Speciale Storica n°21 - Complotti e Congiure

Page 1

SPECIALE

numero 21 € 9,90

COMPLOTTI E CONGIURE DA CATILINA AL DOGE MARINO FALIERO, DA LORENZO DE' MEDICI AL PAPA PIO IV: AUTORI E VITTIME DELLE COSPIRAZIONI PER SOVVERTIRE I GOVERNI E IMPADRONIRSI DEL POTERE


bridgeman / aci

l’assassinio del dittatore La morte di Cesare, dipinto (1867) di Jean-Léon Gérôme. I portici del teatro di Pompeo furono lo scenario in cui si svolse la congiura che portò all’uccisione di Giulio Cesare. Walters Art Museum, Baltimora (USA).


COMPLOTTI E CONGIURE


il lusso della monarchia Il Miroir d’Eau, con la statua del fiume Rodano, nei giardini di Versailles. La sfarzosa reggia, simbolo dei privilegi della monarchia e della nobiltà, fu una delle cause del malcontento popolare che sfociò nella Rivoluzione francese.

tredici congiure, alcune che hanno portato a drastici cambiamenti ai vertici di uno stato, altre che invece sono fallite, ma che hanno impresso il loro segno nella storia.

10 La congiura dell’harem Ramses III fu vittima di un complotto ordito da una delle sue mogli. Grazie ad alcuni papiri, gli studiosi hanno ricostruito la vicenda

22 La congiura di Catilina Fallita la carriera politica, Catilina tentò nel 63 a.C. di prendere il potere con un colpo di Stato, che venne però sventato da Cicerone

32 L’assassinio di Cesare I sospetti sulla volontà Cesare di trasformare lo Stato in un regime dittatoriale diedero il via alla congiura delle Idi di marzo

46 Gli intrighi di Messalina Considerata l’archetipo della matrona dissoluta e senza scrupoli, fu in realtà una donna del suo tempo, partecipe dei vizi di un’epoca

58 Irene di Bisanzio Fu la prima donna a reggere da sola il trono imperiale; santa per la Chiesa ortodossa, non fu estranea all’assassinio di marito e figlio

66 Marino Faliero Architettò un complotto per trasformare Venezia in una signoria personale: un colpo di Stato fallito sul nascere, che gli costò la vita 4 storica national geographic


age fotostock

80 Inés de Castro Amante dell’Infante Pietro del Portogallo, fu vittima degli intrighi politici della corte lusitana, che convinse il re Alfonso IV a eliminarla

88 Riccardo III d’Inghilterra Visto come la personificazione del “male assoluto”, ebbe forse solo il carattere giusto per sopravvivere in un’epoca di guerra civile

96 La congiura contro i Medici Nel 1478 la congiura dei Pazzi rischiò di porre fine al dominio dei Medici. Il piano non riuscì, ma cambiò la storia della città

110 Cesare Borgia Il Valentino tentò di trasformare le Signorie di Romagna in suoi possedimenti; ma i suoi stessi condottieri tramarono contro di lui

122 La congiura dei Fieschi

MArIno fALIero SI APPreStA A eSSere GIUStIzIAto SULLA SCALInAtA deL PALAzzo dUCALe dI venezIA, oLIo SU teLA dI frAnCeSCo hAyez, 1867. PInACoteCA dI BrerA, MILAno. Foto: scala, Firenze

Nel 1547, un gruppo di congiurati guidati da Gian Luigi Fieschi cercò di rovesciare Andrea Doria con il sostegno del papa e della Francia

134 La congiura contro il papa Pio IV aveva idee rivoluzionarie per l’epoca, volte a tentare un dialogo con i protestanti. Fu forse questo a turbare gli animi dei cospiratori

148 La collana della regina Nel 1785, lo scandalo nel quale rimase coinvolta Maria Antonietta screditò la monarchia e preparò il terreno per la Rivoluzione storica national geographic

5


scala, firenze

bridgeman / aci

i principi nella torre il dipinto di James northcote, che raffigura i giovanissimi nipoti di riccardo iii rinchiusi nella torre di londra, è ispirato a una scena dell’opera di shakespeare (atto iV, scena iii). collezione privata.


LA CONGIURA INFINITA

N

on c’è, scriveva Niccolò Machiavelli, «impresa più pericolosa né più temeraria» della congiura, «perché la è difficile e pericolosissima in ogni sua parte. Donde ne nasce che molte se ne tentino, e pochissime hanno il fine desiderato». Simili imprese, «se le hanno in sé, nel pensarle, alcuna ombra di gloria, hanno, nell’esequirle, quasi sempre certissimo danno». Il filosofo e politico fiorentino non si basava soltanto sulla lunga sequela di congiure e complotti che hanno costellato la storia italiana fin dai tempi dei Romani; ma parlava anche in qualità di testimone del soffocamento della congiura perpetrata ai danni di Cesare Borgia, il Valentino, presso il quale si trovava e che poi gli ispirerà l’opera Il Principe. Ed effettivamente, scorrendo le cospirazioni che presentiamo in questo Speciale, se ne riscontrano solo poche che abbiano riscosso l’effetto desiderato. Ma anche in questi casi, ricordava sagacemente Machiavelli, si corre un grande pericolo dopo aver condotto con successo una congiura: «Quando e’ rimane alcuno che vendichi il principe morto». Aggiungeva difatti: «In esemplo ci è Cesare, il quale, per avere il popolo di Roma amico, fu vendicato da lui; perché, avendo cacciati i congiurati di Roma, fu cagione che furono tutti, in varii tempi e in varii luoghi, ammazzati». Perché allora, nonostante gli innumerevoli esempi di congiure fallite, se ne continuano a ordire, anche ai nostri tempi, magari con strumenti più “politici” e meno cruenti del passato? Il Fiorentino non aveva dubbi: non esiste un progresso nella storia verso un fine ultimo, ma soltanto il ripetersi ciclico del tempo perché la ragione umana si riproduce eternamente. Ma anche un altro grande del Rinascimento, lo storico Francesco Guicciardini, che la pensava in modo antitetico a Machiavelli, (non esistono leggi storiche generali; gli eventi cambiano continuamente e l’uomo deve essere in grado di discernere le loro particolarità adattandole al suo agire) non aveva dubbi: «Non si possono fare le congiure sanza compagnia di altri, e però sono pericolosissime; perché, essendo la più parte degli uomini o imprudenti o cattivi, si corre troppo pericolo a accompagnarsi con persone di simile sorte». A prescindere da qualsiasi visione della storia, ecco perché le cospirazioni non finiranno mai. Giorgio Rivieccio


simephoto


xxxxxxxxxx

il palazzo ducale di venezia nella sala del Maggior consiglio, fra i ritratti dei dogi, al posto di quello di Marino Faliero c’è una tavola con un drappo nero e la frase Hic est locus Marini Faletro decapitati pro criminibus (ossia, condannato alla decapitazione per il reato di alto tradimento): oltre alla condanna fisica, per Faliero vi fu anche la damnatio memoriae.


l’aNEllO DEl pOtERE Il monile, in argento e con sigillo reale, apparteneva a Ramses IV, figlio e successore di Ramses III. La sua designazione a futuro sovrano originò il complotto contro Ramses III ordito da una delle sue mogli.

araldo de luca

la DEa ISIDE E Il FaRaONE Rilievo policromo raffigurante Ramses III al cospetto della dea Iside, sposa di Osiride e protettrice dei faraoni. Tomba di Amon-her-khepshef, primogenito di Ramses III, morto in giovane età. Valle delle Regine, Luxor.


bridgeman / aCi

un mistero lungo tremila anni

la congiura dell’harem In età avanzata, il grande faraone Ramses III fu vittima di un complotto ordito da una delle sue mogli. Grazie ad alcuni papiri conservati a Torino, Londra e Parigi, gli studiosi hanno potuto ricostruire la vicenda e il processo che ne seguì NúRIA CAsTeLLANO eGITTOLOGA e ARCHeOLOGA


R

amses III è considerato da molti storici l’ultimo grande faraone dell’Egitto. Fu il secondo sovrano della XX dinastia (1550-1075 a.C.) e cinse la corona dell’Alto e del Basso Egitto dal 1186 al 1155 a.C. Sotto la sua guida, gli Egizi trionfarono sui Libici e sui Popoli del Mare, che minacciavano la sopravvivenza stessa del regno.

bridgeman / aci

Questi trionfi militari sono una prova dell’audacia di Ramses III, ma danno anche l’idea dei gravi problemi che si trovò ad affrontare. Problemi grandi e anche piccoli, come il primo sciopero documentato della storia, che vide protagonisti gli operai impegnati nella costruzione delle tombe della Valle dei Re, esasperati per il ritardo nella consegna delle derrate alimentari e degli unguenti necessari a proteggersi dal sole e dal clima desertico, beni che costituivano il loro stipendio. Ma non è tutto. Come se le guerre e i problemi economici non bastassero, Ramses III, già anziano, fu minacciato da una congiura ordita nella cerchia della corte e dei suoi familiari. I documenti in nostro possesso non chiariscono del tutto l’esito di tale congiura, ma si possono avanzare ipotesi fondate sulla scorta dei papiri che ci raccontano questa storia di sangue e delle analisi sulla mummia di Ramses svolte da alcuni studiosi.

Il seme del tradimento NEmIcI DEll’EgIttO placche in ceramica dipinta provenienti da una porta del tempio funerario di ramses iii, a Medinet habu, presso luxor: raffigurano alcuni popoli tradizionalmente nemici degli egizi.

12 storica national geographic

La cospirazione ci è nota grazie ad alcuni documenti che contengono precisi riferimenti a quegli eventi: il Papiro della congiura dell’harem, conservato al Museo Egizio di Torino; il Papiro Lee, del British Museum, e il Papiro Rollin, custodito presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Tra questi papiri, quello conservato a Torino fornisce le informazioni maggiori. Chiamato anche Papiro giudiziario o Papiro legale, fu redatto ai tempi di Ramses IV (1155-1149

a.C.), figlio e successore di Ramses III, in stile ieratico, una forma particolare di scrittura geroglifica abitualmente usata dai sacerdoti. In questo documento, Ramses III parla in prima persona, spiegando di aver istituito un tribunale per indagare sull’accaduto e processare i colpevoli. Segue poi l’elenco dei congiurati e delle pene inflitte a ciascuno di essi. La mente della cospirazione fu Tiyi, moglie secondaria di Ramses III e madre di uno dei suoi figli, il principe Pentawere. La donna fu spinta a tramare contro il re proprio dal desiderio di mettere sul trono Pentawere al posto dell’erede designato, il futuro Ramses IV, figlio di un’altra moglie del faraone. Il complotto venne ordito nell’harem reale, situato probabilmente nel complesso di Medinet Habu, presso Tebe (l’odierna Luxor), dove si trovavano il tempio funerario destinato al re e gli edifici per la corte e i servitori. In Egitto, l’istituzione dell’harem aveva radici lontanissime, poiché i faraoni ebbero sempre più di una sposa, per rendere il più possibile sicura la propria successione. L’harem egiziano non va però confuso con quello ottomano. Nell’antico Egitto, infatti, l’harem non era un luogo di reclusione per le donne destinate al solo piacere del sovrano, bensì una vera e propria istituzione sociale ed economica volta a garantire il benessere di tutti i membri della famiglia reale. In esso abitavano le donne legate al faraone: madre, mogli e concubine, e tutti i suoi figli. L’harem era inoltre proprietario di terreni, bestiame, botteghe e personale di servizio, e al suo interno lavoravano, secondo precise gerarchie, scribi, funzionari e amministratori.


alfio garozzo

la SEpOltuRa DI RamSES III il faraone edificò il suo tempio funerario a Medinet habu, accanto ad altri templi e a un complesso di edifici che comprendeva l’harem reale, teatro della congiura contro di lui.

storica national geographic

13


araldo de luCa

Il vIaggIO NOttuRNO DI Ra Barca solare con il dio ra (con testa di ariete) e altre divinità: si tratta di una raffigurazione del viaggio nell’aldilà compiuto ogni notte da ra per sconfiggere le tenebre. affresco dal tempio di ramses iii, nella Valle dei re.

Non era quindi insolito che tale istituzione diventasse un vero e proprio centro di potere, dotato di notevole influenza economica e politica, e che le spose del faraone lottassero tra loro per far prevalere i propri figli. È noto, per esempio, che già durante l’Antico Regno (2700-2192 a.C. circa) fu processata una sposa del faraone Pepi I (2332-2283 a.C.) per aver macchinato contro di lui nell’harem.

Tutti gli alleati di Tiyi Per realizzare il suo piano, Tiyi aveva bisogno di aiuto dentro e fuori dall’harem. Considerato il clima di insoddisfazione che regnava a corte, trovò vari alleati. In testa c’erano Pabakkamen, maggiordomo reale (un alto funzionario), e Payri, tesoriere. Ecco cosa dice il papiro di Torino: “Il grande nemico Pabakkamen, che era maggiordomo, è stato processato per aver complottato con Tiyi e le donne

14 storica national geographic

dell’harem. Aveva fatto passare all’esterno dei messaggi per le loro madri e i loro fratelli dicendo: ‘Radunate il popolo. Aizzatelo per scatenare la rivolta contro il loro signore’! Le sue colpe si sono impadronite di lui”. Nell’harem, Tiyi poteva contare sull’aiuto del direttore Panik e di otto funzionari, oltre a sei donne, “mogli dei guardiani della porta dell’harem, che si erano unite agli uomini nella discussione del piano”. La loro partecipazione era vitale, poiché i mariti dovevano aprire le porte dell’harem e lasciare passare i congiurati. Al complotto partecipò anche una parte dell’esercito. I testi citano infatti il “grande nemico Pa-is, che era comandante dell’esercito” e fu coinvolto, inoltre, il capitano degli arcieri di Kush (Nubia, regione dell’Egitto meridionale), che si chiamava Beyenemuere ed era il fratello di una delle donne che vivevano nell’harem.


un giallo nascosto in tre PaPiri

l

cospirazione contro Ramses III ci

è nota attraverso vari frammenti di testi legali rinvenuti su papiri risalenti all’epoca del suo successore, Ramses IV. se la più ricca fonte di informazioni è il Papiro della congiura dell’harem, conservato nel Museo egizio di Torino, non meno significativi appaiono il Papiro Lee, del British Museum, e il Papiro Rollin, custodito presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Questi testi fanno riferimento anche alle arti magiche usate dai cospiratori per uccidere il re. Nel 1897 fu pubblicato uno studio sui tre papiri, opera del grande egittologo Théodule Devéria, che per la prima volta analizzava in modo approfondito i loro contenuti.

Julian loVe / awl images

La monumentaLe porta di tolomeo iii, a karnak, sorge nei pressi del tempio di khonsu, riCostruito da ramses iii.

storica national geographic

15


gtres

I pIlaStRI DEl tEmpIO il faraone ramses iii raffigurato in quattro dei colossali pilastri che ornano il cortile del tempio di Karnak a lui consacrato. il tempio, di piccole dimensioni, doveva ospitare le barche sacre degli dei amon, Mut e Khonsu.

16 storica national geographic

Oltre a questi congiurati, il papiro di Torino riporta altri nomi, come quello del “grande nemico Mesedsu-Ra, che era coppiere”, e del “grande nemico Pendua, che era scriba”. Compare anche una dozzina di funzionari pubblici che, pur a conoscenza del complotto, non fecero alcunché per sventarlo.

La magia contro il re I congiurati, oltre alle armi, disponevano di una risorsa speciale da utilizzare contro il faraone: la magia. Ce ne dà notizia il Papiro Rollin, nel quale si fa riferimento a pratiche esoteriche con utilizzo di formule magiche e statuette di cera. Il piano prevedeva di neutralizzare il personale di guardia ed entrare nel palazzo reale. Tuttavia, per ricorrere alle formule magiche, era necessario l’aiuto dei sacerdoti, alcuni dei quali appaiono su un elenco dei processati: “Il grande nemico Mes-

sui, che era scriba della Casa della Vita (centri di scrittura annessi ai templi, dediti anche a pratiche esoteriche). Il grande nemico PaRa-Kamen-ef, che era Mago. Il grande nemico Iroi, che era capo dei Sacerdoti di Sekhmet. Il grande nemico Shadmesdjer, che era scriba della Casa della Vita”. In realtà, quelli che compaiono negli elenchi non sono i veri nomi dei congiurati, si tratta infatti di formule dispregiative usate durante il processo per evitare che la loro vera identità potesse sopravvivere nel tempo, e che essi riuscissero così a guadagnare una qualche forma di eternità. Per esempio, Mesedsu-Ra, il coppiere, stava per “Ra lo odia”, e il direttore dell’harem Panik per “il demonio”. Lo scenario scelto dai cospiratori per perpetrare il loro crimine fu il palazzo reale di Medinet Habu, vicino agli edifici dell’harem reale e al tempio funerario di Ramses III.


bridgeman / aCi

la misteriosa mummia di deir el-bahari

al lavORO Sulla mummIa L’egittologo Gaston Maspero (sulla sinistra, con il fez rosso) esamina una mummia insieme ad alcuni colleghi. Olio su tela di Paul D. Philippoteaux, 1891. Collezione privata.

art arChiVe

n

eL 1881 L’egittoLogo Gaston Maspero scoprì nel sito di Deir el-Bahari, presso Luxor, un’insolita mummia. A renderla tale non era solo l’espressione del viso, contratto nella sofferenza, ma anche il fatto che il corpo fosse avvolto in una pelle di agnello, materiale ritenuto impuro dagli egizi. subito si ipotizzò che la mummia fosse quella di Pentawere, figlio ribelle di Ramses III, ma senza alcuna prova. Recenti analisi tridimensionali hanno rivelato che la mummia apparteneva a un uomo di circa vent’anni, l’età di Pentawere all’epoca della morte. Da test genetici è inoltre emersa una parentela diretta del defunto con Ramses III, fatto che rafforza l’ipotesi che la mummia conosciuta come “Unknown Man e” sia proprio quella di Pentawere.

RamSES Iv IN gINOcchIO Figlio e successore di Ramses III, Ramses IV è qui raffigurato in ginocchio mentre presenta offerte votive agli dei. XII secolo a.C., British Museum, Londra.

storica national geographic

17


alla complicità di alcuni membri della guardia reale, che aprirono le porte del palazzo, i traditori riuscirono a introdursi nell’edificio. Ma il tradimento fu scoperto, anche se non si sa come, e i colpevoli vennero catturati.

eriCh lessing / album

Un giudizio equo

intrighi svelati

ramses iii non fu L’unico faraone al centro di una congiura. Alla fine

dell’Antico Regno, anche Pepi I (2332-2283a.C.) dovette affrontare una cospirazione organizzata all’interno dell’harem, che vide protagonista una delle sue mogli, Amtes. La congiura fallì e l’unica testimonianza che ne resta è quella di Uni, l’ufficiale incaricato del caso, che la raccontò in un’incisione nella sua cappella funeraria ad Abydos, circa 150 km a nord di Luxor. BassoriLievo dal CoperChio in granito del sarCofago di ramses iii: raffigura la dea dell’oltretomba nefti, sorella di iside, osiride e seth. Xii seColo a.C., louVre, parigi.

Per realizzare i suoi piani, Tiyi dovette aspettare che il sovrano si trasferisse in quel luogo, il che avvenne il giorno 15 del secondo mese della stagione shemu, “il Calore”, che andava da marzo fino ai primi di luglio, nell’anno 30 del suo regno, vale a dire intorno al 1155 a.C. In quel periodo, che corrispondeva al momento del raccolto, a Tebe si celebrava la “Bella Festa della Valle”, durante la quale la statua del dio Amon lasciava il tempio di Karnak, vicino a Luxor, per far visita agli dei (i faraoni) sepolti sulla sponda ovest del Nilo, proprio dove si ergeva il complesso di Medinet Habu. Il corteo reale accompagnava la processione del dio e lo stesso faceva il popolo, che andava a rendere omaggio ai defunti. Il faraone, che all’epoca aveva più di 60 anni, era debilitato dall’età e soffriva di arteriosclerosi. I congiurati confidavano quindi di riuscire a portare a termine il loro piano. Grazie 18 storica national geographic

La gravità del delitto si riflette nelle parole del faraone stesso: “Essi (i colpevoli) sono l’abominio della Terra”. Stando alle informazioni contenute nei papiri, nonostante la mostruosità del crimine Ramses III rinunciò a una vendetta immediata e creò invece una commissione per giudicare i congiurati. Tale commissione era formata da dodici alti funzionari, che svolgevano incarichi civili e militari: “Ho incaricato il supervisore del Tesoro Montuemtaui, il supervisore del Tesoro Paifru, il portastendardo Kar, il maggiordomo Pai-Bes, il maggiordomo Quedendenen, il maggiordomo Ba-almahar, il maggiordomo Pairsun, il maggiordomo Tot-rej-nefer, l’assistente reale Penernut, lo scriba Mai, lo scriba degli archivi Par-re-em-heb e il portastendardo della fanteria Hori dicendo: ‘Le trame che alcune persone – io non so chi – hanno ordito, andate e scopritele ’”. Il faraone dà una dimostrazione di generosità, chiedendo un giudizio equo per chi aveva osato attentare alla sua vita. Ramses, infatti prosegue così il suo monito ai giudici da lui nominati: “Fate attenzione, badate di non permettere che qualcuno venga punito erroneamente”. Tra gli accusati, figuravano persone di varie condizioni sociali, egizie e non: servi, maggiordomi, sacerdoti, e addirittura membri della famiglia reale. Vennero processate 38 persone, di cui 34 furono condannate a diverse pene, compresa la morte. Nel Papiro giudiziario di Torino compaiono cinque elenchi delle persone coinvolte, di cui i primi tre riportano i nomi degli accusati direttamente coinvolti nella cospirazione. Il meccanismo processuale documentato dal papiro è sempre lo stesso: viene presentato l’accusato, sono mostrate le prove a suo carico ed è pronunciata la condanna: “Fu messo al cospetto dei grandi ufficiali del Luogo del Giudizio; essi esaminarono le sue colpe; i suoi crimini lo intrappolarono; gli ufficiali che l’avevano interrogato fecero in modo che il suo castigo lo raggiungesse”.


Julian loVe / awl images

FaccIa a FaccIa cON glI DEI I pilastri del tempio funerario di Ramses III, a Medinet Habu, sono ornati con rilievi che celebrano le imprese belliche del faraone o, come nella foto, lo mostrano insieme agli dei.

storica national geographic

19


bridgeman / aci

i PrinciPali congiurati furono costretti a suicidarsi e i loro cadaveri vennero bruciati statuina del faraone pepi i, anch’egli vittima di una congiura. brooklyn museum of art, new york.

Le pene inflitte variavano a seconda del grado di coinvolgimento dei colpevoli. I principali congiurati, secondo le fonti, vennero “invitati” a suicidarsi, come nel caso di Pentawere: “Fu messo dinnanzi ai maggiordomi per l’interrogatorio. Si scoprì la sua colpevolezza. Venne abbandonato a sé stesso lì dov’era. Si tolse la vita.” Ma il regicidio era un delitto così grave che la morte non bastava a espiarlo: in molti casi i cadaveri furono bruciati; così, l’alito di vita (ka) e la personalità (ba) dei condannati non avevano più un corpo in cui risiedere, e ciò li escludeva dalla vita eterna. Gli ultimi due elenchi di congiurati rivelano invece un risvolto inaspettato. Narrano infatti di un caso di corruzione in tribunale. Almeno due dei giudici furono sedotti da donne dell’harem coinvolte nella congiura, nella speranza di mitigare la condanna. Per questi giudici, la pena appare meno severa: sempre nel papiro di Torino si parla di “persone punite con l’ablazione delle narici e delle orecchie, perché non avevano rispettato gli ordini. Le donne li raggiunsero nel luogo in cui si trovavano e si divertirono con loro. La loro colpa li raggiunse”. Hori, il portastendardo della fanteria, ricevette solo un rimprovero: “Persone che erano legate a loro furono richiamate con parole dure. Vennero lasciate sole, e non gli fu fatto alcun male”.

