Storica National Geographic - dicembre 2015

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L’ORO DI ROMA

LE MINIERE SPAGNOLE CHE RIFORNIVANO L’URBE

TEODOSIO

L’ULTIMO IMPERATORE DI ORIENTE E OCCIDENTE

I VICHINGHI IN GROENLANDIA LA COLONIZZAZIONE A UN PASSO DALL’AMERICA

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772035 878008

50082

IL TRATTATO CHE RIDISEGNÒ L’EUROPA

periodicità mensile

LA PACE DI UTRECHT

germania

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N. 82 • DICEMBRE 2015 • 4,50 E

LA SAINTE-CHAPELLE IL CAPOLAVORO “PRIVATO” DEL GOTICO VOLUTO DAL RE LUIGI IX


NOVITÀ


DEA / SCALA, FIRENZE

EDITORIALE

Teodosio

fu l’imperatore che ufficializzò, con l’Editto di Tessalonica, il cristianesimo quale religione unica dell’Impero. In poco più di tre secoli, questo culto di origini orientali era passato, a Roma, da qualche migliaio di adepti alla consacrazione ufficiale da parte dello Stato. Sono molti i motivi che portarono all’affermazione del cristianesimo – religione egualitaria, che predicava la fratellanza, la solidarietà e l’aspettativa di una vita eterna – in una società, quella romana, che inizialmente ne era agli antipodi: fortemente classista, con cittadini devoti più allo Stato che ai propri simili, e che negava l’esistenza di un mondo ultraterreno. L’Ade era considerato il buio, la notte infinita, soggiorno delle ombre dei defunti. Ma proprio per questi valori il cristianesimo ebbe una grossa affermazione nei secoli III e IV, epoca in cui l’Impero augustano iniziò a entrare in crisi dal punto di vista sociale ed economico. Così, gli imperatori iniziarono a temere che la nuova religione, sempre più diffusa, minacciasse la pax deorum, quella protezione degli dei considerata alla base delle fortune di Roma dall’epoca romulea (da qui le persecuzioni del III secolo). Sempre con questo obiettivo, Costantino, nel 313, operò invece un cambio di rotta: liberalizzò il cristianesimo perché capì che gli conveniva allearsi con il Dio che in quel momento era il più forte. E Teodosio non fece che suggellare definitivamente l’alleanza. GIORGIO RIVIECCIO Direttore


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MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella Editore Caccia alle streghe, Salerno Editrice

4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA SAINTE-CHAPELLE

Per conservare le reliquie della Passione di Cristo, Luigi IX di Francia commissionò la costruzione, nel cuore di Parigi, di uno dei più affascinanti templi gotici della storia.

Grandi storie

22 Gudea, il re costruttore Sovrano di un piccolo ma potente regno dell’antica regione di Sumer, lasciò ai posteri e alla storia numerosi monumenti. DI BARBARA BÖCK

30 Inventori greci Tra il III sec. a.C e il I sec. d.C. ad Alessandria nacque una scuola di scienziati che crearono sofisticati automi. DI PALOMA ORTIZ

42 L’oro di Roma Il metallo che la Roma imperiale usava per le sue monete era strappato ai rilievi di una località nel nord della Spagna. DI F. J. SÁNCHEZ-PALENCIA E A. OREJAS

54 Teodosio Proclamò il cristianesimo religione unica dell’Impero e fu l’ultimo a regnare su Oriente e Occidente. DI JACOPO MORDENTI

68 La Sainte-Chapelle Il capolavoro gotico che Luigi IX fece erigere nel cuore di Parigi. DI INÉS MONTEIRA ARIAS

80 I vichinghi in Groenlandia Colonizzata dai norreni per cinquecento anni, fu misteriosamente abbandonata. DI F. BAILÓN

92 La pace di Utrecht Il trattato che concluse la guerra di successione spagnola e ridisegnò l’Europa. DI R. M. DELLI QUADRI LA MORTE DEL GIGANTE TALOS CRATERE ATTICO A VOLUTE. V SECOLO A.C.

Rubriche

6 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI

Luigi XV, il re libertino che favorì la Rivoluzione

Da beniamino a bersaglio dei francesi per gli eccessi e l’incapacità politica.

14 L’EVENTO STORICO

L’Italia del Trecento raccontata da Dante

Nella Divina Commedia, il Poeta muove una spietata critica alla sua epoca.

18 VITA QUOTIDIANA

La passione degli egizi per i profumi

Nella terra del Nilo era diffuso l’impiego delle fragranze per il corpo.

104 GRANDI SCOPERTE

La tomba della signora di Cao

Il ritrovamento, in Perú, del sepolcro di una donna moche d’alto rango.

108 LA STORIA NELL’ARTE

La battaglia di San Romano Lo scontro tra fiorentini e senesi raffigurato da Paolo Uccello.

110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI 114 PROSSIMO NUMERO


AT T UA L I T À

CRISTIANESIMO

Il “Vangelo” magico dei copti Una ricercatrice olandese ha scoperto nel museo di Harvard un libro divinatorio usato dai cristiani egiziani nel VI secolo

stianesimo. Esso è ancora provvisto della rilegatura originale recante come titolo Il Vangelo dei destini di Maria, la madre del Signore Gesù Cristo, colei alla quale l’Arcangelo Gabriele ha portato la buona notizia. Colui che andrà avanti con tutto il suo cuore otterrà ciò che cerca. Solo non siate indecisi.

Un testo divinatorio La denominazione “vangelo” sorprende a prima vista, poiché il libro non contiene né una narrazione della passione di Cristo né riporta le parole di Gesù. Né Maria né Cristo sono protagonisti dei testi, anche se essi fanno ampio riferimento alle Sacre Scritture, con citazioni tratte dai

SPESSO sia il divinatore

AKG / ALBUM

sia il questuante del Vangelo dei destini di Maria erano donne, come suggerisce la presenza di un oracolo sulla gravidanza di Sara, moglie di Abramo. L’autore latino Palladio ricorda una profetessa del deserto che ricevette una rivelazione dal Signore.

6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ICONA COPTA ORIGINARIA DI UN MONASTERO DI SOHAG, IN EGITTO.

HARVARD ART MUSEUMS / ARTHUR M. SACKLER MUSEUM

Q

ualche anno fa, mentre si trovava nel Museo Sackler dell’Università Harvard per eseguire alcuni studi, la ricercatrice Anne Marie Luijendijk, docente all’Università di Princeton, rimase sorpresa imbattendosi in un antico codice risalente al VI secolo. Il codice era stato donato al Sackler Museum da un gallerista d’arte di New York esperto di antichità copte, ma non è stato possibile rintracciare altre notizie in merito alla sua origine. Il codice, in pergamena, è scritto in copto, l’antica lingua in demotico e greco usata dagli egiziani a partire dal II secolo, quando essi si convertirono al cri-

PAGINE DEL VANGELO

dei destini di Maria, codice copto del VI secolo, conservato nel Museo Sackler di Harvard.

Salmi, dal libro di Giobbe, dai Proverbi, oltre che dai vangeli di Matteo e Luca. Non si tratta tuttavia di un testo di preghiera o di meditazione, bensì di uno strumento per la divinazione, che raccoglie 37 oracoli. Si può ritenere che il termine “vangelo” presente nel titolo si debba intendere nel suo originario significato di “buona notizia”: secondo la ricercatrice cui si deve la sua scoperta, infatti, chi desidera conoscere il futuro

è alla ricerca di notizie positive, rassicuranti. L’impostazione degli oracoli mantiene una certa vaghezza. Vi troviamo esortazioni come la seguente, contenuta nell’oracolo 24, che corrisponde alle due pagine riprodotte sopra: «Smetti di essere indeciso, oh essere umano, sia che questa cosa accada oppure no. Sì, accadrà. Sii coraggioso e non essere indeciso. Poiché resterà con te per molto tempo e riceverai


IL VANGELO DEI DESTINI DI MARIA è ricco di riferimenti

modalità di consultazione ricorda un episodio relativo alla vita di Sant’Agostino, che ricevette dal cielo l’ordine di aprire la Bibbia e si trovò “casualmente” di fronte il testo della converL’interrogazione sione di San Paolo. L’interpretazione degli oraIn alternativa, per la concoli poteva essere effettuata sultazione si utilizzavano da un divinatore. In man- anche dadi o astragali, il cui canza di esso, il libro veniva numero poteva essere rifesemplicemente aperto su rito a quello di una pagina una pagina a caso e la rispo- o di un oracolo. sta era ricercata nell’oracolo SOFÍA TORALLAS TOVAR che essa riportava: questa UNIVERSITÀ DI CHICAGO

a viaggiatori – «Tu che sei lontano da casa» –, e ciò fa pensare potesse essere usato dai pellegrini. Il libro è stato messo in relazione con il santuario di San Colluto ad Antinopoli (Alto Egitto), un luogo di sanazione dove probabilmente si effettuavano divinazioni.

H. CHAMPOLLION / AKG / ALBUM

gioia e felicità». Gli oracoli si chiudono in generale con esortazioni a coltivare la speranza: «Sei venuto nel rifugio della vittoria», «Riceverai gioia e felicità».

INTERNO DEL CONVENTO ROSSO DI SOHAG AD ATRIPE, NELL’ALTO EGITTO, FONDATO NEL IV SECOLO.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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campagna di PicNic

Sargon di Akkad fu il fondatore del primo impero conosciuto, nella Mesopotamia del 2300 a.C. Grazie a innovative strategie e tecniche di guerra, come l’assedio, in pochi, tumultuosi anni, conquistò tutta la terra tra il Golfo Persico e il Mediterraneo. Fu anche il primo a proporre la creazione di un “Impero universale”.

Alessandro Magno dominò la Grecia intera e poi estese le sue conquiste all’Asia creando in poco più di dieci anni un impero sconfinato che si estendeva dall’Egitto all’India: fu il più grande conquistatore e stratega dell’antichità, coraggioso fino alla temerarietà, nobile d’animo e violento allo stesso tempo. Solo la morte gli impedì di completare il suo sogno di conquistare l’Europa.

Scipione Africano fu il generale che salvò Roma dai Cartaginesi nella seconda Guerra punica, con l’epica battaglia di Zama nella quale fronteggiò il suo nemico di una vita, Annibale. Il conflitto tra i due condottieri non si svolse solo con le armi, ma anche attraverso un famoso colloquio che sarebbe rimasto per sempre nella storia.


CONDOTTIERI DELL’ANTICHITÀ Fondatori di imperi, abilissimi strateghi, invasori spietati o strenui difensori delle loro nazioni: quattordici grandi personaggi, tra il III millennio a.C. e il V secolo d.C., rivivono sulle pagine del nuovo Speciale di Storica National Geographic Condottieri dell’antichità. Si inizia dal Vicino Oriente con – tra gli altri – Sargon di Akkad, Sennacherib, Ciro il Grande; per spostarci in Grecia con Agamennone e Temistocle, fino ad Alessandro Magno. Si prosegue con l’epopea di Roma e dei suoi nemici: gli Scipioni e Annibale, Giulio Cesare, fino ad Attila, quando l’Impero era ormai alla fine. Ognuno con una sua storia, una sua visione del mondo, una sua tattica militare: protagonisti di vittorie e sconfitte che hanno fatto la storia.

164

pagine

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In edicola dal 4 dicembre a soli €9,90


PERSONAGGI STRAORDINARI

Luigi XV, il re libertino che favorì la rivoluzione Si trasformò da beniamino dei francesi a oggetto di aspre critiche per aver messo in crisi economica la Francia e averla indebolita internazionalmente. La rivolta era già nell’aria

A

Nella gabbia dorata di Versailles 1715 Morto Luigi XIV, il pronipote diventa re. Il governo è affidato a un consiglio di reggenza fino alla maggiore età.

1743 Con la morte del cardinale de Fleury, Luigi XV assume la guida del governo, ma ben presto la affida ai suoi ministri.

1744 Inizia la relazione con la marchesa di Pompadour, che per molti anni avrà di fatto il ruolo di sua consigliera speciale.

È vittima di un attentato a Versailles, che denuncia la sua crescente impopolarità. Il fallito regicida viene squartato.

1774 Muore di vaiolo, dopo una lunga agonia. Gli succede, con il nome di Luigi XVI, il nipote Luigi Augusto.

E. LESSING / ALBUM

1757

lla vigilia della morte, avvenuta nel 1715, Luigi XIV affidò la reggenza a Filippo d’Orléans, figlio di un suo fratello. Poiché le malattie avevano causato la morte dei figli e dei nipoti del Re Sole, suo successore risultava infatti essere un pronipote, il piccolo Luigi, figlio di Luigi di Borgogna, di soli cinque anni. Il futuro Luigi XV all’età di due anni aveva già perso il nonno, i genitori e il fratello maggiore; con la morte del Re Sole rimase solo, affidato alle cure di una governante, Madame de Ventadour, che lo amava teneramente. Luigi era un bambino cagionevole di salute, quindi fu allevato con mille precauzioni e gli fu vietato qualsiasi sforzo. A sette anni la sua educazione passò a due precettori, il duca di Villeroi e il cardinale de Fleury. Circondato da ipocriti adulatori in competizione per accaparrarsi i suoi favori, il giovane sviluppò un forte edonismo, circondato da cortigiani in lutto divorati dall’ambizione. Privo dei genitori, di amore e di amicizia, si portò dietro per tutta la vita una sensazione di incapacità di cui non seppe mai liberarsi. Nel 1722 il giovane fu proclamato re di Fran-

cia con il nome di Luigi XV. La squadra di governo che sostituì la Reggenza, guidata dal duca di Borbone, affrettò il suo matrimonio. Il duca temeva che la fragilità della corona risvegliasse le ambizioni delle grandi famiglie aristocratiche, quindi, annullando la promessa con una nipote di Filippo V, che vide così frustrato il suo disegno di unire le corone di Spagna e di Francia, nel 1725 combinò il matrimonio del giovane re con Maria Leszczynska, figlia di Stanislao, che avrebbe regnato per periodi alterni sulla Polonia. Scegliendo una principessa di sette anni più grande del re, il duca di Borbone sperava inoltre che essa potesse presto mettere al mondo eredi per rafforzare la dinastia, la cui estinzione avrebbe favorito l’ascesa degli Orléans.

Le tentazioni di Versailles Durante i primi mesi di matrimonio, il re fu un marito attento e galante, affascinato dalla giovane moglie, che esercitò su di lui una benefica influenza sollevandolo dall’angoscia che tormentava la sua personalità. La sovrana era però debitrice del duca di Borbone, che attraverso di lei cercò di convincere il re ad allontanare de Fleury. Luigi XV, che era molto legato al cardinale, operò

Insicuro e incline a una vita di piacere, il re lasciò ampio spazio decisionale ai suoi amministratori CORONA DI LUIGI XV CREATA DA LAURENT RONDE. LOUVRE, PARIGI.

10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


RIMEDI CONTRO L’ANGOSCIA UN RECENTE BIOGRAFO di Luigi

XV, Maurice Lever, scriveva: «Se vivesse nella nostra epoca, Luigi XV si sdraierebbe tre volte a settimana sul divano di un analista, si imbottirebbe di Prozac o tirerebbe di cocaina. A quell’epoca, le uniche droghe alla sua portata erano donne, caccia e champagne. L’uso immoderato che fece tanto delle une come delle altre mostra già quanto cercasse sollievo più che piacere. Questi ansiolitici gli permettevano di lottare contro l’angoscia». RITRATTO DI LUIGI XV DI GUSTAV LUNDBERG. 1730 CIRCA. PALAZZO DI VERSAILLES.

FINE ART / CORBIS / CORDON PRESS

invece in modo da disfarsi del duca, divenuto impopolare anche per la sua politica aggressiva contro la Spagna e il Sacro Romano Impero. La vicenda incrinò però i rapporti della coppia regale: Maria non avrebbe più goduto della fiducia del sovrano. Fleury fu un efficiente amministratore: sul piano interno, riassestò le finanze pubbliche e promosse la crescita del Paese sviluppando le vie di comunicazione, l’edilizia urbana e le attività commerciali; sul piano internazionale, perseguì una politica di distensione, firmando accordi con la

Spagna e l’Inghilterra e non celando il suo disaccordo rispetto alla decisione di Luigi XV di partecipare alla guerra di successione polacca, al fianco del suocero. Il conflitto si chiuse nel 1738 con un successo per la Francia, che pose le basi per l’acquisizione della Lorena. Intanto l’indolente monarca si dedicava ai piaceri della vita di corte. Anche se avrebbe avuto sette figli dalla legittima consorte, non nascose mai le numerose amanti. Fra queste, le quattro sorelle Nesle: la relazione con la secondogenita di queste, Madame de Vintimille, fu però profonda e la sua

morte, sopraggiunta dopo che aveva dato alla luce un figlio suo, lo fece cadere nella depressione. Nel 1743, il cardinale de Fleury morì a 90 anni, dopo aver esercitato dal 1726 la funzione di primo ministro, e il re si mise finalmente alla guida del governo: aveva 33 anni. L’anno seguente, le disfatte subite nel corso della guerra di successione al trono d’Austria reclamarono la presenza del re nelle Fiandre. La Francia era infatti coinvolta nel conflitto scoppiato nel 1740, alla morte di Carlo VI d’Asburgo, che, privo di eredi maschi, invece di restituire il STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

BERTRAND RIEGER / GTRES

IL PADIGLIONE FRANCESE, fatto

costruire da Luigi XV per Madame de Pompadour, è una palazzina in pietra bianca di stile classico.

trono alla discendenza del fratello, alla cui morte era succeduto, stabilì con la Prammatica sanzione il principio della primogenitura anche in assenza di eredi maschi, nominando la figlia Maria Teresa. Cedendo alle richieste dei suoi consiglieri, Luigi XV abbandonò, contrariato, Versailles, accompagnato da una delle sorelle Nesle, la duchessa

di Châteauroux, ma a Metz si ammalò gravemente, tanto da essere dichiarato in pericolo di vita. Consigliato dal suo confessore, Luigi XV acconsentì. Quando riprese la salute, il sovrano accolse il consiglio di liberarsi dell’amante: la decisione fu accolta assai favorevolmente dal popolo, che aveva pregato per la guarigione del re, e gli

MADAME DU BARRY L’ULTIMA AMANTE di Luigi XV fu una prostituta, figlia

di una sarta e di padre ignoto. Qualcuno la offrì al re come intrattenimento temporaneo, ma la giovane riuscì a guadagnarsi il suo favore e il monarca la presentò formalmente a Versailles, le assegnò un appartamento e la ricoprì di doni, con enorme scandalo, fra gli altri, delle sue stesse figlie. LA CONTESSA DU BARRY, DI NIKLAS LAFRENSEN. LOUVRE, PARIGI.

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

valse una notevole popolarità, tanto che per qualche tempo venne chiamato le Bienaimé (il “beneamato”). Il valore personale che dimostrò l’anno seguente nella battaglia di Fontenoy, una grande vittoria francese contro una coalizione anglo-tedesca, ne accrebbe enormemente il prestigio. Al tempo il re conobbe quella che sarebbe diventata la marchesa di Pompadour: Jeanne-Antoinette Poisson. Grazie alla sua bellezza, ma anche alla cultura e all’affabilità, la donna sarebbe stata l’amante ufficiale del re fino alla morte di lui. Il suo ascendente su Luigi XV le procurò un enorme potere: sollevò ministri, nominò ambasciatori e distribuì cariche.c La fine della guerra di successione austriaca segnò la svolta definitiva per l’immagine del monarca. Per


IL PARCO DEI CERVI

CARICATURA di Luigi

XV che si diverte con una delle sue amanti, realizzata all’epoca della Rivoluzione.

NEL 1755, LUIGI XV acquistò a Ver-

MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK

STÉPHANE LEMAIRE / GTRES

sailles una residenza per ospitare le sue amanti di passaggio. I pamphlettisti trasformarono il Parco dei Cervi in un simbolo della corruzione del re e della monarchia, in cui si sacrificava «una moltitudine di vittime» alla voluttà del sovrano.

GLI APPARTAMENTI REALI NEL PALAZZO DI VERSAILLES.

rimpinguare le entrate dello Stato, nel 1749 il ministro Machault d’Arnouville propose una nuova tassa del cinque per cento (vingtième) da applicarsi uniformemente a tutta la popolazione, inclusi i privilegiati esentati dal pagamento delle tasse, tra cui il clero. Questi settori lanciarono una violenta campagna fino a ottenere la rimozione del ministro, con il risultato che nella guerra dei sette anni (17561763) la monarchia francese si ritrovò senza mezzi per proteggere le colonie in America e in India, territori su cui perse il dominio nel 1763.

servitori, che lo pugnalò con un piccolo coltello di otto centimetri. Il re perse molto sangue e, pensandosi in punto di morte, chiese perdono a sua moglie e si pentì per i suoi peccati, ma sopravvisse a quella che era una ferita superficiale. Il fallito regicida, Robert-François Damiens, fu squartato e bruciato, con una ferocia che fece inorridire la parte illuminata della popolazione. Il duca de Choiseul, a capo della nuova squadra di governo, ottenne successi quali l’annessione della Lorena e l’acquisizione della Corsica, ma il monarca, considerandolo troppo vicino ai parlamentari, nel 1770 lo destituì. Un’atmosfera rarefatta Al tempo il sovrano aveva allacciato La fallimentare politica fiscale e le umi- una relazione con la contessa Du Barry, lianti sconfitte militari, con l’aggiunta la cui ostentata presenza a Versailles degli scandali della sua vita privata, fu motivo di grande scandalo. Perciò trasformarono Luigi XV nel primo il Giovedì Santo del 1774 l’abate Jebersaglio dello scontento popolare. an-Baptiste de Beauvais pronunciò In questo clima si verificò l’attentato un polemico sermone di quaresima subito nel 1757 da parte di uno dei suoi di fronte al re: «Maestà, il mio dovere

come ministro di un Dio della verità mi porta a dire che il vostro popolo è infelice, e Voi ne siete la causa». Ne attaccò inoltre i costumi citando Salomone, «quel re, stanco della voluttà, logorato dalla spossatezza, per risvegliare i suoi sensi appassiti, tutti i piaceri», e chiuse il suo discorso con una profezia apocalittica tratta da Giovanni: «Ancora quaranta giorni e Ninive verrà distrutta». Il 10 maggio 1774, si spense il sovrano che aveva un giorno dichiarato «Dopo di me, il diluvio». All’orizzonte si profilava la rivoluzione. FERRAN SÁNCHEZ STORICO

Per saperne di più

SAGGI

L’ancien régime. Il declino dell’Assolutismo. L’epoca di Luigi XV (1715-1770) Emmanuel Le Roy Ladurie. Il Mulino, Bologna, 2000. Amanti e regine. Il potere delle donne Benedetta Craveri. Adelphi, Milano, 2005.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’EVENTO STORICO

L’Italia del Trecento raccontata da Dante Nella Divina Commedia, il sommo poeta muove una lucida e appassionata denuncia della violenza e della corruzione diffuse nella Penisola all’inizio del XIV secolo

D

ietro la narrazione di un viaggio compiuto da Dante nell’aldilà, sotto la guida del poeta latino Virgilio e di Beatrice, la donna amata, la Commedia – questo il titolo che il suo autore le aveva dato, e che già poco dopo la sua morte fu modificato in Divina Commedia – è un vivido affresco dell’epoca in cui egli visse, i primi anni del Trecento, oltre che una potente allegoria che riflette la visione del mondo propria della Cristianità medioevale.

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Delle tre cantiche che formano l’opera, il poeta scrisse la prima, l’Inferno, fra il 1306 e il 1309, il Purgatorio fra il 1310 e il 1314 e il Paradiso fra il 1316 e il 1321, concludendo quindi proprio poco prima della morte, avvenuta il 14 settembre 1321. Il viaggio nell’aldilà è collocato in un momento molto preciso: la Settimana Santa dell’anno 1300. Molto probabilmente la ragione di questa scelta fu che nel 1300 era stato proclamato da papa Bonifacio VIII anno del Giubileo, che concedeva indulgenza plenaria a tutti

coloro che si fossero recati a Roma, e ciò produsse una grande mobilitazione di fedeli. Lo stesso Dante, che aveva appena compiuto 35 anni di età, vi giunse in pellegrinaggio. Così il rinnovamento spirituale del mondo cristiano coincide con quello personale del poeta, desideroso di uscire dalla selva oscura del peccato e raggiungere la rigenerazione spirituale. Questa è anche la ragione per cui il viaggio ha luogo durante la Settimana Santa, che celebra la resurrezione. Il protagonista è quindi Dante ma, nel


L’INFERNO di Dante raffigurato da Sandro Botticelli (XV secolo). Il dettaglio mostra ruffiani, seduttori e adulatori, collocati nell’ottavo girone.

L’EVENTO STORICO

SCALA, FIRENZE

BONIFACIO VIII. AFFRESCO DELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, ROMA.

IL PONTEFICE PIÙ ODIATO BONIFACIO VIII fu acerrimo nemico del poeta, sia per le sue ingerenze

nelle vicende politiche fiorentine, sia per essere l’autore della bolla Unam sanctam, in cui si affermava il diritto dei pontefici a esercitare il governo civile. Nel Paradiso, Bonifacio viene condannato dallo stesso San Pietro: «Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, [...] fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza». BPK / SCALA, FIRENZE

momento in cui gli è dato da Dio lo straordinario privilegio di visitare il mondo delle anime, rappresenta anche ogni uomo che abbia bisogno dell’aiuto soprannaturale della grazia divina per potersi liberare del pericolo sempre incombente di perdere la propria anima.

Un corteo di peccatori

T. BOGNÁR / AGE FOTOSTOCK

Dante fu un grande poeta poiché seppe scrivere la storia e la memoria collettiva, personale e anche biologica e naturale nelle cifre dell’eternità: un istante all’interno della ruota infini-

ta dell’universo. Egli riesce, nei gironi dell’inframondo, a menzionare fatti e personaggi di tutte le epoche: eroi, artisti e protagonisti della società e dei conflitti sin dall’antichità. In particolare, la realtà storica della sua epoca ha uno spazio tanto rilevante che difficilmente il lettore dimentica i versi che la descrivono. La composizione della Commedia è anche il risultato di un evento traumatico nella vita di Dante: l’esilio forzato dalla sua città. Nel corso del XIII secolo, Firenze era stata al centro di continui conflitti fra i guelfi, sostenitori del papato, e ghibellini, al fianco dell’imperatore. I primi si erano

I guelfi neri presero Firenze nel 1301 ed esiliarono i rivali: Dante trovò rifugio a Ravenna STATUA DI DANTE DI ENRICO PAZZI. XIX SECOLO. FIRENZE.

imposti nel 1268, ma negli ultimi anni del secolo scoppiò una guerra fra due fazioni interne, i guelfi bianchi e i guelfi neri. Dante apparteneva ai bianchi, per conto dei quali aveva ricoperto diverse cariche di governo, e quando nel 1301 i neri conquistarono la città, per sfuggire alla morte non potè più far rientro a Firenze: egli era infatti stato sorpreso da questi eventi mentre si trovava a Roma come ambasciatore. Nel 1302, Firenze lo condannò a morte in contumacia con altri esiliati. Queste circostanze si riflettono nella Commedia, in particolare nell’Inferno, molto più centrato sulla situazione fiorentina rispetto alle altre due cantiche, che acquisiscono una dimensione più universale e integrano fatti e notizie della penisola italiana e del mondo intero. Dante vi compie delle riflessioni sulle cause dei mali della sua città natale: nel secondo girone dell’Inferno, quello dei golosi, il poeta incontra STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’EVENTO STORICO

HENGLEIN AND STEETS / CORBIS / CORDON PRESS

IL PALAZZO VECCHIO di Firenze fu edificato a partire dal 1298, tre anni prima che Dante fosse costretto all’esilio dalla vittoria dei suoi rivali politici.

Ciacco, un fiorentino che pronuncia la prima profezia sulle vicende politiche di Firenze preannunciando una lunga e sanguinosa contesa fra le due fazioni e l’affermazione dei guelfi neri. Egli spiega inoltre al suo concittadino che cosa abbia originato la guerra civile: «superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’hanno i cuori accesi».

Nel XVI canto del Paradiso, Dante incontra invece Cacciaguida, suo trisavolo, che ricorda l’epoca precedente le guerre civili, in cui Firenze «si stava in pace, sobria e pudica», abitata da famiglie modeste che non ostentavano la loro ricchezza. La corruzione si sarebbe diffusa in tempi successivi, anche in seguito all’arrivo di «genti nove», famiglie attratte dall’improv-

IL RE INNOMINABILE NELLA COMMEDIA Dante fa riferimento per sette volte a Filippo il Bello, mai però facendone il nome, tanto è l’odio che il re francese gli ispira. Gli rimproverava di aver sciolto l’ordine del Tempio per saccheggiarne il tesoro e, ancor peggio, di essere stato la causa del trasferimento del papato ad Avignone. FILIPPO IV IL BELLO. DIPINTO A OLIO DI ANONIMO. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

visa ricchezza creata dai commerci e dall’usura: nel corso del XIII secolo la popolazione sarebbe cresciuta di dieci volte, passando da 10.000 abitanti nel 1200 a 110.000 nel 1300. L’avarizia trasformerà Firenze nella «città infernale», il centro stesso dell’Averno, i cui abitanti sembrano più bestie che esseri umani. È ancora Ciacco ad affermare che a Firenze «già trabocca il sacco» dell’invidia. Nell’ottavo girone dell’Inferno, Dante incontra cinque ladri fiorentini con le mani legate dietro la schiena da serpenti, che subiscono terribili trasformazioni: sono i cinque politici che hanno saccheggiato il tesoro del municipio. Firenze non è però la sola città oggetto delle invettive dantesche. Pisa viene definita «vituperio delle genti del bel paese là dove ’l sì suona»; ai genovesi, «uomini diversi d’ogne costume e pien d’ogne maga-


Struttura dell’inferno dantesco NELLA RAPPRESENTAZIO-

gna», domanda «perché non siete voi del mondo spersi?», e, attraverso la voce di Guido, signore del Montefeltro, condanna i tirannelli che dominano sulla Romagna.

