Speciale Storica n°13 - Augusto

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MAURIZIO RELLINI/FOTOTECA 9X12

IL FORO ROMANO, CUORE DELLA CITTÀ Centro nevralgico dell’attività politica a Roma, il Foro subì interventi in epoca augustea. Dal 20 a.C, infatti, Augusto vi fece aggiungere il Foro che porta il suo nome, costituito da una piazza sulla quale dominava il tempio dedicato a Marte Ultore.


AUGUSTO


I MASSACRI DEL TRIUNVIRATO Ottaviano, insieme a Marco Antonio e Marco Emilio Lepido, diede vita a un’alleanza, il triunvirato, che durò fino al 33 a.C. Olio su tela (1566) di Antoine Caron. Louvre, Parigi.

10 L’ascesa Nel 38 a.C. Ottaviano stava ancora celebrando la pace con Marco Antonio quando in Sicilia scoppiò una rivolta guidata da Sesto Pompeo

22 Azio, il trionfo di Augusto Lo scontro navale davanti alle coste greche nel 31 a.C. segnò la fine di Marco Antonio e Cleopatra e aprì la strada al potere assoluto di Ottaviano

38 Augusto il princeps Abilissimo uomo politico, rifondò lo Stato romano e con il suo principato riuscì a trasformare la Repubblica in una monarchia

54 Livia, spregiudicata e virtuosa Dopo lo scandalo per la sua relazione con Augusto, Livia divenne un esempio di virtù coniugale, intervenendo anche nella successione

68 La Roma di Augusto Eterogenea e con strade tortuose: così era Roma prima che Augusto arricchisse la città di monumenti che esaltavano la sua dinastia

82 Tito Livio La sua opera rievocò le gesta degli antenati dalla fondazione dell’Urbe, mettendone in luce i valori ma anche la decadenza di costumi dell’epoca 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


ART ARCHIVE

88 Tacito Descrivendo la storia di Roma da Augusto a Nerone, contrappose le virtù dei Germani alla corruzione dei Romani contemporanei

94 La riforma dello Stato Le riforme di Augusto non investirono solo lo Stato ma anche la vita privata dei cittadini, grazie a leggi destinate a restaurare gli antichi valori

106 L’esercito e le frontiere Romanizzazione delle aree non del tutto soggette al dominio imperiale e avanzamento dei confini: questi i principi della politica estera di Augusto

120 La conquista della Spagna Una volta consolidato il suo potere a Roma, Augusto portò a termine la conquista della Spagna, stroncando la resistenza di Cantabri e Asturi

AUGUSTO DI PRIMA PORTA, MUSEI VATICANI, ROMA FOTO: ARALDO DE LUCA/CORBIS/CORDON PRESS

134 Teutoburgo, la sconfitta perfetta Nel 9 d.C., la battaglia di Teutoburgo pose fine all’espansione dell’Impero romano in Germania, evidenziando le falle nell’esercito

144 La successione di Augusto Dopo un lungo Principato, Augusto affrontò il problema più arduo del suo regno: la successione e la ricerca di un erede STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ART ARCHIVE

L’IMPERATORE AUGUSTO Cammeo in sardonice di epoca romana incastonato sulla croce detta “di Lotario” (per la presenza di un sigillo di Lotario II). La gemma che raffigura l’imperatore Augusto è posta al centro della croce-gioiello. Domschatzkammer, Aquisgrana.


IL CREATORE DI UN MITO

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icevetti una Roma di mattoni e la lasciai di marmo. La celebre affermazione di Ottaviano Augusto con la quale il primo princeps sintetizzò la sua vita non si riferiva, ovviamente, alla sola, profonda riorganizzazione dell’immagine della città, della sua architettura e dei suoi monumenti, ma per estensione alla rifondazione dell’Urbe, della sua struttura economico-sociale e della sua profonda influenza in Europa e nel Mediterraneo, fino alla lontana Asia. Ottaviano era nato quando già da oltre vent’anni era iniziato il periodo più sanguinoso e sconvolgente della storia di Roma, quello delle guerre civili, che stavano segnando la fine di cinque secoli di Repubblica. Ne visse da protagonista l’ultima parte e infine le consegnò al passato. Divenuto Augusto, trasformò i mattoni in marmo, trasfigurò l’incredibile sviluppo militare e civile dell’Urbe nel mondo, avvenuto in maniera quasi spontaneistica e non strategica, in una dimensione sacrale, mitica e ideologica. Fondò di fatto una nuova religione – la Volksreligion di cui 1800 anni dopo avrebbe parlato Hegel – una “religione di popolo” che riuniva le istanze popolari, politiche, sociali e civili e capace di fare da collante in tutto lo sterminato Impero; di pacificare i popoli sottomessi ma anche quelli non del tutto vinti. Nacque la mistica della romanità, destinata a influire profondamente per secoli e secoli su tutto l’Occidente, insieme a quell’altra religione, nata anch’essa come religione di popolo e di comportamenti, che – chissà quanto casualmente – sorse proprio durante il Principato di Augusto: il Cristianesimo. L’altra faccia della medaglia del mito augusteo fu un assolutismo morbido, anche scenografico, bonapartista, che però poteva respingere e soffocare, anche se non in modo cruento, ogni tendenza al cambiamento. L’operazione politica di Augusto fu però talmente robusta da rimanere inalterata anche quando alla sua figura di principe illuminato si sostituirono quelle dei suoi successori, molti dei quali certamente non alla sua altezza. E, alla fine, fu proprio il disfacimento del mito della romanità a rappresentare la spinta iniziale che portò al crollo dell’Impero. Giorgio Rivieccio


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IL TEMPIO DI AUGUSTO A POLA Il tempio, dedicato ad Augusto e alla dea Roma, venne edificato nel I secolo d.C. per glorificare l’imperatore Augusto e la città di Pola (l’antica Pietas Iulia), in Croazia.


LA PROFETESSA E L’IMPERATORE La Sibilla Tiburtina annuncia ad Augusto (in ginocchio al centro della scena) l’imminente avvento di Cristo: dipinto di Paris Bordone ispirato a una leggenda medioevale, 1550 circa, San Pietroburgo.


OTTAVIANO EREDE DI CESARE

L’ASCESA Nel 38 a.C. la pace di Ottaviano con Marco Antonio, dopo le guerre civili seguite all’assassinio di Cesare, fu interrotta da un nuovo conflitto. Ne seguirono altri finché, dopo la battaglia di Azio, Ottaviano assunse i pieni poteri MIGUEL ÁNGEL NOVILLO E JUAN LUIS POSADAS

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PROFESSORI ASSOCIATI PRESSO L’UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DI LA RIOJA

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el 40 a.C., la situazione a Roma era quanto mai incerta. A quattro anni dall’assassinio di Giulio Cesare per mano dei congiurati repubblicani, nessuno aveva scordato la triste sequenza di violenze e orrori che era seguita all’omicidio: guerra civile, scontri nelle province, persecuzione politica a Roma, fame e carestie ovunque.

LA CORONA DI MARMO Testa coronata in marmo di Augusto proveniente da Cerveteri (Lazio): l’imperatore è ritratto in età giovanile e con fattezze idealizzate. I secolo d.C., Louvre, Parigi.

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La disfatta dei cesaricidi a Filippi (42 a.C.) non aveva rischiarato l’orizzonte, soprattutto perché i due uomini che aspiravano a ereditare la posizione dell’ex dittatore non accennavano a deporre le armi: da un lato Marco Antonio, che si era stabilito ad Alessandria d’Egitto, dall’altro Ottaviano, figlio adottivo di Giulio Cesare, che nonostante la giovane età (22 anni) era riuscito a imporsi a Roma. I due avevano formato un triunvirato con un terzo console, Marco Emilio Lepido, che governava sull’Africa settentrionale; ma l’accordo era fragile, e non aveva impedito a Ottaviano di scontrarsi duramente in Italia con il fratello di Antonio, Lucio Antonio, sconfitto nella guerra di Perugia del 41-40 a.C. Le ritorsioni seguite al conflitto inasprirono ulteriormente gli animi, tanto che nell’estate del 40 a.C., quando Antonio tentò di sbarcare a Brindisi, molti ritennero imminente una nuova guerra. Non fu così. I soldati di entrambe le fazioni si rifiutarono di combattere, e il loro ammutinamento forzò i due rivali a trovare un accordo, firmato a Brindisi nel 40 a.C. Con questo trattato, il triunvirato veniva rinnovato per altri cinque anni e si stabiliva la spartizione dei territori romani in tre parti: i domini occidentali, inclusa la Gallia, venivano assegnati a Ottaviano, mentre Antonio riceveva in dote tutto l’Oriente romano, Macedonia e Peloponneso compresi. Quanto a Lepido, malgrado la sua posizione politicamente defilata si vedeva confermata la carica di governatore della provincia d’Africa. L’accordo fu sigillato con il matrimonio tra Marco Antonio, che era appena rimasto ve-

dovo, e Ottavia Minore, la sorella di Ottaviano. A Brindisi i due triunviri organizzarono un grande banchetto, Ottaviano alla maniera romana, Antonio a quella egizia; poi entrambi si diressero verso Roma per officiare il matrimonio. Entrarono in città a cavallo, come se stessero celebrando un trionfo militare. Sembrava che Roma avesse finalmente ritrovato la pace, e il poeta Virgilio si incaricò di esprimere il sollievo dei più componendo la IV egloga delle Bucoliche, nella quale cantava l’avvento di una nuova Età dell’oro. Ma in questo panorama rasserenato già si intravvedevano all’orizzonte nuove nubi: giungevano dalla Sicilia, dove Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno (il rivale di Giulio Cesare), era ormai una spina nel fianco di Ottaviano.

La flotta pirata di Sesto Pompeo In Sicilia Sesto Pompeo era giunto nel 45 a.C., dopo che Cesare, nella battaglia di Munda (Spagna), aveva sconfitto definitivamente suo padre e l’esercito pompeiano. Sull’isola Sesto aveva allestito una flotta personale composta da marinai locali ed ex schiavi ingaggiati in Epiro, ed era diventato il punto di riferimento per tutti coloro che non si riconoscevano nella fazione cesariana. In seguito era rientrato a Roma, sperando dopo le Idi di marzo (44 a.C.) di recitarvi un ruolo di rilievo; ma la nascita del secondo triunvirato, nel 43 a.C., e la successiva proscrizione, lo avevano definitivamente allontanato dalla capitale, spingendolo a occupare militarmente la Sicilia. Da allora Sesto si era trasformato nel capo di una flotta “pirata”, come la chiamavano i triunviri, impegnata a tagliare i rifornimenti


ANGELO HORNAK/CORBIS/CORDON PRESS

LA DIMORA DI OTTAVIANO Il nucleo originario dei Palazzi imperiali, sul Palatino, fu fatto costruire da Augusto a partire da un insieme di edifici appartenuti a Cicerone, Catullo e altre personalità dell’età repubblicana.

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I PIANI IMPERIALI di Giulio Cesare furono raccolti dai triunviri che, dopo la sua morte, se ne disputarono l’eredità. Marco Antonio s’impadronì dell’Oriente e Ottaviano, grazie ad Agrippa, rafforzò il dominio sulle Gallie. Intanto Lepido si consolidava nell’Africa settentrionale.

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CARTOGRAFIA: EOSGIS

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UN SUCCESSO PIENO DI SPINE

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A PACE DI MISENO, pattuita nel 39 a.C. con i triunviri, parve un

grande successo di Sesto Pompeo, che veniva riconosciuto come governatore di Sicilia, Sardegna, Corsica e dell’Acaia greca. Ma a ben vedere, l’accordo firmato celava molte insidie. Infatti, concedendo la grazia a tutti i repubblicani che l’avevano seguito, i triunviri minavano la posizione di Sesto, che rischiava ora di essere abbandonato dai suoi seguaci, certi di poter rientrare a Roma senza pericoli. Una minaccia intuita, forse, dall’ammiraglio pompeiano Mene, che durante il banchetto di celebrazione del trattato propose al suo signore di mollare gli ormeggi e prendere in ostaggio Ottaviano e Antonio, ospiti della sua nave. Se l’avesse fatto, forse Sesto avrebbe cambiato il suo destino e quello di Augusto, che mai sarebbe diventato imperatore ad Azio (31 a.C.). Ma Sesto rifiutò, rispondendo che riteneva suo dovere rispettare la parola data ai triunviri. In fin dei conti era un repubblicano all’antica, che anteponeva la lealtà al perseguimento dei propri fini.

LA BATTAGLIA NAVALE DI AZIO, NEL 31 A.C., SI CONCLUSE CON IL TRIONFO DI OTTAVIANO SULLA FLOTTA DI MARCO ANTONIO E CLEOPATRA. AFFRESCO DI ANTONIO VASSILACCHI, 1600, NOVENTA VICENTINA.

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all’Urbe attraverso continue incursioni contro le navi che trasportavano il grano dal sud al centro Italia. Una situazione imbarazzante per Ottaviano, ma che assunse contorni preoccupanti dopo che Sesto, grazie anche al sostegno dei reduci della guerra di Perugia, riuscì a conquistare la Sardegna e la Corsica.

La rabbia della folla A quel punto, gli avamposti di Pompeo si trovavano a pochi giorni di navigazione da Roma che mai, da quando Ottaviano era al potere, si era sentita minacciata tanto da vicino. Il trattato di Brindisi del 40 a.C. rispecchiò le tensioni e le ansie generate da questa situazione di instabilità. Nel firmarlo, Antonio e Ottaviano non si accordavano solo su come spartirsi i territori dell’ex Repubblica, ma si impegnavano anche ad assistersi a vicenda contro i rispettivi nemici: i Parti per Antonio,

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Campagne militari Modena (43 a.C.) Filippi (42 a.C.) Agrippa in Gallia (39-38 a.C.) Conquista della Sicilia (38-36 a.C.) Battaglia Dominio di Ottaviano Senato Sesto Pompeo Marco Emilio Lepido Marco Antonio

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che contro questo popolo persiano intendeva allestire una grande campagna militare; Sesto Pompeo per Ottaviano, deciso a togliersi di torno al più presto l’odiato rivale. Per i due triunviri, trovare un compromesso non fu dunque difficile: Ottaviano si impegnò a sostenere il rivale nella spedizione in Oriente, e in cambio ottenne mano libera contro Sesto Pompeo, di cui Antonio aveva fin lì sostenuto, più o meno apertamente, la causa. Spiazzato dall’accordo, Pompeo reagì con l’unica strategia che poteva mettere in campo: bloccare con la sua flotta i rifornimenti a Roma e aspettare che gli effetti della carestia si facessero sentire sulla plebe romana. Non dovette attendere a lungo. Dopo anni di guerre, gli abitanti dell’Urbe erano allo stremo, e al solo prospettarsi di un nuovo periodo di stenti reagirono con un’ondata di violenze. Ci furono tumulti nelle strade di Roma, proteste

e manifestazioni contro Ottaviano che, forse sottovalutando il pericolo, si presentò di persona nel Foro cittadino convinto di poter placare gli animi; ma non appena mise piede nella piazza la folla iniziò a tempestarlo di sassi, ferendolo e costringendo le milizie di Antonio a portarlo in salvo con la forza.

Il trattato di Miseno Dopo questo episodio, Antonio consigliò a Ottaviano di accordarsi al più presto con Sesto Pompeo, poiché la situazione nella capitale rischiava di sfuggirgli di mano. A malincuore, Ottaviano accettò il suggerimento: nel 39 a.C., a Capo Miseno (presso Pozzuoli), si incontrò con Sesto, e firmò con lui un trattato che concedeva all’ex prefetto il possesso di Sicilia, Sardegna e Corsica, oltre al controllo dell’Acaia, la regione più set-

LA VITTORIA DECISIVA Cammeo celebra la vittoria navale di Ottaviano ad Azio (31 a.C.), atto finale della guerra civile che sconvolse Roma per tredici anni. Kunsthistorisches Museum, Vienna.

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IL FORO ROMANO DI SBEITLA Questa città oggi in Tunisia fu occupata dai legionari romani attorno al 30 a.C. In precedenza era abitata da nomadi, anche se, in base al trattato di Brindisi, rientrava nei territori nordafricani assegnati a Lepido.

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tentrionale del Peloponneso. A tutti i repubblicani che, negli anni precedenti, si erano rifugiati presso Sesto Pompeo, veniva inoltre garantita l’amnistia e la restituzione dell’intero patrimonio personale.

La flotta in fiamme La pace di Miseno fu celebrata con una serie di banchetti che si tennero a bordo della nave di Sesto e di quelle dei triunviri; ma l’armonia ritrovata era solo apparente, poiché tra le parti in causa esistevano profondi rancori, pronti a riesplodere alla minima scintilla. Che scoccò quando l’ammiraglio Mene, governatore di Corsica e Sardegna, disertò dall’esercito pompeiano consegnando a Ottaviano le due isole. In breve si tornò a combattere, e gli esiti del conflitto non furono favorevoli a Ottaviano: nello Stretto di Messina, infatti, la sua flotta fu distrutta da quella di Pompeo (38 a.C.), e lui

stesso, accorso in aiuto dei suoi luogotenenti, rischiò la cattura. Per salvarsi, dovette sbarcare sulle coste calabre e restarvi nascosto per tutta la notte, fino a che una delle sue legioni, in marcia verso Reggio, non lo soccorse. Il mattino dopo, Ottaviano, guardando il mare, “vide le navi che erano state incendiate, quelle in fiamme, e altre ancora che erano state fatte a pezzi”, come riferisce il greco Appiano (95-165 d.C.). Una situazione che peggiorò nelle ore successive, quando una violenta tempesta sferzò la costa calabra privandolo dei pochi legni superstiti e costringendolo a un’avventurosa marcia notturna verso Vibone (l’odierna Vibo Valentia), dove lo attendeva una piccola flotta. Fu questo, secondo lo storico inglese Anthony Everitt, il momento più drammatico dell’intera carriera di Augusto. Nei mesi seguenti, Ottaviano mise in campo tutte le sue doti organizzative per allestire una


ART ARCHIVE JOSE FUSTE RAGA/AGE FOTOSTOCK

L’AMORE E LA POLITICA

spedizione in grado di annientare Sesto. A tal fine richiamò dalla Gallia il suo miglior generale, Marco Vipsanio Agrippa, e fece in modo che fosse nominato console per l’anno 37 a.C. Poi lo assecondò in ogni sua richiesta. Poiché la costa tirrenica era priva di basi navali sicure, fece costruire nella zona di Cuma (Napoli) un doppio porto fortificato – il Portus Iulius – che metteva in comunicazione i laghi Averno e Lucrino, e quest’ultimo con il golfo di Pozzuoli. Tutti gli alberi dei dintorni furono abbattuti e con la loro legna si costruì un’enorme flotta. Come rematori vennero reclutati 20.000 schiavi. Ottaviano convinse Antonio e Lepido a sostenerlo nell’impresa. La nuova campagna contro Pompeo scattò nel 36 a.C. Il piano messo a punto dai triunviri prevedeva una manovra a tenaglia: la flotta guidata da Agrippa avrebbe attaccato la Sicilia da nordovest, quella fornita da Antonio a Ot-

CON LA MORTE DI CESARE, le donne divennero pedine di scambio nel vortice delle alleanze politiche romane. Così Clodia, figliastra di Marco Antonio, sposò nel 42 a.C. Ottaviano, che due anni dopo divorziò da lei e impalmò Scribonia, sorella di Sesto Pompeo, poco prima che Antonio si unisse in matrimonio a Ottavia, sorella del futuro imperatore. LA TERZA MOGLIE DI AUGUSTO LIVIA E IL FIGLIO TIBERIO IN UN RILIEVO DELL’ARA PACIS DI ROMA.

taviano da nordest, le navi di Lepido da sud. In tutto, i triunviri disponevano di oltre venti legioni e più di seicento navi, contro le dieci legioni e trecento navi di Sesto.

L’invettiva contro Nettuno L’inizio della spedizione avvenne senza contrattempi, e Lepido poté sbarcare con le sue truppe a Lilibeo, presso Marsala. Ma la flotta di Ottaviano, salpata da Taranto, s’imbatté in una violenta mareggiata, che costrinse il futuro imperatore a cercare rifugio lungo la costa. Fu allora che, secondo lo storico Svetonio, egli lanciò la celebre invettiva: “Vincerò questa guerra, dovessi aver contro anche Nettuno”. Ad agosto di quello stesso anno, Agrippa e Ottaviano tentarono un nuovo sbarco. L’impresa riuscì ad Agrippa, che sconfisse la flotta di Pompeo al largo di Milazzo e pose sotto assedio Tindari, non lontano da Messina. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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E MONETE CONIATE a Roma dall’inizio della dit-

tatura di Cesare (49 a.C.) fino al Principato di Augusto (27 a.C.) rispecchiano i cambiamenti politici avvenuti nel corso di quei vent’anni. Se in epoca repubblicana le monete erano decorate con immagini di divinità o simboli della città, mai con effigi individuali che richiamavano l’odiata epoca della monarchia, con Giulio Cesare questo atteggiamento cambiò; il dictator fu il primo politico il cui ritratto comparve su una moneta romana mentre era ancora in vita. Nei decenni successivi, l’uso della moneta come strumento di propaganda politica divenne comune. In particolare, le monete emesse da Ottaviano mostrano un ampio ricorso a emblemi e figure che tendono a presentare il futuro imperatore come difensore e salvatore dei valori repubblicani, oltre che come punto di riferimento per tutti i cittadini. Un atteggiamento propagandistico che si accentuò in epoca imperiale, quando Augusto assunse il controllo diretto della coniazione delle monete in oro e argento, mentre il Senato poteva decidere su delibera solo la coniazione dei valori minori.

“Dittatore perpetuo”. BRITISH MUSEUM/SCALA, FIRENZE

MONETE PER UN IMPERO

LA DITTATURA DI GIULIO CESARE (44 a.C.) Questa moneta, emessa per commemorare la dittatura di Cesare, mostra sul dritto lo stesso dictator con la corona d’alloro e una legenda che allude alla sua nuova dignità. Sul verso compaiono le sigle del magistrato che coniò la moneta e i simboli del potere: caduceo, fascio littorio, orbe e ascia.

Effigie di Giulio Cesare.

DENARIO D’ARGENTO CON L’EFFIGIE DI GIULIO CESARE INCORONATO. 44 A.C., BRITISH MUSEUM, LONDRA.

Simboli del potere. “Lucio Emilio Buca, triunviro monetario”.

MARCO ANTONIO IN ASIA (32 a.C) Marco Antonio fece coniare questo denario d’argento espressamente per pagare le sue legioni in Asia. Il dritto presenta una galea romana e una legenda con i titoli di Antonio. Sul verso, sono raffigurati l’aquila e gli stendardi della Legio VII, alla quale era destinato il pagamento.

Galea pretoriana.

DENARIO D’ARGENTO EMESSO A ROMA DAL TRIUNVIRO MARCO ANTONIO. 32-31 A.C., KALKRISE, GERMANIA.

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“Antonio Augusto, triunviro della Repubblica”.

ROTOLI DI PERGAMENA SU CUI I BANCHIERI ROMANI ANNOTAVANO LE OPERAZIONI DEI LORO CLIENTI, AFFRESCO POMPEIANO DEL I SECOLO D.C., MUSEO ARCHEOLOGICO, NAPOLI.

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“Legione settima”.

Aquila legionaria tra due vexilla.


“Bruto imperatore”; “Lucio Pletorio Cestiano, triunviro monetario”.

“Imperatore (generale ndr) e console per la seconda e terza volta”.

DENARIO CELEBRATIVO D’ARGENTO EMESSO A ROMA TRA IL 43 E IL 42 A.C., BRITISH MUSEUM, LONDRA.

Due daghe e il pileo, simbolo di libertà.

LA CONQUISTA DELL’ EGITTO (30 a.C.) Dopo la battaglia di Azio (31 a.C), l’Egitto divenne provincia romana. Nel 27 a.C. Augusto coniò monete per ricordare lo storico evento: sul dritto l’imperatore era raffigurato di profilo con una legenda che richiamava i suoi titoli; sul verso, un ippopotamo simboleggiava l’Egitto conquistato.

Effigie di Augusto.

AUREO ROMANO EMESSO IN RICORDO DELLA CONQUISTA DELL’EGITTO DA PARTE DI AUGUSTO, 27 A.C.

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“Augusto, console per la settima volta”; “Imperatore figlio del divino Cesare”.

“Egitto conquistato”.

L’ippopotamo simboleggia il Paese nilota.

Effigie di Marco Antonio.

CISTOFORO D’ARGENTO EMESSO A PERGAMO NEL 40 A.C., BRITISH MUSEUM, LONDRA. Effigie di Ottavia.

“Triunviro della Repubblica”.

LA PAX AUGUSTEA (28 a.C.) Per celebrare la pacificazione dell’Impero dopo anni di guerre civili, Augusto coniò a Pergamo, in Asia Minore, questa moneta d’argento che lo ritrae incoronato d’alloro. Sul verso la Pace personificata regge il caduceo della Felicitas di fianco a una cista mystica, baule legato ai riti dionisiaci.

“Protettore della libertà del popolo romano”.

BRITISH MUSEUM/SCALA, FIRENZE

“Idi di marzo”.

Effigie di Marco Giunio Bruto.

BRITISH MUSEUM/SCALA, FIRENZE

MATRIMONIO POLITICO (40 a.C.) Questo moneta proveniente da Pergamo celebra le nozze tra Marco Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano. Sul dritto c’è Antonio incoronato di vite e circondato da una legenda con le sue cariche. Sul verso, un baule cilindrico (cista mystica) regge un busto di Ottavia affiancato da serpenti.

BRITISH MUSEUM/SCALA, FIRENZE

I TIRANNICIDI (43 a.C.) I nemici di Cesare coniarono monete per celebrare la sua morte. Sul dritto comparivano Marco Giunio Bruto (uno dei tirannicidi) glorificato, e il nome del triunviro monetario; sul verso, due daghe (allusive all’omicidio) affiancavano il pileo, copricapo portato a Roma dagli schiavi liberati.

La dea della Pace (Pax Augusti).

CISTOFORO AUGUSTEO D’ARGENTO PROVENIENTE DA PERGAMO. 28 A.C., BRITISH MUSEUM, LONDRA.

Profilo di Augusto.

Cista mystica.

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L’OVAZIONE, UN TRIONFO MINORE

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A PROPAGANDA DI OTTAVIANO aveva

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presentato la spedizione contro Sesto Pompeo come una “guerra servile”, al fine di svilire l’avversario e sottolineare come il suo esercito fosse composto da ex schiavi. Ma questa scelta, a guerra conclusa, si ritorse contro Augusto, che non poté celebrare il trionfo, concesso solo per vittorie contro popoli liberi. Ottaviano ripiegò perciò su un rito minore: l’ovazione. Le differenze tra le due cerimonie riguardavano innanzitutto l’abbigliamento del vincitore, che non indossava la toga picta, viola con ricami d’oro, ma quella praetexta, e non era cinto con una corona d’alloro ma di mirto. Inoltre egli percorreva le vie della città a piedi e non su una biga e non era accompagnato dai soldati. La processione si concludeva sul Campidoglio, dove il generale sacrificava a Giove una pecora, ovis in latino; di qui, secondo alcuni, l’origine del termine ovazione.

MECENATE PRESENTA AD AUGUSTO LE ARTI E LE LETTERE, OLIO SU TELA DI GIAMBATTISTA TIEPOLO, 1745, SAN PIETROBURGO.

IL PIÙ ALTO DEGLI ONORI Cammeo che commemora la concessione a Ottaviano da parte del Senato, nel 27 a.C., della corona civica e del titolo di Augusto. Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Ottaviano, invece, non fu altrettanto fortunato, e poté sbarcare a Taormina appena tre legioni. Il peggio, però, doveva ancora venire: il suo arrivo, infatti, era stato segnalato a Pompeo, che gli mosse contro sia dal mare sia da terra. Nel timore di essere accerchiato, Ottaviano affidò le sue legioni a un luogotenente e fece rotta verso l’Italia; ma fu intercettato al largo delle coste peninsulari, e nella battaglia che seguì perse tutte le navi tranne una.

Un inopportuno colpo di sonno AKG ALBUM

Braccato dal nemico, a un passo dalla rovina, Ottaviano si mise in salvo nascondendosi in un anfratto lungo la costa. Attraverso le montagne riuscì poi a ricongiungersi con alcune sue legioni, e alla loro testa raggiunse a ovest di Messina Tindari, che nel frattempo Agrippa aveva conquistato. Nelle settimane seguenti, la situazione di Ottaviano migliorò: il pos20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sesso di Tindari, infatti, gli garantiva una testa di ponte da usare per lo sbarco in Sicilia delle sue truppe, che a poco a poco occuparono l’isola. Inutilmente Sesto cercò di frenare la loro avanzata bloccando con la sua flotta lo Stretto: al largo di Nauloco, presso Milazzo, subì la peggior sconfitta della sua carriera, lasciando in mano di Agrippa oltre trecento navi. Ottaviano si era così preso la sua rivincita su Sesto, ma non aveva molto di cui vantarsi: secondo Svetonio, infatti, non aveva quasi partecipato alla battaglia, essendo rimasto vittima di un malore poco prima dell’inizio degli scontri. Quando lo seppe, Antonio non mancò di deridere il collega, accusandolo di “non aver avuto neppure il coraggio di osservare una flotta schierata a combattimento”. La battaglia di Nauloco sancì in ogni caso la fine di Sesto. Per quanto le sue forze di terra fossero ancora consistenti, egli infatti scelse


MANUEL COHEN/ART ARCHIVE

di fuggire verso l’Asia Minore, nell’illusione di convincere Marco Antonio ad aiutarlo. Ma quest’ultimo era alle prese con i Parti, e tutto desiderava tranne che inimicarsi Ottaviano. Respinse quindi le offerte di Pompeo e, non appena gli fu possibile, lo fece assassinare presso Mileto da un suo sicario (37 a.C.).

Lepido esiliato Nel frattempo, una nuova grana assillava Ottaviano. Dopo la conquista di Messina, infatti, Lepido si era fatto audace, e aveva iniziato ad avanzare pretese sulla Sicilia, forte delle 21 legioni di cui disponeva. Ottaviano, chiaramente, non poteva accondiscendere a una simile richiesta. Per questo, in un insolito slancio di coraggio, si recò da solo presso l’accampamento del rivale, tentando di convincere i suoi soldati (che sapeva insoddisfatti) a passare con lui. Non ebbe successo, ma le sue

parole, accolte al momento con derisione, tornarono forse alla mente dei legionari nei giorni seguenti, quando l’esercito di Ottaviano si schierò attorno alla città. Fu allora che, tra le fila di Lepido, iniziarono le diserzioni, così massicce e frequenti da convincere infine il governatore dell’Africa dell’inevitabilità della resa. Ottaviano accolse la decisione del collega con clemenza: lo spogliò della carica di triunviro ma gli lasciò quella di pontefice, confinandolo in un esilio non troppo aspro al Circeo, lungo le coste laziali. A questo punto, Ottaviano poteva dirsi soddisfatto: aveva eliminato Pompeo, cancellato uno dei triunviri, tenuto lontano dall’Italia l’altro; la strada per diventare l’unico padrone di Roma sembrava spianata. Ma ci sarebbero voluti altri cinque anni di guerra, e la vittoria navale di Azio su Marco Antonio, perché l’ascesa di Ottaviano potesse dirsi compiuta.

UN TEMPIO NEL MUNICIPIO Il tempio dorico della Concordia (V secolo a.C.) ad Agrigento. Dopo la conquista della Sicilia, Augusto trasformò l’ex colonia greca in un municipio romano.

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LA BATTAGLIA DI AZIO Lo scontro navale (31 a.C.) terminò con la vittoria di Ottaviano su Antonio e Cleopatra. Olio di Johann Georg Platzer. XVIII secolo. Victoria and Albert Museum, Londra.

AISA

GAIO GIULIO CESARE OTTAVIANO (63 a.C.-14 d.C.) in una moneta degli anni 2-4 d.C. Nel 27 a.C. il Senato gli conferì il titolo di Augusto.


ART ARCHIVE

IL TRIONFO DI AUGUSTO

AZIO

Lo scontro navale avvenuto davanti alle coste greche nel 31 a.C. pose fine ai sogni di grandezza di Marco Antonio e Cleopatra e aprì la strada al potere assoluto di Ottaviano, spianandogli la strada verso la costituzione dell’Impero CARLOS GARCIA GUAL TITOLARE DELLA CATTEDRA DI FILOLOGIA CLASSICA DELL’UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID


GIOVANNI RINALDI

IL FORO ROMANO Divenuto imperatore, Augusto rinnovò l’urbanistica di Roma e in particolare il Foro. Qui fece ricostruire la Basilica Emilia, completò la Basilica Giulia ed eresse il Tempio del divo Giulio in onore del padre adottivo.

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E

sistono battaglie memorabili passate alla storia come avvenimenti decisivi, in quanto la vittoria di una parte e la sconfitta dell’altra determinarono il futuro del mondo. Così avvenne negli scontri bellici di Salamina, Gaugamela o Waterloo e questo fu anche il caso della battaglia di Azio. Davanti a questo promontorio della Grecia occidentale, sulla costa ionica, il 2 settembre del 31 a.C. la flotta romana di Ottaviano ottenne una schiacciante vittoria sulle forze degli avversari, Marco Antonio e Cleopatra, costretti a una disastrosa ritirata. L’episodio delineò un nuovo orizzonte politico e aprì la strada alla creazione dell’Impero romano da parte di Ottaviano, divenuto Augusto. Tre anni prima si erano svolte le cosiddette “donazioni di Alessandria”, “una manifesta-

zione di arrogante e teatrale ostilità nei confronti di Roma”, come la definì Plutarco d’accordo con altri storici. Durante questa sontuosa celebrazione, Cleopatra era stata proclamata “regina dei re”, sovrana d’Egitto, Cipro, Libia e Celesiria (all’incirca gli attuali Libano e Palestina). Inoltre, aveva nominato reggente suo figlio Cesarione, avuto da Giulio Cesare, mentre agli altri figli avuti da Marco Antonio aveva concesso estesi possedimenti: ad Alessandro Helios i regni di Armenia, Media e Partia; a Tolomeo Filadelfo Fenicia, Siria e Cilicia e a Cleopatra Selene le province di Cirenaica e Libia. Sembrava prospettarsi un periodo di splendore per la dinastia tolemaica che, con sangue romano e sotto la protezione di Antonio, avrebbe retto in futuro tutto l’Oriente. Cleopatra si presentò sul trono vestita come Iside e Mar-


co Antonio si ergeva come un nuovo Dioniso. A Roma tali atteggiamenti tanto sfarzosi suonarono come il colmo dell’arroganza da parte della perfida regina egizia, che ancora una volta sfidava il potere della Repubblica assegnando a suo arbitrio ampi territori in parte o del tutto conquistati dalle legioni romane. L’abile Ottaviano cominciò allora a orchestrare una propaganda per provocare una tenace e ostile xenofobia, dipingendo la regina egizia come una lasciva seduttrice che aveva ammaliato il volubile Antonio, così come aveva fatto in precedenza con Giulio Cesare.

