N. 87 • MAGGIO 2016 • 4,50 E 60087 9
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LA BATTAGLIA DI PIDNA
ROMA SCONFIGGE LA FALANGE MACEDONE
IL DIRITTO DI FAMIGLIA
GLI ANTICIPATORI DELLA RIFORMA
WYCLIF E HUS, DUE TEOLOGI CONTRO LA CHIESA
LA GUERRA DI CRIMEA
IL CONFLITTO CHE RIDIMENSIONÒ LA RUSSIA
germania
IL DIFFICILE ESORDIO DEL FUTURO IMPERATORE
periodicità mensile
CARLO V
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EDITORIALE
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Se l’Italia
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poté finalmente diventare unita, lo si deve anche al sacrificio dei duemila nostri connazionali che persero la vita (in battaglia e per il colera) nella Guerra di Crimea, rimasta nella storia come uno dei conflitti più sanguinosi. Alla guerra partecipò, a fianco di Francia e Inghilterra contro la Russia, anche il Corpo di Spedizione Sardo di circa 18.000 uomini, i quali tra l’altro si distinsero nella famosa battaglia della Cernaia il 16 agosto 1855. L’invio delle truppe del Regno di Sardegna in appoggio ai francesi si deve all’astuzia politica di Camillo Cavour, che con questa mossa aprì una linea di credito nei confronti di Napoleone III, essendo consapevole che soltanto con l’aiuto dei francesi sarebbe riuscito a far espandere il Regno di Sardegna nel nord Italia occupato dagli austriaci. Due anni dopo la fine della guerra, nel luglio 1858, accampando la scusa di andare a visitare le ferrovie svizzere, Cavour si incontrò segretamente a Plombières, nei Vosgi, con Napoleone III. Qui fu siglato il famoso accordo per l’intervento francese in Italia. “Assoldato” l’esercito francese, e scommettendo che l’Austria avrebbe reagito a una provocazione militare, Cavour portò avanti la prima fase dell’unificazione italiana con la Seconda Guerra d’indipendenza. Ma ciò non sarebbe potuto accadere senza il sacrificio degli italiani che combatterono e caddero sul fronte del Mar Nero. GIORGIO RIVIECCIO Direttore
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N. 87 • MAGGIO 2016 • 4,50 E
LA BATTAGLIA DI PIDNA
Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 87
ROMA SCONFIGGE LA FALANGE MACEDONE
PRESIDENTE
RICARDO RODRIGO
IL DIRITTO DI FAMIGLIA
CONSEJERO DELEGADO
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IN GRECIA E A ROMA
CARLO V
IL DIFFICILE ESORDIO DEL FUTURO IMPERATORE
GLI ANTICIPATORI DELLA RIFORMA
WYCLIF E HUS, DUE TEOLOGI CONTRO LA CHIESA
LA GUERRA DI CRIMEA
IL CONFLITTO CHE RIDIMENSIONÒ LA RUSSIA
ASSEDIO DI SEBASTOPOLI, GUERRA DI CRIMEA 1855. VERSAILLES, FRANCIA. FOTOGRAFIA: G. BLOT / RMN-GRAND PALAIS
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4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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TOLEDO, LA RIBELLE
Vista notturna della città, affacciata sul Tago. Toledo fu la prima città a sollevarsi contro Carlo V, con la rivolta dei comuneros.
Grandi storie
22 La battaglia di Pidna Nel 168 a.C., in uno scontro che lasciò sul campo oltre ventimila morti, le legioni romane sbaragliarono l’esercito macedone. DI BORJA ANTELA
32 Grecia e Roma: il diritto di famiglia Differenze e analogie dell’istituto sul quale si fondava la società sia ad Atene sia nell’Urbe. DI LORENZO GAGLIARDI
46 Commodo, l’imperatore gladiatore Divenuto imperatore nel 180 d.C., amato dal popolo e dall’esercito, cadde vittima di una congiura organizzata dai senatori. DI JUAN PABLO SÁNCHEZ
56 I primi anni in Spagna di Carlo V Un adolescente timido e dominato dai cortigiani fiamminghi: così il futuro imperatore apparve agli spagnoli. DI BERNAT HERNÁNDEZ
68 I riformatori prima di Lutero Jan Hus e John Wyclif svilupparono dottrine riformatrici della Chiesa, pagando per ciò un prezzo molto alto. DI VINCENZO LAVENIA
80 Newton, il padre della scienza moderna L’autore della legge di gravitazione universale coltivò molti interessi, tra cui la teologia e la chimica. DI JAVIER ORDÓÑEZ
92 La guerra di Crimea Le vicende del peggior conflitto scoppiato tra la fine delle guerre napoleoniche e la Grande Guerra. DI JOSEP MARIA CASALS L’IMPERATORE COMMODO RAFFIGURATO COME ERCOLE. MUSEI CAPITOLINI, ROMA.
Rubriche
7 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI
Cuauhtémoc, l’ultimo imperatore degli aztechi Difese Tenochtitlán contro Cortés, che lo catturò e lo fece impiccare
14 L’EVENTO STORICO
L’attacco degli inglesi a Cartagena de Indias
La tentata conquista britannica di uno dei centri dell’impero spagnolo
18 VITA QUOTIDIANA
Il pane nella Roma antica: gratuito e ben cotto
Gran parte dei romani viveva del grano dispensato gratuitamente
104 GRANDI SCOPERTE
I guerrieri di bronzo ritrovati a Riace Storia della scoperta avvenuta nel 1972
108 LA STORIA NELL’ARTE Due sovrani arrivano a Milano
Un’immagine di storia risorgimentale
110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI
campagna di PicNic
LE GUERRE MONDIALI Le ambizioni nazionaliste, il progresso industriale e lo sviluppo tecnologico posero fine alla Belle Époque con la Grande Guerra (1914-1918), che causò 20 milioni di vittime. Nell’Europa che emerse dalla tragedia, le rimostranze territoriali, le lotte di classe e la crisi economica indebolirono la democrazia liberale a vantaggio di regimi totalitari, quali il fascismo, il nazismo e il comunismo. Con i loro atteggiamenti guerrafondai, insieme alle politiche aggressive dell’impero giapponese, innescarono la Seconda guerra mondiale (1939-1945), conclusasi con la raggelante cifra di oltre 60 milioni di morti.
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HÉCTOR MONTAÑO-INAH
AT T UA L I T À
HÉCTOR MONTAÑO-INAH
DIVERSI CRANI uniti con malta di calce trovati nel Gran Tzompantli di Città del Messico.
DURANTE gli scavi che hanno portato alla luce il Gran Tzompantli gli archeologi hanno rinvenuto alcune sepolture e offerte votive composte da alcuni frammenti di travertino bianco, vari pezzi di pietra verde e ventuno serpenti realizzati in rame.
AMERICA PREISPANICA
INAH
Scoperto in Messico il Gran Tzompantli LO TZOMPANTLI era
una rastrelliera in legno su cui gli aztechi ponevano crani di uomini, donne e bambini, forse nemici sacrificati e decapitati a monito per chi progettasse di sfidare il loro potere. Hernán Cortés, Bernal Díaz del Castillo, Andrés de Tapia e Bernardino de Sahagún fanno riferimento a questi luoghi sinistri nei loro racconti. Furono anche rappresentati nei codici, come mostra l’immagine.
Nel centro storico di Città del Messico, gli archeologi hanno scavato una piattaforma dove erano stati depositati crani e resti di ossa
A
lcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (INAH) sono convinti di aver scoperto il Huey Tzompantli (il Gran Tzompantli) dell’antica Tenochtitlán, la capitale dell’Impero azteco. Gli scavi effettuati nel centro storico di Città del Messico hanno portato alla luce una piattaforma rettangolare che si trovava a una profondità di quasi due metri. Gli archeologi hanno scavato solamente in corrispondenza
di una parte di questa piattaforma, un’area di 13 metri di lunghezza per 6 di larghezza, ma la sua lunghezza dovrebbe superare i 34 metri.
Una quantità di crani Al centro della struttura è stato rinvenuto un elemento circolare formato da crani umani uniti con malta di calce, sabbia e ghiaia di origine vulcanica, sul quale sono stati ritrovati mandibole e frammenti di crani. Secondo Raul Barrera, direttore del Programma di Archeologia
Urbana di Città del Messico, che dirige gli scavi, finora sono stati rinvenuti 35 crani, anche se il loro numero potrebbe essere molto più cospicuo. Il Gran Tzompantli risale al sesto periodo di costruzione del Tempio Maggiore (1486-1502), il cuore religioso dell’Impero azteco, di poco precedente l’arrivo degli spagnoli di Hernán Cortés. Parte del Tzompantli fu distrutta in epoca coloniale, ma ancora si distinguono i fori dei pali sui quali venivano infilzati i crani. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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AT T UA L I T À AMERICA PRECOLOMBIANA VEDUTA AEREA DELLA GRANDE VORAGINE BLU DEL BELIZE, ANALIZZATA IN RELAZIONE ALLA FINE DEL MONDO MAYA.
La siccità, causa del collasso maya Un recente studio indica che fu la siccità a mettere fine al brillante periodo classico maya
I UPPERHALL / AGE FOTOSTOCK
l declino del mondo maya classico (compreso tra il 300 ca. e il 900 d.C.) ha sempre attratto i ricercatori, che non sono mai riusciti a chiarirne le cause. Sono stati pubblicati numerosi studi sul tema, che hanno soprattutto considerato gli aspetti climatici. Ora, un’équipe dell’Università Rice del Texas ha analizzato diversi luoghi dove i maya vissero, fra questi il Belize. Qui, hanno studiato la Grande Voragine Blu, una fossa calcarea nel
AMERICA PRECOLOMBIANA DETTAGLIO DELL’OFFERTA 126, RITROVATA NEL TEMPIO MAGGIORE NEL 2008 E RECENTEMENTE ANALIZZATA.
Un’offerta per Tlatecuhtli
B
elen Zuñiga, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (INAH), ha presentato i risultati di uno studio su quella che viene chiamata Offerta 126, trovata nel 2008 nel Tempio Maggiore di Città del Messico. L’offerta venne ritrovata sotto il monolite della dea Tlatecuhtli (scoperto nel 2006) ed è composto da frammenti in ceramica e resti organici. Fra questi ultimi sono state identificate 111 specie
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di molluschi marini, 40 delle quali provenienti dall’Atlantico, 66 dal Pacifico e tre di entrambi gli oceani; due invece sono le specie fluviali. Questa varietà corrisponde alla grande espansione dell’Impero azteco fino al Pacifico all’epoca di Ahuízotl (14861502), e indica che le specie più apprezzate erano quelle provenienti da luoghi remoti, a cui gli aztechi attribuivano valore rituale; e per questo investivano tempo e risorse per recuperarle.
FOTOS PROYECTO TEMPLO MAYOR-INAH
Rinvenuta nel Tempio Maggiore nel 2008, rivela l’espansione dell’Impero azteco
mare dei Caraibi, larga più di 300 metri e situata a 123 metri di profondità: in origine un sistema di grotte di pietra calcarea che venne inondato quando il livello dell’oceano salì. I campioni raccolti contengono quantità molto scarse di alluminio e titanio, e questo suggerisce che fra l’800 e il 1100 possano essersi verificati periodi di grande siccità responsabili, secondo gli autori, di carestie, disordini e migrazioni che ebbero gravissime conseguenze.
SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK FOGLIA / SCALA, FIRENZE
VILLA DEI PAPIRI, NELLA CITTÀ ROMANA DI ERCOLANO, DOVE È STATA SCOPERTA LA BIBLIOTECA CHE LE DÀ IL NOME.
UNO DEI METODI UTILIZZATI finora per leggere i testi della Villa dei Papiri consisteva nell’aprirli, separando gli strati con attanzione (come nell’immagine). La maggior parte dei papiri esaminati riguarda la filosofia epicurea, e alcuni sono stati scritti da Filodemo di Gadara (I secolo a.C).
SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
IMPERO ROMANO
Una nuova possibilità per leggere i papiri bruciati Un’innovativa tecnologia ha permesso ai ricercatori di decifrare scritte su papiri arrotolati rinvenuti a Ercolano senza distruggerli
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n’équipe di ricercatori europei guidata da Vito Mocella, dell’Istituto per la Microelettronica e Microsistemi di Napoli, è riuscita a decifrare il testo di un papiro carbonizzato proveniente dalla Villa dei Papiri, nella città romana di Ercolano. Questa villa, andata distrutta, come tutta la città, in seguito all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., fu riportata alla luce fra il 1750 e il 1765. Era appartenuta a Lucio Calpurnio Pisone Ce-
sonino, suocero di Giulio Cesare, e comprendeva una biblioteca ricca di centinaia di papiri (da cui il suo appellativo). Questi documenti non furono consumati dal fuoco, ma vennero incollati dal calore, che li rese fragili e delicati, rendendo così arduo l’intento di leggerne il contenuto.
Una TAC per i testi Mocella e la sua équipe hanno utilizzato una tecnica innovativa, la tomografia a raggi X a contrasto di fase,
già impiegata in campo medico sui tessuti che rifrangono, anziché assorbire, i raggi X per decifrare le parti scritte sulla superficie del papiro senza bisogno di svolgere i rotoli. Il sistema sfrutta il fatto che le parti scritte sono rialzate di 0,1 mm sulla superficie su cui sono state tracciate. La tecnica è stata sperimentata su un rotolo ancora arrotolato e su uno aperto, e le conclusioni dell’esperimento sono state pubblicate sulla rivista Nature Communications.
I TESTI rinvenuti nella
Villa dei Papiri di Ercolano (sopra, un esemplare avvolto e carbonizzato) costituiscono l’unica biblioteca del mondo classico che sia giunta ai giorni nostri. Finora molti di questi documenti non erano leggibili, ma con la nuova tecnica si può decifrare il contenuto del papiro ancora arrotolato.
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PERSONAGGI STRAORDINARI
Cuauhtémoc, l’ultimo imperatore degli aztechi Alla morte del cugino Montezuma, Cuauhtémoc guidò la disperata difesa di Tenochtitlán contro le forze di Hernán Cortés, che lo catturò e in seguito diede ordine di impiccarlo
Cuauhtémoc, ascesa e caduta 1495 circa Nasce Cuauhtémoc, figlio dell’imperatore Ahuizotl. Nel 1502, sale al trono suo cugino Montezuma.
1519 Cortés e i suoi uomini arrivano a Tenochtitlán. Cuauhtémoc è sospettoso e diffidente sulla loro presenza in città.
1520 Montezuma è assassinato; gli succede il fratello Cuitláhuac, che muore poco dopo. Cuauhtémoc viene eletto nuovo tlatoani.
1521 Vedendo che tutto è perduto, Cuauhtémoc cerca di lasciare la città in canoa, ma viene catturato.
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uando le truppe guidate dal conquistatore spagnolo Hernán Cortés lanciarono l’attacco finale contro la capitale dell’Impero azteco, Tenochtitlán, nel 1521, sapevano di avere di fronte un monarca che avrebbe dato battaglia molto più di Montezuma, il tlatoani che due anni prima li aveva accolti a braccia aperte. Il posto di Montezuma, morto l’anno precedente, era occupato da un suo cugino, Cuauhtémoc, un giovane di soli 25 anni che colpiva tutti per la sua «gentilezza, di fattezze e di modi», ma soprattutto perché «era molto valoroso e si fece temere tanto che tutti i suoi tremavano dinanzi a lui», secondo quanto scrisse Bernal Díaz del Castillo, il principale cronista della conquista del Messico. Figlio e nipote di re, Cuauhtémoc ebbe una vita breve e avventurosa. Nacque a Tenochtitlán negli ultimi anni del XV secolo, in un giorno in cui vi fu un’eclissi di sole, preludio di un destino fatale che i sacerdoti confermarono dandogli il nome di Cuauhtémoc, “l’aquila cadente”. Il giovane principe frequentò il calmecac, la scuola dei figli della nobiltà, e al compimento dei 15
anni completò la propria educazione nel telpochcalli, la scuola obbligatoria in cui tutti i maschi aztechi ricevevano una formazione militare. Ben presto si mise in luce come combattente, e dopo aver raggiunto il grado di tlacatécatl guidò gli eserciti di Montezuma in diverse campagne, il che gli valse il comando militare di Tlatelolco, la città gemella di Tenochtitlán.
Il nuovo tlatoani Dato il suo rango, era logico che Cuauhtémoc avesse un ruolo di spicco negli eventi che seguirono l’arrivo di Hernán Cortés in Messico. Probabilmente fu tra i primi a preoccuparsi per la presenza di Cortés e dei suoi uomini a Tenochtitlán dal novembre del 1519. Dopo l’eccidio commesso da Pedro de Alvarado nel Templo Mayor, il 20 maggio 1520, Cuauhtémoc si unì alla ribellione contro gli invasori. Il 30 giugno, nella celebre scena che vide Montezuma uscire su una terrazza del suo palazzo per cercare di placare gli animi dei suoi compatrioti, Cuauhtémoc ebbe per lui parole di insulto: «Che cosa dice quel vigliacco di Montezuma, che possiamo chiamare femmina degli spagnoli, perché si è consegnato a loro per paura e mettendosi al sicuro ci ha
1525 Dopo averlo torturato per sapere dove nascondeva l’oro, Cortés ordina di giustiziare Cuauhtémoc.
Una volta salito al trono, Cuauhtémoc si preparò a difendere la capitale dall’offensiva di Cortés e dei suoi HERNÁN CORTÉS. DETTAGLIO DI UN DIPINTO DI JOHANN NEPOMUK GEIGER. 1868. DAGLI ORTI / ART ARCHIVE
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CUAUHTÉMOC e suo cugino, il governatore di Tacuba, torturati da Hernán Cortés. Dipinto di Leandro Izaguirre. 1893. Museo Nacional de Arte, Città del Messico.
DEA / SCALA, FIRENZE
messi tutti in questa situazione? Non intendiamo obbedirgli, perché non è più il nostro re, e dobbiamo dargli il castigo che merita un uomo vile». Una fonte afferma che fu proprio dalle sue mani che partì una delle pietre che uccisero l’imperatore. Il principe partecipò in prima linea all’espulsione degli spagnoli da Tenochtitlán, durante quella che è nota come La Noche Triste, la notte triste. Alla morte di Montezuma, i nobili aztechi elessero imperatore il fratello Cuitláhuac, che però morì di vaiolo ottanta giorni dopo. In cerca di un
leader forte e deciso, nel settembre del 1520 elessero Cuauhtémoc come suo successore. Il nuovo tlatoani si preparò a difendere la sua capitale dall’offensiva di Cortés, che comandava un esercito formato da 900 spagnoli e 150.000 alleati. Ordinò di rendere più profondi i canali d’irrigazione, di alzare i ponti che univano la città alla terraferma e di fare incetta di armi e viveri per riempire i magazzini di Tenochtitlán. Si alleò con taraschi e tlaxcaltechi, suoi eterni nemici, facendo appello all’unità indigena contro gli stranieri e offrì ai suoi contri-
buenti grandi vantaggi fiscali in cambio della loro lealtà. Quando Cortés si avvicinò alla città, Cuauhtémoc rifiutò tutte le offerte di resa e addirittura fece giustiziare i due figli di Montezuma favorevoli alla negoziazione.
Una difesa feroce Nonostante tutti i preparativi portati avanti da Cuauhtémoc, nulla impedì agli spagnoli di assediare Tenochtitlán e di bloccarla grazie ai brigantini che costruirono per navigare nella laguna che circondava la città. Questo costrinse Cuauhtémoc STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
WILLIAM PERRY / AGE FOTOSTOCK
PLAZA DE LAS TRES CULTURAS.
Situata dove sorgeva l’antica città di Tlatelolco, a Città del Messico, è il luogo in cui si combatté l’ultima battaglia tra Cuauhtémoc e Cortés.
e i suoi a ritirarsi a Tlatelolco, dove «sarebbero morti di fame e di sete, perché non avevano altro da bere se non l’acqua salmastra della laguna». In poco tempo la situazione si fece disperata e Cuauhtémoc lo comunicò ai suoi generali, i quali decisero però di continuare con la guerra. Il tlatoani li ammonì «che da quel momento in
poi nessuno osasse chiedergli la pace o l’avrebbe ucciso». Alla fine del mese di luglio del 1521, la sorte di Tenochtitlán era segnata. I templi bruciavano, le vie erano disseminate di cadaveri e gli indigeni che combattevano al fianco di Cortés facevano strage degli odiati indios del Messico. Ciononostante, Cuauhtémoc era sempre deciso a non
IL VOLTO DI UN LEADER SECONDO DÍAZ DEL CASTILLO, Cuauhtémoc aveva «il volto un po’ allungato e gioviale, e gli occhi sembravano guardare più con gravità che con aria lusinghiera ed erano schietti; la sua età era di 23, 24 o 25 anni, e il suo colorito tirava più al bianco che al colore degli altri indios di pelle scura». BUSTO DI CUAUHTÉMOC. EL ZÓCALO. CITTÀ DEL MESSICO. ARCO / AGE FOTOSTOCK
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arrendersi, e il 13 agosto, quando gli spagnoli e i loro alleati diedero l’assalto finale a Tlatelolco, cercò di fuggire a bordo di una canoa con la sua famiglia e alcuni dignitari per proseguire la lotta da un altro luogo. Gli spagnoli, però, scorsero l’imbarcazione e la intercettarono con un brigantino; a quel punto Cuauhtémoc, «vedendo la grande forza del nemico, che lo minacciava con balestre e schioppi, si arrese». Cuauhtémoc fu portato al cospetto di Cortés, che aveva assistito alla battaglia finale da una terrazza dove aveva disposto una tenda cremisi. Lì il tlatoani esclamò davanti al conquistador: «Ah capitano! Ho fatto tutto ciò che era in mio potere per difendere il mio regno e liberarlo dalle vostre mani, ma poiché la fortuna non mi è stata amica, toglietemi la vita, sarebbe giusto, e così porrete fine all’impero messicano». Cortés volle tranquillizzarlo e gli offrì di riconoscerlo come imperatore
«LA FINE DEI MESSICANI» LA TAVOLA DEL Lienzo de Tlaxcal-
la riprodotta a destra mostra Hernán Cortés seduto con uno sgargiante pennacchio di piume sul capo; dietro di lui Malinche, sua amante e traduttrice, e Cuauhtémoc che si arrende. Nella parte alta dell’immagine, una frase in lingua nahuati dice: yc paliuhque mexica, «Così finirono gli indios del Messico».
BRITISH LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
DEA / AGE FOTOSTOCK
URNA CON IL VOLTO DI TLALOC, IL DIO AZTECO DELLA PIOGGIA. MUSEO DEL TEMPLO MAYOR. CITTÀ DEL MESSICO.
CUAUHTÉMOC SI ARRENDE A HERNÁN CORTÉS. DISEGNO DA HOMENAJE A CRISTÓBAL COLÓN: ANTIGÜEDADES MEXICANAS (1892), BASATO SULLA TAVOLA 48 DEL LIENZO DE TLAXCALLA.
a condizione che in seguito gli consegnasse il tributo richiesto; gli aztechi avrebbero ricostruito la loro città e vissuto in pace. I fatti, tuttavia, smentirono subito quelle parole. Sebbene Cuauhtémoc continuasse in teoria a essere il governatore di Tenochtitlán, i suoi poteri furono trasferiti a un suo cugino più remissivo, Tlacotzin. Cortés considerava l’ultimo tlatoani un «uomo irrequieto» e temeva che potesse organizzare un sollevamento, quindi diede ordine di tenerlo prigioniero a Coyoacán, non lontano da Tenochtitlán, dove risiedeva egli stesso.
Dov’è l’oro? Gli spagnoli miravano all’oro, e soprattutto a quello lasciato a Tenochtitlán quando erano stati costretti a fuggire nella Noche Triste. Già il giorno dopo la caduta della capitale, Cortés parlò di nuovo con Cuauhtémoc per chiedergli dove l’avesse nascosto.
Qualche tempo dopo, il conquistador interrogò di nuovo l’imperatore decaduto, e questa volta decise di torturarlo per ottenere una confessione. Lo legarono a un palo e gli immersero i piedi, e forse anche le mani, in olio bollente. Vedendo che suo cugino, il signore dello Stato alleato di Tacuba, lo supplicava con gli occhi affinché confessasse, Cuauhtémoc lo guardò infuriato durante il supplizio. Alla fine spiegò che, poco prima della caduta della città, gli dei gli avevano rivelato che la fine di Tenochtitlán era inevitabile, e che aveva ordinato di gettare l’oro in un pozzo nella laguna. Gli spagnoli, però, non trovarono nulla di valore nel luogo indicato. Nell’ottobre del 1524, Cortés partì da Tenochtitlán diretto in Honduras per reprimere la ribellione di un altro conquistador, Cristóbal de Olid. Lo spagnolo portò con sé il tlatoani e i suoi capi militari al fine di evitare
un’insurrezione in Messico. Durante il viaggio, un nobile di Tlatelolco riferì a Cortés che Cuauhtémoc si lamentava che «erano stati privati della loro terra e dei loro domini e comandavano gli spagnoli e che gli sembrava un buon rimedio uccidere Cortés e quelli che lo accompagnavano». Il 28 febbraio 1525, Cortés ordinò di interrogare separatamente Cuauhtémoc e il signore di Tacuba e «senza avere ulteriori prove ordinò che fossero impiccati. E questa condanna a morte fu molto ingiusta e sembrò un male a tutti», sentenziò il cronista Díaz del Castillo. ISABEL BUENO DOTTORE IN STORIA
Per saperne di più
I fiumi dell’oro. L’ascesa dell’impero spagnolo H. Thomas. Mondadori, Milano, 2006. Hernán Cortés Storica NG, n. 91.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA BAIA DI CARTAGENA DE INDIAS in una
carta che mostra le operazioni navali che ebbero luogo durante l’assedio britannico del 1741 in seno alla guerra anglo-spagnola.
Il fallito assedio britannico a Cartagena de Indias Nel 1741, con un’imponente flotta, i britannici tentarono la conquista di uno dei principali centri dell’Impero spagnolo in America, ma l’impresa si concluse con una umiliante ritirata
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el 1738, il capitano di vascello Robert Jenkins si presentò al Parlamento britannico per raccontare qualcosa che gli era accaduto sette anni prima, nel 1731. Mentre navigava nei Caraibi, la sua imbarcazione fu abbordata da un guardacoste spagnolo che, verificato che il carico era superiore a quanto dichiarato, gli requisì la merce accusandolo di contrabbando e inoltre gli tagliò un orecchio ammonendolo: «Di’al tuo re che se lo trovo gli farò lo stesso». Jenkins mostrò
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persino l’orecchio mozzato, conservato in un vaso di vetro. Nell’opinione pubblica inglese scoppiò l’indignazione, al punto che qualche mese dopo, il 23 ottobre 1739, il re Giorgio II dichiarò guerra alla monarchia spagnola, guidata all’epoca da Filippo V. Era iniziata la Guerra anglo-spagnola (1739-1742). Prima ancora della dichiarazione delle ostilità, da Londra era partita una flotta da guerra, al comando dell’ammiraglio Edward Vernon. In Giamaica ricevette i rinforzi delle colonie inglesi in Nordamerica, e fu così che prese
forma una flotta imponente di 27 vascelli, a cui si aggiungevano fregate, cannoniere, bombarde e navi da trasporto. «Mai si vide un contingente più completo, e mai la nazione ebbe quanto allora ragione di sperare in un successo straordinario», ricordava lo scrittore Tobias Smollett, che prese parte alla spedizione come chirurgo. L’obiettivo di Vernon era conquistare le principali piazze spagnole a Cuba, Panamá e nell’attuale Colombia. «Se prendiamo Portobello (Panamá) e Cartagena – assicurava l’ammiraglio
BRIDGEMAN / ACI
L’EVENTO STORICO
ASSEDIO DI CARTAGENA DE INDIAS DA PARTE DEGLI INGLESI NEL 1741. INCISIONE.
LA “GUERRA DELL’ASIENTO” LA GUERRA DELL’ORECCHIO, come la chiamano gli inglesi, è nota anche come Guerra dell’asiento. L’asiento era un contratto con cui la monarchia spagnola autorizzava la britannica Compagnia dei Mari del Sud a trasportare in America quasi 5.000 schiavi all’anno e le merci necessarie a mantenerli. Il contratto scadeva nel 1744 e il re di Spagna dichiarò di non volerlo rinnovare, fatto che avrebbe causato gravi danni agli inglesi.
CORBIS / CORDON PRESS
– gli spagnoli perdono tutto». Portobello cadde quasi senza opporre resistenza, dopo un bombardamento di appena due ore, che fece guadagnare a Vernon un’accoglienza trionfale a Londra. Divenuto l’uomo del momento, Vernon convinse le autorità a sferrare un grande attacco contro Cartagena de Indias. Il piano prevedeva di prendere Cartagena con un’operazione-lampo, prima che arrivasse la stagione delle piogge, e di dirigersi poi verso il Perú. In questo modo, Giorgio II d’Inghilterra avrebbe potuto costringere Filippo V a firmare la pace. Tornato in Giamaica,
Vernon si mise al comando di una flotta dalle dimensioni impressionanti. In totale poteva contare su oltre 200 imbarcazioni, 130 delle quali da trasporto e 74 da guerra. Queste ultime erano armate con circa 2.000 cannoni. A bordo vi erano 27.000 uomini: 16.000 erano marinai e artiglieri, e il resto truppe destinate all’invasione. La disparità tra le forze in campo era lampante: Cartagena poteva disporre soltanto di sei navi e di circa 3.000 uomini, compresi 500 civili e 500 indios chocoes. La difesa era guidata dal viceré, Sebastián de Eslava, e dal comandante Blas de Lezo, due militari esperti ed efficienti, ma dalla personalità opposta
Vernon era così certo della vittoria che vennero coniate medaglie commemorative OR
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MEDAGLIA CHE RAFFIGURA BLAS DE LEZO INGINOCCHIATO DAVANTI A VERNON.
e che dal primo momento si detestarono e lottarono per il comando. Il 13 marzo 1741 apparvero all’orizzonte le prime imbarcazioni britanniche. L’obiettivo di Edward Vernon era penetrare nella baia di Cartagena e porre sotto assedio la città per conquistarla.
