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GRATTACIELI LA NASCITA DELLA METROPOLI MODERNA
ALESSANDRO MAGNO LA BATTAGLIA DI GAUGAMELA
IL SALVATAGGIO DI ABU SIMBEL IL TRASFERIMENTO DEI TEMPLI NUBIANI
NABUCODONOSOR
art.
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L’ULTIMO VIAGGIO DEL CONQUISTATORE
N. 108 • FEBBRAIO 2018 • 4,95 E
GENGIS KHAN
periodicità mensile
IL RE CHE RIPORTÒ LA GLORIA A BABILONIA
EDITORIALE
ulan bator. Per quasi settant’anni – dal 1924 al 1990 – nella capitale mongola nessuno parlava di Gengis Khan, se non sottovoce. Da quando l’enorme territorio tra la Siberia e il deserto del Gobi era entrato nell’orbita sovietica (divenendone il primo stato satellite in Asia centrale) si cercava in tutti i modi di cancellare la memoria di quell’odiato invasore, i cui eredi per trecento anni – dal 1220 al 1552 – avevano dominato la Russia. Agli stessi russi sarebbero serviti altri trecento anni per affrancarsi e diventare, a loro volta, padroni dell’Asia; ma il fondatore della dinastia mongola era rimasto il loro incubo storico per eccellenza, da cui ci si doveva liberare, e per sempre. La storia, però, gioca spesso brutti scherzi: negli anni novanta del secolo scorso, parallelamente alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la figura del sanguinario principe venne riabilitata. Deposte le statue dei padri socialisti, oggi la capitale della nuova repubblica parlamentare è sorvegliata da un’effigie di Gengis Khan, scolpita in pietra candida e scintillante. Nel 2006, poi, si celebrarono gli 800 anni dall’unificazione delle tribù mongole a opera dell’eroe nazionale, insieme all’inizio dell’epopea del khanato: una vicenda cruenta ma di indiscutibili successi militari, che aveva portato un piccolo popolo nomade alla conquista di un regno più vasto di quello di Alessandro Magno (con il quale il sovrano mongolo condivide il destino di giacere in un luogo di sepoltura sconosciuto) o di quello napoleonico. E subito, naturalmente, qualche studioso ha proposto per il nostro controverso personaggio la nomina a primo, vero «padre della globalizzazione»... ANDREAS M. STEINER Direttore
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8 NEWS 12 GRANDI INVENZIONI La pistola a ruota
Nel 1515 apparve una nuova arma con un meccanismo, quello dell’acciarino a ruota, che permetteva di portare la pistola carica, pronta per sparare.
14 EVENTO STORICO Il naufragio del Batavia
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Nel 1629 i naufraghi di un galeone olandese finirono nelle mani di uno dei superstiti, che provocò un massacro.
120 GRANDI ENIGMI Martin Guerre
Nel XVI secolo comparve in un villaggio sui Pirenei francesi un uomo che si faceva passare per un concittadino partito per la guerra anni prima.
124 GRANDI SCOPERTE La tomba di Sennedjem
Nel 1886 lo spagnolo Eduard Toda penetrò nella tomba inesplorata di un artigiano di Deir el-Medina, piena di tesori e decorata con eleganti pitture.
20 VITA QUOTIDIANA L’Atene ottomana
Nel XVIII secolo Atene era una cittadina ottomana che richiamava turisti attratti dalla sua eredità classica.
24 DATA STORICA La bicicletta emancipatrice
Alla fine del XIX secolo la bici permise alle donne un’inedita libertà di movimento e scandalizzò i detrattori dell’emancipazione femminile. 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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26 L’OPERA DI SALVATAGGIO DEI TEMPLI NUBIANI LA COSTRUZIONE della diga di Assuan, a metà del secolo scorso, minacciava di sommergere un gran numero di monumenti faraonici di Egitto e Sudan. All’appello dell’UNESCO per salvare i templi nubiani risposero decine di Paesi, che investirono tempo e denaro per evitare che un patrimonio millenario, con templi emblematici come quelli di Abu Simbel, sparisse per sempre. DI ESTHER PONS MELLADO I DUE TEMPLI DI ABU SIMBEL, DEL XIII SECOLO A.C., FURONO TRASPORTATI 60 METRI PIÙ IN ALTO PER SALVARLI DALLE ACQUE.
44 Nabucodonosor II, leggendario re di Babilonia Il sovrano governò sul Vicino Oriente con pugno di ferro e arricchì la sua capitale, Babilonia, con meraviglie come la porta di Ishtar, l’acceso alla città. DI BARBARA BÖCK
66 Donne di Roma Nell’antica Roma alcune donne non si rassegnarono a un ruolo secondario e riuscirono a farsi rispettare, ad avviare attività imprenditoriali e a influire in politica. DI MARÍA ISABEL NÚÑEZ PAZ
78 Alla ricerca della tomba di Gengis Khan Il luogo dove sono sepolte le spoglie del più grande conquistatore della storia resta, a quasi otto secoli dalla sua morte, un mistero avvolto nella leggenda. DI ANDREW CURRY
54 La battaglia di Gaugamela Nel 331 a.C. un giovane Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III, al comando di un esercito molto più grande, e s’impadronì di quello che era stato il maggior impero d’Oriente. DI BORJA ANTELA-BERNÁRDEZ
90 L’esplosivo Guy Fawkes Dopo anni di conflitti religiosi, nel novembre del 1605 la cospirazione cattolica di Guy Fawkes mirava a far saltare in aria il parlamento di Londra. La missione fallì, ma la sua eredità perdura. DI JAMES SHARPE
102 La nascita della metropoli moderna Agli inizi del novecento New York fu lo scenario di una vertiginosa “corsa verso il cielo” il cui risultato, lo skyline di Manhattan, divenne il simbolo della metropoli moderna. DI JOHNATAN GLANCEY
ALESSANDRO MONTA IN SELLA A BUCEFALO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
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GRATTACIELI
Pubblicazione periodica mensile - Anno VIII - n. 108
ALESSANDRO MAGNO LA BATTAGLIA DI GAUGAMELA
IL SALVATAGGIO DI ABU SIMBEL IL TRASFERIMENTO DEI TEMPLI NUBIANI
NABUCODONOSOR IL RE CHE RIPORTÒ LA GLORIA A BABILONIA
GENGIS KHAN L’ULTIMO VIAGGIO DEL CONQUISTATORE
EFFIGIE DI GENGIS KHAN. PLACCA IN BRONZO NEL TSENKHERMANDAL, VICINO AL LAGO AZZURRO, DOVE GENGIS VENNE SCELTO COME KHAN DEI MONGOLI. JAMES L. STANFIELD / NGS
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6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ARCHEOLOGIA Petra, Luxor, Palmira, Pompei...
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NEWS
SEGNI DEI TEMPI.
Pittogrammi sulla principale parete di arte rupestre di Sunburst Shelter. Comprende pitture nello stile del fiume Pecos che vanno dal 2700 a.C. al 600 d.C.
ARTE RUPESTRE
In difesa dei primi “testi”americani Nei canyon del Texas si possono trovare pitture rupestri che vanno dal 2700 a.C. al 1500 d.C. Un nuovo progetto mira a conservarle come immagini hi-tech
V
idero arrivare gli europei e li disegnarono: uomini a cavallo e figure in abiti spagnoli. Già molto tempo prima, circa 4700 anni fa, i cacciatori-raccoglitori del sud-ovest degli Stati Uniti dipingevano scene della vita quotidiana nei canyon punteggiati di cactus, dove il 8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
fiume Pecos incontra il Rio Grande. Così questi antichi abitanti del Texas sudoccidentale fissarono le storie dell’America delle origini.
Salvati dalla minaccia I siti sono stati documentati per la prima volta negli anni trenta del novecento, e da allora sono stati fatti
enormi passi avanti nell’interpretazione delle vivide narrazioni delle pitture parietali. Ma questa cronaca unica di migliaia di anni di storia umana, che contiene la chiave per comprendere la visione del mondo delle antiche società americane, è in pericolo. Molti siti sono andati perduti con
la costruzione delle dighe sul Rio Grande nel 1969, e quelli superstiti sono costantemente minacciati da ulteriori inondazioni. Ma c’è qualche speranza. Il Centro Shumla per la ricerca e l’educazione archeologica, con sede a Comstock, nel cuore della zona del basso Pecos, ha trovato un modo per pre-
I RICERCATORI DELLO SHUMLA OSSERVANO E PRENDONO APPUNTI A CRAB SHELTER, CON IL FIUME DEVILS SULLO SFONDO.
servare le pitture rupestri per i posteri. Fondato nel 1998 dall’archeologa Carolyn Boyd, lo Shumla ha avviato un progetto triennale per effettuare una documentazione completa dei siti di arte rupestre della contea di Val Verde. Il progetto Alexandria, così chiamato in onore della leggendaria biblioteca
FOTO: JEROD ROBERTS, SHUMLA ARCHAEOLOGICAL RESEARCH & EDUCATION CENTER
UNA PITTURA policromatica di Crab Shelter, datata 1200 a.C. grazie al metodo del radiocarbonio. I colori appaiono attenuati e sbiaditi (sopra). I ricercatori hanno usato il software Decorrelation Stretch per far emergere molto chiaramente un’immagine precedente (sotto), che rivela la presenza di un’elaborata figura antropomorfa.
egiziana, utilizzerà le più recenti tecnologie di imaging per creare un enorme archivio digitale dei documenti visivi più antichi d’America. Questa biblioteca di immagini preserverà la fama delle pitture rupestri, fino all’ultima pennellata. Il progetto ha una portata ambiziosa. La fondatrice STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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JEROD ROBERTS, SHUMLA ARCHAEOLOGICAL RESEARCH & EDUCATION CENTER
NEWS
UNIRE I PUNTINI ARTISTA E ARCHEOLOGA, Carolyn Boyd (a destra) ha conosciuto l’arte rupestre del basso Pecos alla fine degli anni ottanta. È rimasta particolarmente colpita da una pittura parietale nota come lo Sciamano bianco, una figura biancastra circondata da forme multicolori che la ricercatrice osserva in questa foto. Contrariamente a molti suoi colleghi, Boyd era convinta che le immagini fossero parte di un’unica storia, di cui era necessario decifrare il codice. Ha iniziato così a individuare degli schemi ricorrenti in altri siti della regione del basso Pecos, tra cui delle figure antropomorfe con corna di cervo. In seguito Boyd ha analizzato un quadro di arte contemporanea che
di Shumla, Boyd, coautrice del pluripremiato The White Shaman Mural: An Enduring Creation Narrative in the Rock Art of the Lower Pecos, ha dedicato anni a studiare approfonditamente i principali siti del Pecos. I dati raccolti indicano che ne restano ancora molti da documentare, sparsi su oltre 20mila 10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
rappresenta figure con corna di cervo decorate con misteriosi puntini. Il dipinto è opera di un artista huichol, una popolazione del Messico occidentale. Gli huichol associano il cervo al peyote, un cactus allucinogeno che, secondo loro, può favorire la connessione con il mondo dei morti. L’archeologa sapeva che anche nell’arte antica di Pecos comparivano motivi simili con cervi e puntini. Una volta che Boyd li ha messi in collegamento con elementi presenti in altri luoghi, ha cominciato a prendere forma un mito della creazione in cui cervi, peyote e figure antropomorfe dotate di corna giocano un importante ruolo mistico nel ciclo di vita, morte e rinascita.
chilometri quadrati di aspri canyon. Nell’ambito di un programma pilota finanziato dalla National Geographic Society, lo scorso anno il personale dello Shumla ha portato a termine la prima fase del progetto, dedicata a testare i metodi di ricerca. «Diciamo che è stato divertente, ma molto faticoso»,
sostiene l’archeologo dello Shumla Jerod Roberts, parte del team che ha studiato dieci siti per il programma pilota. Arrampicandosi sulle cenge concave dove si nasconde la maggior parte dell’arte rupestre, l’équipe ha raccolto dati sulle dimensioni delle pitture, il numero di figure identificate, le tec-
niche usate e le condizioni del sito. I graffiti sono stati ripresi utilizzando il sistema Gigapan, che scatta centinaia di foto sovrapposte da un unico punto di vista per creare un’immagine estremamente dettagliata, disponibile per ulteriori studi.
Capolavori Abitate per oltre 10mila anni, le grotte dei canyon del basso Pecos si sono formate sotto l’azione delle for-
AMANDA CASTANEDA, SHUMLA ARCHAEOLOGICAL RESEARCH & EDUCATION CENTER
STUDENTI DELLA SCUOLA DI ARTE RUPESTRE DELLO SHUMLA STUDIANO L’ARTE PREISTORICA NEL SITO DELLO SCIAMANO BIANCO.
SHUMLA ARCHAEOLOGICAL RESEARCH & EDUCATION CENTER
FIGURE ANTROPOMORFE CON CORNA DI CERVO NEL SITO DELLO SCIAMANO BIANCO. I PUNTI ATTORNO ALLE CORNA SONO PARTE DI UNA MITOLOGIA DELLA VITA, DELLA MORTE E DELLA RINASCITA.
ze naturali che hanno gradualmente scavato la tenera roccia calcarea schiacciata tra strati di minerali più resistenti. In questi “rifugi di roccia” si riparavano i membri delle società arcaiche. Le grotte erano utilizzate a volte anche come luogo di sepol-
tura o per cucinare. Attorno al 2700 a.C. alcune di esse divennero delle specie di gallerie d’arte. Le immagini di cui erano coperte le pareti possono sembrare criptiche agli occhi moderni, ma per i loro creatori erano dense di significato. Per molti
Quest’arte può sembrare criptica agli occhi moderni, ma per i suoi creatori era densa di significato
anni Boyd si è focalizzata sull’interpretazione dei rituali, che rappresentavano una storia legata alle piante e agli animali della regione. La sua ricerca ha individuato diverse fasi nello sviluppo delle pitture. Le più antiche sono caratterizzate da figure stilizzate di esseri umani e animali impegnati in attività di gruppo. In seguito, le figure si sono evolute in una pittura multicolore nota come “stile del fiume Pecos”,
che presenta figure umane impressionanti. Intorno al 1000 d.C. compaiono motivi astratti – linee frastagliate o a spina di pesce, reticoli –, insieme ad animali realistici. L’età di questi siti – l’equivalente americano di Altamira – sembra celarne la vulnerabilità. «In caso di inondazioni o altri eventi naturali», dice Jerod Roberts, «il progetto Alexandria potrebbe rivelarsi la nostra unica opportunità». STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI INVENZIONI
La pistola a ruota, pronta per uccidere Il meccanismo dell’acciarino a ruota permetteva di portare pistole cariche, un vantaggio per i cavalieri in battaglia ma anche per i banditi e i sicari
L
o sviluppo delle armi da fuoco portatili nel corso del XV secolo comportò una vera e propria rivoluzione militare, che avrebbe cambiato per sempre il modo di fare la guerra. Mentre la fanteria riconquistava un ruolo chiave sui campi di battaglia – grazie alla fortunata combinazione di lancia e archibugio – alla cavalleria medievale non restava altra scelta che adeguarsi ai nuovi tempi. Per questo anche i cavalieri si dotarono di armi da fuoco. Ma le prime esperienze risultarono fallimentari, perché le armi richiedevano l’uso di una miccia accesa e, per ricaricarle, era necessario usare
DUE PISTOLE A RUOTA DELLA FINE DEL XVI SECOLO. STAATLICHE KUNSTSAMMLUNGEN, DRESDA. AKG / ALBUM
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entrambe le mani. Tutto cambiò con l’invenzione dell’acciarino a ruota: un vero gioiello della meccanica, proveniente dal mondo dell’orologeria, che restituì protagonismo in battaglia alla cavalleria. Come per tante altre invenzioni, non è facile attribuire la paternità dell’idea. La prima rappresentazione di un dispositivo di questo tipo si trova nel Codice atlantico di Leonardo da Vinci, realizzato a cavallo tra il XV e il XVI secolo. All’epoca questa tecnologia era già diffusa in Germania, come testimonia un incidente verificatosi a Costanza nel 1515, con una pistola probabilmente dotata di questo meccanismo. Poco dopo, l’imperatore Massi-
ORONOZ / ALBUM
1515
CONTENITORE DI POLVERE DA SPARO DEL XVI SECOLO. MUSEO LÁZARO GALDIANO, MADRID.
miliano, allarmato dalla diffusione di queste armi, proibì la fabbricazione e l’utilizzo nei suoi territori di pistole «che sparano da sole». Uno dei principali vantaggi dell’acciarino a ruota era, infatti, la possibilità di trasportare le pistole cariche e nasconderle tra i vestiti. A nessuno sfuggiva il pericolo potenziale di questa nuova invenzione in mano a individui senza scrupoli.
Un’opera di artigianato L’acciarino a ruota consisteva in un tamburello d’acciaio (detto ruota) che veniva fatto girare da una molla a tensione tramite l’azione di un grilletto. Lo sfregamento del bordo dentato del tamburello contro un pezzo di pirite produceva le scintille necessarie ad accendere la polvere da sparo e a sparare il proiettile che si trovava all’interno della canna. Questo meccanismo era molto affidabile e resistente, anche se richiedeva delle regolazioni estremamente precise. Per questo la sua costruzione era affidata a maestri artigiani: si trattava di una tecnologia non alla portata di tutti. Il dispositivo presentava anche qualche inconveniente. Le armi non si potevano ricaricare facilmente nel corso del combattimento, per cui i cavalieri portavano in sella varie pistole e carabine e confidavano nell’efficacia di un unico colpo. Un buon tiratore poteva centrare il bersaglio da una
METROPO
AL LITAN / SC
A, FIRENZE
PISTOLA DI CARLO V. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.
LA PISTOLA CONQUISTA L’EUROPA 1515 Prima menzione documentata dell’utilizzo di una pistola a ruota nella città tedesca di Costanza.
Metà del XIV sec. Si diffonde il “caracollo” sui campi di battaglia: i cavalieri scaricano le proprie pistole a raffica contro la fanteria.
UNA RAPINA a mano armata a Parigi durante il regno di Luigi XIII (1601-1643).
decina di metri di distanza, ma di solito si preferiva sparare a bruciapelo per ridurre i margini di errore. Per affrontare le compatte formazioni della fanteria, la cavalleria usava la tecnica del “caracollo”, una manovra che consisteva nel passare a turno accanto al nemico per fare fuoco. Una volta sparato, i cavalieri si ritiravano e andavano a ricaricare le armi, quindi ripetevano l’operazione. Al di fuori dei campi di battaglia, le pistole dotate di questo dispositivo e finemente decorate divennero oggetti da regalo e simbolo di distinzione sociale, al punto che alla gente piaceva farsi ritrarre con la propria arma in bella mostra. L’accia-
rino a ruota più antico che si conserva fu realizzato per l’imperatore Carlo V da un artigiano di Augusta nel 1530 ed è attualmente esposto all’Armeria reale di Madrid. Anche i malviventi apprezzavano la facilità con cui si poteva nascondere la pistola a ruota e l’indubbia efficacia del suo colpo a bruciapelo. Il suo uso fu quindi prontamente limitato dalle autorità: rimase appannaggio della criminalità fino alla metà del XVII secolo, quando fu sostituita dalla pistola con acciarino di pietra, un meccanismo più semplice e altrettanto affidabile. —Germán Segura García
Venezia proibisce tutte le armi che abbiano dimensioni tali da poter essere nascoste nella manica.
1584 Guglielmo d’Orange viene ucciso a casa sua. È il primo assassinio di un capo di stato realizzato con una pistola.
MARTIN FROBISHER CON UNA PISTOLA NEL 1577. BODLEIAN LIBRARY, OXFORD.
ORONOZ / ALBUM
RUE DES ARCHIVES / ALBUM
1544
I SUPERSTITI del naufragio del Batavia,
avvenuto nel 1629, costruiscono un accampamento sugli isolotti di fronte alla costa australiana. Incisione olandese dell’epoca.
Terrore nell’oceano Indiano: il naufragio del Batavia Nel 1629 una nave olandese si arenò su un isolotto davanti alla costa dell’Australia. Uno dei superstiti prese il comando e provocò una spirale di violenza e omicidi
N
essuna delle 322 persone che salparono a bordo del Batavia poteva sospettare il terribile destino cui andava incontro. Il 2 ottobre del 1628 la nave lasciava la rada di Texel, nel nord dei Paesi Bassi, con destinazione Giacarta (che all’epoca si chiamava anch’essa Batavia): lì gli olandesi controllavano il commercio delle spezie. Il Batavia era un galeone mercantile a tre alberi che apparteneva all’onnipotente Compagnia delle Indie orientali, conosciuta con il suo acroni-
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mo olandese, VOC. Grazie al suo doppio scafo e ai suoi 48 metri di lunghezza, questa robusta nave, costruita quello stesso anno in soli sei mesi, poteva trasportare fino a 1.200 tonnellate tra carico e passeggeri. La massima autorità a bordo, come d’uso presso la VOC, era il comandante, Francisco Pelsaert: 35 anni, senza conoscenze nautiche, ma che doveva garantire il buon andamento della traversata. Il responsabile della navigazione era Ariaen Jacobsz, 40 anni, capitano della nave. Pelsaert era il prototipo di ufficiale della VOC,
austero e con un profondo senso del dovere. Jacobsz, invece, era il classico lupo di mare: buon marinaio, avvezzo all’alcol e alle risse. I due si erano conosciuti tempo prima in India e tra loro non correva buon sangue.
L’origine della tragedia Il viaggio sarebbe durato otto mesi, con un breve scalo a Città del Capo. Per tutto questo periodo l’equipaggio avrebbe dovuto convivere gomito a gomito: soldati e marinai nel castello di prua, ufficiali e passeggeri negli appartamen-
HNG MAP
EVENTO STORICO
OLANDESI IN AUSTRALIA NELLA PRIMA metà del XVII secolo vari navigatori olandesi esploraro-
no le coste australiane. Nel 1605 Willem Jansz perlustrò l’estremo nord; nel 1626-27 Peter Nuyts si avventurò lungo la costa meridionale, mentre nel 1642-44 Abel Tasman scoprì la Tasmania ed esplorò la costa settentrionale. Nel 1616 Dirck Hartog divenne il primo europeo ad addentrarsi a ovest, non lontano da dove naufragò il Batavia.
BRIDGEMAN / ACI
ti di poppa. Fu proprio in questa zona che iniziò a prendere forma la tragedia. Pelsaert e Jacobsz si contendevano i favori di una passeggera, Lucretia van der Mijlen, che andava a Giacarta per ricongiungersi con il marito. La donna rifiutò le avance di entrambi, ma preferì mettersi sotto la protezione del più rispettoso comandante. Il capitano sedusse allora la cameriera di Lucretia. Fu allora che entrò in scena Jeronimus Cornelisz, 30 anni, terzo ufficiale di bordo. Cornelisz, un ex farmacista ormai in bancarotta, uomo di grande
eloquenza e dai principi morali dubbi, convinse il capitano a unirsi al suo piano: provocare una ribellione della ciurma, uccidere il comandante e impossessarsi del prezioso carico della nave. A tal fine organizzarono un’aggressione ai danni di Lucretia, ritenendo che questo avrebbe spinto Pelsaert a infliggere una sanzione collettiva all’equipaggio. Il castigo sproporzionato avrebbe a sua volta innescato la rivolta tra i marinai. Ma il comandante decise alla fine di non adottare nessuna misura punitiva, mandando all’aria i loro piani. In questo contesto di estrema tensione, la notte del 4 giugno 1629 una vedetta avvisò il capitano della presenza dei tipici fran-
Il piano era quello di provocare una ribellione della ciurma e impossessarsi della nave SCUDO DELLA COMPAGNIA OLANDESE DELLE INDIE ORIENTALI.
genti che indicano la prossimità della barriera corallina. Jacobsz era sicuro che il Batavia si trovasse a 600 miglia dalle coste allora conosciute, ma si sbagliava. L’impatto con i coralli fu durissimo e danneggiò in modo irreparabile il galeone. In pieno caos, il comandante apostrofò il capitano, rimproverandogli la manovra. I suoi calcoli erano sbagliati e li avevano portati a incagliarsi nei pressi dell’arcipelago Houtman Abrolhos, a 50 miglia dall’Australia (che nelle mappe dell’epoca era definita Terra australis incognita). Il mattino dopo Pelsaert, con le scialuppe di salvataggio disponibili, mise in salvo quasi 200 superstiti su un isolotto corallino nelle vicinanze. Altri 70 membri dell’equipaggio che non sapevano nuotare, tra cui Cornelisz, restarono a bordo, abbandonandosi a un parossismo di alcol e panico. Una volta a terra, il comandante ordinò di esplorare le isole circostanti alla ricerca di acqua dolce, ma senza successo. Di fronte alla scarsità di viveri, Pelsaert
PRISMA / ALBUM STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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EVENTO STORICO
BEACON ISLAND, l’isolotto
decise di tentare un’impresa disperata e quattro giorni dopo salpò con una scialuppa verso Giava, 1.500 miglia più a nord, in compagnia del capitano e di alcuni membri dell’equipaggio. Il Batavia fu distrutto dalle mareggiate nove giorni dopo il naufragio. Cornelisz riuscì a raggiungere la terraferma aggrappandosi ai resti galleggianti del bompresso e, in assenza del capitano e
BILL BACHMAN / ALAMY / ACI
appartenente all’arcipelago di Houtman Abrolhos dove Pelsaert fece sbarcare i superstiti del naufragio.
del comandante, si ritrovò a essere la massima autorità tra i sopravvissuti. Fedele al suo piano originario, decise di aspettare che arrivasse la nave di salvataggio per impossessarsene. Riuscì a mettere insieme una ventina di naufraghi disposti a sostenerlo e si fece nominare governatore generale. Tuttavia, era cosciente del fatto di trovarsi in inferiorità numerica. Per
I TESORI DELLA NAVE IL BATAVIA trasportava 12 forzieri pieni di
argento e altri gioielli, tra cui un cammeo commemorativo della vittoria di Costantino su Massenzio (312 d.C.) che avrebbe dovuto essere venduto al Gran Moghul e fu recuperato da Pelsaert insieme a nove forzieri.
GEMMA CONSTANTINIANA. RIJKSMUSEUM VAN OUDHEDEN, LEIDA. THE NATIONAL MUSEUM OF ANTIQUITIES, LEIDEN
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questo, con la scusa di esplorare la zona, inviò molti dei superstiti – tra cui donne e bambini – sugli isolotti circostanti, nella certezza che sarebbero morti di stenti. Nel frattempo, si impadronì delle armi e dei viveri restanti e, con l’aiuto dei suoi seguaci, cominciò a eliminare uno dopo l’altro i restanti sopravvissuti.