Cleopatra, l’enigma di Roma Fu così che, nel 32 a.C., Ottaviano esortò il Senato a dichiarare guerra a Cleopatra. In tal modo, a suo avviso, il conflitto in atto con Marco Antonio avrebbe assunto una parven-

za di lotta patriottica del popolo di Roma contro una minaccia straniera. L’alleanza che entrambi avevano stretto anni prima con Marco Emilio Lepido (il cosiddetto secondo triunvirato) si era inesorabilmente sciolta, soprattutto da quando Antonio aveva ripudiato sua moglie, la bella e casta Ottavia, sorella di Ottaviano, per unire fatalmente il suo destino a quello della regina d’Egitto. Ora, grazie a questa mossa, Ottaviano evitava di esporsi dichiarando “nemico pubblico” Antonio, ma di fatto intendeva privarlo del suo consolato entro il 31 a.C. e allo stesso tempo lo rendeva responsabile di qualsiasi azione contro i decreti senatoriali. Se Marco Antonio avesse affrontato con il suo esercito le truppe che, in nome di Roma e del Senato, erano capeggiate da Ottaviano, sarebbe diventato un traditore della patria, e se avesSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL DESTINO DEI FIGLI DI CLEOPATRA

I

FIGLI che Cleopatra ebbe dai condottieri

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romani subirono tragici destini. Il maggiore, Cesarione, nato dalla relazione con Giulio Cesare, a soli tre anni era stato nominato coreggente dalla madre. Ottaviano, non potendo certo permettere che da qualche parte esistesse un figlio naturale di Cesare, lo fece uccidere. Da Antonio, Cleopatra ebbe tre figli: Alessandro Helios, Cleopatra Selene e Tolomeo Filadelfo. Alla morte dei loro genitori, essi furono trasferiti a Roma e allevati da Ottavia, sorella di Ottaviano e moglie legittima di Antonio. Cleopatra Selene sposò poi il re Giuba II di Mauretania e il loro figlio, Tolomeo, ne ereditò il regno. Chiamato a Roma dal cugino Caligola, fu eliminato per ordine dell’imperatore, e il suo regno divenne una provincia romana. Non si conosce invece il destino di Alessandro Helios e Tolomeo Filadelfo, dei quali si persero presto le tracce.

RILIEVO DEL TEMPIO DI DENDERA, IN EGITTO. AL CENTRO VI SONO CLEOPATRA E CESARIONE, IL FIGLIO AVUTO DA CESARE.

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IL LEONE DI ANFIPOLI La statua, databile al IV secolo a.C., è situata a 50 km da Filippi, dove nel 42 a.C. si svolse la battaglia in cui Ottaviano e Antonio sconfissero gli assassini di Cesare.

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se tentato di invaderla avrebbe perso tutti i suoi sostenitori in Italia. Entrambi cominciarono così a reclutare poderosi eserciti. Antonio poté contare sui veterani romani che avevano riportato notevoli vittorie a Filippi (42 a.C.) contro Bruto e Cassio, gli uccisori di Cesare, e si erano battuti con valore contro i Parti. A questo nucleo aggiunse anche forze egizie e dell’Asia Minore. Da parte sua Ottaviano assemblò un potente esercito di soldati romani, rinforzato da milizie provenienti dalle province occidentali. Si delineava così uno scontro tra Occidente e Oriente, tra Roma e Alessandria. Se Antonio si diceva protetto da Dioniso, Ottaviano contava sul favore del dio Apollo. Il campo di battaglia prescelto non sarebbe stato né l’Italia né l’Africa, ma una zona intermedia della costa greca. Va ricordato che in Grecia i Romani avevano combattuto due battaglie

memorabili e decisive per l’Urbe: quella di Farsalo (48 a.C.), in cui Cesare sconfisse Pompeo, e quella di Filippi. Le forze di entrambi gli schieramenti erano formidabili. Nell’estate del 32 a.C. Antonio spostò il grosso del suo esercito sul Golfo di Corinto e sulla costa sud dell’Epiro. Disponeva di circa 100.000 legionari e 12.000 soldati di cavalleria, oltre a circa 500 navi e ai soldati egizi forniti da Cleopatra. Si trattava di diciannove agguerrite legioni e di una flotta tanto numerosa che non si vedeva dall’epoca delle guerre persiane, quasi cinque secoli prima. Da parte sua, Ottaviano riunì a Brindisi, da dove avrebbe attraversato il mar Adriatico, circa 80.000 soldati di fanteria e 12.000 di cavalleria, oltre a una flotta di quasi 400 navi, in genere più piccole di quelle di Antonio ma più maneggevoli, ben equipaggiate e con uomini perfettamente addestrati.


MAURITIUS

La flotta di Antonio si posizionò in un’ampia insenatura del Golfo di Ambracia (l’odierno Golfo di Arta), al cui angusto imbocco si trovava il promontorio di Azio che le truppe di Antonio fortificarono immediatamente.

Un’attesa carica di tensione Dal suo quartier generale di Patrasso, Marco Antonio permise che l’esercito di Ottaviano si spostasse dall’Italia alla costa dell’Epiro e che le sue truppe, salpate dal porto di Brindisi, sbarcassero senza contrattempi ad alcuni chilometri a nord di Azio, e montassero lì un accampamento ben fortificato. Le forze di Augusto inoltre si posizionarono nella vicina isola di frontiera di Corcira (Corfù), che garantiva una buona comunicazione con l’Italia meridionale. Il grande accampamento di Antonio si trovava invece a sud dell’imbocco del Golfo. Per alcuni mesi la situazione rimase in una

condizione di nervosa attesa, tranne alcuni scontri di poca importanza. Durante l’autunno e l’inverno le tempeste che infuriarono nella zona impedirono un combattimento navale in piena regola, mentre in estate il mare calmo e la mancanza di vento lo resero molto difficile. Alla lunga, la poca azione e il periodo di stasi condizionarono negativamente le truppe di Antonio concentrate nella zona, obbligate a rimanere inattive e con problemi di rifornimenti. Ottaviano, cosciente di essere più abile come politico che come stratega, lasciò nelle mani del suo fedele luogotenente Marco Vipsanio Agrippa (lo stesso che avrebbe costruito il Pantheon a Roma) il comando dell’ultima parte della campagna. Agrippa agì con velocità e con grande perizia tattica. Appena terminato l’inverno, salpò per la Grecia con un’agile flotta di galere piccole e veloci, le liburne.

TEMPIO DI APOLLO A CORINTO Corinto, capitale della provincia romana dell’Acaia, venne occupata dalle truppe di Ottaviano capeggiate da Agrippa nel 31 a.C., poco prima dello scontro finale ad Azio.

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LA QUINQUEREME DI

2 1

3

Dopo la guerra contro Cartagine nel III secolo a.C., Roma capì l’importanza di poter disporre di una grande flotta. Intraprese dunque un vasto programma di costruzione di imbarcazioni, soprattutto quinqueremi. Derivate dalle triremi, le quinqueremi, lunghe fino a 60 metri, erano mosse da 270 rematori e potevano trasportare fino a 130 soldati. Ad Azio formarono il nucleo della flotta di Antonio.

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1 LA PRUA Una piccola vela legata a un albero permetteva di governare questo tipo di imbarcazione anche con venti contrari, sebbene non venisse usata durante i combattimenti.

2 IL CORVO Passerella mobile dotata di un uncino in ferro nella parte inferiore che permetteva di agganciare l’imbarcazione avversaria quando ci si avvicinava per abbordarla. Fu inventato dai Romani.


MARCO ANTONIO LA BUONA NAVE SECONDO SENECA A parere del filosofo latino, la nave perfetta “non è quella dipinta con smaglianti colori; né quella munita di rostro argentato o dorato; né quella che ha il cassero intarsiato d’avorio; né quella carica di dovizie regali; ma quella stabile e solida, che ha il fasciame robusto e perfetta tenuta; atta a resistere all’assalto delle onde; docile al nocchiero e non soggetta a troppa deriva”, (Lettere morali a Lucilio).

4

ILLUSTRAZIONE: NAVISTORY

6 5

3 I REMI La“quinquereme” (detta anche alla greca “pentera”) deve il suo nome al fatto che ogni sezione verticale di remi (con due o tre file) era mossa da cinque rematori.

4 LA VELA Un albero retrattile (che veniva smontato prima della battaglia) sosteneva una vela quadrata, sopra la quale ne venivano messe altre di forma triangolare o trapezoidale.

5 LE TORRI I combattenti potevano lanciare proiettili contro i nemici dall’alto di alcune torrette smontabili, che venivano poste all’occorrenza sopra coperta.

6 LA POPPA La struttura della poppa nel corso del tempo si semplificò e la chiglia assunse una forma più piena. Qui erano collocate la tenda del comandante e lo stendardo.

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NASA

IL GOLFO DI AZIO Il luogo che fu teatro della definitiva vittoria di Ottaviano su Antonio e la regina egizia corrisponde all’odierno Golfo di Arta in Grecia, noto anche come Golfo di Ambracia.

Agrippa si impossessò prima del porto di Metone (vicino a Capo Tenaro, a sud est del Peloponneso) e di una serie di navi nemiche provviste di viveri, poi conquistò la rocciosa isola di Leucade: in questo modo ottenne l’interruzione delle comunicazioni e impedì l’arrivo dei rifornimenti che Antonio stava aspettando dall’Egitto. Più tardi Agrippa conquistò Patrasso e Corinto. Con queste mosse aveva messo sotto assedio l’esercito di Antonio, che ben presto cominciò a soffrire per la mancanza di rifornimenti, mentre la sua grande flotta immobilizzata nel Golfo di Ambracia pativa la morsa dell’afa estiva.

Un esercito demoralizzato Nell’accampamento di Antonio la situazione e il morale della truppa non facevano che peggiorare. Alcuni dei generali, come Canidio, erano dell’idea di smontare l’accampamento 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

e dirigersi a nord verso la Tracia, tentando così una battaglia via terra ed evitando il rischio di uno scontro navale. Sostenevano infatti che le truppe avevano dimostrato il loro valore agli ordini di Antonio in scontri terrestri, mentre temevano un fallimento sul mare, data la loro inesperienza. “Comandante”, aveva detto un centurione ad Antonio, mostrando le ferite riportate combattendo al suo fianco, “perché non ti fidi più di queste cicatrici e di questa spada, e riponi le speranze in cattivi legni?”. Cleopatra tuttavia era di parere opposto e rammentava che lei forniva numerose navi e un enorme tesoro per finanziare la campagna. Più di una persona consigliò ad Antonio di far tornare Cleopatra in Egitto per potere agire con più libertà. Cominciarono così, a ritmo incessante, le diserzioni di alleati che passarono dalla parte di Ottaviano, tra cui persino alcuni vecchi amici di Antonio come Gneo Domizio Enobarbo. Inoltre iniziò una serie di infausti presagi. Pisaurum (l’odierna Pesaro), colonia fondata da Antonio, fu inghiottita da una voragine apertasi nel terreno, ad Alba una statua di Antonio sudò copiosamente, a Patrasso alcuni fulmini caddero sul tempio di Eracle e ad Atene una burrasca rovesciò la statua di Dioniso, il protettore di Antonio, che cadde nel teatro. La regina, malgrado tutto, riuscì a imporre la sua volontà: fu deciso che la grande battaglia avrebbe avuto luogo lì, così la flotta avrebbe potuto vincere sul mare alle porte di Azio. Non appena terminarono i temporali di fine agosto la flotta di Antonio prese il mare. Era il 2 settembre del 31 a.C. Dopo aver fatto bruciare tutte le navi che non erano in condizione di navigare, il resto della flotta avanzò dapprima a forza di remi, poi spinto dal vento del nord. In totale Antonio disponeva di 400 navi, in maggioranza di grandi dimensioni, dotate di tre, cinque e anche otto o dieci file di remi. Tutte erano provviste delle abituali macchine da guerra e trasportavano da 20.000 a 30.000 legionari, oltre ai vogatori. Erano munite delle vele necessarie per una lunga traversata. La flotta di Ottaviano, che disponeva di un numero di imbarcazioni analogo pur se più piccole e più leggere e con provviste meno abbondanti, retrocedette per fare in modo che il combattimento si svolgesse in mare aperto.


Il tempio al tramonto Inizialmente si credeva che il tempio greco innalzato all’interno del recinto sacro fosse dedicato alla dea Iside, ora si pensa piuttosto a Osiride, il dio egizio dell’oltretomba.

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Il cimitero Le ricerche hanno riportato alla luce all’esterno del recinto del tempio quasi 30 tombe di personaggi di classe elevata che forse vollero essere sepolti vicino a un sovrano: Cleopatra.

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Veduta degli scavi Kathleen Martínez effettuò scavi nel tempio nel 2005. Trovò tre depositi con resti associabili al re Tolomeo IV (III secolo a.C.), segno del legame di questo luogo con i re di stirpe tolemaica.

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ILLUSTRAZIONI: FERNANDO G. BAPTISTA / NGS

L

’UBICAZIONE DELLA TOMBA di Cleopatra continua a essere un mistero ancora oggi. Gli storici Cassio Dione e Plutarco, riferendosi alla morte della sovrana, affermano che fu sepolta insieme a Marco Antonio, in un mausoleo che la regina aveva ordinato di costruire per entrambi, ma non ne chiariscono la localizzazione. Di recente, un’archeologa dominicana, Kathleen Martínez, ha richiamato l’attenzione su un tempio situato nell’antica città di Taposiris Magna (l’odierna Abusir), 45 chilometri a ovest di Alessandria. Martínez crede che la regina avesse ordinato di costruire in segreto il suo mausoleo in questo luogo, che per lei aveva un profondo significato religioso. Tuttavia, altri studiosi pensano che sia più probabile la sepoltura di Cleopatra nella città stessa di Alessandria. Per esempio, l’archeologo francese Franck Goddio ritiene che il mausoleo possa trovarsi sotto le acque della baia di Alessandria, nel punto in cui anticamente affiorava l’isola di Antirrhodos, sede del palazzo di Cleopatra, oggi sommersa.

L’interno del tempio Sono stati scoperti, all’interno del tempio, alcuni pozzi, utilizzati come tombe. Gli archeologi ritengono che Cleopatra e Antonio possano essere stati sepolti in pozzi simili a questi.

Sulle orme della regina Kathleen Martínez ha seguito varie piste per dare un fondamento scientifico alla sua teoria, anche se secondo alcuni studiosi in realtà Cleopatra fu sepolta ad Alessandria.

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LA TOMBA DI CLEOPATRA

KENNETH GARRETT/NGS/CORBIS

UN MISTERO IRRISOLTO


Movimenti dell’esercito e della flotta di Marco Antonio Movimenti della flotta di Ottaviano Insteio Comandanti

Golfo di Arta Accampamento di Ottaviano

A z io

Ancoraggio

Baia di Gomaro

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Antonio e Publicola

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CARTOGRAFIA: EOSGIS

Insteio

Arrunzio

Agrippa

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Cleopatra


CRONOLOGIA DELLA BATTAGLIA

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L’uomo chiave nella vittoria di Ottaviano ad Azio fu il suo inseparabile luogotenente Marco Vipsanio Agrippa. La loro collaborazione risale alla fine del governo di Cesare, per il quale combatterono entrambi. Alla morte del dittatore, quando Ottaviano si lanciò alla conquista del potere, Agrippa si rivelò il suo più valido generale e consigliere. In particolare, Agrippa ebbe un ruolo importante nell’ambito delle guerre navali, in cui introdusse importanti innovazioni sia negli armamenti sia nella strategia. Fu grazie a queste innovazioni che, nel 36 a.C., la flotta di Agrippa sconfisse quella di Sesto Pompeo a Milazzo e a Nauloco, nella Sicilia del nord, permettendo così a Ottaviano di rafforzare la sua posizione di potere a Roma. Anche nella campagna finale di Ottaviano contro Marco Antonio e Cleopatra, Agrippa prese il comando delle operazioni. A capo di una potente e agile flotta conquistò importanti località greche come Modone, Corfù, Patrasso e Corinto. Proprio di fronte a Patrasso combatté una battaglia navale in cui sconfisse uno degli ammiragli di Marco Antonio, Quinto Nasidio. Infine Agrippa fece rotta verso Azio, dove si erano concentrate le forze di Marco Antonio, e si ricongiunse con il resto dell’armata di Ottaviano. Nella battaglia finale, il 2 settembre del 31 a.C., i suoi abbordaggi dall’ala sinistra della flotta furono determinanti per la vittoria di Ottaviano.

Golfo di Ambracia

Accampamento di Antonio

o

a

1 L’attacco terrestre Nella primavera del 31 a.C., Antonio diede ordine di avanzare lungo la strada che costeggiava la baia per raggiungere le sorgenti di acqua dell’accampamento di Ottaviano, ma un generale di quest’ultimo, Statilio Tauro, lo respinse.

Sosio

io

Ottaviano e Lurio

Leuca

2 Il primo attacco La mattina del 2 settembre la flotta di Antonio uscì dal Golfo di Ambracia. Il combattimento si prolungò fino a mezzogiorno con un primo avanzamento del generale Gaio Sosio a cui seguì una manovra di accerchiamento di Agrippa. 3 La fuga di Cleopatra Approfittando di un rischieramento delle flotte di Ottaviano e Arrunzio, Cleopatra fuggì con le sue 60 navi. Marco Antonio la seguì immediatamente portando con sé altre 40 imbarcazioni. 4 La resa Abbandonate dai loro capi, le truppe di Antonio continuarono a combattere fino a sera. Il giorno dopo si arresero e Agrippa si impossessò di 140 navi che Ottaviano ordinò di bruciare.

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K. GARRETT / NGS

NEL CORSO DELL’ ASSALTO INIZIALE, MOLTO CRUENTO, ANTONIO PERSE DIECI O QUINDICI IMBARCAZIONI TESTA DI ISIDE, IDENTIFICABILE FORSE CON CLEOPATRA. I SECOLO A.C.

Marco Antonio schierò sei squadre allineate per lo scontro. Egli stesso era a capo dell’ala destra con 170 navi proprio davanti all’ala sinistra della flotta romana comandata da Agrippa. Ottaviano invece si trovava sull’ala destra. Le navi egiziane di Cleopatra, circa 60, rimanevano nelle retroguardie dell’estesa armata di Marco Antonio. Inizialmente l’intenzione era quella di circondare l’ala sinistra romana, permettendo così alla flotta egizia di avanzare sulla sinistra e, riempiendo il vuoto lasciato al centro, di tagliare in due il fronte nemico. Fu così che le navi di Antonio avanzarono, mentre quelle di Ottaviano restarono in attesa dello scontro. Plutarco descrive minuziosamente la scena: “Dopo aver passato in rassegna il resto della flotta schierata, Ottaviano rimase sorpreso nel vedere i nemici immobili nello Stretto perché le navi si presentavano ai suoi occhi come se avessero gettato l’ancora e fossero ferme lì. A vedere questo mantenne le sue navi lontane circa otto stadi [1400 metri] da quelle nemiche”.

Una battaglia impari Continua Plutarco: “All’ora sesta, quando cominciò a soffiare la brezza marina, gli uomini di Antonio, incapaci di tollerare oltre l’attesa e facendo affidamento sull’altezza e sulle dimensioni delle loro navi, che credevano inespugnabili, mossero l’ala sinistra. Ottaviano se ne rallegrò e fece retrocedere da poppa la sua ala destra con l’intenzione di trascinare ancora di più i suoi nemici fuori dal golfo e, dopo averli circondati con le sue maneggevoli imbarcazioni, di lanciarsi all’attacco di navi che la pesante mole e lo scarso equipaggio rendevano lente e difficili da manovrare”. La battaglia fu all’inizio molto cruenta. Antonio perse nell’assalto iniziale dieci o quindici imbarcazioni, mentre la sua nave ammiraglia rimase bloccata da un harpax (rampone), una sorta di gancio di ferro per l’abbordaggio inventato da Agrippa, ed egli si dovette sposta34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

re su un’altra nave. Sia Cassio Dione sia Plutarco sottolineano questa differenza di dimensioni e maneggevolezza tra le navi dell’una e dell’altra flotta, che fu ciò che conferì al combattimento un aspetto particolare. Le imbarcazioni romane, più agili e basse, attaccavano le nemiche più grandi cercando di rompere le file dei remi, spesso senza portare a termine l’abbordaggio, mentre i nemici dalla loro altezza li respingevano lanciando fuoco, proiettili e pietre con le loro macchine da guerra. Cassio Dione descrive in modo vivido la mischia che si produsse: “In uno degli schieramenti vi erano piloti e rematori, quelli che sopportavano le maggiori pene e fatiche, nell’altro c’erano i marinai. Il primo si muoveva in modo simile alla cavalleria con cariche e repentine ritirate, il secondo sembrava invece una formazione di fanteria armata pesantemente, che difendeva la posizione tentando di respingere il nemico…”. Plutarco fornisce un resoconto simile: “La lotta, quindi, era simile a un combattimento terrestre o, per così dire, a un assalto di un muro di cinta poiché tre o quattro navi di Cesare attaccavano insieme una sola di quelle di Antonio usando scudi di vimini, lance, aste e proiettili incendiari, mentre quelle di Antonio sparavano con le catapulte dalle loro torri di legno. Quando Agrippa estese l’ala sinistra in una mossa avvolgente, Publicola [che era a capo dell’ala destra di Antonio], costretto ad avanzare verso di lui, rimase separato dalla flotta centrale, che nella confusione si lanciò verso le navi di Arrunzio”.

La fuga di Antonio e Cleopatra La battaglia era ancora in atto e si combatteva furiosamente su tutto il fronte, quando Antonio si accorse che alcune delle sue navi stavano retrocedendo o si stavano arrendendo, mentre le 60 navi di Cleopatra prendevano la fuga verso sud, a vele spiegate, approfittando del vento che soffiava da nord e dello spazio


IL FARO, UNA MERAVIGLIA DEL MONDO Torre cilindrica, o lanterna, alta 15 metri

Delta del Nilo Alessandria CARTOGRAFIA: EOSGIS

ubicato sull’isola di Pharos alla quale deve il suo nome, fu la costruzione più celebre dell’antico Egitto. L’edificio fu fatto erigere intorno al 300 a.C. da Tolomeo I Sotere, il fondatore della dinastia di cui Cleopatra fu l’ultima regina. Di dimensioni imponenti, la sua luce era visibile fino a 50 chilometri di distanza. Il faro venne distrutto verso il 1480 dal sultano mamelucco Qait Bay che nel sito edificò una fortezza.

Statua di Zeus Soter

EGITTO

Torre ottagonale, alta 34 metri

Torre principale, alta 71 metri

AQUARELLE DE JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE.

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IRAMIDI A PARTE, il Faro di Alessandria,

Scalinata d’accesso.

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RAFFAELLO BENCINI/ARCHIVI ALINARI, FIRENZE

OTTAVIANO AVEVA RAPIDAMENTE INFRANTO IL SOGNO DI ANTONIO E CLEOPATRA

che si era aperto a sud durante le varie fasi del combattimento. I suoi peggiori timori si stavano avverando. Persa la fiducia nelle proprie forze, egli stesso con la sua nave abbandonò il fronte e prese il largo all’inseguimento della flotta egizia. La sua decisione seminò il panico tra le navi rimaste, alcune delle quali lo seguirono. La rapida corsa di Antonio verso la galera di Cleopatra, l’Antonia, gli consentì di raggiungerla. Dopo essere salito a bordo si sedette a prua, solitario e silenzioso, con la testa tra le mani e senza voler vedere nessuno, riflettendo per ore sul suo fallimento. Sono state fornite diverse interpretazioni di questo sorprendente episodio. Secondo alcuni storici, fin dall’inizio Antonio avrebbe previsto la possibilità, magari come seconda alternativa, che le navi di Cleopatra con il suo tesoro ritornassero in Egitto nel caso in cui lo sviluppo del combattimento si fosse volto a loro sfavore. Dunque egli agì in accordo con la regina nel momento in cui si rese conto che alcune navi del suo fronte stavano disertando e non poteva più sperare in una vittoria nella prima fase dello scontro. Per altri storici antichi (come Plutarco e Cassio Dione, che descrivono dettagliatamente lo scontro, ma che sicuramente lo fanno dalla parte di Roma e condizionati dalla propaganda ufficiale), la fuga fu un’iniziativa della stessa Cleopatra, che abbandonò la battaglia forse per panico e pensando a salvare le sue imbarcazioni e le sue ricchezze, mentre l’impulsivo Marco Antonio l’avrebbe seguita mosso dalla sua passione amorosa, senza pensare alle conseguenze delle sue azioni. Il combattimento durò ancora per ore, finché le forze di Antonio si arresero completamente. Il numero dei morti non fu molto alto, considerando la ferocia dello scontro: tra i 5000 e i 10.000 tra i vinti e un numero minimo, che 36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AKG/ALBUM

AUREO CON IL PROFILO DI ANTONIO. ISECOLO A.C., NAPOLI.

non è noto, tra i vincitori. Circa 300 navi furono il bottino di guerra di Ottaviano, che ne fece bruciare la maggior parte e inviò a Roma i rostri delle prue per decorare il tempio del Divo Giulio, ovvero Gaio Giulio Cesare.

Il suicidio degli amanti Ottaviano aveva rapidamente infranto il sogno di Marco Antonio e Cleopatra. Le truppe del grande esercito di Antonio, rimaste in territorio greco, demoralizzate e isolate, ben presto si sottomisero al vincitore di Azio (e al Senato romano). Il loro capo Canidio riuscì con molta difficoltà a scappare e a raggiungere l’Egitto. Anche altre undici legioni che si trovavano in Cirenaica e in Libia, e che all’inizio sarebbero dovute servire ad Antonio per difendere il nord dell’Africa, passarono dalla parte del vincitore, che in definitiva era colui che garantiva l’ordine e il trionfo.


LA MORTE DELL’ULTIMA REGINA EGIZIA

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D

OPO LA SCONFITTA AD AZIO, Antonio e Cleopatra attesero la fine ad Alessandria. Pare che la regina passasse le giornate sperimentando i veleni più dolci e più letali sui condannati a morte. Ma non ebbe molto tempo, poiché all’inizio del 30 a.C. Ottaviano giunse in Egitto. Cleopatra, in uno strenuo tentativo di salvare il suo regno, gli inviò il suo scettro e il suo diadema; intanto, Antonio cercò di trattenere l’avanzata del rivale, ma, nuovamente sconfitto, si suicidò. Infine, Ottaviano entrò ad Alessandria e catturò Cleopatra, con l’intento di portarla a Roma per celebrare il trionfo. Ma la regina, troppo orgogliosa per rischiare un simile affronto, pose fine ai suoi giorni, facendosi mordere da un aspide che le fu recapitato nascosto in una cesta di fichi. Su un braccio furono rinvenute due punture, ma i medici non riscontrarono alcuna traccia di veleno.

IL FUNERALE DI CLEOPATRA IN UN DIPINTO DI FREDERICK STIBBERT, 1860-1870. FIRENZE, MUSEO STIBBERT.

Così per alcuni mesi Ottaviano si dedicò ad accettare la resa della maggior parte delle truppe di Antonio e strinse patti con i suoi alleati. Infine si diresse in Egitto, dove avrebbe dovuto svolgersi l’ultimo atto della guerra. Dopo lo sbarco, nella prima fase dell’avvicinamento ad Alessandria la sua avanguardia fu sconfitta dalla cavalleria di Marco Antonio, ma ben presto Ottaviano riuscì a stringere d’assedio con le sue truppe la città egizia. Un’offensiva disperata di Antonio contro il generale di Ottaviano, Pinario, fallì clamorosamente e gli fece perdere definitivamente le poche truppe che gli rimanevano. Il destino dell’antico triunviro era segnato, e con esso quello della regina egizia. La cupa atmosfera che seguì alla fuga da Azio lasciava presagire la fine dei due amanti. Fu indubbiamente un epilogo di tragica grandezza: Antonio si suicidò con la sua stessa spada,

vedendosi non solo vinto, ma anche abbandonato dall’amata, e soffrì una dolorosa agonia, mentre Cleopatra, sola e prigioniera di Ottaviano, alcuni giorni dopo si dette la morte, forse con il morso di un aspide. Il suicidio di Cleopatra impedì a Ottaviano di completare il suo trionfo a Roma esibendo la grande nemica in una sfilata trionfale. Egli, unico erede politico di Cesare, permise, in un gesto di magnanimità, di far sotterrare insieme i due amanti, ma ordinò in segreto l’uccisione del giovane Cesarione, l’unico che avrebbe potuto rivendicare la successione a Cesare. Poi fece annettere a Roma, nel 30 a.C., il regno d’Egitto, non in qualità di provincia ma come possedimento personale, con un governatore eletto da lui stesso. Nel 27 a.C. il Senato conferì al vincitore di Azio il titolo onorifico di Augusto, e lo consacrò di fatto primo imperatore romano. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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S. VANNINI/CORBIS/CORDON PRESS

TESTA IN BRONZO DI AUGUSTO Fu rinvenuta a Meroe (vicino a Shendi) nell’Alta Nubia (Sudan) ed è databile al 27-25 a.C. circa. British Museum, Londra.


AUGUSTO IL PRINCEPS Abilissimo uomo politico, rifondò lo Stato romano dopo gli sconvolgimenti delle guerre civili. Con il suo principato riuscì a trasformare di fatto, senza traumi istituzionali e sociali, la Repubblica in una monarchia e garantì a Roma un periodo di pace MASSIMO BOCCHIOLA, MARCO SARTORI STORICI E SCRITTORI


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a casa dell’imperatore Augusto si trovava sul colle Palatino dove Roma era stata fondata nel 753 a.C. Il luogo non poteva essere più suggestivo: non era affacciato sul Campidoglio o sul Foro, ma verso il guado del Tevere dove si trovavano le memorie più antiche della città. Qui passava infatti la via Salaria, qui c’erano i depositi di una materia prima preziosissima, il sale, che rendevano il sito strategicamente importante e giustificavano la nascita di una prima struttura urbana e politica sul colle che li sovrastava. Inoltre qui, secondo la leggenda, Evandro, re degli Arcadi, giunto dalla Grecia con il figlio Pallante, aveva fondato una città di nome Pallantium che avrebbe poi dato il nome al luogo: Palatium, dal quale deriva il termine “palazzo” e dove avrebbero avuto sede le dimore degli imperatori. Ma soprattutto qui c’era la grotta-santuario del Lupercale, il luogo dove, secondo il mito, i due gemelli Romolo e Remo erano stati allattati dalla lupa. Nel 2007 una spettacolare indagine archeologica con una sonda laser ha individuato nelle viscere del Palatino, a 10,5 metri di profondità rispetto alla sommità del colle, una grotta in parte naturale e in parte artificiale, alta circa 9 metri e con un diametro di 7,5 metri.

Secondo un’ipotesi affascinante dell’archeologo Andrea Carandini, si tratterebbe proprio del Lupercale che Augusto non solo avrebbe inglobato nella sua residenza, ma che avrebbe fatto decorare con mosaici colorati e con l’aquila bianca, simbolo dell’imperatore. Sempre gli archeologi sostengono che in realtà Augusto costruì due case nello stesso luogo, e che entrambe sono lo specchio di due precisi progetti politici. La prima venne edificata dal 42 a.C., mentre il futuro Augusto era ancora uno dei signori della guerra che si contendevano il potere con 40 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN/INDEX

La residenza sulla grotta di Romolo


ROMOLO E REMO I due gemelli, allattati dalla lupa, vengono trovati dal pastore Faustolo sulle rive del Tevere. Affresco di Giuseppe Cesari (1568-1640). Palazzo dei Conservatori, Roma.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ARALDO DE LUCA

IL COLLE PALATINO in un affresco del XVI secolo. Ottaviano nacque qui nella zona chiamata Ad capita bubula (“teste di bue”) dove, dopo la sua morte, fu eretto un santuario in suo onore. Casino di Giulio III, Villa Giulia, Roma.

42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

la violenza: il giovane Ottaviano si impadronì di cinque case appartenenti a nobili proscritti e le inglobò in un progetto grandioso di palazzo a due peristili laterali e due piani, sul modello delle regge ellenistiche. Una casa adatta a un giovane ambizioso, audace, abituato a muoversi ai limiti della legge (e più volte nell’illegalità), che si presentava sempre più come eroe italico e che, dei due corpi della casa, abitava quello simbolicamente più vicino ai luoghi della fondazione di Roma, distanti appena una ventina di metri, dove la tradizione poneva la capanna di Romolo, la fossa e l’ara della Roma quadrata. Poi, nel 36 a.C., il cambiamento. Un fulmine colpì la dimora di Ottaviano, che interpretò il segno come la volontà di Apollo di avere una parte della casa per sé. Si sospesero i lavori e si rinnovò completamente il progetto triplicando l’area (più di

24.000 metri quadrati) con un nuovo piano di costruzioni che si protrarrà fino al 12 a.C., anno nel quale Augusto avrebbe assunto la carica di pontifex maximus. Si trattava di un vero e proprio palazzo, in cui si distinguevano: una domus privata, sede delle divinità private dell’imperatore, cioè il Genio (nume tutelare personale) e i Lari (numi tutelari della famiglia), più piccola della precedente; una domus pubblica collegata con il tempio di Vesta, la dea del fuoco sacro custodito dalle Vestali, e dei Penati di Roma, destinata al pontifex; e infine una parte sacrale, con il tempio di Apollo, una curia e due biblioteche dove il princeps radunava il Senato. Il palazzo voleva costituire così una dimora-santuario affacciata tramite una loggia sul sottostante Circo Massimo dove l’imperatore poteva entrare in contatto con il popolo. Si trattava quasi una polis in miniatura, insomma,


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LA DOMUS AUGUSTEA SUL PALATINO A DOMUS AUGUSTEA 1, collocata sul versan-

te sudoccidentale del Palatino, si sviluppava attorno a tre cortili porticati e racchiudeva gli appartamenti privati dell’imperatore. La casa era il risultato dell’unione di vari edifici preesistenti dell’epoca repubblicana, che Augusto fece accorpare a partire dal 36 a.C. Dal portico curvo 2 della Domus Augustea si godeva un’eccellente veduta sul Circo Massimo 3. Ecco come Svetonio descrive la casa di Augusto: “Le suppellettili e l’arredamento [della casa di Augusto] erano semplicissimi, come si può vedere dai letti e dai tavoli rimasti ancora oggi, la maggior parte dei quali a stento appartengono ad una eleganza privata. Dicono che dormisse su un letto con modeste coperte”.

W. FORMAN/BRIDGEMAN/INDEX

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Vista ampliada

UNA ROMA DI MARMO “Ho trovato una città di mattoni e ne lascio una di marmo”, disse Augusto. Sopra, una ricostruzione della Roma imperiale post-augustea (il Colosseo, per esempio, è di Età flavia). APOLLO CONTRO ERCOLE Il dio e il semidio si contendono il possesso del tripode delfico, sul quale sedeva la Pizia. Placca di terracotta proveniente dal colle Palatino. Antiquario palatino, Roma.


GEORGE STEINMETZ/CORBIS/CORDON PRESS

IL TEMPIO DI PHILAE Presso il tempio dedicato a Iside, nel 29 a.C., venne eretta una stele trilingue (geroglifici, latino e greco) sulla quale è presente un cartiglio con il nome di Augusto.

DE AGOSTINI

CICERONE, NEMICO DI ANTONIO Il celebre oratore fu tra le vittime delle proscrizioni seguite al Secondo triunvirato. Busto di marmo del I secolo a.C. Musei Capitolini, Roma.

dove convivevano armoniosamente un Senato, gli dei, il popolo e il sovrano. Questa è la Roma dell’imperatore Augusto.

Ottaviano, il signore della guerra Gaio Ottavio Turino nacque proprio sul Palatino il 23 settembre del 63 a.C., l’anno del consolato di Cicerone e della congiura di Catilina, da Gaio Ottavio, un ricco uomo d’affari proveniente da Velletri che per primo nella sua famiglia aveva ottenuto la carica pubblica di senatore divenendo homo novus. La madre, Azia, era invece figlia di Giulia minore, sorella di Giulio Cesare. “Il ragazzo doveva tutto al nome che portava”, avrebbe detto, malevolo, Marco Antonio. In effetti fu questa parentela, unita al fatto che Cesare non avesse figli maschi legittimi, a segnare le fortune del giovane che seppe comunque accattivarsi l’ammirazione del

prozio raggiungendolo in Spagna a costo di un naufragio nella campagna contro i pompeiani. Dopo l’uccisione di Cesare alle Idi di marzo del 44 a.C., per testamento il giovanissimo Ottaviano venne adottato diventandone l’erede. In questo ruolo manifestò forza e prontezza di decisione pari a quelle del prozio. Appena diciottenne, sbarcato a Brindisi dall’Illiria dove era stato inviato da Cesare a preparare la spedizione contro i Parti, cominciò a destreggiarsi tra la gelosia di Marco Antonio, il pericolo rappresentato dai cesaricidi, il paternalismo di Cicerone, che gli si proponeva come padrino politico e, infine, gli inviti della madre alla prudenza. Ed ecco che in una situazione confusa, tra apparizioni di comete e giochi in onore del padre adottivo, Ottaviano spariglia il campo. In primo luogo si guadagna l’appoggio del popolo romano e dei veterani pagando con le proprie


4 Spagna. Tra il 29 e il 19 a.C., insieme ad Agrippa, Augusto sconfisse definitivamente Cantabri e Asturi. Fu così completata la conquista romana della Spagna.