Gli inglesi assediano la città Gli accessi alla baia di Cartagena de Indias erano due: quello di Bocagrande, chiuso dagli spagnoli con le catene, e quello di Boca Chica, guardato da due poderosi forti, San José e San Luis. L’armata di Vernon si diresse verso questo secondo passaggio, ma la nave che stava in testa, la Shrewsbury, fu cannoneggiata dai forti e da quattro navi spagnole e fu immobilizzata, bloccando l’accesso alle altre imbarcazioni. Rimorchiata la nave, gli inglesi sbarcarono sull’isolotto di Tierra Bamba, dove massacrarono i difensori delle batterie. La resistenza spagnola si concentrò nel forte di San Luis, nel quale
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L’EVENTO STORICO
FORTE DI SAN FELIPE
MARÍA CLAUDIA ANJEL / AGE FOTOSTOCK
a Cartagena de Indias, dove Blas de Lezo e i suoi uomini resisterono all’assalto britannico nel 1741.
si trasferirono il viceré Eslava e Blas de Lezo. Durante lo scontro, delle tredici navi inglesi che erano entrate da Boca Chica undici furono distrutte dai colpi sparati dai cannoni di San Luis. Dopo aver combattuto fieramente, Eslava, Lezo e i soldati sopravvissuti fuggirono di notte a Cartagena, a bordo di alcune lance. In questo modo, tre settimane dopo il suo arrivo a Carta-
gena, Vernon raggiunse l’obiettivo di entrare nella baia e iniziare l’assedio della città. Lezo fece affondare le navi della sua flotta per ostruire l’ingresso a Cartagena, ma una di esse, la Galicia, fu catturata. Gli inglesi presero il castello di Santa Cruz, e da lì cominciarono a far fuoco contro la città, mentre contemporaneamente avveniva lo sbarco di 9.000 assalitori. Nel giro di pochi gior-
L’EROE DI CARTAGENA BLAS DE LEZO era un ammiraglio spagnolo originario
dei Paesi Baschi. Guercio, zoppo e monco a causa delle molte ferite di guerra, era un veterano della marina spagnola che nel 1739 fu dislocato a Cartagena de Indias, dove respinse i due attacchi di Vernon precedenti all’offensiva del 1741.
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ORONOZ / ALBUM
BLAS DE LEZO. AUTORE IGNOTO. XVIII SEC. MUSEO NAVALE, MADRID.
ni, le difese esterne spagnole furono distrutte. Vernon era così sicuro della vittoria che inviò una lettera trionfante a Giorgio II, e questo scatenò l’euforia a Londra. Gli spagnoli, però, avevano ancora il castello di San Felipe, la fortezza principale di Cartagena, ed erano disposti a resistere fino alla fine.
La lotta per Cartagena Vernon ordinò di accerchiare San Felipe e all’alba del 20 aprile sferrò l’attacco. Nel buio, tre colonne di 1.200 uomini ciascuna marciarono contro il castello, forti delle informazioni ricevute da presunti disertori spagnoli circa le cattive condizioni della struttura e lo scoramento dei difensori, tanto che le armi sembravano quasi superflue. Seguendo il consiglio, gli inglesi marciarono verso il castello con un solo uomo su cinque dotato di fucile e senza
Assalto al baluardo dell’Impero spagnolo NELL’ATTACCO A CARTAGENA, la flotta dell’ammiraglio Vernon dovette superare varie barriere: due forti
a Boca Chica, altri due castelli all’imbocco della baia interna di Cartagena e, infine, il castello di San Felipe, che riparava la città fortificata. Contro quest’ultimo si schiantarono le truppe britanniche. Cartagena
Una cinta muraria proteggeva la città sin dall’inizio del XVII secolo.
San Felipe
Il castello fu eretto su un colle sopra Cartagena nel 1536 e ampliato nel 1657.
Boca Chica
Cruz Grande
All’ingresso della baia di Cartagena si innalzava il castello di San Luis.
Questo forte, insieme a quello di El Pastelillo proteggeva l’ingresso della baia interna di Cartagena.
G I A M A I CA
OCEANO AT L A N T I CO
CARTAGENA E IL SUO SISTEMA DIFENSIVO DURANTE L’ASSEDIO DEL 1741. INCISIONE INGLESE DEL XVIII SECOLO. MUSEO NAZIONALE DELL’ESERCITO, LONDRA.
esplosivi, credendo che la conquista del forte sarebbe stata un compito facile. Ma erano caduti in una trappola. Le scale dei soldati risultarono troppo corte e le truppe furono sorprese dal fuoco proveniente dalla fortezza. Il brigadiere Thomas Wentworth, che guidava le truppe, inviò altre due colonne, che tuttavia nella salita verso il forte si scontrarono con i compatrioti che ne discendevano, inseguiti dalla guarnigione della fortezza. Il bilancio fu tragico per gli inglesi. Secondo l’ufficiale Charles Knowles, «tra la mattina del giovedì e la sera del venerdì [le forze britanniche] erano scese da 6645 a 3200 unità, e 1200 degli americani non erano idonei al servizio». Gli ufficiali inglesi chiesero a Vernon di ordinare la ritirata, ma lui rifiutò: aveva promesso una vittoria a Giorgio II e non voleva tornare a mani vuote. Tuttavia, lo scontento si diffondeva nelle truppe britanniche,
Cartagena de Indias COLOMBIA
BRIDGEMAN / ACI
PA N A M A
decimate dalla febbre gialla e dal vomito nero della stagione delle piogge, e i disertori si moltiplicavano.
Una ritirata umiliante La vista del campo di battaglia dalle navi era desolante, come riporta Smollett nelle sue memorie: «[Le truppe] contemplarono i corpi nudi dei commilitoni e degli amici che galleggiavano nelle acque del porto, ormai preda di uccelli necrofagi e squali, che li facevano a brandelli senza sosta, e contribuivano con il loro puzzo alla mortalità che ormai dominava». Quando Vernon ordinò un nuovo attacco scoppiò una rivolta che si concluse con cinquanta fucilazioni. Alla fine, l’ammiraglio dovette cedere e l’8 maggio le imbarcazioni britanniche cominciarono ad abbandonare la baia di Cartagena. Fu una delle sconfitte più dure della storia della marina britannica; secondo i calcoli dei contemporanei, nello
schieramento inglese vi furono 10.000 perdite, contro le 600 dei difensori. Una delle vittime spagnole fu Blas de Lezo; morì quattro mesi dopo aver liberato Cartagena, a causa di un’infezione. Eslava invece tornò in Spagna otto anni più tardi. Quanto a Vernon, nonostante il suo lungo servizio nella marina, la polemica per il fallimento di quella “invincibile armata” britannica a Cartagena lo accompagnò fino a quando, nel 1745, vedendosi retrocesso dal governo, si dimise dalla sua carica nell’amministrazione navale. ARTURO GALINDO STORICO
Per saperne di più
Imperi dell’Atlantico. America britannica e America spagnola, 1492-1830 John H. Elliott. Einaudi, Torino, 2010. Le vene aperte dell’America latina Eduardo Galeano. Sperling&Kupfer, Milano, 2013.
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V I TA Q U OT I D I A N A
Il pane dei romani: gratuito e ben cotto Gran parte degli abitanti dell’antica Roma viveva grazie al grano che gli imperatori distribuivano gratuitamente Da sempre, una delle funzioni delle autorità romane era l’approvvigionamento di cereali, la cosiddetta annona, come veniva chiamato il prodotto dei raccolti immagazzinato nei granai. Questo compito divenne sempre più complesso con l’aumentare della popolazione della città di Roma, che all’epoca di Augusto superava il milione di abitanti. A seguito del declino della coltivazione di cereali nei campi dell’Italia, il grano dovette essere importato da diverse regioni del Mediterraneo come la Sicilia, la provincia dell’Africa (Tunisia e Algeria orientale) e l’Egitto.
Da economico a gratuito
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a tavola attendono che vengano servite le pagnotte. Rilievo. Museo Nazionale Romano, Roma.
Il rifornimento di grano avveniva per via marittima. Gli armatori privati, chiamati naviculari, trasportavano i carichi di grano da Alessandria o Cartagine fino al porto di Ostia, alla foce del Tevere (che dal I secolo d.C. sostituì da un magistrato, il questore ostiense, quello di Puteolum, nel golfo di Na- e poi erano trasportate a Roma lungo poli). Lì le merci venivano registrate il Tevere con l’ausilio di imbarcazioni fluviali speciali, le naves caudicariae, appartenenti alla corporazione di navigatori del Tevere. In circostanze normali, i commercianti privati erano in grado di garantire IL TERMINE annona deriva da annus, “anno”, in il rifornimento necessario a Roma. riferimento al carattere annuale del raccolto. Tuttavia, un anno di raccolto scarso L’importanza dell’approvvigionamento di cerepoteva provocare una situazione di ali a Roma era tale che nacque il culto alla dea penuria e un aumento dei prezzi dei Annona, divinità in genere rappresentata sulle cereali, con il rischio che il malcontento monete con cornucopie, simbolo di abbondanza. si diffondesse nella popolazione e che ANNONA IN TRONO. MONETA DELL’EPOCA DI NERONE. scoppiassero disordini o addirittura insurrezioni. Una crisi di questo tipo
LA DEA ANNONA
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COMMENSALI seduti
SCALA, FIRENZE
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ll’inizio del II secolo d.C., Giovenale si lamentava in una delle sue Satire per la triste immagine trasmessa dal popolo di Roma, che egli vedeva come una moltitudine di parassiti che si limitava a obbedire ai capricci dell’imperatore. «Ma che fa questa gentaglia di Remo? […] Ormai, da quando non si vendono più i voti, ha perso ogni interesse; un tempo attribuiva tutto lui [il popolo] , potere, fasci, legioni; adesso lascia fare, spasima solo per due cose: pane e giochi». Con questa celebre espressione, «pane e giochi», panem et circenses, Giovenale si riferiva ai due strumenti che gli imperatori di Roma avevano a disposizione per mantenere tranquilla la popolazione: gli spettacoli di gladiatori e le corse dei carri, che attiravano l’attenzione dei romani come ai giorni nostri il gioco del calcio, e il pane, che distribuivano gratuitamente a gran parte degli abitanti di Roma.
poteva avvenire in qualsiasi momento. Per esempio, Seneca riferisce che alla morte di Caligola, nel 41, Roma aveva riserve di grano sufficienti solo per una settimana. Il suo successore Claudio, durante un periodo di grave scarsità di viveri, una volta si ritrovò circondato nel mezzo del Foro da una folla affamata che gli scagliò contro dei pezzi di pane, e si sottrasse alla protesta entrando da una porta secondaria del palazzo. Particolarmente importante era garantire la sussistenza dell’esercito di stanza a Roma, che in qualsiasi momento poteva guidare una cospirazione contro l’imperatore.
Dalle pappette di cereali alle pagnotte LA DIETA DEI ROMANI era basata sui cereali, soprattutto sul grano;
l’orzo, infatti, era meno utilizzato e l’avena era riservata all’alimentazione dei cavalli e degli asini. Nei tempi più antichi, il grano non veniva macinato, ma solo pestato in un mortaio e poi mescolato con acqua per formare una specie di PAPPA (puls). Questa fu il piatto nazionale per secoli, soprattutto nelle zone rurali, tanto che Plauto, nel II secolo a.C., si riferiva ai contadini come «mangiatori di zuppa». Nelle città, invece, dalla metà del II secolo a.C. furono introdotti il grano macinato e il pane cotto
nei forni pubblici. Vi erano diverse QUALITÀ di pane, a seconda del tipo di grano utilizzato e del modo in cui veniva setacciata la farina: il panis siligineus, il migliore, fatto con farina di prima qualità; il panis plebeius, castrensis, sordidus o rusticus, per il quale si usava farina meno fine, e il pane bianco.
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V I TA Q U OT I D I A N A
IL COSTO DELLA VITA A ROMA
IL PANIFICIO di Modesto era il più grande di Pompei; si conservano ancora diverse macine e il forno in cui si cuoceva il pane.
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VENDITORE DI PANE. RILIEVO DEL II SECOLO. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.
Fu così che, con l’obiettivo di garantire la pace sociale, le autorità romane avviarono un sistema di ripartizione del grano tra i cittadini. Inizialmente, l’intervento si limitò ad abbassarne il prezzo. Per esempio, nel 202 a.C. il grano inviato a Roma dalla provincia dell’Africa da Scipione fu distribuito in città alla metà del prezzo convenzionale. Si trattava di misure occasionali, delle quali talvolta si incaricavano cittadini privati che per qualche motivo desideravano rendersi popolari e guadagnare il favore dei romani.
DEA / ALBUM
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NEL SATYRICON di Petronio, un personaggio, Ganimede, si lamenta della connivenza tra i funzionari responsabili dell’annona e i panettieri per far aumentare il prezzo del pane: «Maledetti gli edili, che sono d’accordo coi fornai: “una mano lava l’altra”. E il popolino è in affanno, mentre per le mascelle dei grandi è sempre festa».
Fu solo qualche decennio dopo che venne istituito un sistema di distribuzione regolare di grano ai cittadini da parte dello Stato. Nel 123 a.C., Gaio Sempronio Gracco, nell’ambito del suo programma di riforme favorevoli alla plebe, fece approvare una legge, chiamata lex Sempronia frumentaria, in base alla quale i cittadini che ne avessero fatto richiesta avrebbero ricevuto una certa quantità di grano a un prezzo ridotto tra il 25 e il 50 per cento. Per la prima volta nella storia di Roma, una legge regolava la distribuzione di grano alla popolazione della città a spese dell’erario pubblico.
Alla fine del III secolo, l’annona si trasformò in un’istituzione con il compito di mantenere l’ordine sociale SETTIMIO SEVERO MIGLIORÒ L’ANNONA MILITARE. BUSTO. III SECOLO. MUSEI CAPITOLINI.
Sebbene sotto la dittatura di Silla, favorevole ai patrizi, fossero state abolite le distribuzioni, nel 73 a.C. una nuova legge ripristinò il sistema di Gracco. Nel 58 a.C. un’altra disposizione, la lex Clodia frumentaria, impose la distribuzione gratuita di grano al popolo. A partire da quel momento, lo Stato si sarebbe fatto carico di tutte le spese per l’alimentazione della plebe romana.
Il diritto al cibo Le leggi frumentarie erano rivolte a uomini padri di famiglia, cittadini che non discendessero da schiavi e il cui patrimonio, come risultava dal censo, non superasse un certo limite. Restavano pertanto esclusi gli schiavi, i liberti, gli stranieri e, ovviamente, i membri della nobiltà e degli strati più ricchi della società, che ottenevano i cereali dalle proprie tenute o lo compravano al mercato. Ciò significa che nella plebe frumentaria,
Il grano, chiave della felicità pubblica IL SARCOFAGO DELL’ANNONA, conservato al Museo Nazionale Romano di Roma, appartenne forse a Flavio
Arabiano, un prefetto dell’annona sotto Aureliano, alla fine del III secolo. I rilievi sulla fronte del sarcofago sono una rappresentazione allegorica di come la fornitura di grano garantiva l’abbondanza a Roma. 2 1 5
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1 Porto
2 Dea Annona
3 Coniugi
4 Il genio
5 Africa
La raffigurazione del porto di Roma ha un faro nella mano destra e una prora di nave ai piedi.
Reca la tessera annonaria, documento che indica il portatore come beneficiario dell’annona.
Sono uniti nel dextrarum Iunctio, la stretta di mano cerimoniale degli sposi.
Tra gli sposi compare la dea Giunone Pronuba; accanto allo sposo, il Genio del Senato.
L’Abundantia porta una cornucopia. Al suo fianco, l’Africa, da dove proviene il grano.
come venivano chiamati i beneficiari della distribuzione gratuita di grano, erano inclusi non soltanto gli indigenti senza un lavoro fisso, ma anche i cittadini che godevano di un reddito modesto proveniente da una professione o da una piccola attività commerciale. Di fatto, l’annona non era considerata come un’elemosina concessa dallo Stato a chi era sprovvisto di mezzi, bensì come un diritto che ogni cittadino romano poteva esercitare. Le autorità scrivevano i nomi dei beneficiari dell’annona su tavolette di bronzo, e veniva fissato un giorno al mese per la distribuzione, che avveniva in un luogo specifico: il Porticus Minucia Frumentaria, tra l’attuale via delle Botteghe Oscure e Largo Argentina. I beneficiari si presentavano con un certificato, la tessera annonaria, e ricevevano 35 chili di grano, l’equivalente del fabbisogno di due persone, il che pare indicare che l’annona non era
sufficiente per garantire l’alimentazione mensile di una famiglia. Le autorità crearono un sistema burocratico per organizzare la distribuzione del grano. A capo vi era il prefetto dell’annona, ai cui ordini vi erano i centurioni dell’annona e i procuratori dell’annona.
Frodi, abusi ed eccessi Il fatto di poter mangiare gratis favorì ogni tipo di frode e abusi, e il numero di beneficiari continuò ad aumentare. Vi furono addirittura dei patrizi che si iscrissero alla lista. Per porre un freno a questi eccessi, Giulio Cesare ridusse il numero massimo degli aventi diritto da 320.000 a 150.000, e stabilì che alla morte di uno di essi venisse fatto un sorteggio per sostituirlo. Augusto pensò persino di abolire le distribuzioni, perché credeva che questa prassi favorisse l’abbandono delle terre coltivabili per emigrare a Roma e lì vivere a spese dello Stato, ma tutto ciò che poté
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fare fu limitare il numero di beneficiari a 200.000. Da allora, gli imperatori fecero della distribuzione gratuita del grano lo strumento più efficace per mantenere la pace sociale a Roma. Con il tempo, e con l’aggravarsi della crisi economica, l’annona divenne l’ancora di salvezza delle classi disagiate. Fu così che alla fine del III secolo gli imperatori, oltre a migliorare il sistema di approvvigionamento, iniziarono a distribuire non più farina, ma pane cotto in grandi forni industriali, insieme con olio, carne di maiale e vino a un prezzo ribassato. MIGUEL ÁNGEL NOVILLO UNIVERSITÀ NEBRIJA (MADRID)
Per saperne di più
La vita quotidiana a Roma Jerôme Carcopino. Laterza, Roma-Bari, 1993. I semi della civiltà. Frumento, riso e mais nella storia delle società umane Antonio Saltini. Nuova Terra Antica, Firenze, 2010.
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LA BATTAGLIA DI PIDNA
LA FALANGE SI SPEZZA
A Pidna, le irregolaritĂ del terreno fecero perdere compattezza alle prime file della falange, e i legionari riuscirono a insinuarsi nei varchi e a ingaggiare il combattimento corpo a corpo. PETER CONNOLLY / AKG / ALBUM
NEL 168 A.C., OLTRE VENTIMILA MORTI SANCIRONO LA SCHIACCIANTE VITTORIA DELLE LEGIONI ROMANE SULLA FALANGE MACEDONE. ROMA POTEVA ORMAI LANCIARSI ALLA CONQUISTA DELLA GRECIA BORJA ANTELA UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
TEMPIO DI TRAIANO A PERGAMO
Il Senato romano appoggiò il re Eumene II di Pergamo contro la Macedonia. Quarant’anni dopo, suo figlio Attalo III lasciò in eredità a Roma il proprio regno. REIMAR GAERTNER / AGE FOTOSTOCK
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ucio Emilio Paolo aveva circa sessant’anni. Suo padre era caduto eroicamente a Canne, combattendo Annibale, e lui aveva sconfitto i bellicosi liguri del Nord Italia e i turdetani e i lusitani della Hispania. Era l’anno 168 a.C. e i romani elessero console questo severo aristocratico affinché ponesse fine una volta per tutte alla guerra che stavano combattendo con Perseo, re di Macedonia.
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C R O N O LO G I A
LA GUERRA IN GRECIA
Tuttavia, i generali inviati da Roma fra il 171 e il 169 a.C. non ebbero grande successo: Publio Licinio Crasso subì una dura sconfitta nella battaglia di Callinicum, Aulio Ostilio fu respinto nell’avanzata verso la Macedonia e Marcio Filippo fu costretto a ritirarsi a causa di difficoltà nel rifornimento.
La guerra di Emilio Paolo I romani chiedevano un cambio alla conduzione della guerra, e nel 168 a.C. il comando venne affidato all’esperto Lucio Emilio Paolo, che diede prova del proprio temperamento nel discorso che pronunciò dopo essere stato eletto console: disse che era lui a fare un favore al popolo di Roma assumendo quell’incarico, e non il contrario, e consigliò a coloro che criticavano i comandi militari di tacere. Se ne sapevano tanto, disse, potevano dargli di persona i loro consigli, era lieto di portarli in guerra facendosi carico delle spese. La sua prima mossa fu esigere tutte le informazioni possibili sulla situazione in Grecia. La risposta fu sorprendente: entrambi gli eserciti, quello romano e quello macedone, erano accampati sulle sponde opposte del fiume Elpeo (il cui letto era in secca), senza
214-205 a.C.
200-197 a.C.
171 a.C.
168 a.C.
Prima guerra macedonica. Filippo V di Macedonia con Cartagine contro Roma.
Nuova guerra tra Roma, ora alleata con Pergamo, e Filippo, sconfitto a Cinocefale.
Perseo, figlio di Filippo, attenta contro il re di Pergamo. Terza e ultima guerra macedonica.
A Pidna, il console Emilio Paolo sconfigge Perseo. Fine della monarchia macedone.
EUMENE II DI PERGAMO. BUSTO IN BRONZO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
IL NEMICO DI ROMA
Cammeo sul quale è raffigurata l’effigie di Perseo, sovrano di Macedonia. II secolo a.C. Cabinet des Médailles, Parigi.
BRIDGEMAN / ACI
Dieci anni prima, Perseo era succeduto al padre Filippo V, sconfitto già in due guerre dalla Repubblica romana, che era diventata la protettrice dei nemici di Perseo. La sua famiglia discendeva da Antigono I Monoftalmo, generale di Alessandro Magno, i cui eredi si erano impadroniti del governo di Macedonia, e dall’inizio del III secolo a.C. dominavano la maggior parte delle città della Grecia. Poco tempo dopo l’ascesa al trono di Perseo, al Senato romano iniziarono a susseguirsi delegazioni e ambasciate provenienti da diverse località che portavano lamentele e prove dei movimenti diplomatici di Perseo per aumentare il proprio potere in Grecia. Alla fine la guerra scoppiò a causa di un attentato contro Eumene II, sovrano di Pergamo e uno dei più fedeli alleati di Roma. Davanti al Senato romano, Eumene aveva accusato il re macedone di preparare in segreto la guerra, e ciò spinse Perseo a organizzare un attentato contro il rivale approfittando di una vista di quest’ultimo all’oracolo di Delfi, durante il viaggio di ritorno da Roma. Eumene sopravvisse, e il fallito regicidio fornì al Senato il pretesto che serviva per dichiarare l’inizio della cosiddetta terza guerra macedonica.
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Gortina
Territorio strappato ai seleucidi da Roma e suddiviso tra Pergamo e Rodi CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
ROMA ALL’ATTACCO DOPO LA VITTORIA di Roma su Cartagine e la fine della seconda guerra punica (201 a.C.), il Senato pose la mira sulla Grecia. La minaccia più grave veniva dalla Macedonia, che era alleata di Cartagine, mentre il principale appoggio a Roma veniva da Pergamo, un regno dell’Asia Minore ambito tanto dalla Macedonia quanto da un altro regno ellenistico, quello seleucide, che si estendeva negli attuali Iraq e Iran. Una guerra tra i seleucidi e Roma, alleata con Pergamo, finì con il trionfo romano (188 a.C.) e l’ampliamento di Pergamo. Poco dopo, l’attacco di Perseo di Macedonia a Eumene II di Pergamo portò alla guerra che si concluse a Pidna, ed ebbe come esito la fine della monarchia macedone e la suddivisione del regno in quattro regioni dalla sovranità limitata.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
Roma
MA R N E R O
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Ancona
I SICARI DI PERSEO ATTENTARONO ALLA VITA DI EUMENE II DI PERGAMO MENTRE SI RECAVA A PIEDI A DELFI. GLI ASSASSINI LO CREDETTERO MORTO, MA IL RE, FERITO, SOPRAVVISSE. INCISIONE DEL XVIII SECOLO.
UN SEGNO DEI CIELI LA NOTTE PRIMA DELLA BATTAGLIA si verificò un’eclissi di luna. Gaio Sulpicio
Gallo, comandante romano molto esperto in astronomia, l’aveva prevista, quindi i legionari romani non furono colti di sorpresa. Tuttavia, per placare i timori dei più superstiziosi, Emilio Paolo officiò dei sacrifici alla luna al principio dell’eclissi. I macedoni, invece, furono colti impreparati dal fenomeno, quindi si allarmarono e interpretarono l’eclissi come l’annuncio della caduta del loro re.
GLI ELEFANTI DI ROMA
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Emilio Paolo utilizzò anche i pachidermi per sconfiggere i macedoni a Pidna. Elefante che calpesta un soldato. Terracotta greca, II secolo a.C.
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mani dei traci che servivano come ausiliari di Perseo. Quando i romani cercarono di riprendere la mula, scoppiò una prima scaramuccia. Al combattimento andarono via via unendosi altri effettivi, finché non si scatenò una battaglia campale. I velites romani, un’avanguardia leggera di lancieri, furono i primi a infrangere la disciplina e a gettarsi in combattimento aperto, trascinando il resto dell’esercito di Paolo; non per nulla i velites erano la punta avanzata della legione, e il loro assalto segnava l’inizio dell’attacco romano. Questo ha portato a interpretare l’episodio della mula come uno stratagemma, il cui autentico responsabile poteva essere lo stesso Paolo, per provocare lo scontro. Perseo, però, poteva contare sul vantaggio del terreno: in pianura, la falange macedone dispiegò la sua formazione di lunghe sarisse, imponenti lance lunghe
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Nella notte tra il 21 e il 22 giugno si verificò un’eclissi che alimentò le superstizioni dei soldati di entrambi gli schieramenti. I macedoni la considerarono di cattivo augurio. Il giorno seguente ebbe luogo la battaglia, il cui inizio fu segnato da un episodio curioso, di cui fu protagonista una mula degli uomini di Paolo, che durante la raccolta d’acqua attraversò accidentalmente il fiume e cadde nelle
ECLISSI DI LUNA LA NOTTE ANTECEDENTE LA BATTAGLIA. INCISIONE DI H.M. BURTON. 1920.
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La mula che diede il via alla battaglia
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intenzioni evidenti di confrontarsi. Ma non era tutto. I legionari, oltre a essere costretti all’ozio e demoralizzati, pativano durissime restrizioni logistiche e ben presto si sarebbero trovati senza scorte di viveri. Dopo aver reclutato 24.000 soldati di fanteria e 1.400 cavallerizzi tra romani e alleati, il console partì per la Grecia. Quando giunse sullo scenario di guerra dovette affrontare il primo problema: la mancanza d’acqua. Emilio Paolo ordinò di scavare pozzi alla ricerca del prezioso liquido, e il rapido successo accrebbe la sua reputazione e gli fece guadagnare il rispetto dei soldati. Subito dopo, ordinò al suo legato Publio Scipione Nasica di marciare giorno e notte con un quarto delle forze a disposizione fino alla città di Dion, situata verso la retroguardia del nemico, in modo da circondare l’esercito di Perseo. Un disertore informò del piano il re macedone, che cercò di respingere il contingente romano. Gli uomini di Nasica, però, riuscirono a imporsi dopo un violento scontro sui monti che si innalzavano tra il fiume Elpeo e Dion, e questo lasciò Perseo esposto a un attacco su due fronti. Il re macedone doveva neutralizzare quanto prima la minaccia e per farlo doveva sconfiggere il grosso dei romani, appostati sulla riva opposta dell’Elpeo al comando di Emilio Paolo. A questo proposito arretrò fino al limitare della città di Pidna, sulla cui pianura si poteva dispiegare completamente la falange macedone, la poderosa e compatta formazione irta di lance creata da Filippo II e suo figlio Alessandro Magno. Il console li seguì, e di nuovo le truppe romane e macedoni si trovarono appostate le une di fronte alle altre sulle sponde di un altro fiume, l’Esone.
LANCE CONTRO SPADE dna non era molto sicuro del risultato dello scontro tra legioni e falange. Secondo Plutarco, Paolo «s’accorse che i macedoni schierati avevano già piantato la punta delle aste negli scudi romani e non consentivano ai gladi di avvicinarsi». I romani tentavano di respingere le lance con le spade o di afferrarle con le mani, ma i macedoni, reggendo in modo fermo le lance, respingevano «quanti si lanciavano all’attacco anche se indossavano l’armatura, perché né lo scudo né la corazza resistevano all’impatto dell’asta». Le prime linee romane furono
Coorte. Era formata da circa 480 uomini. Una legione era composta da 10 coorti, alla guida di ciascuna delle quali c’era un prefetto.
messe in rotta, e Paolo «si stracciò la tunica». Quando, però, la falange avanzò su un terreno irregolare, nella sua formazione si aprirono dei varchi. Paolo allora divise le sue coorti e diede loro ordine di penetrare negli spazi vuoti per combattere corpo a corpo con il nemico. Questo portò i romani alla vittoria poiché, come dice Plutarco, «nel momento in cui la falange si aprì, venne immediatamente meno la sua forza e la sua efficienza unitaria; i macedoni colpivano con piccoli pugnali scudi compatti e resistevano con difficoltà con scudi piccoli e leggeri ai gladi romani».
Manipolo. La coorte era suddivisa in 3 manipoli; ciascuno di essi era guidato da un signífer, che portava il vessillo (signum) della sua unità.
La falange macedone
L’unità base era il sintagma, composto da 256 combattenti e formato da 16 file di 16 uomini ciascuna, dotati di lance (sarisse) che potevano essere lunghe anche 7 metri. Era uno strumento militare formidabile, ma solo finché si manteneva in perfetta formazione. Per questo motivo doveva muoversi su terreni piani. Se la formazione si rompeva, il vantaggio conferito dalle lance andava perduto: i soldati dovevano abbandonarle e combattere con le spade. Centuria. Il manipolo era formato da 2 centurie, ciascuna guidata da un centurione e formata generalmente da 60 uomini.
La legione romana
A differenza della falange, era un corpo estremamente versatile e più facile da manovrare, poiché i legionari erano addestrati a combattere in formazioni più snelle e flessibili: la coorte, la centuria e il manipolo. Inoltre, l’armamento individuale dei soldati permetteva di lottare sia in formazione chiusa sia corpo a corpo. Nell’immagine, lo spiegamento di una legione.