La sorte del faraone Sulla congiura contro il faraone possediamo quindi parecchie informazioni. Stranamente, però, tutti i papiri che trattano l’argomento tacciono sull’esito del complotto. Se la congiura ebbe successo o meno è infatti una questione che ha suscitato a lungo dubbi. Nel Papiro giudiziario di Torino viene detto che il giudizio nei confronti dei colpevoli iniziò durante il regno di Ramses III, e quindi se ne potrebbe dedurre che il faraone fosse ancora vivo. Ma poco dopo si riporta qualcosa 20 storica national geographic

di strano: “Che (la responsabilità) di tutto quello che hanno fatto ricada sulle loro teste, mentre io sono consacrato e libero dalla colpa per tutta l’eternità, tra i re giusti che si trovano al cospetto di Amon-Ra, re degli dei, e di Osiride, sovrano dell’eternità”. Il faraone si riferisce a se stesso come “libero dalla colpa” e dice di trovarsi tra i “re giusti”, termine che nell’antico Egitto si riferiva al giudizio finale di un defunto. Questo particolare farebbe quindi pensare che Ramses fosse già morto. Il fatto che il re parli in prima persona nel papiro di Torino non significa molto, perché potrebbe trattarsi di un espediente letterario. Secondo alcuni egittologi del passato, l’anziano Ramses III morì quando era ancora in corso il processo, che si concluse dunque sotto Ramses IV. Per quanto riguarda la mummia del faraone, esposta al Museo Egizio del Cairo, non presenta segni apparenti di violenza. Tuttavia, nel 2012, una TAC eseguita da un’équipe scientifica composta dall’egittologo Zahi Hawass, dal paleopatologo Albert Zink e dall’esperto di genetica Carsten Pusch ha individuato la presenza di una profonda ferita alla gola del defunto, probabilmente causata da un colpo di spada. Questo fatto, unito al ritrovamento di un amuleto all’interno della ferita, induce a credere che Ramses III sia morto sgozzato durante la congiura, e che dunque il processo contro i colpevoli della macchinazione sia stato condotto dal figlio Ramses IV. Per quanto riguarda Tiyi, l’anima del complotto, i documenti non citano la sua punizione, ma si pensa che anche lei dovette suicidarsi e il suo nome fu cancellato per fare in modo che non raggiungesse l’immortalità. È stato infatti notato che, nei rilievi di Medinet Habu, dove sono raffigurate le processioni delle spose del faraone, il suo nome non appare sui cartigli: la vendetta di Ramses III, per quanto postuma, si era consumata.


massimo pizzotti / age fotostoCk

uN cORtIlE cINtO Da cOlOSSI Un’altra veduta dei colossi di pietra che cingono il cortile del tempio di ramses iii, a Karnak: il cortile introduceva in un vestibolo e in una sala ipostila dai quali si accedeva al sancta sanctorum del tempio. storica national geographic

21


AKG / ALBUM

La denuncia di ciceROne Cicerone, all’epoca console, denuncia in Senato la congiura di Catilina, isolato dagli altri membri della piÚ autorevole assemblea politica della Roma repubblicana. Affresco di Cesare Maccari, 1889. Palazzo Madama, Roma.


il colpo di Stato contro la repubblica romana

la congiur a di catilina Ambizioso e spregiudicato, dopo il fallimento della sua carriera politica Catilina tentò nel 63 a.C. di prendere il potere con un colpo di Stato che prevedeva, tra l’altro, l’uccisione di Cicerone. Ma aveva sottovalutato l’abilità oratoria del suo rivale FrAnCiSCo GArCíA JurAdo proFeSSore di FiloloGiA lAtinA All’univerSità CoMplutenSe di MAdrid


D

i nobile stirpe, fu d’ingegno vivace e corpo vigoroso, ma d’animo perverso. Sin da giovane era portato ai disordini, alle violenze, alla discordia civile. Avido dell’altrui, prodigo del proprio; ardente nelle passioni, non privo d’eloquenza, ma di poco giudizio; un animo sfrenato, sempre teso a cose smisurate, estreme”.

BPK / ScALA, firenze

un RitRattO immaginaRiO Busto in bronzo di lucio Sergio Catilina realizzato alla fine del XiX secolo dallo scultore belga thomas Vinçotte. Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles.

24 StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

Così lo storico Gaio Sallustio Crispo (86-34 a.C.) descrive uno dei personaggi più controversi della storia di Roma: Lucio Sergio Catilina (108-62 a.C.), divenuto celebre per aver tentato, negli ultimi decenni della Repubblica, di sovvertire il potere costituito. In tempi recenti, gli storici si sono chiesti se Catilina sia stato un congiurato fallito o un rivoluzionario. Difficile dare una risposta univoca, dal momento che la sua figura è stata portata alla ribalta da un’opera, quella sallustiana, non sempre fedele alla verità storica, e dalla testimonianza di un avversario politico, Cicerone: Catilina è così divenuto un simbolo tanto della grandezza quanto della corruzione di Roma, e in particolare della decadenza dei costumi dell’antica nobiltà. All’epoca della congiura di Catilina (63 a.C.), la Roma repubblicana era da tempo dilaniata dallo scontro fra due grandi fazioni: quella degli optimates, ovvero l’aristocrazia che difendeva la conservazione degli antichi costumi e il potere di una ristretta cerchia di nobili, e quella dei populares, apparentemente decisi a sostenere le istanze del popolo e favorevoli a una ridistribuzione del potere, ma in realtà mossi spesso da mire personali. L’ottimate Lucio Cornelio Silla (138-78 a.C.) aveva voluto mettere fine alla guerra civile tra le due fazioni con la sua dittatura dell’82 a.C. ma, in realtà, non aveva fatto altro che tracciare una nuova pericolosa linea di demarcazione: quella che divideva i suoi sostenitori da coloro che, nel nuovo ordine sociale, avevano conosciuto la rovina e l’emarginazione. In tale contesto tormentato, iniziarono la loro carriera due personaggi destinati a segna-

re la storia di Roma: Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) e Gaio Giulio Cesare (101-44 a.C.). Il primo, pur non essendo nativo di Roma e non appartenendo al patriziato, riuscì a raggiungere le più alte cariche dello Stato grazie al suo talento di avvocato e oratore: un homo novus (come erano chiamati i plebei che ottenevano l’accesso al Senato) che, tuttavia, divenne il leader del partito conservatore degli optimates. Cesare, invece, si preparava ad assumere la guida del partito dei populares.

L’ascesa interrotta Catilina era il tipico rappresentante dell’atmosfera convulsa che regnava a Roma in quegli anni: un ambiente saturo di lotte intestine e discordie civili. Appartenente all’antica nobiltà, da principio militò nel partito degli optimates e contribuì a rendere operative le proscrizioni di Silla (si dice che abbia ucciso persino il proprio cognato). Ricoprì diverse cariche pubbliche (fu questore nel 78, edile nel 70, pretore nel 68), fino a quando nel 66 a.C. cercò di candidarsi alle elezioni per il consolato, ma la sua candidatura venne respinta ed egli fu sottoposto a giudizio per aver abusato del proprio potere mentre era governatore della provincia d’Africa. Per opportunismo politico, e forse con l’appoggio di Cesare, due anni dopo ripresentò la propria candidatura al consolato, questa volta come rappresentante dei populares. Ma le sue proposte radicali (la cancellazione dei debiti, la revisione dei sistemi giudiziari, una ridistribuzione della ricchezza) allarmarono l’aristocrazia: il Senato, preoccupato, gli oppose perciò un temibile avversario, Cicerone.


GiovAnni rinALdi

L’ORaziOne neL fORO ROmanO il lato occidentale del Foro, ai piedi del Campidoglio. nel 63 a.C. Cicerone informò il popolo romano dell’esistenza della congiura di Catilina, da lui scoperta, con un discorso tenuto nel Foro romano.

StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

25


PhotoAiSA

miseria. Catilina era riuscito a riunire, dunque, persone di condizioni sociali molto diverse, accomunate dall’odio per l’ordine stabilito e da una sensazione di fallimento. La congiura ebbe un pessimo esordio: fu scoperta e denunciata prima ancora di essere messa in atto. Fulvia, amante del congiurato Quinto Curio, avvertì infatti dei piani di Catilina Cicerone, il quale, prossimo al termine del suo mandato di console, non aspettava altro che prove concrete per denunciare i cospiratori. Gli venne in aiuto il generale Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi di Roma, che pur apprezzando Catilina non voleva essere coinvolto nella sua congiura.

Lettere anonime ai senatori

l’immorale Sempronia

Tra i complici di caTilina vi fu anche una donna, Sempronia. Figlia del

riformatore Caio Gracco, Sempronia era spregiudicata e ambiziosa, pronta a usare ogni mezzo per raggiungere i suoi scopi. Sallustio ne fa il perfetto esempio della corruzione morale della nobiltà romana: “Si era macchiata di molti delitti con ardimento più da uomo che da donna. tutto preferiva al decoro e al pudore. di regola, mancava di parola e non pagava i debiti”. I cospIratorI gIurano dinnanzi a catilina: Secondo SalluStio, catilina obbligò i Suoi complici a bere Sangue umano come Segno di fedeltà. dipinto di Salvator roSa, 1663, firenze.

Catilina ne uscì sconfitto, e lo stesso accadde l’anno successivo. La sua pazienza, ormai, era al limite. Considerando esaurite le vie legali, decise di conquistare il potere con la forza, organizzando una rischiosa congiura che, fin dal principio, sembrava destinata più facilmente al fallimento che al successo. Secondo i racconti di Sallustio e Cicerone, Catilina preparò il terreno per una sollevazione simultanea a Roma e in vari luoghi d’Italia, in particolare l’Etruria, dove il suo legato Gaio Manlio poteva contare su un gruppo di valorosi seguaci. Per avvicinare a sé nuove forze, Catilina sfruttò il risentimento di alcuni giovani aristocratici frustrati dall’ostilità del ceto senatorio, che li aveva emarginati dal potere. Lo assecondarono anche molti contadini caduti in disgrazia a seguito delle riforme agrarie di Silla e, in misura minore, una plebe urbana che viveva in totale 26 StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

Il 20 ottobre del 63 a.C. Crasso si presentò a Cicerone con alcune lettere anonime indirizzate a vari senatori, in cui si annunciava un’imminente azione di sangue a Roma e si invitavano i senatori complici a scappare. Munito di queste missive, il console convocò una seduta del Senato per denunciare la scoperta: il 21 ottobre il Senato conferì poteri straordinari ai consoli, affinché potessero contrastare con ogni mezzo il presunto colpo di Stato. Tuttavia Catilina non poté essere arrestato, dato che mancavano prove del suo coinvolgimento diretto nella congiura. Durante una riunione in casa di un cospiratore, la notte del 6 novembre, Catilina stabilì di dare lo stesso il via al colpo di Stato, tentando il giorno dopo di assassinare Cicerone. Sallustio narra che in quell’occasione Catilina obbligò i suoi complici a bere sangue umano mescolato a vino come prova di fedeltà. Il capo della congiura si immaginava già padrone dell’Italia e, nei suoi sogni, si aspettava adesioni persino dal Nordafrica. Ma anche questa volta l’intervento di Fulvia si rivelò provvidenziale per Cicerone: grazie a lei, il console fu in grado di schivare gli assassini inviati a casa sua per ucciderlo. L’8 novembre, davanti ai senatori riuniti nel Tempio di Giove Statore sul Palatino, e alla presenza di Catilina stesso, Cicerone diede il colpo di grazia alla reputazione del rivale, pronunciando l’orazione conosciuta come Prima catilinaria, un capolavoro di retorica che esordiva con la nota frase: “Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”.


eSp-photo / age fotoStock

La maiSOn caRRÉe di nÎmeS Così è detto il tempio del i sec. a.C. costruito da Marco vipsanio Agrippa nella città della Gallia narbonense. dopo il fallimento della sua congiura, Catilina tentò inutilmente di fuggire in Gallia.

StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

27


johAnA hUBer / fototecA 9X12

restava altro che domare la rivolta dovunque essa fosse scoppiata, e prima di tutto a Roma. Catilina, ormai smascherato, si recò in Etruria, dove Manlio aveva concentrato, nei pressi di Fiesole, un considerevole contingente militare. A Roma la ribellione era affidata ad alcuni complici di Catilina, ma subì dei ritardi a causa delle rigidissime misure di controllo messe in atte dai consoli. A ciò si aggiunse il maldestro tentativo dei congiurati di attirare nelle loro file alcuni Galli della tribù degli Allobrogi, che in quel periodo si trovavano come ambasciatori a Roma e che non tardarono a rivelare i piani dei congiurati: i cospiratori rimasti nella capitale furono presto catturati e imprigionati.

La condanna a morte dei colpevoli

teatRO ROmanO di fieSOLe Risalente al i secolo a.C., fu progettato secondo i canoni greci, sfruttando la naturale pendenza del terreno per realizzare la cavea. A Fiesole gaio Manlio, alleato di Catilina, radunò un esercito di circa 20.000 rivoltosi.

28 StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

Sallustio narra dettagliatamente la reazione dell’accusato di fronte alle parole del console. Sentendosi in pericolo, Catilina supplicò i senatori di riconsiderare le accuse di Cicerone: in fin dei conti, egli era un patrizio cresciuto a Roma, mentre Cicerone non era altro che un forestiero e un parvenu. Catilina fece appello al prestigio dell’aristocrazia romana, in contrapposizione agli “uomini nuovi” che stavano emarginando l’antica nobiltà dalla politica. Malgrado le sue suppliche, tuttavia, non riuscì a persuadere i senatori, che lo lasciarono letteralmente solo, visto che quelli seduti accanto a lui si allontanarono dal suo seggio. Umiliato da Cicerone, Catilina si rivolse ai senatori con tono intimidatorio: “Poiché circondato da nemici sono spinto alla rovina, spegnerò il mio incendio con la rovina”. Cicerone aveva rivelato i piani di Catilina; non c’era più spazio per finzioni politiche. Non

A questo punto ci si pose il problema di che cosa fare con i prigionieri, traditori della Repubblica ma anche, spesso, personaggi di primo piano. Il Senato venne incaricato di discutere la questione. Seguendo una prassi diffusa nella storiografia greco-latina, Sallustio ricostruisce le brillanti orazioni di due senatori: Giulio Cesare e Marco Porcio Catone Uticense. Il primo sostenne nel suo discorso che gli accusati dovevano essere privati dei loro beni e imprigionati a vita: una presa di posizione intermedia da cui trapelava la difficile situazione politica di Cesare, il quale da un lato non poteva permettere che i senatori lo credessero un difensore dei congiurati, ma dall’altro non voleva nemmeno pronunciarsi a favore della loro condanna a morte. Catone, invece, di fronte al pericolo imminente rappresentato dalla presenza di Catilina in Etruria, si espresse apertamente a favore della pena capitale per i colpevoli, per non dare adito a dubbi circa la determinazione delle autorità di annientare la congiura. Alla fine il Senato scelse il parere di Catone, appoggiato, naturalmente, da Cicerone. La pena venne messa in atto nel Tullianum (o Carcere Mamertino), un luogo cavernoso alle pendici del Campidoglio, sul lato occidentale del Foro Romano. Lì i congiurati furono strangolati con una fune: alcuni di essi erano illustri cittadini come Publio Cornelio Lentulo Sura, già console e poi pretore nel 63 a.C. L’esecuzione dei congiurati a Roma tolse ogni speranza di vittoria ai ribelli riuniti in Etruria.


riformatori o SovverSivi? a dispeTTo della caTTiva fama che lo accompa-

gna, Catilina non fu l’unico aristocratico romano a contestare il regime oligarchico che, alla fine della repubblica, dominava l’urbe: da tiberio Gracco a 133 a.C.

Tiberio Gracco: il primo rivoluzionario Un’iniqua punizione del Senato per aver trattato la pace durante la sfortunata guerra contro la città iberica di numanzia indusse tiberio Sempronio gracco (163-133 a.C.), di ritorno a Roma, a cercare l’appoggio del popolo per essere eletto tribuno della plebe e promuovere la distribuzione delle terre ai veterani. Fu assassinato insieme a 300 seguaci.

Giulio Cesare, altri membri della nobiltà cittadina si ribellarono contro l’ordine costituito, rivendicando la spartizione delle terre, l’abolizione dei debiti e l’abbassamento del prezzo del pane per il popolo.

la morte dI caIo gracco, diPinto di frAnÇoiS toPino-LeBrUn, 1798, MArSiGLiA.

Caio Gracco: il grande riformatore eccellente oratore e fratello minore di tiberio, Caio Sempronio gracco (154-121 a.C.) fu eletto per due volte tribuno della plebe con un programma basato sulla spartizione delle terre e la fondazione di nuove colonie. gli intrighi dei suoi rivali patrizi lo resero sempre più inviso, al punto che egli si fece uccidere per non cadere in mano dei suoi avversari. 100 a.C.

bridgeman / aci

121 a.C.

Il trIonfo dI caIo marIo SUi ciMBri, oLio di S. ALtAMUrA, XiX SecoLo, nAPoLi.

Mario e Saturnino: il generale e il demagogo grazie alle sue vittorie militari, gaio Mario (157-86 a.C.) fu eletto console per sette volte, la sesta con l’appoggio del tribuno della plebe lucio Apuleio Saturnino (130-100 a.C.), che varò una legge agraria a favore del popolo e distribuì il grano a basso prezzo. Ma la nobiltà riuscì a mettere in cattiva luce il tribuno, che fu abbandonato anche da Mario.

Catilina: il più odiato tra i ribelli Dopo aver servito come pretore e governatore dell’Africa, Catilina si pose l’obiettivo di ottenere il consolato, proponendo drastici provvedimenti quali la cancellazione dei debiti del popolo. Più volte sconfitto alle urne, vide fallire anche la sua insurrezione armata, ed egli stesso finì per essere ucciso nella battaglia di Pistoia (62 a.C.).

de agostini

63 a.C.

l’assassInIo dI cesare, Bozzetto di v. cAMUccini, 1798, roMA.

44 a.C.

scala, firenze

Giulio Cesare: il dittatore vittorioso Alleato dei populares e divenuto console nel 59 a.C., giulio Cesare (101-44 a.C.) fece approvare due leggi per ripartire le terre fra i veterani dell’esercito. la sua decisione di varcare il fiume Rubicone nel 49 a.C. fu vista dal Senato come un colpo di Stato e scatenò una guerra civile dalla quale uscì vittorioso. Morì nella congiura ordita da Bruto e Cassio.

StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

29


C’è chi ha voluto vedere in lui un rivoluzionario ostile al sistema oligarchico vigente a Roma; altri, invece, gli riconoscono solo una sfrenata ambizione personale. Probabilmente non fu più arrivista o crudele di altri suoi contemporanei; fu solo una figura emblematica della corruzione morale della società romana, un uomo spregiudicato ma non privo di virtù, proprio come doveva apparire l’Urbe del I secolo a.C. Qualche anno dopo, un uomo analogo sarebbe tornato a scontrarsi con il Senato per ragioni simili, anche se con ben altro successo: Gaio Giulio Cesare. Art Archive

Una narrazione “a uso di Cesare”

le quattro catilinarie

cicerone pronunciò quattro orazioni contro Catilina: con la prima, declamata in Senato l’8 novembre del 63 a.C., Cicerone ottenne la fuga del rivale da roma. nella seconda, pronunciata il giorno seguente, avvertì il popolo che i complici di Catilina erano ancora in città. la terza (3 dicembre) annunciava la cattura dei congiurati romani, mentre nella quarta orazione (5 dicembre), il console sollecitava i senatori a decidere quale pena infliggere ai colpevoli.

un gIovane cIcerone Scopre a SiracuSa la Sepoltura del grande matematico archimede (287-212 a.c.), olio Su tela di paolo barbotti, xix Secolo, civiche raccolte d’arte moderna, pavia.

I rinforzi sperati non sarebbero mai giunti e non vi era tempo per rifugiarsi in Gallia. Sui monti attorno a Pistoia, il 5 gennaio del 62 a.C., i rivoltosi furono circondati da tre legioni romane. Dopo un’accesa arringa in cui Catilina esortò i suoi uomini a combattere per la patria, la libertà e la vita, tutti preferirono una morte onorevole alla resa. Ciò che da principio non era stato altro che ambizione, finì così per confondersi con l’eroismo. Al termine dello scontro, assai cruento, Catilina fu trovato agonizzante. Aveva combattuto fino allo stremo delle forze, e lo stesso avevano fatto i suoi. “Finita la battaglia, solo allora si poté constatare quale fosse l’ardire, la forza d’animo dei combattenti di Catilina: caduti, ma tutti colpiti al petto”: dalle parole di Sallustio si comprende che Catilina suscitava agli occhi di molti suoi contemporanei un misto di avversione e di fascino. 30 StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

La Congiura di Catilina fu composta da Sallustio vent’anni dopo i fatti narrati, e resta il documento più dettagliato sugli eventi che ruotarono attorno alla cospirazione. Tuttavia, nel testo si riscontrano errori storici che gli studiosi moderni imputano a una voluta deformazione dei fatti da parte dell’autore. In particolare, Sallustio viene accusato di aver cercato di difendere Giulio Cesare – che in passato gli aveva offerto protezione politica – dall’accusa di aver appoggiato gli oscuri disegni di Catilina. Pare, infatti, che Cesare riponesse le sue speranze nella buona riuscita della congiura, anche se evitò sempre di esporsi in prima persona. In effetti, non sono pochi i punti di contatto tra gli obiettivi dei congiurati e la futura politica di Cesare. Catilina raccoglieva i propri seguaci negli stessi strati sociali in cui li reclutava Cesare: giovani dissipati e gente indebitata, senza più nulla da perdere. Nell’eventualità di una vittoria di Catilina i nobili paventavano provvedimenti radicali: una dittatura livellatrice, attentati alla proprietà privata, espropri, il condono dei debiti con conseguente liquefazione del capitale investito in prestiti; le stesse cose che, quindici anni dopo, avrebbero temuto da Cesare. Sallustio cerca tuttavia di dissociare il suo protettore da Catilina, che rappresentava la forma estremista del pensiero di Cesare. Nel discorso che Sallustio fa pronunciare a Cesare in Senato per discutere le sorti dei congiurati, questi appare infatti come il democratico che, pur deciso ad abolire le disparità, si preoccupa di muoversi nel rispetto della legge e si mostra consapevole dell’ambiente in cui agisce.


renÉ GABrieL ojÉdA / rMn-GrAnd PALAiS

buStO in maRmO di giuLiO ceSaRe Giulio Cesare si disse contrario alla condanna a morte dei complici di Catilina, e fu perciò accusato di connivenza con i congiurati. Busto attribuito ad Augustin pajou (17301809), rMn-réunion des Musées nationaux, parigi. StoRiCA nAtionAl geogRAPhiC

31


bridgeman / aCi

La morte deL dittatore L’uccisione di Cesare nel Senato romano: i capi della congiura erano Gaio Cassio Longino e Marco Giunio Bruto, discendente di quel Lucio Giunio Bruto che, nel 509 a.C., aveva fondato la Repubblica. Dipinto di V. Camuccini, 1793 circa, Napoli.


le idi di marzo

l’aSSaSSiNio di ceSare L’ascesa di Giulio Cesare ai vertici della res publica fu accompagnata da diffidenze e sospetti circa la sua volontà di trasformare lo Stato romano in una monarchia dittatoriale. Da qui la congiura delle Idi di marzo, a cui aderirono anche molti ex cesariani delusi Lorenzo GaGLIarDI ProfeSSore DI StorIa DeL DIrItto romano aLL’UnIverSItà DeGLI StUDI DI mILano


MANUEL COHEN / Art ArCHivE

Largo di torre argentina Nell’area di questo sito archeologico di Roma sorgeva in età repubblicana la Curia di pompeo, teatro dell’uccisione di Giulio Cesare. Dell’edificio resta solo un grosso basamento di tufo.