Nelle mani di uno psicopatico Quando i naufraghi degli altri isolotti cercarono di tornare all’isola principale su delle zattere, Cornelisz li fece affogare, palesando così a tutti le sue vere intenzioni. A partire da quel momento instaurò un vero e proprio regime del terrore: massacrò i malati e fece sgozzare chiunque non fosse di suo gradimento.
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THE WESTERN AUSTRALIAN MUSEUM
EVENTO STORICO
IL MASSACRO. Isaac Comelin pubblicò il primo
libro sul naufragio del Batavia, accompagnato da diverse illustrazioni di Jan Janz, nel 1647. Questa rappresenta l’episodio del massacro.
La sua crudeltà arrivò al punto che una notte, mentre cenava nella sua tenda con il predicatore Bastiaensz, ordinò ai suoi scagnozzi di uccidere a colpi d’ascia sei dei sette figli del religioso e la sua cameriera. Riuscì a salvarsi solo la figlia maggiore. Bastiaensz fu costretto a prestare giuramento di fedeltà e la figlia dovette diventare la concubina di uno dei luogotenenti di Cornelisz. La stessa sorte toccò a Lucretia, mentre il resto delle donne, alcune delle quali con bambini piccoli, furono eliminate o dichiarate “di servizio comune”, cioè violentate collettivamente. Nel frattempo, alcuni superstiti guidati dal soldato semplice Wiebbe Hayes avevano fatto dei segnali di fumo per indicare di aver trovato acqua potabile sulla loro isola. Hayes e i suoi uomini erano venuti a sapere dei massacri da alcuni sopravvissuti che si erano uniti a loro. Temendo un’aggressione, si 18 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
prepararono a difendersi fabbricando delle armi di fortuna con i relitti della nave e costruendo un piccolo fortino con pietre e blocchi di corallo. In agosto Cornelisz – che aveva ormai solo venti uomini – lanciò vari attacchi contro l’isolotto, ma alla fine fu catturato. Il 17 settembre gli ammutinati, che si preparavano a tentare di liberare il loro capo con un ultimo disperato assalto, furono sorpresi dall’apparizione di una vela all’orizzonte. Era Pelsaert, di ritorno da Giava a bordo della Sardam. Informato da Hayes di quanto accaduto, soffocò la ribellione.
La mano della giustizia Per non correre il rischio di un altro ammutinamento a bordo, il comandante processò direttamente in loco gli assassini, che furono condannati a morte. La sera prima dell’esecuzione Cornelisz tentò il suicidio. Tuttavia,
a causa del cattivo stato del veleno che aveva ingerito, l’unica cosa che ottenne fu di passare la sua ultima notte tra vomito e diarrea. Il 2 ottobre fu impiccato insieme ai suoi principali complici, dopo aver subito l’amputazione di entrambe le mani. Gli altri ammutinati furono sottoposti a torture e terminarono i loro giorni in qualche malsana prigione di Giacarta. Qui morì anche il capitano della nave, incarcerato per grave negligenza. Francisco Pelsaert non si riprese mai dal naufragio. Prostrato dalle febbri che aveva contratto anni prima in India e che non gli davano tregua, prese parte solo a un’altra spedizione della VOC, a Sumatra. Morì nel settembre del 1630, forse perseguitato dal pensiero delle anime delle 137 vittime. Nei suoi diari scrisse: «È ricaduta sulle mie spalle la peggiore delle tragedie». —Xabier Armendáriz
V I TA Q U OT I D I A N A
Passeggiata per l’Atene ottomana del XVIII secolo Sotto il dominio turco, Atene era poco più di un villaggio che richiamava turisti attratti dalla sua eredità artistica case, Atene era allora un quarto della città che era stata in epoca classica. Sul suo profilo svettavano i minareti delle moschee – i greci non potevano costruire né chiese né case più alte dei turchi – e ovviamente l’acropoli. Una volta oltrepassata la porta d’ingresso della città, i viaggiatori si trovavano di fronte un monotono panorama di case imbiancate, illuminato qua e là da freschi cortili di aranci e in sottofondo il gorgoglio di qualche fontana pubblica. Quasi subito i visitatori stranieri si imbattevano in una marea di greci, turchi e PERSONAGGI vestiti albanesi che li salutavano allegramente. con i tipici abiti ottomani A volte li invitavano perfino a casa loro passeggiano e riposano per assistere a vivaci celebrazioni al nei dintorni dell’Eretteo, suono di tamburi e clarinetti o li portasull’acropoli. Acquerello, XVIII secolo. vano alle feste comandate nella chiesa di San Giorgio, il tempio ortodosso ricavato dal precedente santuario di Efesto dell’agorà greca. Ad Atene c’erano poi molti bagni nella pittura orientalista: «Non ho mai turchi, anche se la realtà era lontana visto tante donne grasse allo stesso dalla delicata sensualità così ricorrente tempo, né così grasse come queste» commentava una spaventata signora inglese, Elizabeth Craven, una delle poche viaggiatrici che visitò uno di questi bagni nella città greca. ERICH LESSING / ALBUM
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el XVIII secolo la maggior parte dei viaggiatori occidentali diretti in Grecia arrivavano ad Atene via mare. Al posto della magnificenza del Pireo di età classica si trovavano davanti la solitudine di un porto semiabbandonato, cui approdava giusto qualche barca ogni tanto. A strappare dall’isolamento il doganiere turco c’erano solo le rovine, gli scogli, il mare e il grido occasionale di qualche martin pescatore. Coloro che decidevano di raggiungere la città via terra, seguendo la via sacra da Eleusi, potevano almeno vedere da lontano la città murata ottomana stagliarsi tra il monte Licabeto e l’acropoli, circondata da oliveti, vigne, campi, frammenti di colonne e rovine sia antiche che moderne. Con le sue circa millecinquecento
AMANTE DELL’ARTE
BRIDGEMAN / ACI
JOHN MONTAGU, IV conte di Sandwich e inventore dei panini che portano il suo nome, tra il 1738 e il 1739 fece un viaggio in Grecia, Turchia, Egitto, Malta e Spagna. Grande amante dell’arte, Sandwich si appropriò ad Atene di un’iscrizione che conteneva una lista di pagamenti al tempio di Delo. IL CONTE DI SANDWICH VESTITO ALLA TURCA. OLIO DI J.E. LIOTARD. XVIII SECOLO.
Atene sotto i turchi Il centro nevralgico di Atene era il Gran Bazar o Staropazaro (“mercato del grano”), al quale si accedeva dall’agorà romana per l’antica porta di Atena Archegetis. A partire da lì il bazar si estendeva in direzione della moschea Fethiye (“del conquistatore”)
e la semisepolta torre dei Venti, che era all’epoca un tekkè, una specie di centro di incontro di dervisci. A nord del bazar c’era la residenza del voivoda, il governatore civile di Atene, e la moschea Tzistarakis. Il voivoda amministrava il distretto in nome del kizlar agha, il capo degli eunuchi neri del serraglio di Istanbul. Con il superiore così lontano, chissà che senso di impunità doveva esserci in quel palazzo eretto sulle rovine della biblioteca di Adriano! In realtà, il più noto dei voivoda, Hadji Ali Haseki, governò Atene con pugno di ferro dal 1775 al 1795: alzò le
Grecia, nuova tappa del Grand Tour DOPO LA CONQUISTA ottomana del 1456, come il resto della
Grecia Atene restò esclusa dal circuito abituale dei viaggiatori occidentali. Ma nel XVIII secolo la riscoperta dell’arte della Grecia classica risvegliò la curiosità di qualche pioniere. In alcuni casi si trattava di diplomatici diretti a Costantinopoli che ne approfittavano per visitare Atene. Altre volte erano aristocratici che prolungavano il tipico viaggio di formazione all’epoca in
voga in Europa, il cosiddetto Grand Tour. Sia gli uni che gli altri erano spesso accompagnati da architetti, artisti o letterati che contribuirono a diffondere la conoscenza della cultura greca.
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V I TA Q U OT I D I A N A
BRIDGEMAN / ACI
UN BAZAR AD ATENE. Questa incisione mostra una variopinta via commerciale ateniese. Sullo sfondo, il minareto di una moschea e la collina dell’acropoli. T. Fielding, 1821.
imposte, divenne tristemente famoso per gli arresti arbitrari e gli ateniesi che non riuscirono a fuggire si videro obbligati a lavorare continuamente, giorno e notte, per costruire una muraglia di una decina di chilometri attorno alla città. Hadji Ali non esitò a includere la porta di Adriano nel percorso delle mura e usò come materiale da costruzione un intero tempio dedicato ad Artemide Agrotera, sulle sponde dell’Ilisso. Vista dal bazar, l’acropoli sembrava un confuso ammasso di capitelli e colonne di templi antichi, torri medie-
vali di re franchi, minareti appuntiti e cupole di moschee, e poi le feritoie e i cannoni della guarnigione agli ordini del disdar, il governatore militare della fortezza. Dall’acropoli si poteva sentire la chiamata del muezzin alla preghiera o i musicisti della guardia giannizzera che provavano quotidianamente le loro marce. A volte si affacciavano anche le donne che vivevano nell’harem in cui era stato trasformato l’Eretteo, certamente attratte
DONNA TURCA SU ZOCCOLI NEI BAGNI PUBBLICI. J.E. LIOTARD. XVIII SECOLO. 22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
BRIDGEMAN / ACI
Dall’acropoli si sentiva la chiamata del muezzin alla preghiera o i musicisti della guardia giannizzera provare le loro marce
dall’attività della città bassa. In teoria, l’acropoli era un’area ad accesso limitato, ma il viaggiatore di turno poteva pur sempre corrompere il disdar con qualche piastra o un po’ di caffè. Qui sorgeva il Partenone: tra il XVI e il XVII secolo era diventato una splendida moschea, ma poi non aveva retto ai bombardamenti veneziani del 1687. Tra le rovine, i turchi avevano costruito una nuova moschea molto più modesta, ma era ancora possibile accedere al minareto di quella vecchia, adiacente al portico, e salire per la scalinata usurata fino alla parte superiore della cella del tempio. Sedendosi sui fregi di Fidia si potevano raggiungere con lo sguardo le colonne del tempio di Zeus Olimpio, nella città bassa, su cui si trovava
LOUIS FAUVEL fu viceconsole di Francia
CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE
ad Atene dal 1803. Qui fece incetta di oggetti antichi per la sua casa-museo ai piedi dell’acropoli, come raffigurato in questo dipinto di Louis Dupré. 1819.
la cella di un eremita. Gli europei occidentali andavano spesso a cercare alloggio presso la comunità dei cappuccini francesi di Atene, che avevano spazio in abbondanza. Il loro convento comprendeva la celebre lanterna di Lisicrate – in realtà un monumento coregico del IV secolo a.C. –, che avevano trasformato in una piccola biblioteca di fronte a un idilliaco orto con le prime piante di pomodori che fossero mai arrivate in Grecia.
Monaci e donzelle Verso la fine del XVIII secolo nel monastero cappuccino di Atene restava un solo un monaco, che offriva ai suoi ospiti letti senza lenzuola e pieni di pulci. Il religioso, che gestiva una piccola scuola, aveva fama di essere un maleducato dalla conversazione insostenibile, e fu visto almeno una volta bere più del dovuto a una festa nel suo convento cui partecipavano i
domestici, gli ospiti, il voivoda e persino il muftì di Tebe. Cosa ancora più scandalosa, si scoprì che il monaco aveva una relazione con una donna greca sposata. Questa situazione incresciosa fece sì che molti viaggiatori preferissero cercare alloggio nella casa dei viceconsoli d’Inghilterra e di Francia, oppure di qualche altro membro della piccola comunità di europei occidentali residenti ad Atene. Era famosa, per esempio, la casa della “consolina”, la signora Teodora Macri, vedova del viceconsole inglese Procopio Macri, che viveva con le tre figlie e affittava stanze ai visitatori inglesi (la casa fu demolita nel 1974). Sua figlia maggiore, Teresa, una ragazzina di soli 12 anni, fu destinataria della poesia La vergine di Atene, che Lord Byron scrisse nel 1810, durante un soggiorno in quella residenza. La poesia divenne così famosa che molti viaggiatori andavano a casa della
“consolina” per conoscere la donna che era stata capace di far sospirare il celebre scrittore. La giovane Teresa Macri diventò così, alla vigilia della Guerra d’indipendenza greca (18211832), il simbolo della bellezza ideale della Grecia e dell’oppressione in cui viveva. Ma, nella foto scattata a Teresa nel 1870, non vediamo ormai altro che una donna sofferente di 72 anni, che aveva dovuto sopportare decenni di conflitti bellici e di instabilità politica. Non è neppure sicuro che quell’amore romantico fosse poi così sincero: quando Lord Byron tornò ad Atene dopo una breve visita a Istanbul, non alloggiò in casa della “consolina”, ma nel convento dei cappuccini, nonostante le pulci. Sembra che Lord Byron in quell’occasione si fosse invaghito di Nicolo Giraud, uno degli alunni del padre cappuccino. —Juan Pablo Sánchez STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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DATA S TO R I C A
Verso la fine del XIX secolo le donne divennero entusiaste utilizzatrici delle nuove biciclette a pedali, che offrivano un’inedita libertà di movimento
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na volta pensavo che la cosa peggiore che potesse fare una donna era fumare, ma ora ho cambiato idea. La cosa peggiore che ho visto in vita mia è una donna in sella a una bicicletta». Così scriveva il 25 luglio del 1891 la corrispondente del Chicago Tribune in un breve articolo, in cui sosteneva che avrebbe reso la vita impossibile alla sua futura nuora se questa avesse mostrato la minima inclinazione per il ciclismo. Le pioniere della bici iniziavano a destare scalpore. Il cammino della bicicletta sarebbe stato lungo. I primi modelli, a partire dal 1817, consistevano in una semplice
barra che univa due ruote. Attorno al 1870 vennero aggiunti i pedali, che consentivano di avanzare rimanendo in sella aumentando così le probabilità di arrivare incolumi al termine dell’operazione. Questi “velocipedi”, con la ruota anteriore più grande di quella posteriore, furono poi sostituiti da biciclette con ruote di identiche dimensioni e catene per trasmettere l’energia del pedale alla ruota posteriore. Molto più sicure, le bici dell’inizio della Belle Époque venivano acquistate a prezzi esorbitanti dai pochi che se le potevano permettere. Le donne della classe alta si mostrarono ben disposte a usare questa
LE CHALET DU CYCLE AU BOIS DE BOULOGNE. OLIO DI JEAN BÉRAUD. 1900 CA. AKG / ALBUM
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AKG / ALBUM
La bicicletta e l’emancipazione delle donne ANNUNCIO DI UN FABBRICANTE DI BICICLETTE BELGA.
nuova invenzione che permetteva di spostarsi liberamente e rapidamente in un mondo che le voleva rinchiuse tra le mura domestiche. Queste intrepide pioniere attiravano gli sguardi della gente, un fatto considerato già di per sé negativo. I manuali di comportamento dell’epoca, infatti, spiegavano chiaramente che l’ultima cosa che doveva fare una signora per strada era mettersi in mostra. Procedere rapidamente era un segno di cattiva educazione, così come parlare ad alta voce o tenere le braccia lontane dal corpo.
Rompere gli schemi Le donne che andavano in bicicletta, quindi, infrangevano le regole di comportamento femminile stabilite e diventavano persone di“dubbia moralità”. La londinese Emma Eades fu oggetto di lanci di pietre e molte altre donne vennero insultate e aggredite. Come se non bastasse, i medici del tempo affermavano che il ciclismo era un’attività dannosa per l’organismo femminile, considerato più debole di quello maschile. Andare in bicicletta, si diceva, poteva causare sterilità e disturbi nervosi. Ma queste temerarie non dovettero affrontare solo i consolidati pregiudizi dell’epoca. Avevano di fronte anche un altro ostacolo: gli abiti femminili, indumenti pesanti (la biancheria intima poteva pesare anche sei chili) e striminziti corpetti con cui era
L’AUDACIA D’INDOSSARE PANTALONI A METÀ DEL XIX SECOLO Amelia
Bloomer inventò dei pantaloni larghi di ispirazione turca che erano praticamente una gonna divisa in due. Ma i bloomer andarono incontro a una diffusa ostilità. Alcune donne cicliste (come quella della foto qui accanto) scelsero d’indossare questi pantaloni per poter pedalare più comodamente, ma le critiche, e in qualche caso persino le aggressioni fisiche, impedirono all’invenzione di diffondersi. Solo alcune coraggiose continuarono a portare i bloomer per andare in bici. La maggioranza continuò invece a indossare vestiti tradizionali o a nascondere i pantaloni sotto la gonna, per sollevarla solo al riparo da sguardi indiscreti. BRIDGEMAN / ACI
già un miracolo fare un piccolo sforzo senza svenire. In soccorso alle cicliste arrivarono dei pantaloni molto ampi, i bloomer. Ma quando alcune donne osarono indossarli, sollevarono un nuovo polverone. I sacerdoti dedicavano intere prediche a sottolineare l’aspetto peccaminoso dell’indumento. Alle professoresse francesi fu proibito di indossarli a scuola e all’aristocratica Lady Harberton venne impedito di entrare con i bloomer in un caffè dove voleva bere qualcosa prima di tornare in sella alla sua bici. La battaglia per i pantaloni era persa, ma nel frattempo le donne avevano compiuto gran-
di progressi nell’impervio cammino dell’emancipazione. Un po’ alla volta l’immagine della donna in bicicletta smise di essere così strana. Sempre più economiche, le bici si diffusero tra le classi popolari. Sorsero moltissimi club femminili che offrivano l’opportunità di viaggiare in compagnia ed evitare così le molestie per strada. Imprese come quella di Annie Londonderry, che nel 1895 fece il giro del mondo in bici, accesero l’immaginazione della gente e dimostrarono che le donne non erano da meno degli uomini. Intanto la pubblicità iniziava a presentare il ciclismo come un’attività rispettabile,
i medici ne raccomandavano l’uso e i giornalisti vedevano nella ciclista “la nuova donna”. Il genere femminile conquistava un nuovo spazio che prima gli era precluso. Il fenomeno si era diffuso a tal punto che, verso la fine della Belle Époque, una donna single si lamentava del fatto che ormai era difficile fare nuovi incontri senza andare in bicicletta. E lei, per quanto quest’attività sportiva ampliasse l’orizzonte del genere femminile, non riusciva ad abituarsi alle scomodità che comportava. Non si può mica accontentare tutti. —Ainhoa Campos Posada STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ABU SIMBEL, SMONTATO
Le teste sezionate dei tre colossi che vegliano sull’entrata del tempio di Ramses II ad Abu Simbel attendono in un sito di deposito l’inizio della ricostruzione del monumento, nel 1966. JOHN KESHISHIAN / NGS
IL SALVATAGGIO DEI TEMPLI NUBIANI
Nel 1960 l’UNESCO rivolse un appello a tutti i Paesi del mondo perché partecipassero a un’operazione di emergenza: il salvataggio del patrimonio archeologico dell’Egitto e del Sudan, che stava per essere sommerso a causa della costruzione della nuova diga di Assuan. Lo sforzo coordinato riuscì a salvare alcuni templi emblematici, come quelli di Abu Simbel
L FIN
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IL GIOIELLO DI UNA REGINA NUBIANA
Elaborato anello d’oro appartenuto a Amanishakheto, regina di Kush, in Nubia. Molti siti archeologici di questa regione stavano per essere sommersi dal Nilo dopo la costruzione della diga di Assuan.
C R O N O LO G I A
a diga di Assuan in Egitto è una delle maggiori opere contemporanee di ingegneria. Nel 1955 il governo del generale Nasser ne propose la costruzione per sostituire una vecchia diga edificata tra la fine del XIX e i primi del XX secolo e ormai ritenuta obsoleta. La nuova diga, di 111 metri di altezza e quasi quattro chilometri di larghezza, fu eretta tra il 1959 e il 1970 sullo stesso livello della seconda cataratta del Nilo, e permise per la prima volta nella storia di controllare le piene annuali del fiume ed evitare le conseguenti inondazioni. L’opera comportò un miglioramento fondamentale dell’agricoltura egiziana e permise un incremento della produzione energetica essenziale per Egitto e Sudan. Ma non ci furono solo vantaggi. La creazione di un immenso lago artificiale a valle della diga, il lago Nasser, con i suoi 500 chilometri di lunghezza e una larghezza media di 22 chilometri, costrinse a reinsediare 90mila persone che vivevano nella zona, sia in Sudan che in Egitto. Inoltre, un gran numero di monumenti antichi situati nella regione storica della Nubia, che si estende dal sud dell’Egitto fino al nord del Sudan, erano condannati a scomparire sotto le acque del nuovo lago, che avrebbe raggiunto i 90 metri di profondità. Tra questi, c’erano alcune opere particolarmente emblematiche, come i templi di Abu Simbel e quelli dell’isola di File. Nel 1960 Vittorino Veronese, direttore dell’UNESCO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la
SALVARE I TEMPLI 28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
cultura, con sede a Parigi) rivolse un appello ai cento stati membri con lo slogan: «Salviamo i monumenti della Nubia». La reazione della comunità internazionale non si fece attendere. Una trentina di Paesi, tra cui l’Italia, crearono dei comitati nazionali – composti da ricercatori, archeologi, storici, ingegne-
1959
1960
1963
Inizia la costruzione della grande diga di Assuan in Egitto. Numerosi monumenti verranno sommersi dalle acque del lago Nasser.
L’UNESCO lancia una richiesta di aiuto internazionale, che è molto ben accolta, e raccoglie fondi per i monumenti nubiani.
Inizia il salvataggio dei templi di Abu Simbel, che vengono tagliati in migliaia di blocchi e trasferiti in un nuovo sito al riparo dalle acque.
I TEMPLI DI FILE SOTT’ACQUA
Prima della costruzione della diga di Assuan i templi dell’isola di File rimanevano parzialmente sommersi per vari mesi l’anno. Nell’immagine, il Nilo ricopre il chiosco di Traiano.
BRIDGEMAN / ACI
ri, architetti, disegnatori e fotografi – che si sarebbero occupati delle operazioni di salvataggio sul campo. Dopo uno studio approfondito delle fotografie aeree, che permise l’individuazione delle zone archeologiche con maggiore probabilità di essere inondate, una squadra
1968 Il 22 settembre una grande cerimonia inaugura la ricostruzione dei templi di Abu Simbel nella nuova sede, su un altopiano 65 metri più in alto. BRIDGEMAN / ACI
FRANCOBOLLO EMESSO DAL GOVERNO LIBICO CON L’OBIETTIVO DI RACCOGLIERE FONDI PER CONTRIBUIRE AL SALVATAGGIO DEI MONUMENTI NUBIANI IN PERICOLO.
di esperti venne incaricata di redigere un rapporto esaustivo. Quindi, una ventina di missioni straniere provenienti da Paesi come Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Polonia, Russia, Spagna e Stati Uniti, intrapresero delle vere e proprie campagne di salvataggio. L’UNESCO organizzò una raccolta di fondi per la salvaguardia e la conservazione del maggior numero possibile di monumenti e siti archeologici. La campagna ebbe un grande risalto sui mezzi di comunicazione e fu appoggiata da varie entità pubbliche e private legate al mondo della cultura. Una trentina STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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o Nil Prima cataratta
Kom Ombo Tushka
Assuan FILE
Templi spostati di Beit el Wali, Kalabsha e Qertassi
Sadd el Aali
QERTASSI BEIT EL-WALI
EGITTO
KALABSHA
EL DAKKA EL MAHARRAQA
Lago Nasser
Tempio spostato di Dakka e luogo per i templi di El Sibu e El Maharraqa
EL SIBU
A
TOMBA DI PENNUT
Tempio spostato di Amada e tomba di Pennut
B
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AMADA
ABU SIMBEL
Wadi Halfa
SUDAN
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Strutture salvate Strutture salvate parzialmente Strutture sommerse
EL MENÚ
DEL DÍA LA MAPPA DI UN Medalla SALVATAGGIO COLOSSALE conmemora¡ Eiffel.
1875. Museo
DECINE DI TEMPLI, de Orsay, París. monumenti e siti archeologici
furono danneggiati Xeria sunt estem in qualche modo dalla costruzione eostiuntis didella bea grande diga di Assuan. Tra volectatio. Tur(sulla prima cataratta del Nilo) e questo punto endustia non dovettero essere smontati laalitio seconda cataratta, rae verfero dis e trasferiti in zone più sicure 19 templi, tra cui quelli di Abu Simbel. Vennero lanciate anche varie campagne di salvataggio di siti archeologici, chiese, santuari, monasteri e fortezze. Nonostante questo immenso sforzo, parte dell’ingente patrimonio architettonico nubiano, tra cui le fortezze di Buhen e Semna e la cattedrale di Faras, si trova oggi sommersa dalle acque del lago Nasser.
CARTOGRAFÍA: EOSGIS.COM
Gli abitanti di questo paese sommerso furono reinsediati vicino a Khashm El Girba
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Seconda cataratta
di Paesi effettuarono un’emissione speciale di francobolli a sostegno dell’operazione. Lo slogan“Adesso o mai più”lanciato dai governi di Egitto e Sudan, ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica internazionale. Il presidente egiziano manifestò la sua gratitudine di fronte alla risposta straniera con queste parole: «La coscienza del mondo ha aperto gli occhi sul significato profondo del salvataggio dei monumenti della Nubia […] Non c’è alcun dubbio che la nostra eredità culturale possa ridare al mondo fiducia nella fratellanza umana e nella cooperazione tra i popoli». Il governo egiziano e gli esperti dell’UNESCO suddivisero i siti minacciati dalla diga in tre gruppi, in ordine di importanza e di possibilità di intervento. Nel primo grup-
MURGUIA / GETTY IMAGES
po si trovavano 19 templi scavati nella roccia o costruiti sulle sponde del Nilo, tra cui quelli di Abu Simbel, Aniba, Amada, Wadi es-Sebua (famoso per il suo viale delle sfingi), Kalabsha (con importanti bassorilievi), Qertassi e Semna est/ovest, nonché la fortezza di Buhen.
La tecnica vincente Nella maggior parte dei casi si decise di trasferire i monumenti smontandoli in blocchi che poi venivano caricati sui camion – grazie a delle enormi gru – e quindi ricostruiti in un luogo vicino.