ILUSTRACIONES: PETER CONNOLLY / AKG / ALBUM
FORSE IL COMANDANTE romano a Pi-
DEA / SCALA, FIRENZE
fino a sette metri che creavano una barriera in teoria impenetrabile. Le sarisse respinsero facilmente le legioni, dimostrando nella pratica perché la falange macedone fosse l’esercito più potente dell’epoca, in grado di conquistare il mondo intero. Durante lo scontro, però, i macedoni persero il vantaggio del terreno: trascinati dalla foga del combattimento e impegnati a inseguire i romani, si addentrarono in spazi meno pianeggianti e più irregolari. Forse era stata questa l’intenzione di Emilio Paolo fin dall’inizio. I legionari furono rapidi nell’approfittare delle irregolarità del terreno, che facevano sì che si aprissero ampi varchi tra le sarisse, e si infiltrarono in piccole unità tra le lance macedoni. Con il gladio, la tradizionale spada corta romana, i legionari si avvicinarono con facilità ai soldati nemici, la cui armatura leggera, fatta di lino indurito e rinforzato, non era adatta al combattimento corpo a corpo. I legionari, al contrario, erano dotati di un equipaggiamento difensivo completo, che comprendeva una cotta di maglia e uno scudo concavo dietro il quale si potevano riparare completamente.
UN SOVRANO POCO DIGNITOSO QUANDO PERSEO SI ARRESE a Emilio Paolo, era vestito di nero e accompagnato soltanto dal figlio. Il console si alzò dal proprio scranno e gli andò incontro con la mano tesa, ma il re si gettò ai suoi piedi, piangendo e abbracciandogli le ginocchia. Paolo lo rimproverò: «Perché abbassi la mia vittoria e sminuisci il mio successo mostrandoti avversario ignobile e non all’altezza di Roma?». Per i romani, infatti, la codardia era l’atteggiamento più deprecabile.
Violenze e saccheggi All’azione dei legionari si sommò l’attacco, sul fianco sinistro della falange, dei 34 elefanti da guerra che i romani avevano schierato. Tutto questo causò in breve tempo la rottura delle fila di Perseo e, subito dopo, un massacro. I macedoni avevano perso tutte le posizioni e i legionari correvano tra i fuggitivi al fine di non lasciare dei sopravvissuti che potessero organizzare una nuova resistenza. A morire furono oltre ventimila macedoni e un centinaio di romani. Molti degli sconfitti corsero verso il mare poco lontano e si gettarono in acqua, in cerca della salvezza, arrendendosi ai comandanti delle imbarcazioni romane. Fu tutto vano: i romani finirono i macedoni, e coloro che tornarono sulla riva furono fatti calpestare dagli elefanti. Scipione Emiliano, figlio adolescente del console e futuro distruttore di Cartagine, era scomparso al termine della battaglia, con grande angoscia del padre, ma riapparve con le vesti impregnate del sangue dei caduti. Quando i romani, il giorno se-
guente, attraversarono il fiume Esone, le sue acque erano ancora tinte di rosso. Perseo si arrese, e Paolo gli promise il rispetto della sua dignità, incoraggiandolo a sperare nella clemenza del Senato. Ma quando fu portato a Roma insieme ai prigionieri, il re ottenne ben poca clemenza. Visse il resto dei suoi giorni prigioniero in una villa romana, mentre le legioni facevano di Roma la nuova e impareggiabile potenza del Mediterraneo.
Per saperne di più
IL FREGIO DI PAOLO A DELFI
Dopo la vittoria, Paolo visitò Delfi. Lì vide che si stava per collocare su un piedistallo una statua in oro di Perseo, che Paolo diede ordine di sostituire con una sua statua.
SAGGI
Le conquiste dei Romani André Piganiol. Il Saggiatore, Milano, 1989. L’esercito romano Peter Connolly. Mondadori, Milano, 1976. TESTI
Storia di Roma dalla sua fondazione Tito Livio. Rizzoli, Milano, 2000. Vite parallele Plutarco. Rizzoli, Milano, 2003.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL GENERALE TRIONFATORE La terza guerra macedonica si chiuse con parate che a Roma celebrarono la gloriosa
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Lo spettacolo della vittoria Il pittore francese Carle Vernet realizzò questo grande dipinto, lungo 4,38 metri e largo 1,7, che raffigura il trionfo di Paolo a Roma dopo la sua vittoria su Perseo. In realtà, le celebrazioni si protrassero per tre giorni; la descrizione completa è data da Plutarco, mentre quella di Tito Livio è andata perduta. Il dipinto, terminato nel 1789, è custodito al Metropolitan Museum di New York. DENARIO CONIATO NEL 71 A.C. PER COMMEMORARE LA VITTORIA DI PIDNA. PAOLO, IL VINCITORE, È IN PIEDI DAVANTI A UN TROFEO.
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1 Il tempio della vittoria
3 Carri con armi
Su una collina si innalza il tempio di Giove Capitolino, destinazione del corteo trionfale. Vi si celebravano sacrifici e si offrivano al dio le corone d’alloro dei vincitori.
Il primo giorno del trionfo fu mostrato il bottino di dipinti e statue. Il secondo, le armi più belle sottratte ai macedoni; questo tema domina la parte sinistra del quadro.
2 Roma immaginata
4 Il rumore della guerra
Vediamo edifici molto più tardi: il Colosseo (sulla sinistra, in lontananza), un arco a metà fra quello di Costantino e quello di Tito, il mausoleo circolare di Adriano (sul fondo, al centro).
Secondo Plutarco, le armi furono disposte in modo che, lungo la marcia, si urtassero risuonando «in maniera terribile ed aspra», e «lo spettacolo non era privo di terrore».
E IL SOVRANO SCONFITTO
conclusione di tre anni di conflitto dopo la vittoria di Lucio Emilio Paolo a Pidna
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5 Fragranze divine
7 Il tesoro del re
9 Il generale vittorioso
Durante la celebrazione del trionfo, sugli altari dei templi ardeva l’incenso, il cui profumo inondava la città. Nel dipinto è raffigurato un bruciatore fumante di bella fattura.
Fra i tesori di Perseo che sfilarono il terzo giorno vi erano il prezioso vasellame che il sovrano macedone utilizzava nei suoi banchetti e fastosi recipienti di ogni forma e tipo.
Paolo regge uno scettro con la vittoria e una palma. In realtà, il vincitore portava una corona d’alloro nella mano destra e uno scettro d’avorio con l’aquila di Giove nella sinistra.
6 Stendardi legionari
8 Tori per il sacrificio
Nel dipinto, gli emblemi delle legioni che parteciparono alla spedizione e i soldati che precedono il generale; in realtà, le truppe marciavano dietro il carro del loro comandante.
Gli animali che dovevano essere sacrificati a Giove al termine della parata avevano le corna dipinte d’oro ed erano adornati con nastri colorati o ghirlande di fiori.
Tragedia invisibile Dietro Paolo sfilavano i figli Quinto Massimo e Publio Scipione, che combatterono a Pidna. Un altro figlio di Paolo morì cinque giorni prima della parata, e tre giorni dopo un altro.
Il re sconfitto Secondo Plutarco, Perseo marciava davanti al vincitore. Chiese a Paolo che gli fosse risparmiata la vergogna, e il console rispose che dipendeva da lui, alludendo al suicidio.
Da principi a schiavi I figli di Perseo, due ragazzi e una bambina, furono condotti come schiavi, circondati da maestri e precettori che insegnavano loro a tendere la mano al pubblico in atteggiamento di supplica.
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CERIMONIA NUZIALE
Sarcofago romano del II secolo. Il rito nuziale prevedeva un sacrificio propiziatorio, al termine del quale era posto un sigillo sull’atto di matrimonio, che nel rilievo lo sposo stringe in una mano. British Museum, Londra. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
IL FIORE DELLA SPOSA
Coroncina in oro a foglie e fiori di mirto rinvenuta nella tomba reale di Vergina. Immagine di purezza, il mirto era la pianta di Afrodite, perciò in Grecia si riteneva propizio per la fecondità. IV secolo a.C. Museo Archeologico, Salonicco. DEA / SCALA, FIRENZE
Grecia e Roma
IL DIRITTO DI FAMIGLIA Alcune analogie accomunano, nelle due grandi civiltà, il matrimonio, i suoi riti e le sue regole, ma nell’Urbe sull’istituto fondante della società svetta la figura del pater familias, padrone della vita della moglie e dei figli anche maggiorenni LORENZO GAGLIARDI PROFESSORE DI DIRITTO ROMANO E DIRITTI DELL’ANTICHITÀ, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
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E infatti l’oikos non era solamente la famiglia in senso stretto, ma includeva anche il patrimonio e perfino gli schiavi. A capo vi era il padre, che era chiamato kyrios (cioè “signore” o “padrone”), e aveva una posizione di preminenza sulla moglie e sui figli, finché questi erano minorenni.
Diritti e doveri coniugali in Grecia Il matrimonio era il cardine della famiglia, in quanto permetteva di distinguere i figli legittimi (nati in costanza di matrimonio) da quelli illegittimi o naturali (gli altri): solo i primi, se maschi, diventavano eredi del padre alla sua morte. Il matrimonio non sorgeva con un atto giuridico iniziale, ma si basava sulla coabitazione tra i coniugi e pertanto poteva confondersi con il semplice concubinato. Le fonti antiche indicano che per tale motivo nel 594 a.C. il legislatore Solone dispose che il matrimonio doveva essere preceduto da un fidanzamento formale, nel corso del quale il padre della donna (o, se questi era già morto, il suo tutore) la prometteva in sposa al futuro marito e le assegnava una dote. Il matrimonio poteva cessare con il ripudio della moglie da parte del marito oppure con l’abbando-
no del tetto coniugale da parte della moglie, fatti che configuravano il divorzio. Ad Atene, la moglie aveva l’obbligo di fedeltà coniugale: non le era consentito avere rapporti sessuali con uomini diversi dal marito, perché la famiglia era ritenuta un gruppo chiuso nel quale non doveva entrare sangue estraneo (e gli antichi ritenevano che lo sperma maschile trasmettesse il sangue dell’uomo alla donna). Se la moglie commetteva adulterio, il marito che ne venisse a conoscenza aveva l’obbligo di ripudiarla, altrimenti subiva una sanzione, l’atimia, per cui perdeva i diritti politici. Aveva inoltre il diritto di ucciderne l’amante (moichòs) se colto in flagrante. Ci è giunta da Atene un’intera orazione giudiziaria scritta da Lisia in difesa di un tal Eufileto, marito tradito, che era accusato di omicidio per avere ucciso nella propria casa un tale Eratostene, che egli aveva scoperto in flagranza con sua moglie. La difesa dell’accusato fu basata appunto sul fatto che l’omicidio doveva essere considerato legittimo per la legge di Draconte (risalente al VII secolo a.C.). Invece a Sparta, come viene riportato da Plutarco (50-120 d.C.), con il consenso del marito le donne potevano anche intrattenere rapporti sessuali extramatrimoniali: lo Stato semplicemente auspicava che anche in tal caso le donne generassero figli sani che potes-
Con il consenso del marito, le spartane potevano tenere rapporti extraconiugali PAQUIO PROCULO CON LA MOGLIE. PITTURA DI POMPEI. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI. FOGLIA / SCALA, FIRENZE
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a famiglia greca e la famiglia romana erano entrambe caratterizzate da una struttura fondamentalmente patriarcale, ma presentavano alcune differenze tra loro. Circa il mondo greco, la nostra attenzione si concentra principalmente su Atene, la sola polis di cui conosciamo con un certo approfondimento il sistema giuridico. Il termine che indicava la famiglia era oikos: parola che in realtà significa anche “casa”.
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LE LEGGI MORALI NEL TEMPO VIII SECOLO A.C. L’Odissea attesta come l’oikos, insieme di persone e beni facenti capo a un’abitazione, sia la cellula di base della società.
VII SECOLO A.C. Il codice di Draconte, il più antico corpus di leggi di Atene, riconosce al marito tradito il diritto di uccidere l’amante.
VI SECOLO A.C. Per distinguere tra matrimonio e concubinato, Solone introduce regole su fidanzamento, matrimonio e divorzio.
V SECOLO A.C. Le XII tavole, la prima forma scritta di leggi romane, regolamentano il matrimonio e attestano la figura del pater familias.
III SECOLO A.C. Un moto di emancipazione delle donne romane introduce un maggior equilibrio fra diritti e doveri dei coniugi.
I SECOLO A.C. La lex Iulia di Augusto sanziona l’adulterio con pene pecuniarie e con l’esilio e autorizza l’uccisione dell’amante.
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Sorella e sposa di Zeus, la Giunone dei latini era considerata la protettrice del matrimonio e del parto e il simbolo della fedeltà coniugale.
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TEMPIO DI ERA, PAESTUM
COFANETTO D’ARGENTO CON LA RAFFIGURAZIONE DI UNA PROCESSIONE NUZIALE. IV SECOLO. BRITISH MUSEUM.
DOMUS DI GIULIO POLIBIO, POMPEI
L’abitazione romana non prevedeva un ambiente riservato per le donne quale invece si trovava in quella greca, dove esse erano ritirate nel gineceo. ENEA FUGGE DA TROIA
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di essere giuridicamente soggetti al padre: da quel momento, essi condividevano con lui il governo dell’oikos. Alla morte del padre, i figli maschi ne sarebbero stati gli eredi e avrebbero garantito la continuità della famiglia.
La famiglia a Roma Come in Grecia, anche a Roma la famiglia era la cellula fondamentale della società. La differenza macroscopica è però che a Roma i poteri del capofamiglia, che qui era chiamato paterfamilias, erano molto maggiori. Incominciamo per prima cosa a vedere come si contraeva il matrimonio romano. In linea teorica, anche il matrimonio romano si basava sulla coabitazione dei coniugi, con l’intenzione di entrambi di essere marito e moglie. E peraltro dobbiamo aggiungere subito che occorreva anche il consenso dei rispettivi padri, se erano vivi, nel senso che i matrimoni erano, come diremmo noi oggi, combinati tra le famiglie. Ma l’aspetto più importante, che caratterizzava il matrimonio romano più antico, era che all’inizio della coabitazione nuziale si usava normalmente fare una cerimonia con
A Roma come a Sparta, il matrimonio era sancito dall’inizio della coabitazione SOLONE. BUSTO IN MARMO RAFFIGURANTE IL LEGISLATORE ATENIESE. UFFIZI, FIRENZE.
SCALA, FIRENZE
sero diventare ottimi soldati. Tanto a Sparta, quanto ad Atene gli uomini sposati potevano lecitamente mantenere una concubina. Per quanto concerne la filiazione, il padre, capo dell’oikos, decideva se un nuovo nato da sua moglie dovesse essere accolto o meno nella famiglia. Qualora un uomo sposato generasse figli con una concubina di cittadinanza ateniese, poteva anche legittimarli, includendoli nell’oikos come propri figli legittimi, benché fossero in realtà adulterini. Il cittadino ateniese poteva inoltre adottare dei figli, se non ne aveva di propri. Per altro verso, con un atto che si chiamava apokeryxis il padre poteva escludere dall’oikos i figli, anche adulti, che si fossero puniti di colpe gravi o che avessero disonorato la famiglia. Il punto centrale del diritto di famiglia ateniese, che lo differenzia molto profondamente dal diritto romano, come vedremo, è che con il raggiungimento della maggiore età, al compimento del diciottesimo anno, i figli maschi cessavano
Nel dipinto di Federico Barocci, il mitico fondatore di Roma porta in salvo il padre Anchise. XVII secolo. Galleria Borghese, Roma.
UN PATTO FRA GENERAZIONI
I DOVERI DEI FIGLI VERSO I PADRI Ad Atene esisteva per i figli l’obbligo di occuparsi dei genitori anziani. Questo dovere veniva indicato con il termine gerotrophia, composto da geron (vecchio) e da trepho (nutrire). In un’epoca in cui lo Stato era ancora ben lontano dal conoscere un sistema di previdenza sociale, norme giuridiche ben precise disposero che l’obbligo di assicurare una serena vecchiaia ai genitori gravasse sui figli. Le obbligazioni dei figli nascevano da un principio naturale di reciprocità, dato che i genitori a suo tempo li avevano allevati e cresciuti.
Anche l’obbligo della gerotrophia era stato introdotto dal grande legislatore Solone, che, secondo quanto riferisce Plutarco, aveva disposto che fossero esonerati dall’obbligo soltanto quei figli ai quali il padre non avesse insegnato una professione, quei figli che fossero stati costretti dal padre a prostituirsi e, infine, quelli che il padre avesse concepito con prostitute.
LA BENEDIZIONE DELLA DEA
Secondo il rituale greco, Era asperge il peplo e il diadema nuziale. Magna Grecia. Museo Nazionale Archeologico, Taranto. SANTUARIO DI ATENA, DELFI
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divorziare: solo il marito poteva ripudiarla. Il divorzio poteva peraltro essere imposto dal padre di uno dei due coniugi. Quanto al marito, era libero di comportarsi come volesse: gli era consentito avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio e, come i mariti greci, poteva anche tenere una concubina fissa. Questo stato di cose rimase sostanzialmente invariato fino al III secolo a.C., quando un profondo moto di emancipazione delle donne scosse la società romana e portò alla diffusione di un nuovo tipo di matrimonio, in cui il marito non acquistasse più la manus sulla moglie. Ciò realizzò un rapporto di maggiore equilibrio nei rapporti tra i coniugi e introdusse la possibilità anche per le donne di prendere l’iniziativa di divorziare. Se questo fu ciò che accadde circa i poteri dei mariti sulle mogli, invece rimase saldo lungo la storia del diritto romano il potere dei padri sui figli, che si chiamava patria potestas. La differenza fondamentale con la famiglia greca è che nella romana il potere paterno non cessava mai, finché il padre era in vita, neppure quando i figli
Ad Atene, il disonore e altre gravi colpe potevano costare la perdita dell’eredità LEKYTHOS CON SCENA DI GINECEO. MAGNA GRECIA, V SECOLO A.C. MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO, TARANTO.
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la quale il marito acquistava sulla moglie un potere molto forte, che si chiamava manus e che gli conferiva addirittura il diritto di vita e di morte sulla consorte. Secondo norme antiche, poi più volte riformate, la moglie poteva essere uccisa se scoperta in flagrante adulterio o, secondo una regola che a noi può apparire piuttosto ridicola, e che le fonti antiche fanno risalire a Romolo, qualora avesse bevuto del vino. Le ragioni del divieto di bere vino per le donne non si conoscono pienamente, ma si suppone che i mariti temessero che le donne, bevendo, potessero perdere i freni inibitori e di conseguenza fossero più portate a commettere adulterio. La donna soggetta alla manus del marito era in condizione di totale subordinazione e quand’anche, prima di sposarsi, avesse avuto delle proprietà, queste con il matrimonio si sarebbero trasferite tutte al marito. In quanto persona sottoposta, la donna non poteva
Nei templi dedicati alla dea della sapienza e delle arti, mitica fondatrice di Atene, si recavano i novelli sposi per invocare la sua protezione.
LEGGI AD ATENE
IL PASSAGGIO DELL’EREDITÀ IN GRECIA I figli maschi erano i soli eredi e continuatori dell’oikos greco. Un caso particolare si verificava quando il padre, morendo, lasciava solo una figlia femmina. Era questo il famoso caso della cosiddetta “ereditiera” greca, che ad Atene era chiamata epikleros.
L’epikleros, in quanto donna, non poteva essere erede di suo padre, ma era considerata il tramite attraverso il quale la condizione di erede veniva trasmessa ai suoi figli maschi. Per questa ragione, e allo scopo di fare in modo che i beni dell’eredità paterna restassero a figli di parenti maschi del defunto, il più vicino in grado tra tali parenti maschi del defunto (di norma, il cugino) aveva il diritto di sposare la donna, in modo da trasmettere l’eredità ai figli nati da tale unione. Se il parente in grado più vicino non esercitava il suo diritto, questo passava ai parenti più lontani. E se al momento della morte del padre l’epikleros era già sposata, ma non aveva ancora figli, il parente che aveva il diritto di sposarla poteva addirittura farla divorziare dal primo marito.
SANTO STEFANO E VENTOTENE
Ventotene e le isole delleTremiti erano fra le destinazioni di adulteri, stupratori e lenoni che subivano la condanna del confino (relegatio in insulam). MARTE E VENERE
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avevano raggiunto la maggiore età, che il diritto pubblico fissava a diciassette anni, quando i maschi entravano nell’esercito e acquistavano i diritti politici. Il pater familias romano non solo aveva, come in Grecia, il potere di decidere se accettare o abbandonare i figli nati dall’unione con sua moglie, ma, secondo le norme più antiche, poteva anche arrivare a uccidere, in casi gravi, i figli adulti, sia maschi, se avessero attentato allo Stato, sia femmine, se avessero avuto rapporti sessuali senza essere sposate. Per esempio, nel 63 a.C. il senatore Aulo Flavio uccise suo figlio sospettato di avere partecipato alla congiura di Catilina. A parte queste ipotesi estreme, il padre poteva tenere i figli quasi come schiavi, facendoli lavorare e maltrattandoli secondo il suo arbitrio – anche se Catone il Censore [234-149 a.C.] ebbe a scrivere, bontà sua, che trovava personalmente deplorevole percuotere i figli allo stesso mo-
do degli schiavi – e poteva perfino venderli al mercato o cederli in adozione ad altri padri. Poteva anche, se voleva, emanciparli, ovvero liberarli dal suo potere, ma questo significava escluderli dalla famiglia e privarli di ogni aspettativa ereditaria. Per il diritto romano più antico, finché il padre era vivo i figli non potevano avere un proprio patrimonio personale, e solo durante l’impero, dal I secolo d.C. in poi, questa limitazione venne sostanzialmente mitigata. Pertanto, la società romana repubblicana presentava un carattere paradossale: un uomo che avesse compiuto diciassette anni avrebbe potuto percorrere tutta la carriera politica arrivando a diventare, con il debito cursus honorum, perfino console, cioè supremo magistrato dello Stato, ma all’interno delle mura domestiche avrebbe dovuto continuare a ubbidire al padre e non avrebbe potuto avere alcuna proprietà. Se i figli contraevano debiti per esigenze personali, non avevano poi un patrimonio con cui ripagarli, e in base alle regole generali originarie il padre non era chiamato a risponderne. Per alleviare le sofferenze
L’esistenza del divorzio permise a Livia di sposare il futuro imperatore Augusto LIVIA DRUSILLA. I SECOLO A.C. HERMITAGE, SAN PIETROBURGO.
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Dipinto murale proveniente dalla casa di Marte e Venere, Pompei. Museo Archeologico Nazionale, Napoli.
UN’USANZA CURIOSA
LA CESSIONE DELLA MOGLIE Le fonti romane attestano il ricorso, nelle classi sociali più alte, a una pratica, che a noi oggi potrebbe apparire bizzarra: la cessione da parte di un pater familias della propria moglie a un amico a scopi procreativi o per alleanze politiche.
Conosciamo la storia di Catone l’Uticense (9546 a.C.), che aveva una moglie di nome Marzia, che gli aveva dato tre figli. Ne divorziò per cederla a uno dei suoi amici, il retore Quinto Ortensio, che era sposato a una donna sterile, dalla quale a sua volta divorziò. Marzia diede un figlio anche a Ortensio e, dopo la sua morte, tornò sposa di Catone, che, dice Appiano, «la riprese di nuovo in casa come se l’avesse prestata». Nel 38 a.C. Tiberio Nerone, padre del futuro imperatore Tiberio, divorziò dalla moglie Livia Drusilla per darla in moglie a Ottaviano, benché la donna fosse addirittura incinta. Ricordiamo anche che nell’82 a.C. Silla indusse la sua figliastra Emilia Scaura a divorziare dal primo marito, di cui era incinta, per poterla dare in moglie a Pompeo. La storia peraltro finì in tragedia, perché Emilia morì di parto in casa di Pompeo.
FAMIGLIA ROMANA
I componenti della famiglia di Lucio Vibio Sabino (I secolo a.C.) raffigurati in un rilievo sepolcrale. Museo Chiaramonti, Città del Vaticano. IL TEVERE A ROMA
SCALA, FIRENZE
Figli romani e figli greci Le ragioni della differente durata dei poteri dei padri in Grecia, ove essi cessavano alla maggiore età dei figli, rispetto a Roma, ove erano perpetui, si suole vedere nella diversa natura originaria delle due società: essenzialmente mercantile la greca, contadina la romana. Le esigenze del commercio in Grecia richiedevano che i figli godessero di maggiore autonomia, mentre le regole della campagna esigevano sottomissione. Si deve notare che quando anche Roma, dal III secolo a.C., dopo la prima guerra punica, si aprì al commercio marittimo su larga scala, le norme previdero che i padri potessero preporre i figli a capo delle loro imprese, impegnandosi, in via eccezionale, a rispondere dei debiti da loro contratti. Un’ultima differenza fondamentale tra Roma e la Grecia è che, per il diritto romano, alla morte del padre, i figli, maschi e femmine, erano tutti eredi in pari misura (e anche la moglie, se sposata secondo il matrimonio che prevedeva la manus in capo al marito, era erede alla pari dei figli), mentre nel diritto greco, come abbiamo visto, l’eredità spettava esclusivamente ai figli maschi. 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Dai tempi antichi a oggi, le famiglie sono molto cambiate. Tuttavia tracce importanti della famiglia antica, soprattutto attraverso la tradizione del diritto romano, sono giunte fino a noi. Per limitarci a considerare alcune regole del nostro diritto, si pensi che in Italia fino al 1969 l’adulterio commesso dalla moglie era considerato un reato, che fino alla riforma del 1975 la moglie era obbligata a seguire la residenza del marito, che solo dal 2013 il Codice Civile equipara i figli naturali ai figli legittimi. Di converso, alcune regole, che esistono in ordinamenti moderni derivati dal diritto romano, erano in realtà al di fuori del campo di azione dei diritti antichi: si pensi al riconoscimento che oggi hanno in alcuni Stati le famiglie di fatto o le famiglie omosessuali. Lo studio dell’antichità ci induce a riflettere sul fatto che la famiglia può declinarsi in diverse forme e modelli, le cui strutture sono influenzate dalla storia, dalla società, da fattori culturali e dallo spirito dei tempi. Per saperne di più
SAGGI
Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al principato Gennaro Franciosi. Giappichelli, Torino, 1995. La vita quotidiana a Roma J. Carcopino. Laterza, Roma-Bari, 1967. La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia Paul Fauré. Rizzoli, Milano, 1995.
PIETRO CANALI / FOTOTECA 9X12
dei figli nel campo economico, il padre poteva assegnare loro un peculio, ovvero un piccolo patrimonio, revocabile in ogni momento, di cui essi potessero disporre.
Le acque del fiume che attraversa l’Urbe erano la destinazione finale di coloro che venivano condannati a morte per parricidio.
I PARRICIDI A ROMA
LA CRUDELE PENA DEL SACCO Lo stato di severa subordinazione in cui a Roma, in base al diritto, i padri tenevano i figli, privandoli di ogni autonomia anche in età adulta, ingenerava forti tensioni tra le generazioni. Non erano infrequenti casi in cui i figli giungessero a uccidere i padri per ottenere finalmente la loro quota di eredità. Evidentemente preoccupati per la continua, latente minaccia alla loro incolumità, fin dall’età antica i Romani avevano riservato ai parricidi una pena esemplare e cruenta allo stesso tempo.
L’assassino del proprio padre, dopo essere stato accuratamente fustigato, veniva chiuso in un sacco coperto di pece insieme con un cane, un gallo, una scimmia e una vipera, che lo avrebbero ovviamente martoriato. Trainato da un bue nero attraverso la città, era poi gettato nel Tevere o direttamente nel mare, in modo che i suoi resti non fossero mai più a contatto con la terra e non la contaminassero. La pena, documentata anche con il passaggio dalla repubblica all’impero, era caduta in disuso nel IV secolo, come attesta una fonte.
COME ERA PUNITO L’ADULTERIO
Giulia Maggiore
DEA / SCALA, FIRENZE
In Grecia, l’adulterio (moicheia) delle mogli era un reato. Ad Atene, chi sorprendeva la moglie (o la figlia, o la sorella) in flagranza con l’amante (moichòs) in casa propria poteva ucciderlo: questi poteva tentare di salvarsi offrendo del denaro e stava all’offeso decidere se accettare il danaro o procedere all’uccisione. Il moichòs poteva subire pene come la depilazione dei genitali e la violenza anale. L’adultera non poteva essere uccisa, ma il marito doveva ripudiarla.
Figlia di Augusto, era di immoralità sfrenata. Dopo due vedovanze, nel 12 a.C. sposò Tiberio. Nel 2 a.C. Augusto decise di relegarla in base alla lex Iulia a Pandataria (Ventotene). Divenuto imperatore, Tiberio la privò dei suoi assegni e la donna morì sola e in disgrazia.
ART MEDIA / SCALA, FIRENZE
FOGLIA / SCALA, FIRENZE
Giulia Minore
Giulia Livilla
DEA / SCALA, FIRENZE
GLI AMANTI DI BORDEAUX. TERRACOTTA DI PISTILLUS. II-III SECOLO. MUSEO DELLE ANTICHITÀ NAZIONALI DI SAINT-GERMAIN-EN-LAYE.
Accusata di adulterio ed esiliata a Ponza dal fratello Caligola (39 d.C.), fu graziata nel 41 d.C. dallo zio Claudio, ma accusata di adulterio con Seneca il Giovane, fu esiliata a Ventotene e infine fatta uccidere da Claudio su istigazione di Messalina. Seneca fu confinato in Corsica.
Claudia Ottavia
BRIDGEMAN / ACI
A Roma l’adultera poteva essere uccisa se scoperta in flagrante o ripudiata se non c’era flagranza. In modo analogo era punito lo stuprum, ovvero qualunque «rapporto sessuale extramatrimoniale con una donna onorata e non sposata» (vergine, vedova o divorziata), indipendentemente dal fatto che la donna fosse consenziente. La disciplina cambiò con il matrimonio sine manu: i mariti cessarono di acquistare il potere sulle mogli, che continuavano a essere soggette ai padri. Nel 18 a.C. Augusto riformò la materia: il marito non poteva più uccidere la moglie, ma poteva uccidere il complice, se lo scopriva in flagranza e se apparteneva a una bassa classe sociale. Marito e padre erano obbligati a denunciare la donna e il suo amante entro 60 giorni, altrimenti erano perseguiti per lenocinio. La condanna era il confino (relegatio in insulam).
Figlia di Giulia Maggiore, non le fu da meno per immoralità. Sposata con Lucio Emilio Paolo dal 4 a.C., fu incriminata di adulterio e relegata su Trimero (Tremiti), dove morì nel 28 d.C. La vicenda coinvolse vari personaggi, tra cui Ovidio, che fu relegato a Tomi.
