N. 76 • GIUGNO 2015 • 4,50 E
ALESSANDRO MAGNO FLAVIO EZIO
IL GENERALE “BARBARO” CHE DIFESE ROMA DA ATTILA
GUELFI E GHIBELLINI
LA CONTESA CHE SEGNÒ LA STORIA D’ITALIA
LA CONQUISTA DEL PACIFICO
772035 878008 9
IL PROCESSO CHE DECISE LA SORTE DELLA PALADINA DEI FRANCESI
50076
GIOVANNA D’ARCO
periodicità mensile
IL DOMINIO IBERICO TRA L’ASIA E L’AMERICA
germania
- poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, ne/vr 11,00 € - svizzera c. ticino CHF. 9,50- svizzera CHF. 9,90
LA SANGUINOSA CONQUISTA DI TIRO
Vivere bene insieme
Ci prendiamo cura delle persone più importanti al mondo: la Tua famiglia. Crediamo nel valore del tempo trascorso insieme e dedichiamo grande attenzione a tutti i nostri soci, di ogni età. Ci prendiamo cura di Voi oggi, per il Vostro futuro. Vivere bene insieme all’ Harbour Club: www.aspria.com | 02 4528630
Europe’s Finest Members Clubs B ERL IN BRUSSE LS H A MBURG H AN N OVER MILAN
EDITORIALE
TH
E
AR TA
RC
HIV
E
«Il volgo disperso
che nome non ha», scriveva Alessandro Manzoni nell’Adelchi riferendosi gli italiani del IX secolo privi di unità, di libertà e di coscienza nazionale sotto la dominazione dei Longobardi prima e dei Franchi dopo. Ma sappiamo che il «gran lombardo» si riferiva anche ai suoi contemporanei affinché si adoperassero per (ri)costituire quell’unità nazionale perduta dal tempo dei Romani e più tardi faticosamente raggiunta. Gli storici hanno dibattuto a lungo – e dibattono ancora – sui motivi che hanno portato l’Italia a restare disunita per quasi quattordici secoli, ma senza arrivare a una spiegazione concorde. Il grande storico Fernand Braudel sosteneva per esempio che nel XIV e XV secolo si verificò in Europa una sorta di corsa tra le «lepri» (le città) e le «tartarughe» (la formazione degli Stati nazionali). Questi ultimi, come nella favola di Esopo, ebbero poi la meglio nei Paesi (Francia, Inghilterra, Spagna) dove il localismo era molto più debole rispetto ad altre come la Germania e l’Italia. In più c’è da dire che il nostro è stato il Paese delle mille fazioni, anche interne alle città stesse, come la lunga epopea delle lotte fra guelfi e ghibellini dimostra. Con il risultato di lacerare ulteriormente la compattezza politico-territoriale della Penisola, la quale, probabilmente anche per tale motivo, continuò a rappresentare terra di conquista: un «divide et impera» autoprovocato. GIORGIO RIVIECCIO Direttore
Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION
Pubblicazione periodica mensile - Anno VI - n. 76
PRESIDENTE
RICARDO RODRIGO CONSEJERO DELEGADO
EDITORE: RBA ITALIA SRL
ENRIQUE IGLESIAS
Via Roberto Lepetit 8/10 20124 Milano Direttore generale: STEFANO BISATTI
DIRECTORAS GENERALES
ANA RODRIGO, MARI CARMEN CORONAS
Direttore responsabile: GIORGIO RIVIECCIO
INTERNO DELLA CATTEDRALE DI NOTRE DAME DI REIMS, FRANCIA. Foto Bertrand Gardel / Gtres
DIRECTORA EDITORIAL INTERNACIONAL
RBA ITALIA SRL Via Roberto Lepetit 8/10 20124 Milano tel. 0200696352 e-mail: storica@storicang.it
SOLEDAD LORENZO DIRECTORA MARKETING
BERTA CASTELLET DIRECTORA CREATIVA
JORDINA SALVANY
Coordinamento editoriale: ANNA FRANCHINI Grafica: MIREIA TREPAT Impaginazione, traduzione e adattamento: FESTOS, MILANO
www.storicang.it E-mail: storica@storicang.it Esce il 20 di ogni mese
DIRECTOR GENERAL PLANIFICACIÓN Y CONTROL
IGNACIO LÓPEZ
Redazione e amministrazione:
DIRECTORA DE CONTENIDOS
AUREA DÍAZ DIRECTOR DE CIRCULACIÓN
JOSÉ ORTEGA DIRECTOR DE PRODUCCIÓN
RICARD ARGILÉS
STAMPATORE: NIIAG S.P.A - BEPRINTERS Via Zanica, 92 24126 Bergamo
Difusión controlada por
DISTRIBUZIONE: Segui Storica su Facebook. News ed eventi quotidiani anche su social network: www.facebook.com/storicang
PRESS-DI DISTRIBUZIONE STAMPA & MULTIMEDIA Via Mondadori, 1 - 20090 SEGRATE (MI)
PUBBLICITÀ: NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY Per l’incremento e la diffusione delle conoscenze geografiche
Corso Vercelli, 25 - 20144 Milano Tel. 02 5469893 Fax 02 54107522 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 31 del 22/01/2009 ISSN: 2035-8784 ©2009-2014 RBA ITALIA SRL
SERVIZIO ABBONAMENTI
Volete sottoscrivere un abbonamento a Storica? Oppure dovete segnalare un eventuale disservizio? Chiamate il numero 199 111 999 per tutta Italia (costo della chiamata: 0,12 euro +IVA al minuto senza scatto alla risposta; per i cellulari il costo varia in funzione dell’operatore). Il servizio è attivo da lunedì a venerdì, dalle 9.00 alle 19.00. Altrimenti inviate un fax al numero 030 7772387. Per chi chiama dall’estero è attivo il numero +39 041 5099049. Oppure inviate una mail a servizioabbonamenti@mondadori.it, o scrivete alla Casella Postale 97, 25126 Brescia
SERVIZIO ARRETRATI
Avete perso un numero di Storica o un numero di Speciale di Storica? Ecco come richiederlo. Chiamate il numero 045.8884400 Altrimenti inviate una mail a collez@mondadori.it. Oppure un fax al numero 045.8884378. O scrivete a Press-di Servizio Collezionisti casella postale 1879, 20101 Milano
COLLABORATORI
National Geographic Society fu fondata a Washington nel 1888. È una delle più importanti organizzazioni non profit in campo scientifico ed educativo al mondo. Essa persegue la sua missione sostenendo gli studi scientifici, le esplorazioni, la salvaguardia del patrimonio naturale e culturale. GARY E. KNELL President and CEO Executive Management TERRENCE B. ADAMSON, TERRY D. GARCIA, BETTY HUDSON, CHRIS JOHNS, DECLAN MOORE, BROOKE RUNNETTE, TRACIE A. WINBIGLER BOARD OF TRUSTEES
JOHN FAHEY Chairman, DAWN L. ARNALL, WANDA M. AUSTIN, MICHAEL R. BONSIGNORE, JEAN N. CASE, ALEXANDRA GROSVENOR ELLER, ROGER A. ENRICO, GILBERT M. GROSVENOR, WILLIAM R. HARVEY, GARY E. KNELL, MARIA E. LAGOMASINO, JANE LUBCHENKO, NIGEL MORRIS, GEORGE MUÑOZ, REG MURPHY, PATRICK F. NOONAN, PETER H. RAVEN, EDWARD P. ROSKI, JR., FREDERICK J. RYAN, JR., B. FRANCIS SAUL II, TED WAITT, TRACY R. WOLSTENCROFT INTERNATIONAL PUBLISHING
civiltà italiche
grecia e roma
vicino oriente
storia moderna
storia medievale
ENRICO BENELLI Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico (Iscima) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Monterotondo (Roma) Curatore della seconda edizione del Thesaurus Linguae Etruscae, Fabrizio Serra editore Autore di: Le iscrizioni bilingui etrusco-latine, Olschki
EVA CANTARELLA Professore di Istituzioni di Diritto Romano e di Diritto Greco Antico, Università Statale di Milano; global visiting professor New York University Autrice di: Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Rizzoli - L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nel mondo greco e romano, Feltrinelli
PAOLO MATTHIAE Professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico, Università di Roma La Sapienza; direttore della Missione Archeologica Italiana a Ebla; membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei Autore di: Ebla, un impero ritrovato, Einaudi Storia dell’Arte dell’Oriente Antico, Electa Mondadori
VITTORIO BEONIO BROCCHIERI Professore di Storia moderna presso l’Università degli Studi della Calabria; membro del collegio della scuola di dottorato Andre Gunder Frank Autore di: Storie globali. Persone, merci e idee in movimento Celti e Germani. L’europa e i suoi antenati Encyclomedia Publishers
MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella Editore Caccia alle streghe, Salerno Editrice
YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President, Digital, RACHEL LOVE, Vice President, Book Publishing, CYNTHIA COMBS, ARIEL DEIACO-LOHR, DIANA JAKSIC, JENNIFER LIU, RACHELLE PEREZ COMMUNICATIONS
BETH FOSTER Vice President RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE
PETER H. RAVEN Chairman JOHN M. FRANCIS Vice Chairman PAUL A. BAKER, KAMALIJIT S. BAWA, COLIN A. CHAPMAN, KEITH CLARKE, J. EMMETT DUFFY, CAROL P. HARDEN, KIRK JOHNSON, JONATHAN B. LOSOS, JOHN O’LOUGHLIN, NAOMI E. PIERCE, JEREMY A. SABLOFF, MONICA L. SMITH, THOMAS B. SMITH, WIRT H. WILLS
L’ESECUZIONE DI GIOVANNA D’ARCO
Dipinto di Isidore Patrois. 1867. Museo di Belle Arti, Rouen.
Grandi storie
22 Gli obelischi, raggi di sole pietrificati Non solo con le piramidi, ma anche con gli obelischi gli Egizi hanno dato prova della loro straordinaria capacità di costruttori. DI ELISA CASTEL
34 Il duello tra Davide e Golia Il leggendario atto di coraggio di un ragazzo che fu punto di svolta ed evento fondante nella storia del regno di Israele. DI ALBERTO CANTERA
44 Alessandro Magno alla conquista di Tiro Solo a costo di un durissimo assedio, nell’agosto del 332 a.C. il condottiero macedone riuscì a espugnare la città fenicia. DI P. ORTIZ GARCÍA
54 Flavio Ezio, il barbaro terrore dei barbari Nel V secolo le sorti di Roma furono difese da un militare scita che riuscì a fermare l’avanzata di Attila. DI JACOPO MORDENTI
66 Guelfi e ghibellini La contesa, narrata e patita da Dante, che condizionò la storia d’Italia nel XII-XIV secolo. DI V. H. BEONIO BROCCHIERI
80 La condanna di Giovanna d’Arco La dettagliata ricostruzione del processo che decise la sorte della paladina dei Francesi. DI JULIEN THÉRY
92 La conquista del Pacifico Nel XVI sec., grandi spedizioni di navigatori stabilirono il dominio iberico tra l’Asia e l’America. DI SALVADOR BERNABÉU STATUETTA IN ORO. CULTURA QUIMBAYA, COLOMBIA. MUSEO DELL’ORO, BOGOTÀ.
Rubriche
6 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI
Alexander von Humboldt Le grandi scoperte del naturalista tedesco nel Nuovo Mondo
14 L’EVENTO STORICO
L’invenzione della ghigliottina Storia della mortifera macchina figlia della Rivoluzione francese
18 VITA QUOTIDIANA
Una giornata con i monaci del Medioevo Come si viveva in un monastero benedettino del XI secolo
92
GRANDI SCOPERTE
Nike di Samotracia, scolpita dal vento Il ritrovamento e il restauro del capolavoro dell’arte ellenistica
108 LA STORIA NELL’ARTE
Il trionfo di Enrico IV a Parigi L’apoteosi del re di Francia in un capolavoro di Rubens
110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
5
AT T UA L I T À
IL PLASTICO
INAH / HÉCTOR MONTAÑO
rappresenta l’interno del tempio del Serpente piumato e la lunga galleria che corre sotto di esso.
AMERICA PRECOLOMBIANA
Il percorso sotterraneo agli inferi di Teotihuacán INAH / HÉCTOR MONTAÑO
Gli archeologi al lavoro nella galleria che corre sotto il tempio del Serpente piumato hanno scoperto tre camere e migliaia di oggetti
LA RICCHEZZA delle
offerte rinvenute nella galleria del tempio del Serpente piumato ha sorpreso gli archeologi. Fra molti altri pezzi sono state scoperte quattro statuette antropomorfe in pietra verde (sopra), palle di gomma, conchiglie, perle, giada, pelli e ossa di grandi felini ed esoscheletri di scarabei.
6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
N
el 2003, le abbondanti piogge cadute sulla cittadella di Teotihuacán, in Messico, il più grande sito archeologico del Nordamerica, avevano riportato alla luce una cavità di 83 centimetri nelle vicinanze del tempio del Serpente piumato. Gli archeologi dell’INAH (Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico), che stanno compiendo ricerche sul sito, sul fondo di un pozzo a 18 metri di profondità hanno scoperto una
galleria lunga 102 metri che corre sotto il tempio e che sembra essere stata sigillata 1800 anni fa. Dal momento della scoperta sono state rimosse centinaia di tonnellate di terra e pietra, e per esplorare la galleria sono stati utilizzati robot concepiti proprio a questo scopo.
Ingresso agli inferi L’impegno ha dato i suoi frutti: gli archeologi sono infatti riusciti a raggiungere l’ingresso delle tre camere, dove hanno rinvenuto un gran
numero di offerte votive. Secondo Sergio Gómez Chávez, responsabile del progetto, è possibile che la galleria dovesse rappresentare metaforicamente l’ingresso agli inferi e che le tre camere, che non sono ancora state aperte, siano le tombe di importanti personaggi di Teotihuacán. Ora, proseguire l’esplorazione non sarà facile: nella parte finale della galleria non si può infatti procedere con macchinari perché l’intensa umidità della zona rende il varco pericolante.
RICOSTRUZIONE virtuale delle prime
PASCAL COTTE / LUMIÈRE TECHNOLOGY. LIBRO PUBBLICATO DA VINCI EDITIONS (WW.VINCI-EDITIONS.COM) DISPONIBILE SU AMAZON
due versioni della Dama con l’ermellino a confronto con l’originale (a destra).
ARTE E TECNOLOGIA
Un ingegnere francese sostiene di aver scoperto, grazie a nuove tecniche d’indagine, che furono dipinte tre versioni del celebre quadro
L’
ingegnere francese Pascal Cotte, fondatore della Lumière Tecnology, afferma di aver portato alla luce i segreti di uno dei più emblematici capolavori di Leonardo da Vinci: la Dama con l’ermellino. Questo olio, dipinto nel 1490, è il ritratto di Cecilia Gallerani, amante di Ludovico Sforza, duca di Milano. Al termine di tre anni di studi sull’opera, l’ingegnere francese sostiene di avere la prova che l’animale che dà il titolo al quadro fu dipinto in un secondo mo-
mento. Inizialmente il geniale artista fece il solo ritratto di Cecilia, e più tardi aggiunse l’ermellino; ma, evidentemente insoddisfatto dell’aspetto dell’animale, lo dipinse nuovamente a distanza di qualche tempo.
Nuove tecnologie Per lo studio dell’opera, Cotte ha utilizzato la tecnologia Lam (Layer Amplification Method), che offre la possibilità di “sbucciare” un dipinto come se si trattasse di una cipolla, superando il pri-
mo strato per scoprire che cosa vi si nasconde sotto e proseguendo l’indagine fino ad arrivare allo strato di base. La tecnologia Lam proietta sulla tela una serie di luci di grande intensità i cui riflessi sono misurati da una fotocamera. Sulla base di queste misurazioni, è possibile ricostruire ciò che si trova tra uno strato e l’altro. In questo modo, Pascal Cotte ha potuto ricreare virtualmente le possibili due versioni precedenti del celebre quadro.
PATRICK ESCUDERO / GTRES
La Dama leonardesca con i due ermellini LUMIÈRE TECHNOLOGY ha
studiato diverse opere di Leonardo da Vinci (sopra, autoritratto dell’artista), tra le quali la Gioconda. I risultati dello studio sulla Dama con l’ermellino sono stati pubblicati da Pascal Cotte in un libro intitolato Lumiere on the Lady with an Ermine, che è disponibile sia in lingua francese sia in lingua inglese.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
7
campagna di PicNic
Olimpiade d’Epiro, moglie di Filippo II di Macedonia e madre di Alessandro, fu ripudiata dal consorte: secondo gli storici fu la protagonista dei complotti che portarono alla morte del sovrano e all’eliminazione dei rivali di Alessandro al trono.
Vedova del re di Francia Enrico II, Caterina de’ Medici fu reggente e dopo la morte del primogenito divenne arbitra del regno, come tutrice del giovane re Carlo IX. Protesse la monarchia francese negli anni drammatici dei conflitti di religione.
Maria Teresa d’Austria divenne imperatrice legittimamente, anche se contro la sua nomina fu scatenata una guerra, ed esercitò il suo governo in maniera illuminata con importanti riforme e una accorta politica dinastica.
GRANDI DONNE Il potere nascosto
Sono state molte nella storia le donne che, pur non avendo un potere legittimato, lo hanno esercitato con un’intensità e una determinazione superiore a quella dei consorti o figli che lo detenevano ufficialmente, talvolta con spregiudicatezza e senza risparmio di mezzi, leciti o illeciti. Dall’egizia Hatshepsut a Olimpiade, madre di Alessandro Magno, alle mogli di imperatori come Livia, Teodora e Galla Placidia, fino alle regine, come Zenobia e Caterina de’ Medici. Scopritene metodi e strategie con lo Speciale di Storica National Geographic Grandi donne - Il potere nascosto.
164
pagine
con tutta la qualità Storica NG
In edicola dal 5 giugno a soli €9,90
PERSONAGGI STRAORDINARI
Humboldt, il naturalista che riscoprì l’America Biologo, umanista, geografo e astronomo, il prussiano Alexander von Humboldt effettuò una vasta esplorazione dell’America portando alla luce aspetti ignorati del continente
A
Impaziente di scoprire il mondo 1769 Nasce Alexander von Humboldt nel castello di Tegel (Berlino), figlio di un generale prussiano e di un’ereditiera.
1799 Humboldt e il botanico Aimé Bonpland raggiungono Madrid. Qui otterranno i salvacondotti per il viaggio in America.
Bonpland e Humboldt partono alla volta dell’America. Percorrono il continente descrivendone geografia, flora e fauna.
1804-1827 Humboldt pubblica a Parigi Viaggio alle regioni equinoziali del Nuovo Continente, la sua opera in 33 volumi.
1859 Humboldt muore a 89 anni, nella sua casa natale a Berlino. È sepolto nella tomba di famiglia a Tegel.
ORONOZ / ALBUM
1800-1804
lexander von Humboldt è considerato da alcuni come l’ultimo scienziato universale. Le esplorazioni e gli studi scientifici del naturalista tedesco furono talmente estesi e importanti che oggi la corrente fredda che percorre la costa del Perú, fiumi, baie, cascate, parchi naturali e perfino un cratere sulla Luna, oltre a diverse specie vegetali e animali, portano il suo nome. Friedrich Wilhelm Heinrich Alexander von Humboldt nacque nel 1769 nel castello di Tegel, vicino a Berlino, da un’aristocratica famiglia prussiana. Fu educato da tutori che risvegliarono in lui la passione per le scienze naturali e i viaggi. Dopo la morte del padre studiò legge all’Università di Gottinga, come desiderava sua madre, ma questo non gli impedì di seguire i corsi di scienze naturali di Georg Forster, illustratore botanico durante la seconda spedizione del capitano James Cook. Nel 1797, dopo la morte della madre, Humboldt rinunciò alla promettente carriera di funzionario
nel Dipartimento Minerario di Prussia e si recò a Parigi, dove divenne amico di Aimé Bonpland, un botanico che condivideva i suoi interessi. I due decisero di proseguire insieme il loro sogno di intraprendere una spedizione. Dopo vari tentativi andati a vuoto –fra gli altri, quello di fare parte della spedizione di Napoleone in Egitto– percorsero a piedi la costa del Mediterraneo da Marsiglia fino a Barcellona, e di qui a Valencia e Alicante. Quando arrivarono a Madrid, grazie alle misurazioni raccolte durante il cammino, avevano elaborato il primo schema teorico preciso del rilievo della Penisola iberica.
Destinazione Nuovo Mondo A Madrid, Humboldt e Bonpland conobbero Mariano Luis de Urquijo, segretario di Stato del re, che li prese sotto la sua protezione. Grazie al suo intervento, nel marzo del 1799 furono presentati al re Carlo IV e ottennero i salvacondotti per esplorare le province americane sotto la dominazione spagnola. Così il loro agognato viaggio in Oriente cedette all’esotica geografia americana: Nuova Spagna (attuale Messico e Centroamerica), Nuova Granada (attuale Colombia e Venezuela) e Perú. Humboldt pagò il viaggio di tasca pro-
Per Humboldt, la natura non è solo un insieme di fenomeni oggettivi, ma è uno specchio dello spirito STATUETTA IN ORO. CULTURA QUIMBAYA, COLOMBIA. MUSEO DELL’ORO, BOGOTÀ.
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
CIRCONDATI DA ANIMALI FEROCI IN UNA LETTERA inviata dall’Ava-
na nel 1801 al suo amico, il botanico Carl Ludwig Willdenow, Humboldt scrive: «Per quattro mesi abbiamo dormito nelle foreste, circondati da coccodrilli, boa e giaguari (che attaccano le canoe), mangiando solamente riso, formiche, yucca, banane e a volte scimmie, e bevendo l’acqua dell’Orinoco». Per evitare le zanzare, «a Higuerote bisogna sotterrarsi nella sabbia durante la notte, e la terra che copre il corpo deve avere uno spessore da sette a dieci centimetri».
PHOTOAISA
RITRATTO DI UN GIOVANE HUMBOLDT IN MEZZO ALLA NATURA, OLIO DI FRIEDRICH GEORG WEITSCH. 1809. ALTE NATIONALGALERIE, BERLINO.
pria, e il 5 di giugno del 1799 i due uomini si imbarcarono a La Coruña sulla corvetta Pizarro, con diversi bagagli e 42 costosi strumenti scientifici. La nave, diretta in Venezuela, fece scalo a Tenerife, dove i naturalisti salirono fino alla cima del vulcano Teide. Dopo un viaggio tranquillo, il 16 di luglio sbarcarono a Cumaná, in Venezuela, dove rimasero incantati dalla foresta tropicale. Per i primi tre giorni «correvamo come pazzi da una parte e dall’altra, senza poter eseguire delle osservazioni accurate poiché cogliendo un qualche raro esemplare subito lo
abbandonavamo, accorgendoci che accanto se ne trovava uno ancora più curioso», scrisse a suo fratello Wilhelm, celebre filologo. Come Goethe, Humboldt adorava la natura e riteneva che la scienza dovesse servire la filosofia: «La Natura per me non è solo un insieme di fenomeni oggettivi, ma è uno specchio dello spirito umano». Humboldt e Bonpland risalirono l’Orinoco fino a San Fernando de Atabapo, evitando le rapide e portando a spalla la canoa. Dopo lunghi giorni, tormentati dalla fame e dalle zanzare e minacciati dai giaguari, raggiunsero
il Rio Negro, uno degli affluenti del Rio delle Amazzoni. Erano stati i primi a navigare attraverso il mitico Casiquiare, un canale naturale di trecento chilometri di lunghezza che unisce i sistemi fluviali dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni e che alcuni consideravano una leggenda. Sulla strada per Angostura, Humboldt realizzò alcuni pericolosi esperimenti, come la pesca di diverse anguille elettriche (Gymnotus electricus) per studiare l’elettricità prodotta da questi pesci d’acqua dolce. Gli indios le catturavano entrando nell’acqua con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
11
COLIN MONTEATH / AGE FOTOSTOCK
PERSONAGGI STRAORDINARI
LA TIERRA DEL DIOS. La imagen corresponde a las ruinad de la antigua ciudad de Palmira (Siria). De esta región procede El Gabal.
i cavalli: catturavano le anguille con un arpione quando esse avevano già scaricato la loro elettricità sui quadrupedi. Imprudentemente, Humboldt mise i piedi su un gimnoto appena pescato: «Per tutto il giorno ho provato un forte dolore alle ginocchia e in quasi tutte le articolazioni», scrisse nel suo diario. In un villaggio indigeno Humboldt provò
NUMEROSI ELEMENTI geografici
portano il nome Humboldt in omaggio al grande geografo e naturalista, come queste montagne in Nuova Zelanda.
il curaro, veleno utilizzato dagli indios per cacciare (che assaggiò e definì «amaro») e che è velenoso solo se iniettato direttamente nel sangue.
Attraverso un continente Ritornati sulla costa caraibica, Humboldt e Bonpland si misero in viaggio verso Cuba e ritornarono in continen-
SCIMMIE ARROSTO ALEXANDER VON HUMBOLDT studiò nume-
rose specie di scimmie che vivevano nel bacino del fiume Orinoco e ne portò alcune in Europa. Vide anche gli indigeni arrostire e nutrirsi di questi animali e ne dedusse che tale abitudine serviva a «diminuire l’orrore per l’antropofagia» da parte degli indigeni. DISEGNO DI SIMIA MELANOCEPHALA IN UN’OPERA DI A. VON HUMBOLDT. AGE FOTOSTOCK
12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
te da Cartagena, nell’attuale Colombia, dove deviarono volutamente verso Santa Fe di Bogotà per conoscere il botanico spagnolo José Celestino Mutis. All’arrivo, Bonpland fu colpito da un attacco di febbre e i due compagni furono costretti a fermarsi per sei settimane a casa di Mutis, tempo di cui Humboldt approfittò, secondo le sue stesse parole, per «consultare l’eccellente tesoro librario di Mutis e fare calcoli astronomici, tracciare linee meridiane, determinare la deviazione magnetica, studiare ittiologia e scoprire una quantità di cose impensabili fino ad allora». Risalendo il Rio Magdalena arrivarono a Quito, in Ecuador. Durante il viaggio salirono sul vulcano Pichincha e cercarono di scalare il Chimborazo, che con i suoi 6310 metri di altitudine era considerato al tempo la montagna più alta del
SULLA CIMA DEL PICHINCHA
LE ANDE FURONO una rivelazione per Humboldt: lì comprese l’influenza del clima sugli esseri viventi. Incisione di Geografia delle piante nelle terre tropicali. 1807.
NEL MAGGIO DEL 1802, Humboldt
BPK / SCALA, FIRENZE
AGE FOTOSTOCK
scalò per due volte il vulcano Pichincha, che domina la città di Quito, in Ecuador. Lì, spiega, «trovai sulla cima una roccia che, sostenuta su un lato solamente, si spingeva a mo’ di terrazzo sul precipizio» e si muoveva a causa delle scosse della terra («ne contammo 18 in meno di 30 minuti»). Si spinse sulla roccia e contemplò un panorama «terrificante»: il cratere «è di un nero intenso, ma l’apertura è talmente grande che si distinguono le cime di diverse montagne innevate ubicate al suo interno». HUMBOLDT AUTORE DI KOSMOS, OPERA INCOMPIUTA.
mondo. Si fermarono a 5610 metri, la massima altitudine raggiunta fino ad allora da un uomo. Humboldt registrò le modificazioni della temperatura e la stratificazione della vegetazione lungo il versante della montagna, ponendo le basi della biogeografia moderna. In Perú, il naturalista prussiano studiò l’uso del guano come fertilizzante, e durante il tragitto in nave verso il Messico misurò la temperatura dell’acqua della corrente fredda che scorreva lungo la costa peruviana e che ora porta il suo nome. Nel 1803 Humboldt e Bonpland percorsero il Messico, passarono nuovamente da Cuba e arrivarono negli Stati Uniti, dove furono ospiti alla Casa Bianca del presidente Thomas Jefferson, grande appassionato di scienze naturali. Dopo cinque anni e più di diecimila chilometri, la lunga esplorazione di Humboldt e Bonpland terminò nel 1804 con il loro rientro a Parigi, dove
ricevettero un’accoglienza entusiasta. Avevano esplorato e documentato fauna, flora, geografia ed etnografia latinoamericane nella spedizione scientifica più ambiziosa mai realizzata.
di Prussia e iniziò la stesura della sua opera più ambiziosa, Kosmos, un compendio di tutte le scienze naturali conosciute. Diversi incarichi in Francia e il lavoro presso la corte di Federico Guglielmo IV di Prussia gli impedirono Il lavoro di una vita di terminare l’opera. Quando morì, nel Fra il 1804 e il 1827, Humboldt visse a 1859, a ottantanove anni, erano stati Parigi, sistemando il materiale raccolto pubblicati solo cinque dei libri che durante la spedizione, pubblicato in avrebbero dovuto formare la sua opera trentatrè volumi che portano il tito- più anelata, che rimase così inconclusa. lo di Viaggio alle regioni equinoziali Dalla sua morte nessuno pretese più del Nuovo Continente. Bonpland tor- di coprire tutti i campi dello scibile; nò in America, dove si sposò, mentre la scienza si specializzò. Proprio per Humboldt, assorbito dal suo lavoro, questo Humboldt fu, probabilmente, non prese mai moglie. Alcune fon- l’ultimo scienziato universale. ti affermano che fosse omosessuale, JORDI CANAL-SOLER STORICO cosa che sembrerebbe confermare il forte legame di amicizia con Carlos de TESTI Per alle regioni equinoziali Montúfar, eroe dell’indipendenza saperne Viaggio del nuovo continente dell’Ecuador che lo accompagnò nel di più A. von Humboldt. Quodlibet, Macerata, 2014. suo viaggio da Quito fino a Parigi. Saggio politico sul regno della Nuova Spagna Nel 1827, Humboldt si trasferì a A. von Humboldt. Edipuglia, Bari, 1992. Berlino per lavorare a servizio del re STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
13
La ghigliottina, invenzione simbolo della Rivoluzione Proposta nel 1789 dal medico Joseph Ignace Guillotin per giustiziare i condannati senza sofferenze e senza discriminazioni di classe, divenne l’arma politica del periodo del Terrore
D
urante l’Ancien Régime, le autorità cercavano in ogni modo di conculcare il rispetto della legge e del potere del sovrano, e a tale scopo comminavano pene esemplari, per creare timore e garantirsi l’obbedienza dei sudditi. Strumento fondamentale e assai utilizzato era la pena di morte, che, con il pretesto di ottenere la confessione, era preceduta spesso da orribili supplizi. Si trattava di un sistema punitivo profondamente iniquo. Infatti, gli ari-
14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
stocratici erano esentati dalla tortura o dal maltrattamento fisico o psicologico, e quando erano condannati a morte venivano decapitati, con un metodo rapido e apparentemente indolore (se realizzato da mano esperta). Al contrario, gli uomini e le donne del popolo venivano giustiziati con metodi brutali, come la forca, lo squartamento o il rogo. Queste esecuzioni erano solitamente precedute da torture stabilite dal giudice, che venivano inferte pubblicamente: dalla flagellazione alla tortura della ruota fino alla rottura di
tutte le ossa del corpo o all’uso di pinze o tenaglie, con le quali si asportavano brandelli di carne.