7 Arco alpino. Augusto sottomise tutta l’area in una lunga serie di campagne militari. La conquista più importante fu quella della Rezia nel 15 a.C. 8 Armenia. Conquistata la regione, Augusto non ne fece una provincia ma uno Stato vassallo, affidandolo a Tigrane IV. Tale area rimase motivo di contesa tra Romani e Parti.

risorse i 300 sesterzi a cittadino promessi dal testamento dello stesso Cesare. Poi, comprendendo dove risiedeva veramente il potere, arruola a sue spese un esercito privato, in parte costituito da mercenari cesariani, e ne fa il punto di partenza per la propria ascesa al potere. Grazie all’appoggio dell’esercito può infatti forzare la situazione approfittando della morte dei consoli avvenuta nel 43 a.C. Al comando di otto legioni marcia direttamente su Roma e si fa eleggere console. Nel novembre del 43 a.C., Ottaviano formò a Bologna il triunvirato con Antonio e Lepido, antico esponente del partito cesariano, per governare Roma e spartirsi il potere. Si trattava di una istituzione illegittima, che in pratica segnò la fine della Repubblica: a Ottaviano spettarono l’Africa e le isole; a Lepido la Gallia Narbonense (Francia meridionale) e le province iberiche; ad Antonio la Gallia transalpina

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Domini di Roma al tempo del secondo triunvirato Conquiste permanenti di Augusto (27 a.C.-14 d.C.) Territori occupati temporaneamente Regni e territori vassalli

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3 Egitto. Vinti ad Azio nel 31 a.C. Antonio e Cleopatra, Ottaviano ridusse il Regno d’Egitto a provincia romana imperiale, ossia sotto un governatore scelto da lui.

6 Germania. I successi qui ottenuti da Druso e da Tiberio tra il 12 e il 7 a.C. furono resi vani dalla sconfitta di Teutoburgo (9 d.C.) in cui Roma perse contro i Germani 3 legioni.

MARE DEL NORD

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2 Italia. Nel 32 a.C. gli Italici giurarono fedeltà a Ottaviano, come lui stesso ricorda nelle sue Res Gestae. Forte di tale atto, mosse guerra contro Antonio.

5 Gallia. Tra il 16 e il 13 a.C. Augusto si fermò in Gallia e in Spagna. Egli riuscì a pacificare soprattutto la prima, dove si avviò un processo di profonda romanizzazione.

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1 Sicilia. A Nauloco nel 36 a.C. Ottaviano sconfisse Sesto Pompeo, che, occupate Sardegna, Sicilia e Corsica, minacciava con la sua flotta di affamare l’Italia.

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L’IMPERO ALL’EPOCA DI AUGUSTO

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CCO COME LO STESSO AUGUSTO descrive nelle Res Gestae le sue

conquiste militari e l’assetto che diede all’Impero: “Allargai i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le province della Gallie e delle Spagne, come anche la Germania nel tratto che confina con l’Oceano [...] Feci sì che fossero pacificate le Alpi [...] Aggiunsi l’Egitto all’Impero del popolo romano [...] Fondai colonie di soldati in Africa, in Sicilia, in Macedonia, in entrambe le Spagne, in Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia Narbonense [...]”.

(il resto della Francia e parte della Germania) e la Gallia cisalpina (Italia settentrionale). Per eliminare l’opposizione senatoria il triunvirato ordinò che fossero stilate liste di proscrizione: vennero assassinati centinaia di senatori e cavalieri e i loro beni furono confiscati. Fu anche l’occasione per regolare parecchi conti, tra cui quello con Cicerone, lasciato all’odio di Antonio e ucciso a Gaeta da un sicario mentre tentava di fuggire. La fine teorica della Repubblica venne decretata a Filippi nel 42 a.C.: i repubblicani sotto il comando di Cassio e di Marco Bruto vennero sconfitti definitivamente. In embrione vi erano già i futuri sviluppi che avrebbero condotto Ottaviano a ricevere il consenso di un’Italia in cui si vantava di aver restaurato l’ordine, e che avrebbero portato Antonio a coltivare, tra mollezze vere o presunte, l’amore di Cleopatra e il sogno di una nuova monarchia orientale. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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MARCELLO BERTINETTI

DAGLI ORTI/CORBIS/CORDON PRESS

CHI ERA VERAMENTE OTTAVIANO AUGUSTO MA CHI ERA VERAMENTE OTTAVIANO AUGUSTO? Qual era il suo

aspetto fisico? Ce ne lascia un ritratto dettagliato Svetonio nelle sue Vite dei dodici Cesari. Bello e distinto “in ogni periodo della sua vita”, secondo lo storico, era ben proporzionato malgrado la statura non eccelsa (sembra che ovviasse al limite con appositi calzari), aveva denti e orecchie piccoli, naso aquilino, sopracciglia unite, carnagione piuttosto chiara, capelli tendenti al biondo e al ricciuto. Non curava le acconciature, né l’eleganza degli abiti. Augusto morì quando stava per compiere 77 anni: dunque per l’epoca ebbe una lunga vita. Tuttavia Svetonio ce lo descrive di salute sempre cagionevole e, con l’età, tormentato da acciacchi e disturbi vari. Soffriva il caldo, il freddo, la troppa luce. Era temperante a tavola e con il vino, incline all’adulterio, clemente con i servi e semplice negli svaghi. Amava, troppo per i suoi critici, i bei mobili e il vasellame di pregio. BUSTO IN MARMO DI AUGUSTO. I SECOLO D.C. GLIPTOTECA DI MONACO DI BAVIERA.

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Nel 31 a.C., dopo undici anni di disaccordi e di guerra civile, Ottaviano inflisse una pesante sconfitta ad Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio. Egli concentrò così su di sé tutto il potere e scongiurò il pericolo che la regina egizia, appoggiata da Antonio, mettesse le mani su Roma. Come è stato scritto: “Poté allora nascere il mito della pax Augustea e del salvatore del mondo”.

L’Augusto In che cosa consiste veramente il potere dell’imperatore? E quali sono le basi politiche e sociali del suo potere? Vediamo innanzitutto il perché del suo nome. Ottaviano diventa Augusto nel 27 a.C. dopo aver rifiutato di riprendere il prestigioso, ma poco augurante, nome di Romolo. Romolo era troppo legato all’idea di monarchia assoluta, o tirannide, e in fin dei conti gli storici Plutar-


IL PALATINO E IL COLOSSEO In primo piano la Domus Augustea, la casa di Augusto, con la struttura a semicerchio e la grande residenza dell’imperatore, che si estende verso il Colosseo, con i resti dello stadio.

lo di qualsiasi altro magistrato, che gli dà in sostanza il comando dell’esercito. Allo stesso modo non è tribuno della plebe, ma detenendo il potere dei tribuni può convocare assemblee e proporre le leggi, e di fatto controllare magistrati e popolo. Si tratta di una soluzione forse ambigua (d’altra parte, la sfinge era il suo sigillo), ma i 41 anni di potere (dal 27 a.C. al 14 d.C., data della sua morte) e i 16 anni precedenti di lotte abituarono i cittadini al governo di uno solo.

CLIPEUS VIRTUTIS Copia in marmo dello scudo votivo d’oro dedicato dal Senato ad Augusto nel 26 a.C. e affisso nella Curia. Il nome deriva dall’elenco delle virtù del princeps incise sulla sua superficie. Musée départemental Arles antique, Arles.

Il nuovo ordine dello Stato Al di là dell’assetto costituzionale il nuovo ordine augusteo presupponeva un programma organico pensato fin dai primi tempi del suo potere e realizzato progressivamente nei suoi aspetti concreti. Lui stesso del resto dichiarava che organizzare un impero era compito più

DE AGOSTINI

co e Livio ci fanno pensare che questi fosse stato eliminato da una congiura dei senatori, proprio come Giulio Cesare. Augusto, o meglio l’Augusto, è invece una designazione religiosa e morale conferitagli dal Senato, il quale lo qualifica in questo modo come “venerato” alla stregua dei “luoghi religiosi dove sono conservati gli auguri”, dotato di una auctoritas (parola che deriva dalla stessa radice di Augustus) superiore a quella di tutti gli altri magistrati che pure sono suoi colleghi nelle cariche repubblicane. Lo schema costituzionale che Augusto mette a punto essenzialmente tra il 27 e il 23 a.C. prevede infatti che il principe non rivesta cariche nuove, ma cumuli i poteri che gli derivano da queste cariche. Così quando depone il consolato nel 23 a.C. riceve il potere proconsolare su tutte le province, un potere più grande ed esteso di quel-


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OTTAVIANO E CLEOPATRA Il dipinto raffigura il loro incontro nel palazzo della regina ad Alessandria. Olio su tela del pittore francese Louis Gauffier. XVIII secolo. Scottish National Gallery, Edimburgo.

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importante che conquistarlo. Tutto questo prevedeva prima di tutto la collaborazione dei due maggiori ordini repubblicani, ossia dei senatori e dei cavalieri. Al Senato, ampiamente rinnovato in seguito ai provvedimenti del triunvirato, restava l’ossequio formale e la responsabilità di governo che i singoli senatori assumevano sotto l’occhio vigile del sovrano. Essi rivestivano le cariche tradizionali (questura, edilità, pretura e consolato) in vista della nomina a governatori delle province come luogotenenti di Augusto, erano prefetti della città di Roma e sovrintendevano al rifornimento dell’Urbe. I cavalieri si erano invece trasformati da ceto di finanzieri in amministratori, e a loro, fedelissimi all’imperatore, erano riservate province minori in qualità di procuratori (Ponzio Pilato sarà più tardi uno di questi), ma anche i prestigiosi incarichi della prefettura del pre-

torio (la guardia imperiale) e della prefettura sull’Egitto, la provincia imperiale per eccellenza perché da lì partivano i rifornimenti di grano per il popolo di Roma. Uno Stato senza burocrazia non era dunque una debolezza, ma uno dei punti di forza del regime augusteo. I municipi italici infatti, immuni da tasse perché abitati da cittadini romani, godevano di ampie autonomie e di una posizione di prestigio derivante dal progetto di rigenerazione dello Stato: la tradizione religiosa, rurale e militare della Penisola era centrale già nei piani di Ottaviano contro i disegni di monarchia assoluta di Antonio. Le province erano grate all’imperatore perché questi aveva posto fine allo sfruttamento arbitrario che si era verificato nell’ultimo periodo della Repubblica, quando esse fungevano da serbatoio per gli arricchimenti personali: non lesinavano quindi i riconoscimenti, tra i quali nella parte orientale figurava spesso la divinizzazione dell’imperatore. Al consenso dei ceti dominanti provinciali e italici si aggiungeva il controllo ferreo dell’esercito di cui Augusto era imperator, comandante in capo. Il princeps riuscì a trasformare il legame clientelare che univa le legioni a lui, quale figlio adottivo di Cesare, in fedeltà verso la sua dinastia. Istituì tasse per il finanziamento dell’esercito, ma soprattutto non ne cedette mai il comando. Prova ne è che il diritto alla cerimonia del trionfo venne di fatto tolto ai singoli generali e riservato alla famiglia imperiale, come fu sottratto alle pericolose iniziative dei generali e riservato al principe ogni provvedimento di ricompensa ai soldati congedati. Attuò insomma una riforma grandiosa dello Stato; solo così l’Impero poteva presentarsi come una compagine universale destinata a governare il mondo.

La politica estera e l’esercito Per nozione comune il nome di Augusto è sinonimo di pax Romana ed egli stesso nelle Res Gestae (il resoconto, redatto dallo stesso Augusto, delle opere compiute durante la sua carriera politica) dichiara che durante il suo Principato il Senato decretò per ben tre volte la chiusura del tempio di Giano a significare che la pace regnava su tutti i territori romani; mentre in precedenza, dalla fondazione dell’Urbe, era stato chiuso solo due volte.


LA RICOSTRUZIONE DELL’ ARA PACIS

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ARA PACIS, un recinto quasi quadrato in marmo di Carrara

L’INTERNO Il fregio superiore dei muri interni è decorato con festoni sorretti da bucrani, ossia da scheletri di teste di buoi.

L’ALTARE Si ergeva sopra una gradinata. I suoi rilievi rappresentano il sacrificio di un maiale, una pecora e un toro, un rito noto come suovetaurilia.

I PANNELLI ALLEGORICI Vicino alle porte ci sono rilievi che richiamano le origini della famiglia Giulia e la politica di Augusto.

DEA/ALBUM

con al suo interno un altare posto su un podio, fu dedicato nel 9 a.C. per commemorare le vittorie di Augusto in Spagna e in Gallia. La trasformazione urbanistica del Campo Marzio, dove l’altare era stato eretto, e il fango che il Tevere sollevava a ogni piena causarono la sua scomparsa. Quando nel 1933 iniziarono i preparativi per la celebrazione del bi-millenario della nascita di Augusto, il regime fascista si pose come priorità assoluta quella di scavare e ricostruire l’Ara Pacis, i cui pannelli erano ricomparsi a partire dal XV secolo.

IL FREGIO DI ACANTO La decorazione vegetale sui muri esterni allude all’abbondanza che seguì la pacificazione dell’Impero.

LA PROCESSIONE SACRA I rilievi esterni mostrano la famiglia imperiale vicino ai membri dei principali collegi sacerdotali. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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MECENATE, LEALE AMICO E CONSIGLIERE

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ART ARCHIVE

ugusto fu un accentratore del potere abile e spietato, ma non fu un tiranno. Anche per questo poté sempre contare sulla lealtà dei suoi più stretti collaboratori tra cui Agrippa e Mecenate. Se Agrippa è ricordato soprattutto per le sue doti militari, Gaio Clinio Mecenate rimane il simbolo per antonomasia dell’uomo ricco e potente che sostiene e “adotta” artisti, letterati e intellettuali. In particolare fu protettore di un gruppo di poeti, tra cui Virgilio, Orazio e Properzio. Per Mecenate la protezione e il sostegno non erano dettati solo dalla passione letteraria, ma anche da un lucido disegno politico: legare al princeps i loro beneficiari. Dopo le guerre civili la propaganda contava più delle armi per consolidare il potere: fu Mecenate a ispirare a Virgilio il passaggio alla poesia epica con fine celebrativo dell’Eneide, in cui si esaltano le origini di Roma e della famiglia di Augusto.

PUBLIO VIRGILIO MARONE IN UN MOSAICO DEL I SECOLO A.C. PROVENIENTE DA TREVIRI (GERMANIA).

DE AGOSTINI

UN SESTERZIO DI ETÀ AUGUSTEA L’imperatore è raffigurato con una corona d’alloro e con in mano uno scettro. Appare seduto su un trono posto su un carro trainato da quattro elefanti, alla guida di ciascuno dei quali vi è un auriga.

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Tuttavia le armi ebbero molta parte nelle vicende del Principato, nato da una serie di guerre civili (Svetonio ne elenca cinque dal 42 al 31 a.C., aggiungendo alle decisive battaglie di Filippi e di Azio anche quelle di Modena, Perugia e in Sicilia), e segnato da una serie di guerre di conquista e di difesa che portarono l’Impero romano a un’estensione geografica che mai era stata raggiunta prima. Augusto non fu un grande condottiero e poche volte, seppure con successo, guidò personalmente campagne militari: da giovane guidò una campagna in Cantabria (nella Spagna settentrionale) e, dopo aver sconfitto Antonio ad Azio (dove peraltro non combatté), solo in Dalmazia. Fu invece merito di Antonio la vittoria di Filippi (Bruto giunse perfino a saccheggiare l’accampamento di Ottaviano), e merito dei suoi luogotenen-

ti i successi ottenuti in Aquitania, in Pannonia (Ungheria occidentale), nell’Illirico e in Rezia (tra l’Italia nordorientale e la Baviera), come pure la sottomissione degli Stati alpini dei Vindelici e dei Salassi. Il primo scopo perseguito da Augusto con il prezioso aiuto di Marco Vipsanio Agrippa, il politico, generale e ingegnere romano tra i più fedeli ad Augusto nonché suo genero, fu il dominio definitivo sulle aree interne all’Impero che, per la posizione periferica o la conformazione del territorio, risultavano meno controllabili dall’autorità centrale. Sempre Svetonio ci informa che gli eserciti imperiali furono duramente impegnati a est, a tenere a bada le incursioni dei Daci e a respingere i Germani al di là del fiume Elba. L’aggressiva politica estera di Augusto non disdegnò la tattica consistente nel dislocare popoli sottomessi in territori più vulnerabili,


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con funzione di cuscinetto: fu così per le tribù galliche degli Ubii e dei Sicambri, alle quali fu imposto di trasferirsi presso il Reno. È anche vero che Augusto non era preda dell’ambizione di acquisire nuovi territori: non sempre i vantaggi economici dello sfruttamento di una nuova provincia giustificavano le spese necessarie alla sua amministrazione e, soprattutto, il dispiegamento delle truppe necessario a difenderla. Così, sempre nelle Res Gestae, egli ricorda di essersi ispirato al costume degli avi, cioè a una politica di alleanze e protettorati già praticata soprattutto sullo scacchiere orientale, in presenza di Stati organizzati e “civili”, non sottomettendo l’Armenia dopo l’uccisione di re Artaxias II (20 a.C.), ma appoggiando l’insediamento sul trono di suo fratello Tigrane, fedele a Roma. Ma qui viene da porsi una domanda. Su quali forze poté contare Augusto per compiere

tante conquiste e difendere lunghi confini e vasti territori, spesso abitati da popoli bellicosi tutt’altro che “romanizzati”? Facciamo un passo indietro. Alla fine della guerra con Antonio e Cleopatra, Ottaviano si trovò con un esercito smisurato, che contava dalle 60 alle 70 legioni regolari, ciascuna composta da 5-6000 uomini e suddivisa in 10 coorti, più altrettante truppe ausiliarie, e 900 navi da guerra. Lo Stato romano non poteva permettersi una struttura militare così costosa, oltre che potenzialmente a rischio di ammutinamenti e nuove guerre civili. Dunque Augusto ridusse drasticamente il numero delle legioni da 60 a 28. La Marina, il cui compito era difendere le coste italiane, aveva due basi principali: Miseno, nel Golfo di Napoli, e Ravenna nell’Adriatico, e altre flotte minori, la più importante delle quali con base a Forum Iulii, l’attuale Fréjus-

L’ARCO DI ORANGE nella città francese in Provenza. Fu probabilmente costruito dai veterani della II Legio Gallica (poi II Legio Augusta), stabilitisi nella città, tra il 10 e il 25 d.C. per celebrare l’instaurazione della pax Romana da parte di Augusto.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ERICH LESSING/ALBUM

IL PRINCIPATO SEGNÒ IL PASSAGGIO DALLA FORMA REPUBBLICANA A QUELLA DELL’ IMPERO SIGILLO DI AUGUSTO CON UNA SFINGE ALATA. I SECOLO D.C. MUSEO ARCHEOLOGICO, FIRENZE.

Saint-Raphaël, in Costa Azzurra. Quando il numero delle legioni fu tagliato, il periodo di ferma fu fissato a 16 anni (20 per gli ausiliari). Anche così, l’esercito costava sempre troppo: nel 5 d.C. Augusto pose fine all’usanza di donare ai veterani terre da coltivare assegnando a ciascuno un’indennità di congedo pari a 12.000 sesterzi, il soldo di dodici anni. Ma neanche le risorse del princeps si dimostrarono sufficienti. Così, per limitare le spese immediate, nel 6 d.C. la ferma fu allungata a 20 anni per i legionari e a 25 per gli ausiliari, e si costituì l’aerarium militare, cioè il Tesoro dell’esercito, al quale Augusto diede sostanza con una donazione iniziale di 170 milioni di sesterzi. I primi generali di Ottaviano furono gli amici della sua giovinezza: Marco Vipsanio Agrippa e Quinto Salvidieno Rufo. In seguito, durante il Principato, Augusto avrebbe affidato i più importanti comandi ai suoi figli adottivi Tiberio e Druso, che si coprirono di gloria in Pannonia e in Germania. In particolare Druso consolidò la presenza romana a est del Reno, facendo scavare il famoso canale dal Reno al Mare del Nord (la Fossa Drusi) per il transito delle navi. Come racconta Svetonio, “questo Druso fu questore e poi pretore, ed ebbe un comando in Rezia e poi in Germania, dove navigò come primo generale romano sopra l’Oceano Settentrionale, costruendo un canale artificiale che lo collegasse con il fiume Reno, in un’impresa colossale. Tale canale ancora oggi porta il suo nome”. Alla sua morte prematura (9 a.C.) le frontiere del Reno e del Danubio erano ormai saldamente presidiate da Roma. Secondo gli storici antichi gli eserciti di Augusto subirono solo due pesanti sconfitte, entrambe per mano di popoli germanici. La prima, nel 17 a.C., in Gallia, dove un esercito di Usipeti e Tencteri attraversò il Reno e distrusse una legione comandata dal legato Marco Lollio. La seconda, assai più grave, fu la 52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

battaglia della selva di Teutoburgo (bassa Sassonia) nel 9 d.C., orchestrata dal geniale principe dei Cherusci Arminio, che attuò un’imboscata alle tre legioni romane guidate dal governatore romano Quintilio Varo. L’esercito romano fu distrutto e Varo si tolse la vita. Secondo Svetonio la perdita delle legioni minacciò la sopravvivenza stessa dell’Impero e fece quasi impazzire di dolore Augusto: “Quando giunse la notizia... dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: ‘Varo rendimi le mie legioni!’”. Di certo, Roma non ebbe mai più il controllo dei territori a est del Reno.

La successione Il Principato instaurato nel 27 a.C. da Augusto segnò il passaggio dalla forma repubblicana a quella dell’impero, anche se egli non abolì formalmente le istituzioni repubblicane. Si pose così il problema della successione: l’aperta designazione di un erede avrebbe sancito l’esistenza di una monarchia ereditaria; d’altra parte non indicare nessuno avrebbe riaperto il clima da guerra civile seguito alla morte di Cesare. Augusto scelse lo strumento dell’associazione, cioè il trasferimento dei propri poteri alla persona che così ne sarebbe divenuta di fatto il successore. I possibili eredi furono molti, a cominciare dal nipote Marco Claudio Marcello e dal genero Agrippa, per seguire con il figliastro Druso. La morte di tutti costoro tuttavia fece alla fine ricadere la scelta sull’altro figlio di primo letto di sua moglie Livia Drusilla, Tiberio. Così, Augusto conferì a Tiberio i poteri (tribunicia potestas e imperium proconsulare maius), che lo elevarono al rango di coreggente. Il 19 agosto del 14 d.C. Augusto moriva e Tiberio ne divenne il successore assumendo ufficialmente il ruolo di princeps.


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IL TEATRO DI MARCELLO. Si racconta che, nel 17 a.C., durante una rappresentazione nel teatro da lui voluto ma non ancora finito, il suo posto d’onore cedette e Augusto cadde sulla schiena. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ASPETTO AUSTERO Questo busto in basalto databile al 31 a.C. raffigura l’imperatrice Livia come una matrona romana di epoca repubblicana, austera nell’aspetto e nella acconciatura. Museo del Louvre, Parigi.

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LA FAMIGLIA IMPERIALE nel Gran Cammeo di Francia: al centro del monile, suddiviso in tre fasce sovrapposte, si riconosconoTiberio e la madre Livia con alcuni familiari. 23 d.C., Musée des monnaies, médailles et antiques, Parigi.


ART ARCHIVE

LIVIA, SPREGIUDICATA E VIRTUOSA Dopo aver scandalizzato Roma per la sua relazione adulterina con Augusto, Livia divenne un esempio di virtù coniugale e, nel contempo, esercitò tutte le sue capacità d’intrigo per garantire al figlio Tiberio la successione JUAN LUÍS POSADAS RICERCATORE DI STORIA ANTICA


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nfranse schemi e convenzioni del suo tempo; con il suo comportamento spregiudicato generò maldicenze feroci e altrettanta ammirazione: Livia Drusilla, divenuta Livia Augusta in seguito al matrimonio con Ottaviano, ma universalmente conosciuta con il solo nome di Livia, è senza dubbio una tra le più affascinanti e controverse protagoniste della storia dell’antica Roma.

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Sulla sua figura, gli storici greci e romani hanno lasciato importanti testimonianze, dietro le quali è tuttavia difficile riconoscere la vera identità dell’imperatrice. Tacito e Svetonio, infatti, la presentano come una donna intrigante e priva di scrupoli, offrendone la visione poi resa celebre dallo scrittore Robert Graves (1895-1985) nel romanzo storico Io, Claudio. Occorre, tuttavia, considerare che la critica degli storici antichi rispondeva a un chiaro intento politico, quello di opporsi a un regime, il Principato, nel quale le donne, per la prima volta nella storia di Roma, non sarebbero state più soltanto madri e mogli, ma avrebbero iniziato ad avere un peso nella società, ottenendo due prerogative che da sempre erano ritenute soltanto maschili: esprimere le proprie opinioni e influire sulla vita politica.

Gli intrighi per la successione

NEI PANNI DI GIOVE L’imperatore Claudio, nipote di Livia, ascese al trono nel 41 d.C., dopo l’assassinio di Caligola. Qui è ritratto nei panni di Giove in una scultura del I secolo d.C. Museo Pio Clementino, Città del Vaticano. 56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Occorre perciò sfrondare le fonti antiche riguardanti Livia dai loro pregiudizi morali per conoscere questa donna, tanto influente al sorgere dell’Impero anche perché imparentata con due delle più potenti gens romane, quella dei Livii e quella dei Claudii. E fu grazie a lei che i suoi discendenti ebbero assicurata la successione, a scapito degli eredi di Augusto. La trama di relazioni familiari, matrimoni, figli e divorzi all’interno della famiglia imperiale fu talmente intricata che risulta arduo seguire i giochi di alleanze, così come tutte le possibili successioni. Basti dire che Augusto manipolò, con grande astuzia, le donne della sua famiglia, per essere certo di avere come erede al trono un esponente della sua dinastia; il tutto senza mai dare l’impressione che fosse

una successione di tipo monarchico, ma che al contrario avvenisse su base meritocratica. La discendenza diretta di Augusto si limitò a una sola figlia, Giulia, nata dal breve matrimonio (un anno) con la seconda moglie Scribonia. Per molto tempo, Augusto confidò di poter lasciare il potere nelle mani di qualcuno dei nipoti che Giulia gli aveva dato, attraverso il matrimonio con Marco Vipsanio Agrippa, uomo di fiducia dell’imperatore. Dopo la morte di questi (12 a.C.) arrivò ad adottarne due, Gaio e Lucio Cesare. Entrambi però morirono precocemente, e il terzo, Agrippa Postumo, cadde in disgrazia presso l’imperatore. Livia, la terza moglie di Augusto, che fino a quel momento si era tenuta in disparte, propose così la candidatura dei suoi due figli maschi avuti da un precedente matrimonio, e in particolare di Tiberio. Tutte le sue energie furono spese ad assicurarsi che l’imperatore prima lo adottasse e poi lo nominasse suo successore. Fu tale comportamento a valerle tra i contemporanei la fama di donna manipolatrice e malvagia, ma ciò non rende giustizia al ruolo significativo che essa svolse nella storia di Roma.

Figlia dell’aristocrazia romana Ma chi era questa donna così abile nelle manovre di palazzo, in una Roma che, con la nascita nel 27 a.C. dell’Impero di Augusto, sperimentava per la prima volta la vita di corte? Livia proveniva da due delle famiglie più influenti della Repubblica. Il padre, che in origine si chiamava Appio Claudio Pulcro, acquisì in seguito il nome di Marco Livio Druso Claudiano, essendo stato adottato da un tribuno amico del padre defunto.


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IL TEMPIO DI LIVIA E AUGUSTO Costruito tra il 20 e il 10 a.C. nella città francese di Vienne, era inizialmente consacrato alla dea Roma e ad Augusto. Solo nel 41 d.C., per volontà di Claudio, fu dedicato anche all’imperatrice Livia.


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LA PROTEZIONE DEI LARI Ara in marmo del I secolo d.C. consacrata ai Lares Augusti, divinità romane protettrici della stirpe imperiale e, per estensione, di tutti i cittadini dell’Urbe. Galleria degli Uffizi, Firenze.

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I Claudii e i Livii erano stati protagonisti della storia della Roma repubblicana per secoli. La madre, Alfidia, apparteneva a una famiglia laziale di minore lignaggio, ma altrettanto facoltosa. Da tale commistione di nobiltà e denaro, di orgoglio e pragmatismo, sarebbe nata la donna che avrebbe insegnato a generazioni di imperatrici come fare politica nell’ombra.

Le nozze del secolo Livia nacque il 30 gennaio dell’anno 58 a.C. A 16 anni, si sposò con Tiberio Claudio Nerone, un lontano parente, senatore di basso rango. Nelle guerre civili che seguirono l’assassinio di Giulio Cesare, sia suo padre sia suo marito presero le parti della fazione repubblicana, costituita dai “liberatori” (gli autori del complotto per assassinare Cesare) e da Marco Antonio. Entrambi ebbero una cattiva sorte. Il padre si suicidò dopo la battaglia di Filippi,

mentre il marito fu costretto a fuggire insieme con Livia e il piccolo Tiberio, finché nel 39 a.C. non fece ritorno a Roma. A Roma Livia, incinta del secondo figlio Druso, cominciò una relazione con il peggior nemico di suo marito: Ottaviano, il futuro Augusto. Non aveva ancora compiuto vent’anni ed era considerata la donna più avvenente di Roma. In quei giorni di tumulti sociali, il fatto che l’erede di Cesare vivesse un’avventura adulterina con la moglie incinta di un seguace di Antonio destò grande scandalo. Lo sconcerto aumentò quando Ottaviano divorziò dalla moglie Scribonia, nello stesso giorno in cui lei dava alla luce la sua unica figlia, Giulia. L’intenzione di Ottaviano era quella di sposarsi con Livia, ancora incinta, cosicché dovette chiedere un parere al collegio dei pontefici, in merito alla possibilità di contrarre matrimonio con una donna gravida. Il collegio decise a favore del governante, né avrebbe potuto fare altrimenti, ma stabilì che il nascituro fosse riconosciuto figlio legittimo di Tiberio Claudio Nerone, anche se tutti sospettavano che il vero padre fosse Ottaviano. Lo stesso ex marito, dimostrando una sottomissione al futuro imperatore che lo rese lo zimbello di tutta la città, assistette al banchetto di “fidanzamento” di sua moglie con Ottaviano. Alcuni mesi dopo, una volta nato Druso, la coppia si sposò con una cerimonia che oggi definiremmo “le nozze del secolo”. Tiberio Claudio morì nel 33 a.C., cosicché da quel momento i due figli vissero con Livia e Ottaviano, che fu nominato loro tutore legale.

Una moglie esemplare La coppia formata da Livia e Ottaviano non fece più parlare di sé per i 52 anni della loro convivenza. Occorre dire che quasi tutti gli storici dell’antichità, compreso Tacito, che era notoriamente avverso alla dinastia Giulio-Claudia, crearono dei ritratti nei quali misero in risalto la vita virtuosa di Livia dopo il suo matrimonio con Augusto. Raccontandone la morte nel 29 d.C., Tacito descrive Livia con queste parole: “Di una moralità d’antico costume, amabile anche al di là di quanto si considerava naturale nelle donne d’altri tempi, madre dominatrice, sposa compiacente, perfettamente in sintonia con le astuzie del marito e con la capacità di simulare del figlio”.


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L’IMPERATRICE SNOBBATA DAI POETI

LA LETTURA DI VIRGILIO Virgilio legge l’Eneide di fronte a Livia, Augusto, e sua sorella Ottavia, che giace svenuta dopo aver sentito rievocare l’assassinio del figlio. Olio su tela di J.-A. Dominique Ingres, 1812.

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IVIA AUGUSTA non fu mai la donna “all’antica”, dedita solo alla casa, che molti avrebbero voluto. Ecco perché i grandi poeti di Roma, come Orazio o Virgilio, non la menzionarono nelle loro opere, di forte impronta conservatrice. Ovidio, invece, citò spesso Livia, ma per ragioni di interesse (sperava, blandendola, di poter rientrare a Roma, dopo che Augusto l’aveva esiliato sul Mar Nero). La prima imperatrice di Roma fu dunque onorata soprattutto attraverso i monumenti che le vennero consacrati. Oltre al portico sull’Esquilino dedicatole da Augusto, la stessa Livia spinse Tiberio a restaurare il Tempio della Concordia, nel Foro, e quello della Bona Dea, sull’Aventino. Anche nelle province furono edificati vari edifici in suo onore.

UN RITRATTO IDEALIZZATO In questa scultura in marmo rinvenuta a Paestum nel 1860, una giovanissima Livia sfoggia un’acconciatura classicheggiante. Museo Nacional del Prado, Madrid.


LA POLITICA DI OTTAVIANO MIRAVA A PRESENTARE ROMA COME UNA CITTÀ VIRTUOSA E CONSERVATRICE

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CAMMEO RAFFIGURANTE LIVIA NELLE VESTI DELLA DEA CIBELE. I SECOLO D.C., VIENNA.

Sebbene in tale ritratto funebre non manchino certo le critiche, nemmeno troppo velate, sulla vita familiare di Livia, è da notare la frase in cui l’autore le attribuisce come qualità fondamentale “una moralità d’antico costume”, quale era stata, per esempio, nel II secolo a.C., Cornelia, la madre dei Gracchi, modello supremo di matrona romana.

Un modello di virtù Quando, attorno al 38 a.C., iniziò a incrinarsi il regime di triunvirato formato da Ottaviano, Marco Antonio e Lepido, il futuro imperatore, stanziato a Roma, diffuse l’immagine di una città virtuosa e conservatrice, in contrasto con la vita cortigiana e dissoluta che conduceva Marco Antonio ad Alessandria. In questa immagine contrapposta della moralità romana e del vizio alessandrino, le donne giocavano un ruolo fondamentale, e per questo alla voluttuosa Cleopatra Ottaviano volle contrapporre la celebrazione delle virtù femminili romane. La politica di Augusto fu dunque sempre indirizzata a presentare Livia (e la sorella Ottavia, che Antonio aveva lasciato a Roma poco dopo il matrimonio, per andarsene in Egitto) come donne romane “all’antica”, incarnazioni delle virtù delle matrone e delle vestali. Nel 35 a.C. Livia e Ottavia ricevettero dunque la sanctissima tribunicia, una sorta di santificazione in vita, con la protezione del potere statale. Non si poteva infliggere loro alcun danno, neanche uno sgarbo, pena l’accusa di attacco allo Stato. Tale onore, di cui avrebbero usufruito successivamente molti imperatori, fu concesso soltanto a queste due figure femminili in tutta la storia di Roma; l’obiettivo era, come sottolineano gli studiosi moderni, proteggere Ottavia dall’adulterio o dal divorzio da suo marito Antonio, fornendo a Ottaviano un pretesto per dichiarare guerra all’Egitto. Inoltre, si voleva contrapporre la virtù della moglie di un triunviro, Livia, alla 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

corruzione dell’amante di un altro triunviro, Cleopatra, e santificare di conseguenza tutte le donne di Roma rispetto a quelle di Alessandria. È solo in quest’ottica che si comprende il motivo per cui l’onore fu concesso non solo a Ottavia ma anche a Livia. Oltre a ciò, tale santificazione dava alle due donne il diritto di disporre liberamente delle loro ricchezze e proprietà. Occorre ricordare che nella Roma repubblicana le donne non potevano vendere i propri beni né comprarne, o gestire il proprio capitale, senza la supervisione di un uomo o tutore legale (padre, fratello, marito e perfino figlio). Tale privilegio avrebbe reso Livia una delle donne più ricche dell’Impero, con proprietà in varie province e un patrimonio personale, alla morte, di circa 68 milioni di sesterzi, una somma enorme se si pensa che lo stipendio di un legionario non superava i 300 sesterzi all’anno. Oltre a queste concessioni particolari, le cosiddette Leggi Giulie, del 18 a.C. e del 9 d.C., garantirono a Livia l’esenzione da qualsiasi tutela maschile (patria potestas), facendole acquisire, dal punto di vista legale, quasi gli stessi diritti di un uomo.