Contro papi e imperatori Dai severi giudizi politici di Dante non si salvano nemmeno le più alte istituzioni. Il poeta considera l’imperatore il rappresentante dell’unico potere in grado di assicurare la giustizia nel mondo, frenando la tendenza degli uomini a trasformarsi in bestie dominate dall’ingordigia. Ma gli auspici del sommo poeta sono stati disattesi, ed egli manifesta la propria amarezza: in particolare, censura gli imperatori che si sono preoccupati solo dei territori tedeschi, lasciando l’Italia nelle mani dei loro figli incapaci. Come ha fatto Alberto I d’Austria, hanno abbandonato la guida dell’Impero, rendendolo ingovernabile: «O Alberto tedesco

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DAGLI ORTI / SCALA, FIRENZE

NE dell’inferno, Dante si ispirò a una tradizione artistico-letteraria precedente, attribuendole una maggiore estensione e complessità. Il disegno, comparso in un’edizione del 1506 della Commedia, mostra i gironi dell’Inferno 1 (ne sono indicati 7, al posto dei 9 immaginati da Dante) che terminano in un burrone (burrato) 2 e nel Cocito 3, quarto e ultimo dei fiumi infernali, nel nono cerchio.

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ch’abbandoni costei ch’è fatta indomita e selvaggia […] Vieni a veder la gente quanto s’ama! e se nulla di noi pietà ti move, a vergognar ti vien de la tua fama». Questo stato di cose è, secondo Dante, segno del fatto che l’amore ha abbandonato l’Italia e il mondo, quasi che Dio si sia dimenticato degli uomini: «E se licito m’è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove». La sua disillusione verso l’impero non gli fa dimenticare la depravazione morale e la corruzione in cui è caduta la Chiesa, verso la quale lancia un’invettiva nel canto XIX dell’Inferno. Qui incontra Niccolò III: il papa, con i piedi lambiti dal fuoco, espia la sua sete di potere in terra e preannuncia l’arrivo, nel girone in cui sono puniti i simoniaci, di Bonifacio VIII e di Clemente V, che come lui si sono arricchiti con il commercio delle indulgenze.

Nulla si salva dallo sguardo senza speranza che il poeta esiliato ha sulla sua epoca. Amareggiato per l’impossibilità di tornare in patria – nel 1315 viene nuovamente condannato a morte in contumacia dopo aver rifiutato le umilianti condizioni che le autorità cittadine gli hanno imposto per tornare, fra queste riconoscere la sua colpa e pagare una sostanziosa ammenda –, Dante si sfoga condannando i suoi contemporanei, nelle pagine della sua opera immortale, per aver abbracciato i nuovi“valori”dell’ambizione, la lotta feroce per il potere e il denaro. ROSSEND ARQUÉS UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA

Per saperne di più

TESTI

La Divina Commedia Commento di Vittorio Sermonti. Rizzoli, Milano, 2015. SAGGI

La vita quotidiana a Firenze all’epoca di Dante P. Antonetti. Rizzoli, Milano, 1983.

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V I TA Q U OT I D I A N A

Profumi egizi per la cura e la salute del corpo Nella terra del Nilo era molto diffuso l’impiego di fragranze, per bellezza, per rituali religiosi e funerari e come farmaci preferibilmente blu scuro per evitare che l’effetto della luce alterasse gli oli aromatici che contenevano, decorato con linee colorate. I profumi erano segno di distinzione e status sociale elevato. Gli invitati a un banchetto applicavano un olio o un unguento profumato sulla parrucca, come mostrano numerosi dipinti visibili nelle tombe. Il profumo era usato anche per ragioni igieniche, per esempio per contrastare i cattivi odori, e curative: si credeva infatti che determinate fragranze potessero depurare l’aria e allontanare le malattie.

L’aroma degli dei Nell’antico Egitto i profumi erano strettamente legati anche alle pratiche religiose. Nelle cerimonie che si celebravano nei templi si faceva uso di diversi tipi di unguenti e fumigazioni, a base di resine o di preparati composti, come per esempio il kyphi o kapet, un tipo di incenso che fra i

IL DIO DEI PROFUMI

BRIDGEMAN / ACI

NEFERTUM ERA IL DIO egizio dei profumi, ed era rappresentato co-

me un uomo con un fiore di loto. Un inno del Nuovo Regno lo descrive così: «Sei il custode e protettore di coloro che distillano profumi e oli, protettore e dio del sacro loto. Osiride è il corpo delle piante, Nefertum ne è l’anima […] Il profumo divino appartiene a Nefertum, che viva per sempre». STATUETTA DI NEFERTUM. VII-IV SECOLO A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

TRE DONNE a un banchetto, WERNER FORMAN / GTRES

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e sei saggio, costruisci una casa e fonda un focolare. Ama tua moglie con ardore, riempi il suo stomaco e vestila; l’unguento è un rimedio per il corpo...». Questa raccomandazione di un padre a suo figlio compare nelle Massime di Ptahhotep, una raccolta di consigli della V dinastia (2400 a.C. circa), e dimostra l’importanza che i profumi avevano nella vita degli egizi fin dai tempi più antichi della loro storia. I profumi, infatti, erano un elemento fondamentale della cura della persona per uomini e donne. Come ai giorni nostri, erano conservati in flaconi speciali, dei quali sono stati rinvenuti molti esemplari in numerose tombe del Nuovo Regno e che si fabbricavano con diversi materiali: fine alabastro, faience – una specie di ceramica di un blu brillante – o vetro,

con coni di profumo sulle parrucche. Tomba di Nakht, Tebe. XVIII dinastia.

numerosi ingredienti contava l’uva passa, sinonimo di purezza e con un significato simbolico nella liturgia. Nel Papiro Harris, scritto di carattere religioso-storico redatto da Ramesse IV, si parla di offerte di mirra, o «fragranza del Punt» (Paese del Corno d’Africa da cui l’Egitto si riforniva di mirra), da portare al tempio. Plutarco racconta che si bruciava incenso la mattina, mirra a mezzogiorno e kyphi il pomeriggio e la sera. I sacerdoti erano soliti ungere le statue degli dei con vari unguenti e oli profumati. Nei rituali funebri era diffuso l’utilizzo di profumi che avevano la funzio-


V I TA Q U OT I D I A N A

ne di conservare il corpo del defunto. A questo scopo, venivano asportate le viscere, al cui posto si introducevano resine profumate, come scrive Erodoto: «Riempiono il ventre con mirra pura triturata, cannella e altri aromi». In un brano dei Testi delle Piramidi, formule rituali che dovevano assicurare l’immortalità ai sovrani, viene citato il «profumo dell’Occhio di Horus». La qualità dei profumi che si preparavano in Egitto diede al Paese del Nilo grande fama in tutto il Mediterraneo. Come afferma Plinio: «Fra tutti i paesi, l’Egitto è il più idoneo alla produzione di profumi». Per la preparazione delle

Coni di grasso profumato per le occasioni di gala IN MOLTE TOMBE del Nuovo Regno sono raffigurate scene

di feste e banchetti nei quali gli invitati, sia gli uomini sia le donne, sono vestiti di bianco e portano parrucche alla moda sopra le quali sono posizionati coni di grasso profumato. Durante la festa, con il calore del corpo e dell’ambiente, il grasso si scioglieva, impregnando la capigliatura e le vesti e diffondendo un aroma gradevole che serviva anche a coprire l’odore forte dei cibi. I coni profumati erano indossati anche dai servitori impegnati nella celebrazione. Alcuni

studiosi hanno messo in dubbio che il cono venisse effettivamente legato sul capo, sostenendo che probabilmente si trattava solo di una convenzione pittorica che intendeva sottolineare attraverso il particolare del cono profumato la raffinatezza del personaggio ritratto.

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V I TA Q U OT I D I A N A

L’ESSENZA PIÙ PREGIATA ALCUNI RILIEVI di epoca tarda raf-

figurano il processo di estrazione dell’essenza di iris: i fiori venivano tagliati e sistemati in un sacco, che si spremeva mediante torsione con l’ausilio di due bastoni; il liquido che ne usciva veniva raccolto in anfore. Si otteneva così l’ingrediente principale del sousinon o lirinon, il famoso profumo di iris dell’Egitto di cui parla Dioscoride e che si otteneva mescolando fiori di iris con olio di semi di Balanites aegyptiaca.

serto (Balanites aegyptiaca), che erano fortemente aromatici. Alcune sostanze, però, si potevano ottenere solo con spedizioni in terre lontane, il baratto in mercati stranieFiori, piante e spezie ri o il pagamento dei tributi da parte Gli egizi usavano fiori autoctoni come di territori vassalli. Si importavano il giglio, l’iris, il mirto, il loto bianco, piante come il gelsomino dell’India, il loto blu e quelli di diverse varietà di dal fiore bianco molto profumato, acacia, oltre a piante aromatiche co- spezie come cannella e zafferano e me la menta, la maggiorana, l’aneto e una grande varietà di sostanze resigiunchi profumati. Si usavano anche nose. Queste ultime formavano un i fiori di Lawsonia inermis (la pian- capitolo a parte e molto ampio, nel ta dell’henné), la radice di un tipo di quale erano inclusi l’incenso, la mirra, acacia noto come“acacia delle giraffe” il balsamo, le resine di conifere oltre e i semi del frutto del dattero del de- ad alcune varietà di pino e il terebinto. Molte sono di difficile identificazione nei testi antichi, e sebbene gli egizi le sapessero distinguere molto beGli unguenti per il corpo servivano ne, talvolta le raggruppavano sotto il a proteggere dai raggi del sole ed termine generico di “incenso”, usato erano utilizzati anche per i massaggi come sinonimo di sostanza resinosa aromatica che emana il suo profumo quando viene bruciata. GIOVANE SERVA CON VASO PER UNGUENTI. MUSEO ORIENTALE, DURHAM.

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loro fragranze, gli egizi sfruttavano la flora delle rive del Nilo, nonostante il filosofo greco Teofrasto assicurasse che i fiori in Egitto non avevano odore; un’impressione che, come dice Plinio il Vecchio, può essere spiegata dalla grande umidità proveniente dal fiume che satura l’aria del Paese del Nilo e che rende i suoi fiori poco aromatici. Gli egizi, tuttavia, apprezzavano molto la fragranza delle piante che li circondavano. In un poema del Papiro Harris si legge: «Sono tua come questo

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BRIDGEMAN / ACI

BRIDGEMAN / ACI

FIORI DI LOTO. CERAMICA. MUSEO DEL LOUVRE. PARIGI.

SPREMITURA DEGLI IRIS

per torsione e raccolta del succo in un recipiente. IV secolo a.C. Museo del Louvre. Parigi.

pezzo di terra ove ho piantato fiori ed erbe aromatiche. È gradevole il suo ruscello che muovi con la mano e si rinfresca con l’aria del nord».


WERNER FORMAN / GTRE

S

Profumi per dei e mortali GLI EGIZI disponevano di diver-

si tipi di flaconi e recipienti per la conservazione dei profumi, per uso personale o destinati al culto. Si utilizzavano anche cucchiai per applicare gli unguenti e incensieri per bruciare l’incenso profumato nei templi.

Scatola con flaconi di profumo e cosmetici appartenuta a Merit, moglie dell’architetto Ka, e rinvenuta nella sua tomba a Deir el-Medina.

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BRIDGEMAN

1. Incensiere di bronzo. 700 a.C. Neues Museum, Berlino. 2. Scatola di cosmetici. XVIII dinastia. Museo Egizio, Torino. 3. Cucchiaio per cosmetici

in legno a forma di donna. XVIII dinastia. Museo del Louvre, Parigi.

/ ACI

I cucchiai per i cosmetici avevano una sezione concava, poco profonda, di solito con coperchio, e un manico elaborato.

Mediante queste tecniche gli egizi crearono profumi caratteristici, che li resero celebri dentro e fuori dei loro confini. Gli autori antichi ci rivelano le ricette della composizione di molti di questi profumi. Plinio, per esempio, definiva «tenuissimum» il profumo henna [hennè], «che richiede henna, omphacium [olio di olive non mature], agresto e cardamomo, nonché calamo Tecniche molto elaborate aromatico, spalato e abrotano; alcuni vi Oltre agli oli vegetali, per far macerare aggiungono cipero, mirra e panacea». le piante si utilizzavano anche altre Dioscoride spiega come si creava il sostanze, come il grasso animale, di cosiddetto metopion, che conteneva bue o di anatra. Era una tecnica simile resina di galbano, oltre a mandorle a quella dell’enfleurage moderno, che amare, omphacium, cardamomo, giunconsiste nell’alternare strati di grasso co odoroso, calamo aromatico, miele, e strati di fiori e lasciarli macerare fino vino, mirra, carpobalsamo e resina. Il a quando il grasso non è impregna- più famoso di tutti, però, era il profuto dell’essenza floreale. Per rendere mo di iris o giglio, il sousinon o lirinon. persistente l’aroma e ritardarne l’evaFra gli altri profumi celebri vi erano porazione si aggiungeva un fissatore, il mendesio, molto speziato, il cui nocome la spata della palma da dattero, me fa riferimento alla città di Mendes, citata nei testi di Dioscoride. sul delta del Nilo, dove si produceva. Per estrarre le essenze, gli egizi facevano macerare le parti della pianta in un olio vegetale, come il balanos che ricavavano dal frutto del dattero del deserto, o l’olio di baq, estratto dalla noce ben, il frutto della moringa, un albero che cresce ancora oggi in Egitto. Il baq era inodore, non irrancidiva e fissava e conservava bene gli aromi.

BRIDGEMAN / ACI

In incensieri come questo si bruciavano grani di incenso e fragranze come offerta agli dei.

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Scrive Dioscoride: «Si prepara con olio di balanino, mirra, cassia e resina. Alcuni, dopo che quelle cose sono pesate, vi mettono un poco di cinnamomo, perché quelle cose, che non cuociono insieme, non vi lasciano la virtù loro». Non sappiamo se nell’antico Egitto esistesse la professione di profumiere, ma dalle informazioni che possiamo trarre dai testi, dall’iconografia e dai resti ritrovati nelle tombe è certo che vi furono persone che sapevano quale dovesse essere la fragranza più adatta per ogni occasione e calcolavano le dosi precise di ogni ingrediente per ottenerla. MERCÈ GAYA MONTSERRAT DOTTORE IN FARMACIA

Per saperne di più

SAGGI

Vita quotidiana degli egizi Franco Cimmino. Bompiani, Milano, 2001. Il profumo nel mondo antico Giuseppe Squillace. Olschki, 2010.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL RE COSTRUTTORE

GUDEA  DI LAGASH Sovrano di un piccolo ma potente regno dell’antica regione di Sumer, lasciò ai posteri e alla storia numerosi monumenti, tra i quali spicca il tempio dedicato al dio Ningirsu BARBARA BÖCK CONSIGLIO SUPERIORE DI RICERCHE SCIENTIFICHE (CSIC)

N

el III millennio a.C., il Paese di Sumer era composto da una serie di città indipendenti governate ciascuna da una propria dinastia. Alcune di esse esercitarono una certa egemonia sulle altre, come Uruk e Kish, che tuttavia entrarono in una fase di declino a metà del millennio. Fu allora che la cosiddetta prima dinastia di Lagash (2450-2300 a.C.) divenne la grande potenza del sud della Mesopotamia, e anche se la città cadde sotto il dominio dell’Impero di Akkad – che governò la regione all’incirca tra il 2335 e il 2150 a.C.–, successivamente rinacque con quella che è chiamata seconda dinastia di Lagash, formata da tredici sovrani. Tra di essi, si distinse in particolare Gudea. I suoi domini comprendevano, oltre a Lagash (l’attuale Tell al-Hiba), le città di Girsu (Telloh) e Nina-Siraran (Zurghul), oltre a numerosi villaggi e frazioni.


UN MONARCA DEVOTO

FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS

Governatore o ensi della cittàStato di Lagash, Gudea è spesso rappresentato in atteggiamento orante, con le mani incrociate sul petto e una cuffia, forse di lana, sul capo. Museo del Louvre, Parigi.


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LO SCOPRITORE   DI LAGASH

CARTOGRAFÍA: EOSGIS.COM

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Corso primitivo di fiumi e antichi canali Limite della costa verso il 3000 a.C. Zona paludosa

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Uruk Città GIRSU Regno di Lagash

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Nel 1877, l’archeologo francese Ernest de Sarzec riportò alla luce Lagash, quale prima testimonianza della civiltà sumera, della quale è considerato lo scopritore. Le successive campagne archeologiche nel giacimento fino al 1933 portarono alla luce un gran numero di oggetti legati a Gudea come statue e tavolette.

L’ANTICA GIRSU TORNA ALLA LUCE

Tra il 1877 e il 1933 a Girsu (oggi Telloh) si susseguirono venti campagne archeologiche. In alto, la missione condotta dal 1931 al 1933 dall’archeologo francese André Parrot.

Le notizie al riguardo ci sono fornite da una serie di documenti di natura amministrativa scritti in caratteri cuneiformi, dai quali è possibile desumere che il piccolo regno abbracciava un territorio di ottanta chilometri da nord a sud e di circa quaranta da est a ovest, estendendosi su una superficie totale di tremila chilometri quadrati (come la Valle d’Aosta). Il nome di Gudea, che in lingua sumera significa «colui che fu nominato», con ogni probabilità fu imposto al sovrano al momento dell’ascesa al trono. Nonostante si sia conservata una grande quantità di manu-

fatti e iscrizioni che si riferiscono a lui, non si sa molto della sua vita. Gli si attribuiscono almeno vent’anni di regno, dal 2141 al 2122 a.C. Secondo l’uso corrente mesopotamico, gli anni non erano indicati da numeri, bensì da nomi, e precisamente con frasi che alludevano agli eventi più significativi accaduti nel corso dell’anno. Così, il primo anno del suo regno si chiamava «anno in cui Gudea divenne ensi [governatore]», e l’ultimo di cui si hanno notizie su di lui era «l’anno in cui fu costruito il tempio Ebagara». Gudea si sposò con Nin-alla, figlia del suo predecessore Ur-Baba. Si sa che ebbe

circa 2450 a.c. C R O N O LO G I A

ASCESA E CADUTA DI LAGASH

circa 2400 a.c.

Il re Eannatum di Lagash conquista numerose città come Ur, Nippur, Larsa e Uruk. Conquista anche Umma e per celebrare la propria vittoria ordina di incidere la Stele degli avvoltoi, oggi al Louvre.

INCENSIERE DEDICATO DA NINALLA, SPOSA DI GUDEA. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC E. LESSING

/ ALBUM

Entemena di Lagash riesce a soffocare una ribellione della città di Umma durante il suo regno. Nel 2378 a.C., Urukagina sale al potere mediante un colpo di Stato che sconfigge il re Lugal-anda.


ADOC-PHOTOS / ALBUM

Legislatore e architetto Gudea è molto conosciuto per le ventidue statue di diorite che lo raffigurano come sovrano di Lagash, e che oggi sono conservate in gran parte al Museo del Louvre. La diorite, una pietra scura e difficile da scolpire per via della sua durezza, fu importata dal Golfo Persico, probabilmente dall’attuale Oman. Alcune delle statue hanno proporzioni nor-

circa 2160 a.c. Sale al trono il re Ur-Baba. Sotto di lui la città di Lagash ottiene l’egemonia sulla regione. Sua figlia Enanepeda è nominata sacerdotessa nel tempio di Nanna a Ur. Gli succede il genero Gudea.

mali, altre rispecchiano un altro canone della scultura mesopotamica, in cui la testa assume una grandezza sproporzionata al corpo. Le testimonianze di campagne militari durante il suo regno sono praticamente nulle, tuttavia sembra che Gudea riuscì a conservare l’indipendenza del proprio Stato contro i Gutei, un popolo nomade originario dei monti Zagros che per sessant’anni, dopo la caduta dell’Impero accadico, devastò il sud della Mesopotamia. Non sappiamo se il risultato fu ottenuto pagando un tributo o in altro modo. Le iscrizioni che sono giunte fino a noi sul regno di Gudea sottolineano la preoccupazione

circa 2140 a.c.

circa 2110 a.c.

Gudea diventa re di Lagash. Dedica gran parte dei suoi quasi vent’anni di governo alla costruzione e al restauro del grande tempio Eninnu, nella città di Girsu, dedicato al dio Ningirsu.

Ur-Nammu, fondatore della terza dinastia di Ur, sconfigge il re Nammahani di Lagash, ponendo così fine alla seconda dinastia della città, e il re Utukhegal di Uruk.

E. LESSING / ALBUM

anche un’altra moglie, Gemeshulpa; tuttavia mancano dati certi che indichino se fu questa la sua prima sposa e Nin-alla la seconda oppure se ebbe due mogli contemporaneamente.

PRINCIPESSA DI LAGASH

Statuina votiva idealizzata di una principessa di Lagash. L’opera, in clorite, proviene dalla capitale Girsu. 2097-1989 a.C. Louvre, Parigi.


GUDEA, IL PRINCIPE DEVOTO  A differenza dell’ideale eroico proprio della regalità accadica, Gudea si presenta come il “buon pastore” del suo popolo, che guida seguendo criteri divini. Nei cilindri noti come A e B spesso si dà a Gudea il titolo di sipa, “pastore”, secondo il quale il sovrano era obbligato a occuparsi del destino del suo popolo, a preservarlo da ogni tipo di pericolo e a procurargli abbondanza di beni materiali. STATUA DI GUDEA IN PIEDI CON UN VASO ZAMPILLANTE. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

2. IL COMMERCIO

Gudea commerciò con luoghi alcuni dei quali anche molto distanti, come India, Arabia e Cappadocia, e i profitti del commercio furono investiti nell’abbellimento del tempio Eninnu e della città di Girsu. Il legno proveniva in gran parte da Magan (molto probabilmente l’attuale Oman); metalli e pietre arrivavano da Elam (oggi Iran); da Madga (nell’attuale Kirkuk, Iraq) giungeva il bitume. VASO D’ARGENTO DEL RE ENTEMENA DI LAGASH. 2400 A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

del sovrano per la giustizia sociale. In questi testi si dice che per tutta la durata dei lavori al tempio di Eninnu – il principale santuario della città di Girsu, dedicato al dio Ningirsu – nella città regnarono armonia, giustizia e misericordia. Risulta anche che Gudea condonò i debiti ai poveri, si preoccupò del mantenimento di vedove e orfani, liberò gli schiavi dalla servitù economica, introdusse nuovi giorni festivi e celebrò diverse feste. Che queste descrizioni riflettano o meno le azioni del sovrano, è certo che Gudea fu il primo governatore sumero a mettere in risalto e a soffermarsi su questi argomenti, con dettagli che in altri testi successivi non compaiono.

Per costruire l’Eninnu Gudea importò cedri, rame, argento, oro e alabastro BPK / SCALA, FIRENZE

CHIODO DI FONDAZIONE. MUSEI STATALI, BERLINO.

Gudea, però, è noto soprattutto per il suo impegno edificatorio. Non a caso, di tutti i re di Lagash, lui è il solo a essere raffigurato con gli attributi di un architetto. Si conservano oltre sessanta frammenti di stele monumentali e innumerevoli chiodi di fondazione – piccole sculture in argilla o bronzo – con testi che indicano che Gudea fu tra gli ensi sumeri a costruire e restaurare il maggior numero di templi. Due delle iscrizioni più estese, incise su due grandi cilindri di argilla (conosciuti come cilindri A e B), riportano descrizioni architettoniche uniche ed evidenziano una terminologia tecnica così sofisticata che può essere spiegata soltanto con il grande interesse di Gudea per materie di questo tipo.

Il grande progetto di Gudea Tra le iniziative di restauro portate a termine da Gudea spicca quella del complesso di templi della città di Girsu. A metà del III millennio a.C., i re di Lagash erano in guerra costante con il vicino Stato di Umma per il controllo di terre molto estese e produttive,

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

1. IL RE PASTORE

SCALA, FIRENZE

Il governatore di Lagash dedicò gran parte del suo regno a studiare leggi più giuste,


AL SUO POPOLO E AGLI DEI

a commerciare con Paesi lontani e a trovare materiali preziosi per i templi

Si ha testimonianza di una sola azione militare durante il regno di Gudea: la presa della città elamita di Anshan, nell’odierno Iran. Secondo i cilindri A e B, la campagna procurò a Lagash un ricco bottino che fu destinato al tempio Eninnu. È molto probabile che Gudea si sia accordato con i Gutei, l’etnia che dominava Sumer in quel momento, poiché i testi documentano la facilità con cui Gudea si muoveva nel territorio sumero.

Della devozione di Gudea testimoniano i cilindri A e B, nei quali si narra di come l’ensi trascorresse giorni e notti interi assorto in preghiera nell’Eninnu: «Mise sul fuoco il ginepro, la pianta pura della montagna con profumo simile al cedro, fragranza degli dèi, e ne sparse i fumi; passò il giorno intero in suppliche verso di lui [verso il dio Ningirsu], e trascorse la notte lodandolo con orazioni».

LA STELE DEGLI AVVOLTOI. DETTAGLIO CON SOLDATI ARMATI DI LANCE. 2450 A.C. LOUVRE, PARIGI.

e durante il conflitto Lugalzagesi di Umma distrusse una parte della città sacra di Girsu. Ur-Baba, predecessore di Gudea, aveva a suo tempo iniziato dei lavori di rinnovo e ristrutturazione, ma fu proprio Gudea a portare a termine il restauro del complesso. All’interno del grande complesso, l’elemento più importante e quello a cui Gudea dedicò più attenzione era l’Eninnu. Nelle iscrizioni sono messi in risalto l’impegno e lo sforzo del re per ottenere il costoso materiale di costruzione. Bisogna infatti tenere presente che nel sud della Mesopotamia non vi erano legno e pietra per costruzioni, e l’argilla era la materia prima per eccellenza del Paese. Per innalzare e decorare un tempio degno di Ningirsu, Gudea importò cedri dal Libano, bossi e ginepri dai monti Zagros e dal Tauro, legni esotici da Paesi lontani come Magan, Meluhha e Dilmun, negli attuali India e Oman, oltre a rame, argento, oro, alabastro e cornalina. Secondo le iscrizioni, l’Eninnu era costituito da 52 monumenti distinti. Racchiudeva al suo interno il tempio di Ningirsu – il cosiddetto

E. LESSING / ALBUM

4. IL RE DEVOTO

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

3. LA GUERRA

TORO CON TESTA UMANA PROVIENIENTE DA GIRSU. 2140 A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

tempio Aquila Bianca (é-anzu-babbara) – e quello di sua moglie Baba, l’Etarsirsir, termine il cui significato è tuttora sconosciuto. È molto probabile che anche ai suoi figli Igalim e Shulshaga fossero dedicati piccoli templi nel recinto, che, secondo gli archeologi, doveva ricoprire una superficie di circa cinque ettari. Dopo Gudea salì al trono di Lagash suo figlio Ur-Ningirsu, al quale succedette poi il figlio Pirigme. Si ritene che successivamente la città perse la sua posizione egemonica, sicuramente a beneficio di Uruk, che sotto il re Utukhegal dominò tutto il sud della Mesopotamia e riuscì a espellere definitivamente i Gutei, i «draghi della montagna», che per decenni erano stati una terribile minaccia che incombeva dall’alto su tutto il Paese di Sumer. Per saperne di più

SAGGI

La Mesopotamia J.-C. Margueron. Laterza, Roma-Bari, 1993. Mesopotamia Enrico Ascalone. Electa, Milano, 2005. Antico Oriente: storia, società, economia Mario Liverani. Laterza, Roma-Bari, 2009.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

27


LA STAUA DEL RE E IL TEMPIO Su una statua di Gudea è stata identificata una pianta del recinto dell’Eninnu,

sulla cosiddetta Statua B di Gudea, le mani dell’ensi si intrecciano sul ventre in un tipico gesto di preghiera.

ERICH LESSING / ALBUM

ERICH LESSING / ALBUM

l’ensi indossa una toga a forma di manto che lascia scoperta la spalla destra e forma delle pieghe sotto l’ascella destra.

IL RE ARCHITETTO

il braccio mostra una muscolatura forte; l’iscrizione sulla spalla destra recita: «Gudea, ensi di Lagash».

