FINE DEL MONDO NEL MEDIOEVO
DONNE E INQUISIZIONE
LA MADRE DI ALESSANDRO MAGNO
LE LETTERE DI AMARNA
L’ARCHIVIO DEL FARAONE
- ESCE IL18/04/2020 - POSTE ITALIANE S.P.A SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) 1 COMMA 1 - LO/MI. GERMANIA 12 € - SVIZZERA C. TICINO 10,20 CHF - SVIZZERA 10,50 CHF - BELGIO 9,50 €
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PERIODICITÀ MENSILE
OLIMPIA
OPPIO
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GIARDINI DI BABILONIA
I GIARDINI DI BABILONIA OLIMPIA
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LETTERE DI AMARNA
LA DROGA CHE DISTRUSSE LA CINA
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NATIONAL GEOGRAPHIC
LA FINE DEL MONDO NEL MEDIOEVO
N. 135 • MAGGIO 2020 • 4,95 €
NU MERO 135
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LE DONNE SPAGNOLE E L’INQUISIZIONE OPPIO
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LE DONNE SPAGNOLE E L’INQUISIZIONE OPPIO
Pubblicazione periodica mensile - Anno XII - n. 135
I GIARDINI DI BABILONIA OLIMPIA
LA MADRE DI ALESSANDRO MAGNO
LE LETTERE DI AMARNA L’ARCHIVIO DEL FARAONE
LA FINE DEL MONDO NEL MEDIOEVO ILLUSTRAZIONE DEL BEATUS DI SILOS. EDIZIONE FACSIMILE REALIZZATA DALLA CASA EDITRICE M. MOLEIRO. FOTO: M. MOLEIRO EDITOR
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LA DROGA CHE DISTRUSSE LA CINA
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VIA PROCESSIONALE DI BABILONIA.
24 Le lettere di Amarna Centinaia di tavolette hanno svelato le relazioni diplomatiche tra i faraoni e gli altri sovrani del Vicino Oriente. DI JOSÉ LULL
36 I giardini pensili di Babilonia Non sono state trovate prove di quella che era considerata una delle sette meraviglie del mondo antico. DI J. L. MONTERO F.
48 Olimpia, la madre di Alessandro Le poche notizie che abbiamo su di lei rispondono a consolidati pregiudizi di genere. DI FRANCISCO J. GÓMEZ E.
60 La fine del mondo nel Medioevo Il libro dell’Apocalisse ebbe grande influenza nel Medioevo. DI MÓNICA WALKER VADILLO
82 Donne e Inquisizione Le donne spagnole non sfuggirono ai processi del Sant’Uffizio. DI A. FERNÁNDEZ L.
96 L’oppio in Cina Quando i britannici imposero il commercio della droga. DI J. A. CANTÓN A.
6 EVENTO STORICO
Il caso Dreyfus Una battaglia per la verità nella Francia di fine ottocento.
14 VITA QUOTIDIANA
Invecchiare a Roma Un privilegio, ma anche un rischio reale di venir abbandonati.
20 MAPPA DEL TEMPO
L’Europa nel XVI secolo
114 IL ROVESCIO DELLA TRAMA 116 GRANDI ENIGMI Sifilide
La malattia fu portata da Colombo o era già presente in Europa?
120 GRANDI SCOPERTE
Necropoli romana Nel 1939 venne ritrovato un mausoleo sotto San Pietro.
124 FOTO DEL MESE 126 LIBRI
ESECUZIONE DI UN’ERETICA. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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DEGRADAZIONE PER TRADIMENTO
Il 5 gennaio 1895, nel cortile della scuola militare di Parigi, furono strappati i gradi militari ad Alfred Dreyfus. Incisione.
Il caso Dreyfus: una battaglia per la verità Nel 1898 Émile Zola accusò l’esercito francese di aver condannato ingiustamente per tradimento il capitano Alfred Dreyfus, recluso ormai da tre anni su un’isola della Guyana
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lfred Dreyfus non si aspettava che la riunione a cui fu convocato il 15 ottobre 1894 presso il ministero della guerra avrebbe trasformato la sua vita in modo così radicale. Il capitano, un alsaziano di origine ebraica con una promettente carriera militare davanti a sé, fu ricevuto dal generale Du Paty de Clam. Quest’ultimo aveva la mano destra visibilmente fasciata e gli chiese se poteva redigere una nota per suo conto. Ciò che sembrava un compito
di routine prese improvvisamente una brutta piega quando, dopo aver letto il foglio con la scrittura di Dreyfus, Du Paty lo accusò di aver tradito il Paese vendendo alla Germania segreti dell’esercito francese e lo fece arrestare. Attonito, il capitano respinse ogni accusa e rifiutò la pistola con un solo proiettile che Du Paty gli porse, invitandolo implicitamente al suicidio. Poco dopo fu rinchiuso in una cella, dove restò in isolamento per diversi giorni. Sua moglie Lucie fu informata dei fatti quel pomeriggio stesso, mentre la casa dei
coniugi veniva sottoposta a perquisizione. Du Paty non le fornì ulteriori spiegazioni e l’avvertì che, se voleva aiutare suo marito, la cosa migliore che poteva fare era restare in silenzio. Dreyfus ignorava che l’unica prova contro di lui era un documento recuperato nel cestino dell’ambasciata tedesca a Parigi, in cui un soggetto non identificato si offriva d’inviare all’addetto militare dell’ambasciata stessa dei rapporti informativi sull’artiglieria transalpina. Nel settembre del 1894 questo documento, a cui nelle crona-
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EVENTO STORICO
LA PROVA DEL TRADIMENTO IL DOCUMENTO che diede inizio a
che dei fatti ci si riferisce in genere con il termine francese bordereau, era arrivato in mano all’ufficio di statistica, il servizio di controspionaggio francese, e la sua analisi confermò i sospetti circa la presenza di un traditore tra le fila dell’esercito nazionale. Bisognava identificare la persona che stava passando informazioni alla Germania, da cui la Francia era stata recentemente sconfitta nella guerra del 1871. Fu stilato un profilo del sospetto e si giunse alla conclusione che doveva trattarsi di un ufficiale esperto di artiglieria. Nella lista dei candidati era presente anche il nome di Dreyfus, per l’appunto un capitano
d’artiglieria proveniente dall’Alsazia, regione francese di lingua germanica annessa dall’impero tedesco al termine del conflitto. Ma a rivelarsi un fattore determinante furono soprattutto le sue origini ebraiche: la diffusione dell’antisemitismo aveva esacerbato i pregiudizi della popolazione francese contro gli ebrei. Dopo aver ottenuto l’approvazione del ministro della guerra, Du Paty s’incaricò dell’interrogatorio, puntando a ottenere un’ammissione di colpevolezza che compensasse la debolezza delle prove. Ma Dreyfus era deciso a dimostrare la propria innocenza e non si piegò a confessare. L’operazione
A causa delle sue origini ebraiche, Dreyfus fu accusato senza prove di aver trasmesso segreti militari all’esercito tedesco
BNF / RMN-GRAND PALAIS
BIANCHETTI / LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO
tutta la vicenda, conosciuto come bordereau, non avrebbe mai dovuto lasciare l’ambasciata tedesca. Madame Bastian, un’addetta alle pulizie che lavorava per i servizi segreti francesi, ne raccolse i frammenti in cui era stato strappato e li inviò all’ufficio di statistica, che provvide a ricomporli. Quella lettera non datata e non firmata divenne la principale prova a carico di Dreyfus.
avrebbe dovuto essere condotta con la massima discrezione, ma la cosa non si rivelò così semplice.
Il percorso della condanna Alla fine del mese il giornale antisemita La Libre Parole pubblicò il nome della presunta spia, evidenziandone le origini ebraiche. Di fronte all’incipiente campagna contro il marito, Lucie decise di rompere il silenzio e chiese aiuto al cognato, Mathieu Dreyfus. Quest’ultimo assunse un buon avvocato che, dopo aver con-
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FOTOGRAFIA DI DREYFUS DOPO LA CONDANNA DEL DICEMBRE DEL 1894.
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EVENTO STORICO
CARICATURA DI DREYFUS
sultato la documentazione, mostrò un cauto ottimismo. Le prove contro il capitano si limitavano a una vaga somiglianza tra la sua grafia e quella del documento rinvenuto nell’ambasciata tedesca. Il capitano si presentò quindi di fronte alla corte marziale che si accingeva a giudicarlo convinto di un esito favorevole del processo. Tuttavia, i comandanti dell’esercito
ROGER VIOLLET / AURIMAGES
raffigurato nella sua prigione in Guyana con il naso adunco caratteristico degli stereotipi antisemiti e in compagnia del diavolo. La didascalia recita: «Niente di meglio che essere in famiglia».
non pensavano di potersi permettere un’assoluzione poiché questo avrebbe dimostrato che il vero colpevole non era stato identificato. Incoraggiarono pertanto alcuni ufficiali a trovare, o a fabbricare, nuove prove. Così, senza informare né la difesa né il governo, Du Paty consegnò ai giudici un dossier segreto contenente vari documenti, tra cui uno che faceva riferimento a
MANCANZA DI PROVE UNA DELLE CRITICHE rivolte da Zola al go-
verno e al sistema giudiziario militare nel suo articolo “J’Accuse” era quella di aver violato i diritti dell’imputato, condannandolo sulla base di prove segrete (e che si sarebbero poi dimostrate false).
PRIMA PAGINA DI L’AURORE, 13 GENNAIO 1898. AGENCE BULLOZ / RMN-GRAND PALAIS
«quella canaglia di D.», con l’allusione al fatto che dietro l’iniziale doveva necessariamente nascondersi il capitano alsaziano. Il nuovo dossier compensava la debolezza dell’unica prova incriminante e spinse i giudici a dichiarare Dreyfus colpevole all’unanimità. La pena che lo attendeva era la più alta possibile da quando era stata abolita l’esecuzione per i reati politici: la deportazione a vita, da scontarsi sull’isola del Diavolo, di fronte alle coste della Guyana francese. Prima, però, Dreyfus fu degradato con una cerimonia umiliante: gli furono strappate le decorazioni militari e venne spezzata la sua spada d’ordinanza. Quindi fu condotto in carcere tra gli insulti della folla.
La degradazione pubblica Il caso aveva risvegliato un forte sentimento di rabbia nell’opinione pubblica, che si era schierata in grande
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Il vero traditore
DAGLI ORTI / AURIMAGES
IL MAGGIORE Ferdinand Walsin Esterházy iniziò a vendere alla Germania segreti dell’esercito francese nel 1894. A spingerlo furono soprattutto ragioni economiche: era infatti sommerso dai debiti a causa della sua passione per il gioco d’azzardo. Ma queste dispendiose abitudini finirono per tradirlo: dopo aver visto una riproduzione del bordereau sul giornale Le Figaro, uno dei creditori di Esterházy ne riconobbe la grafia e contattò il fratello di Alfred Dreyfus, Mathieu. Nel 1898, dopo essere stato congedato dall’esercito, il maggiore lasciò il Paese e trascorse il resto della sua vita in Inghilterra, dove si mantenne lavorando come traduttore e scrittore. FERDINAND WALSIN ESTERHÁZY (1847-1923), MAGGIORE DELL’ESERCITO FRANCESE. INCISIONE APPARSA IN L’ILLUSTRATION NEL 1898.
maggioranza contro il capitano. Solo la famiglia dell’ufficiale alsaziano continuò a difenderne l’innocenza. Un anno più tardi l’ufficio di statistica entrò in possesso di un altro documento manoscritto proveniente dall’ambasciata tedesca, la brutta copia di una lettera diretta al maggiore francese Ferdinand W. Esterházy. A quell’epoca a capo dei servizi segreti transalpini
c’era Georges Picquart, un brillante colonnello che aveva assunto l’incarico nel luglio dell’anno precedente e ignorava i dettagli dell’affaire Dreyfus. Picquart fece mettere Esterházy sotto sorveglianza e scoprì così che questi aveva frequenti contatti con i diplomatici tedeschi. La sua prima reazione fu quella di pensare che ci fosse un secondo traditore nell’esercito, ma quando riuscì a procurarsi due lettere scritte a mano da Esterházy, le comparò con il bordereau di cui Dreyfus era stato giudicato l’autore e si rese conto che la grafia coincideva. Convintosi di aver scoperto un grave errore giudi-
ziario, iniziò a mettere in discussione anche le altre prove in base alle quali era stato deportato l’ufficiale alsaziano. L’esercito non poteva permettersi che la verità venisse a galla. Il comandante Henry, che aveva mentito nel corso del processo, voleva evitare che si scoprisse il suo stesso crimine e falsificò una lettera dell’addetto militare dell’ambasciata italiana, Alessandro Panizzardi, aggiungendo dei paragrafi che facevano riferimento a Dreyfus. Per togliersi di torno Picquart, ormai diventato scomodo, Herny e altri ufficiali lo fecero rimuovere dai servizi segreti e assegnare a una zona di guerra
Picquart, capo dei servizi segreti, mise Esterházy sotto sorveglianza e scoprì che aveva frequenti contatti con i tedeschi COLONNELLO PICQUART. RITRATTO IN BIANCO E NERO. FINE XIX SEC. AUTORE ANONIMO. PH O OT
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EVENTO STORICO
APERTURA DEL PROCESSO
in Tunisia. Prima di partire Picquart rivelò i suoi sospetti a un amico avvocato, Louis Leblois, che a sua volta contattò il vicepresidente del senato, Auguste Scheurer-Kestner. Questi avviò una serie d’indagini volte a far luce sulla questione. Nel frattempo il fratello di Dreyfus trovò nuove prove della colpevolezza di Esterházy e le fece pervenire allo stesso vicepresi-
ROGER VIOLLET / AURIMAGES
di revisione del caso Dreyfus a Rennes, il 7 agosto 1899. L’ufficiale alsaziano è in piedi sulla destra.
dente. Nel dicembre del 1897 Scheurer-Kestner richiese pubblicamente la riapertura del caso. L’esercito continuava a negare la realtà. Nel gennaio del 1898 Esterházy fu giudicato dalla corte marziale e assolto, nella speranza che questo potesse porre fine ai sospetti una volta per tutte. Allo scopo di prevenire nuove rivelazioni Picquart venne arresta-
UN PAESE DIVISO IL CASO DREYFUS produsse in Francia una profonda spaccatura sociale. Diversi politici, tra cui il dreyfusard Clemenceau e il nazionalista Drumont, fecero del caso un terreno di scontro. La divisione attraversava anche le famiglie; questa caricatura di Caran d’Ache ironizza su come si concludeva una cena se qualcuno tirava fuori l’argomento. CHARMET / BRIDGEMAN / ACI
to per violazione di segreti d’ufficio. Scheurer-Kestner perse le elezioni per il rinnovo della vicepresidenza. Fu allora che si verificò un fatto che avrebbe cambiato il corso degli eventi. Il 13 gennaio 1898 lo scrittore francese Émile Zola, in quel momento all’apice della sua carriera, pubblicò sul giornale L’Aurore una lettera aperta al presidente della repubblica, intitolata “J’Accuse!” (Io accuso!), in cui denunciava le irregolarità sull’arresto e la condanna di Dreyfus. L’intervento di Zola alzò di molto la temperatura del dibattito pubblico.
Dreyfusard e antidreyfusard La Francia si spaccò tra dreyfusard e antidreyfusard: i primi erano convinti della necessità di riaprire il caso e di denunciare i colpevoli per salvare i princìpi dello stato; i secondi erano determinati a difendere l’esercito e ad anteporre la sicurezza nazionale
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EVENTO STORICO
Dreyfus, di nuovo vittima NEL 1906 UNA REVISIONE del ca-
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so scagionò Dreyfus e giudicò invece colpevole di tradimento Esterházy, nel frattempo esiliatosi in Gran Bretagna. Sia Dreyfus sia Picquart furono riammessi nell’esercito francese. Nel 1908 le ceneri dello scrittore Émile Zola, morto sei anni prima, furono trasferite al Pantheon; nel corso della cerimonia il giornalista antisemita Louis Grégori cercò di assassinare Dreyfus a colpi di pistola, causandogli solo una ferita superficiale a un braccio. Il tentativo di omicidio dimostrò tuttavia che una parte della popolazione nutriva ancora un odio profondo nei confronti dell’ufficiale alsaziano.
COPERTINA DI LA DOMENICA DEL CORRIERE SULL’ATTACCO A DREYFUS NEL PANTHEON IL 4 GIUGNO 1908. ILLUSTRAZIONE DI A. BELTRAME.
ai diritti individuali. Nelle settimane successive alla pubblicazione dell’articolo, in tutto il Paese si verificarono violenti scontri, tra cui una settantina di attacchi apertamente antisemiti. A febbraio Zola fu processato per diffamazione e condannato a un anno di carcere, che riuscì a evitare trasferendosi in Gran Bretagna; Picquart invece fu espulso dall’esercito. L’unico francese all’oscuro di tutti quegli avvenimenti era proprio il diretto interessato, visto che le lettere che riceveva in prigione venivano censurate. Le bugie e le falsificazioni erano diventate ormai insostenibili. Il ministro della guerra Cavaignac, fino a quel momento convinto della colpevolezza dell’ufficiale, scoprì che la lettera a Panizzardi era un falso di Henry. Un tentativo di colpo di stato organizzato dal politico nazionalista Paul Dérouléde e un’aggressione ai danni del nuovo presidente della re-
pubblica Émile Loubet convinsero il governo della necessità di chiudere il caso per porre un freno alla spaccatura sociale che aveva generato. Nel giugno del 1899 la corte di cassazione rovesciò il verdetto del 1894 e decise che Dreyfus doveva presentarsi nuovamente davanti al tribunale militare. Il processo si svolse tra agosto e settembre, in un clima di forte attesa mediatica. Con grande disappunto dei dreyfusard, il tribunale confermò il verdetto di colpevolezza, ma questa volta senza unanimità. Ci fu una nuova condanna, per quanto molto meno severa della precedente: dieci anni di carcere a cui furono sottratti i cinque già scontati. Non potendosi permettere un altro processo, il governo offrì a Dreyfus la grazia se si fosse astenuto dal ricorso in appello che aveva iniziato a preparare sin dal giorno dopo la sentenza. Dreyfus accettò l’offerta e ottenne la grazia, e con essa la libertà.
Qualche mese più tardi il presidente dell’esecutivo Waldeck-Rousseau decretò un’amnistia che copriva tutti i reati connessi al caso. Questo risultato agrodolce per i sostenitori dell’ufficiale alsaziano si trasformò in una vittoria completa nel 1906, con la riabilitazione di Dreyfus tramite una revisione del processo. Come aveva previsto Zola in uno dei suoi primi articoli, il cammino della verità non poteva essere fermato: ma il suo lento dipanarsi avrebbe tuttavia richiesto altri dodici anni, tenendo nel frattempo la Francia sulle spine. AINHOA CAMPOS UNIVERSITÀ COMPLUTENSE, MADRID
Per saperne di più
SAGGI
Cinque anni all’Isola del Diavolo Alfred Dreyfus. Medusa Edizioni, Milano, 2005. L’affaire Dreyfus. La verità in cammino Émile Zola. Giuntina, Firenze, 2011.
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V I TA Q U OT I D I A N A
Il privilegio d’invecchiare a Roma
Nell’antica Roma gli anziani esercitavano una grande autorità, ma potevano anche venir abbandonati
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difficile stabilire l’età a partire dalla quale un romano veniva considerato anziano, anche perché non esisteva un rito simbolico che segnasse l’inizio di tale fase della vita, come invece accadeva per il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Le fonti classiche indicano come senex un uomo tra i quarantasei e i sessant’anni, ma è dai sessanta che, secondo i romani, iniziavano a notarsi le conseguenze della vecchiaia e che le persone cominciavano a considerarsi come tali. Il numero di uomini anziani era superiore a quello delle donne, soprattutto a causa dell’alta mortalità nei parti, anche tra le classi abbienti. Ne derivava un gran numero di vedovi, che molto spesso si risposava con donne parecchio più giovani. Tutto ciò ebbe un riflesso letterario nella macchietta del vecchio libidinoso innamorato della stessa donna amata dal fi-
glio, come il personaggio descritto da Plauto nella commedia Asinaria: «Che tra tutti quei viventi […] il più ubriaco, il più scialacquatore, il più dato ai bordelli, il più sazio e il più stomacato della moglie […] Vecchio già decrepito mantiene l’amica unitamente con suo figlio, e con lui chiacchiera e scherza».
Al comando della famiglia
V. PIROZZI / DEA / ALBUM
Sebbene in diverse opere viene offerta una visione negativa degli anziani, in realtà erano rispettati per la loro saggezza e per i ruoli importanti che assumevano nella società romana, come si può dedurre dai ritratti dei personaggi delle élite: busti realistici che mostraSTELE funeraria di Lucio Vibio e vano sì i tratti della vecchiaia (rughe, della moglie Vecilia, una liberta. In mezzo si trova il figlio, nato libero. guance cadenti, bocca incassata) ma Musei Vaticani, Città del Vaticano. rilucevano pure la dignità dell’uomo. Difatti la guida della famiglia, costituita da un nutrito numero di persone, ricadeva nelle mani del più anziano, il pater familias. Tale circostanza su- parte dei figli, che dovevano rimanescitava molte invidie, soprattutto da re sotto la potestà del padre fino alla morte, anche quando questi soffriva di qualche squilibrio mentale dovuto all’età. Secondo il poeta Giovenale, «di ogni guasto fisico, il peggiore è la demenza, per cui il vecchio poi non LE SCULTURE di donne anziane e ubriache, con ricorda il nome dei servi, né riconosce le vesti cadenti e un’anfora di vino, sono il volto dell’amico con cui ha cenato la una singolare rappresentazione della sera prima, né quello dei figli che ha vecchiaia. In queste opere venivano messo al mondo e allevati». Malgrado anche messi in evidenza i volti rugosi le tensioni, all’interno della famiglia e lo sguardo perso nel vuoto. il rispetto verso gli anziani sembrava VECCHIA UBRIACA. SCULTURA ROMANA. GLYPTOTHEK, MONACO. quasi un obbligo morale veicolato dalla pietas. Tale sentimento includeva sia il
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dovere dei padri nell’allevare e nutrire i figli sia l’obbligo da parte di questi ultimi di sostenere dal punto di vista economico, emotivo e fisico i genitori attempati. Una simile virtù filiale si trovava già nei racconti costitutivi di Roma, quando Enea, antenato di Romolo e Remo, i fondatori della città, fuggiva dall’incendio di Troia portando sulle spalle il padre Anchise. La stessa responsabilità era sentita anche nei confronti delle madri, in particolar modo se rimanevano vedove. Le matrone delle classi alte continuavano a sfoggiare la propria autorevolezza e
Schiavo e anziano, la peggiore combinazione NEL MONDO ROMANO lo schiavo simboleggiava il livello più basso dell’esistenza umana. Considerato come una delle molte proprietà del padrone, viveva unicamente per essere sfruttato e per questo, una volta raggiunta la terza
età, lo schiavo non più efficiente diventava solo un peso. Il padrone poteva perciò venderlo, abbandonarlo e addirittura lasciarlo morire da solo, senza le adeguate cure. Nel trattato De agri cultura Catone il Vecchio considera gli
schiavi anziani allo stesso livello del «bestiame tarato» o di un «vecchio carro». Consiglia pertanto ai padroni di disfarsene. I più fortunati venivano riqualificati in mansioni che non richiedessero un grande sforzo fisico.