Il potere nell’ombra Il matrimonio di Livia con Ottaviano, che aveva acquisito il titolo di Augusto già dal 27 a.C., fu, a giudicare dalle fonti storiche, più che felice: Livia divenne un autentico alter ego dell’imperatore. Discuteva con lui di questioni di Stato, fondamentalmente in merito alla politica interna dell’Impero, e grazie alla sua influenza molti dei suoi amici e parenti ottennero posti di rilievo nel governo. Livia era inoltre colei che muoveva i fili della politica familiare della dinastia, concertando matrimoni o, se necessario, divorzi. Dietro suo ordine furono compiute anche alcune delle esecuzioni e degli omicidi che servirono a sfrondare i rami della dinastia Giulio-Claudia,


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DUE SPLENDIDE VILLE ROMANE

AFFRESCHI A GIARDINO rinvenuti nel ninfeo sotterraneo della villa di Prima Porta: quasi certamente di ispirazione orientale, sono oggi conservati a Roma nel Museo Nazionale Romano.

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NCORA OGGI è possibile visitare i resti della Casa di Livia sul Palatino, a Roma. Consiste in una serie di sale disposte intorno a un cortile coperto, con due colonne al centro. Un corridoio conduce al peristilio a cielo aperto, circondato da cubicoli. Si ritiene che appartenesse a Livia perché vi sono state trovate alcune tubature in piombo con l’iscrizione “Iulia Augusta”. La casa dovrebbe risalire all’inizio del I secolo a.C., e fu forse acquistata da Ottaviano e poi ceduta alla moglie. L’altra villa di Livia è situata a Prima Porta, alla periferia nord di Roma. È probabile che Livia l’avesse ereditata da suo padre e che, dopo la confisca nel 43 a.C., le fosse stata restituita come dote nuziale in seguito al divorzio dal primo marito. Abbarbicata su una collinetta, di essa è rimasto un padiglione con un vestibolo a volta, decorato con mosaici e affreschi.

UN MERLO NERO SVOLAZZA tra i rami di un leccio: dettaglio dai dipinti murali della villa di Prima Porta, portata alla luce nel 1863 dopo la scoperta nell’area circostante di una splendida statua di Augusto “loricato” (Musei Vaticani). STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL CAPOLAVORO DI LIVIA FU QUELLO DI FAR SUCCEDERE AD AUGUSTO IL PROPRIO FIGLIO MAGGIORE TIBERIO

mostrando con chiarezza chi fosse il vero candidato per la successione: il figlio Tiberio. Le cronache le attribuiscono con sicurezza la morte di Agrippa Postumo (nipote di Ottaviano, figlio di sua figlia Giulia e di Agrippa) e, forse, quella di Marco Claudio Marcello (figlio della sorella di Augusto, Ottavia). Ma non tutto in Livia fu negativo, poiché persino i suoi nemici le riconobbero che non abbandonava mai i familiari e gli amici caduti in disgrazia. Anche la figlia di Augusto, Giulia, mandata in esilio sull’isola di Pandateria (oggi Ventotene, nell’arcipelago delle Ponziane), accusata di adulterio e di complotto contro l’imperatore, godette della protezione di Livia, che in fin dei conti era sua suocera (Giulia infatti, dopo Agrippa, aveva sposato il fratellastro Tiberio su ordine dello stesso Augusto), nel periodo in cui rimase confinata nel suo esilio.

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TIBERIO BAMBINO CON LA MADRE, CAMMEO DEL I SECOLO D.C.

La “grande matrona” di Roma Nella gestione delle amicizie e dei rapporti sociali, Livia mostrò chiaramente la sua volontà di diventare “la grande matrona di Roma”. Estese infatti la sua rete di conoscenze a parenti, amici e clienti, in tutto il territorio dell’Impero romano in Europa, Asia e Africa. Tra i suoi protetti c’era Salomè, la sorella di Erode il Grande; Tolomeo di Mauritania, e anche Urgulania, figlia di un console la cui nipote, Plauzia Urgulanilla, si sarebbe sposata con il futuro imperatore Claudio. Anche Servio Sulpicio Galba, imperatore tra il 68 e il 69 d.C., e Sesto Afranio Burro, prefetto pretoriano di Nerone, godettero del suo favore. Il capolavoro di Livia fu, tuttavia, quello di far succedere ad Augusto il figlio maggiore di lei, Tiberio. L’imperatrice approfittò della morte di Agrippa, marito di Giulia, avvenuta nel 12 a.C., per proporre che suo figlio Tiberio, dopo il divorzio dalla moglie, sposasse la figlia di 62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Augusto. Tale unione appariva appropriata e anche vantaggiosa, poiché evitava che Giulia divenisse una vedova dai costumi dissoluti, e garantiva una figura paterna ai cinque figli di Agrippa, finché fossero giunti all’età di accedere al trono. Tuttavia, sia per il comportamento libertino di Giulia, sia per il carattere di Tiberio, persona fredda e incline alla malinconia, il matrimonio non funzionò.

L’ascesa di Tiberio Tiberio ricevette da Augusto (e da Livia) innumerevoli poteri, per sostituire l’imperatore in alcuni dei suoi incarichi. Le qualità di Tiberio, che erano molte, non vennero minimamente valorizzate da questa delega. Il suo ruolo era importante solo in quanto genero di Augusto e protettore dei suoi discendenti. Nell’anno 6 a.C., egli ricevette la potestà tribunizia (tribunicia potestas) propria dell’im-


RIPRODUZIONE D’AUTORE Questi affreschi, opera dell’architetto e pittore Vincenzo Brenna (XVIII secolo), riproducono quelli della Domus Augustana, dimora privata di Domiziano, imperatore romano dall’81 al 96 d.C.

L’ALTEZZOSA GIULIA trimonio (12 a.C.) tra Giulia, unica figlia naturale di Augusto, e Tiberio, fu profondamente infelice. Troppa la distanza tra l’altezzosa principessa, che disprezzava il marito, e il gelido figlio di Livia. I due si separarono pochi anni dopo le nozze, e quando Tiberio divenne imperatore tolse all’ex moglie – esiliata a Ventotene – le sue rendite e la costrinse in una sola stanza. Giulia morì poco dopo (14 d.C.), forse per malnutrizione. BUSTO IN MARMO DI GIULIA MAGGIORE, I SECOLO D.C., MUSEO NAZIONALE ROMANO, ROMA.

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FORTEMENTE VOLUTO da Livia, il ma-

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MOLTI ATTRIBUIRONO A LIVIA LA MORTE DI LUCIO CESARE, IL NIPOTE MINORE DI AUGUSTO

peratore, cosa che costituiva il primo passo per diventarne il successore: rendeva sacra e inviolabile la persona di Tiberio, e gli conferiva inoltre il diritto di veto. Ma Tiberio, stanco della moglie, e probabilmente anche della madre, chiese ad Augusto il permesso di ritirarsi sull’isola di Rodi. Forse a Tiberio andava un po’ stretto questo suo ruolo di comparsa sulla scena politica e di successore meramente provvisorio, in attesa che i nipoti di Augusto raggiungessero la maggiore età. Di sicuro, non riusciva a sopportare la scomoda parte del marito tradito, dal momento che le infedeltà di Giulia erano note a tutti, tanto che Augusto definì la figlia come “un cancro” per la sua vita dissoluta. Di fatto, la sua richiesta di andare a Rodi fu accettata, ma Augusto non perdonò mai questo tradimento della sua fiducia e l’oltraggio inferto a sua figlia. Cosicché, quando Tiberio chiese di ritornare e Livia appoggiò la richiesta, con perorazioni e suppliche, Augusto gli negò il permesso. Tiberio doveva rimanere a Rodi finché i nipoti fossero divenuti abbastanza adulti per succedere all’imperatore.

Augusto riteneva Tiberio responsabile dell’immoralità di Giulia, che pure aveva accusato pubblicamente di adulterio e mandata in esilio, anche se, dietro tale punizione, si nascondeva probabilmente il sospetto (o la certezza) che la figlia avesse aderito a una congiura aristocratica ai suoi danni. Tiberio in esilio poteva tuttavia contare sull’appoggio di sua madre. Il nipote minore di Augusto, Lucio Cesare (figlio di Giulia e del primo marito Marco Vipsanio Agrippa), morì in Gallia nel 2 d.C. in strane circostanze, a seguito di un incidente nel quale molti videro la mano della “malvagia matrigna” (infatti Augusto aveva adottato come figli i propri nipoti). In tali circostanze, sembrò opportuno che Tibe64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Uno strano incidente


MERCURIO IL LIBERATORE L’affresco meglio conservato della “Casa di Livia”, sul Palatino, raffigura il dio Mercurio che libera la vacca Io, sorvegliata da Argo. L’affresco è la copia di un dipinto del pittore greco Nicia.


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NEL SUO TESTAMENTO, AUGUSTO ADOTTÒ LIVIA COME FIGLIA E LE LASCIÒ UNA COSPICUA EREDITÀ L’EFFIGIE DI LIVIA SU UNA MONETA IN BRONZO EMESSA NEL 22-23 D.C.

rio, persona in fin dei conti di provate capacità militari e politiche, cui era stata inoltre conferita la potestà tribunizia a tempo illimitato (rispetto ai cinque anni della sua durata normale), tornasse a Roma per aiutare Augusto, ormai sessantacinquenne. Il trionfo di Livia divenne completo quando, due anni più tardi, nel 4 d.C., anche l’altro nipote di Augusto, Gaio Cesare, fratello di Lucio Cesare, morì in Licia a causa di una ferita infetta (o forse avvelenata) e il terzo nipote, Agrippa Postumo, fu allontanato da Roma per la sua condotta instabile e brutale, probabilmente dovuta a follia.

Nel 4 d.C. Tiberio venne adottato come figlio e nominato successore dall’anziano Augusto, alla cui morte, nel 14 d.C., seguì l’immediata proclamazione di Tiberio imperatore e l’assassinio di Agrippa Postumo, per mano di sicari inviati dal nuovo sovrano, con il più che probabile beneplacito di Livia. Nel testamento di suo marito, Livia veniva adottata da Augusto come figlia, acquisendo il titolo di Livia Augusta, il che significava, a Roma, che ella sarebbe stata considerata sia vedova sia orfana dell’imperatore defunto. Come se non bastasse, secondo le ultime volontà di quest’ultimo, avrebbe ricevuto un terzo dell’eredità (i due terzi, infatti, andavano all’erede al trono Tiberio). Augusto, pertanto, disponeva che Livia fosse trattata da imperatrice, quasi sullo stesso piano del figlio. E il Senato interpretò le disposizioni del fondatore dell’Impero in tal senso, deliberando la concessione di innumerevoli titoli e dignità alla stessa Livia, finché proprio Tiberio, facendo leva su antiche convinzioni, non si oppose, sostenendo che occorresse “mettere un limite agli onori concessi alle don66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Orfana e vedova del marito

ne”. Egli non poté tuttavia impedire l’esecuzione del testamento, in base al quale fu votata un’eccezione alla Lex Voconia, che limitava i diritti femminili all’eredità, né tantomeno che sua madre fosse nominata sacerdotessa del culto al nuovo “dio Augusto”.

L’imperatrice divinizzata Sembra che Livia avesse lasciato il palazzo imperiale per risiedere alternativamente in due delle sue case, entrambe famose. La prima è la cosiddetta Casa di Livia, sul Palatino: una serie di stanze dalle pareti dipinte, relativamente modesta rispetto alle abitazioni degli imperatori successivi. La seconda fu la sua villa a Prima Porta, alla periferia nord di Roma, molto più grande, con il celebre affresco del giardino fiorito nel ninfeo sotterraneo. Per alcuni anni Tiberio e Livia condivisero il potere mostrando in pubblico grande corret-


UNA SCALTRA ULISSE AL FEMMINILE

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HI FU DAVVERO LIVIA? La virtuosa

matrona che tesseva di persona i vestiti del marito e si dilettava di erboristeria, oppure la gelida manipolatrice che, secondo Svetonio, spinse Augusto a esiliare l’unico nipote naturale, Agrippa, e che, forse, accelerò la morte dello stesso marito? Impossibile rispondere a un simile quesito. Di certo, nel valutare il comportamento di Livia, occorre tener conto della sua storia antecedente all’incontro con Augusto: la morte del padre, suicidatosi dopo la sconfitta repubblicana a Filippi (42 a.C.); il matrimonio felice con il primo marito, da cui, probabilmente, Augusto la costrinse a separarsi. Si potrebbe dire che Livia fu una vittima della storia, una donna costretta ad adattarsi a circostanze sfavorevoli volgendole a proprio favore. Un’Ulisse in gonnella, come la definì Caligola, vissuta in un’epoca tempestosa che seppe dominare attraverso le armi della propria astuzia e intelligenza.

BANCHETTO DI AUGUSTO E LIVIA, AFFRESCO, XVI SECOLO.

tezza reciproca, anche se il figlio non tollerava più la madre. Ciò avvenne in particolare dopo la morte (19 d.C.) del nipote di Livia, il generale Germanico, deceduto in circostanze sospette in Siria. Una volta giunte a Roma le sue spoglie, oltre a grandi cerimonie funebri fu celebrato anche un processo nel quale il governatore della Siria, Gneo Pisone, e sua moglie Plancina, protetta di Livia, furono accusati della sua morte. Si sussurrava che Livia avesse istruito i due affinché avvelenassero Germanico, che rappresentava una possibile minaccia per Tiberio; ma l’imperatrice riuscì a manovrare affinché la sua amica Plancina fosse assolta, suscitando il malumore di Tiberio. Alcuni anni più tardi, Tiberio si ritirò sull’isola di Capri; secondo Tacito, per sfuggire all’influenza materna. Non tornò più a trovare Livia, tranne che in una breve occasione. L’imperatrice morì nel 29 d.C., all’età di ot-

tantasei anni. Tiberio non assistette ai funerali della madre, rifiutò di compiere i mandati testamentari e le sue ultime volontà, e persino di divinizzarla, come ella aveva desiderato. Fu solo con i principati di Caligola e di Claudio, rispettivamente pronipote e nipote di Livia, che si compì il sogno della moglie di Augusto, che Caligola reputava una versione al femminile dell’eroe Ulisse, di ascendere nell’Olimpo degli dei romani. Secondo quanto risulta dalle testimonianze archeologiche, Livia fu venerata come dea soprattutto nelle province asiatiche e in Egitto, per lo meno fino alla fine del II secolo. Ancora nel IV secolo, un poeta cristiano, Prudenzio, la citò come esempio di donna dalla dubbia moralità, divinizzata dai pagani. Ma ciò avvenne solo perché il nome di Livia era ancora usato come sinonimo di buona fortuna, specialmente nelle cerimonie matrimoniali. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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COLONNE DEL TEMPIO DI APOLLO SOSIANO Situato a Roma, fra il Tevere e il Campidoglio, i suoi resti oggi visibili appartengono al rifacimento di epoca augustea.

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I TRIONFI DI AUGUSTO Sul rovescio di questo aureo coniato in Spagna nel 17 a.C., Augusto appare come trionfatore, nell’atto di guidare un carro condotto da elefanti. British Museum, Londra.


BRITISH MUSEUM/SCALA, FIRENZE

LA ROMA DI AUGUSTO Eterogenea, con strade tortuose e oscure, maleodorante: così era l’Urbe prima che Augusto arricchisse la città di nuove terme, acquedotti e monumenti che esaltavano la dinastia imperiale MARÍA JOSÉ BARRIOS CASTRO DOTTORESSA IN FILOLOGIA CLASSICA


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rovai una città di mattoni e la lasciai di marmo”. Queste parole, tradizionalmente attribuite ad Augusto poco prima della sua morte nel 14 d.C., riassumono bene il cambiamento urbanistico realizzato nella capitale dell’Impero. Dopo aver sconfitto l’ex alleato Marco Antonio e la regina egizia Cleopatra nella decisiva battaglia di Azio (31 a.C.), e divenuto primo imperatore di Roma, Augusto intraprese infatti una serie di riforme urbanistiche con le quali modificò radicalmente il volto della città, allo scopo di renderla più idonea alla sua nuova condizione di capitale imperiale. Secondo quanto racconta Cicerone, già Giulio Cesare aveva progettato di rinnovare completamente l’aspetto di Roma, ma la sua morte violenta, nel 44 a.C., gli lasciò il tempo solo per pochi interventi. Augusto portò avanti l’opera edificatrice del padre adottivo, benché la sua azione in questo campo fu, per certi versi, meno ambiziosa e radicale di quella pianificata dal suo predecessore. Le iniziative di Augusto furono l’ennesima tappa nella trasformazione di Roma, già in atto da svariate decadi. La continua immigrazione aveva portato la popolazione cittadina a un milione di abitanti, facilitando lo sviluppo di grandi quartieri popolari come la Suburra, l’Argileto e il Velabro. Per garantire l’approvvigionamento della capitale, si dovettero costruire nuove infrastrutture, tra cui magazzini e un porto. Augusto dispose l’ampliamento della foce del Tevere e il suo monitoraggio per controllarne le frequenti inondazioni. Durante il suo governo, soprattutto per impulso del genero, Marco Vipsanio Agrippa, nominato edile di Roma nel 33 a.C. (carica nel corso della quale mise in pratica le sue conoscenze di architettura), si realizzarono nuovi acquedotti e costruzioni destinate al

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ALBUM

L’IMPERATORE ARCHITETTO In questo dipinto del francese Charles de La Fosse, Augusto controlla il progetto del nuovo porto di Miseno avviato da Agrippa. XVII secolo. Reggia di Versailles.


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ORONOZ/ALBUM

AUGUSTO CERCAVA DI MOSTRARE EQUILIBRIO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE AUGUSTO SUL CAMMEO BLACAS. 20 D.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

divertimento dei Romani. Sotto il Principato di Augusto furono inoltre edificate le prime terme pubbliche, due teatri, un anfiteatro e una biblioteca pubblica.

Questa frenesia edificatrice si spiega in gran parte alla luce delle caratteristiche proprie della politica romana. Gli esponenti delle grandi famiglie dell’Urbe dovevano infatti cercare l’appoggio politico dei cittadini per essere eletti alle cariche pubbliche e uno dei migliori mezzi per ottenere una vasta popolarità consisteva nel costruire edifici monumentali. Fu così che, secondo quanto racconta il geografo greco Strabone, vissuto tra il I secolo a.C. e il I d.C., luoghi simbolici come il Foro, il Campidoglio e, soprattutto, il Campo Marzio, si arricchirono in quell’epoca di templi, giardini, portici ed edifici per spettacoli. In particolare, Augusto si impegnò a lasciare la sua impronta nel luogo dotato di maggiore carica simbolica nell’Urbe: il Foro. Qui Giulio Cesare aveva già costruito un nuovo recinto, il Foro di Cesare appunto, per accogliere la folla che si riuniva in quella zona ogni mattina. Augusto seguì l’esempio creandone un altro attiguo. Il Foro di Augusto ebbe minore estensione rispetto a quello del predecessore, perché l’imperatore non volle espropriare il terreno di alcuni proprietari riluttanti, ma risultò essere uno dei complessi architettonici più belli di Roma. Come dichiarò Augusto stesso nella sua opera, le Res Gestae, il resoconto delle imprese compiute durante la sua carriera politica, il Foro fu eretto con il denaro raccolto nelle sue imprese belliche. La sua costruzione, insieme a quella del tempio dedicato a Marte Ultore (“vendicatore”), 72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

MAURIZIO RELLINI/FOTOTECA 9X12

Costruire a fini propagandistici

furono il frutto di un voto fatto dall’allora triunviro Ottaviano nella prima battaglia di Filippi (42 a.C.), dove morirono Bruto e Cassio, gli assassini di Cesare.

Un nuovo Foro a Roma Come altre costruzioni di Augusto, il Foro rispondeva alla volontà dell’imperatore di legittimare il suo potere personale, presentando il nuovo corso politico come la naturale continuazione della storia di Roma. Perciò, vicino al tempio di Marte Ultore, che chiudeva un lato del Foro, figuravano le statue dei leggendari re latini di Alba Longa, precedenti a quelli romani; di Romolo, primo re di Roma; e di Enea, fondatore della città e antenato della gens Giulia, a cui apparteneva l’imperatore. Augusto cercava così di mostrare un certo equilibrio tra tradizione e innovazione: ri-


IL FORO ROMANO Qui, tra il tempio di Saturno e il tempio dei Castori, Augusto ricostruì in onore dei figli adottivi Gaio e Lucio la Basilica Giulia, che era stata eretta da Cesare ed era bruciata in un incendio nel 12 a.C.

L’INGEGNERE IMPERIALE AGRIPPA, genero e braccio destro

AUDIZIONE DI AGRIPPA. DIPINTO DI LAWRENCE ALMA-TADEMA, 1876. DICK INSTITUTE, KILMAMOCK.

AKG/ALBUM

dell’imperatore, nel 33 a.C. divenne edile a Roma. In tale veste rinforzò la rete di acquedotti e ne creò uno nuovo, l’Aqua Virgo; fece costruire 500 nuove fonti pubbliche (nymphaea) e numerosi bagni, incluse le terme che portano il suo nome. Fece anche restaurare e ripulire la rete di cloache di Roma. Per molte di queste opere Agrippa impiegò il suo denaro personale proveniente da bottini di guerra, eredità e donazioni.

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IL TEATRO DI CLAUDIO MARCELLO

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ITUATO AI PIEDI DEL CAMPIDOGLIO, que-

sto teatro sorse nella zona meridionale del Campo Marzio sulla base di un progetto di Giulio Cesare, ma fu suo figlio adottivo Augusto a portarlo a termine, inaugurandolo intorno al 13 a.C. Augusto lo dedicò al nipote e genero Marcello, figlio della sorella Ottavia, inizialmente scelto come suo successore, ma prematuramente scomparso nel 23 a.C. Come racconta lo storico Cassio Dione nella sua Storia di Roma , dopo i suoi funerali “Augusto gli diede una sepoltura pubblica e dopo i consueti elogi lo seppellì nel mausoleo che aveva fatto costruire per sé [...] e ordinò anche che fossero portati nel teatro [di Marcello] una sedia curule, un ritratto e una corona d’oro durante i Ludi Romani”. La facciata era in marmo travertino e le arcate inferiori in pietra e opera cementizia. Aveva un diametro di 150 metri e una capacità di 14.000 spettatori. Tra il 1926 e il 1932 fu compiuta un’opera di recupero, che liberò il teatro dagli edifici attigui aggiunti successivamente.

1 Orchestra

In questo spazio semicircolare tra il palcoscenico e le gradinate si esibiva il coro durante le rappresentazioni. Tutto intorno si sedevano le autorità dell’Urbe.

2 Pulpito

Tendone Le gradinate venivano coperte con un telone o velarium, sorretto da pali situati nella parte superiore dell’edificio.

Dietro la piattaforma di legno del palcoscenico c’era una facciata spesso decorata con una serie di esedre e nicchie, oltre che di pilastri. L’accesso al palcoscenico avveniva tramite scale.

3 Palcoscenico

Tra l’orchestra e la facciata della scena si situava il palcoscenico, o proscaenium, con pavimento in legno. Sotto, nell’hyposcaenium, venivano conservate le scenografie.

4 Facciata

Un muro monumentale, chiamato frons scenae, fungeva da parete di fondo della scena. Normalmente si componeva di vari piani, ciascuno costituito da colonne di ordine diverso.

5 Gradinate

DEA/BRIDGEMAN/INDEX

Il pubblico prendeva posto nelle gradinate, o cavea, divisa in tre zone orizzontali: inferiore, media e superiore (imma, media e summa). In quella superiore si sedevano le donne e i bambini.

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STATUA DI HERMES CHE SI ALLACCIA UN SANDALO RINVENUTA NEI PRESSI DEL TEATRO DI MARCELLO. II SECOLO D.C. LOUVRE, PARIGI.

6 Vomitoria

Erano le porte di accesso alle gradinate. Vi si arrivava attraverso corridoi, rampe e scale realizzate all’interno della struttura dell’edificio, costruita con volte a botte.

Facciata Era alta 32,60 m e divisa in tre ordini di arcate (ciascuna costituita da 42 archi) sovrapposte, realizzate in stili diversi: dorico sotto e ionico sopra.


Tetto del palco Un tetto inclinato a spiovente copriva il palco, per proteggerlo dalla pioggia e dal sole e migliorare l’acustica.

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P. CONNOLLY/AKG/ALBUM

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Le quinte Le stanze dietro la facciata, chiamate postscaenium, venivano utilizzate come spogliatoi, camerini e ambienti di servizio.

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GIOVANNI SIMEONE/FOTOTECA 9X12

IL TEMPIO DI MARTE ULTORE Tra i resti di questo edificio eretto da Augusto nel Foro romano si elevano ancora tre colonne con capitelli corinzi, appartenenti al lato destro del tempio.

scattava la storia di Roma, dalle sue origini mitiche alla Repubblica, identificandola con quella della famiglia Giulia. Questo suggeriva che il Principato, il regime fondato sull’autorità personale di Augusto, fosse la logica e provvidenziale conclusione della Repubblica, e non l’usurpazione del potere da parte di un singolo.

Il rinnovato Campo Marzio Fu soprattutto nel Campo Marzio che i progetti di trasformazione urbana di Augusto risultarono più evidenti. In origine, questa zona pianeggiante situata fuori dalle mura cittadine era utilizzata per le esercitazioni militari. Più tardi accolse le riunioni dei comizi (le assemblee popolari) e alcune cerimonie religiose e civili. Giulio Cesare, e soprattutto Augusto, la tra76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sformarono in quello che Strabone descrive come il più splendido e imponente complesso monumentale di Roma. Grazie all’aiuto del genero Agrippa, Augusto avviò l’urbanizzazione della parte centrale della pianura e ricostruì l’area che circondava il circo Flaminio, nella parte più meridionale del Campo Marzio. Successivamente vennero eretti il teatro di Marcello, l’anfiteatro di Statilio Tauro, le terme di Agrippa, il Pantheon, l’Ara Pacis e il mausoleo dell’imperatore. Il Pantheon fu senza dubbio uno dei monumenti di maggiore rilevanza. Nel mondo ellenistico, il pantheon era un tempio dedicato a un sovrano deificato e agli dei a lui associati, caratterizzato dal fatto di ospitare una statua del re in mezzo a quella degli dei, riuniti in assemblea. Il Pantheon di Au-


CARLO BEVILACQUA/AGE FOTOSTOCK

IL PANTHEON, UN TEMPIO A TUTTI GLI DEI Nel 27 a.C. Agrippa iniziò la costruzione di questo edificio, che subì due incendi, nell’80 e nel 110 d.C., e fu ricostruito da Adriano tra il 118 e il 128.


LA NUOVA ROMA DI AUGUSTO, LA TRASFORMAZIONE URBANA DI ROMA PROMOSSA DA AUGUSTO E DAL GENERO AGRIPPA

Via Flaminia

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Orologio solare di Augusto

3 Stagno di Agrippa

IL MAUSOLEO DI AUGUSTO

1 ARA PACIS Costruita vicino alla via Flaminia, formava un triangolo con il mausoleo di Augusto e l’Orologio Solare dello stesso imperatore. Fu consacrata il 30 gennaio del 9 a.C.

RICOSTRUZIONE IDEALIZZATA DEL MAUSOLEO DI AUGUSTO CON I CIPRESSI E LA

STATUA DELL’IMPERATORE SULLA CUSPIDE DEL MONUMENTO. 78 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DEA/ART ARCHIVE

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UGUSTO FECE COSTRUIRE la propria tomba vicino alla via Flaminia, che conduceva direttamente al Foro romano. Era un edificio di struttura circolare, del diametro di 87 metri, composto da una serie di anelli di mura concentriche, disposti intorno a un pilastro centrale coronato dalla statua in bronzo dell’imperatore. All’ingresso si ergevano due obelischi, oggi situati nelle piazze del Quirinale e dell’Esquilino. Le terrazze nel recinto erano alberate.

2 PANTHEON Sulla trabeazione si legge: “Edificato da Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta”. Costruito in blocchi di travertino e ricoperto di marmo, includeva statue e cariatidi.


LA VETRINA DELL’IMPERO

SI CONCENTRÒ SUL CAMPO MARZIO, UN’AMPIA AREA SITUATA A OVEST DELLA CITTÀ

6 Foro Romano

Palatino

Foro di Cesare

Tempio di Cesare Capitolino 10

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ROMA NEL III SECOLO. Questo modellino venne disegnato dall’architetto Italo Gismondi basandosi sugli studi degli edifici della città fatti da Rodolfo Lanciani, un accreditato archeologo e topografo. Il modellista Pierino di Carlo realizzò il modellino tra il 1933 e il 1971. Oggi è esposto a roma, nel Museo della Civiltà Romana.

Isola Tiberina

Teatro di Pompeo

Vicino alle terme, Agrippa fece costruire uno stagno artificiale, portici e i giardini pubblici, dove posizionò la statua del Leone giacente, opera dello scultore greco Lisippo (IV secolo a.C.).

5 TERME DI AGRIPPA L’Aqua Virgo forniva l’acqua a queste terme, opera di Agrippa, terminate nel 19 a.C. Il loro interno era riccamente decorato e tra le varie opere d’arte risaltava l’Apoxyomenos di Lisippo.

7 TEATRO DI BALBO Fu eretto in pietra nel 13 a.C. da Lucio Cornelio Balbo, banchiere e amico di Augusto. Aveva una capienza di 7700 spettatori e la sua ricca decorazione includeva sei colonne di onice.

9 CIRCO FLAMINIO Nel 2 a.C., per commemorare l’inaugurazione del Foro di Augusto, l’antico circo realizzato dal console Caio Flaminio nel 221 a.C., fu inondato e vi si diede la caccia a 36 coccodrilli.

4 SAEPTA IULIA L’edificio, progettato da Giulio Cesare e terminato da Agrippa nel 26 a.C., era composto da un cortile di 310 x 120 m aperto a nord, con un portico per lato e una sala coperta.

6 FORO DI AUGUSTO Dedicato nel 2 a.C., consisteva in una piazza porticata intorno al tempio di Marte Ultore. L’ingresso avveniva probabilmente tramite una porta che dava sull’adiacente Foro di Cesare.

8 PORTICO DI OTTAVIA Nel 27 a.C. Augusto costruì questo portico in onore della sorella, intorno ai templi di Giunone e Giove. Vicino al recinto, Ottavia fece edificare una biblioteca dedicata al figlio Marcello.

Inaugurato da Augusto intorno al 13 a.C., il teatro di Marcello venne eretto in pietra nello stesso luogo dove prima si trovava una struttura teatrale rimovibile in legno.

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GIARDINI DI AGRIPPA

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SCALA, FIRENZE

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TEATRO DI MARCELLO

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RICCARDO AUCI

IL CHILOMETRO ZERO alta poco più di un metro e ricoperta da lamine di bronzo dorato, eretta da Augusto nel 20 a.C. per indicare il punto ideale di convergenza delle strade dell’Impero. Su di essa furono incisi i nomi delle principali città dell’Impero romano, indicando anche la distanza che le separava dalla capitale. Da qui deriva la famosa espressione “tutte le strade portano a Roma”. MILIARIO AUREO I CUI RESTI SONO STATI RINVENUTI NEL FORO, DAVANTI AL TEMPIO DI SATURNO.

gusto, però, si discostava da quel modello. L’imperatore romano rifiutò di essere divinizzato e non volle che gli si dedicasse il santuario. Inoltre, la sua statua non si trovava nella cella, l’ambiente sacro al centro dell’edificio, bensì, più modestamente, nel pronao, o vestibolo. Augusto collocò nel tempio, inoltre, le divinità dinastiche della famiglia Giulio-Claudia: Marte, Venere e Giulio Cesare divinizzato. Il tempio fu danneggiato dagli incendi dell’80 e del 110: il suo aspetto attuale risale alla ricostruzione di Adriano, tra il 118 e il 128. A nord del Campo Marzio si trovava l’Altare della Pace, o Ara Pacis, eretto per ordine del Senato nel 13 a.C. per celebrare la “pacificazione” di Spagna e Gallia a opera di Augusto. Come racconta lo stesso Augusto nelle Res Gestae, “Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia [...] compiute felicemente le im80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN/INDEX

NEL FORO DI ROMA si trovava il “miliario aureo”, una colonna di marmo

prese in quelle province, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l’ara della Pace Augusta presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale”. Si tratta senza dubbio del monumento fondamentale per la comprensione dell’arte ufficiale di quel periodo. I rilievi sulle pareti esterne presentano Augusto come erede della stirpe di Enea, nonché come il re che doveva portare la pace e il dominio universale di Roma.

Il mausoleo e la casa di Augusto Un po’ più a nord si ergeva un monumento imponente, oggi in rovina: il mausoleo di Augusto. L’imperatore iniziò i lavori nel 29 a.C., al suo ritorno da Alessandria dopo la conquista dell’Egitto. Si trattava di una tomba dinastica che seguiva un modello elleni-


stico, originato dal mausoleo di Alicarnasso, la tomba del re Mausolo di Caria, anche se l’ispirazione diretta di Augusto proveniva dal tumulo circolare di Alessandro, che ebbe modo di vedere ad Alessandria. Al centro del mausoleo, una piccola stanza quadrata era destinata ad accogliere le urne cinerarie della famiglia di Augusto, tra le altre quelle del nipote Marcello, della sorella Ottavia, del genero Agrippa e dello stesso imperatore, morto nel 14 d.C. Ecco come lo descrive Strabone: “Il più notevole [tra i monumenti] è il cosiddetto Mausoleo, grande tumulo che sorge su un’alta base di marmo bianco nei pressi del Tevere, coperto ovunque, dalla sommità, di alberi sempreverdi. Sulla sommità si trova una statua in bronzo di Cesare Augusto [...]. Dietro c’è un grande bosco sacro che offre splendide passeggiate. Nel mezzo del cam-

po c’è un recinto, sempre di marmo bianco, costruito intorno al crematorio di Augusto, che ha una balaustra circolare in ferro ed all’interno ci sono dei pioppi”. Augusto ebbe anche una residenza personale sul colle Palatino. Anche se con il tempo il termine palatium avrebbe designato la dimora dell’imperatore per eccellenza, la domus di Augusto era nata piuttosto come l’unione di più dimore preesistenti che l’imperatore ampliò accorpando possedimenti contigui. Il palazzo disponeva di una zona pubblica, che ospitava i templi di Vesta e Apollo. In una custodia dorata sotto la statua di questo dio, Augusto ripose i libri sibillini che, secondo la tradizione, contenevano profezie sul futuro di Roma. Un altro modo, da parte dell’imperatore, di manifestare il suo desiderio di porre il futuro dell’Urbe sotto il suo controllo.

IL MAUSOLEO DI ALICARNASSO L’edificio che ispirò ad Augusto il progetto del proprio monumento funebre in un affresco di Nikolaus Schiel. 1669 circa. Abbazia agostiniana di Novacella, Varna (Bressanone).

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TITO LIVIO, STORICO AUGUSTEO La statua è posta all’esterno del Parlamento di Vienna insieme a quelle degli altri grandi storici dell’antichità: Erodoto, Tucidide, Senofonte, Polibio (greci), Cesare, Sallustio, Tacito (romani).