28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

la veste è ricoperta da una lunga iscrizione nella quale è menzionata la costruzione del tempio Eninnu.

la statua è realizzata in diorite proveniente da Magan (forse l’Oman), considerata una pietra di valore considerevole.

Nella tradizione mesopotamica sovente il sovrano era stato rappresentato come costruttore e restauratore dei templi del suo regno. Con Gudea, però, il re non è più un semplice personaggio che aiuta a trasportare il materiale da costruzione reggendo una cesta sul capo, bensì il promotore e realizzatore del progetto. Nel caso dell’Eninnu, il tempio del dio Ningirsu nella città di Girsu, Gudea è colui che ha avuto l’idea, ha progettato il tempio e lo costruisce. È l’architetto. Questo è ciò che affermano le numerose iscrizioni sulle sue statue di diorite che l’ensi fa erigere all’interno del complesso e che hanno la funzione di elemento propagandistico del lavoro di costruzione di Gudea. STATUA ACEFALA DI GUDEA IN DIORITE, RICOPERTA DI ISCRIZIONI E CON UNA PIANTA DEL TEMPIO ENINNU SUL GREMBO. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.


DEL DIO DELLA GUERRA

il santuario dedicato a Ningirsu che il sovrano ordinò di restaurare

La tavola che compare sul grembo della Statua B di Gudea riproduce probabilmente la pianta del recinto dell’Eninnu. Grazie ai testi sumeri conosciamo i nomi di alcuni elementi di questo santuario. All’ingresso sud si trovava la Porta delle armi, fiancheggiata da due statue – l’Eroe con sette teste di cervo e la Montagna Sinyar– collegate a due episodi della vita di Ningirsu. A nord si innalzava invece il tempio di Baba, consorte divina di Ningirsu, con un atrio chiamato Luogo in cui il cuore trova la pace. La pianta mostra dunque l’ispirazione divina dell’architetto Gudea, che riunisce in un solo edificio la guerra e la pace, incarnate nelle divinità Ningirsu e Baba. CILINDRO A DI GUDEA CHE PARLA DELLA COSTRUZIONE DEL TEMPIO ENINNU A GIRSU. IL DIO NINGIRSU APPARE IN SOGNO A GUDEA E LO INCARICA DELL’EDIFICAZIONE DEL SANTUARIO. LOUVRE.

ERICH LESSING / ALBUM

IL RECINTO DELL’ENINNU

«Il mio tempio, il tempio principale di tutti i paesi, il “braccio destro” di Lagash, [che come] Imdugud [creatura mitologica metà uomo e metà uccello] lancia grida sull’orizzonte, Eninnu, il tempio della mia regalità, buon pastore Gudea, il giorno in cui con fede porrai mano [a esso] farò levare un vento umido che dall’alto porti abbondanza [...] Con la fondazione del mio tempio giungerà l’abbondanza!». parole del dio ningirsu. colonna xi del cilindro a di gudea

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

29


LA MACCHINA A VAPORE DEI GRECI

Davanti ai saggi di Alessandria, Erone mostra il funzionamento del piÚ emblematico dei suoi meccanismi, l’eolipila, una sfera cava che roteava grazie al vapore che saliva dal recipiente sottostante. Incisione del XX secolo.


GLI AUTOMI DELL’ANTICHITÀ

INVENTORI GRECI Tra il III sec. a.C e il I sec. d.C. ad Alessandria nacque una scuola di scienziati che crearono macchine sofisticate e persino automi che imitavano i movimenti degli esseri viventi. Ctesibio ed Erone furono i più celebri di questi inventori PALOMA ORTIZ

SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA


TEMPIO DELLA CONCORDIA

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In Sicilia lavorò uno dei massimi scienziati e inventori della Grecia antica, Archimede, inventore di macchine che sfruttano i principi delle leve.

i è soliti dire che i greci mostravano un certo disprezzo per le materie tecniche, ma in realtà questo era l’atteggiamento di una minoranza intellettuale, non della generalità: l’abilità manuale e il lavoro specializzato erano in genere molto apprezzati. Una categoria di inventori chiamati prôtoi heuretaí, “primi scopritori”, godevano di molta stima, al punto che alcuni di essi, come Apollo, l’inventore della lira, erano considerati divini. il III secolo a.C. conciliò la dedizione alla matematica teorica e l’ingegneria, come fecero molti dei grandi inventori greci. Ad Archita si attribuiva, oltre all’invenzione della vite, quella di una colomba di legno sostenuta da contrappesi che si muoveva grazie all’aria contenuta al suo interno e poteva volare.

Il secolo delle invenzioni Senza dubbio, il III secolo a.C. fu il “secolo d’oro delle invenzioni” greche. Archimede, il grande matematico di Siracusa, ideò sistemi di pulegge per spostare grandi carichi, la famosa vite che prende il suo nome – che permetteva di portare in superficie l’acqua accumulata sul fondo delle miniere – e numerose macchine da guerra, tra cui potenti catapulte. Ad Alessandria, Ctesibio costruì il primo organo idraulico e il primo orologio ad acqua preciso, e fu anche il primo a sfruttare la forza della pressione dell’aria e dell’acqua nei suoi meccanismi, facendo così i primi passi nello sviluppo dell’idraulica. Sue furono probabilmente molte delle idee sviluppate dal suo discepolo Filone di Bisanzio e, in seguito, da Erone di Alessandria nel I secolo d.C. Non è un caso che Ctesibio, Filone ed Erone abbiano svolto la loro attività ad Alessandria d’Egitto. Sin dalla sua fondazione nel 332 a.C., da parte di Alessandro Magno, la città fu la

LOREMUS

Archimede, Ctesibio e Filone furono fra i più geniali inventori della Grecia antica AL

BU

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ARCHIMEDE. MEDAGLIONE CON IL PROFILO DEL GRANDE MATEMATICO. MUSEI CAPITOLINI, ROMA. O RO

Z/ NO

NEIL FARRIN / AWL IMAGES

Ai greci si deve l’invenzione di un gran numero di tecniche e macchine. La maggior parte era di uso pratico e veniva utilizzata nell’edilizia, nella carpenteria, nella navigazione o in guerra. Molte di esse erano davvero complesse: comprendevano leve, ruote, assi, pulegge e persino viti, e non si azionavano solo tramite la forza umana o animale, ma anche sfruttando l’energia idraulica e l’aria compressa. Forse, però, la massima espressione dell’inventiva greca si riscontra in alcuni dispositivi che non avevano una precisa funzione pratica, progettati più che altro per stupire gli spettatori con la loro capacità di muoversi da soli e imitare le azioni di un essere vivente: gli automi. L’interesse dei greci per questo tipo di meccanismi risale molto indietro nel tempo; già Omero, per esempio, nell’Iliade parla degli automi creati da Efesto, il dio del fuoco e delle fucine. Sappiamo anche che esistevano opere che si occupavano di questa materia, ma quasi tutte sono andate perdute, e oggi possiamo conoscere i traguardi degli inventori più antichi soltanto attraverso aneddoti che si narrano su di essi. È il caso del primo inventore documentato, il pitagorico Archita di Taranto, che tra il IV e


C R O N O LO G I A

GENI DELLA TECNICA Inizi IV sec. a.C. Fonti antiche attribuiscono al pitagorico Archita di Taranto l’invenzione della vite e la creazione della meccanica.

III sec. a.C. Ctesibio di Alessandria è il primo a impiegare la forza della pressione dell’aria e dell’acqua. È considerato l’inventore dell’idraulica.

Metà III sec. a.C. Filone di Bisanzio descrive il funzionamento del mulino ad acqua in un corposo trattato di meccanica.

Fine III sec. a.C. Archimede di Siracusa è considerato uno dei più importanti inventori greci. Gli si attribuiscono vari dispositivi meccanici.

I sec. d.C.

LEEMAGE / PRISMA

Ad Alessandria Erone scrive numerosi trattati scientifici e tecnici che contengono anche modelli di macchine.

COPERTINA DEL TRATTATO SUGLI AUTOMI DI ERONE DI ALESSANDRIA. 1589.


LA COLOMBA DI ARCHITA

L’incisione contenuta nell’opera Mundus subterraneus, di Athanasius Kircher, mostra il volo della colomba di legno di Archita di Taranto. XVII secolo. LA MORTE DI TALOS

grande capitale culturale del Mediterraneo e attrasse un gran numero di studiosi che lavorarono nella sua biblioteca e nel suo museo. L’ambiente alessandrino promosse l’interesse di questi scienziati per lo sviluppo degli automi. Molti furono creati per le celebrazioni pubbliche, con l’obiettivo di intrattenere, sorprendere e, allo stesso tempo, dimostrare il potere e la ricchezza dei governanti che organizzavano gli eventi.

Alessandria, la meta dei saggi

DEA / AGE FOTOSTOCK

Demetrio Falereo era un politico e filosofo ateniese che si trasferì ad Alessandria all’inizio del III secolo a.C. Qui si dedicò, tra le altre cose, a organizzare parate in cui «una macchina fatta a chiocciola per forza di certi ingegni gli andava innanzi nella processione, sputando saliva», come narra lo storico Polibio (secondo alcuni sputava acqua profumata). Il re Tolomeo II Filadelfo, dal canto suo, organizzò ad Alessandria una grande processione dionisiaca a cui, come ri-

porta Ateneo in Deipnosofisti, presero parte cortei di sileni, satiri, vittorie con ali d’oro, bambini che spargevano incenso e mirra, baccanti e un automa che rappresentava Nisa, la ninfa che allattò Dioniso, seduta su un carro. La figura, alta circa due metri, era «vestita con una tunica gialla ornata con lustrini d’oro, ed era avvolta in uno scialle laconico. Si alzava automaticamente, senza che nessuno la manovrasse, e, dopo aver versato una libagione di latte da un’ampolla d’oro, si sedeva di nuovo. Essa teneva nella mano sinistra un bastone bacchico avvolto da fasce. Nisa indossava inoltre una corona di foglie d’edera d’oro e un ricchissimo grappolo di gioielli». Come molti altri studiosi, Ctesibio ideò anche dispositivi meccanici destinati agli spettacoli pubblici. Più precisamente, gli sono attribuiti un rhyton – un vaso rituale per le libagioni – che rappresentava il dio egizio Bes e che quando il vino veniva versato emetteva un suono simile a uno squillo di tromba. Gli era stato commissionato dal navarca Callicrate di Samo, appartenente al circolo tolemaico, ed era depositato come offerta nel tempio

Ctesibio creò un rhyton che rappresentava il dio Bes e suonava come una tromba RHYTON A FORMA DI TESTA DI ARIETE. V SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, FERRARA.

ORONOZ / ALBUM

LEEMAGE / PRISMA

La scena sul cratere attico a volute raffigura Medea che assiste alla morte del gigante di bronzo Talos, soggiogato da Castore e Polluce.


TALOS DI CRETA

GLI AUTOMI NELLA MITOLOGIA I riferimenti più antichi agli automi provengono dalla mitologia: nell’Iliade. Omero narra di come Efesto esca dalla sua fucina zoppicando, mentre «due ancelle si affaticavano a sostenere il signore, auree, simili a fanciulle vive; avevano mente nel petto e avevano voce, e forza, sapevano l’opere per dono dei numi immortali».

Un’altra figura mitologica dalle caratteristiche simili è Talos, l’ultimo degli uomini di bronzo, un gigante che vigilava su Creta affinché in essa non entrassero stranieri e non ne uscissero i nativi senza il permesso di Minosse. Quando sorprendeva qualcuno che disobbediva, lo stringeva al suo corpo metallico e si gettava nel fuoco con il prigioniero. Invulnerabile, aveva un unico punto debole, la caviglia, dove si trovava una vena.

Quando Giasone e gli Argonauti fecero ritorno in Grecia dopo aver conquistato il vello d’oro nella Colchide, Talos, scagliando delle enormi rocce, impedì loro di attraccare a Creta. Nelle Argonautiche, Apollonio Rodio narra che Medea fece impazzire Talos; il gigante si ferì la caviglia, morendo per la fuoriuscita del sangue.


LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA

AKG / ALBUM

di Arsinoe-Afrodite, nei pressi di Alessandria. Tuttavia, colui che ha lasciato il maggior numero di queste invenzioni spettacolari è Erone di Alessandria, che è stato considerato l’inventore per eccellenza della storia greca.

Le creazioni di Erone Non abbiamo molte informazioni sulla vita di Erone. Sappiamo soltanto che nacque ad Alessandria e che in alcuni manoscritti era soprannominato mechanikós, termine che indicava persone argute, ingegnose o abili nell’inventare o costruire strumenti per uno scopo preciso. Anche il periodo in cui visse è stato a lungo oggetto di dibattiti, ma oggi gli studiosi lo collocano in modo praticamente unanime attorno alla metà del I secolo d.C. Matematico e ingegnere, come i suoi predecessori, Erone non fu un grande creatore. Egli stesso riconosceva il suo debito verso chi l’aveva preceduto, poiché nel prologo della sua

Per secoli i più grandi saggi giunsero nella città egiziana fondata da Alessandro Magno. L’incisione raffigura la sua biblioteca nel III secolo a.C.

Pneumatica afferma di scrivere per mettere in ordine ciò che è stato trasmesso dagli antichi e per aggiungere le scoperte della sua epoca. Scrisse trattati su strumenti di carattere pratico, come quello dedicato alla diottra – uno strumento che si utilizzava per misurare distanze angolari in topografia e in astronomia – o alla costruzione di macchine da tiro. Tuttavia, oggi si ricordano maggiormente quelli dedicati alla pneumatica e alla costruzione di automi, nei quali sono descritti numerosi meccanismi ideati da Erone o da lui perfezionati lavorando su modelli precedenti. Molti di questi congegni intendevano suscitare sorpresa e stupore, quindi Erone poneva molta cura nel nascondere il meccanismo. Già Aristotele, nella sua Meccanica, diceva che «gli artigiani […] costruiscono uno strumento nascondendo il principio su cui il meccanismo si basa, in modo che sia visibile solo quella parte del congegno che suscita meraviglia, ma ne sia nascosta la causa». Erone era ben consapevole dell’importanza dell’effetto sorpresa. In uno dei suoi trattati, infatti, scrive che sia negli automi fissi sia in

altare. incisione. meccanismo

per l’apertura automatica delle porte di un tempio. incisione

ORONOZ / ALBUM

Gli automi di Erone dovevano suscitare sorpresa e meraviglia negli spettatori

da spiritalia.

edizione del xvi

secolo. eolipila. ricostruzione della macchina a vapore di erone. museo della scienza, londra.

PAGINA DEL TRATTATO DI ERONE SULLA PNEUMATICA. BIBLIOTECA DEL MONASTERO DELL’ESCORIAL.


LE MACCHINE DI ERONE

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

A Erone di Alessandria si deve l’invenzione dell’eolipila, descritta nella sua opera Pneumatica, una rudimentale turbina che sfruttava l’energia del vapore. Altri apparecchi, come il sistema di apertura delle porte di un tempio, erano azionati dalla pressione dell’acqua e dell’aria attraverso un sofisticato sistema di serbatoi e tubi. L’ALTARE

Mediante il calore prodotto dal fuoco alla base dell’altare e la maggior pressione dell’aria, le statue di Iside e Osiride versano del latte su una pedana e i serpenti attorcigliati sibilano.

L’EOLIPILA

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Era formata da un recipiente di metallo pieno d’acqua, sopra il quale era montata una sfera cava. Il fuoco riscaldava l’acqua, e l’aria calda, attraverso due tubi, saliva nella sfera, che roteava grazie alle due valvole ricurve sui lati, da cui sfiatava il vapore.

LE PORTE DEL TEMPIO

Questo meccanismo mostrava agli spettatori le porte del tempio – un modellino – che si aprivano e si chiudevano come per magia.

1 Il fuoco riscalda l’aria del

recipiente quadrato, che passa nella sfera sottostante.

LEEMAGE / PRISMA

3 Il peso del secchio pieno d’acqua fa girare i perni delle porte, che si aprono.

2 Per la pressione dell’aria, l’acqua nella parte inferiore della sfera fluisce nel secchio.


IL GRANDE EUCLIDE

SCALA, FIRENZE

Giocattoli sofisticati Alcuni ricercatori ritengono che tutte le invenzioni di Erone avessero una funzione religiosa, ma il rhyton dal quale sgorgava ora acqua, ora vino sembra un oggetto scherzoso e lontano da impieghi devozionali, e dover pagare l’acqua delle abluzioni rasenta l’irriverenza. Quanto alle“porte automatiche”dei templi, è impensabile che il meccanismo fosse pensato per porte ed edifici autentici; Erone, 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

infatti, non parla di “templi” (naoí), bensì di “modellini di templi” o “tempietti” (naískoi). Sembra più esatto pensare che gli oggetti di cui Erone descrive la costruzione fossero fatti su imitazione dei grandi automi che comparivano negli eventi pubblici organizzati dai governanti: erano commissionati dagli appartenenti alle classi più agiate, che ne facevano sfoggio davanti ai loro invitati in occasione dei banchetti. Poiché soltanto gruppi ristretti di persone potevano ammirarli, gli automi non dovevano essere grandi e potevano essere meccanismi delicati e di dimensioni contenute. Così come i grandi automi delle parate ufficiali, dovevano suscitare meraviglia negli spettatori e mettere in risalto la ricchezza del padrone di casa. In un certo senso, quindi, erano giocattoli, ma giocattoli estremamente sofisticati, emblematici dello straordinario livello raggiunto dai greci nel campo della meccanica, dell’idraulica e dell’artigianato di precisione. automa di erone.

incisione dall’opera spiritalia. edizione

Per saperne di più

SAGGI

Storia della scienza greca Benjamin Farrington. Mondadori, Milano, 1964. Archimede, il grande pensatore di Siracusa Storica NG, n.º 66. TESTI

De automatis http://gutenberg.beic.it

del xvi secolo.

organo idraulico. incisione del xix

secolo. distributore di acqua. incisione del xix secolo.

mary evans picture library. teatro

LOREMUS

quelli che si muovono le misure devono essere necessariamente quelle indicate, poiché se sono maggiori potrebbe nascere il sospetto che all’interno dell’automa vi sia qualcuno che muove il meccanismo. Tra i suoi progetti troviamo rhyton“magici” dai quali sgorga acqua, vino o una miscela di entrambi; uccelli che cinguettano quando si accingono a bere, o anfore che “cantano” quando vengono riempite. Erone ideò anche un metodo per far sì che all’apertura della porta di un tempio suonasse una tromba, e un sistema di apertura automatica delle porte di un tempio quando il sacerdote accendeva il fuoco su un altare per celebrare un sacrificio; quando il fuoco si spegneva, le porte si chiudevano. Progettò persino una specie di “macchina mangiasoldi”: un recipiente da cui sgorgava l’acqua per le abluzioni quando vi si introduceva una moneta.

Il matematico intento a spiegare le sue teorie ai discepoli. Dettaglio della Scuola di Atene, di Raffaello. Musei Vaticani.

meccanico. incisione.


Erone ideò diversi congegni che si servivano della pressione idraulica e della fisica dei gravi per produrre effetti sorprendenti, come teatri automatici o draghi che sibilavano.

MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK

MECCANISMI MAGICI

LEEMAGE / PRISMA

LA MACCHINA A MONETE

Pensato per distribuire acqua, il dispositivo si azionava introducendo una moneta nella fessura. La moneta cadeva su un piattino collegato a una leva che, muovendosi, apriva una valvola che faceva uscire l’acqua.

ERCOLE E IL DRAGO

Le figure erano collocate su un piedistallo diviso in due parti separate da un tappo: quella sopra conteneva acqua e quella sotto aria. Tra Ercole e il drago vi era la figurina di una mela: quando il padrone di casa suggeriva a uno dei suoi ospiti di sollevare la mela, il meccanismo faceva sì che Ercole scagliasse la freccia, e in quel momento il drago emetteva un sibilo, come se la freccia l’avesse raggiunto e ferito. ORGANO IDRAULICO

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

Anche se pare sia un’invenzione di Ctesibio, Erone lo descrive nei dettagli nel suo Pneumatica. Si usava un flauto di Pan come modello delle canne, unito a una tastiera. Si pompava l’aria all’interno di un contenitore perforato (pnigeus) collegato a una cisterna colma d’acqua, la cui pressione spingeva l’aria nelle canne. La pressione dell’acqua era mantenuta costante.

TEATRO MECCANICO

Questo teatro mobile con automi (ve ne erano anche di fissi) metteva in scena una figura di Dioniso che usciva dal tempietto, prendeva il fuoco dall’altare del sacrificio e versava una libagione. A un certo momento le figurine delle baccanti iniziavano a danzare attorno a lui e si sentiva il suono di tamburi e cembali. IMAGEBROKER / AGE FOTOSTOCK


AUTOMI ANTICHI E MODERNI

AUTOMA CREATO DA AL-JAZARI. MINIATURA EGIZIA. 1354.

TEATRO DI AUTOMI CREATO DA ERONE DI ALESSANDRIA. DETTAGLIO. INCISIONE DEL XIX SECOLO.

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Nel tempo, i disegni dei saggi di Alessandria avrebbero ispirato altri inventori, tesi a realizzare l’antico sogno di costruire un uomo artificiale. I progetti di Al-Jazari, Leonardo o Vaucanson furono pionieristici nel campo degli automi. 1206 circa

L’AUTOMA CAMERIERE

L’inventore arabo al-Jazari descrisse nel suo Libro della conoscenza dei meccanismi ingegnosi numerosi congegni meccanici, ispirati in parte ai testi dell’antica Grecia. Egli stesso inventò orologi, apparecchi per lavarsi le mani, automi musicali. Una delle sue creazioni più famose era un cameriere meccanico che serviva bevande.

1230 circa

L’AQUILA MECCANICA

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Nel suo Livre de portraiture, il francese Villard de Honnecourt realizzò alcuni disegni che dimostravano il suo interesse per le curiosità tecniche. Uno di essi raffigura un leggio decorato con un’aquila meccanica, al cui interno un sistema di corde e pulegge faceva muovere la testa dell’aquila. Il meccanismo si azionava tirando una cordicella che usciva dalla coda.

Le opere di Erone di Alessandria ebbero un’influenza diretta sul gusto per gli automi che fiorì nel Rinascimento. Nel XVIII secolo, il suo teatro di Nauplio fu ricreato a Vienna ed esposto alla corte dell’imperatore a Schönbrunn.

L’AQUILA MECCANICA. DETTAGLIO DI UN DISEGNO DI VILLARD DE HONNECOURT. XIII SECOLO.

GRANGER COLLECTION / AGE FOTOSTOCK


RICOSTRUZIONE DELL’AUTOMA DI LEONARDO. MUSEO DI HANGZHOU.

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

INCISIONE DI UNA SEZIONE DELL’ANATRA MECCANICA DI VAUCANSON.

1495 circa

1738

Questo automa fu disegnato da Leonardo da Vinci. Non sappiamo se il genio fiorentino riuscì a fabbricarlo; recentemente è stato ricostruito a partire dai suoi scritti e si è dimostrato che poteva funzionare. L’automa era un cavaliere con armatura che poteva sedersi e muovere le braccia, le gambe, il collo e la mandibola.

Jacques de Vaucanson creò nel 1738 un’anatra che mangiava e digeriva. Era in rame dorato, composta da oltre 400 pezzi. L’animale piegava le zampe, inghiottiva il cibo e lo espelleva. Nel 1845 si scoprì come funzionava: in uno scomparto segreto, una pappetta verde simulava l’alimento digerito, mentre il cibo si fermava in un altro serbatoio. Nel 1889 fu distrutta in un incendio.

L’ANATRA DIGERITRICE

E. LESSING / ALBUM

IL MONACO AUTOMATICO

Attribuita a Juanelo Turriano (Gianello Torriani), inventore di origini italiane stabilitosi a Toledo, questa figura del monaco miracoloso san Diego de Alcalá, alta 38 cm, era fatta di ferro e legno, e fu creata attorno al 1560. L’automa era in grado di camminare, battersi il petto, alzare la croce e pregare in silenzio. Al suo interno si nascondono sofisticati meccanismi di orologeria.

L’AUTOMA MONACO DI JUANELO TURRIANO (A SINISTRA) E LA SUA VESTE (A DESTRA). SMITHSONIAN MUSEUM, WASHINGTON.

1774

LO SCRIVANO

L’orologiaio svizzero Pierre Jacquet-Droz fu un celebre fabbricante di automi. Creò tre figure che fecero sensazione nelle corti europee: la pianista, il disegnatore e lo scrivano. Quest’ultimo, che richiese quasi sei anni di lavoro e circa 6000 pezzi progettati appositamente, è il più interessante, perché programmabile: intinge la penna nel calamaio, scrolla il pennino e scrive dei testi a scelta di 40 caratteri sul foglio che si muove.

LO SCRIVANO. AUTOMA CREATO DA JACQUET-DROZ NEL XVIII SECOLO. MUSEO D’ARTE E STORIA, NEUCHÂTEL.

BRIDGEMAN / ACI

1560 circa

AFP CHINA XTRA

L’UMANOIDE DI LEONARDO


LA GRANDE MINIERA IN SPAGNA

L’ORO DI ROMA QUANDO, AI TEMPI DI AUGUSTO, ROMA DECISE DI CONIARE REGOLARMENTE MONETE D’ORO, SFRUTTÒ UNA DELLE PRINCIPALI MINIERE DELL’IMPERO NEL NORD DELLA SPAGNA, UTILIZZANDO L’ACQUA COME DINAMITE FRANCISCO JAVIER SÁNCHEZ-PALENCIA ALMUDENA OREJAS ISTITUTO DI STORIA (CONSIGLIO SUPERIORE DELLE RICERCHE SCIENTIFICHE)

L

e prime monete d’oro furono coniate dai romani intorno al 250 a.C. nella regione campana. Nel I sec. a.C. fu introdotto l’aureo, che però fu battuto molto raramente, solitamente in seguito ai ricchi bottini conquistati nelle campagne militari. D’altra parte per tutta la Repubblica non c’era necessità di coniare monete preziose e celebrative di un sovrano o imperatore. Non a caso, solo con Giulio Cesare l’aureo fu emesso regolarmente. Con il Principato di Augusto, però, l’oro ebbe un valore aggiunto: le monete auree costituivano un eccezionale strumento di propaganda, al quale avevano già fatto ricorso alcuni sovrani dei regni ellenistici, a iniziare da Alessandro Magno, che impose la dracma (non aurea) con la sua effigie come moneta unica, e propagandistica, in tutto il suo Impero. Il peso dell’aureo romano e la percentuale dell’oro impiegato per il conio sarebbero stati però ripetutamente modificati con il passare del tempo.


LE GALLERIE DI ORELLÁN

Questo fu l’ultimo luogo in cui la montagna venne demolita per estrarre l’oro dalle sue viscere. Dalle gallerie di Orellán fu introdotta l’acqua che, nell’ultima fase servì per estrarre due milioni di tonnellate di sedimenti auriferi. JERÓNIMO ALBA / AGE FOTOSTOCK


L’ORO DEI FIUMI C R O N O LO G I A

Tra la guerra e l’oro

L’estrazione con il bacile non lascia tracce, ma la facilità di utilizzo fa pensare che il metodo sia stato impiegato dove le condizioni erano adeguate: i meandri e le anse dei fiumi, soprattutto durante l’estate, quando la corrente è meno forte e lascia in secca parte dell’alveo.

100 A.C.

Autori come Posidonio o Polibio menzionano per la prima volta il nord-ovest della Spagna, le cui genti sfruttano l’oro dei fiumi.

26-25 A.C.

Inizio delle guerre cantabriche. Nel 19 a.C. le campagne di Augusto si chiudono con la sottomissione delle popolazioni settentrionali.

20-30 A.C.

In questo decennio l’industria mineraria romana è già avviata in gran parte del nord-ovest della penisola, compresa la Hispania citerior. DISEGNO: FERNANDO DAGNINO; PACO SILES

78 D.C.

Inizio della costruzione della Via Nova che attraversava varie zone minerarie importanti del nord tra Astorga e Braga.

106 D.C.

Traiano conquista la Dacia: viene annessa all’Impero un’altra ricca zona aurifera a nord del Danubio, in Transilvania.

Questa moneta rinnovata ebbe lunga vita come immagine del potere di Roma e dei suoi imperatori. Il suo conio richiedeva una grande quantità d’oro, e una delle fonti più importanti di questo metallo si trovava a Las Médulas, nell’attuale provincia di León (nella Spagna nordoccidentale).

DUEMILA ANNI CON IL BACILE

Nel XIX secolo, le cercatrici d’oro sul fiume Sil, che usavano il bacile, riuscivano a estrarre, molto vicino a Las Médulas, fra i 12 e i 150 grammi d’oro all’anno.

Alla ricerca del metallo dorato

138-191 D.C.

J. S.-PALENCIA

Tra le due date, varie iscrizioni testimoniano la presenza di unità militari e procuratores nelle aree minerarie di León.

211-217 A.C.

Governo di Caracalla. Durante questo periodo cessa l’attività la maggior parte delle miniere d’oro del nord-ovest spagnolo.

44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BACILE DI PUMARES (OURENSE), IN LEGNO DI CASTAGNO. XIX SECOLO.