34 StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

G

iulio Cesare fu assassinato a Roma alle 11 di mattina del 15 marzo 44 a.C. (le Idi di marzo), nella Curia di Pompeo, una sede secondaria del Senato che sorgeva nel luogo dell’attuale Largo di Torre Argentina. Per comprendere meglio le ragioni della congiura che lo uccise, è opportuno considerare, almeno per sommi capi, il modo con cui Cesare conquistò ed esercitò il potere tra il 49 e il 44 a.C. Furono infatti le modalità stesse con cui era avvenuta la sua ascesa, e le tendenze sempre più autoritarie che egli sembrava manifestare nella sua azione politica, a convincere una componente significativa della società romana che egli intendesse rovesciare la Repubblica e instaurare la monarchia. Cesare iniziò la sua conquista del potere nel

49 a.C. quando, dopo avere attraversato il Rubicone (un piccolo fiume nei pressi di Cesena che, in epoca romana, segnava il confine tra i territori di Roma propriamente detti e la provincia della Gallia Cisalpina), scatenò la guerra civile contro Gneo Pompeo Magno, colpevole di avere tentato di escluderlo dalla vita politica con il sostegno del Senato. Una volta occupata Roma, Cesare sbaragliò le truppe del suo nemico in Spagna e a Farsalo (48 a.C.), in Tessaglia. Pompeo fuggì in Egitto, ma lì fu tradito e ucciso dai consiglieri del giovane re Tolomeo XIII. Tra il 46 e il 45 a.C. Cesare vinse le ultime resistenze pompeiane a Tapso, sulla costa tunisina, e a Munda, presso Cadice, dove sconfisse i figli di Pompeo, Gneo e Sesto. Dopo aver preso il controllo di Roma, nel 49 a.C. Cesare si autoproclamò dictator con lo


Scelte mal sopportate Durante gli anni del suo governo, tra il 49 e il 44 a.C., Cesare realizzò importanti riforme democratiche, che prevedevano cancellazioni di debiti e distribuzioni di terre e di grano al popolo. Tuttavia, alcuni suoi atti iniziarono ad attirargli sospetti, odi e antipatie.

Dal punto di vista costituzionale, fu particolarmente malvista la decisione di candidarsi al consolato in anni vicini o consecutivi, laddove le norme prevedevano un intervallo decennale; e certamente fuori da ogni schema di legalità fu l’assunzione della dittatura a vita, una scelta determinante nel convincere l’aristocrazia che Cesare stesse preparando il passaggio alla monarchia. Inoltre, dopo la battaglia di Munda nel 45 a.C., Cesare volle celebrare il trionfo per la vittoria sui figli di Pompeo, che non erano nemici ma cittadini romani. Come avrebbe scritto lo storico greco Plutarco (46-125 d.C.), “non era una bella cosa che egli, che non aveva sconfitto capi stranieri o re barbari, ma aveva completamente distrutto i figli e la stirpe del più forte e sventurato dei Romani, celebrasse un trionfo sulle sventure della patria”.

L’avversario sconfitto Busto in marmo di Gneo pompeo Magno, prima alleato e poi nemico di Cesare negli ultimi decenni della Roma repubblicana. i secolo a.C., Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen.

bridgEMAN / ACi

scopo di ristabilire l’ordine costituzionale, e affiancò a sé, con la carica di “maestro della cavalleria”, il suo braccio destro Marco Antonio. Depose la dittatura nel 48 a.C., assumendo il consolato, che replicò nel 46, nel 45 e nel 44 a.C. Nel 46 a.C. si fece conferire dal Senato, che ormai controllava, una dittatura decennale, scegliendo stavolta come magister equitum il fido luogotenente Marco Emilio Lepido. Nel febbraio del 44 a.C., infine, ottenne dal Senato la dittatura perpetua.

StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

35


bridgEMAN / iNdEx

le idi di marzo NoN FUroNo cHe l’UlTima delle TaNTe coNGiUre coNTro ceSare OTTAVIANO AugusTO, FigLiO AdOttivO di CEsArE, iN UN CAMMEO dEL 14 A.C.

Si aggiunga che si era fatto assegnare i titoli di imperatore e padre della patria, che una sua statua era stata collocata tra quelle dei re e gli era stato assegnato un seggio sopraelevato nel teatro, che due troni dorati erano stati posti per lui in Senato e di fronte al tribunale, che gli erano stati dedicati templi, altari e statue di fianco a quelle degli dei, che gli era stato intitolato il mese di luglio (Iulius). Per tutte queste ragioni, si formò in quegli anni una silenziosa opposizione che a più riprese ne mise in pericolo l’incolumità. Le prime avvisaglie di ciò che sarebbe accaduto si ebbero nella tarda estate del 46 a.C., come dimostra un discorso che Cicerone tenne allora in Senato: in esso il grande oratore – che pure era schierato da sempre su fronti opposti rispetto al dittatore – chiedeva ai suoi colleghi senatori di proteggere Cesare da eventuali attentati, segno che vi erano voci insistenti circa la possibilità che questi si verificassero. Nello stesso periodo, Giulio Cesare dovette mettere a morte un suo schiavo che aveva tentato di avvelenarlo in casa, dietro commissione di ignoti nemici.

L’ispiratore del complotto Nell’estate del 45 a.C., in Gallia Narbonense (l’odierna Francia meridionale), il generale di Cesare, Gaio Trebonio, pose le basi per una vera e propria congiura, nella quale cercò di coinvolgere perfino Marco Antonio, che all’epoca era risentito con Cesare poiché gli aveva preferito Marco Emilio Lepido per la carica di maestro della cavalleria della dittatura. Marco Antonio non accettò, ma si guardò bene dal denunciare il fatto. L’impresa, alla fine, naufragò, ma dimostra come anche in ambienti cesariani mal si giudicassero i germi di monarchia insiti nell’azione di Cesare. 36 StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

All’inizio di febbraio del 45 a.C. venne ordita la congiura decisiva. Poche persone concorsero a organizzarla, ma molti vi presero parte. Svetonio (70-126 d.C.), lo storico romano di età traianea, dice “più di sessanta”. Nicola di Damasco, il biografo di Augusto, suo contemporaneo, scrive “più di ottanta”. Conosciamo il nome di una ventina di loro. Ispiratore della congiura fu Gaio Cassio Longino, un ex pompeiano che, dopo la morte del suo protettore, era stato graziato da Cesare. Con l’appoggio di quest’ultimo, nel 44 a.C., aveva inoltre ottenuto la pretura peregrina, la carica più importante di Roma dopo la dittatura, il consolato e la pretura urbana. Cassio aveva raccolto intorno a sé un piccolo gruppo di politici decisi a compiere l’attentato. Fra questi vi erano Lucio Cornelio Cinna, fratello della seconda moglie di Cesare, e Quinto Ligario, un ex pompeiano che, dopo la


bridgEMAN / iNdEx

disfatta di Tapso, era stato a sua volta graziato dal dittatore. Cassio decise di coinvolgere nella congiura anche suo cognato Marco Giunio Bruto, all’epoca molto influente.

Un antenato illustre Marco Giunio Bruto era figlio di un politico di secondo piano, suo omonimo, che era stato tribuno della plebe nell’83 a.C., e di Servilia, una donna che era stata per diversi anni l’amante di Giulio Cesare. La relazione tra sua madre e Cesare aveva alimentato la diceria che questi fosse il vero padre di Bruto, ma si trattava di una voce infondata. In realtà, l’unico figlio maschio noto di Cesare era Cesarione, nato dalla relazione con Cleopatra. Marco Giunio Bruto discendeva da quel Lucio Giunio Bruto che, nel 509 a.C., aveva cacciato Tarquinio il Superbo da Roma, permettendo la nascita della Repubblica: ciò lo accreditava

come un baluardo repubblicano. Nella guerra civile egli si era schierato con Pompeo contro Cesare, benché Pompeo avesse in precedenza fatto assassinare a tradimento suo padre. Anche Marco Giunio Bruto era stato graziato da Cesare (dopo Farsalo), e con il suo sostegno aveva ottenuto la pretura urbana nel 44 a.C. Cesare, che non aveva figli maschi legittimi, lo considerava uno dei suoi prediletti. Dapprima recalcitrante, Bruto fu convinto ad aderire alla congiura dall’argomento di Cassio, secondo il quale presto i sostenitori di Cesare ne avrebbero proposta in Senato l’incoronazione a sovrano, dopodiché sarebbe stato troppo tardi per fermarlo. Avuta la disponibilità di Bruto, Cassio gli riconobbe il ruolo di capo dell’operazione. Al primo drappello di cospiratori si unirono a quel punto altri congiurati. Alcuni erano vecchi sostenitori di Cesare pronti al tradimento.

La resa di vercingetorige il comandante dei Galli Vercingetorige depone le armi ai piedi di Cesare, dipinto di L. N. Royer. alcuni dei congiurati che uccisero Cesare erano stati ufficiali nel suo esercito. 1899, Le-puy-en-Velay.

StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

37


AgE FOtOstOCk

bridgEMAN / iNdEx

BrUTo, l’UlTimo repUBBlicaNo

d

opo Le idi di marzo, i capi della congiura marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino dovettero lasciare roma, percorsa da moti popolari di protesta contro gli uccisori di Cesare. In seguito i due si trasferirono in oriente, dove raccolsero due grandi eserciti con i quali, nel 42 a.C, sfidarono a filippi (Grecia) i triunviri ottaviano e marco antonio. La battaglia si svolse in due fasi, il 3 e il 23 ottobre, e si concluse con il trionfo dei triunviri. Bruto, unico sopravvissuto alla battaglia, fuggì sui monti con quattro legioni superstiti, ma di fronte al loro rifiuto di continuare a combattere scelse di suicidarsi. Secondo quanto racconta lo storico appiano, il colpo fatale gli fu inferto dall’amico Stratone, che lo trafisse al petto senza che Bruto mostrasse la minima paura. moriva così l’ultimo repubblicano o, come si sarebbe detto più tardi, l’ultimo romano. Il cesArIcIdA marCo giunio bruto ritratto da miChelangelo buonarroti in un busto in marmo del 1540 Conservato al museo nazionale del bargello, Firenze.

38 StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

L’elenco si apriva con Gaio Trebonio, l’autore dell’abortita congiura del 45 a.C., il solo politico di rango consolare tra i congiurati. Poi vi erano Decimo Giunio Bruto Albino, generale di Cesare al tempo della guerra civile, da lui creato pretore nel 45 a.C. e governatore della Gallia Cisalpina nel 44 a.C.; Lucio Minucio Basilo, partigiano di Cesare nella guerra contro Pompeo, risentito per non avere ottenuto il governo di una provincia; Lucio Tillio Cimbro, pretore nel 45 a.C. e governatore per Cesare in Ponto e Bitinia nel 44 a.C. Altri congiurati erano personaggi isolati, come i fratelli Gaio e Publio Servilio Casca, tribuni rispettivamente nel 44 e nel 43 a.C.; Lucio Ponzio Aquila, anch’egli tribuno nel 45 a.C.; Gaio Cassio Parmense, questore nel 43 a.C. Vi erano poi altri politici minori. Cicerone, che aveva sostenuto Pompeo nella guerra civile ed era molto vicino a Cassio, fu


messo al corrente dell’iniziativa, ma preferì non prendervi parte direttamente. In teoria, i congiurati erano tutti idealmente mossi dall’ideale repubblicano, ma in pratica molti aderirono al progetto spinti dall’intento di accrescere il proprio potere personale. Tra gli ex pompeiani non mancava inoltre lo spirito di vendetta per ciò che avevano sofferto durante la guerra civile, benché fossero stati graziati da Cesare. Essi ripagavano la grazia con il tradimento. Quanto agli ex cesariani, alcuni di loro ritenevano di non essere stati adeguatamente ricompensati da Cesare. I congiurati si riunivano di nascosto, in pochi, ora nella casa di uno, ora dell’altro, e stavano attenti a celare le loro intenzioni, anzi pubblicamente facevano a gara per adulare Giulio Cesare. Nelle riunioni preparatorie, alcuni proposero di ucciderlo mentre percorreva la via Sacra (dove passava spesso); altri

suggerirono di farlo in occasione dei comizi elettorali, che egli stesso avrebbe presieduto nella piana di Campo Marzio. Per raggiungerla, Cesare doveva passare attraverso un ponte: avrebbero potuto precipitarlo giù di lì e quindi trucidarlo. Altri ancora consigliarono di assassinarlo durante gli imminenti giochi gladiatori. La maggioranza, però, riteneva più sicuro attaccarlo durante una seduta del Senato, quando sarebbe rimasto senza seguito. Questa proposta finì per prevalere.

paLmira città romana L’arco monumentale (220 d.C.) all’ingresso di palmira, in Siria: la città fu attaccata nel 41 a.C. da Marco antonio che, dopo la vittoria di Filippi (42 a.C.), aveva ottenuto il governo delle province orientali di Roma.

Il diadema rifiutato Alcuni avvenimenti sollecitarono i congiurati ad accelerare i tempi della loro azione. Il primo accadde il 15 febbraio del 44 a.C. Si svolgeva la festa religiosa dei Lupercali, con una processione guidata da Marco Antonio, nel frattempo riconciliatosi con Giulio Cesare, con il quale quell’anno divideva il consolato. StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

39


bridgEMAN / iNdEx

massacri sotto iL triUnvirato Rievocando la cruenta guerra civile seguita alla morte di Cesare, il pittore cinquecentesco antoine Caron voleva in realtà alludere alle guerre di religione che insanguinavano la Francia del suo tempo. 1566, Louvre, parigi.

Durante la cerimonia, Marco Antonio offrì pubblicamente il diadema a Cesare, arrivando a porglielo sul capo mentre la folla, tra gli applausi, lo acclamava re. Cesare abbracciò Marco Antonio, ma non volle ricevere la corona, che consegnò ad alcuni presenti perché la ponessero su una sua statua poco distante. Si sospettò che Cesare e Marco Antonio fossero d’accordo, e che la messinscena servisse a saggiare le reazioni del popolo in vista della vera incoronazione da tenersi in Senato.

La profezia della Sibilla Poco dopo, si registrò un secondo evento rilevante. Il Senato decretò di tributare una serie di onori a Cesare, che venne raggiunto da tutti i magistrati e da tutti i senatori mentre sorvegliava i lavori di costruzione di un nuovo foro in Roma. Quando i notabili gli si avvicinarono, egli li offese rimanendo 40 StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

seduto a sbrigare i suoi affari, senza prestare loro attenzione se non dopo parecchio tempo. Il fatto che convinse definitivamente i congiurati ad agire senz’altro indugio avvenne tuttavia ai primi di marzo. Giulio Cesare aveva da qualche tempo iniziato a organizzare una grande spedizione militare, che avrebbe guidato in prima persona, contro i Parti, bellicoso popolo di stirpe persiana il cui sconfinato impero si estendeva in Asia dall’odierno Turkmenistan fino all’Iran orientale. I Parti avevano da poco invaso la provincia romana di Siria. La partenza delle legioni di Cesare era ormai prossima, tanto che si era già provveduto a fare eleggere i magistrati per gli anni 43 e 42 a.C., in cui il dittatore sarebbe stato prevedibilmente assente da Roma. Ebbene, si diffuse la voce che, interrogata sulla spedizione, la Sibilla avesse profetizzato che i Parti sarebbero stati vinti solo da un sovrano.


4

1

bridgeman / index

2

3

i Nove trionfi di aNdrea maNTeGNa

giULio cesare vittorioso Con la serie dei Trionfi, mantegna intendeva indirettamente celebrare il proprio protettore francesco II Gonzaga, chiamato il “novo Cesare” per le sue imprese militari.

sCala, Firenze

B

aSaNdoSi SU FoNTi aNTiCHe, letterarie e figurative, tra il 1485 e il 1505 andrea mantegna dipinse nove tele (oggi al Palazzo reale di Hampton Court, a Londra) che rievocavano i trionfi celebrati da Cesare a roma nel 46 a.C. nella tela raffigurata qui sopra, il condottiero in toga dorata avanza seduto su un carro trionfale 1 riccamente decorato, reggendo un ramo di palma e uno scettro d’avorio. Di fianco al carro, un giovane soldato solleva un’insegna militare 2, mentre dietro di lui, tra le zampe del cavallo bianco che traina il carro trionfale, tre putti agitano rami di alloro 3. Cesare ha lo sguardo assorto, malinconico, e pare quasi non notare, sullo sfondo della scena, l’imponente arco trionfale 4 eretto in suo onore dai romani.

BUsto di epoca imperiaLe ritratto idealizzato di Cesare conservato ai musei vaticani. nel 46 a.C. il generale celebrò quattro trionfi, uno per ogni campagna militare vinta: in Gallia, in egitto, nel Ponto e in africa.

StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

41


OrONOz

dopo la morTe di ceSare, marco aNToNio TeNTò di accrediTarSi come il SUo erede e veNdicaTore uN gIOVANe MArcO ANTONIO iN UN bUstO MArMOrEO dEL i sECOLO A.C., MUsEi vAtiCANi, rOMA.

Tale voce, era, per i congiurati, assolutamente inquietante: dava infatti loro motivo di temere che il popolo, credendo alla Sibilla, avrebbe fatto pressione perché venisse convocata al più presto una seduta del Senato che incoronasse Cesare re di Roma. I congiurati passarono quindi alla fase operativa. Scelsero di agire durante la riunione del Senato delle Idi di Marzo, alla quale Cesare sarebbe stato presente per avanzare alcune proposte. Al momento delle decisioni finali, ci fu chi propose di tentare di coinvolgere Marco Antonio. Gaio Trebonio tuttavia si oppose, ricordando il rifiuto opposto l’anno precedente dall’ex luogotenente di Cesare. Gaio Cassio Longino e i suoi proposero all’inverso che pure Marco Antonio venisse ucciso. In questo caso fu Marco Giunio Bruto a opporsi. Si decise che Gaio Trebonio avrebbe avuto il compito di trattenere Marco Antonio fuori dal Senato al momento dell’azione. Il magister equitum Marco Emilio Lepido sarebbe stato assente con la cavalleria e, quindi, almeno nell’immediato, non poteva rappresentare un ostacolo per i congiurati.

Funesti presagi La sera del 14 marzo 44 a.C., Cesare cenò a casa di Marco Emilio Lepido, insieme ad altri commensali. La conversazione portò qualcuno a domandare quale fosse il miglior tipo di morte e si narra che Giulio Cesare abbia risposto: “La morte improvvisa”. Giunse la mattina delle Idi di Marzo. Cesare non si sentiva bene. Quella notte sua moglie Calpurnia aveva avuto un incubo premonitore e supplicò il marito di restare a casa. I sacerdoti si recarono da lui portando le vittime da sacrificare, com’era consueto prima di ogni adunanza senatoria, ma dovettero ammettere che tra le viscere degli animali si nascondeva uno spirito di vendetta. Giulio Cesare, stizzito, volse il capo verso Occidente. Per gli 42 StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

indovini era un segno terribilmente funesto. Gli amici lo pregarono di rinviare la riunione e Cesare diede un primo ordine in tal senso. Giunsero però in quel momento gli addetti del Senato a chiamarlo, annunciandogli che l’assemblea lo attendeva al completo. Fu allora l’ex pretore Decimo Giunio Bruto, uno dei congiurati, a consigliargli: “Va, lascia da parte le chiacchiere di costoro e non rimandare le decisioni che spettano a Cesare e a una carica così elevata, ma considera augurio favorevole il tuo stesso valore”. Cesare si incamminò verso il luogo della riunione. Sulla via, un tale, di nome Artemidoro, amico di amici di Marco Giunio Bruto, gli si fece incontro, e gli consegnò un biglietto che gli svelava la congiura: “Questo, o Cesare, leggilo tu solo, e presto; si tratta di cose gravi, e che ti riguardano”. Cesare non poté leggerlo per la pressione di chi gli stava attorno e così, tenendo in mano il biglietto, entrò in Senato. Gaio Trebonio intanto tratteneva Marco Antonio. Marco Antonio si fece trattenere. Non appena Cesare fu entrato nella curia e si fu seduto al suo posto, gli si avvicinò Lucio Tillio Cimbro, come per chiedergli qualcosa. Cesare fece il gesto di rinviare ad altra occasione il colloquio. Quello allora lo afferrò per la toga su entrambe le spalle e fu in quel momento che Publio Servilio Casca per primo lo colpì al collo col pugnale, provocando una ferita non profonda né mortale. Cesare lo trafisse con lo stilo, ma da ogni dove gli vennero addosso con i pugnali sguainati. Ricevette ventitré colpi. Quando vide Marco Giunio Bruto, Cesare disse «Anche tu, figlio?», tanto era l’affetto che provava per lui. Si tirò allora la toga sul capo e cadde vicino alla statua di Pompeo, di cui inondò i piedi col sangue. Aveva 56 anni. Celebrato il funerale di Cesare, la folla inferocita con i suoi assassini si diresse verso le case di Bruto e di Cassio, e venne a fatica respinta.


sCala, Firenze

foro romano di fiLippi La città greca fu teatro, nell’ottobre del 42 a.C., della battaglia decisiva tra le truppe di ottaviano e marco antonio e quelle dei cesaricidi Bruto e Cassio, che vennero irrimediabilmente sconfitti.

StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

43


NeSSUN coNGiUraTo SopravviSSe più di dUe aNNi alla morTe di GiUlio ceSare

La toga insangUinata Durante i funerali di Cesare, marco antonio mostrò la toga insanguinata del defunto alla folla, che si slanciò verso il palco e cremò il corpo del dittatore su una pira improvvisata. Dipinto di Joseph Court (1797-1865). musée fabre, montpelier (francia).

Un gruppo di sostenitori di Cesare incontrò per strada Elvio Cinna e, avendolo scambiato per il suo omonimo Lucio Cornelio Cinna, il congiurato, lo uccise e lo decapitò. Il Senato, dal canto suo, era incerto se considerare l’uccisione di Cesare un delitto o un’opera meritoria. Si optò per una soluzione di compromesso, per cui le riforme di Cesare restarono in vigore ma gli autori del suo assassinio non vennero perseguiti. Marco Antonio si oppose a tale decisione e sostenne che Cesare dovesse essere vendicato, anche se restò deluso quando scoprì che il defunto aveva scelto come erede il nipote Ottaviano e non lui. Ciononostante, volle vendicare Cesare e, come primo atto, assediò nel 43 a.C. a Modena Decimo Giunio Bruto, governatore della Cisalpina, che morì negli scontri. Con lui, Lucio Ponzio Aquila. Cadevano così i primi due cesaricidi.