Figlia di Messalina e Claudio e moglie di Nerone, nel 62 d.C. fu falsamente accusata di adulterio dal marito che voleva sposare Poppea Sabina. Giudicata da un tribunale di amici del marito, fu confinata a Ventotene e poi uccisa. Nerone sposò Poppea Sabina, che poi uccise.
L’adulterio nel mito
IL RATTO DI ELENA. IL RAPIMENTO DELLA MOGLIE DI MENELAO FU DI FATTO L’EPISODIO CHE DIEDE IL VIA ALLA GUERRA DI TROIA. OLIO SU TELA DI GAVIN HAMILTON. 1782-1784. MUSEO PUSKIN, MOSCA.
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DEA / SCALA, FIRENZE
Il più famoso tradimento coniugale è quello di Elena, che nell’Iliade abbandona Menelao per Paride, scatenando la guerra di Troia. Ma con questo entriamo nel mito: Elena era stata convinta da forze superiori cui non aveva potuto resistere, quali la volontà del caso e l’incantesimo di Afrodite. Sul piano sostanziale non era considerata responsabile del suo tradimento.
GLADIATORI E GIOCHI VENATORI
Il mosaico raffigura due delle attività preferite dell’imperatore Commodo: una lotta di gladiatori e una venatio, o caccia agli animali selvatici, nell’anfiteatro. IV secolo. Galleria Borghese, Roma. BRIDGEMAN / ACI
DAMNATIO MEMORIAE
Busto dell’imperatore. Dopo la morte, Commodo fu oggetto della damnatio memoriae da parte del Senato, ma poi venne riabilitato da Settimio Severo, che voleva ricollegarsi alla dinastia antoniniana. Musei Capitolini, Roma. LUISA RICCIARINI / PRISMA ARCHIVO
COMMODO Divenuto imperatore nel 180 d.C., Commodo è descritto come crudele e dissoluto. Amato dal popolo e dall’esercito, cadde vittima di una congiura organizzata dai senatori JUAN PABLO SÁNCHEZ DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA. UNIVERSITÀ DI HYDERABAD (INDIA)
N
el 192 d.C., Roma visse una giornata drammatica. Un incendio distrusse completamente il Tempio della Pace, considerato da molti l’edificio più bello e importante di Roma, costruito da Vespasiano su un lato del Foro romano. Non si sapeva se il fuoco fosse conseguenza di un fulmine – anche se non si addensarono nuvoloni né si udirono tuoni – o di un piccolo terremoto che scosse la città. Comunque fosse, dopo aver inghiottito le enormi ricchezze custodite all’interno del tempio come offerte, il fuoco si propagò per gran parte della città. Le fiamme raggiunsero il foro repubblicano e distrussero il tempio di Vesta, anche se, secondo lo storico di lingua greca del III secolo Erodiano, fu risparmiata la statua di Pallade Atena che si trovava al suo interno e della quale si diceva fosse stata portata a Roma da Troia.
C R O N O LO G I A
L’ultimo degli Antonini 161 Il 31 agosto nasce a Lanuvio (Roma) Lucio Elio Aurelio Antonino Commodo, figlio dell’imperatore Marco Aurelio e della moglie Faustina Minore.
180 Alla morte di Marco Aurelio, Commodo è nominato imperatore e firma una frettolosa pace con i Marcomanni.
182 La sorella di Commodo, Galeria Lucilla, partecipa a una congiura per ucciderlo. Lucilla è esiliata a Capri e i suoi complici giustiziati.
183 Commodo assume il titolo di Pio. Favorisce la carriera del suo protetto Cleandro, uomo ambizioso che concentra il potere nelle proprie mani.
190 La penuria di grano provoca una rivolta popolare contro Cleandro, che fugge da Roma. Chiede aiuto all’imperatore, ma questi lo fa giustiziare.
192 Un incendio devasta gran parte di Roma. Commodo ne approfitta per rifondare la città e fa erigere sue statue in tutta l’Urbe.
192 Commodo si proclama Romolo reincarnato davanti al popolo. Il 31 dicembre viene strangolato dal liberto Narcisso nel suo palazzo. BRIDGEMAN / ACI
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NELL’ARENA DEL COLOSSEO
Erodiano, autore di una storia degli imperatori romani, riferisce che Commodo «scese nudo nell’anfiteatro e, cinte le armi, si mise a combattere come un gladiatore». ELMO DA GLADIATORE TRACIO. MUSEO ARCHEOLOGICO, NAPOLI.
I romani cominciarono a speculare sul significato di quell’evento. Molti sostenevano che la distruzione del tempio della Pace fosse presagio di una guerra, mentre altri videro nell’incendio e in altri disastri che avevano colpito la città un castigo degli dèi per gli eccessi di Commodo, l’imperatore che da oltre un decennio reggeva le sorti di Roma. All’epoca ormai pochi ricordavano il giovane di appena 19 anni che, dopo essere succeduto al padre Marco Aurelio, aveva sedotto il popolo con il suo indubbio fascino e il suo nobile portamento. Secondo Erodiano, autore della cronaca più dettagliata sul principato di Commodo, ora «il popolo romano non guardava più a Commodo con benevolenza, ma anzi attribuiva la causa delle ininterrotte disgrazie alle sue uccisioni indiscriminate e alla sua indegna maniera di vivere». Per i cronisti dell’epoca, Commodo appariva ormai come uno dei«cattivi imperatori», paragonabile a Caligola o a Domiziano per i suoi eccessi da megalomane, i suoi crimini e infine per la sua morte violenta.
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In realtà, Commodo non fu un princeps così cattivo, o almeno questo sostengono gli storici più recenti. L’amministrazione dell’Impero conservò in buona parte l’ordine e la disciplina impartiti da Marco Aurelio. Infatti, l’imperatore mantenne nei posti chiave del governo politici e leader militari che già si erano distinti con suo padre, come Elvio Pertinace e Settimio Severo, che successivamente divennero imperatori. Sappiamo anche che contrastò gli abusi degli esattori delle imposte nelle colonie, e che minoranze come quella dei cristiani godettero sotto il suo regno di una relativa sicurezza, in netto contrasto con le persecuzioni condotte dai suoi predecessori e dai suoi successori. Tuttavia, il modo in cui faceva amministrare le province e gli insuccessi in campo militare (anche se possedeva notevoli capacità strategiche) con l’abbandono dei territori conquistati dal padre e la stipula di trattati svantaggiosi con i marcomanni e i quadi, popolazioni sottomesse da Marco Aurelio, lo resero inviso e poi ostile al Senato nel corso degli anni.
MARCO AURELIO Secondo Cassio Dione, gli amici chiesero a Marco Aurelio, sul letto di morte, a chi affidasse il figlio Commodo, ed egli rispose: «A voi, se ne sarà degno, e agli dèi immortali». Moneta con l’effigie di Marco Aurelio.
Di fatto, l’élite sociale romana, rappresentata in Senato, vedeva la figura dell’imperatore sotto una luce molto diversa. Ai suoi occhi, Commodo era un imperatore che non mostrava alcun interesse per il governo. Si mostrava poco in pubblico, e quando lo faceva parlava di malavoglia di futilità che esasperavano i senatori, delegando tutte le sue responsabilità a uomini come Cleandro, un liberto di origine frigia che suscitò scandalo tra i patrizi romani trafficando apertamente con cariche pubbliche e seggi al Senato. Cleandro morì in seguito a un’insurrezione scoppiata a Roma nel 190 o nel 192, sacrificato dall’imperatore.
L’eroe dei giochi Dopo l’incendio del Tempio della Pace, il comportamento di Commodo parve oltrepassare i limiti accettabili. Secondo i cronisti del tempo, l’imperatore entrò in una spirale di megalomania. Diede il proprio nome alla Roma ricostruita dopo l’incendio, chiamandola «l’immortale e prospera Colonia Commodiana». Inoltre, AKG /
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IL TRIONFO DI COMMODO
L’imperatore, con una statua della Vittoria e una foglia di palma, lascia l’anfiteatro seguito dai gladiatori. Dipinto di E.H. Blashfield. Hermitage Foundation Museum, Norfolk.
DALLE GIRAFFE AGLI IPPOPOTAMI
GRANDE CACCIATORE
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er Commodo, la caccia alle bestie selvatiche nell’anfiteatro era un modo per emulare Ercole, l’eroe greco che nelle sue «dodici fatiche» aveva sconfitto ogni genere di animale. L’imperatore ordinò alle divisioni di cacciatori imperiali (venatores immunes) di portargli gli esemplari più grandi, rari o pericolosi che potessero trovare in ogni parte del mondo conosciuto. Cassio Dione esalta la destrezza e la mira di cui dava prova l’imperatore nelle venationes o partite d caccia: «Egli solo colle sue mani ammazzò in una volta cinque ippopotami, e in diversi giorni due elefanti, inoltre alcuni rinoceronti ed un camelopardo [una giraffa] uccise». Non sempre, però, uccideva animali. Secondo Erodiano, «a Commodo era stata riservata una terrazza che circondava l’arena in modo tale che non rischiasse,
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combattendo con le bestie, di affrontarle direttamente e poteva bersagliarle in sicurezza, stando in posizione sopraelevata». Cassio racconta che Commodo si spinse anche oltre nella sua imitazione di Ercole, e in un’occasione volle rappresentare la morte dei giganti: «Aveva riunito tutti gli uomini della città che avevano perso i piedi [...] e dopo aver legato attorno alle loro ginocchia delle fasce che imitavano il corpo dei serpenti [...] li uccise a colpi di clava».
fece in modo che le sue legioni pretoriane portassero il titolo di“commodiane erculee”, che il mese di luglio fosse rinominato “Commodo” e che il giorno in cui erano state annunciate tali misure fosse ufficialmente “il giorno di Commodo”. Ovunque vennero erette statue dell’imperatore, persino nel Senato (al quale impose il nome di “Senato Commodiano fortunato”); arrivò persino a far sostituire con una sua effigie la testa del colosso che si trovava di fianco all’anfiteatro Flavio, il Colosseo. Più oltraggioso ancora fu il clamore che Commodo suscitò prendendo parte personalmente a spettacoli di gladiatori e alla caccia alle belve che si organizzavano a Roma. In passato, imperatori come Caligola avevano praticato l’arte gladiatoria, la grande passione della Roma imperiale, ma solo occasionalmente e davanti a un pubblico ristretto. Commodo, invece, decise di scendere in prima persona nell’arena per essere acclamato per le sue gesta come gladiatore o cacciatore (venator). Grazie alla sua costituzione fisica potente e a un addestramento coscienzioso, Commodo brillò particolarmente nelle
THE SLOANE COLLECTION
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TEATRO DI OSTIA ANTICA. CON UNA CAPIENZA DI 2.500 SPETTATORI, FU RIMANEGGIATO DURANTE IL REGNO DI COMMODO.
venationes, la caccia agli animali selvatici. Erodiano narra che in un’occasione abbatté cento leoni utilizzando esattamente cento giavellotti, tanto era buona la sua mira. Secondo lo stesso autore, Commodo si guadagnò l’approvazione della folla per il suo coraggio e la sua destrezza, «ma quando scese nudo nell’anfiteatro e, cinte le armi, si mise a combattere come un gladiatore, allora il popolo assistette a uno spettacolo disgustoso: un imperatore romano [...] rivestiva armi non da soldato e disdicevoli all’onore dello Stato romano e non contro i barbari, disonorando la propria dignità con un abito turpe e disprezzato».
MUSICA PER I GIOCHI Gli spettacoli di gladiatori, ai quali tanto si appassionava Commodo, erano accompagnati dalla musica. Mosaico raffigurante i musici dei giochi gladiatori.
Alla ricerca del plauso Con questi comportamenti Commodo cercava di dare prova della sua forza davanti al popolo e, soprattutto, di affermarsi davanti all’aristocrazia romana. Lo storico Cassio Dione narra di come una volta l’imperatore si fosse avvicinato con atteggiamento minaccioso alla tribuna dei senatori con BRIDGEMAN / ACI
la testa di uno struzzo che aveva appena reciso con una roncola, mentre il povero animale decapitato ancora correva per l’arena. Molti senatori cercarono di dissimulare il loro riso nervoso masticando le foglie d’alloro delle loro corone, poi, su ordine di Commodo, come già avevano fatto in altre occasioni, esclamarono all’unisono: «Sei un dio, sei il primo, sei il più fortunato di tutti! Sei e sarai sempre vincitore! Tu, o Amazonio, vinci sempre!». Era così ossessionato dai giochi gladiatori che all’avvicinarsi del nuovo anno, il 193, quando i consoli incaricati dovevano prestare giuramento davanti all’imperatore, Commodo decise di riceverli nelle baracche della scuola dei gladiatori, invece che nel palazzo e vestito della toga imperiale come era consuetudine. Comunicò la sua decisione a Marcia, la sua favorita, ma le suppliche insistenti e le lacrime della donna per il progetto «così assurdo e indegno di un imperatore» lo irritarono molto. Anche Leto, il prefetto del pretorio, ed Ecletto, il cubicolario (addetto alla cuSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I FORI DI ROMA
In primo piano, le tre colonne del tempio di Castore e Polluce, e sulla destra il tempio di Antonino e Faustina, eretto in onore di Antonino Pio, predecessore di Marco Aurelio, e della moglie.
BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA
CRUDELE E DEPRAVATO
L UIG / ALBUM
a Vita di Commodo, parte della Historia augusta, scritta in epoca più tarda, raccoglie aneddoti scabrosi sul comportamento tirannico dell’imperatore. Si narrava, per esempio, che durante uno dei suoi banchetti aprì in due un uomo corpulento, solo per vedere come le sue viscere si spargessero sul pavimento, e che mise sulla testa di un commensale uno storno che, credendo che i capelli fossero vermi, becchettò incessantemente fino a causare la morte del malcapitato. Nella stessa opera si asseriva che Commodo avesse 300 concubine scelte per la loro bellezza, e che chiamò una di esse Faustina, come sua madre. PERTINACE. IL SUCCESSORE DI COMMODO FU UCCISO NEL 193.
Si diceva anche che l’imperatore godesse della compagnia di un altro uomo particolarmente dotato e chiamato Onos, e che avesse costretto il prefetto del pretorio a danzare nudo davanti alle concubine suonando il cembalo. Sono storie sicuramente fantasiose (le perversioni sessuali sono un tema classico di queste biografie imperiali), ma che riflettono il malanimo che il governo di Commodo suscitò nella classe senatoriale e tra gli intellettuali.
stodia della camera da letto dell’imperatore), ai quali l’imperatore aveva ordinato di fare i preparativi necessari per la cerimonia, cercarono invano di dissuaderlo. Visibilmente adirato, Commodo si ritirò nelle sue stanze e scarabocchiò su una tavoletta i nomi di «coloro che dovevano essere messi a morte quella notte»: per primi comparivano i nomi di Marcia, Leto ed Ecletto, seguiti da quelli di un grande numero di senatori. Abbandonò quindi la tavoletta sul letto e si allontanò dalla stanza. Un piccolo paggio imperiale chiamato Filocommodo, con il quale l’imperatore dormiva spesso, entrò nella stanza cercando qualcosa con cui giocare, e quando vide la tavoletta sul letto, la prese. Il destino volle che si imbattesse in Marcia che, abbracciandolo, gli prese la tavoletta con l’intenzione di restituirla a Commodo. Tuttavia, spinta dalla curiosità, Marcia lesse quanto vi era scritto; furiosa per la scoperta dei piani dell’imperatore, andò in cerca di Leto ed Ecletto, che non credettero a ciò che Marcia raccontava loro: «Guardate che festa ci godremo stasera!», esclamò Marcia, amareggiata.
Determinati ad agire per primi, i tre decisero di avvelenare un piatto di carne destinato all’imperatore. Tuttavia, come narra Cassio Dione, «lo smodato consumo di vino e i bagni, di cui era solito abusare, impedirono che soccombesse; vomitò qualcosa, ed essendogli nato il sospetto, si mise a minacciare. Allora inviarono contro di lui Narcisso, un atleta, e lo fecero strangolare mentre prendeva un bagno».
Il mistero del complotto finale Diversa è l’interpretazione che di questo racconto ha dato lo storico Jean Gagé del Collège de France. Secondo lo studioso, la lista di persone che l’imperatore aveva condannato a morte – i morituri, per usare il famoso termine latino – non conteneva i nomi di senatori rivali di Commodo, bensì quelli di autentici gladiatori che avrebbero dovuto prendere parte ai giochi per i festeggiamenti del nuovo anno. Forse qualcuno di loro aveva lo stesso nome di un senatore; per esempio, si sa che in quegli anni era famoso un gladiatore di nome Pertinace, omonimo dell’Elvio Pertinace che
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COMMODO STRANGOLATO DAL LIBERTO NARCISSO SOTTO GLI OCCHI DELLA SUA AMANTE MARCIA. DIPINTO DI FERNANDO PELEZ. XIX SECOLO.
succedette a Commodo. Secondo la tesi dello storico francese, Marcia, Leto e i senatori dovevano semplicemente essere gli officianti dei riti in onore di Ercole. Dopo tredici anni di governo, Commodo aveva dilapidato le ricchezze dell’Impero per i suoi capricci, come la polvere d’oro che si metteva sui capelli affinché brillassero. Con lui ebbe fine la dinastia degli Antonini, che avevano governato mantenendo una relativa pace, e dopo la sua morte Roma sprofondò nel caos. Come disse Cassio Dione, testimone degli eccessi di Commodo e di quel che accadde dopo: «La storia era passata da un impero d’oro a uno di ferro arrugginito». Per saperne di più
SAGGI
Storia di Roma AA. VV. Einaudi, Torino, 1999. Morte nell’arena Federica Guidi. Mondadori, Milano, 2006. TESTI
Storia dell’Impero romano dopo Marco Aurelio Erodiano. Sansoni, Firenze, 1967. Della istoria romana Dione Cassio. (Ebook disponibile su Internet).
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Alla base del complesso si trova un orbe stellare, che rappresenta l’Impero, decorato con tre segni dello Zodiaco su una fascia diagonale.
7 ORBE
6 SCUDO
Il busto poggia su un pelta, scudo leggero a forma di mezzaluna tipico delle amazzoni, con le estremità a forma di testa d’aquila.
Due cornucopie, o corni dell’abbondanza, sono intrecciate attorno allo scudo, come simbolo di prosperità.
5 CORNUCOPIE
4 AMAZZONI
Sotto il busto c’erano due amazzoni (se ne conserva soltanto una) come quelle che Ercole sconfisse nella sua nona fatica.
Nella mano sinistra (era mancino), CommodoErcole ha le tre mele del Giardino delle Esperidi che l’eroe rubò per ottenere l’immortalità.
3 MELE
Nella mano destra Commodo ha la clava ricavata dal tronco di un ulivo che Ercole strappò dalla terra per affrontare il leone di Nemea.
2 CLAVA
Nel 1874, durante la creazione della piazza Vittorio Emanuele II a Roma, fu scoperto un grande edificio appartenente agli Horti Lamiani, giardini che erano proprietà degli imperatori. In un seminterrato dell’edificio furono rinvenute varie statue, tra le quali un busto di Commodo con gli attributi di Ercole.
COMMODO, IL NUOVO ERCOLE 2
1
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Sul capo, l’imperatore indossa la pelle del leone di Nemea, annodata sul petto nudo. In questo modo Commodo si identifica con Ercole, che nella prima delle sue dodici fatiche sconfisse e uccise la fiera.
1 LEONE DI NEMEA
A. DE LUCA / CORBIS / CORDON PRESS
Il viso ritratto nel marmo è senza rughe, allungato, con un naso importante e labbra sottili e socchiuse. Gli occhi, sotto un arco frontale marcato, hanno le palpebre leggermente calate. Capelli e barba, folti e arricciati, incorniciano il volto.
IL VOLTO DELL’EROE
Il busto di Commodo era stato nascosto insieme ad altri due, che Rodolfo Lanciani, supervisore degli scavi degli Horti Lamiani, identificò con due tritoni (esseri mitologici con busto umano e coda di pesce) sui cui capelli erano rimaste tracce di pittura dorata. Si ritenne che le due sculture fossero collocate ai due lati del busto dell’imperatore, e che l’insieme dovesse rappresentare l’apoteosi di Commodo, ossia la sua trasformazione in divinità, come riconoscimento delle sue virtù belliche. L’insieme scultoreo raffigura Commodo come un monarca invincibile, come Ercole, che ha sconfitto i barbari (le amazzoni) e porta la prosperità al suo popolo (le cornucopie).
I tritoni e l’apoteosi dell’imperatore
BUSTO DI COMMODO, IN MARMO, ALTO 133 CENTIMETRI. IN BASSO, UNO DEI DUE TRITONI CHE LO AFFIANCAVANO, ALTO 97,5 CENTIMETRI. MUSEI CAPITOLINI, ROMA.
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A. DE LUCA / CORBIS / CORDON PRESS
IL GIOVANE CARLO
Il dipinto di Bernard van Orley ritrae il principe fiammingo a 16 anni. Carlo fu dichiarato maggiorenne all’età di 15 anni e nominato signore del Paesi Bassi. 1516. Museo del Louvre, Parigi. BRIDGEMAN / ACI
IL SIGILLO DELL’IMPERATORE
Alla morte del nonno paterno, Massimiliano I, Carlo divenne sacro romano imperatore. Il suo sigillo imperiale è conservato nell’Archivo General de Simancas, da lui istituito. ORONOZ / ALBUM
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I primi anni dell’Asburgo in Spagna
CARLO V
Un adolescente timido, che non sapeva parlare spagnolo, dominato dai suoi cortigiani fiamminghi: così apparve il futuro imperatore al suo arrivo in Spagna per salire al trono BERNAT HERNÁNDEZ UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
ra il 24 febbraio del 1500, e quando nella città belga di Gand nacque il figlio primogenito di Filippo il Bello d’Asburgo e Giovanna di Castiglia (Giovanna la pazza), nulla faceva presagire che nel giro di pochi anni quel bambino sarebbe diventato il sovrano della più grande potenza mondiale del XVI secolo. Per una serie di eventi – la morte del cugino ed erede al trono Michele di Trastámara qualche mese prima della sua nascita, quella di suo padre nel 1506 e l’infermità mentale di sua madre – nel 1516, alla morte del nonno Ferdinando il Cattolico, Carlo si trovò a capo della monarchia spagnola. La sua eredità territoriale era enorme, e andava dalle piccole enclave italiane alle lontane isole caraibiche, a cui si aggiunsero nel 1519 i possedimenti del nonno paterno, Massimiliano I, e il titolo di imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.
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LA FAMIGLIA DI MASSIMILIANO
ERICH LESSING / ALBUM
FEDELE ALLA MONARCHIA
Nominato reggente del regno di Castiglia, il cardinale Cisneros morì a Roa mentre andava incontro al nuovo re Carlo I. Statua ad Alcalá de Henares.
Questa immensa eredità, però, non fu semplicemente un dono della provvidenza: Carlo dovette guadagnarsela. Cresciuto e educato lontano dalla Spagna, il principe dovette affrontare la diffidenza dei futuri sudditi spagnoli e di altri membri della famiglia reale, in particolare del nonno materno, Ferdinando d’Aragona. Il vecchio Re Cattolico, infatti, avrebbe preferito come successore l’altro nipote, il fratello minore di Carlo, Ferdinando. Quarto figlio di Filippo e Giovanna, Ferdinando era nato ad Alcalá de Henares nel 1503 e aveva trascorso l’infanzia in Castiglia, sotto la tutela del nonno, che cercò di organizzargli il matrimonio con una figlia di Luigi XII di Francia, alla quale ambiva anche Carlo, e in un testamento segreto risalente al 1512
Il dipinto di Bernhard Strigel ritrae l’imperatore Massimiliano, suo figlio Filippo il Bello, sua moglie Maria di Borgogna e, in basso, due nipoti di sangue, i futuri Ferdinando I e Carlo V, e il suo nipote acquisito Luigi II d’Ungheria.
designò l’infante Ferdinando come erede dei domini spagnoli, mentre a Carlo di Gand sarebbero rimasti i possedimenti dei duchi di Borgogna e quelli austriaci. Voci relative a questi piani giunsero in Fiandra e misero in allarme l’entourage del principe Carlo. Fu per questo che, nel 1515, quando si seppe che la salute di Ferdinando il Cattolico peggiorava, da Bruxelles partì verso la Spagna un’ambasciata guidata da Adriano di Utrecht, decano di Lovanio, precettore e maestro del principe Carlo, che doveva garantire e tutelare i diritti di successione del principe. Le sue manovre ebbero successo e fecero sì che, proprio il giorno prima di morire, Ferdinando firmasse il testamento nel quale riconosceva Carlo come suo erede universale.
C R O N O LO G I A
DUCA, RE E CESARE BRIDGEMAN / ACI
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Nasce a Gand il futuro Carlo I di Spagna e V di Germania, figlio dell’infanta Giovanna di Castiglia e di Filippo il Bello, duca di Borgogna.
Filippo il Bello muore improvvisamente a Burgos. Nel 1509, la madre Giovanna viene rinchiusa a Tordesillas per presunti problemi mentali.
CASTELLO DEI CONTI DI FIANDRA A GAND
L’edificio, che nella sua forma attuale risale alla fine del XII secolo, fu la residenza dei conti di Fiandra fino a quando, nel XIV secolo, Luigi II trasferì la corte al vicino Prinsenhof, oggi distrutto, dove nel 1500 nacque il futuro Carlo V. JOSÉ ANTONIO MORENO / AGE FOTOSTOCK
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1518-1519
Il tutore di Carlo, Guglielmo di Croy, convince l’imperatore Massimiliano I, nonno del principe, a dichiararlo maggiorenne.
Muore Ferdinando il Cattolico. Nel testamento nomina Carlo governatore di Castiglia, León e Aragona in nome di sua madre.
Carlo lascia le Fiandre e sbarca in un porto delle Asturie. Sua madre firma un atto che gli permette di governare in nome suo.
Carlo è dichiarato re dalle Cortes di Castiglia e Aragona, e nel 1519 dalle Cortes catalane. Lo stesso anno diventa imperatore. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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sua madre rimaneva regina. Nonostante la politica del fatto compiuto che si praticava in Fiandra, in Castiglia l’infante Ferdinando era sempre il preferito di gran parte dell’opinione pubblica. «Il re don Carlo era aborrito da molti, e l’Infante suo fratello amato da tutti; quest’ultimo era ritenuto il principe naturale, e suo fratello re straniero», scrisse il cronista Alonso de Santacruz. Tramite il testamento del nonno materno, Ferdinando aveva ricevuto alcuni possedimenti a Otranto, in Calabria e a Bari e una rendita annuale di 50.000 ducati napoletani, ma i suoi sostenitori non si rassegnarono e organizzarono un atto di forza contro il nuovo re, appoggiati dalla vedova di Ferdinando il Cattolico, Germana de Foix. Le tensioni si protrassero per mesi, finché, nel settembre del 1517, Carlo e il cardinal Cisneros non decisero l’uscita dalla Spagna dell’infante Ferdinando, che raggiunse i suoi possedimenti in Italia. Educato in Castiglia, Ferdinando finirà per ereditare il titolo di sacro romano imperatore di Germania, dopo la rinuncia di Carlo V nel 1555.
Il re nella sua bolla ERICH LESSING / ALBUM
IL CONSIGLIERE DEL PRINCIPE
Il nobile fiammingo Guglielmo di Croy, signore di Chièvres, esercitò un forte ascendente sul principe Carlo fin dalla sua infanzia a Gand. Ritratto di De Croy. Museo Reale delle Belle Arti, Bruxelles.
Tuttavia, rimaneva l’ostacolo della madre di Carlo, Giovanna, erede legittima della corona di Castiglia. Di fatto la regina era stata esclusa dal governo per via dei disturbi psichici (non si sa quanto reali) che aveva manifestato dopo la morte del marito, Filippo il Bello, tuttavia bisognava formalmente rispettare le sue prerogative. Ecco perché Ferdinando il Cattolico stabilì che Carlo avrebbe avuto il titolo di governatore di Castiglia, non quello di re. Non erano dello stesso parere i consiglieri del principe, i quali, nel marzo del 1516, a Bruxelles, fecero proclamare Carlo re di Spagna. Con questo atto, che alcuni storici hanno definito un colpo di Stato, Carlo ottenne i poteri effettivi, anche se, dal punto di vista dinastico,
«Il re don Carlo era aborrito da molti», scrisse il cronista Alonso de Santacruz SCUDO O ROTELLA DI CARLO. REAL ARMERÍA, MADRID. ORONOZ / ALBUM
La scarsa padronanza della lingua parlata nel suo regno fu una delle maggiori difficoltà che Carlo dovette affrontare al suo arrivo in Spagna, avvenuto nel 1517. La sua lingua madre era il francese, «e parlò male lo spagnolo fino in età adulta». Sotto molti aspetti, non poteva esistere persona più lontana dall’infante Ferdinando per formazione e carattere. Carlo era un giovane timido, con i lineamenti del viso molto pronunciati (in particolare aveva un accentuato prognatismo, caratteristico degli Asburgo d’Austria); un abbigliamento rispettoso dell’etichetta borgognona e un’istruzione umanistica assai lontana dai canoni castigliani contribuivano a renderlo straniero ai suoi sudditi. Era inoltre completamente sottomesso all’influenza dei suoi consiglieri fiamminghi. Come scriveva lo storico statunitense John Merriman, non soltanto era dominato dalla personalità di Adriano di Utrecht, che sarebbe stato eletto papa nel 1522, ma era soprattutto influenzato da Guglielmo di Croy, signore di Chièvres, che addirittura dormiva nella stessa camera del suo pupillo. Il monarca adolescente si presentò in Spagna con un nutrito seguito di consiglieri fiamminghi che contavano di ricevere le cariche
CATTEDRALE, BURGOS
Il rappresentante di Burgos alle Cortes di Valladolid del 1518, Juan Zumel, denunciò gli abusi commessi dai consiglieri fiamminghi del nuovo monarca, Carlo I. Le Cortes chiesero al sovrano di disfarsi dei consiglieri stranieri. SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12
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CARLO V E IL TOSON D’ORO
Nel XV secolo, i duchi di Borgogna crearono nelle Fiandre un ordine cavalleresco riservato a poche famiglie dell’alta nobiltà: l’ordine del Toson d’oro. Nel XVI secolo, il gran magistero dell’ordine passò a Carlo V, che aveva ereditato i possedimenti dei duchi di Borgogna dal padre. Al suo arrivo in Spagna, Carlo convocò un capitolo dell’ordine a Barcellona e nominò nuovi membri: otto nobili castigliani, uno aragonese e uno napoletano. Il capitolo si riunì nel coro della cattedrale di Barcellona (foto grande), i cui seggi vennero decorati con stemmi nobiliari.