Il geografo greco Strabone è il primo autore classico a descrivere in dettaglio le miniere spagnole, ma la prima cronaca legata direttamente a Las Médulas è quella che Plinio il Vecchio inserì nella sua Naturalis historia. Plinio fu procuratore nella Hispania citerior sotto l’imperatore Vespasiano (69-79 d.C.), quando questa provincia si estendeva dal Levante a Finisterre. Per questo motivo, Plinio conobbe l’industria mineraria aurifera che si svolgeva in Lusitania, in Galizia e, soprattutto, nella zona che aveva come capitale l’odierna Astorga, la più produttiva. Secondo Plinio, l’insieme di questi territori del nord-ovest


LAS MÉDULAS PRIMA DI ROMA La popolazione indigena viveva in villaggi fortificati che in epoca romana sarebbero stati chiamati castra. In essi risiedevano comunità contadine autosufficienti, che sfruttavano le risorse dell’ambiente; l’estrazione artigianale dell’oro è in accordo con questo tipo di economia, e il metallo prezioso era usato solo per creare oggetti e monili a uso personale. I VILLAGGI PREROMANI

Erano insediamenti fortificati e situati in luoghi elevati. Lo sfruttamento del territorio circostante si riduceva alla coltivazione di alcune terre non irrigate e a pascoli e orti situati presso ruscelli e fonti. Tutte le abitazioni avevano più o meno le stesse dimensioni, e i resti rinvenuti indicano che anche gli stili di vita, le attività e i beni posseduti erano molto simili. Abitazione di El Castrelín (San Juan de Paluezas). Questo villaggio, circondato da mura e da un fossato, aveva dai 100 ai 150 abitanti fra il III e il I secolo a.C. DISEGNO: MªD. FDEZ.-POSSE; J. SCHEZ.-PALENCIA

passo del lavoro di prospezione era trovare l’aurum tallutium, ovvero l’oro che si estrae dagli strati più superficiali della terra. Una volta scoperto il giacimento, iniziava il suo sfruttamento, che in genere avveniva mediante un sistema simile a quello usato ai giorni nostri per i giacimenti auriferi di questo tipo. Strabone lo chiamò crisoplisia o lavaggio dell’oro, e Plinio lo descrive usando il nome di aurum arrugiae («Queste escavazioni si chiamano arrugie»), cioè l’oro ottenuto mediante la forza idraulica.

L’EDITTO IMPERIALE

È un testo di Augusto che riguarda l’ordinamento territoriale e fiscale delle comunità della zona e le esenzioni fiscali con cui venne premiata la loro fedeltà. Anno 15 a.C.

L’acqua, il motore della miniera L’acqua veniva immagazzinata in depositi scavati nei punti più alti, da dove la si faceva scorrere tramite canali per condurre le diverse fasi del processo minerario: trascinare i sedimenti auriferi, lavarli e portare fuori dalla miniera gli sterili o residui solidi. La prima operazione, dunque, era abbattere e scomporre il conglomerato o massa aurifera, ovvero il minerale che conteneva

J. S.-PALENCIA

della Spagna forniva ogni anno all’erario pubblico 20.000 libbre d’oro, equivalenti a 5.460 chilogrammi di metallo. Nella sua opera, Plinio elenca tre metodi per ottenere l’oro. Il più semplice da reperire era l’aurum fluminum, presente nei sedimenti trasportati dai fiumi. Per trovarlo, si setacciava la sabbia con un bacile, separando il concentrato aurifero. Non deve sorprendere che, riferendosi a questo metodo, Plinio menzioni il Tago, che nell’antichità era il fiume aurifero spagnolo per eccellenza. In effetti, setacciare la sabbia aurifera fluviale faceva parte dei lavori di prospezione dei romani, dal momento che era il primo che si svolgeva per valutare la ricchezza aurifera di una zona: risalendo il fiume, infatti, si possono localizzare i punti dai quali l’erosione dell’acqua ha trascinato via i materiali che contengono l’oro. Nel caso di Las Médulas, questa prospezione dovette essere svolta seguendo il corso del fiume Sil, la cui vallata è fiancheggiata dalle attività minerarie romane più a valle della grande miniera. Il secondo


l’oro. A questo scopo si utilizzavano diversi procedimenti, a seconda delle condizioni geologiche della miniera. In tal senso, a Las Médulas si distinguono due grandi facies o strati auriferi. La facies Las Médulas, quella superiore, con uno spessore di 100 metri, aveva un contenuto d’oro molto basso: 0,02 grammi per metro cubo. La facies Santalla, al di sotto della precedente e spessa fino a 30 metri, in alcuni punti conteneva uno o due grammi d’oro per metro cubo. L’obiettivo principale degli antichi minatori era la facies Santalla, la più ricca d’oro. Per erodere e spianare il conglomerato scavavano solchi giganti che convergevano in un punto in cui si collocava il canale di lavaggio. Quando lo spessore del conglomerato era maggiore e si doveva rimuovere più terra perché la percentuale della facies Las Médulas era alta, si utilizzavano sistemi di sfruttamento estensivi, scavando grandi fossati o canali profondi oltre dieci metri, a guisa di fosse artificiali, 46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA MONETA IMPERIALE

L’aureo, coniato da Augusto, autore di una riforma monetaria, era costituito da 8,18 grammi d’oro. Equivaleva a 25 denari d’argento e a 100 sesterzi di bronzo.

ALBUM

per estrarre il conglomerato in un sol colpo facendo entrare l’acqua da una certa altezza e determinando così la fuoriuscita del fango aurifero verso i canali di lavaggio, situati alla fine di ciascun fossato. Prima che il fango trascinato dall’acqua giungesse alle vasche di lavaggio, si asportavano i ciottoli più grossi, che gli operai depositavano in mucchietti allineati lungo gli scavi, nelle zone già sfruttate. Queste pile di pietre sono visibili ancora oggi nel paesaggio. In questo modo, liberata dagli elementi di volume maggiore, la valanga raggiungeva i canaloni di legno sul cui fondo si depositava l’oro, che pesava più del fango al quale si trovava mescolato. Per favorire il processo di lavaggio, nei bacini venivano collocati degli ostacoli, per provocare turbolenze e far sì che i materiali più pesanti si depositassero più facilmente sul fondo. A tale scopo probabilmente si usavano i rami di erica (ulex) a cui si riferisce Plinio, e che rendevano più facile trattenere


ALBRECHT WEISSER / AGE FOTOSTOCK

IL FRONTE DI ABBATTIMENTO

Le successive operazioni di ruina montium sono responsabili della particolare forma assunta dal fronte della miniera. Ogni cavità è il risultato di un abbattimento.

INTERNO DELLE GALLERIE DEL MIRADOR DE ORELLÁN, DA DOVE SI INTRODUCEVA L’ACQUA.

NEL SOTTOSUOLO

J. S.-PALENCIA

PLINIO IL VECCHIO, nella sua Naturalis historia, descrive lo scavo delle

le più piccole particelle d’oro; dopo di che i rami venivano bruciati e le ceneri lavate per separarle dal metallo. I rami di questo arbusto non furono però il solo mezzo utilizzato per trattenere l’oro; a quanto sembra, si fece ricorso anche al mercurio. In epoca romana si conosceva già la sua proprietà di amalgamazione con l’oro: il mercurio attrae questo metallo, con il quale forma in modo naturale una lega, o amalgama; le fonti, tuttavia, non parlano mai del suo uso nell’industria mineraria. Secondo ricerche recenti, però, nei punti in cui l’estrazione d’oro era più selettiva, come nel caso della facies Santalla, probabilmente nei pozzi di lavaggio fu usato il mercurio per trattenere più oro.

L’abbattimento delle montagne Un altro procedimento, più drastico e invasivo, per ottenere l’oro, era una tecnica che permetteva di rimuovere maggiori quantità di terra in una sola volta: la ruina montium, la “frana dei monti” cui si riferisce Plinio. Venne utilizzato soltanto dove lo spessore del

gallerie per la ruina montium: «C’è un terreno di un certo tipo di argilla mista con ghiaia, la chiamano gangadia, quasi inespugnabile [un conglomerato come quello di Las Médulas]. L’aggrediscono con cunei di ferro e con gli stessi martelli e niente ritengono più duro, se non che fra tutte le cose la più dura è la fame dell’oro».

conglomerato era di varie decine o addirittura di centinaia di metri, come nel caso dell’ultima operazione di questo tipo, della quale fu teatro la zona del Mirador de Orellán. La massa da abbattere era minata scavando pozzi e gallerie senza sbocchi esterni, nei quali veniva poi introdotta acqua fino a saturare la base del conglomerato, che diventava instabile. A quel punto era sufficiente fare entrare di colpo un’enorme massa d’acqua nella rete di pozzi e gallerie affinché la compressione permettesse di far crollare tutto il complesso, producendo, per usare le parole di Plinio, «un fragore che non può essere immaginato dalla mente umana, ugualmente anche con

MINATORI SPAGNOLI

Vi erano altre tre zone minerarie: la Sierra Morena per rame, argento e piombo; il sudest per argento e piombo e il sudovest per rame e argento. Minatori in un rilievo di Palazuelos (Jaén).

La parte di montagna che si voleva abbattere veniva crivellata di pozzi e gallerie in cui si introduceva l’acqua A. DOMÍNGUEZ STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

47


ELDORADO ROMANO

Astorga

Strutture minerarie di epoca romana

AREA INGRANDITA

Insediamenti romani secondo le attività più importanti

Miniera d’oro di Las Médulas

Madrid

Mineraria

per l’eccellente conservazione di tutte le strutture minerarie. Le tre zone di scavi minerari a cielo aperto effettuati per estrarre i conglomerati auriferi occupano una superficie di 542 ettari. Alla fine degli sterrati vi sono i canali di evacuazione che permettono l’uscita degli sterili, accumulati in bacini o coni di deiezione ai piedi della il eS m miniera, che si estendono Fiu su un’area di 571 ettari. Au

Miniera d’oro di Las Médulas

Agraria

Rete idraulica dell’ultima fase di sfruttamento

Orellán

Metallurgica

Insediamento romano

Idraulica

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Altre miniere d’oro della zona

La Chana Nucleo attuale di popolazione

Incerta

Miniera di ferro di Orellán

Via romana principale e accesso alla zona

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La Campañana

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Bacino di Campañana

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La Igrexilia

Lago di Carucedo

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Lago di Carucedo

Torren

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Las Médulas

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Salas de la Ribera

Canale di Bristol

La Corona de Yeres

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I canali, con una pendenza attorno al 3%, trasportavano una lamina d’acqua di circa 10 centimetri, per evitare l’erosione o la tracimazione.

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Castro de Santa Cruz

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Las Portiellas

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La Zapateira

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El Cabuerco

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Las Médulas è la principale miniera pre-industriale a cielo aperto. Funzionava solo grazie al lavoro delle popolazioni locali, sottomesse al potere di Roma, e allo sfruttamento dell’energia idrica, trasportata mediante canali la cui lunghezza supera in certi casi i 100 chilometri.

Santalla

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La Barosa

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San Juan de Paluezas

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El Carril

VIA XVII I

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

LAS MÉDULAS è un caso eccezionale

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Castroquilame

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Puente de Domingo Flórez Robledo de Sobrecastro


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CANALE SCAVATO A STRAPIOMBO NELL’AREA DI LAS MÉDULAS, OGGI TRASFORMATO IN SENTIERO.

IL TRASPORTO DELL’ACQUA NEI CANALI

S

J. S.-PALENCIA

econdo Plinio il Vecchio, la costruzione dei canali era un «lavoro uguale e anche di maggiore spesa» rispetto a quello fatto in miniera. Come ci spiega Plinio, l’acqua «si conduce da luoghi altissimi. Valli e distanze sono superati con canali costruiti. Altrove vengono tagliate le rupi inaccessibili e si costringono a lasciare il posto a tronchi incavati […]. Coloro che tagliano, vi stanno sospesi legati con le funi. Questi per la maggior parte stando sospesi pigliano le misure e tracciano le linee al cammino epperò l’uomo non ha sotto di sé luogo da collocarvi il piede». Il letto del canale, nella maggior parte dei casi, era scavato nella roccia; talvolta si costruivano terrazze per facilitare il passaggio e, più raramente, dei tunnel. È molto probabile che si usasse del legno sotto forma di tronchi cavi.

incredibile spostamento d’aria»: in altre parole, una vera e propria esplosione. Una volta abbattuta l’enorme massa di conglomerato, si usava l’acqua per scomporlo e trascinarlo fino ai canali di lavaggio. La ruina montium è ciò che ha conferito a Las Médulas il suo aspetto singolare. L’ultimo passo del processo di sfruttamento consisteva nell’eliminazione degli sterili. Anche in questa operazione era fondamentale la rete idraulica: l’acqua veniva utilizzata per trasportare i residui attraverso canali di evacuazione e trascinarli fino a farli depositare in quelli che gli specialisti definiscono “coni di deiezione”. Nell’area nord-occidentale della miniera, questi accumuli di sterili presero dimensioni tanto importanti da otturare una valle, dando origine al lago di Carucedo.

Canali e depositi L’importanza dell’acqua in tutto il processo di sfruttamento era tale che secondo Plinio la costruzione della rete idraulica era altrettanto laboriosa, se non di più, della ruina

montium, e la sua affermazione non è affatto esagerata: «Per levare questa ruina, bisogna che vi conducano fiumi dagli alti gioghi, e tante volte cento miglia di lontano». Via via che le ruinae montium divoravano la montagna, fu necessario tracciare a quote sempre più elevate nuove reti di canali e depositi. È per questo che sui fronti della miniera arrivano 26 canali di sfruttamento provenienti da depositi d’acqua, almeno 38 dei quali si sono conservati fino ai giorni nostri. Poiché l’avanzamento della miniera verso l’alto distruggeva i sistemi idraulici, è rimasta integra soltanto la parte corrispondente agli ultimi lavori, vicino al Mirador de Orellán. In questo luogo è possibile vedere il bacino della Horta, con una capacità fra i 16.000 e i 18.000 metri cubi (per avere un’idea delle dimensioni, basti pensare che quella di una piscina olimpionica è di 2500), che venne impiegato nelle ultime ruinae

PLINIO IL VECCHIO

Lo scrittore romano che descrisse i lavori di Las Médulas ritratto in una miniatura del XV secolo tratta da un manoscritto della sua Naturalis historia. Biblioteca Marciana, Venezia.

BRIDGEMAN / ACI


Contadini in miniera Gli spettacolari lavori condotti a Las Médulas furono possibili perché il fisco imperiale romano, spinto dalla necessità di mantenere il conio degli aurei, profuse nella zona tutte le sue risorse e le più avanzate conoscenze tecniche e conservò il carattere pubblico delle miniere (metalla publica). La presenza di militari e di rappresentanti dell’amministrazione, comandati dai procuratores, nelle zone minerarie, dimostra l’interesse bicentenario di Roma per questa zona. Essi furono anche responsabili del tracciamento e del mantenimento della rete viaria che collegava le zone minerarie con le principali città, capitali delle unità amministrative o conventus: Asturica Au50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

L’IMPERATORE CARACALLA

Durante il suo regno, nel nord-ovest della Hispania fu creata una nuova provincia (Hispania superior), e gran parte delle miniere della regione smise di funzionare. Busto in marmo. XVIII secolo.

ALBUM

montium, così come i canali di rifornimento o corrugi che lo alimentano, provenienti da Campo de Braña, e i canali di sfruttamento o emissaria che trasportavano l’acqua fino alle ruinae montium, e che comprendono quelle che conosciamo come gallerie di Orellán.

gusta (Astorga), Lucus Augusti (Lugo) e Bracara Augusta (Braga). Nell’ultimo terzo del I secolo d.C. fu costruita una nuova strada selciata, la Via Nova, che collegava alcune delle principali aree minerarie, tra le quali Las Médulas, con Braga e Astorga. Quest’ultima, capitale del conventus Asturum, era sede dell’amministrazione responsabile di buona parte delle miniere della regione. Affinché tutto ciò fosse possibile, era necessario poter contare in modo regolare su manodopera da utilizzare nei diversi compiti: la preparazione e la manutenzione di canali e depositi, l’esecuzione dei lavori necessari per tutte le fasi del processo minerario, la fabbricazione di utensili e via dicendo. Erano le comunità della zona, indigene e libere, ma sottomesse a Roma sin dalla conquista, a fornire la forza lavoro come tributo al fisco. Sebbene non si trattasse di una gran quantità di schiavi che lavoravano nella miniera, erano comunque contadini locali che dovevano prestare giornate di lavoro a Roma, talvolta in condizioni molto


J. S.-PALENCIA

IL LAGO DI CARUCEDO, CON UN PERIMETRO DI 5 KM E UNA PROFONDITÀ DI 9 M, SI FORMÒ QUANDO I RESIDUI DELLA MINIERA COLMARONO UNA VALLE.

QUASI 5 TONNELLATE D’ORO

dure, come riporta Plinio nella sua opera. Era il prezzo della loro sconfitta e della sottomissione al potere imperiale. In effetti, il popolamento della zona di Las Médulas nel I e II secondo secolo dimostra che i cambiamenti provocati dalla dominazione di Roma non si limitarono alla miniera.

Oltre il metallo prezioso I materiali rinvenuti nei villaggi della zona di Astorga ci parlano di una progressiva incorporazione di elementi del mondo romano: per esempio, si passò a un modello di villaggio ortogonale, con case organizzate in vie con marciapiedi e muri condivisi dalle diverse abitazioni. Lo sfruttamento agricolo e del bestiame si intensificò in modo radicale, e le zone lavorate si ampliarono, come dimostra l’ubicazione piuttosto sparsa dei quasi 50 giacimenti romani che sono stati identificati nella zona. Vennero anche introdotte nuove coltivazioni, come il castagno – l’albero che oggi simboleggia la regione – e il noce. In diversi villaggi si svilupparono anche altre at-

RICCARDO AUCI / VISIVALAB

I FORI DI ROMA

L’oro di Las Médulas veniva trasportato fino a Roma via terra e non per mare, per evitare il rischio di naufragi.

LA QUANTITÀ D’ORO estratto a Las Médulas si può valutare partendo dal volume totale di terra rimossa, attorno ai 93,55 milioni di metri cubi. Se si considera una media di 0,05 grammi d’oro per metro cubo (equivalente a circa due tonnellate di terra), la produzione stimata per tutta la miniera durante il periodo di attività sarebbe compresa tra le 4,6 e le 4,7 tonnellate d’oro.

tività artigianali, come la lavorazione dei metalli, per fabbricare sia attrezzi agricoli sia utensili e arnesi da utilizzare nella miniera. Tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo, tuttavia, tutte le miniere della penisola iberica vennero abbandonate dal fisco. Questo fatto è legato ai cambiamenti nel sistema monetario introdotti all’epoca di Caracalla. Inoltre, in quegli anni altre trasformazioni importanti stavano indebolendo il potere di Roma e la sua capacità di controllare l’impero. Non si tornò più a estrarre l’oro a Las Médulas, dietro la cui bellezza e peculiarità possiamo scoprire uno scenario di dominazione e di lavoro, un’immagine spettacolare del potere di Roma sulle sue province.

Per saperne di più

SAGGI

Il mondo di Roma imperiale: la formazione D. Kennedy. Laterza, Bari. 1989. TESTI

Storia naturale Plinio. Einaudi, Torino, 1982-1988. INTERNET

http://whc.unesco.org/en/list/803/

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’ACQUA COME DINAMITE

A

J. S.-PALENCIA

Plinio il Vecchio spiegò nella sua Naturalis historia i procedimenti usati dai romani per estrarre l’oro a Las Médulas. Il più complesso era quello che chiamò ruina montium, ovvero il crollo del monte, un lavoro del quale disse che «vincerebbe l’opera dei Giganti». In pratica, si utilizzava l’acqua come dinamite, per far “esplodere” le montagne in modo da portare in superficie le zolle aurifere.

Iscrizione funeraria rinvenuta nella chiesa di Voces (Borrenes), risalente al II secolo d.C., appartiene a un veterano della Legio VII Gemina che risiedeva con la famiglia nella zona mineraria. È la prova della presenza di personale preparato nell’esercito romano nella zona di Las Médulas.

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1

il conglomerato aurifero

Nel punto in cui vengono localizzati sedimenti che contengono oro in quantità apprezzabile si iniziano a scavare pozzi e gallerie (A). Secondo quanto narra Plinio, «con i cunicoli fatti attraverso grandi spazi sono scavati i monti alle luci delle lucerne; esse servono per misurare la durata dei turni, e per molti mesi non si vede il giorno». Questi lavori sono solo una parte delle operazioni; l’altra consiste nella costruzione di canali e di enormi depositi (B) per accumulare grandi volumi d’acqua nei livelli più alti della miniera.


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ILLUSTRAZIONI: SANTI PÉREZ

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lo scavo della montagna

Questo lavoro (C) è molto pericoloso. Dice Plinio: «Le fenditure cadono subito e schiacciano gli operai, così che sembra ormai meno temerario prendere dal fondo del mare le perle e le porpore». I pozzi e le gallerie, senza uscita all’esterno, vengono scavati fino alla base del conglomerato più ricco d’oro, nel punto in cui è in contatto (D) con un altro conglomerato privo d’oro, più argilloso e impermeabile. A quel punto, a poco a poco, nei cunicoli viene introdotta l’acqua, che rimane bloccata alla base del conglomerato aurifero, lo impregna e fa sì che perda stabilità.

3

l’esplosione di una parete

Per finire, si aprono le saracinesche dei depositi (E) e si versa nella miniera una grande quantità d’acqua tutta insieme (F), così che faccia da ariete contro la base del conglomerato contenente oro. Ecco che cosa scrive Plinio (G): «Il monte spaccato frana da sé con lungo fragore che non può essere immaginato dalla mente umana e con un incredibile spostamento d’aria. Gli operai, come vincitori stanno a guardare il crollo della natura». Dopo il crollo, l’acqua trascina i sedimenti auriferi verso i canali di lavaggio, dove l’oro rimarrà bloccato.


Una svolta cruciale per l’Impero Romano

TEODOSIO Proclamò il cristianesimo niceno religione ufficiale dell’Impero. A fare le spese del clima di violenza che seguì furono eretici e pagani. Fu l’ultimo imperatore a regnare su Oriente e Occidente, dopo di lui divisi per sempre JACOPO MORDENTI STORICO E SCRITTORE

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eodosio nacque l’11 gennaio 347 a Cauca, nell’odierna Galizia: la sua famiglia, di orientamento cristiano, apparteneva all’élite locale. Suo padre, Teodosio il Vecchio, ne era l’esponente di punta: militare capace, nel 368, al comando di truppe scelte, si trovava in Britannia per il ripristino dell’ordine pubblico. Suo figlio Teodosio era con lui, e lo era ancora nel 369 in Gallia, nel corso di alcune operazioni contro gli alemanni sul Reno, e nel 373 in Africa, alle prese con i mauri. Fu solo nel 374 che Teodosio il Giovane avviò un’autonoma carriera militare, sconfiggendo in veste di dux Moesiae un gruppo di sarmati: le sue floride prospettive furono tuttavia frustrate dagli eventi che coinvolsero il padre. Questi, entrato in violento contrasto con il comes Africae Romano, nel 376 venne giustiziato per alto tradimento.


Il dipinto di Peter Paul Rubens mostra il vescovo di Milano che proibisce all’imperatore l’ingresso nella cattedrale per sanzionare il massacro della popolazione di Tessalonica (390). Kunsthistorisches Museum, Vienna.

ERICH LESSING / ALBUM

TEODOSIO E AMBROGIO


LA SECONDA ROMA IN ORIENTE

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U CON TEODOSIO che Costantinopoli

assurse a capitale dell’impero non solo in termini giuridici, ma anche immaginifici. La "seconda Roma" – alla quale Valente aveva di fatto preferito Antiochia – venne ripetutamente impiegata da Teodosio quale scenario per le cerimonie e i festeggiamenti più significativi, come una vittoria contro i goti nel 380, il soggiorno di Atanarico nel 381, la sepoltura di Valentiniano I nel 382, la nomina ad augustus di Arcadio e il funerale della figlia di Costantino, Costanza, nel 383. Purtroppo rimangono pochissime testimonianze degli interventi urbanistici operati da Teodosio sulla città. Anche la chiesa di Costantinopoli beneficiò del frangente: il discusso Concilio del 381 ne sancì il ruolo preminente su quella di Alessandria, che dunque si trovò a retrocedere nell’architettura ecclesiastica tardoantica.

ANNA SERRANO / FOTOTECA 9X12

SANTA SOFIA, ISTANBUL

Nata come basilica cristiana, fatta erigere forse da Costantino, fu consacrata nel 360. Più volte ricostruita, dal 1435 fu moschea e dal 1935 non è più luogo di culto, ma museo.

Il figlio ritenne allora opportuno ritirarsi in Spagna, dove sposò una conterranea – Flaccilla – da cui ebbe il suo primogenito, Arcadio. Fu il clima emergenziale conseguente alla sconfitta romana di Adrianopoli dell’8 agosto 379, per mano dei goti, a creare le condizioni per il ritorno sulle scene di Teodosio. L’imperatore Valente (328-379) era morto sul campo di battaglia; ai vertici dell’impero si trovavano dunque Graziano (359-383), malfermo nel suo stesso Occidente, e il fratellastro Valentiniano II (371-392), ancora bambino. La vulgata recita che Graziano richiamò Teodosio dalla Spagna, affidandogli il comando

della controffensiva e premiandone i brillanti risultati con il titolo imperiale per l’Oriente. Una comparazione critica delle fonti induce invece a ritenere che le vittorie di Teodosio contro i goti non furono in realtà folgoranti; soprattutto, lo scarso lasso di tempo fra la morte di Valente e la sua incoronazione – avvenuta a Sirmio, nell’odierna Serbia, il 19 gennaio 379 – fa pensare che egli fosse già militarmente operativo in zona. Tale distorsione dei fatti è forse spiegabile con la volontà delle fonti di rescindere qualsivoglia legame tra il disastro di Adrianopoli e la figura di Teodosio, la cui rapidissima ascesa può anche interpretarsi

347-374 C R O N O LO G I A

A CAPO DI UN SOLO IMPERO

376-379

Nasce a Cauca (Spagna) Flavio Teodosio. Inizialmente segue le orme del padre Teodosio, militare esperto. Nel 374 ottiene il suo primo incarico in Mesia, dove deve contrastare gli attacchi dei sarmati.

Dopo la morte dell’imperatore Valente, che ad Adrianopoli è sconfitto dai goti e cade sul campo di battaglia, è chiamato dal figlio Graziano che gli conferisce il titolo di imperatore d’Oriente. TEODOSIO. EFFIGIE SU UN SOLIDO DEL IV SECOLO.

56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC DEA / SCALA, FIRENZE


SARCOFAGO LUDOVISI

Rilievo raffigurante la battaglia tra romani e goti. Gli imperatori romani succedutisi nel III-IV secolo dovettero fronteggiare l’invasione di queste popolazioni provenienti dalla penisola scandinava. Palazzo Altemps, Roma. SCALA, FIRENZE

La minaccia gota Stabilitosi inizialmente a Tessalonica, il nuovo imperatore d’Oriente dovette subito affrontare la minaccia dei goti. Verrebbe da dire che il consolidamento urgente dell’esercito si rivelò efficace: i goti – nonché alcuni alani e unni – stando alla vulgata vennero ripetutamente sconfitti tra l’autunno del 379 e quello del 380, quando Teodosio fece il suo ingresso trionfale

a Costantinopoli; in realtà è appurato che l’eterogeneo esercito imperiale subì nel frangente anche alcune sconfitte, e che Teodosio – persino a un passo dall’essere fatto prigioniero, in un dato momento – fu costretto a chiedere supporto a Graziano. La minaccia gota fu sì contenuta, ma divenne chiaro che costringerla al di là del Danubio era diventato impossibile. Non a caso, nel 381 Teodosio lavorò di diplomazia, sfruttando le divisioni fra i goti: portò dalla sua parte Atanarico, il vecchio re goto che a suo tempo aveva messo in difficoltà Valente. Il suo peso politico, di contro a quello di un altro re, Fritigerno, era modesto; tuttavia il suo sog-

380

388

Insediatosi in un primo tempo a Tessalonica, promulga l’editto che stabilisce la primazia del cristianesimo niceno. Vinti i goti grazie all’azione militare e a un’abile strategia diplomatica, entra a Costantinopoli.

Presso Aquileia ha la meglio sull’usurpatore Magno Massimo, che nel 383 in Gallia aveva sconfitto e fatto uccidere Graziano. Circonda l’imperatore d’Occidente Valentiniano II con suoi uomini fidati.

FIBBIA CON TESTA D’AQUILA

Manufatto goto in argento risalente al VII secolo, rinvenuto nella necropoli di Doros (Mangup, Crimea). Hermitage, San Pietroburgo.

392-395 Alla morte di Valentiniano II sconfigge l’usurpatore Flavio Eugenio e governa da solo. Poco prima della morte designa il generale Stilicone protettore del figlio Onorio (e forse anche del figlio Arcadio), tra i quali l’impero viene suddiviso.

ALBUM

come un ingenuo tentativo di Graziano di legare a sé un potenziale avversario, che del resto nell’entourage dell’imperatore poteva contare sul supporto di due parenti.