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V I TA Q U OT I D I A N A
L’UNICO TRATTATO
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FU CICERONE a scrivere l’unica opera romana sulla vecchiaia giunta ai nostri giorni, il Cato Maior de senectute. Attraverso le parole di Catone il Vecchio, Cicerone propone di concepire la vecchiaia quale una tappa da vivere con naturalezza e le cui difficoltà risiedono nei costumi, non nell’età. L’oratore insiste inoltre sull’importanza d’impegnarsi in attività piacevoli, che aiutino ad affrontare ogni momento negativo. Cicerone morì (assassinato) a 64 anni, un’età avanzata per gli standard romani. Un esempio di ancora maggior longevità fu quello della sua prima moglie, Terenzia, nobildonna che, secondo quanto riporta Plinio il Vecchio, morì a 103 anni. CICERONE SI RIVOLGE AL SENATO DURANTE IL PROCESSO PER LA CONGIURA DI CATILINA.
si facevano rispettare per gli averi, i contatti e la forte personalità. Livia, moglie dell’imperatore Augusto, morta a ottantasei anni, mediò perché il figlio Tiberio accedesse al trono imperiale. In assenza della madre, erano le nonne a prendersi cura dei bambini; in cambio ricevevano l’affetto dei nipoti, come testimoniano anche le iscrizioni funera-
rie. Lo storico Svetonio racconta, per esempio, che l’imperatore Vespasiano, cresciuto dalla nonna Tertulla, continuò a frequentarne la casa fin dopo la morte e ne onorava la memoria in più occasioni. Sin dai primi tempi della repubblica gli anziani erano i garanti del rispetto delle tradizioni e avevano il compito di prendere le decisioni più importanti. Così era nato il senato, un’assemblea di anziani composta da magistrati esperti e da uomini stimati per le loro qualità e la posizione sociale. Molti
Nella combinazione di vecchiaia e povertà i romani vedevano il peggior peso che si potesse affrontare VECCHIO PESCATORE. BRONZO. I SECOLO D.C. MUSÉE DE L’HISTOIRE ET DES CIVILISATIONS, RABAT.
personaggi illustri della politica romana giunsero alla terza età svolgendo ancora ruoli istituzionali, come Catone il Vecchio, che si mantenne attivo sino alla morte, avvenuta nel 149 a.C., quando aveva ottantacinque anni. In certi casi tale ambizione risultò controproducente: Giovenale considerava Mario, il celebre militare del I secolo a.C., come l’esempio di politico che aveva rovinato la propria carriera per non essersi ritirato in tempo. Morì a settantun anni mentre era console per la settima volta, nel bel mezzo di una sanguinosa guerra civile. Sebbene il passaggio all’impero indebolì il potere del senato, diverse persone continuarono a esercitare cariche prestigiose pure da anziane, a cominciare dagli stessi imperatori. Malgrado il desiderio di ritirarsi, Augusto rimase al potere fino a settan-
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DEA / ALBUM LOREMUSDS
V I TA Q U OT I D I A N A
MUSICISTI DI STRADA. In genere erano persone di età avanzata. Mosaico del I secolo d.C. Villa di Cicerone, Pompei.
tasei anni, quando morì. Vespasiano salì sul trono dopo averne compiuto cinquantanove, e i suoi busti non dissimulano i tratti senili dell’imperatore, che morì ormai sessantanovenne. Nel caso di Adriano, invece, le opere d’arte non lo rappresentano anziano: barba e capelli nascondono la fisionomia del volto. In realtà si spense per una malattia a soli sessantadue anni. Marco Aurelio, deceduto a cinquantanove anni, fece onore all’epiteto di “filosofo” lasciandosi ritrarre, nell’ultimo periodo, come un intellettuale greco – la cui immagine era associata alla vecchiaia – diversamente da quanto aveva fatto prima. I ritratti e le sculture precedenti, infatti, ne esaltavano la forza militare di capo. Una situazione ben diversa riguardava le classi più umili. La temuta combinazione di vecchiaia e
povertà era, secondo Cicerone, il peso maggiore che una persona potesse dover affrontare.
in antitesi con l’immagine idealizzata della matrona. Non solo: è curioso pure l’alto numero di sculture con pescatori anziani, magri e straccioni. Obbligati a lavorare La pesca doveva essere un’occupaLe strade delle città erano piene di zione diffusa tra i meno abbienti. Più anziani che cercavano di sopravvi- fortunato era invece chi riusciva ad vere come messaggeri, giornalieri, arrivare all’età senile esercitando un venditori, mendicanti o musicisti. Lo lavoro per il quale era rispettato. Era il scrittore Dione Crisostomo riferisce: caso dei precettori, dei maestri, delle «Vediamo spesso come, perfino in nutrici che si prendevano cura dei figli una folla agitata, l’individuo non ha delle classi alte o delle levatrici che difficoltà a svolgere il suo lavoro; al presiedevano ai parti. contrario, l’uomo che suona il flauto ADELA DUCLOS BERNAL UNIVERSITÀ DI SIVIGLIA o insegna all’alunno vi si concentra, a volte tenendo la lezione in mezzo alla strada, e né la folla né il baccano dei SAGGI Per della vecchiaia passanti lo distraggono». Per quelle saperne Storia Hartwin Brandt. Rubbettino, di più stradine giravano anche le indovine, Soveria Mannelli, 2010. La vecchiaia. L’amicizia considerate alla stregua di mezzane o Marco Tullio Cicerone. fattucchiere, due tra le figure più vituGarzanti, Milano, 2019. perate della letteratura romana perché
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MAPPA DEL TEMPO
L’Europa delle nazioni nel XVI secolo La mappa di Johannes Putsch rappresenta il continente europeo come una giovane minacciata dalla discordia interna e dalle sfide esterne Appennini, le Alpi...) e poche città: Parigi, Belgrado, Costantinopoli... Sono segnalate pure le grandi regioni del continente con il loro nome antico: Hispania, Gallia, Germania oppure Scizia. In un globo è rappresentata anche la Sicilia.
«Il crudele inglese mi opprime la testa» esclamava in riferimento alla rottura di Enrico VIII con la Chiesa cattolica. «Il braccio destro cade a terra e le vene perdono vigore» aggiungeva, alludendo alle guerre per il controllo della penisola italica di quegli anni. In seguito al pericolo crescente di Il lamento d’Europa un’invasione turca (Solimano aveva Il significato della mappa è spiegato assediato Vienna nel 1529), l’Europa dalla poesia che lo stesso Putsch ac- si lamentava: «Mi mettono sempre compagnò alla pubblicazione. Scritta in vendita, al traditore turco, all’arabo in latino, s’intitolava Europa lamen- o perfino al tartaro». In tale situatans, ovvero Il lamento d’Europa. Nella zione, le rimaneva un’unica àncora composizione l’Europa antropomorfa di salvezza: «Solo la fedele e potente parlava in prima persona ricordan- Germania, il centro del mio corpo, do i mali che in passato aveva dovuto si è armata energicamente». Nella patire per colpa di guerre civili come cartina quest’ultima idea era resa quella di Giulio Cesare o d’invasioni tramite il disegno di una fortificacome quella degli unni. Nel 1535 in- zione alberata attorno alla Boemia. combevano minacce ancor più grandi. La poesia si concludeva con un invito all’imperatore Carlo V e al fratello Ferdinando I, quest’ultimo sovrano dei territori tedeschi dell’impero dal 1521, perché difendessero l’Europa e le dessero una pace duratura. La mappa e la poesia sono quindi una lode all’egemonia europea degli Asburgo, CARLO V E IL FRATELLO famiglia a cui appartenevano entramFERDINANDO I. bi i monarchi. La cartina di Putsch, di INCISIONE DI CHRISTOPH cui rimane una sola copia originale, BOCKSTORFER. divenne popolare dalla fine del XVI secolo, quando fu riprodotta in diversi atlanti con il titolo latino di Europa regina. La versione mostrata accanto al testo proviene dall’edizione del 1588 di Cosmographia universalis di Sebastian Münster.
ALBUM
ALFONSO LÓPEZ STORICO
ALAMY / ACI
N
el 1537 venne pubblicata a Parigi una curiosa mappa dell’Europa, ideata da un poeta ed erudito tirolese, Johannes Putsch. Si tratta di una cartina antropomorfa, nella quale i contorni del continente sono adattati a evocare la silhoutte di una donna con un’ampia gonna che si apre ai suoi piedi. L’Europa appare girata di quarantacinque gradi nel senso orario delle lancette dell’orologio, di modo che la penisola iberica è la testa, l’Italia il braccio destro e la Danimarca il sinistro. La giovane detiene due simboli del potere: la corona in capo e lo scettro nella mano sinistra. La mappa include informazioni geografiche basilari: i fiumi principali, tra i quali risalta il Danubio; alcune catene montuose (i Pirenei, gli
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SCRIBI AL LAVORO
Questo rilievo proveniente dalla tomba di Horemheb a Saqqara raffigura quattro scribi muniti di calami e palette, pronti a mettersi al lavoro. Museo archeologico nazionale, Firenze. Nella pagina accanto, lettera inviata dal re Tushratta di Mitanni al faraone Amenofi III. RILIEVO: BRIDGEMAN / ACI. LETTERA: BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
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Le lettere di Amarna
L’ARCHIVIO DEL FARAONE Centinaia di tavolette in scrittura cuneiforme hanno svelato le relazioni diplomatiche tra i faraoni e gli altri sovrani del Vicino Oriente
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LA CAPITALE DELL’EGITTO
Akhenaton trasferì la capitale del Paese ad Amarna, città del Medio Egitto di recente creazione. Nell’immagine, le rovine del tempio di Aton ad Amarna all’alba.
KENNETH GARRETT
LETTERA DEL RE DI BABILONIA
Questa tavoletta scheggiata, rinvenuta nell’archivio di Amarna, contiene una lettera inviata dal re babilonese Burnaburiyash ad Akhenaton. British Museum.
I
ntorno al 1348 a.C. il faraone Akhenaton trasferì la corte in una città di recente creazione: Amarna, a metà strada tra Menfi e Tebe. La decisione fu presa nell’ambito del suo progetto di fare del disco solare Aton la principale divinità egizia. La nuova capitale divenne ben presto un centro vivace, pieno di palazzi, templi, ville, quartieri, caserme ed edifici amministrativi. Vi si trasferirono migliaia di persone di condizioni sociali differenti; tra queste i principali funzionari del regno, che portarono con sé molti documenti. L’archivio diplomatico fu allestito nella casa della Corrispondenza del faraone, il cuore amministrativo di Amarna. Le ultime lettere conservatesi risalgono probabilmente all’inizio del regno di
Tutankhamon, uno dei primi successori di Akhenaton; fu lui a ordinare l’abbandono della città a quasi vent’anni dalla sua fondazione. Le lettere, che mostrano i contatti tra il sovrano d’Egitto, i suoi vassalli siro-palestinesi e altri grandi monarchi, consentono una visione d’insieme del modus operandi della diplomazia internazionale tra il 1350 e il 1320 a.C. Si tratta di un gruppo di testi che non ha eguali in Egitto, essendo l’unico archivio del genere a essersi conservato. È ormai noto che il ritrovamento delle lettere è il risultato degli scavi clandestini che Farag Ismain, importante commerciante di antichità di Giza, stava effettuando ad Amarna nella primavera o nell’estate del 1887. Non sappiamo quante lettere siano andate perdute, ma già
C R O N O LO G I A
MISSIVE REALI
1379-1342 a.C.
1350-1330 a.C. circa
Amenofi III chiede al re di Mitanni una delle sue figlie in sposa per mezzo di una lettera rivenuta nell’archivio reale di Amarna.
Il re Tushratta di Mitanni si mantiene in costante comunicazione con l’Egitto durante il regno di Amenofi III e Akhenaton.
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AKHENATON E IL DISCO SOLARE
Questi blocchi di pietra calcarea, detti talatat, rappresentano il faraone che venera il dio Aton. Originariamente creati per il tempio di questa divinità a Karnak, furono poi smantellati e utilizzati come riempitivi per i piloni. Dopo essere stati ricostruiti, oggi sono esposti al Museo di Luxor. KENNETH GARRETT
1337 a.C. circa
1330 a.C. circa
1320 a.C. circa
1887
Amenofi IV assume il nome di Akhenaton e trasferisce la capitale da Tebe ad Amarna, nel Medio Egitto.
ll re Burnaburiyash di Babilonia si lamenta che il faraone abbia ricevuto gli ambasciatori assiri, che considera suoi vassalli.
Tutankhamon torna all’ortodossia del dio Amon e decide di riportare la capitale del Paese a Tebe. Amarna viene abbandonata.
Durante alcuni scavi illegali ad Amarna viene alla luce l’archivio reale. Flinders Petrie sarà il primo a condurre le ricerche.
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Amarna. Nella maggior parte dei casi le lettere menzionano regali, questioni di guerra e problemi locali, o contengono richieste di matrimonio, inviti, relazioni informative e richieste varie. Venivano consegnate da incaricati che a volte dovevano percorrere centinaia di chilometri per arrivare a destinazione. Talora costituivano esse stesse dei salvacondotti. Ecco cosa dice in una di queste epistole il re di Mitanni: «Invio Akiya, il mio messaggero, con una lettera urgente al re d’Egitto, mio fratello. Nessuno lo trattenga. Sano e salvo fatelo entrare nel Paese».
Le missive del faraone
SCALA, FIRENZE
AMENOFI III E LA REGINA TIY
In questa statua monumentale il faraone e sua moglie sono rappresentati con le stesse dimensioni. Il re mantenne una corrispondenza continua con i sovrani circostanti. Museo egizio, Il Cairo.
alla fine di quell’anno il curatore del British Museum, Wallis Budge, riuscì a procurarsi un lotto di ottantadue pezzi. Un numero significativo di tavolette finì anche al Museo del Cairo e all’Altes Museum di Berlino tramite il mercato di reperti antichi. Sotto la direzione di Flinders Petrie gli scavi archeologici di Amarna portarono rapidamente alla luce nuove lettere. Inoltre, nel 1891, durante la sua prima campagna archeologica, Petrie riuscì a identificare la casa della Corrispondenza del faraone. Questa scoperta condusse alla conclusione che le tavolette dovevano provenire da due piccole fosse situate sotto l’edificio stesso, che furono poi interrate dagli egizi una volta deciso di abbandonare
Petrie identificò la casa della Corrispondenza di Amarna L’EGITTOLOGO WILLIAM FLINDERS PETRIE. GRANGER COLLECTION / ACI
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Il protocollo delle lettere differiva nel caso di comunicazioni tra i cosiddetti“grandi re”o tra uno stato vassallo e il regno egizio. Un modello comune, per esempio, è rappresentato da questa epistola inviata dal re Tushratta di Mitanni al faraone Amenofi III: «[Scriba], di’ a Nibmuareya, re d’Egitto, mio fratello: “Così [parla] Tushratta, re di Mitanni, tuo fratello. Sto bene. Spero che tu stia bene; spero che anche Gilukhipa, mia sorella, stia bene e spero che la tua casa, le tue mogli, i tuoi figli, i tuoi nobili, i tuoi guerrieri, i tuoi cavalli, i tuoi carri e tutti gli abitanti della tua terra stiano bene”». L’apertura delle lettere inviate dai re vassalli, invece, mostra chiaramente la loro posizione gerarchica inferiore. Basta guardare, per esempio, come il sovrano della città di Gezer, nell’attuale Israele, si rivolge al faraone: «Al re, mio signore, mio dio, mio sole, sole del cielo. Messaggio di Yapahu, il sovrano di Gezer, il tuo servo, la polvere ai tuoi piedi. M’inchino di fronte al mio re, mio signore, mio dio, mio sole, sole del cielo, sette volte e sette volte, sul ventre e sulla schiena». A capo della diplomazia egizia c’era un delegato che aveva grande influenza e potere, ed era a conoscenza dei segreti di stato. Anche gli scribi svolgevano un ruolo importante, in quanto potevano fungere da traduttori. Una traduzione accurata, una corretta intonazione nella lettura del messaggio o l’uso di parole appropriate potevano risolvere situazioni delicate. Così il sovrano Abdi-Heba di Gerusalemme aggiunge in una lettera una precisazione diretta allo scriba, pregandolo espressamente di offrire al re «parole eloquenti». Il buon lavoro dei delegati e dei traduttori era ricompensato, come fece una volta il re di Mitanni: «Mi sono preso cura di Mane, il mes-
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TRATTATO DI PACE
Su questa parete del tempio di Karnak è riportato il testo del trattato di pace firmato da Ramses II e dal sovrano ittita Hattusili III dopo la battaglia di Qadesh. MIKE P. SHEPHERD / ALAMY / ACI
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H AT T I A R ZA W A
Hattusa (Ittiti)
L’Egitto e i suoi vicini NEL XIV SECOLO A.C. la situazione geopolitica del Vicino Oriente era complessa e mutevole. In quel periodo si registrarono il declino e la scomparsa del potente regno di Mitanni, la rinascita dell’Assiria, la notevole espansione di Hatti sotto il re Suppiluliuma e la continuità della Babilonia cassita. Le numerose città-stato della regione siro-palestinese si trovarono esposte alla lotta per il potere tra l’Egitto e Hatti.
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menzionati Ugarit, Qatna, Tunip, Amurru, Biblo, Beirut, Sidone, Tiro, Qadesh, Damasco, Hazor, Megiddo, Gerusalemme, Gaza, Ascalona o Lachish. La regione a sud della linea Biblo-Qadesh rimase sotto l’influenza e il dominio egizi, anche se questo non la preservò dalle azioni dei ribelli habiru né dagli scontri tra i signori locali.
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
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STELE BABILONESE I sovrani di Babilonia inviarono molte delle loro figlie negli harem dei faraoni. Sotto, stele commemorativa del tempio di Marduk a Babilonia.
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saggero di mio fratello, e di Hane, il traduttore di mio fratello, come fossero dèi. Ho fatto loro molti regali e li ho trattati gentilmente, perché hanno svolto un lavoro eccellente». Tuttavia gli inviati del faraone non sempre si comportavano onestamente. In una lettera il re di Babilonia si lamenta del fatto che non tutti i suoi doni siano arrivati in Egitto, e accusa direttamente di ciò gli emissari: «Sono adirato con i tuoi messaggeri, poiché ti dicono: “Nulla abbiamo ricevuto da portare in Egitto” [...] Allora ho pensato: “Che io dia loro qualcosa o meno, tanto mentiranno comunque”». A volte i delegati estorcevano impunemente denaro, ma c’era sempre il rischio che i governanti locali li denunciassero. Così Milkilu di Gezer dice al faraone: «Che il re, mio signore, sappia ciò che Yanhamu [il messaggero] cerca di estorcermi da quando ho lasciato il Paese del re, mio signore. Mi chiede duemila shekel d’argento e mi dice:“Consegnami tua moglie e i tuoi figli o ti uccido”». In altri casi i messi egizi provavano a sfruttare la situazione politica che regnava allora nella regione siro-palestinese. Il sovrano di Gerusalemme, per
esempio, accusava un delegato di allearsi con gruppi di banditi ribelli chiamati habiru contro gli interessi del faraone: «Com’è vero che il re mio signore vive, dico al suo delegato:“Perché ami gli habiru e odi i governanti della città?”».
Spionaggio e controspionaggio Non tutti i governanti della regione siro-palestinese si dimostravano sempre leali, e in alcuni casi finivano per essere convocati in Egitto. Altre volte era il faraone a recarsi personalmente da loro. Il re di Hazor (nell’attuale Israele) risponde così al sovrano egizio quando viene a sapere della sua imminente visita: «Essendo stato informato del prossimo arrivo del Sole, mi sono molto rallegrato. Ho riflettuto sulla notizia e ne ho gioito. C’era pace, e gli dei mi guardavano con favore. Ho preparato tutto in previsione della venuta del re, mio signore». I faraoni disponevano di funzionari incaricati di svolgere attività di spionaggio, ma domandavano informazioni anche ai governatori locali. Il sovrano di Tiro rispose a una di queste richieste con un resoconto scarno e diretto: «Il re di Danuna è morto e suo fratello gli è succeduto al trono. La sua terra è in pace;
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LA CITTADELLA DI HAZOR
Veduta aerea delle rovine di Hazor, grande città cananea del XIV secolo a.C. attualmente in Israele. Nella corrispondenza di Amarna sono presenti varie lettere in cui il re di Hazor giura fedeltà al faraone egizio. DUBY TAL / ALBATROSS / ALAMY / ACI
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ittita verso Mitanni: «Sappia il sovrano che il re di Hatti ha occupato tutti i Paesi che erano vassalli del re di Mitanni». Ma ciò che più preoccupava Rib-Hadda era vedere il signore di Amurru e gli habiru circondare Biblo, senza che i molti avvertimenti al faraone avessero sortito alcun effetto: «Tutte le terre del re fino all’Egitto cadranno nelle mani degli habiru […] Inoltre, se il mio signore non risponde al suo servo con una tavoletta, con la massima urgenza, dovrò abbandonare la città».
Relazioni interessate
BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
LA MINACCIA DEGLI ASSIRI
Dopo essersi liberata dal dominio di Mitanni, l’Assiria iniziò una ripresa che l’avrebbe portata a diventare una potenza tra l’VIII e il VI secolo a.C., l’epoca di questo rilievo raffigurante la caduta di Babilonia in mani assire nel 648 a.C.
il palazzo di Ugarit è stato distrutto da un incendio. Metà è stata divorata dalle fiamme, l’altra metà è scomparsa. Non ci sono truppe ittite; Etakkama, principe di Qadesh, e Aziru, sono in guerra». In un’altra occasione il re di Tiro svelò l’attività di controspionaggio svolta dal re di Sidone, anch’egli vassallo del faraone: «Zimredda, re di Sidone, scrive ogni giorno al ribelle Aziru, figlio di Abdi-Ashirta, riferendogli qualsiasi parola sentita sull’Egitto». Sono numerose le lettere inviate al faraone dai governanti della regione siro-palestinese per avvertire di attacchi nemici, tradimenti o rivolte. Costanti sono anche le richieste di rinforzi all’Egitto. Il re di Biblo, Rib-Hadda, informava il faraone dell’espansione
I re vassalli dovevano accogliere le truppe del faraone VITELLO TRA LE PALUDI. PIASTRELLA DIPINTA DI AMARNA. SCALA, FIRENZE
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I re vassalli erano obbligati a mettere le loro truppe al servizio del faraone. Così lo ricorda Abdi-Milki di Shashimi: «Mi hai scritto perché mi occupi dei preparativi prima dell’arrivo degli arcieri. Lo sto facendo. Le mie truppe e i miei carri sono a disposizione dell’esercito del re, mio signore, pronti a recarsi dove lui voglia». I signori locali dovevano anche prepararsi a ricevere le truppe egizie, come riferisce il palestinese Hiziru: «Che il re, mio signore, venga con il suo grande esercito a conoscere queste terre. Infatti, ho preparato molte provviste per l’arrivo del grande esercito del re, mio signore». Invece il governatore di Akshapa, consapevole del fatto che il faraone non tollererà mancanze, a un suo funzionario dice: «Che il re non ti colga in fallo! Non essere negligente. E prepara molto cibo e vino per gli arcieri, tutto quanto in abbondanza». Nelle lettere sono presenti numerosi riferimenti ai metalli preziosi. I grandi re chiedevano al faraone soprattutto oro. Come ricorda il sovrano di Babilonia: «Tra i re c’è amicizia, pace e buoni rapporti se c’è abbondanza di pietre preziose, argento e oro». Tushratta di Mitanni scrive ad Akhenaton: «L’oro è come polvere nel Paese di mio fratello». Un’affermazione ripresa dall’assiro Ashur-Uballit: «L’oro nel tuo Paese è come la polvere, basta semplicemente raccoglierlo». A volte, la quantità o la qualità dell’oro che arrivava non era quella sperata, e i sospetti ricadevano su coloro che avevano gestito la spedizione. È sempre il re di Babilonia a lamentarsi con Akhenaton: «Mio fratello deve incaricare una persona di fiducia dell’invio dell’oro. Mio fratello deve assicurarsi personalmente che sia corretto, sigillarlo e inviarmelo. In verità, mio fratello non ha controllato il carico d’oro che mi ha mandato».