Dibattiti sulla pena capitale Nel corso del Settecento, il secolo dell’Illuminismo, molti giuristi e letterati denunciarono il ricorso alla tortura, la sproporzione delle pene e i privilegi dell’aristocrazia; alcuni arrivarono a chiedere l’abolizione della pena di morte. Si distinsero in questo senso Voltaire con il Trattato sulla tolleranza (1763) e Cesare Beccaria con Dei delitti
ESECUZIONE DI LUIGI XVI con
L’EVENTO STORICO
AKG / ALBUM
la ghigliottina installata in Place de la Concorde, gennaio 1793. XVIII secolo. Museo Carnavalet, Parigi.
GHIGLIOTTINE PRIMA DI GUILLOTIN
BULLOZ / RMN-GRAND PALAIS
LA GHIGLIOTTINA è l’evoluzione di strumenti di esecuzione la cui esisten-
WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
e delle pene (1764). Entrambe le opere avrebbero ispirato le iniziative dei rivoluzionari francesi: una delle prime imprese che impegnarono l’Assemblea Nazionale Costituente fu l’elaborazione di un codice penale in accordo con i principi del diritto naturale, e fu in questo contesto che si tenne il dibattito sulla pena di morte. Il 10 ottobre dell’anno 1789, Joseph Ignace Guillotin, un medico dell’età di 50 anni, presentò una proposta per stabilire l’uguaglianza di fronte alla legge anche nell’ambito del
za è attestata fin dal XIII secolo in Inghilterra (Halifax gibbet, patibolo di Halifax), in Irlanda e in Scozia (scottish maiden, ovvero donzella scozzese), e almeno dal Cinquecento in Italia, dove si usava la mannaia. Nel 1736 un viaggiatore francese ne commenta così l’azione: «Questo strumento è molto sicuro e non provoca sofferenza al condannato».
diritto penale: «I delitti dello stesso genere verranno puniti con lo stesso tipo di pena, a prescindere dal rango o dalle condizioni del colpevole», affermava. Questo principio, che ora sembra naturale, era rivoluzionario in Francia e impiegò anni per essere approvato nel resto dei Paesi.
Il marchingegno di Guillotin Guillotin non metteva in discussione la pratica della pena capitale. La sua proposta intendeva parificare le pene e contemporaneamente renderne più umana l’applicazione. Perciò, propose di estendere il metodo della decapitazione, fino ad allora privilegio dell’ari-
Guillotin propose uno strumento «il cui meccanismo tagliasse la testa in un battito di ciglia» JOSEPH IGNACE GUILLOTIN. OLIO. XVIII SECOLO. MUSEO CARNAVALET, PARIGI.
stocrazia, a tutte le classi sociali. Allo stesso tempo, al fine di evitare gli incidenti e gli errori spesso commessi dai boia nell’uso dell’ascia o della spada, proponeva di utilizzare un sistema «il cui meccanismo tagliasse la testa in un battito di ciglia». Il riferimento di Guillotin a questo “marchingegno” di decapitazione fece poi molto discutere, ma è errata la credenza comune secondo cui fu lui l’inventore di quella che conosciamo come ghigliottina. Almeno dal XIII secolo in diversi Paesi d’Europa venivano utilizzati dispositivi simili, anche se non erano particolarmente comuni, e in ogni caso essi erano riservati agli esponenti delle classi sociali più alte. Certamente però Guillotin lavorò al suo perfezionamento. Nell’ambito del dibattito sul nuovo codice penale, il 30 maggio del 1791 il deputato Louis-Michel Lepeletier de Saint-Fargeau fece un ulteriore passo proponendo l’abolizione della pena di morte. Il suo amiSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
15
L’EVENTO STORICO
BERTRAND GARDEL / GTRES
LA CONCIERGERIE, dove in origine risiedeva il custode della residenza dei re di Francia dal X al XIV secolo, divenne prigione nel 1392: vi furono rinchiusi Maria Antonietta e Robespierre.
co Robespierre fu uno dei pochi (si potrebbero contare sulle dita di una mano) ad appoggiare questa misura umanitaria. Ma lo sforzo compiuto da entrambi fu inutile: infatti, l’1 giugno del 1791 la stragrande maggioranza dei deputati votò a favore dell’esecuzione capitale. Lepeletier de Saint-Fargeau non si perse d’animo e due giorni più tardi propose l’adozione del principio
di uguaglianza di fronte alla pena di morte: «Ogni condannato a morte verrà decapitato». La stesura finale del codice, che fu approvato il 25 settembre 1791, nei suoi articoli 2 e 3 afferma: «La pena di morte consisterà nella semplice privazione della vita, senza esercitare alcuna tortura sui condannati. A ogni condannato verrà tagliato il
collo». In questo modo, l’uguaglianza di fronte alla legge si estendeva anche alla questione penale. Nel marzo del 1792, l’Assemblea Legislativa, impegnata nella stesura del nuovo codice penale, incaricò il medico chirurgo Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Académie de Chirurgie, dell’elaborazione definitiva del nuovo strumento per realizzare le esecuzioni.
Efficienza mortale
SIMBOLO TEMIBILE spesso la ghigliottina come arma che si ritorce contro gli stessi rivoluzionari . Questa incisione inglese del 1819 rappresenta un “radical reformer” pronto a decapitare tutti i politici di Westminster.
16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
BRIDGEMAN / ACI
LA PROPAGANDA conservatrice usò
Louis e il suo collaboratore Tobias Schmidt, un fabbricante tedesco di clavicembali, misero a punto un dispositivo che si ispirava agli strumenti simili utilizzati negli altri Paesi europei, ma migliorandone la struttura e la funzionalità con l’obiettivo di ridurre il più possibile il dolore. Il contributo principale di Louis fu il modello con lama obliqua, «affinché tagli nettamente e raggiunga il suo obiettivo», secondo quanto da lui stesso affermato. Sia Louis
Come funzionava la nuova macchina di morte A PARTIRE DAL PROGETTO
presentato da Antoine Louis all’Assemblea Nazionale il 7 marzo 1792, diversi artigiani avrebbero fabbricato prototipi per il «nuovo metodo di decapitazione». Il prescelto fu quello di Tobias Schmidt, per la sua efficacia e an-
che per il costo previsto per la produzione “in serie” dell’apparato (ogni dipartimento di Francia doveva averne uno), inferiore a quello richiesto da un altro artigiano, Guidon. Il modello definitivo misurava 14 piedi di altezza, poco più di 4 metri.
Una molla azionata da una corda lascia cadere la lama. Lastre o mouton, di circa 40 kg di peso, danno spinta alla lama. Lama obliqua in acciaio con filo bisellato. Lunetta o lunette, cavità in cui il condannato pone il collo. Cesto di vimini per raccogliere la testa del condannato. Banco su cui il condannato, legato, viene fatto sdraiare a pancia in giù.
ESECUZIONI “PULITE”?
sia Guillotin avrebbero in seguito preso a male il fatto che il loro nome venisse associato alla nuova invenzione, che presto fu conosciuta come louison o louisette e, più comunemente, con il nome di ghigliottina. Il prototipo venne realizzato in due settimane, e poi messo alla prova su cadaveri animali e umani. Infine, la ghigliottina venne installata in Place de Grève, di fronte al Municipio di Parigi, e fu lì che il 25 aprile del 1792 Nicolas-Jacques Pelletier, accusato di rapina a mano armata, divenne il primo condannato a essere giustiziato con il nuovo strumento. Il dispositivo sembrava essere destinato a sostituire i boia per i casi di delinquenza o criminalità comune. Ma appena pochi mesi dopo, il 21 di agosto del 1792, vennero portati alla ghigliottina due condannati politici: due servitori di Luigi XVI, che era stato deposto in seguito all’insurrezione del 10 agosto, accusati di attività
controrivoluzionaria. Da quel momento, sotto il governo rivoluzionario che durerà fino alla caduta di Robespierre quasi due anni più tardi, la ghigliottina si trasformò nello strumento – e nel simbolo – della politica di terrore che la Rivoluzione aveva scatenato contro i suoi nemici intestini – gli aristocratici e i sostenitori dell’Ancien Régime – e come reazione di fronte alla minaccia dei poteri totalitari vicini.
I numeri del Terrore Durante questo periodo, il totale dei condannati messi a morte con la ghigliottina in tutta la Francia fu di 16.594 persone. Di questi, 2622 vennero giustiziati a Parigi, soprattutto con la ghigliottina che era stata collocata in Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde); lì troveranno la morte Luigi XVI, Maria Antonietta e, dopo il colpo di Stato del Termidoro, lo stesso Robespierre. Questo fu il bilancio del periodo del
BNF / RMN-GRAND PALAIS
Nonostante le intenzioni umanitarie dei suoi sostenitori, la ghigliottina non era un metodo infallibile né, ovviamente, indolore. Le ossa cervicali sono molto resistenti, e più che tagliarle la lama finiva per romperle. Nel 1793, a Lione, furono necessari tre tentativi per decapitare il giacobino Joseph Chalier.
Terrore, durante il quale fu compiuto un tentativo di controllare e centralizzare la violenza politica più generalizzata che era stata esercitata in quegli anni e che si calcola avesse mietuto fra le 35.000 e le 40.000 vittime, includendo le rivolte popolari, le esecuzioni sommarie e le morti nelle carceri. Terminato il Terrore, la ghigliottina non cadde in disuso: continuò a essere utilizzata durante il Direttorio, da Napoleone e da tutti i regimi successivi, per quasi due secoli. L’ultima esecuzione con questo metodo venne effettuata nel 1977, quattro anni prima dell’abolizione della pena di morte. JOAN TAFALLA DOTTORE IN STORIA
Per saperne di più
SAGGI
Come uscire dal Terrore. Il Termidoro e la Rivoluzione B. Baczko. Feltrinelli, Milano, 1989. Il ritorno della vendetta. Pena di morte: giustizia o assassinio? Eva Cantarella. Bur, Milano, 2007.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
17
V I TA Q U OT I D I A N A
Una giornata con i monaci del Medioevo Come si viveva all’interno di una comunità monastica del XI secolo? Ecco quanto accadeva in un convento spagnolo navarrese. Domingo abbandonò in seguito il suo convento a causa di uno scontro con il re di Pamplona García Sánchez III, che voleva appropriarsi dei beni del monastero. Fernando I di Castiglia, fratello del sovrano, lo accolse nelle sue terre e gli offrì la guida del monastero di San Sebastiano.
Splendore romanico
Già famoso per carisma, rettitudine e capacità, Domenico riorganizzò totalmente la decadente abbazia durante il suo incarico (1041-1073), LIVELLO INFERIORE del a livello spirituale e materiale, getchiostro di Santo Domingo tando le basi del grande sviluppo che de Silos, XII secolo, si sarebbe verificato alla fine dell’XI considerato un capolavoro dell’arte romanica. secolo e per tutto il successivo. In questi anni vennero costruiti la chiesa romanica, oggi non più esistente, e il suo magnifico chiostro. In breve, il luogo divenne uno dei più importanti monasteri benedettini Alla fine del XIII secolo iniziò il della penisola iberica, celebre in am- declino di Santo Domingo. Oltre bito artistico e intellettuale. a soffrire per le guerre continue e per gravi incendi che minacciarono la sopravvivenza della comunità, il convento fu coinvolto in continui contenziosi con il consiglio, con i francescani stabilitisi nel paese e LA REGOLA DI SAN BENEDETTO impone ai monaci una grancon il vescovo di Burgos. de frugalità nel mangiare e nel bere: un solo pasto al giorno, I nuovi ordini fondati in quegli senza carne, e un’emina di vino al dì, ovvero un terzo di anni raccolsero il favore – e le donalitro. Ma nel XIV secolo nel monastero di Silos la carne si zioni – della gente. Il bisogno spinse mangiava spesso e il consumo medio di vino per monaco i monaci a cercare ovunque nuove ammontava a non meno di un litro e mezzo al giorno. risorse. In cambio di donazioni, si SAN DOMENICO DI SILOS IN UN QUADRO DEL XIV SECOLO. MUSEO DI BELLE ARTI, BILBAO. moltiplicarono le bolle – il perdono di una settima parte dei peccati – e si
DAGLI ORTI / ART ARCHIVE
PASTI FIN TROPPO GENEROSI
SCALA, FIRENZE
L
e origini del monastero di Santo Domingo de Silos si perdono nel tempo. Molte leggende sono state scritte intorno alla sua fondazione, ma sicuramente era già in attività nel IX secolo e la prima citazione del monastero in un documento ufficiale, conservato nell’edificio stesso, risale all’anno 954. Al di là della leggenda e delle citazioni poco attendibili, fino alla prima metà dell’XI secolo Silos era un piccolo e povero convento dedicato a San Sebastiano, dove giunse Domingo Manso, il futuro san Domenico di Silos, che sarebbe stato una figura determinante per la storia di questa istituzione. Domenico proveniva da un monastero di San Millan de la Cogolla, che all’epoca si trovava in te r r i to r i o
V I TA Q U OT I D I A N A
creò una confraternita per acquisire nuovi devoti. La raccolta di fondi era collegata al passaggio dei pellegrini, e questo era favorito dalla presenza di molte presunte reliquie: in un inventario stilato nel 1440 è indicato che il monastero possedeva, oltre al «corpo del benedetto signore san Domenico […] e altri corpi di santi», frammenti della croce di Cristo, una scatola di cristallo con il «latte di santa Maria nostra Signora», il sangue di san Biagio e di santa Caterina, un braccio di san Sebastiano, parte del pane mangiato da Gesù Cristo nell’Ultima Cena, una pietra del se-
Il deficit cronico di un monastero castigliano UN RARO DOCUMENTO del 1338 elenca in modo dettagliato le
spese annuali di Silos. Grazie a esso sappiamo che vi erano 30 MONACI assistiti da più di 80 LAICI e che nel monastero si consumavano ogni anno circa 6000 litri di vino. Riporta anche che si davano 6 almude (circa 4 chili) di grano a ognuno dei «quattro mocciosi allevati da Dio» o che si accordavano 50 maravedì (una moneta araba d’oro) a «un monaco anziano e fiacco» per aiutarlo nel vestiario. Sono registrati anche il foraggio per i buoi, la
ferratura delle bestie e i costi dei contenziosi dell’abbazia, oltre a quelli per i salassi terapeutici praticati dai monaci. Il bilancio annuale era ovviamente IN PERDITA, perciò divenne necessario vendere i beni, segnando l’inizio del processo di disfacimento del patrimonio monastico.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
19
V I TA Q U OT I D I A N A
DORMITORI COMUNI LA REGOLA definisce rigorosa-
mente come devono dormire i monaci: in un dormitorio comune, ognuno nel proprio letto, vestiti e con la cintura, con gli anziani che veglino e con la luce accesa, cosicché «i monaci più giovani non abbiano i letti affiancati, ma alternati con quelli degli anziani». Così avveniva nel Medioevo, fino all’arrivo delle celle individuali.
AGE FOTOSTOCK
IL COMPLESSO di Santo
Domingo de Silos. Il monastero divenne un importante centro di pellegrinaggio.
DETTAGLIO DELLA MINIATURA DEL BEATO DI SANTO DOMINGO DE SILOS. INIZI DEL XII SECOLO. SANTIAGO FDEZ. FUENTES / AGE FOTOSTOCK
polcro di Cristo, la mascella di san Cristoforo e la mano di san Valentino, «fresca come se fosse vivo». Alcune di queste reliquie erano custodite in contenitori visibili ancora oggi, tra cui «uno scrigno d’avorio lavorato alla moresca, pieno di reliquie delle undicimila vergini», in realtà le dieci vergini martirizzate con sant’Orsola e poi diventate 11.000 per un antico errore di trascrizione. Dalle sue origini fino alla fine della vita monastica, nel 1835, Santo Domingo rimase ascritto all’ordine benedettino. Nel
1880 un gruppo di monaci benedettini che arrivavano dall’abbazia di Ligugé, in Francia, ripristinò l’attività nel monastero. Così, per più di mille anni la comunità si è fondata sulla regola di san Benedetto, la più famosa del monachesimo occidentale e ispiratrice della maggior parte delle regole monastiche.
La giornata nel monastero Un monaco di Silos, oggi come ai tempi di san Domenico, organizza la giornata su due attività fondamentali: la preghiera e il lavoro, secondo la regola ora et labora. La liturgia e le
ART ARCHIVE
I monaci si raccoglievano in preghiera diverse volte al giorno, a partire dalle 3 del mattino CODICE MOZARABICO. PAGINA DEDICATA A GIUGNO E LUGLIO. 1052. SANTO DOMINGO DE SILOS.
attività manuali occupano la maggior parte del tempo. Ma se oggi è l’orologio che le indica, durante il Medioevo era il Sole a farlo. La giornata si divideva sempre in 24 ore, dodici diurne e dodici notturne, quindi la loro durata variava a seconda delle stagioni. Più volte al giorno i monaci si riunivano nel coro per pregare: per il mattutino prima dell’alba, le lodi all’alba, la prima alle 6, la terza alle 9, la sesta a mezzogiorno, la nona alle 3 del pomeriggio, i vespri alle 6 e la compieta alle 9 di sera. Fra una preghiera e l’altra, il religioso doveva compiere le attività assegnategli. Oggi Silos continua a essere un luogo dove si dà grande importanza alla formazione culturale del monaco, e la sua biblioteca e il suo archivio sono ricchi di volumi di grande valore; durante il Medioevo arrivò a essere uno dei principali centri di produzione artistica dei regni della
I bassorilievi di Silos, un esempio di arte romanica del XII sec. IL CHIOSTRO di Santo Domingo de Silos è suddiviso
su due livelli. In quello inferiore si contano 64 capitelli e otto bassorilievi che decorano gli angoli della galleria. Qui è riprodotto quello situato nella parte nord-ovest, Il dubbio di San Tommaso. 3 Pietro e Paolo A sinistra di Cristo appaiono a figura intera Paolo, con un rotolo fra le mani, Pietro, con le chiavi del Regno, e Andrea, fratello di Pietro.
2 Tommaso Il discepolo incredulo infila le dita nella piaga di Cristo. È di profilo e isolato dagli altri apostoli, che non hanno avuto bisogno di vedere per credere.
4 Apostoli Da sinistra a destra e dall’alto al basso: Matteo, Giuda, Simone, Bartolomeo, Giovanni, Giacomo il Maggiore, Filippo, Giacomo il Minore.
Penisola. Le sculture del suo chiostro romanico divennero modello per diversi edifici sacri e le sue mura accolsero una bottega di smalti – che conserva ancora alcune opere – che competeva con le famose produzioni di Limoges. Nel suo scriptorium furono realizzati libri importanti, e la sua biblioteca, la più importante di Castiglia, accoglieva opere di san Isidoro, Boezio, Cicerone, Ovidio e Virgilio, spesso consultati dal re di Castiglia Alfonso X il Saggio.
Un’organizzazione gerarchica Il monastero era una società complessa. Fino al XX secolo a Silos si trovavano gli oblati, bambini votati al monachesimo dai genitori, che nel convento ricevevano l’educazione richiesta per prendere i voti. Il monastero di Danto Domingo accoglieva anche anziani, chiamati
1 2
3
JOSÉ ANTONIO HERNAIZ / AGE FOTOSTOCK
1 Cristo Il Maestro, dalle dimensioni maggiori, appare resuscitato agli apostoli. Solleva il braccio destro per mostrare a Tommaso la ferita sul costato.
4
SOPRA LA SCENA PRINCIPALE, DEI MUSICI SUONANO IN GIUBILO PER CELEBRARE LA RESUREZIONE DI CRISTO.
familiares, che vi erano curati nei loro ultimi anni di vita in cambio della cessione dei loro beni, così come laici o monaci non appartenenti a un ordine sacerdotale. Vi erano anche famiglie di coloni che lavoravano a servizio del monastero e che andarono a formare il villaggio di Silos. Volendo credere alle parole di Grimaldo, primo biografo di Santo Domingo, qui arrivarono anche schiavi musulmani, donati da Fernando I affinché lavorassero alla costruzione del monastero, e detenuti, come santa Oria, rinchiusa in vita in una stretta cella con solo una finestrella da dove riceveva del cibo frugale, che si consacrò alla preghiera e alla penitenza. Oltre all’autorità dell’abate, nel monastero si riconoscevano diverse cariche, alcune delle quali si riferivano alla gestione di risorse economiche, come i monaci che avevano l’incarico di raccogliere le decime
generali del monastero e il cellario, che curava i conti, inventariava i beni, sovrintendeva alle grange (i possedimenti agricoli), provvedeva alle forniture di attrezzi agricoli. In alcune occasioni la gestione delle cariche venne messa in discussione e i contrasti furono frequenti. Così accadde nel 1260, quando il vescovo di Burgos dovette intervenire in seguito alle accuse, da parte dei monaci, all’abate di essersi appropriato di beni considerati proprietà di tutta la comunità, arrivando a decidere che le offerte dei pellegrini venissero custodite in una cassetta protetta da tre chiavi diverse. JAIME NUÑO GONZÁLEZ FONDAZIONE SANTA MARIA LA REAL
Per saperne di più
SAGGI
Il primo grande dizionario dei santi secondo il calendario Alban Butler, Piemme, Casale Monferrato, 2001.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
21
GLI OBELISCHI DI KARNAK
KENNETH GARRETT
I faraoni del Nuovo Regno rivaleggiarono nel costruire obelischi colossali nel tempio di Karnak. Sullo fondo, gli obelischi di Thutmosi I e di sua figlia Hatshepsut. In primo piano, l'obelisco rotto di Hatshepsut.
Emblemi dell'antico Egitto
OBELISCHI Rappresentazione dei raggi di Ra, dio del Sole, vennero eretti nei templi e anche nelle tombe nel corso di tutta la storia del Paese del Nilo. Furono i monumenti piĂš depredati e oggi si trovano in molte cittĂ occidentali ELISA CASTEL EGITTOLOGA
TRASPORTO DI UN OBELISCO
Bassorilievo della tomba di Horemheb, a Saqqara, raffigurante un gruppo di operai che trasportano a spalla un piccolo obelisco per la tomba del futuro faraone. Museo Civico Archeologico, Bologna. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
N
on vi è dubbio che le costruzioni che identificano meglio l’antico Egitto siano le piramidi e gli obelischi. Infatti si tratta di monumenti di natura molto simile. Entrambi furono pensati per impressionare grazie alla loro altezza e per durare in eterno; la loro costruzione richiedeva un utilizzo impressionante di manodopera ed esigeva un'ampia conoscenza in ambito ingegneristico; inoltre erano ricchi di simboli religiosi e politici. Gli europei furono affascinati da piramidi e obelischi, ma questi ultimi avevano il vantaggio di essere “trasportabili”. Così, le ruberie degli occidentali e la liberalità di alcuni governatori egizia-
FRA TERRA E CIELO
24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ni hanno fatto sì che diversi obelischi divenissero ornamento di parchi e piazze a Roma, Londra, Parigi, New York, Istanbul. Il termine “obelisco” deriva dal greco obelískos, diminutivo a sua volta di obelós, “asta o colonna a punta”. Gli Egizi li chiamavano tejen. Gli obelischi sono pilastri monolitici con quattro lati e forma tronco-piramidale. L'origine è la stessa delle piramidi; non a caso gli obelischi terminavano con una piccola piramide o pyramidion, chiamata dagli Egizi benben: si tratta di una rappresentazione stilizzata della collina primigenia della mitologia egizia, il tumulo che sorse durante la creazione del mondo da cui ebbero origine gli dei e gli esseri viventi
2494-2345 a.C.
1971-1928 a.C.
USERKAF E NIUSERRE, farao-
IL FARAONE SESOSTRI I, della
ni della V dinastia, erigono due templi solari, dedicati al dio Ra. Nel cortile si innalza una specie di grande obelisco composto da blocchi di pietra.
XII dinastia (Medio Regno), ordina l'edificazione, nel tempio di Ra a Eliopolis, di due obelischi alti 20,4 metri. A Fayyum ne fa costruire un altro di 12 metri.
1506-1436 a.C. DURANTE IN NUOVO REGNO,
Thutmosi I erige due obelischi nel tempio di Amon a Karnak. Sua figlia Hatshepsut altri due e Thutmosi III ordina la costruzione del più alto di tutti, 33 metri.
GUARDIANI DI PIETRA
1289-1224 a.C. RAMSES II, faraone della XIX
dinastia e grande costruttore, ordina l'innalzamento di due obelischi all'ingresso del tempio di Luxor (uno dei due si trova oggi in Place de la Concorde, a Parigi).
YANN ARTHUS-BERTRAND / CORBIS / CORDON PRESS
Ramses II fece erigere due obelischi all'ingresso del tempio di Luxor. Nel 1829 uno dei due fu donato da Muhammad Ali PasciĂ , il fondatore dell'Egitto moderno, a Luigi Filippo di Francia e collocato in place de la Concorde.
IL SACRO TORO DI MENFI
DEA / AGE FOTOSTOCK
La stele dedicata al toro Api, venerato a Menfi, mostra l'immagine di questo animale con caratteristiche solari, attorniato da due obelischi e da una piramide. Museo del Louvre, Parigi.
quando ancora non esisteva nulla. Questa leggenda si diffuse nella città di Heliopolis, dove dal periodo Tinita (3065-2686 a.C. circa) si veneravano il Sole e la pietra benben. Forse l'origine di questa pietra fu un meteorite, che acquisì sacralità poiché proveniente dal mondo degli dei. Nei Testi delle piramidi (le formule rituali che assicuravano l’ascesa al cielo ai faraoni), il geroglifico che rappresenta il benben è un pyramidion completo o tronco, una scala doppia o semplice o un promontorio dal bordo arrotondato; in tutti i casi appare come un elemento che si eleva dalla terra verso il cielo e che serve da collegamento fra i due mondi. Il benben simbolizzava il processo attraverso cui i raggi solari, che danno la vita, si posano sulla terra rendendola fertile. Perciò sul pyramidion venivano incisi simboli del Sole e figure del re protetto dal dio del Sole, Ra o Amon-Ra. Gli elementi simbolici degli obelischi non si limitavano al pyramidion. Sui quattro lati del monolite venivano incisi geroglifici, che comprendevano testi devozionali agli dei e i nomi e titoli del faraone. Attraverso
questi testi, il sovrano si legava alla divinità e diveniva il collegamento fra il genere umano e il mondo ultraterreno. Nel 390 d.C., l'imperatore Teodosio I portò a Costantinopoli l'obelisco di Thutmosi III, su cui si legge che questo re «ordinò la costruzione di molti grandi obelischi di granito, con il loro pyramidion di elettro, come il monumento per suo padre il dio Amon, affinché concedesse vita in eterno come Ra». La base dell'obelisco poteva essere decorata con babbuini, animali associati al Sole per via delle grida che essi lanciano al sorgere e al calare dell'astro, e che venivano interpretate come un omaggio al re Sole. Essi sono per esempio presenti nell'obelisco di Ramses II che si trova ancora nell'ingresso monumentale del tempio di Luxor.
Templi solari e obelischi Secondo le fonti antiche, alcuni obelischi erano ricoperti d'oro o di una lega d'oro e argento, l'elettro (come quello di Thutmosi III, come abbiamo visto). Tuttavia è più probabile che venisse ricoperto con uno strato d'oro solo il pyramidion che li coronava. L'uso di questo metallo era dovuto alla sua durabilità e alla sua relazione con gli dei che, secondo gli Egizi, erano fatti di questa materia. Il colore dell'oro, inoltre, si richiamava in modo particolare al Sole, i cui raggi favoriscono e donano vita alla Terra. Anche il colore della pietra faceva riferimento alla divinità; la più usata fu il granito rosso o rosato di Assuan, nella Prima Cateratta, sempre legato al Sole per via del suo colore. Gli obelischi sono presenti in tutta la storia dell'Egitto, dall'Antico Regno fino alla fine
disegni tratti da la construction pharaonique, di
j.-c. goyon e j.-c. golvin. museo dipartimentale
Si diceva che il pyramidion degli obelischi riflettesse i raggi solari sulla Terra per fecondarla e rinnovarne il ciclo vitale 26 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
dell'antica arles
jean-claude golvin /
edizioni errance.
un solo blocco di granito cavare un obelisco ed estrarlo dal suo letto
Sdi granito costituiva un'ardua impresa che coinvolgeva moltissime persone. Si calcola che nel caso dell'obelisco incompiuto di Assuan, unicamente per la fase di taglio ed estrazione del blocco furono necessari almeno 140 operai, per un periodo di sette mesi, che lavoravano fino a 12 ore al giorno. In questa pagina sono mostrate le fasi del processo di estrazione del monolito, che iniziava nella cava con la selezione dello strato di pietra di miglior qualitĂ su cui veniva tracciato il perimetro del futuro obelisco.
1
fase 1 la dell'intaglio
Gli operai scavavano nella roccia una trincea larga 60-75 cm, sufficiente per lavorare accovacciati. I loro strumenti consistevano in sfere di dolerite di 12-16 cm di diametro, mazze in legno e altri utensili in rame (in epoca successiva in bronzo), con cui tagliavano la pietra e la levigavano.
2
3 trasporto della mole 2
estrazione del blocco
Gli operai scavavano dalla parte inferiore dell'obelisco, finchĂŠ non rimaneva unito alla roccia unicamente dalla sezione centrale 1. Man mano che eliminavano la pietra, andavano a sostituirla con sabbia e travi in legno per sostenere il blocco. Poi, facendolo oscillare, rompevano il frammento che ancora lo teneva unito al suolo e lo facevano adagiare su una slitta 2. Le squadre dovevano trainarlo con corde 3, aiutandosi con tronchi di legno per farlo rotolare.
3
Una volta collocato l'obelisco sulla slitta di legno, questa veniva trainata con corde su piste e rampe apposite. Il trasporto veniva effettuato nel periodo di esondazione del Nilo, per ridurre la distanza dalla grande chiatta, di 95 m di lunghezza e 32 di larghezza, che trasportava il blocco fino a destinazione.