DEA / BRIDGEMAN / ACI LOREM IPSUM

MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12

SALONICCO, MURA DELLA CITTÀ

L’EDITTO DI TESSALONICA

N

OTO FORMALMENTE come Cunctos populos (Tutti i popoli),

l’editto, emesso il 27 febbraio 380 da Teodosio, Graziano e Valentiniano II, proclama il cristianesimo niceno religione di Stato, bersagliando più le confessioni eretiche che il paganesimo. Esso recita: «È nostra volontà che tutti i popoli, sopra i quali domina la nostra benevolenza, vivano nella religione che Pietro l’Apostolo ha insegnato ai romani […] Questo significa che, secondo l’insegnamento del Vangelo, crediamo alla divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in uguale maestà e in pia trinità. Ordiniamo che coloro che seguono questa legge possano chiamarsi cristiani cattolici, mentre gli altri, che giudichiamo dementi e folli, patiscano la vergogna di una dottrina eretica, e che i loro luoghi di assemblea non possano chiamarsi “chiese”. Costoro devono essere soggetti in primo luogo alla punizione di Dio, poi anche alla vendetta dei nostri procedimenti ». Tali procedimenti rimangono però vaghi; del resto Sozomeno, uno storico della Chiesa del V secolo, dice di Teodosio: «il suo fine non era quello di punire i suoi sudditi, ma di spaventarli». IL PRIMO CONCILIO DI NICEA (PRIMO CONCILIO ECUMENICO), CONVOCATO NELL’ANNO 325 DALL’IMPERATORE COSTANTINO I. ILLUSTRAZIONE DI UN CALENDARIO RUSSO DEL XVIII SECOLO.

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L’antica Tessalonica, fondata dai macedoni, fu conquistata dai romani il 168 a.C. Capitale di uno dei quattro distretti in cui era divisa la provincia di Macedonia, divenne nodo cruciale di commerci e transiti lungo la via verso Bisanzio.

giorno a Costantinopoli – onorevole ancorché breve, dato che Atanarico morì due settimane dopo il suo arrivo – dovette far intendere ai goti quanto l’impero fosse disposto a trattare. Il 3 ottobre 382 si ebbe in effetti la stipula di un trattato: a dispetto di quanto riportato da alcune fonti, non si trattò affatto di una resa dei goti, non fosse altro perché le concessioni dei romani non avevano precedenti. I goti non solo vennero accolti come foederati, ma godettero dell’esenzione fiscale fra Danubio ed Emo e del mantenimento della propria legislazione; di contro si impegnarono ad affiancare l’esercito imperiale. Nel breve periodo la strategia di Teodosio si rivelò vincente: al patto fecero seguito non meno di nove anni di relativa tranquillità.

L’attività legislativa Fin da subito Teodosio dovette misurarsi anche con un altro problema: non godeva di legami personali in Oriente. Per ovviare a questa situazione operò l’infiltrazione di uomini di sua fiducia, a loro volta occidentali, nei gangli militari e soprattutto civili dell’Impero orien-


tale; tale atteggiamento non gli impedì ovviamente di cercare il favore delle élite locali, sia disponendo mirati provvedimenti economici, sia stringendo rapporti con alcune personalità di riferimento, come per esempio con il panegirista pagano Temistio. Nonostante l’unico, vero punto fermo dell’attività legislativa di Teodosio fu la messa in atto di una meticolosa politica fiscale, atta a reperire le risorse via via più ingenti necessarie allo Stato, il nome dell’imperatore è storicamente associato a una serie di provvedimenti in materia religiosa spesso interpretati come il definitivo imporsi del cristianesimo sui culti pagani. Fra tali provvedimenti spicca in primo luogo il cosiddetto editto di Tessalonica, emesso il 28 febbraio 380: parlare di coercizione religiosa in merito a esso, tanto più a danno dei pagani, è tuttavia improprio, e per più di una ragione. Con tale editto Teodosio formalizzava il proprio sostegno a una specifica confessione cristiana, quella nicena, bersagliando

PAGINA DEL CODICE TEODOSIANO Il nipote di Teodosio, figlio di suo figlio Arcadio, proseguì l’attività legislativa del nonno riorganizzando il corpo delle leggi romane in un codice che entrò in vigore nel 439. Biblioteca Nazionale, Torino.

l’ambito pubblico delle altre confessioni – omea, ariana, fotiniana ecc. – prima ancora che quello del paganesimo; inoltre, se è vero che l’editto prospettava ricadute materiali in merito ai luoghi di culto e ai relativi patrimoni, è anche vero che era esclusivamente rivolto alla popolazione di Costantinopoli. Probabilmente nell’editto confluì il convincimento personale di Teodosio – che la vulgata pretende di ricondurre al suo battesimo nel 380, nel corso di una grave malattia – e un più freddo calcolo politico sull’opportunità di appoggiare quegli stessi niceni che, in Occidente, già nel 379 avevano formalmente incassato il sostegno di Graziano. Fra il 381 e il 383 Teodosio emise ulteriori disposizioni in materia religiosa, che nuovamente aumentarono la pressione sulle confessioni definite eretiche più ancora che sui culti pagani. Stabilire quanto tali disposizioni trovarono concreta applicazione è tuttavia arduo: animato dal desiderio di mantenere l’ordine pubblico, molto più che dalla piena comSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

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BASILICA DI AQUILEIA

Fondata dai romani nel 181 a.C. mentre difendevano i confini orientali, dal 300, con Magno Massimo, la città fu residenza imperiale, e perciò si arricchì di costruzioni monumentali.


GUIDO BAVIERA / FOTOTECA 9X12


AMBROGIO VESCOVO DI MILANO

AMBROGIO , PANNELLO DEL RETABLO DELLA CATTEDRALE DI SAN SALVADOR DI ÁVILA DIPINTO DA PEDRO BERRUGUETE (SECONDA METÀ DEL XVI SECOLO).

A

URELIO AMBROGIO era originario di

Treviri, rampollo di una famiglia senatoriale di orientamento cristiano. Di formazione classica, intraprese una brillante carriera nell’amministrazione imperiale a Milano. Pur non battezzato, ne divenne vescovo nel 374, attivandosi per la composizione del contrasto locale fra ariani e niceni. Nei suoi scritti prospetta una prossimità al comitatus imperiale di Teodosio che in realtà non ebbe mai. È significativo che la presunta umiliazione da lui inflitta a Teodosio dopo i fatti di Tessalonica non sia riportata dalle fonti pagane, solitamente pronte a evidenziare le debolezze dell’imperatore: ciò basta a ridimensionare la portata dell’episodio. Esso cominciò a circolare in Occidente dal VI secolo; non ebbe conseguenze immediate, né rese Ambrogio – oggi fra i Padri e i Dottori della Chiesa cattolica – un’autorità più che locale.

ORONOZ / ALBUM

L’usurpazione in Occidente Intorno al 383 Teodosio stava probabilmente valutando l’opportunità di una campagna contro la Persia sasanide, ma dovette rinunciare a causa di ciò che stava accadendo in Occidente, dove il dux Britanniae Magno Massimo – brillante militare a suo tempo al servizio di Teodosio il Vecchio – tra il 382 e il 383 si era fatto acclamare imperatore dai suoi soldati, per poi sconfiggere in Gallia Graziano e farlo assassinare; diretto in Spagna, aveva per il momento confinato Valentiniano II in Italia. Teodosio approntò un primo intervento nello stesso 383, evitando tuttavia 62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

RITRATTO DI MAGNO MASSIMO Governatore della Britannia, proclamato nel 383 imperatore dai suoi soldati, giunse in Gallia dove vinse Graziano, che fu ucciso, e governò sulla Gallia, la Britannia e l’Hispania ponendo a Treviri la propria capitale.

di penetrare all’interno dell’area controllata da Massimo: è probabile che una qualche forma di accordo fra le parti fosse stata raggiunta, tanto più alla luce del fatto che l’usurpatore – complice un’ambasciata a Treviri del vescovo di Milano, Ambrogio (339 circa-397), che ne aveva rallentato le operazioni – aveva al momento rinunciato a marciare contro Valentiniano II. La situazione precipitò quattro anni più tardi, quando si concretizzò l’invasione dell’Italia: Valentiniano fuggì a Tessalonica, dove sua sorella Galla andò in sposa a Teodosio (dall’unione nacque Galla Placidia), rimasto nel frattempo vedovo di Flaccilla. Teodosio predispose un nuovo intervento, facendo leva anche sul sentimento religioso; di contro Massimo – già indebolito dalle frizioni con Ambrogio e dalle pressioni di franchi e sassoni – fallì un’incursione nell’impero orientale, regalando di fatto alle truppe di Teodosio in marcia preziosi rifornimenti. La campagna dell’imperatore, prossimo ad Aquileia, si rivelò efficace, ma non si ebbe una battaglia LOREMU IVIS

prensione delle questioni teologiche, Teodosio si direbbe avere evitato di passare all’azione. Peraltro, il suo schierarsi con i niceni sollevò problemi: l’imperatore si trovò invischiato nelle loro lotte intestine, e le occasioni di confronto per venire a capo di esse – come il Concilio di Costantinopoli del 381 – produssero risultati sostanzialmente modesti.

HERITAGE / SCALA, FIRENZE


MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12

folla, un gesto contro il quale Teodosio emise una condanna a morte per la popolazione della città. È probabile che l’imperatore volesse in un secondo tempo mitigare la condanna, ma la cosa dovette sfuggirgli di mano: le truppe di Buterico eseguirono immediatamente l’ordine, massacrando migliaia di persone. L’episodio indusse Ambrogio a un gesto spettacolare: si rifiutò di celebrare l’eucarestia in presenza di Teodosio, che si vide infine costretto – la notte di Natale del 390, o il giovedì santo del 391 – ad accettare la dottrina penitenziale della Chiesa. Parlare di scomunica è improprio, e ancora più lo è parlare di scontro fra istituzioni; la soluzione dello stallo – che la vulgata presenta

MILANO, SANT’AMBROGIO

La basilica, edificata nella seconda metà del IV secolo per volontà del vescovo Ambrogio, che vi è sepolto, fu ricostruita alla fine dell’XI secolo in stile romanico.

Valentiniano II condivise con lui l’impero, fino alla morte in circostanze oscure VALENTINIANO II MUSEO ARCHEOLOGICO, ISTANBUL. ORONOZ / ALBUM

campale: non si sa come, nell’estate del 388 Massimo si trovava nelle mani di Teodosio, finendo linciato di lì a poco dai suoi soldati; l’imperatore integrò le truppe dell’usurpatore nel proprio esercito, per poi trasferirne buona parte in Oriente. Valentiniano II venne reintegrato in Occidente, attorniato da uomini di fiducia di Teodosio: la sua autonomia fu di fatto limitata alla Gallia. Teodosio si trattenne in Italia – prima ad Aquileia, successivamente a Roma, infine a Milano – dove entrò in frizione con Ambrogio. Instancabile propugnatore dell’ordine pubblico, sullo scorcio degli anni Ottanta l’imperatore aveva deciso di punire i cristiani della lontana città di Callinico, rei di aver incendiato una sinagoga: una decisione contro cui Ambrogio polemizzò pubblicamente, e che in effetti venne di lì a breve revocata. Le cose andarono diversamente in occasione di un successivo tumulto a Tessalonica, intorno al 390: in seguito all’arresto per omosessualità di un popolare guidatore di bighe, il comandante Buterico era stato linciato dalla


RANZANI-ROMANO / SCALA, FIRENZE

SCALA, FIRENZE

LA CACCIATA DEGLI ARIANI. BASSORILIEVO DELLA VITTORIA DI SANT’AMBROGIO SUGLI ARIANI (DETTAGLIO), DI GIUSEPPE RUSNATI (1650-1713), CERTOSA DI PAVIA.

LE CONFESSIONI CRISTIANE ANTICHE

N

ELLA TARDA ANTICHITÀ – ma beninteso non necessa-

riamente nello stesso frangente e negli stessi luoghi – i cristiani si distinsero in nicei, omei, ariani, fotiniani, priscilliani e molti altri gruppi, prevalentemente sulla base della diversa interpretazione che diedero alle figure della Trinità e al loro rapporto gerarchico; spesso le loro divergenze travalicarono l’ambito teologico, finendo per assumere una valenza politica e sociale. I niceni, nello specifico, presero il nome dal loro attenersi alla professione di fede sancita con il Concilio di Nicea, convocato nel 325 da Costantino I; il sostegno accordato da Teodosio non impedì loro di denunciare di quando in quando le ingerenze e i limiti del potere imperiale, tanto più alla luce della considerazione che l’editto di Tessalonica pretendeva nei fatti di stabilire un legame diretto tra imperatore e Dio, prescindendo dunque dalla mediazione ecclesiastica.

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PRISMA / ALBUM

COLONNA DI UNA CATTEDRALE DELLA CITTÀ ILLIRICA DI BYLLIS (OGGI IN ALBANIA). ARTE PALEOCRISTIANA, IV-V SECOLO.

come umiliante per Teodosio, ostacolato da un Ambrogio intento a impedirgli l’ingresso in chiesa – probabilmente si articolò in una serie di concordati ingressi penitenziali.

Gli ultimi anni Nel settembre del 391 Teodosio rientrò a Costantinopoli. La sua attività legislativa non si era mai interrotta, insistendo in Occidente sui medesimi temi affrontati in Oriente. In materia di religione, la cristianizzazione dell’impero in senso niceno era stata gradualmente portata avanti con nuove disposizioni, il che poté concorrere al crearsi di un clima di violenza ai danni dei pagani. Spiccano in questo ambito i fatti di Alessandria, dove uno scontro fra cristiani e pagani si concluse nel 391 con la distruzione dei templi, primo su tutti il monumentale Serapeo. L’anno seguente un rescritto di Teodosio a Rufino, prefetto del pretorio per l’Oriente, confermò


il giro di vite nei confronti del paganesimo: con esso l’impero penetrò nell’ambito privato del culto, vietando i rituali e invitando alla delazione. Dietro questa accelerazione vi fu anche un motivo politico: in quello stesso 392, in Occidente, un nuovo usurpatore mostrava segni di apertura ai pagani. Valentiniano II era morto in circostanze poco chiare il 15 maggio 392. Il generale Arbogaste, in passato prossimo a Teodosio, dopo un’iniziale incertezza fece nominare imperatore un retore cristiano, Eugenio. Questi riuscì a estendere la propria influenza dalla Gallia all’Italia, e persino alla strategica Africa; fu il suo allentare la pressione sui pagani a fornire a Teodosio il pretesto per una nuova campagna militare, posta sotto il segno del cristianesimo. La mobilitazione dell’ampio esercito orientale richiese del tempo: la battaglia decisiva avvenne fra il 5 e il 6 settembre del 394 nei pressi del fiume Frigido, e di fatto venne vinta da Teodosio per una serie di circostanze fortuite. Eugenio venne linciato; Arbogaste si suicidò. Nuovamente l’imperatore integrò l’esercito sconfitto a quello

vincente, affidandone il comando a Stilicone, il generale di origini vandale che aveva sposato sua nipote Serena. Per l’ultima volta nel corso della sua storia, l’impero romano si trovò a essere guidato da un unico uomo. Fu a Milano che Teodosio ne programmò il futuro assetto: ad Arcadio venne confermato il controllo dell’Oriente, a Onorio – il secondogenito avuto da Flaccilla nell’884, augustus dal 393 – venne assegnato l’Occidente, sotto la guida temporanea di Stilicone. L’imperatore morì il 17 gennaio 395 di idropisia: già nella primavera del 395 i nodi irrisolti dell’impero – su tutti una nuova rivolta dei goti – emersero in superficie, mettendo a nudo quanto la successione della famiglia teodosiana poggiasse su basi fragili.

Per saperne di più

MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA

Ravenna fu una delle città imperiali da cui per dodici anni la figlia di Teodosio resse l’Impero d’Occidente per conto del giovane figlio Valentiniano III.

SAGGI

Teodosio il Grande Hartmut Leppin. Salerno Editrice, Roma, 2008. Il tardo Impero romano Averil Cameron. Il Mulino, Bologna, 1995.

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La corte È interessante l’assenza di riferimenti al cristianesimo: non un simbolo o un vescovo compaiono sulla scena. Ciò lascia supporre che l’obelisco mirasse a una rappresentazione “laica” dell’impero di Teodosio, gettando un ponte fra questi e l’aristocrazia romana più legata alle tradizioni dell’impero. Identificare i funzionari è impossibile: sono figure stereotipate, prive di caratterizzazione.

Le iscrizioni

L’obelisco venne eretto probabilmente fra il 388 e il 392. Riporta due iscrizioni, una in latino e una in greco: in entrambe viene citato il prefetto di Costantinopoli Proculo (?-393), che fu tra le poche personalità orientali che sotto Teodosio beneficiarono di incarichi di responsabilità. Nel 393 Proculo cadde in disgrazia e fu eliminato per volere del prefetto al pretorio Rufino, di provenienza occidentale.

L’OBELISCO DI TEODOSIO

i tratta di un obelisco appartenuto originariamente a Thutmose III, faraone egiziano vissuto intorno alla metà del XV sec. a.C. L’imperatore romano Costanzo II (317-361) lo fece trasportare lungo il Nilo dal tempio di Karnak ad Alessandria; fu Teodosio a ordinarne il trasferimento a Costantinopoli, così da erigerlo nell’Ippodromo. Rappresenta una delle pochissime testimonianze superstiti degli interventi urbanistici e decorativi di Teodosio a Costantinopoli, la seconda Roma.

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La famiglia imperiale Sono rappresentati anche alcuni membri della famiglia dell’imperatore, benché la loro identificazione sia tutt’altro che immediata: è probabile che si tratti di Arcadio, di Onorio e di Valentiniano II; non si può tuttavia escludere l'ipotesi che si tratti di Graziano, il figlio di Galla Placidia che all’epoca era ancora in vita, e di Eucherio, figlio del generale Stilicone e di Serena, nipote di Teodosio.

La difformità dello stile dei bassorilievi fa ipotizzare che essi richiesero anni per essere portati a compimento, e che durante l’impero di Arcadio fossero ancora in lavorazione. La composizione è semplice: in questo senso l’obelisco di Teodosio rappresenta una delle vette dell’arte tardoantica, particolarmente sensibile all’intelligibilità ideologica. Protagonista indiscusso, ma non assoluto, è Teodosio.

WERNER FORMAN / GTRES

Il protagonista

BRIDGEMAN / ACI

ORONOZ / ALBUM


IL LUOGO PIĂ™ SACRO

Le reliquie della Passione erano conservate in una galleria con altare sopraelevato, che venne smantellata durante la Rivoluzione francese e ricostruita nel XIX secolo. MASTERFILE / LATINSTOCK


Il trionfo della luce nel gotico

LA SAINTE CHAPELLE Per conservare le reliquie della Passione di Cristo che aveva acquistato, Luigi IX di Francia commissionò la costruzione, nel cuore di Parigi, di uno dei più affascinanti templi gotici della storia INÉS MONTEIRA ARIAS DOCENTE DI STORIA DELL’ARTE DELL’UNIVERSITÀ NAZIONALE DI EDUCAZIONE A DISTANZA (UNED)


IL MONARCA E LA CREATURA

In questa miniatura, san Luigi sostiene un modellino della Sainte-Chapelle, al cui progetto partecipò attivamente. Miniatura delle Cronache di SaintDenis. XIII secolo. TESTIMONE D’ALTRI TEMPI

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

decise di acquistare altre reliquie della Passione, arrivando a racoglierne dieci, e ordinò la realizzazione di una nuova cappella nella sua residenza per custodire la sua preziosa collezione. La costruzione della Sainte-Chapelle cominciò verso il 1242, e il tempio venne consacrato sei anni più tardi.

Un reliquiario di pietra Non si conosce l’identità dell’architetto che diresse i lavori, anche se generalmente si pensa che fosse Pierre de Montreuil, responsabile dell’ampliamento della cattedrale di Notre-Dame. La cappella venne concepita come un grande gioiello destinato a contenere le reliquie, perciò è ispirata alle opere di orefi-

1239 IL RE DELLE CROCIATE

70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LUIGI IX porta a Parigi la corona di spine di Cristo, proveniente dal tesoro di Bisanzio. Così inizia una collezione completata nel 1241 con altre reliquie della Passione.

1242 DA QUESTO ANNO inizia

la costruzione della Sainte-Chapelle nel palazzo Reale, nell’Île de la Cité, per ospitarvi le reliquie legate alla Passione di Cristo.

MANUEL COHEN / ART ARCHIVE

T

utto iniziò nel 1237, quando Luigi IX di Francia ricevette la corona di spine di Cristo dall’ultimo imperatore latino di Costantinopoli, Baldovino II, in difficoltà economiche, come pegno per un ingente prestito di 135.000 lire tornesi d’argento. Il re francese, conosciuto per la sua devozione, decise di comprare la preziosa reliquia. La corona fu portata a Troyes nell’agosto 1239 in un’arca d’argento, accompagnata dal sigillo che ne certificava l’autenticità. Di qui, il sovrano la trasportò alla città di Sens in devoto pellegrinaggio compiuto a piedi scalzi, e in seguito venne depositata nella cappella di San Nicola del palazzo Reale di Parigi. Il monarca

La cappella, di cui vediamo la facciata principale, rimase intatta dopo il crollo del palazzo reale dell’Île de la Cité, nello stesso isolato dove oggi si trova il palazzo di Giustizia.

1248 IL 26 DI APRILE viene

consacrata la cappella in una cerimonia officiata dall’arcivescovo di Reims in presenza di un legato pontificio. Il vescovo di Parigi è escluso.


1270 SAN LUIGI MUORE in Tunisia, durante l’ottava crociata, la seconda cui aveva partecipato.. Il monarca cade nell’assedio della capitale tunisina a causa di un’epidemia di dissenteria.


LE TESTIMONIANZE DELLA PASSIONE DI CRISTO

LE QUINDICI VETRATE

ORONOZ / ALBUM

LA FAMOSA DEVOZIONE RELIGIOSA di Luigi IX determinò molti aspetti della sua vita e lo spinse a riunire un’importante collezione di reliquie che raccolse nella Sainte-Chapelle. Dopo aver acquistato la corona di spine di Cristo nel 1239, si ripropose di ottenere più resti della Passione. Nel 1241 comprò altre reliquie, che facevano parte del tesoro dei sovrani bizantini. Fra queste figuravano un frammento della Vera Croce, il Santo Sangue di Cristo, la Sacra Spugna intrisa d’aceto che misero sulle labbra di Gesù quando era sulla croce, la lancia con cui il soldato Longino gli ferì il costato e un frammento della pietra del Santo Sepolcro. Tutte le reliquie erano destinate al culto privato del sovrano. CORONA DI SPINE. CONSERVATA IN UN RELIQUIARIO DEL XIX SECOLO, SI TROVA ORA A NOTRE-DAME DI PARIGI.

CORBIS / CORDON PRESS

RELIQUIARIO APPARTENENTE AL TESORO DELLA SAINTECHAPELLE. CONTENEVA LE RELIQUIE DI TRE SANTI, OFFERTA A LUIGI IX.

Nella corona di spine, che i soldati romani misero sulla testa di Cristo per deriderlo, i cristiani vedevano uno strumento del martirio e allo stesso tempo l’origine della salvezza, poiché Cristo soffrì e morì affinché Dio perdonasse i peccati degli uomini. Era una reliquia particolarmente importante perché, oltre a commemorare la Passione di Cristo, rappresentava il suo regno sui Cieli e permetteva di equiparare la sovranità terrena con quella celeste: simboleggiava la stessa Corona francese e l’origine divina del suo potere. Infatti, la costruzione della cappella fu una vera e propria sfida della Corona nei confronti del potere ecclesiastico, poiché, grazie a un privilegio della monarchia francese, il suo clero godeva di autonomia rispetto al vescovo parigino, che non venne neppure invitato alla cerimonia di consacrazione del tempio.

Il re santo Straordinariamente devoto, Luigi IX dedicò gran parte dei suoi sforzi alla preghiera, all’ascetismo e alla partecipazione alle crociate. Il re aveva fatto parte dell’ordine francescano e amava praticare atti di pietà, come condividere il suo desco con i lebbrosi e lavare i piedi dei poveri ogni Giovedì Santo. Luigi concepì

ACHIM BEDNORZ / AGE FOTOSTOCK

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

ceria che servivano di solito come reliquiari, realizzate con metalli nobili e decorate con pietre preziose e smalti colorati. L’abilità della tecnica costruttiva permise di aprire le pareti fino a limiti sino a quell’epoca sconosciuti, riuscendo a ridurre la struttura a un semplice scheletro intervallato da grandi aperture in cui venivano collocate le vetrate. La luce, simbolo di Dio, si trasforma nella grande protagonista dello spazio interno, dove giunge trasformata dalle vetrate dai ricchi colori, creando un’atmosfera di elevazione e leggerezza fortemente spirituale. Grazie alla sua audacia e al sapiente utilizzo della tecnica, l’architetto riuscì a donare all’edificio un aspetto privo di materialità che evocava la Gerusalemme celeste, mentre tentava di dare un carattere sacro alla dinastia dei capetingi.

Rappresentano fino a 1113 scene, con abbondanti riferimenti alla casata reale: si vedono i sovrani dell’Antico Testamento e lo stesso Luigi IX, che porta la corona di spine.



UNA VISIONE MEDIOEVALE

Les très riches heures du duque de Berry mostrano, nella miniatura del mese di giugno, il palazzo reale su cui svetta la Sainte-Chapelle. Inizi del XV secolo. Museo Condé, Chantilly. LA CHIESA INFERIORE

la Sainte-Chapelle come una sorta di rifugio spirituale, dove arrivò a praticare atti di mortificazione. Si conosce la sua abitudine a portare sempre con sé le dieci chiavi che aprivano i reliquiari, e non di rado si prostrava di fronte a essi da mezzanotte fino al mattutino, l’ora delle prime preghiere della giornata, all’alba. Per le lunghe ore che trascorreva nella sua cappella fu anche oggetto di critiche, ma affermava che lo metteva a disagio dover ascoltare la messa in qualsiasi altro luogo. Nel 1297, a quasi tre anni dalla sua morte, avvenuta nel 1270, Luigi IX venne canonizzato da papa Bonifacio VIII. Per l’occasione, la basilica di Saint-Denis, il sacrario dei sovrani francesi, ospitò una grande cerimonia il 25 agosto 1298, anniversario della morte del sovrano, che fu presenziata dal figlio e successore, Filippo III l’Ardito. Il corpo di San Luigi, racchiuso in un sarcofago d’argento, fu portato in processione fino alla Sainte-Chapelle, VERGINE COL BAMBINO. STATUETTA IN MARMO, PARTE DEL TESORO DELLA SAINTECHAPELLE PRIMA DEL 1279. LOUVRE, PARIGI.

anche se successivamente venne deposto nel pantheon reale di Saint-Denis. Più tardi, nel 1306, suo nipote Filippo IV il Bello trasferì la testa del monarca nella cappella che aveva fondato per esporla in un’urna come reliquia. La Sainte-Chapelle, tanto amata dal sovrano, è organizzata a partire dalla sovrapposizione di due piani, come era comune nelle cappelle palatine medioevali. La chiesa inferiore compie la funzione di piedistallo e sostiene il peso della costruzione, perciò è bassa e scarsamente illuminata, al contrario della splendida parte superiore, destinata alle reliquie, cui potevano accedere solo il re e la corte.

Una scatola di vetro La chiesa superiore raggiunge i venti metri di altezza. Le volte a crociera scaricano il peso del tetto sui pilastri laterali: questo artificio costruttivo ha permesso di fare a meno di un sostegno laterale, permettendo di installare vetrate anziché muri. L’unica superficie in muratura continua è la volta, che sembra galleggiare in assenza di gravità, ignorando le leggi della fisica, mentre costoloni e pilastri – su cui sono disposte le statue degli apostoli – sono straordinariamente assottigliate per cedere totalmente il ruolo di protagonista

BRIAN JANNSEN / AGE FOTOSTOCK

SCALA, FIRENZE

MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

Le colonne blu con i fleurs de lis sono il simbolo della corona francese; le colonne rosse con i castelli d’oro si riferiscono alla Castiglia: Luigi IX era figlio di Bianca di Castiglia.



RELIQUIE PER CURARE GLI INFERMI ANCHE SE LA SAINTE-CHAPELLE era destinata all’uso privato del monarca,

LUIGI IX IMPONE LE MANI SU UN MALATO DI SCROFOLA PER GUARIRLO. MINIATURA. XIV SECOLO.