Nel 42 a.C. Ottaviano e Marco Antonio, uniti nel triunvirato con Marco Emilio Lepido, si spostarono in Grecia, dove si scontrarono con le forze ingenti (80.000 soldati) di Marco Giunio Bruto e di Gaio Cassio Longino, che furono sconfitti e uccisi nella grandiosa battaglia di Filippi. Nessuno dei congiurati più noti sopravvisse per più di due anni alla morte di Cesare. L’ultimo di cui si conosce la fine è Gaio Cassio Parmense, che venne fatto sopprimere da Ottaviano nel 30 a.C., dopo la definitiva conquista dell’Egitto. Di Bruto e Cassio resta impressa nella memoria l’immagine di traditori per antonomasia (insieme a Giuda) scolpita da Dante Alighieri nel Canto XXXIV dell’Inferno (64-69): “Del li altri due c’hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto!; e l’altro è Cassio, che par sì membruto. Ma la notte risurge, e oramai è da partir, ché tutto avem veduto”. 44 StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

bridgEMAN / iNdEx

La condanna di Dante


StoRiCa NatioNaL GeoGRaphiC

45


bridgeman / aCi

Nozze DIoNISIACHe CoN L’AMANTe Nel 48 d.C., mentre suo marito Claudio era fuori città, l’imperatrice Messalina “sposò” l’amante Gaio Silio in una grande festa dionisiaca. Olio su tela di Lawrence Alma-Tadema, 1871, Hamburger Kunsthalle, Amburgo (Germania).


La mogLie deLL’imperatore cLaudio

gLi intrighi di messaLina Rappresentata dagli storici romani come l’archetipo della matrona dissoluta e senza scrupoli, fu in realtà sotto ogni aspetto una donna del suo tempo, partecipe dei vizi di un’epoca e disposta a tutto pur di favorire il figlio Britannico ElEna Castillo RamíREz PRofEssoRE di aRChEologia ClassiCa all’UnivERsità ComPlUtEnsE di madRid


A

de agostini

dultera, viziosa, vendicativa: così gli autori antichi descrivono Messalina, terza moglie dell’imperatore Claudio. Tacito, Svetonio, Plinio il Vecchio: tutti gli storici romani sono concordi nel rimarcare i sanguinosi intrighi e i capricci sentimentali di cui la donna si rese protagonista nel breve periodo (solo sette anni) in cui fu imperatrice.

SeSTerzIo D’ArgeNTo L’imperatore Claudio raffigurato su una moneta d’argento coniata a roma durante il suo regno: Claudio era zio di secondo grado di Messalina, che fu la terza delle sue quattro mogli. 48 STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

Eppure questo ritratto così negativo appare troppo esasperato per non far dubitare che sia condizionato dalle antipatie politiche dei tre storici, desiderosi di svilire indirettamente la figura dell’imperatore Claudio. E sebbene molti dei fatti narrati su Messalina siano veri, vanno collocati nel contesto della Roma imperiale del I secolo d.C., caratterizzata al tempo stesso dal lussuoso tenore di vita delle classi elevate e dalle funeste rivalità all’interno della dinastia giulio-claudia, alla quale la stessa Messalina apparteneva. Nata nel 25 d.C., Valeria Messalina era figlia di Domizia Lepida e di Valerio Messalla Barbato, nipote di Ottavia Minore, sorella di Augusto. Era quindi pronipote del fondatore dell’Impero. La stessa Ottavia ebbe due figli da un secondo matrimonio, con Marco Antonio: Antonia Maggiore, nonna materna di Messalina, e Antonia Minore, madre del futuro imperatore Claudio. Quando Caligola salì al trono, nel 37 d.C., Messalina aveva appena 12 anni, ed era già una delle donne più desiderate di Roma per la sua bellezza e la sua doppia ascendenza giulio-claudia. Caligola impose alla giovane di sposare lo zio, Claudio, forse per timore che la gens Iulia si imparentasse con altre influenti famiglie aristocratiche, che avrebbero potuto mettere a rischio la continuità imperiale dei discendenti di Augusto. Claudio era un uomo più vecchio di lei di oltre trent’anni, balbuziente, zoppo e considerato dalla propria stessa madre “un aborto che la natura ha creato senza portarlo a termine”. Ben presto Messalina si guadagnò la devozione del marito, a cui diede due figli, Ottavia e

Tiberio Claudio Germanico. Quest’ultimo, a cui sarebbe poi stato dato il soprannome di Britannico in seguito alla conquista della Britannia compiuta da Claudio, nacque nel 41 d.C., venti giorni dopo che il padre – morto Caligola in una congiura – era stato proclamato imperatore dalla guardia pretoriana.

La sfida con una prostituta Messalina non amava la vita di corte. Era giovane, inquieta, molto attratta dalle trasgressioni, che certamente non mancavano nella Roma imperiale. Per lo meno questa è l’immagine che gli storici antichi ci trasmettono. Secondo quanto raccontano, nel 43 d.C., approfittando dell’assenza da Roma di Claudio, impegnato nella difficile campagna militare in Britannia, Messalina diede libero sfogo alla propria sregolatezza. Dava appuntamento a palazzo a molti uomini; il più famoso di questi era un attore di nome Mnestere, del quale finì, non ricambiata, per innamorarsi. Anche per questo motivo, forse, iniziò a collezionare numerosi amanti. Omaggiava con diversi favori quanti accondiscendevano ai suoi capricci ed eliminava coloro che non vi si prestavano. Il poeta Giovenale narra in una satira come Messalina si prostituisse a corte sotto il falso nome di Licisca. Plinio il Vecchio ricorda quando Messalina decise di misurare le sue capacità con “la più celebre e disponibile delle prostitute” che superò, dopo essersi dedicata per una notte e un giorno a questa competizione, “al venticinquesimo rapporto”, quando “lassata viris, nondum satiata, recessit” (“stanca, ma non sazia, smise”).


rene mattes / age FotostoCK

L’ANTICo TeMpIo DeI DIoSCurI le tre colonne superstiti del tempio. sorto nel foro Romano attorno al 490 a.C., fu ricostruito da tiberio e inglobato da Caligola nei Palazzi imperiali; Claudio lo restituì alla sua funzione di edificio pubblico e di culto.

STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

49


angelo Cavalli / age FotostoCK

IL pANTHeoN DI ADrIANo il tempio originario fu edificato da Agrippa (63-12 a.C.), che voleva dedicarlo alla Gens Iulia, la stirpe imperiale di Messalina. in seguito l’imperatore Adriano (76-138 d.C.) lo fece ricostruire in onore di tutti gli dei romani.

50 STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

Il comportamento di Messalina non era insolito nella cultura romana, che ammetteva la massima libertà sessuale. È vero che ciò andava a cozzare con il modello di matrona romana incarnato da Cornelia, la prima moglie di Giulio Cesare, dalla quale questi pretendeva “non solo che fosse una donna onorata, ma anche che lo sembrasse”. La legge contro l’adulterio imposta da Augusto, il desiderio di ripristinare una morale pubblica in cui la donna fosse esempio di virtù nonché la diffusione del pensiero stoico obbligavano a censurare qualunque comportamento non ispirato alla continenza. I Precetti coniugali, opera scritta dallo storico e filosofo greco Plutarco nel I secolo d.C., proponevano un modello di sposa educata e sottomessa, radicalmente opposto rispetto a quello incarnato dall’inquieta Messalina. Quando gli storici classici narrarono gli av-

venimenti del regno di Claudio, circa mezzo secolo dopo che questi si erano verificati, misero in evidenza i comportamenti che ritenevano più scandalosi, senza tener conto delle ragioni politiche che li avevano motivati. In realtà, per Messalina le avventure amorose e gli intrighi furono spesso strumenti nell’ambito di una strategia politica volta a tutelare la propria posizione e quella dei figli, in particolare di Britannico. Un comportamento nel quale in passato si era dimostrata maestra Livia, la moglie di Augusto.

Tutto per suo figlio Dal giorno in cui Claudio fu proclamato imperatore, Messalina intravvide la possibilità di fare del figlio l’erede al trono, a patto che il marito sopravvivesse fino alla maggiore età di Britannico e che tutti i suoi oppositori, reali o anche solo potenziali, venissero eliminati.


L’imperatrice denigrata FiNO A CHe puNTO LA CATTivA FAMA di MeSSALiNA riSpeCCHiA LA reALTà STOriCA?

de agostini

Una leggenda nata mezzo secolo dopo la morte La leggenda nera di valeria Messalina, imperatrice viziosa e vendicativa, nacque cinquant’anni dopo la sua morte, nei testi del poeta Giovenale e dello storico Tacito. Costoro idealizzavano le antiche virtù della roma repubblicana, fondata su valori quali il patriottismo e l’austerità, e fecero di Messalina l’emblema del degrado morale e della corruzione politica introdotte a roma dalla dinastia giulio-claudia. le orge di messalina, olio su tela di FederiCo FaruFFini, XiX seColo, Collezione privata.

art arChive

Delitti e crudeltà per tutelare i diritti del figlio in realtà Messalina fu probabilmente considerata dai suoi contemporanei un’imperatrice all’altezza dei propri compiti. il marito Claudio le concesse varie onorificenze, tra cui l’erezione di molte statue ufficiali in città. La crudeltà che Tacito le imputa si esercitò solo nell’ambito delle lotte di corte ed ebbe come scopo di garantire al figlio Britannico la successione, insidiata da molti nemici. morte dell’imperatrice, dipinto di viCtor biennoury, XiX seColo, musée de grenoble, FranCia.

STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

51


La seduZione come arma deL potere

A

dulteri e divorzi erano mo-

de agostini

neta corrente nella casata giulio-claudia. l’imperatore Claudio, in particolare, fu circondato da donne che si distinsero per promiscuità e gusto dell’intrigo. a parte messalina, Claudia livilla, sorella dell’imperatore, avvelenò il marito druso con la complicità dell’amante, il prefetto seiano, e per questo fu condannata all’esilio dalla madre antonia minore. agrippina minore, figlia di germanico e agrippina maggiore, dopo due matrimoni sedusse suo zio Claudio e riuscì a sposarlo, convincendolo a nominare suo erede il figlio nerone. Poppea sabina si sposò prima con il capo della guardia pretoriana di Claudio, Rufrio Crispino, e poi con il patrizio otone, di cui si servì per avvicinarsi all’imperatore nerone. Poi, mediante astute macchinazioni, divorziò da otone e fece sì che nerone divorziasse a sua volta dalla moglie ottavia, riuscendo infine a sposarlo. sabina poppea, seConda moglie di nerone, in un ritratto della sCuola di Fontainebleau, Xvi seColo, ginevra.

Per raggiungere questo obiettivo, l’imperatrice ordì tutti gli intrighi che riteneva necessari, affidandosi ai liberti di Claudio, grazie alla cui complicità tenne all’oscuro il marito di quanto accadeva a corte per quasi dieci anni. Al tempo stesso si occupava di affari di Stato e, soprattutto, eliminava uno dopo l’altro tutti i rivali che avrebbero potuto ostacolare l’ascesa di suo figlio al trono imperiale. Gli avversari che potevano mettere a rischio l’elezione di Britannico erano numerosi. Anche se non esistevano più eredi maschi tra la gens Iulia, erano ancora in vita alcune donne che potevano spianare la via del potere ai loro figli e mariti. Le nipoti di Augusto, Agrippina Minore e Giulia Livilla, erano state esiliate sull’isola laziale di Ponza dal fratello Caligola. Claudio, che intendeva rafforzare i legami di consanguineità con la gens Iulia, le fece rientrare a Roma, dove furono accolte dal po52 STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

polo come martiri della tirannia di Caligola. Agrippina, prima di andare al confino, aveva affidato suo figlio Lucio Domizio Enobarbo (il futuro Nerone) alle cure della zia Domizia Lepida, madre di Messalina. Non appena Agrippina tornò a Roma, Lucio Domizio divenne il vero rivale di Britannico, ma anche l’unico che sarebbe scampato alle macchinazioni di Messalina. Giulia Livilla, da parte sua, non aveva figli, ma era sposata con Marco Vinicio, che il Senato aveva presentato come candidato al trono dopo l’assassinio di Caligola. Vi erano inoltre altri membri della gens Iulia che potevano essere proposti come successori, a cui si aggiungevano i discendenti delle grandi famiglie repubblicane che, fin dalla guerra civile, aspiravano alla carica di princeps. Tra questi si segnalavano Marco Licinio Crasso Frugi e Lucio Cornelio Silla, discendente del dittatore vissuto circa un secolo prima.


araldo de luca

IL CeNTro DI oSTIA ANTICA il Piazzale delle Corporazioni, dietro il teatro romano di ostia antica: lo fece costruire l’imperatore Claudio come sede degli uffici di rappresentanza dei mercanti attivi nel porto laziale.

STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

53


Vittima deLL’odio di nerone

M

akg / alBuM

essalina lottò tutta la vita affinché suo figlio Britannico diventasse imperatore. nato nel 41 d.C., egli aveva però un temibile avversario: nerone, figlio di agrippina minore. alla morte di messalina, Claudio sposò agrippina e Britannico fu privato di tutti gli onori e relegato in una sorta di prigione. Con il tempo si giunse quasi a dimenticarsi di lui. Così, istigato da agrippina, Claudio nominò successore il figliastro nerone al posto del figlio legittimo Britannico. alla morte di Claudio, Britannico fu bersaglio dell’odio di nerone, che nel 55 d.C. ordinò di avvelenarlo. dione Cassio narra così la sua morte: “Quando la sua pelle divenne livida a causa del veleno, nerone lo fece ricoprire di gesso. ma mentre il cadavere veniva condotto attraverso il foro si scatenò un temporale e, poiché il gesso era umido, la pioggia lo sciolse e il delitto fu palese a tutti”. nerone in un ritratto equestre del Fiammiingo Jan van der straet, Xvi seColo, Castello di Cormatin, FranCia.

E come se non bastasse, Messalina dovette preoccuparsi dei comandanti a capo delle legioni più potenti dell’Impero, poiché era consapevole che, senza il consenso dell’esercito, nessun aspirante al trono avrebbe potuto essere proclamato imperatore. Il primo a trovare la morte a causa di un intrigo architettato da Messalina fu Appio Silano, comandante delle tre legioni insediate nell’Hispania Tarraconensis e nominato governatore da Caligola. Secondo lo storico Dione Cassio (155-235 d.C. circa), Messalina convinse Claudio a fare di Appio Silano uno dei suoi più stretti collaboratori e a dargli in moglie la stessa madre di lei, Domizia Lepida, ora vedova. Dopo averlo fatto entrare nella sua cerchia, Messalina cominciò a richiederne i favori sessuali e, di fronte al suo rifiuto, decise di eliminarlo. Pertanto tramò con il liberto Nar54 STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

ciso, che riferì all’imperatore di aver fatto un sogno in cui aveva visto Silano assassinarlo. Tanto bastò perché Claudio, ossessionato dal timore di venire ucciso, ordinasse di giustiziare l’incolpevole Silano.

Congiure di palazzo Tramite congiure di palazzo o intrighi sessuali, negli anni seguenti Messalina si liberò di buona parte dei rivali di Claudio e Britannico. Giulia Livilla, sorella di Caligola, fu accusata di adulterio con il filosofo Lucio Anneo Seneca. Messalina temeva l’influenza che Livilla poteva esercitare sullo zio Claudio, con il quale aveva un rapporto molto stretto, e voleva rompere i legami che univano il marito della donna, Marco Vinicio, alla famiglia giulia. Livilla fu quindi nuovamente esiliata, questa volta a Pandateria (Ventotene), dove venne fatta morire, forse per inedia, poco dopo.


patriCK leroy / rmn-grand palais

MeSSALINA CoN IL pICCoLo BrITANNICo la statua del i secolo d.C., conservata al louvre di Parigi, raffigura messalina come una virtuosa matrona romana avvolta in una palla, un grande mantello quadrato che copriva anche il capo.

STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

55


sCala, Firenze

La roVina di messaLina iniZiò quando perse iL sostegno dei potenti Liberti imperiaLi

Seneca fu mandato in Corsica, dove scrisse la Consolazione per Polibio, una lunga lettera diretta al segretario di Claudio per avere il suo perdono. Riuscì a ottenerlo solo nel 49 d.C., quando Agrippina Minore lo fece rientrare come precettore del figlio Nerone. Le successive vittime di Messalina furono Marco Vinicio e Valerio Asiatico, consoli rispettivamente nel 45 e nel 46 d.C., entrambi coinvolti nell’assassinio di Caligola e proposti dal Senato come candidati al trono nel 41. Messalina temeva che Vinicio tramasse la sua rovina per vendicarsi dell’uccisione di sua moglie Giulia Livilla, per cui decise di avvelenarlo di persona. Quanto a Valerio Asiatico, l’imperatrice anelava non solo alla sua rovina, ma anche a impossessarsi dei meravigliosi Horti Luculliani (un luogo terrazzato oggi occupato da Piazza di Spagna, dalla scalinata e dalla chiesa di Trinità dei Monti) che egli aveva fatto ristrutturare. Asiatico era in quel momento uno degli uomini più influenti di Roma, controllava le truppe in Germania e una clientela numerosa nella Gallia Narbonensis (l’odierna Francia meridionale), la sua terra d’origine. Ma tutto questo non bastò a salvarlo. Sosibio, precettore di Britannico, lo accusò di adulterio con Poppea Sabina, madre dell’omonima, futura amante di Nerone. Valerio Asiatico fu arrestato a Baia e interrogato in privato da Claudio e Messalina. Venne condannato a morte, senza processo, in Senato. Dopo una cena e un bagno tranquilli, si tagliò le vene, commentando con ironia che era sfuggito alla malvagità di Tiberio e Caligola per poi cadere vittima delle insidie di una donna e della credulità di Claudio. Tacito racconta che “Messalina si affrettò subito dopo a ordire la fine di Poppea, spingendola al suicidio con la cupa prospettiva del carcere”. 56 STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

bridgeman / aCi

claudio e agrippina (a sinistra) in un Cammeo del 48 d.C. CirCa. vienna.

Ci furono altre vittime dell’odio di Messalina, come Gneo Pompeo, genero di Claudio e onorato con il trionfo per la conquista della Britannia. Ma l’imperatrice commise un errore fatale lanciando una falsa accusa contro il liberto Polibio, con il quale aveva una relazione clandestina. Così perse il fedele appoggio dei liberti imperiali, che mandarono a monte l’ultimo e più rischioso intrigo di Messalina, ordito per sbarazzarsi del suo stesso marito Claudio e appropriarsi del potere.

La fine dell’imperatrice Correva l’anno 48 d.C. Ne erano trascorsi otto dal matrimonio di Messalina con Claudio, che si trovava sempre più sotto l’influenza della nipote Agrippina Minore. All’epoca l’imperatrice aveva per amante Gaio Silio, un giovane senatore per il quale aveva perso la testa e che aveva colmato di ricchezze. Decise di “spo-


sarlo” un giorno in cui Claudio si trovava a Ostia per compiere un sacrificio, sperando che quando il marito fosse rientrato sarebbe stato troppo tardi per reagire. Il palazzo si trasformò allora nello scenario di una festa dionisiaca in cui erano celebrate al tempo stesso le nozze e la festa della vendemmia. Messalina si abbandonò alla sfrenatezza con Gaio Silio, cinto di una corona d’edera. Ma i liberti di Claudio fecero fallire il suo piano, convinti che, se fosse crollata la casa imperiale, anche loro sarebbero stati eliminati. Calpurnia, una vecchia amica di Claudio, gli comunicò quanto stava accadendo a Roma e i suoi amici lo incitarono a tornare nella capitale per assicurarsi l’appoggio delle coorti pretoriane. Quando Messalina apprese che Claudio era stato informato delle sue nozze con Gaio Silio, sollecitò la mediazione della vestale Vibidia per implorare la clemenza

dell’imperatore. Poi, convinta che la sua presenza e quella dei suoi figli avrebbero fatto riaffiorare l’amore che Claudio nutriva per lei, attraversò a piedi la città e, salita su un carro, prese la strada per Ostia. Ma il liberto Narciso impedì che si incontrassero e costrinse Claudio, risentito e forse ubriaco, a decretare la morte dei due amanti. Silio non oppose resistenza, Messalina, invece, si rifugiò negli Horti Luculliani, tra crisi di pianto e continue suppliche. Lo stesso Narciso ne ordinò l’uccisione, eseguita da un tribuno nel lussureggiante giardino. Il Senato decretò per Messalina la Damnatio memoriae, cioè la cancellazione di ogni ricordo della donna: il suo nome fu cancellato da tutti i monumenti e le sue statue furono distrutte. La figura dell’imperatrice rimase così segnata da una condanna morale alla quale, venti secoli dopo, non è ancora riuscita a sottrarsi.

I gIArDINI DI LuCuLLo i magnifici giardini della villa campana di Lucullo (117-56 a.C.), a Miseno; in un’altra villa costruita da Lucullo, sui colli romani, fu uccisa Messalina. dipinto di W. Leighton Leitch, XiX secolo.

STOriCA NATiONAL GeOGrApHiC

57


la pala d’oro di san marco L’imperatrice Irene, dettaglio del fregio inferiore della Pala d’Oro. Capolavoro dell’oreficeria bizantina, è conservata nel presbiterio della basilica di San Marco, a Venezia.

SCALA, FIRENZE

lo scettro di leone iv Parte superiore dello scettro imperiale di Leone IV, proveniente da Costantinopoli. Vi è raffigurata la Vergine che aggiunge una perla alla corona dell’imperatore. Staatliche Museen, Berlino.


BPK / SCALA, FIRENZE

la spietata imperatrice di Bisanzio

irene

Potente e crudele, fu la prima donna a reggere da sola il trono imperiale. ripristinò il culto delle icone e per questo venne fatta santa dalla Chiesa ortodossa, anche se non fu estranea all’assassinio prima del marito e poi del figlio ErnESt MarCOS UnIVErSItà dI BarCELLOna


A

BRIdgEmAN / ACI

differenza delle regnanti occidentali, da Livia, moglie di Ottaviano Augusto, a Galla Placidia, le imperatrici di Bisanzio Irene Sarantapechaina d’Atene, Zoe Porfirogenita e Teodora Porfirogenita non si limitarono a influire sui consorti relegate nell’ombra, ma furono in grado di esercitare il proprio potere sullo Stato in maniera diretta.

costantino vi e la madre incisione raffigurante l’imperatore bizantino costantino V e la madre irene, che regge il globo e lo scettro imperiale sormontato da una croce. collezione privata. 60 storica national geographic

In qualità di depositarie della memoria delle dinastie, nei momenti di crisi che seguivano la scomparsa di un imperatore, le sovrane bizantine garantivano, come reggenti, la continuità e la stabilità del potere e, in assenza di eredi diretti, assicuravano all’Impero un nuovo titolare, attraverso il matrimonio o l’adozione. Non deve stupire, dunque, che nel cerimoniale della corte di Costantinopoli le sovrane comparissero davanti ai loro sudditi sontuosamente vestite di abiti color porpora, che simboleggiavano esplicitamente il potere imperiale a loro attribuito. Tra quelle basilisse, è passata alla storia l’ateniese Irene Sarantapechaina, sposa e madre di imperatori e “imperatore” ella stessa, dal modo in cui si faceva chiamare; una figura femminile controversa, famosa per la sua crudeltà, a cui la Chiesa ortodossa attribuisce tuttavia il titolo di santa. Irene, nata nel 752 dalla nobile famiglia ateniese dei Sarantapechos, giunse a Costantinopoli a 17 anni, nel novembre del 769. L’imperatore Costantino V, appartenente alla dinastia isaurica, l’aveva già prescelta come sposa di suo figlio, il futuro imperatore Leone IV detto il Cazaro, che ne aveva appena compiuti diciannove. Secondo la storica inglese Judith Herrin, con questo legame matrimoniale il monarca desiderava rafforzare i vincoli tra la capitale imperiale e la provincia della Grecia. L’Impero, in quel frangente, viveva momenti difficili: stava affrontando una minaccia proveniente dall’esterno, l’incalzare degli Slavi e degli Arabi, e una grave crisi all’interno dovuta alla politica religiosa della dinastia isaurica.