SHUTTERSTOCK

BATTAGLIA TRA ITALICI E ROMANI L’opera storiografica di Livio ripercorreva gli eventi principali che avevano portato l’Urbe dalla sua fondazione nel 753 a.C. al ruolo di capitale dell’Impero di Augusto. Rilievo in pietra del II-I secolo a.C. Museo Nazionale degli Abruzzi, L’Aquila.


SCALA, FIRENZE

CORBIS / CORDON PRESS

IL CRONISTA UFFICIALE DELLA ROMA REPUBBLICANA

LIVIO La sua monumentale opera storiografica rievocò per i Romani dell’epoca di Augusto le gesta dei loro antenati a partire dalla fondazione dell’Urbe, mettendone in luce i valori che la resero eterna, ma anche la decadenza di costumi JOSÉ ANTONIO MONGE FILOLOGO


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ito Livio (59 a.C.-17 d.C.) è una figura eccezionale nell’ambito della storiografia romana, per diverse ragioni. Prima di tutto per la monumentalità della sua unica opera pervenutaci, Ab Urbe condita (“Dalla fondazione di Roma”), che, come dice il titolo, abbraccia il periodo che va dalle origini fino ai suoi giorni, ovvero al Principato di Augusto. Livio dedicò alla sua preparazione e alla sua stesura praticamente tutta la vita. Il risultato furono i 142 libri che la componevano e che la rendono un’opera incomparabile per mole a qualsiasi altra composizione letteraria del suo tempo. Si pensi, per esempio, agli otto libri del De bello Gallico di Cesare o ai dodici dell’Eneide di Virgilio. Per rendersi pienamente conto della sua ampiezza, è sufficiente considerare il fatto che l’edizione integrale di questo testo storiografico corrisponderebbe oggi a un volume di circa diecimila pagine. A partire dalla tarda antichità l’opera fu conosciuta anche come Decadi di Tito Livio, in riferimento alla distribuzione del suo contenuto in gruppi di dieci libri. Questo titolo divenne molto frequente in epoca rinascimentale, come dimostrano i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, una delle opere fondamentali di Niccolò Machiavelli (1469-1527).

Date le caratteristiche del supporto sul quale si pubblicavano il libri nell’antichità (il fragile papiro o la costosissima pergamena) e data la regressione culturale che caratterizzò gli ultimi secoli dell’Impero romano, non c’è da stupirsi che dell’opera di Livio si conservino oggi solamente trentacinque libri. Ciononostante essa continua a essere la fonte per eccellenza per la conoscenza di periodi fondamentali della storia romana. A Livio dobbiamo, per esempio, la versione “canonica” del mito dei gemelli Romolo e Remo e la 84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ART ARCHIVE

Un’opera monumentale


IL RATTO DELLE SABINE Uno dei più celebri episodi della storia di Roma narrati da Tito Livio. Dipinto di JacquesLouis David. 1799. Louvre, Parigi.

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la sua stessa origine cartaginese, disprezzo per le cose più vere e più sacre, spregio assoluto per gli dei, per i giuramenti, per i vincoli religiosi”, (Ab Urbe condita XXI, 4).

COLIN DUTTON / FOTOTECA 9X12

Storico di professione

IL FORO ROMANO DI AQUILEIA Nella sua opera Livio racconta la fondazione della colonia di Aquileia (in Friuli). Importante per la sua posizione strategica di frontiera già durante la Repubblica, all’inizio del IV secolo d.C. divenne una delle capitali dell’Impero.

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descrizione del rito cerimoniale con il quale fu fondata Roma. Grazie a lui conosciamo i nomi e le imprese dei leggendari sette re – dal latino Romolo all’etrusco Tarquinio “il Superbo” –, e il racconto della lotta per la sopravvivenza affrontata dalla nuova Repubblica fino all’imposizione del proprio dominio nel Lazio e nell’area centrale della Penisola italica. Passando poi dal mito ai fatti storicamente accertati, va ricordato che è di Livio anche la versione più accreditata dagli storici odierni sullo scontro tra Roma e Cartagine nella Seconda guerra punica e sull’inizio della conquista e della romanizzazione della Spagna. Memorabile è la descrizione liviana di uno dei più grandi nemici di Roma, il generale cartaginese Annibale: “Ma in un uomo di tali qualità e valore, la contropartita era data da vizi immensi: una crudeltà mai vista in altra persona, una slealtà che lo rendeva peggiore del-

Un secondo tratto che rende eccezionale la figura di Tito Livio consiste nel fatto che è l’unico dei grandi storici romani che si potrebbe qualificare come “professionista”. Egli infatti non si dedicò ad altro se non alla composizione della sua opera. Proveniente dalla Gallia Cisalpina (il nord d’Italia), come altri grandi scrittori della sua generazione (Cornelio Nepote, Catullo e Virgilio), Livio visse a Roma sotto la protezione di Ottaviano e del ricco Mecenate, ma senza nessuna partecipazione diretta all’attività politica. Niente a che vedere, quindi, con i casi di storici al contempo politici come Cesare o Sallustio, ma neanche con quelli di Tacito o di Svetonio, che in epoca imperiale esercitarono funzioni amministrative. Non sappiamo con quali mezzi vivesse Livio. La sua presenza fin da giovane a Roma, la sua padronanza del greco e la sua conoscenza della storiografia greca – che fa supporre suoi soggiorni di studio in Grecia –, la sua vicinanza alla famiglia imperiale: tutto lascia intravvedere in lui il rampollo di una famiglia abbiente residente in provincia, probabilmente appartenente all’ordine equestre. Godette di grande prestigio in vita, poiché, come era consuetudine a Roma, a mano a mano che completava una parte della sua opera, la faceva conoscere con letture pubbliche. La sua fama superò rapidamente i limiti di Roma e dell’Italia. Secondo la testimonianza di Plinio il Giovane, per esempio, un uomo di Cadice, in Spagna, compì il lungo viaggio che conduceva dalla sua città fino a Roma esclusivamente per poter conoscere Livio. Considerato, dopo la sua morte, lo storico “per eccellenza” della Roma repubblicana, la sua opera fu riassunta da vari autori (Floro, Eutropio, Paolo Orosio) nei secoli successivi. Nel corso del Medioevo divennero popolari i “riassunti” di praticamente tutti i libri della sua opera, compilati nel III-IV secolo d.C. e noti con il nome greco di Periochae (“sommari”). Grazie a essi si è potuta conoscere in qualche misura la parte perduta della sua monumentale storia di Roma.


ART ARCHIVE

LE LEZIONI ESEMPLARI DEL PASSATO

UN EROE ROMANO Livio racconta la vicenda di Muzio Scevola che mise la sua mano destra nel fuoco davanti al re etrusco Porsenna, per punirsi di non averlo ucciso. Affresco di Tommaso Laureti. 1587-1594. Musei Capitolini, Roma.

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Tito Livio avverte dei confini non ben definibili tra storia e leggenda riguardo agli inizi dell’Urbe: “I fatti precedenti alla fondazione di Roma o prima ancora che si fosse pensato di fondarla, la cui tradizione si basa su favole poetiche che li abbelliscono, più che su documenti storici ben conservati, non ho intenzione di confermarli né di smentirli …”. Livio voleva raccogliere tutte le nobili e antiche tradizioni romane, perché queste spiegavano il carattere di Roma e la sua irrefrenabile ascesa. Anche la storia mitica aveva implicazioni morali, tanto più se messa a confronto con la decadenza dei suoi tempi. Per Livio, la storia offriva lezioni esemplari del passato agli uomini del presente.

AGE FOTOSTOCK

IÀ NELLA PREFAZIONE DELLA SUA OPERA

LIVIO E LA STORIA, MAESTRA DI VITA Livio ritornò ai tempi leggendari per spiegare la gloria della Roma augustea, ma allo stesso tempo per mettere in guardia i suoi contemporanei sul pericolo di perdere le antiche virtù. Incisione di J. W. Cook.


UNO STORICO OBIETTIVO

TACITO Descrivendo nei suoi Annali la storia di Roma da Augusto a Nerone, contrappose le virtù dei Germani alla corruzione dei Romani contemporanei cercando sempre di essere imparziale DAVID HERNÁNDEZ DE LA FUENTE DOTTORE IN FILOLOGIA


ERICH LESSING/ALBUM

LA MORTE DI GERMANICO Secondo il racconto di Tacito, Germanico, il figlio adottivo di Tiberio, morì avvelenato da Pisone, il governatore della Siria. Tela di Nicolas Poussin. 1627. Institute of Arts, Minneapolis.

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ublio Cornelio Tacito, colui che intuì il futuro trionfo dei barbari, il cronista degli imperatori che sono succeduti ad Augusto, è stato ed è ammirato per due elementi costanti nella sua opera: il suo stile inimitabile e la sua altezza intellettuale. Egli viene ricordato come il più illustre storico romano, equiparabile al greco Tucidide, e dai suoi scritti, oltre a fondamentali informazioni di tipo storico, sono state estratte molte lezioni morali e politiche, come esempi della migliore prosa latina. Sono pochi i dati certi che abbiamo sulla sua vita. Nacque – forse a Terni – intorno al 55 d.C. e visse tra i regni di Nerone e Adriano. Come molti giovani di buona famiglia, destinati al cursus honorum (la successione di magistrature e cariche politiche via via più importanti), cominciò la sua vita pubblica come avvocato, primeggiando in un paio di cause. Discepolo di Marco Fabio Quintiliano, l’autore dell’Institutio oratoria e per molti il secondo oratore romano dopo Cicerone, condivise aule di giustizia e amicizia con Plinio il Giovane che nella sua Epistola VII ricorda: “Io ero un giovinetto quando tu già emergevi nella tua fama e gloria e […] desideravo seguirti”. Nel 77 sposò la figlia del generale Gneo Giulio Agricola, governatore in Britannia, che lo aiutò nella carriera politica. Fu poi questore (incaricato di gestire il Tesoro e le finanze) nell’81-82 e subito dopo si recò nell’Europa del nord dove poté conoscere da vicino i Germani. Dopo la morte del suocero tornò a Roma e nel 97 ricoprì la carica di console. Solo allora diede inizio alla sua attività letteraria, da lui rimandata durante la tirannia di Domiziano.

Scrittore tardivo, a più di 40 anni redasse la prima opera che gli viene attribuita con certezza, l’Agricola, una biografia del suocero che offre tra l’altro un interessante panorama della Britannia di quell’epoca. A pochi anni dopo 90 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

JOHANNA HUBER/FOTOTECA9X12

Da politico a scrittore L’ARCO DI TRAIANO Detto anche “Arco di San Damiano”, era in realtà una porta d’accesso alla città di Carsulae in Umbria. ll monumento è forse di età augustea.


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SCALA, FIRENZE

BRIDGEMAN/INDEX

UNA STORIA CONTRO LA TIRANNIA

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N PIENO XV SECOLO, periodo di intense tensioni politiche, Machia-

velli si riferì a Tacito quando, nel Principe, parlava del migliore governante: “È sempre stata opinione e massima degli uomini saggi che niente è tanto instabile e debole quanto la potenza non sostenuta da una propria forza”. Tacito fu un vero repubblicano, amante delle antiche libertà, anche se visse in pieno l’età del potere autoritario e inconfutabile degli imperatori. Da intellettuale della sua epoca intuì che il tempo della Repubblica non sarebbe mai tornato e che si doveva cercare un compromesso tra autorità e libertà. Tale equilibrio si impersonificava per lui in imperatori come Traiano o Nerva. La crisi della Repubblica aveva portato alle guerre civili ma un eccesso di autoritarismo aveva creato gli orrori di Caligola, Nerone o Domiziano. Le lezioni di Tacito sui limiti del potere e sul pericolo della tirannia hanno avuto una profonda influenza a partire dal Rinascimento. La sua fama di imparzialità fece della sua opera un manuale di teoria politica.

IL FORO DI NERVA COSTRUITO DALL’IMPERATORE DOMIZIANO E INAUGURATO DA NERVA NEL 97 D.C. CHARLES LOUIS CLÉRISSEAU (1721-1820). SIR JOHN SOANE’S MUSEUM, LONDRA.

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dev’essere datata la pubblicazione della Germania, opera nella quale Tacito mostrò di ammirare e idealizzò le virtù primitive dei Germani di contro alla civilizzata ma ormai corrotta Roma. Rinnovò in questo modo il genere letterario etnografico, introducendo nel trattato riflessioni di natura morale. Ma le sue due opere maggiori sono le Storie e gli Annali, scritte dopo il 104 ed entrambe pervenuteci incomplete. Le Storie, di cui abbiamo solo quattro dei dodici o dei quattordici libri che la costituivano, abbracciano il periodo che va dal regno di Galba (anno dei quattro imperatori: 68-69 d.C.), fino alla morte dell’imperatore Domiziano (96). Tacito ama vivere in un’epoca nella quale “si può pensare come si vuole e dire ciò che si pensa” e progetta, vecchiaia permettendo, di scrivere sfruttando tali possibilità. L’argomento centrale di quest’opera, però, è la relazione


LA VILLA DI TIBERIO A CAPRI Costruita sul monte Tiberio, nella parte orientale dell’isola, a 334 metri sul livello del mare, Villa Iovis (“Villa di Giove”) fu il luogo da cui Tiberio governò l’Impero per undici anni.

offrire un quadro completo del Principato. Rimangono i libri sul regno di Tiberio, sugli ultimi anni di Claudio e su alcuni di Nerone. Non mostra grande simpatia per la famiglia imperiale ma scrive anche qui sine ira. Di Tacito a un certo punto si perdono le tracce nelle fonti. Svolse qualche altro incarico pubblico in province lontane – forse fu proconsole in Caria (nell’attuale Turchia) – e probabilmente finì i suoi giorni intorno al 120. Il suo pensiero è denso, liberale e pessimista, ma sempre imparziale e critico. Assistette alla decadenza politica e morale della sua patria e, nel suo spirito repubblicano, seppe trasmettere la sua visione della storia ai lettori e agli storici della posterità (da Edward Gibbon a Theodor Mommsen o Oswald Spengler); una lezione imprescindibile. Resta lo stile come marchio della sua personalità: la grande storia fatta scrittura.

IL MAESTRO QUINTILIANO. Tacito fu allievo di Marco Fabio Quintiliano (circa 35-96 d.C.). Il busto è esposto nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

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tra il potere personale e la libertà. Si tratta di una “storia” nel senso tradizionale della parola fin da Erodoto: una ricerca personale, ma imparziale, sulla politica romana nei momenti di crisi. Come dice all’inizio dell’altra sua opera maggiore, gli Annali (I, 1, 3), si proponeva di narrare i fatti in modo obiettivo: “Consilium mihi [...] tradere [...] sine ira et studio, quorum causas procul habeo”, “Il mio proposito è riferire i fatti, senza ostilità e parzialità, dalle cui cause sono lontano”. L’espressione sine ira et studio è poi divenuta proverbiale per indicare l’intento di esprimere il proprio giudizio in modo imparziale e obiettivo. Negli Annali non portò a compimento il suo progetto: narrare gli anni “migliori” del Principato, quelli di Nerva e Traiano. Sono tuttavia il suo capolavoro. Tacito volle così completare la propria produzione storiografica, tornando indietro fino alla morte di Augusto per

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RICCARDO SPILA/FOTOTECA 9X12

LA SEDE DEL SENATO La Curia Iulia (il grande edificio in mattoni), costruita da Cesare nel Foro e portata a termine da Augusto nel 29 a.C., fu distrutta nel 283 d.C. e riedificata da Diocleziano.

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LA RIFORMA DELLO STATO Lo spirito rinnovatore di Augusto non investì solo la macchina dello Stato, ma anche la vita privata dei cittadini, spinti al matrimonio e puniti per gli adulteri attraverso una serie di leggi che miravano a restaurare gli antichi valori romani EVA CANTARELLA DOCENTE DI DIRITTO GRECO E ROMANO GLOBAL PROFESSOR, NEW YORK UNIVERSITY LAW SCHOOL

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HANAN ISACHAR/JAI/CORBIS/CORDON PRESS

CESAREA DI PALESTINA La colonia romana fu fondata da Erode il Grande (25-12 a.C.) lungo la costa dell’odierno Israele, tra Haifa e Tel Aviv. Il suo nome è un omaggio all’imperatore Cesare Ottaviano Augusto.

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opo decenni di guerre che avevano prodotto lutti e miseria, i Romani, pur di avere la pace, erano disposti ad accettare di essere governati da una sola persona. Ottaviano lo sapeva bene, ma sapeva anche che questa persona non doveva apparire ai loro occhi come un re: i Romani volevano essere cittadini, non sudditi. E con grande acume trovò il modo di realizzare i suoi obiettivi senza scontrarsi con le loro aspettative. Dopo essersi fatto attribuire dal Senato il titolo di Augustus (vale a dire “degno di venerazione”), che divenne parte del suo nome, egli accentrò in sé uno alla volta tutti i poteri consentiti dalla costituzione repubblicana, senza introdurre modifiche costituzionali che potessero irritare la popolazione. Nel 23 a.C. si

fece attribuire la tribunicia potestas, vale a dire i poteri dei tribuni della plebe (che gli permettevano di bloccare con un veto le deliberazioni del Senato e le iniziative dei magistrati), nonché quelli dei governatori delle province (imperium proconsulare maius et infinitum), che gli consentivano di controllare le province. Grazie al titolo di princeps senatus (primo tra i senatori), inoltre, aveva il diritto di aprire le sedute, parlando per primo.

Province senatorie e imperiali Negli anni, sotto il suo governo, grazie a una politica intelligente resa efficace anche da una straordinaria capacità di propaganda, le condizioni generali di vita migliorarono sensibilmente. La nuova, imponente rete stradale facilitava gli scambi con regioni anche assai lontane. Le rotte marittime erano finalmente


necessario governare personalmente, divennero province senatorie (perché amministrate dal Senato). Le altre, dette provinciae Caesaris, vale a dire province imperiali (i cui tributi non andavano all’erario, vale a dire nelle casse dello Stato, ma al fisco, e cioè nella cassa personale del princeps), venivano controllate da Augusto attraverso funzionari che eseguivano le sue direttive.

VASO PER COSMETICI Coppa in argento sbalzato proveniente dagli scavi di Ercolano (I sec. d.C.). Veniva utilizzata per conservare i cosmetici. Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

La guardia pretoriana Con l’organizzazione augustea nacque, insomma, un nuovo ceto di funzionari e di burocrati stipendiati dallo Stato, destinati con il tempo a moltiplicarsi e ad acquistare un enorme potere. Altra importante trasformazione fu quella dell’organizzazione militare. Augusto infatti, aprendo l’arruolamento a tutti, consentì a un gran numero di persone

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sicure: Alessandria d’Egitto, per esempio, in passato distante settimane di navigazione da Roma, poteva ora essere raggiunta in soli 18 giorni. I contadini lavoravano alacremente la terra, e venivano lodati come coloro grazie ai quali rinascevano i valori del buon tempo andato, che avevano fatto dell’Urbe il centro del mondo. La burocrazia, corrotta dagli anni di guerra, fu ricostruita e riorganizzata. Nuove figure di governo, nominate da Augusto e sottoposte al suo controllo personale, divennero in breve funzionari permanenti. Tra questi stavano i praefecti (prefetti), i più importanti dei quali erano i praefecti urbi, cui era affidata la città in assenza dei magistrati supremi, e i praefecti praetorio, comandanti della guardia del corpo dell’imperatore. Le province vennero divise in due categorie: le più tranquille, che Augusto non riteneva

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AUGUSTO ACCOLSE NELLA SUA CERCHIA I MIGLIORI POETI, ARTISTI E INTELLETTUALI DELL’EPOCA AUREO IMPERIALE EMESSO A LUGDUNUM (LIONE): SUL VERSO COMPAIONO GAIO E LUCIO CESARE, NIPOTI DI AUGUSTO.

di intraprendere una vera e propria carriera, con i vantaggi economici e sociali che ne derivavano: i soldati che venivano dalle province, tra l’altro, acquisivano la cittadinanza romana, e al termine del servizio tutti ricevevano un appezzamento di terra. Un altro importante provvedimento fu la creazione di un corpo speciale di 9000 soldati scelti, detti pretoriani, incaricati di proteggere la persona del princeps – soldati scelti, sia detto per inciso, che con il tempo divennero potentissimi, ed ebbero un ruolo fondamentale nell’elezione di molti imperatori – e la riduzione delle legioni a 25 (di 6000 uomini ciascuna), stanziate a difesa dei confini.

Roma come Atene Non meno rilevanti, infine, gli interventi in materia di politica culturale. Nel nuovo clima, che garantiva maggior benessere e soprattutto la pace, a Roma si concentrarono, come nell’Atene di Pericle, i migliori intellettuali e artisti dell’epoca, che Augusto, con grande intelligenza, accolse nel circolo dei suoi amici, se necessario aiutandoli economicamente. Tra i poeti ammessi a corte, alcuni lo celebravano, esaltando gli ideali di vita da lui proposti. Se qualcuno aveva opinioni politiche differenti dalle sue le rispettava: si racconta, per esempio, che egli chiamasse affettuosamente Tito Livio “il mio repubblicano”. Ma con quanti proponevano ideali e modelli di vita incompatibili con quelli che un’abilissima propaganda incessantemente esaltava, il suo atteggiamento fu tutt’altro che tollerante. Come ben dimostra il caso di Ovidio (43 a.C.-18 d.C.), le cui opere poetiche parevano ad Augusto troppo apertamente in contrasto con la sua politica familiare, volta a restaurare gli antichi valori della famiglia, e con il modello femminile di sposa e madre integerrima da lui esaltato, dal quale le donne dell’epoca si discostavano, a suo giudizio, in modo così net98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

to da costituire un pericolo per la comunità. Oltre che motivi morali, a indurlo a simili atteggiamenti lo portavano anche ragioni più concrete, rappresentate dalla crisi demografica che da tempo travagliava Roma, e della quale a suo giudizio le donne erano le maggiori responsabili, in quanto non rispettavano più il dovere civico di generare incessantemente figli alla patria. Per questo, tornando a Ovidio, la sua opera era pericolosa: insegnando alle donne come coltivare la propria bellezza, e come sedurre i propri amanti, poteva assecondare la tendenza femminile a godersi la vita. Un pericolo che Augusto sventò esiliando Ovidio (forse implicato anche in una crisi di palazzo) a Tomi, sul Mar Nero, dove il poeta morì senza mai ottenere il perdono.

Le noie del matrimonio Tutto questo, ovviamente, non bastava a risolvere il problema demografico, i cui sintomi preoccupavano seriamente le autorità già verso la metà del II secolo a.C. Nel 131 a.C., infatti, il censore Metello Numidico aveva tentato di invogliare i cittadini a sposarsi – prima condizione, assolutamente indispensabile, alla nascita di futuri cittadini – pronunziando un interessante discorso: “Se noi, o Quiriti, potessimo vivere senza mogli, nessuno di noi, certamente, accetterebbe le noie del matrimonio. Ma poiché la natura ha voluto che non si possa vivere con le mogli senza averne delle noie, ma neppure ha voluto che si potesse vivere senza di loro, è necessario preoccuparsi della tranquillità perpetua, invece che del piacere di breve durata”. Ma i risultati del singolare incoraggiamento erano stati scarsi, per non dire nulli, così come quelli di una prima, timida (rispetto alle successive) iniziativa di Augusto in questo campo, consistente nel dare lettura del discorso di Metello Numidico in Senato e farlo affiggere perché tutti ne avessero conoscenza.


ARALDO DE LUCA/CORBIS/CORDON PRESS

L’AUGUSTO DI PRIMA PORTA Statua di marmo, rinvenuta nella villa imperiale di Prima Porta a Roma. Augusto è ritratto con una corazza in pelle ornata di rilievi simbolici. I secolo d.C., Musei Vaticani, Città del Vaticano.

SFINGI CRIOCEFALE Una serie di sfingi criocefale (con corpo di leone e testa di ariete) ornavano il Grande Cortile Porticato di Karnak, utilizzato dai sacerdoti come deposito delle barche sacre al divino Amon. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CON LA LEX IULIA FU ISTITUITO UN APPOSITO TRIBUNALE PER PUNIRE LE DONNE ADULTERE TESTA DI GIUNONE, DEA LATINA DELLA FAMIGLIA. I SECOLO D.C., ROMA.

Evidentemente, per invogliare i Romani a sposarsi, ci volevano iniziative più drastiche, ovvero delle sanzioni per chi non lo faceva. Ed ecco dunque la Lex Iulia de maritandis ordinibus e la Lex Papia Poppaea (citate dai giuristi come Lex Iulia et Papia), in forza delle quali tutti gli uomini tra i venticinque e i sessant’anni e tutte le donne tra i venti e i cinquanta dovevano contrarre matrimonio. Chi non lo faceva era punito con la perdita di alcune capacità patrimoniali. Nell’impossibilità di costringere i Romani ad avere figli, si costringevano almeno le persone in età fertile a sposarsi.

Ma neppure questo bastava. Bisognava anche rafforzare i valori morali della famiglia, messi in pericolo dal comportamento femminile. E a questo scopo Augusto fece approvare la Lex Iulia de adulteriis, che puniva come adulterium, perseguendoli nelle forme del processo pubblico, tutti i rapporti extraconiugali avuti da una donna, anche se nubile o vedova. Uniche eccezioni, le prostitute e le ruffiane. La Lex Iulia de adulteriis, dunque, non si limitava a punire la violazione della fede coniugale. Essa aveva un intento moralizzatore più ampio, che affidava la speranza di ottenere dei risultati a una profonda trasformazione dell’ottica con cui si guardava ai reati sessuali. Per secoli, la punizione di questi reati era stata affidata alla giurisdizione domestica. Con Augusto, essi diventavano invece un crimen, vale a dire un reato pubblico, giudicato da un apposito tribunale (quaestio de adulteriis) e perseguibile su iniziativa non solo dei coniugi, ma di qualunque cittadino prendesse l’iniziativa di denunciare l’adultera (nel senso più lato del termine sopra indicato). Più precisamente, le regole augustee erano le seguenti: il marito e il padre della donna col100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SOTHEBY’S/AKG/ALBUM

Una legge contro l’adulterio

pevole avevano sessanta giorni per denunciarla, intentando una accusatio adulterii. Il marito che non lo faceva e che non ripudiava la moglie poteva essere denunciato a sua volta per lenocinio. Scaduto il termine dei sessanta giorni, il diritto di accusa passava agli estranei, che potevano esercitarlo entro quattro mesi. La pena era la relegatio in insulam, sia per la donna sia per il complice (prudentemente relegati su isole diverse, come stabilì esplicitamente la legge), accompagnata da pesanti sanzioni patrimoniali. Risultato? Un fallimento totale. La Lex Iulia de adulteriis fu, forse, la legge più sfortunata emanata da Augusto. A ben vedere, infatti, essa rimase praticamente inapplicata. Così risulta in primo luogo da una serie di indizi, tra cui una frase del sia pur assai poco attendibile (in fatto di donne) Giovenale, che nella Satira II, nel mezzo di una feroce requisitoria contro il


PROMESSE SPOSE A DODICI ANNI

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E DONNE ROMANE smettevano pre-

sto di essere considerate bambine. A dodici anni già potevano essere promesse in spose e spesso non trascorreva molto tempo prima che avessero un figlio. La scelta del marito era compito del pater familias, che decideva chi dovesse sposare la figlia e si accordava con lui sulla data degli sponsalia, la cerimonia solenne di fidanzamento. Seguiva il matrimonio vero e proprio, che a Roma poteva essere celebrato in tre forme diverse. La più antica era il matrimonio per confarreatio, istituito secondo il mito da Romolo e perciò ritenuto indissolubile: praticato anticamente dai patrizi, all’epoca di Augusto era quasi caduto in disuso. Meno solenni il matrimonio per coemptio, una sorta di vendita simbolica della donna allo sposo, e quello per usus, in cui la donna che aveva convissuto con un uomo per un anno intero diventava automaticamente, per “usucapione”, sua moglie.

SCENA DI DANZA TRA SPOSI IN UNA FESTA NUZIALE ROMANA, OLIO SU TELA DI EMILIO VASARRI (1862-1928). COLLEZIONE PRIVATA.

genere femminile e i suoi vizi, si chiede esasperato: Ubi Lex Iulia, dormis? (“Dove sei mai, Lex Iulia? Stai forse dormendo?”). Secondo Giovenale, dunque, le adultere non correvano alcun rischio di essere punite. E al di là della sua ben sua nota avversione alle donne e delle esagerazioni tipiche del genere letterario di cui è forse il massimo esponente, su questo punto aveva probabilmente ragione.

Ventun condanne in cento anni Quello che egli dice, infatti, sembra confermato dalla scarsità di notizie sui processi per adulterio. Secondo un calcolo fatto anni or sono, le accuse per adulterio e le condanne per questo crimine sotto la dinastia Giulio-Claudia, nell’arco di quasi un secolo, sarebbero state in tutto ventuno. Ammesso che il calcolo sia esatto, c’è effettivamente da restare perplessi. Nel corso di un secolo, le denunce

per adulterio si contarono quasi sulle dita, se non di una, al più di due mani. La Lex Iulia dormiva veramente, si direbbe. Ma perché? In primo luogo, perché per secoli l’adulterio era stato considerato una faccenda privata, da discutere e punire in famiglia. Cambiare una mentalità così radicata non era facile: e la Lex Iulia, per essere applicata, richiedeva che questa mentalità venisse cambiata. Che all’adulterio, insomma, si guardasse in modo nuovo, e cioè come a un crimine che, mettendo a rischio lo Stato, poteva essere denunciato da chiunque. I panni sporchi, insomma, non si dovevano più lavare in casa, e questo non venne accettato: cosa della quale, a quanto pare, Augusto era perfettamente consapevole. Racconta lo storico greco Cassio Dione (155235 d.C.), infatti, che quando il Senato gli chiese di intervenire con maggior decisione sul problema, egli rispose: “Date voi stessi alle STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PRISMA

GUERRA AL TRUCCO lenocinium indicava sia il maquillage sia la prostituzione. Le cose non cambiarono con l’avvento dell’Impero, anzi. Seneca (4 a.C.-65 d.C.) considerava il trucco un sintomo di decadenza morale, mentre il poeta Giovenale (60-127 d.C.), nella Satira IV, scrive: “Ma la faccia trattata con tanti diversi trucchi, con il fango cotto e bagnato, si chiamerà ancora faccia o è una piaga?”. TOELETTA DI UNA MATRONA ROMANA PETTINATA DALLE SUE SCHIAVE. DIPINTO DI JUAN GIMÉNEZ Y MARTIN, PITTORE SPECIALIZZATO IN SOGGETTI ESOTICI E CLASSICI. XIX SECOLO, CAMERA DEI DEPUTATI, MADRID.

vostre mogli i consigli e gli ordini che ritenete necessari: io faccio così con la mia”. Né varrebbe obiettare che a determinare questo atteggiamento di Augusto potrebbe aver giocato la sua difficile situazione personale: il suo comportamento era notoriamente tutt’altro che irreprensibile, e quello di sua figlia Giulia (una delle poche vittime della sua legge) era così clamorosamente licenzioso che egli era stato costretto a relegarla nell’isola di Pandataria (oggi Ventotene). Se anche ebbero un peso, non furono però i problemi personali a creare ad Augusto i maggiori imbarazzi. La sua vera difficoltà, quel che rendeva realmente critica la sua posizione, era la necessità di fare i conti con la grande maggioranza dei Romani, che non accettavano la pretesa dello Stato di stabilire le regole della loro vita privata, e che in aggiunta temevano che, se avessero denunziato una donna appar102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

UGO MELLONE/FOTOTECA 9X12

TRA I ROMANI VECCHIO STAMPO la cosmesi era mal vista. Di fatto, il termine

tenente a un’altra famiglia, i membri di quella famiglia si sarebbero vendicati denunciando una donna della loro: la necessità di vendicare le offese subite era, infatti, parte integrante della cultura dell’epoca.

Nobildonne e prostitute La ragione per cui la Lex Iulia si rivelò inefficace, insomma, fu la sua totale estraneità alla cultura di Roma. Come pare confermare una singolare circostanza. Il testo della legge, come detto, escludeva le prostitute e le ruffiane dal suo campo di applicazione. Ebbene: le donne romane presero a dichiarare di svolgere il mestiere di prostitute, andandosi a registrare negli appositi elenchi. Riferita da Svetonio e Tacito, la notizia è confermata da un passo del giurista romano Papiniano (177-213 d.C.). Che pensare di tale comportamento? A prima vista, potrebbe far ipotizzare che la legge ve-


nisse applicata così severamente da indurre le donne a ricorrere a un rimedio estremo: essere pubblicamente note come prostitute o ruffiane. Ma le cose non stanno così. Le fonti dimostrano che a sfruttare questo espediente erano le donne appartenenti alle classi sociali più alte, di rango senatorio o equestre: donne, dunque, che di fatto non avevano nulla da temere dalla legge, perché con ogni probabilità non sarebbero state denunciate.

Un atto di disobbedienza civile Non dimentichiamo, a questo proposito (anche se non è facile stabilire l’esatto rapporto cronologico tra le sue elegie e la Lex Iulia), che in piena età augustea nessuno si era preso la briga di denunziare la poetessa Sulpicia, le cui elegie, a tutti note, parlavano di una sua relazione sessuale con tal Cerinto, che in forza di questa legge era indiscutibilmente un cri-

mine. Evidentemente, se aveva scritto di quell’amore in termini così espliciti, Sulpicia sapeva di non correre alcun rischio. La dichiarazione di esercitare la prostituzione o il lenocinio, insomma, non sembra fosse dettata dal timore di incorrere nei rigori della legge, ma piuttosto dal desiderio di compiere un atto di aperta provocazione, una specie di bravata o di gesto di disobbedienza civile, volto a far conoscere pubblicamente e beffardamente la propria ostilità alle nuove regole. Né, a fare pensare che queste venissero applicate, può valere la notizia, data da Svetonio, secondo la quale Tiberio avrebbe inviato in esilio tutte le matrone che erano ricorse a un simile espediente; o quella secondo cui l’imperatore avrebbe vietato di esercitare la prostituzione alle donne di rango equestre, decisione assunta, secondo Tacito, dopo che all’elenco delle prostitute si era iscritta una tale

L’ISOLA DELL’ESILIO Tra le poche vittime della crociata di Augusto contro gli adulteri femminili vi fu la figlia Giulia, che trascorse gli ultimi anni di vita confinata sull’isola di Ventotene, al largo delle coste laziali.

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BIASIMO, VERGOGNA ED EMARGINAZIONE SOCIALE COLPIVANO LE DONNE INFEDELI

Vistilia, appartenente appunto a tale classe. Questa notizia infatti, pur dimostrando che Tiberio tentò di fare applicare la Lex Iulia, conferma anche che la disapplicazione era forte. E per di più le fonti sembrano dimostrare che neppure Tiberio riuscì nel suo intento. Forse, a questo punto, al di là del caso specifico e delle specifiche ragioni del fallimento della legislazione augustea, vale la pena notare che – comunque – è regola generale che le norme penali in materia sessuale vengano massicciamente disattese. La penalizzazione dell’adulterio, in particolare, ha certamente ottenuto di far condannare – per secoli – a pene feroci un imprecisato numero di adulteri e, soprattutto, di adultere; ma altrettanto certamente non ha mai cancellato il fenomeno.

Ma torniamo a Roma: che fare, dunque, con le adultere, e con tutte le donne che non rispettavano i canoni della morale sessuale? Se la legge non funzionava, funzionavano le sanzioni sociali. Funzionavano il biasimo, l’emarginazione, la vergogna che colpivano le donne la cui vita non corrispondeva al modello augusteo, rappresentato dalla modestissima imperatrice Livia: quella Livia che tesseva di persona le stoffe con cui si confezionavano gli abiti del marito, e che incarnava alla perfezione, almeno nella forma, l’ideale della matrona. Certo, molte altre cose si potrebbero aggiungere sulla politica interna augustea, ma a tirare le fila del discorso può aiutare un episodio raccontato dal solito Svetonio: dopo lunghi anni di governo, Augusto morì a Nola il 19 agosto del 14 d.C., a settantasei anni. Sul letto di morte chiese uno specchio, si guardò, si pettinò e disse agli amici: “Se la recita vi è piaciuta, applaudite”. E aveva certamente meritato gli applausi: con lui e grazie a lui Roma aveva goduto quarant’anni di pace e aveva raggiunto il suo massimo splendore. 104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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“La recita è finita”


LA CONSOLAZIONE DELLA MUSICA Affresco proveniente dalla villa di P. Fannio Sinistore, a Boscoreale (Napoli), raffigura una giovane matrona romana che suona la cetra. I secolo a.C., Metropolitan Museum, New York.