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LA POTENCE, COLLARE IN ORO E SMALTO DELL’ORDINE DEL TOSON D’ORO. 1517. VIENNA.
ESECUZIONE DEI COMUNEROS PADILLA, BRAVO E MALDONADO. ANTONIO GISBERT. 1860. SENATO, MADRID.
presidente del vallone Jean de Sauvage suscitò le dure proteste dei procuratori castigliani. Questi ultimi rifiutarono la presenza degli stranieri nelle deliberazioni e chiesero al re di rispettare la legislazione vigente e di imparare la lingua. La morte di Massimiliano d’Austria nel gennaio del 1519 complicò ulteriormente la situazione, poiché Carlo decise di abbreviare la sua permanenza in Spagna per prendere possesso dei suoi domini in Germania e del suo titolo di imperatore. Quando, nel maggio del 1520, il sovrano partì da La Coruña diretto in Fiandra, i sudditi spagnoli non sapevano quando avrebbero rivisto quel giovane che, grazie a consiglieri come l’umanista piemontese Mercurino Arborio di Gattinara, iniziava a sognare un Impero universale all’interno del quale la Spagna sarebbe stata soltanto una provincia.
La riconciliazione finale
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L’AGOGNATO TITOLO IMPERIALE Il 28 giugno del 1519, i sette principi elettori dell’Impero germanico nominarono Carlo V successore del nonno, l’imperatore Massimiliano. Scudo imperiale di Carlo V.
dei regni di Castiglia e Aragona. Il cardinal Francisco Jiménez de Cisneros, che a seguito della morte di re Ferdinando per quasi due anni era stato reggente, morì quando Carlo era già sbarcato in Spagna, ma prima di incontrarlo personalmente, e gli fu quindi risparmiata la lettura della missiva inviata da Chièvres nella quale il neo sovrano lo ringraziava seccamente per i servigi prestati e lo esautorava da ogni incarico. Liberi di agire, i cortigiani fiamminghi si appropriarono di beni e cariche di ogni tipo. La loro avidità fu all’origine di versi satirici come: «Ringraziate Dio, doppio ducato, / che il signore di Chièvres non vi abbia incontrato» (il doppio ducato era una moneta d’oro). I sacerdoti, dal canto loro, tuonavano dai pulpiti contro il giovane nipote del consigliere Chièvres, ben presto elevato alla dignità di cardinale, vescovo di Coria e poi ad arcivescovo di Toledo, la sede vescovile più importante della Cristianità dopo Roma. Gli errori dei consiglieri di Carlo si susseguivano. Nella prima seduta delle Cortes di Castiglia del 1518, la nomina a
Le rivolte che scoppiarono subito dopo la partenza del re – la ribellione a Valencia e Maiorca (1519-1522) e quella (1520-1521) dei comuneros, gli abitanti dei comuni castigliani, che protestavano contro il fiscalismo regio – resero evidente la distanza che esisteva tra il nuovo monarca e i regni di Castiglia e Aragona. Sebbene queste insurrezioni avessero motivi sociali ed economici molto concreti, la cattiva impressione suscitata dal re contribuì senza dubbio ad alimentarle. Tuttavia, fu proprio l’esperienza di essere causa e oggetto di rivolte a far maturare politicamente il giovane re. Colui che era ormai l’imperatore Carlo V riuscì a pacificare i regni spagnoli mediante un’abile combinazione di durezza e clemenza, rinnovò e cambiò il personale di corte e negli anni successivi si impegnò a visitare regolarmente tutti i suoi domini. Inoltre, cancellato l’iniziale senso di estraneità, finì per provare un’inclinazione particolare per il regno di Castiglia; tanto che, quando nel 1555 decise di rinunciare a tutti i suoi titoli, scelse come luogo ultimo di ritiro il monastero di Yuste, nella remota valle del Jerte, in Estremadura.
Per saperne di più
SAGGI
Carlo V e il suo tempo M. Rady. Il Mulino, Bologna, 1997. Carlo V Alfred Kohler. Salerno, Roma, 2005.
TOLEDO CONTRO IL MONARCA
Nel 1520, mentre l’imperatore Carlo V si dirigeva a La Coruña dove si dovevano tenere le Cortes, a Toledo scoppiarono i primi tafferugli di quella che divenne famosa come la rivolta dei comuneros, gli abitanti dei comuni castigliani. MATTEO COLOMBO / AWL IMAGES
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IL MARCHIO DEGLI ASBURGO ritratti di un Carlo V bambino e adolescente mettono già in evidenza il tratto fisico che l’avrebbe caratterizzato per tutta la vita: un mento prominente che lo portava a tenere sempre la bocca semiaperta. Due terzi dei membri della Casa d’Asburgo presentarono, per più di sette secoli, il cosiddetto prognatism asburgico.. Nel caso di Carlo, questo problema era accompagnato dall’infiammazione del labbro inferiore, che era stata diagnosticata come cheilite. Oltre allo sgradevole effetto estetico, che Carlo avrebbe cercato di mitigare lasciandosi crescere la barba – come dimostrano i ritratti ufficiali eseguiti a partire dal 1530 circa –, il prognatismo gli impediva di masticare correttamente, e questo causava altri problemi di salute. La malformazione comportò anche difficoltà di pronuncia che complicarono ulteriormente il rapporto con i sudditi.
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Una certa aria di famiglia
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Carlo ereditò il prognatismo sia dai suoi antenati castigliani sia da quelli asburgici. Tra i primi figura Enrico IV, fratellastro di Isabella la Cattolica, del quale si diceva che aveva «mandibole allungate e tese verso il basso». Per quanto riguarda il ramo asburgico, il difetto si può notare facilmente nei ritratti di suo nonno Massimiliano (1). Tutti i discendenti del ramo spagnolo degli Asburgo erano affetti da questa malformazione, nota come “mento asburgico”, fino all’ultimo di essi, Carlo II (2), di salute cagionevole e dall’aspetto fisico decisamente infelice.
RITRATTI: A. Maestro di Georgsgilde, Galleria dei ritratti, Castello di Ambras, Innsbruck. B. Joos Van Cleve (attrib.), Musée Granet, Aix-en-Provence. C. Bernard van Orley, Museo di Belle Arti, Budapest. D.Christoph Amberger (copia), Pinacoteca Nazionale, Siena. E. Tiziano (copia). F. Pttore anonimo, Rijksmuseum, Amsterdam. 1. Bernhard Strigel, Museo della Storia dell’Arte, Vienna. 2.Luca Giordano.
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I RIFORMATORI DAL XIII AL XVI SEC.
Da sinistra a destra intorno al tavolo: Wyclif, Beza, Calvino, Lutero, Melantone e Hus. Olio su tavola di anonimo pittore tedesco, 1625-50. Deutsche Historische Museum, Berlino. DHM / BRIDGEMAN / ACI
I riformatori prima di Lutero
WYCLIF E HUS Fra Trecento e Quattrocento, un secolo prima dell’avvento della Riforma luterana, in Inghilterra e in Boemia Jan Hus e John Wyclif elaborarono dottrine riformatrici della Chiesa, pagando per questo un prezzo molto alto VINCENZO LAVENIA PROFESSORE DI STORIA MODERNA, UNIVERSITÀ DI MACERATA
JOHN WYCLIF, PERSEGUITATO A OLTRANZA
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ATO NEL 1330 circa in una famiglia
aristocratica dello Yorkshire, compì studi di filosofia e teologia a Oxford. Le sue posizioni critiche sui dogmi, specie in merito alla transustanziazione, e nei confronti della rivolta dei contadini (1381) gli costarono la protezione di Giovanni di Gant, figlio di Enrico III, e diedero modo a William Courtenay, arcivescovo di Canterbury, di farlo condannare durante un concilio convocato nel 1382. Ritiratosi a Lutterworth, Wyclif vi morirà due anni dopo. Più ancora che durante l’esistenza fu perseguitato dopo la morte: da Alessandro V che nel 1409 dichiarò eretiche le sue dottrine, da Giovanni XXIII che nel 1413 fece mettere al rogo i suoi scritti e dai membri del Concilio di Costanza che, condannando al rogo Jan Hus, riconobbero in Wyclif il suo ispiratore e stabilirono che i suoi resti fossero bruciati e dispersi.
SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
RITRATTO DI JOHN WYCLIF
Con ampio anticipo su Lutero, il riformatore inglese condannò il potere temporale e l’autorità del papa di Roma e propugnò il ritorno alla povertà dell’epoca degli apostoli.
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el tardo Medioevo la religione latina, basata su un articolato corpo di dottrine e una complessa gerarchia ecclesiastica con al vertice il papa, chiese sempre più ai fedeli l’adesione a un credo che non ammetteva deviazioni. Ma la condizione della Chiesa e la stratificazione dei dogmi diedero vita a numerose contestazioni che passarono dal piano teologico a quello politico-sociale. Ben prima che la predicazione di Martin Lutero, dopo il 1517, mettesse fine all’unità religiosa dell’Europa occidentale, chi scelse di rompere con la
XIII-XIV sec.
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Battuto il catarismo e il valdismo, la Chiesa deve affrontare chi la critica per la sua ricchezza, per la vendita delle indulgenze e per aver trasferito la propria sede da Roma ad Avignone. BR
TESTIMONIUM PER PELLEGRINI IN USO IN INGHILTERRA. MUSEUM OF LONDON..
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GUERRA CONTRO LE ERESIE
1374-1382
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Chiesa rivendicò il ritorno alla purezza delle origini (la reformatio), la fine degli abusi del clero e il ripristino della presunta fede“autentica” delle prime comunità cristiane. Nel XIII secolo le eresie più temute e diffuse erano state il catarismo e il valdismo. Nel Trecento fu la ricchezza della Chiesa la maggiore fonte di divisioni, tanto che vennero fatti passare per eretici i Frati Minori che ritenevano di seguire alla lettera le regole di povertà prescritte da Francesco d’Assisi criticando i papi che, lasciando Roma, avevano trasferito la sede della Curia ad Avignone, sotto la protezione o
Il riformatore inglese John Wyclif si mette in luce per le sue posizioni antidogmatiche e durante un concilio convocato a Canterbury è accusato di professare teorie eretiche.
SANDRA RACCANELLO / FOTOTECA 9X12
universale. Per acquistare tali sconti di pena i fedeli si riconciliavano con i nemici, davano soddisfazione per i peccati, restituivano i guadagni illeciti e le usure, visitavano in pellegrinaggio i santuari e le città sante (si pensi a Roma, in occasione dei giubilei), elargivano elemosine e finanziavano le crociate, l’edificazione di luoghi di culto e gli istituti di carità. Coloro che si posero contro la Chiesa ufficiale contestarono tuttavia che la facoltà di usare le Chiavi spirituali si spingesse oltre la vita terrena, specie in cambio di denaro, e attaccarono la corruzione del papato (identificato con l’Anticristo dai predicatori più accesi che
JAN HUS. INCISIONE DEL XIV SECOLO. .MARY EVANS PICTURE LIBRARY, LONDRA.
IRENZE .
Il Concilio di Costanza mette fine allo Scisma d’Occidente deponendo i papi in carica a Roma e ad Avignone ed eleggendo il nobile romano Oddone Colonna (Martino V).
ALA , F
Il 6 luglio Jan Hus, giudicato dai padri partecipanti al Concilio di Costanza, viene condannato e muore sul rogo, ma le sue teorie saranno alla base del movimento hussita, cui aderirà gran parte del popolo boemo.
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Il rifiuto all’abiura costa la condanna a morte al lollardo John Badby, il primo laico a essere giustiziato per eresia in Inghilterra. Una rivolta organizzata da un nobile lollardo inasprisce la repressione.
1418
VAN S
1415
Fu a Oxford che trascorsero gli anni accademici di Wyclif: egli studiò al Merton College e fu preside del Balliol College e del Queen’s College.
RY E
XV secolo
BODLEYAN LIBRARY,OXFORD
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“cattività” francese (1305-1377). In quell’arco di tempo, inoltre, i contestatori cominciarono a prendere di mira la dottrina che aveva stabilito l’esistenza di un luogo intermedio tra l’inferno e il paradiso, il purgatorio. Tale dottrina permetteva alla Chiesa di rivendicare non solo la potestà di rimettere le colpe, ma anche quella di accorciare le pene inflitte da Dio per i peccati. La teologia, infatti, parlava di un «tesoro dei meriti dei santi» che poteva essere impiegato dal clero per abbreviare le sofferenze (proprie o dei propri cari) qualora un’anima, come i penitenti temevano con facilità, fosse destinata a finire in purgatorio fino al giudizio
I “SEMINATORI DI ZIZZANIA”
Un gruppo di lollardi raffigurato in un’incisione a colori ispirata a un dipinto di Jacob Schikaneder (XVIII secolo).
I LOLLARDI, SEGUACI DI WYCLIF
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RA I MOVIMENTI che presero ispirazione dalle teorie di John
Wyclif sono annoverati i lollardi, un gruppo religioso nato ad Anversa nel XIV secolo durante un’epidemia di peste. In origine chiamati alessiani, perché la loro confraternita, dedita alla cura degli appestati e al seppellimento dei cadaveri, si ispirava a sant’Alessio, furono poi soprannominati lollards, ovvero “seminatori di zizzania”. Essi fondavano il loro pensiero e il loro agire sulle Sacre Scritture, cui tutti poterono accostarsi proprio grazie alla traduzione della Bibbia in lingua inglese, lavoro cui partecipò anche Wyclif. Ciò permise anche a coloro che non avevano una preparazione culturale di accostarsi alle Scritture. La loro posizione era particolarmente critica nei confronti della Chiesa di Roma: in un documento in dodici punti che essi presentarono al Parlamento, essa era accusata di corruzione, e il suo diritto a rappresentare la Chiesa apostolica e di investire i sacerdoti dell’autorità divina era messo in discussione. La mancanza di una dottrina unificata determinò lo sviluppo di posizioni differenti ed estreme: ci fu per esempio chi tra loro riconobbe l’Anticristo nella figura del papa. Accusati di eresia, i lollardi furono perseguitati e molti di loro finirono sul rogo.
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PRISMA / ALBUM
GÜNTER GRÄFENHAIN / FOTOTECA 9X12
CITTÀ VECCHIA, ANVERSA. LA COSTRUZIONE DELLA CATTEDRALE DI NOSTRA SIGNORA, LA PRINCIPALE CHIESA DELLA CITTÀ, PRESE AVVIO NEL 1352.
annunciavano l’apocalisse) prendendo a bersaglio l’abuso delle scomuniche e la separazione tra il clero e i laici ben evidente nell’accesso alla Scrittura (preclusa a chi non sapeva il latino) e ai sacramenti (solo il clero, che durante la messa operava la trasformazione in corpo e sangue di Cristo del pane e del vino, poteva nutrire l’anima con entrambe le specie sacramentali). Nelle città il protagonismo dei laici scosse però il monopolio clericale sulla fede e non mancarono movimenti di donne – le beghine – che nelle Fiandre e in altre parti del Centro-nord Europa scelsero di vivere in comune sostentandosi con lavori di tessitura e mantenendosi in castità, senza entrare nei chiostri vincolate dalla clausura. Alcune comunità femminili, come quelle delle bizzocche, furono sorvegliate e disciplinate; altre furono condannate insieme con i Fratelli del Libero Spirito, che aspiravano a un diretto rapporto con Dio senza mediazioni ecclesiastiche, nella certezza che il legame mistico cancellasse, al di là dei sacramenti, i peccati. Un grande seguito e maggiore impatto l’ebbero comunque
L’eresia di Wyclif Formatosi a Oxford, JohnWyclif divenne un teologo stimato e abbandonò la via del nominalismo affermatasi con Guglielmo di Ockham. La sua fama si accrebbe dopo la stesura di tre testi, il De statu innocentiae, il De civili dominio e il De ecclesia, in cui sostenne che il clero, per poter esercitare i diritti di possesso su un beneficio ecclesiastico e amministrare i sacramenti, doveva trovarsi in stato di grazia, ovvero non essere in condizione di peccato. Questa tesi – che prendeva di mira la corruzione, la ricchezza e la potestà del clero – e la sua abilità di predicatore – che condannava le indulgenze, il culto dei santi, la venerazione delle immagini, i pellegrinaggi e la potestà dei papi – gli attirarono l’attenzione del vescovo di Londra, William Courtenay,
RITRATTO DI ENRICO IV D’INGHILTERRA Nel 1401 il re approvò il De heretico comburendo, atto che proibì la traduzione della Bibbia eseguita da Wyclif, a causa dei suoi commentari, e condannava al rogo gli eretici. XVII sec. Collezione privata.
che nel 1377 convocò Wyclif per processarlo. L’incriminazione non ebbe seguito fino a quando papa Gregorio XI, che da poco aveva lasciato Avignone per tornare a Roma, non condannò alcune proposizioni tratte dalle opere chiedendone l’arresto alle autorità inglesi. Fu lo Scisma a salvarlo: la creazione di due curie pontificie a Roma e Avignone, con un papa e un antipapa che spaccarono a lungo la Chiesa latina (1378), distrasse l’attenzione da Wyclif, che radicalizzò le sue posizioni e contestò la separazione tradizionale tra clero e laici e la Chiesa visibile che contrappose a quella invisibile. Inoltre ai suoi occhi nell’eucaristia non avveniva la trasformazione sostanziale del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo (transustanziazione), ma la presenza del Salvatore era da intendersi in senso simbolico. Una commissione di prelati di Oxford condannò questa tesi nel 1380. L’anno dopo scoppiò una rivolta di contadini nel Kent che si disse ispirata dal riformatore. Wyclif, nel frattempo, si ritirò in una parrocchia del Leicestershire, BRIDGEMN / ACI
due movimenti di carattere nazionale originati da due grandi figure di maestri: John Wyclif in Inghilterra (1330?-1384) e Jan Hus in Boemia (1371?-1415).
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L’APPELLO A CRISTO DI JAN HUS
JAN HUS AL ROGO. ILLUSTRAZIONE ISPIRATA A UNA TAVOLA DELLA CRONACA DEL CONCILIO DI COSTANZA, XV SECOLO. ROSENGARTENMUSEUM, COSTANZA.
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ATO INTORNO AL 1371 a Husinec
(Boemia meridionale) in una modesta famiglia, Hus compì studi di filosofia all’Università di Praga, dove poi cominciò a insegnare. Nel 1400 fu ordinato sacerdote e cominciò a tenere seguitissime prediche nella Cappella di Betlemme e a dedicarsi ai bisognosi. Le sue posizioni contro la Chiesa gli costarono nel 1412 la scomunica, contro la quale scriverà un appello in cui si rivolse «a Gesù Cristo, giudice equo il quale conosce, protegge, giudica, rivela e corona immancabilmente la giusta causa di ognuno» e definì ingiusta la condanna ricevuta. Temendo per la sua sicurezza, rifiutò di recarsi a Roma per difendersi, ma nel 1414, giunto a Costanza per incontrarsi con alcuni cardinali, fu arrestato. Trascorse prigioniero il resto dei suoi giorni: venne arso sul rogo il 6 luglio 1415.
BPK / SCALA, FIRENZE
L’eresia di Hus La dottrina di Wyclif sopravvisse grazie alla circolazione di manoscritti che, più tardi, approdarono nella Praga dell’imperatore e re di Boemia Venceslao IV. Sposato con una principessa inglese, questi promosse la convocazione di un 74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LETTERA IN FAVORE DI JAN HUS La nobiltà boema si appellò contro la condanna del riformatore presa dal Concilio di Costanza. Inchiostro su pergamena. 14151416. Rosgarten Museum, Costanza.
concilio che sanasse lo Scisma della Chiesa, come auspicato da molti teologi e canonisti; ma dovette fare fronte al successo di predicatori come Jan Milic, il fondatore della Nuova Gerusalemme: una comunità di fedeli intrisi di spiritualità millenaristica dediti alla povertà e alla comunione. Le posizioni di Milic e quelle del discepolo Matej da Janov ispirarono Jan Hus, che rielaborò in forma originale le tesi di Wyclif prendendo le distanze dalla dottrina eucaristica. Formatosi in una Praga in cui era forte la divisione tra elementi tedeschi ed elementi boemi, ordinato sacerdote nel 1402, cominciò a predicare in volgare nella Cappella di Betlemme, un luogo di culto nato dalla Nuova Gerusalemme. Inoltre si dedicò alla stesura di un’opera, il De Ecclesia, in cui avrebbe esposto la propria dottrina. Lo Scisma d’Occidente, in quegli anni, era lungi dall’essere sanato. Due curie e due papi (il romano Gregorio XII e l’avignonese Benedetto XIII) continuavano a contendersi la legittimità, cercando l’appoggio dei giuriBRIDGEMAN / ACI
dedicandosi allo studio e al proselitismo. In quel cantiere fu elaborata la prima traduzione della Bibbia in inglese allo scopo di rompere il monopolio del clero sulla Scrittura, preclusa a chi non sapeva il latino. Nel 1382, come arcivescovo di Canterbury, Courtenay tornò alla carica e bollò 24 tesi del teologo, chiedendo al Parlamento di vietare la predicazione dei seguaci, i cosiddetti lollardi. I teologi che seguivano Wyclif furono banditi dalla docenza. Dopo la sua morte, la persecuzione continuò e nel 1401 Enrico IV decretò per i lollardi la condanna al rogo. Anche Wyclif subì l’oltraggio riservato agli eretici: i suoi resti, riesumati dopo la morte, vennero bruciati e le ceneri disperse (1428).
MAURIZIO RELLINI / FOTOTECA 9X12
sti, dei teologi, dei sovrani e dei poteri politici europei. I lamenti degli spiriti più sensibili non sembrarono avere effetto. Nacque tuttavia un movimento che chiedeva a gran voce la convocazione di un concilio, la limitazione del potere dei pontefici e una vera riforma della Chiesa capace di rispondere alla divisione e alle contestazioni degli eretici. Il fratello di Venceslao, Sigismondo, destinato a diventare imperatore, prese l’iniziativa e convocò molti prelati a Pisa (1409), ma quel concilio non riuscì a sanare i contrasti, e anzi li esacerbò con la nomina di un terzo papa, Alessandro V. Fu l’assise convocata a Costanza nel 14141418 a risolvere la prolungata crisi: i tre papi furono deposti, furono varati alcuni decreti di riforma e fu scelto come legittimo pontefice l’italiano Oddone Colonna (Martino V, 1417-1431), che giurò di governare la Chiesa in accordo con i vescovi, convocando periodici concili. Parve la vittoria delle dottrine del conciliarismo, sorte nel XIV secolo per limitare la potestà papale e affermare un governo collegiale della Chiesa latina. Ma le circostanze volsero in senso op-
posto e nel Quattrocento i papi, dalla sede di Roma, seppero sconfiggere il conciliarismo (che ebbe l’ultimo apparente successo durante il concilio di Basilea, apertosi nel 1431) affermando il carattere monarchico della Chiesa e il primato dei pontefici. La vicenda di Hus va inquadrata in questo contesto. Dopo che l’Università di Praga condannò le tesi di Wyclif, anche in Boemia l’intolleranza verso chiunque contestasse il clero e la dottrina tradizionale sembrò prendere il sopravvento. Ma Venceslao IV aveva interesse a promuovere lo spirito nazionale boemo, e nonostante il divieto di predicare in volgare, Hus poté continuare a fare proseliti, osteggiato
PONTE CARLO, PRAGA
Su questa struttura, a breve distanza dal palazzo arcivescovile, Jan Hus affisse il 12 ottobre 1412 il suo “Appello a Cristo” contro la scomunica che lo aveva colpito.
Dopo la morte del suo ispiratore, il programma di riforma hussita ebbe grande diffusione in Boemia
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LA RIBELLIONE DEI TABORITI
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del movimento hussita prende il suo nome dal monte Tabor, nei pressi del quale nel 1412 Jan Hus, in fuga da Praga, aveva trovato rifugio. Leader del movimento fu il generale Jan Zizka (1360-1424), che si fece conoscere nel 1419 in occasione della prima defenestrazione di Praga: gli hussiti defenestrarono i rappresentanti di Sigismondo giunti a Praga per sollecitare i boemi a riconoscerlo come successore del fratello Venceslao, che versava in punto di morte. L’anno successivo Zizka fu l’artefice della vittoria dei praghesi sulle truppe inviate da Sigismondo, che avevano assediato la città. Coinvolto nei successivi eventi che sfociarono nella guerra civile boema, si trovò a combattere quegli stessi praghesi che aveva liberato. Morì nel 1424, colpito dalla peste, mentre i taboriti, combattuti sia dalla Chiesa cattolica sia dalla nobiltà feudale, furono decimati. I pochi superstiti avrebbero fondato con altri hussiti l’Unione dei Fratelli Boemi, divenuta dopo la Riforma protestante Chiesa evangelica, ancora oggi esistente. ALA PIÙ RADICALE
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BPK / SCALA, FIRENZE
RADIN BEZNOSKA / AGE FOTOSTOCK
TABOR, BOEMIA. LA CITTÀ FU FONDATA NEL 1420 DA UN GRUPPO DI HUSSITI IN FUGA DA PRAGA, DOVE ERANO PERSEGUITATI PER LE LORO IDEE.
dall’arcivescovo, ma protetto dal sovrano, che lo impose come rettore dello Studio (1409). Si aprì a quel punto un processo inquisitoriale, rimasto inefficace perché la divisione della Chiesa e il favore di Venceslao permisero a Hus di non presentarsi a Roma. Tuttavia nel 1412 l’attacco al commercio delle indulgenze, che a quel tempo erano vendute ai fedeli per finanziare la “crociata” contro il re di Napoli, reo di difendere il papa del partito contrario, gli alienò le simpatie del sovrano, e Hus fu scomunicato. La sua risposta fu l’Appello a Gesù Cristo, in cui invocò la protezione celeste contro una Chiesa deviata. E poiché il clima a Praga si era fatto pesante, il riformatore scelse di predicare nelle campagne mantenendo un fitto scambio epistolare con la Cappella di Betlemme. Con l’apertura del Concilio di Costanza, nel 1414, fu posto all’ordine del giorno il problema di Hus, che fu dotato da Sigismondo di un salvacondotto che avrebbe dovuto garantirgli l’immunità per presentarsi davanti all’assise e difendere le proprie tesi. Hus invece fu arrestato, fu processato e, avendo rifiutato di riconoscere
l’autorità dei padri conciliari, che avevano censurato trenta articoli tratti in larga parte dal De ecclesia, fu condannato al rogo come eretico il 6 luglio 1415. Con Hus avrebbe finito i suoi giorni Girolamo da Praga, recatosi a Costanza per chiedere a Sigismondo la liberazione del maestro e bruciato il 30 maggio 1416. La sentenza contro Hus elencava tra le colpe quella di avere contestato le scomuniche e le indulgenze, di aver disprezzato il giudizio della Chiesa e il valore morale delle leggi umane, di avere riconosciuto come sola fonte di verità il Vangelo e di avere demolito il primato dei pontefici. Nonostante la condanna, gran parte del popolo ceco aderì al programma di riforma nazionale hussita, che consisteva nella lettura diretta della Bibbia, nel ritorno alla Chiesa delle origini, nell’abbandono del latino nella liturgia e nella valorizzazione dei laici, che durante la messa potevano ricevere la comunione sotto le due specie del pane e del vino. Per questo la dottrina di Hus è detta anche“utraquismo” (dal latino sub utraque specie,“sotto entrambe le specie”) ed è rimasta alla base della Chiesa
boema anche dopo il rogo di Costanza. Dopo la morte del maestro, del resto, gli hussiti persero fiducia in Sigismondo e con l’approssimarsi della morte di Venceslao ne defenestrarono i rappresentanti giunti a Praga per chiedere il riconoscimento del nuovo imperatore (30 luglio 1419). Il sovrano dichiarò guerra alla Boemia e l’ala estrema del movimento hussita (i taboriti) prese le armi. Per alcuni anni i taboriti radicalizzarono il loro rifiuto della fede tradizionale fede, ma dopo che il Concilio di Basilea accordò ai boemi la possibilità di ricevere i sacramenti sotto le due specie (1431), rimasero isolati e furono sconfitti. Con la Riforma protestante e con la creazione della Chiesa anglicana, Wyclif e Hus sarebbero stati considerati martiri della fede autentica e precursori dei movimenti che portarono alla fine dell’unità della Chiesa latina. Per saperne di più
VENCESLAO, RE DI BOEMIA
L’imperatore Carlo IV (al centro, con la corona) e il figlio Venceslao IV (dietro di lui), che si pose in aperto contrasto con la Chiesa. Miniatura. Oesterreichische Nationalbibliothek, Vienna.
SAGGI
Storia medievale Franco Cardini, Marina Montesano. Le Monnier, Firenze, 2006.
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IL CONCILIO TRA SCISMA ED ERESIE Il concilio di Costanza, che decretò la condanna al rogo per Jan Hus, ebbe come prima finalità il superamento dello Scisma d’Occidente, che per quasi un quarantennio, dal 1378 al 1417, divise la Chiesa determinando una crisi politica di portata internazionale
SCALA, FIRENZE
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LO SCISMA
Ritratto di Albrecht Dürer. Germanisches Nationalmuseum, Norimberga. 4 Jan Hus al Concilio di Costanza. Illustrazione della fine del XIX secolo. 5 Martino V al Concilio di Costanza. Illustrazione di Ulrich von Richental, XV secolo.
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1 Il palazzo dei papi di Avignone. Miniatura del XV secolo. 2 Ritorno di Gregorio XI da Avignone. Affresco di Giorgio Vasari. XV secolo. Sala Regia, Vaticano. 3 L’imperatore Sigismondo.
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Il Concilio (1414-18) fu convocato su richiesta dI Sigismondo per porre fine allo Scisma d’Occidente, creatosi nel 1378 in seguito alla morte del papa francese Gregorio XI, che l’anno precedente aveva riportato da Avignone a Roma la Curia. Il timore che fosse scelto un altro pontefice d’Oltralpe spinse a eleggere un papa italiano, Urbano VI Prignano, ma i cardinali francesi acclamarono Roberto di Ginevra (l’antipapa Clemente VII), che si stabilì ad Avignone.