UN GIGANTE INCOMPIUTO
ad Abgig, nell'oasi di Fayyum, che supera i duecento metri d'altezza. È caratterizzato da una cuspide arrotondata, che sostituisce il tradizionale pyramidion, anche se il simbolismo è identico.
Aghi di pietra per il dio Amon Nel periodo del Nuovo Regno, Tebe divenne il centro di culto del dio Amon-Ra, che riuniva le caratteristiche del dio del Sole Ra e del dio tebano Amon. Perciò furono innalzati diversi obelischi, soprattutto nel tempio di Amon-Ra a Karnak e, in misura minore, in quello di Luxor. Infatti il Nuovo Regno fu il periodo di punta della costruzione degli obelischi: in quest'epoca furono realizzati i più alti e i più belli, con i materiali più diversi: granito, quarzite, calcare, grovacca. Il loro profilo appare su papiri, bassorilievi e pitture e anche su amuleti e gioielli. Gli obelischi erano innalzati nei templi per sottolinearne la sacralità. Venivano solitamente disposti a coppie di fronte ai piloni che affiancavano le porte dei recinti sacri.
Gli obelischi venivano collocati a coppie all'ingresso dei templi per indicare che Ra era allo stesso tempo Sole e Luna 28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
DEA / AGE FOTOSTOCK
della civiltà egizia, anche se non mantennero sempre le stesse caratteristiche. Nella V dinastia i re Userkaf e Niuserre costruirono i templi solari ad Abusir, presso l’attuale Cairo. Queste costruzioni possono essere considerate come i precursori degli obelischi, poiché hanno una forma molto simile, seppur non così slanciata, e invece di essere realizzati in un solo blocco di pietra sono costruiti con blocchi ricoperti di pietra calcarea bianca. Più tardi, durante la VI dinastia, il re Teti ordinò di innalzare nel tempio di Heliopolis un piccolo obelisco, in pietra, ma di appena tre metri di altezza. Suo figlio Pepi I decorò la piramide della moglie, la regina Inenek-inti, con un altro esemplare. Durante l'Antico Regno e il Medio Regno, Heliopolis fu il principale centro di culto del dio del Sole, e questo è il motivo per cui gli obelischi furono edificati principalmente in questa città. Per esempio, Sesostri I fece erigere due obelischi di 20 metri d'altezza. Allo stesso faraone si deve il curioso obelisco-stele di granito rosso innalzato
KENNETH GARRETT
In una cava di granito di Assuan, nel sud dell'Egitto, giace un obelisco di 42 metri pesante oltre mille tonnellate. Fu abbandonato nel suo letto di pietra in seguito alla formazione di una crepa.
erigere un colosso
INCISIONE DI JEAN-NICOLAS HUYOT CHE MOSTRA IDEALMENTE LA COMPLICATA PROCEDURA DI SOLLEVAMENTO DI UN GRANDE OBELISCO DI FRONTE AL PILONE DI UN TEMPIO ATTRAVERSO UN'ENORME RAMPA DI SABBIA. NEL FIUME, UNA CHIATTA TRASPORTA UN ALTRO OBELISCO. XIX SECOLO. ÉCOLE NATIONALE SUPÉRIEURE DES BEAUX ARTS, PARIGI.
na volta estratta, l'enorme mole di pietra, di varie tonnellate di peso, doveva essere trasportata, con non meno difficoltà, fino al sito finale, di solito un tempio. Quando la chiatta arrivava a destinazione bisognava aspettare che il livello del fiume si abbassasse, e solo allora poteva essere scaricata. Nel luogo dove doveva essere posizionato veniva costruita una grande rampa su cui gli operai facevano scivolare il monolito aiutandosi con corde, pali e palanche, fino a collocarlo sul basamento in pietra precedentemente preparato. Non è noto se fosse qui che venivano incise le iscrizioni sull'obelisco o se esse fossero realizzate in cava. La collocazione finale richiedeva centinaia di persone, secondo il procedimento che viene illustrato nella pagina.
BEAUX-ARTS DE PARIS / RMN-GRAND PALAIS
U
c b
c
a
a
b
preparazione Di fronte al pilone d'ingresso del tempio vengono 1l'obelisco collocati due piedistalli con una scanalatura per incassare a. Alcuni operai preparano mattoni in argilla b con cui i loro compagni c erigono un'enorme rampa di fronte al pilone.
trasporto dell'obelisco Una volta costruita la rampa a, 2 si trascina l'obelisco su di essa con slitte trainate da centinaia di uomini b. Sull'obelisco, il caposquadra dà gli ordini c. Il monolito è
portato fino a un grande foro riempito di sabbia, dove sarà collocato.
a c b
a
scavo della sabbia Gli operai penetrano all'interno del silo 3 ed eliminano la sabbia con le ceste a, permettendo così all'obelisco di scendere nel foro b. I caposquadra, nella parte superiore del silo, controllano il lavoro c.
posizionamento L'obelisco viene inserito nella scanalatura del 4 piedistallo e posizionato con corde tirate dagli operai a. Per evitare movimenti bruschi è predisposto un sistema di frenata b, composto da sabbia e tronchi collocati orizzontalmente.
© LES BÂTISSEURS DE KARNAK PRESSES DU CNRS, 1987
b
THUTMOSI III, IL COSTRUTTORE
Il faraone fece erigere diversi obelischi a Karnak. Due vennero asportati già nell'Antichità: Teodosio I ne portò uno a Costantinopoli e Costanzo II ne portò un altro a Roma per ornare il Circo Massimo.
In questo modo si rappresentava la duplice natura del dio Ra come Sole e Luna, poiché gli Egizi credevano che il satellite costituisse l'aspetto notturno del re Sole. Nel tempio di Karnak, Thutmosi I eresse la prima coppia di obelischi, dei quali solo uno è ancora eretto. Nello stesso tempio ne vennero costruiti altri due da Thutmosi II, due da Hatshepsut (uno dei quali giace vicino al lago sacro del tempio) e tre da Thutmosi III. Uno di questi raggiungeva in origine i 33 metri, che lo rendono il più alto fra quelli ancora in piedi. Più tardi, Thutmosi IV ne fece costruire un altro, come Seti I, anche se quest'ultimo era più piccolo. Ramses II invece ordinò l'erezione di una coppia di obelischi di fronte all'ingresso del suo tempio di Luxor, che era stato appena edificato; uno di essi venne trasportato in Europa nel 1834 e si trova oggi in Place de la Concorde a Parigi. Lo stesso Ramses II ordinò la costruzione di altri obelischi da collocare nelle città settentrionali di Heliopolis e Pi-Ramses. Bisogna infine ricordare il famoso obelisco che non fu mai eretto perché si ruppe nella cava di Assuan mentre gli operai erano al lavoro. Non si sa con esattezza quale faraone ne ordinò l'opera, ma è certo che con i suoi 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Obelischi in tutto il mondo Non tutti gli obelischi d'Egitto erano opera di faraoni, né avevano le dimensioni monumentali di quelli innalzati nel tempio di Karnak. Esistevano anche obelischi “privati” di minori dimensioni, che venivano collocati su tombe specifiche. Per la loro costruzione doveva essere richiesta l'espressa autorizzazione del sovrano, che aveva il monopolio sulla pietra e la concedeva come dono o ricompensa. Questi obelischi, già costruiti sotto la VI dinastia, erano più tozzi, molto più piccoli – meno di un metro d'altezza – e meno rifiniti rispetto a quelli dei faraoni. Venivano collocati in coppia all'ingresso della tomba o di fronte all'altare delle offerte e facevano parte del rito funebre: servivano non solo per rendere omaggio al dio Sole, ma anche per fornire e garantire benessere al defunto attraverso l'influenza della divinità.
Per saperne di più
SAGGI
Gli obelischi di Roma Cesare D'Onofrio. Bulzoni, Roma, 1967. Antico Egitto Salima Ikram. Ananke, Torino, 2013. Storia dell'antico Egitto Nicolas Grimal. Laterza, Roma-Bari, 2013.
SANDRA VOM STEIN / GETTY IMAGES
ERICH LESSING / ALBUM
quasi 42 metri di altezza e con un peso di 1168 tonnellate sarebbe stato l'obelisco più alto e imponente d'Egitto. Costituisce una prova eloquente dello sforzo titanico costituito dal taglio di questi enormi blocchi di pietra monolitici, che dovevano essere poi trasportati con rampe e slitte fino al Nilo, collocati su una chiatta e posizionati nella loro destinazione finale, con un impressionante utilizzo di energia fisica, capacità tecnica e perizia artistica da parte di chi si occupava dell'incisione delle iscrizioni.
L'AGO DI THUTMOSI I
Il faraone fece costruire i piloni terzo, quarto e quinto del tempio di Karnak. Di fronte a essi eresse diversi obelischi, ma oggi resta solo quello del terzo pilone, di 23 m d'altezza, pesante 143 tonnellate.
N
onostante il nome di “ago di Cleopatra" che gli attribuirono gli Europei nel XIX secolo, i due obelischi rappresentati in questa pagina non hanno niente a che fare con l'ultima regina d'Egitto. La storia di entrambi è ricca di avventure. Vennero costruiti da Thutmosi III in occasione del suo giubileo reale o anniversario dell'incoronazione, nel 1468 a.C. Svettavano nella città di Heliopolis, centro di culto del dio del Sole Ra. Duecento anni più tardi, Ramses II aggiunse altre linee di testo con il suo nome e i suoi titoli. L'imperatore Augusto ordinò che venissero portati ad Alessandria, e lì vennero visti dai visitatori europei, che li associarono a Cleopatra. Nel 1869, il khedivè d'Egitto, in segno di riconoscenza verso gli Stati Uniti per l'aiuto nella costruzione del canale di Suez, regalò loro uno degli obelischi, che nel 1881 venne collocato nel Central Park di New York. Il secondo fu donato all'Inghilterra in memoria della vittoria di Horatio Nelb son su Napoleone ad a Abukir. Trasportato dall'Egitto nel 1877, l'anno successivo fu collocato a Westminster, sulle sponde del Tamigi.
L'AGO DI CLEOPATRA
obelisco di new york
5
4
3
2
1
IMMAGINE CHE ORNA IL PYRAMIDION
obelisco di londra
NOME DEL TRONO DI THUTMOSI III
APPELLATIVO REALE DI RAMSES II
8 9
6 7
5
1 2 3 4
Horus Toro poderoso, amato da Ra Re dell'Alto e Basso Egitto Men-Maat Ra [nel cartiglio] il cui padre Atum ha stabilito il suo grande nome come «duraturo fra i re» nel tempio che si trova a Heliopolis [Iunu], mentre gli viene consegnato il trono di Geb e la funzione di Khepri Il Figlio di Ra Thutmosi, governatore della Maat [nel cartiglio] delle anime di Heliopolis [i bau] dotato di vita eterna per sempre [il testo è andato in parte perduto]
Ogni faccia di entrambi gli obelischi è ricoperta da tre linee verticali di geroglifici: quella centrale contiene il testo riferito a Thutmosi III, mentre le due laterali furono aggiunte da Ramses II due secoli più tardi. Su un lato dell'obelisco di Londra, che qui non è rappresentato, Thutmosi faceva riferimento al materiale di cui era ricoperto il monumento e lo datava: “Lui [il re] ha eretto due grandi obelischi d'oro nel quarto giubileo, per via della grandezza del suo amore verso il padre Atum. Possa il Figlio di Ra, Thutmosi, amato da Re Horakhty, vivere in eterno!».
Testi di elogio
Dei due obelischi di Thutmosi III, quello che si trova a Londra ha un pyramidion più decorato. La scena mostra il dio del sole Ra in trono A, con lo scettro uas, caratteristico degli dei. Di fronte a lui, il faraone sotto forma di sfinge b gli offre acqua, vino, incenso. L’obelisco di New York ha invece un pyramidion le cui iscrizioni sono purtroppo quasi illeggibili.
Il pyramidion
9
8
7
6
IL MODELLO E IL DISEGNO I due obelischi misurano quasi 21 m di altezza e pesano più di 180 tonnellate. L'incisione di questa pagina corrisponde alla Description de l’Égypte, grande opera della spedizione scientifica francese in Egitto pubblicata fra il 1809 e il 1829.
GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS
IL PASTORE VITTORIOSO
Il trionfo di Davide sul gigante filisteo in una tela del Caravaggio. XVIII secolo. Staatliche Kunstsammlungen, Kassel.
La nascita del regno di Israele
DAVIDE E GOLIA Al di là degli aspetti leggendari, la realtà dietro la storia di Davide che uccide con la fionda il gigante filisteo Golia è un episodio decisivo nella storia degli ebrei JAVIER ALONSO LÓPEZ BIBLISTA. PROFESSORE DELLA IE UNIVERSITY
C BRIDGEMAN / ACI
orre l’anno 1020 a.C. Nella valle di Elah, 25 chilometri a sudest di Gerusalemme, sono schierati, uno di fronte all’altro, gli eserciti dei filistei e degli ebrei. Per quaranta giorni il più terribile guerriero filisteo, il gigante Golia, ha anticipato le sue truppe e, sfoggiando l’imponente armatura di bronzo – elmo, corazza, schinieri e lancia –, ha sfidato gli ebrei affinché presentassero un campione che lottasse contro di lui in un singolare duello. «Scegliete tra di voi un uomo pronto a combattere contro di me», grida Golia ai battaglioni di Israele. «Se sarà capace di vincermi noi saremo vostri schiavi, se invece prevarrò io su di lui voi sarete nostri schiavi». Ma, giorno dopo giorno, la paura si era impossessata degli ebrei e nessuno si offriva volontario per la sfida. Lo sconforto si diffondeva fra le loro fila.
JON ARNOLD / AWL-IMAGES
36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LA CAPITALE DEL RE DAVIDE
Succeduto a Saul sul trono, Davide conquistò Gerusalemme, la rese capitale e vi trasferì l’Arca dell’Alleanza. Nell’immagine, la Torre di David, a Gerusalemme.
BRIDGEMAN / ACI
Il lungo cammino degli ebrei Secondo la testimonianza storico-mitica della Bibbia, gli ebrei avevano vissuto come schiavi in Egitto finché erano fuggiti dal paese guidati da Mosè, che li aveva condotti alle porte della Palestina, la terra che Dio, Yahweh, aveva loro promesso. Guidati dal successore di Mosè, Giosuè, avevano strappato questo territorio ai popoli che lo abitavano. In accordo con il Libro di Giosuè (contenuto nella Bibbia ebraica), in questo periodo, che potremmo collocare nel XIII secolo a.C., Israele non era più che una confederazione di tribù ripartite sul territorio, unite da una presunta origine comune e da alcuni segni identificativi che la distinguevano dagli altri popoli. I più importanti erano le leggi che Mosè aveva dato loro in nome di Yahweh e l’Arca dell’Alleanza, che conteneva le tavole della legge e dove si riteneva che Yahweh avesse dimora. Il Libro dei Giudici ci porta a un’epoca posteriore, fra il 1200 e il 1020 a.C., in cui queste
C R O N O LO G I A
FILISTEI CONTRO EBREI
tribù combattevano i popoli vicini che minacciavano la loro esistenza. Nei momenti di crisi veniva eletto un giudice o shoftim affinché unisse le tribù, vincesse il nemico e salvasse Israele. Il Libro dei Giudici espone i fatti come una cronaca, ma in realtà non è altro che una storia politicamente corretta, che mostra come Yahweh proteggesse il suo popolo nel caso in cui questo non peccasse di idolatria. Inoltre gli attacchi non riguardavano tutte le tribù, ma soltanto quelle che vivevano vicino a un nemico vero e proprio. In un determinato momento, fra il 1050 e il 1020 a.C., e in seguito ad alcune sconfitte, le tribù si raccolsero sotto un unico sovrano, Saul, per fare fronte a una minaccia che superava le possibilità di qualsiasi singola tribù: i filistei.
L’ARCA DELL’ALLEANZA
Affresco della sinagoga di Dura Europos (oggi in Siria), con l’Arca dell’Alleanza nelle mani dei filistei, che la conquistarono dopo aver sconfitto gli ebrei a Eben Ezer (la Pietra dell’aiuto).
L’arrivo dei filistei Secondo il Libro della Genesi, contenuto nella Bibbia, i filistei discendono da Cam, il figlio di Noè che viene considerato padre dei popoli egizi e di altre stirpi affini del Mediterraneo (la famiglia dei Camiti è tradizionalmente divisa, anche linguisticamente, in un gruppo libico-berbero, antropologicamente assegnato al tipo berbero, e uno orientale, o cuscitico, assegnato al tipo etiopico). Un figlio di Cam, Mizraim (ovvero, Egitto), generò diversi popo-
XII secolo a.C.
1200-1020 a.C. 1020-1000 a.C. VII-VI sec. a.C.
Alcuni Popoli del Mare, sconfitti in Egitto, si stabiliscono in Palestina.
Israele: età dei Giudici. Sansone, della tribù di Dan, combatte contro i filistei.
Regno di Saul e lotta (mitica?) fra Davide e Golia. Regno di Davide (1000-961 a.C.).
Ultima stesura di Giudici, Samuele e Re, dove si narra la guerra fra ebrei e filistei.
ERICH LESSING / ALBUM
Al contrario, la superbia cresceva fra i filistei. Ma come si era arrivati a questa situazione? Quali sono le cause della guerra che sarà cornice di uno dei più famosi episodi biblici? Per capirlo, dobbiamo risalire a trecento anni prima, quando gli ebrei occuparono la Palestina.
GUERRIERO FILISTEO. RILIEVO DEL TEMPIO DI RAMSES III A MEDINET HABU. 1166 A.C. CIRCA. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
37
Khalab
Ittit i Fi u
me Or onte
LE DODICI TRIBÙ DI ISRAELE
Hama th Hama
IL LIBRO DELLA GENESI narra la storia del patriarca
Abramo, di suo figlio Isacco e dei figli di questo, Esaù e Giacobbe. I dodici figli di Giacobbe daranno nome alle dodici tribù che compongono il popolo di Israele, formato dai loro discendenti. Giuseppe, uno dei figli di Giacobbe, diverrà viceré d’Egitto, dove il numero degli ebrei cresce finché, secondo quanto racconta il libro biblico dell’Esodo, Mosè li libera dalla schiavitù a cui sono sottomessi. Dio (Yahweh) li condurrà alla Terra Promessa di Canaan se rispetteranno i comandamenti affidati al profeta Mosè, conservati nell’Arca dell’Alleanza. Giosuè, successore di Mosè, sceglie un uomo per ogni tribù per iniziare l’occupazione di Canaan, che sarà così suddivisa fra le dodici tribù.
giuda Tribù di Israele Aram Regni e altri territori
Helcat
CARTOGRAFÍA: EOSGIS.COM
cia Fe n i
Ismaele
Dan Chedes
nef
Hatzor Kinneret
un ul Cammat b e issachar
Mar di Galilea (lago Tiberiade)
Basan
Ebron Debir Estemoa
Guerar
r M orto
Lachish
giuda
Arad
Nobah
Ammon
1. Ruben
7. Gad
2. Simeone
8. Asher
3. Levi
9. Issachar
4. Giuda
10. Zabulon
5. Dan
11. Giuseppe
6. Neftali
12. Beniamino
ruben Iasa
Moab
simeone
Isacco
Giacobbe (4 mogli) Esaù
Astarot
Fiume
efraim
Ma
Fi l i
ste
a
dan
Chir-Haraset Zoar
Tamar Kadesh Barnea
Damasco
Jafia Edreí Kamon Jezreel Beit Shean Ramot de Galaad Salcah manasse Tirsa manasse Samir Sichem Zafon Piraton Mahanaim
Bersabea
Amalek
LA FAMIGLIA DI ISRAELE Abramo
Aram
Sidone
z
i t e
d
e M
r a M
GAZA
Berotai
Silo gad Bethel Bethoron Al Jazer Gibeon Guilgal Rabat beniamino Gerico Gerusalemme Heshbon EKRON GAT Betlemme Beser Jarmut M . Ne b o
Giaffa
ASDOD ASCALONA
Hazar-enan Biblos
Meguido Tanac
Gat Rimon
Elteco Gibeton
Zedad
tal i
r Acco
Jocnam En Dor
Gezer
Tadmor
Qadesh Riblah
Ion
asS e
Capitale filistea Possible area di influenza del regno di Davide e Salomone
Arvad
Tiro
r r a n e o
GAZA
Tiphsah
Edom Zalmona Bosra
Davide
Punon Petra
Salomone
Manasse
Efraim
Nella suddivisione della Terra Promessa fra le tribù ebraiche, quella di Dan sarebbe corrisposta a una piccola fascia con sbocco sul mare, appena a nord del paese dei filistei; di fatto la Bibbia narra che Ekron apparteneva a Dan (Giosuè 19, 40-46). Quindi all’origine del conflitto troviamo due gruppi etnici differenti che reclamano uno stesso territorio. Inizialmente i filistei si presentano come nemici di Sansone, giudice della tribù di Dan celebre per averli sconfitti in innumerevoli occasioni e che cadde vittima di Dalila, una prostituta della città filistea di Gaza. In questo punto, la Bibbia offre un’informazione specifica sui filistei: non praticavano la circoncisione, il che significa che non erano giudei e che non erano imparentati con molti altri popoli che seguivano la stessa pratica, come egizi, moabiti e, probabilmente, fenici. Inoltre adoravano Dagon, dio
VASO DEI GUERRIERI. SOLDATI MICENEI ARMATI. 1200-11O0 A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, ATENE.
GOLIA COME UN OPLITA GRECO L’ARMATURA DI GOLIA descritta in 1 Samuele (17, 4-7), per alcuni studiosi corrispondente alla tipologia dei guerrieri micenei dell’XI secolo a.C., è, secondo l’archeologo israeliano Israel Finkelstein, quella di un oplita greco del VII secolo a.C., periodo in cui venne scritto questo testo: all’epoca infatti si conosceva questo tipo di armi per via dei mercenari greci che erano a servizio degli Egizi in Palestina sotto il faraone Psammetico I.
della fertilità, il cui tempio principale si trovava ad Ashdod. Viene riportato anche che «in quel tempo i filistei dominavano Israele» (Giudici 14, 4), una superiorità fondata sul possesso di armi in ferro e sulla presenza di artigiani che le fabbricavano, cosa in cui erano carenti le tribù di Israele (1 Samuele 13, 19-20). Dan finisce per cedere, e il conflitto si estende alle tribù vicine di Efraim, Beniamino e Giuda, poiché i filistei spingevano a est, verso il centro montuoso del paese. Gli scontri – e le sconfitte, in particolare la battaglia di Eben Ezer, che finisce con l’appropriazione dell’Arca dell’Alleanza da parte dei filistei per sette mesi (1 Samuele 5, 1-7) – continuano per tutta l’epoca dei Giudici fino al regno di Saul, che muore durante una battaglia persa contro i filistei (2 Samuele 31). Ma prima che questo accada, emerge la figura di Davide.
DAVIDE DI FRONTE AL RE SAUL
La Bibbia narra che Davide placava gli accessi d’ira di Saul suonando l’arpa. Olio del XIX secolo. BRIDGEMAN / ACI
Guerra in Palestina
PRISMA / ALBUM
li, fra questi «quelli originari di Kaftor [forse Creta], da cui derivano i filistei». Secondo i redattori biblici non si tratta di una contraddizione: i filistei “arrivano” da Kaftor, ma sono un popolo vicino a Israele che abita in un lembo della costa mediterranea che corrisponderebbe approssimativamente con l’attuale Gaza. Questa regione era governata da cinque “principi”filistei, ciascuno con sede in una capitale: Gaza, Ashdod, Ascalona, Gat ed Ekron. Ma realmente i filistei arrivavano dall’Egeo? Dirigiamo il nostro sguardo più a sud, in Egitto. Le fonti egizie narrano che durante i regni di Merneptah e Ramses III, intorno al 1200 a.C., quelli che venivano chiamati i Popoli del Mare, giunti principalmente dall’Anatolia e dall’Egeo, arrivarono per terra e per mare fino al delta del Nilo, dove furono respinti dalle truppe dei faraoni. La sconfitta costrinse alcuni di questi popoli a stabilirsi sulla costa meridionale della Palestina, e si pensa che uno dei Popoli del Mare menzionati nei testi egizi, i peleset, possano essere i filistei del racconto biblico; ipotesi che si fonda sulla somiglianza fonetica fra questi due nomi, ma che non è accettata da tutti gli storici. E lì, nella regione di Gaza, si scontrano filistei ed ebrei.
IL MURO DEL PIANTO
REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
Le sue pietre sono i resti del secondo Tempio di Gerusalemme, che Erode il Grande aveva costruito sui resti del primo Tempio, eretto da Salomone, figlio di Davide.
Ritorniamo ora nella valle di Elah, con il gigante Golia in cerca di un rivale. Questa sfida non costituisce un caso unico. Nelle guerre del mondo antico, come sappiamo grazie alle testimonianze greche, era comune che due campioni si sfidassero, per evitare inutili spargimenti di sangue. Di fatto, l’episodio di Davide e Golia è ammantato di una particolare aura da epopea omerica. Basta confrontare, per esempio, la sfida biblica di Golia (1 Samuele 17, 3-11) con quella di Paride e Menelao o quella di Achille ed Ettore nell’Iliade.
Davide è un eroe dalle umili origini, un pastore di Betlemme che si avvicina all’accampamento ebreo dove si trovano i suoi fratelli, a servizio come soldati del re Saul. A differenza di quanto avviene con le altre grandi figure bibliche scelte da Yahweh (Abramo, Giosuè, Mosè), di Davide viene tramandata una breve descrizione fisica: «fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto» (1 Samuele 16, 12), un dettaglio che, di nuovo, lo avvicina maggiormente al modello dell’eroe omerico «simile a un dio» piuttosto che al patriarca biblico. Più avanti scopriremo anche la particolare amicizia che lega Davide a Gionata, figlio del re Saul, e il profondo lutto che vivrà Davide in seguito alla morte del compagno, altro particolare che ricorda il rapporto stretto fra Achille e Patroclo nell’Iliade. Alla notizia della sfida, Davide chiede a Saul il permesso di affrontare il gigante. Ciò che accade in seguito – come Davide uccida Golia scagliando una pietra con la sua fionda – è noto, anche se di solito sono trascurati dettagli minori, come l’irata reazione degli stessi fratelli di Davide, che lo accusano di aver disatteso i propri obblighi di pastore: «Ma perché sei venuto giù e hai lasciato quelle poche pecore nel deserto?» (1 Samuele 17, 28). La morte di Golia segna l’inizio del cambiamento, ma saranno necessari molti altri eventi per giungere alla sconfitta definitiva dei filistei. Negli anni seguenti, l’invidia di Saul costringerà Davide a vivere come un fuorilegge, fino a portarlo a combattere come mercenario per i filistei (1 Samuele 27). Alla morte di Saul, Davide salirà
BRIDGEMAN / ACI
Fra Bibbia e Iliade
DAVIDE TRA LEGGENDA E REALTÀ NEL 1993 E NEL 1994 sono stati rinvenuti nel giacimento di Tel Dan i fram-
menti di una stele (risalente al IX secolo a.C.) che menziona la «casa di Davide»: questa è stata interpretata come una prova inconfutabile dell’esistenza storica del re Davide. Ma la stele potrebbe costituire semplicemente la testimonianza della leggenda del fondatore di una dinastia, vero o leggendario, del quale continuano a mancare prove archeologiche.
al trono di Israele, e lui e i suoi successori Salomone e Roboamo continueranno a combattere i filistei, che si indeboliranno fino a estinguersi prima del VI secolo a.C. La minaccia che essi rappresentarono avrebbe costretto però le tribù ebree a unirsi, dando luogo alla nascita del regno di Israele. Inoltre, il popolo del gigante Golia ha dato il nome con cui a oggi è conosciuta in lingua araba questa regione, Falistin, e il suo equivalente nella nostra lingua: Palestina.
Per saperne di più
LA STELE DI TEL DAN
L’immagine in alto mostra due frammenti della stele diTel Dan, in basalto, recante un’iscrizione in aramaico. Museo d’Israele, Gerusalemme.
TESTI
Bibbia ebraica: Profeti anteriori. Giuntina, Firenze, 2003. SAGGI
I Filistei: gli antagonisti di Israele Giovanni Garbini. Paideia, Brescia, 2012. Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele Mario Liverani. Laterza, Roma-Bari, 2012.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
41
IL PASTORE CHE VINSE CONTRO In pieno Rinascimento, Pesellino rievocò in questo dipinto i diversi episodi del racconto
1 2
4 STORIE DI DAVID, DI FRANCESCO PESELLINO. LA SCENA È DIPINTA A TEMPERA SU UN CASSONE. 1445-1455. NATIONAL GALLERY, LONDRA.
L’EROE VITTORIOSO
SCALA, FIRENZE
Secondo la Bibbia, dopo la vittoria, «Davide prese la testa del Filisteo e la portò a Gerusalemme. Le armi di lui invece le pose nella sua tenda». Davide diverrà amico del figlio di Saul, Gionata, e capitano del re.
3
1 Pastore a Betlemme
3 Rifiuta l’armatura di Saul
2 Un ragazzo coraggioso
4 Sceglie le pietre per la fionda
Il rosso e affascinante Davide curava le mandrie di suo parde Iesse (o Jesse) prima di portare i pasti ai suoi fratelli, che facevano parte dell’esercito ebreo, accampato di fronte ai filistei.
Davide accettò la sfida di Golia e spiegò al re Saul che non aveva paura: essendo pastore aveva salvato le proprie bestie dalle fauci di leoni e orsi: «Io lo pigliavo per le ganasce, lo ferivo e l’uccidevo».
IL TRIONFO DI DAVIDE, DI FRANCESCO PESELLINO. 1445-1455. NATIONAL GALLERY, LONDRA.
Saul «rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e gli fece indossare la corazza. Poi Davide cinse la spada di lui». Ma Davide vide che non poteva muoversi così bardato e vi rinunciò.
Davide «scelse cinque ciottoli lisci e li pose nel suo sacco da pastore; prese ancora in mano la fionda e mosse verso il Filisteo». Golia esclamò: «Darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche».
UN GIGANTE ALTO TRE METRI
biblico sul duello fra Davide e Golia, che l’artista rappresenta in modo simultaneo
8
5
7
6 SCALA, FIRENZE
5 Mira al gigante Golia
7 Le armi del campione filisteo
6 Decapita il nemico sconfitto
8 Il trionfo degli ebrei
Golia si mosse e David lo affrontò. «Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra».