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LA CITTÀ FENICIA DI TIRO
Questa città situata sulla costa dell’attuale Libano si alleò con l’Egitto nel XIV secolo a.C. e mantenne questa relazione fino al regno di Ramses II, nel XIII secolo a.C. Nell’immagine, l’arco di trionfo costruito nel II secolo d.C. PAUL DOYLE / ALAMY / ACI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA CAPITALE DI AKHENATON
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SIGILLO CILINDRICO DI MITANNI Questo sigillo cilindrico mitannico ritrovato nella città cananea di Ugarit, nell’attuale Siria, raffigura due leoni rampanti. Museo nazionale, Damasco.
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Una delle richieste più frequenti da parte del faraone era quella di principesse e domestiche delle corti straniere. I matrimoni rientravano infatti nelle relazioni diplomatiche, in quanto servivano a cementare i legami tra i vari stati. Ma è noto che da parte egizia non esisteva nulla di simile. Il faraone lo ricorda in un’occasione al sovrano di Babilonia: «Da tempo immemorabile a nessuno è stata offerta una figlia del re d’Egitto».
Negoziazioni difficili e curiose Le trattative potevano essere complesse. Una lettera segnala che per ben sei volte Amenofi III dovette chiedere la mano di una principessa al re di Mitanni prima che questi gliela concedesse. La giovane, Gilukhipa, andò in Egitto con 317 serve. Più facile fu per il faraone concludere un accordo con il sovrano successivo, Tushratta. La lettera EA 22 è un lungo elenco di beni che il mitannico diede in dote alla figlia Taduhepa, oltre a 270 donne e trenta uomini per il suo servizio personale. Una volta stabilitesi nella terra del Nilo, queste principesse continuavano a comunicare regolarmente con il loro Paese d’origine
ILLUSTRAZIONE: PAUL DOCHERTY
Questa ricostruzione di Amarna mostra il distretto amministrativo, con il grande tempio di Aton 1, il palazzo reale 2, la casa della Corrispondenza del faraone 3 e il piccolo tempio di Aton 4.
via lettera, grazie al lavoro dei messaggeri. A volte potevano crearsi situazioni curiose. Il re Burnaburiyash di Babilonia lamentava la mancanza di protezione e fasti con cui gli egizi avrebbero portato sua figlia in Egitto dalla terra natale: «La condurranno con soli cinque carri? In queste circostanze dovrei forse permettere che lo facciano? I sovrani miei vicini direbbero:“Hanno accompagnato la figlia di un grande re in Egitto con cinque carri”». In un’altra tavoletta il re di Arzawa dichiarava di non fidarsi di una richiesta fatta verbalmente e non per iscritto. In conclusione, le lettere di Amarna permettono di fare luce su un mondo insospettato e affascinante, oggi scomparso, al quale non possiamo accedere attraverso l’archeologia né tramite i testi che di solito compaiono su stele, templi, tombe o palazzi. JOSÉ LULL ISTITUTO DI STUDI DEL VICINO ORIENTE ANTICO UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
Per saperne di più
SAGGI
Guerra e diplomazia nell’antico Oriente (1600-1100 a.C.) Mario Liverani. Laterza, Roma-Bari, 1990.
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PRINCIPESSE A CORTE
Rilievo della tomba dell’alto funzionario Kheruef nella necropoli di Asasif, vicino a Luxor. Mostra alcune giovani principesse alla corte di Amenofi III durante una cerimonia. ALAIN GUILLEUX / ALAMY / ACI
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I GIARDINI PENSILI DI BABILONIA SNG135_036-047_JARDINES BABILONIA_T1_e.indd 36
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VIA PROCESSIONALE DI BABILONIA
L’aspetto attuale del sito archeologico babilonese è frutto di una ricostruzione degli anni ottanta. Sotto, sigillo cilindrico del periodo cassita. Musée du Louvre, Parigi.
Gli storici greci e romani consideravano i giardini pensili di Babilonia una delle sette meraviglie del mondo. Tuttavia gli archeologi non hanno ancora trovato prove della loro presenza nella città sulle sponde dell’Eufrate
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ERICH LESSING / ALBUM
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o scrittore greco Filone di Bisanzio, vissuto nel III secolo a.C., annoverava tra le sette meraviglie del mondo le mura e i giardini pensili di Babilonia. Secondo la descrizione tramandata dall’autore alessandrino, i giardini babilonesi erano costituiti da una base di colonne di pietra che sostenevano una sorta di pavimentazione fatta con tronchi di palma abbondantemente ricoperti di terra. Su queste terrazze si coltivavano alberi e fiori di ogni tipo, che venivano irrigati grazie a una coclea, ovvero un dispositivo idraulico per sollevare l’acqua. A quanto riferisce Filone, i giardini erano un’opera colossale e unica nel suo genere, che permetteva di praticare l’agricoltura al di sopra delle teste di chi la contemplava. In realtà la storia di questa meraviglia dell’antichità è avvolta in una fitta nebbia, in quanto non esistono testimonianze affidabili sul suo reale aspetto e la sua esatta collocazione. Secondo una certa tradizione, i giardini babilonesi sarebbero nati per volontà del sovrano Nabucodonosor II (604562 a.C.), che li avrebbe fatti costruire per compiacere la consorte, cui mancava il lusMATTONI SMALTATI CHE DECORAVANO LA SALA DEL TRONO DEL PALAZZO DI NABUCODONOSOR II A BABILONIA. VORDERASIATISCHES MUSEUM, BERLINO.
sureggiante paesaggio montuoso della Persia natale. Eppure, nonostante l’abbondanza di testi cuneiformi che parlano di questo monarca, non ce n’è uno solo che menzioni l’esistenza di giardini sopraelevati in città.
Descrizioni affidabili? Oltre a quello già citato da Filone di Bisanzio, i principali riferimenti scritti ai giardini pensili provengono da autori greco-latini come Diodoro Siculo, Quinto Curzio Rufo e Strabone. Si tratta di scrittori tardivi rispetto agli anni dello splendore politico di Babilonia, dato che vissero a cavallo tra il I secolo a.C. e I secolo d.C., e con ogni probabilità non visitarono mai la vecchia capitale mesopotamica. Redassero le rispettive opere quando Babilonia era ormai solo un vago ricordo di ciò che era stata secoli prima e pertanto si basarono principalmente su fonti secondarie. Tra i testi di questi autori, la descrizione più dettagliata si trova nel II libro della Bibliotheca historica di Diodoro Siculo: «Vi erano anche, accanto all’acropoli, i cosiddetti giardini pensili, opera […] di un re siriano […] Vi si accedeva da un pendio, simile
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GIARDINI SFUGGENTI
1792-1750 a.C.
689 a.C.
Il sovrano babilonese Hammurabi promulga un codice giuridico che contiene norme relative ai lavoratori agricoli.
Il re assiro Sennacherib distrugge Babilonia. Probabilmente commissiona la costruzione dei giardini di Ninive.
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GIARDINI REALI
Questo particolare di un bassorilievo del palazzo di Sennacherib a Ninive mostra due personaggi nel giardino del monarca assiro, uno dei quali suona l’arpa. VII secolo a.C. British Museum, Londra. ERICH LESSING / ALBUM
604-562 a.C.
539 a.C.
I secolo a.C.
1899-1917
Regno di Nabucodonosor II, generalmente ritenuto il promotore dei giardini pensili.
Ciro il Grande conquista Babilonia; a lui si attribuisce uno dei primi esempi di giardino persiano, a Pasargadae.
Diodoro Siculo descrive nella Bibliotheca historica i monumenti di Babilonia, tra cui spiccano i giardini pensili.
Robert Koldewey effettua scavi a Babilonia e crede d’individuare nel palazzo meridionale i resti dei famosi giardini pensili.
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I
SEZIONE DI UN TIPICO PAESAGGIO COLTIVATO DELLA MESOPOTAMIA SULLE SPONDE DELL’EUFRATE.
SANTI PÉREZ
N UN PAESAGGIO SEMIARIDO come quello mesopotamico le colture ornamentali erano un simbolo di lusso e prestigio alla sola portata dei re. A Babilonia esistevano dei giardini, anche se probabilmente erano diversi da quelli descritti dagli autori classici. Tra i più accuratamente documentati si trovano quelli creati ai tempi del re babilonese Marduk-apal-iddina (721-710 a.C.), conosciuto nella Bibbia come Merodak Baladan. Il ritrovamento di una tavoletta cuneiforme ha permesso di conoscere le piante coltivate nel frutteto reale. Il testo presenta un elenco di 67 specie, alcune delle quali ignote. Tra quelle identificate ci sono delle varietà a uso alimentare: cipolle, agli, porri, spezie e piante aromatiche.
a quello di una collina, e le varie strutture si sovrapponevano l’una all’altra senza soluzione di continuità, conferendo al complesso l’aspetto di un teatro. Al di sotto di ognuna delle terrazze vi erano delle gallerie progressivamente rialzate, che sostenevano tutto il peso del giardino […] Il tetto era composto di travi di pietra sulle quali era stato collocato uno strato di canne abbondantemente impastate di bitume; e sopra di esso vi erano due file di mattoni cotti e uniti con malta, e infine uno strato di lamine di piombo, che aveva lo scopo di conservare l’umidità del suolo e impedire all’acqua di penetrare. Sopra questo strato fu disposta una quantità di terra sufficiente perché vi mettessero radici alberi di grandi dimensioni; e inERODOTO. BUSTO IN MARMO DELLO STORICO GRECO. II SECOLO A.C.
fatti vi si coltivavano piante di ogni genere, che per colori e dimensioni dilettavano immancabilmente chi le rimirava […] C’erano strumenti idraulici che sollevavano grandi quantità di acqua dal fiume senza che nessuno dall’esterno potesse accorgersene». Diodoro era uno storico di origine greca, ampiamente romanizzato, che si dedicò per trent’anni a un ambizioso lavoro di compilazione d’informazioni per la stesura della sua opera principale, Bibliotheca historica. A questo scopo, stando a quanto riferito da lui stesso, avrebbe attraversato gran parte dell’Asia e dell’Europa per vedere con i propri occhi il maggior numero possibile di regioni. Ma una serie di evidenti errori geografici porta a mettere in discussione la realtà di tali viaggi, eccezion fatta per una visita ad Alessandria e un lungo soggiorno a Roma. La descrizione lasciataci da Diodoro dei principali monumenti di Babilonia si basa probabilmente su un’opera ormai perduta: la Storia della Persia di Ctesia di Cnido, storico greco che fu medico del re persiano Artaserse II (405-359 a.C.). Tuttavia, alcuni studiosi ritengono che il frammento sui giardini pensili sia un testo aggiunto in un secondo momento. In ogni caso l’autore parla di una straordinaria opera di architettura e ingegneria, dotata di una struttura a terrazze che venivano irrigate grazie ad apposite macchine idrauliche.
Il silenzio di Erodoto Lo storico greco cronologicamente più prossimo a Nabucodonosor II, Erodoto di Alicarnasso, nelle pagine dedicate a Babilonia del I libro delle sue Storie non menziona i celebri giardini. Quest’assenza è difficile da spiegare. Alcuni autori suggeriscono che i giardini sarebbero stati situati sulle terrazze della ziggurat cittadina, conferendole l’aspetto di una grande montagna ricoperta di vegetazione. Ma resta difficile spiegare come fosse possibile trasportare l’acqua d’irrigazione fino alle terrazze superiori (alte quasi cinquanta metri) e come un edificio interamente costruito in un tipo di mattone, noto come adobe, potesse resistere all’umidità prodotta da un giardino. Nonostante l’imprecisione di questi riferimenti letterari, diversi studiosi contem-
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Babilonia, la città dei giardini
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LA PORTA DEL PALAZZO
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Il grande palazzo del re Nabucodonosor II di Babilonia si trovava a ovest della porta di Ishtar ed era disposto intorno a cinque spazi centrali. Nell’angolo nordorientale dell’area, Koldewey credette di aver individuato i giardini.
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IL RE NABUCODONOSOR II SALE SULLE TERRAZZE CHE OSPITANO I FAMOSI GIARDINI BABILONESI. SULLO SFONDO È VISIBILE LA PORTA DI ISHTAR.
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in pietra scolpita, più resistente all’umidità rispetto all’adobe, e che lo spessore delle pareti sarebbe stato sufficiente a sostenere una pesante copertura. Inoltre, c’erano pozzi e condotti per l’acqua compatibili con quelli usati per l’irrigazione. Ma attualmente si ritiene che tale struttura fosse un magazzino costruito vicino all’ingresso del palazzo e della città, come suggerito dal ritrovamento di alcuni vasi e di un archivio contabile risalente al regno di Nabucodonosor II in cui è registrata la distribuzione di olio di sesamo, grano, datteri e spezie ai prigionieri di alto rango e agli stranieri. Un’altra ipotesi è che i giardini si trovassero lungo l’Eufrate, e più concretamente nello spazio tra il bastione occidentale e il palazzo settentrionale, dove un’iscrizione ricorda l’esistenza di una struttura terrazzata che avrebbe potuto costituire il supporto architettonico della celebre opera. Secondo alcuni studiosi, a sostegno di questa teoria ci sarebbe il fatto che il bastione occidentale non era un elemento difensivo, bensì un serbatoio destinato al rifornimento idrico per l’irrigazione.
LO SCOPRITORE DI BABILONIA
BPK / SCALA, FIRENZE
Il tedesco Robert Koldewey lavorò per 18 anni nel sito di Babilonia. Qui ritenne di aver identificato la torre di Babele e i famosi giardini.
poranei hanno cercato d’individuare l’area della città dove sarebbero sorte queste meraviglie del mondo antico. A questo proposito sono state avanzate svariate teorie alternative. Secondo alcuni autori classici, come Flavio Giuseppe (storico ebreo del I secolo d.C.), i giardini si trovavano nel palazzo principale. Durante i primi scavi archeologici delle rovine babilonesi, condotti dal tedesco Robert Koldewey tra il 1899 e il 1917, nell’angolo nordorientale dell’edificio meridionale fu individuata una struttura molto particolare: un grande complesso costituito da quattordici stanze di forma allungata disposte su due file e coperte da volte. Koldewey riteneva che queste gallerie rappresentassero la base dei famosi giardini, dato che erano
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Da Babilonia a Ninive Di fronte a una situazione così confusa è necessario chiedersi se gli storici e i geografi dell’antichità, tutti estranei alla civiltà babilonese, non potessero essersi sbagliati in merito all’esistenza dei giardini pensili. I loro resoconti oscillano continuamente tra storia e leggenda e si caratterizzano per i toni esagerati e fantastici. I testi degli autori greco-latini sono in generale molto lacunosi e imprecisi per quanto riguarda la Mesopotamia e tendono spesso a confondere gli assiri e i babilonesi. Diodoro, per fare un esempio, colloca la capitale dell’impero assiro, Ninive, accanto all’Eufrate, quando invece la città si trovava sulle sponde del Tigri. In un altro passo, lo storico descrive così le fortificazioni di Babilonia: «Sulle torri e sulle mura erano rappresentati animali di tutte le specie con grande abilità tecnica nell’uso del colore e nel realismo delle figure; c’era innanzitutto una scena di caccia a bestie selvatiche, le cui dimensioni superavano i quattro cubiti. Tra simili fiere era raffigurata Semiramide a cavallo che sca-
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PORTA ARCAICA DI ISHTAR
Questa fotografia delle rovine di Babilonia è stata scattata all’inizio del XX secolo. Si possono vedere i resti delle mura e delle porte cittadine decorate con mattoni smaltati che raffiguravano diversi animali fantastici. GRANGER / ACI
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BABILONIA, CAPITALE DELLA MESOPOTAMIA
Questa ricostruzione artistica di Babilonia è incentrata sul mito dei giardini pensili. Nell’immagine si possono vedere in primo piano le terrazze ricoperte di piante e alberi da frutto. Sullo sfondo si erge l’Etemenanki, la ziggurat che probabilmente ispirò il mito della torre di Babele e sulla cui altezza gli storici continuano a speculare.
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Giardini e parchi in Mesopotamia
ne assira, il famoso prisma di Sennacherib (689 a.C.) oggi conservato presso il British Museum di Londra. Qui è presente una descrizione dei giardini costruiti nei pressi del palazzo ninivita, che vengono definiti un’iONOSTANTE IL CLIMA arido della Mesopotamia, la mitazione dei monti Amanus – attualmente pratica intensiva dell’irrigazione permetteva la coltichiamati Nur, nel sud della Turchia – e una vazione di giardini (chiamati kirum in accadico), alcuni «meraviglia per tutti i popoli». dei quali a scopo puramente ornamentale. Le principali Nel palazzo sudorientale di Ninive fu città avevano aree di vegetazione all’interno delle mura. Secondo la descrizione di Uruk che compare nell’epopea di Gilgamesh, inoltre ritrovato un bassorilievo, oggi perquasi un terzo della zona urbana era occupato da giardini. Alcuni duto, risalente all’epoca dello stesso sovradipendevano dai templi, ma i più noti erano quelli creati dai re. no neoassiro e raffigurante un giardino. In Molti testi amministrativi registrano l’acquisto di piante, alberi o un altro rilievo del periodo di suo nipote sementi. Il re assiro Tiglatpileser I (1114-1076 a.C.) sosteneva di Assurbanipal (668-630 a.C.) compaiono gli essersi procurato degli alberi durante le sue campagne militari, stessi giardini, decorati con alberi distribuche poi avrebbe piantato in Assiria. iti lungo le pendici di una montagna sormontata da un padiglione. Le acque irrigue provengono da una struttura che alimenta una serie di canali ricchi di pesci. Sia il documento di Sennacherib sia i bassorilievi di Ninive citano alcuni elementi che si possono ritrovare anche nelle descrizioni degli autori classici. Il giardino del palazzo del re neoassiro aveva tutte le caratteristiche per essere considerato dai suoi contemporanei una meraviglia del mondo. Lo stesso Sennacherib, appassioRICOSTRUZIONE IDEALE DEI GIARDINI PENSILI DI BABILONIA. IL DISEGNO MOSTRA UNA SEZIONE DELLA DISPOSIZIONE A TERRAZZE IPOTIZZATA nato di vegetazione esotica, parla così della DA R. KOLDEWEY NEL 1918. sua opera: «Ho creato un giardino botanico accanto al palazzo, una copia dei monti BRIDGEMAN / ACI Amanus, che ha piante aromatiche e alberi da frutto d’ogni sorta». LE GUERRE DI gliava un giavellotto contro una pantera, e Le difficoltà che gli autori del periodo greSENNACHERIB accanto a lei il marito Nino che con la lancia co-romano dovevano affrontare per ottenere Questo prisma feriva un leone». informazioni sulle regioni più remote della d’argilla, oggi La descrizione dello storico non trova però geografia antica erano notevoli. Pertanto, conservato presso nessuna corrispondenza nelle varie imma- non è sempre facile fare un uso storicamente il British Museum di Londra, racconta gini che sono state rinvenute a Babilonia. Si adeguato dei loro testi sulla Mesopotamia. alcune delle campagne adatta invece molto bene ai rilievi neoassiri Allo stato attuale delle ricerche, tutto indica militari di Sennacherib. delle mura in pietra del palazzo settentrio- che i famosi giardini di Babilonia altro non BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE nale di Ninive, che mostrano scene di caccia. sono che un mito della classicità. Questo resoconto dimostra la confusione È invece sicuro che opere dalle caratteriche regnava tra alcuni autori classici riguar- stiche simili esistessero a Ninive, capitale do a Babilonia e Ninive, le due grandi capitali dell’Assiria. della Mesopotamia. JUAN LUIS MONTERO FENOLLÓS DOCENTE DI STORIA ANTICA DELL’UNIVERSITÀ DELLA CORUÑA Sulla base di queste osservazioni, in un recente lavoro di ricerca la storica inglese SAGGI Per Stephanie Dalley ha concluso che i giardini Babilonia. All’origine del mito saperne Paolo Brusasco. Raffaello Cortina, pensili non furono costruiti dal re NabucoMilano, 2012. di più donosor II a Babilonia, ma dal sovrano assiro Babilonia e le sue storie Federico Giusfredi. Bruno Mondadori, Sennacherib (704-681 a.C.) a Ninive. La teMilano, 2012. si si basa sulla decifrazione di un’iscrizio-
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IL RILIEVO DEL GIARDINO presso il british museum di londra è conservato un bassorilievo proveniente dal palazzo di Assurbanipal a Ninive. Si sa che in origine era a colori, come evoca la riproduzione qui sopra. Gli studiosi considerano questa immagine la più completa rappresentazione dei giardini reali assiri, che secondo una recente teoria corrisponderebbero ai famosi giardini pensili. Sulla destra c’è un acquedotto con archi, probabilmente in pietra 1, che trasportava l’acqua, poi distribuita tramite vari canali 2 per l’irrigazione. Gli alberi sono disposti lungo un pendio 3, in un susseguirsi di terrazze che rievoca la descrizione della meraviglia babilonese. Un sentiero conduce verticalmente a un altare 4 e al padiglione con le colonne 5 posto nella parte più elevata della struttura, dov’è visibile un re 6, forse lo stesso Sennacherib, intento a contemplare la sua splendida opera.
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LA MADRE DI ALESSANDRO MAGNO
OLIMPIA Gli antichi l’accusarono di essere crudele e vendicativa, ma le azioni di Olimpia non erano diverse da quelle di altri governanti del suo tempo. Le poche notizie che abbiamo su di lei rispondono a consolidati pregiudizi di genere
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UNA REGINA IMMAGINARIA
Nella reggia imperiale di Pavlovsk, costruita dalla zarina Caterina la Grande per il figlio Paolo, si trova questa rappresentazione idealizzata di Olimpia. Forse alla sovrana russa piacque vedersi riflessa nella celebre madre di Alessandro. Bassorilievo in marmo di Ignazio Collini. 1756.
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La regina dai quattro nomi 375 a.C. circa
Polissena nasce a Dodona. È figlia di Neottolemo, monarca dell’Epiro, e sorella di Alessandro, futuro re del territorio.
357 a.C.
Polissena sposa Filippo II di Macedonia e cambia il suo nome in Myrtale. Le nozze hanno lo scopo di rafforzare l’alleanza tra i due regni.
356 a.C.
Myrtale dà alla luce Alessandro. Cambia il proprio nome in Olimpiade in seguito alla vittoria di un cavallo di Filippo alle Olimpiadi.
337 a.C.
Si esilia in Epiro con il figlio, e da lì in Illiria. L’anno seguente Filippo viene assassinato. Alcuni sospettano di lei.
331 a.C.
Olimpiade si ritira in Epiro in contrasto con Antipatro, che Alessandro ha lasciato come reggente in Macedonia mentre lui combatte in Asia.
IL SOVRANO DELLA MACEDONIA
Abbiamo notizie di sette mogli di Filippo II, ma potrebbero essere state molte di più. Sotto, busto in marmo del re. ALBUM
Antagonista di Cassandro, figlio di Antipatro, torna in Macedonia per tutelare gli interessi del nipote, erede del defunto Alessandro.