Il tempio di Kalabsha fu un caso particolare: già da quando era entrata in funzione la prima diga di Assuan, all’inizio del XX secolo, l’ac-
qua lo ricopriva per nove mesi l’anno, e questo aveva finito per cancellarne le pitture. Tra il 1961 e il 1963 alcuni archeologi tedeschi lo trasferirono su un promontorio situato giusto a sud della diga, salvandolo in questo modo dalla definitiva scomparsa. Un’altra soluzione adottata in alcuni casi fu quella di circondare il monumento con delle dighe di protezione che impedissero alle acque di sommergerlo completamente o parzialmente. Fu un’operazione di questo tipo a permettere di smontare i templi di File e trasferirli sull’isola di Agilkia. La campagna di salvataggio dei tesori archeologici della Nubia non si limitò ad alcuni grandi templi. Ci furono altri interventi che permisero di terminare scavi iniziati in prece-
IL TEMPIO DI DEBOD
La partecipazione al salvataggio dei tesori nubiani valse alla Spagna questo tempio che sorge oggi a Madrid, nonché il permesso di effettuare scavi in Egitto, in zone come quella di Eracleopoli.
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ED SCOTT / AGE FOTOSTOCK
KALABSHA, IL TEMPIO SALVATO DALLA GERMANIA A KALABSHA si trova un importante tempio dell’epoca
di Augusto eretto su un antico santuario tolemaico. Era dedicato al dio Mandulis, una forma nubiana del dio falco Horus. Con i suoi 77 metri di lunghezza, era il più grande tempio della Nubia e si trovava in un recinto di 66 metri per 90 chiuso da un pilone di pietra, seguito da una sala ipostila che dava accesso al tempio. Per salvare questo complesso monumentale dalle acque, tra il 1961 e il 1963 gli esperti tedeschi smontarono i templi e li trasferirono 30 chilometri a valle, su un promontorio a un chilometro dalla nuova diga di Assuan. Oggi vicino a Kalabsha sorge il chiosco di Qertassi (nell’immagine qui sopra), anch’esso oggetto di salvataggio.
denza e salvare un enorme patrimonio prima sconosciuto. Nella zona di Aniba, per esempio, fu esplorato un gran numero di tombe, tra cui quella del principe Hekanefer, in cui si trovarono figure funerarie con il suo nome insieme a dipinti e iscrizioni parietali. A Faras, un importante centro della Nubia cristiana, furono rinvenuti forni per la ceramica, due cappelle con steli e 169 dipinti murali di grande valore, con rappresentazioni della Madonna e del Bambino. Venne esplorata anche l’enorme fortezza di Buhen. La missione archeologica spagnola effettuò scavi in due siti preistorici, tre villaggi cristiani, 300 gruppi di arte rupestre e 20 necropoli, tra cui quella quelle di Masmas e Argin, composte da oltre 1.500 tombe, al cui interno vennero ritrovati migliaia di oggetti. In conclusione, i risultati finirono per superare le aspettative della stessa UNESCO. Per attrarre gli archeologi occidentali, l’Egitto annunciò che le nazioni partecipanti avrebbero potuto conservare una parte dei pezzi rinvenuti negli scavi. Quattro Paesi ricevettero persino in omaggio un tempio completo, che fu inviato smontato e poi ricostruito nel luogo di adozione. È per questo che a Torino troviamo oggi il tempio di Ellesija, a New York quello di Dendur, a Leida quello di Tafa e a Madrid quello di Debod, che dal 1970 sorge nei pressi della nota plaza de España.
Il salvataggio di Abu Simbel Non ci sono dubbi sul fatto che la principale sfida dell’operazione fu rappresentata dai due templi di Abu Simbel: quelli del faraone Ramses II e della moglie Nefertari, entrambi situati a pochi metri dalle rive del Nilo.
Dal momento della loro riscoperta, all’inizio del XIX secolo, le quattro statue ciclopiche di Ramses II erano diventate un emblema dell’Egitto. Il salvataggio dei due edifici sembrava una missione quasi impossibile considerando le dimensioni, l’urgenza dell’esecuzione – l’inondazione era prevista per il 1966 –, l’entità dell’investimento richiesto (quasi 90 milioni di dollari, più del doppio di quanto era stato
GEORGE STEINMETZ / GETTY IMAGES
speso per gli altri siti nubiani) e i dubbi degli ingegneri sul procedimento da seguire. Nel 1963 si decise che i templi sarebbero stati tagliati in più di mille blocchi, per essere trasferiti su un altopiano 65 metri più in alto e rimontati esattamente nella posizione originale. Nella pratica ciò significava rimuovere tonnellate di terra e trasportare centinaia di blocchi di pietra. Era un’impresa senza precedenti e ancor oggi rappresenta una pietra miliare ineguagliabile nella storia dell’archeologia. Furono allestite una rete di strade di rifornimento e una centrale elettrica e si arrivò a costruire una vera e propria città per alloggiare i partecipanti al progetto, che tra specialisti e operai arrivavano a un totale di 3mila persone.
La fase di smontaggio dei templi si concluse nell’aprile del 1966, ovvero due mesi prima che il sito venisse sommerso. Il 22 settembre del 1968 una grande cerimonia annunciava al mondo la rinascita dei magnifici complessi monumentali di Ramses II e di sua moglie Nefertari. L’ex direttore del Servizio egiziano dei monumenti nubiani scriveva sul Corriere dell’UNESCO del 1980: «Era stato salvato il gioiello dei tesori della Nubia, il monumento più grandioso mai scolpito nella roccia, esaudendo in questo modo il sogno del faraone Ramses di rendere il suo tempio immortale».
I TEMPLI DI AGILKIA
I templi trasferiti dall’isola di File vennero rimontati in nuovo sito, a 500 metri di distanza, sull’isola di Agilkia, che appare nella foto qui sopra.
ESTHER PONS MELLADO CONSERVATRICE DEL DIPARTIMENTO DI ANTICHITÀ EGIZIANE. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI MADRID
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL GRANDE TEMPIO DI ABU SIMBEL NEL SUO SITO ATTUALE. DEDICATO A RAMSES II, MISURA 33 METRI DI ALTEZZA, 38 DI LARGHEZZA E 62 DI PROFONDITÀ. I COLOSSI SEDUTI DEL FARAONE RAGGIUNGONO I 22 METRI DI ALTEZZA.
U N ’ I M PR E S A CO LOS S A L E
IL TRASFERIMENTO DEI TEMPLI DI ABU SIMBEL Il salvataggio dei templi di Abu Simbel fu reso possibile dalla cooperazione internazionale, sotto gli auspici dell’UNESCO. Il piano consistette nel sezionarli in blocchi e trasferirli sull’altopiano adiacente, elevato a sufficienza da essere al riparo dalle acque del lago Nasser. L’operazione si svolse tra il 1963 e il 1968. 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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na volta presa la decisione di salvare i templi di Abu Simbel, si vagliarono varie alternative. Alcune erano abbastanza fantasiose: un progetto britannico, per esempio, prevedeva di lasciarli andare sott’acqua ma di ricoprirli con una piramide cava trasparente che permettesse di vederli dall’esterno. Un altro piano suggeriva di proteggerli dalle acque tramite un’enorme diga. L’idea che godeva di maggior sostegno tra archeologi e ingegneri era quella di tagliare i templi dalla roccia in un unico blocco, quindi elevarli con dei martinetti idraulici e ricollocarli 65 metri più in alto. A parte le difficoltà tecniche, il piano aveva un costo astronomico. Furono proprio le ragioni economiche a imporre un progetto alternativo: tagliare i templi in un migliaio di blocchi e ricostruirli in una zona più elevata.
JOSEF NIEDERMEIER / AGE FOTOSTOCK
ROBERT W. NICHOLSON / NGS
SESSANTA METRI PIÙ IN ALTO
Il disegno a sinistra mostra la posizione attuale dei due templi di Abu Simbel (costruiti nel XIII secolo a.C.) sull’altopiano. I templi si trovano 65 metri più in alto e 180 metri più all’interno rispetto al sito originario, che si può scorgere sott’acqua. Il trasporto non si limitò agli elementi dei templi propriamente detti, ma fu necessario anche svuotare l’interno della montagna da cui erano stati prelevati: in totale l’operazione richiese la rimozione di 130mila metri cubi di roccia. Per poter riprodurre con maggior fedeltà possibile l’ambiente originario, nel nuovo sito vennero create due collinette artificiali tramite delle cupole in calcestruzzo di grandi dimensioni, sulle quali fu successivamente collocato un rivestimento roccioso. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’operaio qui sopra usa una sega svedese per tagliare un blocco. Chi ha partecipato al progetto racconta che questo ha richiesto un grandissimo lavoro di coordinazione di svariate centinaia di operazioni al giorno.
36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
CHIRURGIA DI ALTA PRECISIONE a partire dal 1963 un esercito di operai si dedicò a rimuovere tonnellate di roccia attorno ai templi. Precedentemente era stata collocata al loro interno un’armatura d’acciaio per evitare frane, mentre le facciate furono ricoperte di sabbia per prevenire danni alle sculture. Quindi iniziò l’operazione più delicata: il taglio in blocchi degli ipogei. Si effettuarono delle sezioni di tre metri di altezza fino a cinque di lunghezza, con un peso di 20 tonnellate per pareti e soffitti e di 30 per la facciata. A occuparsi di questo compito fu un gruppo di esperti cavatori di marmo del nord Italia. Il contratto stabiliva che i tagli dovessero essere di un massimo di 6 millimetri, ma i marmisti si fecero un punto di orgoglio nel farli ancora più sottili, soprattutto negli elementi decorativi. Una volta tagliati, i blocchi venivano etichettati con un codice che ne indicava la posizione, venivano introdotti in contenitori di cemento rinforzato e trasferiti in un sito di deposito.
Un bulldozer si inerpica sulla parete di sabbia che ricopre la facciata del tempio di Ramses II ad Abu Simbel. Un tubo spara sabbia per ricoprire il monumento.
FOTO IN ALTO: WERNER EMSE / NGS . FOTO IN BASSO: GEORG GERSTER / NGS
OPERAIO SEGA LA ROCCIA
GEORG GERSTER / NGS
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Un gruppo di operai sega in blocchi una delle statue colossali del sovrano Ramses II che decorano la facciata del tempio.
Uno specialista italiano e uno egiziano individuano una fenditura nel soffitto del tempio dove posizionare la sega per tagliare il blocco.
Un operaio utilizza una sega per tagliare un blocco di pietra della parte superiore del tempio del faraone Ramses II.
LA POSA DEL PRIMO BLOCCO DI PIETRA
Nell’immagine qui sopra gli operai posano la prima pietra del grande tempio di Abu Simbel nel suo nuovo sito, nel gennaio del 1966. I blocchi furono uniti tra loro tramite una malta di polvere di arenaria, calce viva, cemento bianco e un colorante.
38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
1 Dopo il montaggio alcuni operai rimuovono gli adesivi che proteggevano i bordi dei volti delle statue di Ramses II da possibili danni mentre venivano tagliati in blocchi.
RICOSTRUITO BLOCCO PER BLOCCO i lavori di ricostruzione del tempio si svolsero tra il 1966 e il 1968. I blocchi furono trasportati dal sito di deposito e collocati al loro posto dagli operai, con la massima precisione. In un articolo pubblicato sul National Geographic Magazine nel 1969 il giornalista e fotografo svedese Georg Gerster descrisse così la sistemazione di una testa del faraone Ramses II il 14 settembre del 1966: «La cerimonia aveva tutta l’aria di una processione trionfale. Un rimorchio ha trasportato il gigantesco volto di arenaria a passo di lumaca fino alla nuova sede, sotto lo sguardo attento di 1.500 persone che lavoravano nel sito. Quando la testa è arrivata al grande tempio, una gru l’ha sollevata delicatamente dal suo cuscino di sabbia tramite le barre di ancoraggio precedentemente installate. Lentamente quel volto di 21 tonnellate si è innalzato al di sopra degli spettatori, è ruotato un attimo verso gli altri due colossi e quindi è stato collocato al suo posto. È stato il punto culminante della fase di ricostruzione».
FOTO: GEORG GERSTER / NGS
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GEORG GERSTER / NGS
Questo disegno mostra la numerazione dei blocchi di pietra tagliati per essere ricollocati più tardi nel nuovo sito.
Il volto di uno dei colossi di Ramses sta per essere ricollocato sul resto della statua. Dietro era stato messo un contrappeso in calcestruzzo per impedirne la rotazione.
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VOLTE IMMENSE
Dopo aver collocato le statue colossali di Ramses sulla facciata del tempio, furono costruite delle volte di calcestruzzo per proteggere l’edificio. Lo stesso venne fatto con il tempio di Nefertari. La volta del tempio di Ramses II – nell’immagine – ha una larghezza di oltre 60 metri e sostiene circa 60 tonnellate per metro quadrato, peso che corrisponde alla collina artificiale che fu costruita sopra per imitare l’aspetto originale del tempio. Nell’immagine si può vedere anche il muro di calcestruzzo dietro la facciata, che serviva a rinforzare i colossi. GEORG GERSTER / AGE FOTOSTOCK
Facciata. Misura 35 m di larghezza per 30 m di altezza. Vi si distinguono i quattro colossi di pietra del faraone.
ARALDO DE LUCA
4 IL SOLE SALUTA IL POTENTE RE EGIZIO
Ramses II è illuminato dai raggi del sole nel santuario del grande tempio di Abu Simbel. Insieme al faraone divinizzato si possono vedere gli dèi Ra-Horakhty (con la testa di falco), Amon-Ra (con il suo caratteristico copricapo con due piume) e Ptah.
42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
RIALLINEAMENTO SOLARE CON UN PO’ DI RITARDO la perfetta orientazione astronomica del grande tempio di Abu Simbel nella sua posizione originale faceva sì che due volte l’anno, esattamente i giorni 21 febbraio e il 21 ottobre, i raggi del sole penetrassero al suo interno e raggiungessero il santuario, dove illuminavano le statue degli dèi Amon-Ra e Ra-Horakhty, nonché quella dello stesso Ramses II divinizzato. Solo quella di Ptah restava volutamente in penombra, in omaggio al suo carattere di divinità funebre. Quando venne trasferito il tempio si cercò di rispettarne la disposizione e l’orientazione originarie. Ciononostante, un piccolo errore nell’ubicazione della nuova sede – insieme, forse, allo spostamento accumulato dal tropico del Cancro negli ultimi 3.280 anni – ha fatto sì che il fenomeno sia stato ritardato di un giorno, per cui oggi si verifica il 22 febbraio e il 22 ottobre. Il sole non ha smesso di rendere onore a Ramses II, ma ora lo fa con un giorno di ritardo.
Colossi. Rappresentano Ramses II e sono scolpiti direttamente nella roccia. Misurano 22 m circa di altezza.
Figure minori. Quelle ai lati dei colossi rappresentano parenti del faraone; quelle ai loro piedi, invece, prigionieri di guerra.
Cupola di cemento. Fa parte della struttura di sostegno del tempio nel suo nuovo sito.
Sala delle offerte. Contiene immagini di Ramses II che realizza offerte a vari dèi.
Atrio. Formato da tre navate separate da quattro pilastri. Contiene rappresentazioni del re assieme agli dèi, dell’imbarcazione di Amon-Ra e di Ramses divinizzato in processione.
Sala ipostila. Misura 18 x 16 m. Si distinguono gli otto pilastri osiriaci, di una decina di metri di altezza, che rappresentano il faraone.
Sale laterali secondarie. Poco decorate, erano probabilmente usate come magazzini.
SOL 90 / ALBUM
Gioco di luci. Due volte l’anno i raggi del sole penetrano tramite l’accesso principale del tempio, attraversano la sala ipostila e l’atrio e arrivano al santuario, dove illuminano le statue degli dèi e del re.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS
I L L E G G E N DA R I O R E D I B A B I L O N I A
NABUCODO La Bibbia e gli storici antichi parlano di Nabucodonosor II come di un conquistatore
SIMBOLO DELLA REGALITÀ BABILONESE
NOSOR implacabile e di un grande costruttore
THE SCHØYEN COLLECTION, OSLO AND LONDON
Questo leone ruggente composto di mattoni smaltati policromi faceva parte della decorazione della grande via processionale di Babilonia, di venti metri di larghezza, che conduceva alla porta di Ishtar, il principale ingresso della città all’epoca di Nabucodonosor II. Musée du Louvre, Parigi. Sotto, stele della torre di Babele, dove appare l’effigie di Nabucodonosor II.
LA FURIA DEL NABUCCO DI VERDI
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OPERA DI GIUSEPPE VERDI inizia con
una scena che si svolge nel tempio di Salomone a Gerusalemme. Gli ebrei sono riuniti attorno al sacerdote del tempio, Zaccaria, che cerca di tenere alto il morale di fronte alla minaccia che incombe su di loro. Poco dopo irrompono nel tempio le truppe babilonesi, guidate da Nabucodonosor a cavallo. Il sacerdote Zaccaria lo apostrofa: «Oh trema, insano! Questa è di Dio la stanza!». Ma ciò accresce la furia del sovrano babilonese: «Tremin gl’insani del mio furore! Vittime tutti cadranno ormai!... In mar di sangue fra pianti e lai l’empia Sonne scorrer dovrà! […] O vinti, il capo a terra! […] resistermi, stolti, chi mai potrà?». E quindi, rivolgendosi ai suoi uomini: «Saccheggiate, ardete il tempio, fia delitto la pietà! Delle madri invano il petto scudo ai pargoli sarà».
L’OPERA DI VERDI
Il libretto del Nabucco di Verdi fu scritto da Temistocle Solera, basandosi su un’opera francese del 1836. Sopra, incisione che rappresenta la scenografia di Trombetti per la prima del Nabucco nel 1842.
M
DEA / SCALA, FIRENZE
ercoledì 9 marzo 1842 si tenne alla Scala di Milano la prima del Nabucco, la grande tragedia lirica di Giuseppe Verdi. Per il compositore italiano l’esordio dell’opera fu un grande successo, che aiutò a consolidare la sua reputazione. Vuole la leggenda che le parole del celebre coro degli schiavi ebrei «Va pensiero sull’ali dorate» avessero dato a Verdi la forza per tornare a comporre musica dopo la tragica morte della moglie Margherita, av-
venuta nel 1840. Il successo dell’opera si è protratto fino ai nostri giorni: attualmente è una delle opere musicali più rappresentate del repertorio operistico mondiale. Il Nabucco, com’è noto, ha due temi principali. Da una parte, la ricerca della libertà da parte del popolo ebraico, che si trova in esilio, o cattività babilonese, in seguito alla conquista di Gerusalemme e alla distruzione del tempio per mano di Nabucco (il famoso re babilonese Nabucodonosor II). Dall’altra, il
C R O N O LO G I A
IL GRANDE RE DI BABILONIA 46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Dopo la morte del padre Nabopolasar, Nabucodonosor, che nella battaglia di Karkemish ha sconfitto il faraone Necao II, torna nella madrepatria, Babilonia, dove viene proclamato re.
588 a.C.
DEA / ALBUM
605 a.C.
Il faraone Aprie tenta una nuova invasione del Vicino Oriente. Il regno di Giuda e altri stati della regione ne approfittano per ribellarsi contro il dominio di Babilonia e Nabucodonosor si mette alla guida dell’esercito.
COSTUME DEL PERSONAGGIO DI NABUCCO NELL’OPERA DI VERDI. 1842. MUSEO TEATRALE DELLA SCALA, MILANO.
RICOSTRUZIONE DELLA PORTA DI ISHTAR, IL MONUMENTALE ACCESSO ALLA CITTÀ DI BABILONIA, E DELLA VIA PROCESSIONALE CHE CONDUCE A ESSA. L’IMMAGINE RAFFIGURA LA GRANDE PROCESSIONE DELL’ANNO NUOVO.
SOL 90 / ALBUM
Realtà e leggenda
L’IMPERO BABILONESE
La mappa sotto queste righe mostra l’enorme estensione territoriale dei domini babilonesi sotto il regno di Nabucodonosor.
Nabucodonosor muore a Babilonia dopo 43 anni di regno. Quasi 25 anni dopo la sua morte e dopo un periodo di decadenza, nel 539 a.C. Babilonia crolla sotto l’attacco del re persiano Ciro il Grande.
SIRIA
ASSIRIA Ninive ri Tig
L’assedio di Gerusalemme da parte dei babilonesi si conclude con la distruzione della città e con la deportazione della maggioranza dei suoi cittadini a Babilonia. Nabucodonosor conquista le città fenicie.
562 a.C.
te fra Eu
587 a.C.
Mar Mediter
raneo
Non deve stupire che Verdi abbia scelto questo tema per un’opera. Nessun altro re mesopotamico ha goduto di altrettanta fama postuma né ha lasciato un’eredità così importante ai posteri. Storici, letterati, poeti, artisti, musicisti e, più recentemente, ci-
neasti hanno ricostruito la figura di questo antico sovrano babilonese mettendone in evidenza il potere e la ricchezza, ma anche le azioni vendicative e la follia. Partendo da questo sfondo, non è facile ricostruire chi fu veramente l’uomo cui è stata attribuita una personalità così piena di luci e di ombre. Soprattutto perché le informazioni su di lui provenienti dalle fonti dell’epoca – ovvero delle tavolette in lingua accadica – sono scarse e frammentarie. La leggenda inKarkemish torno a Nabucodo-
MEDIA
Sidone
Tiro
Babilonia
Ascalona Gerusalemme R E G N O D I G I U DA Impero di Nabucodonosor II (605–562 a.C.)
MERCHE HERNÁNDEZ
carattere di questo sovrano, di una superbia e una vanità estreme. L’opera racconta la storia del monarca che vuole diventare un dio. Successivamente impazzisce e solo quando riconosce la veridicità della divinità degli ebrei riesce a recuperare la sanità mentale.
LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI
LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME DA PARTE DI NABUCODONOSOR NEL 587 A.C. OLIO DI WILLIAM BRASSEY HOLE (1846-1917).
GLI EBREI A BABILONIA
S
ONO STATI RECENTEMENTE PUBBLICATI due archivi cunei-
formi eccezionali che fanno nuova luce sulla situazione degli ebrei esiliati a Babilonia dopo la distruzione della città da parte di Nabucodonosor. Uno di questi archivi è stato rinvenuto all’inizio del XX secolo negli scavi delle rovine dell’antica Babilonia ed è rimasto inedito per oltre un secolo. Si tratta di una raccolta di testi amministrativi che elencano le razioni di cibo che ricevevano giornalmente alcuni degli ebrei esiliati in città. Tra loro compare perfino il re Ioaichin con la sua famiglia e alcuni membri della corte. L’altro archivio proviene invece dall’antica Al-Yahud, che significa letteralmente “la città di Giuda”. Al-Yahud era il nome babilonese di Gerusalemme. Tuttavia, i testi cuneiformi non provengono da lì, ma da una città mesopotamica. Composto di circa duecento tavolette cuneiformi, l’archivio registra eventi della vita quotidiana degli ebrei esiliati, dai pagamenti delle tasse fino ai contratti di affitto. Da questi documenti emerge in modo evidente che gli ebrei in esilio non erano schiavi, bensì dipendenti dello stato babilonese, e che conservarono la loro identità di gruppo.
48 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
nosor II sorse in una certa misura già durante il suo regno. La propaganda ufficiale gli attribuiva una condizione semidivina: in numerose iscrizioni commemorative appare come “il preferito del dio Marduk”, come il monarca che venera i grandi dèi del pantheon mesopotamico e garantisce al suo popolo la legge e la giustizia. Il suo nome babilonese, Nabu-kudurri-usur – trasformato in Nabucodonosor nella versione biblica –, significa “dio Nabu, proteggi mio figlio primogenito”. Nabu era il dio babilonese della saggezza. Altre iscrizioni lo esaltano come re dell’universo,“colui che non ha nemici tra l’orizzonte e il cielo”. Gli storici antichi tramandarono il ricordo della grandezza del suo impero, e in particolare di Babilonia, la sua maestosa capitale. Lo storico ebreo del I secolo d.C. Tito Flavio Giuseppe, per esempio, raccolse preziose informazioni sul sovrano, basate a loro volta sui testi perduti del sacerdote babilonese Berosso, che scrisse attorno al 280 a.C. In una delle sue opere, Contro Apione, Flavio Giu-
FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK
seppe descrive il palazzo di Nabucodonosor a Babilonia e lo straordinario giardino che si trovava dentro le mura di quella vasta dimora. Secondo il racconto, Nabucodonosor eresse l’edificio in soli 15 giorni. Fece costruire inoltre delle enormi terrazze di pietra circondate da una grande varietà di alberi, a imitazione delle montagne. In questo modo Nabucodonosor volle costruire una specie di “paradiso pensile” per compiacere la moglie di origine meda, che era afflitta dalla nostalgia per il paesaggio montagnoso della sua terra natale (l’antica Persia nord-occidentale). Ma l’archeologia non ha potuto documentare l’esistenza di questi giardini pensili, né i testi cuneiformi dell’epoca hanno corroborato la notizia menzionata da Berosso e da Flavio Giuseppe che vuole Nabucodonosor sposato con Amitis, la figlia dell’ultimo re della Media, Astiage. Non è nemmeno sicura l’affermazione di Erodoto secondo la quale il sovrano babilonese aveva una relazione cordiale con i medi e in un’occasione fece da mediatore in un
conflitto che li vedeva opposti ai lidi dell’Asia minore. Le“mura mede”, che Nabucodonosor ordinò di costruire nella città di Borsippa, 18 km a sud-ovest di Babilonia, fanno pensare che le relazioni tra medi e babilonesi dovessero essere piuttosto tese.
Il re conquistatore La fama di Nabucodonosor era strettamente legata all’attività militare e di conquista, che fece sì che durante il suo regno l’impero babilonese raggiungesse la sua massima espansione: la frontiera nord arrivava a Karkemish (nell’attuale Turchia), lungo il corso superiore dell’Eufrate. La costa mediterranea costituiva la frontiera occidentale, l’Egitto e la penisola araba delineavano quella meridionale, e le città mede e persiane quella orientale. Il re di Babilonia condusse incessanti campagne militari, soprattutto contro Egitto, Palestina e Siria. Di fatto, la notizia della morte del padre, Nabopolasar, nel 605 a.C., lo sorprese al rientro da un intervento militare contro i soldati egizi di stanza a Karkemish.
LA BABILONIA ODIERNA
L’immagine mostra una panoramica attuale delle rovine di Babilonia, così come fu ricostruita dagli archeologi iracheni tra il 1970 e il 1990.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L A BABILONIA DI NABUCODONOSOR Dopo la caduta dell’impero assiro nel 612 a.C., Nabucodonosor, figlio di Nabopolasar, il fondatore della nuova dinastia caldea di Babilonia, fu l’artefice dell’ultima grande ricostruzione della città. Sotto il suo governo Babilonia divenne una delle più importanti metropoli del mondo antico, con un’estensione di 375 ettari, costellata di sontuosi palazzi, magnifici templi e alte torri che si innalzavano verso il cielo. Tra questi c’era l’Etemenanki, il santuario di Marduk, principale divinità babilonese: con le sue sei terrazze e i suoi sessanta metri di altezza diede origine al mito biblico della torre di Babele.