Appena Golia crollò, David, che aveva la fionda come arma, «fece un salto e fu sopra il filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa».
La statura di Golia era di sei cubiti e un palmo, quasi tre metri. Qui compare con la sua armatura, non portava né scudo né lancia («grande come un cilindro di un telaio per tessere»), ma un’enorme clava in legno.
«I filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga. Si levarono gli uomini d’Israele e di Giuda alzando il grido di guerra e inseguirono i filistei», li uccisero e saccheggiarono il loro accampamento.
IL VERO UCCISORE DI GOLIA Il duello fra Davide e Golia è raccontato in 1 Samuele 17, dove il giovane pastore appare come vincitore sul gigante filisteo. Ma in 2 Samuele si dice che, in realtà, fu «Elcanàn, figlio di Iair di Betlemme», a uccidere il temibile guerriero filisteo (21, 19). Per conciliare queste due posizioni, un altro libro biblico, 1 Cronache (o 1 Paralipomeni), afferma che «Elcanàn figlio di Iair uccise Lacmi, fratello di Golia» (20, 5). DAVID, DI MICHELANGELO. 1501-1504. GALLERIA DELL’ACCADEMIA, FIRENZE.
ANTONIO QUATTRONE / AGE FOTOSTOCK
Alessandro Magno conquista la Fenicia
L’ASSEDIO DI TIRO Nel 332 a.C., durante la campagna contro l’Impero persiano, Alessandro Magno sottopose la città fenicia di Tiro a un duro assedio, che si concluse con il massacro dei suoi abitanti ANTONIO GUZMÁN GUERRA UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID
N
el gennaio del 332 a.C., Alessandro Magno si presentò alle porte della città più ricca e potente della Fenicia: Tiro. Il suo esercito aveva inflitto poco prima una sconfitta devastante alle truppe dell’Impero persiano a Isso, nel sud-est dell’odierna Turchia, nella quale lo stesso re persiano Dario III era stato sul punto di essere fatto prigioniero. Con quella vittoria il condottiero macedone, soggiogata completamente l’Anatolia, intraprese la marcia che lo avrebbe condotto in Egitto attraversando Libano e Palestina. Molte città fenicie, come Arado, Biblo e Sidone, si sottomisero senza quasi opporre resistenza, ma gli orgogliosi Tirii, antichi alleati del Grande re persiano, non erano disposti ad arrendersi facilmente al giovane sovrano giunto dall’Europa.
ASSEDIO E CONTRATTACCO
TOM FREEMAN / NGS
L’illustrazione raffigura il momento in cui i difensori di Tiro scagliano una nave in fiamme contro le due grandi torri d’assedio macedoni che si avvicinano alle mura.
LE ROVINE DELL’ANTICA TIRO
GAVIN HELLIER / AWL-IMAGES
Tiro era stata annessa all’Impero persiano nel 538 a.C. La città cadde in mano a diversi dominatori e finì per fare parte della provincia romana della Siria. Nella foto, arco trionfale e strada romana. II secolo.
46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
CORBIS / CORDON PRESS
PENDENTE IN ORO A FORMA DI NAVE FENICIA.
C R O N O LO G I A
ASSALTO A UN IMPERO
sandro proseguì nel suo intento, deciso, come aveva fatto a Tebe, Mileto e Alicarnasso, a non tollerare provocazioni né insubordinazioni. D’altra parte, il re macedone aveva anche ragioni strategiche per conquistare Tiro. Se si fosse diretto verso l’Egitto senza conquistare la città, i Persiani avrebbero continuato a essere padroni del mare grazie alla flotta alleata di Tiro, e lo stesso Dario III avrebbe cercato di tornare sulla costa della Siria invece di rimanere lontano, nelle regioni interne della Mesopotamia. Alessandro riteneva anche che la conquista di Tiro avrebbe indotto Cipro e le città costiere a schierarsi al suo fianco, fornendo i contingenti navali di cui aveva tanto bisogno. Per tutti questi motivi era deciso a prendere Tiro a qualsiasi costo.
ALESSANDRO IL GRANDE
Sulla moneta d’oro della foto in basso è raffigurato Alessandro Magno con un elmo da oplita, a sottolineare il carattere guerriero del re macedone. Fitzwilliam Museum, Cambridge.
Una città quasi inespugnabile L’assedio di Tiro durò sette mesi, dal febbraio all’agosto del 332 a.C., e attraversò varie fasi, con avanzamenti e arretramenti da entrambi i lati. Inizialmente, i soldati macedoni scavarono trincee e prepararono le loro macchine d’assalto, mentre una flotta di circa duecento navi iniziava a circondare e bloccare la città. Per superare la barriera fisica rappresentata
334 a.C.
333 a.C.
332 a.C.
331 a.C.
Alessandro sconfigge i Persiani nella battaglia del Granico, non lontano da Troia.
Nella pianura di Isso, in Siria, Alessandro sconfigge di nuovo i Persiani. Dario III fugge.
I Macedoni assediano la città fenicia di Tiro, che cade dopo aver resistito strenuamente.
Conquistata Gaza, Alessandro si dirige in Egitto, accolto come un liberatore. UM
All’arrivo di Alessandro, il re di Tiro, Azemilco, era assente, quindi il condottiero fu ricevuto dal figlio e dagli anziani della città. Questi gli offrirono doni e una corona d’oro, ma Alessandro chiese loro che gli permettessero di officiare un sacrificio nel tempio del dio Melqart, identificato con Eracle, del quale si considerava discendente. I Tirii negarono, comprendendo che acconsentire avrebbe significato riconoscere la sua sovranità sulla città. Infuriato per quella sfida, la prima che incontrava nella sua avanzata verso Levante, Alessandro decise di prendere la città con le armi. Tiro era divisa in due parti: la città vecchia, situata sulla costa, e la città nuova, costruita su un’isola a meno di un chilometro dal litorale. Quest’ultima era una cittadella praticamente inespugnabile, protetta da una poderosa cinta muraria e con due porti molto ben difesi che davano riparo a una temibile flotta. La conquista, dunque, non era un’impresa facile, così come fu rivelato ad Alessandro da un sogno nel quale Eracle gli apparve chiamandolo per nome e offrendogli la mano dall’alto delle mura di Tiro; l’indovino Aristandro lo interpretò subito come un segno che la città sarebbe stata conquistata con grande fatica. Tuttavia, Ales-
DE
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
47
A/
AL
B
BALAGE BALOGH / ART RESOURCE
4 5 2
3
6
1
LESSING / ALBUM
LA CITTÀ SU UN’ISOLA Gli autori dell’antichità lodarono spesso la bellezza e la grandiosità di Tiro, uno dei porti commerciali più importanti del Mediterraneo. La città assunse la sua forma caratteristica nel X secolo a.C., sotto il regno di Hiram I. Costui decise di unire due isolotti tramite un molo e, tra gli altri edifici, innalzò grandi templi dedicati a Melqart (la divinità più importante), Astarte e Baal Shamin. La città creata da Hiram raggiunse una superficie di 160.000 m2, il che non è molto tenendo conto che durante l’assedio al quale la sottopose Alessandro arrivò ad accogliere circa 40.000 persone, tra rifugiati e residenti. MONETA D’ARGENTO FENICIA. SUL RECTO SONO RIPRODOTTI UNA NAVE CARICA DI GUERRIERI E UN IPPOCAMPO SOTT’ACQUA. MUSEO ARCHEOLOGICO, BEIRUT.
1 Isola di Melqart
4 Porto fenicio
Secondo Flavio Giuseppe, il re Hiram di Tiro unì due isolotti formando una sola isola davanti alla costa della vecchia città di Tiro.
Questo porto artificiale era situato all’interno delle mura che circondavano la città. L’entrata era stretta e facile da difendere.
2 Tempio
5 Palazzo
Uno dei santuari più importanti era quello dedicato a Melqart. Si diceva che avesse una colonna d’oro puro e altre di smeraldo.
Fu uno dei progetti più ambiziosi del re Hiram I. Secondo Arriano, nel palazzo si trovavano i tesori della città.
3 Porto egizio
6 Muraglia
Era un porto naturale, aperto, la cui costruzione è attribuita al re Itobaal e ai suoi successori nel IX secolo a.C.
Tiro era circondata da una poderosa muraglia, eretta ai tempi del re Hiram I. Era alta 45 metri e munita di varie torri difensive.
Ancyra
Pella
Granico (334 a.C.)
Ilio (Troia)
Gordio Fi
Sardi LESBOS Efeso
Isso (333 a.C.)
CILICIA
Mileto (334 a.C.)
Alicarnasso (334 a.C.)
s
Tarso
Aspendos
Alessandria di Isso
Phaselis
e
Xanto
Tripoli
Pafos CRETA
E R MA AN M R EDITER
O
Tiro
(332 a.C.)
Gerusalemme Gaza (332 a.C.)
Pelusio Naucrati
Alessandria
Petra
Heliopolis
O
R
Oasi di Bahariya
R
Oasi di Areg Oasi di Siwa
Menfi
el-Fayum o
EGITTO
Santuario
Nil
Marcia di Alessandro
A
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
te
Sidone
Cirene
Battaglia
Oro n
Salamina
CIPRO
RODI
Fi u m
SAMOS
ly
M
dall’insularità di Tiro, Alessandro e i suoi ingegneri costruirono un terrapieno, una lingua di terra lunga quasi un chilometro che collegava la costa con l’isola e tramite la quale contavano di far avanzare le truppe e le macchine d’assalto contro la fortezza. Scelsero una zona nella quale il mare era poco profondo e fangoso, in modo che il compito fosse più semplice, e come materiale utilizzarono le pietre e le macerie della vecchia Tiro, la città sulla costa, che i soldati macedoni avevano raso al suolo. L’opera progredì grazie all’inerzia dei Tirii, che non credevano che il progetto potesse avere successo. Quando erano ormai a un centinaio di metri dall’isola, gli assedianti si resero conto che le acque diventavano improvvisamente più profonde; i Tirii, dal canto loro, iniziarono a difendersi energicamente, lanciando sui Macedoni ogni tipo di proiettile dall’alto delle mura. I distaccamenti più avanzati di Alessandro non erano costituiti in maggior parte da soldati, erano soprattutto costruttori e operai. Inoltre, l’armata di Tiro continuava ad avere la meglio sulle 200 navi macedoni, e se durante il giorno gli assedianti avanzavano, i progressi erano vanificati durante la notte dagli attacchi navali dei difensori.
Ha
FRISIA
LIDIA
Atene
um
e
S
S
O
L’AMBIZIONE DI ALESSANDRO LO STORICO ARRIANO, nel II secolo d.C., parlava così del desiderio di conquista di Alessandro: «Non si sarebbe ritenuto soddisfatto di nessuna delle sue conquiste [...] sarebbe andato sempre oltre, in cerca di ciò che era sconosciuto, e se non avesse avuto avversari, Alessandro avrebbe combattuto con se stesso». La mappa mostra l’itinerario e le battaglie del re macedone in Anatolia e nel Vicino Oriente fino a raggiungere l’Egitto.
Poderose macchine da guerra Alessandro ordinò che si costruissero due grandi torri d’assedio, ricoperte di cuoio e pelli animali per proteggerle dai dardi incendiari lanciati dai Tirii. All’interno furono collocate catapulte e artiglieria di vario tipo. In risposta, i Tirii riempirono di sarmenti secchi e arbusti una grande nave da carico destinata al trasporto di cavalli. Collocarono due alberi a prua, fecero modifiche per aumentare la capacità di carico della nave e la imbottirono di pece, zolfo e altri materiali altamente infiammabili. A poppa collocarono una pesante lastra di pietra, in modo che la prua risultasse più alta. Quando il vento volse a loro favore, soffiando verso il terrapieno macedone, rimorchiarono la nave con delle triremi e la scagliarono contro le due torri, che furono avvolte dalle fiamme. In quello stesso momento, i Tirii uscirono a grande velocità dalla città e, imbarcati su navi leggere, abbordarono il terrapieno da diversi
punti, distruggendo la palizzata e le macchine d’assedio macedoni. Dopo questo rovescio, Alessandro ordinò di costruire un terrapieno molto più largo, perché ci fosse spazio per più torri, più macchine da guerra e truppe più numerose. Giunsero imbarcazioni da Sidone, da Rodi, dalla Licia e dall’isola di Cipro, formando una vera e propria armata che rimase alla fonda non lontano dal nuovo terrapieno, disposta parallelamente alla spiaggia e al riparo dal vento. Davanti a una flotta così imponente, i Tirii rinunciarono all’attacco diretto e si concentrarono sulla difesa dell’ingresso dei due porti della città, chiudendo gli accessi con una fila compatta di navi. Il pericolo maggiore era costituito dalle navi-ariete macedoni, formate da due imbarcazioni unite a prua, con un ariete sospeso sopra la coperta, pronto a
IL TERRORE DEL RE DARIO
Particolare del mosaico di Isso che raffigura il momento in cui Dario III fugge dal campo di battaglia. Museo Archeologico, Napoli.
E.
LE
SS
ING
/A
LB
UM
Il Sarcofago di Alessandro fu scoperto vicino a Sidone e raffigura una battaglia tra Macedoni e Persiani. Nella foto, cavaliere macedone. Museo Archeologico, Istanbul.
DEA / ALBUM
ALLA CONQUISTA DELL’IMPERO PERSIANO
BRIDGEMAN / ACI
sfondare le mura di Tiro. Per impedire che le imbarcazioni nemiche si avvicinassero alle mura cittadine, i Tirii scagliarono un’enorme quantità di pietre in acqua, e quando le navi di Alessandro cercarono di attraccare più vicino, inviarono alcuni sommozzatori a tagliare le funi delle triremi dei Macedoni; questi, però, sostituirono le cime delle ancore con catene di ferro. In fatto di guerra, seppur riferendosi a qualcosa che accadde molti anni dopo, si suol dire che colui che inventò il carro armato fece sì che immediatamente qualcun altro inventasse la mina anticarro, perché ogni arma ideata da uno dei nemici provoca una reazione corrispondente nello schieramento opposto. Qualcosa di molto simile accadde tra l’esercito macedone di Alessandro e gli ingegnosi difensori della città di Tiro.
LA BRECCIA DECISIVA
Conquista e massacro Dopo sette mesi di assedio, i Tirii lanciarono un attacco a sorpresa e riuscirono ad affondare diverse pentaremi del re Pnitagora di Cipro, oltre alle navi di Androcle e di Pasicrate, comandanti della flotta cipriota, alleati dei Macedoni. Alessandro, però, rispose prontamente e condusse un contrattacco che distrusse buona parte della flotta di Tiro. Solo pochi giorni dopo il generale macedone ordinò l’assalto finale. Nell’operazione impiegò tutte le sue risorse umane e materiali: la flotta alleata attaccò i due porti della città, una flottiglia circondò le mura con arcieri e catapulte per colpire i difensori, mentre le navi-ariete, protette dalla flotta, caricavano le mura. Alla fine, i Macedoni riuscirono ad aprire una breccia nella muraglia, e quando Alessandro ritenne che il foro fosse sufficientemente ampio, le truppe di Admeto, gli ipaspisti (soldati di fanteria) e i lancieri del generale Coeno scalarono il muro, seguiti dallo stesso Alessandro, che uccise con la lancia e con il coltello e gettò in mare parecchi difensori. Il massacro che seguì fu terribile. Sfiniti dopo un assedio tanto lungo e penoso, e dopo aver constatato con i loro occhi come i Tirii decapitassero e gettassero in mare alcuni prigionieri dall’alto dei merli, i Macedoni agirono con estrema violenza. Se si vuole da-
DOPO L’ATTACCO COMBINATO dei Macedoni e dei loro alleati alle mura di Tiro, l’artiglieria riuscì ad aprire un’enorme breccia. Le navi da guerra e gli arcieri misero in fuga le sentinelle, furono abbassati i ponti levatoi e i soldati della fanteria entrarono a frotte nella città. Nonostante il generale macedone Admeto fosse morto nell’attacco, Tiro cadde rapidamente poiché non aveva più imbarcazioni per respingere gli assalitori sul molo.
re credito alle cifre che ci fornisce lo storico Arriano, durante l’assalto furono uccisi circa 8000 Tirii e altri 2000 furono massacrati e crocifissi sulla riva. Quelli venduti come schiavi furono 30.000. Il bagno di sangue non impedì ad Alessandro di celebrare la vittoria con un sacrificio in onore di Eracle nel tempio di Melqart, dove lasciò come offerta al dio la macchina con la quale era stata abbattuta la prima parte della muraglia, e fece incidere un’iscrizione che forse fu egli stesso a comporre. Alessandro ringraziava così il suo antenato per il trionfo sulla città ribelle che aveva osato sfidarlo. Per saperne di più
SAGGI
Alessandro Magno Hans-Joachim Gehrke. Il Mulino, Bologna, 2002. Il grande mare. Storia del Mediterraneo David Abulafia. Mondadori, Milano, 2013.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
51
IL PIÙ GRANDE ASSEDIO DEI TEMPI ANTICHI
AGE FOTOSTOCK
L’assedio di Tiro comportò uno spiegamento di forze senza precedenti da parte di entrambi gli schieramenti. Di fronte al molo, le torri d’assedio e le esperte falangi macedoni, a cui i difensori di Tiro risposero con navi in fiamme, piogge di frecce, raffi giganteschi, arieti e persino sabbia ardente lanciata dalle merlature. Come scrive uno storico di oggi, anche se Alessandro si attribuì il merito della vittoria, questa fu dovuta in gran parte alla superiorità dei suoi ingegneri.
3
5
ADAM HOOK / OSPREY PUBLISHING
UN GUERRIERO GRECO, MUNITO DI ELMO E SCUDO, PRONTO A ENTRARE IN BATTAGLIA. FIGURINA IN BRONZO.
SCHREIDER / NGS
RICOSTRUZIONE DELL’ASSEDIO DI TIRO DA PARTE DELL’ESERCITO DI ALESSANDRO MAGNO. LE TORRI D’ASSEDIO SI AVVICINANO ALLA MURAGLIA, DIFESA STRENUAMENTE. VEDUTA AEREA DELLA CITTÀ LIBANESE DI TIRO AI GIORNI NOSTRI. SPICCA LA LINGUA DI TERRA CHE UNISCE LA COSTA CON L’ISOLA DI TIRO.
52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
1 Molo
Per costruire un terrapieno che permettesse loro di raggiungere l’isola, situata a meno di un chilometro, i Macedoni usarono alberi e pietre della città vecchia che avevano distrutto.
2 Torri d’assedio
Per alloggiare al loro interno arcieri e arieti, le torri avevano venti piani, ciascuno dotato di un ponte levatoio. All’esterno erano ricoperte con pelli di pecora come protezione.
2
1
7
8
4
6
3 Nave da carico
5 Scudi di pelli
7 Rinforzare la muraglia
4 Frecce infuocate
6 Balestre giganti
8 Pulegge per uncini
i Tirii riempirono una nave da carico con materiali infiammabili e a prua collocarono due recipienti colmi di combustibile. Due triremi la lanciarono verso le torri nemiche. Dalle mura venne lanciata una nube di frecce infuocate contro la nave da carico scagliata verso le torri, in modo da incendiarla e far quindi prendere fuoco al combustibile.
Nella parte alta delle mura i difensori appesero grandi scudi fatti con pelli e alghe marine per attenuare l’impatto delle frecce e dei massi nemici. A mano a mano che i Macedoni si avvicinavano alle mura di Tiro, i difensori li colpivano lanciando bordate di frecce con grandi balestre.
Anche se non si vede nel disegno, le fonti antiche spiegano che i Tirii eressero costruzioni difensive che intendevano superare in altezza le torri degli assedianti. I difensori costruirono grandi pulegge per lanciare dei raffi, legati a robuste funi, con l’obiettivo di rendere più difficile l’avanzamento delle imbarcazioni nemiche.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
53
GLI UNNI CONTRO I ROMANI
Il dipinto di W. von Kaulbach rievoca la battaglia dei Campi Catalaunici (451 d.C.), in cui il generale romano Flavio Ezio sconfisse Attila, re degli Unni. 1837. Staatsgalerie, Stoccarda. ELMO ROMANO
Copricapo in ferro e argento dorati risalente al 320 d.C. rinvenuto a Deurne (Paesi Bassi). Rijksmuseum van Oudheden, Leida.
IL GENERALE “BARBARO” CHE SCONFISSE ATTILA
FLAVIO EZIO Abile stratega e accorto politico, il comandante romano di origine scita fu capace, in pieno V secolo, di contenere la pressione dei barbari sull’Impero romano occidentale JACOPO MORDENTI, STORICO E SCRITTORE 54 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
BPK / SCALA, FIRENZE AKG / ALBUM
È
il 20 giugno dell’anno 451 d.C.: nei dintorni dell’odierna Troyes, in una pianura a tutt’oggi non ben identificata che le fonti chiamano Campi Catalaunici o Campi Maurici, si fronteggiano due eserciti dalle dimensioni epocali. Da un lato è schierato Attila (406-53), re degli Unni, che alla testa di un esercito quanto mai composito, che vede le milizie unne affiancate da quelle di numerose tribù germaniche, ha marciato per mesi dalla Pannonia alla Gallia, fino ad attraversare il Reno all’altezza di Coblenza e seminare il panico a Metz, Treviri, fino a Orléans. Dall’altro ci sono gli eserciti imperiali d’Italia e di Gallia, coadiuvati da non pochi contingenti barbari, e soprattutto c’è un uomo d’eccezione al comando: il generale romano Flavio Ezio (390 ca-454).
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
55
Le origini della fortuna di Ezio rimandano a qualche buon decennio prima, segno tangibile delle opportunità che l’esercito romano, fra IV e V secolo, riservava a quei soldati di origine barbara che si fossero rivelati capaci. Il padre di Ezio, Gaudenzio, era esponente di una famiglia militare scita originaria della Dobrugia, tra le attuali Bulgaria e Romania: aveva inizialmente prestato servizio militare sotto i vessilli dell’imperatore d’Oriente Teodosio I (347-395), salvo poi – già nel 399 – risultare al comando delle truppe di stanza in Africa e rispondere dunque al governo occidentale del generale Stilicone (359 circa-408). La sua promozione ai più alti gradi dell’esercito era andata di pari passo a una certa ascesa sociale, giacché Gaudenzio aveva sposato una rampolla di una prestigiosa e ricca famiglia senatoriale romana, da cui aveva avuto appunto Flavio Ezio.
La famiglia di Ezio, di origine scita, proveniva da Durostorum (oggi Silistra), una località della Bulgaria sul Danubio vicina a Nesebar. La regione fu conquistata dai Romani nel I secolo.
BRIDGEMAN / ACI
M. CRISTOFORI / CORBIS / CORDON PRESS
FORTIFICAZIONI DI NESEBAR
Dopo il 415 Gaudenzio era arrivato a ottenere la nomina a comandante dell’esercito di campo in Gallia, e tuttavia era morto pochi anni più tardi, nel corso di una rivolta che è forse da mettere in relazione con la violenta deposizione dell’usurpatore del trono di Occidente Giovanni Primicerio, nel 425.
Un politico navigato Si trattò di un convulso frangente della storia imperiale nel quale anche Ezio aveva recitato una propria parte. Egli, per la verità, all’epoca era noto già da anni nell’ambiente militare romano. Ancora giovanissimo,
C R O N O LO G I A
DALLA PERIFERIA ALL’IMPERO
Nasce a Durostorum, in Dobrugia (Mesia Inferiore), Flavio Ezio, figlio di Gaudenzio, comandante romano di origine scita, e di una nobile romana.
FLAVIO EZIO. INCISIONE DALLA COLLEZIONE TALLANDIER.
405-414 RUE DES ARCHIVES / ALBUM
390 circa
Si presta a far da garante sull’esito di importanti trattative presso Alarico re dei Goti (405-408), che gli insegna l’arte militare, e Ruapoi re degli Unni (411-414).
REALPOLITIK NEL IV SECOLO
STILICONE E L’IMPERO DIVISO
D DITTICO DI STILICONE
L’opera raffigura Stilicone, la moglie Serena, figlia di Teodosio I, e il figlio Eucherio. IV secolo, Duomo di Monza.
gli opponeva dunque il cugino Valentiniano (419-455), il figlio di Costanzo esiliato con la madre Galla Placidia a Costantinopoli. Quando, due anni più tardi, un esercito inviato da Teodosio rovesciò il regime di Giovanni, portando alla proclamazione a imperatore di Valentiniano III, Ezio non offrì alcuna concreta resistenza: significativamente, si trovava al confine dell’impero per negoziare il sostegno di un ampio esercito unno da mettere a disposizione di Giovanni. Giunto ormai tardi in soccorso di questi, Ezio riuscì abilmente a sfruttare la difficile situazione a proprio vantaggio: offrendosi co-
426-432
433-450
Nominato generale per la Gallia, respinge i Visigoti (426) e i Franchi (428). I suoi successi allarmano Galla Placidia che gli muove contro il generale Bonifacio, che è mortalmente ferito, ma lo sconfigge.
Riorganizzatosi militarmente, Ezio si impone su Galla Placidia. Nominato patricius (435), diventa, con l’appoggio del trono di Costantinopoli, l’uomo più potente dell’Impero d’Occidente.
ATTILA, RE DEGLI UNNI
Colui che nell’Europa occidentale è ricordato per la ferocia e l’avidità, in altre aree del continente è una figura leggendaria, celebrata da saghe. Kunsthistorisches Museum, Vienna.
451-454 LOREM IPSUM
si era fatto notare per essersi prestato a fare da ostaggio, quale garanzia del buon esito di trattative e patti, presso i Goti di Alarico prima (tra il 405 e il 408), e presso gli Unni di Rua poi (tra il 411 e il 414). All’indomani della morte degli imperatori d’occidente Costanzo III (370 circa-421) e Onorio (384-423), Ezio aveva sostenuto l’ardita proclamazione a imperatore di Giovanni Primicerio, per il quale sulle prime prestò servizio come curatore di palazzo. Giovanni, tuttavia, non aveva ottenuto il riconoscimento del proprio ruolo da parte dell’imperatore d’Oriente Teodosio II (401450), che propugnava il principio dinastico e
i origini vandale, Stilicone resse l’Impero romano d’Occidente dal 395, anno in cui l’imperatore Teodosio I, in punto di morte, gli affidò il figlio Onorio, designato imperatore d’Occidente. Stilicone fu magister militum, ovvero comandante supremo dell’esercito, carica che avrebbe in seguito ricoperto anche Ezio. Egli cercò di tenere unito l’impero, ma si scontrò con il prefetto del pretorio Rufino, che a Costantinopoli regnava per conto di Arcadio, fratello di Onorio, e con la pressione esercitata lungo i confini dell’impero dai barbari. Di fronte alla gravità della situazione, cercò un compromesso con il visigoto Alarico, suscitando la reazione di una parte del suo esercito e della popolazione, a fronte della quale Onorio ne ordinò l’arresto e lo condannò a morte. Considerato un traditore, Stilicone di fatto cercò di proseguire la politica di collaborazione con le popolazioni barbariche avviata da Teodosio I.
Grazie a un’alleanza con Visigoti, Alani e Burgundi, Ezio riesce a fermare Attila, intenzionato a invadere l’Impero d’Occidente (451). Vittima di una congiura, è ucciso a Ravenna durante un’udienza da Valentiniano III. BPK / SCALA, FIRENZE
DE
AG
OST
INI
me mediatore per ottenere il ritiro in buon ordine dell’esercito unno, non solo scampò all’epurazione dell’entourage di Giovanni, ma si vide assegnare incarichi di responsabilità che si sarebbero rivelati un trampolino di prim’ordine. In qualità di generale per la Gallia, infatti, fra il 426 e il 428 Ezio conseguì degli ottimi risultati: i successi militari contro i Visigoti prima, e contro i Franchi poi, andarono nella direzione di stabilizzare una delle tante aree dell’Impero occidentale che, tanto più dopo la dipartita di un condottiero come Costanzo, si trovavano a subire la pressione di gruppi barbari. La fiducia riposta in Ezio dai vertici dell’impero non poté che crescere: nel 429 venne richiamato in Italia e nominato generale di secondo grado dell’esercito di campo centrale, una posizione di spicco che – è lecito supporre – instillò in lui l’ambizione del comando in solitaria. Non a caso, la mossa successiva di Ezio fu quella di muovere contro un generale di grado appena superiore, Felice, fatto arrestare e giustiziare con l’accusa di avere complottato ai suoi danni. È ipotizzabile che le velleità di Ezio, alimentate peraltro da nuovi successi, come per esempio quelli fra il 430 e il 431 contro gli Alamanni iutungi e contro i Norici, finissero presto per mettere in allarme la corte
SCALA, FIRENZE
L’IMPERATRICE GALLA PLACIDIA Figlia e moglie di imperatori, regnò per dodici anni sull’Impero d’Occidente per conto del figlio Valentiniano III, giocando sulla rivalità tra i generali romani per salvaguardare i diritti del figlio. Moneta bizantina, IV-V secolo.
M. BORCHI /CORBIS / CORDON PRESS
PONTE DI TRAIANO. L’ANTICA ARIMINIUM (RIMINI) FU IL TEATRO DELLA BATTAGLIA TRA FLAVIO EZIO E BONIFACIO, CHE VINSE MA VI TROVÒ LA MORTE.
imperiale – guidata di fatto da Galla Placidia – che contro di lui schierò un altro generale di lungo corso, Bonifacio, richiamato in Italia dall’Africa. Questa volta per Ezio le cose andarono meno bene: la battaglia fra i due eserciti romani, a Rimini, vide sì Bonifacio rimanere mortalmente ferito, e tuttavia furono i suoi uomini a conseguire la vittoria. Ezio, sconfitto, decise dunque di ritirarsi a vita privata.
Una guerra senza fine Stando alle fonti, fu un attentato alla sua persona, di lì a breve, a convincere il generale dell’opportunità di tornare rapidamente all’azione. Come già nel 425, nel 433 Ezio negoziò il sostegno di un esercito unno, con il quale penetrò in Italia inducendo il suo principale oppositore, il genero di Bonifacio Sebastiano, a scappare a Costantinopoli. Sposata Pelagia, già vedova di Bonifacio, il generale si trovava ormai nella condizione di imporre all’impero d’Occidente la sua leadership: un potere sottolineato, nel 435, dalla sua nomina a patrizio; un potere, al contempo, da
CAPOLAVORO DI ARTE MUSIVA
L’interno del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. I mosaici delle lunette raffigurano San Pietro con San Paolo e San Lorenzo.