Tra il 726 e il 730, il fondatore della dinastia, Leone III Isaurico, influenzato probabilmente dalle sue origini siriane, aveva proibito il culto delle icone, considerandolo un atto d’idolatria. Non riteneva infatti che le divinità potessero essere ritratte con sembianze umane utilizzando strumenti materiali come la pittura. Sembra tuttavia che il vero fine del sovrano fosse quello di limitare il potere del clero sulla popolazione. Nel 754, il suo successore Costantino V aveva proclamato l’iconoclastia (la soppressione delle immagini religiose) dottrina ufficiale della Chiesa. Tuttavia, i seguaci dell’iconodulia (la venerazione delle icone) continuarono il loro culto, nonostante la persecuzione di cui furono oggetto, e si allearono con il papa di Roma contro l’imperatore bizantino, che fino a quel momento aveva tenuto il papato sotto il suo controllo. La supremazia di Bisanzio in Occidente subì in questo modo un duro colpo, di cui approfittò Carlo Magno per estendere in Italia il dominio dei Franchi.

L’ascesa al potere Nel gennaio del 771 Irene diede alla luce il suo unico figlio Costantino nella camera della Porpora del Gran Palazzo di Costantinopoli, sala riservata alla nascita degli eredi dei sovrani regnanti. Nell’agosto del 775, in seguito alla morte di Costantino V, Leone IV e Irene ascesero al trono di Bisanzio. Cinque anni dopo, l’8 settembre del 780, l’imperatore Leone IV moriva in circostanze misteriose, avvelenato forse dalla moglie Irene e secondo una leggenda diffusa dagli


IVAN VDOVIN / AGE FOTOSTOCK

la chiesa di santa irene Situata nel cortile piÚ esterno del Topkapi, a Istanbul, è stata usata come chiesa del Patriarcato prima della costruzione di Santa Sofia. storica national geographic

61


le donne salVatrici delle icone

XXXXXXXXF

DEA / SCALA, FIRENZE

i

n SVARIATE fonTI SToRIchE di matrice religiosa, alle donne è attribuito un ruolo da protagoniste nella resistenza all’iconoclastia decretata dai sovrani bizantini. Le donne, infatti, non solo veneravano le icone di nascosto nelle loro abitazioni, ma in talune occasioni sfidavano le autorità, facendo ricorso anche alle armi per difendere l’iconodulia (la venerazione delle immagini). L’imperatrice Irene ristabilì il culto per le icone nell’anno 787, in seguito al secondo Concilio di nicea. Ma l’imperatore Leone V di Bisanzio (813820) riaffermò l’iconoclastia e la persecuzione dell’iconodulia. nel marzo dell’843, l’imperatrice teodora II di Bisanzio (815867) reintrodusse definitivamente il culto delle immagini sacre. È effigiata, insieme al figlio Michele III, con la corona e i vestiti color porpora, a sinistra dell’icona intitolata Il trionfo dell’ortodossia.

l’ImperatrIce Irene, A dEStRA, IN uN’ILLuStRAZIoNE dEL XIX SECoLo. BIBLIotECA dELLE ARtI dECoRAtIvE, PARIgI.

avversari dell’iconoclastia, da una corona del tesoro di Santa Sofia del quale si era cinto con atto sacrilego. Il nuovo sovrano, Costantino VI, che non aveva ancora compiuto dieci anni, sarebbe stato facile preda dei suoi nemici se non fosse intervenuta con risolutezza la madre Irene. La regina prese infatti il timone dello Stato e con l’appoggio dei suoi eunuchi di fiducia, Ezio e Stavrakios, si liberò abilmente dei principali avversari. In tal modo, Irene cominciò a regnare ufficialmente, salvo qualche interruzione, per i ventidue anni che seguirono. Dalla morte di Costantino V la politica religiosa dell’Impero non aveva subito grandi cambiamenti e permaneva il divieto alla venerazione delle immagini sacre. Una delle azioni più importanti della politica di Irene fu invece proprio la lotta contro l’iconoclastia per ripristinare il culto delle icone. 62 storica national geographic

Sembra che a tal fine ella ricevette l’aiuto del fedele collaboratore Tarasio, da lei stessa nominato Patriarca di Costantinopoli nel 784. Così, nel 786, Irene aderì alla richiesta del papa Adriano I di convocare un concilio per deliberare sul culto delle immagini sacre. Il concilio, dopo un primo tentativo fallito a Costantinopoli per l’opposizione degli iconoclasti, si tenne a Nicea l’anno seguente e si concluse con la condanna dell’iconoclastia e la restaurazione delle icone, divenute da quel momento uno dei tratti distintivi del mondo religioso ortodosso. Fu sancita comunque la differenza tra la “venerazione” delle immagini, ammessa dal Concilio di Nicea, e l’“adorazione”, dallo stesso rifiutata perché solo Dio può essere adorato. Irene e il giovane Costantino VI furono dunque acclamati come i veri eredi di Elena e Costantino il Grande, i primi imperatori cri-


FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK

basilica di santa sofia Eretta a Istanbul tra il 532 e il 537, fu cattedrale cristiana di rito bizantino fino al 1453, moschea dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi e infine museo dal 1935.

storica national geographic

63


le più potenti regine

SCALA, FIRENZE

SCALA, FIRENZE

nella storia Bizantina si annoVerano diVerse Figure FeMMinili che, Brillando

1 ELENA (II metà del III sec.)

1 TEODORA (500-548 ca.)

La madre dell’imperatore Costantino il Grande, fondatore di Costantinopoli, nacque secondo lo storico Procopio di Cesarea a drepane (oggi Hersek) in Bitinia. Elena fu moglie o forse concubina Costanzo Cloro e nel 324 il figlio Costantino le diede il titolo di augusta. Venerata come santa da ortodossi e cattolici, era la personificazione della securitas (“sicurezza”) dello Stato.

La moglie dell’imperatore Giustiniano (482-565) svolse un ruolo decisivo appoggiando il marito, che attuò un programma di restaurazione dell’Impero. di estrazione sociale modesta, fu prima del matrimonio una donna di spettacolo. durante il violento tumulto di nika, scoppiato nell’ippodromo, spronò Giustiniano a non fuggire e a intervenire per ristabilire l’ordine.

sant’elena, dEttAgLIo dI uN AFFRESCo dELLA ChIESA dI PANAgIA tou ASINou. XIv SECoLo. NIKItARI (moNtI tRodoS), CIPRo.

l’ImperatrIce teodora, PARtICoLARE dAL moSAICo RAFFIguRANtE LA CoRtE ImPERIALE. vI SECoLo. BASILICA dI SAN vItALE, RAvENNA.

SCALA, FIRENZE

ritratto di imperatrice parte di un dittico in avorio che raffigurerebbe irene o, secondo altre ipotesi, la regina gota amalasunta. Museo del Bargello, Firenze.

64 storica national geographic

stiani, la prima santificata dalla Chiesa di Roma, il secondo promulgatore dell’Editto di Milano del 313 che consentiva a tutti i cittadini, e quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità.

L’accecamento del figlio I rapporti tra Irene e il figlio, tuttavia, avevano già iniziato a incrinarsi. Costantino VI era ormai divenuto adulto, ma Irene non voleva cedergli lo scettro del potere. Per controllarlo meglio, fece in modo che venisse sciolto il suo contratto matrimoniale con Rothrude, una delle figlie di Carlo Magno, e lo obbligò a sposarsi con Maria d’Amnia, una giovane della piccola nobiltà dell’Anatolia. Sembra che la fanciulla fosse stata scelta tra tutte le giovani dell’Impero per la sua bellezza. Costantino, tuttavia, finì con il detestarla e le preferì una delle sue dame, Teodota, se-

gnando con questa scelta il proprio destino. In precedenza, nell’ottobre del 790, il giovane sovrano era riuscito ad appropriarsi del controllo dello Stato estromettendo la madre grazie all’appoggio delle truppe, guidate dai fedelissimi soldati armeni. Irene fu confinata per un certo periodo nel palazzo di Eleuterio, fatto erigere da lei stessa, ma successivamente ottenne da suo figlio la riabilitazione e il recupero dei privilegi, oltre al consenso per ritornare a corte. Alcune fonti riportano che sia stata lei stessa a spingere Costantino a ripudiare la moglie, cosa che avvenne nel 795: Maria e le due figlie furono rinchiuse in un monastero e Costantino si sposò con l’amante Teodota, cui conferì anche il titolo di augusta. Il patriarca Tarasio finse di non accorgersi di questo matrimonio illegittimo, ma i rappresentanti più influenti del partito monastico ne negarono la validità,


di costantinopoli

DEA / SCALA, FIRENZE

DEA / SCALA, FIRENZE

di luce propria, assunsero grande prestigio, potere e inFluenza

1 ZOE (978-1050 ca.)

1 IRENE DUCAENA (1066-1123 ca.)

Figlia di Costantino VIII, regnò come imperatrice con cinque co-imperatori, tre dei quali suoi mariti: romano III dal 1028 al 1034, Michele IV dal 1034 al 1041 e Costantino IX dal 1042 alla sua morte, avvenuta nel 1050. Zoe fu chiamata con l’appellativo di Porfirogenita, “nata dalla porpora” (vale a dire nata per essere un’imperatrice regnante).

Sposò a 15 anni alessio I Comneno, divenendo imperatrice di Bisanzio. Fu madre di anna Comnena, considerata la prima storica donna e autrice dell’Alessiade, la biografia del padre. tentò di deporre dal trono dell’Impero romano d’Oriente suo figlio Giovanni II, in favore del genero, niceforo Briennio, ma fallì e dovette ritirarsi in un convento.

l’ImperatrIce zoe, dAL moSAICo RAFFIguRANtE CRISto IN tRoNo, CoN CoStANtINo IX E ZoE. Iv SECoLo. SANtA SoFIA, IStANBuL.

Irene, dEttAgLIo dA uN moSAICo RAFFIguRANtE LA vERgINE IN tRoNo CoN CRISto BAmBINo, FRA gIovANNI II ComNENo E IRENE. IX SECoLo. SANtA SoFIA, IStANBuL.

dando origine al cosiddetto “scisma dell’adulterio” all’interno della Chiesa bizantina. Tutto ciò non fece che screditare ulteriormente la figura di Costantino. Il 19 agosto del 797, un’ennesima sommossa provocò il suo arresto: Costantino fu rinchiuso nella camera della Porpora, la stessa dove era nato e, per ordine della madre, fu accecato. Morì pochi giorni dopo a causa delle ferite.

Irene “imperatore” Da quel momento, e per quasi cinque anni, Irene governò Bisanzio con il pugno di ferro, dandosi il titolo maschile di imperatore (basileus) dopo aver rifiutato quello di imperatrice (basilissa). Contravvenendo alle usanze, respinse tutti i candidati che le vennero offerti, rifiutando di sposarsi e accettando unicamente di tenere aperta una trattativa matrimoniale con Carlo Magno. L’alleanza con

l’imperatore franco poteva infatti garantire a Irene di continuare a regnare da sola in Oriente. Il suo piano fallì, tuttavia, quando il suo antico protetto, l’eunuco Ezio, si alleò con Niceforo, il tesoriere. Nell’802, con un audace e repentino colpo di Stato, Irene venne arrestata e condotta al monastero dell’isola di Prinkipos, nel Mar di Marmara, dove rimase alcuni giorni. In seguito, per ordine di Niceforo, già divenuto il nuovo imperatore, fu trasferita a Lesbo. Irene Sarantapechaina morì nell’isola greca poco dopo il suo arrivo. Aveva regnato per quasi trent’anni, ma non poté conservare l’indipendenza conquistata attraverso l’eliminazione del figlio. L’imperatrice che occupò il trono di Costantinopoli fu una donna potente, crudele e dedita agli intrighi. Ciononostante, i cristiani ortodossi la venerano come santa e il 7 agosto ne celebrano la festa, poiché fu la restauratrice del culto delle icone. storica national geographic

65


Giustiziato sulla scalinata Marino Faliero, in veste nera, si avvia a essere giustiziato sulla scalinata del Palazzo Ducale alla presenza delle autoritĂ veneziane. Olio su tela di Francesco Hayez, 1867, Pinacoteca di Brera, Milano.

ALINIARIfirenze / CORDON PRESS scala,

il leone di san marco Statua in legno intagliato e dipinto di Alvise Bianco raffigurante il Leone di San Marco (o Leone Marciano), secolare simbolo della cittĂ di Venezia e della sua Repubblica. XV secolo, Museo Correr, Venezia.


scala, firenze

il doge traditore

marino faliero Politico di lungo corso, architettò in qualità di doge un complotto per trasformare Venezia in una signoria personale: un colpo di Stato fallito sul nascere per l’imprudenza di uno dei congiurati, che gli costò vita e onore jACOPO MORDenti StORiCO e SCRittORe


MAURIZIO RELLINI / FOTOTECA 9X12

la piazza e il palazzo piazza san Marco vista dal molo antistante la laguna: sulla destra della piazza si staglia l’inconfondibile sagoma del palazzo Ducale, sede del dogato e delle magistrature veneziane sin dall’Viii secolo d.c.

68 storica national geographic

È

il 15 aprile 1355, e la città di Venezia è in pieno subbuglio. Un pellicciaio di nome Vandrame ha confidato a un patrizio suo amico, Nicolò Lion, l’imminenza di una sommossa popolare che si prefigge di abbattere il governo della Repubblica e sterminare l’oligarchia patrizia. Non è, evidentemente, una confidenza da sottovalutare: Nicolò la condivide subito con le massime istituzioni veneziane, che si mobilitano per raccogliere le testimonianze del caso e scoprire i nomi dei congiurati. In una Venezia percorsa dalla concitazione e dal sospetto, un informatore della potente famiglia patrizia dei Contarini, Marco Negro, rilascia una dichiarazione che pare avere dell’incredibile: non solo la congiura esiste davvero, ma alla sua testa c’è una persona

a dir poco insospettabile: Marino Faliero, il doge di Venezia in persona. Alla metà del XIV secolo, Marino Faliero era l’esponente di punta di una delle famiglie più antiche e prestigiose di Venezia. Benché rintracciarne l’origine esatta non sia agevole, fonti alla mano si può ipotizzare come i Faletrus – o Faledrus – fossero originari di Fano o della Jesolo dell’alto Medioevo. Se da una parte il legame con Paoluccio Anafesto, il primo presunto doge veneziano sullo scorcio del VII secolo, è all’atto pratico dubbio, dall’altra è invece certo che i Faliero produssero fra l’XI e il XII secolo due dogi di spessore: Vitale (?-1096), promotore dei buoni rapporti fra Venezia e il Sacro Romano Impero, e soprattutto Ordelaffo (?- 1117), alfiere della riconquista veneziana di Zara. Marino era nato probabilmente intorno al


Pronunciarsi con certezza sulla giovinezza di Marino è tuttavia arduo: infatti, se da un lato è documentata la sua precoce partecipazione alla vita politica veneziana – non aveva infatti ancora trent’anni quando entrò a far parte del Maggior Consiglio, il massimo organo politico della Repubblica di Venezia, per poi rivestire di lì a breve un ruolo apicale all’interno del più ristretto Consiglio dei Dieci –

corno doGale in stoffa il tipico copricapo a punta indossato dai dogi nelle cerimonie ufficiali, XV-XVi secolo, Museo correr, Venezia.

SCALA, FIRENZE

Il mercante e l’uomo di Stato

dall’altro lato alcuni tasselli iniziali della sua biografia tendono a sfuggire: sappiamo per esempio che nel 1316 ebbe una figlia, Lucia, a cui fu per tutta la vita molto legato, ma non c’è modo di appurare con certezza l’identità della sua prima moglie. A partire dagli anni Venti del XIV secolo, le informazioni sul conto di Marino Faliero iniziano a farsi più puntuali. Come molti suoi pari, egli combinava la pratica della mercatura, finanziariamente molto remunerativa, all’espletazione dei frequenti incarichi assegnatigli dal governo veneziano tanto all’interno della città quanto all’estero. Già nel 1323, per esempio, lo troviamo impegnato in veste di capitano e bailo (un rappresentante diplomatico della Serenissima stabilmente residente all’estero) presso la strategica Negroponte, l’odierna isola greca di Eubea.

PhOTOAISA

1285, figlio di Jacopo Faliero e di Beriola Loredan. La sua istruzione doveva essere stata quella comunemente diffusa presso l’aristocrazia veneziana del periodo, che prevedeva – oltre allo studio della grammatica e alla pratica delle armi – l’acquisizione di una certa competenza negli ambiti del diritto, del commercio e della marineria.

storica national geographic

69


SCALA, FIRENZE

faliero si distinse nel ruolo di ambasciatore della serenissima presso le corti europee

In seguito Faliero rientrò a Venezia e tornò a figurare ripetutamente nel Consiglio dei Dieci; ma fu soprattutto fra gli anni Trenta e Quaranta del Trecento che la sua buona reputazione andò consolidandosi presso il patriziato veneziano. Nel 1333 Marino assunse il ruolo di capitano della scorta ai mercantili veneziani diretti all’emporio di Tana (alla foce del fiume Don, nell’odierna Russia), uno dei mercati del Mar Nero dove i contrasti fra gli interessi di Venezia e quelli della sua principale rivale, Genova, erano all’ordine del giorno; tre anni più tardi lo troviamo in prima linea nella guerra di Venezia contro la potente signoria scaligera di Verona, in qualità di governatore dell’esercito veneziano. Nei dieci anni successivi il futuro doge ricoprì la delicata carica di podestà in città di non sempre facile gestione come Padova, Treviso, Chioggia, Serravalle (oggi inglobata in Vittorio Veneto) e le dalmate Lesina e Brazza; in qualità di ambasciatore, nel 1344, arrivò a soggiornare per un breve periodo presso la corte avignonese di papa Clemente VI.

I viaggi diplomatici I lunghi, ripetuti soggiorni al di fuori della Serenissima, pure tutt’altro che infrequenti fra i maggiorenti veneziani del periodo, a tratti dovettero rivelarsi amari: più ancora che la reiterata lontananza dalla moglie Aluica – nipote del doge Pietro Gradenigo (1251-1311), sposata in seconde nozze nel 1335 – balza agli occhi come nel 1348, mentre la peste nera imperversava a Venezia portandosi via alcuni dei suoi cari, Marino rinunciò a rientrare in città per obbedire al Senato che lo inviava a sedare una rivolta a Capodistria, in Slovenia. Furono i primi anni Cinquanta a rivelarsi determinanti per la consacrazione di Ma70 storica national geographic

SCALA, FIRENZE

Bocca della verità PER LA DENUNCIA ANONIMA DEgLI EvASORI, vENEZIA.

rino Faliero quale valente uomo di Stato. Lo storico contrasto tra Venezia e Genova stava attraversando una fase di drammatica recrudescenza, fase che vedeva la Superba adoperarsi per isolare diplomaticamente prima, e militarmente poi, la Serenissima: Marino riuscì tuttavia a preservare una solida rete di alleati a supporto di Venezia, distinguendosi nel 1352 come ambasciatore presso lo zar bulgaro Alessandro Asen e, di lì a breve, presso l’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo; l’anno successivo, a Vienna, incassò il sostegno dell’imperatore Carlo IV. Infaticabile ancorché ormai maturo, fra il 1353 e il 1354 Marino continuò a lavorare di diplomazia nell’Italia settentrionale, stipulando alleanze fra Venezia e i Della Scala di Verona, i Da Carrara di Este, i Manfredi di Faenza. Di lì a breve lo troviamo ad Avignone, intento a sottoporre con un certo tatto a papa Inno-


cenzo VI e agli ambasciatori dell’Aragona la spinosa questione della minaccia genovese. Marino si trovava appunto a Avignone quando il doge Andrea Dandolo venne a mancare, nel settembre del 1354. Fu allora proprio a lui, pure assente dalla città, che guardò il Maggior Consiglio di Venezia, l’assemblea deputata all’elezione del doge: Marino Faliero venne eletto alla massima carica veneziana già al primo scrutinio, l’11 settembre, con una maggioranza di voti schiacciante.

Un governante “costituzionale” Se da un lato è evidente che la distanza non consentì a Marino di intervenire in seno al Maggior Consiglio, dall’altro lato risulta improbabile che un uomo di tale comprovata esperienza possa avere completamente ignorato l’orientamento politico a suo favore che si era andato delineando in città.

Beninteso, il dogato era tutt’altro che libero da espliciti e ben codificati condizionamenti. Al contrario: il doge della Venezia trecentesca era una figura sì prestigiosa, ma dall’autonomia decisionale assai limitata. Punta di diamante di un sistema politico che, nel bene e nel male, aveva da tempo optato per la collegialità e il bilanciamento dei poteri molto più che non per l’exploit del singolo, al momento del proprio insediamento il doge era tenuto a giurare il rispetto della cosiddetta “promissione ducale”, vale a dire l’elencazione puntuale degli obblighi e dei divieti correlati al proprio ruolo. L’istituto della promissione aveva fatto la propria comparsa già nel 1192, con il doge Enrico Dandolo; nel tempo aveva prodotto una casistica sempre più vasta, così da trasformare la figura del doge da quella di autonomo condottiero a quella di “monarca costituzionale”.

il doGe della “promissione” i dogi enrico Dandolo (a destra) e orio Mastropiero in un dipinto di tintoretto a palazzo Ducale: Dandolo (1107-1205) è il primo doge di cui ci sia giunto in forma scritta il giuramento (“promissione”) ducale.

storica national geographic

71


venezia era una città in grave affanno, con seri problemi di ordine pubblico

Marino Faliero non fece eccezione: rientrato a Venezia giurò anch’egli la propria promissione, evidentemente conscio di quanto ridotto diventasse il suo margine di manovra. La Venezia che accolse il nuovo doge era una città per molti versi in affanno. Il dissidio con Genova si stava ripercuotendo negativamente sui suoi commerci e sulle sue finanze, e il peggio era di là da venire: il 4 novembre del 1354 trenta galee veneziane ai comandi dell’ammiraglio Niccolò Pisani venivano catturate dai Genovesi al termine della disastrosa battaglia di Portolongo, combattuta nel Mar Ionio, presso l’isola greca di Sapienza, disegnando per Venezia uno scenario cupo anche in termini militari. Non basta: al suo interno la Serenissima si trovava a misurarsi con non pochi problemi di ordine pubblico, percorsa com’era da fibrillazioni anche violente che avevano radici talvolta superficiali, talvolta più profonde.