BYZANTIUM 1200 PROJECT
Tempio di Nabu, dio della saggezza.
Etemenanki. Tempio dedicato al dio Marduk.
Porta di Ishtar. Ingresso principale della cittĂ .
Bastione occidentale
Palazzo sud
Palazzo nord
LOREMU IVIS
LA PAZZIA DEL RE DI BABILONIA
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EL LIBRO DI DANIELE si racconta
che, mentre passeggiava per il suo palazzo a Babilonia ammirandone la grandezza, Nabucodonosor sentì una voce dal cielo che gli annunciava che avrebbe perso il suo regno e per sette anni sarebbe stato abbandonato da tutti e ridotto alla condizione di animale selvaggio. Poco dopo il re «fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli». Trascorsi i sette anni guardò il cielo, recuperò la sanità mentale e lodò Dio. Questa leggenda, capace di affascinare svariati artisti, sorse probabilmente da una confusione con Nabonido, ultimo re di Babilonia (556-539 a.C.), che sorprese i suoi compatrioti andando a vivere per dieci anni nell’oasi di Taima, in Arabia.
NABUCODONOSOR. INCISIONE DI WILLIAM BLAKE. 1868. BRITISH LIBRARY, LONDRA.
BRIDGEMAN / ACI
Non appena fu incoronato re, a soli 25 anni, Nabucodonosor intraprese continue operazioni militari allo scopo di espandere e consolidare l’impero babilonese. Sotto il suo regno, l’espansione territoriale si concentrò sulle coste di Siria e Palestina, regioni che il re conquistò metodicamente spingendo gli egiziani verso sud. Il monarca stabilì guarnigioni in tutta la regione occidentale, dove quasi ogni anno si recava non solo per rafforzare il suo potere ma anche per riscuotere gli onerosi tributi che gli riconoscevano le città e i regni sottomessi. Lo stato più esteso e potente della regione palestinese era il regno ebraico di Giuda, con capitale Gerusalemme, che rappresentava quindi il maggior ostacolo alle ambizioni espansionistiche del nuovo monarca babilo-
PER NON ADORARE UN IDOLO Questo frammento in rilievo racconta la storia di tre giovani ebrei salvati miracolosamente dopo essere stati gettati in un forno ardente per ordine di Nabucodonosor. Musée du Louvre.
nese. Nel 601 a.C., secondo quanto riportano documenti in aramaico provenienti da Saqqara, in Egitto, Nabucodonosor sottomise il re Ioaikim. Ma questi, pochi anni dopo, rifiutò la sovranità babilonese, spingendo Nabucodonosor a mettere sotto assedio Gerusalemme. La città cadde pochi anni dopo e Nabucodonosor pose Sedecia sul trono di Giuda, in sostituzione del nipote Ioaichin, il figlio che era appena succeduto a Ioaikim, morto nel frattempo. Ciononostante, questo non impedì il sorgere di una nuova crisi qualche anno più tardi. Approfittando di alcuni disordini a Babilonia, la città di Tiro si rifiutò di versare i tributi dovuti e il regno di Giuda si ribellò al sovrano babilonese. Questa situazione obbligò Nabucodonosor a tornare nella zona. Nel
52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC RMN-GRAND PALAIS
BEAUX-ARTS DE PARIS / RMN-GRAND PALAIS
588 a.C. Tiro e Gerusalemme furono sottoposte a un assedio totale. Tiro, situata su un’isola, resistette tredici anni, mentre Gerusalemme cadde nell’agosto del 587 a.C. e fu oggetto di un saccheggio sistematico e della distruzione del tempio. Una parte della popolazione ebraica, tra cui lo stesso re Ioiachin e la sua famiglia, fu deportata a Babilonia. Dal 586 a.C. tutta la regione occidentale del Vicino Oriente si ritrovò sotto il giogo babilonese.
Nabucodonosor e gli ebrei La tragica caduta di Gerusalemme e il trasferimento forzato della sua popolazione a Babilonia lasciarono un segno profondo nella coscienza ebraica e contribuirono in modo decisivo a fissare l’immagine postuma di Nabucodonosor. Un’immagine che, comunque, non fu sempre negativa. Certo, l’Antico testamento ritrae quello dell’esilio del popolo ebraico a Babilonia tra il 586 a.C. e il 537 a.C. come un periodo di prova e sofferenza, e il re babilonese appare come un crudele
tiranno ossessionato dal potere. Ma, allo stesso tempo, Nabucodonosor è considerato anche uno strumento nelle mani di Dio, che svolge una funzione positiva nella storia della salvezza ebraica. Nel libro di Geremia, questo profeta ringrazia Nabucodonosor per la protezione accordatagli e proclama che disobbedirgli è un’empietà. Un altro profeta dell’esilio, Ezechiele, afferma la stessa cosa. Ciononostante, la tradizione storica successiva avrebbe imposto un’immagine negativa di Nabucodonosor. La rappresentazione del sovrano giunta fino a noi è quella di un mostro senza scrupoli. Nel corso del tempo gli sono stati attribuiti peccati mortali come la blasfemia, la sete di sangue e la propensione a mentire. Per questi peccati Nabucodonosor è stato castigato da Dio con l’attacco di pazzia evocato dall’artista inglese William Blake nel celebre quadro Nebuchadnezzar e successivamente da Giuseppe Verdi nella sua opera immortale.
CONDANNA AI RIBELLI
Dopo la caduta di Gerusalemme, Nabucodonosor ordinò l’esecuzione dei figli del re di Giuda, Sedecia, alla presenza dello stesso. La scena è rappresentata in questo olio del 1787. FrançoisXavier Fabre.
BARBARA BÖCK CONSIGLIO SUPERIORE DELLE RICERCHE SCIENTIFICHE (SPAGNA)
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GAUGAMELA LA VITTORIA DECISIVA DI ALESSANDRO
IL MOMENTO CHIAVE
ARNAUDET-BLOT / RMN-GRAND PALAIS
Alessandro cavalca verso Dario nella battaglia di Gaugamela. L’olio di Charles Le Brun mostra l’aquila che, a quanto si racconta, sorvolò la testa del sovrano macedone in un presagio del suo trionfo. 1669. Louvre, Parigi. Sotto, un cammeo raffigura Alessandro.
Un re venticinquenne cavalca al comando dei suoi uomini contro un imponente esercito nemico e decide la vittoria con la sua spada. Quel re è Alessandro, il luogo della battaglia Gaugamela. Il favoloso impero persiano sarà il premio per il vincitore
DEA / AL
B UM
Babilonia
Damasco
Gerusalemme
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Drangiana Pura
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Satagidia Arachosia Gedrosia
Patala
Persia
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Sotto, interno di una kylix (coppa larga) con oplita greco che lotta con un persiano. È stata datata attorno al 460 a.C., diciannove anni dopo la fine delle Guerre persiane. National Museum of Scotland, Edimburgo.
Pasargade Persepoli
Egitto
NEMICI MORTALI
Sagartia
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Fenicia
Babilonia
Ecbatana Behistun Şuşa
Kandahar
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Armozia
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a notte del 20 settembre del 331 a.C. la luna scomparve dal cielo e il mondo affondò nell’oscurità. Gli indovini interpretarono questo evento – un’eclissi lunare – come il presagio di un’imminente disgrazia che avrebbe colpito i persiani e come l’annuncio di un cambiamento epocale. L’allarme si diffuse tra le file dell’esercito che Dario III, il sovrano persiano, aveva mobilitato per frenare l’avanzata degli invasori provenienti dalla Grecia e dalla Macedonia. Questi erano guidati da un re venticinquenne, Alessandro, che in soli tre anni aveva dato prova concreta delle sue abilità di stratega e della sua indomabile ambizione. La spedizione greco-macedone era iniziata nel 334 a.C. come una semplice
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Sinope
Macedonia Bisanzio
Via reale di Persia
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Tracia
Capitali dell’impero
Battaglia
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Impero persiano
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La campagna di Alessandro contro la Persia In questa mappa dell’impero persiano si possono vedere le battaglie combattute dal re macedone e Dario III: Granico (334 a.C.), Isso (333 a.C.) e Gaugamela (331 a.C.)
campagna punitiva per vendicare le offese che i sovrani persiani avevano arrecato agli dèi greci durante le guerre di oltre un secolo e mezzo prima. Ma, dopo essersi imposto con autorità sugli eserciti nemici nelle battaglie del Granico e di Isso, l’esercito di Alessandro era ormai diventato una minaccia gravissima per la sopravvivenza del dominio persiano in Asia. E questo a dispetto del fatto che fosse sempre in inferiorità numerica.
Una questione personale A Isso Alessandro era addirittura riuscito a catturare la famiglia di Dario III. Il re persiano era stato costretto a fuggire per salvarsi e poter così continuare a guidare la resistenza contro il giovane sovrano macedone, che non
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CASTIGO AI PERSIANI BR
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499-479 a.C.
336 a.C.
Guerre persiane: i persiani, sotto il re Dario I e il suo successore, Serse I, invadono la Grecia in due occasioni, ma sono respinti.
Filippo II di Macedonia viene ucciso quando sta per guidare l’invasione dell’impero persiano. Gli succede il figlio Alessandro.
L’ATTRAVERSAMENTO DEL TIGRI
Gaugamela si trova sulla sponda orientale del fiume, che Alessandro attraversò senza problemi – dato che i persiani non lo attaccarono – utilizzando un guado oggi scomparso sotto il bacino di Tall Abu Dhahir (Iraq). BRUCE COLEMAR / ALAMY / ACI
334 a.C.
333 a.C.
331 a.C.
330 a.C.
Alessandro, che ha portato avanti la campagna iniziata dal padre, sconfigge un esercito persiano sulle sponde del fiume Granico.
A Isso Alessandro sconfigge il persiano Dario III Codomano, che fugge lasciando la sua famiglia nelle mani del nemico.
A Gaugamela Alessandro sconfigge nuovamente Dario, che fugge di nuovo. Il conquistatore macedone è il nuovo signore di Persia.
Dopo essere entrati nella capitale, Persepoli, senza trovare resistenza, i macedoni incendiano i palazzi dei re achemenidi. HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Un sacrificio alla Paura SECONDO QUANTO RACCONTA lo storico Quinto Curzio nelle Storie di Alessandro Magno (IV 12, 14-17), il re aveva ordinato ai suoi uomini di marciare di notte in direzione delle truppe di Dario di stanza a Gaugamela. A un certo punto i soldati credettero di vedere migliaia di fuochi davanti a loro e iniziarono a tremare dalla paura. Alessandro gli ordinò di fermarsi e deporre le armi a terra per calmarsi. Era la notte del 29 settembre. CHE L’ESERCITO avesse paura sembra confermato da Plutarco. Questi spiega che alcune ore prima della battaglia «Alessandro era davanti alla sua tenda con l’indovino Aristandro e i due erano intenti a celebrare arcani rituali con offerte al dio Phobos (personificazione della paura)» (Alessandro 31, 9-10). Che si sappia, fu l’unica volta che Alessandro fece qualcosa del genere.
L’INDOVINO ARISTANDRO E ALESSANDRO LA NOTTE PRIMA DELLA BATTAGLIA DI GAUGAMELA. IN LONTANANZA SI VEDONO I FUOCHI DELL’ACCAMPAMENTO PERSIANO.
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LA MIGLIORE CAVALLERIA DELLA GRECIA Dracma d’argento coniata dalla città di Larissa attorno al 400 a.C., con un cavaliere della Tessaglia. I guerrieri a cavallo di questa regione erano considerati i migliori di tutta la Grecia.
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aveva mai perso una battaglia. Lo scontro tra i due aveva ormai assunto le tinte di una questione personale. Dopo Isso, per assicurarsi la retroguardia Alessandro occupò la Siria, la Fenicia e l’Egitto, quindi avanzò verso l’interno dell’impero persiano, dove Dario aveva cercato di radunare un esercito immenso con cui schiacciare il suo avversario. Ma la fama dell’invincibile Alessandro lo precedeva ovunque, rafforzata da prodigi come l’eclissi di settembre. Dario cercò di trovare un terreno favorevole al suo piano di battaglia, incentrato sullo sfruttamento di spazi ampi per dispiegare l’enorme esercito ai suoi ordini. L’armata persiana era costituita da un variegato insieme di unità provenienti da ogni angolo dell’impero, tra cui spiccavano la magnifica cavalleria corazzata di catafratti, proveniente dalla Battria e dalla Sogdiana; i letali arcieri a cavallo massageti, di origine scita; la cavalleria pesante persiana, sempre al fianco del suo re e, soprattutto, l’irriducibile fanteria di mercenari greci, composta in gran parte da esiliati e oppositori di
Alessandro e della sua egemonia sulla Grecia. Un enorme gruppo di fanti proveniente dall’India rinforzava ulteriormente quel vasto ed eterogeneo esercito. Ma Dario conosceva molto bene la capacità strategica di Alessandro e la mobilità della fanteria leggera macedone. Quindi, per rompere le file nemiche volle con sé anche 50 carri falcati, cioè provvisti di lame taglienti sulle ruote, e 15 elefanti da guerra indiani. Nel complesso il suo esercito ammontava a circa 250mila effettivi, se si dà credito alle stime degli autori antichi.
La pianura di Dario Per poter dispiegare tutte le sue forze, Dario aveva bisogno di una vasta pianura che gli permettesse di circondare le unità di Alessandro. Gli angusti spazi attorno al Granico e a Isso non avevano permesso ai persiani di sfruttare al meglio le proprie risorse. Quando, a fine settembre, poco dopo l’eclissi, Dario venne a sapere che Alessandro si stava avvicinando da occidente, decise di retrocedere e attendere il suo avversario sulla spianata di Gaugamela, nei pressi di un villaggio di nome Arbela (odierna Erbil, in Iraq). Qui non
LA CAPITALE DEI PERSIANI
Probabile rappresentazione di sacerdoti zoroastriani sulla scalinata del palazzo di Dario I a Persepoli, città fondata da questo sovrano persiano. 522-486 a.C. MORANDI / ALAMY / ACI
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vicino, ordinò agli uomini di accamparsi ed espose a tutti il suo piano di attacco. Il successo dell’esercito di Alessandro in Asia si basava in gran parte sulla letale combinazione di due caratteristiche. Da un lato, la manovrabilità dell’impenetrabile falange macedone, una fanteria semileggera armata con la sarissa, una lancia di sette metri di lunghezza. Dall’altro, la forza e la velocità della cavalleria dei Compagni, formata da aristocratici macedoni e alla cui testa c’era immancabilmente il sovrano stesso. Alessandro aveva aggiunto a questo meccanismo dei rinforzi di fanteria oplitica greca, nonché l’infallibile cavalleria tessala, la migliore dell’epoca, e dei corpi di carattere ausiliario con armamenti leggeri, come gli arcieri cretesi e i lancieri agriani (provenienti dall’attuale Bulgaria). Questi, a seconda dei casi, potevano fungere da appoggio alla cavalleria, colpire il nemico da lontano, oppure consolidare le posizioni della fanteria.
Il grande scontro
LA GUARDIA DEL RE PERSIANO. UN MEMBRO DEGLI IMMORTALI, I 10MILA SOLDATI D’ÉLITE DEL GRANDE RE. MATTONI SMALTATI DEL PALAZZO DI DARIO I. 510 A.C. CIRCA. LOUVRE, PARIGI.
ERICH LESSING / ALBUM
GUERRIERO PERSIANO MORTO Un soldato persiano, vestito con pantaloni, tunica e turbante, giace morto a terra dopo essere caduto in battaglia. Scultura attribuita alla scuola di Pergamo. III secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Napoli.
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c’erano né colline né ostacoli che consentissero ad Alessandro di rifugiarsi e ottenere vantaggi difensivi. Su quella pianura, arida e sconfinata, Dario avrebbe arrestato la corsa del nemico macedone. Ma Alessandro sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto scontrarsi con i persiani in campo aperto. Alcuni dei suoi generali più esperti gli avevano raccomandato di attaccare di notte, per sfruttare l’oscurità e ridurre, attraverso una vittoria, l’enorme divario di dimensioni tra i due eserciti: il contingente greco-macedone si attestava infatti sui 47mila effettivi. Ma Alessandro non voleva una vittoria “rubata” con espedienti di questo tipo. Quando fu informato che il nemico era ormai
All’alba del primo ottobre del 331 a.C. l’esercito di Dario era già completamente schierato in posizione di battaglia. Alessandro capì rapidamente che se quell’enorme numero di effettivi persiani fosse riuscito a circondarli, non avrebbero avuto scampo. Di fronte a questa prospettiva, decise di puntare su una strategia così azzardata che i suoi avversari non avrebbero potuto prevederla. La formazione persiana era schierata, come sempre, con il Grande Re al centro, fiancheggiato dalla sua cavalleria di nobili e dallo squadrone degli Immortali, la terribile fanteria persiana nota per le lance con un contrappeso a forma di melagrana. Su entrambi i lati di questo gruppo si estendevano reggimenti eterogenei, tra cui spiccavano la cavalleria di Besso sull’ala sinistra e quella di Mazeo sulla destra. Alessandro schierò i suoi suddividendoli in due gruppi. L’ala sinistra, in cui si trovavano la cavalleria tessala e l’imbattibile falange, avrebbe cercato di reggere l’urto del grosso dell’esercito nemico. L’ala destra, invece, avrebbe aperto al massimo lo spazio di combattimento: la cavalleria dei Compagni guidata da Alessandro, in particolare, avrebbe condotto una manovra a sorpresa, allontanandosi dal luogo dello scontro per separare i suoi inseguitori dal resto dell’esercito. Il fatto che Alessandro si staccasse dalla sua fanteria consentì ai persiani
IL CAVALIERE E IL SUO CAVALLO
Statuetta in bronzo di Alessandro in sella a Bucefalo. Fu il suo cavallo sul Granico, a Isso, a Gaugamela e in altre battaglie, fino a quando non morĂŹ in India. Museo archeologico nazionale, Napoli. JAMES L. STANFIELD / NGS
DARIO FUGGE DA ALESSANDRO NEL COSIDDETTO MOSAICO DELLA BATTAGLIA DI ISSO RITROVATO A POMPEI. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
Dario III, un codardo? DARIO III è stato spesso considerato un
leader codardo e inetto, responsabile del crollo dell’imponente impero persiano, nonché esempio della sua decadenza. Alla radice di questo giudizio c’è il fatto che fuggì due volte dal campo di battaglia, provocando la sconfitta dei suoi eserciti. QUESTA IMMAGINE INGIUSTA non tiene conto del fatto che senza il Grande Re persiano sarebbe scomparso anche lo stesso regno. Per questa ragione Dario preferì fuggire piuttosto che farsi catturare o cadere in battaglia. Inoltre, le vaste risorse persiane garantivano sempre la possibilità di continuare a resistere all’invasore, sempre che il sovrano restasse in vita. Lo scopo ultimo delle fughe di Dario, quindi, era in realtà sottrarre il suo impero all’avidità di Alessandro Magno. ERICH LESSING / ALBUM
L’ELMO DELLA CAVALLERIA L’elmo beotico era utilizzato dalla cavalleria tessala e macedone. Questo esemplare fu ritrovato nel 1854 nel corso superiore del Tigri, a Tille (Turchia). Ashmolean Museum, Oxford.
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di concentrare l’attacco su di essa, mandando i letali carri falcati a fare breccia tra gli avversari. L’assalto penetrò così in profondità che una parte dei persiani riuscì ad arrivare fino all’accampamento di Alessandro, dove cercò di liberare la famiglia di Dario. Ma la madre Sisigambide si rifiutò di seguirli, consapevole del grave rischio che rappresentava la fuga, dato che la battaglia non era ancora decisa. I soldati quindi saccheggiarono le tende nemiche, dimenticandosi della lotta spietata che infuriava tra il resto degli eserciti. Dal canto loro, la fanteria macedone e i cavalieri tessali continuavano a mantenere la posizione con gravi difficoltà davanti all’enorme numero di avversari. I persiani dovettero credere che la vittoria fosse ormai solo questione di tempo. Ma a quel punto, inaspettatamente, la cavalleria di Alessandro cambiò direzione, penetrando improvvisamente tra le file dell’ala destra nemica, che si era aperta nell’iniziale tentativo di inseguimento e ora era tutta impegnata a incalzare la falange macedone. Si creò così una breccia nell’impe-
netrabile linea persiana, che lasciava libero un accesso diretto al Grande Re e alle sue guardie. Alessandro diede prova della sua fierezza e i Compagni dimostrarono ancora una volta la loro forza imponendosi selvaggiamente sugli avversari e arrivando a minacciare lo stesso Dario. Ormai in scacco, il re persiano vide che una parte dei suoi cavalieri migliori, agli ordini di Besso, stava soppesando la fuga. Se fosse stato catturato, tutto sarebbe andato perduto. Così decise di scappare.
Un impero come trofeo Quando vide fuggire Dario, Alessandro sentì svanire le sue speranze di mettere fine alla guerra. Si lanciò all’inseguimento dei nemici, ma gli arrivarono richieste di aiuto dalla sua fanteria che, guidata da Parmenione, stava continuando a resistere all’assalto persiano. Tornò allora a unirsi allo scontro, schiacciando tra due fronti gli avversari e poi inseguendo chi abbandonava il campo di battaglia una volta saputo che Dario era in fuga. Alessandro era ormai il signore dell’Asia. BORJA ANTELA-BERNÁRDEZ UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
LA PORTA DI ISHTAR
Con i suoi 18 m di altezza, rappresentava il principale accesso a Babilonia, dove Alessandro entrò una ventina di giorni dopo la vittoria di Gaugamela. La porta è conservata nel Pergamonmuseum di Berlino. ERICH LESSING / ALBUM
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Dopo la sconfitta di Isso (333 a.C.) il persiano Dario III radunò un formidabile esercito, molto superiore per numero a quello di Alessandro. Dario scelse il terreno dove si sarebbe svolto lo scontro definitivo: la spianata di Gaugamela, nei pressi del fiume Tigri. Il re persiano mirava in questo modo a superare la linea del suo avversario e ad attaccarlo su un fianco dispiegando il suo vasto esercito: 250mila effettivi di fronte a soli 40mila fanti e 7mila cavalieri di Alessandro, secondo quanto riportano gli autori antichi. Ciononostante, Gaugamela dimostrò chiaramente che le dimensioni dell’esercito non erano sufficienti a garantire la vittoria.
RE CONTRO RE NELLA BATTAGLIA DI GAUGAMELA
Alessandro
La carica dei carri fu rallentata dai giavellotti dei lancieri schierati da Alessandro, che ferirono molti degli aurighi. Poi le linee macedoni si aprirono per lasciar passare i nemici e limitare in questo modo le vittime. Sotto, ricostruzione della carica in un disegno del pittore francese André Castaigne. 1898-1899.
Parmenione Dario
Alessandro divise l’esercito in due. L’ala sinistra, guidata da Parmenione, doveva reggere l’urto dell’attacco nemico, mentre il re conduceva un attacco di cavalleria in diagonale sull’ala sinistra persiana, che lo inseguì per cercare di fermarlo. Questo aprì una breccia al centro dell’esercito avversario, dove si trovava Dario.
1 una manovra geniale
i carri falcati
Esercito macedone
Esercito persiano
I contingenti persiani erano arrivati da vari Paesi e non avevano mai combattuto insieme. Questo diede un ulteriore vantaggio al ben addestrato esercito di Alessandro.
Il trionfo di Gaugamela spalancò ad Alessandro le porte dell’impero persiano. Babilonia si arrese e fu scelta come capitale dei territori conquistati. Persepoli ebbe meno fortuna e fu saccheggiata dalle truppe, mentre il palazzo reale veniva bruciato per vendicare il male che i persiani avevano fatto ai greci in passato. Dario cercò di riprendersi, ma fu ucciso da Besso, satrapo della Battria, che assunse il titolo di re. Ciò permise ad Alessandro, diventato ormai il padrone dell’Oriente, di reclamare il ruolo di vendicatore del suo avversario storico e perseguitare coloro che lo avevano tradito, che vennero in seguito giustiziati.
Le conseguenze della vittoria
Mentre l’ala sinistra macedone sostiene tutta la pressione, Alessandro e la sua cavalleria cambiano direzione e penetrano nella breccia apertasi tra i persiani, facendosi strada a colpi di lancia verso Dario, che fugge.
2 il momento decisivo
Temendo un attacco notturno, le truppe persiane si erano schierate già la notte prima della battaglia, il che generò tensione e stanchezza tra le loro file.
Quinto Curzio riporta che Dario fuggì sul suo carro. Plutarco, invece, afferma che il carro di Dario restò bloccato dai cadaveri di uomini e cavalli e il re dovette fuggire in sella a una giumenta nata da poco.
ILLUSTRAZIONI: SOL 90 / ALBUM. INCISIONE: ALAMY / ACI
Non ci sono stime affidabili sul numero di vittime. Arriano dice che morirono un centinaio di uomini di Alessandro (60 dei quali appartenevano ai Compagni del Re) e 300mila persiani. La cosa certa è che il potere militare persiano era finito e ad Alessandro non furono necessarie altre battaglie di tali dimensioni per garantirsi il controllo dell’Asia.
Le vittime
Dario era circondato dalla sua guardia scelta: i 10mila Immortali, che lottarono coraggiosamente fino alla morte.
L’immensa nuvola di polvere sollevatasi durante la battaglia favorì la fuga di Dario, quando Alessandro gli era ormai vicino.
SGUARDO FEMMINILE
Questo affresco pompeiano raffigura una donna romana, coperta con la tipica palla (mantello), che osserva lo spettatore attraverso una porta. Museo archeologico nazionale, Napoli.
SOT TOMESSE O EMANCIPATE?
DONNE DI ROMA
SCALA, FIRENZE
Anche se la morale e le leggi le condannavano a una posizione subordinata, le donne romane approfittavano delle lacune legislative per ottenere diritti ed emanciparsi dal controllo maschile
NORBERT ACHTELIK / AGE FOTOSTOCK
MERCATO DI TRAIANO
Alcune donne gestivano modeste attività in piccoli locali (tabernae), come quelli che si possono vedere al piano terra del mercato di Traiano a Roma (nell’immagine qui sopra).