UN GIOIELLO DELL’ARTE BIZANTINA
IL MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA
CROCE DI DESIDERIO. L’IMPERATRICE CON I FIGLI ONORIA E VALENTINIANO NEL MEDAGLIONE INCASTONATO IN UNA CROCE LONGOBARDA. MUSEO DI S. GIULIA, BRESCIA.
SCALA, FIRENZE
G
li studiosi sono concordi nel considerare questo edificio, situato a breve distanza dalla basilica di San Vitale, un mausoleo fatto costruire accanto alla chiesa di Santa Croce da Galla Placidia per ospitare le sue spoglie e quelle del marito Costanzo III e del fratello Onorio, anche se ciò non avvenne. Del mausoleo, con pianta a croce latina, che ospita tre sarcofagi di epoca tardo-antica, colpisce la distanza tra la sobrietà dell’esterno, in laterizi, e la ricchezza dell’interno, decorato con mosaici realizzati da artisti greco-romani: la volta della cupola riproduce un cielo stellato, un tipo di decorazione che avrà fortuna fino al Medioevo, mentre nelle lunette sono raffigurati il Buon Pastore e alcuni santi.
TESTIMONIANZE ROMANE IN AFRICA
Vestigia di Sufetula (Tunisia): l’area, assoggettata da Vespasiano (63 d.C. circa), fu occupata dai Vandali (IV sec.) e riconquistata dai Bizantini (534 d.C.).
DEA / SCALA, FIRENZE
L’ESERCITO ROMANO IN GALLIA Dopo la morte di Ezio, la Gallia sfuggì al controllo di Roma e fu divisa fra tribù barbariche, tra le quali prevalse quella dei Franchi. Rilievo con legionari dal castrum di Saintes (I-III sec.). Musée de la civilisation gallo-romaine, Lione.
60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
alimentare con risultati concreti, tanto più in un frangente in cui le recenti convulsioni politiche avevano dato modo ai vari gruppi barbari di consolidare, e se possibile rendere più gravosa, la propria presenza in seno all’impero. I Visigoti in Aquitania, i Franchi e gli Alamanni sul Reno, gli Svevi in Spagna, i Vandali e gli Alani fra Mauretania e Numidia: tutti nodi che Ezio si trovava a dover sciogliere. L’urgenza era rappresentata non da uno, ma da due teatri di guerra: la Gallia e l’Africa. Conscio dell’insufficienza delle proprie risorse, il generale chiese il sostegno del trono di Costantinopoli: la disponibilità dell’imperatore Teodosio II nei confronti di Ezio lascia supporre che la strategia politica di questi – di fatto alla guida dell’Impero occidentale, ma disinteressato a un riconoscimento formale – fosse apprezzata dall’Impero orientale, che rispose con l’invio di un grande contingente agli ordini del generale di origini alane Ardaburio Aspare, già noto per il suo ruolo nell’intronizzazione di Valentiniano III. Aspare marciò efficacemente contro i vandali di Genserico (389-477), pronti a dilagare in un’area strategica come l’Africa settentrionale: l’accordo siglato nel 435 consentì all’Impero occidentale di mantenere il controllo delle province africane più ricche,
BILL BACHMANN / AGE FOTOSTOCK
DAGLI ORTI / SCALA, FIRENZE
STORIA DEI SANTI CASSIO E CASTRENSE. IL PARTICOLARE DEL MOSAICO RAFFIGURA LE VIOLENZE PERPETRATE DAI VANDALI DI GENSERICO. XII-XIII SECOLO, DUOMO DI MONREALE.
la Proconsolare e la Byzacena, nonché di una buona parte della Numidia. Al contempo, Ezio ebbe modo di dirottare le proprie risorse militari verso la Gallia, optando una volta di più per il supporto degli Unni: un supporto che il generale non era più nelle condizioni di retribuire in forma liquida – da qui la cessione di alcuni territori in Pannonia, lungo il fiume Sava – e che a ogni modo si rivelò determinante nell’economia delle guerre dell’impero, nell’immediato così come negli anni a seguire.
Barbari contro barbari Nel 437 Ezio fece devastare dalle milizie unne il regno dei Burgundi, intenti a razziare il territorio dell’attuale Belgio: i superstiti vennero ricollocati nei dintorni di Ginevra. Uno schema simile si ripeté per i cosiddetti Bagaudi dell’Armorica nonché per gli Alamanni, successivamente sparpagliati nel territorio fra Orléans e il bacino della Senna. Una certa resistenza venne al più offerta dai Visigoti, che nel 436 erano tornati a farsi minacciosi cingendo d’assedio Narbonne: Ezio
L’AGIOGRAFO DI FLAVIO EZIO
PROPAGANDA PER IL GENERALE
TEODOSIO II. L’IMPERATORE ROMANO D’ORIENTE CONFERÌ IL PATRIZIATO A MEROBAUDE RICONOSCENDONE IL VALORE MILITARE CONTRO I NORI E GLI ALEMANNI (430 E 431 D.C.).
A
VENERANDA BIBLIOTECA AMBROSIANA / SCALA, FIRENZE
trasmettere ai posteri la vicenda di Flavio Ezio fu in primo luogo Merobaude, un erudito che aveva combattuto ai suoi ordini. I suoi due panegirici – sopravvissuti nei secoli solo in forma parziale, e viziati da alcune colpevoli omissioni – risultano preziosi per farsi un’idea della propaganda costruita intorno a Ezio: il generale è presentato come un soldato instancabile, sia in tempo di guerra sia in tempo di pace; uno stratega attento, capace di rinunciare alle comodità, conscio che “il pettorale è […] un modo di vivere”. Per il suo impegno militare, negli anni Merobaude ottenne il patriziato e la nomina a generale di primo grado delle forze di campo in Spagna.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
61
SCALA, FIRENZE
LEONE MAGNO FERMA ATTILA SUL MINCIO Il pontefice passato alla storia soprattutto per aver fermato nei pressi di Mantova l’avanzata degli Unni verso Roma è raffigurato in uno degli affreschi realizzati nel Cinquecento da Raffaello negli appartamenti vaticani.
impiegò tre anni – e ancora forze unne – per costringerli a indietreggiare fino a Bordeaux, e cioè dalle coste mediterranee a quelle atlantiche della Gallia. Beninteso, quella militare non fu necessariamente l’unica soluzione concepita dal generale romano: basti pensare al caso degli Svevi, in Galizia, con i quali Flavio Ezio lavorò efficacemente di diplomazia. Sullo scorcio degli anni Trenta del V secolo il fronte occidentale si sarebbe potuto dire sostanzialmente normalizzato, quando una nuova aggressione dei Vandali avviò l’ennesima stagione emergenziale: nel 439 Genserico piombò dalla Mauretania sulle province più ricche dell’Africa, privando Ezio di un fondamentale serbatoio di risorse e sfruttando le coste africane come testa di ponte per la Sicilia. Il generale si vide costretto a chiedere nuovamente il sostegno di Costantinopoli: eppure, quando già un esercito imperiale congiunto di enormi dimensioni – le fonti permettono di ipotizzare decine di migliaia di soldati – si era raccolto in Sicilia, la spedizione alla volta di Cartagine dovette essere annullata. Le conseguenze di ciò erano chiare a tutti: con i Vandali padroni delle più ricche province africane – una situazione ufficialmente sancita da un accordo nel 442 – al bilancio dell’Impero occidentale
WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
G. ROSSENBACH / CORBIS / CORDON PRESS
TERME DI ANTONINO A CARTAGINE. INTORNO AL 440 D.C. EZIO SI TROVÒ A DOVER FRONTEGGIARE A SUD I VANDALI CHE AVEVANO INVASO LE PROVINCE DELL’AFRICA ROMANA E CONQUISTATO CARTAGINE, E A NORD GLI UNNI CHE AVEVANO INVASO LA GALLIA.
sarebbe definitivamente venuto a mancare un fondamentale capitolo di entrata, alla qual cosa avrebbe dovuto giocoforza fare seguito una critica riduzione dell’esercito, peraltro già assottigliatosi nei decenni precedenti; e tuttavia Costantinopoli ritenne ineludibile richiamare le proprie milizie per far fronte a una nuova, improvvisa minaccia da nord: Attila. Dieci anni dopo, l’esercito in marcia del Piccolo Padre avrebbe costretto Ezio a imbastire una coalizione di Romani e Barbari, fra cui in primo luogo Visigoti e Burgundi, con cui giocarsi il tutto per tutto contro gli alleati di un tempo.
Attila respinto dall’Italia La battaglia fra Romani e Unni ai Campi Catalaunici vede Attila battuto: Ezio, tuttavia, opta per preservare le forze di cui dispone, evitando di lanciarle all’inseguimento del nemico in ritirata. L’anno successivo, il 452, Attila torna alla carica, puntando però all’Italia settentrionale: non si registrano nel frangente battaglie
UN’ABILE STRATEGIA MILITARE
L’ESERCITO DI ATTILA
L
a forza militare degli Unni era data dalla pratica di costringere i gruppi via via sottomessi a combattere ai propri ordini. Se già nella seconda metà del IV secolo gli Unni potevano contare su milizie alane, durante il regno di Attila essi controllavano in forma più o meno diretta numerosi gruppi germanici quali Svevi, Sciri, Longobardi, Alamanni e altri; ciò peraltro spiega l’affermarsi del germanico come lingua comune nei domini unni. Se nei primi anni del V secolo, paradossalmente, tale attrazione alleggerì la pressione sull’esercito romano, sul lungo periodo portò a una sorta di superpotenza militare che Attila, raggiunto un certo equilibrio con Costantinopoli sullo scorcio degli anni ‘40, dirottò verso Occidente. Alla morte del Piccolo Padre, la rapida disgregazione del dominio unno disegnò uno scenario nefasto per l’impero: una concentrazione di gruppi armati costretti a lottare fra loro in un territorio dalle dimensioni sostanzialmente modeste, e dunque pronti all’occorrenza a tracimare.
campali, e tuttavia è difficile non intravedere dietro l’improvvisa ritirata degli Unni (che minacciavano di arrivare a Roma), molto più che il leggendario intervento di papa Leone Magno sul Mincio (390 circa-461), l’abilità strategica di Ezio, capace tanto di guidare un efficace disturbo dell’esercito nemico, quanto di incassare una volta di più il sostegno materiale di Costantinopoli, un cui contingente viene minacciosamente fatto marciare attraverso i Balcani verso il cuore del dominio unno.
Dalla vittoria alla congiura Nel 453 Attila muore: si intravede da subito la rapida disgregazione del dominio unno, disgregazione che indirettamente segna anche la fine – in primo luogo politica – di Ezio. La sua posizione a corte, del resto, risulta indebolita anche da alcuni contrasti occorsi nel tempo con l’imperatore, ormai adulto: nel 450, alla morte di Teodosio II, Ezio si era pronunciato contro le pretese di Valentiniano sul trono orientale, favorendo di fatto l’ascesa di Marciano (392 ca-457); di lì a breve egli aveva
poi cercato di combinare il matrimonio fra la secondogenita di Valentiniano, Placidia, e suo figlio Gaudenzio, senza ottenere alcunché e anzi suscitando l’astio dell’imperatore. La vicenda dell’ultimo dei Romani trova la sua conclusione nel 454, allorquando Ezio è vittima di una congiura: viene aggredito e ucciso con l’accusa di tradimento dallo stesso Valentiniano, manipolato nel frangente da un suo consigliere, l’eunuco Eraclio. A sua volta, l’imperatore viene liquidato di lì a breve, vittima delle ambizioni del senatore Petronio Massimo: nuove tensioni, nuovi indirizzi politici scandiranno quelli che si riveleranno essere gli ultimi vent’anni della parte occidentale dell’Impero romano. Per saperne di più
TESTI
Panegirico in versi Flavio Merobaude. Herder, Roma, 1999. Le Cronache Cassiodoro. Runde Taarn, Varese, 2007. SAGGI
Attila e la caduta di Roma Christopher Kelly. Bruno Mondadori, Milano, 2009.
ATTILA, RE DEGLI UNNI
Il Piccolo Padre (appellativo che corrisponde al significato del nome Attila, di origine gotica) raffigurato da Eugène Delacroix nella decorazione della cupola della biblioteca di Palais Bourbon a Parigi (1843).
La ricerca storica dubita della tradizionale correlazione fra le sconfitte dell’esercito del tardo impero e l’arruolamento di barbari fra le sue fila. Posto come l’impiego di milizie non romane rimandi a ben prima dei disastri del IV-V secolo, non si hanno dati sui rapporti numerici fra barbari e Romani, e va altresì notato che nel tempo i barbari vennero inseriti nelle unità e non più in distaccamenti ausiliari. Nulla infine può portare a concludere che l’addestramento e la disciplina si fossero allentati rispetto al primo impero o addirittura alla Repubblica. FLAVIO EZIO. INCISIONE ISPIRATA A UNA STATUA DEL GENERALE RISALENTE AL V SECOLO. MARY EVANS PICTURE LIBRARY, LONDRA.
SCALA, FIRENZE
MARY EVANS/ SCALA, FIRENZE
I BARBARI NELL’ESERCITO DI ROMA
LA BATTAGLIA DI PONTE MILVIO, CHE COSTANTINO VINSE SU MASSENZIO ANCHE GRAZIE AL RECLUTAMENTO DI BARBARI NEL SUO ESERCITO. AFFRESCO DI RAFFAELLO, STANZA DELLA SEGNATURA, MUSEI VATICANI.
Gordiano III (225-244, imperatore dal 238): nel 242 approntò una spedizione contro la Persia ricorrendo ai Goti. Dopo la sua morte, i rapporti con i Goti si guastarono: ne nacque l’incursione nella Mesia inferiore di Goti e Carpi nel 248, interrotta da Decio Traiano. GORDIANO III. BUSTO IN MARMO RISALENTE AL III SECOLO D.C. LOUVRE, PARIGI.
DA SINISTRA: DEA / SCALA, FIRENZE; SCALA, FIRENZE; DEA / SCALA, FIRENZE; G. DALL’ORTO / MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA
Costantino (274-337, imperatore dal 306): il “vincitore dei barbari”, per la campagna contro Massenzio (311312), mobilitò dall’Europa nordoccidentale un ampio esercito nel quale vennero reclutati anche numerosi barbari provenienti dalle aree germanica, celtica e baltica. COSTANTINO IL GRANDE. SCULTURA DI EPOCA TARDO-ANTICA. MUSEO NAZIONALE, BELGRADO.
Teodosio Stipulato nel 382 un trattato con i Goti – grazie al quale essi, vittoriosi ad Adrianopoli nel 379, venivano autorizzati a stanziarsi in area danubiana – negli anni a seguire si servì di loro in qualità di federati. TEODOSIO. PARTICOLARE DEL BASSORILIEVO CHE SOSTIENE L’OBELISCO DI ISTANBUL.
Stilicone (359 circa- 408): di origini vandale, incarnò la figura del militare barbaro capace di fare carriera nell’esercito imperiale, fino a diventare generale e a governare di fatto l’Impero d’Occidente. SARCOFAGO DI STILICONE. CALCO IN GESSO (IV SEC.). MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
65
FARINATA DEGLI UBERTI ALLA BATTAGLIA DEL SERCHIO
Il nobile ghibellino (in alto al centro) cerca di salvare il nemico Cece Buondelmonte durante la battaglia combattuta nel 1262 tra guelfi e ghibellini. Giuseppe Sabatelli, 1842, olio su tela, Galleria d’Arte Moderna, Firenze.
LE «MALEDETTE PARTI»
GUELFI E GHIBELLINI Nate in Germania tra i filopapali e filoimperiali, le due fazioni “sconfinarono” in Italia dove i contrasti si spostarono dal piano politico a quello degli interessi locali, opponendo città e famiglie rivali e facendo anche vittime illustri
DEA / SCALA, FIRENZE
VITTORIO H. BEONIO BROCCHIERI PROFESSORE DI STORIA MODERNA E STORIA DEL SISTEMA INTERNAZIONALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA
I
CASTELLO IMPERIALE DI NORIMBERGA
L’imponente costruzione costituì la sede degli imperatori del Sacro romano Impero dagli inizi del XII secolo alla fine del XV ed è quindi nota come Kaiserburg.
n origine: Welf e Weiblingen. Il conflitto fra guelfi e ghibellini è una parte importante della storia del Medioevo italiano. È anche diventato il simbolo di quella che sarebbe una tendenza naturale degli italiani alla faziosità politica e al gusto della contrapposizione manichea che rimane irriducibile e feroce anche quando, col passare del tempo, le ragioni ideali originarie sono state dimenticate.
DEA / SCALA, FIRENZE
Il Barbarossa e la lotta con i comuni Per capire perché questi nomi siano trasmigrati in Italia dobbiamo seguire le vicende di due grandi imperatori, entrambi della casata di Svevia: Federico I e suo nipote Federico II. Federico I, detto Barbarossa – nato appunto a Waiblingen nel 1122 e imperatore dal 1152 – è una figura ben nota della storia
italiana. Soprattutto dal Risorgimento in poi, quello che è stato senza dubbio un grande imperatore in Italia non ha goduto di buona stampa. La lunga lotta condotta da Federico contro i liberi comuni e contro il pontefice è diventata il prodromo di tutte le oppressive dominazioni straniere che si sono succedute nei secoli sul suolo italiano. Non va però dimenticato che se nelle sue discese nella penisola il Barbarossa si era fatto molti nemici, aveva trovato anche non pochi alleati, sia tra le città, sia fra le grandi famiglie feudali. Si erano infatti costituiti in Italia un partito filoimperiale – una Pars Imperii – e una pars Ecclesiae che vedeva nel papato (ostile all’ingombrante presenza dell’imperatore al di qua delle Alpi) il suo punto di riferimento. I termini“guelfi”e“ghibellini” non erano ancora entrati in uso per designare i fronti opposti, tuttavia il lungo regno di Federico I, durato fino al 1190, creò un’associazione quasi naturale fra l’idea di Impero e gli Hohenstaufen, i signori di Waiblingen.
Le fazioni cittadine Gli italiani non avevano però aspettato l’arrivo degli imperatori germanici per dividersi in fazioni contrapposte. E in genere l’adesione di una città o di una famiglia o gruppo di famiglie al“partito dell’Impero”o al“partito della Chiesa” non era dettata da alte motivazioni ideali,
Federico II, Stupor Mundi, fu un imperatore dalla spregiudicata apertura intellettuale BUSTO DI FEDERICO II DI SVEVIA, MUSEO PROVINCIALE CAMPANO, CAPUA.
REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
Anche durante il Risorgimento, quando si trattava di riunificare una nazione divisa, gli italiani hanno trovato il modo di dividersi in neoguelfi e neoghibellini. Eppure è al di là delle Alpi, in Germania, che hanno avuto origine, se non le ragioni dei conflitti fra fazioni italiane, le due parole – Welf e Waiblingen – che, italianizzate, hanno dato il nome ai due schieramenti. Welf era infatti il capostipite dei duchi di Baviera, Waiblingen il castello dove aveva avuto origine la dinastia degli Hohenstaufen, duchi di Svevia. Dopo la morte senza eredi di Enrico V nel 1125 e l’estinzione della dinastia salica, queste due famiglie si erano contese la corona del Sacro Romano Impero. Sembra che sia stato nel 1140, durante una battaglia, che per la prima volta i due nomi sono stati adottati come grida di guerra e di riconoscimento dei due fronti opposti: Hei Welf!, Hei Waiblingen!
C R O N O LO G I A
LE DUE FAZIONI IN LOTTA 1246 Compaiono ufficialmente per la prima volta i termini “guelfo” e “ghibellino”. Imperatore al tempo è Federico II.
1260 Nella battaglia di Montaperti, il partito ghibellino di Siena sconfigge il rivale partito guelfo guidato da Firenze.
1266 Alla battaglia di Benevento, il guelfo Carlo d’Angiò sconfigge il ghibellino Manfredi: la penisola tutta è in lotta.
1289 A Campaldino, sarà invece la parte guelfa fiorentina a sbaragliare il partito ghibellino di Arezzo. Vi prende parte anche Dante.
Dopo il 1289 Sconfitti i ghibellini, i guelfi di Firenze si dividono in due fazioni: ragioni politiche ed economiche separano Bianchi e Neri.
DEA / SCALA, FIRENZE
IL TRIONFO DEL GHIBELLINO UGOLINO ROSSI DOPO LA BATTAGLIA DI CAMPALDINO. 1570 CA. SAN SECONDO PARMENSE.
IL PALAZZO VECCHIO
Tra i simboli più noti della città di Firenze assieme alla Torre dell’Arnolfo, si chiamava in origine Palazzo dei Priori e, allora come oggi, era sede del governo cittadino. BARBAROSSA E IL PAPATO
DEA / SCALA, FIRENZE
che vide ancora protagonisti gli Uberti, ma che ben poco aveva a che vedere con il conflitto fra il Papato e l’Impero. La scintilla fu infatti una promessa di matrimonio non mantenuta. Questi due episodi vengono in genere ritenuti il punto d’avvio dei conflitti fra le fazioni che di lì a qualche decennio prenderanno il nome di guelfi e ghibellini.
Lo Stupor Mundi I termini “guelfo” e “ghibellino” fanno infatti la loro comparsa ufficiale solo nel 1246. Sono gli anni in cui l’imperatore Federico II, nipote del Barbarossa e quindi anch’egli un Waiblingen, riapre il conflitto con i comuni e con il papato. I suoi sostenitori sono quindi i ghibellini, mentre i suoi avversari italiani adottano il nome della casata tedesca rivale dei Welfen, quindi si dicono guelfi, anche se nel loro caso il legame è meno ovvio. Se Federico I può essere considerato il tipo ideale di sovrano medioevale, profondamente compreso nei suoi doveri di capo universale della cristianità, Federico II, lo Stupor mundi – la “meraviglia del mondo” – interpreta il suo ruolo di impera-
L’adesione di una città a una fazione non era dettata da ideali, ma da interessi concreti
MAURIZIO RELLINI / FOTOTECA 9X12
SCA
LA , F
IREN
ZE
ma da interessi molto concreti o da rancori e rivalità regionali o locali. I comuni, come Como o Pistoia, o le grandi famiglie feudali, come i conti Guidi in Toscana o i conti di Biandrate in Lombardia, che scelsero di schierarsi con l’imperatore, lo fecero in primo luogo perché temevano l’egemonia di città vicine più grandi e potenti, come Milano o Firenze, schierate sul fronte opposto. Ma la frontiera fra i partiti poteva attraversare una stessa città. Nel 1177, per esempio, gli Uberti, «i più possenti e maggiori cittadini di Firenze», come li descrive il cronista Giovanni Villani, presero le armi per rovesciare il governo comunale nelle mani della famiglia dei Giandonati, GREGORIO IX sperando proLANCIA LA prio nell’aiuto SCOMUNICA CONTRO di Federico BarFEDERICO II, SALA REGIA, barossa. Lo scontro CITTÀ DEL si risolse al momento VATICANO. con un compromesso, ma l’odio riesplose qualche decennio dopo, nel 1215, in una lotta sanguinosa
Nelle lotte contro il Papato, Federico I, detto Barbarossa, segna la nascita di un partito filoimperiale in cui si riconoscono i suoi alleati in Italia.
UCCISIONE DI BUONDELMONTE
L’ORIGINE DELLA CONTESA Una tradizione consolidata fa risalire l’origine della contrapposizione fra guelfi e ghibellini a Firenze a una promessa di matrimonio mancata. Per porre fine a un dissidio fra famiglie, Buondelmonte de’ Buondelmonti aveva promesso di prendere in moglie una giovane della famiglia degli Amidei. Innamoratosi di una ragazza della famiglia Donati, Buondelmonte ruppe però il precedente fidanzamento. Per i parenti e gli amici della promessa sposa ripudiata si trattava di un affronto che doveva essere lavato con il sangue. Il giorno di Pasqua del 1215 venne assalito presso il Ponte Vecchio e ucciso da alcuni esponenti di quelle che sarebbero poi diventate le famiglie dello schieramento ghibellino, tra i quali Schiatta degli Uberti e Oddo Arrighi.
Questa non è l’unica versione proposta dagli storici contemporanei sull’origine delle lotte di fazione, ma è la più seguita, grazie soprattutto ai cronisti Dino Compagni e Giovanni Villani e all’autorità dello stesso Dante Alighieri, che nella Commedia accenna per due volte a questo episodio.
LE LOTTE INTESTINE
DEA / SCALA, FIRENZE
La scacchiera italiana Anche Federico II poteva però contare su potenti alleati. Tra questi ritroviamo a Firenze gli Uberti. Per ogni famiglia e per ogni città, la scelta di schierarsi da una parte o dall’altra dipendeva in parte dalla
tradizione storica e in parte dagli interessi contingenti. Se la città vicina e rivale aveva optato per il guelfismo, questa poteva essere una buona ragione per diventare ghibellini. Il grande conflitto fra Papato e Impero a livello locale si frammentava in guerre fra città e, all’interno di ogni città, in sanguinosi scontri di famiglie e fazioni asserragliate nelle loro torri. La fazione, guelfa o ghibellina che fosse, che risultava sconfitta in una città, sapeva di poter contare sul sostegno degli appartenenti alla propria parte al potere in una città vicina. E con il loro aiuto poteva sperare in una rivincita che la riportasse al potere nella propria città. Fu quanto riuscì ai ghibellini fiorentini, scacciati una prima volta nel 1248 e tornati trionfalmente dopo la grande vittoria ottenuta insieme ai senesi il 4 settembre 1260 nella battaglia di Montaperti. Questo fu il punto più alto delle fortune del partito ghibellino. Ma già a partire dall’anno seguente, il nuovo pontefice Urbano IV riprese con energia la lotta contro Manfredi e i suoi alleati italiani. Urbano IV trovò un nuovo potente alleato in Carlo d’Angiò, fratello del re di
L’Italia assomigliava a una scacchiera divisa in caselle bianche e nere, guelfe e ghibelline MONETA D’ORO DEL GOVERNO GHIBELLINO DI GENOVA, ROVESCIO. AR TA
RC H
IVE
DEA / SCALA, FIRENZE
tore in modo più originale. Per la sua apertura intellettuale, lo sentiamo molto più moderno e vicino a noi. Ma questa in parte è un’illusione. Nonostante tutto Federico era un sovrano medioevale e un uomo del suo tempo. Solo che il suo tempo era diverso da quello del Barbarossa. Il Duecento è stato per l’Europa, e per l’Italia in particolare, un secolo di grande sviluppo: demografico, economico, artistico e intellettuale. Negli anni che separano i due imperatori Hohenstaufen le città italiane erano cresciute in ricchezza e potenza. Le più grandi avevano consolidato il loro predominio sui territori e le città minori vicine. Il progetto di Federico II, che era quello di affermare il potere universale dell’imperatore, dovette fare i conti con avversari più agguerriti.
Miniatura tratta dalla Nuova Cronica di Giovanni Villani (XIV secolo), in cui sono raffigurati i guelfi nell’atto di negare ai ghibellini il rientro in città.
PICCARDA DONATI FATTA RAPIRE DAL CONVENTO DI SANTA CHIARA DAL FRATELLO CORSO. LORENZO TONCINI, PINACOTECA, PAVIA.
La battaglia di Campaldino del 1289 vide il partito guelfo vincere quello ghibellino, ma la vittoria non portò alla pace sperata. Tra gli stessi guelfi, infatti, si crearono divergenze che causarono la divisione del partito in Bianchi e Neri. A Firenze, a guidare i primi la famiglia dei Cerchi, i secondi quella dei Donati.
BIANCHI Dante Alighieri
Tra i maggiori e più celebri rappresentanti della fazione dei Bianchi fiorentini, già in campo durante la storica battaglia di Campaldino, ne La Divina Commedia canterà le lotte intestine che dilaniarono la sua città. Condannato in contumacia dal podestà di Firenze Gabrielli, Dante venne raggiunto dalla notizia del suo esilio mentre si trovava a Roma. Non avrebbe mai più rivisto Firenze. DANTE ALIGHIERI IN ESILIO, DOMENICO PETARLINI, 1860, OLIO SU TELA, GALLERIA D’ARTE MODERNA, FIRENZE.
Guido Cavalcanti
Di famiglia guelfa, Guido Cavalcanti fu poeta stilnovista e compagno dello stesso Alighieri. Destinato come lui all’esilio, fu in realtà l’amico Dante, in qualità di priore, a decidere nel 1300 e suo malgrado l’esilio da Firenze dei capi delle due fazioni, tra cui, per la parte bianca, lo stesso Cavalcanti.
NERI Corso Donati
Scaltro capo politico della fazione nera, fu uno dei massimi esponenti della lotta che imperversò tra le famiglie fiorentine alla fine del XIII secolo. In una Firenze divisa in consorterie, Corso Donati riuscì ad allontanare i Bianchi dalla città solo per portare i Neri a una nuova lotta interna per l’egemonia.
Piccarda Donati
Sorella di Corso fu Piccarda Donati, altro personaggio cantato da Dante nella Divina Commedia. La nobildonna, nonostante l’appartenenza familiare nemica dei Bianchi, compare però nel Paradiso poiché, rapita dal fratello Corso dal convento nel quale viveva, venne data in sposa a un ricco esponente nero.
DEA / SCALA, FIRENZE
GUELFI NERI E BIANCHI
LE TORRI DI SAN GIMIGNANO
FANTUZ OLIMPIO / FOTOTECA 9X12
Durante gli scontri famiglie e fazioni si asserragliavano nelle loro torri, come quelle che ancora oggi vediamo a San Gimignano e che allora dominavano il profilo di tutte le cittĂ italiane.