In quel contesto ripresero vigore le teorie conciliariste. Formulate nel XIV secolo da illustri teologi che accusavano i papi avignonesi di eresia e che si interrogarono su quale istituzione fosse legittimata a giudicare e a deporre un pontefice che deviasse in materia di fede, esse sancivano la superiorità del Concilio ecumenico sui papi e auspicavano che la Chiesa fosse retta da un governo collegiale a cui spettasse l’autorità spirituale sul corpo mistico dei fedeli.
LE DECISIONI DEL CONCILIO
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IL CONCILIARISMO
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L’ideale conciliarista tornò di attualità con lo Scisma, quando illustri teologi lo impugnarono per chiedere la convocazione di un concilio che vi mettesse fine. Appoggiato da Sigismondo, il Concilio si aprì il 16 novembre 1414 nella cattedrale di Costanza. Insieme con il rogo di Hus e la condanna di altri dissidenti, stabilì che nessuno dei papi in carica poteva aspirare al titolo di papa e scelse Oddone Colonna (Martino V, 1417-1431).
Il padre della scienza moderna
NEWTON Scopritore della legge di gravitazione universale, teologo (e alchimista), dedicò tutta la sua vita a cercare una sintesi tra il Libro della Natura e il Libro delle Scritture JAVIER ORDÓÑEZ STORICO DELLA SCIENZA. UNIVERSITÀ AUTONOMA DI MADRID
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ir Isaac Newton morì il 20 marzo 1727 del calendario giuliano – 31 marzo secondo il calendario gregoriano, allora in vigore in Inghilterra – e qualche giorno dopo venne sepolto nell’abbazia di Westminster. Ai suoi funerali presero parte praticamente tutti gli intellettuali della Gran Bretagna e buona parte dell’aristocrazia, rendendo omaggio a un uomo di scienza, a un matematico, a un filosofo naturale e al primo scienziato della storia inglese a essere nominato cavaliere dalla regina. Alla sua morte era presidente della Royal Society e membro della Commissione per la longitudine, e la sua influenza permeava tutta la cultura britannica. Voltaire, che era tra i partecipanti al funerale, si adoperò molto per diffondere in Francia le straordinarie scoperte dello scienziato britannico.
NEWTON E LA MELA
Si deve a Voltaire la storia della mela che, cadendo, avrebbe ispirato a Isaac Newton la formulazione della legge della gravitazione universale. Dipinto di Robert Hannah. XIX secolo. BRIDGEMAN / ACI
L’ALMA MATER DI NEWTON
Il giovane Isaac Newton si formò presso il Trinity College dell’Università di Cambridge, fondato nel 1546; una volta adulto, vi insegnò per molti anni come docente di matematica.
Isaac Newton morì ultraottantenne e con la fama di avere una mente straordinariamente dotata per dominare le scienze più difficili: la matematica e il calcolo infinitesimale, la meccanica dei corpi celesti e il comportamento della luce. Nel mausoleo di Newton situato nell’abbazia di Westminster è scritto: «Si rallegrino i mortali che sia esistito un tale e così grande onore per il genere umano», ma ancora più altisonante è l’epitaffio che per lui scrisse il poeta Alexander Pope: «La natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte; Dio disse:“Che Newton sia!”, e luce fu». La
sua influenza dopo la morte accrebbe la sua già enorme fama, fino a fare di lui il modello di scienziato per eccellenza.
Un bambino difficile L’uomo che quando morì era considerato il più grande scienziato nacque nel 1643 in una famiglia inglese puritana. La sua non fu un’infanzia felice: il padre morì prima ancora della sua nascita, e tre anni dopo la madre lo lasciò con i nonni per risposarsi con un pastore anglicano. Non sorprende, dunque, che il giovane Isaac crescesse come un ragazzino timido e introverso. A dodici anni entrò in una scuola
C R O N O LO G I A
VITA DI UN GRANDE STUDIOSO 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Nasce Isaac Newton, figlio di un contadino semianalfabeta e di Hannah Ayscough, proveniente da una famiglia nobile decaduta. Isaac nasce prematuro e nessuno si aspetta che sopravviva.
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1643
Il giovane Newton succede al suo maestro Isaac Barrow alla cattedra di matematica dell’Università di Cambridge. Nei suoi scritti critica la concezione del movimento elaborata da Cartesio. TELESCOPIO APPARTENUTO A NEWTON. 1671. ROYAL SOCIETY, LONDRA.
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sizar, cioè uno studente che per pagarsi la retta fungeva anche da cameriere-valletto per i compagni più ricchi. Nei suoi anni da studente in quell’università acquisì un’enorme competenza nel dominio delle scienze matematiche dell’epoca, che successivamente lo portò a dare un contributo fondamentale come lo sviluppo del calcolo infinitesimale, parallelamente al filosofo tedesco Gottfried Leibniz, con il quale ebbe un’infervorata polemica. Newton si formò sotto la tutela di Isaac Barrow, al quale, una volta completati gli studi, succedette alla cattedra di matematica, carica che ricoprì dal 1669 al 1696. La cattedra lucasiana, così
1672
1689-1703
Entra nella Royal Society, società che riunisce i principali scienziati inglesi. Nel 1687, spinto dall’amico Edmond Halley, pubblica il trattato I principi matematici della filosofia naturale, noto come Principia.
Viene eletto deputato. Nel 1696 assume la direzione della Zecca Reale e nel 1703, alla morte di Robert Hooke, con il quale non aveva buone relazioni, viene nominato presidente della Royal Society.
1727 I numerosi problemi renali che lo affliggono finiscono per causare la sua morte il 31 marzo. Viene sepolto con grandi onori nell’abbazia di Westminster.
LA PREDIZIONE DI HALLEY
La legge della gravitazione di Newton spinse il suo amico Edmond Halley (in basso) a calcolare la traiettoria della cometa che porta il suo nome. Dipinto di T. Murray. XVII secolo. Royal Society.
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locale, dove sembra che preferisse giocare con le bambine, per le quali fabbricava giocattoli ingegnosi, un anticipo della destrezza che più avanti avrebbe mostrato nel costruire apparecchi complessi come un telescopio a rifrazione. Al contempo, però, il bambino timido era capace di litigare e fare a botte con i compagni più grandi. Senza dubbio, fu in quegli anni che si delinearono quei tratti di carattere – la riservatezza, l’ipersensibilità e la vendicatività – che Newton avrebbe dimostrato per tutta la sua vita. A 19 anni, si iscrisse all’Università di Cambridge ed entrò al Trinity College come un
DALLA LUCE AI COLORI
l’esperimento cruciale
Verso il 1666, Newton condusse un celebre esperimento per dimostrare che la luce bianca non è pura, ma è l’unione dei colori dello spettro. Lo chiamò experimentum crucis o «esperimento cruciale» e lo spiegò con un diagramma in uno dei suoi quaderni. 1 5 4
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chiamata dal nome del suo fondatore, Henry Lucas, è sempre stata occupata da scienziati influenti ed eccellenti, compreso, in tempi più recenti, il fisico inglese Stephen Hawking.
La formazione di un genio Newton si formò negli anni in cui, in tutto il continente europeo, si affermava la rivoluzione scientifica, di cui furono artefici nomi quali Keplero, Galileo, Cartesio, Borelli, Hobbes, Gassendi, Hooke e Boyle, le cui opere studiò con attenzione. Inizialmente, Newton era seguace di Cartesio, come lo era all’epoca chiunque fosse interessato al rinnovamento della scienza. Fu in particolare la matematica di Cartesio ad affascinare gli scienziati di quella generazione, e dunque anche Newton. A differenza di altri, però, egli sviluppò un pensiero proprio e non fu pienamente convinto dai principi formulati dal filosofo francese; fu così che, tra il 1660 e il 1670, criticò nei suoi scritti la concezione cartesiana del movimento e sviluppò una teoria alternativa sulla natura della luce e dei colori. 84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IL DISCO DI NEWTON E I COLORI Facendo girare un disco dipinto con i sette colori dello spettro, l’occhio umano percepisce solo bianco. Newton dimostrò così che il bianco è una miscela degli altri colori.
Un raggio di luce solare entra attraverso un foro 1 in una stanza buia. Una lente 2 orienta il raggio verso un prisma 3 che rifrangendo la luce produce raggi di cinque colori diversi (in altri esperimenti Newton parla di sei o sette colori) che vengono proiettati su una lastra 4. Un raggio monocromatico attraversa la lastra grazie a un foro e, rifrangendosi su un secondo prisma 5, mantiene inalterato il proprio colore, sia esso rosso, blu o viola, il che dimostra che il colore non è prodotto dalla rifrazione.
Nel 1672 Newton entrò nella Royal Society, un’istituzione fondata a Londra nel 1660 che riuniva tutti i principali scienziati inglesi, e in quello stesso anno presentò davanti ai membri una memoria intitolata Nuova teoria della luce e dei colori, nella quale spiegava la relazione tra la luce solare bianca e i colori dell’iride. Studiosi precedenti, come Cartesio e Huygens, credevano che la luce propriamente detta fosse la luce bianca, mentre i colori erano considerati proprietà dei materiali delle superfici sulle quali incideva la luce. Tuttavia, Newton, attraverso una serie di esperimenti realizzati con i prismi, giunse alla conclusione che i colori erano proprietà della luce stessa, e che la luce bianca non era altro che la combinazione di raggi luminosi di diversi colori. Queste idee non piacquero a Robert Hooke, un influente membro della Royal Society che aveva dedicato tutti i suoi sforzi a sviluppare la tesi di Cartesio e Huygens. La sua dura critica alla memoria presentata da Newton sancì tra loro un’inimicizia che sarebbe durata per decenni. Newton non perdonò SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
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Hooke, si rifugiò a Cambridge, tagliò i ponti con la Royal Society e vi fece ritorno come presidente solo nell’anno della morte di Hooke, nel 1703. Rancoroso e implacabile, Newton si affrettò a cancellare ogni traccia del lavoro di Hooke alla Royal Society, ed eliminò persino i suoi ritratti. Nel 1704 pubblicò la sua Ottica, scritta in inglese e nella quale era esposta la sua interpretazione corpuscolare della luce, un trionfo sui cartesiani inglesi dell’epoca secondo i quali la luce si diffondeva invece attraverso onde (nel XX secolo la fisica quantistica avrebbe però dimostrato che avevano ragione entrambi).
La gravitazione universale Newton applicò con successo le scienze matematiche ai problemi della meccanica, in particolare al movimento dei pianeti nel sistema solare. Da Copernico in poi era noto che tutti i pianeti, compresa la Terra, girano attorno al Sole, e da allora si era accumulata una grande mole di osservazioni sulla meccanica celeste, ma alcuni fenomeni erano ancora senza spie-
gazione. Tra questi vi era il movimento curvilineo dei pianeti attorno al Sole, o il problema più generale dei moti circolari. Da una parte, i lavori di Keplero – che nessuno metteva in discussione – dimostravano che i pianeti girano attorno al Sole descrivendo orbite non circolari bensì ellittiche, e questo con una velocità areolare costante, ossia percorrendo sempre la stessa superficie in una medesima unità di tempo. Ma qual era l’influenza (l’attrazione) esercitata dal Sole sui pianeti, che faceva loro compiere tale traiettoria? Cartesio aveva formulato l’ipotesi secondo la quale tutto lo spazio dell’universo era pieno di un’infinità di corpuscoli e che il Sole
Quando fu nominato presidente della Royal Society, Newton cancellò ogni traccia del lavoro di Hooke, oltre che i suoi ritratti
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UN’OSSERVAZIONE PROVVIDENZIALE
LA MELA E LA LEGGE DI GRAVITÀ
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illiam Stukeley, che conobbe Newton nei suoi ultimi anni di vita, scrisse una biografia dello scienziato nella quale narra il celebre aneddoto della mela così come gli fu raccontato dal diretto interessato. Una sera, dopo cena, uscirono in giardino per prendere il tè sotto dei meli, e lì Newton «mi disse che era stato proprio in una situazione analoga che gli era venuta in mente la nozione di gravità». Gli fu suggerita dalla caduta di una mela dall’albero, mentre lui stava meditando. «Perché la mela cade sempre perpendicolarmente al suolo? – si domandò –. Perché non cade in un’altra direzione o verso l’alto? Sicuramente la ragione è che la Terra la attrae. Deve esserci una forza di attrazione nella materia». Tuttavia, non è probabile che Newton abbia avuto questa idea come
una rivelazione improvvisa. Se c’erano di mezzo le mele, forse il fatto di vederle cadere di frequente nel giardino del Trinity College di Cambridge – dove ancora oggi possiamo vedere dei meli che discendono da quello di Newton – stimolò la sua riflessione e lo portò a formulare, dopo una lunga e ardua ricerca, una legge che potesse spiegare al contempo il movimento dei pianeti e la caduta di un frutto dall’albero.
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IL MANOSCRITTO RITROVATO
Il manoscritto di Stukeley in cui è contenuta la famosa storia della mela è stato recentemente ritrovato dalla Royal Soviety inglese e oggi messo a disposizione su Internet. Incisione a colori. 1880.
generava vortici di materia che trascinavano i pianeti e li portavano a descrivere le orbite ellittiche. Dimostrare questa immagine intuitiva mediante un calcolo matematico, però, sembrava difficile. Nei suoi giorni a Cambridge, Newton trovò una soluzione al problema: immaginò che vi fosse una forza che univa il Sole a ciascuno dei pianeti e che tale forza li attraesse in modo da costringerli a ruotare descrivendo ellissi. Detta in questi termini era solo un’immagine ma, a differenza della proposta cartesiana, Newton apportò una dimostrazione quantitativa della forza in azione. In effetti, la celebre legge della gravità di Newton stabiliva che la forza di attrazione tra due corpi
Halley, amico di Newton, lo convinse a pubblicare i suoi Principia, che lo scienziato aveva pensato di distruggere
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è proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. In questo modo, tramite una serie di calcoli, fu in grado di dimostrare che il risultato di questa azione consisteva in una traiettoria ellittica.
Il profumo del successo Quando Newton rese pubblica la sua teoria, tutta la società intellettuale britannica prestò attenzione al suo lavoro. L’astronomo e viaggiatore Edmond Halley si era trasferito a Cambridge nell’estate del 1684 per studiare i calcoli di Newton, e i due strinsero un rapporto di amicizia. Nel 1686, Halley convinse Newton a pubblicare la sua scoperta, che l’autore, per timore delle critiche, aveva persino pensato di distruggere. Il lavoro fu pubblicato nel 1687 con il titolo Principi matematici della filosofia naturale, generalmente conosciuto come Principia. Il fatto che fosse scritto in latino indicava il pubblico al quale era diretto: esperti di matematica e di meccanica, astronomi, filosofi e universitari.
OSSERVATORIO REALE DI GREENWICH
Isaac Newton ebbe alcuni contrasti di natura scientifica con John Flamsteed, direttore dell’osservatorio di Greenwich e astronomo reale.
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Se l’ottica aveva causato più di un’amarezza a Newton, la gravitazione lo ricompensò con gli interessi. La sua legge permetteva di spiegare tutti i fenomeni fisici dell’universo in virtù di una forza che concepì come universale: le mele cadono per la stessa causa per la quale si muovono i pianeti o riappaiono le comete. Alcuni obiettarono che la teoria della gravitazione presupponeva un’azione a distanza tra i corpi, qualcosa che la ragione rifiutava. Lo stesso Newton riconosceva che un’azione a distanza di questo tipo «è per me una tale assurdità, che io credo che nessun uomo che abbia una competente facoltà di pensare in materie filosofiche, possa mai cadere in essa», e si diceva convinto che la gravità dovesse essere causata da un agente, anche se non sapeva quale, se materiale o immateriale. In realtà, gli scrupoli filosofici perdevano importanza davanti al successo del sistema di Newton per calcolare e predire il corso di qualsiasi tipo di corpo celeste, dalla Terra alla Luna, alle comete.
IL TRATTATO CHE CAMBIÒ LA SCIENZA Nelle prime tre pagine dei suoi celebri Principia, Newton ringrazia l’amico Halley per la sua insistenza affinché pubblicasse l’opera. Copertina del libro. 1687. British Library.
Per esempio, Halley, basandosi sui calcoli di Newton e le precedenti osservazioni, predisse che la cometa avvistata nel 1682 – e che oggi porta il suo nome – sarebbe riapparsa attorno al 1758, come in effetti accadde. Dopo la pubblicazione dei Principia, Newton godette dei vantaggi del successo. Nel 1689 fu eletto deputato nel Parlamento inglese. Nel 1696 abbandonò Cambridge e si trasferì a Londra per assumere la direzione della Zecca Reale. All’epoca le autorità britanniche avevano ingaggiato una campagna a tappeto contro l’abitudine di grattare via l’oro e l’argento dai bordi delle monete, finché queste non si riducevano a una frazione delle loro dimensioni originarie. Il suo rimedio fu semplice e geniale: inventò la zigrinatura laterale, cosicché una moneta abrasa poteva essere immediatamente riconosciuta da tutti, perdendo di conseguenza il suo valore. Nel 1703 fu eletto presidente della Royal Society e la sua influenza crebbe sempre di più, facendolo diventare un personaggio pubblico. Mantenne il controllo su quel che BRITISH LIBRARY / ART ARCHIVE STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’INVENZIONE DEL CALCOLO DIFFERENZIALE
IDEATORE DELLA NUOVA MATEMATICA
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ewton cambiò per sempre l’impostazione da dare alla ricerca scientifica, o come era chiamata all’epoca, la «filosofia naturale». Eliminò, per la prima volta, la separazione fra questa e la matematica; anzi considerò la scienza non più una disciplina empirica ma fortemente sostenuta dalla matematica, le cui verità sono garantite a priori, indipendentemente dalle sperimentazioni. Così, allontanò il concetto di “ipotesi” dalla costruzione di una teoria scientifica, ritenendo che un risultato dovesse essere garantito da esperimenti ben condotti e teorie matematiche ben costruite in modo da estrarre le nuove verità dai fenomeni. Inoltre, poiché all’epoca non esistevano gli strumenti matematici per calcolare un moto come quello compiuto dai pianeti intorno al Sole, non ebbe altra scelta
che svilupparlo da sé. Così, Newton inventò il calcolo differenziale, lo strumento che abbandonava la concezione statica, cartesiana, della matematica/geometria per allargarla alla dinamica. E per la prima volta fu possibile eseguire calcoli su elementi continui che variano nel tempo e nello spazio; in poche parole, la maggior parte dei fenomeni e dei processi fisici, astronomici, tecnologici, statistici, economici.
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NELL’OLIMPO DELLE SCIENZE
Nel dipinto, il monumento di Isaac Newton domina la scena in cui compaiono i più grandi intellettuali della storia. 1727. Fitzwilliam Museum, Cambridge.
accadeva a Cambridge, e persinoJacob a Oxford, Willem 'se la sua meccanica iniziò a essere studiata in queste università. Le sue teorie si diffusero in 's tutta Europa e dopo laWillem sua morteJacob la sua fama crebbe in tutto il mondo illuminista.
Alchimista e teologo Con la gravitazione, il dogma della differenza ontologica tra il mondo celeste e quello terrestre fu definitivamente superato. Copernico aveva dimostrato che la Terra si muove intorno al Sole con gli altri pianeti, Keplero aveva dimostrato in che modo questi si muovono e ora Newton aveva dimostrato perché lo fanno.
«Egli fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei sumeri», disse John M. Keynes di Newton DIAGRAMMA DELLA PIETRA FILOSOFALE REALIZZATO DA NEWTON. GRANGER / ALBUM
Il lavoro di Newton come padre della scienza moderna si accompagnò, com’era costume dell’epoca, a numerosi lavori alchemici, ai quali affiancò una straordinaria messe di opere dedicate alla cabala, alla teologia e all’interpretazione di testi biblici. Lo stesso uomo che aveva sviluppato il calcolo infinitesimale e studiava le leggi della meccanica si era dedicato con passione a esperimenti alchemici con sostanze misteriose alle quali aveva dato appellativi pittoreschi come «il leone verde» o nomi di pianeti, come Giove o Saturno. L’economista John Maynard Keynes, che acquistò buona parte di questi manoscritti nel 1936, scrisse in proposito: «Newton non fu il primo scienziato dell’età della ragione. Piuttosto fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei babilonesi e dei sumeri, l’ultima grande mente soffermatasi sul mondo del pensiero e del visibile con gli stessi occhi di coloro che cominciarono a costruire il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa [...] Perché lo chiamo mago? Perché osservò l’intero universo e tutto quel che in esso c’era come un
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enigma, come un segreto che può essere svelato applicando il puro pensiero all’evidenza certa, a indizi mistici che Dio aveva sparso nel mondo per consentire alla confraternita esoterica una specie di caccia al tesoro per filosofi. Egli credeva che questi indizi si potessero trovare, in parte, nelle evidenze dei cieli e nella costituzione degli elementi (e questo fece sì che si avesse la falsa impressione che egli fosse un filosofo naturale sperimentale)». Tuttavia, bisogna ricordare che l’interesse per l’alchimia era molto diffuso tra gli scienziati del XVII secolo che desideravano indagare sulla natura della materia. Per esempio, anche Robert Boyle, grande precursore della chimica moderna e collega di Newton nella Royal Society, fu un alchimista appassionato. Non meno sorprendente risulta la quantità di tempo ed energie che Newton dedicò a studi sulla religione e la teologia. Il geniale matematico scrisse migliaia di pagine nelle quali indagava le profezie bibliche, la cronologia dei regni ebraici o la struttura del Tempio di Salomone. Si spinse persino a calcolare la data
della fine del mondo e della seconda venuta di Cristo, che collocò nell’anno 2060. Studiò a fondo la Bibbia per dimostrare che nel testo originale non vi erano riferimenti alla Trinità, un dogma cristiano che considerava falso, poiché a un certo momento arrivò alla convinzione che solo Dio padre aveva natura divina, e non Gesù Cristo né lo Spirito Santo. In realtà, l’interesse di Newton per la teologia non si può separare dal suo sistema scientifico, nel quale si presupponeva l’esistenza di un Dio che aveva stabilito le leggi del mondo. Tutta la sua vita fu dedicata a cercare una sintesi tra il Libro della Natura e il Libro delle Scritture. Per questo non fu perseguitato come Galileo, ma onorato dalla Chiesa. Per saperne di più
SEPOLTO A WESTMINSTER
«Si rallegrino i mortali perché è esistito un tale e così grande onore del genere umano», recita l’epitaffio di Isaac Newton inciso sulla sua tomba nell’abbazia di Westminster.
SAGGI
Newton: la legge della gravitazione universale Antonio J. Durán. RBA, Barcellona, 2013. Newton e la coscienza europea Paolo Casini. Il Mulino, Bologna, 1984. TESTI
Principi matematici della filosofia naturale Isaac Newton. Utet, Torino, 1997.
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NEVROSI E MANIE DI UN GENIO
TRAUMI INFANTILI
Il fatto di essere nato orfano di padre e di aver passato molto tempo lontano dalla madre, che si trasferì nella casa del secondo marito, il pastore anglicano Barnabas Smith, lasciò un segno profondo in Newton. Da giovane, in un quaderno associò il termine «patrigno» con «fornicatore» e «adulatore», e «madre» con «vedova» e «prostituta». In seguito fece una lista dei peccati più gravi che avrebbe commesso prima di compiere 20 anni, 57 in tutto (tra cui mangiare un dolce di domenica), tra i quali due rivelano una certa violenza: «Minacciare padre e madre Smith di bruciarli vivi dentro casa» e «Desiderare la morte e sperarla per qualcuno».
Isaac Newton fu un erudito e un ricercatore instancabile, ma anche un uomo dal carattere difficile, che non esitava ad augurare il peggio a coloro che lo ostacolavano, né a correre veri e propri rischi mortali pur di portare a termine i propri esperimenti.
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ESPERIMENTI RISCHIOSI
Newton metteva in pericolo la propria incolumità fisica in onore della scienza. Quando aveva 24 anni e studiava i fenomeni della luce e del colore, volle osservare le distorsioni provocate dall’occhio umano e, come egli stesso spiegava in un manoscritto illustrato con un disegno fatto a mano da lui, «ho preso un punteruolo e l’ho introdotto tra l’occhio e l’osso, il più vicino possibile alla parte posteriore dell’occhio [la retina], e premendo con la punta ho visto vari cerchi bianchi, scuri e colorati». In un’altra occasione guardò fisso il Sole con un occhio tanto a lungo che dovette trascorrere diversi giorni al buio per riprendersi.
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QUADERNO DI APPUNTI DI ISAAC NEWTON IN CUI DESCRIVE UN ESPERIMENTO NEL QUALE SI LESIONÒ DI PROPOSITO UN OCCHIO. ESPOSIZIONE THE NEWTONIAN MOMENT, NEW YORK.
IL CANE DI NEWTON, DIAMOND, FA CADERE ACCIDENTALMENTE UNA LAMPADA SULLE CARTE DELLO SCIENZIATO, PROVOCANDO UN INCENDIO NEL 1692. INCISIONE A COLORI.
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ATTACCO DI FOLLIA
Nell’estate del 1693, Newton ebbe gravi problemi di salute. Come egli stesso ricordò in seguito, per quindici giorni non dormì più di un’ora per notte, e per altri cinque non dormì affatto. In preda a uno strano delirio, scrisse varie lettere a suoi conoscenti – tra i quali il filosofo John Locke – nelle quali li accusava di averlo coinvolto in faccende torbide e augurava loro la morte. Quando si rimise si scusò con i destinatari delle lettere («Ricordo di avervi scritto, ma non quel che vi ho detto», scrisse a Locke). Come causa della crisi è stato ipotizzato un avvelenamento da mercurio, sostanza che Newton usava spesso nei suoi esperimenti.
LA CASA NATALE DI ISAAC NEWTON, A WOOLSTHORPE. DIPINTO DI THOMAS H. SHEPHERD. XIX SEC. USHER GALLERY, LINCOLN.
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MANIACO DEL LAVORO
Come ogni studioso che si rispetti, Newton viveva totalmente assorto nelle sue idee e nei suoi esperimenti. Attorno al 1680 il suo assistente scrisse: «Era così concentrato, così dedito ai suoi studi, che mangiava a malapena, o addirittura scordava di mangiare. Quando entravo nella sua stanza e trovavo il piatto intatto glielo facevo notare e lui mi diceva: “Ah sì?”, poi si avvicinava al tavolo e mangiava un paio di bocconi in piedi. […] A volte, quando usciva a passeggiare in giardino, si fermava all’improvviso, correva verso le scale e si metteva a scrivere in piedi accanto al suo tavolo, senza neppure perdere tempo a cercare una sedia».
L’ERESIA SEGRETA
Newton era un uomo profondamente religioso. Aveva 30 bibbie, la base degli approfonditi studi teologici che condusse, e una volta ne inviò diverse copie a un amico vicario affinché le distribuisse ai poveri. Tuttavia, se avesse manifestato le sue vere credenze, la Chiesa anglicana l’avrebbe condannato come eretico per aver messo in discussione il dogma della Trinità. Proprio per non dover professare una fede che non aveva in questo dogma, nel 1669, quando succedette al suo maestro Isaac Barrow alla cattedra di matematica dell’Università di Cambridge, Newton fece di tutto per evitare la prassi dell’ordinazione a prete anglicano.
UNA VITA NEL LUSSO
Nell’ultima fase della sua vita, Newton godette di tutti gli onori e di entrate tutt’altro che disprezzabili. In quanto direttore della Zecca Reale aveva un salario di 400 sterline l’anno, che salirono a 2.000 poiché al contempo ricopriva la carica di intendente dell’istituzione, che gli dava diritto a una percentuale della moneta coniata. A Londra disponeva di una carrozza e di sei servitori. Alla sua morte risultarono insolute alcune fatture a fornitori, tra le quali una di 8 sterline per 15 barili di birra, un dato che mal si concilia con l’immagine di un Newton astemio e austero che spesso è stata diffusa.
RITRATTO DI ISAAC NEWTON IN ETÀ MATURA, ESEGUITO DA SIR GODFREY KNELLER NEL 1702. NATIONAL PORTRAIT GALLERY, LONDRA.
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Russia contro Europa
LA GUERRA DI CRIMEA Nel 1853, Nicola I di Russia dichiarò guerra ai turchi in nome della religione ortodossa, ma a fianco di questi ultimi si schierarono la Francia e la Gran Bretagna, che sconfissero l’esercito zarista e conquistarono Sebastopoli dopo un epico assedio JOSEP MARIA CASALS STORICO
LA CADUTA DI MALAKOFF
L’8 settembre del 1855 gli zuavi dell’esercito francese presero la torre Malakoff, il principale bastione di Sebastopoli. La caduta di Malakoff permise alle truppe franco-britanniche di conquistare la città. Dipinto di Adolphe Yvon, 1857, Palazzo di Versailles. GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS
C R O N O LO G I A
Conflitto nell’Europa orientale MAGGIO 1853
In base al trattato di KuchukKainarji (1774), lo zar Nicola I esige il protettorato su tutti i sudditi ortodossi del sultano, ma i turchi non accettano.
OTTOBRE 1853
Inizia la guerra russo-turca sul Danubio. Nel marzo del 1854, Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Russia e inviano truppe a Varna.
AUTUNNO 1854
La guerra passa in Crimea. Tra settembre e novembre, i russi vengono sconfitti sull’Alma, a Balaklava e a Inkerman. Inizia l’assedio di Sebastopoli.
GENNAIO 1855
Al fianco degli alleati, entra in guerra il Regno di Sardegna. In marzo muore Nicola I, sconvolto dalla sconfitta in Crimea: si parla di suicidio.
SETTEMBRE 1855
L’8 settembre, i francesi prendono il bastione di Malakoff, la principale fortezza di Sebastopoli. I russi abbandonano la città.
L
CONFLITTO NEI BALCANI
L’avanzata di austriaci e russi in questo territorio portò a frizioni tra i due Imperi, aggravate dal fatto che la Russia si arrogasse il ruolo di protettrice degli slavi ortodossi.
MARZO 1856
La pace di Parigi limita la presenza militare della Russia sul Mar Nero e la priva di ogni diritto sui cristiani in Turchia.
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N/ MA
Nuova guerra russo-turca, conclusa con il trattato di Santo Stefano: indipendenza di Serbia, Montenegro e Romania, e autonomia della Bulgaria.
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1877-1878
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SIGILLO DELL’IMPERATORE NAPOLEONE III DI FRANCIA.