La mistica della luce La struttura della cappella è completamente dipinta con i colori e i motivi araldici della famiglia reale, e questo aumenta l’effetto della luce colorata che inonda lo spazio. La vetreria gotica costituisce il culmine di una lunga tradizione teologica sulla mistica della luce: la dichiarazione di Cristo nella Bibbia, «Io sono la Luce del mondo» (Giovanni 8, 12), già aveva portato a orientare le chiese verso est, dove nasce il sole. Per i pensatori gotici, la luce è il più nobile di tutti i fenomeni natura76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Le statue, che presumibilmente portavano i simboli di ogni apostolo e della Passione, furono oggetto di ripetute mutilazioni e di restauri. A destra, San Giacomo il Maggiore.

li, un elemento allo stesso tempo materiale e immateriale. Perciò, la luce della chiesa gotica implica un simbolismo divino: le vetrate colorano magicamente lo spazio architettonico e trasportano i fedeli dal mondo terreno a una dimensione spirituale ultraterrena. Il carattere unico di questa cappella l’ha resa un capolavoro ammirato nei secoli. Gravemente danneggiata da un incendio scoppiato nel 1630 e spogliata delle sue reliquie durante la Rivoluzione francese, nel XIX secolo fu oggetto di un restauro straordinario. Anche se la Sainte-Chapelle che oggi contempliamo deriva in buona misura da quel secolo, il monumento conserva con straordinaria fedeltà lo splendido aspetto che aveva alle sue origini. Per saperne di più

SAGGI

L’Europa delle cattedrali Georges Duby. Fabbri-Skira, Milano, 1967. Vetrate medievali in Europa AA.VV. Jaca Book, Milano, 2003. Notre-Dame e la Sainte-Chapelle Geno Pampaloni. De Agostini, Novara, 1982. TESTI

Sulle diverse arti Teofilo. B.A. Graphis, Bari, 2005. INTERNET

http://www.monuments-nationaux.fr/fr/ actualites/a-la-une/bdd/actu/2369/la-saintechapelle

MANUEL COHEN / ART ARCHIVE

alla luce. In questo modo, la cappella si trasforma in una teca di vetro, in un santuario etereo che custodisce la corona di spine e le altre reliquie della Passione. La narrazione della vita e della Passione di Gesù Cristo ha ovviamente un grande spazio nelle sue 15 vetrate. Vi sono rappresentati re biblici e cristiani e numerose sono le allusioni alla monarchia francese, che viene collegata a Cristo e situata al livello di santi e profeti per sottolinearne il carattere sacro. Sempre per questa ragione, la storia sacra si mescola con il presente: si narra sia dell’Antico Testamento – iniziando dalla Creazione – sia del trasporto della corona di spine fino a Parigi.

I DODICI APOSTOLI

ORONOZ / ALBUM AKG / ALBUM

in essa avevano luogo diverse cerimonie nel corso dell’anno, e Luigi IX ne istituì tre legate alle reliquie. In una di queste, la Vera Croce veniva esposta per il popolo durante la notte fra Giovedì e Venerdì Santo, affinché i malati, in particolare gli epilettici, potessero guarire. Le messe celebrate nella chiesa superiore erano riservate alla corte, mentre quelle al piano inferiore erano destinate al personale del palazzo. Dopo la morte del re, nella Sainte-Chapelle vennero tenute celebrazioni in sua memoria, furono officiate cerimonie di alcuni ordini religiosi e celebrati matrimoni di membri della casata reale.



trate. Il primo passo per fabbricare una vetrata consisteva nel realizzare un bozzetto che poi veniva riprodotto su un cartone nelle dimensioni reali. Su questo cartone erano collocate le lamine di vetro, prevalentemente soffiato e infornato, da tagliare con il ferro incandescente seguendo le linee tracciate. Si applicava poi il colore con pigmenti speciali, e le figure, le linee dei volti e le pieghe degli abiti si delineavano con il pennello. Il vetro all’epoca era traslucido, ma non trasparente, per via del maggiore spessore e della presenza di impurità. Dopo aver infornato nuovamente i frammenti per fissare il colore, si applicavano lamine di piombo che univano i vetri fra loro e alla fine si saldavano i punti di congiunzione.

LA SAINTE-CHAPELLE presenta circa 750 metri quadrati di ve-

LA CHIESA DI VETRO

MESSA DI NATALE NELLA SAINTE-CHAPELLE. MINIATURA TRATTA DA LES TRÈS RICHES HEURES DU DUQUE DE BERRY.

MUSEE CONDE / BRIDGEMAN / ACI

Davide passa al servizio di Saul, che ne è geloso e vuole ucciderlo. Mentre dorme, Davide prende la lancia e la brocca senza ferirlo, per dimostrargli il suo amore.

LA LANCIA E LA BROCCA

Prima di morire, Samuele nomina re Saul. Quando questo combatte contro i filistei a Elah, un giovane pastore, Davide, uccide il gigante filisteo Golia.

IL GIGANTE VINTO

Samuele ordina agli israeliti di distruggere le rappresentazioni di Astarte e Baal, al fine di compiacere Yahvè, e affinché questo li liberi dai filistei.

LA FINE DEGLI IDOLI

Nel santuario di Silo, i genitori consacrano Samuele al servizio del Signore. Sarà un profeta e l’ultimo dei giudici di Israele, capi del suo popolo.

L’ULTIMO GIUDICE

La foto mostra due dei quattro pannelli della vetrata 14, le cui 121 scene illustrano episodi narrati nei libri di Samuele e dei Re, in particolare della storia di Davide.

UNA BIBBIA ILLUSTRATA

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Nel rosone, di 9 metri di diametro, 87 pannelli illustrano il libro dell’ Apocalisse.

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d Le vetrate dell’abside misurano 13,45 metri di altezza per 2,10 di larghezza, e (a differenza di quelle della navata) si dividono in due soli pannelli verticali.

c Le vetrate della navata misurano 15,35 metri di altezza per 4,70 di larghezza; si dividono in quattro pannelli verticali sormontati da tre rosoni.

b La chiesa inferiore compiva la funzione di supporto alla chiesa superiore, e questo permetteva ai muri di quest’ultima di ridursi al minimo.

a La chiesa superiore era riservata al re e alla sua famiglia; vi si poteva accedere solo dalla cappella inferiore, attraverso una scala a chiocciola.

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LAROUSSE / BRIDGEMAN / ACI

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Un meccanismo a orologeria faceva sì che la colossale statua di San Michele, di 2,9 metri e 2,2 tonnellate, erta nel 1855, seguisse il movimento del sole.

La flèche (guglia) è stata più volte sostituita nel corso del tempo. Quella attuale, in legno, risale al 1855; la sua estremità si trova a 75 metri di altezza.

DAVIDE INCORONATO

La lunghezza della SainteChapelle è di 33 m ; la superficie vetrata è di 618 m2. La larghezza della navata centrale della cappella bassa è di 10 m e quella della cappella alta di 10, 70 m. L’altezza sotto la volta della cappella bassa è di 6,6 metri e l’altezza di quella alta è di 20,50 m.

I numeri

I cani divorano Gezabele, principessa fenicia e moglie di Acab (re di Israele posteriore a Salomone), assassinata poiché venerava Baal e Astarte.

LA REGINA IDOLATRA

I soldati di Nabucodonosor, sovrano di Babilonia, saccheggiano il Tempio di Gerusalemme costruito da Salomone, figlio e successore di Davide.

LA GRANDE DISTRUZIONE

Saul si uccide dopo aver perso una battaglia contro i filistei. Davide è incoronato re dopo diverse vicissitudini. Dalla sua stirpe nascerà Gesù.

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LO SBARCO A VINLAND

Lo sbarco dei vichinghi groenlandesi a Vinland (forse l’isola di Terranova, Canada), dove fondarono una colonia che ebbe vita breve. Litografia da un’opera di Tom Lovell. MONETA DANESE CON NAVE VICHINGA

Il successo dei vichinghi era dovuto non soltanto alla loro perizia come marinai, ma alle straordinarie qualità delle loro imbarcazioni.

I colonizzatori della Groenlandia

VICHINGHI

Per quasi cinquecento anni i norreni abitarono l’inospitale Groenlandia, e l’abbandonarono per ragioni sulle quali gli storici si interrogano ancora oggi FRANCESC BAILÓN ANTROPOLOGO. SPECIALISTA IN CULTURA INUIT


TOM LOVELL / NGS

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a Groenlandia ha oggi l’83 per cento del suo territorio ricoperto dai ghiacci. Ma non è sempre stato così. Nel Medioevo, e in particolare dal IX al XIV secolo, si verificò un’anomalia climatica chiamata “Periodo caldo medioevale” con un aumento delle temperature che sciolse buona parte dei ghiacci in questi territori. Così fu possibile navigare nelle zone artiche, compiere esplorazioni e colonizzare queste terre oggi inospitali. La costa groenlandese fu avvistata per la prima volta fra gli anni 900 e 930, per puro caso, quando il navigatore Gunnbjörn Úlf-Krakuson, «perduta la rotta e trascinato verso ovest attraverso l’oceano, scoprì Gunnbjarnasker [“gli isolotti di Gunnbjörn”]» sulla costa sudoccidentale del Paese, come è narrato nella Saga dei groenlandesi. Oggi, la montagna più alta della Groenlandia porta il suo nome. D E A / A L B UM


BRAVI MARINAI

Leif Eriksson scopre l’America. Il pittore norvegese Christian Krohg riproduce l’impresa di Eriksson (1893). Galleria Nazionale, Oslo. IL PRIMO INSEDIAMENTO

Gunnbjörn, come gli esploratori che negli anni successivi avrebbero seguito le sue orme, era un norvegese che risiedeva in Islanda. In questa terra di frontiera si stabilivano coloro che cercavano una soluzione per i loro problemi o le loro aspirazioni di natura economica, legale o politica in Norvegia; furono i coloni norvegesi dell’Islanda e i loro discendenti a compiere le epiche gesta del popolamento della Groenlandia.

Il richiamo della “Terra Verde”

BRIDGEMAN / ACI

Sarebbero passati cinquant’anni prima che gli isolotti di Gunnbjörn apparissero allettanti agli occhi di un nuovo avventuriero. Verso il 978, Snæbjörn Galti Hólmsteinsson, lontano parente del famoso Erik il Rosso, fu il primo scandinavo a viaggiare dall’Islanda alla costa orientale groenlandese con l’intento di colonizzarla. La sua spedizione trascorse un inverno nella nuova terra, ma ebbe un epilogo tragico: i vichinghi entrarono in conflitto tra di loro e

gli scontri si conclusero con l’assassinio dello stesso Snæbjörn; alla fine, gli unici due sopravvissuti decisero di fare ritorno in Islanda. Nel 982, Erik il Rosso (Erik Thorvaldsson) fu esiliato dall’Islanda con l’accusa di omicidio. Decise dunque di fare rotta verso la terra scoperta da Gunnbjörn, dichiarando che, se avesse trovato quel Paese, sarebbe tornato solo per far visita agli amici. Secondo quanto si narra nella Saga di Erik il Rosso, esplorò la costa sudorientale groenlandese per tre anni e, stabilito che era abitabile, tornò in Islanda con la notizia della scoperta di una nuova terra occidente. La battezzò Groenland, “Terra Verde”, perché effettivamente all’epoca l’isola, almeno la zona costiera meridionale, era ricoperta di vegetazione. Grazie anche al fascino dovuto al nome dato all’isola, Erik riuscì a riportare con sé in Groenlandia 25 imbarcazioni con a bordo oltre 500 persone, numerosi animali domestici e ogni sorta di arnesi, dagli utensili da cucina agli attrezzi agricoli. Solo 14 navi, però, arrivarono sane e salve a destinazione; le altre affondarono durante la traversata o tornarono in Islanda. Tra il 985 e

La colonizzazione della fredda Groenlandia fu un’iniziativa del norreno Erik il Rosso ERIK IL ROSSO IN UN MANOSCRITTO DANESE DEL XVII SECOLO. ISTITUTO ARNAMAGNÆAN, COPENAGHEN.

82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PETER ESSICK / NGS

ORONOZ / ALBUM

La ricostruzione, in tempi recenti, della prima chiesa della Groenlandia, edificata per Thjodhild, la moglie di Erik il Rosso, a Brattahlid.


C R O N O LO G I A

CINQUE SECOLI TRA I GHIACCI 900-930 Il navigatore norvegese Gunnbjörn Úlf-Krakuson perde la rotta a causa di una tormenta durante un viaggio e avvista la Groenlandia.

985 Erik il Rosso giunge in Groenlandia, alla quale dà questo nome, e la esplora. Tre anni dopo vi fonda la prima colonia europea nell’isola.

1112 La Chiesa nomina il primo vescovo per la Groenlandia. Nel 1124, con l’arrivo del vescovo Arnaldur, si fonda una diocesi a Gardar.

1408 A questa data risale l’ultima notizia scritta giunta in Europa a proposito degli insediamenti nordici in Groenlandia.

1450 L’insediamento orientale viene abbandonato e termina la prima colonizzazione europea dell’isola, dopo quasi 500 anni di storia.


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CORBIS / CORDON PRESS

il 986, dunque, gli scandinavi stabilirono in Groenlandia la loro prima colonia: la tenuta di Brattahlid,“pendio ripido”, che fondarono a Eriksfjord, “il fiordo di Erik”.

L’avventura americana

E. LESSING / ALBUM

Verso l’anno 1000, Leif Eriksson, un figlio di Erik il Rosso, decise di salpare verso ovest in cerca di legname, un bene molto pregiato in un’isola sprovvista di alberi con cui costruire case e barche. Erik doveva accompagnarlo nel viaggio ma, secondo la leggenda, proprio mentre si dirigevano verso le navi cadde da cavallo e si ferì a una gamba. Il fatto venne considerato di cattivo auspicio, quindi Erik disse a Leif: «Non sono destinato a scoprire altri Paesi oltre quello in cui ora vivo. Il viaggio finisce qui, almeno per me». Erik dunque tornò alla sua fattoria di Brattahlid, mentre il figlio Leif seguì la rotta di Bjarni Herjólfsson, un norvegese che anni addietro, attorno al 986, aveva avvistato la costa nordamericana, senza tuttavia sbarcarvi. Durante la navigazione lun-

L’atto di un matrimonio celebratovi nel settembre del 1408 è l’ultima testimonianza della presenza vichinga in Groenlandia.

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Nel gelido nord I vichinghi groenlandesi non si avventurarono solo nella navigazione verso lo sconosciuto ovest. Intrapresero anche viaggi di esplorazione e per cacciare animali marini lungo la costa occidentale della Groenlandia. In varie occasioni attraversarono il Circolo Polare Artico,

BANDERUOLA DI BARCA VICHINGA IN BRONZO DORATO. XII SECOLO. MUSEO NAZIONALE, OSLO.

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go le coste dell’isola di Baffin, la penisola del Labrador e l’isola di Terranova Leif Eriksson diede un nome ai luoghi che incontrò: Helluland (“terra delle pietre piatte”), Markland (“terra dei boschi”) e Vinland (“terra del vino”), che chiamò così per le sue viti selvatiche. Leif “il Fortunato” – soprannome che gli fu dato per aver tratto in salvo quindici naufraghi norvegesi durante il viaggio di ritorno in Groenlandia – tornò appena qualche mese prima che il padre Erik morisse per un’epidemia, lasciandolo alla guida della comunità di Brattahlid. Le saghe parlano di almeno altre tre spedizioni groenlandesi a Vinland, la cui colonizzazione, però, risultò impossibile per via dell’ostilità dei nativi.

Leif Eriksson raggiunse il continente americano sbarcando a Vinland, oggi Terranova

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CALCO DELLA RUNA DI KINGIKTORSUUAQ. RINVENUTA SU UN’ISOLA GROENLANDESE PRESSO UPERNAVIK NEL 1823. PARLA DI TRE CACCIATORI NORDICI E FU ERETTA ALLA FINE DEL XIII SECOLO; È L’UNICA ISCRIZIONE RUNICA CONOSCIUTA DELL’AMERICA DEL NORD.


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MENTRE I VICHINGHI svedesi si dires-

sero verso la Russia e i danesi soprattutto verso le isole britanniche, i norvegesi fecero rotta verso ovest e colonizzarono le terre artiche, in un processo che li condusse successivamente alle isole Shetland, alle Fær Øer, in Islanda, in Groenlandia e fino al continente americano. La colonizzazione di queste terre era basata sulle navi da trasporto dei vichinghi, gli knarr, e venne favorita da un periodo di clima eccezional-

mente mite tra i secoli X e XIV, il Periodo caldo medioevale. Nell’arco di questi cinquecento anni ebbero luogo la prodigiosa espansione dei vichinghi nell’Artico e la loro occupazione della Groenlandia, dove non si insediarono all’interno o nel nord, ghiacciati, e neppure sulla costa est (esposta a correnti marine molto fredde e ai venti provenienti dall’inlandsis, la massa di ghiacci groenlandese), bensì all’interno dei fiordi della costa occidentale.

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1 Colonia orientale

Si estendeva su circa 200 km lungo la costa. Costituiva la principale area di insediamento vichingo in Groenlandia e in quel luogo si trovava Brattahlid, la residenza di Erik il Rosso.

2 Colonia occidentale

A nord della colonia orientale vi erano 500 km di costa inabitabile per la scarsità di pascoli; al termine di questa striscia inospitale venne fondata la colonia occidentale.

3 Nordrseta

Erano i territori ghiacciati di caccia situati 1000 km a nord della colonia occidentale, ove ci si spingeva in cerca di trichechi e orsi polari; in questa zona fu ritrovata la runa di Kingiktorsuuaq.

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La zona in cui Leif Eriksson insediò la sua colonia in America non è stata identificata. Fino a oggi è emerso soltanto l’insediamento scandinavo di L’Anse aux Meadows, a Terranova.

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LA REGIONE DI BRATTAHLID

WERNER FORMAN / GTRES

a 66º di latitudine nord, e molto probabilmente giunsero fino ai 79º di latitudine nord, a soli 1125 chilometri dal Polo Nord. In un giacimento archeologico situato a quella latitudine sono stati trovati oggetti scandinavi, tra cui i resti di una cotta di maglia, una pialla da carpentiere e rivetti di imbarcazioni.

La Groenlandia vichinga

E. LESSING / ALBUM

I vichinghi si stabilirono in due colonie: quella orientale (nel sud-est dell’isola) e quella occidentale (più a nord e vicino a Nuuk, l’attuale capitale della Groenlandia). Sono state individuate oltre 80 fattorie nell’insediamento occidentale e circa 400 in quello orientale; insieme, esse potevano ospitare dalle tremila alle cinquemila persone. Le fattorie erano costruite in luoghi favorevoli all’agricoltura e all’allevamento, come l’interno dei fiordi, e nella maggior parte dei casi erano situate lontano dalla costa. I vichinghi iniziarono allevando anatre, oche, pecore, capre, suini, vacche e

I vichinghi non si insediavano alla foce dei fiordi, ma al loro interno, per avere una maggior protezione dal freddo e dal ghiaccio.

cavalli, e nelle fattorie si producevano latte, burro, formaggio e lana. In genere gli animali erano al pascolo da maggio a settembre, poi venivano trasferiti nelle stalle dove trascorrevano l’inverno, cibandosi del fieno raccolto in estate. Ben presto, però, gli scandinavi si resero conto che gli unici animali che potevano sopravvivere erano le pecore e le capre, a causa del clima estremo e della fragilità e povertà del suolo e della vegetazione. Per sostentarsi, quindi, cacciavano foche, balene, lepri artiche e caribù. Data la scarsità di legname, costruivano le loro case con zolle d’erba, pietra, legni che le onde gettavano sulla costa costa o legname che ricevevano dall’Europa, zanne di animali marini e corna di animali terrestri; per fabbricare i recipienti in cui cucinare fecero ricorso a una pietra dura locale, la steatite. L’ingegno, però, non poteva supplire alla scarsità di risorse dell’isola, e i coloni dipendevano economicamente dall’Europa. In cambio di ferro e legno, inviavano sul continente pelli di foca, lana di pecora, denti di narvalo e avorio di tricheco (a sostituire quello di elefante, molto difficile da reperire), oltre a orsi polari e girifalchi vivi.

I groenlandesi dipendevano dal ferro, dal legno e dal grano che giungevano dall’Europa PLACCA IN OSSO DI BALENA DI PROVENIENZA NORVEGESE. IX SECOLO. BRITISH MUSEUM, LONDRA.


I VICHINGHI E GLI INUIT

BRIDGEMAN / ACI

TRA L’VIII E IL IX SECOLO giunsero in Groenlandia i dorset, provenienti dall’Artico occidentale e inventori dell’igloo; era la seconda volta che raggiungevano l’isola. Più tardi, nel X secolo, arrivarono i vichinghi. Infine, tra il 1100 e il 1200, si stabilirono in Groenlandia i thule, originari dell’Alaska. Tutti questi popoli condivisero lo stesso ambito geografico, ma solo i thule si adattarono alle condizioni estreme di questo territorio; da essi discendono gli inuit o eschimesi moderni. Le analisi dei resti umani vichinghi, comunque, dimostrano che nonostante la vicinanza non vi fu mescolanza genetica tra questi popoli. FIGURA UMANA INTAGLIATA IN AVORIO DI TRICHECO, PROVENIENTE DALLA GROENLANDIA. CULTURA INUIT. NUUK, MUSEO NAZIONALE DI GROENLANDIA.

BRIDGEMAN / ACI

INUIT GROENLANDESI IN UN DIPINTO DEL 1654. GLI INUIT RIFIUTANO IL NOME “ESCHIMESI”, TERMINE DISPREGIATIVO CHE SIGNIFICA “MANGIATORE DI CARNE CRUDA”.


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La mappa di Sigurdur Stefansson L’insegnante islandese disegnò verso il 1590 una mappa dell’Atlantico del Nord, dove una grande massa di terra circonda completamente l’Oceano Atlantico. Di questa fanno , parte la Norvegia 1  la Groenlandia 2   e le terre del continente americano: Helluland 3  , Markland 4 e Promontoriun , che Winlandiae 5  molti autori identificano con l’estremo nord dell’isola di Terranova, che sarebbe, dunque, la terra di Vinland. BRIDGEMAN / ACI

Ogni anno, barche provenienti dall’Islanda e dal Nord Europa viaggiavano verso la Groenlandia, che per un certo periodo fu una dipendenza norvegese. Gli scandinavi rimasero sull’isola per quasi cinque secoli, fino a quando scomparvero dal posto per motivi che ancora oggi non sono del tutto chiari.

Una scomparsa enigmatica Non si sa con certezza che cosa motivò l’abbandono della colonia. Si pensa che una causa sia il raffreddamento del clima, iniziato verso il 1300, e che finì per portare all’estinzione dei coloni nonostante avessero cambiato regime alimentare per adattarsi alle risorse disponibili. Un’altra ipotesi punta sullo sfruttamento eccessivo delle risorse esistenti, ossia il deterioramento ambientale provocato dalla pratica agricola e dall’allevamento. Sono state indicate anche molte altre cause, come la peste nera, giunta dall’Europa; i possibili conflitti con i balenieri biscaglini (la cui presenza in Groenlandia è provata dai berretti bordeaux usati dai baschi e rinvenuti sul posto); gli attacchi dei pirati inglesi e germanici; il crollo del prezzo dell’avorio di tricheco quando le crociate resero più facile reperire avorio africano e asiatico, o il monopolio del commercio con l’estero da parte della Norvegia. Alcune storie degli inuit o eschimesi groenlandesi parlano di conflitti armati fra i 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

I VICHINGHI A TERRANOVA

Abitazioni in legno e zolle erbose a L’Anse aux Meadows, l’unico insediamento vichingo scoperto al di là della Groenlandia.

tre popoli presenti sull’isola, i thule, i dorset e i vichinghi, che contribuirono alla scomparsa degli ultimi due; tale ipotesi, tuttavia, non riscuote molti consensi tra gli studiosi. La colonia occidentale si spopolò verso il 1350, e l’insediamento orientale fu abbandonato probabilmente un secolo dopo. Le ultime notizie scritte giunte in Europa in proposito risalgono al 1408 e si riferiscono alla registrazione delle nozze tra il capitano Thornstein Ólafsson e la giovane Sigrídur Björnsdóttir nella chiesa di Hvalsey il 14 settembre. Con la scomparsa dei vichinghi e, un secolo prima, dei dorset, gli unici abitanti rimasti in Groenlandia erano i thule, popolo giunto dall’Alaska, la cui evoluzione culturale avrebbe dato origine agli inuit. Quando, nel 1586, il navigatore inglese John Davis arrivò nella baia di Disko, nel nord-ovest della Groenlandia, vide che «la terra e l’acqua, con tutto ciò che contenevano, appartenevano ai gioviali e resistenti eschimesi». La storia degli scandinavi nella Terra Verde era giunta alla fine. Per saperne di più

SAGGI

Collasso. Come le società scelgono di morire Jared Diamond. Einaudi, Torino, 2005. I vichinghi e la scoperta perduta Frederick J. Pohl. Pgreco, Milano, 2013. TESTI

Saga di Erik il Rosso M. Scovazzi (trad.). Sellerio, Palermo, 2010.

ROLF HICKER / CORBIS / CORDON PRESS

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IL LONTANO OVEST

VINLAND, LA TERRA PROMESSA Fu Leif Eriksson, figlio di Erik il Rosso (il colonizzatore della Groenlandia), verso l’anno 1000 a dirigere una prima spedizione a Vinland, una terra verde, con pascoli e alberi d’alto fusto, che gli storici in genere situano nella zona di Terranova. Lì trascorse l’inverno in un campo base che chiamò Leifsbudir (“Le case di Leif”) e tornò con un grosso carico di legna. Anche le altre spedizioni verso Vinland si stabilirono a Leifsbudir. La seconda fu guidata da Thorvald, fratello di Leif: rimase a Vinland per tre inverni, dopo di che si diresse verso nord per un’esplorazione e fu ucciso dagli Skrælingar, come i nordici chiamavano i nativi. Il ricco mercante islandese Thorfinn Karlsefni guidò una terza spedizione che trascorse due inverni a Leifsbudir, dove nacque suo figlio Snorri, il primo uomo di origine europea a venire al mondo nell’America del Nord.

Le saghe parlano di una quarta e ultima spedizione, condotta dalla crudele Freydís, sorella di Leif Eriksson, che finì in un bagno di sangue per scontri interni. I groenlandesi non tornarono più a Vinland: erano troppo pochi per mantenere una presenza in un luogo tanto ostile e inospitale.


LA VITA NELL’ESTREMO NORD Le immagini della Storia dei popoli settentrionali (1555), di Olao Magno, testimoniano la dura vita in Groenlandia. In una terra priva di legno, con pochi pascoli e terre da coltivare, i vichinghi dovevano sfruttare al massimo le risorse che l’ambiente concedeva loro.

TRONCHI ALLA DERIVA SULLA COSTA DELLA GROENLANDIA. CON QUESTI I GROENLANDESI COSTRUIVANO LE LORO CASE.

Un’industria groenlandese

Le genti del nord praticamente non consumavano pesce (i resti ritrovati sono molto scarsi), però lo affumicavano per esportarlo. Per giorni, il pesce veniva esposto al fumo di legna verde all’interno di stanze di pietra, poi raccolto in barili.

Ricostruzione della casa di Erik il Rosso a Brattahlid (l’attuale Qassiarsuk). Una struttura in legno ricoperta di zolle d’erba sosteneva queste prime abitazioni, dalla forma allungata e pavimentate in pietra.

AGE FOTOSTOCK

BRIDGEMAN / ACI

AKG / ALBUM

Alla ricerca dell’orso bianco

Gli orsi polari catturati vivi nella regione chiamata Nordrseta, i territori di caccia del nord, erano apprezzati in tutta Europa come regali per i sovrani, così come le loro pelli. Affrontare questo gigantesco animale, però, esigeva coraggio e destrezza estremi.


A caccia di foche

IMMAGINI: BRIDGEMAN / ACI

La metà, o forse di più, degli ossi di animali rinvenuti negli insediamenti nordici è di foca, a riprova dell’importanza della caccia nell’alimentazione dei vichinghi; oltre alla carne di foca si consumava soprattutto quella del caribù, la renna selvatica.

Soluzioni ingegnose per sostituire il ferro

Il ferro era molto scarso: in Groenlandia non sono stati ritrovati elmi né spade. Mancavano anche i chiodi in metallo: nel 1189 giunse in Islanda una barca groenlandese le cui tavole erano inchiodate con puntine di legno e legate con fanoni di balena.


ORONOZ / ALBUM

Il trattato che ridisegnò l’europa

UTRECHT ALLA FINE DELLA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA, IL BORBONE FILIPPO V FU RICONOSCIUTO RE DI SPAGNA. E L’IMPERO EUROPEO SPAGNOLO (ITALIA COMPRESA) FU DIVISO TRA I VINCITORI ROSA MARIA DELLI QUADRI DOCENTE DI STORIA MODERNA, UNIVERSITÀ DI NAPOLI “L’ORIENTALE”

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a morte senza eredi di Carlo II, l’ultimo Asburgo di Spagna, il 1° novembre 1700, aprì la questione della successione al trono e del destino dei territori della corona di Madrid posseduti in Europa e oltre Atlantico. Il testamento del sovrano designò come erede Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV, profilando, nonostante la clausola dell’impossibilità di unire la corona di Spagna e quella di Francia, l’opportunità di un’egemonia dei Borbone francesi sull’Europa. Nella vicenda avrebbe avuto parte non trascurabile anche il papato con il nuovo pontefice Clemente XI, salito al soglio da otto giorni. Il papa, nonostante i buoni propositi pacificatori, fornendo al nuovo re spagnolo grandi risorse provenienti dai beni ecclesiastici, avrebbe incrinato la sua posizione di apparente neutralità sulla successione e avrebbe travolto lo Stato pontificio nella guerra iniziata il 15 maggio 1702.