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GEMMA AUGUSTEA CON VITTORIA Il gioiello, realizzato in sardonica (una varietà di agata), raffigura una vittoria alata alla guida di una biga. 31 a.C.-14 d.C. Museum of Fine Arts, Boston.

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L’APOTEOSI DI AUGUSTO Frammento del bassorilievo di un altare monumentale. La divinizzazione era un atto politico che rafforzava la carica imperiale. I secolo d.C., Museo Nazionale, Ravenna.


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L’ESERCITO E LE FRONTIERE Romanizzazione delle aree non ancora completamente soggette al dominio imperiale e avanzamento dei confini per allontanare il rischio rappresentato dai barbari: furono questi i due principi che ispirarono l’efficace politica estera di Augusto MASSIMO BOCCHIOLA, MARCO SARTORI STORICI E SCRITTORI SPECIALIZZATI IN STORIA ROMANA


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L’ACQUEDOTTO DI PONT DU GARD Il ponte a tre livelli faceva parte di un acquedotto che si estendeva nel sud della Francia per 50 km, portando acqua alla città di Nemausus (attuale Nîmes). L’opera fu fatta erigere dal genero di Augusto, Agrippa, nel 19 a.C.

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l tempio di Giano Quirino, che i nostri antenati vollero che venisse chiuso quando in tutto l’Impero del popolo romano vi fosse pace a seguito delle vittorie riportate, e del quale si ricorda che dalla fondazione di Roma alla mia nascita fosse stato chiuso solo due volte in tutto, tre volte essendo io princeps il Senato ordinò che fosse chiuso”. La più importante iscrizione del mondo romano, le Res Gestae Divi Augusti (“Le imprese del divino Augusto”), quella che ci tramanda la verità ufficiale del creatore dell’Impero, ci comunica ancora oggi il compiacimento di Augusto per la restaurazione della pace. È la stessa soddisfazione che leggiamo in tutte le opere letterarie contemporanee, da Virgilio a Orazio e ai poeti elegiaci. Era questo il primo

lascito della Repubblica e di decenni di guerre civili. Non c’era ceto sociale che non applaudisse alla sicurezza dei commerci e della proprietà terriera, alla riconquistata tranquillità della vita dei campi, alla possibilità di costruire o ricostruire città dove la vita civile si potesse serenamente svolgere, a un nuovo ordine in cui le province non fossero più terreno di scontro o di saccheggio. Al prezzo della libertà politica i senatori potevano conservare la loro condizione privilegiata, le loro terre e anche un ruolo di rilievo nel governo. I cavalieri potevano attendere ai loro traffici, avere una compartecipazione nel governo di province importanti e ricche e porsi come ordine affidabile e competente nella amministrazione imperiale. Le classi popolari, deluse da un secolo di rivendicazioni fallite, trovarono nell’esercito una via per miglio-


giusto, infine una nuova organizzazione delle province nei loro confini, nei loro rapporti con Roma e nel loro governo. Nessuno ignorava però che tale ordine nuovo e per certi versi rivoluzionario si fosse affermato e continuasse a poggiare sul fondamento ereditato da una città da sempre costruita sulla guerra. I problemi della difesa, la collocazione delle legioni, il loro finanziamento, la strategia militare e la politica estera sono dunque un tassello altrettanto importante del disegno imperiale. E, come si deduce dalla Res Gestae, geloso privilegio dell’imperatore.

LE INSEGNE DELL’ESERCITO Rilievo raffigurante insegne romane: quella al centro è di una legione, le due ai lati di due manipoli. III secolo d.C. Chiesa di San Marcello al Corso, Roma.

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rare la loro condizione e nelle beneficenze imperiali una nuova fonte di sopravvivenza. L’ideale dell’ecumenismo, nutrito dell’esempio dell’Impero di Alessandro Magno e del suo mito, e la missione civilizzatrice di Roma su scala mondiale, erano le altre facce della conquista della pace, riecheggiate nella simbologia imperiale della Vittoria e del globo terrestre che compariva in statue e monete. In questo senso l’Impero di Augusto coincide con un disegno di restaurazione e di riorganizzazione complessiva di uno Stato che ambisce all’universalità: i suoi tratti, coerenti tra loro, sono la definizione dei poteri costituzionali del princeps, la delineazione del ruolo della città di Roma e dell’Italia, una nuova e più giusta modalità di amministrazione, la creazione di grandi infrastrutture viarie e portuali, un sistema fiscale adeguato alle spese e più

Augusto comandante La più celebre statua del princeps, il cosiddetto Augusto di Prima Porta, ce lo mostra nelle vesti idealizzate del generale vittorioso con i simboli del suo potere. Ma a onta della proSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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NONOSTANTE LA PROPAGANDA, AUGUSTO NON FU MAI UN GRANDE COMANDANTE COPIA DI UN PICCOLO CALICE CON INCISO L’ITINERARIO DEL SERVIZIO POSTALE ROMANO. XIX SECOLO. MUSÉE DE LA POSTE, PARIGI.

paganda, Augusto non fu mai un grande comandante. A Filippi il successo fu di Antonio e la vittoria di Azio è piuttosto la fuga di Cleopatra; lui stesso affermava che era più difficile amministrare un impero che conquistarlo. Augusto non introduce novità nell’armamento, nel modo di combattere, nella catena di comando e nemmeno nella tattica. Le legioni romane restano una forza di fanteria pesante superiore per numero di effettivi, tattica, addestramento degli uomini, tecniche di combattimento, macchine e logistica a qualsiasi forza militare le potesse sfidare.

Un nuovo tipo di esercito Già da tempo poi la presenza di frazioni nella legione (la legione era formata da 5000-6000 uomini; la coorte ne costituiva un decimo, circa 500 uomini, e poi vi erano le formazioni più piccole dei manipoli e delle centurie) assicurava anche la flessibilità e quella agilità che una truppa di fanteria pesante di circa 5000 uomini non poteva avere. La mano dell’imperatore si vede altrove: la distinzione tra la guarnigione di Roma e quella delle province, la differenza tra le unità ausiliarie e le legioni, i comandi, il reclutamento e la strategia alle frontiere risalgono ai primi anni del regime. È infatti Augusto che porta a compimento una rivoluzione che era già iniziata nel II secolo a.C. quando si erano accettati i primi arruolamenti di volontari. L’esercito cittadino di Roma si trasforma cioè in maniera definitiva in un esercito stanziale arruolato ancora con la coscrizione obbligatoria, ma in massima parte tramite il volontariato. Come si addice all’ideologia antica della città, il legionario resta e resterà orgogliosamente cittadino romano, e tuttavia non è più formalmente un “dilettante” che milita in campagne brevi e vicine all’Italia, ma diventa a tutti gli effetti un professionista della guerra che serve in aree lontane dalla zona di reclutamento 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

e che pertanto si immedesima nella tradizione e nello spirito di corpo della sua legione. La ferma lunga, che viene portata da sedici a venti anni, contribuisce all’identificazione nei valori di Roma ai quali le truppe resteranno sempre fedeli. I signori della guerra dell’ultima età repubblicana avevano attirato le legioni nella loro clientela e cercavano ognuno di ampliare la propria provincia (che in età repubblicana significa ancora “incarico”) dal punto di vista territoriale e temporale: Pompeo, per esempio, si era fatto assegnare un imperium infinitum, cioè un incarico senza confini, per la guerra contro i pirati, mentre i comandi si erano trasformati da annuali a pluriennali. Dal 27 a. C. invece c’è un unico e solo comando supremo guidato da un imperator a capo delle forze armate in qualsiasi provincia si trovino. Le truppe sono raggruppate per provincia (ora definitivamente “ambiti territoriali”) e non godono più di alcuna autonomia: i comandanti, gli ordini e le strategie vengono da Roma o da dove si trova l’imperatore che crea una sorta di Stato maggiore unificando logistica e collegamenti: uno storico del III secolo dirà che nel Palazzo, la sede del potere, si trova lo Stato maggiore. Il nuovo servizio di posta pubblica inaugurato proprio sotto Augusto sarà il segno di questa razionalizzazione dello spazio e avrà soprattutto scopi di informazione militare e di raccordo tra il centro e la periferia. D’altro canto i successi e i trionfi non saranno più celebrati dietro sofferta e contrastata autorizzazione da parte del Senato, ma saranno rivendicati dalla famiglia imperiale diventando con la costruzione di archi trionfali uno strumento utile di visibilità.

I numeri e i costi Le guerre civili avevano prodotto la mobilitazione di un numero impressionante di uomini. Così le circa 60 legioni del I secolo a.C. vennero ridotte a 28 (e saranno 25 dopo che la


ART ARCHIVE

LEGIONARI ROMANI IN EGITTO Dettaglio del grande “Mosaico del Nilo” di scuola alessandrina, databile al II secolo a.C. È esposto al Museo Archeologico di Palestrina (Roma), ospitato nel Palazzo Colonna Barberini. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BRIDGEMAN

AUGUSTO COMPÌ ALCUNE GRANDI INNOVAZIONI MILITARI ANCHE PER LA DIFESA DELL’ ITALIA

XVII, la XVIII e la XIX saranno state inghiottite dalla selva di Teutoburgo) per un totale che, a causa della variabilità degli effettivi, è calcolato da 140.000 a 160.000 soldati. Come in età repubblicana, a questi si deve aggiungere un numero pari o leggermente inferiore di milizie ausiliarie che in genere sopperivano alle carenze tattiche della fanteria pesante offrendo truppe leggere e cavallerie. Erano truppe di minor valore (e meno costose) composte da cittadini o da stranieri ed erano inquadrate sotto ufficiali romani o sotto i capi tradizionali delle genti che le fornivano. Non erano assolutamente milizie locali e spesso erano mandate dalla parte opposta dell’Impero: un caso noto è quello di Arminio e dei suoi germani Cherusci, che probabilmente sotto Gaio Cesare (nipote di Augusto), poco prima del 4 d.C., avevano combattuto in Armenia come ausiliari di Roma (da cui alcuni fanno derivare il nome stesso di Arminio) e dove il loro capo era stato conosciuto dallo storico Velleio Patercolo, allora ufficiale di cavalleria.

La gestione dell’esercito in Italia Anche per la difesa dell’Italia Augusto aveva voluto innovare rispetto alla tradizione repubblicana. La vecchia guardia del magistrato repubblicano, i pretoriani, ebbe infatti un nuovo inquadramento inizialmente in nove coorti di 500 uomini stanziati sull’Esquilino, alla periferia della città, agli ordini di un prefetto a sua volta dipendente dall’imperatore. Si trattava di truppe scelte arruolate solo in regioni dell’Italia centrale, pagate molto di più degli altri legionari e privilegiate anche per l’accesso diretto alla corte e alla persona del princeps. Non poteva mancare infine la riorganizzazione della Marina, che pure aveva avuto una parte nella guerra civile sia nella battaglia di Azio sia nella lunga guerra navale che il figlio di 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

VANNI ARCHIVE/CORBIS

LAMPADA CON IL PORTO DI ALESSANDRIA E IL MAUSOLEO DI AUGUSTO.

Pompeo aveva combattuto nel Mediterraneo dopo la morte del padre. Affidandole a un prefetto equestre di sua nomina, l’imperatore avocò a sé anche il comando delle due flotte, quella del Tirreno, alla fonda a Capo Miseno, vicino a Napoli, e quella dell’Adriatico, nel porto di Ravenna. Per quanto le stime siano difficili per la mancanza di fonti sistematiche e costanti, si può calcolare che questa enorme forza militare avesse bisogno di circa 6000 rimpiazzi legionari all’anno che aumentavano fino a 15.000 se teniamo conto delle altre forze. È evidente che un esercito di queste dimensioni aveva costi altissimi. Verso la fine dell’Impero di Augusto, un legionario riceveva lo stipendio di 225 denari all’anno; non era una paga allettante, considerato che ne veniva detratto il corrispondente del suo mantenimento, ma comunque superiore a quella di tutti i lavoratori manuali; a questa somma erano


L’IMPONENTE TROFEO DI AUGUSTO

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LL’IMPERATORE CESARE AUGUSTO, figlio del Divino Giulio,

Pontefice Massimo, acclamato imperatore per la quattordicesima volta e rivestito della diciassettesima potestà tribunizia. Il Senato e il popolo romano, perché sotto la sua condotta e i suoi auspici, tutte le popolazioni alpine insediate tra il mare Superiore [l’Adriatico] e il mare Inferiore [il Tirreno] sono state sottomesse al potere del popolo romano. Popolazioni alpine vinte... [segue la lista dei 45 popoli domati].” Questo è il testo della scritta dedicatoria incisa sul Trofeo di Augusto (detto anche “delle Alpi”) che, giunta a noi quali illeggibile, conosciamo grazie a Plinio il Vecchio il quale la ricorda nella sua Naturalis Historia. Il monumento fu eretto sulla collina di La Turbie (vicino al Principato di Monaco) nel 7-6 a.C. per celebrare le vittorie ottenute da Augusto sulle popolazioni dell’arco alpino.

IL TROFEO DI AUGUSTO (480 METRI DI ALTITUDINE) SEGNAVA IL LIMITE DELLA VIA GIULIA AUGUSTA CHE UNIVA ROMA ALLA GALLIA.

aggiunte periodiche gratifiche, specie all’inizio o alla fine di un impero, i diritti di requisizione e di saccheggio e infine un premio di congedo che nei primi anni dell’Impero era di 3000 denari e a volte era arricchito con la distribuzione di appezzamenti di terreno. Stipendio e premio di congedo dei pretoriani erano molto più alti, ma in generale è chiaro perché i congedi avvenissero ogni due anni e spesso si ricorresse a prolungamenti della ferma oltre i limiti fissati. Con questi costi fissi l’esercito solo richiedeva circa 400 milioni di sesterzi, vale a dire una cifra che copriva dal 40 al 60 per cento del bilancio dello Stato. All’inizio l’imperatore fece fronte a questi ingenti esborsi in maniera simile ai generali che avevano combattuto le guerre civili. Nelle Res Gestae infatti Augusto si vanta di essersi addossato le enormi spese della sistemazione dei veterani pagando dal suo patrimonio per

i compensi in denaro contante e per l’acquisto di terre da distribuire (che peraltro come nelle guerre civili erano anche confiscate alla parte avversaria). Dopo trent’anni però egli fece rientrare il finanziamento dell’esercito nel più vasto piano di razionalizzazione delle strutture amministrative e organizzative dello Stato. Nel 6 d.C. istituì tra le proteste del Senato un aerarium militare finanziato da imposte eccezionalmente a carico dei cittadini per pagare i congedi dei veterani. Si trattava di una tassa dell’1 per cento sulle vendite all’incanto e del 5 per cento sulle eredità che fu sempre considerata la tassa più pesante.

I compiti dell’esercito La guerra contro i nemici esterni era il compito principale dell’esercito, ma non il solo e in certi periodi nemmeno il principale. Infatti all’esercito erano anche attribuiti i compiti STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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SIME/SIE

VANNI ARCHIVE/CORBIS

IL PORTO DI MISENO A partire da Augusto, fu la sede permanente della principale flotta della Marina romana. Un secondo bacino interno, collegato da un canale, serviva da cantiere e da rimessaggio invernale.

LE RES GESTAE DIVI AUGUSTI

G

LI STORICI Svetonio e Cassio Dione raccontano che Augusto, prima della sua morte, aveva consegnato alle Vestali alcuni documenti contenenti le sue volontà testamentarie. Tra i vari allegati, vi erano disposizioni ben precise circa un resoconto redatto dallo stesso imperatore, le Res Gestae Divi Augusti, riguardante le opere da lui compiute. Secondo le sue volontà, il testo doveva essere inciso su tavole di bronzo da porre davanti al suo Mausoleo, in Campo Marzio a Roma. Queste tavole sono andate perdute, ma il testo ci è comunque pervenuto attraverso copie epigrafiche frammentarie. La versione maggiormente completa è quella incisa (in latino e greco) sulle pareti del Tempio di Roma e Augusto (il Monumentum Ancyranum), ad Ancyra (l’odierna Ankara, in Turchia). Altre copie sono presenti a Yalvaç (non lontano da Antiochia di Pisidia, nell’odierna Turchia) e ad Apollonia di Pisidia, in Asia Minore. TEMPIO DI ROMA E AUGUSTO AD ANCYRA, OGGI ANKARA (TURCHIA). SULLE SUE PARETI È INCISO IN LATINO E IN GRECO IL TESTO DELLE RES GESTAE DI AUGUSTO (MONUMENTUM ANCYRANUM).

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dell’amministrazione civile che pretendevano, in quella che era una vera e propria civiltà della scrittura, un uso costante e ampio della parola scritta: non è un caso che all’atto dell’arruolamento i soldati fossero sottoposti a un controllo di cittadinanza, a un esame fisico, ma anche a un esame intellettuale dove si esigeva la conoscenza di un po’ di latino. Erano loro dunque a riscuotere le imposte nelle province, a fare i controlli doganali, a procedere ai censimenti; in qualità di agrimensori erano ancora i soldati ad accatastare i terreni per le divisioni di terre e le assegnazioni alle colonie con gli stessi strumenti che usavano in quanto genio militare a costruire strade e ponti e a squadrare il campo. Ma c’erano anche compiti di polizia interna, che negli Stati antichi non era assicurata da corpi indipendenti di specialisti. Distaccamenti dell’esercito, fino a contingenti di un


La strategia e la politica estera Il progetto di riorganizzazione della struttura dello Stato e quindi dell’esercito era accompagnato in Augusto e nei suoi consiglieri da una riflessione sull’Impero come entità geopolitica, sulla sua espansione e anche sui suoi

limiti. L’imperatore era erede del mito universalistico di Alessandro Magno che era penetrato nella propaganda ufficiale di Silla, Pompeo e Cesare e che vedeva nell’uso simbolico del globo terrestre su statue e monete l’emblema del dominio su tutto il mondo. Le fonti lo riflettono. Strabone, il grande geografo di età augustea, conclude la sua opera con la constatazione (riecheggiante posizioni ufficiali, visto che è l’idea chiave delle Res Gestae) che Roma occupa “la porzione migliore e meglio conosciuta del mondo abitato”. Dei tre continenti, i Romani posseggono quasi tutta l’Europa con l’esclusione di parti dove ragionevolmente nessun uomo del Mediterraneo vivrebbe; in Africa abitano la fascia costiera trascurando il deserto, a sud disabitato o percorso da tribù nomadi; non è ignorata l’esistenza delle popolazioni al di là del Danubio, che vi-

FALERA IN BRONZO Il disco decorativo della Legio X Fretensis (“dello Stretto”). Fu istituita da Augusto nel 41-40 a.C. per combattere Sesto Pompeo, che allora controllava la Sicilia. I secolo d.C. The Israel Museum, Gerusalemme.

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singolo soldato, si trovavano disseminati lungo le strade, erano di guardia agli incroci, oppure servivano di guarnigione nelle città (si pensi alla Gerusalemme del racconto evangelico della Passione), anche in quelle non sottoposte a minacce esterne. L’esercito tuttavia svolgeva operazioni contro il brigantaggio e contro la pirateria e aveva perfino il compito di ricercare gli schiavi fuggitivi. Insomma con Augusto il soldato non solo non scompare nelle guarnigioni ai confini, relegato in campi militari grandi come città, ma diventa parte integrante del paesaggio umano dell’Impero.

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U

NA RICOSTRUZIONE DELLA CORAZZA (lorica) con cui Augusto

è effigiato nella statua in marmo nota come Augusto di Prima Porta, per la località presso Roma in cui fu ritrovata nel 1863. In questa celebre statua databile al I secolo d.C. ed esposta ai Musei Vaticani, il primo imperatore appare in vesti militari, nel gesto dell’adlocutio, ossia nell’atto di arringare le truppe. Con una mano chiede ai soldati silenzio, con l’altra regge una lancia. Ai suoi piedi c’è il dio Eros a cavalcioni di un delfino. Forse si tratta della copia di una scultura in bronzo che celebrava le imprese di Augusto. L’opera nel suo complesso e in particolare le figure e le scene raffigurate sulla corazza celebravano Augusto come generale e come pacificatore dei domini di Roma: al suo Principato si dovevano infatti la restituzione delle insegne romane da parte dei Parti nel 20 a.C. e la sottomissione della Gallia e delle tribù ribelli dei Cantabri e degli Asturi in Spagna.

1 IL CIELO PROTETTORE. Caelus, il dio romano del cielo, dispiega il suo mantello: la volta celeste. Il dio Sole sul suo carro attraversa il Cielo preceduto dalla Rugiada.

6 DIANA. Dea della caccia, avanza su una cerva, portando con sé la sua faretra e le sue frecce. In epoca augustea venne ricostruito il suo tempio al centro dell’Aventino.

2 LA SPAGNA SOTTOMESSA. La figura femminile seduta con in mano una spada raffigura la Spagna. Simboleggia la sconfitta di Cantabri e Asturi attribuita ad Augusto.

7 LA GALLIA SCONFITTA. Questa figura femminile rappresentata in lacrime e con in mano una tromba celtica raffigura forse la sottomissione a Roma delle tribù galliche.

3 MARTE VINCITORE. Un Parto, forse il re Fraate IV, consegna un’insegna militare a una figura con l’elmo, forse il dio della guerra Marte, con la lupa capitolina ai suoi piedi.

8 SFINGI ALATE. Queste figure mitologiche sono poste come ornamento sugli spallacci della corazza di Augusto. Una sfinge era impressa anche sull’anello-sigillo dell'imperatore.

4 APOLLO. Fratello gemello della dea Diana, figlio di Zeus e di Latona, monta un grifone ed è raffigurato nell’atto di suonare una lira, strumento caratteristico di questo dio. 5 TELLUS. La dea romana della Terra è raffigurata sdraiata e con in mano una cornucopia, simbolo di fertilità e ricchezza. Viene rappresentata anche su un pannello dell’Ara Pacis.

vono nel vasto (ma meno vasto della realtà per la geografia dell’epoca) territorio dal Reno al Don, tuttavia questi territori sono barbari e non hanno alcun valore economico; si riconosce infine l’esistenza dell’Impero dei Parti in Asia e di barbari al di là di esso. Ma i Parti, come orgogliosamente ricordano le Res Gestae, hanno restituito nel 20 a.C. a Roma le insegne da loro sottratte nel 53 a.C. a Crasso dopo la disastrosa battaglia di Carre. Questa concezione geografico-culturale dei confini dell’Impero si collega a una più ampia visione di tipo geopolitico. Il centro del mondo è il mar Mediterraneo e l’Italia è il centro del centro sia dal punto di vista geografico sia dal punto di vista culturale; è compito dell’Impero renderlo sicuro con il consolidamento delle conquiste disperse e inorganiche dell’età repubblicana e il raggiungimento di netti confini naturali, quali i grandi fiumi, il mare o 116 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ILLUSTRAZIONE: SANTI PEREZ

LA CORAZZA DELLA VITTORIA

LA SPAGNA DOMATA. IN ETÀ AUGUSTEA VENNE COMPLETATA LA CONQUISTA DELLA REGIONE.

l’oceano. Si devono allontanare da una civiltà superiore ed evoluta i luoghi abitati da barbari che possono solamente aspirare all’amicizia diseguale di Roma e del suo imperatore. La sicurezza dell’Impero, e quindi la pace, si fondano in questo modo sulla eliminazione delle sacche non romanizzate che le tumultuose e rapaci conquiste repubblicane si erano lasciate alle spalle e sull’avanzamento dei confini per allontanare la minaccia barbarica. Le campagne militari di Augusto seguono questi due principi in tutti e quattro i settori strategici in cui opera il suo esercito. Dal 29 a.C. al 19 a.C., spesso con la sua presenza e con quella del genero Agrippa, promuove ripetute campagne in Spagna al fine di domare gli abitanti della Penisola e di porre fine alla guerriglia delle tribù soprattutto del nord-ovest, i monti Cantabrici, che non si era mai spenta fin dalla conquista romana del III


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secolo a.C. Inoltre, per completare il processo di romanizzazione della Gallia e dare sicurezza ai traffici tra il nuovo dominio romano e l’Italia, Augusto conquista e romanizza le zone alpine che in precedenza non avevano mai rivestito alcun interesse per l’imperialismo romano. Il successo è così importante che viene commemorato con l’erezione del “Trofeo di Augusto” o “delle Alpi” di La Turbie (ancora visibile nei pressi di Montecarlo) e con una apposita menzione nelle Res Gestae. In Asia Minore l’imperatore risolve per via diplomatica il problema partico e fa dell’Armenia uno Stato cuscinetto. Nella regione siro-palestinese Augusto conferma la tendenza inaugurata da Pompeo, che era stato il vero conquistatore della regione, e istituisce una serie di Stati satellite, il più noto e potente dei quali è il regno di Erode in Giudea, che consentono di fatto di alleggerire

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gli oneri della difesa e di mettere in sicurezza le coste del Mediterraneo. Nella frontiera meridionale il punto forte del sistema di difesa romano è l’Egitto, conquistato dopo la battaglia di Azio del 31 a.C. La provincia, alle dirette dipendenze di Augusto, è la base di partenza per esplorazioni nella penisola arabica e in Etiopia e per falliti tentativi di espansione verso sud. A ovest le ripetute azioni rivolte contro le popolazioni nomadi che circolano nell’area tra il deserto e l’Africa “utile” raggiungono ancora una volta lo scopo di pacificare le zone limitrofe al Mar Mediterraneo. Infine il fronte nord, quello che destò sempre le maggiori preoccupazioni di Augusto e dei suoi consiglieri, in quanto le dinamiche politiche e militari di tutta l’estesissima area dal Reno al Danubio e all’Elba furono sempre interdipendenti e come tali considerate dalla STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PHOTOLIBRARY/ACI

FORTE DI HOUSESTEADS Eretto nel 124 d.C (oggi nella contea di Northumberland), era uno dei 14 forti e degli 80 fortini del Vallo di Adriano, la frontiera che separava la Britannia romana dalla tribù dei Pitti scozzesi.

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strategia imperiale. Del resto fu Augusto a dire in Senato allo scoppio della rivolta dell’Illirico che i barbari potevano essere davanti alle mura di Roma in dieci giorni. Così a partire dal 16 a.C. il primo passo è quello di allontanare il mondo barbarico dalle Alpi con una serie spettacolare di conquiste che portano ad annettere la Vindelicia (Baviera meridionale), la Rezia (Tirolo e Svizzera orientale) e il regno del Norico (parte dell’attuale Austria) completando l’arretramento dell’elemento celtico che era iniziato già con la conquista della Gallia. Subito dopo è la volta della Pannonia, che permette di estendere i confini della provincia dell’Illirico fino al Danubio. Dal 12 a.C. in poi è il turno della Germania che si estende oltre il Reno. Qui vengono fatte avanzare le legioni che si stabiliscono in immensi campi permanenti lungo il Reno sulla

direttrice di vie di penetrazione in territorio germanico lungo il corso degli affluenti di destra del fiume. Con ripetute manovre a tenaglia dai campi sul Reno e risalendo controcorrente i fiumi che sboccano nel Mare del Nord i figli adottivi dell’imperatore, Druso e Tiberio, entrano nel territorio tra il Reno e l’Elba. La Germania sembra a questo punto pacificata e ridotta quasi a provincia tributaria e la politica romana può indirizzarsi verso un’opera di consolidamento della conquista con la creazione ancora una volta di Stati cuscinetto tra le diverse tribù germaniche. L’ultimo sforzo prevede l’assoggettamento del regno di Boemia, allora retto dal re marcomanno Maroboduo che si era stanziato nella regione compresa tra il corso superiore dell’Elba e il Meno spinto proprio dai movimenti dei Romani e che in quei luoghi era riuscito a costituire un autentico Principato. Il 6 d.C., con un dispiegamento bellico impressionante (sono impegnate 12 legioni, vale a dire quasi la metà di tutto l’esercito), i Romani invadono la Boemia da sud e da est, ma prima di giungere a scontro con i Germani sono bloccati dalla notizia della rivolta dell’Illirico e della Pannonia scoppiata alle loro spalle. Lo sforzo bellico per reprimere la rivolta è imponente e tutte le fonti concordano sul fatto che fu una guerra sanguinosissima, “la più dura sostenuta contro un nemico esterno dopo le guerre puniche”. Il fronte del Reno fu sguarnito e il fatto ebbe come conseguenza il crollo fragoroso del dominio romano nella Germania tra l’Elba e il Reno: la sconfitta di Varo nella selva di Teutoburgo è la testimonianza più evidente dell’impossibilità per l’Impero romano di tenere aperti più fronti. La forza economica e demografica dell’Impero non consentiva di tenere sul campo eserciti più numerosi di quello che già con sforzo immane Augusto aveva allestito. Alla sua morte, l’imperatore consegnerà al proprio successore un breviario in cui sono elencati scrupolosamente i conti dello Stato e il numero delle legioni sul campo; ma a tale resoconto degno di un grande amministratore aggiungerà anche un consiglio degno di un grande politico che si rende freddamente e lucidamente conto delle forze di cui dispone: la raccomandazione di non estendere oltre i domini dell’Impero romano.


GIORGIO RIVIECCIO

IL MAUSOLEO DI GLANUM Fu costruito intorno al 20 a.C. per rendere omaggio a una famiglia gallica che ottenne la cittadinanza romana combattendo nelle legioni di Cesare e di Augusto. SaintRemy-de-Provence.

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GRAFENHAN GUNHER / FOTOTECA 9X12

LA CITTÀ DEI VETERANI Augusta Emerita, l’odierna Mérida, fu fondata nel 25 a.C. dai veterani delle guerre cantabriche. Agrippa, che mise fine all’ultima rivolta dei Cantabri, vi eresse il teatro mostrato in questa immagine.

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LA CONQUISTA DELLA

SPAGNA Una volta consolidato il suo potere a Roma, Augusto portò a termine la conquista della Spagna, stroncando la tenace resistenza di Cantabri e Asturi. Riorganizzò poi i territori della nuova provincia dotandola di una fitta rete di strade e città FERNANDO LILLO REDONET DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA E SCRITTORE

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MARKUS BASSLER/AGE FOTOSTOCK

L’ACQUEDOTTO DI SEGOVIA Costruito tra il I e il II secolo d.C., è una testimonianza grandiosa dello sforzo di urbanizzazione e creazione di nuove infrastrutture compiuto dai Romani dopo la conquista della Penisola iberica.

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MUSEO DI BURGOS E MUSEO DI STORIA E ARCHEOLOGIA DELLA CANTABRIA

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arra lo storico Svetonio che Augusto aveva una paura folle di lampi e tuoni, che nel suo equipaggiamento metteva sempre come amuleto una pelle di vitello marino e che, a ogni sospetto di temporale, cercava rifugio in un luogo chiuso. Tutto questo, probabilmente, a causa di un episodio avvenuto durante le guerre cantabriche. Era una notte temporalesca dell’anno 26 a.C. L’imperatore stava avanzando sulla sua lettiga attraverso una zona boscosa nel nord della Spagna quando un lampo cadde a pochi passi da lui. Uno degli schiavi che lo precedevano stramazzò fulminato. Gli altri, accecati dal bagliore della saetta, lasciarono cadere la lettiga. Poco dopo Augusto, ripresosi dallo spavento, rese grazie a Giove Tonante di averlo risparmiato; ma non scordò mai l’incidente, e per tutta la vita si portò appresso un terrore quasi infantile per i lampi e i temporali. L’episodio, raccontato da Svetonio (70-126 d.C.), ha valore poco più che aneddotico; ma inquadra bene il clima di incertezza e pericolo in cui si svolse la campagna di Spagna del 26 d.C., voluta da Augusto per sottomettere le ultime popolazioni ispaniche ribelli a Roma.

In cerca di un trionfo Un anno prima, il 16 gennaio del 27 a.C., Ottaviano aveva ricevuto dalle mani del Senato il titolo di Augusto, un riconoscimento che si era impegnato a onorare riportando la pace in tutto l’Impero. Secondo lo storico Lucio Anneo Floro (70-145 d.C. circa), a quell’epoca nell’intera Hispania gli unici due popoli non assoggettati a Roma erano i Cantabri e gli Asturi, entrambi stanziati a nord della Penisola. Sconfiggerli avrebbe rappresentato per Augusto un duplice successo: da un lato gli avrebbe garantito l’accesso alle ricche miniere di oro e ferro di quelle regioni; dall’altro avrebbe amplificato la sua fama e il suo prestigio personali. Ottaviano aveva già dimostrato, negli anni precedenti, di essere un ottimo generale, battendo Marco Antonio nella guerra civile; quel-

la, tuttavia, era stata la vittoria di un Romano su altri Romani. Per poter davvero ambire a competere con il padre adottivo Giulio Cesare anche sul piano militare, Augusto aveva bisogno di qualcosa di più: trionfare in una guerra contro nemici esterni, meglio se indomiti e feroci. La propaganda imperiale si mobilitò immediatamente per far sapere quanto selvaggi e bellicosi fossero gli abitanti della Spagna settentrionale, e come la loro riluttanza a piegarsi a Roma costituisse una minaccia per la stabilità stessa dell’Impero. Augusto non nascondeva l’ambizione di voler diventare il nuovo Gaio Giulio Cesare. Se questi era riuscito a sconfiggere i Galli e a raggiungere la remota Britannia, lui avrebbe fatto di meglio: con le sue truppe si sarebbe spinto fino nelle inospitali regioni della Spagna settentrionale, ai confini del mondo conosciuto, conquistando territori oltre i quali non c’era che l’Oceano, inesplorata distesa d’acqua che avvolgeva l’intero globo terrestre.

LE ARMI DI UN POPOLO BELLICOSO Pugnale in rame e ferro conservato al Museo de Prehistoria y Arqueología de Cantabria (Santander); sulla destra, fodera di spada proveniente dalla necropoli di La Cascajera, a Burgos (III-II secolo a.C.).

Le guerre cantabriche La lontananza di Augusto da Roma poteva d’altra parte risultare utile anche da un punto di vista politico: in una situazione ormai stabilizzata, essa avrebbe infatti dato modo alle riforme augustee di consolidarsi senza che l’ingombrante presenza in città dell’imperatore stimolasse la rabbia di quanti ancora rimpiangevano la Repubblica. I piani di guerra di Augusto furono favoriti dai continui attacchi di Cantabri e Asturi contro le popolazioni confinanti – e in particolare i Vaccei –, tutte a vario titolo già sottomesse da Roma. Ciò fornì ad Augusto un perfetto casus STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA NUOVA SPAGNA DI AUGUSTO

I

ROMANI IMPIEGARONO OLTRE DUECENTO ANNI per com-

pletare la conquista della Spagna: dallo sbarco delle prime legioni, nel 218 a.C., durante la Seconda guerra punica, fino alle campagne di Augusto, nel I secolo d.C. Al termine di questo lungo periodo di guerre, l’imperatore decise di operare un’ambiziosa riorganizzazione dell’Hispania, fino ad allora suddivisa in due province distinte: l’Hispania citerior (capitale Tarragona) e l’Hispania ulterior (capitale Cordova), separate da una linea di demarcazione che congiungeva la città di Carthago Nova (Cartagena) ai Pirenei occidentali. Attorno al 20-15 a.C., per volere di Augusto, le province spagnole salirono invece a tre: la Tarraconensis (Tarraconense), con capitale Tarragona, che inglobava la vecchia Hispania citerior aggiungendovi i territori strappati ai Cantabri e agli Asturi; la Lusitania, con capitale Augusta Emerita (Mérida), che comprendeva l’Estremadura e parte del Portogallo; e la Baetica (Betica), con capitale Cordova, che incorporava gran parte dell’attuale Andalusia. Questa divisione si mantenne, con poche variazioni, fino al 293 d.C., anno in cui l’imperatore Diocleziano, nell’ambito di un vasto programma di riforme amministrative, suddivise l’Hispania Tarraconensis in tre province più piccole: la Gallaecia, la Carthaginensis e laTarraconensis. Non vennero invece toccate Betica e Lusitania, rette, come la Galizia, da un governatore di rango consolare.