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a scintilla della guerra di Crimea scoppiò a 1.500 chilometri di distanza dalla penisola, nella chiesa della Natività di Betlemme. I monaci ortodossi e latini si contendevano il controllo del tempio, ma la disputa non avveniva sul piano teologico: monaci e pellegrini di entrambe le confessioni si scambiavano insulti e percosse all’interno della basilica. Gli ortodossi custodivano le chiavi della chiesa e nel 1847 avevano rimosso la stella d’argento posta dai cattolici sul luogo in cui era nato Gesù, ma questi ultimi, appoggiati dalla Francia, la rimisero al suo posto nel 1852, quando il sultano ottomano – nei cui domini si trovava Gerusalemme – consegnò loro le chiavi del tempio. Fu allora che gli ortodossi chiesero aiuto allo zar Nicola I. Da quando, nel XV secolo, l’antica capitale del mondo ortodosso, Costantinopoli, era caduta in mano turca, Mosca si era eretta a difensore di questa fede. Dalla Russia, il cristianesimo ortodosso si era diffuso nei territori slavi dei Balcani, che ai tempi di Nicola I erano in buona parte sotto il dominio ottomano, tranne
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SERGENTI BRITANNICI CON IMMAGINI DI SAN MICHELE (A SINISTRA) E DI SAN GIORGIO (A DESTRA) SOTTRATTE IN UNA CHIESA DI SEBASTOPOLI.
Impero ottomano Territori ottomani con governo autonomo Territori emancipati Territori perduti a favore dell’Impero austriaco
DECISO A RESISTERE
Territori perduti a favore dell’Impero russo
NEL 1825, NICOLA I ERA SUCCEDUTO al fratello Alessandro I, che aveva
Confini attuali Spedizione francobritannica (1854-1855) Assedio (1854-1855)
era stato quello bizantino nel Medioevo. Nicola sosteneva fortemente questo progetto, alimentato da un potente partito filoslavo a corte. Francesi e inglesi, però, non potevano permettere che la Russia mettesse piede nel Mediterraneo, e decisero di intervenire dopo che lo zar aveva occupato, nel mese di luglio, i principati di Moldavia e Valacchia, e che a novembre le sue navi avevano annientato l’obsoleta flotta turca di legno a Sinope.
La crociata d’Occidente La stampa inglese e francese qualificò lo zar come il nuovo Attila. Come ha scritto Orlando Figes nel suo magnifico studio sul conflitto, i giornali britannici e francesi chiamarono a una crociata in difesa della libertà e della civiltà europea contro una Russia primitiva e dispotica, le cui mire espansionistiche costituivano una minaccia per l’Occidente e per la cristianità latina e protestante. Napoleone III, che era appena salito al potere dopo un colpo di Stato, vide nella
LO ZAR E LA GUERRA
Nicola I decise di affrontare la guerra contro l’Occidente al di là dei calcoli razionali, convinto di ingaggiare una contesa religiosa che avrebbe completato la missione assegnata alla Russia dalla Provvidenza.
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una zona controllata dall’Impero austriaco. Il ruolo degli zar come protettori degli ortodossi nell’Impero ottomano aveva preso forma quasi un secolo prima, con il trattato di Kuchuk-Kainarji (1774), in base al quale il sultano si impegnava a tener conto delle richieste dello zar sulla situazione dei cristiani nell’Impero. Nicola, però, si spinse oltre: nel maggio del 1853 volle essere riconosciuto come difensore di tutti i diritti riguardanti i cristiani ortodossi. Poiché due sudditi del sultano ottomano su cinque erano ortodossi, la pretesa suonava come un’ingerenza intollerabile per i turchi. Al loro fianco si schierarono Francia e Gran Bretagna che erano consapevoli della debolezza dell’Impero ottomano – un «uomo infermo», per usare le parole dello zar – e desideravano mantenerlo in vita per evitare che l’equilibrio di potere europeo si alterasse a beneficio della Russia. Da Caterina la Grande in poi, gli zar vedevano l’avanzata su Istanbul come il compimento di una missione divina: la liberazione degli slavi dal potere ottomano e la restaurazione di un grande Impero ortodosso, come
fronteggiato l’invasione napoleonica, un fatto che lo zar ebbe sempre presente, tanto che nel 1854 disse: «Se l’Europa mi obbliga alla guerra, seguirò l’esempio di mio fratello Alessandro nel 1812 e scatenerò una guerra senza quartiere; se necessario, mi ritirerò oltre gli Urali e non deporrò le armi finché ci saranno piedi stranieri a calcare la terra russa».
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Data dell’autonomia, della indipendenza o della perdita CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
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LA CARICA DELLA BRIGATA LEGGERA
Il 25 ottobre 1855, durante la battaglia di Balaklava, la brigata leggera britannica caricò per due chilometri contro l’artiglieria russa nella cosiddetta Valle della Morte, colpita frontalmente e sui fianchi dalle cannonate. Su 661 uomini, 113 morirono, 134 furono feriti e 45 vennero fatti prigionieri.
guerra un’opportunità per consolidare il proprio prestigio, rendendo alla Francia quel rango che aveva perduto dopo la sconfitta di suo zio, Napoleone Bonaparte, e un mezzo per ingraziarsi i cattolici. Nel febbraio del 1854, francesi e inglesi pretesero che la Russia si ritirasse dai principati e Nicola annunciò guerra contro i due Paesi, che si erano messi «dalla parte dei nemici della Cristianità». Il primo scenario della guerra fu la paludosa foce del Danubio, dove lo zar, a giugno, dovette ordinare la ritirata dai principati dopo che gli austriaci avevano mobilitato le truppe contro i russi, temendo che si propagasse nei loro territori l’agitazione nazionalista degli slavi promossa dalla Russia in territorio ottomano. Nicola I considerò questo atto un tradimento, giacché quattro anni prima le sue truppe avevano affiancato quelle austriache contro la ribellione ungherese. Quando la spedizione franco-britannica sbarcò a Varna, a sud della foce del Danubio, si trovò quindi senza nemici da combattere. La 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LA CORNETTA CHE DIEDE L’ORDINE
Apparteneva al trombettiere Billy Brittain, che suonò la carica per la brigata leggera inglese. Brittain morì nell’ospedale di Scutari per le ferite riportate nella battaglia. Una lancia cosacca perforò la cornetta e la ridusse così come la vediamo. BELVO
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guerra sarebbe potuta finire lì, poiché i russi si erano ritirati dal suolo ottomano. I militari e i governi alleati, però, avevano bisogno di una grande vittoria che giustificasse la guerra agli occhi dell’opinione pubblica. Quando il colera decimò le fila degli alleati e un incendio distrusse i loro magazzini in città, lasciandoli con viveri a sufficienza per soli otto giorni, francesi e britannici si incamminarono verso Sebastopoli, la base navale della flotta russa nel Mar Nero. La sua conquista doveva dare soddisfazione a coloro che, come il principe Alberto, marito della regina Vittoria d’Inghilterra, pensavano che si dovessero «strappare i denti e tagliare gli artigli» all’orso russo. E Sebastopoli era l’artiglio con cui la Russia poteva agguantare Costantinopoli. Gli alleati giunsero in Crimea il 13 settembre, a bordo di 400 navi a vela e a vapore la cui visione impressionò i soldati russi, perlopiù contadini che non avevano mai visto il mare: «Gli infedeli hanno eretto un’altra Mosca nell’acqua!», avrebbero esclamato alla vista de-
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SOLDATI FRANCESI CHIACCHIERANO CON TRE ZUAVI SEDUTI. FOTOGRAFIA SCATTATA DA ROGER FENTON NEL 1855.
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I PIÙ PREPARATI
gli alberi delle navi che ricordavano le guglie delle chiese ortodosse. Dopo essere sbarcati 45 chilometri a nord di Sebastopoli, gli alleati avanzarono verso la città.
Alma, Balaklava, Inkerman Il 20 settembre, l’esercito zarista fu duramente sconfitto sulle rive del fiume Alma quando cercò di fermare un nemico i cui fucili Minié erano letali a 1.200 passi, contro i 300 degli antiquati moschetti zaristi. I russi si ritirarono a Sebastopoli e gli alleati sbagliarono a non attaccare la città, allora poco difesa. L’assedio iniziò dopo un mese, il che diede il tempo all’ingegnere Eduard Totleben di fortificarla con la costruzione di terrapieni nei quali le palle di cannone sprofondavano: era come sparare contro un pudding, osservò un ufficiale britannico. L’assedio, male impostato, fu disposto a sud della città, mentre il lato nord, da dove giungevano provviste e rinforzi a Sebastopoli, fu lasciato praticamente sguarnito. Seguirono altre due sconfitte russe. Il 25 ottobre, il tentativo di impossessarsi del porto
L’ESERCITO FRANCESE era quello meglio preparato in Crimea. Gli inglesi non avevano preso parte a grandi campagne dopo le guerre napoleoniche, al contrario dei francesi: quasi un terzo dell’esercito aveva partecipato alla conquista dell’Algeria (dove fu creato l’agguerrito corpo degli zuavi). Gli ufficiali francesi, autentici professionisti, mantenevano con i loro uomini una vicinanza impensabile per inglesi e russi.
di Balaklava, la base navale inglese, fu liquidato con due azioni memorabili, descritte da William Howard Russell, corrispondente del Times. Nella prima, la carica della cavalleria russa fu fermata dai fucili Minié di una modesta linea di highlanders disposti in fila doppia (la “sottile linea rossa”). Nella seconda, un errore nella trasmissione degli ordini portò alla famosa carica della Brigata Leggera: quasi 700 uomini della miglior cavalleria inglese caricarono contro le batterie russe all’estremità di una valle mentre venivano colpiti dalle cannonate di fronte, sulla destra e sulla sinistra. Come disse il generale francese Bosquet contemplando un’impresa tanto assurda quanto
I fucili degli alleati erano più moderni e letali a una distanza quattro volte maggiore rispetto ai moschetti russi
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Baia di Kalamita, luogo in cui sbarcarono gli alleati Kamiesh, base navale francese
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Torre Malakoff
ILLUSTRAZIONE DI SEBASTOPOLI E DELLE POSIZIONI OCCUPATE DAGLI ESERCITI CHE ASSEDIARONO LA CITTÀ. IL DISEGNO SI DEVE A UN UFFICIALE DEL CORPO DEI GENIERI FRANCESI E FU PUBBLICATO NEL 1855. BRIDGEMAN / ACI
Redan
Carica della brigata leggera
Ferrovia da Balaklava alle linee inglesi Balaklava, base navale francese
LA CITTÀ ASSEDIATA
La distruzione di Sebastopoli: settembre 1855
SEBASTOPOLI ERA NATA fra il 1780 e il 1790 co-
1 Presa di Malakoff
Il giorno 8, i 9.000 soldati francesi della divisione del generale MacMahon prendono la fortezza in un cruento assalto cominciato a mezzogiorno.
me base navale russa sul Mar Nero. La città era divisa in due parti separate dal porto, un ampio estuario senza ponti che mettessero in comunicazione le due sponde. Nel mese di settembre del 1854, tutta la popolazione lavorò per rafforzare le difese della città su terra, e concluse l’opera sul mare chiudendo il porto con l’affondamento di sette imbarcazioni davanti all’ingresso. Sebastopoli subì il primo bombardamento il 17 ottobre, ma gli attacchi degli alleati, che assediarono la città da sud, si scontrarono per undici mesi con le improvvisate ma efficaci difese russe, concentrate nell’importantissimo bastione Malakoff, che dominava la città e davanti al quale presero posizione i francesi, e il bastione chiamato Redan, davanti al quale si schierarono gli inglesi.
2 Evacuazione a sud
I russi hanno costruito un ponte galleggiante attraverso il quale, dalle sette di sera del giorno 8, migliaia di civili e militari abbandonano la città dal lato sud.
3 Il grande incendio
Il giorno 9, i russi danno fuoco al lato sud, ormai abbandonato, come avevano fatto a Mosca nel 1812. Gli alleati riescono a entrare in città soltanto il giorno 12.
MEDAGLIA DELLA GUERRA DI CRIMEA CON L’EFFIGIE DELLA REGINA VITTORIA E TRE FERMAGLI DEDICATI ALL’ASSEDIO DI SEBASTOPOLI, ALLA BATTAGLIA DI BALAKLAVA E ALLE AZIONI MILITARI NEL MARE DI AZOV. RE
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I SABAUDI IMPEGNATI IN CRIMEA
LA BATTAGLIA DELLA CERNAIA, ILLUSTRAZIONE TRATTA DA UN ALBUM SUL RISORGIMENTO, FINE DEL XIX SECOLO. COLL. PRIVATA.
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episodio bellico in cui, nel corso della guerra di Crimea, maggiormente si illustrò il contingente inviato da Vittorio Emanuele II, forte di 18.058 uomini comandati dal generale Alfonso La Marmora, fu la battaglia della Cernaia. Essa prende il nome dal fiume presso il quale erano posizionate le truppe francesi, con il compito di impedire ai russi l’accesso a Sebastopoli, posta sotto assedio. Alla destra dello schieramento si trovava il contingente sardo, che all’alba del 16 agosto 1855 fu attaccato dai soldati dello zar. Essi puntavano a cogliere di sorpresa i francesi e a portare soccorso a Sebastopoli, ma furono fermati dagli uomini del Corpo di spedizione sardo e successivamente costretti alla ritirata, lasciando sul campo 2.100 morti. Meno di un mese dopo, la resa di Sebastopoli sancì di fatto la fine della guerra.
BRIDGEMAN / ACI
Fame, freddo, morte Le operazioni militari vennero sospese e furono il freddo e la scarsità di viveri a farla da padrone; soltanto l’esercito francese li evitò, grazie all’organizzazione modello della sua intendenza: ogni reggimento aveva una cucina e una vivandiera. Nella sua base nel porto di Kamiesh si potevano persino trovare le ultime novità della moda provenienti da Parigi. L’esercito britannico, dal canto suo, versava in condizioni tragiche: i soldati, che portavano ancora l’uniforme estiva, si avvolgevano i piedi negli stracci e si coprivano con mantelli umidi di fango e pioggia. Per i russi, le privazioni erano ancora più grandi per via dell’arretratezza del
Paese: non vi era una ferrovia che collegasse la Crimea con Mosca, e armi e provviste arrivavano su carri trainati da buoi e cavalli. Le carenze erano drammatiche soprattutto nell’ambito sanitario. Gli inglesi dovevano trasferire feriti e malati fino a Costantinopoli, dove ricevevano cure mediche nelle terribili strutture di Scutari (oggi Üsküdar). Le lacune russe erano ancora più gravi – basti dire che all’Alma abbandonarono i feriti per mancanza di mezzi di trasporto –, anche se potevano contare su figure come il dottor Pirogov, che utilizzava l’etere per calmare i feriti e l’anestesia per operare, pratiche che i medici britannici rifiutavano perché, come scrisse uno di loro, «il dolore provocato dal coltello è un potente stimolante». Erano anche altre le differenze tra gli eserciti. In quello russo si annidava la corruzione (alcuni feriti dovevano pagare i medici per essere curati) e gli ufficiali aristocratici prendevano a frustate i soldati contadini; Lev Tolstoj, ufficiale in Crimea, parlò dei maltrattamenti nei Racconti di Sebastopoli. Anche
LE CURE MEDICHE
Cassetta di medicinali utilizzata durante la guerra di Crimea da Florence Nightingale; in realtà, il suo ruolo personale ebbe un carattere più amministrativo che assistenziale. Museo Florence Nightingale, Londra.
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eroica: «È magnifico, ma questa non è guerra; è una follia». Il 5 novembre ebbe luogo l’ultima sortita dei russi: cercarono di cacciare gli alleati dalle alture di Inkerman, che dominavano le linee alleate. Nel caos provocato da una fitta nebbia mattutina, la travolgente azione degli zuavi, la fanteria d’élite francese, pose fine alla battaglia. Poi arrivò l’inverno.
LA LOTTA ALL’INTERNO DEI BASTIONI
Le truppe russe in marcia per contenere un assalto nemico. Al centro, un pope benedice i soldati, mentre, davanti a lui, un’infermiera presta le sue cure a un ferito. Dettaglio del grande dipinto sull’assedio di Sebastopoli realizzato da Franz Alekseevic Roubaud tra il 1904 e il 1912.
Una primavera decisiva A differenza di quanto avvenuto nel 1812 con l’invasione napoleonica, l’inverno russo – «i generali gennaio e febbraio», nei quali confidava lo zar – non pose fine all’offensiva alleata. In primavera, le condizioni materiali degli inglesi migliorarono. Florence Nightingale si occupò degli ospedali e Alexis Soyer, chef di un prestigioso club londinese, organizzò il rifornimento in modo simile a quello francese, con 400 cucine mobili progettate da lui (un modello rimasto in uso fino alla Seconda Guerra Mondiale). Nel 1855 arrivarono 18.000 uomini dal Piemonte. L’entrata in guerra del Regno di Sardegna fu subordinata a una convenzione ottenuta da 100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
VICTORIA CROSS
Istituita durante la guerra di Crimea, l’onorificenza britannica premiava il valore dimostrato davanti al nemico: fatta con il bronzo dei cannoni catturati a Sebastopoli, era accordata anche ai soldati semplici, non solo agli ufficiali.
EILEEN TWEEDY / ART ARCHIVE
gli ufficiali inglesi, nobili che compravano le cariche, erano ben lungi dal soffrire quanto i loro soldati: se lord Cardigan, il comandante della Brigata Leggera, si ritirava a dormire sul suo panfilo, molti usavano capanne costruite dai sottoposti; uno arrivò a dichiarare di essere venuto a conoscenza delle sofferenze dei suoi uomini dalla stampa.
Cavour, che ricopriva il ruolo di primo ministro e ministro degli Esteri, in base alla quale la Francia e l’Inghilterra si impegnavano a difendere i territori piemontesi da un’eventuale aggressione nel corso della guerra. Ci si riferiva così alla possibilità che, approfittando delle circostanze, l’Austria potesse muovere guerra al Regno di Sardegna. D’altra parte, il motivo principale che aveva convinto Vittorio Emanuele II a entrare in guerra era ottenere l’appoggio degli alleati in funzione anti-austriaca per l’unificazione dell’Italia. Infine, equipaggiamenti e munizioni aumentarono con la creazione di una ferrovia che unì Balaklava con le posizioni degli assedianti. La guerra prese così nuovo slancio, anche grazie alla sostituzione del primo ministro britannico Aberdeen con Palmerston, noto russofobo. Nella crisi ministeriale giocò un ruolo importante la pubblicazione sul Times delle cronache degli inviati in Crimea e delle lettere di soldati ai familiari in cui si parlava delle dure condizioni dei combattenti. Di fatto, questa fu la prima guerra in cui la stampa ebbe un ruolo decisivo.
HERITAGE / SCALA, FIRENZE
IL BASTIONE REDAN DOPO LA RITIRATA RUSSA DALLA CITTÀ DI SEBASTOPOLI, NEL SETTEMBRE DEL 1855.
TRA GUERRA E MALATTIE LA GUERRA DI CRIMEA fu il maggior conflitto europeo tra le campagne
napoleoniche e la Prima Guerra Mondiale. Persero la vita 750.000 soldati, ma solo il 20 per cento per le ferite riportate in battaglia; il resto morì per le malattie. Tra le vittime, 500.000 erano russi, 100.000 francesi (su 310.000 uomini) e 20.000 britannici (su 98.000 soldati inviati). Fra gli italiani, 17 morirono sul campo e 1.300 per malattia. TARKER / BRIDGEMAN / ACI
L’assedio di Sebastopoli fu un’anticipazione della Prima Guerra Mondiale: comportò lo scavo di 120 chilometri di trincee e l’esplosione di 150 milioni di proiettili e cinque milioni di bombe e obici. L’assedio ebbe fine quando i francesi presero il bastione Malakoff, chiave della struttura difensiva. Nicola I non vide la sconfitta: era morto a marzo, e fu il figlio Alessandro II a firmare la pace nel marzo del 1856. Oggi, la guerra di Crimea occupa poche pagine nei libri di storia, eppure ebbe ripercussioni decisive. In primo luogo, la Russia, risentita perché la mobilitazione austriaca le aveva impedito di ottenere la vittoria nella prima fase del conflitto, non mosse un dito per aiutare l’Austria quando fu sconfitta dai francesi e dai piemontesi, e successivamente dai prussiani, il che portò alla nascita dell’Italia e della Germania unificate. In secondo luogo, la Russia non smise di alimentare il nazionalismo slavo nei Balcani, e questo impiantò i semi della Prima Guerra Mondiale. Terzo, l’anelito espansionistico russo, frustrato in Europa, si indirizzò verso l’Asia Centrale. Le conseguenze all’inter-
no della Russia furono enormi. La sua arretratezza economica e tecnologica, che la condusse alla sconfitta, si tradusse in misure di modernizzazione come la liberazione dei servi della gleba e l’apertura politica sotto Alessandro II, successore di Nicola I. La difesa di Sebastopoli acquisì un carattere leggendario e fece della Crimea una parte sostanziale dell’identità russa. Nel 1954, Nikita Krusciov (ucraino e presidente dell’Unione Sovietica) ordinò la cessione della Crimea all’Ucrania, che mantenne la penisola alla dissoluzione dell’URSS nel 1991. Non sorprende, quindi, che nel 2014 il presidente russo Vladimir Putin abbia deciso di occupare questo territorio, rivendicato dal nazionalismo russo. Per saperne di più
SAGGI
Crimea. L’ultima crociata Orlando Figes. Einaudi, Torino, 2015. La guerra di Crimea (1853-1856) Alberto Caminiti. Liberodiscrivere, Genova, 2013. TESTI
I racconti di Sebastopoli Lev Tolstoj. Garzanti, Milano, 1995.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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NASCE LA FOTOGRAFIA DI GUERRA Grazie allo sviluppo della fotografia, la guerra di Crimea fu il primo conflitto della storia che i lettori dei giornali poterono «vedere» quasi in diretta mentre si svolgeva. Poiché i mezzi tecnici dell’epoca impedivano di fotografare scene in movimento, le immagini si limitavano soprattutto a ritratti con personaggi in posa e a paesaggi.
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GRANGER / ALBUM
l carattere statico delle riprese fotografiche era dovuto al fatto che l’immagine si formava su una lastra di vetro che doveva rimanere esposta per circa 20 secondi. Poiché si trattava di immagini accuratamente
preparate, non si può dire che riflettessero fedelmente la guerra. A questo contribuiva anche un altro fattore: né James Robertson né Robert Fenton, i due britannici che diedero testimonianza fotografica del conflitto, presen-
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Questi soldati del 68. reggimento di fanteria di Durham probabilmente sudavano sotto i cappotti: la fotografia di Fenton voleva mostrare un esercito equipaggiato per il freddo, ma l’inverno era già passato. La foto accanto ritrae o l’accampamento del 68. della Guardia dei Dragoni, con soldati inglesi e francesi che chiacchierano; la donna è la moglie del soldato Rogers. Alcune donne accompagnavano i mariti e in cambio cucinavano e svolgevano diversi lavori per i loro reggimenti.
tarono immagini di combattenti morti. Farlo non avrebbe contribuito all’opinione inglese favorevole né alla giustizia della causa. Infatti, Fenton si recò in Crimea come fotografo ufficiale, in quello che era un tenta-
tivo di dare un’immagine positiva in contrapposizione con le cronache di William Howard Russell, corrispondente del Times, critico con la conduzione della guerra e con le penose condizioni di vita dei soldati inglesi. La camera oscura su ruote di Roger Fenton. Il veicolo era il laboratorio del fotografo in Crimea e il luogo in cui sviluppava le sue immagini. L’uomo seduto a cassetta è Marcus Sparling, l’assistente di Fenton. Fotografia del 1855.
FOTOGRAFIE: NATIONAL ARMY MUSEUM, LONDON / ART ARCHIVE
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L’aiuto chirurgo Henry Wilkin, dell’11. reggimento degli Ussari, destinato alla Brigata Leggera. Come chirurgo, Wilkin non era tenuto a seguire il suo reggimento nella carica, ma il 25 ottobre lo fece. Lui e il suo cavallo ne uscirono completamente indenni.
Il porto di Balaklava era il centro logistico inglese. La scelta non fu molto azzeccata: le navi si ammucchiavano davanti a un molo di soli 30 metri e a 15 lunghi chilometri dal fronte. I negozi e le taverne attiravano i soldati in licenza.
Valle della Morte. Non è la valle omonima in cui caricò la Brigata Leggera. Il suo aspetto desolato e le palle di cannone che Fenton dispose artisticamente la resero la foto più popolare della guerra: a Londra era in vendita per 5 scellini. ART ARCHIVE
GRANDI SCOPERTE
BRONZO A di Riace.
Ha una fascia intorno ai capelli, i suoi occhi guardano l’orizzonte e la bocca di bronzo lascia intravedere denti d’argento. Museo Archeologico, Reggio Calabria.
Gli splendidi guerrieri di bronzo giunti dal mare Nel 1972, un subacqueo compì a Riace, sulla costa della Calabria, una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi decenni
SCALA, FIRENZE
1972
MARE ADRIATICO
MAR MEDITERRANEO
REGGIO CALABRIA
Riace
bronzo delle stesse dimensioni. Il giovane aveva appena scoperto due dei pezzi scultorei più affascinanti dell’arte greca classica, due guerrieri nudi e armati al modo eroico, di quasi due metri di altezza. Il giovane comunicò la scoperta alla soprintendenza alle antichità di Reggio Calabria che organizzò il trasporto dei due colossi al Museo Archeologico di Reggio, 130 chilometri a ovest, dove furono oggetto di un restauro d’urgenza. I lavori di recupero proseguirono nel
Il sub Stefano Mariottini scopre nelle acque di Riace due sculture di bronzo di due metri di altezza.
1974
Centro di restauro della soprintendenza toscana tra il 1974 e il 1980, anno in cui i bronzi furono esposti a Firenze dove, in due mesi, più di mezzo milione di visitatori li ammirò. Nel 1981 giunsero al Palazzo del Quirinale a Roma, dove richiamarono trecentomila visitatori in 14 giorni. Infine arrivarono al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, dove furono visti da più di ottomila persone al giorno nelle prime settimane.
Le analisi Il lavoro compiuto dagli esperti sulle due statue rivelò che esse erano state realizzate con il sistema della fusione a cera persa. Questo metodo comportava che, su di uno scheletro in ferro, fosse modellata una figura in argilla; dopo la cottura, si sovrapponeva uno strato di
Primi lavori di restauro delle due statue. Esse saranno esposte per la prima volta al pubblico nel 1980.
BRONZO B DI RIACE. MUSEO ARCHEOLOGICO, REGGIO CALABRIA.
1992-1995
Sottoposte a un nuovo restauro, le opere vengono pulite all’interno con un bisturi a ultrasuoni.
SCALA, FIRENZE
I
l piccolo centro di Riace, situato sulla costa ionica della Calabria, è stato teatro di uno dei più importanti ritrovamenti archeologici avvenuti nell’ultimo mezzo secolo. Il 16 agosto 1972, un giovane appassionato di immersioni subacquee, Stefano Mariottini, si recò a pesca davanti alla località Porto Forticchio di Riace Marina. Nel corso di un’immersione, a otto metri di profondità e a duecento metri dalla costa, vide un braccio che spuntava dalla sabbia e cercò di estrarlo, ma il peso del gigantesco corpo di bronzo di cui esso era parte non glielo permise. Nelle vicinanze si trovava un altro corpo di
cera, che veniva lavorata fin nei minimi dettagli. Il modello veniva coperto con un involucro esterno di terra nel quale si versava il bronzo incandescente, che andava così a sostituirsi alla cera.
2015
Chiuso diversi anni per ristrutturazione, il Museo Archeologico di Reggio Calabria torna a esporre i bronzi.
IL RITROVAMENTO STEFANO MARIOTTINI, scopritore dei Bronzi di Riace, così
riferì il ritrovamento alla Soprintendenza di Reggio: «Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l’una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, l’altra risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo». Le statue furono recuperate il 21 e 22 agosto dai Carabinieri del nucleo sommozzatori, utilizzando un pallone gonfiato con l’aria delle bombole.
ARCHEO
STEFANO MARIOTTINI SORRIDENTE SULLA DESTRA IN POSA CON I BRONZI.
Negli anni Ottanta gli esperti di Reggio Calabria si resero conto che la terra argillosa usata per il modello di fusione era rimasta incrostata fra le parti di metallo e si era trasformata in un agente corrosivo, e che quindi era necessario eliminarla. Fra il 1992 e il 1995, nel laboratorio di restauro del museo di Reggio Calabria si svolse un delicato intervento: i restauratori introdussero nelle statue – in una di queste dal piede, nell’altra dall’occhio
– un braccio articolato dotato di una microcamera e di un minuscolo bisturi a ultrasuoni con cui vennero pulite le cavità più recondite di entrambe le sculture. I due bronzi, che pesavano 400 chili al momento dell’ingresso in laboratorio, ne uscirono più leggeri di 240 chili.
Guerrieri misteriosi Gli specialisti si interrogarono anche su altri aspetti delle opere, che continuavano a essere avvolti nel
mistero. Il primo di questi fu il luogo in cui erano stati trovati. L’ipotesi più ovvia era che fossero affondati con la nave su cui viaggiavano, ma accanto alle statue non venne ritrovato nessun relitto che potesse confermare questa teoria. Un’altra possibilità era che fossero stati gettati in mare dai naviganti durante una tempesta per alleggerire il carico dell’imbarcazione. Come afferma la Soprintendenza archeologica di Reggio Ca-
labria, un’ipotesi accreditata attribuisce la loro realizzazione in Attica nell’ambiente che ruotava attorno a Fidia, la statua A attorno alla metà del V secolo a.C., la B un trentennio dopo, quando già circolava una nuova sensibilità artistica in seguito incarnata al massimo grado da Policleto. L’identificazione dei bronzi è altrettanto controversa: atleti, personaggi storici o mitologici, parti di un unico gruppo scultoreo o pezzi inSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
Guerrieri pronti per la battaglia LESTATUEsembranorappresentaredueguerrieri,nudisecondoilmodelloeroico,chesipreparanoallabattaglia.
Il bronzo B, di fronte, sembra corrispondere a un personaggio più adulto del bronzo A, di spalle.
1 1. La parte superiore della testa è liscia, come se avesse indossato un elmo.
