storico Guerra e commedia ad Atene I templi in Grecia L’amaro trionfo delle Arginuse La battaglia di Gaugamela La terra vista dai Greci Micene, la città dei guerrieri

n. 118, p. 40 n. 114, p. 52 n. 109, p. 42 n. 107, p. 62 n. 110, p. 44 n. 117, p. 40 n. 116, p. 56 n. 108, p. 54 n. 115, p. 54 n. 111, p. 46

Roma e civiltà italiche Àuguri, gli indovini dell’antica Roma Augusto, l’imperatore di dio Centurioni, i difensori di Roma 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

n. 112, p. 58 n. 115, p. 68 n. 107, p. 74

Cicerone, un omicidio di stato Domus Aurea: la fastosa residenza di Nerone Donne di Roma I trionfi di Cesare Il tempio di Giove Capitolino La grande ribellione di Budicca La vera storia di Ponzio Pilato Le vestali, madri di Roma Pompeo Magno, storia di una disfatta Settimio Severo e la militarizzazione di Roma

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Indici 2018 Storica National Geographic

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GLI INDICI 2018

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FIR

n. 116, p. 66 n. 110, p. 58 n. 108, p. 66 n. 118, p. 52 n. 111, p. 60 n. 117, p. 56 n. 110, p. 90 n. 114, p. 64 n. 113, p. 50 n. 109, p. 55

Medioevo Alla ricerca della tomba di Gengis Khan Bruegel e l’Europa contadina I sefarditi: la diaspora spagnola Il commercio di oggetti sacri nel Medioevo Il Krak dei Cavalieri La morte di Riccardo Cuor di Leone La paura di Satana Notre-Dame, la nascita di un simbolo

n. 108, p. 78 n. 116, p. 78 n. 109, p. 70 n. 107, p. 90 n. 114, p. 78 n. 118, p. 68 n. 111, p. 76 n. 117, p. 68

Età Moderna Botticelli, il pittore dei Medici I cento giorni di Napoleone Il giro del mondo di Darwin L’esplosivo Guy Fawkes L’impostura di Léo Taxil La rivoluzione russa La Vienna di Mozart Monna Lisa, gli enigmi di un simbolo San Pietro: la costruzione di un simbolo Scacco al re: Elisabetta I versus Filippo II Sulla pista dei fossili

n. 117, p. 86 n. 115, p. 84 n. 111, p. 108 n. 108, p. 90 n. 116, p. 94 n 107, p. 106 n. 112, p. 88 n. 114, p. 92 n. 109, p. 84 n. 118, p. 84 n. 113, p. 92

Età contemporanea Crimini nel Congo belga La conquista del Polo Nord La città della luce: Parigi nella Belle Époque La Grande guerra vista dai cieli La nascita della metropoli moderna

n. 111, p. 92 n. 114, p. 108 n. 118, p. 98 n. 110, p. 102 n. 108, p. 102


La tragica fine dei Romanov La tragica fine dell’anticonformista Mata Hari Le suffragiste Libia, la terra promessa Sissi, imperatrice anticonformista Un patrimonio salvato

n. 113, p. 106

Grandi invenzioni

n. 109, p. 104 n. 112, p. 106 n. 116, p. 108 n. 115, p. 100 n. 113, p. 58

Il termometro L’ambulanza volante L’aristocratico violino La doccia La macchina da scrivere La pistola a ruota

Altre civiltà

RUBRICHE

Cacciatori della preistoria Divinità e miti vichinghi I primi abitanti d’America Il Giappone si schiude al mondo La grande migrazione dell’Homo Sapiens

Mappa del tempo n. 118, p. 22 n. 112, p. 72 n. 114, p. 38 n. 117, p. 104 n. 107, p. 22

Personaggi straordinari Al-Jazari William Wallace, Braveheart Eugenia de Montijo Grazia Deledda, scrittrice (quasi) per istinto I fratelli Lumière Karl Marx, da ribelle a rivoluzionario L’incredibile storia della suora alfiere Veronica Franco Vitus Bering Washington Irving

n. 116, p. 10 n. 109, p.10 n. 111, p. 12 n. 118, p. 8 n. 112, p. 12 n. 113, p. 12 n. 117, p. 10 n. 107, p. 8 n. 110, p. 10 n. 115, p. 12

n. 116, p. 16 n. 111, p. 20 n. 108, p.14 n. 112, p. 26 n. 110, p. 16 n. 114, p. 14 n. 109, p. 16 n. 115, p. 18