MAPPA DELLA SPAGNA ALL’EPOCA DELLE GUERRE CANTABRICHE.

ART ARCHIVE

ELMO PLACCATO D’ARGENTO Rinvenuto tra le rovine dell’anfiteatro di Besançon (Francia centro-orientale), questo elmo era parzialmente placcato in argento. I secolo d.C., Musée des Beaux-Arts, Besançon.

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TRE PROVINCE E DECINE DI CITTÀ Ecco un elenco dei principali centri urbani fondati dai Romani per amministrare e controllare militarmente la Penisola iberica. Tarraconense 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29

La Coruña Lugo Braga Simancas Palencia Astorga Gijón Suances Santander Calahorra Huesca Alfaro Tarazona Saragozza Lérida Guissona Vic Ampurias Girona Blanes Mataró Badalona Barcellona Tarragona Tortosa Palma Sagunto Valencia Játiva

belli, l’occasione di annunciare al popolo la guerra e di far spalancare – come avveniva sempre in queste circostanze – le porte del tempio di Giano, protettore delle legioni romane in armi. Successivamente si trasferì a Tarraco (l’odierna Tarragona), nella Spagna sudorientale, per sovraintendere di persona ai preparativi dell’offensiva. Di lì, nella primavera successiva, avrebbe raggiunto la Cantabria, dove al suo arrivo assunse il comando delle operazioni. I generali presenti in Spagna dal 29 a.C. per le operazioni belliche preliminari lo avvisarono subito che la guerra non sarebbe stata una passeggiata: il nemico, infatti, era valoroso, e la morfologia scoscesa del terreno non favoriva gli scontri in campo aperto, nei quali le legioni erano quasi invincibili. A complicare le cose vi era poi il problema degli approvvigionamenti, che non era semplice garantire alle truppe, dato che le strade erano poche,

30 31 32 33

Dénia Elche Cartagena Toledo

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Lusitania 47 48 49 50 51 52 53 54 55

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malmesse e soggette agli agguati del nemico. A dispetto di tali difficoltà, Augusto si mostrò comunque ottimista sul buon esito della guerra, confidando nella tattica avvolgente messa a punto con i suoi generali per stroncare la resistenza di Cantabri e Asturi.

Un tridente d’attacco Sul teatro delle operazioni vennero fatte confluire sette legioni. Di queste, quattro (V Alaudae, VI Victrix, IX Hispana e X Gemina) furono inviate sul fronte occidentale, presidiato dagli Asturi, mentre le altre tre (I Augusta, II Augusta e IV Macedonica) si occuparono del fronte cantabrico. A tali forze si aggiungevano poi varie ali di cavalleria e diverse coorti di ausiliari, per un totale di circa 30.000 uomini. Anche la flotta fu mobilitata, giungendo nel 25 a.C. dall’Aquitania (Francia) per bloccare la costa cantabrica. Questo intervento si sareb-


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GUERRE CANTABRICHE (29-19 a.C.) Territori in possesso di Roma al termine della Repubblica Forze romane d’invasione aavanzata da est aavanzata da ovest fflotta in arrivo dall’Aquitania battaglia b ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA Capitale di provincia Confine delle province Confine delle diocesi (distretti giudiziari) Principali centri urbani istituiti da Giulio Cesare Ottaviano Augusto Cesare o Augusto

Sexi Firmun Iuli (46)

Carteia

be rivelato decisivo per le sorti del conflitto, dal momento che permise di completare l’accerchiamento della regione. Augusto stabilì la base delle operazioni a Segisama, l’odierna Sasamón, quasi al confine con la Cantabria. Da lì partì un’offensiva a forma di tridente verso nord, una manovra con tre colonne di truppe tesa a inglobare tutta l’ampiezza del territorio durante l’avanzata. Ma la campagna del 26 a.C., guidata dall’imperatore, si risolse in un mezzo fallimento: i Cantabri rifiutavano gli scontri in campo aperto e provocavano l’avanzata delle truppe romane senza che queste potessero ottenere vittorie decisive. La frondosità dei boschi favoriva la guerriglia e i rifornimenti alle truppe erano irregolari a causa delle azioni di disturbo nemiche. A poco a poco, lo sconforto si impossessò dei legionari romani, e lo stesso episodio del fulmine caduto a pochi passi

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dall’imperatore fu interpretato da molti come un segnale di malaugurio. Per di più Augusto, debilitato dalla fatica e, forse, dalle preoccupazioni, si ammalò gravemente, e dovette ritirarsi a Tarragona per le cure.

Buone notizie dal fronte L’anno seguente i Romani ripresero l’offensiva senza il loro comandante in capo, che lasciò la guida delle operazioni in Cantabria a Marco Antistio Labeone, uno dei suoi migliori generali. In breve, dal fronte giunsero notizie confortanti: i nemici avevano commesso l’imprudenza di accettare lo scontro in campo aperto ed erano stati sconfitti. I sopravvissuti fuggirono sul monte Vindio, dove le legioni inflissero loro una nuova disfatta. I Romani procedettero quindi all’assedio di alcune città e riuscirono a conquistare la fortezza di Aracelium, roccaforte della resistenza cantabrica, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CARTOGRAFIA: EOSGIS

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PER PACIFICARE ASTURIE E CANTABRIA, L’IMPERATORE USÒ METODI SPESSO BRUTALI

assumendo il controllo militare della regione. Sul fronte asturiano, invece, il tradimento degli abitanti di Brigantia (città non identificata) informò il generale romano Tito Publio Carisio che gli Asturi erano scesi dalle montagne e si stavano preparando all’attacco. I ribelli si rifugiarono a Lancia, l’odierna Mansilla de Las Mulas, ma i Romani espugnarono la città. Quando giunse l’inverno, un Augusto ormai ristabilito si presentò nel nord della Spagna deciso a usare il pugno di ferro per ottenere la definitiva pacificazione di quei territori: ai Cantabri ordinò di lasciare i loro presidi montani e di trasferirsi in pianura, obbligandoli a consegnare centinaia di ostaggi e vendendo molti prigionieri come schiavi. Con altrettanta durezza si comportò nei confronti degli Asturi.

Dopo questi successi Augusto tornò a Roma, dove ordinò di chiudere le porte del tempio di Giano per ricordare che, in tutto l’Impero, ormai regnava la pace. Non accettò invece di celebrare il trionfo offertogli dal Senato, in un gesto di calcolata modestia. Il poeta Orazio magnificò l’impresa spagnola di Augusto in una delle sue Odi, nella quale, dopo aver paragonato l’imperatore a Ercole, si rallegrava così dei suoi trionfi: “Questo giorno di festa scaccerà da me ogni fosco presagio; io non temerò il tumulto, né la morte violenta finché Cesare dominerà sul mondo”. A dispetto degli auspici e delle lodi del poeta, le regioni settentrionali dell’Hispania erano però tutt’altro che pacificate, anzi mostravano crescenti segni di tensione. Nel 22 a.C., a tre anni dal rientro di Augusto nell’Urbe, Cantabri e Asturi tornarono a sollevarsi contro Roma e l’imperatore dovette mobilitare nuovamente le sue legioni. Fu allora che avvenne il tragico episodio del monte Medulius, dove migliaia di ribelli, vedendosi circondati dai Romani, 126 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

JUAN MANUEL BORRERO

Un gesto di calcolata modestia


IL SOLENNE TEMPIO DI DIANA A dispetto del nome, questo tempio in granito fatto costruire da Tiberio a Mérida, nel I secolo d.C., non era dedicato alla dea romana della caccia, ma al culto di Augusto divinizzato.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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DALLET/PRISMA

IL VILLAGGIO DI CASTRO DE COAÑA Abitato già nel IV secolo a.C., quindi ben prima dell’arrivo dei Romani, questo centro si trova nelle Asturie, a pochi chilometri dal Mar Cantabrico. Era protetto da mura, da torri di guardia e da un fossato difensivo.

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preferirono suicidarsi in massa piuttosto che arrendersi. Ma neppure questa tragica ecatombe arrestò la guerriglia, tanto che nel 19 a.C. Augusto fu costretto a inviare in Hispania suo genero Marco Vipsanio Agrippa con l’ordine di stroncare con ogni mezzo la rivolta.

L’Hispania romana I metodi impiegati da Agrippa furono brutali: secondo Cassio Dione (155-235 d-C.), il genero di Augusto arrivò dalla Sicilia e sterminò “tutti i nemici in età militare”. Quanti non caddero in battaglia, si uccisero con le loro mani per non essere fatti schiavi dai Romani. A “pacificazione” conclusa, Augusto si recò in Hispania (16-13 a.C.) e avviò la riorganizzazione dei territori. Per prima cosa, suddivise la Penisola iberica in tre province, la Tarraconense, la Lusitania e la Betica (o Baetica). Ordinò quindi la costruzione di nuove città e nuove strade,

nell’ambito di un programma di romanizzazione che, in pochi decenni, avrebbe fatto dell’Hispania parte integrante dell’Impero. Molte delle città fondate da Augusto si concentravano nelle terre nordorientali appena conquistate, dove occorreva garantire il presidio militare romano e, al tempo stesso, creare basi operative per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti locali d’oro e ferro. Nacquero così i centri urbani di Asturica Augusta (Astorga), Lucus Augusti (Lugo) e Bracara Augusta (Braga), tutti chiamati con il nome dell’imperatore. Per quanto riguarda invece la rete viaria, Augusto pensò a un sistema integrato di strade e città che facilitasse i collegamenti tra le varie parti della Penisola. A tale scopo fondò Caesaraugusta (Saragozza), nella valle dell’Ebro, tappa intermedia nel cammino che da Tarragona, oggi in Catalogna, portava verso settentrione. L’unione tra nord e il sud fu rafforzata


ART ARCHIVE

UN ALTARE IN ONORE DELLA PAX AUGUSTEA

LA GRANDE MADRE In questo rilievo dell’Ara Pacis, Tellus, dea romana della Terra e della prosperità, tiene in grembo due putti che alcuni identificano con Gaio e Lucio Cesare, nipoti di Augusto.

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e Gallia, il Senato romano fece erigere nel Campo Marzio l’Ara Pacis, consacrato nel 9 a.C. Era un altare a cielo aperto circondato da un recinto quasi quadrato ornato di rilievi. All’ingresso principale due pannelli istoriati celebravano le origini mitiche dell’Urbe, raffigurando il sacrificio di Enea ai Penati e il ritrovamento di Romolo e Remo. L’ingresso posteriore, invece, era decorato con i rilievi di Roma Vittoriosa e della dea Tellus, la Madre Terra (o, forse, di Venere genitrice); entrambi costituivano simboli espliciti per ricordare la prosperità e la pace raggiunte sotto Augusto. Sulle pareti laterali dell’Ara Pacis era rappresentata una solenne processione con l’imperatore, la sua famiglia e altri illustri personaggi.

ART ARCHIVE

ER RICORDARE i trionfi di Augusto in Spagna

NEL CUORE DELL’IMPERO Il Foro romano, cuore dell’Urbe in epoca augustea, visto dalla Casa delle Vestali; incisione a colori di J. Hofbauer, 1911. Bibliothèque des Arts Décoratifs, Parigi.

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Los Milagros

Era il più grandioso dei tre acquedotti che servivano Mérida. Ne resta un tratto di 827 metri, costituito da 37 piloni di 25 metri di altezza uniti tra loro da tre piani di arcate sovrapposte.

AUGUSTA EMERITA, COLONIA ROMANA

F

ondata da Ottaviano Augusto nel 25 a.C., Mérida fu popolata con i veterani delle legioni V Alaudae e X Gemina che avevano preso parte alle guerre cantabriche, i cosiddetti Emeriti, da cui deriva il nome latino della colonia. Sin dalla sua nascita, Augusta Emerita fu concepita come un avamposto politico e militare dell’Impero, un presidio chiamato a colonizzare le ricche terre dell’Estremadura e a sorvegliare le popolazioni locali, da poco romanizzate. D’altra parte la posizione geografica della città, nella Spagna sudoccidentale, la rendeva uno snodo cruciale nei collegamenti tra la provincia meridionale della Betica e le terre in via di conquista nel nordovest dell’Hispania. Non è un caso se Mérida fu fondata in un punto guadabile del Guadiana, fiume all’epoca navigabile fino all’Oceano Atlantico, e al crocevia di varie strade tra cui la Via de la Plata, che conduceva in Cantabria. Proclamata capitale della provincia della Lusitania, Augusta Emerita si strutturò come una tipica città romana: i suoi due Fori fungevano da poli politici e amministrativi, mentre il teatro e l’anfiteatro accoglievano spettacoli che celebravano l’Impero e ne magnificavano i benefici.

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Foro Provinciale Probabilmente vi si accedeva attraverso il cosiddetto “arco di Traiano”. Ospitava un grande tempio fatto costruire da Tiberio e vari edifici legati all’amministrazione della Lusitania.

Decumanus

Attraversava l’abitato di Mérida da est a ovest, congiungendo le sue due porte principali. Incrociava perpendicolarmente il Cardo Maximus ed era collegato al ponte sul Guadiana.

Ponte sul Guadiana

Era lungo 792 metri e largo 5. Scandito da 62 arcate, sorgeva su un guado del fiume, laddove un isolotto lo spartiva in due canali fornendo un supporto alla base del ponte.


San Lázaro

Questo acquedotto si estendeva per quattro chilometri convogliando l’acqua raccolta da torrenti e sorgenti a nord della città. Ne restano solo tre piloni e i suoi archi intermedi.

Circo

Inaugurato nel 50 d.C. per ospitare le corse dei carri, sorgeva al di fuori delle mura cittadine. Era lungo 440 metri e largo 115, con gradinate che potevano accogliere 30.000 spettatori.

Anfiteatro

Qui andavano in scena i sanguinosi scontri tra gladiatori. Di forma ellittica, fu inaugurato nell’8 a.C. e restò in uso per circa quattro secoli. Aveva una capienza di 15.000 spettatori.

Teatro

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL DE L’ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

Costruito nel 15 a.C., aveva una cavea semicircolare a 32 file con capienza di 5800 spettatori. La scena, ricostruita nel II secolo d.C., è una delle poche del mondo romano giunte fino a noi.

Foro Municipale Cardo Maximus

Era la via principale di Augusta Emerita, l’arteria che tagliava l’abitato da nord a sud. Nel punto di intersezione con l’altro asse viario della città, il Decumanus, sorgeva il Foro municipale.

Mura

L’intera città era circondata da una cinta muraria eretta all’epoca di Augusto, e poi ampliata per includere il teatro e l’anfiteatro. Se ne conservano alcune porte e cinque torri.

Fulcro della vita politica ed economica di Augusta Emerita, ospitava due templi dedicati a Marte e Diana e un grandioso portico ornato con statue e medaglioni.

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TARKER/BRIDGEMAN

JUAN MANUEL BORRERO

SCENE DI CACCIA NELLA CUPOLA La villa romana di Centcelles (III-IV secolo d.C.), nei pressi di Tarragona, è celebre per i mosaici di soggetto cristiano e pagano che ornano la sala a cupola.

UN TRAGICO SUICIDIO DI MASSA

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A DISPERATA RESISTENZA DEI CANTABRI sul monte Medulius

è un episodio che, per drammaticità, evoca altri eventi bellici dell’antichità, come gli assedi di Sagunto o di Numanzia. Non è dato conoscere il punto esatto in cui, nel 22 a.C., la tragedia ebbe luogo: Paolo Orosio (375-420 d.C.) parla di un’area vicino al fiume Miño, nel nordovest della Penisola iberica; ma non tutti gli studiosi sono d’accordo e, tra le varie località proposte, vi sono anche Las Médulas, nel León, e Liébana, area montuosa cantabrica. Quel che è certo è che il grosso dell’esercito ribelle, incalzato dai Romani, si ritirò in vetta a questo monte, senza poter impedire che i nemici lo circondassero con un fossato continuo lungo 15 chilometri. Consapevoli di essere perduti, i Cantabri, piuttosto che arrendersi, scelsero il suicidio di massa,uccidendosi con il fuoco, le armi o un veleno estratto dal tasso, una conifera che cresceva sui pendii del monte.

UNA STATUA DI AUGUSTO, CONQUISTATORE DELLA CANTABRIA, DI FRONTE ALLE MURA DI TARRAGONA.

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anche attraverso la creazione della Via de la Plata, “la Strada dell’Argento”, tracciata tra Augusta Emerita (oggi Mérida) e Astorga, mentre nella Spagna mediterranea la Via Heraclea, asse viario tra Gades (Cadice) e Tarragona, fu ampliata, rilastricata e battezzata Via Augusta.

La città dei veterani L’esempio più chiaro del nuovo urbanesimo promosso da Augusto si ebbe a Mérida. La città, fondata nel 25 a.C. come capitale della Lusitania, venne popolata con i veterani della guerra contro i Cantabri, gli Emeriti delle legioni V e X, tra i quali vennero distribuite le terre che circondavano le mura urbane. La colonia fu concepita come una copia spagnola di Roma; non a caso sorgeva sulle sponde di un fiume, l’Anas (oggi Guadiana), e di fronte a un isolotto che poteva ricordare l’Isola Tiberina. L’abitato assunse presto carattere monumen-


Il dio Augusto Le colonie fondate da Augusto in Hispania ebbero un peso notevole nello sviluppo del culto imperiale, che avrebbe rappresentato un elemento di coesione per tutta la durata dell’Impero. Nel 15 d.C., poco dopo la morte di Augusto, venne eretto a Tarragona il primo tempio in onore del dio-imperatore, un esempio che molte altre città dell’Impero, non solo in Spa-

gna, avrebbero imitato. Da parte sua Mérida, all’epoca di Tiberio, costruì il tempio di Diana, che in realtà era consacrato al culto di Augusto divinizzato. L’imperatore era venerato anche nel teatro della città, in una nicchia posta al centro del monumentale portico che si ergeva dietro la scena. Proviene da lì, tra l’altro, il celebre busto che immortala Augusto nei panni del Pontifex Maximus, frammento di una statua a figura intera andata perduta. Il moltiplicarsi di templi e monumenti dedicati ad Augusto aveva in origine lo scopo di garantire all’Hispania la benevola protezione del suo defunto “patrono”; ma di fatto servì soprattutto a fissare nella memoria il mito del fondatore dell’Impero, l’uomo che, sconfiggendo Cantabri e Asturi, aveva introdotto civiltà e ricchezza in terre prima selvagge, cambiando per sempre il modo di vivere e la storia delle popolazioni iberiche.

PONTEFICE MASSIMO Augusto velato nelle vesti di Pontifex Maximus, busto del I secolo d.C. rinvenuto presso il teatro di Mérida. Museo Nacional de Arte Romano, Mérida. ORONOZ

tale: tra il 16 e il 15 a.C. Agrippa, possibile patrono della città, finanziò la costruzione di un teatro che poteva ospitare quasi 6000 persone. Seguirono l’edificazione di un anfiteatro, inaugurato nell’8 a.C., e quella di un circo eretto all’epoca di Tiberio. Carattere monumentale ebbe anche il Foro cittadino, dove si ergeva un grandioso portico che imitava quello del Foro romano, con statue di Augusto, Agrippa e altri membri della famiglia imperiale.


UN SANTUARIO NELLA FORESTA Le Externsteine sono un gruppo di singolari formazioni rocciose in arenaria, nella foresta di Teutoburgo, create dall’erosione atmosferica. Secondo la leggenda sarebbero state un antichissimo santuario druidico.


CHRIS SEBA/SCHAPOWALOW/SIME

TEUTOBURGO

LA SCONFITTA PERFETTA Nel 9 d.C. i Romani subirono nella foresta di Teutoburgo uno dei peggiori rovesci militari della loro storia. La battaglia non solo pose termine all’espansione dell’Impero in Germania, ma evidenziò alcune falle nella sua organizzazione militare MASSIMO BOCCHIOLA E MARCO SARTORI STORICI E SCRITTORI SPECIALIZZATI IN STORIA ROMANA


I

n un tragico autunno di poco più di duemila anni fa, nel 9 d.C., Roma ricevette una terribile notizia. Tre legioni, alcune coorti, varie ali di cavalleria, più un numero imprecisato di mercanti, donne e bambini che li seguivano, erano stati massacrati in un luogo remoto della Germania settentrionale, tra l’Elba e il Reno, da una coalizione di tribù germaniche guidate dai bellicosi Cherusci. Il comandante romano Publio Quintilio Varo, lontano parente dell’imperatore, si era ucciso per non cadere vivo nelle mani dei Germani, e Arminio, il capo militare dei Cherusci, poteva irridere il potere di Roma dall’alto di un tumulo innalzato nel luogo che sarebbe passato alla storia come la Foresta di Teutoburgo. Di fronte alla perdita di circa ventimila uomini, lo shock fu terribile. Racconta lo storico Svetonio che, non appena ebbe ricevuto la notizia, Augusto indossò il lutto, e che con barba e capelli incolti girò per mesi nelle stanze del palazzo imperiale gridando: “Varo, rendimi le mie legioni!”.

MÜNZKABINETT, STAATLICHE MUSEEN ZU BERLIN – FOTO: LUTZ-JÜRGEN LÜBKE

L’ultimo sigillo

IL GRANDE SCONFITTO Moneta di bronzo con il profilo di Publio Quintilio Varo, governatore romano della Germania e comandante delle tre legioni che furono annientate nella selva di Teutoburgo.

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Com’era stato possibile un simile rovescio? A Roma, dopo il cordoglio, iniziò l’analisi politica, che condusse all’abbandono della politica di espansione nella regione tra il Reno e l’Elba in corso da trent’anni. Teutoburgo, dunque, non fu solo un episodio, un agguato, il frutto di un errore di Varo, ma l’ultimo sigillo su una strategia che, alla prova dei fatti, si era rivelata azzardata. Proseguire la conquista della Germania e, insieme, difendere il versante danubiano non era più possibile, questo appariva chiaro. Dal 6 al 9 d.C., il grosso dell’esercito romano era stato impegnato a soffocare una cruenta rivolta nell’Illirico, regione balcanica strategicamente ben più importante della Germania poiché, come aveva detto Augusto, dai suoi confini, in dieci giorni, il nemico sarebbe potuto arrivare a Roma. La Germania doveva essere pacificata, e lo stesso Varo, tempra più di politico che di generale, era stato mandato oltre il Reno con poche legioni per mantene-

re la pace e organizzare la vita civile, mentre gli sforzi di Roma erano rivolti altrove. Inoltre, ma forse questo a Roma non si sapeva, la società germanica non era più così rozza e primitiva come solo cinquant’anni prima l’aveva conosciuta Giulio Cesare. Come hanno dimostrato gli scavi archeologici condotti in località come Feddersen Wierde (sulla costa tedesca settentrionale, presso l’attuale Bremerhaven) o a est del Reno, i contatti con la civiltà mediterranea avevano rinvigorito il mondo germanico, che ora praticava estesamente l’agricoltura, l’artigianato e il commercio, abitava in villaggi più vasti e popolosi ed era in grado di arruolare e armare interi eserciti. Soprattutto era nata una classe sociale di aristocratici ricchi e ambiziosi, con legami internazionali sanciti da matrimoni, che aveva servito Roma nelle truppe ausiliarie e quindi sapeva come combattevano le legioni, e che vedeva nel mestiere delle armi lo strumento per creare aggregazioni politiche più estese degli antichi legami tribali.

Un nuovo confine È paradossale, ma la battaglia che avrebbe fissato per duemila anni il confine più importante d’Europa, quello tra mondo germanico e mondo latino, è molto meno nota delle sue conseguenze politiche. Le fonti antiche ci dicono poco. Velleio Patercolo, storico contemporaneo ai fatti, riporta il punto di vista dei ceti militari e burocratici fedeli a Tiberio e ostili alla conquista della Germania, con le critiche a Varo e il disprezzo per i barbari. Non è più utile il massimo storico romano, Tacito. I suoi Annales iniziano nel 14 d.C. con la mor-


BRIDGEMAN

UNA IN MEMORIA CAPITAL DELEN CENTURIONE LA JUNGLA Stele funebre del Angkor Wat fue centurione Marcoy el centro político Celio, unodel degli oltre religioso Imperio 15.000 legionari jemer, la ciudad de la caduti nell’agguato di que emanaba el poder Teutoburgo. secolo espiritualIdel rey. Rheinisches Era ad.C., la vez un recinto Landesmuseum, dedicado al dios Bonn (Germania). Vishnú y residencia del soberano.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BRIDGEMAN

PER IL NAZIONALISMO TEDESCO, TEUTOBURGO SEGNA L’ INIZIO DELLA STORIA DELLA GERMANIA

te di Augusto ed egli può solo descrivere a tinte macabre, come è nelle sue corde, la visita di una legione sul campo di battaglia sei anni dopo la sconfitta. Ci resta dunque il solo Cassio Dione, uno storico greco del III secolo, che ci ha lasciato la descrizione più ampia dello scontro, ma che non è nemmeno in grado di dirci con precisione dove si sia svolta la battaglia. Per secoli si è saputo solo che ebbe luogo in una località della Bassa Sassonia, forse presso Osnabrück, nella Germania nordoccidentale, all’inizio di settembre, presumibilmente tra il 9 e l’11 del mese. Solo di recente la ricerca archeologica ha aggiunto qualche dato nuovo sul sito della battaglia. Una questione non da poco. Teutoburgo è per il nazionalismo tedesco l’inizio della storia della Germania, del suo distacco dal mondo latino: e dunque sono decine, se non centinaia, le località tedesche che si contendono l’onore della Varusschlacht, la “disfatta di Varo”.

L’intuizione di Mommsen Grazie agli scavi iniziati circa venti anni fa da un ufficiale britannico di stanza a Osnabrück, si è infatti avuta la conferma di un’intuizione del grande storico tedesco Theodor Mommsen (1817-1903), che aveva collegato le monete rinvenute nell’area a nord della città ai soldati romani impegnati nella battaglia. In una depressione tra il Kalkriese (un piccolo rialzo dal nome altisonante: “Gigante di gesso”), ultima propaggine settentrionale della catena di alture del Wiehengebirge, e una zona paludosa ora in parte bonificata, sono stati trovati migliaia di reperti per lo più di dimensioni ridotte (sfuggiti dunque ai saccheggi dopo la battaglia), come armi (proiettili di fionda), bardature, strumenti (anche forcine per l’acconciatura delle donne), monete, ossa di animali. 138 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AKG

SOLDATO ROMANO IN UNA STELE IMPERIALE IN MARMO, COPENAGHEN.

Il rinvenimento più impressionante, al di là di una splendida maschera facciale di ferro ricoperta d’argento (oggi visibile nel Varusschlacht Museum und Park di Kalkriese), è comunque quello di un terrapieno di zolle che correva a ridosso del Kalkriese, e che fu forse il riparo da cui uscirono i Germani per scagliarsi contro le legioni di Quintilio Varo. Se il sito fosse confermato come il luogo della battaglia, possiamo credere, seguendo il racconto di Dione, che il legato romano giungesse da est, dalla regione del Weser dove era stato attirato, e che dovesse aggirare il collo di bottiglia tra l’altura del Kalkriese e la palude per puntare verso il Reno, dove erano dislocate le basi invernali romane. Nel momento in cui i Cherusci attaccarono, la marcia doveva dunque procedere in direzione dell’attuale borgo di Bramsche, appena a nordovest del Kalkriese, attraversando una regione boscosa


ARMINIO, EROE DI UNA NAZIONE

L

A SCONFITTA di Teutoburgo fu tanto

più cocente per i Romani in quanto venne da un loro concittadino. Tale, infatti, era Arminio che, benché figlio del re cherusco Segimero, ormai da anni militava nell’esercito imperiale, e aveva ottenuto anche la cittadinanza romana. Fu questo uno dei motivi per cui Varo si fidò totalmente di lui, eleggendolo – contro il parere di molti – proprio consigliere militare. Il successo della macchinazione ordita ai danni delle legioni romane di Varo fece di Arminio un emblema dello spirito d’indipendenza germanico e un eroe del futuro nazionalismo tedesco. Non a caso Martin Lutero, nel pieno della lotta contro il papato, avrebbe scritto di lui: “Se fossi un poeta, è lui che vorrei celebrare”. E non a caso la città di Detmold, nell’attuale Renania settentrionale-Vestfalia, innalzò in onore di Arminio una statua (XIX secolo) che lo raffigurava con la spada puntata verso il cielo, monito perenne a tutti coloro che intendevano minacciare le libertà tedesche.

LE TRUPPE DI ARMINIO TRAVOLGONO I ROMANI, OLIO SU TELA (PERDUTO) DI F. GUNKEL, 1862, MAXIMILIANEUM, MONACO.

che non era mai stata teatro delle spedizioni militari romane in Germania, le quali si erano concentrate più a sud. Dal punto di vista militare si trattava dunque di un territorio “vergine”, su cui i genieri romani non avevano effettuato deforestazioni né gettato ponti.

La sequenza della battaglia Ecco dunque una possibile ricostruzione degli eventi di quel tragico inizio settembre del 9 a.C. Arminio e gli altri principi germani si staccano dall’alleato romano per raggiungere, a loro dire, le rispettive tribù e chiamarle a soffocare una rivolta di cui Varo ha avuto notizia. Il governatore non fa obiezioni: tutto si aspetta tranne che Arminio tradisca la parola data. L’esercito di Varo rimane così solo. È vero che la sua potenza è intatta: ma, nel corso del cammino, la conformazione del terreno costringe la colonna ad allungarsi e a perdere compat-

tezza. Immaginiamola in marcia. Calcolando quasi ventimila uomini in fila per sei, con file che avanzano a un metro l’una dall’altra, la sola fanteria deve snodarsi per oltre tre chilometri. Se aggiungiamo i cavalieri, il comandante con la sua guardia, i carriaggi, il seguito di civili, possiamo ipotizzare una lunghezza totale fra i tre chilometri e mezzo e i cinque. In condizioni ideali, una staffetta a cavallo potrebbe raggiungere il comandante da qualunque punto della colonna in nemmeno mezz’ora. Ma le condizioni in cui vengono a trovarsi i legionari non sono affatto ideali: sono anzi le più insidiose per un esercito romano in marcia. I Romani avanzano in una foresta con fitti arbusti, paludi, torrenti e specchi d’acqua, affioramenti rocciosi. I tempi delle comunicazioni si dilatano a dismisura. Così l’armata raggiunge il Kalkriese, ma si ritrova presto in un’angusta depressione paluSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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AKG

IN MENO DI UN’ORA LE LEGIONI ROMANE FURONO ANNIENTATE DALLE TRUPPE DI ARMINIO MASCHERA ROMANA IN FERRO E ARGENTO, I SECOLO D.C., KALKRIESE.

dosa, folta di vegetazione, quasi impraticabile. Solo una striscia di terreno sabbioso ai piedi dell’altura può reggere il peso degli armati e dei carri. È un passaggio obbligato. Per di più il tempo si mette al brutto: una tempesta autunnale porta pioggia battente, vento, alberi caduti. Ed è proprio in queste condizioni meteorologiche estreme, mentre l’oscurità scende sulla foresta, che da ogni lato si leva il grido dei guerrieri germani; da dietro il terrapieno di zolle erbose si abbatte sui legionari una improvvisa tempesta di lance.

A questo punto, le ipotesi si moltiplicano. Sulla scorta dei ritrovamenti archeologici, alcuni storici si sono spinti a ipotizzare un agguato “perfetto”, in cui la colonna sarebbe stata lasciata sfilare dai Germani finché tutti i guerrieri, disposti nella selva o dietro il muro, furono in grado di scagliare le lance simultaneamente. Sulle tre legioni sarebbero piovuti allora venticinquemila proiettili in appena trenta secondi di battaglia. In pochi istanti la pioggia di lance avrebbe scompaginato la colonna romana, e dopo pochi minuti la resistenza delle legioni sarebbe stata annientata, mentre altre orde di Germani scendevano dalle pendici del Kalkriese per completare la strage. Un’ora di battaglia in tutto. Ai nostri occhi, tuttavia, l’idea di tanta sincronia lascia perplessi: immaginare ventimila guerrieri disposti lungo una linea di chilometri che, con precaria visibilità e abituati a una disciplina tribale, trovano un tale coordinamento, non sembra plausibile. Ben diversa è peraltro la ricostruzione di Cassio Dione. Per lui gli attacchi iniziali dei Germani non sarebbero stati decisivi. Varo serra le file, trova uno slargo e vi fa allestire un vero accampamento, con terrapieno e palizzate. Soltanto all’alba del 140 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’agguato perfetto

secondo giorno, mentre il maltempo non dà tregua, il governatore si rende conto di essere caduto in una trappola. Ordina di bruciare carri e salmerie, di abbandonare tutto quanto non serve per combattere. La marcia riprende in ordine di battaglia, probabilmente verso il fiume Ems. Ma riprendono anche, con forza, gli attacchi dei Germani ai danni di una colonna sempre più disordinata: finché le legioni non incontrano un’altra zona di boschi e terreni accidentati. Fortificare non è più possibile, schierarsi in ordine chiuso è arduo. La battaglia di Teutoburgo diventa un eccidio. Malgrado la disciplina dei legionari, fra il secondo e il terzo giorno il campo di battaglia si frammenta in una miriade di centri di resistenza sempre più circoscritti. I Germani incalzano i superstiti. A Varo e ai suoi ufficiali non resta che scegliere fra la resa e il suicidio: e da nobili romani, si danno la morte con la propria spada.


L’IDEA DI FARE DELLA GERMANIA una provincia romana nacque all’epoca di Augusto, dopo le campagne di Druso Maggiore (12-9 a.C.), che assoggettò i Batavi, i Frisoni e i Cauci. Tra il 4 e il 6 d.C. Tiberio scese a patti con i Cherusci e sottomise i Longobardi: l’espansione si volgeva sempre più verso est, in direzione del confine segnato dal fiume Elba. Ma la sconfitta di Varo, nel 9 a.C., cancellò il sogno di Augusto di romanizzare l’intera Germania. MAPPA DELLA GERMANIA CON I TERRITORI ROMANI E, TRATTEGGIATI, QUELLI MAI DEL TUTTO SOTTOMESSI.

CARTO GRAFIA: DIRK FABIAN, INGRAPHIS, KASSEL – LWL-RÖMERMUSEUM

LA GERMANIA ROMANA

OMAGGIO AI CADUTI Sei anni dopo la strage di Teutoburgo, il comandante romano Germanico rende gli onori funebri alle legioni di Varo cadute in Germania, dipinto di Lionel N. Royer (1852-1926). Musée de Tessé, Le Mans.

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DE AGOSTINI

IL DISASTRO DI TEUTOBURGO RIVELÒ L’URGENZA DI FORTIFICARE E PROTEGGERE I CONFINI DELL’IMPERO BUSTO DI GERMANICO, I SECOLO D.C., MUSEI CAPITOLINI, ROMA.

E gli altri? Molti tentano la fuga sperando di raggiungere la fortezza di Aliso (presso l’attuale Recklinghausen, nel Nord Reno-Vestfalia). Pochi, pochissimi (forse duecento), si salvano, soprattutto cavalieri. Per i fanti e i civili la cattura è quasi certa, e la sorte segnata. Li attende la schiavitù o le are del sacrificio. I sacerdoti germani scelgono gli sventurati da immolare agli dei. Li portano alle are, fatte da massi recintati, dove li sgozzano come su altari naturali; li impiccano agli alberi in ricordo di Odino; li decapitano, li mutilano crudelmente. Molti corpi, di morti e forse anche di vivi, sono gettati nelle paludi circostanti. La Selva di Teutoburgo si trasforma in un macabro santuario dove, di lì a pochi anni, i soldati di Germanico ritroveranno con orrore i resti di migliaia di commilitoni. Arminio trionfante mostra al suo esercito la testa recisa di Varo, l’ex alleato, e schernisce dall’alto del tumulo le insegne delle legioni e le aquile imperiali.