316 a.C.
Installatasi a Pidna, Olimpiade (che ha ormai preso il nome Stratonice) si arrende a Cassandro. Questi ne ordina la morte.
LOREM IPSUM
317 a.C.
L’
immagine più nota di Olimpia (o Olimpiade) è quella di una donna dal carattere impulsivo che, mossa dalla collera e dal risentimento, instillò nel figlio la sfiducia e il sospetto verso il padre Filippo, per poi tramare il suo assassinio ed eliminare con furia e crudeltà tutti i rivali che si frapponevano ai suoi propositi. Una simile immagine è il risultato di una serie di pregiudizi culturali di genere; nella stessa maniera si può considerare la propaganda ostile orchestrata contro di lei dopo la morte di Alessandro Magno e la scomparsa dell’ultimo discendente diretto. Anche la sua condizione di donna “quasi barbara” giocò un ruolo non indifferente. Difatti non soltanto Olimpiade proveniva dall’Epiro, un territorio situato tra le attuali Grecia e Albania, ma era anche moglie del re della Macedonia: tutto ciò comportava una duplice onta agli occhi dei greci del sud. Va inoltre detto che alcuni atti crudeli di Filippo e di Alessandro non suscitarono la stessa disap-
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Nei pressi di Olimpia Filippo II fece costruire un tempio con le statue dei genitori, di sé stesso, di Olimpiade e del figlio Alessandro. ZINCHIK / GETTY IMAGES
provazione morale rispetto alla condotta di Olimpiade. Nell’immaginario greco la regina impersonava le donne fatali del mito quali Clitennestra, che aveva assassinato il marito Agamennone, o Medea, che aveva ucciso i propri bambini per vendicare l’abbandono da parte di Giasone. La maggior parte delle fonti su di lei a nostra disposizione riguarda in realtà dicerie e aneddoti, perlopiù privi di fondamento. La vera regina visse all’ombra del marito, Filippo II di Macedonia, e del figlio, Alessandro. Abbiamo pochissime informazioni sulla donna e ne ignoriamo pure l’aspetto fisico, visto che non esistono descrizioni né se ne sono conservati ritratti. Non è per esempio giunta fino a noi la sua statua presente nel Philippeion, l’edificio circolare che Filippo II aveva fatto costruire a Olimpia a testimonianza della gloria semidivina della sua dinastia. Le uniche rappresentazioni a lei attribuite compaiono sui grandi medaglioni in oro sbalzato di Abukir (Egitto), risalenti all’epoca dell’imperatore Caracalla, e su due
SARÀ OLIMPIADE? SONO GIUNTI ai nostri giorni due cammei che forse rappresentano Olimpiade. Il primo, degli inizi del III secolo a.C., è conservato nel Museo di storia dell’arte di Vienna; l’altro, del I secolo d.C. e conosciuto come Cammeo Gonzaga (a destra), si trova all’Ermitage di San Pietroburgo. In entrambi i casi Olimpiade è rappresentata in secondo piano vicino ad Alessandro, sempre se è esatta l’identificazione dei due personaggi e non si tratta, in realtà, di una coppia di monarchi della dinastia tolemaica che governò l’Egitto. Una tesi a favore della possibile identificazione con Olimpiade e Alessandro sarebbe la presenza dei serpenti, che in entrambi i cammei compaiono sull’elmo del personaggio maschile e che alluderebbero alla leggenda circa l’origine di Alessandro.
celebri cammei. Non è rimasta nemmeno traccia della vasta corrispondenza che mantenne con Alessandro, a cui accennano autori quali Plutarco, anche se probabilmente si trattava di finte lettere che circolarono all’epoca per esaltare la leggenda del conquistatore macedone.
Una vita intrepida Polissena, Myrtale, Olimpiade e Stratonice sono i nomi che la donna assunse e che testimoniano un’esistenza vivace e straordinaria. Il primo nome fu Polissena. Rimasta ben presto orfana di padre, il re dell’Epiro Neottolemo, la giovane divenne una moneta di scambio per le alleanze che voleva stringere Aribba, lo zio appena asceso al tro-
Per i greci Olimpia incarnò la donna fatale dei miti, al pari di Medea o Clitennestra STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ROVINE DEL PHILIPPEION
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IL PALAZZO DI EGE
Le rovine corrispondono al palazzo di Filippo II a Ege, l’attuale Verghina. Nel 336 a.C. il re fu assassinato nel teatro accanto all’edificio, e si disse che Olimpiade fosse coinvolta nel crimine. IML / AGE FOTOSTOCK
no. Polissena si unì quindi a Filippo II, che trasformò la Macedonia in una delle grandi potenze del tempo grazie a una forte politica espansionistica, nella quale gli accordi nuziali avevano un’importanza fondamentale. Da allora Polissena prese altri due nomi: Myrtale, quando contrasse matrimonio, e Olimpia (o Olimpiade), quando un cavallo del marito vinse alle Olimpiadi. Ignoriamo quasi del tutto le relazioni personali che ebbe con Filippo. Plutarco fa cenno al loro primo incontro durante alcuni culti misterici di Samotracia, occasione in cui s’innamorarono. Lo storico sottolinea la distanza che in seguito venne a crearsi tra i due, dovuta anche alla presenza di serpenti nel talamo (questi animali) erano associati ai
Come le altre mogli del re, Olimpia sentiva il peso di dover generare un figlio maschio, futuro erede al trono
riti orgiastici in onore di Dioniso che officiavano le baccanti). Il distacco tra i due aumentò a causa delle conquiste amorose di Filippo, che suscitarono in Olimpiade odio e rancore. Di sicuro la reggia non era il contesto ideale per affetti e passioni, viste le ripetute assenze di Filippo per le campagne di conquista e l’inevitabile dispersione di attenzioni che implicava la poligamia. Olimpiade divenne una tra le tante, costretta a condividere tali attenzioni, appunto, con il resto delle mogli reali, tutte in competizione tra loro per dare al re un discendente maschio, l’erede legittimo. Malgrado ciò Olimpia si trovò in vantaggio grazie alla sterilità di altre spose e all’avvento di sola prole femminile. Riguardo alla nascita del famoso Alessandro Magno, non è chiaro quanto la madre avesse contribuito a forgiare l’idea della sua origine divina di figlio di Zeus-Ammone, a cui Alessandro teneva molto. A quanto pare, la leggenda racconta che il dio lo avesse generato assumendo la forma di un serpente. Plutarco cita due versioni contrapposte.
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MOSAICO DI BAALBEK CON LA RAPPRESENTAZIONE DELLA NASCITA DI ALESSANDRO. IV SECOLO D.C.
I TIMORI DI FILIPPO SECONDO PLUTARCO, «un’altra volta fu visto un serpente disteso
al fianco di Olimpiade addormentata; soprattutto questo attenuò le manifestazioni d’amore di Filippo, tanto che non andava più di frequente a letto con lei, o che temesse che alcuni incantamenti magici gli venissero fatti dalla donna». Forse i timori erano legati alla religione, visto che il serpente era identificato con una divinità.
Secondo la prima, quando Alessandro partì per affrontare l’impero persiano, in gran segreto la madre gli riferì la verità sulla sua nascita per esortarlo a essere degno del dio. Tuttavia subito dopo Plutarco riferisce pure che Olimpiade non dava credito a tali storie, come altri membri della corte. Gli aneddoti circa la prodigiosa nascita di Alessandro rimangono perciò relegati in un confuso miscuglio di attività orgiastiche e d’interessi propagandistici, sia di Filippo sia del figlio. Di Filippo, tramite il sogno del re in cui lui stesso metteva sul ventre della moglie un sigillo che sembrava l’immagine di un leone; e di Alessandro, per il già citato mito sulla presunta ascendenza divina. L’unico maschio che minacciava la posizione di Alessandro in quanto erede al trono era Arrideo, che Filippo aveva avuto dalla tessale Filinna. Era coetaneo di Alessandro, ma venne subito messo da parte perché aveva problemi di salute mentale. Olimpiade venne accusata BR
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LA DINASTA ARGEADE
La stella di questo disco in oro, ritrovato nella tomba II di Verghina, è associata alla dinastia di Alessandro Magno, che si estinse con la morte di suo figlio, Alessandro IV. Secondo gli argeadi, la loro stirpe proveniva da Eracle, il grande eroe greco.
di aver indotto la malattia di Arrideo con degli intrugli, anche se probabilmente una simile accusa rientra in una campagna di discredito architettata nei suoi confronti. Riflette però sicuramente la lotta tra le spose del re. Poiché nella monarchia macedone la successione non seguiva il principio della primogenitura, l’erede scelto poteva essere sostituito. Per questo la possibile connivenza di Olimpiade nell’assassinio di Filippo (pur con tutte le incertezze del caso) svela la sua apparente ostilità verso il marito e, viste le minacce che incombevano su Alessandro, l’impellenza di farlo salire sul trono.
Una madre dominante Nonostante l’apparente affetto e la stretta collaborazione che univano Olimpiade e Alessandro, nemmeno i loro rapporti sono privi di ombre. Erano legati da una complicità forzata, giacché la posizione della regina a corte dipendeva dalla possibilità che il IDG
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ZEUS VISITA OLIMPIADE SOTTO FORMA DI SERPENTE. I GRECI IDENTIFICAVANO ZEUS CON IL DIO EGIZIO AMMONE. DISEGNO ATTRIBUITO AD ANDREA BOSCOLI. 1595 CIRCA.
Il Romanzo di Alessandro
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si conosce con tale nome un’antologia di racconti sulla vita del conquistatore piena di elementi fantastici. Qui Olimpia è rappresentata con un’immagine edulcorata e gradevole, e scompaiono l’immoralità e la crudeltà che le attribuivano gli autori antichi. Nel libro la regina soccombe agli inganni dell’ultimo faraone autoctono dell’Egitto, il mago Nectanebo. Questi le profetizza che al ritorno di Filippo dalla guerra verrà ripudiata. Per questo il concepimento di un figlio maschio con il dio Ammone (identificato dai greci con Zeus) potrebbe essere la soluzione. Egli inoltre la vendicherà dall’oltraggio ricevuto. Travestito da serpente, Nectanebo si unisce a Olimpiade, che partorisce Alessandro. Sempre sotto la malia del mago, Filippo crede che il bambino sia figlio del dio e lo tiene con sé come erede. Quando Nectanebo è in punto di morte rivela ad Alessandro di esserne il padre. Il ragazzo lo racconta a Olimpiade, che scopre così l’adulterio commesso senza saperlo.
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PAUSANIA UCCIDE FILIPPO ALL’INGRESSO DEL TEATRO DI EGE.
OMAGGIO RESO ALL’ASSASSINO
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a colpevolezza di Olimpiade nell’assassinio di Filippo si basa su una frase contenuta nella biografia di Alessandro scritta da Plutarco: «La maggior parte della colpa venne a cadere sopra Olimpiade, come avesse incitato e sospinto quel giovane, già di per sé infiammato di collera». Il giovane è Pausania, l’assassino di Filippo. Esiliata in Epiro, Olimpiade tornò in Macedonia alla notizia e, secondo lo storico romano Giustino, «la stessa notte che arrivò pose una corona d’oro sul capo di Pausania, che pendeva da una croce». Più avanti ordinò di portare giù il corpo del criminale, lo fece bruciare sui resti del defunto marito, gli alzò un tumulo in quel luogo e spinse il popolo a rendergli dei sacrifici. Consacrò inoltre al dio Apollo l’arma con cui Filippo era stato pugnalato.
figlio prendesse il potere; e Alessandro trovava la sua più potente alleata proprio nella madre, la persona ovviamente più interessata a sostenerne l’ascesa. Il loro legame fu favorito anche dalle frequenti assenze di Filippo a causa delle campagne militari e del suo impegno nei numerosi obblighi paterni e coniugali con le altre donne. Olimpiade ebbe un ruolo attivo nell’educazione di Alessandro nominando un suo parente, Leonida, come tutore del ragazzo. Controllava inoltre il resto delle persone coinvolte nell’istruzione del giovane principe. Plutarco attribuisce a un’Olimpiade gelosa e incollerita un’influenza decisiva nell’attitudine sfiduciata di Alessandro nei confronti di Filippo II. Madre e figlio si esiliarono volontariamente dopo che, durante il banchetto di nozze, Attalo, zio di una nuova moglie di Filippo, invitò i macedoni a pregare per un futuro, legittimo erede. A quanto pare, Alessandro si piccò perché ritenne di essere stato considerato illeggittimo. Successivamente padre
e figlio si riconciliarono, ma sembra che la diffidenza rimase. Olimpiade venne sempre ritenuta una delle principali istigatrici dell’intromissione di Alessandro nei piani di Filippo. Questi voleva far sposare Arrideo con la figlia di Pissodaro, il potente satrapo (governatore) persiano di Caria, e la madre spinse Alessandro a prendere il posto del fratellastro come candidato alla mano della nobile persiana. Olimpia tramò persino con il fratello, re dell’Epiro, perché dichiarasse la guerra alla Macedonia, però Filippo anticipò la mossa concedendo la mano di Cleopatra – figlia sua e di Olimpiade, e quindi sorella di Alessandro – al monarca epirota, che diventò genero e cognato del sovrano macedone. Quanto alla possibile implicazione di Alessandro nell’omicidio di Filippo, avvenuto durante questa ceAL
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IL FRATELLO DI OLIMPIADE
Filippo aveva posto sul trono dell’Epiro il fratello di sua moglie, Alessandro. Poi rafforzò il vincolo facendolo sposare a Cleopatra, figlia sua e di Olimpiade, e quindi sorella di Alessandro Magno.
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LA RESA DI OLIMPIADE
A Pidna, una città sulla costa della Macedonia, Olimpiade oppose la sua ultima resistenza al grande nemico Cassandro, che cinse d’assedio il luogo e costrinse gli abitanti ad arrendersi per fame.
rimonia nuziale, è difficile immaginare che fosse completamente all’oscuro delle intenzioni della madre o delle mosse di Pausania, esecutore materiale del delitto. Nel corso della lunga campagna asiatica, Alessandro diede prova di una grande devozione filiale per la madre. Lo testimonia il continuo invio di regali tratti dal bottino di guerra, la frequente corrispondenza e il proposito di farla ascendere a divinità dopo la morte. Tuttavia Plutarco racconta anche le continue ingerenze di Olimpiade nel governo di Alessandro e menziona lo scontro con il generale Antipatro, a cui il giovane sovrano aveva lasciato il controllo della Grecia durante la sua assenza. A quanto pare, nelle lettere Antipatro si lamentava con il re del comportamento di Olimpiade. Secondo lo storico, la donna s’intromise pure nelle relazioni personali del figlio, così da fargli inimicare il migliore amico Efestione. E sebbene Alessandro la tenesse al margine delle questioni politiche e militari,
CASSANDRO, IL REGICIDA
Alessandro aveva umiliato Cassandro quando questi gli aveva fatto visita a Babilonia. Ormai re della Macedonia, Cassandro si vendicò su Olimpiade, sulla moglie e sull’erede del conquistatore: Rossane e il piccolo Alessandro IV.
Una donna attiva in politica Oltre alla costante devozione religiosa, Olimpiade si distinse anche per l’attività politica, come accennato da alcuni indizi. Il suo nome compare infatti vicino a quello della figlia Cleopatra tra i destinatari di donazioni di grano da Cirene, avvenute peraltro in un momento particolare di carestia. Le due donne sono menzioALA
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rimase sempre sensibile all’opinione materna, come confermerebbe una risposta data da Alessandro ad Antipatro. Per il condottiero bastava una lacrima di Olimpiade per annullare tutta una serie di lettere redatte contro di lei. Le iscrizioni e alcune testimonianze dell’epoca sostengono la posizione egemonica della madre in Grecia mentre Alessandro combatteva in Asia. Nel 333 a.C., per esempio, ad Atene la regina portò delle offerte alla dea Igea (la personificazione della salute), di sicuro in favore del figlio, e poco più tardi, nel 331-330 a.C., realizzò delle splendide dediche nel santuario di Delfi.
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OLIMPIADE ED EFESTIONE HERCULES MILAS / AGE FOTOSTOCK
A QUANTO PARE, Olimpiade era infastidita dall’ascendente di
nate con i semplici nomi – Olimpiade per ben due volte –, ragion per cui sembra che fungessero da vere e proprie rappresentanti dello stato. Pure l’oratore Iperide la cita in un discorso in cui ne denuncia il totale controllo sul Paese dei molossi, luogo natale della regina, e la chiama in causa quando accusa certi politici ateniesi di essere conniventi con il nemico macedone. Olimpiade fu una donna eccezionale per il suo tempo, che risalta con forza in un contesto storico ostile, incapace di guardare ai suoi interventi con oggettività o simpatia. Malgrado i pregiudizi e le esitazioni, la grandezza della sua figura emerge ancora con veemenza in scene memorabili come quella in cui, vestita da baccante, affrontò la rivale, Adea Euridice, moglie di Arrideo nonché figlia di una sorellastra di Alessandro, armata alla macedone, causando così l’abbandono delle truppe alla vista della regina. Oppure quella della morte, che affrontò con dignità senza lasciarsi sfuggire nemmeno un lamento, tradendo così le aspettative dovute alla
Efestione sul figlio Alessandro. Secondo Diodoro Siculo, gli mandò una missiva minacciosa, ed Efestione «le rispose duramente in una lettera, che alla fine diceva: “Smetti di calunniarmi, e non ti irritare né mi minacciare. Ma questo non mi preoccuperà troppo”». Era infatti sicuro dell’affetto di Alessandro.
condizione di donna. Dopo la scomparsa di Alessandro, Olimpiade difese con ardore gli interessi dinastici del nipote in un ambiente per nulla favorevole, segnato dalle smisurate ambizioni dei generali sopravvissuti al monarca, che in modo più o meno dichiarato aspiravano a prenderne il posto. La sua eliminazione, voluta da uno di quegli spietati contendenti, Cassandro, segna la fine di una vita che culminò in modo epico e tragico quando la donna si consegnò con compostezza nelle mani dei suoi assassini.
I RAGAZZI DI PELLA
A Pella, l’antica capitale macedone, venne trovato un mosaico con due giovani che uccidono un cervo. Si è pensato che potrebbe trattarsi di Alessandro (con la spada) e del compagno Efestione (con un’ascia).
FRANCISCO JAVIER GÓMEZ ESPELOSÍN PROFESSORE DI STORIA ANTICA, UNIVERSITÀ DI ALCALÁ
Per saperne di più
SAGGI
Olimpiade madre di Alessandro Magno Lorenzo Braccesi. Salerno, Roma, 2019. Alessandro Magno Robin Lane Fox. Einaudi, Torino, 2019. Filippo re dei Macedoni Franca Landucci Gattinoni. Il Mulino, Bologna, 2012. ROMANZI
Il romanzo di Alessandro Valerio Massimo Manfredi. Mondadori, Milano, 2011.
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DIGNITÀ NELLA MORTE
CASSANDRO E OLIMPIADE, DI JEANJOSEPH TAILLASSON. IL PITTORE IMMAGINA L’ASSASSINIO DI OLIMPIADE DAVANTI A UNA STATUA DEL FIGLIO ALESSANDRO MAGNO. 1799. MUSÉE DES BEAUX-ARTS, BREST. SOTTO, A SINISTRA, STATERE, MONETA D’ORO FATTA CONIARE DA TOLOMEO I IN ONORE DI FILIPPO III ARRIDEO. 323-317 A.C.
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iversi autori dell’antichità hanno raccontato la morte di Olimpiade. Pausania riferisce che venne lapidata. Secondo Diodoro Siculo, Cassandro mandò 200 uomini per ucciderla ma, una volta giunti da lei, questi si ritirarono per rispetto. Allora alcuni parenti di persone che la donna aveva fatto giustiziare «volendo fare un piacere a Cassandro e vendicare i morti, uccisero la regina, che non supplicò per la sua vita in modo ignobile». Secondo Giustino, Olimpiade «non cercò di sottrarsi alla spada e alle ferite, né si mise a urlare scompostamente [...] ma affrontò la morte [...] secondo la gloria della sua antica stirpe, in un modo tale che si sarebbe potuto riconoscere Alessandro anche in sua madre morente. Si racconta che, in punto di morte, si sia aggiustata i capelli e abbia coperto con la veste le gambe, in modo che nulla d’indecoroso si potesse scorgere nel suo corpo». Olimpiade aveva ordinato di uccidere Filippo III Arrideo, il fratellastro di Alessandro, trasformato da Cassandro in un re fantoccio, però alla fine era stata lei a dover affrontare la morte, destino di tutti i perdenti nella spietata lotta per il potere in Macedonia.
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IL TRIONFO DELLA BESTIA
Questa miniatura illustra il capitolo 13 dell’Apocalisse. Sono visibili due mostri: un drago a sette teste a forma di serpente e una bestia anch’essa con sette teste e con corpo di leopardo, zampe di orso e fauci di leone. Con l’aiuto del drago, la bestia sconfigge i santi, e gli abitanti della terra si prostrano al suo cospetto.
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A FINE DEL MOND
ne l m e d ioe vo Il libro biblico dell’Apocalisse, con la sua visione di una battaglia tra il bene e il male che precede la fine dei tempi, ebbe grande influenza nel Medioevo e ispirò le straordinarie illustrazioni dei Beati
LE IMMAGINI CHE ILLUSTRANO QUESTO ARTICOLO PROVENGONO DALL’EDIZIONE FACSIMILE DEL BEATUS DI SILOS REALIZZATA DALLA CASA EDITRICE CATALANA M. MOLEIRO.
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L’INFERNO. QUESTA MINIATURA DEL BEATUS DI SILOS MOSTRA QUATTRO DEMONI, UN UOMO RICCO AL CENTRO E L’ARCANGELO MICHELE ALL’ESTERNO.
uando si parla di apocalisse, la prima immagine che viene in mente è quella della fine del mondo, ovvero di cataclismi di enorme portata che distruggono la terra e tutti i suoi abitanti. L’origine di questa visione si trova nell’ultimo libro del Nuovo Testamento, conosciuto come Apocalisse o Rivelazione e attribuito all’apostolo Giovanni, che lo avrebbe scritto nel I secolo, durante il suo esilio sull’isola greca di Patmo. Si tratta di un testo a carattere profetico in cui un angelo mostra all’autore l’arrivo della fine del mondo tramite un susseguirsi d’immagini allegoriche. Una volta conclusasi la distruzione della terra, nei cieli ha luogo la battaglia finale tra le forze del bene e quelle del male. L’opera termina con una visione del trionfo di Cristo dopo il giudizio universale. Annunciando la fine della storia e l’inizio del regno eterno di Dio, l’Apocalisse costituiva un messaggio di speranza per una comunità in crisi: quella dei cristiani che avevano subito persecuzioni sotto l’imperatore Domiziano nello stesso periodo in cui era stata composta l’opera.
L’Apocalisse ebbe un’accoglienza alquanto controversa nell’ambito della cristianità per la vaghezza del linguaggio e la complessità dei simboli in essa utilizzati. Ma a partire dal IV secolo, quando fu inclusa nel canone biblico, molti padri della Chiesa e teologi cercarono d’interpretarne il messaggio e persino di calcolare la data esatta in cui sarebbe avvenuta la fine del mondo. I loro sforzi diedero origine alla dottrina del millenarismo, secondo la quale Cristo avrebbe instaurato un regno in terra di mille anni prima della decisiva battaglia finale contro il male. Altri, tuttavia, consi-
1 secolo
Redatta in epoca domizianea, l’Apocalisse contiene una serie di visioni profetiche.