92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


LA FIRMA DEL TRATTATO

I lavori diplomatici, iniziati nel 1712, si conclusero il 13 luglio 1713. Incisione di G. Jollian tratta da un almanacco francese del 1714. Musée du Château de Versailles. PACE TRA SPAGNA E PAESI BASSI

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

Il trattato che mise fine alla guerra di successione spagnola è articolato in più accordi sottoscritti a Utrecht dai Paesi coinvolti nel conflitto.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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C R O N O LO G I A

Dalla guerra alla pace di Utrecht 1 novembre 1700 Alla morte di Carlo II di Spagna, per sua disposizione testamentaria gli succede Filippo d’Angiò (Borbone), nipote di Luigi XIV di Francia.

7 settembre 1701 Contro l’ipotesi di un potente asse SpagnaFrancia, Inghilterra, Paesi Bassi e Austria si coalizzano sostenendo Carlo d’Asburgo.

1701-1706 La prima fase della guerra ha per teatro i Paesi Bassi, l’Italia e la Spagna e si conclude con un bilancio negativo per l’asse franco-spagnolo.

1707-1711 Mentre Filippo V riconquista Madrid e gran parte della Spagna, Luigi XIV, ripetutamente sconfitto, cerca invano un accordo.

LA ROCCA DI GIBILTERRA

L’occupazione britannica di Gibilterra nel 1704 fu uno dei momenti salienti della Guerra di successione spagnola poiché dava accesso agli alleati al Mediterraneo.

17 aprile 1711 La morte di Giuseppe I d’Asburgo e la successione del fratello Carlo spinge alcuni alleati a ritirare l’appoggio per evitare lo strapotere asburgico.

1712 Dopo l’indebolimento dell’alleanza asburgica e la vittoria di Denain contro gli austro-olandesi, la Francia è invitata a negoziati di pace.

Il trattato di Utrecht pone fine alla guerra riconoscendo Filippo V re di Spagna. Nel 1714 esso sarà suggellato dalla pace di Rastadt tra Francia e Austria.

94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

13 luglio 1713

CARLO II RITRATTO SU UNA MONETA DEL 1676.

Austria, Inghilterra e Paesi Bassi si coalizzarono, con il Palatinato, l’Hannover e la Prussia, contro la Francia che, a sua volta, poteva contare sull’appoggio del Portogallo, del duca di Savoia Vittorio Amedeo II e degli elettori di Colonia e Baviera, iniziando un nuovo conflitto che mise in moto eserciti più numerosi di ogni altra battaglia del secolo precedente, impegnò sui principali fronti più di 600.000 uomini contemporaneamente e mostrò subito un evidente squilibrio di forze a vantaggio della coalizione anglo-austro-olandese. I vari attacchi alla Spagna sia dalla terra sia dal mare e il separatismo delle sue province giocarono in modo efficace contro Filippo d’Angiò, nel frattempo insediatosi a Madrid con il titolo di Filippo V. Questi, tuttavia, riuscì a farsi accettare dalla maggior parte dei suoi sudditi e a sottomettere le province ribelli. Nella coalizione antifrancese iniziavano, però, ad apparire le prime divisioni: le rivalità commerciali tra inglesi e olandesi mostravano sempre più il loro peso e il governo inglese accettò l’ipotesi di una divisione che lasciasse


MAURIZIO RELLINI / FOTOTECA 9X12

ALBUM

a Filippo la corona spagnola con la rinuncia perpetua ai suoi diritti su quella di Francia. In questo panorama, un ruolo importante, specie in relazione al futuro del Mezzogiorno italiano, sarebbe stato svolto nel piccolo ducato di Parma e Piacenza. Qui il duca Francesco Farnese tentò invano di restare neutrale rispetto alla guerra di successione, cedendo alla fine alla pressione degli eserciti stranieri che avevano trasformato la Pianura Padana nel teatro dei loro scontri. Infatti, contro l’invasione da parte delle truppe imperiali del principe Eugenio di Savoia, nel 1702 egli chiese aiuto a Clemente XI, che gli inviò le sue milizie di occupazione, considerando sotto la sua influenza quel territorio. A poco servì, visto che sette anni dopo le città del ducato sarebbero diventate feudi imperiali. Un momento fondamentale nel quadro degli equilibri europei e mediterranei di lungo periodo si ebbe nel 1704, con l’occupazione britannica della rocca di Gibilterra, la porta

FILIPPO V DI SPAGNA Malinconico e ipocondriaco, sarebbe stato fortemente influenzato dalla seconda moglie, Elisabetta Farnese. Ritratto di L.M. van Loo (XVIII sec.). Prado, Madrid.

del Mediterraneo, che permise alle potenze coalizzate di assicurarsi un accesso facile al Mare Interno. Mentre l’Inghilterra prendeva le Baleari e la Sardegna, l’arciduca Carlo d’Asburgo entrava a Madrid (1706), ma ne era presto ricacciato, e gli austriaci si insediavano a Napoli l’anno seguente, interrompendo dopo due secoli la dominazione spagnola nel Regno. La Francia, invece, attraversata da malcontento, carestie e sommosse e con un elevato debito pubblico, si dispose a trattative di pace che prevedevano la rinuncia alla corona spagnola. Nel 1711, dopo la morte dell’imperatore Giuseppe I d’Asburgo, il trono viennese passò al fratello Carlo VI, con il quale l’egemonia in Europa si sarebbe realizzata all’insegna dell’aquila imperiale asburgica.

Utrecht e i nuovi equilibri europei Il Te Deum e il Jubilate Deum di George Frideric Haendel furono le due composizioni sacre che nel 1713 diedero una colonna sonora alla pace di Utrecht, dove, dopo un


Edimburgo

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LAS VÍCTIMAS DE LA ERUPCIÓN

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ederico Guglielmo I di Prussia proseguì, dopo Utrecht, la rivoluzione che suo padre aveva iniziato come primo sovrano di Prussia e che avrebbe segnato la storia del Paese per due secoli. Il “Re sergente”, così chiamato in virtù del carattere militarista della sua politica, portò a compimento la fondazione della monarchia assoluta e l’unità dello Stato centralizzando l’amministrazione interna, accrescendo le fila dell’esercito e addestrando i suoi soldati, incrementando la nobiltà di servizio con la razionalizzazione del sistema di riscossione delle imposte. Poco amato dai sudditi per il carattere severo e irascibile, “il più grande re interno di Prussia” fu un padre tirannico con i suoi 14 figli, avuti da Sofia Dorotea di Hannover, figlia di Giorgio I d’Inghilterra. Il suo dispotismo impedì lo sviluppo di istituzioni rappresentative

96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

moderne e cancellò la forza politica dei ceti, ma evidenziò anche segni di palese modernità come l’efficacia del prelievo statale, superiore a quella di altri Stati europei, le tasse non appaltate, la fondazione di molte scuole di formazione, lo sviluppo dell’industria tessile con la creazione, nel 1713 a Berlino, di un deposito generale per la vendita all’ingrosso sul mercato internazionale. Morì nel castello di Potsdam nel 1740. Gli succedette il figlio Federico II.

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primo trattato concluso tra Francia e Inghilterra, e un secondo firmato l’anno seguente a Rastadt tra la Francia e l’imperatore asburgico il conflitto fu risolto con il riconoscimento a Filippo V dei suoi diritti sulla Spagna e sul suo impero coloniale e con la rinuncia in perpetuo a rivendicarne sul trono francese. Per l’occasione si coniò una medaglia con il motto Spes felicitatis orbis, pax ultrajuctensis (La pace di Utrecht, speranza di felicità per il mondo intero) raffigurante Astrea, la stella fanciulla che con un paio di bilance e una corona di stelle distribuiva pace, giustizia e libertà, incarnando i principi scaturiti dal congresso: legittimità, equilibrio di potere e compensazione. Tuttavia, a uscire vittoriosa fu l’Inghilterra che, oltre a conquistare domini nell’America settentrionale a spese della Francia, nel Mediterraneo ratificò la presa di Gibilterra e di Minorca a spese della Spagna. La Francia rinunciò a ogni pretesa sulla Spagna e all’Austria fu attribuito il Belgio spagnolo. Anche la geografia politica dell’Italia variò il suo aspetto: il ducato di Milano, la Sardegna e lo Stato dei Presidi,

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CASTELLO DE HAAR, UTRECHT. IL PIÙ GRANDE MANIERO DEI PAESI BASSI, È STATO RICOSTRUITO ALLA FINE DEL XIX SECOLO.

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SOLDATI “SPILUNGONI” Federico Guglielmo reclutò uomini di altezza notevole (oltre 188 cm) perché la bassa statura ostacolava l’uso dei fucili ad avancarica di cui era dotato l’esercito. Dipinto di J.C. Merk. Deutsch Historisches Museum, Berlino.

BRID GEM AN / AC I

oltre al già acquisito Regno di Napoli, passarono dalla Spagna all’Austria; Vittorio Amedeo II di Savoia, oltre a ulteriori acquisizioni in Piemonte, ottenne il Regno di Sicilia, mentre l’elettore del Brandeburgo, Federico I, fu riconosciuto re di Prussia e si garantì territori nella zona renana. Egli riunì tutti i possedimenti della famiglia Hohenzollern in una formazione centralizzata, anche se geograficamente non compatta, dando inizio a un’energica crescita dello Stato prussiano. Il suo successore, Federico Guglielmo I, rendendo il Paese una “universale caserma prussiana” e consolidandolo gettò le basi per quella che, dopo il 1740, con Federico II, sarebbe diventata una delle principali potenze europee. Il grande sconfitto al congresso fu, invece, Clemente XI, che con la sua politica convenzionale e la mancanza di esperienza internazionale non riuscì a influenzare la lotta per l’egemonia europea e fu completamente emarginato dalle

trattative condotte a Utrecht e nemmeno rappresentato a Rastadt, l’anno dopo. Intanto Filippo V, pur avendo trovato la Spagna avvilita nell’industria e nel commercio e con una flotta in pessime condizioni, aveva guadagnato la fiducia del popolo riordinando le finanze e tentando di unificarla secondo il modello assolutistico, come nessuno dei sovrani asburgici era riuscito a fare in passato. Dopo tutti i tracolli provocati dai predecessori, aveva ristrutturato il sistema fiscale, abolito diversi privilegi della nobiltà e del clero e risollevato la produzione agricola e manifatturiera. Aveva migliorato e riorganizzato personalmente l’esercito, con l’introduzione della divisa e della baionetta e del sistema a schiera e a battaglioni, rinforzato il corpo dell’artiglieria, riordinato le scuole militari, riorganizzato la marina, i nuovi arsenali e le scuole navali.

La Napoli austriaca Senza spargimenti di sangue, il 7 luglio 1707 gli austriaci erano entrati a Napoli e vi sarebbero rimasti fino al 1734, anno dell’occupazione del STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

97


PALAZZO REALE, NAPOLI

Fatto costruire nella prima metà del Seicento dal viceré di Spagna, fu residenza di tutti i sovrani succedutisi a Napoli, austriaci compresi.

GIAMBATTISTA VICO

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I piccolo Giambattista (1668-1744), figlio di un libraio e della figlia di un lavorante di carrozze napoletani, trascorse la sua fanciullezza e adolescenza nella bottega paterna, nel cuore antico di Napoli, dove portò a termine studi umanistici e di filosofia. Si laureò in legge e consolidò la sua preparazione filosofica in linea con quel movimento di idee contrario alla cultura scolastica e aperto alle nuove correnti europee, come il cartesianismo, la filosofia di Gassendi e l’erudizione storica. Nel 1699 Vico vinse il concorso alla cattedra di eloquenza all’Università di Napoli e solo per poco, nel 1723, non divenne professore ordinario di diritto romano. Il suo genio non riuscì a imporsi e le sue teorie non vennero prese in considerazione dai filosofi dell’epoca, troppo legati all’intellettuali-

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smo cartesiano, tagliandolo fuori dal movimento culturale di Napoli e di quel secolo di fermentazione feconda. La fama ottenuta con La Scienza Nuova (1725), in cui teorizzava l’esigenza di pensare a una nuova scienza dei tradizionali saperi filologici e filosofici, gli valse la carica di storiografo regio, conferitagli nel 1735 da Carlo III di Borbone, nuovo sovrano del Regno. Tra il 1728 e il 1729 esce a Venezia la sua Autobiografia. Muore nel 1744.

Regno da parte di Carlo di Borbone. Fu solamente dopo la fine della guerra di successione spagnola che gli Asburgo cercarono di intervenire concretamente nella vita economica del Paese, stremato da un conflitto che si era rivelato molto costoso. I cambiamenti più importanti non riguardarono né le classi privilegiate della società (nobiltà e clero), né l’inquadramento del regno nella politica e nell’economia internazionale, che continuò a essere relativa e in gran parte dipendente. Mutamenti significativi si produssero, invece, nell’affermazione del ceto civile e professionale come classe di governo e nella cultura giurisdizionalistica, incline ad arginare l’interferenza ecclesiastica nella vita dello Stato oltre che i privilegi e le immunità del clero. Carlo VI d’Asburgo avviò una serie di riforme che, pur senza godere del consenso sociale necessario, nei primi due decenni del Settecento costituirono le basi della trasformazione politica e culturale avvenuta nell’epoca dei Lumi. La creazione di un banco nazionale e di una giunta di commercio si unì a una ripresa eco-


DEA / SCALA, FIRENZE

ANTONIO CAPONE / FOTOTECA 9X12

RITRATTO DI CARLO VI D’ASBURGO. CON LE SUE RIFORME ANTICIPÒ L’AVVENTO DELL’ETÀ DEI LUMI. KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, VIENNA.

Per gli Asburgo il possesso della Sicilia e del Regno aveva significato il rafforzamento dell’alleanza con l’Inghilterra, che con la sua egemonia mediterranea costituiva l’unica potenza in grado di tutelare l’Austria da qualsiasi tentativo della Spagna. Al termine delle trattative di Utrecht non era cambiato solo il profilo del Mezzogiorno italiano, ma si era delineato anche un nuovo quadro di tutta la penisola, di cui Austria e Piemonte erano diventati i principali soggetti.

STEMMA ASBURGIC0 La guerra di successione spagnola fu la contrapposizione tra la casata degli Asburgo, che sostenevano Carlo d’Austria, e quella dei Borbone, che sostenevano Filippo d’Angiò.

Le molteplici Italie DEA / SCALA, FIRENZE

nomica e finanziaria basata su programmi di sviluppo, a lunga scadenza, relativi all’incremento delle manifatture del regno, all’interesse per le esigenze portuali del sud Italia, all’ampliamento dell’area commerciale del Paese con progetti e trattati di commercio, alla crescita della marineria, militare e mercantile, e alla cura del servizio postale. Dal 1729 fino al termine della dominazione austriaca il Regno fu caratterizzato da un lato dai preparativi bellici e, dall’altro, dall’interruzione dei programmi avviati in passato, con la fine di quel moderato risveglio economico degli anni Venti del secolo, portato avanti da Vienna. Dopo il 1713 vi era stata anche una forte ripresa della vita intellettuale napoletana e fu in questo periodo che filosofi, storici e giuristi come Giambattista Vico e Pietro Giannone rappresentarono il segno di un sapere vivo e coraggioso alla base di una città che sarebbe divenuta protagonista della rivoluzione culturale e illuministica nel corso della seconda metà del secolo.

Per quasi vent’anni e fino allo scoppio, sempre dovuto a motivi dinastici, della guerra di successione polacca (1733), l’Italia sarebbe stata al centro del sistema dell’equilibrio europeo e teatro di spartizioni tra Spagna e Austria, arbitro l’Inghilterra. La sua politica si sarebbe decisa fuori dalla penisola, nelle capitali europee, e i suoi Stati avrebbero dovuto subirne le regole. Anche se la pace aveva messo un freno alle ambizioni prima della Francia e poi dell’Austria, il STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CASTELLO DI BARDI, PARMA

Di origine longobarda, in posizione strategica lungo la Via Francigena che collegava Bobbio a Roma, alla fine del Seicento passò ai Farnese e infine ai Borbone Parma.

LAS VÍCTIMAS DE LA ERUPCIÓN

CLEMENTE XI

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i tendenza francofila, detto cunctator per le sue doti di temporeggiatore, Clemente XI condusse un pontificato che per vent’anni rappresentò la debolezza del “papato politico” a causa delle sue insicurezze, prima e dopo gli accordi di Utrecht, nei rapporti con i vari sovrani europei. Anche la cattiva gestione delle relazioni con l’imperatore e il riconoscere, nel 1709, il diritto di Carlo d’Asburgo a essere re di Spagna, tradendo così Filippo V, che era stato appoggiato dal suo predecessore Innocenzo XII, lo screditarono sempre di più agli occhi dell’Europa. Per riscattare la caduta del suo prestigio internazionale si pose a capo di una lega cristiana contro gli ottomani, ma gli scarsi risultati ottenuti misero ancor di più in evidenza la crisi del papato.

100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

In campo religioso e dogmatico il suo avvento segnò un inasprimento della Curia romana contro i giansenisti, il fallimento della gestione delle missioni in Cina e l’innesco di conflitti con la Missione d’Olanda. All’interno dello Stato Pontificio realizzò diverse opere: l’obelisco nella piazza del Pantheon, il porto di Ripetta sul Tevere e i primi scavi programmati delle catacombe. Si spense il 19 marzo 1721, in seguito a una malattia polmonare.

segno tangibile che il 1713 non aveva rappresentato la ricostituzione di una nuova stabilità europea fu il dare inizio, da parte della Spagna, a una crisi che minacciò di coinvolgere l’Europa in un altro scontro. Nel tentativo di riprendere i territori perduti durante la Guerra di successione, nel 1717 Filippo V inviò due squadre navali in Sardegna, riconquistando l’isola che nel corso del conflitto era passata in mano agli Asburgo. L’anno seguente invase la Sicilia, ma senza risultati grazie all’intervento della quadruplice alleanza tra Impero asburgico, Inghilterra, Francia e Paesi Bassi, che costrinse Vittorio Amedeo II di Savoia a cederla all’Austria in cambio della Sardegna. Mentre l’esperienza sabauda non aveva lasciato tracce consistenti nella storia siciliana, in Piemonte i Savoia cercarono di organizzare lo Stato nel modello assolutistico realizzato in Francia da Luigi XIV, con un’azione efficace nel campo del fisco, del regime feudale, delle immunità ecclesiastiche, della codificazione giuridica e della scuola. Così, la politica abile del sovrano riuscì a inserire la sua piccola potenza


L. PEDICINI / BRIDGEMAN / ACI

MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12

ELISABETTA FARNESE, REGINA CONSORTE DI SPAGNA, SECONDA MOGLIE DI FILIPPO V. REGGIA DI CASERTA.

nel gioco dell’equilibrio europeo. Anche nella Milano austriaca furono promosse riforme, tra cui l’istituzione di un catasto per la ridistribuzione dei carichi fiscali, che, come per Napoli, costituirono le basi del rinnovamento politico e culturale illuminista. L’altra parte dell’Italia era rappresentata dalle repubbliche di Venezia, Genova e Lucca, dagli Estensi a Modena e dalla corte pontificia, dove Clemente XI era occupato più a difendere i privilegi ecclesiastici nei diversi Stati che a impegnarsi nella diplomazia internazionale.

La politica della duchessa di Parma Dalla Spagna, nel frattempo, Elisabetta Farnese, seconda moglie di Filippo V, con l’aiuto di consiglieri come José Patino, Jean Orry e Giulio Alberoni si adoperava per consolidare la presenza borbonica nella Penisola e procurarsi le risorse necessarie, soprattutto di denaro e di navi, per i suoi obiettivi. “Consumata nelle arti più fini di regnare”, la duchessa diresse le ambizioni sue, della Spagna e dei due figli, Carlo e Filippo. Nel 1725,

avviando un’azione diplomatica per rivendicare i possessi ereditari di Parma e Piacenza e il diritto di successione sul granducato di Toscana, alla morte senza eredi maschi dell’ultimo dei Medici, Gian Gastone, si alleò con il suo nemico austriaco. Quattro anni dopo, però, stipulò il trattato di Siviglia con l’Inghilterra e la Francia, che, alla morte dell’ultimo Farnese duca di Parma, appoggiarono l’ingresso di suo figlio Carlo nel ducato (1731). Trascinando la Spagna nelle guerre di successione polacca e austriaca, nel 1734 ottenne per quest’ultimo i regni di Napoli e di Sicilia e per Filippo il ducato di Parma e Piacenza. I suoi obiettivi dinastici saranno portati avanti fino alla morte di suo marito (1746), quando cesserà di avere mire territoriali sull’Italia, determinando un cambiamento radicale nella politica estera spagnola. Per saperne di più

SAGGI

L’Europa del vecchio ordine. 1660-1800 William Doyle. Laterza, Bari, 1987.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LE BATTAGLIE DELLA GUERRA Il conflitto che si concluse con il Trattato di Utrecht imperversò dal 1701 al 1714 1701: Italia Inserita nella prima fase della guerra di successione spagnola, la battaglia di Chiari infuriò il 1° settembre 1701 e vide opporsi l’esercito asburgico e la coalizione franco-spagnola. A guidare le forze austriache era Eugenio di Savoia, mentre lo schieramento avversario era comandato dal duca di Villeroi, chiamato a sostituire il maresciallo Catinat dopo la sconfitta subita a Carpi pochi mesi prima. La sanguinosa battaglia vide trionfare le truppe asburgiche di Eugenio.

eugenio di savoia

1.

1704: Germania La battaglia di Blenheim del 13 agosto 1704, in Baviera, rappresentò uno degli scontri decisivi nel quadro della guerra. A fronteggiarsi da un lato le truppe francesi e bavaresi, dall’altro quelle inglesi, prussiane, austriache e olandesi. L’esercito alleato, comandato dal duca di Marlborough e dall’immancabile Eugenio di Savoia, inflisse una dura sconfitta al nemico ponendo così fine alle mire di Luigi XIV e costringendo Massimiliano II di Baviera all’esilio.

massimiliano ii di baviera

2.

1706: Italia Torino, nel 1706, subì uno dei più eclatanti assedi avvenuti nel quadro della lunga guerra di successione spagnola: centodiciassette giorni durante i quali 44.000 soldati franco-spagnoli tentarono di conquistare la cittadella difesa da 10.500 sabaudi. La strenua difesa, comandata ancora una volta da Eugenio di Savoia in schieramento asburgico e dal duca Vittorio Amedeo II, si concluse il 7 settembre con la cacciata delle forze d’invasione.

vittorio amedeo ii

3.

dipinti: 1. la battaglia di chiari, bridgeman /aci. ritratto di eugenio di savoia, austrian archives /scala, firenze. 2. la battaglia di blenheim, national army museum /bridgeman /aci.

ritratto di massimiliano ii di baviera, deutsches historisches museum berlino, bridgeman /aci. 3. l’assedio di torino, tarker /bridgeman /aci. ritratto di vittorio amedeo ii, scala, firenze.


DI SUCCESSIONE SPAGNOLA e fu scandito da numerose battaglie combattute su tutto il continente europeo 1707: Spagna Nel 1707 il campo di battaglia si spostò proprio nella Spagna la cui successione al trono aveva generato la guerra. Il 25 aprile, durante la battaglia di Almansa, un’armata franco-borbonica di 25.000 uomini guidati dal James Fitzjames, duca di Berwick, sconfisse i 22.000 soldati alleati del Portogallo, Regno Unito e delle Province Unite agli ordini di Henri de Massue, conte di Galway. La battaglia segnò un decisivo rafforzamento della presenza borbonica in Spagna.

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4.

1708: Belgio Combattuta l’11 luglio 1708 nelle Fiandre Orientali, la battaglia di Oudenaarde segnò un’altra importante vittoria dell’alleanza austro-britannica ai danni dell’esercito francese. Gli uomini in campo erano oltre 100.000 per schieramento, ma l’intesa dei comandanti alleati, John Churchill, duca di Marlborough, ed Eugenio di Savoia, decise le sorti dello scontro infliggendo una pesante sconfitta ai duchi di Vendôme e di Borgogna, quest’ultimo nipote di Luigi XIV.

john churchill

5.

1712: Francia Erano passati già 11 anni dall’inizio della guerra di successione e nel 1712, la battaglia di Denain ne rappresentò un’altra importante tappa. Dopo le pesanti sconfitte subite, l’esercito francese si era riorganizzato sotto la guida del maresciallo Claude de Villars e alle 5 di mattina del 24 luglio lanciò l’offensiva contro le truppe austro-olandesi comandate dal principe Eugenio. L’esito della battaglia fu favorevole a Villars, che riuscì così a programmare la controffensiva francese.

claude louis hector de villars

6.

4. la battaglia di almansa, dea /scala, firenze. ritratto di james fitzjames duca di berwick, oronoz /album. 5. la battaglia di oudenaarde, heritage /scala, firenze. ritratto di john churchill duca di marlborough, heritage /scala, firenze. 6. la battaglia di denain, white images/scala, firenze. ritratto di claude louis hector de villars, white images /scala, firenze.


GRANDI SCOPERTE

La tomba della Signora di Cao, regina dei moche Nel 2005, gli archeologi trovarono, nel Nord del Perú, il sepolcro intatto di una donna d’alto rango del popolo moche vissuta nel V secolo d.C.

IRA BLOCK / NGS

Cao Viejo BRASILE T RU J I L LO LIMA

PERÚ

OCEANO PACIFICO

1990 Régulo Franco stava scavando nella huaca Cao Viejo, uno dei quattro “luoghi sacri” (è questo il significato della parola quechua huaca) che costituiscono il complesso archeologico El Brujo, 60 km a nord di Trujillo. Cao Viejo è un centro cerimoniale appartenente alla cultura dei moche, un popolo guerriero che tra il 100 e l’800 d.C. diede vita a una civiltà ricca e complessa lungo l’arida fascia costiera del Perú affacciata sull’oceano Pacifico. In quegli anni, Franco era costretto a lavorare

400 d.C. circa

La Signora di Cao viene sepolta in uno dei recinti cerimoniali situati nella huaca (piramide) di Cao Viejo, a El Brujo.

2005

accompagnato da guardaspalle per proteggersi dalle minacce di morte e dai continui sabotaggi degli huáqueros, i saccheggiatori di tombe. Questo non lo fermò, e alla fine ebbe la sua ricompensa. Nei primi giorni del 2005, la squadra di Franco stava scavando nel cortile nordoccidentale del recinto cerimoniale, che si distingue per le pareti decorate con disegni geometrici e la raffigurazione di un essere con tratti antropomorfi, zanne di un felino e tentacoli da piovra, circondato da condor e serpenti: è Ai Apaec, la divinità principale dei moche, chiamato anche «il Decapitatore».

Una tomba reale Ad attirare l’attenzione dei ricercatori furono alcuni elementi rinvenuti nel cortile con evidenti tracce di bruciature: legno, ceramica, aghi

Régulo Franco e la sua équipe localizzano varie tombe; una, nel recinto nord-ovest di Cao Viejo, sembra importante.

UN ARCHEOLOGO

IRA BLOCK / NGS

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obbiamo fare un’altra scoperta così». Fu quel che Guillermo Wiese disse all’archeologo Régulo Franco, mentre sventolava con la mano l’articolo pubblicato dal National Geographic sulla straordinaria scoperta di Walter Alva del 1987: la tomba intatta di un governatore dei moche, il Principe di Sipan, nella huaca Rajada. Dopo quel ritrovamento favoloso, il sogno di tutti gli archeologi era farne uno simile nella regione di Lambayeque, nel Nord del Perú. Wiese era il presidente della fondazione che prende il suo nome, dedicata allo studio e alla valorizzazione dei luoghi di interesse archeologico nel Perú. Con il suo sostegno, dal

restaura un dipinto nel cortile cerimoniale della huaca Cao Viejo, dove fu trovata la tomba intatta della Signora di Cao.

di rame, pesci, figurine in legno e cinabro, oltre a vasellame, tessuti e ornamenti in argento e rame dorato. Sembravano indizi precisi che proprio lì si nascondeva la tomba di un personaggio

Maggio 2006

Gli archeologi aprono la tomba principale ed estraggono l’involucro funerario, e per sei mesi si dedicano al suo studio.

Giugno 2006

National Geographic pubblica un articolo dedicato alla scoperta, intitolato “Il mistero della mummia tatuata”.

STATUINA DI LEGNO CON BASTONE DA GUERRA, SEPOLTA FORSE COME SIMBOLICO GUARDIANO VICINO ALLA TOMBA DELLA SIGNORA DI CAO.


REGINA E SACERDOTESSA SOTTO I TELI che coprivano il corpo della Signora di

Cao comparvero un’armatura di 1100 pezzi di rame dorato pesante 200 chili, due bastoni cerimoniali e armi. Sono tutti emblemi di potere, prima d’allora rinvenuti solo in tombe di uomini di rango elevato, come il Principe di Sipan. Secondo Régulo Franco, i tatuaggi di ragni e serpenti che ornano il corpo della Signora indicano che le si attribuivano poteri soprannaturali, poiché sono animali simbolo della fertilità della terra.

importante dell’élite del popolo moche. E così era: la metodica esplorazione degli archeologi portò alla luce quattro tombe che fiancheggiavano quella che sembrava essere la tomba principale.