Fra le prime vanno senza dubbio annoverate le prepotenze di cui si erano ripetutamente mostrati capaci, nel corso della prima metà del XIV secolo, i giovani patrizi veneziani. Gli episodi di vandalismo, quando non di vera e propria violenza gratuita, dovevano aver raggiunto in città una ricorrenza preoccupante, se l’11 novembre del 1354 il Maggior Consiglio ritenne opportuno disporre il divieto di fabbricare e vendere grimaldelli, giacché era per mezzo di questi strumenti che alcuni giovani altolocati “aprivano ogni serratura e commettevano nelle case altrui molte ingiurie e cose disoneste”. È in questo contesto di bravate impunite e atti di teppismo che la vulgata sulla figura di Marino Faliero fa maturare l’incipit della sua congiura, arricchendo con piccanti dettagli personalistici un episodio avvenuto realmente nei primi giorni di novembre del 1354. 72 storica national geographic

gUIDO BAvIERA / FOTOTECA 9X12

Vandalismi e violenze


il ponte dei condannati il ponte dei Sospiri, sullo sfondo della foto, collegava i tribunali di Palazzo Ducale alle Prigioni nuove, edificate circa due secoli dopo la congiura di Marino Faliero.

storica national geographic

73


SCALA, FIRENZE

la sala del senato abbellita da opere di tintoretto e Jacopo palma il giovane, questa sontuosa sala del palazzo Ducale ospitava le riunioni del consiglio dei pregadi o senato, responsabile della politica estera e militare di Venezia.

74 storica national geographic

Alla testa di un gruppetto di coetanei, il giovane patrizio Micaletto Steno si sarebbe introdotto all’interno del Palazzo Ducale, e avrebbe inciso sul trono del doge un distico particolarmente ingiurioso: “Marin Faliero da la bella moier / Altri la galde e lui la mantien” (“Marino Faliero dalla bella moglie: altri se la godono, lui la mantiene”).

Litigio a Palazzo Ducale Nelle sue linee generali l’accaduto è effettivamente documentato: il 10 novembre 1354 Micaletto e i suoi sodali vennero processati dal Consiglio dei Quaranta con l’accusa di essere gli artefici delle scritte e dei disegni osceni con i quali era stata imbrattata la Sala dei Camini; è bene tuttavia notare come la documentazione prodotta nell’economia del procedimento a loro carico non faccia mai menzione della dogaressa Aluica, la quale

peraltro, pure più giovane di Marino, aveva comunque raggiunto i circa cinquant’anni d’età. Giudicati colpevoli di quanto a loro imputato, il 20 novembre Micaletto e gli altri ragazzi vennero condannati a qualche giorno di prigione: una pena che la vulgata presenta come talmente lieve da suscitare una profonda rabbia in un doge vecchio e rancoroso come Marino Faliero, e che tuttavia risulta in linea con tutta una serie di precedenti. Stanti queste considerazioni, furono evidentemente altre tensioni interne, di portata più vasta, a indurre un doge anziano ma perfettamente lucido, caratterialmente portato all’equilibrio più che all’ira, a concepire il colpo di mano. Più o meno negli stessi giorni della vicenda di Micaletto Steno, nelle stanze di Palazzo Ducale si era consumata una violenta lite fra il nobile comandante di galea Giovanni Dandolo e il ricco armatore Bertuccio Isarello.


scala, firenze

un sistema a prova di tradimenti ER LIMITARE il rischio di dittature personali,

l’aristocrazia veneziana adottò nel tempo un’architettura istituzionale via via più complessa, animata da pesi e contrappesi. A tale scopo fu creato nel 1310, dopo la fallita congiura di Baiamonte tiepolo, il Consiglio dei Dieci: una commissione politica d’inchiesta che, nel 1335, divenne perpetua, estendendo la propria competenza a qualsiasi minaccia di congiura. Fra le altre istituzioni di controllo della Venezia trecentesca – oltre al Maggior Consiglio, dotato di competenze legislative e organizzative – vi erano il Minor Consiglio, che affiancava il doge nel governo, il Consiglio dei Quaranta, con funzioni economiche e giudiziarie, e il Consiglio dei Pregadi o Senato, competente innanzitutto in politica estera.

scala, firenze

p

la conGiura di baiamonte tiepolo nel 1310 il patrizio Baiamonte tiepolo animò una fallita rivolta contro l’oligarchia che governava la Repubblica di Venezia. Olio su tela di Gabriele Bella, XViii secolo, Venezia.

la colonna d’infamia Dopo la fine della rivolta di Baiamonte tiepolo, sul luogo dove era sorta la sua casa fu posta una colonna con un’iscrizione che ne deplorava l’“iniquo tradimento”. Museo Correr, Venezia.

storica national geographic

75


questa volta privato, fra Marino e Bertuccio. Ricostruire gli esatti contenuti della conversazione è arduo, così come a ben guardare è arduo pronunciarsi su chi assunse l’iniziativa: fu il doge a proporre al ricco borghese l’abbattimento dell’oligarchia patrizia di Venezia, quell’oligarchia patrizia – si potrebbe congetturare – così poco sensibile al rispetto e all’onore del suo vertice? O fu piuttosto il ricco borghese a prospettare a un doge dal potere limitato l’opportunità di una signoria veneziana sulla falsariga di quanto era accaduto nelle altre città dell’Italia centro-settentrionale? Non si può nemmeno escludere che la congiura nascesse con un carattere socialmente trasversale: che rappresentasse, cioè, gli interessi di uno specifico gruppo di persone intenzionate, a prescindere dalla distinzione giuridica di partenza, a raggiungere il comando politico ed economico della città.

BRIDgEMAN / ACI

Le campane di San Marco

marco polo lascia Venezia Un’immaginaria ricostruzione della Venezia duecentesca in una miniatura tratta da un codice francese del Milione (o Libro delle Meraviglie) di Marco polo, XV secolo, Bodleian library, oxford.

76 storica national geographic

Il diverbio, presto degenerato, non aveva in sé nulla di eccezionale, e tuttavia testimonia quella conflittualità fra aristocrazia e “borghesia” ricca che la Serrata del Maggior Consiglio – il provvedimento con cui, nel 1297, il doge Pietro Gradenigo aveva reso provvisoriamente ereditaria la carica di membro del Maggior Consiglio – aveva finito per acuire. Separati da un’invisibile ma concretissima linea giuridica, il Dandolo e l’Isarello erano venuti alle mani: il primo aveva schiaffeggiato il secondo, che si era allora risolto a radunare minacciosamente alcuni suoi marinai per vendicarsi dell’accaduto. Preoccupato per l’ordine pubblico in pericolo, era allora intervenuto Marino Faliero in persona, intimando all’Isarello di desistere dal suo proposito per rivolgersi alla giustizia cittadina. L’idea della congiura sarebbe nata il giorno successivo, nel corso di un nuovo incontro,

Il piano era di per sé ben congegnato, e poteva contare tanto su di un vertice ristretto e riservatissimo – appena quattro persone erano a conoscenza del coinvolgimento del doge – quanto su di una base più ampia e ramificata, costituita da venti caporioni benestanti dotati ciascuno di un proprio seguito. La congiura si sarebbe dovuta tradurre in realtà la notte del 15 aprile: mentre veniva diffusa la falsa voce di un improvviso attacco al porto di cinquanta galee genovesi, Marino Faliero avrebbe fatto suonare le campane di San Marco a mo’ di allarme; questo avrebbe provocato l’arrivo in massa dei nobili veneziani per la riunione d’emergenza del Maggior Consiglio. Appostate nei paraggi, le milizie dei congiurati avrebbero allora potuto massacrare i patrizi che via via sarebbero accorsi, per poi eliminare casa per casa i loro figli; calmatesi le acque, Marino Faliero sarebbe stato acclamato signore di Venezia, e l’impianto oligarchico degli ordinamenti cittadini sarebbe stato abrogato. L’imprudente confidenza del pellicciaio Vandrame alla vigilia della sommossa incrinò irrimediabilmente il piano dei congiurati. Sulle prime Nicolò Lion portò Vandrame in udienza dal doge – dunque proprio da Marino! – ma non trovò soddisfacenti i tentativi di quest’ultimo di minimizzare.


norbert scanella / aGe fotostocK

la scala dei GiGanti ideata da Antonio Rizzo tra il 1483 e il 1485, collega il cortile alla loggia interna di Palazzo Ducale. il nome le deriva dalle due colossali statue di Marte e nettuno scolpite da jacopo Sansovino nel 1565.

storica national geographic

77


lord byron e il doge traditore

n

EL coRso dEL XIX sEcoLo, la fi-

scala, firenze

gura di Marino Faliero avrebbe esercitato un notevole fascino su alcuni dei più grandi letterati, pittori e musicisti d’europa, come George Byron, Francesco Hayez, eugène Delacroix e Gaetano Donizetti. È nota in particolare la tragedia sul doge traditore che Lord Byron (1788-1824), ospite a Venezia nel 1817, scrisse di lì a breve appoggiandosi alle Vite dei dogi del cronista veneziano Marin Sanudo il Giovane (1466 – 1536). nella trama di Byron l’affronto perpetrato da Micaletto Steno (erroneamente presentato come membro del Consiglio dei Quaranta, consesso di cui farà parte solo dopo il 1375), e soprattutto l’inopportuna levità della pena comminatagli dal Consiglio dei Quaranta, senza tener conto dell’offesa arrecata all’onore del doge e della dogaressa, sarebbero stati decisivi nell’indurre Faliero a ordire una congiura antipatrizia. il cantante lirico LUIgI LABLAChE NELL’OPERA MARIN FALIERO DI gAETANO DONIZETTI, LITOgRAFIA DEL 1836, LONDRA.

Faliero fu dunque costretto ad assecondare la richiesta di Nicolò Lion di convocare il Minor Consiglio, e questo diede il via a quelle indagini che portarono alla scoperta del coinvolgimento dello stesso doge nella congiura.

La condanna immediata Verificato quello che sulle prime era parso impossibile – e che invece aveva trovato conferma nelle parole di Giovanni da Corso e Filippo Calendario, due fra i capi della congiura arrestati – il 16 aprile un Consiglio dei Dieci allargato diede l’ordine di arrestare Marino Faliero, Bertuccio Isarello e gli altri congiurati superstiti. Bertuccio venne impiccato quello stesso giorno; Marino fu invece pubblicamente decapitato il giorno seguente, al tramonto di venerdì 17 aprile 1355, nello stesso punto del Palazzo Ducale dove appena pochi mesi prima aveva giurato la 78 storica national geographic

propria promissione. Giudicato colpevole di tradimento, era stato spogliato delle insegne dogali. Significativamente, nessuno a Venezia si attivò in suo favore. Al contrario: l’eco del tradimento del doge risulta documentata ancora negli anni seguenti, quando all’attenzione di dogi ritenuti troppo arroganti e intraprendenti – per esempio Lorenzo Celsi nel 1361 – l’oligarchia patrizia sottopose il ricordo di quanto avvenuto a Marino Faliero in ragione delle sue ambizioni. Il ritratto del doge traditore non trovò spazio sulla parete della sala del Maggior Consiglio: al suo posto il Consiglio dei Dieci fece dipingere una scritta che recitava “Questo fu il luogo di ser Marino Faliero decapitato per il crimine di tradimento”. Dopo l’incendio del Palazzo Ducale del 1577, lo spazio destinato a Marino venne occupato da un drappo nero e da una nuova scritta riepilogativa.


bridGeman / aci

la spada della decapitazone Un membro del consiglio dei Dieci mostra al popolo la spada con cui è appena stato decapitato Marino Faliero. olio su tela di eugène Delacroix, 1826 circa, Wallace collection, londra.

storica national geographic

79


scala, firenze

La condanna a morte Il dipinto del russo Karl Brjullov raffigura l’istante in cui Alfonso IV viene convinto dai suoi consiglieri a uccidere Inés de Castro, implorante pietà nel nome dei figli avuti dall’Infante Pietro. 1834, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo.


la “regina postuma”

inÉs De Castro Amante dell’Infante Pietro del Portogallo, fu vittima degli intrighi politici della corte lusitana, che convinse il re Alfonso IV a eliminarla. La sua morte sconvolse Pietro che, una volta sul trono, pretese che la defunta Inés fosse onorata come una regina CoVAdongA VALdALIso RICeRCAtRICe deLL’unIVeRsItà dI LIsbonA


hans georg roth / corbis / cordon press

IL casteLLo dI LIsbona Il castello medievale di São Jorge, arroccato sul colle più alto di lisbona, divenne sede del palazzo reale dopo il trasferimento (1255) nella nuova capitale della corte portoghese, precedentemente stanziata a Coimbra.

82 StoRICA nAtIonAl geogRAPhIC

I

l documento più antico che possediamo su Inés de Castro è contenuto in un registro del XIV secolo compilato presso il monastero di Santa Cruz, a Coimbra: nelle sue pagine, scritte in latino medievale, si legge che Inés venne sgozzata il 7 gennaio del 1355 per ordine del re Alfonso IV di Portogallo. Il nucleo intorno al quale ruota la figura storica di Inés de Castro, l’evento alla radice del suo mito, sta tutto qui, in quel che successe a Coimbra quel mattino del 1355, quando il re portoghese mandò tre dei suoi cavalieri, Diego López Pacheco, Pietro Coelho e Álvaro Gonçalves, ad assassinare l’amante di suo figlio, il futuro Pietro I il Giustiziere. Dopo quel feroce assassinio, Pietro diede libero sfogo alla sua ira, avviando una guerra civile contro il padre conclusasi con un trat-

tato che accresceva i suoi poteri a corte. Non solo, alla morte di Alfonso IV (1357) Pietro fece imprigionare due degli assassini della sua amante, li giustiziò crudelmente, dichiarò Inés sua sposa legittima, riconobbe i figli che aveva avuto con lei, la inumò come una regina e, infine, volle essere sepolto di fronte a lei.

L’infanzia ad Alburquerque Vista sotto questa luce, la vita di Inés appare dunque niente più che un banale antefatto di quanto accaduto dopo la sua morte; ma forse ciò dipende dalla scarsità di notizie di cui disponiamo sulla giovane amante di Pietro I, figlia illegittima del nobiluomo spagnolo Pedro Fernández de Castro e della sua favorita Aldonza Soares de Valladares. I Castro erano una delle più antiche e illustri casate della Galizia, legate da vincoli di


esistenza. Infatti Teresa Martínez, signora di Alburquerque, contea dell’Estremadura spagnola, era sposata con il figlio illegittimo del re Dionigi del Portogallo (12791325), il principe Alfonso Sanches, che l’erede al trono Alfonso IV detestava con tutte le sue forze.

PIetro I IL gIustIzIere Statua in bronzo del re portoghese Pietro I, opera di Antonio Duarte (1964). Cascais (Portogallo). Luis santos / age fotostock

vassallaggio ai re di Castiglia, ma in ottimi rapporti anche con la corona portoghese. Nata intorno al 1320 a Comarca de la Limia, in Galizia, Inés era ancora una bimba quando fu inviata presso una cugina della madre, Teresa Martínez de Meneses, affinché vi ricevesse un’educazione degna del suo rango. La cosa, di per sé, non aveva nulla di strano: nel XIV secolo, infatti, era consuetudine che i figli illegittimi della nobiltà, purché riconosciuti, godessero dei privilegi derivanti dal loro status. Dunque Inés aveva tutte le carte in regola per pretendere un’educazione aristocratica e per aspirare a un matrimonio di prestigio, se non con un membro della nobiltà, almeno con uno dei cavalieri del re. Tuttavia la giovane, senza saperlo, era già stata risucchiata in uno di quegli intrighi politici che avrebbero segnato tutta sua

Le doppie nozze di Pietro Mentre Inés cresceva nel castello di Alburquerque, a Coimbra il suo futuro amante, Pietro, veniva educato al ruolo di re. Ad appena cinque anni fu dato in sposo a una nipote del re di Castiglia, Bianca; ma quando la giovane giunse in Portogallo, ci si rese conto che non era adatta al ruolo di regina, forse per via di alcuni disturbi mentali su cui i cronisti dell’epoca tendono a sorvolare. StoRICA nAtIonAl geogRAPhIC

83


bridgeman / aci

IL voLto dI aLfonso Iv Il padre di Pietro I, Alfonso IV, ordinò l’uccisione di Inés de Castro per timore delle conseguenze politiche derivanti dalla sua relazione con il figlio. litografia, collezione privata.

Pochi anni dopo venne concluso un secondo accordo matrimoniale, stavolta con la figlia del potentissimo nobiluomo castigliano don Juan Manuel, discendente di Ferdinando III di Castiglia: la giovane si chiamava Costanza ed era già stata sposata con il re bambino Alfonso XI di Castiglia che però, due anni dopo le nozze – e senza che il matrimonio fosse stato consumato – l’aveva ripudiata (1327).

Amore a prima vista Le nozze con l’Infante Pietro vennero celebrate il 28 febbraio del 1336, e fu in quell’occasione che Costanza portò con sé in Portogallo una dama di compagnia che colpì tutti per la sua sfolgorante bellezza: si trattava, appunto, di Inés de Castro, imparentata con la futura regina per parte di madre. L’amore tra Pietro e Inés scoccò quasi subito, e la loro relazione, per quanto i due si sfor84 StoRICA nAtIonAl geogRAPhIC

zassero di non ostentarla, divenne in breve di dominio pubblico. Nel tentativo di stroncarla, Costanza nominò Inés madrina di battesimo del suo primo figlio: all’epoca, infatti, la relazione tra la madrina e il padre del battezzato era ritenuta incestuosa. L’espediente studiato da Costanza, però, non funzionò, sia per la prematura scomparsa del neonato sia perché Pietro era davvero innamorato di Inés, dalla quale ebbe quattro figli e che pare vivesse con lui già prima della morte della moglie, avvenuta nel 1346 dopo la nascita dell’erede al trono Ferdinando. Alfonso IV fece l’impossibile per separare i due amanti, giungendo a esiliare Inés nel castello di Alburquerque. Fu tutto inutile: i due amanti, ormai, non celavano più la loro relazione, e anzi, dopo la morte di Costanza, Pietro parve voler disattendere, nel nome di Inés, ai suoi stessi doveri di principe ereditario.


age fotostock

monastero dI santa cruz Il grandioso portale rinascimentale del monastero di santa Cruz, a Coimbra: in un altro monastero della stessa cittĂ , santa Clara-a-Velha, viveva InĂŠs de Castro quando fu uccisa dai consiglieri di Alfonso IV.

StoRICA nAtIonAl geogRAPhIC

85


scaLa, firenze

IL sarcofago deLLa regIna Pietro I fece collocare il sarcofago di Inés nel monastero di Alcobaça, esattamente di fronte al proprio: desiderava infatti, risorgendo nel giorno del giudizio, incrociare subito lo sguardo dell’amata.

Benché infatti negasse di essersi sposato in segreto con Inés – come si mormorava a corte – rifiutava tuttavia qualsiasi altra proposta matrimoniale gli venisse fatta. A ciò si sommava il fatto che i fratelli di Inés, caduti in disgrazia presso il re di Castiglia, si erano trasferiti in Portogallo, dove la loro influenza su Pietro era ormai palese. C’era dunque il rischio che il Portogallo venisse coinvolto nelle lotte interne al regno di Castiglia.

Un omicidio politico La situazione, insomma, si stava incancrenendo, e Alfonso IV guardava con preoccupazione sia al futuro del regno sia alla sorte del nipote Ferdinando, che temeva venisse ucciso per fare spazio ai figli di Inés. Tutto ciò rendeva Inés stessa non solo una presenza imbarazzante a corte, ma anche una minaccia politica: di qui la decisione del sovra86 StoRICA nAtIonAl geogRAPhIC

no di eliminarla, come gli chiedevano i consiglieri di corte ostili alla famiglia Castro. Ciò che nessuno poteva prevedere è che la morte avrebbe proiettato Inés nella dimensione del mito: Pietro, infatti, non si rassegnò mai alla sua perdita, e una volta re volle vendicarne la tragica fine e riabilitarne la memoria. Così catturò due dei suoi tre assassini e li giustiziò facendo strappare loro il cuore dal petto; poi dichiarò di aver sposato in segreto Inés, pretendendo che fosse onorata come una regina. Fece esumare il corpo dell’amata e lo trasferì in solenne corteo da Coimbra al monastero di Alcobaça, dove venne deposto in un magnifico sarcofago posto proprio di fronte a quello del sovrano. Sopra l’urna, Pietro I aveva fatto scolpire una statua in marmo che raffigurava Inés incoronata: una sepoltura degna di colei che sarebbe stata ricordata come la “regina postuma” del Portogallo.


PrisMa / albuM

una storia Che sfiDa i seColi econdo la tradizione Pietro I, una volta re,

fece esumare la salma dell’amata e la incoronò solennemente, obbligando tutta la corte a baciarle la mano scarnificata. non si sa se questo episodio sia accaduto veramente, ma di certo esso contribuì al mito di Inés de Castro, fonte di ispirazione per decine di artisti. tra questi il portoghese Luis de Camões, autore del grande poema epico I Lusiadi (1572), nel quale l’amore tra Pietro e Inés è rievocato con toni elegiaci. La storia di Inés ha ispirato anche due drammi teatrali, Regnare dopo la morte (1640) di Luis Vélez de guevara e La regina morta (1942) di Henri de Montherlant, mentre nel 1835 salvatore Cammarano scrisse un libretto da cui il compositore giuseppe Persiani ricavò l’opera Inés de Castro.

scala, firenze

s

omIcIdIo neL sonno Inés de Castro dorme nel letto insieme ai suoi quattro figli, ignara del sicario che sta per pugnalarla. stampa a colori del XIX secolo. Collezione privata.

rItratto dI InÉs una giovane ed elegantissima Inés de Castro in un’incisione ottocentesca di William skelton, artista inglese celebre soprattutto per i suoi ritratti della nobiltà londinese.

StoRICA nAtIonAl geogRAPhIC

87


il volto di riccardo Ritratto di Riccardo III, in cui il re appare diverso dal personaggio deforme tramandato dalla letteratura. Dipinto di anonimo, XV secolo. Collezione privata.