1V secolo
L’Apocalisse viene inclusa nel canone biblico e dà origine a varie interpretazioni all’interno della Chiesa.
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Beato di Liébana conclude la scrittura del suo commentario teologico al libro dell’Apocalisse.
1109
Si conclude l’elaborazione del Beatus di Silos, una copia miniata del trattato di Beato di Liébana.
deravano il millennio come una metafora spirituale, che non consentiva in alcun modo di prevedere una data concreta per la fine dei tempi, in accordo con quanto riportato nel seguente passo del Vangelo di Matteo: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» (24:36).
Verso il millennio Per tutto il Medioevo il libro dell’Apocalisse segnò con forza la sensibilità del popolo cristiano. Si diffusero così vari commentari dell’opera che cercavano d’interpretarne il significato alla luce delle circostanze storiche specifiche della fine del millennio in corso. Il monaco spagnolo Beato di Liébana fu uno dei più importanti autori di testi di questo tipo; la sua influenza si fece sentire non solo nella penisola iberica, ma anche in altre parti dell’Europa dell’epoca.
Beato era un cristiano mozarabico che forse era emigrato nella regione di Liébana, nell’antico ducato di Cantabria, dopo che le forze musulmane ebbero conquistato la parte meridionale della Spagna. Si stabilì nel monastero di San Martín de Toribio, dove fu abate dal 730 al 785. Qui divenne la voce dell’ortodossia e si scontrò con l’arcivescovo di Toledo, Elipando, che accusò di eresia per aver sostenuto l’adozionismo (una dottrina cristologica che considerava Gesù un profeta ma non il figlio di Dio). Forse Beato identificava l’invasione musulmana e queste posizioni eterodosse con alcune delle condizioni che, secondo l’Apocalisse, avrebbero scatenato la fine del mondo. Sulla base di questi segni e prendendo come punto di partenza l’ipotetica data della creazione della terra, Beato calcolò che la fine UNA BESTIA RISALE DALL’ABISSO. ILLUSTRAZIONE DEL BEATUS DI SILOS RELATIVA AL CAPITOLO 13 DELL’APOCALISSE.
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SANTO DOMINGO DE SILOS
Questo monastero benedettino fu costruito in stile romanico a metà dell’XI secolo. Intorno al 1330 la comunità era composta da una trentina di monaci. LEIVA / ALAMY / ACI
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Parallelamente il religioso identificava le figure del male, del diavolo o dell’Anticristo con le eresie e le preoccupazioni religiose dell’epoca. Beato menziona anche l’arrivo e la predicazione nella penisola iberica dell’apostolo Giacomo il Maggiore ben prima che la sua presunta tomba fosse scoperta a Compostela intorno all’830.
Il Beatus di Silos I Commentari di Beato ebbero un grande impatto sui monasteri medievali, dove se ne realizzarono numerose copie miniate, chiamate anche Beati, di cui si conservano oggi una trentina di esemplari realizzati tra il X e il XIII secolo. Nello scriptorium del monastero di Santo Domingo de Silos (Burgos), tre monaci realizzarono una delle più splendide versioni giunte fino ai giorni nostri e che attualmente è custodita presso la British Library di Londra. Domingo e Muño s’incaricarono del testo e di alcune delle sue illustrazioni, terminando il lavoro il 18 aprile 1091. Per ragioni sconosciute, il manoscritto fu completato solo nel 1109, quando l’abate Pietro concluse le illustrazioni. I tre religiosi riportarono in un colophon i rispettivi contributi.
SAN GIOVANNI A PATMO
Secondo la tradizione, l’evangelista Giovanni scrisse l’Apocalisse sull’isola greca di Patmo alla fine del I secolo. Pittura a olio di Hans Burgkmair. XVI secolo. Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. AKG / ALBUM
del mondo sarebbe avvenuta nell’anno 800. Per preparare i suoi correligionari a questo evento, nel 776 scrisse i suoi Commentari dell’Apocalisse, di cui redasse la versione finale dieci anni più tardi. L’opera è composta da dodici libri o capitoli in cui viene trascritto l’originale dell’Apocalisse di Giovanni (littera), seguito dalla spiegazione (explanatio) e da ulteriori citazioni di altri pensatori cristiani (interpretatio). A questi testi se ne aggiunsero via via altri, tra cui un prologo, una prefazione, delle tavole genealogiche di figure bibliche, un commentario al libro di Daniele e un epilogo che descriveva la visione del giudizio universale, della Gerusalemme celeste e della gloria dei santi nei cieli. Con la sua opera Beato puntava a educare la comunità monastica in merito alle questioni escatologiche e a prepararla ad affrontare la fine dei tempi.
L’uso di pergamena finissima e metalli preziosi come oro e argento per il testo e le illustrazioni fecero di questo manoscritto un oggetto di lusso. Le immagini seguono lo stile mozarabico, caratterizzato dal ricorso a colori molto intensi, forme geometriche e figure schematizzate. Le scene apocalittiche si sviluppano su sfondi dipinti a fasce orizzontali, a sottolineare il fatto che l’azione non si svolge in nessuno spazio conosciuto, anche se sono visibili edifici con l’arco a ferro di cavallo caratteristico dell’architettura mozarabica. Le figure umane sembrano contemporaneamente di profilo e di fronte, hanno grandi occhi spalancati e uno sguardo allucinato. La funzione di queste immagini era rendere più immediate e contemplative le parole oscure del testo dell’Apocalisse. MÓNICA WALKER VADILLO STORICA DELL’ARTE
Per saperne di più
TESTO
Beatus di Silos. Codice del monastero di Santo Domingo de Silos M. Moleiro, Barcellona, 2019. SAGGIO
Beato di Liébana Umberto Eco (a cura di). Franco Maria Ricci editore, Parma, 1973.
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CHIOSTRO DI SILOS
I capitelli delle colonne e gli angoli della galleria del chiostro sono decorati con rilievi incentrati sulla morte di Cristo. LEIVA / FOTOTECA 9X12
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LA GUERRA CONTRO L’INFEDELE o scontro tra le forze del bene e quelle del male, uno dei temi principali dell’Apocalisse, assunse una particolare rilevanza nel contesto della conquista islamica della penisola iberica, iniziata nel 711. I regni ispano-cristiani del nord, protetti dalla cordigliera Cantabrica, organizzarono la prima resistenza, prendendo parte a numerose battaglie contro gli occupanti musulmani. Come si può evincere dalle immagini dei codici dei Beati, alcuni brani del testo di Giovanni furono interpretati come un riferimento all’invasione dei “nemici” della Chiesa. È questo il caso del noto tema dei cavalieri dell’Apocalisse.
Foglio 83r L’inizio della rivelazione (cap. 4) Giovanni (l’aquila) contempla Cristo in maestà accanto alla colomba che simboleggia lo Spirito Santo. Il Salvatore ha in mano il libro chiuso con sette sigilli, che contiene gli eventi precedenti al suo ritorno sulla terra. Apertura dei sigilli (cap. 5) Un agnello, come quello che gli ebrei immolano per Pasqua, ha ricevuto il libro da Cristo. Solo questo animale può aprire i sette sigilli e rivelare gli eventi narrati nei successivi capitoli dell’Apocalisse.
I cavalieri dell’Apocalisse (cap. 6) «E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso […] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada […] E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano […] E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra». Foglio 86v
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Foglio 102v SNG135_060-081_FIN_DEL_MUNDO_EDAD_MEDIA_T_e.indd 67
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IL MONDO DEVASTATO DALLE PIAGHE el Medioevo le cavallette costituivano un grosso problema per i contadini che lavoravano la terra: infatti tali insetti voraci erano in grado di distruggere qualsiasi coltura trovassero sul loro cammino. Disastri di questo tipo non erano interpretati solo come una catastrofe naturale, ma anche come una manifestazione di Dio volta a correggere la condotta sbagliata delle persone. Nell’Apocalisse, all’apertura del settimo sigillo del libro, sette trombe squillano in successione, annunciando l’arrivo di sette piaghe. La quinta è un’invasione di cavallette con capelli da donna, denti di leone, corpo corazzato e coda di scorpione che attaccano chi si è schierato dalla parte del male.
La quinta tromba (cap. 9) «Il quinto angelo suonò la tromba: vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso; egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo salì un fumo […] Dal fumo uscirono cavallette, che si sparsero sulla terra, e fu dato loro un potere pari a quello degli scorpioni della terra. E fu detto loro di non danneggiare l’erba della terra, né gli arbusti né gli alberi, ma soltanto gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. E fu concesso loro non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi».
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Foglio 102v 83r SNG135_060-081_FIN_DEL_MUNDO_EDAD_MEDIA_T_e.indd 69
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L’Anticristo uccide i due testimoni (cap. 11) «Ma farò in modo che i miei due testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni […] E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso [l’Anticristo] farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso […] Gli abitanti della terra fanno festa su di loro, si rallegrano e si scambiano doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra». «Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi […] e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano […] In quello stesso momento ci fu un grande terremoto […] Perirono in quel terremoto settemila persone […] Il settimo angelo suonò la tromba».
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LA MINACCIA ’Apocalisse introduce la
figura dell’Anticristo, che sarà l’avversario del bene e realizzerà le profezie bibliche previste per la fine dei tempi. L’Anticristo si fa passare per un messia allo scopo di tentare i fedeli, distorcendo gli insegnamenti dei Vangeli e imponendo
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L’ANGELO CON LA SETTIMA TROMBA. ILLUSTRAZIONE DEL CAPITOLO 9 DELL’APOCALISSE.
La bestia che sorge dall’abisso (cap. 13) Gli artisti del Beatus di Silos hanno identificato la «bestia che sale dall’abisso» e uccide i due testimoni, o profeti, con l’Anticristo.
Foglio 144r
DELL’ANTICRISTO una nuova dottrina che nega la divinità di Gesù. Nei suoi Commentari Beato descrive l’Anticristo come un eretico che distruggerà la comunità dei fedeli. Le illustrazioni di alcuni Beati del X secolo lo identificano con i musulmani. L’episodio della morte dei «due testimoni» o pro-
feti per mano della bestia e la successiva distruzione della città di Gerusalemme sono messi in relazione con un evento particolare: l’esecuzione, per mano dei musulmani, dei cristiani mozarabici di Cordova che nel IX secolo cercarono volontariamente il martirio. Foglio 146r
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La lotta tra il serpente e il figlio della donna (cap. 12) Si tratta di una delle composizioni più dinamiche del Beatus di Silos. Si sviluppa su due pagine riunendo in un’unica immagine diversi episodi che non seguono rigorosamente la narrazione dell’Apocalisse.
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1 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto».
2 «Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra».
3 «Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono». 4 «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago». 5 «E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana, e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli».
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Foglio 147v-148r
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Foglio 182v Babilonia e i re Questa illustrazione raffigura Babilonia come una meretrice. «Gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione».
L’ANGELO E SAN GIOVANNI IN UNA DECORAZIONE “RIEMPITIVA”. A DESTRA, CAPOLETTERA.
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LA CITTÀ DEL PECCATO ’ Apocalisse menziona
Babilonia come esempio di città corrotta e degenerata, e la personifica come una prostituta che ha reso partecipi tutte le genti della sua “immoralità” sessuale. Le nazioni vengono sedotte dal vino di questa città-donna e gli abi-
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tanti della terra si lasciano inebriare dalla sua passione; i mercanti ricambiano i suoi favori con prodotti quali le sue vesti «di porpora e scarlatto», ma anche con l’oro, le pietre preziose e le perle con cui si adorna. Questa grande città è l’antagonista di Cristo, il nemico del suo popolo.
Solamente coloro che si mantengono fedeli a Dio e i cui nomi sono scritti «nel libro della vita» riescono a sottrarsi alla sua influenza. Nei regni cristiani della Spagna settentrionale la Babilonia biblica veniva identificata con il potere di al-Andalus (la penisola iberica per gli arabi).
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«E uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe, venne e parlò con me: “Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta, che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra, e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione”. L’angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, che era coperta di nomi blasfemi, aveva sette teste e dieci corna. La donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle; teneva in mano una coppa d’oro, colma degli orrori e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla sua fronte stava scritto un nome misterioso: “Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli orrori della terra”».
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DISTRUZIONE DI BABILONIA SORVOLATA DA UN ANGELO.
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La grande meretrice di Babilonia (cap. 17)
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SAN GIOVANNI REGGE UN BASTONE CHE TERMINA A SPIRALE.
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La bestia sconfitta dal cavaliere (cap. 19) Qui sotto è mostrato il momento in cui la bestia viene sconfitta dai seguaci del cavaliere con il cavallo bianco e il falso profeta viene catturato. Sopra, rappresentazione della bestia nel cap. 16 dell’Apocalisse.
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an Giovanni descrive altre due bestie accanto al grande drago che rappresenta Satana: una è emersa dal mare e l’altra dalla terra a sostegno della prima. Questa seconda bestia, definita anche «falso profeta», fa sì che tutte le persone ricevano un marchio «sulla mano destra o sulla fronte». I due esseri mostruosi si oppongono a Dio e ai suoi fedeli e invitano i re della terra a unirsi alla grande battaglia della fine dei tempi contro il cavaliere che monta il cavallo bianco. Alla fine Cristo sconfigge la bestia e il falso profeta e li getta nello stagno di fuoco e zolfo, dove bruceranno eternamente nel tormento. Allo stesso tempo incatena il drago che si libererà solo mille anni dopo per essere definitivamente sconfitto.
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LA LOTTA CONTRO LE BESTIE DI SATANA
L’angelo incatena Satana (cap. 20) «E vidi un angelo che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell’abisso e una grande catena. Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni […] Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni […] Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli».
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MORTE E DESTINO a fine dei tempi è segnata dal trionfo di Cristo sul drago che viene scagliato nello stagno di fuoco, dove brucerà nei secoli dei secoli. Ma prima che possa instaurarsi il regno di Dio avrà luogo il giudizio finale, al quale saranno sottoposti tutti i morti dopo essere stati risuscitati. La splendida illustrazione del giudizio finale del Beatus di Silos rivela che, una volta trascorso l’anno 1000, la preoccupazione dei cristiani si concentrò sulla morte e sul destino che attendeva gli individui piuttosto che sul timore dell’imminente fine del mondo che aveva dominato fino a quel momento.
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Il giudizio dei morti (capp. 20-21) «E vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva 1. Scomparvero dalla sua presenza la terra e il cielo senza lasciare traccia di sé. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono 2. E i libri furono aperti. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere 3, in base a ciò che era scritto in quei libri. Il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la Morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco 4. E chi non risultò scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco». «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova 5, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo».
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Foglio 83r Il fiume della vita (cap. 22) La visione che l’angelo presenta a san Giovanni nella parte inferiore mostra la nuova Gerusalemme celeste dove Cristo regna in maestà. La figura del Salvatore è racchiusa in una mandorla da cui sgorga il fiume della vita ed è affiancata dai 20 uomini che regneranno insieme a lui.
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FUGA DI UNA REA
Quest’olio di John Millais ritrae la liberazione da un carcere dell’Inquisizione di Juana de Acuña, un personaggio immaginario. La scena si svolge a Valladolid durante il grande processo ai protestanti del 1559. Museo de Arte de Ponce (Porto Rico). Nella pagina seguente, copertina di un saggio sulla storia dell’Inquisizione dell’inquisitore e giurista Luis de Páramo. FOTO: ALBUM
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MORISCAS , ERETICHE E CONVERSAS
LE DONNE E L’INQUISIZIONE Che fossero accusate di praticare in gran segreto i riti ebraici, di officiare messe sataniche o di essere bigame, le donne spagnole non sfuggirono agli oscuri processi del Sant’Uffizio
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I Re Cattolici istituiscono il tribunale dell’Inquisizione. Nella prima fase si concentrerà sugli ebrei convertiti.
Tutti i musulmani che rimangono in Spagna dopo la Reconquista sono dichiarati cristiani. Da allora l’Inquisizione perseguiterà i moriscos che di nascosto manterranno riti islamici.
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GUARDIE DELLE FEDE
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minato – siamo infatti nell’ultimo periodo dell’Illuminismo spagnolo – a criticare l’operato dell’Inquisizione e a immaginare delle donne indifese, giovani e belle, contro le quali si accanivano i terribili giudici: una scena agghiacciante che non corrisponde del tutto alla realtà dei fatti. Non si può però negare che a volte le donne furono i capri espiatori del tanto temuto tribunale della fede. Uomini del loro tempo, gli inquisitori erano misogini al pari della società in cui vivevano e consideravano le donne degli esseri inferiori, soggetti ai capricci della carne e
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Il domenicano Tomás de Torquemada, grande inquisitore dal 1483 alla morte, avvenuta nel 1498, elaborò la prima ricompilazione delle norme del Sant’Uffizio.
n La Inquisición sin máscara, dissertazione scritta mentre nell’assemblea delle Cortes di Cadice (1812) si discuteva sull’abolizione del Sant’Uffizio, Antonio Puigblanch sottolineava la durezza che, nel corso della sua storia, l’Inquisizione aveva dimostrato nei confronti delle donne. Secondo lui, «è impossibile nascondere la severità applicata in generale ai rei, che diviene assolutamente imperdonabile se riguarda le persone del gentil sesso. Inorridiamo per la moltitudine di vittime femminili che vennero immolate con tali atti […] Furono più di trentamila le presunte Circe e Medea che l’Inquisizione mandò al rogo nell’arco di 150 anni. Pur quando la tenera età e la bellezza si combinavano all’amabilità del sesso, nulla poté ammorbidire l’animo dell’altero inquisitore». Puigblanch non fu l’unico intellettuale illu-
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CODICE DELL’INQUISIZIONE
SEPOLCRO DEL GRANDE INQUISITORE F. VALDÉS A SALAS (ASTURIE).
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RIGORE A SECONDA DEL SESSO
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on ci sono dubbi sul fatto che l’Inquisizione applicò pene meno severe nei confronti delle donne per colpa della loro presunta debolezza fisica. A Barcellona dal 1561 al 1600 nessuna fu condannata a morte. Il 12 per cento degli imputati uomini fu sottoposto a tortura. La percentuale è più bassa per le donne: il nove per cento. Nel caso del “tratto di corda”, un tipo di tortura, il numero di giri con cui venivano legati uomini e donne era diverso: un massimo di dieci per le donne e di 22 per gli uomini. Sia nelle esposizioni pubbliche sia nelle torture e nelle frustate si cercava di non mostrare il corpo femminile per questioni di decoro. Le donne gravide o con lattanti non venivano torturate né condannate alla pena capitale per tutelare la vita d’innocenti. Erano anche esenti dalla pena della galera perché non vivessero in promiscuità con gli uomini: gli anni di reclusione venivano commutati in esilio.
delle emozioni. Tranne nei casi di gravi delitti, il Sant’Uffizio moderò le pene applicate alle donne a causa della loro presunta debolezza morale e fisica, ma allo stesso tempo le giudicò più propense a commettere alcuni peccati e più inclini alle tentazioni del demonio. Nel suo mirino finirono quindi le presunte possedute, visionarie, streghe o fattucchiere. Oltretutto nei processi la testimonianza delle donne valeva meno di quella degli uomini. Il coinvolgimento del sesso femminile nelle vicende giudiziarie cambiò a seconda del tipo di delitto. In alcune fasi circa la metà tra conversos ebrei, moriscos e alumbrados – que-
1528 Francisca Hernández, a capo di un gruppo di alumbrados a Valladolid, è arrestata dall’Inquisizione. Quattro anni più tardi, María de Cazalla viene processata per la stessa ragione a Guadalajara.
UOMINI DELL’INQUISIZIONE
Due domenicani studiano un processo sotto lo sguardo del superiore, seduto su uno scranno. Olio di Jean-Paul Laurens. 1889 circa. Musée Anne-de-Beaujeu, Moulins (Francia).
1562 L’Inquisizione inizia a perseguitare il delitto di adescamento sessuale che i preti commettono durante la confessione. Il Sant’Uffizio punisce la bigamia come eresia.
sti ultimi seguivano una religione mistica ai margini della Chiesa ufficiale – accusati dall’Inquisizione fu composta da donne. Nei casi di stregoneria e di magia la proporzione era maggiore, tra la metà e i due terzi. Non più di un quarto degli imputati per bigamia era costituito da persone di sesso femminile, che erano invece meno del dieci per cento nelle condanne per eresia. Oltre a ciò, sul totale delle pene per protestantesimo meno del cinque per cento riguardava le donne. Nel caso dei moriscos, la rigida re-
1588 Viene processata Lucrecia de León per le visioni in cui pronostica la caduta e la morte del sovrano Filippo II. Durante il processo la donna rimane nel carcere di Toledo. ISM
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EMBLEMA DELL’INQUISIZIONE SPAGNOLA.
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ERETICA GIUSTIZIATA AL PATIBOLO Nonostante scene sinistre trasmesse da incisioni come quella qui sotto, secondo lo storico britannico Henry Kamen, nel corso della sua storia l’Inquisizione forse non giustiziò più di tremila persone.
pressione degli inquisitori comportò per gli uomini condanne a morte o alla galera, e per alcune donne più tenaci il carcere a vita. Tra il 1566 e il 1620 il tribunale di Valencia processò 2634 moriscos: 1919 uomini e 715 donne. Abituate alla resistenza passiva, queste ultime garantirono la sopravvivenza dell’islam in Spagna e la salvaguardia delle sue tradizioni ancestrali, a partire dalla stessa lingua araba, che durante il XVI secolo resistette a ogni tempesta anche grazie a loro. Depositarie e guardiane della cultura musulmana, la cui fiamma si mantenne viva nella clandestinità, le madri e le nonne giocarono un ruolo fondamentale nell’educazione delle figlie e delle nipoti. Per questo motivo l’Inquisizione fece di tutto per tenerle sotto controllo. E così nel 1598 Leonor Abenamir, di quarant’anni, confessò in tribunale di aver insegnato alla figlia le preghiere, le abluzioni rituali e il digiuno del ramadan. A Hornachos, in Estremadura, nel 1608 gli inquisitori scovarono e punirono due vedove,
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COLECCIÓN FUNDACIÓN BANCAJA, VALENCIA
ALCUNE MORISCAS S’IMBARCANO DAL PORTO DI VALENCIA NEL 1609. FUNDACIÓN BANCAJA, VALENCIA.
María de Cuéllar e Isabel Bejarana, accusate di essere guide religiose della comunità. L’Inquisizione di Valencia processò diverse moriscas delle vicine località di Carlet e di Benimodó che si riunivano sulle montagne per «pregare e danzare». L’indagine andalusa del 1560 a Ronda e a Malaga portò a multare quarantadue donne, colpevoli di aver preso parte a feste cantando e ballando leilas e zambras, danze moresche. L’apice dell’assurdità si raggiunse nel 1568, quando l’Inquisizione di Granada arrestò una schiava morisca di quattordici anni che aveva esclamato «Oh Maometto!» mentre cadeva da una scala con una brocca di acqua bollente in mano.
Levatrici e mezzane Erano oggetto di particolare sorveglianza da parte dell’Inquisizione anche le moriscas che presiedevano ai parti con il rito islamico, nei quali per legge doveva essere presente una cristiana vieja, ovvero una cristiana “pura”, non convertita alla religione ebraica o musulmana. Allo stesso modo, sotto l’occhio vigile
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GRANADA MORESCA
Tra il 1550 e il 1580 gli autodafé celebrati a Granada coinvolsero quasi 800 moriscos. Nell’immagine, il palazzo dell’Alhambra.