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2
5. Il braccio destro cade lungo il corpo, come se sostenesse una lancia.
2. La statua conserva uno degli occhi, in marmo e pietra colorata.
6. Il braccio sinistro è piegato, come se stesse sorreggendo uno scudo.
3. Le labbra della scultura sono di rame e i denti d’argento.
7. La gamba sinistra è leggermente avanzata rispetto alla destra, ed è piegata.
7
4 4. L’aspetto delle due statue denota la tensione del combattimento.
dipendenti. Fra le varie possibilità, i ricercatori negli ultimi tempi sostengono l’ipotesi che i due Bronzi raffigurino due comandanti militari, re oppure tiranni, armati come opliti (con scudo e lancia) e con il capo coperto da un elmo corinzio (kynê) di cui restano solamente alcune tracce. La somiglianza fra i due bronzi permette di ipotizzare che facessero parte di uno stesso gruppo scultoreo: forse, come propongono gli storici dell’arte Paolo Moreno e Daniele Castrizio, quello che rappresentava la lotta fratricida fra i figli di Edipo e Giocasta, Eteocle e 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Polinice, eroi venerati ad Argo. Castrizio suggerisce anche che le statue appartenessero a un gruppo di un celebre scultore in bronzo, Pitagora di Reggio (attivo nella seconda metà del V secolo a.C.), che Plinio il Vecchio, nella sua Storia naturale, descrive come colui che «per primo realizzò in maniera più accurata i nervi, le vene e i capelli». Le sue opere, come riferisce Taziano il Siro nel II secolo, erano esposte a Roma in epoca imperiale. In questo caso, si potrebbe ipotizzare che il gruppo sia stato imbarcato a Roma per essere portato a Costanti-
8
nopoli con tutta la collezione imperiale di opere d’arte per ordine di Costantino, ma che non sia mai arrivato a destinazione.
Artisti geniali Moreno, avvalendosi dei risultati delle analisi sulla terra usata per la fusione, che indicano Argo come possibile luogo della loro provenienza, ha proposto come autore del Bronzo A Agelada il Giovane, scultore di Argo e maestro di Mirone, Fidia e Policleto (450 a.C.), e del Bronzo B Alcamene il Vecchio, attivo in ambiente attico e coautore del precedente della decorazione scul-
8. Muscoli, vene e tendini esprimono la tensione che precede il passo.
torea del tempio di Zeus a Olimpia (440 a.C.). Anche se probabilmente non potremo mai rispondere con sicurezza a tutte le incognite che la scoperta dei bronzi di Riace ha posto, poche opere mostrano la maestria e la sensibilità estetica degli artisti dell’Occidente greco circa 2.500 anni fa quanto le due statue dei Bronzi di Riace. ELENA CASTILLO FILOLOGA E DOTTORESSA IN ARCHEOLOGIA
Per saperne di più Arte greca J. Boardman. Rusconi, 1995. www.archeocalabria.beniculturali.it/archeovirtualtour/ bronzi1.html
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L A S T O R I A N E L L ’A R T E
Il trionfale ingresso del re a Milano
SCALA, FIRENZE
E
ra forse proprio l’ingresso di Vittorio Emanuele II a Milano che il conte di Cavour aveva immaginato quando, nel luglio del 1858, aveva segretamente stipulato con Napoleone III a Plombières-les-Bains l’alleanza franco-piemontese. Di certo, aveva immaginato un’Italia unita e per questo aveva stretto un accordo che impegnava la Francia a soccorrere il Piemonte contro gli austriaci in seno alla seconda guerra d’indipendenza italiana. Il progetto unificatore, paradossalmente, portava con sé anche una perdita territoriale, quella di Nizza e della Savoia, da
RITRATTO DI VITTORIO EMANUELE II, LUIGI MUSSINI, PALAZZO PUBBLICO, SIENA.
cedere ai francesi. Fu sempre Cavour, in accordo con Napoleone, a suggerire a Vittorio Emanuele II la celebre frase pronunciata davanti al Parlamento Subalpino che scatenò gli eventi: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di Noi...».
L’Italia divisa reagì e si armò, al punto da indurre l’Austria a intimare il disarmo. Era la scintilla che Cavour, il Savoia e il Bonaparte attendevano: disattese le richieste asburgiche, Vittorio Emanuele si preparò ad affrontare l’attacco austriaco. Dall’aprile al giugno 1859, austriaci e piemontesi, ormai raggiunti dagli alleati francesi, si scontrarono fino alla decisiva battaglia di Magenta del 4 giugno che segnò la disfatta asburgica. Le forze indipendentiste avevano prevalso e la penisola si apprestava a vivere l’agnognata unità. Appena quattro giorni dopo lo scontro di Magenta, Vittorio Emanuele e Napo-
WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
Una pagina di storia risorgimentale che Michele Bisi celebra dipingendo l’arrivo a Milano del re di Sardegna e di Napoleone III
SCAMBI DI POTERE UNA STORIA travagliata quella di Milano che, come altre città, ha conosciuto per secoli l’occupazione straniera. Emblematico il fatto che i liberatori del 1859 abbiano sfilato proprio sotto quell’arco che, voluto da Napoleone Bonaparte nel 1807, venne ultimato per volere dell’imperatore d’Austria.
108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
1 Il vincitore
2 L’Arco della Pace
3 I vinti
Apre la sfilata trionfale il re di Sardegna, che in abiti militari porta anche il collare della Santissima Annunziata.
La sua costruzione fu voluta dai poteri che sulla città di Milano si alternarono: dai francesi agli austriaci.
A seguito della battaglia di Magenta e prima dell’arrivo dei franco-piemontesi, gli austriaci lasciano Milano.
INGRESSO A MILANO DI VITTORIO EMANUELE II E NAPOLEONE III,
M. Bisi, 1859, Civiche Raccolte Storiche, Museo di Milano.
2
3
1
leone entrarono in una Milano che, libera dagli austriaci, li accolse da trionfatori. È un evento che Michele Bisi raffigura in un’opera dai chiari tratti risorgimentali.
Un tricolore su tutti È con un acquarello su carta (cm 59 x 39) che l’artista sceglie di celebrare il trionfale ingresso dell’ultimo re di Sardegna e del futuro primo re d’Italia a Milano. Se la festante folla che accoglie i vincitori di Magenta potrebbe essere quella di una qualun-
L’epigrafe sull’arco «Entrando coll’armi gloriose / Napoleone III e Vittorio Emanuele II liberatori / Milano esultante cancellò da questi marmi / le impronte servili / e vi scrisse l’indipendenza d’Italia / MDCCCLIX».
que altra città, è lo sfondo a collocare i personaggi a Milano: dietro di loro, infatti, ben riconoscibile, si erge l’Arco della Pace. Tra due ali di cittadini in cui il pittore riunisce la popolazione tutta, avanzano solenni Vittorio Emanuele II su cavallo bianco e Napoleone III su cavallo nero. Al loro seguito, sfila l’esercito vittorioso. A unire simbolicamente le due sezioni in cui è divisa l’opera - quella sottostante affollata dai personaggi e quella sovrastante occupata da un
promettente cielo sereno - è la grande bandiera tricolore, che a Milano, come nelle altre città annesse al Regno di Sardegna, sventolava ad accogliere i sovrani liberatori. ANGELA G. GANGI ESPERTA IN STORIA
Per saperne di più SAGGI
Le grandi battaglie del Risorgimento Marco Scardigli. Rizzoli, Milano, 2011. Cavour Luciano Cafagna. Il Mulino, Bologna, 1999.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L I B R I E A P P U N TA M E N T I
ANTROPOLOGIA STORICA
Il comportamento sociale dei rivoluzionari francesi
R Haim Burstin
RIVOLUZIONARI Editori Laterza, 2016, 336 pp., 25 ¤
obespierre, politico e rivoluzionario francese, disse: «Cittadini, vorreste una rivoluzione senza rivoluzione?» A lui, l’autore del volume sembra fare eco con un’altra domanda: «Vorreste una rivoluzione senza rivoluzionari?» È da questo punto di partenza che Haim Burstin, professore di storia moderna presso l’Università di Milano-Bicocca e specialista di storia della Rivoluzione francese, parte per analizzare il fenomeno che nel 1789 sconvolse la Francia e il mon-
do intero. Il focus della ricerca si incentra sull’uomo rivoluzionario, in una sorta di indagine antropologica come lo stesso sottotitolo del volume anticipa. Al di là delle posizioni prese rispetto alla rivoluzione, oltre il senso di liberazione o di smarrimento che essa generò, oltre la costruzione di una nuova società e la distruzione di un vecchio regime, oltre l’immagine del rivoluzionario folle o patriota, della manichea opposizione tra bene e male, chi fece la rivoluzione furono
uomini, tout court. Il testo si propone quindi come un’analisi del comportamento sociale di coloro che, con i loro timori e le loro speranze, le loro utopie e i loro dubbi, decisero di cambiare il mondo partecipando ai vorticosi eventi della Rivoluzione. In tredici capitoli l’autore indaga come vissero i comuni parigini i turbinii rivoluzionari, come gestirono psicologicamente il passaggio dal passato a un ipotetico futuro tramite il convulso presente, come parteciparono e secondo quali modalità, come valutarono il radicalismo e l’estremismo del tempo, come immaginarono il nuovo mondo, come e perché si imbarcarono in una tempesta spesso ignorando dove e se sarebbero approdati. (A. Gangi)
SAGGI
L’OPTIMUM CLIMATICO MEDIEVALE – che vide il nord
Atlantico conoscere temperature relativamente calde a partire dal IX secolo – fu indubbiamente un fenomeno che favorì la navigazione e l’espansione vichinga. Il dato scientifico si rivelò quindi motore di un fenomeno storico che vide gli abili navigatori scandinavi aumentare la portata del loro raggio d’azione oltre le note rotte del Baltico e del Mare del Nord verso orizzonti decisamente più lontani: l’America. Dalle coste irlandesi facendo tappa in Islanda, i temerari drakkar affrontarono il fino allora gelido Atlantico giungendo in Groenlandia e nell’isola di Terranova. Ci vorranno secoli ALBERTO ROSSELLI perché Colombo ri-scopra I VICHINGHI IN AMERICA il continente americano. LE MUTAZIONI CLIMATICHE E L’ESPANSIONE VICHINGA OLTRE OCEANO Mattioli 1885
Alberto Rosselli
I VICHINGHI IN AMERICA Mattioli 1885, 2015, 69 pp., 6 ¤
110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Storia
I VICHINGHI IN AMERICA FAVORITI DAL CLIMA
Eric H. Cline
Armageddon La valle di tutte le battaglie
Bollati Boringhieri
ARMAGEDDON Eric H. Cline Bollati Boringhieri, 2016, 248 pp., 24 ¤
ABRAHAM LINCOLN Tiziano Bonazzi Il Mulino, 2016, 312 pp., 22 ¤
LA VALLE DI JEZREEL, in Israe-
IL SEDICESIMO presidente de-
le, ha visto epiche battaglie tra eserciti egizi e cananei, romani e bizantini. Qui, poco distante da Megiddo – in greco Harmagedon – secondo la Bibbia si svolgerà anche l’ultima battaglia, quella tra il bene il male. Un libro per scoprire la storia di un luogo di battaglie nella storia e oltre.
gli Stati Uniti, tra le figure più importanti e popolari della storia dell’Ottocento, in una biografia che ne ripercorre le scelte e la vita politica, dalla guerra di secessione americana alla liberazione degli schiavi, dal rafforzamento del potere federale fino al teatrale e fatale attentato del 1865.
STORIA DEL LIBRO
Aldo Manuzio, il primo editore moderno
BIBLIOTHÈQUE MUNICIPALE, TOURS
C
ADAGIA, ERASMO DA ROTTERDAM, VENEZIA, ALDO MANUZIO, IX 1508.
elebrato lo scorso anno il cinquecentenario della morte di Aldo Manuzio, si è aperta a Venezia una mostra che ne celebra l’attività di umanista e editore. Nelle Gallerie dell’Accademia, si possono infatti ammirare i volumi da lui pubblicati in vent’anni di attività a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Considerato tra i maggiori editori di sempre, Aldo Manuzio rivoluzionò il mondo del libro fino a tracciare le basi dell’editoria moderna. A lui si devono per
esempio l’uso della punteggiatura, così come la conosciamo oggi, l’introduzione del carattere corsivo, l’ideazione di un formato più maneggevole che precorre i tascabili odierni, nonché l’elaborazione stessa delle “divine” proporzioni di pagina e grafica. Fu grazie a lui che il libro uscì dai tradizionali ambiti di studio per entrare nel quotidiano di un pubblico sempre crescente, nelle case dell’attiva e culturalmente vivace Venezia che allora ne ammirò l’operato e che oggi
ne celebra l’arte. Come se gli splendidi libri di Manuzio non fossero già un’attrattiva sufficiente, la mostra espone anche capolavori di Lorenzo Lotto, Giorgione e Tiziano che, come l’editore, crearono capolavori ispirandosi al mondo classico. All’arte di Manuzio si rivolsero anche intellettuali di respiro internazionale quali Erasmo da Rotterdam che di lui scrisse «Aldo ha intenzione di costruire una biblioteca la quale non abbia altro confine che il mondo stesso». (A.G.) Aldo Manuzio il rinascimento di Venezia LUOGO Gallerie dell’Accademia, Campo della Carità, 1050, Venezia TELEFONO 041 5200345 WEB www.mostraaldomanuzio.it DATE Fino al 19 giugno 2016
TESORI REALI
La galea dei dogi alla corte sabauda missionare, nel 1729, un’imbarcazione da parata per la navigazione fluviale. E non poteva che rivolgersi ai maestri veneziani per la sua costruzione: quanto uscì dai cantieri fu una galea lunga 16 metri e larga oltre 2,5 che ancora oggi si mostra in tutta la sua spettacolarità nell’altrettanto spettacolare cornice della Venaria Reale. (A.G.) La Regia Scuderia. Il Bucintoro e le Carrozze Regali LUOGO Scuderia Juvarriana della Reggia, Venaria Reale TELEFONO 011 4992333 WEB www.lavenaria.it DATE Fino al 31 dicembre 2016
FONTE: CONSORZIO LA VENARIA REALE
R
iaperta lo scorso marzo, l’imponente scuderia Juvarriana della Reggia di Venaria Reale espone capolavori altrettanto imponenti: le ottocentesche carrozze di gala sabaude, tra cui anche la berlina dorata, e una splendida “carrozza acquatica”, il bucintoro, la tradizionale galea che i dogi di Venezia usavano per lo sposalizio con il mare. Da Venezia a Torino, dai dogi ai Savoia, il passo non sembra così automatico, eppure quello esposto nella residenza sabauda è l’unico esemplare di bucintoro rimasto al mondo. Fu Vittorio Amedeo II di Savoia a com-
IL BUCINTORO, 1729, REGIA SCUDERIA JUVARRIANA, REGGIA DI VENARIA REALE (TO).
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ITINERARI
Cambridge Gand
3 TRINITY COLLEGE
Cambridge, Regno Unito; www.trin.cam.ac.uk
I percorsi di Storica
Narra la leggenda che sia nella New Court che Isaac Newton intuì la legge di gravità. Qui ancora fiorisce il melo sotto cui lo scienziato meditò. Per vederlo, si torna a scuola.
1 COLOSSEO
Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica
Piazza del Colosseo, Roma; www.turismoroma.it
«Finché esisterà il Colosseo, esisterà Roma; quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo» (Profezia, VIII secolo).
fase di indagine e studio, quindi non ancora visitabile, l’antico forum dalle imponenti dimensioni di 140 m di lunghezza per 40 di larghezza. Tra le strutture religiose restano poi la basilica, di cui sono ben distinguibili le fondamenta, il tempio di Apollo su cui oggi sorge la chiesa di San Pietro e il tempio di Ercole. pagina 22
la battaglia di pidna Sconfitto da Emilio Paolo nella battaglia di Pidna del 168 a.C., l’ultimo sovrano di Macedonia, Perseo, venne condotto nella capitale dell’impero che ne segnò il declino, Roma, per poi essere confinato, sino alla sua morte, ad Alba Fucens. A quasi 1000 metri di altitudine, nei pressi del monte Velino, nell’attuale provincia de L’Aquila, il centro era una colonia di diritto latino fondata nel IV secolo a.C. la cui posizione arroccata e strategica le valse il ruolo anche di luogo di detenzione. Oggi Alba Fucens è un sito archeologico racchiuso da una possente cinta muraria lunga circa 3 km al cui interno gli archeologi hanno riportato alla luce le antiche strutture della vita civile e religiosa, tra cui il macellum, le taberne e le immancabili terme, i cui locali venivano scaldati con il sistema a ipocausto. Di notevole rilevanza è poi l’anfiteatro risalente al I secolo d.C., mentre è tuttora in 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Roma
Vespasiano e poi inaugurato da Tito nell’80. Con un’ellisse il cui perimetro misura 527 m, un’arena interna di 86 x 54 m e un’altezza che sfiora i 50, la sua imponenza è oggi come allora sotto gli occhi di tutti, ma nella Roma antica, celata agli spettatori rimaneva invece la brulicante attività che si svolgeva nei sotterranei, vera “cabina di regia” degli spettacoli messi in scena per lo stupore delle folle. Non sempre accessibile, vale certo la pena scoprire quando è possibile entrare nel “cuore” del Colosseo per scoprire i segreti del monumento che da 2000 anni sembra eterno quanto la città che lo ospita.
pagina 46
commodo
Tanto risaputa la grande passione di Commodo per i giochi, che l’itinerario a lui dedicato non può che essere il “tempio” per eccellenza dei gladiatori: il Colosseo 1 . L’anfiteatro Flavio, il più grande del mondo con una capienza di 75.000 spettatori, era tra i simboli della Roma antica e lo è ancora oggi, inserito nella lista dei Patrimoni dell’umanità dall’UNESCO, nonché nella lista delle Nuove sette meraviglie del mondo. E a ragione. Ci vollero 100.000 metri cubi di travertino e 300 tonnellate di ferro per costruire l’edificio voluto da
pagina 56
carlo v Il sovrano sul cui regno “il Sole non tramontava mai”, era nato nel 1500 a Gand 2 , in Belgio, nelle Fiandre Orientali. Prima tappa di visita della città è sicuramente il castello dei Conti di Fiandra, di origini medievali e accuratamente restaurato il secolo
2 GAND
Fiandre Orientali, Belgio; www.visitgent.be Sebastopoli
Nel Cinquecento, Gand era tra i maggiori centri d’Europa tanto che Carlo V pare disse: «Je mettrai Paris dans mon Gant/d» giocando sull’omofonia tra la parola guanto e Gand.
4 SEBASTOPOLI
Crimea, Russia; ww.discover-ukraine.info
Poco distante dalla città si trova la celebre valle della morte, dove nel 1855 la carica della brigata leggera ispirò il poema di lord Tennyson The Charge of the Light Brigade.
scorso. Mirabile esempio di architettura gotico-brabantina è poi la cattedrale di San Bavone che conserva imperdibili capolavori di arte fiamminga tra cui il Polittico dell’Agnello Mistico dei fratelli van Eyck e il San Bavone di Rubens. Da non perdere poi le tipiche Graslei e Korenlei, la Riva delle Erbe e del Grano, le due banchine sul fiume Leie su cui si affacciano le caratteristiche case delle antiche Corporazioni, nonché il Municipio in cui si fondono mirabilmente stile rinascimentale e gotico fiammeggiante, e infine la celebre torre civica che conserva ancora i privilegi della città ricevuti nel 1180 e che dai suoi 95 metri di altezza domina l’intera città di Gand.
anche al suo interno. Le loro idee, tanto distanti geograficamente si riunirono però in un unico luogo, Costanza, per essere dichiarate eretiche dal Concilio che in città si tenne a partire dal 1414. In quello che oggi si presenta come un pittoresco centro del sud della Germania affacciato sul lago di Costanza, la Altstadt (Città Vecchia), ricorda il Concilio con una targa che raffigura tre pavoni incoronati dalla tiara a evocare i tre papi che al tempo si contendevano la legittimità del proprio titolo: Gregorio XII a Roma, Benedetto XIII ad Avignone e Giovanni XXIII a Pisa. In Hussenstraße 64, si trova invece la Hus-Haus, la casa nella quale il predicatore soggiornò durante la sua permanenza in città e che è oggi una casa-museo nella quale scoprire la vita e l’atmosfera di Costanza ai tempi del Concilio. Fu invece nel castello di Gottlieben, nel vicino canton Turgovia che Hus venne imprigionato prima del rogo, lo stesso nel quale venne rinchiuso anche il deposto Giovanni XXIII. Sempre a Costanza, il luogo in cui il predicatore venne arso è segnalato da un masso commemorativo. Fu lo stesso Concilio poi a individuare l’ispiratore di Hus in Wyclif che, seppur morto trent’anni prima, non scampò alla medesima pena: i suoi resti vennero infatti riesumati per poi essere arsi.
pagina 80 pagina 68
riformatori Dall’Inghilterra e dalla Boemia, Wyclif e Hus predicarono una religione che, nell’Europa divisa del loro tempo, sfidò la potente Chiesa di Roma, già divisa
newton È il 1661 quando il diaciannovenne Isaac Newton entra nell’antico e prestigioso Trinity College di Cambridge 3 . Fondato nel 1546 da Enrico VIII, era ed è ancora uno dei più stimati istituti
inglesi. Qui Newton studiò, qui formò la sua geniale mente e qui si possono ancora trovare le tracce di uno dei più celebri studenti che il college abbia avuto. Oltre alle stanze in cui il giovane Newton visse durante gli anni di studio, ai ritratti e alla statua a lui dedicata nell’anticamera della Cappella, merita di certo una visita la Wren Library, la biblioteca che, in un’unica grande sala sopra il colonnato aperto della Nevile’s Court, preserva veri tesori. Tra oltre 700 incunaboli, sono infatti conservati anche il libro di appunti di Newton, nonché la prima copia della sua Philosophiae Naturalis Principia Mathematica recante anche note scritte a mano per la seconda edizione.
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guerra di crimea All’estremità sudoccidentale della penisola di Crimea, affacciata sul mar Nero, Sebastopoli 4 deve alla sua strategica posizione geografica secoli di guerre e assedi. Di quello storico del 1854-55, la città commemora il ricordo con il museo Panorama, una struttura che, in un edificio di forme neoclassiche, conserva un dipinto circolare di Franz Roubaud dalle imponenti dimensioni - 115 metri di lunghezza per 14 di altezza. Ammirata dal centro della sala, l’opera permette al visitatore di immergersi nella scena dell’assedio rappresentato, creando appunto un effetto panoramico che dà nome al museo stesso. Altra istituzione da non perdere è poi il Museo della flotta del mar Nero che, in otto sale, riunisce 30.000 pezzi di storia militare marittima, compresi anche reperti risalenti alla guerra di Crimea. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero SIRIA, UN PATRIMONIO IN PERICOLO
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NOVE MILLENNI di storia hanno fatto della Siria un eccezionale crocevia di culture. Pellegrini, viaggiatori e archeologi occidentali si sono arresi al fascino emanato da luoghi come Apamea, Ugarit, la Damasco islamica o la mítica Palmira; un patrimonio storico eccezionale che al giorno d’oggi viene drammaticamente minacciato dal terrorismo islamico.
TRECENTO, IL SECOLO DELLA GRANDE CRISI
BRIDGEMAN IMAGES
IL DUECENTO fu forse il secolo più felice
per l’Europa, con un netto miglioramento delle condizioni di vita: la peste era sparita, la mortalità regredita, generando un incremento demografico; l’economia si sviluppava. Ma le continue guerre, il peggioramento delle condizioni climatiche, lo squilibrio tra popolazione e risorse, le carestie e la peste segneranno il Trecento come uno dei secoli più bui per il continente. GLI APPESTATI. MINIATURA DEL XIV SECOLO.
114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
La fine della tirannia ad Atene L’assassinio del tiranno Ipparco nel 514 a.C. fu seguito dal regno di terrore di suo fratello Ippia, che venne infine cacciato da Atene dagli aristocratici.
Pirro, re dell’Epiro Ambizioso fino alla spregiudicatezza, è stato fra i massimi condottieri dell’età ellenistica, senza però riuscire a consolidare l’esito delle sue numerose vittorie.
La Costantinopoli di Giustiniano Nel VI secolo d.C., l’imperatore Giustiniano abbellì la capitale dell’Impero bizantino con edifici grandiosi, fra cui risaltava la basilica di Santa Sofia.
Dracula, il principe di Valacchia Ostaggio durante l’infanzia del sultano ottomano, il principe Vlad di Valacchia divenne l’incubo dei turchi e dei suoi nemici, che lo conoscevano come l’Impalatore.
L’India dei maharaja Durante la dominazione britannica dell’India, decine di piccoli re vivevano in splendidi palazzi circondati da ricchezze che con il tempo divennero leggendarie.
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ALLA SCOPERTA DELL’ANTICA CINA PER LA PRIMA VOLTA IN EUROPA, DOPO UN VIAGGIO DI 2500 ANNI E 10000 KM, I SEGRETI DELL’ULTIMO REGNO PRIMA DEL CELESTE IMPERO
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A Roma anche la plebe senza fissa dimora vive senza produrre nulla, mantenuta dalle elargizioni dello Stato. Ecco, ancora di Ammiano Marcellino, una vivida descrizione di questi imitatori di bassa lega dell’otium aristocratico:
Nella folla più bassa e povera, alcuni passano tutta la notte nelle osterie, altri vanno a dormire sotto i tendoni del teatro che Catulo... quando era edile, fece stendere sopra gli spettatori. Oppure giocano con accanimento a dadi e fanno suoni volgari richiamando rumorosamente l’aria nelle narici; infine, ed è la loro massima passione, dall’alba al tramonto, che ci sia sole o pioggia, se ne stanno a p rimarcarne pregi e difetti. Ed è davvero stupefaceng e cavalli per osservare aurighi a ta dalle corse dei cocchi. Questa rapita a a e rapi entusiasmat a a, entusiasmata smisurat lla smisurata, ffolla v dere una fo ve te vedere ia nulla di serio.12 faccia permettono che a Romaa si facc enere non permett d l ggenere e altre cose del
Molti produttori fuggono dall e loro sedi per sotttrar rarsi alla ll schi hiavitù, che è abituale per i debitori insolven ti, ma la maggior parte dei terr itori è oramai presidiata da aristocrazie dom inanti... La procedura corretta e statu ita nei trattati è di restituire i fuggiaschi, ma ciò non sempre avviene perc hé via via che i produttori si riducono di mero diventano più preziosi - nue le aristocrazie sono sempre più interessate a rein ei teg tegr grare are il proprio settore produttiv o. Nel crollo miceneo gli arch eologi hanno rilevato una inte ressante stranezza: dopo le distruzioni viol ente dei grandi palazzi che dom inavano da secoli la società e la scompars a dei wanax, i potenti signori in essi residenti, per due o tre generazioni inte rviene una sorta di recup pero in n cui i palazzi vengono in parte rip ripr ip priistin istin nati. aati ti. Ora, in una società ideologizzata in senso aristocratico ma in cui è anco ra presente una classe media legata ad antiche tradizioni nomadico-egu alitarie, come appunto il damos, e non sottomessa, se il settore produttiv o via via si indebolisce questa finisce in sofferenza e, arrivati al primo punt o di crisi – quello delle «sedizioni e sommosse» – può essere in grado di rimuovere violentemente la classe dominante. Ciò sgrava il settore produttivo di un grosso peso e migliora la situa zione. Ma i vittoriosi esponenti delle classi medie, trovandosi ora al verti ce della società e ancora ispirati dai mod elli aristocratici, prendono subito a scimmiottare i vecchi grandi signo ri, continuano a spremere “troppo” il settore produttivo, producendo il secondo e definitivo tracollo. E a Tirinto gli archeologi hanno appu nto reperito le tracce dell’ascesa al potere sociale di una classe alta nuov a ma inclinata a replicare i vecch i modelli in n Fo Forest of o Ki Kin K ng , di Lin ng Li d studiosi sempre lod da SSch helle e Daavid vid Fre F ide evolmente tesi a id l,l d due sinto anti toniizzarsi sulla me tichi M Maya: ntalità degli All’in izio del periodo cla ssico [la nobiltà] comprendeva un mente piccola del a parte relativala popolazione, ma [già poco dopo] velocemente nei essa stava crescend numeri e nei privil o egi . Più alti in media del resto della po di dieci centimetr polazione, [i nobil i i] usufruivano dei quota maggiore del cibi migliori e di le risorse economi una che, per cui avevan bilità di avere figli o maggiori probache raggiungessero l’età adulta. Dato nascevano in una che tutti coloro che famiglia nobile po tev ano esercitare prerogati ci vollero troppi sec ve da élite, non oli di prosperità per ché si formasse un mensioni sufficie ’aristocrazia di dinti per essere un problema per i gov per i contadini.18 erni e un n peso notev evo ole o le
seta per Ma per l’economia complessiva l’incremento dell’industria della comul’aristocrazia non compensa il crollo di quella della lana per l’uomo omogenea ne: stiamo assistendo alla transizione da una società più ricca e di stracci a una più povera e differenziata, in cui una maggioranza vestita convive con una minoranza abbigliata in modo raffinato. con la E il decorso successivo dell’economia presenta ulteriori analogie e, in decadenza romana: spopolamento, crescita oppressiva della fiscalità a certe regioni, diffusione di agri deserti e penuria colonorum:
nel corso di Nel 1675 il veneziano Mocenigo giungeva alla conclusione che popolazione, quarant’anni gli stati pontifici avevano perso un terzo della loro incolti per mentre le tasse nel contempo erano raddoppiate. I campi restavano 39 mancanza di contadini, di animali da tiro e di denaro.
Che cosa succede in una società in cui le classi alte acquistano un dominio tanto forte sul settore produttivo da poterlo spremere impunemente fino, addirittura, a “consumarlo”? Logicamente si verifica un tracollo, e questo spiega in modo semplice i modi della decadenza e scomparsa di molte antiche civiltà e, più di recente, il grave impoverimento di Italia e Spagna nel Seicento Ma come mai nel Seicento, mentre Italia e Spagna decadono, l’Olanda prospera e l’Inghilterra comincia la sua spettacolare ascesa verso la rivoluzione industriale? Qui l’indagine porta a conclusioni nuove e politicamente scorrette, confermando, tra molte altre cose, l’intuizione di Luciano De Crescenzo: «In Italia gli Inglesi sono i Milanesi» È così che il latino humilis, “umile”, arrivato nell’inglese attraverso il franco-normanno, risolve l’indebolimento della seconda sillaba con il glide b: humilis > humb(i)lis > humble. Nel nostro caso il glide è g, ma la dinamica è identica e il passaggio e > a non è problematico...: em matico : *enili matico...: enili > ang(i)li ang n (i)li > angli. ang ngli. i