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ell’antica Roma il comportamento delle donne “rispettabili” doveva adeguarsi a un’ideale femminile molto preciso, quello della matrona. La sua missione consisteva nel generare figli e figlie all’interno di un matrimonio controllato ed educarli ai valori tradizionali. Fin dall’infanzia, le bambine venivano preparate a svolgere questo ruolo. Nella cerimonia degli sponsali, alla promessa sposa – ancora bambina – veniva messo un anello al dito (per questo detto “anulare”) dal quale si riteneva partisse un nervo che andava fino al
cuore. Da quel momento la bimba aspettava il matrimonio come l’evento più importante della sua vita, con cui avrebbe dato inizio alla sua funzione riproduttiva e di salvaguardia dei valori romani, tramite l’educazione della prole ai principi del patriottismo romano.
Sottomissione legale La donna era sottomessa a un ordine patriarcale, in cui i maschi controllavano la sua sessualità e la sua capacità riproduttiva. A questo scopo si applicavano norme e leggi di estrema durezza. Ogni relazione al di fuori del matrimonio, anche
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MADRI, EROINE, RIBELLI
Cornelia, figlia di Scipione l’Africano e madre dei Gracchi, è considerata l’ideale di matrona. È la prima donna cui viene dedicata una statua nel foro romano.
42 a.C.
BRIDGEMAN / ACI
189-110 a.C.
Lo storico Appiano riporta il discorso pronunciato nel foro romano da Ortensia, figlia del famoso oratore Quinto Ortensio. È la prima donna a intervenire in pubblico contro una legge che considera ingiusta.
SCENA MATRIMONIALE. BASSORILIEVO DEL II SECOLO D.C. 68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Sorella di Caligola, che cerca di spodestare, Agrippina minore si sposa in seguito con suo zio, l’imperatore Claudio. Alla morte di quest’ultimo, cerca di governare tramite il figlio, Nerone.
LOREM IPSUM
15-59 d.C.
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Ottavia, sorella di Augusto, viene presentata come esempio di lealtà e nobiltà. Sopporta le infedeltà del marito, Marco Antonio, e dopo la sua morte cresce nella propria casa i figli di questi e di Cleopatra.
Una professione considerata femminile era quella di parrucchiera, o ornatrix. Di solito era esercitata dalle liberte che lavoravano per conto proprio o per donne ricche. Sotto, specchio del tesoro di Boscoreale, Louvre.
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Fulvia, moglie prima di Clodio e poi di Marco Antonio, è un esempio atipico di matrona. Pare sia stata lei a scrivere il discorso pronunciato da Marco Antonio dopo la morte di Cesare.
64 a.C.-11 a.C.
SPECCHIO D’ARGENTO
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77-40 a,C.
Anche al di là del loro ruolo di madri, le donne erano soggette a molte limitazioni legali. Non potevano fare testamento ed erano sottoposte a vita alla tutela maschile per l’esercizio di qualunque atto giuridico. In alcuni casi non ereditavano e non potevano disporre dei propri beni in favore dei figli. Allo stesso modo le donne erano escluse dalla vita politica. Non potevano votare nei comizi dove si sceglievano i magistrati e gli era precluso l’accesso ai compiti considerati esclusivamente maschili, gli officia virilia. Questa emarginazione si mantenne per tutta la storia di Roma, come sottolinea nel III secolo d.C. il giurista
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se intrapresa da donne vedove o non impegnate, era considerata un reato e poteva essere punita dal capofamiglia (pater familias) senza bisogno di un processo. Nel II secolo a.C. Catone affermava, con un certo compiacimento, che se il marito sorprende la moglie a commettere adulterio «può ucciderla impunemente». Se invece è questa a sorprendere il marito, «non può sfiorarlo nemmeno con un dito», secondo quanto riportava più tardi Aulo Gellio. Inoltre, il pater familias, senza che il suo comportamento fosse giuridicamente sanzionabile, poteva costringere una donna ad abortire contro la sua volontà.
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UNA DONNA ALLATTA UN BAMBINO SOTTO LO SGUARDO DI UN UOMO. SARCOFAGO DI CORNELIO STAZIO. III SECOLO. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
DONNE “IN PRESTITO”
GLI “UTERI IN AFFITTO” A ROMA
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l controllo assoluto esercitato dagli uomini sulla capacità riproduttiva delle donne si ritrova in una peculiare usanza romana, in un certo modo comparabile con quella che oggi viene definita “maternità surrogata” o “utero in affitto”. Non era insolito che le matrone romane fertili offrissero alle coppie che non potevano avere figli un servizio “patriottico”, anche in questo caso gratuito, che consisteva nel prestare il proprio venter (grembo materno). Va detto che questa pratica è testimoniata unicamente tra persone di un certo livello sociale. Plutarco la ricorda così: «I romani si prestano le donne quando qualcuno di loro non può avere figli. A differenza degli spartani, che fanno accoppiare le proprie mogli con altri concittadini quando desiderano avere figli vigorosi, i
romani si passano le donne incinte». Questo significava che il marito della gestante inviava la moglie incinta a casa dell’amico sterile, e questi, alla nascita del figlio, lo riconosceva come legittimo. Anche Seneca menziona questo tipo di “prestito” come un servizio che gli amici si facevano tra loro in caso di sterilità maschile, anche se lui lo considera un “eccesso di disponibilità”.
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L’IMPERATRICE LIVIA DRUSILLA
SCALA, FIRENZE
La moglie di Augusto esercitò una grande influenza negli affari di stato. In questa statua è raffigurata come la dea Cerere. Louvre.
Ulpiano: «Le donne sono escluse da tutte le funzioni civili e pubbliche e per questo non possono essere giudici, né ottenere una magistratura, né esercitare come avvocate, né intervenire in rappresentanza di alcuno, né essere procuratrici». La subordinazione giuridica e politica delle donne veniva giustificata in vari modi. Il filosofo Seneca, per esempio, affermava: «I due sessi contribuiscono allo stesso modo alla vita comune, perché uno è fatto per ubbidire e l’altro per comandare». Si sosteneva poi che la necessità di dedicarsi esclusivamente alla famiglia impedisse alla donna l’esercizio di cariche pubbliche. Altri facevano riferimento all’inferiorità naturale delle donne e più precisamente alla loro “debolezza di giudizio” o levitas animi, inaugurando quel mito dell’incostanza femminile che tanta importanza giuridica e letteraria avrebbe avuto nel corso della storia successiva. Ecco come viene presentato nei testi di giurisprudenza: «Gli antichi vollero che
le donne, anche se in età adulta, fossero poste sotto tutela a causa della leggerezza del loro spirito», scriveva il giurista Gaio in riferimento alla Legge delle XII tavole, il codice legale più antico di Roma. Ma non si può dire che le donne romane fossero totalmente rassegnate a questa sottomissione. Molte di loro trovarono delle scappatoie legali per far valere i propri diritti e in alcuni casi arrivarono a sfidare apertamente la supremazia maschile. Fu il caso delle severe leggi contro l’ostentazione del lusso.
Le falle del sistema La corruzione, il rischio che accompagnava costantemente la gestione del denaro, era considerata particolarmente dannosa per le donne. Queste dovevano seguire il modello di Cornelia, la madre dei Gracchi, esempio virtuoso di matrona romana che disprezzava gli ornamenti e la ricchezza, e si vantava del fatto che i suoi unici gioielli fossero i suoi figli (gli eroi di Roma Caio e Tiberio Gracco): «Haec ornamenta mea». Nonostante questi
AKG / ALBUM
modelli, il generale arricchimento vissuto da Roma alla fine della Seconda guerra punica (218-201 a.C.) spinse le donne a ribellarsi contro le leggi che le escludevano dall’esibizione della ricchezza. La Lex Oppia, per esempio, promulgata nel 215 a.C., impediva alle donne di indossare i propri gioielli, concretamente di «portare con sé più di mezza oncia di oro». Di fronte alla resistenza di alcune donne, Catone rispose con la sua abituale misoginia: «Ciò che vogliono veramente è la libertà senza restrizioni; o, per dirla tutta, il libertinaggio. Ma se vincono adesso, cosa le tratterrà in futuro?». In quella stessa epoca era diventato più facile per i figli, sia femmine che maschi, accedere all’amministrazione del patrimonio familiare. Molti capifamiglia erano morti durante le Guerre puniche e c’erano sempre più donne ricche e dedite al commercio. Questo portò a una maggiore presenza delle donne nel mondo degli affari e dell’impresa, e persino della politica, come evidenziano decine di cartelli elettorali ritrovati a Pompei e firmati da donne. Quando nel 169 a.C. fu promulgata la Lex
ESERCIZI DI GINNASTICA PER RAGAZZE Alcune romane praticavano sport, un fatto criticato da autori come Marziale, che cita la passione di una certa Filenide per il gioco della palla e il sollevamento pesi. Proprio come le giovani di questo mosaico di Villa romana del Casale, in Sicilia.
Voconia, che impediva alle donne di ereditare dai cittadini delle famiglie più ricche (quelli iscritti nella prima classe del censo), queste trovarono degli stratagemmi legali per eludere la restrizione, con la collaborazione di uomini appartenenti a classi diverse. Le donne elaborarono anche complessi meccanismi giuridici per sbarazzarsi della potestà maschile, scegliendosi per tutori dei familiari o amici che non interferissero con le loro scelte. Ciò suscitò le critiche di alcuni autori conservatori, come Cicerone: «I nostri antenati stabilirono che le donne, per la loro debolezza di giudizio, fossero sottomesse alla potestà dei tutori, ma i giuristi hanno inventato una specie di tutore sottomesso alla potestà delle donne».
Le donne nell’impero La presenza femminile in politica aveva iniziato a farsi visibile già durante la repubblica. Ma aumentò inesorabilmente in età imperiale, con l’entrata in crisi e la successiva scomparsa della famiglia tradizionale romana, i cui STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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EUMACHIA, LA MECENATE DI POMPEI in città di provincia come Pompei, anche le donne potevano raggiungere una certa considerazione pubblica. È questo il caso di Eumachia, la cui famiglia si era arricchita con il commercio di vino in tutto il Mediterraneo e che si era sposata con un membro di una famiglia illustre della città, i Numistro. Diventata vedova, ricoprì la posizione di sacerdotessa e investì una parte della sua fortuna nella costruzione del cosiddetto edificio di Eumachia, situato nel foro della città, e che probabilmente era il mercato della lana oppure la sede della corporazione dei fullones, i lavandai. Un’iscrizione ricorda il suo gesto di beneficenza: «Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa pubblica, a nome suo e del figlio, Marco Numistro Frontone, costruì a sue spese il vestibolo, la galleria coperta e i portici: ella stessa li dedicò alla Concordia e alla Pietas Augusta».
STATUA: ARALDO DE LUCA. FOTO: DEA / AGE FOTOSTOCK
STATUA DI EUMACHIA. I LAVANDAI DELLA CITTÀ AGGIUNSERO UN’ISCRIZIONE: «A EUMACHIA, FIGLIA DI LUCIO, SACERDOTESSA PUBBLICA, DAI LAVANDAI».
EDIFICIO DI EUMACHIA, A DESTRA, NEL FORO DI POMPEI.
GIOVANE PORTA ALLE LABBRA UNO STILO. AFFRESCO. I SECOLO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
MUSONIO RUFO (20/30-101?) Nelle sue Diatribe Musonio Rufo afferma che l’educazione delle donne dev’essere uguale a quella degli uomini: «Gli esperti di cavalli e di cani da caccia addestrano gli animali allo stesso modo, senza distinzioni tra i maschi e le femmine». Alla domanda se le donne dovessero studiare filosofia, Musonio Rufo risponde: «Le donne e gli uomini hanno ricevuto dagli dèi la stessa capacità di raziocinio […] Il desiderio e la buona disposizione naturale nei confronti della virtù risiedono sia negli uomini che nelle donne […] Quindi, queste non sono inferiori agli uomini sotto nessun aspetto e sono altrettanto capaci di apprezzare la bellezza di un’opera e disprezzarne la bruttezza».
GIURISTI FAVOREVOLI ALLA PARITÀ Alcuni giuristi romani affermarono che non vi era nessuna giustificazione per il fatto che le donne venissero infantilizzate e trattate per tutta la vita come persone prive d’intelligenza.
GIULIO PAOLO (180-235) Giulio Paolo Prudentissimo è considerato uno dei più importanti giuristi romani. Ritiene che se le donne non possono essere nominate giudici è per un’usanza e non per un’inferiorità della condizione femminile, contrariamente a quanto afferma il suo collega Ulpiano. Paolo condanna questa discriminazione nei confronti delle donne, invita a modificare una legislazione che non è suffragata dalla pratica e sostiene che non dovrebbe «essere permesso al padre separare sua figlia dal marito se questa non lo vuole, né reclamare la dote senza il suo consenso». Inoltre afferma che non esistono giustificazioni alla limitazione dei diritti delle donne nell’amministrazione dei propri beni.
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membri erano uniti da vincoli di sottomissione al pater familias. La presenza delle donne al di fuori della domus, la casa, era in crescita, mentre il vecchio modello della famiglia patriarcale perdeva forza. Divennero più frequenti le famiglie non tradizionali: alcune erano composte da un solo genitore divorziato o vedovo, altre da coniugi senza prole, altre ancora erano famiglie “plurigenitoriali”, che riunivano figli nati da differenti matrimoni e di età molto diverse. Questo senza contare i vari rapporti di concubinato o le famiglie composte da coppie omosessuali.
dell’impero prevedevano importanti benefici legali per le donne, poiché dichiaravano emancipate dalla tutela maschile le ingenuae (donne nate libere e mai state schiave) che partorivano almeno tre figli, nonché le liberte con almeno quattro figli. Sotto l’impero, molte donne dell’aristocrazia godettero di una posizione economica invidiabile. Le maggiori fortune provenivano dalle concessioni imperiali e appartenevano in gran parte a liberti e liberte, cui gli imperatori offrivano la propria garanzia senza distinzioni di genere. Fu poi superata l’idea repubblicana secondo cui i soldi erano qualcosa di sporco e indegno. Di conseguenza era sempre più comune che le donne risultassero titolari di grandi patrimoni o ne fossero amministratrici, e che investissero personalmente il proprio capitale. Con l’impero lo statuto legale delle donne migliorò anche da altri punti di vista. Per esempio, sotto gli
LA VIRTÙ DI ANTONIA MINORE Pare che Antonia minore, figlia di Marco Antonio e di Ottavia, prestò del denaro ad Agrippa, futuro re di Giudea, in un momento in cui quest’ultimo si trovava in difficoltà.
Milionarie e indipendenti Poco poterono contro la nuova situazione le leggi promulgate da Augusto in favore della natalità e in difesa dell’istituto matrimoniale, o gli sforzi per promuovere l’ideale della matrona fedele al marito e con molti figli. Va poi sottolineato che le leggi sulla natalità del fondatore 74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GAIO (120?-180?) Gaio è uno dei giuristi romani più enigmatici. Non è noto il suo nome completo, e alcuni studiosi hanno ipotizzato che potesse trattarsi di una donna o che fosse straniero, considerata l’empatia dimostrata dal giurista nei loro confronti. Gaio crede che la parità tra uomo e donna non sia solo a livello fisico, ma anche intellettuale: «Non c’è alcuna ragione convincente perché le donne in età adulta siano sotto tutela, dato che queste sanno gestire da sole i propri affari e in alcuni casi il tutore interpone la sua autorità per puro formalismo». Gaio è favorevole a riconoscere alle donne una capacità giuridica non subordinata a figure maschili.
CODICE GIUSTINIANEO (529-534) Questo codice legislativo, promulgato dall’imperatore bizantino Giustiniano, fu preparato da una commissione di giuristi diretta dal prestigioso Triboniano. In questa raccolta di leggi si afferma che non c’è alcuna differenza tra uomini e donne. Il codice respinge inoltre l’ingiustizia di negare alle donne certi diritti e contesta l’esistenza di una «ragione di sesso» (ratio sexus) per giustificare la discriminazione. Invita poi a superare le vecchie credenze e considera ingiusto «che le donne non possano con lo stesso diritto succedersi tra loro né succedere agli uomini, ma che siano castigate solo per essere nate femmine». PRISMA / ALBUM
imperatori Severi (193-235 d.C.) fu riconosciuto alle madri divorziate il diritto di esercitare la custodia dei figli, anche se solo in caso di provata negligenza (nequitia) del padre.
Benefici e inconvenienti Le donne seppero anche approfittare di alcuni vantaggi offerti dal sistema. Alcune si avvalsero, per esempio, della loro condizione di vedove per proteggere i propri diritti. Fu questo il caso di Antonia minore, nipote dell’imperatore Augusto e nuora dell’imperatrice Livia. Una volta compiuti i suoi doveri nei confronti dello stato partorendo tre figli – Germanico, Livilla e il futuro imperatore Claudio –, decise di non risposarsi, ignorando i consigli del suo imperiale zio. Poté così accedere ai benefici legali di cui godevano le vedove: restando univira (moglie di un solo uomo) e fedele alla memoria del suo eroico marito, Antonia ottenne il rispetto e l’ammirazione di tutta Roma. Non solo, così evitò anche le critiche di cui, invece, non riuscirono a liberarsi né sua madre, Ottavia,
né sua suocera, Livia, per aver avuto figli da differenti matrimoni. Ciononostante, il maggior vantaggio dell’essere rimasta vedova era che poteva gestire da sola, senza ingerenze maschili, il suo enorme patrimonio. Sotto altri aspetti, tuttavia, la legge continuava a essere contraria alla libertà delle donne. L’interruzione della gravidanza senza il consenso del marito fuoriuscì dalla giurisdizione domestica e divenne oggetto di persecuzione pubblica. Ma non era il feto o la libertà della madre quello che si proteggeva, quanto la “legittima aspettativa del marito di avere prole”. Continuava poi a esistere la figura del curator ventris (“curatore del ventre”), che si occupava dell’andamento della gravidanza e impediva alla donna di abortire senza il permesso del marito. Non è pertanto strano che il giurista Papiniano affermasse: «In molti aspetti del nostro diritto è peggiore la condizione delle donne rispetto a quella degli uomini».
CODICE GIUSTINIANEO
Promulgata dall’imperatore bizantino Giustiniano nel VI secolo, questa raccolta di leggi presenta varie novità rispetto alla condizione delle donne: ne accresce i diritti di proprietà e riforma le leggi sul divorzio.
MARÍA ISABEL NÚÑEZ PAZ UNIVERSITÀ DI OVIEDO
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PADRONE DEL PROPRIO
Nella Roma imperiale si conoscono numerosi esempi di donne che esercitarono
ALCESTI. PARTICOLARE DELL’AFFRESCO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
b a n c h i e r e e p r e s tat r i c i d i d e n a r o Una serie di tavolette ritrovata a Murecine, vicino a Pompei, e datata 61 d.C., fa l’inventario dei prestiti effettuati da donne. Un caso è quello di una donna di nome Decidia Margaris, che concesse un prestito di 1.450 sesterzi alla liberta Poppea Note. Il denaro doveva essere restituito entro un termine specifico e prevedeva che fossero lasciati come pegno due schiavi. Un’altra donna, di nome Faustillia, concesse un prestito di 15 denari a un interesse annuo di 9 assi. donne nell’amministrazione Anche se esistevano proprietarie terriere, non era abituale trovare donne che amministrassero proprietà di questo tipo. Una matrona di nome Valeria Massima mise alla guida della sua tenuta due amministratrici (villicae), Eucrozia e Cania Urbana. Un altro caso fu quello di una certa Prastina Massima, che fu intendente (autrix) di una ricca famiglia senatoriale. nell’edilizia Alcune donne avevano posizioni di rilevo nel settore edile. Ad esempio, alcune erano proprietarie di cave di argilla. Tra le altre è noto il caso di Domizia Lucilla, che attorno al 108 d.C. le sfruttò per fabbricare tegole e materiale da costruzione. Sembra che la sua impresa avesse un numero notevole di schiavi, due dirigenti nonché un’importante produzione. NAVE MERCANTILE PER IL TRASPORTO DEL FRUMENTO. CI FURONO DONNE NAVIGATRICI E DEDITE AL COMMERCIO DI CEREALI. AFFRESCO DI OSTIA.
DESTINO
professioni riservate agli uomini
GLADIATORE. SEMBRA CHE ALCUNE DONNE FOSSERO ANCHE PROPRIETARIE DI GLADIATORI. AFFRESCO POMPEIANO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
nella medicina La stele funeraria di una donna di nome Scanzia Redenta menziona non solo le sue qualità di figlia e di sposa, ma anche le sue conoscenze di medicina: «Maestra esperta nell’arte della medicina nonostante la giovane età. Fu amata dal marito, che beneficiò della sua vita feconda e piena di virtù». Quello di Scanzia non era un caso eccezionale. Una lapide del IV secolo dice: «Qui giace la medica Sarmanna, che visse all’incirca 70 anni».
SFONDO: FOGLIA / SCALA, FIRENZE. DA SINISTRA A DESTRA: FOGLIA / SCALA, FIRENZE. BRIDGEMAN / ACI. SCALA, FIRENZE
a capo di imprese Il lavoro tessile non si riduceva unicamente all’ambito domestico. Alcune donne, come la liberta Marzia Prima, crearono la propria attività manifatturiera. Altre erano proprietarie di locande e taverne, come una certa Amenome, che aveva un’osteria a Tivoli, o Calpurnia, una commerciante di vino pompeiana che molto probabilmente gestiva anche una taverna.
LO SGUARDO DEL GUERRIERO
Questa lastra di bronzo raffigura Gengis a Tsenkher-Mandal, vicino al lago Azzurro, dove fu eletto khan dei mongoli. Nella pagina accanto, sella mongola del XIII secolo. Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo. SINISTRA: JAMES L. STANFIELD / NGS. DESTRA: AKG / ALBUM
LA TOMBA DI
GENGIS KHAN L’ULTIMO VIAGGIO DEL CONQUISTATORE
Dove riposa Gengis Khan? Fin dalla sua morte, avvenuta 790 anni fa nel corso di una campagna militare, il luogo in cui sono sepolte le spoglie del più grande conquistatore della storia resta un mistero avvolto nelle nebbie della leggenda
NEL CUORE DELL’IMPERO
L’antico monastero buddista di Erdene Zuu fu costruito dove un tempo sorgeva Karakorum – la capitale di Gengis Khan –, accanto al fiume Orhon, nella zona originaria dell’impero mongolo. BRUNO MORANDI / GTRES
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dar ascolto alle leggende, fu il funerale più spettacolare che si fosse mai visto nelle ventose steppe mongole. Dopo la morte nel 1227 del grande leader e condottiero mongolo Gengis Khan, migliaia di guerrieri e di schiavi marciarono per centinaia di chilometri fino a raggiungere il luogo segreto della sua sepoltura.
Cavalli e cammelli trasportarono tesori saccheggiati nelle città di tutta l’Asia centrale: icone della Chiesa ortodossa russa; monete d’oro provenienti da Samarcanda – il più importante nodo commerciale della Via della seta –; armi e gioielli rastrellati dopo aver sconfitto i poderosi eserciti cinesi…
Sconosciuto e proibito Purtroppo, nessuno di quelli che assistettero allo spettacolare corteo funebre visse abbastanza a lungo da raccontarlo. Gli eredi del condottiero mongolo non risparmiarono precauzioni per mantenere segreto il luogo dove fu sepolto, presumibilmente in qualche zona delle vaste steppe della Mongolia. Secondo la leggenda, la guardia d’onore che aveva scortato il corpo fino al luogo di inumazione aveva ordine di uccidere qualunque testimone della processione funeraria. In seguito, anche le stesse guardie furono uccise perché non parlassero. Altre fonti suggeriscono che gli sforzi messi in atto per nascondere i resti di Gengis Khan (che si pronuncia Cinghis Haan, con l’acca aspirata) andarono ben oltre: i cronisti raccontano che migliaia di cavalli calpesta-
C R O N O LO G I A
VENTI ANNI DI GUERRA
rono la terra attorno alla tomba per occultarne ogni traccia, o che furono piantati migliaia di alberi sopra di essa e in tutta la zona circostante. Secondo un’altra leggenda, il luogo di sepoltura fu mantenuto segreto grazie alle acque del fiume Onon, il cui corso fu appositamente deviato. E così rimasero le cose per circa 800 anni. Nel secolo successivo alla morte in battaglia, a quasi 70 anni di età, di Gengis Khan, i suoi discendenti proseguirono l’opera di espansione dell’impero da lui creato, che si estendeva ormai dalle sponde del Pacifico fino al centro dell’Europa. Ben presto quell’impero sarebbe crollato, senza lasciare, nei territori d’origine, nessuna città capace di sopravvivere a lungo. La tomba perduta del condottiero sarebbe divenuta leggenda, sia in Mongolia che altrove. Secondo una leggenda locale, disturbare il riposo del grande sovrano avrebbe provocato la fine del mondo. Il mistero si perpetuò fino al XX secolo. Durante la Guerra fredda, per ragioni militari, era proibito effettuare ricerche nel nord-est
1206
1209-1215
1219-1221
1227
Un’assemblea generale dei mongoli nomina Temujin “Gengis Khan” (khan universale).
Gengis Khan sottomette il popolo degli uiguri e devasta l’impero Jin, nel nord della Cina.
Le truppe di Gengis spazzano via i domini del potente scià di Khwarezm, sulla Via della seta.
Gengis muore durante una campagna contro l’impero Xi Xia, lungo la Via della seta.
BRIDGEMAN / ACI
LA LOTTA CONTRO I JIN
Questa miniatura, che raffigura le truppe di Gengis in lotta contro gli uomini dell’impero Jin, il loro più acerrimo nemico cinese, è contenuta in un manoscritto persiano del XIV secolo.