CASI DI STREGONERIA
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STREGHE ATTORNO A UN CAPRONE. OLIO DI FRANCISCO GOYA. 1798. MUSEO LÁZARO GALDIANO, MADRID.
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in da subito alcuni inquisitori spagnoli (soprattutto quelli del Consiglio supremo), si mostrarono restii a occuparsi di casi di stregoneria, perché mancavano prove materiali sui presunti contatti con il demonio. Dal 1535 l’Inquisizione di Saragozza non fece giustiziare nessuna strega, e lo stesso avvenne a Barcellona dal 1550. A volte l’Inquisizione protesse persino le donne accusate di stregoneria dai conoscenti. Nel 1679 la moglie di un pastore comparì per tale ragione davanti al tribunale di Saragozza, che ne riconobbe «la sincerità e l’innocenza». Secondo alcuni storici, in Spagna furono piuttosto i tribunali civili a perseguitare le streghe.
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PALAZZO DELL’INFANTADO
Diego Hurtado de Mendoza, terzo duca dell’Infantado, accolse nel suo palazzo di Guadalajara alcune donne accusate dall’Inquisizione. Tra queste, Isabel de la Cruz e María de Cazalla. Nell’immagine il patio dei Leoni, della fine del XV secolo.
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DONNA CONDANNATA AL ROGO In Cérémonies et coutumes religieuses de tous les peuples du monde di B. Picart, del 1743, venne inclusa quest’incisione di una donna condannata dall’Inquisizione che stava per essere arsa sul rogo.
degli inquisitori finivano pure le “maestre di nozze”, che organizzavano matrimoni con il rito coranico, e le amortajadoras, che avevano il compito di vestire le defunte. Dall’analisi di alcuni processi è emersa inoltre la presenza di condanne per poligamia, sebbene soltanto i moriscos più ricchi potessero sposarsi con varie donne. Nuzeya Mashon e Mexma Alanu, per esempio, vennero punite perché avevano lo stesso marito. Nel 1585 a Granada, durante l’autodafé – la cerimonia pubblica in cui l’Inquisizione esponeva e condannava i rei –, sette moriscas vennero processate perché avevano contratto un matrimonio incestuoso con un cugino di primo grado.
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Arse perché ebree
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L’Inquisizione sapeva molto bene quanto fosse importante la donna nelle famiglie degli ebrei conversos, ovvero convertiti al cristianesimo, che spesso erano sospettati di continuare a praticare il giudaismo in segreto. Proprio per tale ruolo nella trasmissione e nella difesa dell’identità religiosa ebraica, le donne conver-
ALAMY / ACI
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CASTIGO PUBBLICO DI UNA MEZZANA E DI UN UOMO CHE FA PROSTITUIRE LA MOGLIE. XVI SECOLO.
sas furono, assieme alle streghe, le più perseguitate dall’Inquisizione spagnola. La prozia e la madre del filosofo valenziano Juan Luis Vives erano rimaste fedeli a questa religione: la prima venne condannata a morte sul rogo e anche la seconda, ma da defunta. Vent’anni dopo il decesso a causa della peste, i resti furono disseppelliti e bruciati. Nella famiglia Vives pure le donne che in apparenza erano ferventi cristiane caddero sotto la scure inquisitoria. Una zia di Vives, Castellana Guioret, proprietaria della casa adibita a sinagoga clandestina che l’Inquisizione scoprì e condannò nel 1500, patì il rogo, anche se costituiva comunque un caso a parte. La donna doveva soffrire infatti di qualche squilibrio mentale, giacché «girava con le gonne tirate su e senza calze, e faceva vergogna solo vederla […] si portava dentro casa le giovani che passavano, le spogliava e gli dava da mangiare brodo, limoni e arance. Era una persona senza senno e demente». L’intervento dell’Inquisizione ebbe spesso l’effetto di troncare la coesione della famiglia
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SAN PLÁCIDO
LE MONACHE E IL CONFESSORE
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el 1628 le monache del convento benedettino di San Plácido, fondato a Madrid cinque anni prima, si resero protagoniste di uno scandalo a cui s’interessò l’Inquisizione. Convinte dal loro confessore, il frate Francisco García Calderón, le religiose credettero che gli facesse visita uno «strano pellegrino», demone nelle vesti di un giovane con cui commettevano atti illeciti. Il confessore gli aveva inculcato che non erano dannosi «i baci né i contatti lascivi tra uomo e donna». Il frate confessò agli inquisitori che «una volta toccò con la mano il ventre di una tale Teresa, non si sa in quale occasione; e con la mano toccò due volte pure una gamba […] e forse le diede baci sulla bocca più di due volte. Forse, o forse di più». Nel processo si menzionarono il conte-duca di Olivares e il re Filippo IV in persona per alcuni scambi con le monache.
conversa e far sì che gli uomini dovessero fuggire via. In alcuni casi, come quello del poeta e medico Lluís Alcanyís e della moglie Leonor Sparça, i due finirono per denunciarsi a vicenda nel processo e furono entrambi condannati a morte. Negli autodafé di Barcellona celebrati dal 1480 al 1505 figuravano parecchie donne, quasi il sessantacinque per cento del totale degli imputati, e lo stesso fenomeno si verificò in quelli di Granada compresi tra il 1592 e il 1595. Il 28 agosto 1592 l’inquisitore granadino Álvarez de Caldas riferiva: «I prigionieri sono quasi tutte donne, con gravissime e terribili imputazioni». La presenza di accusate minori di sedici anni, e l’assenza di ragazzi maschi, possono rendere un’idea del rigore esercitato nei confronti delle donne.
La bigamia, un’eresia Dalla metà del XVI secolo il Sant’Uffizio s’interessò a un fenomeno che in teoria era molto lontano dalle sue competenze: la bigamia. Gli inquisitori sostenevano che il matrimonio con più persone o l’unione dopo la
vedovanza di uno dei coniugi era una violazione del sacramento cattolico e implicava perciò un’eresia. Le donne bigame giudicate dall’Inquisizione venivano spesso punite con frustate pubbliche, multe ed esilio, mentre gli uomini erano condannati ai lavori forzati sulle galere. Il tribunale della fede era l’istituzione che meglio poteva reprimere tale “devianza” proprio perché il suo controllo si estendeva su tutto il territorio del regno: si potevano così seguire i bigami in fuga da una regione all’altra. Nella pratica, l’accusa di bigamia si applicava a situazioni personali che nulla avevano a che vedere con la religione, e in casi in cui le donne cadevano spesso vittime sia del tribunale sia del proprio marito. Un tipico esempio è quello della contadina galiziana Margarida López, comparsa davanti al tribunale di Santiago de Compostela nel 1594. Andata in sposa a Sebastián López nel 1575, quando aveva solo diciott’anni, dopo cinque venne abbandonata dal marito, che non fece più ritorno. Nel 1590 Margarida venne
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Nel 1641 si cominciò a costruire il tempio del monastero benedettino di San Plácido, a Madrid, sotto la direzione di frate Lorenzo de San Nicolás.
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ABUSI NEL CONFESSIONALE Dal 1562 l’Inquisizione spagnola perseguitò il delitto di solicitación, cioè sollecitazione o adescamento. Tale crimine era commesso dai preti che approfittavano della confessione per ottenere favori sessuali dalle donne.
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parava l’adescamento a un’eresia, poiché violava un sacramento importante: la penitenza o confessione. Tuttavia, quando gli accusati non potevano negare la vicenda, assicuravano che era avvenuta in un momento diverso dalla confessione o che avevano commesso il reato per «debolezza della carne», e non perché non credessero in tale sacramento. IL SANT’UFFIZIO mise a punto un dettagliato procedimento legale per perseguitare e castigare simili atti. Per esempio ordinò ai tribunali provinciali di stilare elenchi dei presunti colpevoli. Le liste dovevano essere consultate in caso di denunce verso i recidivi, «visto che gli imputati del delitto, per schivare la punizione, cercano di trasferirsi da un luogo all’altro, e rimangono impuniti perché non si ha altrove notizia dei loro crimini».
DAL 1576 si decise d’indagare sui casi basati su un’unica denuncia, mentre prima ne venivano richieste almeno due. Malgrado ciò gli inquisitori riuscivano raramente a ottenere tali testimonianze, proprio per il timore che i mariti lo venissero a sapere. Così affermava un commissario dell’Inquisizione di Cuenca nel 1579. IN UNA SUA INDAGINE, la filosofa Adelina Sarrión ha rintracciato numerosi processi per adescamento finiti in condanna, come quello del prete Andrés de Campos, che confessò di aver «sollecitato» per 18 anni 54 donne tra i dieci e i 45 anni. Venne condannato a quattro anni di reclusione in un monastero e a una multa di 150 ducati; o ancora il caso di Diego Ortiz, sacerdote delegato di Durón, contro il quale testimoniarono 11 donne e che il Consiglio supremo dell’Inquisizione condannò nel 1585 a tre anni di galera.
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CONFESSIONE. OLIO DI GIUSEPPE MARIA CRESPI, SOPRANNOMINATO “LO SPAGNOLO”. 1712. STAATLICHE KUNSTSAMMLUNGEN, DRESDA.
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L’INQUISIZIONE DI CUENCA Nel 1564, durante un autodafé, vennero condannate a Cuenca 57 persone, di cui 33 donne, costrette a esporsi «con il mantello (sambenito) da penitente e una candela in mano». Sotto, pietra d’altare con il simbolo dell’Inquisizione di Cuenca, CastigliaLa Mancha.
La monaca di Soria sosteneva di riuscire ad apparire agli indios delle Americhe, come mostra quest’olio. L’Inquisizione l’indagò nel 1635.
a sapere che Sebastián era morto e decise di risposarsi, ma l’Inquisizione la processò appena ricomparve il primo marito. Un’altra donna, Margarita Alonso, fu portata davanti allo stesso tribunale dopo che era rimasta lontana dal coniuge per quattordici anni. La donna aveva pazientemente atteso il ritorno del marito fino a quando le avevano detto che era morto. Aveva perciò pagato delle messe per il defunto e si era sposata di nuovo, eppure un anno e mezzo dopo aveva scoperto che il primo marito era ancora vivo. In tali casi la distanza geografica costituiva un fattore decisivo. María Rodríguez dichiarò che il marito l’aveva abbandonata da più di ventisei anni per andare nelle Indie, da cui non era più tornato. Dopo tredici anni di abbandono, Margarida Feixoa aveva ricevuto una lettera da Orano, in Algeria, dove le dicevano che il coniuge era vivo. Nel caso di Catalina Golpa fu lo stesso commissario dell’Inquisizione a informarla che il marito lavorava per un morisco a Torrejón de Velasco, vicino Madrid. I processi per bigamia furono particolarmente frequenti nelle Americhe. La maggior parte delle volte erano le donne a venir tradite. Alla fine del XVIII secolo una certa doña Toribia Barriga sposò un tal Ángel
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MARÍA DE ÁGREDA
Antonio Bustamante, che aveva falsificato la propria identità facendosi chiamare Francisco de Aguirre e che «era già stato sposato in Europa due volte [una in Sicilia e un’altra in Spagna] per poi venire qui». L’Inquisizione di Cartagena de Indias assolse la donna.
Mistiche e visionarie Un ultimo gruppo di donne esposte al controllo degli inquisitori era quello delle mistiche e delle visionarie. Nel XVI secolo in Castiglia proliferavano le cosiddette beatas, che decidevano di portare avanti la propria vocazione religiosa ai margini delle istituzioni. Alla ricerca di un’esperienza puramente spirituale, alcune di loro negavano la validità dei precetti della Chiesa e perciò divenivano alumbradas agli occhi dell’Inquisizione. Un esempio è la vicenda della ricca borghese María de Cazalla. Sebbene fosse protetta dai potenti duchi dell’Infantado, nel 1532 venne accusata di essere un’alumbrada perché sosteneva la superiorità del matrimonio sulla castità, disprezzava i riti della Chiesa e per
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«la terribile circostanza per cui una donna predicava e la gente la seguiva». Donna colta e raffinata, che addirittura leggeva la Bibbia in greco, María de Cazalla dovette subire la prigione e le torture finché venne condannata ad abiurare per un lieve sospetto di eresia. Spesso le visionarie si conquistarono il prestigio e l’autorevolezza. Nel 1546 la monaca Magdalena de la Cruz, che era stata venerata come santa grazie al favore della corte e del grande inquisitore Alonso Manrique, fu condannata dal tribunale di Cordoba alla reclusione a vita a causa di visioni fallaci, falsi miracoli e una controversa gravidanza mistica. La dama di corte Lucrecia de León rappresenta invece un tipo diverso di visionaria. Senza vocazione di santa, fu piuttosto una profeta laica che esprimeva attraverso i suoi “sogni” il malcontento degli ultimi anni di regno di Filippo II, al punto che ne pronosticò la rovina e la morte. Venne processata nel 1588 dall’Inquisizione di Toledo e condannata per blasfemia e stregoneria a cento frustate e a due anni di reclusione in un convento.
In qualità di tribunale religioso sottoposto a rigide regole, il Sant’Uffizio perseguitò qualsiasi presunta manifestazione di eresia, indipendentemente dal sesso dell’imputato. Se le donne non costituirono necessariamente un obiettivo a causa del genere, caddero però vittime degli inquisitori proprio perché nella società del tempo imperava il pregiudizio circa la loro debolezza mentale e fisica, che agli occhi dei giudici le portava a peccare nei modi più diversi: come fattucchiere, visionarie, streghe. Ma anche perché semplici donne abbandonate dal marito.
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Nel 1610 venne fondato un tribunale dell’Inquisizione anche nella città dell’attuale Colombia. Nella fotografia compare la chiesa di San Pedro Claver.
ANTONIO FERNÁNDEZ LUZÓN STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Storia dell’Inquisizione John Edwards. Mondadori, Milano, 2017. L’Inquisizione spagnola Helen Rawlings. Il Mulino, Bologna, 2008. L’Inquisizione spagnola Henry Kamen. Feltrinelli, Milano, 1996. L’inquisizione spagnola Arthur Stanley Turberville. Feltrinelli, Milano, 1965.
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LA PERSECUZIONE DEGLI OPPIOMANI
Per sradicare il EL MENÚ consumo il traffico DELeDÍA di oppio i governanti Medalla cinesi ricorsero a conmemora¡ Eiffel. punizioni molto 1875. Museo drastiche, come il taglio de Orsay, París. del labbro superiore Xeria sunt estem agli oppiomani per eostiuntis di bea impedirgli di fumare. volectatio. Tur Foto di un fumatore alitio endustia non d’oppio scattata rae verfero dis intorno al 1880. GÉRARD-LÉVY / ADOC-PHOTOS / ALBUM
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LA DROGA CHE DISTRUSSE LA CINA
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LA PRIMA GUERRA DELL’OPPIO 1839 Il 3 giugno Lin Zexu ordina di bruciare l’oppio confiscato ai mercanti inglesi.
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Il 5 luglio le truppe britanniche prendono il controllo della strategica isola di Zhoushan.
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L’IMPERATORE DAOGUANG. SESTO REGNANTE DELLA DINASTIA MANCIÙ QING, OCCUPÒ IL TRONO TRA IL 1820 E IL 1850. I SUOI TENTATIVI DI FERMARE IL CONTRABBANDO DI OPPIO CONDUSSERO ALLA GUERRA.
Il 30 maggio gli inglesi conquistano Canton, principale porto della Cina.
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l primo ottobre 1949 Mao Zedong proclamò in piazza Tienanmen la nascita della Repubblica Popolare Cinese, ponendo fine a quello che gli intellettuali locali avevano definito il “secolo dell’umiliazione”, durante il quale la politica interna ed estera del Paese era stata asservita agli interessi dell’interventismo straniero. Quest’oscuro periodo era cominciato con la Prima guerra dell’oppio, che aveva costretto la Cina a entrare nel mondo moderno marcando l’inizio della fine dell’era imperiale. Il conflitto con i britannici era diventato una dimostrazione lampante della stagnazione del Paese asiatico e aveva reso evidente che questo era un colosso dai piedi di argilla, che poteva essere facilmente sconfitto dai progressi tecnologici occidentali. Di ciò si sarebbero poi avvantaggiati anche altri Paesi europei e non, ad esempio il Giappone.
1842 Il 21 luglio le truppe britanniche attaccano Zhenjiang e bloccano il Gran Canale.
1842 La guerra si conclude il 29 agosto con la firma del trattato di Nanchino.
L’oppio era arrivato per la prima volta in Cina dall’India e dal Sud-est asiatico nel XV secolo, ai tempi della dinastia Ming, ed era rapidamente entrato a far parte della medicina tradizionale cinese. Ma all’inizio il suo utilizzo rimase estremamente limitato, trattandosi di una sostanza costosa e difficile da ottenere. L’uso ricreativo dell’oppio iniziò
a prendere piede in alcune zone della Cina meridionale solo ai primi del settecento, in seguito all’introduzione del tabacco e al dif-
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Da medicinale a droga
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MAPPA DELLA CINA E DEI PAESI LIMITROFI PUBBLICATA NEL 1842 DA W.H. ALLEN & CO. A LONDRA.
Pechino
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Nanchino
Zhenjiang Shanghai
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Isola d i Zhoushan 1842
Ningbo
Fuzhou
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Battaglia importante Porti aperti in seguito al trattato di Nanchino
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Hong Kong
Xiamen (Amoy)
Kowloon
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Chuenpi
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CONTADINI CINESI PIANTANO IL TÈ. ACQUERELLO. FREE LIBRARY, FILADELFIA.
EL MENÚ DEL DÍA
OPPIO E ARGENTO Medalla conmemora¡ Eiffel. 1875. Museo dei danneggiava anche la stabilità sociale decinesi, Orsay,ma París. dell’impero Xeria suntpoiché estem aveva conseguenze profonde ben eostiuntis bea dove faceva il suo ingresso. Il oltre le zonedicostiere volectatio. dell’oppio Tur pagamento illegalmente importato, infatti, alitio endustia non comportava la fuoriuscita dal Paese di un’ingente rae verfero dis
L’OPPIO NON SOLO AVEVA UN EFFETTO NOCIVO sulla salute
quantità di argento, la cui improvvisa scarsità ne fece aumentare il prezzo in relazione al rame. I contadini usavano monete di rame nella vita quotidiana, ma dovevano pagare le tasse in argento, per cui la crescente scarsità di quest’ultimo rappresentò per loro un aumento dei tributi: un liang d’argento (36 g) equivaleva a mille pezzi di rame prima del 1820; a 1.300 nel 1827; a 1.600 nel 1838; e a 2.200 e oltre nel 1845. Questa dinamica precipitò il mondo rurale in una grave crisi.
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fondersi della pratica, nata a Giava, di fumare una mistura delle due sostanze chiamata madak. L’espandersi di questa pericolosa moda in alcune zone come l’isola di Taiwan e le antistanti province costiere di Fujian e Guangdong suscitò l’allarme dei governatori locali e spinse l’imperatore Yongzheng a pubblicare nel 1729 un editto che vietava l’utilizzo dell’oppio in tutto il Paese. Questo non impedì alla droga di continuare a entrare illegalmente nei porti cinesi, un fenomeno che aumentò durante tutto il XVIII secolo, per quanto sempre su scala ridotta. Il contrabbando creò una rete commerciale che coinvolgeva attori di differenti nazioni: l’oppio veniva prodotto in Bengala, raggiungeva la Cina attraverso l’enclave portoghese
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NATIONAL MARITIME MUSEUM / SCALA, FIRENZE
di Macao (a quel tempo l’unica colonia occidentale in territorio cinese) e quindi finiva a Canton, il più grande porto commerciale dell’impero e sua principale via per accedervi da ovest. Per decenni la droga entrò con il beneplacito dei corrotti governatori cantonesi, che raramente ispezionavano le navi europee in arrivo sulle loro coste.
Una merce per salvare dal collasso Questa situazione cambiò drasticamente all’inizio del XVIII secolo, quando il commercio di oppio con la Cina divenne una delle priorità mercantili dell’impero britannico, e in particolare del suo più grande organismo in Asia: la Compagnia delle Indie orientali. Prosciugata dalla conquista del Bengala e dal-
le guerre contro l’impero francese per il controllo del subcontinente indiano, la Compagnia non versava in buone condizioni economiche e la sua sopravvivenza dipendeva dai costanti prestiti della corona britannica. Tale situazione fu aggravata dal crescente mercato del tè, che era diventato il prodotto estero più ricercato in Inghilterra e che poteva essere acquistato solo in Cina. Gli inglesi cercarono invano per decenni di trovare qualche merce da immettere sul mercato cinese per
IL COMMERCIO INTERNAZIONALE
Le fabbriche occidentali di Canton viste dalla riva opposta del fiume delle Perle. Olio. XIX secolo. National Maritime Museum, Greenwich.
IL CONSUMO DI OPPIO IN CINA S’IMPENNÒ NEL CORSO DEL SETTECENTO A CAUSA DELL’INTRODUZIONE DEL TABACCO E ALLA PRATICA DI FUMARE INSIEME LE DUE SOSTANZE STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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SCATOLA DI OPPIO CON IL MONOGRAMMA DELLA COMPAGNIA DELLE INDIE ORIENTALI.
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1 LA FONTE DELLA DROGA
PATNA, LA GRANDE FABBRICA DELL’OPPIO
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LE NAVI DA OPPIO. I MERCANTI ACQUISTAVANO LA DROGA IN INDIA E POI LA TRASPORTAVANO IN CINA SUI COSIDDETTI “CLIPPER DELL’OPPIO”, IMBARCAZIONI CHE PERMETTEVANO DI SFUGGIRE AI PIRATI E DI RIDURRE I TEMPI DI VIAGGIO, DIMINUENDO IL RISCHIO DI TEMPESTE E INCREMENTANDO IL VOLUME D’AFFARI. SOTTO, LA FLOTTA DELL’OPPIO SCENDE IL GANGE DA PATNA. INCISIONE, XIX SEC.
FOTO: ARTOKOLORO / ALAMY / ACI
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oppio si ottiene dalla linfa di una particolare specie di papavero, il papaver somniferum. I britannici preparavano quello destinato al mercato cinese in India, soprattutto in Bengala, dove il principale centro di produzione era Patna. Le illustrazioni qui accanto danno un’idea delle dimensioni di quest’attività economica – che era un monopolio della Compagnia delle Indie orientali – e mostrano alcune delle fasi di elaborazione della sostanza in uno stabilimento indiano. Si tratta di litografie tratte dai disegni dell’allora capitano Walter Stanhope Sherwill, pubblicate originariamente nel libro The Mode of Preparing Indian Opium (La preparazione dell’oppio indiano), stampato a Londra nel 1851. I papaveri venivano piantati in novembre e per i successivi tre mesi richiedevano un’irrigazione intensiva. Quando i petali cadevano si praticavano delle incisioni sulle capsule, che nel frattempo si erano gonfiate. Da queste trasudava la linfa che veniva poi raccolta, lasciata essiccare all’aria per un mese e quindi inviata alle fabbriche, dov’era trattata per la successiva vendita all’asta che si svolgeva in ottobre, quasi un anno dopo la semina.
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AKG / ALBUM
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L’analisi
L’oppio grezzo arriva alla fabbrica di Patna in recipienti di argilla etichettati e numerati. Qui se ne esamina l’aspetto a occhio nudo, o introducendovi un cucchiaio. Si procede quindi al prelievo di campioni che vengono sottoposti ad analisi chimiche per determinarne la consistenza e la purezza.