Le crepe da sanare La battaglia di Teutoburgo è finita, ma la sua ombra sulla storia futura sarà lunga quanto la striscia di sangue lasciata nella foresta dalle legioni. Nessuna spedizione punitiva restituirà a Roma il pieno dominio militare sulla Germania, nessuna iniziativa politica le consentirà di riprendere la sua espansione verso l’Elba e le regioni nordorientali del Paese. Teutoburgo fu un evento storico anche perché mise in luce alcune crepe sostanziali nel sistema militare dell’Impero romano. La prima nasceva dalla difficoltà di trovare cittadini romani disposti ad arruolarsi nell’esercito, accettando una ferma che durava fino a vent’anni e che, inevitabilmente, allontanava dalle proprie attività economiche: non a caso le tre legioni inghiottite dalla Selva, tutte reclutate in Italia, non vennero più rimpiazzate. La soluzione individuata negli anni seguenti dalle autorità imperiali sarebbe stata una lenta ma 142 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

inesorabile provincializzazione delle legioni. La seconda era una difficoltà di ordine strategico. L’esercito romano non era un esercito di trincea, non era organizzato, come sarebbe avvenuto dalla fine del I secolo, per stanziarsi in una serie di fortificazioni costruite lungo i confini al fine di fronteggiare gli invasori. Le legioni erano ancora concentrate in campi militari più o meno permanenti, da dove si muovevano per operazioni su vasta scala, proprio come accadde in Germania per l’ampliamento delle conquiste dal Reno all’Elba. Una situazione che rendeva vulnerabile il settore sguarnito dalle legioni chiamate a fronteggiare eventuali emergenze sugli altri teatri bellici.

Dopo la disfatta Teutoburgo aveva dunque rivelato una falla nel sistema militare romano, e solo la prudenza di un grande generale come Tiberio riuscì a chiuderla in un decennio. Le prime operazioni militari le condusse in prima persona, vivo ancora Augusto; poi, divenuto imperatore, incaricò il nipote Germanico di compiere con otto legioni tre spedizioni punitive oltre il Reno, dal 14 al 16 d.C. I successi parziali, primo fra tutti quello della piana di Idistaviso nel 16, servirono solo alla propaganda imperiale per affermare che la disfatta di Teutoburgo era stata vendicata; ma in realtà il contatto con quelle terre inospitali e fredde, dove i soldati narravano di cose straordinarie, tempeste turbinose, uccelli stranissimi e forme mostruose di uomini e belve, raffreddò le ambizioni romane di estendere il confine dell’Impero fino all’Elba. Non era meglio lasciare al loro destino queste terre e abbandonare alle interne discordie quelle popolazioni? Fu la diplomazia, strumento migliore delle armi, a tenere a bada i Germani, e Arminio ne fu la prima vittima, perché di lì a qualche anno sarebbe caduto in una lotta fratricida fomentata proprio dai Romani.


INTRAPPOLATI TRA LA COLLINA E LE PALUDI

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ILLUSTRAZIONE: ALBERTO IPSILANTI/CAPRICORN

A BATTAGLIA DI TEUTOBURGO si svolse in un angusto passaggio tra la collina del Kalkriese e una palude, che costrinse i 20.000 Romani a marciare in una stretta colonna lunga oltre tre chilometri. Mentre infuriava una tempesta, i Germani apparvero all’improvviso al di sopra di un terrapieno, bersagliando i legionari con una fittissima pioggia di lance e proiettili. Intanto, altri Germani scendevano dalle pendici del Kalkriese per completare la strage. Secondo altre fonti, invece, i Romani erano accampati al di sotto del terrapieno quando, dopo due giorni di maltempo, si accorsero di essere in trappola. I Germani iniziarono ad attaccarli in piÚ punti, in una battaglia di logoramento che non dette scampo ai legionari di Varo. I Romani lasciarono sul campo circa 15.000 morti, altre migliaia di soldati vennero fatte prigioniere.


GIOVANNI SIMEONE/FOTOTECA 9X12


IL PANTHEON DI ROMA Dedicato a tutti gli dei, tale tempio fu eretto nel 27 a.C. da Agrippa, compagno d’armi e di governo di Augusto, come si legge sul frontone; l’edificio attuale fu costruito da Adriano, nel II secolo d.C.

LA SUCCESSIONE DI AUGUSTO Dopo una lunga vita e dopo aver fondato un nuovo sistema politico, Augusto affrontò il problema più difficile del suo regno: la successione. La ricerca di un erede avrebbe segnato il futuro dell’Impero romano FRANCISCO GARCIA JURADO TITOLARE DELLA CATTEDRA DI FILOLOGIA LATINA DELL’UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID


SANDRA RACCANELLO/SIME

I MERCATI DI TRAIANO Il vasto complesso alle pendici del Quirinale si deve a Traiano, celebrato dagli storici antichi e dai contemporanei come l’optimus princeps (“il miglior imperatore”) tra i successori di Augusto.

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el momento in cui Augusto sentì che la morte era vicina, volle rappresentare la fine della sua vita come l’epilogo di un’opera teatrale. Si trovava a Nola, nella stessa stanza in cui era morto il padre Gaio Ottavio. Chiese ripetutamente se fuori già vi fosse agitazione per la sua imminente morte e, preoccupato per il suo aspetto, ordinò di sistemargli i capelli e di correggergli con un po’ di belletto le guance, che erano divenute cadenti a causa della malattia. Ai pochi amici che poterono stare al suo fianco in quegli ultimi momenti chiese poetando di applaudire se fosse stata di loro gradimento la commedia della sua vita. Così moriva, nell’intimità dei suoi affetti, il primo imperatore, dopo una lunga e intensa vita, tra le braccia di Livia.

Era riuscito a realizzare il desiderio di avere una buona morte, o eutanasia, per usare il termine greco, almeno secondo il quadro idilliaco dipinto da Svetonio. Ma è lecito chiedersi se il princeps morì davvero sereno sapendo di lasciare il potere nelle mani di Tiberio, il figlio della sua terza moglie Livia Drusilla, che lei aveva avuto con il primo marito Tiberio Claudio Nerone. Alla fine aveva designato il suo figliastro come proprio successore, ma si era trattato di una scelta forzata a causa della tragica morte di tutti coloro ai quali l’imperatore aveva in realtà pensato di conferire tale incarico. Lo storico Tacito dubita che Tiberio sia riuscito a trovare Augusto ancora in vita, e crede che fu Livia a richiamarlo urgentemente dall’Illirico a Nola. Augusto capì molto presto l’importanza di avere un successore all’altezza. Egli stesso era


Il problema della successione Augusto comprendeva l’urgenza del problema, ma non era possibile che il Senato regolasse mediante leggi la successione, poiché ciò avrebbe significato trasformare il principato in una vera e propria monarchia. Per questo motivo,

il problema pratico di trovare un successore si univa a quello della legalità stessa di tale procedura all’interno di una cornice politica e giuridica che almeno apparentemente era repubblicana. Superato il momento critico del 23 a.C., Augusto visse molti altri anni. Tale circostanza finì per complicare il problema ancora di più, in quanto ora erano i candidati alla successione che andavano morendo a mano a mano che lui invecchiava. A questo proposito, abbiamo un’interessante testimonianza dello stesso Augusto, in una lettera riportata da Aulo Gellio (Notti Attiche, XV, 7) e diretta al suo nipote e figlio adottivo Gaio: “Ti saluto, mio caro Gaio, mio nipote gradito, che quando sei lontano da me, ti giuro! non faccio altro che rimpiangere. E, principalmente in giorni come questo di oggi, i miei occhi cercano il mio Gaio: dovunque og-

AUREO DI ETÀ AUGUSTEA Moneta che reca il nome di Augusto sormontato da una creatura fantastica, metà capra e metà pesce. 18-16 a.C. Ashmolean Museum, Università di Oxford.

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stato nominato erede da Giulio Cesare, il cui tragico assassinio per mano dei congiurati lo segnò per la vita. I problemi legati alla successione di Augusto furono dovuti a due fattori: la sua lunga vita e la serie di disgrazie che colpì la sua famiglia. Anch’egli avrebbe potuto trovarsi nel 23 a.C. in cima alla triste lista degli scomparsi, quando fu sul punto di morire a causa di una grave malattia che lo obbligò a lasciare il potere nelle mani del suo braccio destro, il generale Marco Vipsanio Agrippa, e del console Gneo Calpurnio Pisone.


VANNI ARCHIVE

IL MAUSOLEO DI AUGUSTO Fu eretto nel Campo Marzio per contenere le ceneri dell’imperatore. Sul basamento era collocata un’iscrizione bronzea con l’elenco delle sue imprese, ossia il documento oggi noto come Res Gestae Divi Augusti.

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gi ti trovi, spero che tu celebri in letizia e in buona salute il mio sessantaquattresimo compleanno. Come puoi vedere, sono riuscito a superare i sessantatré anni, quell’età critica per la maggior parte dei vecchi che si chiama climaterio. E prego gli dei che mi sia possibile vivere tutta la vita che mi resta in salute e tra le migliori fortune dello Stato, con voi che vi comportate da uomini onesti, pronti ad assumere la mia successione”. A Roma, il fatto stesso di aver superato l’età di 63 anni, cifra che si ottiene moltiplicando sette per nove, voleva dire aver superato un’età critica. Gli antichi avevano infatti osservato che per la maggior parte dei sessantenni era frequente che capitasse qualche disgrazia, come una grave malattia, una depressione o addirittura la morte. Il tono familiare della lettera non deve a ogni modo sviare la nostra attenzione dalla profonda ideologia monar-

chica che vi è sottesa, evidente soprattutto nella frase finale: la necessaria disposizione dei successori a essere in condizioni tali da poter assumere l’incarico. Questo desiderio di Augusto fu però vanificato varie volte, così che l’imperatore dovette posare lo sguardo su diversi candidati. Questi furono il nipote e genero Marco Claudio Marcello, il figliastro Druso, i nipoti e figli adottivi Gaio e Lucio, il nipote Agrippa Postumo e, infine, Tiberio.

Successioni sfumate La prima persona in cui Augusto ripose le sue speranze fu il nipote Marco Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia Minore e discendente dell’omonimo generale della seconda guerra punica. Egli lo favorì nominandolo, ancora ragazzo, pontefice (uno dei sacerdoti che presiedevano alle cerimonie religiose) ed edile curule, secondo quanto racconta Tacito.


ULLSTEIN BILD

A

UGUSTO NON EBBE FIGLI MASCHI. Ripose perciò le sue speranze nei figli nati da Giulia e Agrippa, tre maschi e due femmine. Queste ultime furono Giulia Minore e Agrippina Maggiore. La prima visse in modo dissipato come la madre e subì come lei l’esilio. È probabile che ella abbia avuto una relazione illecita con il poeta Ovidio. Agrippina, invece, fu una donna virtuosa e lo stesso Augusto ne lodò il notevole ingegno,

dandola in sposa al nobile Germanico, nipote di sua sorella Ottavia (da parte di madre) e di sua moglie Livia (da parte di padre). Germanico, molto popolare fra i soldati e il popolo, morì prematuramente e Tiberio fu sospettato della sua scomparsa. Agrippina, critica verso quest’ultimo, subì l’esilio . Fu però suo figlio Caligola a succedere a Tiberio. Sopra, Agrippina e Germanico in un dipinto di Peter Paul Rubens. 1614. National Gallery of Art, Washington. STATUA DI CALIGOLA. NAPOLI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE.

PRISMA

LE NIPOTI DI AUGUSTO


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FOTO SCALA, FIRENZE

ART ARCHIVE

L’APOTEOSI DI AUGUSTO Dopo la sua morte, il primo imperatore di Roma fu divinizzato. Lo stesso onore toccò a molti suoi successori. I secolo d.C. Museo Archeologico Nazionale di Ravenna.

Tuttavia, la speranza di Augusto di averlo come proprio successore al trono svanì quando Marcello, che aveva sposato la sua unica figlia Giulia Maggiore, nata dal matrimonio con la seconda moglie Scribonia, si ammalò e morì nel 23 a.C., a neppure vent’anni. Le virtù del giovane furono mitizzate dopo la sua morte prematura. Ne rimane una celebre eco nell’opera letteraria più rappresentativa dell’epoca di Augusto, l’Eneide. Quando Enea, che è sceso negli inferi, parla con il suo anziano padre Anchise, questi si riferisce a Marcello come a un personaggio privo di speranze per il futuro: “Ahimè, fanciullo degno di compianto, tu sarai Marcello, anche se in qualche modo potrai spezzare i tuoi destini crudeli. Spargete gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e possa colmare almeno con questi doni l’anima del nipote e compia quest’inutile onore” (Eneide VI).

In questi versi Virgilio riflette il fallimento della speranza di Augusto e dimostra la sua ammirazione per il giovane Marcello, che gli dei chiamarono prima del tempo. Per quanto riguarda Marco Vipsanio Agrippa, sebbene non si possa affermare che fosse stato ufficialmente designato successore, fu di certo una persona molto vicina ad Augusto e strettamente legata ai suoi piani politici. Agrippa era, secondo Tacito, un uomo di umili origini e di buone doti militari, un fedele amico dell’imperatore, per il quale si batté ottenendo grandi vittorie. Come ricompensa, Augusto gli conferì il consolato per due anni di seguito e lo fece diventare suo genero, dandogli in sposa Giulia dopo la morte di Marcello. Dal 20 al 12 a.C., anno in cui morì, portò avanti con Augusto una vera coreggenza. Alcuni storici moderni hanno parlato, addirittura, di “doppio principato”.


GETTY IMAGES

IL TEMPIO DI ADRIANO Venne eretto nel II secolo a.C. a Efeso, nell’attuale Turchia. La città divenne con Augusto un importante centro commerciale e fu scelta come capitale della provincia d’Asia.


LA GEMMA AUGUSTEA Il Kunsthistorisches Museum di Vienna custodisce uno dei cammei più preziosi dell’arte romana, realizzato probabilmente da Dioscuride (scultore e intagliatore di gemme di età augustea). La Gemma pare sia stata realizzata in occasione del trionfo tributato a Tiberio nel 12 d.C. per celebrare le sue vittorie su Dalmati e Pannoni. Si presenta come un cammeo con rilievo su due strati, intagliati su una pietra araba di onice. 1 L’ IMPERATORE AUGUSTO,

2 ECUMENE, OVVERO

3 L’ IMPERO ROMANO

4 L’ IMPERO ROMANO

5 LA DEA ROMA,

6 LA VITTORIA ALATA

7 IL TRIONFO DI TIBERIO,

8 IL TROFEO DI GUERRA

RAFFIGURATO COME GIOVE Seduto sul trono, l’imperatore Augusto viene incoronato con la corona civica (o di quercia), usata come onorificenza per chi avesse salvato la vita di cittadini romani. Sotto Augusto è posta l’aquila di Giove.

E IL DOMINIO SUI MARI Alla sinistra dell’imperatore Augusto siede una figura che viene identificata con le divinità marine Oceano o Nettuno, a simboleggiare il dominio raggiunto dall’Impero romano su mari e oceani.

SIMBOLO DELL’ IMPERO Armata di lancia e scudo, la dea Roma siede accanto all’imperatore Augusto. La mano sinistra è posta sull’elsa della spada, a indicare che Roma è sempre pronta a combattere una nuova guerra.

SUCCESSORE DI AUGUSTO Il successore di Augusto viene celebrato per le vittorie ottenute su Dalmati e Pannoni, al termine della rivolta dalmato-pannonica del 6-9 d.C. Al suo fianco, un giovane in uniforme militare, identificato con Germanico.

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IL MONDO CIVILIZZATO A porre sul capo di Augusto la corona civica è Ecumene, la personificazione del mondo conosciuto e civilizzato. La figura femminile che la incarna porta una corona turrita (o muraria), simbolo delle città dell’Impero.

E IL DOMINIO SULLA TERRA Strettamente collegata alla figura di Oceano o Nettuno vi è la figura identificata con Gaia, la personificazione della Terra. Alla divinità sono legate la cornucopia e i bambini che la circondano, simbolo delle stagioni.

E I TRIONFI DELL’ IMPERO La divinità della Vittoria è alla guida del carro trionfale dal quale sta scendendo Tiberio, vittorioso sui nemici di Roma, per recarsi da Augusto, in segno di obbedienza e di ossequio al grande imperatore.

E I POPOLI SCONFITTI Nella parte inferiore della Gemma sono raffigurati i popoli dei Dalmati e dei Pannoni, sottomessi da Roma. Sulla sinistra (per chi guarda) i soldati romani stanno montando un trofeo di guerra, con le spoglie nemiche.


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L’ARCO DI GERMANICO Affiancava, insieme all’arco di Druso, il Tempio di Giove nel Foro civile di Pompei. Ai lati del fornice si aprono due nicchie che ospitavano statue raffiguranti i figli di Germanico.

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In seguito al matrimonio di Agrippa con Giulia, Augusto ebbe cinque nipoti, due femmine e tre maschi, su due dei quali pose, di nuovo, le sue speranze per la successione. Si trattava di Gaio e di Lucio, che il nonno materno adottò nel 17 a.C. (anno della nascita del secondo) e che insignì del titolo di principes iuventutis “principi della gioventù”. Tutto faceva supporre che la successione sarebbe toccata ai due figli di Agrippa, il che metteva in secondo piano i figliastri Tiberio e Druso Maggiore, anch’egli nato dal precedente matrimonio di Livia. Però, ancora una volta, i piani di successione di Augusto andarono in fumo. Come dice Svetonio nella Vita di Augusto, “Quando già viveva allegro e fiducioso nella sua discendenza e nella disciplina della sua casa, la Fortuna l’abbandonò”. Effettivamente, la morte dei due figli di Agrippa avvenne in circostanze piuttosto misterio-

se. Lucio si ammalò e morì a Marsiglia nel 2 d.C. Gaio invece rimase gravemente ferito durante una campagna militare in Asia Minore e morì due anni dopo il fratello. Tacito non scarta la possibilità che Livia avesse tramato quelle morti. Al di là di questa ipotesi, la successione si andava ora delineando a favore dei figli di Livia, anche se rimaneva ancora il terzo figlio maschio di Agrippa e Giulia, nato dopo la morte del padre: Agrippa Postumo. Questi, tuttavia, non rappresentò uno scoglio alla possibilità di Tiberio di arrivare al trono. Svetonio ci descrive Agrippa Postumo come una persona degenerata e di carattere violento che Augusto dovette esiliare a Sorrento e poi, vedendo che non migliorava nella sua follia, nell’isola di Pianosa. Ciononostante, è lecito pensare, insieme a Tacito (Annali I 3,4), che questo esilio fosse, piuttosto, un’idea di Livia per spianare la strada al figlio Tiberio.


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UN EREDE MANCATO GERMANICO, figlio di Druso Maggiore (figlio di Livia) e di Antonia

Minore (figlia di Ottavia, sorella di Augusto), nel 4 d.C. per volere di Augusto fu adottato da Tiberio e sposò Agrippina Maggiore, figlia di Agrippa e di Giulia. Grande generale, morì ad Antiochia nel 19 d.C. forse avvelenato da Pisone, governatore della provincia di Siria.

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AGRIPPINA CON LE CENERI DI GERMANICO. BENJAMIN WEST. 1770. PHILADELPHIA MUSEUM OF ART.

L’ascesa di Tiberio Sia Tiberio sia il fratello Druso Maggiore erano stati onorati da Augusto con il titolo di imperator, “comandante vittorioso”. Druso morì nel 9 a.C. Due anni prima il princeps aveva fatto sposare sua figlia Giulia (rimasta vedova di Agrippa) con Tiberio. Ma solo alla morte di Lucio e Gaio, Augusto, spinto da Livia, designò Tiberio come suo successore. Nel 13 d.C. questi fu investito di poteri simili a quelli di Augusto. Il momento della successione era ormai imminente, e questa volta avvenne tutto come previsto. Racconta Svetonio: “Durante il viaggio di ritorno [da Na-

poli], essendosi aggravata la malattia, ne rimase vinto a Nola e, richiamato Tiberio dal suo viaggio, si trattenne a lungo con lui in privato, e quindi non rivolse più la sua attenzione a nessuna questione importante”. Quando Augusto morì, il 19 agosto del 14 d.C., i poteri furono trasmessi a Tiberio e cominciò così una nuova pagina del principato. Montesquieu descrive con una similitudine tale successione: “Così come si vede un fiume corrodere lentamente e senza rumore gli argini che gli sono messi, e poi distruggerli in un attimo e invadere i campi che essi proteggevano, così il potere sovrano operò insensibilmente con Augusto e straripò con violenza con Tiberio”. Tale violenza si rivelò subito contro Agrippa Postumo, che Tiberio fece assassinare. Il nuovo princeps ereditò da Augusto il problema della successione, la cui ombra aleggiò sul regno di molti altri imperatori.

CAMMEO DI AUGUSTO Il monile, esposto al Cleveland Museum of Art, fu realizzato durante il regno di Tiberio (14-37 d.C.). Quest’ultimo intendeva proseguire la politica di Augusto, consolidando i confini e l’autorità imperiale.

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Tutte queste disgrazie e dispiaceri indussero l’imperatore ad applicare a se stesso i versi nei quali Ettore rimprovera suo fratello Paride nell’Iliade (III, 40): “Magari tu fossi rimasto celibe e fossi morto senza discendenza”.


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preoccupazione di Augusto. Nonostante avesse più volte pianificato i termini in cui si sarebbe dovuta svolgere la sua successione, si dovette infatti scontrare con le morti premature di tutti coloro che aveva pensato di porre sul trono. Nel 23 a.C. era deceduto il suo adorato nipote e genero Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia Minore, nel quale aveva inizialmente riposto le speranze. Nel 12 a.C. era morto anche Marco Vipsanio Agrippa, l’amico, collaboratore e poi genero che aveva associato nel governo dell’Impero. Tre anni dopo era scomparso Druso Maggiore, figlio di Livia che alcuni ritenevano anche figlio di Augusto. Poi, come ricorda Svetonio: “Nello spazio di diciotto mesi perse [i nipoti] Gaio e Lucio, il primo in Licia, il secondo a Marsiglia. Adottò allora, nel Foro secondo la legge curiata, il suo terzo nipote Agrippa Postumo e il figliastro Tiberio; ben presto, però, a causa della natura infame e feroce di Agrippa, lo rinnegò e lo esiliò a Sorrento”. Spinto da Livia, Augusto si risolse infine ad adottare Tiberio. Secondo Svetonio, “pesò accuratamente le virtù e i vizi di Tiberio e trovò maggiori le virtù”, e soprattutto “aveva giurato in assemblea di adottarlo nell’interesse dello Stato, e in molte lettere lo aveva celebrato come un grande comandante e come l’unico sostegno del popolo romano”.

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BUSTO IN MARMO DI OTTAVIANO AUGUSTO L’IMPERATORE INDOSSA LA CORONA CIVICA. I SECOLO A.C. MUSEI CAPITOLINI, SALA DEGLI IMPERATORI, ROMA.

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A DESIGNAZIONE DEL PROPRIO EREDE fu la più grande

MARCO VIPSANIO AGRIPPA COMANDANTE E GENERO DI AUGUSTO Di umili origini, amico fin dall’infanzia di Ottaviano, nel 45 a.C. era stato insieme a questi, sotto il comando di Cesare, ufficiale di cavalleria durante la battaglia di Munda contro i repubblicani conservatori. Nel corso degli anni, Agrippa rivestì un ruolo fondamentale per la fondazione del Principato: a lui Augusto dovette molte delle sue vittorie militari, tra le quali va ricordato soprattutto il trionfo ad Azio su Marco Antonio e Cleopatra. Dalla terza moglie, Giulia, la figlia di Augusto, sposata nel 21 a.C. dopo la morte di Marcello, ebbe 5 figli. Tutti e tre i suoi figli maschi furono imperatori designati. I primi due, Gaio Cesare e Lucio Cesare, però non sopravvissero al nonno materno; il terzo, Agrippa Postumo, morì invece ucciso da un centurione subito dopo la morte di Augusto. TESTA DI AGRIPPA. DA MAGNESIA (TURCHIA). STAATLICHE MUSEEN, BERLINO.

MARCO CLAUDIO MARCELLO, NIPOTE PREDILETTO DI AUGUSTO Figlio della sorella di Ottaviano, Ottavia Minore, e di Gaio Claudio Marcello, ex console, fu uno dei primi a essere designato come successore del princeps. Nel 25 a.C. sposò Giulia Maggiore, la figlia di Augusto. L’anno successivo il Senato decretò che, in anticipo di 10 anni rispetto al normale cursus honorum, egli potesse divenire senatore e candidarsi al consolato. Nel 23 morì, forse per un’epidemia. Secondo Dione Cassio, “Augusto gli diede una sepoltura pubblica e lo seppellì nella tomba che fece costruire [il Mausoleo di Augusto]. E ordinò che fossero portati nel teatro [di Marcello] una sedia curule, un ritratto e una corona d’oro...”. Della sua morte molti sospettarono la moglie di Augusto, Livia. STATUA DI MARCO CLAUDIO MARCELLO, 23 A.C. LOUVRE, PARIGI.

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I SUCCESSORI DESIGNATI


ERICH LESSING

STATUA DI DRUSO CESARE. MUSEO ARCHEOLOGICO E D’ARTE DI GROSSETO.

TIBERIO, FIGLIASTRO DI AUGUSTO E SECONDO IMPERATORE ROMANO Figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla, fu associato da Augusto nel governo dell’Impero già nel 12 a.C. ma divenne ufficialmente il successore designato nel 4 d.C. allorché il princeps lo adottò. Ecco il giudizio di Tacito sulla sua figura: “Finché rimase un privato cittadino o fu agli ordini di Augusto fu esemplare per il suo stile di vita [...]; finché furono in vita Germanico e Druso si comportò in modo subdolo e ipocrita [...]; fino alla morte della madre, la sua vita fu una mescolanza di bene e di male; fu detestato per la crudeltà ma si preoccupò di mantenere nascoste le proprie passioni fino a quando predilesse e temette Seiano. Infine, abbandonato il pudore assieme a ogni paura, si lasciò andare a delitti e atti infamanti”.

TESTA DI TIBERIO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, PAESTUM.

FOTO SCALA, FIRENZE

STATUA DI GAIO CESARE. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.

FOTO SCALA, FIRENZE

STATUA IN MARMO DI GERMANICO. DA CORDOVA. LOUVRE, PARIGI.

GAIO CESARE, ALTRO NIPOTE DI AUGUSTO MORTO GIOVANISSIMO Figlio maggiore di Marco Vipsanio Agrippa e di Giulia Maggiore, nacque nel 20 a.C. Fu adottato nel 17 a.C. insieme al fratello Lucio Cesare dal nonno materno, Augusto. Come ricorda Svetonio, “[...] ancora molto giovani fece partecipare [Lucio e Gaio Cesare] all’amministrazione della res publica e quando furono designati consoli li inviò nelle province e presso gli eserciti”. Secondo Dione Cassio, all’età di circa quattordici anni Gaio fu eletto console ma Augusto non consentì che ricoprisse la carica e lo nominò pontefice. L’anno dopo lo fece entrare in Senato, e lo designò console per l’1 d.C. Incaricato di gestire i rapporti tra Roma e i Parti, morì nel 4 d.C. a Limira, in Licia, a soli 24 anni per le conseguenze di una grave ferita.

DRUSO CESARE, PRONIPOTE DI AUGUSTO, VITTIMA DI TIBERIO Figlio di Germanico e di Agrippina Maggiore, e fratello del futuro imperatore Caligola, fu adottato dal prozio Tiberio nel 23 d.C., dopo la morte del figlio Druso Minore, ma poi accusato di tramare contro la vita del princeps. Imprigionato, morì nel 33 di stenti, ridotto secondo Tacito a masticare l’imbottitura del suo giaciglio. Nel libro VI degli Annali, lo storico ricorda che Tiberio “infierì contro il defunto, presentandolo come un depravato sessuale, carico di odio verso i suoi e pericoloso nemico dello Stato, e diede ordine di stilare una relazione dettagliata, giorno per giorno dei suoi atti e delle sue parole”.

FOTO SCALA, FIRENZE

GERMANICO, NIPOTE DI AUGUSTO SCOMPARSO PREMATURAMENTE Secondo Tacito, Germanico “aveva sentimenti liberali e una grande affabilità, che contrastava con il linguaggio e l’atteggiamento di Tiberio, sempre arroganti e misteriosi...”. Figlio di Druso Maggiore e adottato da Augusto nel 4 d.C., morì a 34 anni nel 19. Svetonio nella Vita di Caligola racconta che egli perì dopo lunghe sofferenze. Tacito invece riferisce che lo stesso Germanico, prima di morire, si disse convinto di essere stato avvelenato da Gneo Calpurnio Pisone, governatore in Siria. Tiberio da alcuni fu sospettato di essere il mandante dell’omicidio, poiché era stato lui in persona a conferire al governatore l’incarico. Prima del verdetto, durante il processo in cui in seguito fu implicato, Pisone si suicidò.

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IL TEATRO DI ORANGE Augusto (la cui statua è una di quelle che ornano il teatro) lo fece costruire in onore dei veterani della Legio II Gallica, che erano stati i fondatori della città (l’antica Arausio), in Provenza.


PER SAPERNE DI PIÙ L’ASCESA TESTI

Vite dei Cesari. Svetonio, Garzanti, 2008. Res Gestae Divi Augusti. Cesare Ottaviano Augusto, Mondadori, 2002. SAGGI

Augusto. Augusto Fraschetti, Laterza, 2013. Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. Virgilio Dominici, Booksprint, 2013. La grande storia di Roma. Dall’alba al tramonto. Antonio Spinosa, Mondadori, 2000.

AZIO, IL TRIONFO DI AUGUSTO TESTI

Storia di Roma. Cassio Dione Cocceiano, BUR, 1998 SAGGI

Marco Antonio. Giusto Traina, Laterza, 2003. Cleopatra. Una vita. Stacy Schiff, Mondadori, 2011. ROMANZO

Cleopatra. Colleen McCullough, BUR, 2008. TEATRO

Antonio e Cleopatra. William Shakespeare, Marsilio, 2000.

AUGUSTO IL PRINCEPS SAGGI

La casa di Augusto. Andrea Carandini con Daniela Bruno, Laterza, 2008. Augusto, braccio violento della storia. Luca Canali, Bompiani, 2011

Augusto e il suo tempo. Werner Eck, Il Mulino, 2010 Augusto e il principato. Mario Pani, Il Mulino, 2013 Augusto e il potere delle immagini. Paul Zanker, Bollati Boringhieri, 2006.

LIVIA, L’IMPERATRICE DEI ROMANI SAGGI

Livia. La First Lady dell’impero. Anthony A. Barrett, Edizioni dell’Altana, 2006. Dive e donne. Mogli, madri, figlie e sorelle degli imperatori romani da Augusto a Commodo. Francesca Cenerini, Angelini Photo Editore, 2009. La villa di Livia. Salvatore Settis, Mondadori Electa, 2008 Giulia. La figlia di Augusto. Lorenzo Braccesi, Laterza, 2012

AUGUSTO, IL GRANDE EDIFICATORE SAGGI

Storia romana. Klaus Bringmann, Il Mulino, 1998. Rome. Sofia Pescarin, White Star, 2011. Augusto e Virgilio. La rivoluzione artistica dell’Occidente e l’Ara Pacis. Gilles Sauron, Jaca Book, 2013

TITO LIVIO TESTI

Storia di Roma dalla sua fondazione. Tito Livio, BUR, 1997

TACITO TESTI

Annali. Publio Cornelio Tacito, Garzanti, 2000. Storie. Publio Cornelio Tacito, Garzanti, 1995. Agricola. Germania. Dialogo sull’oratoria. Publio Cornelio Tacito, Garzanti, 1995.

LA RIFORMA DELLO STATO SAGGI

Roma e il suo impero. Istituzioni, economia, religione. Jacque Francois, John Scheid, Laterza, 2008. Diritto romano. Istituzioni e storia. Eva Cantarella, Mondadori, 2010

L’ESERCITO E LE FRONTIERE SAGGI

L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Da Augusto ai Severi. Giuseppe Cascarino, Il Cerchio, 2010. Castra. Campi e fortezze dell’esercito romano. Giuseppe Cascarino, Il Cerchio, 2010. Gli eserciti di Roma. Dalla fondazione alla caduta dell’Impero. Romano Del Valli, Scienze e lettere, 2011. La grande strategia dell’Impero romano. Edward N. Luttwak, BUR, 2013. Storia delle province romane. E. Meyer-Zwiffelhoffer, Il Mulino, 2011.

LA CONQUISTA DELLA SPAGNA SAGGI

Cesare Ottaviano Augusto. Fu veramente un grande? Cesare Fontanieri, Armando Editore, 2012. I Celti. Una civiltà d’Europa. Elena Percivaldi, Giunti, 2005.

TEUTOBURGO, UNA STORICA DISFATTA SAGGI

I confini settentrionali durante il principato di Augusto. Ronald Syme, in Storia Antica (Cambridge), vol. X, Garzanti, 1968. La battaglia che fermò l’Impero romano. Peter Wells, Il Saggiatore, 2004. Teutoburgo. La grande disfatta delle legioni di Augusto. Massimo Bocchiola, Marco Sartori, Mondadori, 2014 Teutoburgo. 9 d.C. Massimo Bocchiola, Marco Sartori, Mondadori, 2005. La battaglia di Teutoburgo nel 9 d.C. Michael McNally, Editrice Goriziana, 2013.

LA SUCCESSIONE DI AUGUSTO SAGGI

Un giallo ai tempi di Tiberio. Gianni Santarpino, Valtrend, 2009. ROMANZO

Io, Claudio. Robert Graves, Corbaccio, 2010 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’IMPERATRICE E LA SUA CORTE L’imperatrice Livia nella sua villa di Prima Porta. Olio su tela di Cesare dell’Acqua (1858). Castello di Miramare, Trieste.

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Pubblicazione periodica bimestrale - Anno IV - n. 13 Editore: RBA ITALIA SRL Largo Richini, 6 - 20122 Milano

DIRETTORE GENERALE: STEFANO BISATTI DIRETTORE RESPONSABILE: GIORGIO RIVIECCIO Redazione e amministrazione: RBA ITALIA SRL

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Coordinamento editoriale: ANNA FRANCHINI Grafica: MAITE DUCUN Impaginazione, traduzione e adattamento: LESTEIA SRL Autori: Miguel Ángel Novillo e Juan Luís Posadas (professori associati

presso l’università internazionale di La Roja); Carlos García Gual (titolare della cattedra di filologia classica dell’Università Complutense di Madrid); Massimo Bocchiola e Marco Sartori (storici e scrittori); Juan Luís Posadas (ricercatore di storia antica); Maria José Barrios Castro (dottoressa in filologia classica); José Antonio Monge (filologo); David Hernandez De La Fuente (dottore in filologia); Eva Cantarella (docente di diritto greco e romano); Fernando Lillo Redonet (dottore in Filologia classica e scrittore); Francisco García Jurado (titolare della cattedra di filologia latina dell’Università Complutense di Madrid) Testi aggiuntivi a cura di: Alberto Garni (“L’amore e la politica”, “L’altezzosa Giulia”, “Una scaltra Ulisse al femminile”, “Promesse spose a dodici anni”, “La nuova Spagna di Augusto”); Laura Peducci (“L’Impero all’epoca di Augusto”, “L’imponente trofeo di Augusto”, “Le Res Gestae Divi Augusti”, “I successori designati”); Miguel Ángel Novillo (“Guerra al trucco”)

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