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MONETA CONIATA A BALKH NEL 1221, UN ANNO PRIMA DELLA CONQUISTA DI QUESTA CITTÀ DA PARTE DI GENGIS KHAN. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA MEMORIA DEL GRANDE CONDOTTIERO
A Ordos, nell’odierna Cina settentrionale (nella regione autonoma della Mongolia Interna), fu eretto nel XX secolo un mausoleo dedicato a Gengis Khan, su un preesistente luogo di culto dell’eroe mongolo. TOÑO LABRA / AGE FOTOSTOCK
Il grande impero nomade Gengis Khan nacque attorno al 1160 nei pressi dell’attuale capitale mongola, Ulan Bator, da genitori appartenenti all’aristocrazia nomade. Istruito come un principe guerriero, si immerse fin da subito nella caotica lotta politica che vedeva le tribù mongole schierate le une contro le altre. Nel 1206, grazie a una serie di guerre e di alleanze, riuscì a unire il mondo mongolo sotto il suo governo. Successivamente Gengis lanciò una serie di fulminanti campagne militari in Cina e in Asia centrale, dando inizio a un centinaio di anni di dominio mongolo sul continente euroasiatico. Alla fine del XIII secolo gli eserciti guidati dai nipoti di Gengis Khan controllavano tutto il territorio compreso tra l’oceano Pacifico e l’attuale Ungheria: il più grande impero che il mondo avesse mai conosciuto. Il condottiero all’origine di tutto questo era noto per la sua brutalità e per la sua crudeltà. Tra il 1206 e l’anno della sua morte, il 1227, i mongoli ai suoi ordini imperversarono nelle steppe di Cina ed Eurasia, abbattendosi sull’Europa e sul Medio Oriente, con conseguenze travolgenti. In sella ai robusti e rapidi cavalli delle steppe, i mongoli avevano una maggior agilità di manovra rispetto ai loro avversari. Gli abitanti di città dell’Asia centrale come Samarcanda e Bukhara, importanti enclavi commerciali nonché sedi di vari caravanserragli (alberghi per viaggiatori) lungo la Via della seta, furono
GRANGER / ALBUM
della Mongolia, nei pressi della delicata zona di frontiera tra Cina e Russia. Nei vent’anni successivi al collasso dell’Unione Sovietica il crescente orgoglio mongolo ha praticamente proibito la ricerca del grande eroe nazionale, equiparandola a una profanazione del suo sacro riposo. Il fascino esercitato dalla tomba su esploratori e archeologi va oltre le ricchezze che potrebbe custodire. L’imperatore mongolo fu uno dei maggiori conquistatori della storia e la sua tomba permetterebbe di gettare nuova luce non solo sulla sua vita e sulle sue imprese, ma anche sull’eredità lasciata dalla sua traiettoria politica.
GENGIS FERITO A MORTE. MINIATURA, EDIZIONE DEL MILIONE DI MARCO POLO. 1412 CIRCA. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE, PARIGI.
LA FINE DEL SOVRANO GENGIS KHAN MORÌ NELL’ESTATE DEL 1227 durante l’assedio di Ningxia, sul
fiume Giallo, capitale dell’impero degli Xi Xia (dinastia fondata dal popolo tangut, di origine tibetana). Era più di un anno che i mongoli avevano intrapreso la conquista sistematica e devastante di quel regno. La morte di Gengis Khan, dovuta alle conseguenze di una caduta da cavallo, fu tenuta segreta fino alla resa di Ningxia. La popolazione della città fu massacrata.
vittime di brutali stragi di massa. I mongoli sottoponevano a volte i nemici a una pratica conosciuta con il nome di“misurarsi sull’asse”: qualunque maschio più alto del centro della ruota di un carro veniva decapitato. Da qualche anno vari storici hanno adottato una posizione revisionista nei confronti di Gengis Khan e del suo impero, elogiandone la tolleranza religiosa: cristiani, ebrei, buddisti e musulmani erano liberi di praticare la propria fede, sempre che rispettassero i signori mongoli, e i loro leader religiosi erano esentati dal pagamento di tributi. Gengis promosse anche l’uso della diplomazia come alternativa alla conquista militare, oltre a introdurre due innovazioni prima sco-
PROTEZIONE DA COMBATTIMENTO
Elmo di ferro e cuoio proveniente dalla Mongolia o dal Tibet. XIII-XV secolo. Metropolitan Museum, New York. AGE FOTOSTOCK
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CIMA DEL BURHAN HALDUN, LA MONTAGNA ALLA CUI OMBRA POTREBBE ESSERE SEPOLTO GENGIS KHAN. RAGGIUNGE UN’ALTITUDINE DI 2.362 METRI.
nel 2015 l’UNESCO ha dichiarato Patrimonio dell’umanità Burhan Haldun e il paesaggio sacro circostante, nella parte centrale dei monti Hentij, nel nord-est dell’attuale Mongolia. Il Burhan Haldun è associato al culto delle montagne, dei fiumi e degli ovoo, i tumuli di pietra collegati ad antiche pratiche sciamaniche e buddiste. La montagna fu dichiarata sacra dallo stesso Gengis Khan, che in quella zona era nato e forse proprio lì fu sepolto. Albert Yu-Min Lin, esploratore residente del National Geographic, ha analizzato il territorio via satellite con tecniche non intrusive, come georadar e droni. La ricerca è stata sospesa perché gli indizi trovati possono essere confermati unicamente da scavi, che però non possono essere effettuati per la natura sacra del luogo.
MONTI HENTIJ, NELL’OMONIMA PROVINCIA. IL BURHAN HALDUN È LA CIMA PIÙ ELEVATA DELLA CATENA.
SOPRA: ANTONIA TOZER / GETTY IMAGES. ABAJO: PETER LANGER / AGE FOTOSTOCK
LA MONTAGNA DI GENGIS
La ricerca di Kravitz La febbre contemporanea per trovare il luogo di sepoltura di Gengis Khan è iniziata al principio degli anni novanta del XX secolo, con una spedizione giapponese in Mongolia che è stata sospesa di fronte alla forte ostilità dei locali. Ciononostante, un pittoresco personaggio di nome Maury Kravitz ha rilanciato la ricerca della tomba dell’imperatore mongolo facendone una sorta di sfida globale. Soprannominato “l’Indiana dell’Illinois” – in riferimento a Indiana Jones, l’archeologo protagonista della famosa saga cinematografica – Kravitz era un commerciante di materie prime di Chicago appassionato di vodka con ghiaccio, filetti e pubblicità. Dopo aver letto varie biografie di Gengis Khan, questo storico dilettante si è detto sicuro di sapere dove si trovava la tomba con i suoi tesori. Così, nel 1996 ha cominciato a raccogliere la cifra necessaria (1 milione e 200mila dollari) per finanziare una serie di spedizioni in Mongolia, sui monti Hentij (Hentij nuruu in mongolo). Il Chicago Tribune ha annunciato la sua avventura con questo titolo: «Indiana Kravitz alla ricerca del khan perduto». La spedizione di Kravitz, che ha cercato in tutti i modi di nascondere le fonti della sua ispirazione, si è concentrata su una zona vicino al monte Burhan Haldun chiamata Ikh Korig o “Grande Tabù”. Secondo la tradizione mongola, la montagna e l’area circostante erano infatti considerate proibite. Per secoli i nobili mongoli si fecero seppellire in una valle
LE ULTIME VOLONTÀ SULLA FINE DI GENGIS KHAN esistono molteplici racconti, molti dei quali presentano elementi di carattere fantastico. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la sua morte era un tabù per i mongoli. Prima di spegnersi, il sovrano impartì i suoi ultimi ordini: nominò erede al trono suo figlio Ogodei, prescrisse l’eliminazione degli Xi Xia e raccomandò la prosecuzione della guerra con l’impero Jin, contro cui lottava da oltre 26 anni.
isolata in questa zona, e molti pensano che anche Gengis possa esservi stato inumato. Per scoraggiare il nazionalismo mongolo, le autorità sovietiche hanno dichiarato l’area ad accesso limitato. Kravitz era convinto che alcuni fiumi vicini al Burhan Haldun lo avrebbero condotto al sito della tomba. Secondo un racconto del XV secolo, il giovane Gengis Khan, dopo aver vinto un’importante battaglia, aveva detto ai suoi compagni che quello era il luogo doveva voleva essere sepolto. La ricerca dell’eccentrico milionario si è conclusa nel 2002, dopo una serie di disavventure che qualcuno ha definito “la vendetta del khan” (morsi di serpenti, incidenti che hanno coinvolto i suoi veicoli, eccetera). La spedizione è stata poi ostacolata dal crescente sciovinismo della Mon-
IL NUCLEO DELL’IMPERO MONGOLO
Nella mappa qui sotto si può vedere la posizione del Burhan Haldun, una delle possibili localizzazioni della tomba di Gengis Khan, in Mongolia.
HNG MAPA
nosciute nei territori da lui controllati: un alfabeto, che facilitava le comunicazioni a lunga distanza, e una moneta. Nonostante la sua importanza storica, esistono buone ragioni per cui la tomba di Gengis Khan non è mai stata trovata, oltre alle misure estreme adottate per garantire il silenzio di chi lo seppellì. La società mongola dell’epoca era nomade, le città e gli insediamenti stabili erano pochi, e l’idea stessa di sepoltura non era comune. Quando un guerriero mongolo moriva, il cadavere veniva legato al suo cavallo e mandato nelle steppe, dove gli animali necrofagi se ne sarebbero occupati.
BRIDGEMAN / ACI
GENGIS NEL SUO LETTO DI MORTE. MINIATURA, EDIZIONE DEL MILIONE DI MARCO POLO. 1412 CIRCA. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE, PARIGI.
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ORIZZONTI INFINITI
Iurte (tende mongole) con il bestiame che pascola nella steppa, nella provincia di Arkhangai, nel centro dell’attuale Mongolia. La durezza della vita dei pastori, così come l’abitudine di usare l’arco e il cavallo, rendevano questo popolo nomade pronto alla guerra. TUUL AND BRUNO MORANDI / GETTY IMAGES
CULTO DELLA LEGGENDA
Un uomo prega in un monumento eretto nella steppa e dedicato a Gengis Khan, l’eroe nazionale della Mongolia, la cui effigie è rappresentata sulla stele. JAMES L. STANFIELD / NGS
golia, dove Gengis Khan è venerato come un eroe nazionale. La spedizione ha attirato una forte ostilità, basata sulla tradizionale credenza religiosa secondo cui il luogo di riposo dei morti dev’essere lasciato in pace. A metà campagna il primo ministro mongolo ha revocato a Kravitz il permesso per effettuare scavi.
La ricerca della tomba di Gengis Khan non si è conclusa con Kravitz. Nei 15 anni trascorsi dalla sua rinuncia, le indagini si sono basate soprattutto sulla tecnologia di avanguardia. Il tentativo più noto è stato condotto dalla National Geographic Society in collaborazione con Albert Yu-Min Lin, ingegnere dell’Università della California a San Diego. Come Kravitz e molti altri, Lin era affascinato dall’idea di trovare la tomba del Gran Khan. Ma, avendo viaggiato per il Paese, era consapevole di quanto i mongoli si opponessero alla presenza di archeologi e avventurieri stranieri nei luoghi sacri. In collaborazione con i ricercatori locali, Lin ha utilizzato unicamente strumenti digitali per cercare la tomba, rinunciando a qualsiasi scavo. Il suo progetto di tre anni ha messo insieme l’analisi di foto satellitari e i sistemi GPS con i dati forniti da georadar e sensori che misurano piccoli cambiamenti nelle proprietà magnetiche del suolo. Albert Yu-Min Lin ha sfruttato anche la forza della leggenda di Gengis Khan (e di internet) per riunire oltre 10mila collaboratori. Una parte del suo progetto, che è stato ribattezzato“Valle dei Khan”, prevedeva di mettere online le immagini satellitari del paesaggio mongolo. I volontari hanno studiato le fotografie di un’area di seimila chilometri quadrati e hanno segnalato alla squadra di Lin 2,3 milioni di tratti peculiari o strutture da analizzare più in dettaglio. Il risultato, pubblicato sulla rivista PLOS One nel 2015, è consistito nella scoperta di 55 siti archeologici non scavati. Questo lascia aperta l’affascinante possibilità che uno di questi sia il luogo di sepoltura cercato. Nel frattempo, gli archeologi hanno trovato altri siti importanti collegati al fondatore
M. SEEMULLER / AGE FOTOSTOCK
Tecnologia di punta
UN FINALE ALTERNATIVO FU SEPOLTO IN MONGOLIA? Paul Ratchnevsky, autore di un importante studio
su Gengis Khan, ha ipotizzato che, dato che il condottiero morì in piena estate, il calore avesse reso impossibile trasportarne il corpo in Mongolia, e sarebbe quindi stato seppellito nel territorio degli Xi Xia. A essere inviati in Mongolia furono alcuni dei suoi oggetti personali, che furono posti nel sepolcro. Questo sarebbe quindi un cenotafio o monumento funebre.
dell’impero mongolo. Nel 2012 alcuni ricercatori giapponesi hanno individuato le rovine di quelli che, a detta loro, sono i resti del palazzo di Gengis Khan, datati grazie alla presenza di ceramica dell’epoca del suo governo. E negli ultimi decenni gli studiosi di vari istituti di ricerca hanno localizzato Karakorum, nota come“la città di Gengis Khan”, e vi hanno condotto campagne di scavo. Secondo le iscrizioni del XIII secolo trovate nel sito, fu fondata nel 1220, quando l’imperatore piantò qui per la prima volta la sua tenda. La ricerca della tomba di Gengis Khan continuerà a esercitare il suo fascino. E, che dia buoni risultati o meno, permetterà di conoscere sempre meglio il più grande conquistatore della storia: un fatto forse di maggior importanza rispetto a qualsiasi oggetto possa contenere il sepolcro stesso.
IL FUNERALE DI GENGIS KHAN
I mongoli piangono sulla tomba di Gengis. Miniatura di un manoscritto persiano. Bibliothèque Nationale de France. Parigi.
ANDREW CURRY GIORNALISTA. COLLABORATORE DELLA RIVISTA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GUY FAWKES L’ E S P L O S I VA E R E D I TÀ D I
GEOFF DANN / GETTY IMAGES
Anni di conflitti religiosi in Inghilterra portarono alla Congiura delle polveri del 1605, una cospirazione cattolica che mirava a far saltare in aria il parlamento e uccidere il re. Tredici uomini pianificarono l’attacco, ma solo uno – il famigerato Guy Fawkes – è celebre ancor oggi
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SPIRITO RIBELLE
Additato un tempo come traditore, Guy Fawkes è diventato oggi un simbolo di ribellione e la sua effigie è stata adottata da vari movimenti di protesta. ARTPARTNER-IMAGES / GETTY IMAGES STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Christopher Wright
John Wright
Thomas Bates
Robert Winter Thomas Percy
LA TRAMA S’INFITTISCE
In questa incisione del 1794 è raffigurato Robert Catesby (secondo da destra), la mente della congiura, con sette complici. Nel XIX secolo la sua fama è stata eclissata da quella di Fawkes.
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GILARDI / AGE FOTOSTOCK
erso la fine di ottobre del 1605 un nobile inglese, lord Mounteagle, ricevette una lettera misteriosa. Insieme agli altri lord inglesi e al re, Mounteagle avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione del parlamento il 5 novembre, pochi giorni dopo. Al tempo la tensione in Inghilterra era alta. Molti protestanti sospettavano che alcuni membri della minoranza cattolica stessero complottando per rovesciare la monarchia e imporre un regime cattolico con finanziamenti e aiuti stranieri. La lettera, anonima, conteneva informa-
zioni importanti: «Mio signore, per l’amore che porto ad alcuni dei vostri amici, mi sta a cuore la vostra salvezza. Pertanto vi avverto, se vi è cara la vita, di escogitare una scusa per evitare di presentarvi a questo parlamento, […] anche se non ci sarà nessun segno di sommossa, pure vi dico che riceverà un colpo terribile». Il misterioso mittente sollecitava Mounteagle a bruciare la lettera dopo averne letto il contenuto. Il nobile, un cattolico, non lo fece. Salvandosi dal terribile castigo che avrebbe presto travolto alcuni dei suoi correligionari, inoltrò la missiva a Robert Cecil, primo ministro
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MEDAGLIA COMMEMORATIVA DELLA SCONFITTA DELL’ARMADA SPAGNOLA NEL 1588.
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IL PERCORSO DELLA CONGIURA
Elisabetta I sbaraglia l’Armada spagnola che puntava a invadere l’Inghilterra. Una serie di complotti sventati alimenta i sospetti contro i cattolici inglesi.
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Sale al trono Giacomo I. Fautore della tolleranza verso i cattolici e della pace con la Spagna, tenta al tempo stesso di rafforzare il compromesso religioso di Elisabetta I del 1559.
Guy Fawkes
Thomas Winter
Robert Catesby
di re Giacomo I. La lettera arrivò quindi al sovrano, che inizialmente mise in dubbio l’autenticità della minaccia. Cionostante, il 4 novembre il conte di Suffolk svolse un’ispezione del palazzo di Westminster e della zona circostante, dove il parlamento inglese si sarebbe dovuto riunire il giorno dopo. Il conte riferì di non aver trovato alcun motivo sostanziale di preoccupazione, ma di essere stato insospettito da una cantina in affitto a privati che conteneva una quantità insolitamente grande di legna da ardere. Quello stesso giorno sir Thomas Knyvett, un funzionario reale minore ma affidabile, diresse
una seconda ispezione degli edifici attorno al parlamento. Anche Knyvett fu incuriosito dalla cantina e soprattutto dall’uomo che la sorvegliava: non aveva i tipici abiti del guardiano, ma indossava mantello, stivali e speroni – una tenuta che sembrava più adatta a una rapida fuga a cavallo. Nascosti dietro la legna da ardere gli uomini di Knyvett scoprirono 36 barili di polvere da sparo. L’uomo, che aveva detto di chiamarsi John Johnson, fu trovato in possesso di lunghe micce. Knyvett aveva appena svelato un’incredibile cospirazione per far saltare in aria i membri di entrambe le camere del parlamento, il re, la maggior par-
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Frustrato dalle politiche anticattoliche di Giacomo I, Robert Catesby inizia a organizzare un gruppo di cattolici inglesi, tra cui l’esperto di esplosivi Guy Fawkes.
I cospiratori fanno scorte di esplosivi per far saltare in aria il parlamento. Il piano è sventato nella notte tra il 4 e il 5 novembre. I congiurati vengono arrestati o uccisi mentre tentano la fuga.
1606 A gennaio i cospiratori sopravvissuti vengono giustiziati a Westminster. Il parlamento britannico dichiara il 5 novembre giornata annuale di ringraziamento.
LETTERA ANONIMA Chi scrisse al lord cattolico Mounteagle la frettolosa missiva (sotto) che permise al governo di sventare la cospirazione? L’identità del suo autore rimane un enigma. HULTON ARCHIVES / GETTY IMAGES
John Winthrop
Giacomo I d’Inghilterra
Ritratto del XVII secolo di Peter Lely. Massachusetts Historical Society, Boston
Ritratto del XVII secolo. Porträtgalerie, Schloss Ambras, Innsbruck, Austria
BRIDGEMAN / ACI
te della famiglia reale e i principali ufficiali di stato. L’obiettivo era quello di instaurare un regime cattolico romano nell’Inghilterra protestante, con la figlia di Giacomo I, Elisabetta – che non sarebbe stata presente alla seduta parlamentare – in veste di governante fantoccio. Arrestato e torturato, John Johnson confessò di essere originario dello Yorkshire, nel nord dell’Inghilterra, e che il suo vero nome era Guy Fawkes. Pur non essendo il leader della rivolta, Fawkes divenne il volto più celebre della Congiura delle polveri, ancora oggi la più nota cospirazione della storia inglese. La sua cattura è stata ricostruita in innumerevoli libri e film: una figura alta e barbuta con stivali, mantello scuro e cappello scuro a tesa larga. È sua l’effigie che ogni anno, il 5 novembre, brucia sui falò di tutta Inghilterra.
Misure drastiche Per capire le motivazioni di quell’uomo arrestato una notte di novembre di oltre quattrocento anni fa è necessario esaminare la situazione dell’Inghilterra e dell’Europa di allora. 94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ERICH LESSING / ALBUM
Fawkes e i suoi complici furono spinti a organizzare un attacco terroristico contro il loro stesso governo dai contrasti religiosi avvenuti mezzo secolo prima. L’instabilità politica e religiosa seguita alla Riforma aveva provocato una contrapposizione tra cattolici e protestanti in tutta Europa. In Inghilterra i conflitti religiosi avevano portato nel 1558 all’ascesa al trono di Elisabetta I. L’anno seguente la regina e i suoi consiglieri decretarono un “compromesso” religioso, che prevedeva una chiesa nazionale protestante, alla cui guida c’era la stessa sovrana inglese, ma che manteneva alcuni tratti cattolici nell’organizzazione, come i vescovadi, i tribunali ecclesiastici e alcune pratiche liturgiche precedenti alla Riforma. Molti cattolici inglesi rifiutarono il compromesso del 1559. Nell’Europa di quel periodo era comunemente accettato il principio secondo cui tutti i sudditi di uno stato dovevano aderire alla sua religione ufficiale. Per raggiungere questa uniformità, il regime elisabettiano proibì quindi il culto cattolico, compresa la celebrazione di battesimi, matrimoni e funerali. Essere
LA RICERCA DI UN COMPROMESSO
UN SOVRANO TRA DUE FUOCHI
Q
uando salì al trono nel 1603, Giacomo I (al centro) si sforzò di mantenersi in equilibrio tra i puritani e i cattolici del suo regno. I primi cercavano di “purificare” la Chiesa d’Inghilterra da ogni elemento cattolico residuo dopo il compromesso religioso di Elisabetta I del 1559. Nonostante fosse stato battezzato da un protestante radicale, Giacomo era troppo pragmatico per abbandonare il tentativo di conciliazione di Elisabetta. Nel 1611 bandì la Bibbia dei puritani e pubblicò la sua versione, la Bibbia di re Giacomo. Alcuni puritani come John Winthrop (in fondo a sinistra), che sarebbe diventato il primo governatore della colonia della Massachusetts Bay, opta-
Padre Edward Oldcorne Incisione anonima del XVII secolo
rono per trasferirsi nel Nuovo Mondo. All’inizio del suo regno Giacomo aveva eliminato le multe ai cattolici che non andavano in chiesa. In seguito alla Congiura delle polveri, lo stato perseguitò i sacerdoti cattolici clandestini come padre Oldcorne (qui a sinistra), giustiziato nel 1606. Ma Giacomo evitò qualsiasi giro di vite contro i laici. Dopo la morte del sovrano le relazioni tra cattolici e protestanti non cessarono di deteriorarsi.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
cattolico praticante era punibile per legge. Si stabilirono delle multe, che potevano essere molto pesanti per i trasgressori recidivi e per chi rifiutava di frequentare le funzioni della Chiesa d’Inghilterra. Stampare o importare libri cattolici iniziò a costituire reato di alto tradimento. I preti cattolici inglesi educati all’estero che entravano in Inghilterra furono dichiarati traditori, così come chi li aiutava, li ospitava o li nascondeva. Tutti coloro che assumevano cariche amministrative, dai membri del parlamento agli insegnanti, dovevano rinnegare il potere del papa e prestare giuramento a Elisabetta come capo della Chiesa. Intanto, mentre l’Inghilterra era coinvolta in una serie interminabile di conflitti con i cattolici irlandesi, i consiglieri della regina iniziavano a temere un intervento spagnolo in aiuto ai cattolici inglesi. Questi ultimi speravano proprio in un sostegno armato della Spagna a un’eventuale ribellione. La propaganda protestante inglese non perdeva occasione di sottolineare le atrocità commesse in nome del cattolicesimo. Alla popolazione venivano co-
stantemente ricordate le 289 persone mandate al rogo in cinque anni dalla precedente sovrana cattolica, Maria I, e la bolla papale del 1570 che aveva dichiarato Elisabetta illegittima incoraggiando i sudditi alla ribellione. Alla fine del XVI secolo era ancora vivo il ricordo della Invencible armada, la flotta inviata nel 1588 da Filippo II di Spagna per ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra e poi sconfitta da Elisabetta. Le questioni religiose dominavano la scena anche dall’altra parte della Manica. In Francia le guerre di religione vedevano contrapporsi cattolici e protestanti. Più a nord, la protestante repubblica olandese era coinvolta in un aspro conflitto con la Spagna. Il Sacco di Anversa del 1576 da parte delle truppe spagnole aveva dato ai protestanti inglesi l’ennesimo esempio della ferocia cattolica. Dopo la morte di Elisabetta I, nel 1603, in molti speravano che il suo successore, Giacomo I (che aveva governato in Scozia con il nome di Giacomo VI), avrebbe inaugurato una
LA PERSECUZIONE DEI PRETI
Quest’incisione del XVII secolo di Gaspar Bouttats raffigura le torture inflitte ai preti Nicholas Owen – morto sulla ruota – e Edward Oldcorne in seguito alla Congiura delle polveri. Nessuno dei due aveva alcun legame con la cospirazione. SCALA, FIRENZE
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nuova epoca di pace. Il figlio della cattolica Maria Stuarda era protestante, ma i cattolici inglesi si auguravano che sarebbe stato più comprensivo nei loro confronti. Anche gli inviati spagnoli pensavano che, con Giacomo al trono, non fosse più il momento opportuno per fomentare una rivolta cattolica in Inghilterra. Le relazioni internazionali si tranquillizzarono. Con la firma del trattato di Londra del 1604, l’Inghilterra accettò di porre fine agli aiuti ai protestanti olandesi in cambio della rinuncia spagnola a fornire assistenza militare ai cattolici inglesi.
Catesby e gli altri
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Questi sviluppi contribuirono a calmare gli animi di una parte dei dissidenti cattolici inglesi. Il cattolicesimo britannico era dominato dalla gentry, la classe agiata dei proprietari terrieri cui non mancava né denaro né influenza politica. Molti di loro preferirono adeguarsi agli aspetti negativi della situazione, conformandosi pubblicamente agli accordi religiosi del 1559 ma LA LANTERNA CHE FAWKES AVEVA FORSE CON SÉ LA NOTTE DEL SUO ARRESTO. ASHMOLEAN MUSEUM, OXFORD.
DHM / BRIDGEMAN / ACI
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MALVAGI PROPOSITI Guy Fawkes, con una lanterna in mano, si aggira nei pressi della cantina piena di polvere da sparo sotto il parlamento. L’illustrazione apparve in un’edizione del 1630 di A Thankfull Remembrance of God’s Mercy, una raccolta di complotti papisti. Sullo sfondo si vede il London Bridge e delle teste di traditori infilzate sulle lance.
continuando a praticare in privato la propria religione. Qualche cattolico dissidente puntava invece a ribellarsi al dominio dei protestanti in Inghilterra. L’adesione di re Giacomo al compromesso del 1559 e la prosecuzione di politiche intolleranti spinse alcuni di loro a impegnarsi più attivamente per collocare un monarca cattolico sul trono. Uno di questi era Robert Catesby, rampollo di una famiglia della gentry cattolica del Warwickshire (Midlands). Anche se oggi è meno conosciuto di Guy Fawkes, fu in realtà lui a organizzare quella che sarebbe diventata nota come la Congiura delle polveri. Quando, attorno ai trent’anni, architettò il complotto, Catesby aveva una personalità forte e carismatica, che usò per promuovere la sua convinzione che solo un gesto spettacolare e di estrema violenza avrebbe posto fine alla persecuzione dei cattolici inglesi. L’idea di usare polvere da sparo gli venne in mente nel 1603 e all’inizio del 1604 iniziò a reclutare complici. Il piano? Far saltare in aria il parlamento e re Giacomo I, nella speranza di instaurare un dominio cattolico.