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La miscela
Una volta concluso il primo esame, i recipienti sono portati in una sala dove il loro contenuto viene versato in dei tini e mescolato fino a che tutta la linfa non si trasforma in una pasta omogenea, pronta per passare alla balling room. Qui si conferisce all’oppio la caratteristica forma arrotondata dei pani.
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I pani da oppio
Gli operai adibiti a questa fase pressano l’oppio con una ciotola di ottone e gli danno una forma arrotondata usando il lewa, il liquido raccolto durante la fase precedente. I pani vengono quindi ricoperti di petali di papavero. Un operaio esperto può prepararne più di cento al giorno.
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Lo stoccaggio
I pani vengono lasciati essiccare e conservati fino al momento di caricarli sulle navi. Alcuni bambini li vigilano costantemente per prevenire danni o attacchi d’insetti. A questo scopo si ricoprono i pani con petali, steli e capsule di papavero schiacciati.
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La situazione della Compagnia era difficile anche in Bengala. Qui aveva teoricamente il monopolio su tutto l’oppio prodotto, ma nella pratica era ormai incapace di evitare che i commercianti europei aggirassero i suoi controlli e si procurassero la sostanza a un prezzo inferiore per poi rivenderla a loro volta in Cina. La Compagnia comprese allora che le sarebbe convenuto liberalizzare il sistema: nel 1834 abolì il suo monopolio sull’oppio, provocando un aumento esponenziale dell’afflusso della droga in territorio cinese.
QUINTLOX / ALBUM
La scintilla
PALMERSTON, MINISTRO DEGLI ESTERI
Lord Palmerston vide la guerra dell’oppio come un’opportunità per costringere la Cina ad aprire i suoi mercati agli occidentali. Fotografia del 1862.
correggere lo squilibrio della bilancia commerciale generato dalle importazioni di tè. Era questo uno dei principali obiettivi dell’ambasciata britannica guidata da lord George Macartney, che giunse a Pechino nel 1793 per negoziare con l’imperatore Qianlong un’apertura della Cina al commercio. La missione diplomatica portava alcune innovazioni tecnologiche quali orologi, telescopi e armi, che però furono accolte con disprezzo dal sovrano, che le definì «inutili cianfrusaglie».
GLI INGLESI NON CERCARONO MAI DI TROVARE UNA SOLUZIONE DIPLOMATICA AL CONFLITTO GENERATO DAL CONTRABBANDO DI OPPIO IN CINA
Nel giro di pochi anni i britannici ripresero il controllo del traffico illecito di oppio e riuscirono a invertire lo squilibrio commerciale con l’impero Qing. Le enormi riserve di argento americano accumulate dalla Cina nei secoli in cui era stata il principale polo commerciale del globo cominciarono a diminuire. A ciò si univano altri problemi come la crescente corruzione del sistema politico. Tutto ciò provocò una grave recessione nell’economia del Paese che costrinse le autorità ad adottare un approccio più deciso per debellare il traffico di oppio. Nel 1838 l’imperatore Daoguang incaricò Lin Zexu – allora governatore delle province di Hunan e Hubei e tra i più ferventi sostenitori di una politica proibizionista – di recarsi a Canton per risolvere la questione.
Il panorama che Lin si trovò di fronte nella città portuale era allarmante: l’intero sistema doganale ufficiale era coinvolto nel contrabbando. Dal canto loro i rappresentanti commerciali del Regno Unito si rifiutavano di consegnare i loro carichi di oppio. Lin inviò persino una lettera alla giovane regina Vittoria pregandola di proibire il commercio della sostanza con la Cina, ma la sua richiesta cadde nel vuoto. Alla fine decise di ricorrere alla forza. Decretò un’epurazione del sistema doganale, mise sotto assedio il distretto in cui si trovavano le delegazioni delle compagnie commerciali occidentali e confiscò all’incirca 20.300 casse di oppio, che furono date alle fiamme con calce viva sulla spiaggia della vicina Humen. Sebbene questo fatto
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LIN ZEXU CONTROLLA LA DISTRUZIONE DEI PANI DA OPPIO TROVATI NELLE CASSE CONFISCATE AI MERCANTI DI CANTON. BRIDGEMAN / ACI
sia stato spesso presentato come la causa del conflitto, la verità è che gli inglesi non si dimostrarono mai propensi a cercare una soluzione diplomatica, com’è reso evidente da alcuni episodi che contribuirono ad aggravare la situazione. Per esempio, quando i mercanti inglesi uccisero un contadino locale, le autorità britanniche presenti a Canton si rifiutarono di consegnare i responsabili ai loro omologhi cinesi perché fossero processati secondo la legge del Paese. Questo provocò la dura reazione di Lin, che proibì la vendita di approvvigionamenti a qualsiasi nave britannica nel delta del fiume delle Perle, dove si trova Canton. Gli inglesi, agli ordini del comandante Charles Elliot, risposero cercando di costringere alcuni porti
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DOV’È LA SUA COSCIENZA? LIN ZEXU, IL COMMISSARIO IMPERIALE che nel 1839
distrusse l’oppio confiscato a Canton, inviò una lettera alla regina Vittoria con le seguenti parole: «Dov’è la sua coscienza? Ho sentito dire che nel suo Paese è severamente vietato fumare oppio [in realtà non era così], quindi evidentemente siete consapevoli del male che provoca […] Come si comporterebbe se degli stranieri portassero questa droga in Inghilterra per venderla e convincessero la popolazione a comprarla e fumarla? Non v’è dubbio che, da onorevole governante quale lei è, li odierebbe profondamente e reagirebbe di conseguenza […] Sono sicuro che lei non desidera per altri ciò che non desidera per sé stessa».
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GRANGER / ALBUM
LA FREGATA BRITANNICA HMS NEMESIS IN UN DIPINTO CINESE DEL PERIODO DELLA PRIMA GUERRA DELL’OPPIO.
ARTIGLIERI CINESI ACCANTO AI LORO CANNONI DURANTE LA PRIMA GUERRA DELL’OPPIO. INCISIONE INGLESE (DAI TONI CARICATURALI) PUBBLICATA NEL 1842.
come Kowloon, attualmente parte di Hong Kong, a rifornire le loro imbarcazioni. Questo avrebbe condotto a uno scontro navale che fu considerato l’inizio del conflitto. Gli inglesi infatti non riuscirono a ottenere i rifornimenti sperati. Elliot decise allora di utilizzare tutte le navi commerciali britanniche per bloccare il porto di Canton. In questo modo andava a colpire la totalità delle attività commerciali della Cina, ben al di là della questione del traffico di oppio.
S U P E R I O R I T À T E C N O LO G I C A
FREGATE CONTRO GIUNCHE
Inizia la battaglia navale
Il primo ottobre 1839, sotto la pressione dei mercanti britannici e di altre nazioni occidentali, il parlamento del Regno Unito decise d’inviare una spedizione militare in Cina. Immediatamente il ministro degli esteri lord Palmerston diede a Elliot istruzioni con le richieste per la cessazione delle ostilità. Le condizioni includevano un trattamento commerciale preferenziale per l’Inghilterra, l’apertura al commercio internazionale di quattro porti (Canton, Xiamen, Shanghai e Ningbo) e la garanzia che i cittadini britannici
SOPRA: BRIDGEMAN / ACI. SOTTO : ALAMY / ACI
Da questa disputa scaturì la prima battaglia navale della guerra, a Chuanbi, vicino all’entrata della baia di Canton. Due fregate britanniche fronteggiarono quattordici giunche imperiali e ne affondarono tre prima di ritirarsi senza aver subito perdite, dimostrando in questo modo l’ampia superiorità tecnologica degli inglesi.
ella loro guerra contro la Cina i britannici disponevano di un’autentica arma segreta: la HMS Nemesis, una fregata commissionata espressamente nel 1839 dalla Compagnia delle Indie orientali per appoggiare la flotta britannica nel corso della campagna cinese. Costruita in tre mesi, fu la prima nave di ferro ad attraversare l’oceano e divenne la dimostrazione lampante della superiorità della tecnologia navale del Regno Unito su quella della Cina. Rispetto alle grandi e pesanti giunche cinesi, la Nemesis era estremamente versatile e agile, poteva navigare a vela o sfruttare il vapore delle sue sei caldaie, e il suo basso pescaggio (1,5 m) le permetteva di raggiungere aree inaccessibili alle altre imbarcazioni, così come di penetrare facilmente in anguste zone fluviali. Tutte queste caratteristiche, unite alla sua potente artiglieria, le conferirono un ruolo centrale nella conquista di città portuali come Canton.
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LA NEMESIS EBBE UN RUOLO DECISIVO NELL’OPERAZIONE ANFIBIA CHE PORTÒ ALL’OCCUPAZIONE DEL FORTE DI CHUANBI IL 7 GENNAIO 1841.
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NELLA CITTÀ PROIBITA
L’imperatore Daoguang risiedeva nella Città Proibita di Pechino, dove i suoi ministri lo informavano quotidianamente sui progressi della guerra. Nella foto, uno degli edifici adiacenti alla sala dell’Armonia suprema. ALAMY / ACI
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sarebbero stati giudicati secondo le leggi del loro Paese anche per reati commessi in territorio cinese. Nel corso dei mesi successivi gli inglesi ritirarono i loro militari e diplomatici da Canton, dando forse all’impero Qing l’impressione di non essere pronti ad affrontare un conflitto aperto. Ma era solo la calma che precede la tempesta.
Alla conquista di Canton
BRIDGEMAN / ACI
Successivamente a questa dimostrazione di forza gli inglesi fecero ritorno verso il delta del fiume delle Perle per conquistare Canton. Le condizioni per porre fine alle ostilità ora comprendevano la cessione di Hong Kong in cambio di Zhoushan, e vennero considerate inaccettabili dal governo cinese. I britannici conquistarono infine l’importante città portuale dopo tre mesi di combattimenti e la Cina fu costretta a richiedere un cessate il fuoco nel maggio del 1841. La flotta di sua maestà si diresse nuovamente alla foce del
BRIDGEMAN / ACI
Dopo mesi di preparativi, nel giugno del 1840 una flotta britannica di quaranta navi e quasi 19mila soldati raggiunse le acque cinesi. Il suo primo obiettivo non era Canton, ma l’isola di Zhoushan, vicino alla foce del fiume Azzurro, all’incirca 1.500 chilometri più a est. La fortezza cinese si arrese in pochi giorni alla superiorità dell’artiglieria delle navi britanniche – tra le quali spiccava la HMS Nemesis, la prima fregata a vapore in ferro della storia – contro cui le giunche di legno cinesi non avevano alcuna possibilità.
UN ACCORDO INIQUO
Il 27 ottobre 1842 l’imperatore Daoguang ratificò il trattato, che poi fu firmato dalla regina il 28 dicembre dello stesso anno ed entrò in vigore il 26 giugno 1843.
fiume Azzurro, dove in ottobre prese il porto strategico di Ningbo. Dopo aver respinto i tentativi cinesi di riconquistare questa posizione nella primavera del 1842, gli inglesi cercarono di sferrare un colpo che impedisse il prolungamento dei combattimenti sulla terraferma. Puntarono su Zhenjiang, una città nei pressi di Nanchino, dove si trovava l’estremità meridionale del Gran Canale, la più importante via di comunicazione tra il nord e il sud della Cina. A luglio la caduta di Zhenjiang e il conseguente blocco del canale privarono di rifornimenti le truppe cinesi. Di fronte alla minaccia che incombeva su Nanchino, le autorità Qing decisero la resa definitiva. I negoziati di pace tra inglesi e cinesi cul-
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minarono il 29 agosto 1842 nella firma del trattato di Nanchino, con il quale la Gran Bretagna otteneva l’apertura della Cina al commercio internazionale, la possibilità di stabilirsi definitivamente nei quattro porti sopra citati e la cessione assoluta del controllo su Hong Kong in cambio dell’isola di Zhoushan. Il Regno Unito era il primo stato della storia a ottenere dalla Cina un trattamento commerciale preferenziale e non soggetto alla legislazione locale. Altre nazioni imperialiste avrebbero conseguito accordi simili anni più tardi, durante la Seconda guerra dell’oppio. Il conflitto rappresentò la dimostrazione definitiva della superiorità tecnologica dell’occidente. Sul lato cinese le vittime fu-
rono quasi 20mila a fronte delle ottocento britanniche. Lo scontro confermò il ruolo del Regno Unito come superpotenza militare su scala globale e aprì una nuova fase dell’imperialismo europeo caratterizzata dalla cosiddetta “diplomazia delle cannoniere” – ovvero il dominio delle sue potenti navi da guerra. JOSÉ ANTONIO CANTÓN ÁLVAREZ UNIVERSITÀ DI GRANADA
Per saperne di più
IL TRATTATO DI NANCHINO
Fu firmato da sir Henry Pottinger e tre funzionari cinesi, Qiying, Yilibu e Niu Jian, a bordo della HMS Cornwallis, ormeggiata nel fiume Azzurro di fronte alla città di Nanchino.
SAGGI
La via dell’oppio. Europa e Cina nel periodo dei trattati ineguali Laura De Giorgi. Il Portolano, Genova, 2012. Cina e modernità. Cultura e istituzioni dalle Guerre dell’oppio a oggi Alessandra C. Lavagnino, Bettina Mottura. Carocci, Roma, 2016.
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HONG KONG, BOTTINO DI GUERRA on il trattato di Nanchino del 1842 la Cina cedette al Regno Unito l’isola di Hong Kong, ricca di montagne e povera di acqua, ma di enorme importanza strategica: il suo porto, profondo e ben protetto, aveva ingressi a est e a ovest, e si trovava sulle principali rotte commerciali dell’Estremo Oriente. Nel 1860, alla fine della Seconda guerra dell’oppio, la Cina dovette cedere agli inglesi la penisola di Kowloon e l’isola di Stonecutters. Il dominio britannico fu esteso verso l’entroterra da una convenzione firmata nel 1898 con cui la Cina cedeva l’enclave alla Gran Bretagna per 99 anni. Come previsto da un accordo sino-britannico ratificato nel 1984, tredici anni più tardi la Cina ha riacquistato la sovranità su Hong Kong, sebbene limitata per cinquant’anni da un regime speciale.
IL PORTO DI HONG KONG IN UN’IMMAGINE DEL XIX SECOLO, CON GIUNCHE CINESI, VELIERI OCCIDENTALI E UN PIROSCAFO A PALE.
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La vittoria «Cosa dovremmo fare in Cina». San Giorgio (simbolo dell’esercito britannico) con sembianze di guerriero greco minaccia il dragone che rappresenta la Cina. Illustrazione della rivista Punch pubblicata nel dicembre 1860, due mesi dopo la firma del trattato che poneva fine alla Seconda guerra dell’oppio.
L’umiliazione
SFONDO: BRIDGEMAN / ACI. SOPRA: ALBUM
«Forza, in ginocchio! E questa volta niente scherzi», dice all’imperatore il ministro plenipotenziario britannico Elgin durante la Seconda guerra dell’oppio. La scritta New Elgin Marbles (I nuovi marmi di Elgin) allude al fatto che il diplomatico, che ha in mano un marmo a forma di palla di cannone, era figlio di quell’Elgin che aveva portato in Inghilterra fregi e statue marmoree del Partenone.
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IL ROVESCIO DELLA TRAMA
Immagini di una promessa evangelica Nella società europea dell’anno mille si diffuse la credenza nel giudizio universale, che perdurò nei secoli successivi
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a promessa compare nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nel suo splendore, insieme con gli angeli, si siederà sul suo trono glorioso. Tutti i popoli della terra saranno riuniti di fronte a lui ed egli li separerà in due gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dalle capre: metterà i giusti da una parte e i malvagi dall’altra». Secondo il testo, tutti obbediranno, agendo nel rispetto della legge e di colui che li ha convocati. Controlleranno le proprie emozioni, pur nella consapevolezza dell’importanza del momento: quelli situati
alla destra del Cristo, infatti, saranno invitati a prendere possesso del regno che è stato preparato per loro fin dalla creazione del mondo, e quelli situati alla sua sinistra saranno condannati al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Ciò che per alcuni sarà un motivo per cantare un inno di lode, per altri sarà solo causa di lamento.
L’IMPONENTE arazzo di Angers, dedicato all’Apocalisse, fu commissionato dal duca Luigi I d’Angiò. Oggi è esposto nel castello di questa cittadina francese.
La fine del mondo La promessa di un esame finale dell’operato umano conservò la sua forza per svariati secoli, acquisendo una sua centralità nella liturgia, nella musica, nel teatro, nella pittura, nella scultura e nei codici minia-
Mille anni dopo la prima rappresentazione del giudizio universale, Michelangelo dipinse questo tema nella cappella Sistina
ti. Nel V secolo, nell’abside dell’antica basilica di Fondi, per iniziativa del vescovo Paolino di Nola fu dipinta per la prima volta una scena rappresentante il giudizio universale. Con l’approssimarsi dell’anno mille, il numero delle opere dedicate al tema aumentò, anche grazie all’interpretazione del libro dell’Apocalisse realizzata dal Beato di Liébana. La diffusione di questo soggetto
iconografico contribuì a instillare nella società dell’epoca l’idea che alla fine dei tempi Dio avrebbe giudicato i vivi e i morti. Nell’Apocalisse di Bamberga, commissionata da Ottone III, che fu imperatore a cavallo tra i due millenni, le persone vengono suddivise in due gruppi in base alle liste tenute in mano da due angeli. Quelle nella parte superiore, pronte ad ascendere in cielo, sono di
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colore giallognolo, in aperto contrasto con gli ocra scuri di chi è destinato a essere gettato all’inferno. Contrariamente alle aspettative di vari gruppi religiosi, l’anno mille non portò con sé la fine del mondo. Eppure nella società europea rimase radicata la convinzione che l’umanità prima o poi sarebbe stata sottoposta a un giudizio finale. I timpani delle chiese romaniche di-
vennero spazi prescelti per mostrare le raffigurazioni di quel giorno fatidico, quasi fossero una lettera pastorale scolpita su pietra. Il repertorio d’immagini si sarebbe via via adattato alle specificità della vita spirituale di ogni particolare periodo storico. Sotto l’influenza degli ordini mendicanti (francescani e domenicani), la comunità cristiana del XIII e del XIV secolo aspirava a cogliere i
segni dell’approssimarsi del giudizio universale e pertanto seguiva con interesse le prediche in cui prendeva forma l’universo simbolico incentrato sul cammino dell’anima verso il giorno della risurrezione dei morti. Nell’opera più straordinaria prodotta in quegli anni, l’Arazzo dell’Apocalisse di Angers, risalente al 1370 circa e oggi visibile in una galleria del castello della cit-
tadina francese, trova spazio la sensibilità della società sopravvissuta alla peste nera, che sarebbe stata all’origine del concetto moderno di devozione. L’idea del giudizio finale avrebbe popolato ancora a lungo l’immaginario religioso europeo, come testimonia il famoso affresco della cappella Sistina, opera di Michelangelo. JOSÉ ENRIQUE RUIZ-DOMÈNEC EDITORE DI HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI ENIGMI
La sifilide, un castigo per la scoperta dell’America?
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n Historia di Italia (15611564) Francesco Guicciardini individuò nell’invasione da parte delle truppe di Carlo VIII di Francia, iniziata nel 1494, l’origine di tutte le calamità che da allora avrebbero sofferto gli italiani. Tra questi mali annoverava una terribile malattia, che compariva «con bolle bruttissime, le quali spesse volte diventavano piaghe incurabili, o con dolori intensissimi nelle giunture e ne’ nervi per tutto il corpo». Aggiungeva inoltre: «È provato che questo male mai o molto difficilmente si contrae se non attraverso il coito». Gli effetti di tale malattia «del tutto nuova
o incognita insino a questa età nel nostro emisperio» erano devastanti: in pochi anni «privò della vita molti uomini di ciascuno sesso e età, molti diventati d’aspetto deformissimi restorono inutili e sottoposti a cruciati quasi perpetui».
L’origine del nome Oggi questo male è noto come sifilide, nome coniato nel 1530 dal medico italiano Girolamo Fracastoro all’interno di un poema in cui un pastore, Syphilis, era punito dal dio Apollo con una malattia contagiosa dalla quale poi guariva. All’epoca la sifilide era più spesso chiamata lue o epidemia di Venere, in riferimento al-
la trasmissione sessuale, che la faceva appunto associare alla dea dell’amore. Malgrado ciò, i termini che circolarono nella fase iniziale della propagazione testimoniavano la credenza secondo cui la sifilide venisse portata dagli stranieri: gli italiani la indicavano come “mal francese” o “morbo gallico”, i francesi come “mal napoletano”, gli inglesi e gli olandesi come “mal spagnolo”, i russi come “mal dei polacchi”... I nomi “mal francese” e “mal napoletano” vengono dal fatto che i primi casi documentati di sifilide si verificarono durante l’invasione francese in Italia del 1494-1495, e in parti-
PECCATO E PENITENZA COME CONSTATÒ Gonzalo Fernández de Oviedo nel sommario della Historia natural y general de las Indias, la sifilide «si contagia in modo estremamente violento solo in seguito all’unione tra uomo e donna». Si pensò che la malattia fosse una punizione con la quale Dio voleva castigare chi si fosse reso colpevole di promiscuità. IL BAMBINO GESÙ MANDA LA SIFILIDE COME CASTIGO DIVINO. INCISIONE DEL 1496. ALAMY / ACI
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Gli scienziati si chiedono ancora oggi se la malattia sia stata portata da Colombo o se fosse già presente in Europa
NATIVI della Florida applicano dei trattamenti per curare i malati di sifilide e di vaiolo.
colare quando le truppe di Carlo VIII si ritirarono dopo aver trascorso diversi mesi a Napoli. Dal punto di vista italiano, sarebbero stati questi soldati stranieri a introdurre un male fino ad allora inesistente in Italia. I francesi, invece, pensavano che i loro militari avessero contratto la malattia nel sud dell’Italia, diffondendola poi nel proprio regno e nel resto d’Europa. Ovviamente non ha senso ricercare i “colpevoli”. Piut-
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IL PRIMO SIFILITICO
di Hispaniola e l’aveva condotta con sé in Catalogna, cosicché «il mal venereo iniziò a manifestarsi a Barcellona nel 1493. Fu questa città la prima a infettarsi, e poi l’Europa e tutto il mondo conosciuto». In seguito la malattia avrebbe raggiunto o l’esercito di Carlo VIII tramite i mercenari spagnoli che si aggiunsero alla campagna militare, o direttamente Napoli, città che allora poteva contare su una nutrita pre-
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tosto, è importante il fatto che, secondo tutti, la sifilide era una calamità nuova, e ci si chiedeva perciò da dove potesse provenire. I contemporanei non tardarono a trovare una risposta: a portare il morbo in Europa erano stati i marinai che avevano accompagnato Colombo nel primo viaggio verso le Americhe. Nel 1510 il medico andaluso Ruy Díaz de Isla assicurò che l’equipaggio di Colombo aveva contratto la sifilide nell’isola
DOBBIAMO ad Albrecht Dürer la prima rappresentazione a noi nota di una persona sifilitica. Nel 1496 l’artista tedesco del Rinascimento realizzò un’incisione (riprodotta vicino a queste righe) per accompagnare l’opera di un medico olandese. Il disegno mostra un uomo afflitto dai sintomi di tale malattia allora sconosciuta. Il sifilitico di Dürer indossa la tenuta tipica dei mercenari tedeschi che avevano partecipato all’invasione italiana.