IL PALAGIO DI PARTE GUELFA
L’edificio si trova in Piazza di Parte guelfa a Firenze. Le due fazioni discutevano le scelte politiche in propri quartier generali “di partito”. LA PREDICA DI SAN BERNARDINO
SCALA, FIRENZE
Ancora guelfi e ghibellini Il trionfo di Carlo d’Angiò e dei guelfi fiorentini non rappresentò però la fine del ghibellinismo italiano e delle lotte di fazione. Gli Aragonesi di Sicilia e i Visconti di Milano presero il posto degli Svevi alla guida dello schieramento ghibellino, mentre gli Angioini di 76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Napoli e Firenze erano i principali protagonisti sul fronte opposto. Era ormai chiaro che il richiamo alle ragioni della Chiesa e dell’Impero era un semplice pretesto, ma le divisioni erano troppo profonde, e nonostante i ripetuti tentativi di sradicare le «maledette parti» il sangue continuava a scorrere. La storia confermava l’affermazione del cronista lombardo Pietro Azario: «E se venissero a mancare le dette due parti, se ne formerebbero delle peggiori». È quello che accadde a Firenze, dove il trionfo dei guelfi nel 1266 fu seguito da una scissione interna del partito vincente, fra guelfi bianchi che temevano un’eccessiva ingerenza del Papato, e guelfi neri, più legati, anche per motivi economici, alla Curia romana. Ancora all’epoca delle guerre d’Italia, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, i due schieramenti contrapposti, i sostenitori della Francia da una parte e quelli della Spagna e poi degli Asburgo dall’altra, si sarebbero richiamati ai nomi delle antiche fazioni: ancora una volta guelfi contro ghibellini. Per saperne di più
SAGGI
L’Italia dei guelfi e dei ghibellini Sergio Raveggi. Bruno Mondadori. Milano, 2009. Federico II e l’apogeo dell’Impero Wolfgang Stürner. Salerno Editrice, Roma, 2009. Storie fiorentine Franco Cardini. Loggia de’ Lanzi, Firenze, 1994.
SCALA, FIRENZE
Francia, Luigi IX, San Luigi. Per finanziare lo sforzo bellico di Carlo, il papa poteva contare sull’appoggio finanziario delle grandi famiglie guelfe fiorentine, la cui ricchezza proveniva soprattutto dalle attività commerciali e bancarie. Anche se duramente colpite dalle confische dei loro beni immobili nel 1260, queste famiglie erano riuscite a conservare i loro patrimoni finanziari e ora potevano mettere queste risorse a disposizione di Carlo d’Angiò. Nel 1266 a Benevento Carlo sconfisse Manfredi, che morì sul campo di battaglia. Due anni dopo, la sconfitta e la morte di Corradino, nipote di Federico II, segnò la fine degli Hohenstaufen. Come conseguenza a Firenze si ebbe un immediato cambio di regime e furono le famiglie ghibelline a dovere lasciare la città per non farvi più ritorno. Firenze divenne il punto di riferimento dei guelfi toscani. La nuova vittoria guelfa e fiorentina di contro i ghibellini di Arezzo, nella battaglia di Campaldino, l’11 giugno 1289, alla quale prese parte anche Dante, segnò il punto d’avvio dell’egemonia di Firenze sulla Toscana.
Tavola di Sano di Pietro, oggi custodita al Museo dell’Opera Metropolitana di Siena, che raffigura una predicazione del santo in città.
BERNARDINO DA SIENA
CONTRO LE «MALEDETTE PARTI» La contrapposizione fra una fazione guelfa e una ghibellina continuò a lacerare ancora per molto tempo le città italiane – con poche eccezioni, fra le quali la più importante fu Venezia – fino ad arrivare al termine del Medioevo. Ancora nel Quattrocento, il francescano Bernardino degli Albizzeschi, più noto come Bernardino da Siena (1380-1444), dedicò al tema delle lotte di fazione e alle loro tragiche conseguenze alcune delle sue prediche più eloquenti.
Per san Bernardino, come per molti altri, le lotte di fazione erano alla radice di tutti i mali d’Italia. La differenza fra guelfi e ghibellini aveva per lui perso qualsiasi significato politico o ideale ed era solo il pretesto per atti di violenza ingiustificati.
L’adesione all’una o all’altra fazione era quindi ugualmente condannabile. Affermava infatti il predicatore: «Chi per opera tiene o per parte guelfa, i ghibellina, tu vedi che questa tale opera è mossa da cattiva radice; per la malignità sua non ne può seguitare altro che male».
L’ANTICRISTO TRA LE FAZIONI A ORVIETO La lotta tra guelfi e ghibellini a Orvieto vide scontrarsi due potenti famiglie: i Monaldeschi e i Filippeschi. Nel duomo cittadino, Luca Signorelli dipinse un magnifico Anticristo che è anche uno spaccato sui personaggi del tempo. 1 L’Anticristo
Posto su un piedistallo in abiti rossi, l’Anticristo predica alla folla. Accanto a lui, a suggerirgli le parole, il diavolo stesso. L’intervento del maligno è inoltre sottolineato dal “gioco” di braccia che lo vede infilarsi nel drappo del falso predicatore facendone la propria marionetta.
2 Il Monaldeschi
Vicino all’Anticristo spicca una figura d’uomo, vestito in ricchi abiti e dall’atteggiamento spavaldo, tanto da essere raffigurato con le mani sui fianchi. È il giovane Monaldeschi, membro della potente famiglia guelfa che tanta parte avrà nella tormentata storia di Orvieto.
3 Cesare Borgia
Cappello rosso, barba e capelli biondi: è Cesare Borgia, il Valentino. Compare tra gli uditori della predica dell’Anticristo come personaggio eminente dell’Orvieto di fine Quattrocento di cui fu governatore generale e legato.
4 Enea Silvio Piccolomini
Papa Pio II è raffigurato calvo e di fattezze robuste. Sono numerose le interpretazioni date sull’identificazione dei personaggi raffigurati nell’affresco di Luca Signorelli: oltre al Piccolomini, alcuni hanno riconosciuto le figure del Pinturicchio e quella di Cristoforo Colombo.
5
5 Luca Signorelli
Nonostante si trovino all’estremità sinistra dell’affresco, quasi ai margini, spiccano due figure in abiti neri. In primo piano l’autore dell’opera, Luca Signorelli, con berretto e mantello e, dietro di lui, secondo la tradizione, Beato Angelico, in vesti domenicane.
PREDICAZIONE E FATTI DELL’ANTICRISTO. LUCA SIGNORELLI, DUOMO, ORVIETO.
SCALA, FIRENZE
1
3 4 2
L’ESECUZIONE A ROUEN
Giovanna d’Arco, in catene e vestita con una tunica bianca, viene condotta al rogo, nella piazza del Vieux-Marché di Rouen. Dipinto di I. Patrois. 1867. Museo di Belle Arti, Rouen.
Giovanna d’Arco Il processo alla Pulzella d’Orléans 80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
IL PROFILO DELL’EROINA
Tre mesi di accuse serrate concluse con la pena del rogo: così gli Inglesi, dominatori della Francia, condannarono nel 1431 la “contadina” che con le armi aveva saputo restituire il trono a un re francese, nel tentativo di delegittimare il nuovo sovrano
L’unica immagine di Giovanna d’Arco a lei contemporanea è questo disegno, eseguito da un segretario del tribunale supremo di Parigi nel maggio 1429, appena dopo aver ricevuto la notizia della liberazione di Orléans. Archivi Nazionali, Parigi.
UNIVERSITÀ DI MONTPELLIER
BRIDGEMAN / ACI
JULIEN THÉRY
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
81
GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS
LA CATTEDRALE DI REIMS
Dopo la presa di Troyes, Carlo VII fu incoronato re di Francia nella cattedrale di Reims il 17 luglio del 1429. Giovanna assistette alla cerimonia portando lo stendardo bianco. GIOVANNA D’ARCO A PATAY
Questo dipinto di F. Craig raffigura il momento in cui Giovanna entra combattendo a Patay, poco dopo aver liberato Orléans. Sullo stendardo si legge “Gesù Maria”. 1907. Musée d’Orsay, Parigi.
I
l 21 novembre del 1430, i professori dell’Università di Parigi scrissero una lettera a Enrico VI, re d’Inghilterra e in quegli anni anche di Francia: «Abbiamo udito in questi ultimi giorni che è in vostro potere la donna che chiamano la Pulzella, fatto di cui ci rallegriamo molto, e confidiamo che per ordine vostro tale donna sarà posta sotto processo per riparare ai grandi malefici e agli scandali che per sua colpa ebbero luogo nel vostro regno, con grave danno dell’onore divino della nostra santa fede e di tutto il vostro buon popolo». I professori parigini si riferivano a Giovanna d’Arco, catturata qualche mese prima e appena consegnata agli Inglesi. L’accusavano di aver provocato «scandalo» in Francia per essersi messa alla guida di un esercito soste-
nendo di essere inviata da Dio: lei, una semplice contadina di 18 anni. Il processo contro Giovanna si aprì qualche giorno dopo e terminò così come era stato deciso fin dall’inizio: con la condanna a morte e l’esecuzione sul rogo. Le sue ceneri vennero poi disperse nel fiume, affinché fosse cancellata totalmente la sua memoria. Tuttavia, così non fu: il processo non fece che alimentare la glorificazione dell’eroina che aveva salvato la Francia e aveva portato il proprio sacrificio fino al martirio. Ciò che si metteva in discussione nel processo era la veridicità della missione divina di Giovanna. Sin dall’età di 13 anni, quella giovane di una modesta famiglia contadina del villaggio di Domrémy, in Lorena, aveva udito “voci” e visto apparizioni di angeli che la esortavano
C R O N O LO G I A
IN GUERRA CONTRO L’INGLESE
1420
1425
Firma del trattato di Troyes, con il quale Enrico V d’Inghilterra è riconosciuto re di Francia a scapito di Carlo VII.
Giovanna d’Arco, giovane contadina di Domrémy, nel nord-est della Francia, ode le prime “voci” che le ordinano di liberare la Francia.
DE A/
AL
BU
M
SIGILLO DI CARLO VII DI FRANCIA. XV SECOLO. MUSEO MUNICIPALE, VAUCOULEURS.
CHARLES BOWMAN / AGE FOTOSTOCK
1428
1429
1430
1431
Gli Inglesi assediano Orléans. Giovanna parte per Chinon per incontrare Carlo VII e mettersi al suo servizio.
A maggio Giovanna si mette alla testa dell’esercito francese che libera Orléans. Il 17 luglio, Carlo viene incoronato a Reims.
A Compiègne, Giovanna cerca di respingere i Borgognoni, che la catturano e la cedono agli Inglesi in cambio di un riscatto.
Abbandonata dal re, Giovanna è accusata di stregoneria. Processata e riconosciuta colpevole, muore sul rogo.
FINE ART / AGE FOTOSTOCK
Umiliata e vilipesa DA QUANDO GIOVANNA D’ARCO si po-
se alla guida dell’esercito di Carlo VII, i nemici anglo-borgognoni la coprirono di offese e insulti, principalmente di tre tipi. Da una parte, si sottolineava la sua deviazione demoniaca dalla religione, per esempio chiamandola “strega malvagia”. Su un piano diverso erano le allusioni alla depravazione sessuale della ribaude, “meretrice” o “prostituta”, sempre circondata da soldati. INFINE, veniva attaccata per le sue umili
BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
LA CATTURA DI GIOVANNA D’ARCO A COMPIÈGNE. DIPINTO DI ADOLPHEALEXANDER DILLENS. XIX SECOLO. MUSEO DELL’ERMITAGE, SAN PIETROBURGO.
IL BATTESIMO DEL FUOCO DELLA PULZELLA Il primo giorno di Giovanna con indosso l’armatura e in battaglia, presso Orléans, si concluse con molti morti, sia francesi sia inglesi. In basso, elmo del XV secolo. British Museum, Londra.
84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ad accorrere in aiuto del re di Francia, Carlo VII di Valois, che gli Inglesi avevano costretto a rinunciare ai propri diritti a beneficio di Enrico VI d’Inghilterra. All’inizio del 1429, Giovanna si presentò alla corte di Carlo VII a Chinon e, dopo essere stata esaminata da una commissione di teologi, li convinse di essere stata inviata da Dio per «liberare il popolo di Francia dalle calamità in cui versa». La prova definitiva giunse quando la Pulzella si mise alla guida delle truppe che riuscirono a liberare la città di Orléans dall’assedio inglese e, poche settimane dopo, Carlo VII fu incoronato solennemente nella cattedrale di Reims in presenza della giovane profetessa guerriera. Ben presto, però, la sorte mutò. Invece di «cacciare gli Inglesi dalla Francia», come aveva vaticinato, Giovanna e il suo esercito subirono diverse sconfitte militari e, fatto ancor più grave, il 23 maggio 1430 lei stessa fu catturata dagli uomini del duca di Borgogna vicino a Compiègne, a nord di Parigi. Giovanna, quindi, non era invincibile né invulnerabile; pertanto, non era un’inviata di Dio e le sue gesta non erano state miracoli divini. Che cos’erano, allora? Per gli Inglesi e i Borgognoni loro al-
origini, e chiamata “bovara”. Durante l’assedio di Orléans, quando Giovanna inviò agli Inglesi una lettera legata a una freccia nella quale chiedeva che abbandonassero la battaglia, questi le risposero dall’accampamento gridando: «Sono notizie della sgualdrina degli Armagnac!».
leati era chiaro: opere del diavolo, di un’eretica che andava contro i comandamenti della Chiesa ortodossa e che doveva essere processata e condannata. La motivazione di queste accuse, tuttavia, era puramente politica: condannando Giovanna come eretica, gli Inglesi intendevano dimostrare che l’incoronazione di Carlo VII era stata opera di un’indemoniata. Per questo non si fermarono fino a quando i Borgognoni non consegnarono loro la prigioniera in cambio di un ingente riscatto, e subito dopo decisero di sottoporla a un processo inquisitorio per dimostrare che era un’eretica o una strega.
Nelle mani dell’Inquisizione Alla fine del 1430, gli Inglesi trasferirono la prigioniera a Rouen, capitale della Normandia, città in cui risiedevano e che amministravano direttamente il giovane Enrico VI e il duca di Bedford, reggente di Francia. A capo del processo misero un uomo di loro fiducia, Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais: era stato servitore del duca di Borgogna e membro del consiglio del re d’Inghilterra. Oltre a lui fu nominato un inquisitore, il domenicano Jean Le Maître, che tuttavia cercò di sottrarsi all’incarico.
BERTRAND RIEGER / GTRES
IL CASTELLO DI SULLY
Nel 1430, dopo la campagna di La Charité, Giovanna d’Arco trascorse qualche mese nel castello di Sully (nella foto), poi partì per la sua ultima battaglia, a Compiègne, dove fu fatta prigioniera. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
85
G. COURTELLEMONT / CORBIS / CORDON PRESS
LA PRIGIONE DI GIOVANNA
In questa massiccia torre, che è tutto ciò che resta del castello costruito a Rouen da Filippo Augusto nel XIII secolo, Giovanna d’Arco fu rinchiusa e processata nel 1431. La fotografia in alto fu scattata nel 1923.
Dopo un’inchiesta nel villaggio natale di Giovanna per raccogliere “prove” della sua eresia, il 3 gennaio 1431 vennero formulate le accuse contro la Pulzella. Tra queste: aver violato la legge divina per essersi vestita con abiti maschili e aver portato armi, aver ingannato il “popolo semplice” avendo fatto credere di essere inviata da Dio, aver creduto in superstizioni e “falsi dogmi”, e, infine, aver commesso “offesa divina”, cioè eresia. Qualche giorno dopo, all’apertura del processo, Cauchon dichiarò che era sospettata di aver operato fatture e aver invocato i demoni, aggiungendo così l’accusa di stregoneria. Il 21 febbraio, Giovanna comparve per la prima volta davanti al tribunale. Oltre a Cauchon
Uno dei capi d’accusa contro Giovanna riguardava il suo abbigliamento maschile BR
SIGILLO DEL CONTE DI DUNOIS. XV SEC. MUSEO GIOVANNA D’ARCO, ORLÉANS.
IDG EM
/A
A
N
CI
86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
erano presenti diversi giudici a latere, in gran parte chierici, prelati, teologi e avvocati: durante i tre mesi del processo vero e proprio Giovanna si trovò a dover affrontare un centinaio di testimoni dell’accusa. Dovette difendersi da sola, poiché non le era stato concesso un avvocato. Indubbiamente, i sacerdoti miravano a intimorire la giovane e indurla a confessare, stabilire la sua colpevolezza e ottenere una rapida condanna. «Rivolgevano alla povera Giovanna domande molto difficili, sottili e ingannevoli – narra un contemporaneo –, tanto che, a quanto dicono, molti chierici e letterati lì presenti avrebbero avuto difficoltà a rispondere». La giovane, però, seppe difendersi. Le sue riposte taglienti spesso mettevano in difficoltà i giudici e suscitavano l’ammirazione del pubblico. Rispondeva con molta cautela, taceva quando era il caso ed evitava i tranelli dialettici. Una volta le chiesero se fosse sicura di essere in grazia di Dio: se avesse risposto di no, avrebbe ammesso di essere una bugiarda, e se avesse risposto di sì avrebbe affermato di essere al di fuori del giudizio della Chiesa, perciò Giovanna, come riporta Teresa Cremisi nel libro Atti del processo di Giovanna d’Arco, rispose: «Se non lo sono [nella grazia], che Dio mi ci metta; se lo sono, che Dio mi ci mantenga».
La confessione che non arriva Trascorsa qualche settimana, Cauchon cambiò tattica. Invece di moltiplicare le imputazioni, accantonò l’accusa di stregoneria e si concentrò su pochi fatti che permettessero di condannare Giovanna per eresia. All’inizio di aprile fu approvata una lista di dodici capi d’accusa che fu poi sottoposta all’esame delle facoltà di teologia e diritto canonico dell’Università di Parigi. Mentre attendeva la risposta di Parigi, Cauchon cercò di convincere Giovanna a riconoscere i propri errori e a fare penitenza. Dapprima provò con la dolcezza, proponendole di essere istruita da alcuni teologi che le avrebbero mostrato i suoi errori. Poi passò alla comminazione autoritaria, mediante una sessione solenne nella quale le fu ordinato di sottomettersi all’autorità della Chiesa. Infine, il 9 maggio, fu minacciata di tortura e condotta davanti al boia e ai suoi strumenti. Ogni tentativo fu vano. Le risposte dei dottori di Parigi furono conformi a quanto si sperava. Per alcuni di loro, Giovanna era o una bugiarda o un’invocatrice di spiriti maligni e, in quest’ultimo caso, le
Ocupaba el espacio de la basílica Sempronia. Fue inciada por César en 54
L’ULTIMA SESSIONE DEL PROCESSO l 24 maggio, Giovanna d’Arco, condotta davanti a un rogo nei dintorni di Rouen, accettò di abiurare e, in segno di sottomissione, indossò un abito da donna. Tornata in prigione, però, udì nuovamente le “voci” e decise di tornare a vestire abiti maschili. Il 28 maggio il vescovo Cauchon, accompagnato da altri sette giudici, si recò alla sua cella per l’ultimo interrogatorio.
Quando e perché avete indossato di nuovo gli abiti da uomo? Li ho indossati per mia volontà. Nessuno mi ha costretta; preferisco gli abiti da uomo a quelli da donna. Perché siete tornata a indossarli? Perché mi pare più lecito e conveniente indossare abiti da uomo che abiti da donna quando sono con degli uomini. In prigione, gli Inglesi mi rivolsero molte offese e tentarono di usarmi violenza quando ero vestita da donna (piange). L’ho fatto per difendere il mio pudore.
BRIDGEMAN / ACI
Dallo scorso giovedì, avete udito le voci di Santa Caterina e Santa Margherita? Sì.
Che vi hanno detto? Dio mi ha mandato a dire quale miserabile tradimento ho commesso accettando di ritrattare per salvarmi la vita; mi ha fatto dire che, volendo salvarmi, stavo per dannarmi l’anima! Se dicessi che Dio non mi ha inviata, io mi dannerei. È la verità che Dio mi ha inviata! Tutto quello che ho detto e ritrattato, l’ho fatto solo per paura del fuoco. Non intendo ritrattare nulla, qualora dispiacesse a Dio. Siete, quindi, eretica ostinata e recidiva. Se voi mi aveste fatto rinchiudere nel carcere ecclesiastico, tutto ciò non sarebbe accaduto. Udito questo, non ci rimane che procedere secondo il diritto e la ragione.
GIOVANNA D’ARCO INTERROGATA DA UN CARDINALE INGLESE. PAUL DELAROCHE. 1824. MUSEO DI BELLE ARTI, ROUEN.
Riabilitata dai Francesi DOPO L’ESECUZIONE di Giovanna d’Arco, Enrico VI d’Inghilterra scrisse lunghe lettere a tutti i sovrani d’Europa, ai prelati, ai nobili e alle città del «suo regno di Francia» per annunciare che «la bugiarda veggente» aveva ricevuto il giusto castigo, e che aveva confessato le sue menzogne prima di morire. A Parigi fu organizzata una grande processione per celebrare la conclusione della vicenda. SULL’ALTRO FRONTE, quando Carlo VII
METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE
LA PULZELLA RIABILITATA Guillaume d’Estouteville, arcivescovo di Rouen, guidò nel 1455 la revisione del processo a Giovanna d’Arco, che fu dichiarata innocente. Metropolitan Museum of Art, New York.
88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
VANDA IMAGES / PHOTOAISA
GIOVANNA D’ARCO, IN PRIMO PIANO, A PROCESSO DAVANTI AL RE D’INGHILTERRA, AL VESCOVO CAUCHON E A UN INQUISITORE DOMENICANO. MINIATURA DEL XVI SECOLO.
figure che le erano apparse non erano quelle dell’Arcangelo Michele, di Santa Caterina e di Santa Margherita, come sosteneva lei, bensì quelle dei demoni Belial, Satana e Behemoth. L’uso di abiti maschili la rendeva sospetta di idolatria e paganesimo. Secondo altri professori, Giovanna era, semplicemente, un’eretica, e se non si fosse pentita avrebbe dovuto essere punita come tale.
Vittima propiziatoria Il 23 maggio, le opinioni delle facoltà vennero lette all’accusata, alla quale si rivolse un’«esortazione caritatevole» a ritrattare. Di fronte al suo rifiuto, il mattino seguente Giovanna fu condotta poco fuori Rouen e posta davanti al rogo. Mentre Cauchon pronunciava la sentenza, Giovanna dichiarò in extremis di volersi consegnare all’autorità della Chiesa e accettò di firmare una ritrattazione. Fu quindi condannata all’ergastolo, condanna che poteva essere ridotta per buona condotta. Trasportata di nuovo in carcere, Giovanna acconsentì a vestire con abiti femminili. Tuttavia, quando, quattro giorni dopo, i giudici la visitarono, la trovarono di
riconquistò la Normandia e cacciò gli Inglesi dalla Francia si impegnò a far cancellare la condanna di Giovanna, con l’assenso del papa. Anche questo era un gesto politico, un modo per Carlo VII di ratificare la propria legittimità come re designato da Dio, così come aveva proclamato la Pulzella.
nuovo in panni maschili. Inoltre, quando le chiesero se ancora credesse «nelle illusioni delle sue presunte rivelazioni», Giovanna disse che la notte stessa del ritorno in carcere aveva di nuovo udito le voci che le avevano rimproverato il suo “tradimento”. La “ricaduta” implicava una condanna certa, esattamente ciò che i suoi accusatori cercavano dall’inizio del processo. Uscendo dal carcere, Cauchon mostrò la propria soddisfazione avvicinando un gruppo di inglesi ai quali, tra le risa, disse: «Farewell, farewell, state allegri, è fatta». La mattina del 30 maggio, con una cerimonia pubblica celebrata nella piazza del Vieux-Marché di Rouen, Giovanna fu condannata come «heretica relapsa» (recidiva) e subito condotta al rogo, dove arse viva pronunciando ripetutamente, fino all’ultimo respiro, il nome di Gesù.
Per saperne di più
SAGGI
Atti del processo di Giovanna d’Arco Teresa Cremisi (a cura di). SE, Milano, 2000. BIOGRAFIE
Giovanna d’Arco: la vergine guerriera Franco Cardini. Mondadori, Milano, 1999.
NOTRE-DAME DI ROUEN
TIM GARTSIDE / AGE FOTOSTOCK
Uno scorcio del deambulatorio della cattedrale gotica di Rouen, edificata nel XIII secolo. Vari canonici della cattedrale approvarono la condanna per eresia di Giovannna d’Arco.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
89
LA PRIGIONE E IL PATIBOLO: LA
Per cinque mesi la Pulzella d’Orléans fu tenuta prigioniera in una piccola cella del castello
BASSORILIEVI DI VITAL-GABRIEL DUBRAY SUL BASAMENTO DELLA STATUA DI GIOVANNA D’ARCO A ORLÉANS.
(3)
ROGER-VIOLLET / CORDON PRESS
(2)
(1)
In cella con i carcerieri in dall’inizio del processo, Giovanna fu rinchiusa in una sala del castello di Rouen. Le condizioni della reclusione erano molto dure. Poiché aveva tentato più volte di evadere, gli Inglesi presero precauzioni estreme. Giovanna era legata con una lunga catena ai piedi (1), e la notte, secondo un testimone, era praticamente immobilizzata al giaciglio, con tre guardie dentro la cella (2) e due fuori (3), tutte inglesi. I carcerieri erano persone «del più
spregevole aspetto che desideravano molto la morte di Giovanna e spesso si burlavano di lei», secondo un altro testimone. Dopo l’abiura, Giovanna denunciò che avevano tentato di violentarla vedendola con indosso un abito da donna, e questo fu il motivo per il quale indossò nuovamente indumenti maschili. Gli unici a farle visita erano i giudici, alcuni cavalieri inglesi e delle spie che tentarono di carpirle delle confidenze facendosi passare per suoi compaesani.
MORTE DI GIOVANNA A ROUEN di Rouen, prima della condanna a essere arsa sul rogo nella piazza del Vieux-Marché
(3)
(2)
ROGER-VIOLLET / CORDON PRESS
(1)
Bruciata sulla piazza del mercato ean Massieu, guardia di Rouen che era presente all’esecuzione di Giovanna d’Arco, narrò così la sua morte: «Fu condotta al Vieux-Marché, accanto a lei c’eravamo Fra’ Martin e io, scortati da 800 soldati armati di asce e spade (1). Dopo la predica, ella mostrò grandi segni di contrizione, penitenza e fervore della fede, con le pie e devote invocazioni della Santa Trinità, della gloriosa Vergine Maria e di tutti i santi del Paradiso, il che fece sì
che i giudici e persino molti inglesi si mettessero a piangere. Con grande devozione chiese che le dessero una croce; udendo ciò, un inglese ne fece una piccola con due bastoncini e gliela consegnò. Ella la ricevette devotamente, la baciò e la strinse al petto (2), poi mi chiese che le facessi vedere la croce della chiesa, affinché la potesse guardare continuamente fino alla morte, e io la feci portare da un prete (3). Morendo, pronunciò la sua ultima parola, gridando a voce alta: Gesù».
LA CONQUISTA DEL
PACIFICO Nel XVI secolo, le grandi spedizioni di navigatori come Álvaro de Mendaña o Pedro Fernández de Quirós stabilirono il dominio iberico tra l’Asia e l’America SALVADOR BERNABÉU ALBERT RICERCATORE SCIENTIFICO. CONSGLIO SUPERIORE DI RICERCHE SCIENTIFICHE (CSIC)
GREGORY GERAULT / GTRES
Q
uando, nel 1513, Vasco Núñez de Balboa, spagnolo dell’Estremadura, attraversò l’istmo di Panama e divenne il primo europeo a contemplare l’immensità dell’oceano Pacifico, aprì una nuova dimensione per le esplorazioni iberiche del XVI secolo. Qualche anno prima, Cristoforo Colombo aveva intrapreso i suoi celebri viaggi alla ricerca di una rotta marittima verso l’Oriente e le sue ricchezze, e aveva finito per imbattersi nel continente americano. Quella rotta, ora, tornava a essere possibile. Negli anni successivi, Magellano (1521), Jofre de Loaísa (1526), Saavedra (1527), Grijalva (1536) e López de Villalobos (1542) solcarono il Pacifico per collegare le coste americane con le isole Molucche – la mitica fonte delle preziose spezie –, le Filippine, la Cina e il Giappone. Grazie a loro Urdaneta poté inaugurare, nel 1565, la rotta di ritorno dall’Asia all’America che per secoli sarebbe stata il Galeone di Manila.
LE ISOLE MARCHESI
Nel 1595, la spedizione di Álvaro de Mendaña raggiunse le isole Marchesi. Come ringraziamento per il sostegno dato da Magdalena Manrique, moglie del viceré del Perù, Mendaña diede il suo nome a una di queste isole, l’attuale Fatu Hiva.
I CONFINI DEL MONDO
ERICH LESSING / ALBUM
Parallelamente a questa rotta transpacifica principale, i navigatori spagnoli si addentrarono in un’area diversa e totalmente inesplorata: il Pacifico del sud. Nel XVI secolo si ignorava l’esistenza dell’Australia, della Nuova Guinea o degli arcipelaghi della Melanesia e della Polinesia; si credeva, invece, che nell’emisfero meridionale si estendesse un immenso continente antartico, la Terra Australis. In effetti, la ricerca di questo territorio mitico fu uno degli stimoli degli esploratori spagnoli, insieme con altre credenze che circolavano in Perú dall’epoca della conquista, attorno al 1530, come la leggenda inca su ricche isole situate nel cuore del Mare Occidentale o l’idea che sempre lì si trovassero la terra delle Amazzoni e le isole di
Ofir, dove secondo la Bibbia erano le miniere di re Salomone. Fu così che nel 1567 un capitano gallego, Álvaro de Mendaña, diede il via alla prima spedizione marittima alla ricerca di questi leggendari territori.
Le isole del re Salomone Mendaña fu scelto per l’impresa da suo zio, Lope García de Castro, governatore interino del Perú. Al comando di due navi e 156 uomini, partì dal porto del Callao, a Lima, il 19 novembre del 1567. I dissapori tra Mendaña e due dei suoi ufficiali, il cosmografo Pedro Sarmiento de Gamboa e il capo pilota Hernán Gallego, provocarono vari cambi di rotta finché, dopo quasi 60 giorni di navigazione, non avvistaro-
1567-1568 IN CERCA DEL PARADISO
94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
In questa mappa del Sud-est asiatico compare l’arcipelago delle Filippine, dove la spedizione di Mendaña approdò nel 1596. Theatrum orbis terrarum. Abraham Ortelius. Anversa, 1570.
ÁLVARO DE MENDAÑA è nomi-
nato capitano di una spedizione che parte dal Perú per esplorare il Pacifico meridionale. Dopo una difficile traversata, raggiunge l’arcipelago delle isole Salomone.
1574-1589 PER POTER ORGANIZZARE una
seconda spedizione e colonizzare le isole Salomone, Mendaña si reca in Spagna a firmare delle convenzioni. La sua impresa è approvata solo quindici anni dopo.
1595 LA SPEDIZIONE di Mendaña
parte da Paita, in Perú. L’esploratore è accompagnato dalla moglie, Isabel Barreto. Dopo la scoperta delle isole Marchesi, Mendaña muore sul’isola di Santa Cruz.