ALINIARI / CORDON PRESS

bRIDgEmAN / ACI

l’anello regale Anello in oro e pietra preziosa, realizzato nel XV secolo, probabilmente appartenuto al re Riccardo III. Collezione privata, Inghilterra.


bRIDgEmAN / ACI

il controverso sovrano Britannico

riccardo iii d’inghilterra Descritto nelle immortali pagine di Shakespeare come zoppo e gobbo fin dalla nascita, implacabile e feroce, fu protagonista di una leggenda nera e divenne la personificazione del “male assoluto”. Tuttavia, al di là della teatralità, ebbe forse il carattere giusto per sopravvivere in un’epoca di guerra civile e complotti mIChAel AlpeRt unIVeRsItà DI westmInsteR


N

bRIDgEmAN / ACI

obili amici, chi è l’uomo che essi seguono in armi? Nient’altro che un tiranno sanguinario, un omicida cresciuto nel sangue e nel sangue insediatosi sul trono; uno che ha messo in atto ogni mala arte per procacciarsi quel che possiede, e poi ha massacrato un dopo l’altro tutti coloro che gli han dato una mano a procurarselo”.

il sigillo di edoardo iv Sigillo del re d’inghilterra edoardo iV. riccardo si dimostrò fedele al fratello, che per questo gli affidò missioni impegnative. XV secolo. archivi nazionali di londra. 90 STorica naTional geographic

Con queste parole il futuro Enrico VII descrive Riccardo III nell’omonimo dramma shakespeariano. Proprio quest’opera del più celebre scrittore inglese di tutti i tempi ha trasmesso l’immagine del re malvagio, dell’incarnazione del male assoluto, del traditore e falso, capace di ribellarsi al legittimo re e di ordinare a sangue freddo la morte di tutti i suoi rivali, inclusi i nipoti ancora bambini. Era figlio di Riccardo di York, il potente nobile che nel 1455 si ribellò contro il re Enrico VI, scatenando la guerra delle Due Rose. Questo conflitto trentennale per il trono d’Inghilterra contrappose i due rami della famiglia dei Plantageneti, le dinastie degli York e dei Lancaster, e prese il nome dagli emblemi dei due contendenti: la rosa bianca per i primi e quella rossa per i loro rivali. La guerra iniziata dal padre si sarebbe conclusa proprio con la morte del figlio Riccardo, il 22 agosto del 1485, durante la battaglia di Bosworth Field. Enrico Tudor conte di Richmond, a capo dei vincenti Lancaster, avrebbe strappato la corona a Riccardo divenendo Enrico VII Tudor. E il corpo di Riccardo sarebbe stato esibito nudo per le strade della città prima di venire tumulato nella Greyfriars Church a Leicester, a nord di Londra. Il vilipendio del cadavere di Riccardo appartiene, forse, alla leggenda, ma non c’è dubbio che l’immagine del re protagonista del dramma di Shakespeare sia in parte un’iperbole a uso e consumo del dramma teatrale. Il carattere violento e implacabile di Riccardo non era tuttavia un’eccezione nell’Inghilterra del XV secolo: di fatto, si trattava di caratteri-

stiche indispensabili per sopravvivere in un ambiente di continue cospirazioni e guerre tra le varie fazioni nobiliari. Fin da giovanissimo, infatti, Riccardo dovette conoscere le brutalità della vita che ne forgiarono il carattere e non ebbe altro obiettivo della conquista del potere. Come era d’uso tra l’aristocrazia, il giovane Riccardo passò l’infanzia lontano dai genitori, nella casa di suo cugino, il conte di Warwick, di cui avrebbe sposato la figlia, Anne Neville. Nel 1460, quando aveva otto anni, morirono sia il padre sia Edmondo, uno dei suoi fratelli maggiori, nella battaglia di Wakefield. Per proteggerlo la madre lo inviò nei Paesi Bassi, insieme a un altro fratello, Giorgio. In quel luogo Riccardo rimase con alcuni familiari fino a un’importante vittoria degli York nel 1461 e all’ascesa al trono del fratello maggiore, Edoardo IV.

Temprato dalle lotte feudali Il nuovo re nominò Riccardo duca di Gloucester e questi si distinse nelle battaglie che consolidarono il trono di Edoardo. Riccardo si dimostrò sempre leale verso il fratello, che non esitò infatti ad affidargli le missioni più importanti, come l’esecuzione del deposto re Enrico VI nella Torre di Londra, nel 1471. Edoardo IV morì il 9 aprile 1483, a 41 anni, forse a causa di una polmonite. Lasciò come erede il figlio Edoardo ma, data la sua minore età, affidò la reggenza al fratello Riccardo con il titolo di Lord Protettore del regno. Il duca di Gloucester diventava in questo modo l’uomo potente d’Inghilterra. Una serie di ostacoli, tuttavia, si frappone-


PETER BARRITT / CoRBIs / CoRdon PREss

il castello di riccardo Costruito intorno al 1000, il castello di Corfe, nel Dorset (Inghilterra), appartenne alla Corona fino al 1572. nel 1462, Riccardo divenne conestabile di Gloucester e del castello di Corfe, oltre che l’uomo più ricco d’Inghilterra. STorica naTional geographic

91


BRIAn JAnnsEn / foToTECA 9x12

la torre di londra edificata nel 1078, fu nel tempo fortezza, polveriera, palazzo reale e prigione per detenuti nobili. Qui furono rinchiusi i principi edoardo e riccardo, nipoti di riccardo iii, finché non furono uccisi nel 1483.

va fra Riccardo e la sua vera ambizione, che era la conquista del trono. Il più temibile di questi era sicuramente rappresentato da Elisabetta Woodville, la vedova di Edoardo IV, e dalla sua famiglia: suo fratello il conte di Rivers e due figli che la regina aveva avuto da un precedente matrimonio, Thomas Grey, marchese di Dorset, e Richard Grey. Riccardo, allora, giocò d’astuzia e li colse di sorpresa. Mentre Edoardo era in viaggio verso Londra per l’incoronazione, il reggente fece arrestare il conte di Rivers e Richard Grey.

La scalata al potere Riccardo aveva giocato d’anticipo e agito in propria difesa, visto che se la vedova del re e i suoi parenti avessero conquistato il potere, non avrebbero esitato a mandarlo sul patibolo. Tuttavia, a mano a mano che passavano i giorni e si avvicinava la data dell’incorona92 STorica naTional geographic

zione del principe Edoardo, Riccardo iniziò a lasciar intendere che le sue ambizioni miravano al trono d’Inghilterra. In un’occasione, si presentò davanti al consiglio di Reggenza, istituito da Edoardo IV in punto di morte, e mostrò il suo braccio sinistro, atrofizzato dalla nascita, assicurando che si trattava del frutto di una stregoneria di Jane Shore, un’amica della regina. Il Lord Ciambellano, William Hastings, era l’amante della donna e quando cercò di giustificarla insieme alla regina, Riccardo montò su tutte le furie: “Ti dico che l’hanno fatto, e la pagherai con il tuo corpo, traditore”, gridò. Batté quindi il pugno sul tavolo: era il segnale convenuto perché entrassero degli uomini armati che portarono via Hastings e lo decapitarono immediatamente. L’esecuzione di Hastings senza alcun processo, alla quale seguirono quelle del conte


BRIdgEmAn / ACI

tradito dai suoi stessi uomini

la battaglia di bosworth la morte del re Riccardo III nella battaglia di Bosworth rappresentò la fine del regno degli York. Incisione di philip James de loutherbourg per la Storia d’Inghilterra (1812) di David hume. Collezione privata.

BRIdgEmAn / ACI

s

econdo i testimoni, nella battaglia di Bosworth Riccardo III rimase appiedato e isolato, ma continuò strenuamente a combattere. le sue truppe, al contrario, disertarono appena poterono. molti smisero di combattere “spontaneamente, in quanto preferivano il re morto piuttosto che vivo e si battevano senza convinzione”. thomas stanley, conte di Derby, che combatteva per Riccardo, vista la situazione decise di passare dalla parte di enrico. Il cambio di campo indebolì seriamente l’esercito reale, e quando infine il sovrano cadde, tutti si arresero. secondo la leggenda, dopo la battaglia il conte di stanley recuperò la corona di Riccardo e la porse a enrico, perché fosse incoronato sul campo di battaglia.

il grande elmo da guerra elmo del XIV secolo, appartenuto a uno dei cavalieri di re edoardo III, sir Richard pembridge, dal quale prende il nome (pembridge helm). national museum of scotland, edimburgo. STorica naTional geographic

93


l’assassinio dei due giovani principini gettò ulteriore discredito su riccardo iii

bRIDgEmAN / ACI

i principi edoardo e riccardo NELLA tORRE DI LONDRA. jOhN E. mILLAIS, 1878. ROyAL hOLLOwAy, uNIvERSIty Of LONDON, LONDRA.

di Rivers e di Richard Grey nella prigione di Pontefract, mostrò a tutti che Riccardo era disposto a imporsi con l’uso del terrore. Dato che il suo scopo era usurpare il trono, i suoi nipoti, figli del defunto Edoardo IV, costituivano un ostacolo sul suo cammino. Dal suo arrivo a Londra, Edoardo, il principe ereditario, era stato sistemato nella Torre di Londra, con il pretesto che la fortezza offriva un riparo sicuro contro possibili attentati. Riccardo trasformò il rifugio in prigione. Subito dopo catturò il duca di York, fratello minore del re, e rinchiuse anche lui nella Torre.

Dalla propaganda al crimine Riccardo era solo a metà dell’opera: la mossa successiva fu invalidare pubblicamente il diritto di successione dei due bambini. A tale scopo, un sacerdote tenne un sermone nella cattedrale di Saint Paul, sostenendo che il matrimonio di Edoardo IV con Elisabetta Woodville non era valido, a causa di una precedente promessa di matrimonio del re. Quindi, i loro figli erano illegittimi e non avevano diritti sul trono. Il 25 giugno 1483 il Parlamento inglese dichiarava il duca di Gloucester erede legittimo di Edoardo IV e il 6 luglio questi fu incoronato nell’abbazia di Westminster, con il nome di Riccardo III. Intanto i due figli di Edoardo IV si trovavano ancora nella Torre. Alcuni testimoni affermarono di averli visti giocare nel giardino della fortezza. Poi però, secondo un cronista, “tutti i servitori che si occupavano del principe Edoardo si videro privati dell’accesso alla sua persona. Lui e suo fratello rimasero reclusi negli alloggi interni della Torre, finché, a un certo punto, non si videro più”. Nel mese di ottobre in tutta Londra circolavano voci sulla loro assenza, finché, alla fine, tutti si convinsero che lo zio Riccardo li avesse fatti assassinare. Secondo un autore del XVI secolo, due sicari furono incaricati di uccidere i principini 94 STorica naTional geographic

Edoardo e Riccardo, rinchiusi nella Torre di Londra per ordine del re, asfissiandoli con dei cuscini nel loro letto. Nel 1674, nella Torre di Londra, furono rinvenute alcune ossa, che vennero attribuite agli sfortunati bambini. Il mistero sulla sorte dei “principi nella Torre” non fu mai risolto. Il re si proclamò innocente, ma non avviò alcuna indagine. Si disse che un suo fedelissimo, James Tyrrell, aveva confessato sotto tortura di averli uccisi su ordine del sovrano, ma non rimase testimonianza scritta di tale confessione. I contemporanei – come la maggior parte degli storici attuali – si convinsero della colpevolezza del re e l’attribuzione di questo crimine odioso gettò discredito su Riccardo.

La fine del tiranno Le cospirazioni contro il “tiranno” si moltiplicarono finché, nell’agosto del 1485, sbarcò in Inghilterra Enrico Tudor, erede dei Lancaster, vissuto a lungo in Francia. La battaglia decisiva avvenne a Bosworth, circa 160 chilometri a nord di Londra. Abbandonato dai suoi, e vistosi perduto, Riccardo trovò la morte nel cuore della battaglia. Considerando il suo cammino verso il trono, non sorprende che intorno a Riccardo III si sia creata una vera e propria “leggenda nera”. Vari storici hanno però sottolineato anche alcuni aspetti positivi del suo governo. A lui si dovette, per esempio, un sistema di giustizia gratuita per i poveri, insieme al processo di libertà condizionale per le persone accusate di crimini comuni. Inoltre, Riccardo liberalizzò la vendita di libri e impose l’inglese come lingua ufficiale dei tribunali al posto del francese, adottato sin dalla conquista normanna dell’Inghilterra nel 1066. Appare però difficile che questi argomenti, per quanto validi, riescano a scalzare il verdetto di condanna emesso da Shakespeare nelle pagine immortali del suo Riccardo III.


BRIdgEmAn / ACI

il riccardo shakespeariano l’attore sir John martin harvey (18631944), nel ruolo di Riccardo III, dipinto (1910) di Frank Owen salisbury. nell’opera di shakespeare, il sovrano è descritto in modo molto negativo. Collezione privata.

STorica naTional geographic

95


Lorenzo iL Magnifico Brillante politico e mecenate degli artisti rinascimentali, Lorenzo fu umanista a tutto tondo: filosofo, letterato, diplomatico. Girolamo Macchietti. XVI Secolo. Palazzo Medici-Riccardi, Firenze.

ALINIARIfIRENzE / CORDON PRESS SCALA,

Lo steMMa dei pazzi I principali sostenitori della congiura del 1478 contro i Medici. Lo stemma rappresenta due delfini simmetrici girati verso l’esterno. Giovanni della Robbia. 1515 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze.


scala, firenze

Il complotto DEllA FAmIGlIA RIVAlE DEI pAZZI

lA conGIuRA contRo I mEDIcI La Firenze rinascimentale non fu segnata solo dal fiorire delle arti e delle lettere, ma anche da rivolte e complotti. nel 1478 la congiura dei Pazzi rischiò di porre fine al dominio dei Medici. Il piano non riuscì, ma cambiò la storia della città ALMUdenA BLASco docente dI StoRIA MedIeVALe ALL’UnIVeRSItà AUtonoMA dI BARceLLonA


mASSImO PIzzOttI / AgE fOtOStOCk

santa Maria deL fiore il Duomo di Firenze possiede la più grande cupola in muratura al mondo (54 metri di diagonale); è il capolavoro di Filippo Brunelleschi. la costruzione iniziò nel 1296 e terminò nel 1436, sotto i Medici.

98 storica national geographic

D

omenica 26 aprile 1478 Raffaello Sansoni Riario della Rovere, appena nominato cardinale, celebrava una messa nel Duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze. Nella cattedrale si erano riuniti per l’occasione il popolo, tutti gli aristocratici della città e gli esponenti di tutte le corporazioni. Tra i presenti vi erano anche coloro che da tempo celavano un intento segreto: assassinare Lorenzo il Magnifico e suo fratello minore Giuliano, rappresentanti della famiglia de’ Medici che già da diversi anni manteneva la supremazia politica ed economica sulla Repubblica fiorentina. Secondo un cronista dell’epoca, nel momento in cui il cardinale elevò l’ostia, “uno dei componenti più audaci del gruppo di cospiratori, di nome Bernardo

Bandini Baroncelli, brandì un’arma e trafisse il petto di Giuliano che, dopo pochi passi, cadde a terra”. Lo finì a colpi di spada Francesco Pazzi. Poco dopo, lo stesso Bandini attaccò Francesco Nori, amico fedele dei Medici, che perse la vita proprio nell’atto di fare da scudo a Lorenzo. Quest’ultimo, ferito a una spalla, trovò rifugio nella sacrestia, insieme con l’umanista Angelo Poliziano.

Gli odiati Medici Il piano era fallito, ma i congiurati speravano di trovare nei Fiorentini un appoggio. La città era in subbuglio, in preda a un’enorme inquietudine generata dalle grida e dal panico che serpeggiava nel Duomo e dal suono penetrante della campana detta “della vacca”, che risuonava dalla torre di Palazzo Vecchio. Jacopo Pazzi, il principale promotore dell’at-


Lo stesso Francesco Pazzi, moribondo, venne trascinato dalla folla da casa sua a Palazzo della Signoria, sede del governo, per essere impiccato. La cittadinanza, terrorizzata anche dalla possibilità che gruppi di mercenari entrassero a Firenze, si era tutta schierata dalla parte dei Medici, per i quali chiedeva giustizia al grido di “Palle! Palle!”, in riferimento allo stemma di famiglia, in cui comparivano dei bisanti a forma di sfera (il bisante, o besante, era una moneta bizantina che Firenze aveva adottato nel XIII secolo). A quel punto, Lorenzo de’ Medici decise di inviare una lettera a Bona Sforza, reggente del ducato di Milano per il figlioletto Gian Galeazzo Maria, chiedendo aiuti militari nel caso non fosse riuscito a dominare la situazione e a fronteggiare la vendetta di papa Sisto IV della Rovere, avversario dichiarato dei Medi-

La geMMa di cosiMo i cammeo commissionato a giovanni antonio de’ rossi, celebre medaglista e incisore milanese. la gemma fa parte della ricca collezione medicea del Museo degli argenti, a Firenze.

SCALA, fIRENzE

tentato, a capo di diverse decine di uomini e al grido di “popolo e libertà”, si diresse in piazza della Signoria confidando anche che presto sarebbero accorse in aiuto dei congiurati le milizie del papa, il più importante alleato della famiglia che voleva estromettere i Medici dal governo della città. Nel frattempo erano stati convocati d’urgenza i Priori, cioè i rappresentanti del consiglio della Signoria fiorentina, ma questi non si mostrarono affatto intenzionati a dare l’appoggio dell’autorità pubblica ai congiurati: l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, uno dei principali organizzatori della congiura, non solo non venne ascoltato dal Gonfaloniere di giustizia, ma venne fatto subito prigioniero e poi impiccato, così come capitò ad altri cospiratori, tra cui Jacopo Bracciolini, figlio dell’umanista Poggio.

storica national geographic

99


Il coRtEo DEllA cAsAtA mEDIcEA

74

U

8

na delle prove a sostegno della

particolare del ciclo di Affreschi LA CAvALCAtA DEI mAgI DI BENOzzO gOzzOLI. 1459. PALAzzO mEDICI RICCARDI. fIRENzE.

e. lessing / album

iL vaso deLLa MaddaLena appartenne a lorenzo e fu donato nel 1532 da clemente Vii alla Basilica di san lorenzo; doveva contenere una reliquia della Maddalena. Museo degli argenti. Firenze.

100 storica national geographic

6

5

3 2

7

scala, firenze

teoria secondo cui alla congiura avrebbe preso parte il Vaticano è costituita dalla confessione di Giovan Battista da Montesecco. Questi, sotto tortura, confessò di avere incontrato a Roma papa Sisto IV e suo nipote Girolamo Riario insieme con l’arcivescovo Salviati. “dissi [al pontefice] che sarebbe stato impossibile ottenere un risultato senza la morte di Lorenzo e Giuliano, sua Santità rispose: ‘Voglio che non muoia nessuno, e anche se Lorenzo è una canaglia non voglio assolutamente vederlo morto. Ma un cambio di governo, quello sì… Una volta che se ne sarà andato da Firenze, potremo fare ciò che vorremo di quella Repubblica’”. nel complotto risultarono implicati molti principi italiani, come il re Ferrante di napoli e Federico da Montefeltro, duca di Urbino; secondo recenti ricerche storiografiche, quest’ultimo si sarebbe impegnato a inviare 600 soldati a Firenze per la congiura.

ci. “Illustrissima Signora, mio fratello Giuliano è stato assassinato e il mio governo è in grave pericolo. È il momento di accorrere in aiuto del vostro servitore Lorenzo. Inviate quante più truppe possibile perché fungano da scudo e baluardo del mio Stato”. Ma l’aiuto non fu necessario: la congiura si era già rivelata un fallimento. Nelle indagini che seguirono l’attentato, la famiglia dei Pazzi venne inevitabilmente indicata come responsabile della sedizione. La Congiura dei Pazzi, nome con cui sarebbe passata alla storia, segnò un punto di svolta nelle vicende di Firenze, sancendo il tramonto della vecchia Repubblica fiorentina, dominata da poche famiglie dell’alta borghesia con importanti legami con l’aristocrazia del territorio, e la nascita del principato, la forma politica che si impose in Italia nell’ultima parte del XV secolo.

Nelle turbolente corti della Penisola italiana, divise da violenti contrasti tra fazioni, la congiura e con essa anche l’assassinio politico erano considerati strumenti non riprovevoli della lotta per il potere.

Un’antica inimicizia Nella seconda metà del XV secolo Firenze era la città più prospera e dinamica d’Italia e, probabilmente, dell’intera Europa. Qui si era sviluppato il Rinascimento, il periodo storico e culturale che avrebbe trasformato la società italiana e in parte anche quella europea, permeando di sé tutti gli ambiti della vita, dall’architettura alla pittura, dalla scienza alla letteratura. La convivenza di importanti famiglie di mercanti e banchieri e di una generazione di raffinati umanisti fece di Firenze un centro di irradiazione culturale ed economica, in Toscana e in tutta l’Italia.


1  Lorenzo de’ Medici. era ancora un bambino ma fu dipinto come un giovane. Secondo altri studiosi il Magnifico sarebbe invece un altro nella folla 7. 2  Piero il Gottoso. Fu signore de facto di Firenze per cinque anni, dal 1464 al 1469. era il primogenito di cosimo il Vecchio e il padre di Lorenzo e Giuliano.

3  Cosimo il Vecchio. Il fondatore della

1

signoria e primo uomo di Stato mediceo a governare la Repubblica conduce una mula marrone, adorna dello stemma familiare.

4  Giuliano de’ Medici. Figlio secondogenito di Piero e Lucrezia tornabuoni, all’epoca del dipinto aveva sei anni. Fu ucciso nella congiura a soli 25 anni. 5  Galeazzo Maria Sforza. Il duca di Milano era un alleato di cosimo e giunse in soccorso di Piero contro le scorribande di Bartolomeo colleoni inviato da Venezia.

6  Sigismondo Pandolfo Malatesta. chiamato anche “il lupo di Rimini”, era signore della città e grande alleato dei Medici. era un abile e audace condottiero.

A trarre notevoli benefici da questa situazione furono proprio i Medici, un’agiata famiglia fiorentina che dalla fine del XIV secolo si era arricchita enormemente grazie alle sue attività bancarie e aveva acquisito una crescente influenza politica nella città. Il capostipite, Cosimo de’ Medici detto il Vecchio (1389-1464), nonno di Lorenzo, una volta tornato dal breve esilio a cui era stato costretto poiché vittima della rivalità con altre facoltose famiglie di Firenze, consolidò dal 1434 la supremazia del suo casato grazie alla capacità di mantenere in prima persona il potere pur senza coprire direttamente cariche pubbliche: assegnò a uomini di sua fiducia il controllo del sistema tributario e la creazione di nuove magistrature. Seppe poi utilizzare a proprio vantaggio il favore dei numerosi artisti a cui fece da mecenate, tanto da farsi conferire il titolo di “padre della patria”.

La corte della dinastia medicea divenne così la culla dell’arte e del pensiero fiorentino, e lo rimase per decenni. Ma dietro a questo splendore culturale e all’apparente egemonia dei Medici si celava un’intensa conflittualità politica e sociale. Via via che Cosimo consolidava il suo potere assoluto, l’avversione delle grandi famiglie fiorentine cresceva. Una di esse era quella dei Pazzi i quali, nel corso dei secoli, avevano costruito un solido casato di carattere feudale arricchendosi con le proprietà terriere. Si erano poi dedicati al commercio e alla finanza e avevano fondato un banco tra i più floridi della città entrando in diretto contrasto con i Medici. La rivalità nasceva anche dalla disputa che coinvolgeva ciascuna delle due famiglie sulle proprie origini. I Pazzi si dichiaravano discendenti dal leggendario cavaliere Pazzino Pazzi che pare avesse partestorica national geographic

101


26 ApRIlE 1478: cRonAcA DI l’AttEntAto contRo I mEDIcI sEmInò Il pAnIco FRA lA popolAZIonE, chE pER moltE oRE

Fiesole

Duomo di Santa Maria del Fiore

Palazzo Medici Riccardi Chiesa di Santa Maria Novella

PIANtA DI fIRENzE REALIzzAtA NEL 1470. COPIA DELLA CARtA DELLA CAtENA. muSEO DI “fIRENzE COm’ERA”, fIRENzE.