2009

Accanto al giacimento archeologico viene inaugurato il Museo Cao Viejo, che espone i resti e il corredo funerario della Signora di Cao.

Gli sforzi degli archeologi si concentrarono su questo sepolcro, dalla complessa struttura. Quando lo aprirono, il 15 maggio 2006, per prima cosa apparve un vaso a forma di gufo interrato fino al collo. Subito dopo c’era una complessa struttura destinata a proteggere la sepoltura, attorno alla quale erano stati disposti numerosi vasi di forme differenti. Alla fine, con grande emozione di Régulo Franco e della squadra che lavorava con lui, fu estrat-

to un involto funerario intatto, pesante un centinaio di chili e lungo 1,80 metri. Il defunto era stato collocato con la testa rivolta verso sud, secondo un’usanza diffusa presso i moche. Sulla destra del fardello funerario era adagiato il corpo di una giovane dell’apparente età di 15 anni.

La prima sorpresa Per sei mesi, l’équipe di scienziati diretta da Régulo Franco, la specialista di tessuti Arabel Fernández e John Ve-

IRA BLOCK / NGS

NEL LABORATORIO SI ASPORTANO I PEZZI CHE COMPONGONO IL FARDELLO FUNERARIO DELLA SIGNORA DI CAO.

rano, esperto di bioantropologia, si dedicò a sbendare con estrema cautela l’involto funerario, che si rivelò composto da 26 strati di tela, tra i quali vennero rinvenuti mantelli ricoperti di lamine di rame dorato e resti di cotone. Dopo aver rimosso alcuni strati interni, gli archeologi trovarono collane, diademi, corone e 44 decorazioni da naso in oro e argento, alcune delle quali custodite in astucci di tela. Accanto al corpo vi erano anche due STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

105


GRANDI SCOPERTE

La tomba e il corredo della Signora di Cao NELLA HUACA CAO VIEJO venne costruito un recinto decorato per custodire i resti della Signora.

Quattro persone furono sepolte vicino a lei, e un’altra nella sua tomba. Il luogo era uno spazio sacro in cui si bruciavano offerte e si versavano libagioni in un recipiente collocato a questo scopo sopra la tomba. r

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scettri o bastoni cerimoniali in legno rivestito di rame dorato, lunghi 1,75 m. Nell’involto funerario erano stati disposti inoltre 23 propulsori per lanciare frecce. Fu però quando i ricercatori raggiunsero gli ultimi strati di tela che ricoprivano il defunto che ebbero la sorpresa più grande: il corpo, che misurava circa 1,45 m di lunghezza, era in uno stato di conservazione perfetto e apparteneva a una donna. I moche non mummificavano i loro morti, eppure in questo caso il corpo era stato 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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1 Recinto

2 Sepolcro

3 Involto

4 Corredo

Il mausoleo della Signora era formato da un recinto cerimoniale e da una piattaforma a, dove furono trovate una statuina rituale sepolta, quattro tombe b secondarie e la tomba principale c.

La tomba della Signora era coperta con due lastre di adobe intonacato d, uno spesso strato di terra e, sei strati di mattoni sovrapposti f, una struttura di canne g e sei tronchi h.

L’involto funerario era circondato da vari pezzi in ceramica i e ricoperto con una lunga stuoia ripiegata j. Accanto giaceva il corpo di una giovinetta k con una corda annodata al collo.

Il corpo l era sotto 26 strati di tessuto di cotone. Tra le stoffe vi erano gioielli da naso m, lanciatori di frecce n, una ciotola o a coprire il volto, un manto di piastre di rame p, due bastoni q e varie corone r.

cosparso di cinabro, un minerale rosso che favorisce il processo di disidratazione e che ha garantito una conservazione perfetta. La pelle degli avambracci, delle caviglie e delle dita era ricoperta di tatuaggi raffiguranti ragni e serpenti. La Signora di Cao, il nome che Franco diede a questa donna misteriosa, aveva ancora i capelli, raccolti in due pesanti trecce; sul volto era stata collocata la ciotola di metallo nella quale era contenuto il cinabro usato per conservare il corpo. L’autopsia rivelò che la Signora era

morta a circa 25 anni, a quanto pare in seguito alle complicazioni di un parto.

Chi era la Signora? Questa donna, vissuta attorno al 400 d.C., circa 150 anni dopo il Principe di Sipan, fu sepolta insieme con diversi simboli di potere, tra i quali una corona d’oro decorata con un volto soprannaturale, due grandi bastoni cerimoniali e numerose armi. Inoltre, alcuni degli individui giacenti accanto a lei, come la giovinetta distesa al suo fianco, furono sacrificati per

accompagnare la loro signora nell’aldilà. Tutto questo rende la scoperta della Signora di Cao qualcosa di unico nell’archeologia peruviana, poiché è la prima governatrice donna di cui si ha testimonianza. CARME MAYANS STORICA

Per saperne di più SAGGI

Il Perú prima degli inca Mario Polia. Xenia, Milano, 1998. INTERNET

www.fundacionwiese.com/ patrimonio-cultural/elbrujo-huaca-cao/la-senorade-cao.html


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I GRANDI FARAONI

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COF4047 - 300 minuti La civiltà egiziana prosperò per quasi 3000 anni sotto il comando di sovrani venerati come dèi. Snefru, Ramses II, Akhenaton, Tutankhamon, Hatshepsut e Cleopatra, sono i protagonisti di questa splendida serie in sei episodi che ne celebra i fasti e ne rievoca la storia attraverso spettacolari ricostruzioni storiche, immagini dei siti archeologici e ricostruzioni in computer grafica.

COF4077 - 585 minuti Un viaggio appassionante attraverso sei secoli di storia per rintracciare le cause del collasso di Roma: dall’epico scontro con i barbari che premono sui confini, alle devastanti epidemie di peste; dalla diffusione di una nuova fede religiosa capace di mettere in crisi i valori tradizionali della romanità, alle sanguinose lotte intestine per il potere. Scopriamo le strategie e le ambizioni dei personaggi che hanno reso grande Roma e hanno tentato di impedirne il lento e inesorabile declino.

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COF4038 - 9 ore Mankind fa della verità storica lo spettacolo più impressionante. Episodio dopo episodio siamo dentro la storia, coinvolti nei fatti. Il racconto delle origini ci porta nelle savane dell’Africa, tra i cacciatori primordiali. Siamo in mezzo a strade e piazze delle città dell’antichità. Entriamo in miniere e laboratori, in mercati e fabbriche, dove si gioca la carta del progresso, motore dell’umanità. Punto di forza è l’estrema chiarezza dei passaggi storici, nell’alta definizione dei grandi mutamenti, delle tappe decisive: rivoluzioni, scoperte, crolli e riprese. Mankind è il diario di chi eravamo, per capire chi siamo: la storia di tutti noi.

COF7015 - 200 minuti Il cofanetto contiene 3 DVD. DVD 1. “La morte nera”. La peste colpì l´Europa tra il 1347 ed il 1350, causando sconvolgimenti che cambiarono radicalmente la società. DVD 2. “Caccia alle streghe: l’Inquisizione e le grandi persecuzioni”. Un´attenta ricostruzione ripercorre la vita del grande inquisitore Tommaso da Torquemada e i fatti drammatici che segnarono quegli anni di terrore. DVD 3. “I cavalieri e le armature”. Lo spirito della cavalleria e la sua epopea rivissute attraverso la figura di William Marshal, il più celebrato tra i cavalieri medioevali.

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L A S T O R I A N E L L ’A R T E

Prospettiva di una battaglia

SCALA, FIRENZE

C

orreva l’anno 1432 e il mese di giugno si apriva con una battaglia che la storia forse ricorda meno dell’arte. Sulle colline attorno agli attuali San Miniato e Montopoli in Val d’Arno si scontravano due eserciti, quello fiorentino agli ordini di Niccolò da Tolentino e quello senese guidato da Bernardino Ubaldini della Carda (o Ciarda). La battaglia si inseriva in una fase delle guerre di Lombardia che avrebbero ridisegnato la mappa del potere nella penisola. In Toscana, si vedevano contrapporsi da un lato la Firenze medicea alleata di Venezia e

PAOLO UCCELLO, RITRATTI DI CINQUE ARTISTI FIORENTINI (PART.), XVI SECOLO, LOUVRE, PARIGI.

dall’altro Lucca, alleata di Siena e Milano. Narrano le cronache che la battaglia infuriò per oltre sei ore impegnando le fazioni opposte in un susseguirsi di cariche di cavalleria pesante. L’esito militare, tradizionalmente attribuito a Firenze, non occupa tuttavia grande spazio

nelle pagine di storia, non viene ricordato come uno spartiacque, né lo scontro considerato decisivo per gli eventi futuri. È invece la pittura a ricordare la battaglia e ad averla immortalata per sempre nella storia. Sarà Paolo Uccello, al secolo Paolo di Dono, a eternare lo scontro pochi anni dopo, nel 1438. L’opera è un trittico a tecnica mista su tavola composto appunto di tre episodi attualmente dislocati in tre sedi separate: Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini custodito alla National Gallery di Londra, Disarcionamento di Bernardino della Ciarda (immagine qui a fianco) conservato agli Uffi-

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

Della battaglia di San Romano, Paolo Uccello crea un capolavoro di perfezione prospettica in cui spazio e tempo dominano l’azione

ARTE DELLA GEOMETRIA IN UNA COSTANTE e quasi

ossessiva ricerca di perfezione prospettica, Paolo Uccello raffigura la battaglia di San Romano secondo criteri artistici quasi matematici in cui il mondo visibile è governato da regole geometriche. Spazi, linee e forme ricreano il caos di una battaglia in un ordine razionale.

108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

1 Il triangolo

2 La scacchiera

3 La plasticità

La gamba di Bernardino su cavallo bianco, la lancia che lo colpisce e quella verso terra creano un triangolo.

Sullo sfondo, le colline toscane sono presentate come una scacchiera di campi ben definiti.

In schieramento senese, il cavallo scalciante, forse allusivo della ritirata, è dipinto in forme plastiche.


LA BATTAGLIA DI SAN ROMANO

Disarcionamento di Bernardino della Ciarda. Paolo Uccello, 1438, Galleria degli Uffizi, Firenze.

2

1 3

zi di Firenze e Intervento decisivo a fianco dei fiorentini di Michele Attendolo ospitato nelle sale del Musée du Louvre di Parigi.

Fermo immagine Cavalli e cavalieri, lance e alabarde, armature scintillanti e schieramenti in posizione, uno scontro furioso che vede due cavallerie pesanti fronteggiarsi e scontrarsi: una battaglia tuttavia che, a dispetto dei soggetti rappresentati, non è e non vuole essere né realistica né

verosimile. Basti notare un elemento palesamente mancante: la brutalità. Ne La battaglia di San Romano, seppur colta in un momento d’azione, non compaiono dettagli cruenti, nessun particolare che testimoni degli orrori della guerra, nulla che riveli della violenza di uno scontro armato; i colori dei cavalli sono irreali, i cavalieri sono colti in posa rigida e quasi plastica. Nell’infuriare della battaglia, tutto è maestosamente immoto. Come sospesa e cristallizzata nel tempo,

la scena rappresenta un solo, rigido istante in cui ogni elemento e ogni soggetto sono inseriti in uno spazio univoco e preciso. Questo è il mondo di Paolo Uccello, un mondo in cui la sua personale ricerca artistica non mira al realismo e al naturalismo, ma anela alla perfezione prospettica. L’imperante prospettiva domina infatti la scena dal primo piano allo sfondo creando un telaio, quasi una scacchiera, su cui ogni forma sembra partecipare a un ossimorico movimento statico,

in cui il tempo viene sospeso e lo spazio risponde a un razionale e geometrico ordine prospettico. Paolo Uccello è così riuscito a eternare un irreale attimo di storia. ANGELA GOLIA GANGI ESPERTA IN STORIA

Per saperne di più SAGGI

Paolo Uccello. La Battaglia di San Romano Diletta Corsini, Giunti, 1998 L’opera completa di Paolo Uccello L. Tongiorgi Tomasi (a cura di), Rizzoli, 1971

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

109


L I B R I E A P P U N TA M E N T I

STORIA MEDIOEVALE

Carlo Magno, il “barbaro santo”

N Stefan Weinfurter

CARLO MAGNO Il Mulino, 2015, 344 pp., 25 ¤

on sorprende che dopo Eginardo, storico e biografo contemporaneo di Carlo Magno, altri si siano cimentati nello studio e nella presentazione della vita di uno dei sovrani più affascinanti della storia. Lo ha fatto magistralmente anche StefanWeinfurter, docente di storia medioevale all’Università di Heidelberg, che in dodici capitoli analizza la vita di Carlo Magno, il suo rapporto con la Chiesa, l’origine e la gestione del suo potere, soffermandosi anche sugli

aspetti meno politici del suo operato e ricordandone il ruolo culturale. Come l’autore stesso scrive: «Che all’epoca del sovrano si sia registrato un risveglio culturale del tutto inconsueto [...] che la storiografia ha spesso definito “rinascita carolingia” è fuori discussione». Carlo Magno, re dei franchi, dei longobardi e dall’800 primo imperatore del Sacro Romano Impero, rappresenta infatti uno dei personaggi più importanti e allo stesso tempo contraddittori del Medioevo. Lo an-

ticipa il sottotitolo stesso del volume che, definendolo “il barbaro santo”, allude alla sua duplice figura di brutale condottiero e di paladino della Chiesa, presentando un uomo diviso tra l’arme e la fede, conquistatore di popoli e protettore del Cristianesimo. Colui che, dalle ceneri dell’impero romano, con la spada seppe forgiare in Europa una nuova, unitaria e forte realtà politica, fu anche l’imperatore che alla propria corte di Aquisgrana riunì intellettuali provenienti da ogni dove fondando quella che sarebbe divenuta l’Accademia palatina. La sua idea e la sua gestione dello Stato, la sua capacità di condottiero e di legislatore ne hanno fatto la guida di una nuova visione politica, sociale e culturale. (A. Gangi)

SAGGI

FABIO MANISCALCO IL DIFENSORE DELLA STORIA UNA VITA INTERA dedicata all’archeologia, alla storia,

ma soprattutto alla sua tutela. In trincea e in prima linea per difendere il patrimonio culturale dalla barbarie della guerra e dalla mancanza di protezione di ciò che, ovunque nel mondo, è testimone del passato, origine di un’identità culturale e base del futuro, Fabio Maniscalco (1965-2008) si è battuto in prima persona, al punto da morire per la sua passione, stroncato da un tumore dovuto all’esposizione all’uranio impoverito nei Balcani. Una biografia che è anche un testo di denuncia contro l’indifferenza politica e culturale che circonda un patrimonio che ci rende quel che siamo. Un volume dedicato a un uomo che la storia l’ha difesa e fatta. L. Sudiro e G. Rispoli

ORO DENTRO

Skira Editore, 2015, 192 pp., 16 ¤

110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Luoghi, pratiche e ideologia

L’ISLAM IN 100 MAPPE Anne-Laure Dupont Leg Edizioni, 2015, 145 pp., 20 ¤

L’ITALIA DELLE CIVITATES Giorgio Chittolini Viella, 2015, 264 pp., 24 ¤

UNA PANORAMICA completa

GRANDI E PICCOLI centri

di un’antica religione che conta oltre un miliardo di fedeli. Un volume che ne presenta la nascita, l’espansione, le pratiche, i rituali, le sedi di culto, le confessioni e l’ideologia arricchendo con mappe e diagrammi l’analisi di un mondo nato lontano e oggi divenuto parte del nostro.

fra Medioevo e Rinascimento: questo il sottotitolo di un testo che analizza la soglia urbana come confine politico e sociale in un’Italia in cui attorno al concetto di urbanità, di organizzazione del territorio e di identità della popolazione che lo vive si sviluppa un intero sistema culturale.


Paolo Ciri

Trentanni nel trecento 48 o to del i terrem n n a t’ ta n co nquis ra dei ce tura re a gu er ie di v en a genov it à er gn n a p tt te m ca iv pes isonda d’ acri co uva nni ’o ro treb lari gi io d p g a m n ll te sa bo ei la a roma i fine d a n gg n ia a si n oz es m alborn pellegri rienzo gil ven ezia cola di ti s se n e ge co u on is br v avign ellan ti at a ai g on a d fl a i a ov ga nov era gen liero ge bileo pra peste n a rin fa i tercaffa n ra di m n u a oz gi n t’ n co albor dei cen rem oto alvarez guerra

i odel alborn n i d’acr se quista giov an ign one a reco n 48 san ità av r iv tu tt en a v c i d da ie on is gn ro treb compa giu olla d’o emplari rom a b ne dei t fi ziana gi g ina pellegr venez ia

XVIII dinastia, regni di Tutankhamon (1333–1323 a.C.) e Horemheb (1319–1292 a.C.), calcare, collezione D’Anastasi, Rijksmuseum van Ouheden, Leiden. ARTE EGIZIA

Lo splendore dell’antico Egitto

U

na civiltà tra le più antiche, studiate, ammirate e celebrate che continua ad affascinare e incantare. L’antico Egitto è di scena a Bologna dove, nelle sale del Museo Civico Archeologico, sono esposti oltre 500 capolavori che vanno dal periodo predinastico a quello romano provenienti dal Museo Nazionale di Antichità di Leiden in Olanda, ai quali si sommano i reperti della città delle Due Torri e quelli prestati dal Museo Egizio di Torino e dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Sette sezioni per scoprire un mondo fatto di piramidi, di uomini e dei,

ma anche di scoperte e archeologia attraverso una ricca collezione di sarcofagi e pettorali, statue e stele e ancora vasi e papiri. La mostra offre inoltre l’occasione unica di ammirare, ricongiunti, i più importanti rilievi di Horemheb, comandante dell’esercito egizio di Tutankhamon. 4.000 anni di storia narrati in una mostra che svela il misterioso e maestoso mondo dell’antico Egitto. (A.G.) Egitto. Splendore millenario. LUOGO Museo Civico Archeologico, Bologna TELEFONO 051 0301043 WEB www.mostraegitto.it DATE Fino al 17 luglio 2016

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Un romanzo (anche un saggio, in molte parti) che descrive le vicende dei personaggi storici intrecciandole con quelle dei personaggi di fantasia. Un tentativo di ricostruire la vita medioevale per confrontarla con quella odierna (e scoprire che poco è cambiato). Con uno stile veloce e scarno, che percorre i trent’anni di vita del protagonista, e divaga nelle tante brevi storie degli altri personaggi. Vi porterà a Bruges, Roma, Praga, Avignone, Venezia, Messina, Genova, Zara, Spoleto, Crecy, Aversa, Praga, Trebisonda ed in Terrasanta. Vi parlerà della caduta di San Giovanni d'Acri, della fine dei Templari, di Marco Polo, dei Re maledetti, del primo giubileo, delle compagnie di ventura, dei flagellanti, dei pellegrini e dell’anno santo, di Cola di Rienzo, Gil Albornoz, Carlo IV, della costruzione della Rocca di Spoleto, della Bolla d'Oro, della Serenissima Repubblica di Venezia e della congiura di Martin Faliero, delle battaglie in oriente, della guerra dei cento anni, del terremoto del ‘48 e della peste nera in Europa.

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111


Oslo

ITINERARI Parigi

2 LAS MÉDULAS

El Bierzo, León, Spagna; www.spain.info/it/

I percorsi di Storica

Boulevard du Palais 2, Parigi; http://conciergerie. monuments-nationaux.fr

Vestigia del medioevale palazzo reale che un tempo fu dimora dei re di Francia e “anticamera della ghigliottina”: un sito... da perderci la testa!

del Museo archeologico nazionale di Atene 1 dove, oltre alla macchina in rame – delle dimensioni di circa 30 x 15 cm, coperta da oltre 2000 caratteri non ancora del tutto decifrati - è esposta anche la sua ricostruzione contemporanea. Il museo ospita inoltre altri reperti del relitto, tra cui i celebri Efebo e la nota Testa di filosofo. pagina 30

inventori greci

112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Atene

3 CONCIERGERIE

Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica

Si immersero per cercare spugne ed emersero con un prezioso relitto. Fu quanto accadde a inizio Novecento a un gruppo di pescatori nelle acque dell’isola di Anticitera, chiamata anche Cerigotto, a sud del Peloponneso. Il rinvenimento di questo relitto, resto di un naufragio avvenuto nel I secolo a.C., ha permesso di recuperare diversi e preziosi manufatti, tra cui un pezzo davvero strabiliante: la macchina di Anticitera. Si tratta di una rara testimonianza del genio inventivo degli antichi greci, un calcolatore meccanico la cui datazione risale al 150-100 a.C. Il complesso meccanismo fungeva da misuratore per il calendario solare e lunare, in cui le ruote dentate permettevano di calcolare il sorgere del Sole, le fasi lunari, gli equinozi e lo scorrere del tempo. Il più antico calcolatore meccanico della storia mai rinvenuto è oggi conservato nelle sale

Las Médulas

La più grande miniera a cielo aperto dell’impero romano, dove la caccia all’oro ha modellato un paesaggio unico e altrettanto prezioso del metallo che custodiva.

oggi di ammirare le antiche miniere e i resti del sistema di canali impiegati per il trasporto dell’acqua necessaria per la tecnica della ruina montium. Lo sfruttamento minerario dell’epoca, lungi dal lasciare un paesaggio desolato, ha invece creato un gioiello naturalistico in cui al profilo delle montagne d’argilla rossa si alternano fosse, picchi e gallerie, il tutto immerso in una vegetazione di castagni. Centro del giacimento aurifero è la Cueva Encantada (Grotta Incantata), mentre a una decina di chilometri dal sito, il belvedere di Orellán offre una vista panoramica dell’intera area.

pagina 42

l’oro di roma

«Quello che accade a Las Médulas è molto più del lavoro di giganti» (Naturalis Historia, XXXIII). Con queste parole Plinio il Vecchio descrive la più grande miniera d’oro dell’antica Roma. Situata nella provincia del León, nella Spagna nord-occidentale, l’intera area de Las Médulas 2 rappresenta un sito unico in cui storia, tecnologia, uomo e natura si fondono in un paesaggio unico. Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1997, questo territorio dalle suggestive forme e dagli aurei colori permette ancora

pagina 54

teodosio Costantinopoli, l’odierna Istanbul, divenne, con l’imperatore Teodosio, la “seconda Roma”. Un epiteto che ben si addiceva a una città che, in posizione strategica sullo stretto del Bosforo, si è arricchita di palazzi, chiese e monumenti degni della città eterna.


4 MUSEO DELLE NAVI VICHINGHE Huk Aveny 35, Bygdøy, Oslo, Norvegia; www.khm.uio.no

Il museo ideale per ogni appassionato di storia e di navigazione per ammirare i celebri, imbattibili e temuti “dragoni del mare”.

1 MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ATENE Odos Oktovriou Patissìon, Atene, Grecia; www.namuseum.gr

Salvato dal mare, il primo calcolatore meccanico del mondo è circondato dalla più ricca collezione al mondo di arte ellenica.

La storia ha cancellato buona parte dei numerosi interventi che Teodosio operò, salvo preservare lo splendido ippodromo, fulcro della vita cittadina per secoli e dove le corse con le bighe divertivano la popolazione. L’area, nell’attuale piazza Sultanahmet, fu progettata su modello del circo Massimo di Roma e vi si possono oggi ammirare l’obelisco egizio di Teodosio, che l’imperatore fece qui collocare nel 388, e la colonna serpentina in bronzo. Oltre ai resti di epoca romana, gli inconfondibili profili di Santa Sofia, di Palazzo Topkapi e della moschea Blu, nonché l’architettura bizantina e ottomana, fanno oggi di Istanbul una ricca e affascinante metropoli.

esempi di architettura gotica, ma costituisce anche una delle vestigia del Palais de la Cité, l’antico palazzo reale di Parigi. Il sito su cui sorgeva la residenza dei re di Francia è oggi occupato dal palazzo di Giustizia, ma dell’originaria struttura medioevale resta, oltre alla Sainte-Chapelle, anche la Conciergerie 3 . Qui, al pian terreno, si possono ancora ammirare le medioevali Salle des Gardes e Salle des Gens d’Armes, quest’ultima dalle imponenti misure di 69 m di lunghezza, 27 di larghezza e 8 d’altezza. Fu Carlo V ad abbandonare il palazzo come sede reale mantenendovi solo il Parlamento, la Camera dei Conti e la Cancelleria, mentre al 1391 risale la sua conversione in prigione, funzione che mantenne anche durante la rivoluzione. Qui per esempio vennero incarcerati Danton, Robespierre, la contessa du Barry e la stessa Maria-Antonietta, la cui cella è stata ricostruita con arredi d’epoca. Non a caso, durante il Terrore, la Conciergerie è stata soprannominata “anticamera della ghigliottina”. Alla struttura medioevale appartengono anche le quattro torri: la Tour Bonbec, la Tour de César, la Tour d’Argent e la Tour de l’Horloge, alta 47 metri e dotata, a partire dal 1370, del primo orologio pubblico di Parigi, che fu tra i primi orologi meccanici al mondo.

pagina 80 pagina 68

la sainte-chapelle Uno dei monumenti più celebri di una delle città più celebri: la SainteChapelle nell’Île de la Cité di Parigi non rappresenta solo uno dei massimi

i vichinghi Barbari guerrieri, pacifici contadini, violenti conquistatori o abili cacciatori. Difficile districarsi nella sfaccettata realtà storica del popolo vichingo e tra le tante leggende che attorno

a esso sono nate, ma su una certezza possiamo contare: i vichinghi furono grandi navigatori. Dalla Scandinavia alle Americhe, hanno esplorato e colonizzato, affrontato mari e climi gelidi sulla loro vera, grande invenzione: il drakkar. Lungo circa 25 metri, stretto, un pescaggio poco profondo, una vela rettangolare montata su un unico albero e una polena minacciosa, il drakkar fu l’imbarcazione tra le più rapide e manovrabili del tempo. Per ammirarle, la destinazione migliore è il Museo delle navi vichinghe 4 di Bygdøy, nei pressi di Oslo, dove “pezzi forti” della collezione sono la nave di Oseberg e la nave di Gokstad, entrambe risalenti al IX secolo.

pagina 92

il trattato di utrecht La città che ospitò la firma del trattato che nel 1713 pose fine alla guerra di successione spagnola è oggi il quarto centro dei Paesi Bassi. Lungo l’Oudegracht (canale vecchio) e il Nieuwegracht (canale nuovo), Utrecht conserva numerose testimonianze del suo lungo passato. Primo fra tutti il Domkerk, il duomo di San Martino, mirabile esempio di architettura gotica la cui torre, di 112,32 metri, detiene il primato di altezza del Paese. Lungo i suoi 465 gradini si possono ammirare le campane di 32.000 kg nonché un pregevole carillon Hemony del XVII secolo. Le gallerie della torre offrono inoltre una vista spettacolare sull’intera città. Utrecht è poi il perfetto punto di partenza per un itinerario alla scoperta dei castelli della regione, gita da godere, nel rispetto della migliore tradizione locale, rigorosamente in bicicletta! STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero LEONARDO E I CODICI DI MADRID FU UNA SCOPERTA

ORONOZ / ALBUM

sensazionale: nel 1964 nella Biblioteca Nazionale di Madrid furono ritrovati i manoscritti di Leonardo da Vinci che oggi conosciamo come Madrid I e Madrid II. Portati dall’Italia nel XVI secolo da Pompeo Leoni, scultore alla corte di Filippo II, hanno subito molte vicissitudini fino a entrare a far parte, nel 1712, delle collezioni reali. Nelle loro 540 pagine si dispiegano la sapienza e l’intuito del genio fiorentino su geometria, statica, meccanica e arte dell’assedio.

Il saccheggio del Nilo

IL VALLO DI ADRIANO: AI CONFINI DELL’IMPERO

La spedizione di Napoleone in Egitto accese la passione per le antichità egizie, che commercianti europei senza scrupoli soddisfacevano con qualsiasi mezzo.

NEL 122 A.C., l’imperatore Adriano sbarcò in Britannia. Con la risolutezza che lo contraddistingueva, marciò verso nord e ordinò la costruzione di una nuova e sorprendente opera: un muro che attraversasse l’isola da costa a costa. Per la prima volta nella sua lunga storia di conquiste sembrava che Roma avesse trovato i confini del suo Impero, segnati da una solida e imponente muraglia che si allungava per 112 chilometri.

La fondazione di Cartagine Secondo il mito, fu la principessa Didone a fondare Cartagine. Oggi l’archeologia ha svelato la vera origine della città che divenne nemica mortale di Roma.

Virgilio tra poesia e potere La vita del sommo poeta latino, cantore delle armi e degli eroi, dell’uomo e della natura, che con l’Eneide conferì ascendenza divina all’imperatore Augusto.

Bonifacio VIII

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Sul soglio pontificio tra XIII e XIV secolo, cercò di difendere il potere temporale della Chiesa minacciato dalla transizione delle monarchie feudali in Stati nazionali.

114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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