GONZALO AZUMENDI / AGE FOTOSTOCK
LIMA, LA CITTÀ DEI RE
1605 FERNÁNDEZ DE QUIRÓS parte
per un nuovo viaggio nel Pacifico e scopre l’arcipelago delle Nuove Ebridi. Al suo ritorno in Spagna non ottiene dal governo il finanziamento per una nuova spedizione.
Designata capitale del Vicereame del Perú nel 1543, Lima divenne una città prospera nella quale confluivano le ricchezze d’America e d’Oriente. La cattedrale di Lima fu costruita fra il 1535 e il 1649.
SEGUENDO LA ROTTA SEGNATA DAGLI INCA IN UNA CRONACA sul Perú, Pedro Sarmiento de Gamboa raccolse una
96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
E UM / S C A L A , F I R E N Z E MUS
SH ITI BR
AKG / ALBUM
M
SCUDO CON LA FIGURA DI UN GUERRIERO REALIZZATA IN CONCHIGLIA DI NAUTILO. 1860. ISOLE SALOMONE. BRITISH MUSEUM, LONDRA.
LBU
no un’isola dalla lussureggiante vegetazione, appartenente all’arcipelago delle isole Ellice. Tre settimane dopo, il 7 febbraio 1568, giunsero a una nuova isola che faceva parte di un altro arcipelago più esteso. Convinti di aver raggiunto le mitiche isole di Ofir, le chiamarono isole Salomone. Tuttavia, la realtà smentì presto le speranze di aver trovato un paradiso. Durante i sei mesi trascorsi a esplorare le isole Santa Isabel, Guadalcanal o San Cristóbal – toponimi spagnoli usati ancora oggi –, gli episodi di violenza con gli indigeni furono una costante. Per esempio, il cronista Luis de Belmonte narra che quando alcuni Spagnoli sbarcarono per prendere dell’acqua a Santa Ana, un’isoletta bassa e tonda con una collina al centro, «gli indios attaccarono i nostri con dardi, frecce e urla; erano dipinti di rosso, con rami sulla testa e fasce sul corpo». Due indios morirono durante lo scontro; gli Spagnoli contarono tre
/A
TÚPAC YUPANQUI, UNO DEGLI ARTEFICI DELLA NASCITA DELL’IMPERO INCA NEL XV SECOLO. INCISIONE.
AS F
curiosa storia che riguardava l’imperatore inca Túpac Yupanqui (14711493). Sarmiento narra che, trovandosi nel nord del suo regno, Túpac incontrò dei mercanti venuti dal mare che gli diedero l’idea di organizzare una spedizione navale. Con una grande quantità di balse e 20.000 soldati, Túpac prese il mare e raggiunse «le isole Auachumbi e Niñachumbi, e da là tornò recando gente di razza nera, molto oro, una sella in ottone e una pelle e una mascella di cavallo». È stato detto che potrebbero corrispondere alle Galápagos o all’isola di Pasqua, ma potrebbe anche trattarsi di una leggenda. In ogni caso, Sarmiento aveva in mente questa storia quando partì come capitano di vascello nella spedizione di Mendaña del 1567.
feriti, e prima di partire incendiarono il villaggio dei nativi. Ciononostante, i membri delle spedizioni riuscirono a pacificare e dominare varie isole. Non trovarono grandi ricchezze, ma alcuni credettero di aver rinvenuto tracce di oro e spezie, il che indusse Mendaña a rientrare in Perú per organizzare una spedizione colonizzatrice con più mezzi. Per tornare seguirono un ampio cerchio che li condusse fino alla costa della California, da cui discesero fino ad attraccare a Callao.
ASTROLABIO IN OTTONE DORATO APPARTENUTO A FILIPPO II. 1566. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, MADRID.
ORONO Z / ALB
UM
ARCHIBUGIO DEL XVI SECOLO, REALIZZATO IN LEGNO CON INTARSI IN AVORIO. ARMERIA REALE, MADRID.
Verso le isole Marchesi Per organizzare la nuova spedizione, Mendaña si recò in Spagna, dove il 27 aprile del 1574 firmò con le autorità degli accordi che lo nominavano governatore e capitano generale delle isole che aveva scoperto; in cambio, avrebbe dovuto finanziare interamente egli stesso la spedizione. Di ritorno in Perú, nel 1577, Mendaña non trovò l’appoggio del viceré Francisco de Toledo, perciò dovette attendere l’arrivo del suo successore, il secondo marchese di Cañete, nel 1589, per trasformare in realtà il suo progetto. Era un’impresa più ambiziosa della precedente. La flotta era formata da due navi, una galeotta e una fregata, e aveva
PARTENZA DI UN VASCELLO DAL PORTO DI LISBONA NEL XVI SECOLO. INCISIONE DI THEODOR DE BRY. XVI SECOLO.
AKG / ALBUM
Armi e ba a li
Al ritorno dalla seconda spedizione di Álvaro de Mendaña del 1595, il pilota Fernández de Quirós spiegò in un libro di memorie che cosa servisse per avere successo in un viaggio di esplorazione nel Pacifico: il tipo di vascello, equipaggio, provviste, armi.
3 Le provviste
Secondo Quirós, bisognava portare «due piloti prudenti e dotati di ragione», «uno o due chirurghi» e 40 uomini, tutti marinai, «perché solo loro sono necessari nelle scoperte, e senza soldati, perché si governano meglio in pace». Inoltre, erano necessari quattro servitori e due religiosi per occuparsi dei marinai e proteggere gli indios.
Quanto ai viveri, Quirós raccomandava di riempire la stiva di bizcocho (pane non lievitato cotto due volte), tagli di carne suina o bovina e pesce in salamoia, vino, olio, aceto, burro, miele, zucchero, eccetera. Era vitale avere barili di acqua potabile a sufficienza, anche se Quirós accenna a una sorta di alambicco per dissalare l’acqua.
2 Armi da fuoco
4 Un vascello maneggevole
Secondo Quirós, le imbarcazioni dovevano essere di stazza media, circa cento tonnellate: erano più maneggevoli, meno facili a incagliarsi e in caso di emergenza potevano essere governate anche da soli cinque uomini. Serviva anche una lancia da calare per riconoscere i porti, raccogliere acqua e legno e seguire gli indios.
DEA / ALBUM
Quirós raccomandava di portare almeno un archibugio per ogni membro dell’equipaggio, moschetti e scudi. Servivano anche «polvere da sparo per due o tre anni» e corda solo per un anno, perché si poteva fabbricare in loco. Era meglio portare anche due o tre cani da presa, «perché fiutano e scoprono, e perché gli indios ne hanno timore».
SCARICO DI BARILI DI VINO DA UNA CHIATTA. ILLUSTRAZIONE DEL XV SECOLO.
BRIDGEMAN / ACI
1 L’equipaggio
TELA CINESE ESPOSTA DA UN VENDITORE. PARTICOLARE DI UN DIPINTO DI TIEPOLO.
5 Regali per gli indios
Per trattare con gli indigeni era indispensabile portare articoli come «camicie, calzoni e sottane taffettà cinese colorate, ciondoli, perline colorate e altri indumenti». Quirós raccomandava anche di offrire agli indigeni semi e legumi e insegnare loro a coltivarli al fine di «guadagnare le loro simpatie».
ACI
OLIVER STREWE / CORBIS / CORDON PRESS
un equipaggio di 280 uomini oltre a un centinaio di coloni che dovevano stabilirsi nelle Salomone, tra i quali molte donne. Una era la moglie di Mendaña, Isabel de Barreto, che aveva portato la propria dote per completare la flotta. Il capo pilota era il portoghese Pedro Fernández de Quirós. Partita da Callao, la flotta si inoltrò nell’oceano dal porto di Paita, in Perù, il 16 giugno 1595. Dopo una traversata di qualche mese incontrò l’arcipelago delle Marchesi, così battezzato in onore della moglie del viceré, Magdalena Manrique, il cui intervento era stato fondamentale per la partenza della spedizione. Due mesi trascorsero nell’esplorazione delle isole, con diversi scontri violenti con gli indigeni. In un’occasione, quando Mendaña inviò un gruppo di una ventina di soldati a cercare un porto o acqua in una delle isole, «arrivarono molti indios con molte canoe e, avvicinandosi, li accerchiarono»; gli Spagnoli ÁLVARO DE MENDAÑA Y NEIRA, CHE GUIDÒ DUE SPEDIZIONI NEL SUD DEL PACIFICO. INCISIONE DEL 1880. 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Nel 1606, Luis Váez de Torres fu il primo europeo ad attraversare lo stretto che separa l’Australia dalla Nuova Guinea. Nella foto, l’isola di Waier, nello stretto di Torres.
risposero facendo fuoco e uccidendo diversi indigeni. Bermúdez narra che un indio tentò di fuggire a nuoto con suo figlio tra le braccia, ma un soldato spagnolo sparò con un archibugio ed entrambi affogarono. Il soldato «disse poi con grande dolore che il diavolo doveva portarsi via chi l’aveva mandato lì».
ARCHIVO GENERAL DE SIMANCAS, ESPAÑA. MINISTERIO DE CULTURA
ALLA RICERCA DELLA TERRA AUSTRALIS
Una spedizione sfortunata La flotta riprese la navigazione in cerca delle Salomone, ma per più di un mese non si vide altro che acqua. Il malcontento cresceva tra i membri dell’equipaggio, che pensavano che Mendaña e il pilota si fossero persi nell’immensità del Pacifico. Infine, il 7 settembre avvistarono Santa Cruz, un’isola dalla grande bellezza. Era a soli 400 chilometri dalle Salomone, ma la spedizione non sarebbe mai giunta a destinazione. Infatti, a partire da quel momento si verificò una catena di disastri. Il giorno dopo aver raggiunto Santa Cruz, una delle navi scomparve con i suoi 182 occupanti, e di loro non si ebbe mai più notizia. Il resto dei partecipanti alla spedizione rimase sull’isola e iniziò qualche opera di costruzione, ma la situazione si fece presto insostenibile. Una parte dell’equipaggio si lamentava del posto –«Ma dove ci hanno porta-
INDIGENI DELLE NUOVE EBRIDI E PAPUA NUOVA GUINEA. DISEGNI COLORATI A PENNA. 1606. ARCHIVIO GENERALE DI SIMANCAS, VALLADOLID.
el corso dei loro viaggi, gli Spagnoli ebbero occasione di osservare l’aspetto e i costumi delle popolazion indigene, e le loro impressioni furono raccolte in cronache e racconti. Ciò accadde anche nella spedizione di Fernández de Quirós nel 1606. Dopo aver raggiunto le Nuove Ebridi (oggi Vanuatu), lo stesso Quirós decise di tornare in America, ma una delle sue navi, comandata da Váez de Torres, si allontanò ed esplorò le coste di Papua Nuova Guinea, dove gli Spagnoli entrarono in contatto con gli indigeni, catturandone una ventina. Infine fecero ritorno a Manila nel 1607. Torres lasciò un dettagliato racconto del viaggio, con illustrazioni di Diego Prado y Tovar. COPPIA ABBRACCIATA. QUESTA SCULTURA IN LEGNO ERA PARTE DEL SOSTEGNO DI UNA CASA CERIMONIALE. ISOLE SALOMONE. XVII SECOLO.
BRIDGEMAN / ACI
Le spedizioni nel Pacifico misero in contatto i navigatori spagnoli con le popolazioni native dei diversi arcipelaghi polinesiani. Le cronache dell’epoca raccolgono le curiose osservazioni dei viaggiatori di fronte a questi popoli; una di esse è illustrata con disegni eseguiti dal vivo.
Abbigliamento
Indios pacifici
In alcune isole, le donne «erano vestite con camicia e sottana e gli uomini con una striscia che copriva le vergogne»; in altre erano tutti nudi.
Gli indios di un’isola ricevettero gli Spagnoli «gettando le armi in terra, abbracciandoli e baciandoli sulle guance» e cercarono di imparare la loro lingua.
Colore della pelle
Indios ostili
In un luogo videro «gente bianca e rossa», in un altro «indios non molto bianchi» e in un’altra isola «gente nera diversa dagli altri».
In un altro luogo, invece, gli indigeni attaccarono gli Spagnoli con frecce, dardi e mazze, proteggendosi con scudi molto grandi.
IL MARINAIO PORTOGHESE Pedro Fernández de Quirós fu uno degli esploratori più singolari del XVI secolo. Dopo aver servito come capo pilota con Álvaro de Mendaña nel 1595, guidò una propria spedizione nel 1606, dalla quale tornò con la convinzione di essere passato molto vicino alla Terra Australis, il mitico continente che si pensava si estendesse nel sud del pianeta. In Spagna, Quirós cercò di convincere il governo di Filippo III a finanziare un nuovo viaggio di esplorazione per scoprire «un altro Nuovo Mondo, altrettanto grande e popolato da genti migliori rispetto a quello dell’America», ricco d’argento, oro, perle e spezie, con indigeni da convertire, e in grado di dare sostentamento a 200.000 nuovi abitanti spagnoli. Le sue richieste, però, non furono soddisfatte e la Spagna tornò a esplorare il Pacifico soltanto nel XVIII secolo. MASCHERA CON CASCO, IN LEGNO E CONCHIGLIE, DI PAPUA NUOVA GUINEA. XIX SECOLO. MUSEO DI BELLE ARTI, HOUSTON.
Il viaggio verso Manila Il ruolo di Isabel de Barreto nel resto della spedizione è controverso. Secondo lo storico Ramón Ezquerra, la sua fama è immeritata, dal momento che a dirigere la flotta fu, di fatto, il pilota Fernández de Quirós, mentre «ella dimostrò solo piccolezza d’animo ed egoismo, utilizzando l’acqua per lavarsi i vestiti, quando l’equipaggio moriva di fame, sete e malattia». Però si sa anche che dette prova di un carattere ferreo e che nel corso del viaggio fu in grado di sventare numerosi tentativi di ammutinamento. In ogni caso, la traversata verso Manila fu estremamente faticosa. Senza acqua e senza 100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
viveri, ogni giorno uno o più uomini morivano a causa dell’epidemia. «I marinai, per via delle molte cose di cui dovevano occuparsi, delle malattie, e vedendo la nave così priva di risorse, erano talmente abbattuti che non davano più alcun valore alla vita», dice Bermúdez. Alcuni arrivavano persino a sperare che le navi affondassero, così da morire tutti in un sol colpo. Alla fine, solo un centinaio di sopravvissuti giunse a Manila il 10 gennaio del 1596. Dopo molte richieste e suppliche presentate alla corte spagnola, nel 1606 Fernández de Quirós riuscì a organizzare una nuova spedizione, convinto di poter raggiungere la mitica Terra Australis e di scoprire un «nuovo mondo»come un «secondo Colombo». Il suo fallimento pose fine alla grande epoca dell’esplorazione spagnola del Pacifico meridionale, un’epoca nella quale il mare del Sud fu, a tutti gli effetti, un «lago iberico».
Per saperne di più
TESTI
Nei mari del Sud Robert Louis Stevenson. Editori Riuniti, Roma, 2002. SAGGI
Le isole senza saggezza Robert Graves. Garzanti, Milano, 1952.
MASSIMO PIGNATELLI / / FOTOTECA 9X12
to!», esclamavano–, e i rapporti con gli indigeni si deteriorarono in fretta a causa degli abusi e delle violenze dei soldati spagnoli. Per finire, scoppiò una strana malattia pestilenziale, della quale morì, tra gli altri, lo stesso Álvaro de Mendaña. Il comando passò quindi alla vedova Isabel de Barreto, caso unico di comando femminile durante la conquista e colonizzazione spagnola dell’America e dell’Oceania. Fu lei a decidere di rinunciare al progetto di colonizzazione e a cercare di salvare la spedizione dirigendosi verso le Filippine.
BRIDGEMAN / ACI
L’LTIMO AVVENTURIERO DEI MARI DEL SUD
UN PARADISO PERDUTO
Dopo aver scoperto le isole Salomone nel 1568, Álvaro de Mendaña fece di tutto per tornarvi e colonizzarle, ma nel suo secondo viaggio non riuscì nemmeno ad avvistarle. Nella foto, la laguna Marovo, nelle isole Salomone.
100°E
120°E
140°E
160°E
LE ROTTE DELLA CONQUISTA 60°N
III-1521. Fernando Magellano giunge a Guam, nell’arcipelago che chiama Isole dei Ladri e in seguito ribattezzato isole Marianne.
IV-1521. La flotta di Magellano raggiunge l’isola filippina di Mactán. Segue uno scontro con gli indigeni, nel corso del quale trova la morte lo stesso Magellano.
5
E CARO ISOL LIN E
168°E
169°E
NUESTRA SEÑORA DEL SOCORRO (TAUMACO)
10°S
TINAKULA SANTA CRUZ (NDENI) 11°S
1 Isole Salomone
11°S
Nel 1568, Álvaro de Mendaña raggiunse le Salomone e fondò una colonia sull’isola di Santa NAUNONGA Isabel. Le isole furono poco visitate dagli Spagnoli 12°S fino a quando Quirós non rifondò la colonia di TICOPIA Mendaña nel 1606, che abbandonò poco dopo.
di Torres
3
UTUPUA
12°S
Mare degli A r a f u r a Stretto
163°E
11°S
Tr ó p i c o d e C a p r i c o r n i o
20°S
XI-1521. Dopo la morte di Magellano, Elcano, nuovo capitano della Victoria, parte dalle Filippine e raggiunge le isole Molucche.
1 ISOLE SALOMONE NUOVE EBRIDI M a r (VANUATU) de
i Coralli
AUSTRALIA
2 Nuove
(NON SCOPERTA)
2
NUOVA CALEDONIA
di
Ebridi
Pedro Fernández de Quirós prese spossesso di queste isole in nome della Corona spagnola nel 1606. L’esploratore sbarcò sull’isola più grande, che credeva appartenesse al continente australe, e la battezzò Australia del Espíritu Santo.
ISOLE SANTA CRUZ
N U U OV IN A EA
ia
167°E
G
Equatore
Tasman
166°E 10°S
Terra di San Buenaventura (Papua)
ISOLE MOLUCCHE
9
40°S
X-1606. Váez de Torres, separatosi dalla flotta di Quirós, attraversa lo stretto di Torres e avvista la costa dell’Australia.
Mar
165°E
A R IANNE
N I RN 10°S
M LE
O IS
YAP
BO
0°
Tropico del Cancro
GUAM
EO
9°S
S E
E
E L OL AL IS SH AR M
8°S
ILIPPINE LE F ISO
Manila
H. Gallego (1568)
ON
I-1528. Álvaro de Saavedra tocca le isole Caroline ed esplora gli isolotti più importanti, senza lasciare un insediamento permanente.
7°S
Mendaña (1568)
P AP
GI
A
40°N
163°E
20°N
1
2
C
urante il XVI secolo, le spedizioni iberiche iniziarono a rivelare la reale estensione dell’oceano Pacifico e l’ubicazione degli arcipelaghi che lo punteggiavano. Alcuni di essi divennero territori a sovranità spagnola, come le Filippine nel 1565, le isole Marianne, annesse nel 1667 e così chiamate in onore di Maria Anna d’Asburgo, regina di Spagna, e le isole Caroline, incorporate alla Corona nel 1686, sotto il regno del figlio Carlo II, dal quale presero il nome. La sovranità spagnola cessò dopo la sconfitta contro gli Stati Uniti nella guerra del 1898: agli Usa furono cedute le Filippine e Guam, gli altri due arcipelaghi furono venduti alla Germania nel 1899.
Quirós (1606) Váez de Torres (1606)
120°E 165°E
60°S
140°E
160°E
80°O 120°O
140°O
160°O
180°
60°N
100°O
Mendaña (1568)
O C E A N O P A C I F I C O
Mendaña (1595) Quirós (1606) Torres (1606)
E T T E N T R I O N A L E
N U O VA S PA G N A (MESSICO)
7
ss
ic
o
1555. Secondo alcune teorie, Juan Gaetán avvista le isole Hawaii. La scoperta accertata è quella di Cook nel 1778.
ISO LE HA WA II
Gol
fo
de
l
M
e
Navidad
HISPANIOLA
Acapulco
6
SAN BERNARDO
3 ISOLE MARCHESI
ISOLE PEREGRINO
PE
8
I-1606. La spedizione di Fernández de Quirós raggiunge l’arcipelago di Tuamotu e sbarca sull’isola di Hao.
RU
III-1535. In un viaggio tra Panama e Lima, il vescovo Tomás de Berlanga devia dalla rotta e raggiunge le isole Galápagos.
4
0°
ISOLE GALÁPAGOS Paita
Callao
TONGA
ARCIPELAGO TUAMOTU
ISOLE DELLA SOCIETÀ (TAHITI) SAN ELMO
TONGA
ISOLE TUBAI
SAN JUAN BAUTISTA
LAS CUATRO CORONADAS
O C E A N O
20°S
Tropico del Ca pricorno
LA ENCARNACIÓN Mendaña (1595)
P A C I F I C O M E R I D I O N A L E N U O VA ZELANDA
3 Isole Marchesi
L’arcipelago fu scoperto da Álvaro de Mendaña nel 1595, nel suo secondo viaggio verso le isole Salomone. Mendaña esplorò le isole meridionali e le chiamò Magdalena, Dominica, Santa Cristina e San Pedro.
(NON SCOPERTA)
180°
20°N
CUBA
VIII-1526. Alonso de Salazar è il primo europeo ad avvistare Taongi, nelle isole Marshall, ma non sbarca.
ISOLE FIJI
40°N
CARTOGRAFÍA: EOSGIS.COM
DELLO SCONFINATO OCEANO
160°O
140°O
120°O
100°O 80°O
60°S
40°S
GRANDI SCOPERTE LA VITTORIA di Samotracia come appare dopo il restauro concluso nel 2014. Museo del Louvre, Parigi.
Nike di Samotracia, l’icona della Grecia creata dal vento ISTANBUL
R E C IA
1863
Samotracia G
L
a Vittoria di Samotracia ha affascinato artisti e letterati come uno degli esempi più alti dell’arte ellenistica. Rappresenta Nike che si posa sulla prua di una nave con tale delicato equilibrio che il marmo sembra sollevarsi. Il poeta Rainer Maria Rilke scrisse: «La Venere di Milo è troppo moderna per i miei gusti. Ma la Nike di Samotracia, la dea della vittoria sulla prua del battello, con il suo atteggiamento meraviglioso e il vestito dispiegato dal vento del mare, è per me una meraviglia». Se questa statua che sembra creata dall’acqua e dal vento, opera di un artista di scuola rodia forse intorno al 200180 a.C., è di eccezionale fascino, altrettanto lo è il modo in cui, a partire dai frammenti scoperti nel 1863 in un’isola dell’Egeo, gli esperti arriva-
TU RC H I A ATENE
MAR MEDITERRANEO
C R E TA
rono a ricomporre la statua per esporla al Louvre. Lo scopritore della Vittoria di Samotracia, Charles Champoiseau, nacque a Tours nel 1830. Non era archeologo, ma membro del corpo diplomatico francese: la storia era però stata una presenza costante nella sua vita, visto che suo padre era tra i fondatori della Società Archeologica della Turenna. Champoiseau ricoprì la carica di console in vari Paesi (anche in Italia, a Torino nel 1882 e a Napoli nel 1887), ma principalmente nell’Impero
Charles Champoiseau trova i frammenti della Vittoria in un santuario di Samotracia.
1864
ottomano, ciò che gli permise di approfondire la conoscenza della costa del mar Egeo e del suo passato. Nel 1862, Champoiseau era console di Adrianopoli (Edirne), nell’Impero ottomano. Come molti altri giovani della sua epoca, cercava il favore di Napoleone III, di cui conosceva la passione per le antichità, poiché l’imperatore non smetteva di accrescere le collezioni del Louvre con nuove acquisizioni.
Santuario dell’Egeo A metà del 1862, Champoiseau si trovava a Aenos (l’attuale Enez), sulla costa tracia della Grecia, dalla quale si poteva distinguere facilmente il profilo dell’isola di Samotracia. Il giovane console rimase incantato dai racconti degli abitanti sulle rovine e i tesori che lo attendevano a pochi chilo-
I frammenti della statua arrivano al Louvre. Nel 1866 si realizza una prima ricostruzione.
1884
Si ricompone il complesso del monumento, includendo i blocchi del basamento.
MU
S
ÉE
DU
LO U
VRE
NIKE SULLA PRUA DI UNA NAVE. TETRADRAMMA DI DEMETRIO I IL POLIORCETE. 301-292 A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.. 104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
RMN-GRAN PALAIS (MUSÉE DU LOUVRE)
Dalla sua scoperta nel 1863, il capolavoro della statuaria ellenistica ha ripreso le sue fattezze attraverso continue ricostruzioni e restauri
metri. L’isola era un luogo di dolorose memorie: dopo il massacro dei suoi abitanti da parte dei Turchi durante la guerra d’Indipendenza greca (1821-1832), era stata praticamente abbandona-
2014
Viene avviato un restauro completo dell’opera, che recupera il colore originale del marmo.
OFFERTA ALLA DEA MADRE I RESTI della Vittoria sono venuti alla luce nel recinto di un grande santuario di Samotracia dedicato ai Cabiri o Grandi Dei, divinità legate al culto della Grande Dea Madre. Si pensa che la statua, che occupava un piccolo edificio di cui si conservano le fondamenta, fosse un’offerta agli dei in segno di ringraziamento per una vittoria navale, anche se in mancanza di un’iscrizione non si possono determinare né il donatore né l’autore dell’opera.
MUSÉE DU LOUVRE
HERON DI SAMOTRACIA, NEL SANTUARIO DEI GRANDI DEI.
ta. Champoiseau pensò che questa situazione gli sarebbe stata d’aiuto, poiché così non avrebbe dovuto richiedere un permesso ufficiale alle autorità ottomane. La prima visita compiuta, di appena due giorni, non lo deluse: in una lettera indirizzata al primo ministro francese, datata il 15 settembre 1862, Champoiseau spiega eccitato che ovunque sull’isola si vedevano «centinaia di colonne spezzate, fusti e capitelli di marmo». Cham-
poiseau richiede nella stessa lettera 2000 franchi, un’ingente somma per l’epoca, poiché «non vi è dubbio che degli scavi porterebbero alla scoperta di oggetti rari e di gran valore».
Signore, una donna! Champoiseau ritornò a Samotracia nel marzo del 1863 con una squadra di operai greci di Adrianopoli. Una volta installatosi nel recinto ciclopico del santuario dei Grandi Dei, Champoise-
au procedette con lo scavo, identificando e classificando marmi e iscrizioni antiche. Di lì a breve, nelle falde della collina, gli operai portarono alla luce una spalla del più puro marmo bianco di Paros. «Signore, abbiamo trovato una donna!», gridarono dopo aver dissotterrato un busto. Qualche passo più in là, lo stesso Champoiseau scoprì il tronco della statua, di oltre due metri di altezza, coperto da un manto. Champoiseau aveva appena riesumato una
delle più straordinarie opere dell’antichità classica. Accanto furono rinvenuti frammenti di un mantello e di un’ala, il che permise a Champoiseau di identificare la figura come una Nike. Il 15 aprile 1863 inviò una lettera all’ambasciatore francese a Istanbul: “Oggi ho trovato, nei miei scavi, una statua della Vittoria alata (o almeno sembra), in marmo, dalle dimensioni colossali. Per disgrazia, non trovo né la testa né le braccia, a meno STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
105
GRANDI SCOPERTE
Ricreata pezzo dopo pezzo
che non ne trovi i pezzi nella zona. Il resto, la parte fra il petto e i piedi, è quasi intatto, e lavorato con un’abilità che non ho mai visto superata in nessuno dei grandi pezzi greci che conosco».
Champoiseau imballò i frammenti della statua e partì verso Istanbul. Da lì, la Vittoria iniziò un lungo viaggio nel Mediterraneo, passando dal Pireo e approdando sulla costa meridionale francese, a Tolone. Dopo un breve viaggio in treno, giunse a Parigi l’11 maggio del 1864, a più di un anno dalla sua scoperta.
DOCUMENTATION DES AGER / MUSÉE DU LOUVRE
L’arrivo a Parigi Una volta depositati i pezzi al Louvre, cominciarono i lavori di restauro. Per assicurare la stabilità della statua, fra il costato destro e il basamento fu inserita una barra metallica. Venne anche ricostruita la gamba destra, la più dan106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
neggiata. Non si poterono ricollocare né il busto né l’ala sinistra, che non poteva essere ricollegata d altri pezzi, nonostante che i restauratori l’avessero ricomposta quasi nella sua totalità. La statua fu esposta per la prima volta nella sala delle Cariatidi nel 1866, e nel 1870 ne venne creata una copia, oggi nella galleria delle sculture e riproduzioni artistiche del palazzo di Versailles. Nel 1875, alcuni archeologi austriaci scoprirono grandi blocchi di marmo grigio della cava di Lartos, nell’isola di Rodi, che , correttamente assemblati, rappresentavano la prua di una nave da guerra.
1879
Fra il 1864 e il 1866, la Vittoria di Samotracia venne ricostruita ed esibita per la prima volta nella sala delle Cariatidi del Museo del Louvre. I restauratori all’epoca non poterono tuttavia ricollocare né il busto né l’ala sinistra.
DOCUMENTATION DES ANTIQUITÉS GRECQUES ETRUSQUES ROMAINES / MUSÉE DU LOUVRE
rigi, al Museo del Louvre 150 anni fa, la Vittoria di Samotracia ha comportato continue sfide per i restauratori. Prima gli esperti dovettero ricomporre i frammenti dell’opera come un puzzle e fissarli poi attraverso elementi metallici abilmente nascosti. Poi, la statua venne inserita nel massiccio basamento a forma di nave, composto da 23 blocchi. L’ultimo restauro ha comportato una pulizia generale e la revisione dei precedenti interventi.
1866
DA QUANDO ARRIVÒ a Pa-
Quando i marmi del basamento della statua arrivarono a Parigi, fu avviata una prova di ricostruzione nella corte della Sfinge, usando uno stampo di gesso.
Subito associarono questi blocchi ad alcune monete ellenistiche in cui la Vittoria compare rappresentata in piedi sulla prua di una nave. Senza dubbio questi blocchi appartenevano al basamento della statua. Quando Champoiseau ricevette la notizia, diede immediatamente le disposizioni necessarie per il trasporto dei blocchi di marmo a Parigi. Anni dopo, nel 1891, quando già era membro dell’Istituto di Francia, Champoiseau ritornò a Samotracia con la speranza di portare alla luce i pezzi che mancavano e la tanto anelata testa che, tuttavia, non riuscì a trovare.