FUOCO, FEDE E FURIA
Il Sacco di Anversa del 1576, uno dei tanti misfatti delle malpagate truppe spagnole che finirono per innescare la rivolta olandese contro il dominio di Filippo II. Il saccheggio avvenne durante l’infanzia di Fawkes, che in seguito combatté a fianco della Spagna contro i protestanti olandesi. Dipinto del 1650, Deutsches Historisches Museum, Berlino.
LE POSSIBILI CONSEGUENZE
SCOPERTE ESPLOSIVE
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L’ARRESTO DI GUY FAWKES DA PARTE DI HENRY PERRONET BRIGGS. 1823. SUNDERLAND MUSEUM, SUNDERLAND.
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li studiosi si sono interrogati a lungo su quale sarebbe stato l’impatto della Congiura delle polveri se fosse andata a buon fine. Nel 2003 una ricerca del Centro studi sugli esplosivi dell’università di Aberystwyth, in Galles, ha provato a rispondere. Se Fawkes fosse riuscito ad appiccare il fuoco ai barili di polvere da sparo, nel raggio di 35 metri tutto sarebbe stato distrutto completamente, nel raggio di 90 metri sarebbero crollati muri e tetti, e le finestre sarebbero esplose fino a 800 metri di distanza. La sede del parlamento e l’abbazia di Westminster sarebbero state completamente rase al suolo, e gli edifici di Whitehall, a cinquecento metri di distanza, avrebbero subito danni.
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TORTURE E CONFESSIONE Fawkes fu torturato nella torre di Londra, su ordine del capo del servizio di spionaggio di Giacomo I, Robert Cecil (sotto). Qualche giorno dopo il ribelle appose la sua firma sulla confessione (sopra) – pochi deboli tratti che si possono distinguere nel rettangolo bianco. UK National Archives. BRIDGEMAN / ACI
I primi a unirsi al complotto furono membri disillusi della gentry cattolica: i trentenni Thomas Winter e Jack Wright, e Thomas Percy, poco più anziano di loro. Winter era andato nelle Fiandre, che erano sotto il dominio spagnolo, in cerca dell’appoggio iberico, ma la Spagna non si era dimostrata interessata. Fortunatamente Winter trovò qualcuno cui invece l’interesse non mancava: Guy Fawkes, ex compagno di scuola di Wright. Fawkes, che all’epoca si faceva chiamare Guido, combatteva nelle Fiandre a fianco degli spagnoli. Nato a York nel 1570 in seno a una famiglia di protestanti inglesi, Fawkes si convertì in seguito al cattolicesimo. Intelligente, tenace e calmo, ben presto si fece apprezzare dai cattolici inglesi per le sue doti. Winter venne a sapere della sua vasta esperienza in materia di esplosivi e lo convinse a unirsi al complotto. Nel maggio del 1604 i cinque uomini si incontrarono nella locanda Duck and Drake di Londra, dove fecero un giuramento di lealtà e, soprattutto, di segretezza. L’attentato ROBERT CECIL, I CONTE DI SALISBURY, PRIMO MINISTRO E CAPO DEI SERVIZI SEGRETI DI GIACOMO. RITRATTO DEL XVII SECOLO DI JOHN DE CRITZ. HATFIELD HOUSE / BRIDGEMAN / ACI
prese forma nei mesi successivi. Percy andò a vivere in una casa vicino al parlamento, mentre Fawkes, con lo pseudonimo di John Johnson, fingeva di essere il suo servitore. I cospiratori iniziarono ad acquistare polvere da sparo. Al complotto si unirono nel frattempo nuovi membri, che apportarono ulteriori fondi: Robert Winter (fratello di Thomas), John Grant, Kit Wright e il servitore Thomas Bates. Nel marzo del 1605 Percy affittò una cantina sotto il palazzo di Westminster, dove venne trasportato l’esplosivo. Tre uomini ricchi e influenti – Ambrose Rookwood, Francis Tresham e sir Everard Digby – si unirono portando il numero totale dei congiurati a 13. Finalmente, nel novembre 1605, tutto sembrava pronto. I complici erano sorprendentemente riusciti a mantenere il segreto, per lo meno fino a quando lord Mounteagle non ricevette la famosa lettera. Gli studiosi si sono interrogati a lungo sull’identità del mittente. Un candidato è il cognato di Mounteagle, Francis Tresham, uno dei complici di Catesby, ma non sono state trovate prove a conferma
di questa ipotesi. In ogni caso, una volta che lord Mounteagle rese nota la lettera, scattarono le ispezioni, e Guy Fawkes fu arrestato e condotto alla torre di Londra nelle prime ore del 5 novembre.
Esecuzione e conseguenze Fawkes resistette agli interrogatori fino a quando, il giorno dopo, il re autorizzò l’uso della tortura. A quel punto cedette e confessò. Molti dei cospiratori nel frattempo erano fuggiti, ma le forze del re si misero rapidamente sulle loro tracce. Catesby, Percy e T. Winter furono uccisi in uno scontro a fuoco con i soldati di Giacomo I. Gli altri furono condannati per tradimento a essere impiccati e squartati. Fawkes si sottrasse alla pena: il giorno dell’esecuzione si buttò giù dal patibolo, rompendosi l’osso del collo. Ciononostante, il suo cadavere fu squartato e inviato «ai quattro angoli del regno». La reazione del re fu molto circospetta. Voleva evitare una repressione sanguinosa dei suoi sudditi cattolici e possibili tensioni diplomatiche con gli stati fedeli
alla Chiesa romana. Il suo discorso al parlamento e i sermoni dei principali funzionari ecclesiastici sottolinearono l’odiosità del complotto, ma senza porre in dubbio la fedeltà della maggior parte dei cattolici alla corona. La natura miracolosa della scoperta della cospirazione si rivelò un importante strumento di propaganda. Già prima delle esecuzioni dei congiurati, il parlamento aveva approvato l’Atto di ringraziamento del 1606, che richiedeva a ogni chiesa inglese di tenere una funzione il 5 novembre in ringraziamento a Dio per aver sventato il complotto. Nel corso dei secoli, il giorno del ringraziamento si è trasformato nel Giorno di Guy Fawkes (o Notte dei falò). In tutto il Regno Unito la ricorrenza si celebra con fuochi d’artificio (che rappresentano la polvere da sparo) e falò, su cui vengono bruciate le effigi di Fawkes. Anche se non era stato lui a ideare la cospirazione, ne divenne il volto noto e fu destinato a una fama duratura.
IL DESTINO DEI TRADITORI
Un’incisione del 1606 che raffigura l’esecuzione di Guy Fawkes e di tre complici il 31 gennaio a Westminster. I congiurati vengono trasportati su una carretta fino al patibolo, dove li attendono i macabri strumenti di morte. LAMBETH PALACE LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI
JAMES SHARPE È PROFESSORE EMERITO DI STORIA MODERNA ALL’UNIVERSITÀ DI YORK, IN INGHILTERRA, E AUTORE DI REMEMBER REMEMBER, THE FIFTH OF NOVEMBER: GUY FAWKES AND THE GUNPOWDER PLOT.
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Guy Fawkes: ieri e oGGi
In seguito al fallimento della Congiura delle polveri del 1605 il parlamento dichiarò il 5 novembre giornata di ringraziamento. Ormai da centinaia di anni la Notte di Guy Fawkes è caratterizzata da falò, fuochi artificiali e sfilate. Bruciare la sua effigie è un’altra tradizione di lunga data. Le maschere (dette “Guys”) erano spesso preparate dai bambini e poi vendute alla gente per qualche spicciolo. Attualmente la festa più famosa di Guy Fawkes si tiene a Lewes, nell’East Sussex, dove i partecipanti creano elaborate maschere di Fawkes e dei politici contemporanei. Ma il significato dell’immagine di Fawkes è cambiato nel tempo. All’inizio il cospiratore era considerato un simbolo della Chiesa cattolica. A partire dagli anni ottanta il fumetto di Alan Moore e David Lloyd V per Vendetta ha trasformato Fawkes in un antieroe dell’epoca moderna. Il protagonista dell’opera è un ribelle che indossa una maschera di Guy Fawkes per combattere il totalitarismo. Dopo che il fumetto è diventato un film nel 2006, la maschera è stata adottata da movimenti globali di protesta come Anonymous e Occupy, i cui membri indossano le maschere di Fawkes per proteggere le loro identità.
1776
Un’illustrazione di Mother Goose Rhymes. La filastrocca, cantata tuttora dai bambini inglesi, ha un tocco vittoriano.
1890
Incisione della Notte di Guy Fawkes al castello di Windsor. La folla si raduna vicino al falò, mentre i fuochi d’artificio illuminano il cielo.
1927
Gli abitanti di Beckenham, Kent, preparano il loro Guy di 23 metri per i festeggiamenti del 5.
Un membro di Anonymous indossa una maschera di Fawkes per la Million Mask March di Londra.
Preparativi per una (tranquilla) Notte di Guy Fawkes a Walton-le-Dale, Lancashire.
1964
2012
2015
La processione con fiaccole è parte delle spettacolari feste di Guy Fawkes a Lewes, nell’East Sussex. Le sette “società dei falò” della città si preparano per gran parte dell’anno all’appuntamento del 5 novembre.
1776: BRITISH LIBRARY / BRIDGEMAN/ACI. 1890: ALAMY / ACI. 1927: FOX PHOTOS / GETTY IMAGES. 1964: SSPL / GETTY IMAGES. 2012: DAN KITWOOD / GETTY IMAGES. 2015: BEN PRUCHNIE / GETTY IMAGES
ARTE E PROGRESSO
Il Chrysler Building negli anni trenta, su East 42nd Street, a New York. A destra, la fotografa Margaret Bourke-White scatta una foto da una gargouille a forma di aquila dello stesso grattacielo, ispirata alle automobili della compagnia. Dietro alla fotografa svetta un altro emblematico edificio, il 30 Rock, del Rockefeller Center. SINISTRA: RUE DES ARCHIVES / ALBUM DESTRA: TIME LIFE / GETTY IMAGES
GRATTA LA NASCITA DELLA METROPOLI
CIELI MODERNA
All’inizio del xx secolo New York fu teatro di una vertiginosa corsa per erigere l’edificio più alto del mondo. Da allora i grattacieli hanno forgiato il mito della grande metropoli del nostro tempo
VISTA DI MANHATTAN NEL 1884. SULLA DESTRA IL PONTE DI BROOKLYN APPENA INAUGURATO, UN’OPERA DI DIMENSIONI COLOSSALI PER L’EPOCA.
GRANGER / ALBUM
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ra il 1892 e il 1954 circa dodici milioni di immigrati arrivarono negli Stati Uniti transitando per Ellis Island, sotto la lunga ombra della statua della Libertà. «A me sol date / Le masse antiche e povere e assetate / Di libertà! A me l’umil rifiuto / D’ogni lido, i reietti, i vinti! A loro / La luce accendo su la porta d’oro», dice il famoso sonetto di Emma Lazarus che compare in un’iscrizione sulla base della statua. Attraverso quella porta d’oro entravano a New York i reduci della dura traversata atlantica, viaggiatori stremati come dei naufraghi scampati a una tempesta. Alcune di quelle migliaia di voci sono state conservate
LA CORSA VERSO IL CIELO
104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
per i posteri negli archivi sonori del museo dell’immigrazione di Ellis Island. Tra queste c’è la lirica voce di un allegro irlandese che, ormai vecchio, ricordava la prima volta che aveva visto Manhattan nel 1913, a soli 18 anni. Qualcuno aveva gridato “Terra in vista!” e ciò che effettivamente aveva visto il giovane quando si era precipitato sul ponte di quella nave sovraffollata non era la statua della Libertà con la sua torcia, ma il pinnacolo gotico del Woolworth Building. Da poco completato su progetto dell’architetto Cass Gilbert, con i suoi 241 metri di altezza era l’edificio più alto del mondo e apriva la strada che avrebbero seguito i futuri grattacieli di Manhattan. Il cliente di Gilbert,
1885
1913
1930
1931
Viene inaugurato l’antico edificio della Borsa di Chicago, il più alto della città. La luce della sua torre è visibile a 100 km di distanza.
Nasce il Woolworth Building. La “cattedrale del commercio” è un edificio di 241 m ispirato al gotico europeo.
Viene completato il Chrysler Building, che con i suoi 319 metri diventa la prima struttura a superare in altezza la torre Eiffel di Parigi.
Inaugurazione dell’Empire State Building, di 381 m, l’edificio più alto del mondo fino al 1970 e il primo a superare i 100 piani.
IL “FERRO DA STIRO”
Il Fuller Building, di 22 piani, visto dalla Fifth Avenue. Concluso nel 1902, fu uno dei primi grattacieli della città e deve il suo soprannome, Flatiron (“ferro da stiro”) alla sua forma triangolare. ELLIOTT ERWITT / MAGNUM PHOTOS / CONTACTO
UN COLOSSO ALL’ENTRATA DI NEW YORK LA STATUA DELLA LIBERTÀ fu un omaggio del popolo francese agli Stati Uniti per il centenario della loro indipendenza. Fu prima costruita in Francia e poi assemblata nel 1886 su un isolotto di fronte a Manhattan, raggiungendo dimensioni impressionanti. La statua, sorretta da una struttura di acciaio, raggiunge i 46 metri, che arrivano a 93 se si calcola il piedistallo. Lo scultore e promotore dell’opera, Frédéric Bartholdi, si ispirò alle sculture colossali dell’antico Egitto, ma anche allo sconfinato paesaggio statunitense. Come scrisse a un amico: «Qui tutto è grande. Sono sicuro che la mia statua in America si sentirà a casa».
NASCITA DI UN SIMBOLO
GRANGER / ALBUM
Frank W. Woolworth, fondatore di una catena di grandi magazzini che dal 1909 si era espansa su entrambe le sponde dell’Atlantico, pagò di tasca sua i 13,5 milioni di dollari che costò allora quella “cattedrale del commercio”. Dal giorno della sua inaugurazione questa pietra miliare dell’architettura, visibile in lontananza dai transatlantici, divenne il simbolo di New York non meno della statua della Libertà. D’altronde, anche il Woolworth Building prometteva la libertà e la realizzazione di grandi sogni. Di certo New York era una città piena di opportunità in cui un giovane irlandese avrebbe potuto camminare a testa alta.
La conquista dell’altezza La corsa architettonica verso il cielo che ha plasmato i paesaggi urbani di tutto il mondo era cominciata nel 1854, quando Elisha Graves Otis, figlio di un agricoltore del Vermont e infaticabile inventore, aveva presentato il freno di sicurezza per ascensori sotto la cupola di vetro del Crystal Palace, che era stato costruito l’anno prima per ospitare l’Esposizione
A sinistra, fotografia dell’inaugurazione della statua della Libertà, nel 1886. Il fumo proviene dalle salve sparate all’arrivo del presidente Grover Cleveland.
universale di New York. Anche se, sotto lo sguardo di un pubblico attonito, si tranciavano con un’ascia i cavi che reggevano la cabina dell’ascensore di Otis, questo cadeva solo di qualche centimetro prima di arrestarsi. Quel momento storico segnò la nascita dell’ascensore di sicurezza, che gettava le basi intellettuali, artistiche e pratiche per la costruzione del Woolworth Building. Tuttavia, nel 1854 mancava ancora qualcosa perché architetti, ingegneri, costruttori e clienti potessero dedicarsi alla creazione di quelle futuristiche cattedrali del commercio. Era necessaria, per esempio, una fornitura cospicua e costante di acciaio resistente, privo di impurità chimiche e a prezzi convenienti. Nel 1855 l’inventore e industriale inglese Henry Bessemer brevettò il suo processo per trasformare la ghisa nel tipo di acciaio che, insieme all’ascensore di Otis, avrebbe rivoluzionato l’ingegneria strutturale e l’architettura di tutto il mondo. Il vetro in lastre, prodotto su larga scala a partire dagli anni ’50 dell’ottocento, e l’illuminazione elettrica (di-
Con i suoi 241 metri di altezza, il Woolworth fu l’edificio più alto del mondo fino alla costruzione del Chrysler Building 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
UN MONUMENTO GOTICO NEL XX SECOLO
Il Woolworth Building, che qui vediamo in un’immagine del 1921, fu ultimato nel 1913. Si narra che il progetto venne suggerito dal proprietario stesso, che era un grande ammiratore del palazzo di Westminster, a Londra. PHOTOS 12 / ALAMY / ACI
“COWBOY DELL’ARIA, IMMUNI ALLE VERTIGINI” igliaia di operai lavorarono alla costruzione dei grattacieli, erigendo lo scheletro di acciaio di questi giganti newyorchesi. La maggior parte erano immigrati alla ricerca del sogno americano, ma ci fu anche un gruppo numeroso di indiani mohawk, di cui si diceva che non soffrissero di vertigini. La rivista New Yorker ne parlava così: «Erano agili come capre. Capaci di muoversi senza paura su una stretta trave sospesa nel vuoto». Dovevano arrampicarsi a centinaia di metri di altezza senza le condizioni di sicurezza che oggi considereremmo minime. Ciononostante, il numero di morti – a volte per le raffiche di vento, ma altre volte per imprudenza – non fu mai elevato. Nell’Empire State Building, per esempio, dove lavoravano ogni giorno oltre 3mila operai, morirono solo cinque persone, due delle quali per caduta, secondo quanto riporta la storica Jennifer Rosenberg. In cambio gli operai ricevevano un salario molto superiore rispetto a quello di altri colleghi ed erano oggetto di ammirazione generale. La gente si accalcava sui marciapiedi per osservarli, mentre i giornali dedicavano articoli su articoli a questi “cowboy del cielo”, come li soprannominò nel 1908 Ernest Poole. I fotografi, come Lewis Hine e Charles Ebbets, li immortalarono in immagini emblematiche che sono diventate parte del mito dei grattacieli di New York.
DUE OPERAI ISPEZIONANO UNA TRAVE D’ACCIAIO DELLA STRUTTURA DELL’EMPIRE STATE BUILDING NEL 1931. FOTO DI LEWIS HINE.
TRE OPERAI INSERISCONO UNA TRAVE IN UN GRATTACIELO DI LOWER MANHATTAN ATTORNO AL 1920. FOTOGRAFO NON IDENTIFICATO.
LIBRARY OF CONGRESS / GETTY IMAGES
VARI OPERAI LAVORANO NELLA PARTE INFERIORE DELL’EMPIRE STATE BUILDING NEL 1930. FOTO DI LEWIS HINE.
DALL’ALTO IN BASSO: NEW YORK PUBLIC LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI. BRIDGEMAN / ACI. GRANGER / AGE FOTOSTOCK
SCHELETRO D’ACCIAIO. QUESTA FOTO, SCATTATA IL 2 FEBBRAIO 1912 DA IRVING UNDERHILL, MOSTRA IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DELLA STRUTTURA DEL WOOLWORTH BUILDING, CHE SAREBBE STATO INAUGURATO IL 24 APRILE DELL’ANNO SEGUENTE.
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UN OPERAIO SOSPESO SOPRA LEXINGTON AVENUE SALUTA DA UNA TRAVE DELLA STRUTTURA DEL CHRYSLER BUILDING NEL 1929. DIETRO SORGE IL CHANIN BUILDING, DI 207 METRI DI ALTEZZA, INAUGURATO QUELLO STESSO ANNO.
LA CITTÀ CHE NON DORME MAI
Vista aerea di New York illuminata da una delle terrazze dell’Empire State Building, prima del 1950. Per il poeta della Generazione perduta Ezra Pound «nessuna notte urbana è come la notte di New York». BETTMANN / GETTY IMAGES
NEW YORK, LA CITTÀ DEL FUTURO DIRETTO DA FRITZ LANG NEL 1927, il film Metropolis, uno dei capolavori del cinema muto, si svolge in una megalopoli del futuro, piena di giganteschi edifici, grandi viali e ferrovie sopraelevate. Il modello era indubbiamente New York, che con i suoi grattacieli e la sua attività frenetica faceva impallidire le città europee, che ancora si stavano riprendendo dalla Grande guerra. Infatti, nel 1924 il regista e sceneggiatore austro-tedesco visitò gli Stati Uniti e la sua prima tappa fu New York. La nave sui cui viaggiava attraccò nel porto della città e, per problemi con i passaporti, lui e i suoi accompagnatori dovettero passare la notte a bordo. La vista dello skyline notturno di Manhattan gli suggerì l’idea del film, avrebbe detto in seguito. Nei giorni successivi passeggiò per la città: ne contemplò i palazzi, le insegne luminose e le strade, e scattò varie fotografie.
UNA FANTASIA FUTURISTICA
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sponibile a partire dagli anni ’80), furono gli altri ingredienti essenziali per la costruzione di quei grattacieli che avrebbero definito il profilo della New York del XX secolo. Ma non fu la tecnologia da sola a creare i grattacieli di Manhattan. Vi contribuirono altre forze importanti, come la rapida crescita demografica della città, l’aumento dei prezzi del suolo e l’incremento della massa di colletti bianchi, con la conseguente necessità di nuovi edifici per gli uffici. Queste esigenze a New York erano particolarmente forti. Ciononostante, i grattacieli non furono inventati a Manhattan: i primi, infatti, vennero costruiti a Chicago dopo il grande incendio del 1871, quando si adottò anche il termine skyscraper (“grattacielo”, appunto) che fino ad allora era usato solo per determinate bandiere delle navi, alcuni colpi del tennis e un certo tipo di cappello a cilindro. Gli imprenditori newyorchesi seguirono a ruota, ma su scala molto più grande, grazie a una situazione particolarmente favorevole dal punto di vista geologico. Mentre Chicago sor-
La Metropolis di Lang (a sinistra, un cartellone del film) è una città duplice: c’è quella sotterranea, dove sono rinchiusi gli operai, e quella esterna, dei ricchi.
geva su terreni argillosi, non molto adatti alla tecnologia disponibile all’epoca per costruire edifici alti, Manhattan poggiava su un robusto strato di granito. Grazie a quella base rocciosa, i primi grattacieli di New York poterono sorgere su appoggi solidi. Ma c’era dell’altro: buona parte della città, da Houston Street, nella parte meridionale, alla 155th Street, a nord, era stata pianificata nel 1811 secondo una griglia stretta e rigida che lasciava poco spazio a costruzioni più ambiziose, a meno che non si sviluppassero verso il cielo.
Moderne ziqqurat A mano a mano che certe zone di New York, come Midtown o il Financial District, cominciavano ad assomigliare a montagne create dall’uomo, crescevano le preoccupazioni in merito all’impatto dei grattacieli. Questi edifici altissimi proiettavano delle ombre lunghe e scure. Dai marciapiedi, le strade cominciavano a sembrare sempre più delle gole strette e profonde, un effetto accentuato dalla neve, dalla nebbia o dalle piogge intense. Per contrastare
I grandi edifici facevano sì che le strade sembrassero gole strette e profonde, soprattutto nei giorni di neve, nebbia o pioggia 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IL TRENO SOPRELEVATO
La linea soprelevata della metro della Sixth Avenue arrivava fino a Central Park. Questa foto è stata scattata all’incrocio tra la 34th Street e Broadway (a sinistra). La linea fu operativa fino al 1938 e poi fu interrata per ridurre il disturbo a pedoni e commercianti. GEORGE RINHART / GETTY IMAGES
GRATTACIELI CHE SONO OPERE D’ARTE NEL 1978 UNA COMMISSIONE dichiarò il Chrysler Building monumento storico di New York. Ne sottolineava non solo il prodigio ingegneristico, ma anche l’eleganza e la bellezza, sia dall’esterno che nelle decorazioni interne. La hall costituisce un esempio notevole di design art déco, con un murale sul soffitto che rappresenta il progresso dell’uomo. Walter Chrysler era deciso a fare del suo edificio un tributo al “commercio e all’industria mondiali” e volle impressionare i suoi rivali con marmi del Marocco, travertino di Siena e il nuovo acciaio inossidabile tedesco. Il progetto dell’architetto William van Allen fu molto apprezzato anche perché favoriva il traffico intenso di persone.
ASCENSORE ART DÉCO
FRANCES ROBERTS / ALAMY / ACI
questo fenomeno inquietante, a partire dal 1916 la legislazione urbanistica municipale stabilì che la struttura di questi enormi palazzi doveva restringersi a mano a mano che questi crescevano in altezza. È per questo che i profili dei grattacieli assomigliavano alle ziqqurat o a delle torte matrimoniali allungate, come nel caso dell’Empire State Building, che per alcune decine d’anni fu l’edificio più alto non solo di New York, ma del mondo intero. Si potrebbe dire che gli anni venti e trenta del XX secolo furono l’età dell’oro dei grattacieli newyorchesi. Grazie ai loro atri aperti al piano terra, al suggestivo stile art déco e all’elegante distribuzione, Chrysler, Empire State e RCA Building divennero icone ammirate in tutto il mondo. Erano edifici leggendari persino prima della loro apertura a un pubblico che restava solitamente attonito. Nel 1928 Walter P. Chrysler, il meccanico del Michigan che sarebbe diventato un magnate automobilistico, venne a sapere che H. Craig Severance aveva in programma la costruzione della Bank of Manhattan Tower,
Le porte dei 32 ascensori del Chrysler Building (come quella qui a sinistra) furono realizzate in legno esotico e decorate con intarsi colorati a forma di palma.
che sarebbe diventata l’edificio più alto del mondo. Il grattacielo di Severance puntava a raggiungere quasi i 283 metri, ovvero circa 60 centimetri in più del palazzo che Chrysler stava progettando con il suo architetto William van Allen, ex socio e rivale di Severance. Quest’ultimo disegnò allora in segreto una guglia in acciaio inossidabile, con un’altezza di sette piani e motivi solari, che avrebbe sormontato il Chrysler Building. Incredibilmente riuscirono a mantenere nascosta questa struttura all’interno dell’edificio, per svelarla solo all’ultimo momento. Impiegarono non più di novanta minuti per innalzarla sul tetto del palazzo. Così il Chrysler Building, con i suoi 77 piani e 318,82 metri di altezza, divenne l’edificio più alto del mondo, anche se questo primato non era destinato a durare a lungo.