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GRANDI ENIGMI
La cura impossibile IL PRIMO RIMEDIO italiano contro la sifilide consisteva nei bagni in olio d’oliva, ma presto ci si rese conto che erano inefficaci. I medici pensarono allora di trattare le vesciche cutanee con mercurio, applicato sottoforma di unguento e tramite suffumigi o bagni di vapore. Il trattamento faceva sì migliorare i malati, ma aveva potenti controindicazioni, e doveva essere effettuato per sempre. Da lì il motto “una notte con Venere, una vita con Mercurio”. Oggi la sifilide è una malattia curabile attraverso la somministrazione della penicillina, insieme all’astensione dai rapporti sessuali fino alla guarigione.
senza spagnola. Nel sommario della Historia general y natural de las Indias (1526), Fernández de Oviedo affermava: «La prima volta che questa malattia comparve in Spagna fu dopo che Co-
lombo scoprì le Indie e tornò da queste parti, e alcuni uomini in sua compagnia se ne ritrovarono affetti. I numerosi che compirono il viaggio di ritorno portarono la piaga, che si contagiò ad altre persone». E proprio a partire da tali testimonianze si è affermata la cosiddetta “teoria colombiana”, secondo la
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UN SOLDATO SPAGNOLO VIENE CURATO CON VAPORI DI MERCURIO. INCISIONE FRANCESE DEL XVII SECOLO.
quale Colombo e i suoi uomini importarono la sifilide dall’America. Favorirebbe tale tesi la circostanza che nel 1495 la malattia era sconosciuta in tutta Europa, come riferiva Guicciardini. Ciononostante, altri studiosi rifiutano una simile possibilità e sostengono, invece, che il morbo era già presente in Europa e negli
Dalla metà del XVI secolo la sifilide attenuò la sua virulenza provocando meno morti BROCCA PER CONSERVARE IL MERCURIO. XVIII SECOLO. FACULTÉ DE PHARMACIE, PARIGI.
altri continenti, dove però veniva confuso con malattie dai sintomi simili, quali la lebbra. La “teoria precolombiana” afferma perciò che la sifilide del 1495 era solo una nuova recrudescenza.
Batterio multiforme Durante il XX secolo i progressi nelle conoscenze scientifiche sulla sifilide hanno permesso di chiarire alcuni dettagli. Per capire quale fosse l’origine, se ne sono infatti cercate le tracce nei resti umani anteriori al 1495. Lo studio ha preso in considerazione corpi di amerindi e di europei, e il
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I PRIMI casi di sifilide
PRISMA / ALBUM
furono documentati in Italia. Nell’immagine il porto di Napoli alla metà del XV secolo. Museo nazionale di San Martino, Napoli.
risultato è il seguente: se numerosi resti dei nativi tradivano la presenza del morbo, in Europa i casi erano al contrario rari. Tuttavia ciò non significa che la “teoria colombiana” sia necessariamente valida. Oggi sappiamo che la sifilide appartiene a un ceppo di malattie causate dal batterio del genere Treponema. Tra di loro si trovano la pinta, che causa chiazze sulla pelle; la framboesia, che provoca lesioni epidermiche e interne e si trasmette per contatto cutaneo; la sifilide endemica, dalla sintomatologia simile a quella della fram-
boesia e che si propaga per contatto tra mucose; e infine la sifilide venerea, dalla trasmissione prevalentemente sessuale e dagli effetti potenzialmente letali. La diffusione geografica di ognuna di loro dipende soprattutto dal clima: la framboesia, per esempio, colpisce ancora vasti territori intertropicali in Africa, Asia, Oceania e America.
Le teorie recenti Tale varietà di manifestazioni è legata al fatto che da almeno 15mila anni il batterio continua a trasformarsi, e la sifilide ve-
nerea scoppiata in Europa nel 1495 potrebbe essere letta in questa chiave. Secondo una recente teoria, che confermerebbe la tesi dei “colombiani”, i marinai di Cristoforo Colombo potrebbero aver contratto un tipo di batterio della sifilide a Hispaniola, tramite il coito o in altri modi. E, una volta giunto in Europa, questo avrebbe trovato condizioni ambientali completamente nuove (per esempio l’assenza della sifilide endemica, dovuta all’immunizzazione degli abitanti e ad abitudini igieniche differenti), tutte condizioni che gli avrebbe-
ro permesso di prosperare. Il Treponema pallidum si sarebbe quindi evoluto nella sottospecie che causa la sifilide venerea. La malattia si sarebbe manifestata in modo estremamente virulento dopo il 1495, per attenuarsi successivamente. Ciononostante, questa è soltanto un’ipotesi; l’origine della sifilide rimane un caso ancora aperto. JUSTO HERNÁNDEZ UNIVERSITÀ DI LA LAGUNA
Per saperne di più SAGGI
L’altra faccia di Venere Eugenia Tognotti. Franco Angeli, Milano, 2006.
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GRANDI SCOPERTE
Una necropoli sotto il pavimento di San Pietro Nel 1939 il ritrovamento di un mausoleo sotto la basilica di San Pietro portò alla luce una serie di tombe del II-IV secolo d.C.
I TA L I A
MAR ADRIATICO
RO M A
Vaticano MAR MEDITERRANEO
marmo molto antichi, e si pensò che appartenessero ai primi papi di Roma. Nel secolo successivo nuovi ritrovamenti misero a disagio le autorità ecclesiastiche. Nel 1626, mentre si ponevano i basamenti di una delle colonne di bronzo dell’attuale baldacchino, fu rinvenuta una camera sepolcrale con un sarcofago. L’epitaffio indicava che il proprietario, vissuto nel II secolo, si chiamava Flavio Agricola, vedovo di un’adepta del culto di Iside e discepolo del filosofo Epicuro: il testo invitava a
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Descrizione di uno dei mausolei della necropoli Vaticana, la M.
1626
godere dei piaceri della vita. La scoperta fu talmente “scandalosa” che l’epitaffio venne distrutto (dopo essere stato trascritto) e della tomba si conservò solo la parte scolpita, oggi esposta al Museo d’arte d’Indianapolis, negli Stati Uniti.
Funerale papale Nel 1939 il sottosuolo della basilica tornò a essere al centro dell’attenzione. Papa Pio XI aveva espresso il desiderio di essere sepolto nelle grotte Vaticane e, mentre si preparava lo spazio destinato ad accoglierne la tomba, vennero scoperti i resti di quello che sembrava un mausoleo romano. Il nuovo pontefice, Pio XII, decise che era giunto il momento di condurre una campagna archeologica sotto il terreno delle grotte, e la commissionò a un membro
Compaiono notizie di ritrovamenti di sepolcri in marmo durante la costruzione di piazza San Pietro.
1939
Pio XII dà a Ludwig Kaas l’incarico d’iniziare gli scavi archeologici della necropoli Vaticana.
TOMBA F, la prima
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N
el cinquecento i costruttori dell’attuale basilica di San Pietro in Vaticano decisero d’innalzare di tre metri il livello del suolo rispetto al precedente tempio dell’epoca di Costantino. Sotto il nuovo pavimento vennero edificate le cosiddette “grotte Vaticane”, un’immensa cripta composta da gallerie, loculi e cappelle in cui sono oggi presenti le tombe di una ventina di papi e altre importanti personalità religiose. Al centro delle grotte, proprio sotto la cupola della basilica, si pose più tardi una nicchia in onore dell’apostolo Pietro, che secondo la tradizione era stato lì sottoposto a martirio e seppellito. Durante la realizzazione delle grotte vennero scoperti diversi sarcofagi di
a essere scoperta nella necropoli Vaticana, nel 1939. Tra i sepolti si trovano una giovane cristiana e il direttore di una compagnia teatrale.
della curia vaticana, monsignor Ludwig Kaas. I lavori proseguirono tra il 1940 e il 1950 e portarono alla luce una necropoli di epoca romana, la cosiddetta “necropoli Vaticana”.
1956
Nel Vaticano viene scoperta una nuova necropoli romana lungo la via Trionfale.
MEDAGLIETTA CON IL RITRATTO DI PAPA PIO XII. WHITE
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ENZE
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LA TOMBA DI PIETRO?
no alle vie Cornelia, Aurelia Nuova e Trionfale, che univano l’area alla città sull’altro lato del Tevere, si eresse sin dal I secolo un gran numero di tombe monumentali, che trasformarono l’area in una ricca necropoli. Gli scavi diretti da monsignor Ludwig Kaas fecero emergere un insieme di mausolei in mattoni risalenti al periodo compreso tra il II e il IV secolo. Erano disposti a schiera vicino alla via Cornelia, che scorreva parallela a
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Per comprendere un simile ritrovamento va ricordato che nell’antichità la collina vaticana, dove oggi si erge la basilica di San Pietro, si trovava al di fuori dei confini di Roma. Poiché erano proibite le inumazioni all’interno delle mura cittadine, i romani di classe abbiente avevano l’abitudine di costruire i sepolcri – a volte splendidi mausolei – lungo le strade che conducevano alla capitale. Questo era il caso anche della zona del Vaticano: vici-
AL CENTRO della basilica di San Pietro nel XVII secolo venne aperto uno spazio sotterraneo, la Confessione (sotto queste righe), che permette di accedere alle grotte Vaticane. Proprio nella verticale del baldacchino di Bernini, gli archeologi individuarono un’area della necropoli Vaticana, il cosiddetto campo P, forse la tomba originaria dell’apostolo Pietro.
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Baldacchino
Altare papale
Confessione
Grotte Vaticane Necropoli Vaticana
Mausolei schierati sulla via Cornelia I SEPOLCRI che costituiscono la necropoli Vaticana – come si può vedere sopra, sono identificati dagli archeologi con lettere latine e greche – erano disposti a schiera su un tratto laterale della via Cornelia lungo 32 metri. Alcuni mausolei vennero poi riutilizzati da altre famiglie. Si sono potuti identificare molti dei proprietari grazie alle iscrizioni sugli architravi degli ingressi e sulle sepolture, in cui compaiono nomi come Emilia Gorgonia, Lucius Tullius Zethus o Volusia Megista.
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Le tombe cristiane si differenziano per la simbologia. Ad esempio, sulla stele di Licinia Amias 1 appare la scritta cristiana ichtus zonton (il pesce dei vivi). Il mausoleo M, noto come tomba degli Julii, fu inizialmente costruito da una famiglia pagana e poi rinnovato nella prima metà del III secolo. I simboli pagani lì presenti furono usati per esprimere il credo cristiano. Lo si può osservare nel mosaico sulla volta 2 , in cui Cristo è rappresentato con gli attributi di Elios, il dio greco del Sole.
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GRANDI SCOPERTE
SEPOLCRO DEGLI EGIZI (Z)
ILLUSTRAZIONE: FABBRICA DI SAN PIETRO, VATICANO. FOTO: BRIDGEMAN / ACI
SCALA, FIRENZE
della necropoli Vaticana, così chiamato per un dipinto di Horus sulla parete. Conteneva sei sarcofagi e quattro loculi o arcosoli.
un circo ricostruito ai tempi di Nerone. Quando, nel 319 o nel 320, l’imperatore Costantino iniziò l’edificazione della prima basilica di San Pietro fece appianare la sommità della collina, ragion per cui i sepolcri furono ricoperti di terra. Ne derivò una piattaforma artificiale sulla quale venne poi eretta la nuova struttura.
Loculi e pitture Poiché il complesso era in un certo senso rimasto sigillato, la necropoli appariva in un eccellente stato di conservazione. Le facciate esterne dei monumenti, in mattone, presentavano por-
te e finestre con architravi e stipiti in travertino. Alcuni ingressi esterni erano decorati con terracotta e mosaici. Le iscrizioni sugli architravi indicavano il nome del proprietario. La presenza di nomi sia greci sia romani suggeriva che molti dei defunti erano liberti, antichi schiavi che avevano ottenuto la libertà dalle facoltose famiglie romane e che si erano arricchiti con l’artigianato o il commercio, così da permettersi tombe dalle eleganti decorazioni pittoriche, scultoree e musive. L’interno di ogni mausoleo era composto da loculi in cui erano collocate le spoglie
dei defunti, presenti in urne funerarie (se erano stati cremati) o nei sarcofagi. In certe tumulazioni si rinvennero perfino le scale dalle quali potevano scendere i parenti, visto che i sepolcri erano in genere disposti a una certa profondità. Le pareti e le volte erano decorate con bassorilievi in stucco e con pitture in cui sono frequenti i motivi vegetali, animali (soprattutto uccelli) e piccoli eroti, o amorini. Alcune scene mitologiche più complesse dimostrano la sopravvivenza delle credenze pagane nella Roma dell’epoca, anche se sono state individuate
pure sepolture cristiane, come si può dedurre da certe espressioni usate negli epitaffi e da simboli quali il crisma. Nel 1956 nel sottosuolo del Vaticano venne scoperta un’ulteriore area d’interramento legata alla necropoli Vaticana, lungo l’antica via Trionfale. Il complesso è stato poi aperto al pubblico nel 2013. RUBÉN MONTOYA ARCHEOLOGO
Per saperne di più La necropoli di San Pietro Pietro Zander. Vaticano, Fabbrica di San Pietro, 2014. Segreti e tesori del Vaticano Massimo Polidori. Piemme, Milano, 2017.
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LA FOTO DEL MESE SNG135_124-125_Foto del Mes_scapa_flow_T_e.indd 124
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nella base navale britannica di Scapa Flow, nelle isole Orcadi, venne affondata dal proprio equipaggio. L’obiettivo era che i nemici non s’impadronissero delle imbarcazioni, lì confinate in virtù dell’armistizio firmato alla fine della Grande guerra. Negli anni venti si pensò di smantellare le navi per estrarne il metallo. L’ingegnere Ernest Cox ottenne la licenza per rimettere in sesto la flotta, tirarla fuori dalle Orcadi e vendere quel che ne rimaneva. Per farlo, enormi tubi di acciaio venivano saldati alla chiglia delle barche affondate, e poi vi s’introduceva aria per far uscire l’acqua. I palombari scendevano lungo i tubi e tappavano i buchi; quindi s’inseriva aria per far tornare a galla le navi, poi rimorchiate fino a Rosyth, in Scozia. Nell’immagine, la corazzata Prinzregent Luitpold al suo arrivo l’11 maggio 1932.
NEL GIUGNO 1919 la flotta tedesca riunita
DA GLORIE A ROTTAMI
HULTON DEUTSCH / GETTY IMAGES
L I B R I A CURA DI MATTEO DALENA STORIA GRECA
Il trionfo del denaro dietro la bellezza greca
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uando contempliamo la bellezza incarnata nelle opere d’arte di ogni epoca, non sempre pensiamo a quanto denaro e a quante risorse sono stati impiegati nella loro realizzazione. È stretto il nodo che lega i monumenti dell’antichità ai mezzi economici necessari a erigerli. Partendo dal Partenone, cioè il monumento più rappresentativo della polis di Pericle del V secolo a.C., lo storico Giovanni Marginesu indaga sulla cosiddetta
Giovanni Marginesu
IL COSTO DEL PARTENONE Salerno Editrice, 2020; 172 pp.; 15¤
“economia dell’arte”, vale a dire il necessario flusso di risorse e fondi utili all’erezione di edifici, statue, infrastrutture. Un mondo complesso dominato dall’interesse, popolato da personaggi astuti e spregiudicati, alimentato da «dracme d’argento e d’oro riscosse senza pietà a sudditi inermi; insozzate della polvere e del sangue di guerre cruente; rifuse dal metallo delle armi raccolte dai nemici sconfitti», in parole dell’autore. Quella che portò alla realiz-
zazione del Partenone, autentico scrigno che custodiva la statua crisoelefantina (in oro e avorio) di Atena Parthenos, fu secondo Marginesu un’operazione di “gigantismo finanziario”: «Se si sommano Partenone e Parthenos, s’ipotizza che essi poterono costare alle casse pubbliche 1.500 talenti, ossia nove milioni di dracme d’argento. Era quanto occorreva per retribuire una giornata di lavoro di nove milioni di operai specializzati, o quanto bastava per allestire una flotta imperiale di 1.500 triremi». Insomma, dietro l’eterea bellezza del monumento si annidava una struttura economica discussa nelle assemblee, documentata nei rendiconti e fondata sul “vile denaro”.
ILLUSTRATI PER RAGAZZI
DONNE CHE VIAGGIANO CONTROVENTO delle giovani aristocratiche del settecento veniva allevata nell’ignoranza e nella mortificazione delle proprie capacità razionali, il Grand Tour – viaggio di formazione e accrescimento culturale per eccellenza – permetteva la piena realizzazione personale. Con il suo viaggio in Italia a metà secolo, Anne-Marie du Boccage, moglie di un addetto al ministero delle finanze francese, fu una delle prime a reclamare il diritto di ogni donna a intraprendere il Grand Tour, fino ad allora prerogativa maschile. Attilio Brilli e Simonetta Neri indagano l’aspetto del viaggio settecentesco al femminile come «drammatico gesto di liberazione». SE LA MAGGIOR PARTE
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lia ma con le sue avventure letterarie, frutto di uno studio certosino su resoconti
di viaggio, enciclopedie, mappe e libri di storia, Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari (1862-1911) fece viaggiare milioni di giovani lettori. Il testo curato da Anselmo Roveda con le illustrazioni di Marco Paci invita a un itinerario per terra e per mare, dalla Siberia alla pampa argentina, dall’Africa australe ai Caraibi alla scoperta di animali, persone e dei loro usi. Ogni tappa del viaggio è accompagnata da illustrazioni ispirate a brani tratti dalle avventure di Emilio Salgari, autore di origine veronese che compose oltre duecento tra romanzi e racconti come Le Tigri di Mompracem, Gli orrori della Siberia, La scimitarra di Budda o Le pantere di Algeri.
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L I B R I A CURA DI MATTEO DALENA STORIA SOCIALE
Lacrime romane, una storia poco nota
A Sarah Rey
LE LACRIME DI ROMA Einaudi, 2020; 160 pp.; 24¤
nche i romani piangevano, eccome se piangevano. I molti verbi latini usati per rifervisi come flere, deflere, lacrimare, plorare e ancora deplorare, implorare, lugere, plangere o queri indicano che le lacrime fluivano copiose, rumorose, plateali, accompagnate spesso da gesti emblematici: «Ci si batte il petto e si lacerano le vesti, ci si graffia il viso, si sciolgono i capelli, ci si rotola per terra. I romani si sfiniscono a forza di piangere,
si rovinano gli occhi». A scriverlo è la storica dell’antichità Sarah Rey, che nel suo saggio sul potere del pianto nel mondo antico individua innanzitutto uno stereotipo da abbattere: la poco veritiera reputazione di ruvidezza dei romani. Secondo l’autrice, questa componente «ha scoraggiato finora qualsiasi ricerca generale sulle loro lacrime, mentre i lamenti degli eroi greci hanno ormai fatto versare fiumi di lacrime». E invece i romani piangevano
STORIA E FOLKLORE
Emancipazione e magia nelle fiabe di Gonzenbach
N Laura Gonzenbach
FIABE SICILIANE Donzelli, 2019; 581 pp.; 55 ¤
ella Sicilia della seconda metà dell’ottocento due sorelle diedero vita a un’immensa raccolta di fiabe che permise al folklore italiano di essere apprezzato a livello internazionale. Magdalena ma soprattutto Laura Gonzenbach, cittadine elvetiche nate e cresciute a Messina da genitori impegnati nel ramo commerciale, voltarono le spalle agli interessi familiari per dedicarsi a tutt’altro genere d’impresa. Le due sorelle conoscevano
diverse lingue e le relative letterature, ed erano molto attive nella vita culturale dell’isola. Anche in considerazione di ciò, intorno al 1867-1868, il teologo e storico tedesco Otto Hartwig diede incarico a Laura d’inviargli alcune fiabe locali che avvalorassero la sua tesi della contaminazione normanna sulla lingua isolana. Dopo un anno tra Catania e Messina furono raccolti circa cento testi. A narrare erano soprattutto donne, domestiche e lavoranti nelle
i loro morti e davano sfogo alle proprie emozioni sia nelle cosiddette “lamentazioni”, forme poetiche e musicali basate sul dolore, sia in forma scritta su epitaffi più o meno emotivi, come quello di Urbico, un bambino morto a due anni e mezzo: «Tu che leggi queste parole, bagna di lacrime il mio tumulo». Ciononostante l’aspetto più interessante è senza dubbio il valore sociale delle lacrime individuato da Sarah Rey: «I pianti hanno un significato comunitario. Alla sua morte, un cittadino di grande successo sociale otterrà singhiozzi in abbondanza. Un altro che si è distinto nel potere (civile e militare) si sarà meritato invece il “gemito universale”».
dimore della borghesia straniera, o le cosiddette “gna” o “gnure”, cioè le mogli dei contadini e degli artigiani locali. Come scrive la curatrice Luisa Rubini, l’elemento femminile è il vero protagonista della raccolta: «Alle voci delle intervistate presta ascolto una ricercatrice, a sua volta donna partecipe al dibattito europeo sull’emancipazionismo». Tra i racconti, infatti, spiccano spose di vecchi e tirannici brontoloni, donne bambine, altre umiliate e costrette a partorire in stalle. Alcune fuggono, altre ancora reclamano e ottengono matrimoni riparatori. Le storie di eroine e schiave, di streghe e di fate si muovono sui temi dell’onore, della castità e della verginità.
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Prossimo numero STONEHENGE, LE ULTIME SCOPERTE NEGLI ULTIMI ANNI le
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ricerche archeologiche hanno rivelato aspetti ancora sconosciuti del grande sito megalitico inglese. Ad esempio l’origine delle 56 pietre blu ritrovate nella zona, i percorsi utilizzati dagli abitanti e dai costruttori del complesso nell’Età del bronzo o la composizione del corredo dell’arciere di Amesbury, uno dei più ricchi tesori di questo periodo mai rinvenuti nelle isole britanniche.
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LA SESSUALITÀ NELL’ANTICO EGITTO IL SESSO svolgeva un ruolo determinante nell’immaginario culturale egizio. Gli dei insegnavano che l’atto sessuale era la base dell’armonia del cosmo e della fertilità della terra. La sessualità umana, dal canto suo, era soggetta ad alcune regole, che però non escludevano la ricerca del piacere. Ne è testimonianza la grande varietà di posture e pratiche sessuali citata dalle fonti.
La Parigi del terrore Nel 1793, minacciati dall’invasione straniera e da una controrivoluzione interna, i capi della Rivoluzione francese diedero il via a una terribile spirale repressiva.
Ogodei, signore dell’Asia Le conquiste di Gengis Khan diedero vita a un regno che poi si estese su gran parte dell’Eurasia grazie al figlio Ogodei, il vero costruttore dell’impero mongolo.
Ettore contro Achille Tra i combattimenti descritti nell’Iliade spicca il duello tra i due antagonisti del poema epico, Ettore e Achille, che si conclude con la morte del troiano.
L’imperatore Adriano ad Atene Grande amante della cultura greca, l’imperatore Adriano visitò Atene nel 125 e volle restituirle il suo splendore promuovendo grandi opere architettoniche.
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LETTERE DI AMARNA
LE DONNE SPAGNOLE E L’INQUISIZIONE OPPIO LA DROGA CHE DISTRUSSE LA CINA
GIARDINI DI BABILONIA
I GIARDINI DI BABILONIA OLIMPIA
OLIMPIA
LA MADRE DI ALESSANDRO MAGNO
FINE DEL MONDO NEL MEDIOEVO
LE LETTERE DI AMARNA L’ARCHIVIO DEL FARAONE
DONNE E INQUISIZIONE OPPIO
LA FINE DEL MONDO NEL MEDIOEVO
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