CHARLES CHAMPOISEAU NEL 1863, ANNO DELLA SCOPERTA DELLA VITTORIA DI SAMOTRACIA.
Fra il 1880 e il 1883 si decise di ricostituire completamente il monumento, seguendo il modello suggerito dall’archeologo tedesco Alexander Conze, che a sua volta aveva avviato scavi a Samotracia portando alla luce nel 1878 l’Altare di Pergamo. Così, la statua venne rinforzata con una struttura di metallo e ne furono ricreate alcune parti con diversi frammenti di marmo e gesso, come il lato destro, che fu ricostruito con uno stampo speculare del lato sinistro. Il lavoro di restauro fu portato a termine nel 1884. La Vittoria di Samotracia fu collocata sulla scalinata
Daru, all’ingresso del museo. Lasciò questa posizione solo nel 1939, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando fu portata al sicuro fuori Parigi. Il suo ritorno nel 1945 fu un evento nazionale, vissuto come simbolo della liberazione della Francia.
La Vittoria rinnovata L’interesse degli specialisti per quest’opera unica si è sempre mantenuto vivo, ma solo nel 2013 è stato attivato un restauro completo del monumento, realizzato in una sala del museo in cui sono stati trasferiti la statua e i 23 blocchi che compongono il basamento. Dopo una
Per compiere l’ultimo restauro è stato deciso di portare statua e basamento, precedentemente smontato, nella sala dei Sette Camini. In totale sono state spostate 30 tonnellate. Il complesso è stato riposizionato nel luglio del 2014.
minuziosa analisi, gli esperti hanno pulito la superficie della scultura, eliminando la copertura che con precedenti restauri erano stati aggiunti per uniformare il colore. Hanno anche sostituito gli antichi stucchi che otturavano fessure e crepe con materiali più stabili e infine hanno riposizionato una nuova piuma nell’ala. Una volta riconquistata la collocazione originale, la Vittoria di Samotracia, che ora appoggia direttamente sulla nave (è stato eliminato il piedistallo di cemento collocato nel 1934), continua a essere una dea acefala e senza braccia, ma la raffi-
P. FUZEAU / RMN-GRAND PALAIS / MUSÉE DU LOUVRE
2014
PIERRE JAHAN / MUSÉE DU LOUVRE
1945
DOCUMENTATION DES ANTIQUITÉS GRECQUES ETRUSQUES ROMAINES / MUSÉE DU LOUVRE
Durante la Seconda guerra mondiale la Vittoria venne portata al sicuro nel castello di Valençay. Ritornò al Louvre nel luglio del 1945, al termine del conflitto. Per trasportarla sulla scalinata Daru venne usato un sistema di rampe e pulegge.
natezza delle sue ali spiegate e il contrasto fra i panneggi che aderiscono al suo corpo e quelli che volteggiano liberi hanno trovato una nuova nitidezza, come l’ombelico e la curva dell’addome che sono emersi come per magia. Ora più che mai vediamo in essa, come disse Rainer Maria Rilke, «tutto un mondo. Ecco la Grecia, il mare e la luce, ecco il coraggio della vittoria». JUAN PABLO SÁNCHEZ DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA
MOSTRA
La Victoire de Samothrace Redécouvrir un chef-d’oeuvre Museo del Louvre. Fino al 15 giugno. www.louvresamothrace.fr
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
107
L A S T O R I A N E L L ’A R T E
Il trionfo di Enrico IV e l’Arte della Politica
PIETER PAUL RUBENS, AUTORITRATTO, KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, VIENNA.
e le sue conquiste. Il ciclo a lui dedicato non venne mai completato e le ragioni, nell’ambito di una commissione tanto “politica”, non possono che ricercarsi nella politica stessa. E quando si parla di politica nella Parigi della prima metà del XVII secolo, non si può non im-
battersi in una delle figure più importanti, controverse e dibattute della storia francese: il cardinale de Richelieu. Il momento storico era decisivo: Enrico era morto nel 1610, la sua regina era diventata reggente in attesa che il figlio, Luigi XIII, raggiungesse l’età per assumere il proprio ruolo regale e nella vita di corte, nonché sul giovane Luigi, sempre più andava affermandosi l’influenza del cardinale. Esiliata Maria nel 1631, dopo il suo fallito tentativo di riconquistare il potere a corte, la committenza dell’opera rimase vacante e Richelieu, attento e scaltro uomo politico, sembrò non fidarsi di un pittore che, in
INGRESSO TRIONFALE DI ENRICO IV A PARIGI.
SCALA, FIRENZE
L
a committente fu Maria de’ Medici, moglie di Enrico IV e regina di Francia; l’artista Pieter Paul Rubens, uno dei pittori più ambiti del suo tempo; l’opera richiesta un maestoso ciclo di pitture che celebrassero la regina e ricordassero la memoria del defunto re Enrico IV, suo marito. L’opera era destinata ad abbellire le sale del Palais du Luxembourg di Parigi, ma Rubens ebbe modo di completare solo una parte del ciclo. Le tele dedicate a Enrico prevedevano delle monumentali opere volte a celebrare l’operato del sovrano, le sue tante battaglie e le sue eroiche vittorie, il suo regno
AUSTRIAN ARCHIVES / SCALA, FIRENZE
Opera incompiuta, nell’Ingresso trionfale di Enrico IV a Parigi Rubens celebra il re di Francia in una barocca tela allegorica
Pieter Paul Rubens, 1627, olio su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze.
IL CICLO MEDICEO che Rubens ricevette da Maria de’ Medici l’incarico di realizzare una serie di opere che rappresentasse la vita e la visione politica della regina. Un allegorico ciclo celebrativo di soggetto storico, di fatto contemporaneo all’artista, oggi conservato al Musée du Louvre di Parigi.
108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
SCALA, FIRENZE
FU NEL 1622
1 Enrico IV riceve
il ritratto di Maria de’ Medici ricorda il momento che deciderà le future nozze, celebrate per procura a Firenze.
2 La nascita del Delfino avvenuta nel 1601, celebra Maria de’ Medici e il figlio che, con il nome di Luigi XIII, sul trono di Francia tanto influenzerà la storia.
3 Apoteosi di Enrico
IV e la proclamazione della reggenza è la tela che commemora l’inizio della reggenza di Maria de’ Medici nel maggio del 1610.
un momento tanto delicato per la Francia e per gli equilibri europei, in quello stesso periodo era in missione diplomatica a Madrid e poi alla corte d’Inghilterra. Fu così che l’Ingresso trionfale di Enrico IV a Parigi rimase un incompiuto: quando si dice “l’Arte della Politica”.
NELLA CITTÀ DI COLEI CHE LI COMMISSIONÒ
Gli incompiuti Ingresso trionfale di Enrico IV a Parigi e Enrico IV alla battaglia di Ivry furono acquistati da Cosimo III nel 1686 e portati proprio nella Firenze di Maria de’ Medici.
Quasi a voler controbilanciare la regale pace e la maestosa quiete che caratterizzano le tele dedicate alla vita di Maria de’ Medici, e che
SCALA, FIRENZE
L’allegoria celebrativa
avrebbero dovuto occupare quasi specularmente un’altra galleria del Palais du Luxembourg, i dipinti dedicati a Enrico IV si ispirano invece all’esaltazione della forza del sovrano, esplicitata soprattutto in termini militari. L’Ingresso trionfale di Enrico IV a Parigi è un imponente olio su tela di 367 x 693 cm iniziato nel 1627 che, nonostante presenti un soggetto apparentemente storico, diviene sotto il pennello di Rubens un’allegoria dalle enfatiche forme e dal ricco impianto
cromatico in cui il trionfo del re si trasforma in trionfo del barocco. Enrico IV, austero e marziale, quasi come un vittorioso imperatore romano, entra trionfante in una Parigi immaginaria, chiaro indizio dell’intento puramente encomiastico dell’opera. L’incongruenza storica, dei fatti e dell’ambientazione, altro non è infatti che una conferma del valore allegorico della tela, del suo scopo trionfalistico. ANGELA GANGI ESPERTA IN STORIA
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
109
L I B R I E A P P U N TA M E N T I
GRANDI CONDOTTIERI
Napoleone e la sconfitta che divenne leggenda
F Sergio Valzania
CENTO GIORNI DA IMPERATORE Mondadori, 2015, 252 pp., 20 ¤
u il conte de Chabrol, prefetto di Parigi, a pronunciare la celebre frase: «Sire, cento giorni sono passati dal momento fatale in cui Vostra Maestà [...] ha lasciato la capitale»: le parole erano rivolte a Luigi XVIII, come discorso di bentornato l’8 luglio 1815. Da allora, i “cento giorni” indicano la breve quanto ricca parentesi in cui Napoleone, di ritorno dall’esilio dell’Elba, riconquistò il potere. Sarà solo l’ultima, definitiva sconfitta subita a Waterloo dalla
settima coalizione a mettere fine alle sue epiche imprese. E l’aspetto epico, quasi leggendario di Napoleone è proprio quel che l’autore, accademico non nuovo allo studio di Bonaparte, evidenzia in questo volume. Un libro che getta una luce intrigante sulle scelte politiche e militari dell’uomo che sembrò programmare la sua ultima sconfitta, al punto da trasformarla in una definitiva vittoria: quella sulla storia. Napoleone fu il generale che, incapace di sopportare un anonimo
destino, pianificò il proprio “finale a effetto”, organizzando una sconfitta tanto spettacolare da sottrarlo all’oblio e consegnarlo invece al mito con una disfatta militare la cui analisi e spiegazione sconfinano nel fato. Quella dei cento giorni fu un’epopea che iniziò con il trionfale “volo dell’aquila” e che si concluse con una débacle tanto plateale da essere considerata tappa necessaria perché il suo stratega raggiungesse la gloria e divenisse leggenda. Ormai esiliato sull’isola di Sant’Elena, ripensando alla propria parabola personale e politica, Napoleone dirà: «È vero che il mio destino è l’opposto di quello di altri: di solito la caduta li abbassa, mentre la mia mi solleva verso l’infinito». (A. Gangi)
SAGGI
L’ETICA CONTROCORRENTE DI PIETRO ABELARDO NOTO AL GRANDE PUBBLICO specie per la sua infelice storia d’amore con Eloisa, Pietro Abelardo fu il più celebre logico d’Europa del XII secolo e il paladino della ragione sull’autorità, anche ecclesiastica, altra causa delle sue traversie. In questo libro, una celebre storica della filosofia ne presenta gli scritti di etica: «un progetto», scrive l’Autrice, di «una nuova morale – sempre cristiana, beninteso – ma che tenesse conto delle realtà nuove e dei nuovi gruppi sociali, goliardi, laici, uomini “cortesi” e cristiani del dissenso (ossia “eretici”)». Il pensatore bretone introdusse infatti la relativizzazione nel mondo delle auctoritates della Chiesa, instillando il dubbio su molti concetti considerati intangibili (G.R.). a cura di Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri
PIETRO ABELARDO, ETICA Mimesis, 2014, 147 pp., 14 ¤
110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
L’INVENZIONE DELLE NOTIZIE Andrew Pettegree Einaudi, 2015, 536 pp., 34 ¤
TRADITORI. UNA STORIA POLITICA E CULTURALE Marcello Flores Il Mulino, 2015, 555 pp., 29 ¤
L’INFORMAZIONE, il mercato dei fatti e degli eventi, analizzato in chiave storica dal Medioevo in avanti: l’autore ripercorre le fasi di un fenomeno che dalle chiacchiere agli editti, passando per libelli e opuscoli, approda alla stampa e giunge a gettare le basi di quella che diverrà l’era dell’informazione di massa.
UN CRIMINE che ha attraver-
sato la storia e che l’autore indaga partendo dall’antichità per poi concentrarsi sull’epoca moderna. Un viaggio non solo europeo per scoprire il tradimento come ribellione, tra sacrificio e fedeltà, tra complotto e moralità, spionaggio e scandalo, nel nome della patria e di un ideale.
RINASCIMENTO
Leonardo: il ritorno a Milano del genio vinciano © 2014. THE TRUSTEES OF THE BRITISH MUSEUM C/O SCALA, FIRENZE
L
BELLE FERRONNIÈRE, LEONARDO DA VINCI, LOUVRE, DÉP. DES PEINTURES, PARIGI.
eonardo: basta il nome per capire di chi stiamo parlando. In concomitanza con l’apertura di Milano Expo, il capoluogo meneghino ospita, nelle sale di Palazzo Reale, la più grande monografia sul genio vinciano mai allestita in Italia. Una mostra dedicata alla versatilità e all’eclettismo di uno dei massimi rappresentanti del mondo rinascimentale che nell’arte come nella scienza ha creato opere mai uguagliate e sempre ammirate. Oltre ai disegni di Leonardo, l’esposizione com-
prende alcune mirabili tele: Annunciazione, Madonna della Melagrana, La Belle Ferronnière, San Girolamo, Ritratto di Musico e San Giovanni Battista. Scegliere Milano per l’allestimento di questo unicum nell’anno in cui la città ospita l’Esposizione Universale non è certo un caso, ma per allestire una mostra tanto ricca, promossa dal Comune di Milano e coprodotta da Palazzo Reale e Skira Editore, sono stati coinvolti numerosi enti museali: i disegni del Codice Atlantico provengono
per esempio dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano, altri disegni dal British Museum di Londra, ma bisognerebbe citare anche i prestiti del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze e del Musée du Louvre di Parigi. Al pubblico si presenta quindi un’occasione unica per scoprire Leonardo, per approfondire la sua visione artistica tra pittura e scultura, tra antico e moderno, e per capire le ragioni della nascita di un genio che nel tempo è diventato mito. (A. Gangi) Leonardo da Vinci 1452-1519 LUOGO Palazzo Reale, piazza del Duomo 12, Milano TELEFONO 02 92800375 WEB www.skiragrandimostre.it/ leonardo DATE Fino al 19 luglio 2015
PITTURA E MINIATURA
Il Trittico Corsini di Beato Angelico tività e Orazione nell’orto (1428 circa), affiancate da tre manoscritti miniati provenienti da Firenze e Milano. Il percorso della mostra, tra pittura e miniatura, vuole svelare il capolavoro del maestro e il suo raffinato misticismo che, in questa sede, vengono esaltati da un attento allestimento sapientemente creato da luci e musiche. (A.G.) Beato Angelico. Il Giudizio svelato. Capolavori attorno al Trittico Corsini LUOGO Castello di Miradolo, San Secondo di Pinerolo (TO) TELEFONO 0121 502761 WEB www.fondazionecosso.it DATE Fino al 28 giugno 2015
GALLERIA NAZIONALE D’ARTE ANTICA IN PALAZZO CORSINI, ROMA
S
ei sono le opere esposte nella storica cornice del Castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo: il numero potrà forse sembrare esiguo, ma trattandosi di opere di Beato Angelico, il risultato non può che essere una raccolta e intima esposizione di grande pregio. Attorno al Trittico del Giudizio Universale, Ascensione e Pentecoste, realizzato dal maestro tra il 1447 e il 1448 e conservato presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini a Roma, la mostra espone altre due opere, la Madonna dell’Umiltà (1423 circa) e le tavolette con la Na-
GIUDIZIO UNIVERSALE, PARTICOLARE, BEATO ANGELICO, 1447-48 CA., TRITTICO; TEMPERA SU TAVOLA SU FONDO ORO, GALLERIA NAZIONALE D’ARTE ANTICA IN PALAZZO CORSINI, ROMA
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
111
ITINERARI Rouen
3 ROUEN
I percorsi di Storica
Normandia, Francia; www.rouentourisme.com
Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica
4 MUSEO NAVALE
Città dal ricco passato che vide gli ultimi momenti di Giovanna d’Arco e che conserva mirabili esempi di architettura gotica celebri in tutto il mondo.
Un’eterogenea collezione di strumenti nautici, mappe, armi e modelli navali per ripercorrere la storia delle grandi scoperte del mondo.
pagina 22
gli obelischi
112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Poppi
Paseo del Prado 5, Madrid; www.armada.mde.es/ museonaval
in cui fu scolpito. Un gigante di granito che offre importanti indizi sui suoi metodi di realizzazione e che, con un peso stimato di 1.200 tonnellate e una lunghezza di 42 m, sarebbe stato il più alto mai realizzato. Abbandonato a causa di alcune fenditure, simboleggia quanto la sua titanica realizzazione sia pervasa di granitica delicatezza.
Tra gli elementi architettonici più noti dell’antico Egitto, molti obelischi abbelliscono anche le nostre piazze. In Italia se ne trovano ben quindici: a Roma l’obelisco Agonalis, quello di Dogali, del Pantheon e il Flaminio, entrambi di Ramses II, l’obelisco Lateranense di Thutmose III, quello della Minerva, di villa Celimontana ancora di Ramses II, quello del Quirinale e infine l’obelisco di Montecitorio di Psammetico II. Città del Vaticano ne conta un altro, a Firenze svetta quello di Boboli, a Benevento se ne trovano due, un altro a Catania e infine uno a Urbino. Dal basso, tuttavia, la lontananza del loro vertice spesso sfugge all’occhio umano. Per questo, il modo migliore per captarne l’imponenza è quello di ammirarli in tutta la loro lunghezza, adagiati sulla terra, anzi nella roccia. Lo si può fare ad Assuan 1 , nell’Egitto meridionale, dove un obelisco incompiuto giace ancora nella cava
Madrid
state scoperte le tracce di alcuni edifici e di una cinta fortificata di circa 700 m di lunghezza su cui si aprivano due porte. Tra i reperti rinvenuti in questa fortificazione fondata intorno al I millennio a.C., compaiono anche un interessante ostrakon, una sorta di coccio, recante un’iscrizione con lettere di colore rosso, nonché vasellame e altri strumenti. Secondo alcuni, il sito coinciderebbe con la città di Shaaraim citata nel libro di Samuele e si legherebbe quindi alla celebre battaglia tra filistei ed ebrei e, in particolare, all’ancor più noto scontro tra campioni: Davide e Golia.
pagina 34
davide e golia Quando l’archeologia indaga il mito, quando la scienza sfuma nella religione e quando la pietra del passato diviene pietra fondante del presente, diventa difficile separare l’attendibilità storica di uno scavo dalle righe bibliche che soggiaciono a un’intera cultura. È quanto accade in Israele, più precisamente nella valle di Elah, dove a partire dal 2007 gli archeologi hanno portato alla luce i resti dell’antica fortificazione di Khirbet Qeiyafa. Circa 30 km a sud-ovest di Gerusalemme, sulla sommità di una collina, sono
pagina 44
alessandro a tiro Un altro imperdibile sito archeologico, e ancora una volta in un’area geografica non troppo distante dalla precedente. Siamo a Tiro, sulle coste mediterranee del Libano, dove si estende una ricca area archeologica. Divenuto Patrimonio dell’Umanità
2 CASTELLO DEI CONTI GUIDI
Piazza della Repubblica 1, Poppi (AR); www.castellodipoppi.it
Un autentico maniero medievale che custodisce tra le sue mura merlate il ricordo della storica battaglia di Campaldino.
1 OBELISCO INCOMPIUTO
Assuan, Egitto; it.egypt.travel
Assuan
Il più alto mai realizzato e l’unico mai innalzato. Un obelisco colossale che giace ancora nella pietra in cui gli antichi scalpellini egizi lo scavarono.
dell’Unesco, questo museo a cielo aperto custodisce antiche vestigia di epoca romana e bizantina. Nel sito archeologico di Al-Mina, localizzato nella parte un tempo insulare della città, si possono ammirare una lunga strada colonnata di epoca romana, i resti di un anfiteatro rettangolare nonché quanto rimane di un complesso termale. Sulla terraferma, invece, il sito di Al-Bass conserva un maestoso arco trionfale risalente al II secolo, il più grande ippodromo romano mai rinvenuto (che si stima potesse ospitare fino a 20.000 spettatori), i resti di un acquedotto e di una necropoli composta da sarcofagi in pietra e marmo recanti iscrizioni greche.
medievale che, accanto alla propria bellezza architettonica, vanta un’altra interessante particolarità: sorge nei pressi del luogo in cui, nel giugno del 1289, gli eserciti dei guelfi e dei ghibellini si scontrarono nella storica battaglia di Campaldino. Il castello dei conti Guidi 2 , grande famiglia feudale del Casentino, venne eretto tra il IX e il X secolo, ma fu nella seconda metà del Duecento che la costruzione assunse la forma attuale. Ampliamenti e successive ristrutturazioni del complesso risalgono invece alla fine del XV secolo. La storia permea questo castello le cui mura ospitarono, intorno al 1310, lo stesso Dante Alighieri, ormai esiliato da Firenze; secondo la tradizione, fu proprio qui che il poeta scrisse il XXXIII Canto dell’Inferno. Protetto da mura fortificate a merlatura guelfa, il maniero rappresenta uno splendido esempio di architettura medievale in cui poter scoprire le antiche prigioni, i ballatoi, la torre, nonché l’annessa cappella che custodisce un ciclo di affreschi trecentesco attribuito a Taddeo Gaddi, allievo di Giotto. Il castello ospita inoltre il Museo della battaglia di Campaldino ed è sede della ricca biblioteca Rilliana che conserva una preziosa raccolta di volumi tra cui spiccano centinaia di incunaboli e di manoscritti miniati.
pagina 80 pagina 66
la pulzella a rouen
A una trentina di chilometri da Arezzo, più precisamente a Poppi 2 , sorge un maniero, un autentico castello
Recarsi a Rouen 3 , storico centro dell’Alta Normandia bagnato dalla Senna, per seguire le tracce degli ultimi giorni di Giovanna d’Arco è sicuramente affascinante, ma riduttivo. Nella città che diede i natali
guelfi e ghibellini
a Corneille come a Flaubert, dopo aver ammirato la torre in cui Giovanna d’Arco fu imprigionata e la piazza del Mercato Vecchio in cui venne tragicamente arsa, non si può non visitare la cattedrale di Notre-Dame. Vero capolavoro gotico, celebrato da Claude Monet nel suo celebre ciclo pittorico, vanta la guglia più alta di Francia con un’altezza che giunge a 151 m dal suolo. Vero simbolo cittadino è poi il Gros-Horloge, il grande orologio astronomico medievale a due quadranti risalente al 1389, ma è d’obbligo citare anche il Palazzo di Giustizia, splendido esempio di architettura civile gotico fiammeggiante, il rinascimentale Bureau des Finances e i ricchi musei.
pagina 92
la conquista del pacifico Grandi esploratori e conquistatori, ma anzitutto grandi navigatori. Sulle rotte dell’Atlantico prima e su quelle del Pacifico dopo, a bordo di velieri e galeoni hanno aperto “strade” mai immaginate e solo sognate. Per conoscere l’arte di questi dominatori dei mari, la scienza di cui disponevano, gli strumenti di cui si avvalevano e lo spirito che li guidava, si può visitare il Museo Navale di Madrid 4 , la cui ricchezza e varietà permettono di scoprire l’evoluzione della navigazione spagnola dal XV secolo a oggi. Oltre 10.000 pezzi tra strumenti astronomici, armi e antiche carte, tra le quali spicca, da non perdere, la celebre mappa di Juan de la Cosa. Se poi voleste godere delle scoperte di questi grandi navigatori, nulla vieta una vacanza sulle spiagge delle isole del Pacifico. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
113
Prossimo numero STONEHENGE, IL CERCHIO MISTERIOSO
BRIAN JANNSEN / AGE FOTOSTOCK
LA COSTRUZIONE di questa colossale struttura di pietra, situata nella piana di Salisbury, che nella parte centrale raggiunge i 7,5 metri d’altezza, si protrasse per 1600 anni e coinvolse dunque numerose generazioni. Sappiamo che era allineata con il solstizio d’estate e che era teatro di un rituale che attirava popolazioni provenienti dall’Europa continentale, ma non come fu costruita, né la natura del culto che vi si eseguiva, né i motivi per cui il santuario venne abbandonato per sempre.
Egitto, la scuola della Grecia
IL TESTAMENTO DI GIULIO CESARE
Pitagora, Platone, Erodoto: innumerevoli sono gli eruditi greci che si sono recati in Egitto per apprendere il sapere millenario custodito e tramandato dai suoi sacerdoti.
I COSPIRATORI che nel 44 a.C. uccisero Giulio
114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Gli Sciti, i sovrani delle steppe Di questi guerrieri seminomadi delle coste del Mar Nero, abilissimi con il cavallo e con l’arco, possediamo testimonianze che ne descrivono i costumi e la ricchezza.
Federico, il principe ideale Il conte di Montefeltro nella seconda metà del Quattrocento si distinse nel mestiere delle armi, nella gestione politica e nella raffinata attenzione per le arti.
LA
, FI
REN
ZE
Gli Arabi in Italia CA
Cesare non poterono calcolare l’effetto politico del testamento lasciato dal dittatore. Con questo documento, egli lasciava 300 sesterzi a ogni cittadino povero di Roma, e al popolo tutto donava i suoi giardini a Trastevere. Inoltre riconosceva come figlio ed erede il nipote Ottaviano. La plebe romana, leale a Cesare e beneficiaria del suo lascito, appoggiò Ottaviano nel perseguire i cospiratori, atto che fu l’inizio di un percorso che lo avrebbe portato a diventare imperatore.
BPK
/S
La conquista araba ha lasciato nella penisola segni rilevanti, riconoscibili ancora oggi nella lingua, nella poesia, nell’arte, nell’architettura, nelle scienze.
Speciale Medioevo I migliori DVD dai più grandi produttori
€ 14,90
LA CROCIATA DI RE RICCARDO CDV6433 - 75 minuti
Riccardo Cuor di Leone e Saladino sono i protagonisti della crociata più famosa e la loro vicenda esercita un fascino tanto profondo quanto attuale. In questo DVD, tra guerre sante cristiane e jihad musulmana, nello scenario dei castelli, del deserto e dei luoghi santi, si svolgono le dolorose e incredibili vicende di due storici condottieri.
€ 14,90
€ 9,99
GIOVANNA D’ARCO CDV6431 - 50 minuti
Inizio 1429: gli inglesi sono ormai prossimi ad occupare Orleans. Per Giovanna, sollecitata da alcune voci che dice di sentire, è il momento di correre in aiuto di Carlo VII, delfino di Francia e futuro re. Presentandosi come inviata di Dio, Giovanna si fa affidare il comando di un esercito e porta la Francia a numerose vittorie. Catturata dalle forze borgognone, viene venduta agli alleati inglesi senza che Carlo VII muova in suo soccorso. Sottoposta a processo per eresia davanti al tribunale ecclesiastico di Rouen, dopo quattordici mesi d´interrogatorio viene condannata a morte come eretica per aver indossato abiti maschili. Il 30 maggio del 1431, Giovanna viene arsa viva. Ha diciannove anni.
LA CACCIA ALLE STREGHE CDV6432 - 52 minuti
Nel 1492, mentre Cristoforo Colombo raggiunge l´America, in Spagna dominano ancora gli anni bui del medioevo. L´Inquisizione arriva all´apice delle sue brutali attività. A capo del tribunale siede Tommaso da Torquemada, il più potente e crudele giudice dell´inquisizione spagnola. Un´attenta ricostruzione ripercorre la vita del grande inquisitore e i fatti drammatici che segnarono quegli anni di terrore: le spietate tecniche di tortura, le rigide costrizioni, i sentimenti di paura e di terrore che accompagnarono quell’epoca di repressione. I sospetti di eresia provocarono un´ondata di crudeltà su gran parte del continente, dalla Francia, all´Olanda, alla Germania.
COFANETTO 3 DVD
MEDIOEVO
COF7015 - 200 minuti Il cofanetto è composto da 3 DVD. 1. LA MORTE NERA. La peste che colpì l´Europa tra il 1347 ed il 1350 cambiò radicalmente la società. 2. LA CACCIA ALLE STREGHE. La vita dell’inquisitore Torquemada e i fatti drammatici che segnarono quegli anni di terrore. 3. I CAVALIERI E LE ARMATURE. La cavalleria, il suo spirito e la sua epopea. € 34,90
€ 29,99
Il DVD “Caccia alle streghe” è venduto anche singolarmente in questa pagina.
SPEDIZIONI GRATIS
per ordini superiori a € 35 Inviate i vostri ordini a CINEHOLLYWOOD Srl Per Posta: Via P. R. Giuliani, 8 - 20125 MILANO Telefono: 02.64.41.53.80 - Fax: 02.66.10.38.99 E-mail: ordini@cinehollywood.com
€ 14,90
€ 9,99
€ 14,90
€ 9,99
FEDERICO II
loCDV6435 stupor - 48 mundi minuti
Federico II di Svevia fu un personaggio dal grande spessore politico e culturale. Grazie alla sua accorta politica seppe fondere elementi della cultura islamica con quella cristiana. Quando Gregorio IX lo scomunicò, Federico intraprese quella che sarebbe passata alla storia come la “Crociata degli Scomunicati”: l’unica spedizione in Terra Santa conclusa vittoriosamente senza spargimento di sangue.
L’EUROPA NEL MEDIOEVO CDV6299 - 150 minuti
Attraverso ricostruzioni in costume rivive il mondo medioevale con i suoi borghi e i suoi castelli. Il filmato è suddiviso in tre grandi capitoli: il primo dedicato alla nascente classe borghese dei mercanti e dei banchieri; il secondo alla classica struttura feudale con le figure dei padroni, dei contadini e dei servi; il terzo infine alla vita dei monasteri ed al ruolo dei pellegrini. Un grande viaggio nel tempo nel cuore dell’Europa Medioevale.
* campi obbligatori COUPON D’ORDINE
€ 9,99
Desidero ordinare i seguenti DVD:________________________________________
Storica n.60 codice ST0615 - 06/2015 Offerta valida per l’Italia e solo per i privati
€ 14,90
€ 9,99
____________________________________________________________________
Nome e Cognome*: ____________________________________________________ Via*: ______________________________________________ CAP*: ___________ Città*: ____________________________________________ Prov.*: ___________
Tel.* _____________________ E-mail: ____________________________________ Codice fiscale: _______________________________________________________ Pago anticipatamente l’importo di € _________ + 4,90 per spese di spedizione Allego copia versamento su c/c postale n. 11397205 intestato a Cinehollywood Autorizzo l’addebito sulla mia carta di credito: Cartasì VISA MasterCard Eurocard n. Scadenza Pagherò al corriere l’importo di € _________ + 7,90 per le spese di spedizione o Avendo speso più di € 35 ho diritto alle SPESE DI SPEDIZIONE GRATIS