L’Empire State Building Nel maggio del 1930, 11 mesi dopo la conclusione del Chrysler, aprì l’Empire State Building. Era molto più alto, aveva 102 piani e un isolato intero della Fifth Avenue, tra West 33rd
Con i suoi quasi 319 metri, il Chrysler conquistò nel 1929 il record di altezza sia a New York che nel mondo intero 114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ICONA DEL PASSATO E DEL PRESENTE
Una prospettiva della punta del Chrysler Building oggi. In stile art déco, è uno degli emblemi della città. La guglia di 38 metri lo rese l’edificio più alto del mondo nel 1929. STELIOS MICHAEL / AGE FOTOSTOCK
L’INCIDENTE CHE POTEVA ESSERE UNA CATASTROFE IL 28 LUGLIO DEL 1945 un bombardiere B-25 Mitchell era in volo da Boston a Newark (New Jersey). Quel giorno c’erano nuvole e nebbia a 300 metri di altitudine, ma il pilota, ignorando gli avvertimenti della torre di controllo, non cambiò rotta, perse l’orientamento e finì per schiantarsi contro l’Empire State Building. L’impatto avvenne a 278 metri di altezza, al 79° piano, dove il velivolo aprì uno squarcio di 5,5 per 6 metri. Morirono 14 persone, tra cui i tre membri dell’equipaggio dell’aereo, la maggior parte a causa della combustione della benzina. L’intero edificio tremò. Gli ingegneri Levy e Salvadori, nel loro libro Perché gli edifici cadono, suggeriscono che se l’aereo si fosse schiantato direttamente su un pilastro il grattacielo sarebbe potuto crollare. L’anno successivo un altro aereo militare finì contro un palazzo di Wall Street.
FIAMME NELL’EMPIRE STATE
BETTMANN / GETTY IMAGES
Street e 34th Street, a sua disposizione. Lo inaugurò il presidente Herbert Hoover tra grandi acclamazioni. Quella torre di 381 metri con una facciata in pietra calcarea dell’Indiana soddisfaceva le ambizioni di John J. Raskob, un prospero finanziere newyorchese, cavaliere di un ordine pontificio e padre di tre figli, che aveva commissionato il mitico grattacielo agli architetti Shreve, Lamb e Harmon. «Fino a che altezza potete arrivare senza rischi di crolli?», aveva chiesto Raskob a William Lamb. Ma ciò che allora stava crollando era l’economia statunitense. La crisi di Wall Street, nell’ottobre del 1929, si verificò proprio mentre la costruzione dell’Empire State Building procedeva a tutta velocità. Poi il Paese entrò nella Grande depressione. Neppure la fama di King Kong – il gigantesco scimmione che nel fortunato film della RKO del 1933 si arrampicava in vetta al grattacielo portandosi dietro Fay Wray prima di essere abbattuto da una squadra di caccia e precipitare nel vuoto – valse a rilanciare le sorti di quella che sembrava una follia di John J. Raskob. Incapace di attrarre inquilini, il magnifico palazzo fu ribattezzato “Empty” State Building, ovvero l’edificio vuoto. Fu necessario lo scoppio della Seconda guerra 116 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Dopo lo schianto del bombardiere uno dei motori uscì dalla parete opposta e cadde sul tetto di un edificio vicino provocando un incendio, come si può vedere nella foto.
mondiale per riempirlo di uffici governativi e solo nel 1950 l’Empire State Building iniziò finalmente a generare profitti. Anche se la crisi del 1929 rallentò il processo, nei decenni precedenti New York si era resa protagonista di una trasformazione urbana senza precedenti. Il paesaggio di torri colossali dell’isola di Manhattan affascinò scrittori, artisti, cineasti e, ovviamente, architetti. Negli anni venti l’architetto franco-svizzero Le Corbusier pensò di replicare a Parigi il modello di New York, con proposte iconoclaste e molto pubblicizzate, come quella di demolire buona parte della capitale francese e sostituire strade ed edifici storici con grattacieli di cemento armato e autostrade soprelevate. Ciononostante, quando nel 1935 Le Corbusier visitò New York e osservò per la prima volta con i suoi occhi l’impatto fisico dei grattacieli, apparentemente si ricredette. In una conferenza che tenne al museo d’arte moderna cittadino, il MoMA, l’architetto affermò: «I grattacieli di New York sono romantici, un gesto di orgoglio, e questo è importante. Ma hanno ucciso le strade e trasformato la città in un manicomio.» JONATHAN GLANCEY CRITICO ARCHITETTONICO
L’ULTIMO GRANDE
L’Empire State Building fu per 40 anni l’edificio più alto del mondo, fino al completamento della torre nord del World Trade Center nel 1970. A partire dal 1931 sulla sua sommità sono stati collocati dei ripetitori televisivi. ANTONINO BARTUCCIO / FOTOTECA 9X12
LOWER MANHATTAN VERSO IL 1950
I grattacieli del Financial District di Manhattan sulla sponda dell’East River a metà del XX secolo. Panoramica scattata dal quartiere di Brooklyn, nei pressi del ponte omonimo. H. ARMSTRONG ROBERTS / CLASSICSTOCK / GETTY IMAGES
LO SKYLINE CANGIANTE DI NEW YORK ino agli anni quaranta Manhattan esibiva uno snello skyline art déco di innegabile fascino. In seguito iniziò la moda dei grattacieli nel cosiddetto “stile internazionale”, ovvero fatto di blocchi rigorosamente squadrati spesso paragonati a giganteschi schedari o anche a grandi prigioni. A inaugurare questa tendenza fu nel 1952 il palazzo del segre-
tariato delle Nazioni Unite, sulle sponde dell’East River, cui seguì nel 1958 il Seagram Building (Midtown), con il suo profilo rettilineo e il rivestimento in bronzo. Era finita l’epoca delle torri a gradoni, delle guglie e dei dettagli ornamentali: c’erano solo linee rette e uffici che venivano chiamati “blocchi in affitto”. Il paradigma di questa nuova architettura – e della nuo-
va economia che questa rappresentava – furono le Twin Tower, che dal 1973 dominarono il Financial District. L’attentato del 2001 sembra aver inaugurato una nuova fase, con grattacieli di dimensioni spettacolari (il One World Trade Center, inaugurato nel 2014, raggiunge i 541 m di altezza) e al tempo stesso dotati di un’estetica variopinta.
Bank of Manhattan (1930) Cities Service (1932) City Bank–Farmers Trust (1931)
120 Wall Street (1929)
Woolworth (1913)
JOHN COLETTI / GETTY IMAGES
LOWER MANHATTAN NEGLI ANNI NOVANTA. SULLA DESTRA DELL’IMMAGINE SI VEDONO LE TWIN TOWERS, PRIMA DEL CROLLO DEL 2001.
GRANDI ENIGMI
Il famoso caso dell’impostore Martin Guerre Nel XVI secolo comparve in un villaggio francese un uomo che si faceva passare per un abitante partito per la guerra anni prima gat, un villaggio sui Pirenei francesi. Qui, verso il 1538, si sposarono due adolescenti di appena 14 anni. Lei, Bertrande de Rols, apparteneva a una nota casata locale con un certo patrimonio. Lui, Martin Guerre, veniva da una famiglia di emigrati baschi che nel 1527 si erano stabiliti nella zona e avevano aperto una prospera attività di produzione di mattoni e tegole. I due tardavano ad avere figli e iniziò a circolare voce che fossero vittime di un sortilegio che gli impediva di consumare il matrimonio. Otto anni più tardi, grazie a quattro messe e al suggerimento di un sacerdote – che le aveva fatto mangiare delle ostie e una focaccia bene-
detta – Bertrande riuscì a rompere il maleficio ed ebbe un figlio, Sanxi Guerre. Ma la felice vita coniugale si interruppe bruscamente quando Martin rubò alcuni sacchi di cereali a suo padre e, una volta scoperto, decise di fuggire in Spagna.
Ritorno a sorpresa Per otto anni nessuno ebbe più alcuna notizia del fuggitivo, nemmeno la stessa Bertrande. Fino a che, un bel giorno, si presentò al villaggio un uomo che affermava di essere Martin Guerre. Fisicamente era identico, persino nei gesti, ma era leggermente più piccolo. La famiglia Guerre, composta da quattro sorelle e uno zio,
UNA GIUSTIZIA ZOPPICANTE IL FILOSOFO Michel de Montaigne citò nei suoi Saggi il
processo contro il falso Martin Guerre. Per l’umanista, molto scettico nei confronti della giustizia, il processo fu una prova del fatto che questa zoppicava come il protagonista stesso ed era guidata dall’apparenza. Secondo Montaigne, qualsiasi processo corretto doveva basarsi sulla prudenza, la cautela e la benevolenza. FINE ART IMAGES / ALBUM
BRIDGEMAN / ACI
N
el 1560 i giudici del parlamento di Tolosa, la massima istanza giudiziaria della Linguadoca, si trovarono di fronte a un caso affascinante: due uomini che affermavano entrambi di essere Martin Guerre e si accusavano reciprocamente d’impostura. I numerosi testimoni convocati non si trovavano d’accordo su chi dicesse la verità. Neppure la moglie sembrava in grado di dirimere la questione. Il giudice istruttore del caso, Jean de Coras, scrisse un rapporto sul processo e su come si fosse giunti a questa situazione paradossale. La vicenda comincia ad Arti-
e tutto il villaggio, festeggiarono il suo ritorno. Secondo la testimonianza del giudice istruttore Jean de Coras, Bertrande si mostrò «estremamente curiosa di vedere e recuperare il marito». Nei tre anni successivi, lui e Bertrande «vissero come marito e moglie, mangiando, bevendo e dormendo secondo consuetudine». Martin si comportò da buon marito e padre irreprensibile. La ricongiunta coppia ebbe due figlie. Tutto pareva andare
per il meglio finché non ci fu una lite tra Martin e suo zio Pierre in merito alla gestione del patrimonio familiare.
Identità dubbia Pierre cominciò a dubitare dell’identità dell’uomo tornato dalla Spagna. Le tensioni divennero sempre più violente, al punto che un giorno zio e cugini furono sul punto di ammazzare di botte Martin, che si salvò unicamente perché Bertrande, la moglie, si gettò a terra
facendogli da scudo con il proprio corpo. Nel 1559, tra dubbi sempre più forti sulla sua identità, un vicino accusò Martin di avergli incendiato la fattoria e lo denunciò per usurpazione d’identità. Martin fu assolto per mancanza di prove e, quando tornò ad Artigat, Bertrande «lo accolse e accarezzò come un marito. Al suo arrivo gli preparò una camicia bianca, gli lavò i piedi e poi andarono a letto insieme», racconta Coras. Ma il
UNA STORIA DA CINEMA LA VICENDA di Guerre risvegliò la curiosità dei suoi contemporanei e ispirò autori come Alexandre Dumas o Rubén Darío. Nel 1941 il romanzo di Janet Lewis The Wife of Martin Guerre riportò il tema all’attenzione del grande pubblico. La storia è poi stata ripresa da un noto film francese del 1982, Il ritorno di Martin Guerre (a destra), interpretato da Gérard Depardieu e Nathalie Baye. Hollywood ne ha fatto un adattamento nel 1993, Sommersby, ambientato alla fine della Guerra di secessione, con Richard Gere e Jodie Foster.
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MARY EVANS / AURIMAGES
NOZZE CAMPESTRI. In quest’opera di Jan Brueghel il Vecchio, dei primi del XVII secolo, un corteo nuziale sfila davanti alla chiesa di una località rurale. Museo del Prado, Madrid.
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GRANDI ENIGMI
JACQUES SIERPINSKI / GTRES
VISTA DI TOLOSA, dove si svolse il processo a Martin Guerre, con la basilica di San Saturnino al centro.
giorno successivo l’uomo fu arrestato. La moglie, su insistenza di Pierre Guerre, lo denunciò come impostore e chiese alla giustizia che il truffatore fosse punito e le versasse un risarcimento di 2mila lire. Il processo, che si tenne nella vicina Rieux, non
fece che aggiungere confusione alla vicenda. Pierre Guerre presentò dei testimoni che avevano identificato Martin con un certo Arnaud du Tilh, conosciuto nel suo luogo di origine con il soprannome di Pansette. Dopo aver stretto amicizia con il vero Martin Guerre, l’aveva convinto a raccontargli tutti i particolari della sua vita e ne aveva quindi
usurpato l’identità, sperando così di entrare in possesso del patrimonio della famiglia Guerre. Altri testimoni dichiararono di aver sentito voci secondo le quali il vero Martin aveva perso una gamba nella battaglia di San Quintino. L’accusato, dal canto suo, ebbe varie testimonianze favorevoli, come quelle delle sorelle di Martin, e fu in gra-
Il caso, diffuso dal rapporto di Coras, suscitò un interesse morboso, che è continuato fino ai nostri giorni IL RAPPORTO DI JEAN DE CORAS, GIUDICE ISTRUTTORE DEL PROCESSO DI TOLOSA. BAYERISCHE STAATSBIBLIOTHEK, MÜNCHEN
do di fornire particolareggiate descrizioni delle persone che avevano partecipato al suo matrimonio e di chi era venuto a trovare lui e Bertrande la sera delle nozze.
La corte sentenzia Dal canto suo, Bertrande dichiarò che la sua famiglia le aveva ordinato di querelare Martin minacciandola di morte o di farla rinchiudere in un ospizio. Si rifiutò quindi di dichiarare sotto giuramento che l’accusato non era suo marito. Il giudice condannò l’uomo a morte, la pena prevista all’epoca in casi di violazione dell’ordine matrimoniale e di
Maxiprocesso a Tolosa
RUE DES ARCHIVES / ALBUM
LA CURIOSITÀ malsana e l’elevato numero di testimoni amplificarono la risonanza del processo. Nel corso della prima causa si succedettero le dichiarazioni di 150 testimoni, quasi 40 dei quali riconobbero l’accusato come Martin Guerre a partire dai ricordi d’infanzia o dalle cicatrici, mentre altri 50 lo identificarono con Arnaud du Tilh. Dopo il confronto tra Bertrande e il suo presunto marito furono convocati altri 30 testimoni, le cui dichiarazioni non furono decisive. RIUNIONE DI UN TRIBUNALE. MINIATURA DI UN MANOSCRITTO FRANCESE DEL XVI SECOLO.
stupro (così veniva definita una relazione come quella da lui intrattenuta con Bertrande). L’imputato fece appello al parlamento di Tolosa. Qui, dopo la ripetizione degli interrogatori e lo svolgimento di nuove indagini, i giudici si ritrovarono «altamente perplessi». Erano inizialmente propensi a ribaltare la sentenza, ma quando stavano per pronunciarsi avvenne un colpo di scena. Apparve un uomo con una gamba di legno che affermava di essere Martin Guerre. Spiegò di essere fuggito in Spagna, di essersi in seguito arruolato nell’esercito e quindi di essere rimasto mutilato nella
battaglia di San Quintino. I due Martin Guerre furono sottoposti a un confronto in cui l’accusato si difese molto più abilmente del nuovo arrivato. A quel punto i giudici decisero di mettere i due uomini di fronte ai principali testimoni. I dubbi scomparvero immediatamente: Bertrande riconobbe il suo vero marito, tra lacrime e abbracci, «tremando come una foglia agitata dal vento». Il vero Martin Guerre raccontò che Pansette era stato suo compagno d’armi e gli aveva strappato molte informazioni, anche intime, sulla moglie e le sue relazioni ad Artigat. Il 12 settembre
del 1560 Arnaud du Tilh fu condannato a morte. Quattro giorni dopo fu impiccato nella stessa Artigat, davanti alla casa in cui aveva vissuto con Bertrande. Pochi minuti prima di morire, Arnaud confessò la sua menzogna.
Complice perfetta Questo caso, che rappresentò un vero e proprio rompicapo per i giudici, ha continuato a suscitare un interesse morboso fino ai nostri giorni. La vicenda è indubbiamente appassionante. L’incrociarsi delle varie testimonianze fa sì che in alcuni momenti della storia il falso sembri più verosimi-
le della realtà. Arnaud aveva rivelato doti di grande attore, ma a sorprendere maggiormente era stato l’atteggiamento di Bertrande. Consapevolmente o meno, la moglie fu la complice perfetta. Questa Penelope, che aveva pazientemente atteso il ritorno del marito, sapeva che la sua sopravvivenza sociale era legata al fatto di mantenere un’immacolata reputazione di moglie e di madre. E ci riuscì. I giudici assolsero Bertrande da qualsiasi crimine e riconobbero la legittimità di tutti i suoi figli. —Bernat Hernández STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
La tomba di Sennedjem a Deir el-Medina Nel 1886 il console spagnolo in Egitto penetrò nella tomba inesplorata dell’artigiano Sennedjem, decorata con eleganti pitture MAR MEDITERRANEO
M E N FI S
EGITTO
Deir elMedina
MAR ROSSO
nulla di interessante. Maspero inviò immediatamente un rais (guardiano del museo) sul luogo del ritrovamento, per evitare che durante la notte i ladri potessero sottrarre degli oggetti di valore dal sepolcro.
Una tomba intatta da). L’uomo voleva informare Maspero della scoperta di quella che pareva essere una tomba intatta nella necropoli dell’antico villaggio dei costruttori delle tombe reali, Deir el-Medina, situato sulla sponda occidentale del Nilo. Salam Abu Duhi, così si chiamava il beduino, aveva chiesto una settimana prima l’autorizzazione per effettuare scavi nell’area della necropoli tebana contigua a Gurna, il suo villaggio natale. Il permesso gli era stato concesso perché si riteneva che in quella zona non ci fosse
1884
Eduard Toda arriva al Cairo come console generale di Spagna e inizia a interessarsi all’Egitto faraonico.
1886
Il giorno seguente Maspero, Toda e il resto della missione scientifica si diressero a Deir el-Medina e raggiunsero le tombe che ricoprivano il pendio della collina immediatamente a ovest del villaggio. Avanzarono quindi tra le rovine, che ostacolavano la marcia a ogni passo. Toda riferì che lungo il cammino si imbatterono in frammenti di vasellame, sudari e teschi sparsi sulla sabbia, che descrisse come «disgustosi resti di cui pascevano le iene o gli sciacalli del deserto». Il gruppo di
Toda, con l’amico Gaston Maspero, è il primo a entrare nella tomba intatta di Sennedjem.
1887
Toda trovò a quel punto Abu Duhi e altri tre uomini, che si aspettavano di ricevere una buona ricompensa per la scoperta che avevano fatto. Della cappella funeraria situata all’esterno della tom-
Dopo aver svuotato la tomba, Toda abbandona l’Egitto e pubblica i risultati del suo lavoro.
EDUARD TODA TRAVESTITO DA MUMMIA NEL MUSEO DI BULAQ, AL CAIRO, NEL 1885. GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS
ARALDO DE LUCA
E
rano le cinque di pomeriggio del primo febbraio del 1886. Eduard Toda, 31 anni, nativo di Reus (Tarragona) e dal 1884 console generale di Spagna in Egitto, si trovava a Luxor insieme al suo caro amico Gaston Maspero – direttore del Museo egizio del Cairo e del Servizio reperti archeologici egiziani – e ad altri illustri egittologi. Era da settimane che viaggiavano lungo il Nilo a bordo del battello Bulaq, ammirando i magnifici monumenti del Paese. Quel giorno, mentre tornavano da una visita al tempio di Karnak, gli si avvicinò un beduino «dall’aria misera» (secondo le parole di To-
1889
Escono due sue opere dedicate all’antico Egitto: A través del Egipto e Las momias reales de Bulaq.
ba non restava nulla. Tuttavia, tra i cumuli di macerie Toda e gli altri individuarono l’accesso a un pozzo di quattro metri di profondità, che si apriva nella bianca roccia calcarea. Questo era rimasto nascosto dai detriti delle tombe vicine, salvandosi così dai saccheggi. In fondo al pozzo scorsero l’entrata a una galleria che scendeva per due metri su un piano inclinato e portava a un’anticamera e a un corridoio scavato nella
roccia viva. Toda racconta così il momento: «Con grande emozione scoprimmo in fondo a quest’ultimo corridoio l’ingresso della camera funeraria, nella cui cornice di pietra rimaneva intatta la porta di legno chiusa dal sacerdote dopo avervi depositato dentro l’ultimo cadavere». Era evidente che si trovavano di fronte a una tomba ancora inesplorata. Gli archeologi ruppero il sigillo di argilla con l’effigie
CAPPELLE FUNERARIE NEL CORTILE della tomba di Sennedjem sorgono tre piccole cappelle funerarie a forma di piramide, oggi ricostruite, perché al momento della scoperta erano in rovina. Quella centrale apparteneva a Sennedjem (nella foto), quella più a sud al suocero Djaro e l’altra a suo figlio Khonsu. Ciascuna delle piramidi era sormontata da un pyramidion di pietra calcarea, decorato sulle quattro facce. Sul lato sud di quello di Sennedjem si legge: «Servitore nel luogo della verità, Sennedjem, giusto di voce».
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
TONI ESPADAS
CAMERA FUNERARIA della tomba di Sennedjem con le sue magnifiche pitture murali. Sul fondo, il defunto e la moglie arano i campi dell’aldilà.
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GGRRAANNDDI I SSCCOOPPEERRTTEE
UNA FAMIGLIA UNITA NELLA MORTE NELLA TOMBA di Sennedjem fu ritrovato un
ARALDO DE LUCA
Sarcofago in miniatura con statuetta funebre di Sennedjem.
BRIDGEMAN / ACI
abbondante corredo funebre composto da varie suppellettili, cibo, casse per ushabti e nove splendide bare antropomorfe. Il sepolcro può essere considerato una tomba familiare, dato che almeno tre generazioni della stessa famiglia vi sono sepolte. Le nove mummie contenute nei sarcofagi appartenevano a Sennedjem, alla moglie Inyferti, al figlio Khonsu, alla moglie di quest’ultimo, Tamaket, ai suoi altri figli e a sua nuora Isis, moglie di suo figlio Khabekhnet, titolare di una tomba vicina. Non è ancora chiaro per quale ragione Isis si trovi nella tomba del suocero piuttosto che in quella del marito.
Sarcofago esterno di Khonsu, figlio maggiore di Sennedjem. In legno, è decorato con il capitolo 17 del Libro dei morti.
GRANDI SCOPERTE
ERICH LESSING / ALBUM
Sarcofago di Isis, nuora di Sennedjem e moglie di suo figlio Khabekhnet.
Cassa per conservare ushabti, a destra, e ushabti; appartenevano a Khabekhnet.
BRIDGEMAN / ACI
ARALDO DE LUCA
Sarcofago in legno policromo di Sennedjem, titolare della tomba.
inginocchiati sulla tomba e vestiti con abiti festivi, bevono l’acqua di una libagione alla dea Nut, che emerge da un sicomoro, albero sacro che nutre e protegge.
DEA / ALBUM
SENNEDJEM E SUA MOGLIE, INYFERTI,
GRANDI SCOPERTE
CAPPELLA FUNERARIA di Sennedjem
TONI ESPADAS
vista da dietro, con il villaggio di Deir el-Medina sullo sfondo.
del dio Anubi, l’architrave e il montante che sostenevano la porta e penetrarono all’interno della camera mortuaria. Ciò che videro li stupì profondamente: il pavimento era ricoperto di mummie. Undici si trovavano per terra mentre nove erano deposte in sarcofagi di legno. Tra queste, in una bella bara policroma, c’era il titolare della tomba, Sennedjem, un artigiano vissuto durante la XIX dinastia, sotto i regni di Seti I e di suo figlio Ramses II. Sul suolo erano sparsi vasi di ceramica, pane, frutta, fiori secchi e suppellettili del corredo funerario. Maspero
incaricò Toda di documentare, asportare e inventariare il contenuto della tomba. Il giovane console spagnolo ricevette quest’incarico perché aveva dimostrato grande interesse per l’antico Egitto, tanto che aveva imparato anche a decifrare i geroglifici. Innanzitutto Toda caricò le mummie sul Bulaq per trasportarle poi al museo del Cairo. «Dei venti cadaveri rinvenuti nel sepolcro, i nove chiusi nei sarcofagi di legno erano perfettamente conservati e fu possibile trasportarli senza problemi fino all’imbarcazione. Non così gli altri undici, che, gettati
disordinatamente a terra, […] si disfecero tra le mani degli arabi che avevano cercato di sollevarli», racconta Eduard Toda, che conservò i teschi per un successivo studio etnografico. Tuttavia, ciò che più attirò la sua attenzione fu la bellezza delle pitture della camera funeraria, uno dei migliori esempi di Deir el-Medina. I muri erano coperti di dipinti di grande qualità tecnica ed eccellente fattura. Vi erano testi e scene del Libro dei morti, immagini della mummia di Sennedjem sdraiata su un letto funebre dentro un santuario, sacerdoti intenti a fare offerte
e divinità funerarie come Anubi. E ancora, immagini del defunto e di sua moglie che arano e mietono i campi dell’aldilà. Poco dopo il ritrovamento, Eduard Toda pubblicò il suo lavoro con le foto della tomba. Ciononostante, la sua carriera di egittologo fu di breve durata: lo stesso anno della scoperta fu trasferito in un’altra sede. In ogni caso, Toda era riuscito a realizzare quello che per molti sarebbe rimasto solo un sogno: essere il primo egittologo a documentare una tomba intatta dell’antico Egitto. —Irene Cordón STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero SAN PIETRO IN VATICANO, LA GRAN BASILICA IL CAMBIO della sede papale
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da Roma ad Avignone nel XIV secolo ebbe conseguenze nefaste per la basilica edificata sulla collina dove secondo la tradizione morì san Pietro. Con il ritorno della sede pontificia a Roma nel XVI secolo, Giulio II decise di costruire un nuovo santuario che si lasciasse alle spalle l’estetica medievale per proiettare l’immagine di una Chiesa onnipotente. Bramante, Michelangelo, Raffaello e Bernini vi lasciarono la loro impronta.
HERITAGE / GETTY IMAGES
SEDUZIONI, SEGRETI E SPIE: LA TRAGICA FINE DI MATA HARI NOTA PER LA SUA BELLEZZA OSCURA e per le sue performance sensuali ed esotiche, Margaretha Zelle, meglio nota come Mata Hari, infranse le norme del ventesimo secolo. Ballava nuda, aveva diversi amanti e ostentava la sua ricchezza. Tutte cose ritenute pericolose in una donna e che potrebbero essersi rivelate fatali per la ballerina olandese, giustiziata come spia tedesca nel 1917. Una morte, la sua, che oggi molti ritengono il risultato di un processo ingiusto.
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Mummie di animali in Egitto Nell’antico Egitto non venivano mummificate solo le persone, ma anche gli animali. Dagli scarabei ai coccodrilli, furono milioni gli animali sottoposti al rito.
Delfi, il santuario sepolto Il luogo di culto più importante della Grecia classica si trovava sotto un paese i cui abitanti si rifiutavano di abbandonare per permettere gli scavi.
Settimio Severo Nel 193 d.C. il generale e senatore romano pose fine a un periodo di instabilità politica proclamandosi imperatore e uccidendo i suoi oppositori.
Sefarditi: la diaspora spagnola La decisione di espellere gli ebrei dalla Spagna nel 1492 provocò un’emigrazione di massa verso l’Italia, il nord Africa e il Levante, dove fiorirono nuove comunità.
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