Vita quotidiana Il gelato moderno, una storia tutta italiana Il profumo a Roma Invito a cena nella Roma imperiale L’Atene ottomana L’esercito di Napoleone Le camere delle meraviglie Le carrozze a noleggio, i taxi del passato Qipu, il codice segreto degli inca Roma spopolata Umorismo romano Whisky, acqua della vita

n. 117, p. 20 n. 114, p. 20 n. 113, p. 20 n. 108, p. 20 n. 109, p. 22 n. 111, p. 26 n. 118, p. 16 n. 115, p. 22 n. 110, p. 22 n. 112, p. 20 n. 107, p. 14

Opera d’arte Il pettorale di Monte Albán La saliera del Benin La stradina di Vermeer

Genesi del Messico odierno Il planisfero di Mercatore Imola secondo Leonardo

n. 109, p. 8 n. 113, p. 18 n. 117, p. 26

Grandi enigmi Cosa accadde a Amelia Earhart I principi della torre Il manoscritto Voynich Il pifferaio magico Kraken, il calamaro gigante Lo stretto di Anian Le mummie di Urbania, una storia oltre la morte Martin Guerre Morti sospette alla corte dei Medici

n. 112, p. 122 n. 107, p. 126 n. 110, p. 120 n. 109, p. 120 n. 115, p. 118 n. 117, p. 124 n. 118, p. 118 n. 108, p. 120 n. 114, p. 124

Attualità Tombe millenarie in Cina

L’evento storico Beemster, il polder che stupì il mondo Il falso che ingannò l’Europa Il naufragio del Batavia L’affaire di Anna d’Austria L’influenza spagnola La defenestrazione di Praga La febbre della gomma La peste di Giustiniano

n. 118, p. 14 n. 114, p. 18 n. 107, p. 12 n. 116, p. 14 n. 112, p. 18 n. 108, p. 12

n. 117, p. 24 n. 114, p. 24 n. 110, p. 14

n. 111, p. 10

Mostre Nel mare dell’intimità

n. 110, p. 128

Grandi scoperte Ai Khanoum Arslantepe, Il palazzo pubblico più antico al mondo Hoxne L’Ercole Mastai La tomba di Sennedjem Lalibela, le mitiche chiese rupestri dell’Etiopia Le meraviglie della Spagna romana: il mosaico di Noheda Mars, il gigante svedese Tiahuanaco

n. 113, p. 124 n. 112, p. 126 n. 115, p. 122 n. 110, p. 124 n. 108, p. 124 n. 116, p. n. 122 n. 118, p. 122 n. 111, p. 126 n. 109, p. 124

Data Storica Il valzer La bicicletta emancipatrice

n. 110, p. 28 n. 108, p. 24

Animali nella storia Il giaguaro I cani da combattimento I leoni mangiatori di uomini di Tsavo Una giraffa per Carlo X

n. 117, p. 18 n. 107, p. 20 n. 116, p. 22 n. 112, p. 24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero COSÌ ERA LA ROMA DEL PRIMO GIUBILEO CONVOCATI da papa

SCALA, FIRENZE

Bonifacio VIII per il giubileo, nel 1300 migliaia di pellegrini giunsero a Roma. La moltitudine che invase la capitale della cristianità ne approfittò per chiedere perdono per i propri peccati e pregare davanti alle preziose reliquie conservate nelle sue numerose chiese. Per raggiungerle, bastava seguire le precorritrici delle odierne guide turistiche.

UNA CITTÀ SIRIANA IN 3D: LA GERASA DI DUEMILA ANNI FA GERASA fu una delle città più importanti

della Decapoli, la lega che riuniva le fiorenti città della provincia siriana connubio tra cultura greca e tradizioni semitiche. Gerasa, nell’odierna Giordania, era una città cosmopolita, protetta da mura di quasi tre chilometri e mezzo di lunghezza e situata in un enclave ricca di miniere di ferro. La Gerasa di duemila anni fa è visibile oggi grazie alla ricostruzione in 3D. DEA / GETTY IMAGES

La vendetta di Cleopatra Per poter rimanere sul trono Cleopatra dovette imporsi sui suoi tre fratelli. Nel 41 a.C. ordinò l’uccisione della sua più acerrima rivale, la sorella Arsinoe.

Paideia: l’educazione in Grecia Nella Grecia classica i maschi venivano formati per diventare cittadini e soldati al servizio dello stato. Oggi si ritiene che l’educazione fosse aperta anche alle femmine.

I guardiani di Roma Per proteggere la città, gli imperatori fecero costruire una lunga catena di basi legionarie, fortificazioni e torri sulle rive del Danubio.

Vilcabamba, la città inca perduta In seguito alla conquista spagnola, Tupac Amaru acquisì potere all’interno della cordigliera delle Ande, a Vilcabamba, che divenne sede della resistenza inca.


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