Akg / ALBum

di buon mattino decine di cospiratori si distribuiscono intorno al Duomo di Firenze e a palazzo pazzi. il luogotenente giovan Battista di Montesecco, a capo della congiura, era giunto in città con 30 balestrieri a cavallo e 50 fanti, con la scusa di fare da accompagnatore al neocardinale raffaele sansoni riario della rovere. Dalla propria residenza di Fiesole i pazzi si spostano a Firenze per i festeggiamenti del cardinale, con lorenzo de’ loro c’è l’arcivescovo medici tRIONfA SuI COSPIRAtORI. muSEO DEL di pisa, Francesco salviati. BARgELLO. fIRENzE.

2

3

GIulIAno è puGnAlAto A moRtE nEl Duomo

loREnZo DE’ mEDIcI scAmpA All’AttEntAto

Come riporta l’umanista lorenzo si trova all’estremità e segretario fiorentino niccolò opposta del Duomo. Due sacerdoti, Machiavelli, giuliano de’ Medici che nascondono sotto le vesti delle viene scortato nel duomo dai suoi armi, gli si avvicinano. Uno lo attacca assassini Francesco pazzi e alle spalle e lo ferisce al collo, Bernardo Bandini Baroncelli: sotto l’orecchio destro, “e per la via e nella chiesa con ma il Magnifico si volta e si motteggi e giovanili difende con la propria ragionamenti lo spada. i compagni intrattennero: né mancò accorrono in suo aiuto Francesco, sotto colore e lo mettono al riparo di carezzarlo, con le nella sacrestia mani e con le braccia prima che gli altri stringerlo, per vedere se congiurati riescano a lo trovava o di corazza o d’altra raggiungerlo. nella colluttazione simile difesa munito”. nel corso viene ucciso Francesco nori, della celebrazione del nuovo amico di lorenzo, pugnalato cardinale, Bernardo si scaglia allo stomaco. Francesco croce del cardinale contro giuliano; questi viene pazzi è ferito a una gamba CARLO DE’ mEDICI. xvI colpito a morte da Francesco SECOLO. muSEO DEL e si trascina nel suo palazzo pazzi con 19 colpi di spada. per cercarvi riparo. BARgELLO, fIRENzE. CORBIS / CORDON PRESS

1

I conGIuRAtI pREnDono posIZIonE nEllA cIttà


unA conGIuRA FAllItA non sEppE sE Il complotto DEI pAZZI AVEssE AVuto succEsso oppuRE no

Palazzo Pazzi Arno

SCALA, fIRENzE

Palazzo della Signoria (Palazzo Vecchio)

5 I pAZZI AssAltAno Il pAlAZZo DEllA sIGnoRIA E. LESSINg / ALBum

l’arCivesCovo di pisa, JaCopo pazzi si dirige verso Francesco salviati, uno dei cospiratori, il palazzo della signoria al comando approfitta del tumulto nel Duomo di una truppa composta da un per dirigersi verso il palazzo della centinaio di mercenari confidando signoria, scortato da 30 uomini nel fatto che l’arcivescovo Francesco armati, per impadronirsene. salviati sia riuscito nel frattempo lo accompagna Jacopo a occupare la sede del Bracciolini. Viene ricevuto potere cittadino. Durante dal gonfaloniere di il tragitto, gli insorti giustizia, cesare gridano: “popolo e petrucci, massima libertà!”. giunti davanti autorità cittadina, al palazzo essi trovano che salviati intende i portoni sbarrati. coinvolgere nella Quando cercano di congiura. tuttavia il forzare le porte, con gonfaloniere comprende il l’intenzione di liberare tranello, riesce a disarmare l’arcivescovo, vengono i due congiurati e chiama in colpiti da una pioggia di aiuto le guardie. l’arcivescovo giuliano de’ medici proiettili che le guardie mORtO NELLA CONgIuRA. e il suo complice vengono scagliano dalla torre più alta mEDAgLIA DEL 1478. muSEO imprigionati. di palazzo della signoria. DEL BARgELLO, fIRENzE.

6

I conGIuRAtI costREttI AllA FuGA poChe ore dopo la congiura, i corpi di Francesco salviati e di Francesco pazzi penzolano dalle finestre del palazzo della signoria. i Fiorentini si lanciano quindi in una spietata caccia all’uomo, inneggiando al blasone dei Medici al grido di “palle, palle!”. il cardinale riario della rovere viene imprigionato poiché sospettato di essere un congiurato, Jacopo pazzi viene catturato il 30 aprile e impiccato; Montesecco trova riparo in un convento ma, catturato dai Fiorentini, il mese successivo viene papa sisto iv, decapitato. AvvERSARIO DEI

mEDICI. AffRESCO. 1477. muSEI vAtICANI.

BRIDgEmAN / ACI

4 l’AutoRItà cIttADInA non cEDE AI conGIuRAtI


l’oRA DEllA VEnDEttA Fallito il coMplotto ai Danni Dei MeDici, lorenzo il MagniFico scatenò

Cattura ed esecuzione dei cospiratori

l’attentato contro i medici, IN uNA DRAmmAtICA INCISIONE POPOLARE DEL xIx SECOLO.

SCALA, fIRENzE

whItE ImAgES / SCALA, fIRENzE

Lo stesso giorno della congiura dei Pazzi, venuta la sera, i sostenitori della dinastia de’ Medici si lanciarono tra le vie della città alla ricerca dei cospiratori. Quelli che si erano rifugiati nel palazzo municipale furono scaraventati fuori dalle finestre e, una volta caduti a terra, spogliati e smembrati dalla folla inferocita, che in questo modo infliggeva loro una cattiva fama postuma. Altri congiurati furono impiccati con corde sottratte ai montanti delle stesse finestre, a volte anche in cinque per volta. Quello stesso giorno secondo le cronache si stima morirono tra le 70 e le 80 persone, ma la giornata successiva si videro ancora gruppi di esaltati armati di lance, con testa e membra umane infilzate, secondo quanto riportato da niccolò Machiavelli. I più “fortunati”, bandini baroncelli, come nel caso del conte di Mon- bernardo uNO DEI CONgIuRAtI, SuLLA fORCA. tesecco, furono decapitati. DISEgNO DI LEONARDO DA vINCI, 1479.

SCALA, fIRENzE

vaso con copercHio il vaso in breccia diamantina era tra gli oggetti che il Magnifico amava collezionare. Manifattura francese del XiV secolo. Museo degli argenti, Firenze.

104 storica national geographic

cipato alla Prima crociata e che a mani nude avesse scalato le mura di Gerusalemme aprendo un varco alla conquista della città santa da parte dei Crociati.

Ambizioni contrapposte Il controllo della città e l’ambizione di divenire i banchieri del papa erano le finalità sia dei Medici sia dei Pazzi. Già all’epoca di Cosimo de’ Medici, i Pazzi avevano tentato di impadronirsi del potere, ma senza successo. Non era stato proficuo neppure il matrimonio, nel 1459, di Guglielmo Pazzi (nipote di Jacopo Pazzi e fratello di Francesco) con Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo. Una nuova opportunità per strappare il potere all’odiata famiglia parve presentarsi alla morte del figlio e successore di Cosimo, Piero de’ Medici, da tempo malato di gotta. Ma quando ciò accadde, nel 1469,

settecento cittadini sostenitori dei Medici si radunarono in una chiesa per appoggiare la candidatura del figlio Lorenzo. Nel 1470, poco dopo aver conquistato il potere, Lorenzo il Magnifico, intuendo che i Pazzi potevano costituire una minaccia alle sue ambizioni, decise di tramare in segreto per impedire loro di accedere alle cariche pubbliche. Per screditarli non esitò a ricorrere all’ingiuria, tacciandoli di ingratitudine; nel 1475 scrisse al duca di Milano che la famiglia dei Pazzi doveva proprio ai Medici quel prestigio che aveva conquistato a Firenze. A complicare definitivamente la situazione fu, ancora una volta, l’interesse economico. Nel 1476, i Pazzi sfidarono apertamente i Medici sul proprio terreno concedendo, contro il volere di Lorenzo, un ingente prestito al papa Sisto IV per consentirgli di finanziare la campagna militare con cui il nipote Girolamo


contRo I cospIRAtoRI Una Violenta persecUzione Dei pazzi e Dei loro alleati, MassacranDoli

Riario intendeva conquistare la contea di Imola. Alla fine dell’anno successivo Sisto IV, che aveva ormai deciso di fare a meno dei Medici come suoi banchieri di riferimento, tolse loro il monopolio del commercio di allume, insostituibile fissante per la tintura dei panni usato nell’industria tessile, tanto importante per l’economia della città, e lo affidò ai Pazzi. Questa decisione si ripercosse anche sulle numerose attività che le due famiglie avevano fuori città, e persino fuori dall’Italia, come a Bruges o Barcellona. L’altra causa scatenante dell’inquietudine dei Medici fu, nell’ottobre di quell’anno, la nomina di Francesco Salviati, uomo molto vicino alla famiglia dei Pazzi, ad arcivescovo di Pisa: un passaggio obbligato per ottenere la mitria cardinalizia di Firenze (a Francesco Salviati i Medici avevano preferito Rinaldo Orsini per la cattedra arcivescovile fiorentina).

Il castigo dei Pazzi: morte, esilio, confische La persecuzione contro i Pazzi fu impietosa e implacabile. tutti i loro beni furono confiscati, e ai sopravvissuti della dinastia che non subirono l’esilio venne imposto di cambiare il nome familiare e lo stemma araldico. Jacopo de’ Pazzi venne incarcerato per un giorno, subito dopo la fallita congiura, giudicato e impiccato a una finestra. Il suo cadavere, che si salvò dall’essere smembrato dalla folla, fu sepolto nella cappella di famiglia del convento di Santa croce, ma alcuni diffusero la voce che Jacopo era stato un empio e pochi giorni dopo la folla lo dissotterrò e lo fece inumare in terra sconsacrata. due giorni dopo alcuni giovani lo disseppellirono nuovamente e portarono in giro per la città del Giglio i suoi resti, tra gli di casa pazzi, AffRESCO DI ANDREA insulti e gli scherni, e infine lo madonna DEL CAStAgNO (1443). I fIgLI DI ANDREA PAzzI gettarono nell’Arno. SONO AI LAtI DELLA mADONNA. uffIzI, fIRENzE.

Il Magnifico e l’intera città si opposero comunque alla designazione, suscitando molta irritazione in papa Sisto IV che, furibondo, minacciò di scomunica Lorenzo de’ Medici e coloro che lo appoggiavano.

Tempo di rappresaglie In questo clima arroventato si innestò la congiura del 1478. Quest’ultima mise in luce tutte le tensioni fra le principali fazioni politiche della Città del Giglio. Non fu la prima crisi con queste caratteristiche nella storia della città, ma di certo fu la più grave. Si trattava di capire se una sola famiglia avrebbe preso le redini del governo in forma esclusiva, instaurando un principato. Dopo il 26 aprile 1478, non rimase più alcun dubbio al riguardo. Non solo perché la congiura era fallita, ma anche perché i Medici attuarono una feroce repressione contro la storica national geographic

105

SCALA, fIRENzE

CORDON PRESS

il corpo di Jacopo DE’ PAzzI vIENE DISSOttERRAtO DAL POPOLO. DIPINtO DI ODOARDO BORRANI, 1864. muSEO D’ARtE mODERNA, fIRENzE.


SCALA, fIRENzE

raiMondo de’ pazzi il grande dipinto di giulio piatti (1816-1872) raffigura raimondo de’ pazzi nell’atto di lasciare la moglie per unirsi agli altri congiurati. 1837. Museo civico di pistoia.

106 storica national geographic

famiglia dei Pazzi e tutti coloro che li avevano appoggiati nel complotto: una terribile operazione punitiva che mirava ad annientare la fazione degli insorti. Poche ore dopo l’attentato, ma anche nei mesi successivi, furono arrestate e giustiziate decine di cospiratori, compreso Giovan Battista da Montesecco, il condottiero che aveva introdotto un nutrito contingente di soldati nella città, e l’odiato arcivescovo Francesco Salviati. Niccolò Machiavelli scriverà in seguito che “nei giorni successivi all’attentato si susseguirono talmente tante morti che le strade si riempirono di corpi umani”. Bernardo Bandini Baroncelli, l’assassino di Giuliano de’ Medici, raggiunse addirittura Bisanzio, ma lì fu riconosciuto, riportato a Firenze e consegnato alle autorità, che lo condannarono all’impiccagione. Leonardo da Vinci lo ritrasse in un celebre schizzo, mentre

penzolava impiccato da una finestra del Palazzo del Bargello. Coloro che scamparono alla morte furono condannati all’esilio o a lunghi periodi di detenzione. Lorenzo si occupò in prima persona di promuovere una campagna contro la famiglia dei Pazzi e gli uomini della loro cerchia. Non solo il de’ Medici si impadronì di tutte le proprietà e il patrimonio del casato, ma ne cancellò la presenza dai documenti ufficiali e dai monumenti, eliminando qualunque traccia del suo ricordo, una vera e propria damnatio memoriae come si usava già nell’antica Roma (e ancor prima in Egitto). Il Magnifico si impegnò, inoltre, a compiere delle indagini su coloro che, fuori da Firenze e dagli interessi cittadini, avevano cospirato contro la sua famiglia: non tardò a scoprire che il pontefice Sisto IV e il re di Napoli Ferrante d’Aragona avevano manovrato i fili del-


ShuttERStOCk

La cappeLLa deLLa faMigLia pazzi Incastonata nel primo chiostro della basilica di Santa croce, Brunelleschi la progettò nel 1429. non era ancora completa quando avvenne la congiura che mise fine alla famiglia Pazzi e quindi ai possibili abbellimenti della cappella.

storica national geographic

107


SCALA, fIRENzE

l’InImIcIZIA tRA loREnZo E pApA sIsto IV sFocIò nEll’IntERDIZIonE AI sAcRAmEntI DI tuttA FIREnZE giuliano de’ medici RItRAttO DA SANDRO BOttICELLI tRA IL 1478 E IL 1480. ACCADEmIA DI BELLE ARtI g. CARRARA, BERgAmO.

la congiura tramando nell’ombra e inducendo anche la repubblica di Siena e il duca di Urbino Federico da Montefeltro a intervenire in sostegno dei cospiratori. Per Lorenzo la Congiura dei Pazzi fu un evento cruciale. Non solo scampò alla morte e mise al sicuro il potere della propria famiglia, ma poté approfittare dello stato di agitazione che l’attentato aveva generato per rafforzare il suo dominio personale, elevandosi al di sopra della stessa oligarchia che pure lo appoggiava. Una valutazione del genere fu espressa già all’epoca dallo storico Francesco Guicciardini: “Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo Stato e la vita, ma gli dette tanta riputazione ed utilità, che quello dì si può chiamare per lui felicissimo […] ed in effetto si insignorì in modo dello Stato, che in futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potenzia che insino a quello dì era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura”.

Il trionfo di Lorenzo il Magnifico Sia pure appoggiato dai Fiorentini, Lorenzo dovette, tuttavia, affrontare l’ira del pontefice. Questi, pur negando ogni complicità con i congiurati, contrattaccò accusando Lorenzo e Firenze di aver violato l’immunità ecclesiastica per aver trattenuto prigioniero il cardinale Raffaele Sansoni Riario della Rovere, nipote del papa, colui che aveva officiato la messa in occasione della congiura. Lorenzo e i suoi collaboratori vennero scomunicati: il fine del papa era costringere la città ad allontanarli dal governo. Ma ciò non avvenne e tutta Firenze fu colpita dall’interdizione ai sacramenti. Poi, con l’apparente motivazione di liberare la città dalla tirannide di Lorenzo, Sisto IV si alleò con il re Ferrante d’Aragona, con il quale dichiarò guer108 storica national geographic

ra alla Città del Giglio. Malgrado promesse e accordi segreti, Lorenzo non riuscì a ottenere aiuti esterni; tuttavia, si recò personalmente a Napoli e con un’azione diplomatica magistrale, estenuanti trattative e ingenti esborsi in denaro, seppe ottenere dal re Ferrante il ritiro, cui seguì quello degli altri alleati. Nel 1480 Lorenzo tornò così nella sua Firenze rafforzato dal suo successo politico. Resse con pugno di ferro la città, organizzando nel contempo una vasta e complessa rete di relazioni internazionali per la quale si avvalse di una fitta e interessante corrispondenza, uno dei tratti distintivi della sua personalità. Egli non riuscì mai, tuttavia, a godere e a ottenere quel potere assoluto per il quale tanto si era adoperato. La Repubblica non era tramontata e la possibilità di una nuova cospirazione era sempre dietro l’angolo. Quando Lorenzo, divenuto principe senza corona di Firenze, morì nell’aprile del 1492, l’aristocrazia repubblicana aspettò solo un anno prima di iniziare a tramare contro suo figlio Piero, che non aveva ereditato le qualità del padre. Nel 1494, dopo aver spalancato le porte della città al re francese Carlo VIII che stava conquistando la Penisola, questi dovette fuggire da Firenze con i suoi fratelli, per non tornarvi mai più. Paradossalmente, coloro che invece vi rientrarono furono i discendenti dei Pazzi, ai quali un nuovo processo restituì in parte i loro antichi possedimenti e il loro prestigio. Nel frattempo, il nuovo governo approvò un documento in cui si affermava che Francesco e Jacopo Pazzi, i cospiratori, avevano agito sotto la spinta “della brama di libertà per il loro popolo e per Firenze”. Ma anche questo ritorno fu breve, perché nel 1512 i Medici rientrarono a Firenze dopo aver sconfitto i Francesi. Tuttavia l’età d’oro della dinastia medicea, interrotta bruscamente dalla congiura, non sarebbe tornata mai più.


bridgeman / aci

La Morte di giuLiano Il giovane fratello di Lorenzo aveva 25 anni quando venne trafitto dai 19 colpi di spada sferrati da Francesco Pazzi. Illustrazione di tancredi Scarpelli. storica national geographic

109


il principe di machiavelli Borgia incarnò il modello del politico che con cinismo usa tutti i mezzi per governare. Altobello Melone, XVI sec., Accademia Carrara, Bergamo.

ALINIARI / CORDON PRESS

LEEmAgE / PRISmA

fiorino pontificio Coniato in oro, sul verso reca lo stemma, sormontato da tiara e chiavi, di papa Alessandro VI Borgia.


DAGLI ORIT / ART ARchIve

IL FIGLIO DI PAPA ALESSANDRO VI

cESARE bORGIA

Il Valentino tentò con ogni mezzo di trasformare le signorie di romagna in possedimenti personali. I suoi stessi condottieri, appoggiati dai signori, ordirono una congiura contro di lui, ma egli si salvò e la sua vendetta fu spietata josep pAlAu Dottore In storIA


JOHANNA HUBER / fOtOtECA 9x12

palazzo ducale di urbino guidobaldo da Montefeltro, figlio di Federico, perse i suoi domini nel 1502 per opera di cesare Borgia, che saccheggiò la città e confiscò molte delle sue ricchezze artistiche. il duca riprese il potere l’anno successivo.

112 storica national geographic

L

a notte del 24 giugno 1502, il vescovo Francesco Soderini e l’ambasciatore Niccolò Machiavelli giunsero a Urbino. Qui li attendeva il nuovo signore della città nonché l’uomo che all’epoca teneva sospesa l’Italia: Cesare Borgia. Dopo l’incontro, in una lettera alla Signoria di Firenze, Machiavelli confessò: “Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che gli paia piccola, e per gloria e per acquistare stato mai si riposa né conosce fatica o periculo, fassi ben volere a’ suoi soldati: ha cappati e’ migliori uomini d’Italia, le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna”. Anni dopo, Cesare ispirerà a Machiavelli il suo celebre trattato, Il Principe, in cui Borgia appare “capace di ottenere tutto ciò che vo-

leva” e di farlo a qualsiasi prezzo: a patto che la buona fortuna lo accompagni. Dopo la morte del fratello Giovanni, Cesare Borgia fu il predestinato per portare a termine la grande ambizione del padre, Alessandro VI, il papa Borgia: conquistare in Italia un regno temporale per la sua famiglia. Dopo avere tentato di assoggettare Napoli, i due rivolsero le loro mire al cuore stesso degli Stati Pontifici, alla regione della Romagna, che nei loro piani sarebbe dovuta diventare un ducato indipendente governato da Cesare stesso. L’occasione arrivò nel 1499, quando l’esercito francese di Luigi XII conquistò il ducato di Milano, rivendicato come eredità di famiglia. Cesare Borgia partecipò alla campagna, pur pensando alle proprie ambizioni personali. Dopo la caduta di Milano, il Valentino (dal titolo di duca della provincia francese del Valentinois, che gli era stato concesso da Lui


OROnOz / ALbum

LE SIGNORIE “mILItARI” DI ROmAGNA

la città degli artisti la Flagellazione di Cristo (1444), di piero della Francesca, al palazzo Ducale di urbino. I duchi Federico da Montefeltro e suo figlio Guidobaldo furono grandi mecenati.

AgE fOtOStOCK

A

i tempi dei borgia, i principati e ducati di romagna erano profondamente diversi dalle signorie di piemonte, lombardia e toscana. erano in massima parte retti da principi e signori, che assoldavano i propri sudditi, diventando condottieri a servizio altrui, anche del papato: gli ordelaffi a Forlì, i Malatesta a rimini, Cesena, san Marino, fino ad Ancona; i Montefeltro a urbino, i Manfredi a Faenza e Imola. tutti costoro furono vinti e le loro signorie demolite dal Valentino, durante la sua avanzata negli anni 1502-1503. Cesare Borgia, quindi, fondò il suo ducato con le armi dei condottieri e dei mercenari, spianando la via alla riconquista della romagna da parte di Giulio II, che successe ad Alessandro VI.

alessandro vi, papa borgia Il cardinale spagnolo rodrigo Borgia fu eletto pontefice nell’agosto del 1492 e divenne il simbolo della corruzione della Chiesa. Collegiata di jativa (spagna), 1961.

storica national geographic

113


MILANO

C A DI

Brescia

Vicenza

Verona

DUCATO DI MANTOVA

Percorso di Cesare Borgia nel 1502 Via terra Via mare

Mantova

Piacenza

Ferrara

DUCATO DI MILANO Parma

Mirandola

la città degli intrighi a roma, l’immenso potere accumulato da alessandro Vi e da suo figlio cesare suscitò l’avversione di alcune potenti famiglie romane, come gli orsini o i colonna, che alla fine tramarono contro il duca del Valentinois.

VENEZIA

Città conquistate

FERRARA

1502 1503

Modena

RE Bologna Ravenna Imola MA R MODENA DI PUB Forlì A D R I A TI CO GE BL Faenza Rimini NO ICA Cesena VA Pesaro ROMA GNA Fano LUCCA Urbino

MA R

L IG URE

FIRENZE

Lucca

REPUBBLICA DI FIRENZE

Pisa Volterra

SIENA

STATI

REPUBBLICA DI SIENA

Camerino

Perugia

Piombino

Grosseto Orvieto

PONTIFICI Tivoli

ROMA

ROMA Ostia

IL GOVERNO DEL DucA DI ROmAGNA

m

entre si impadroniva delle città della romagna, Cesare Borgia conquistava nuovi sudditi con un governo efficace. lasciò la giustizia e l’amministrazione del ducato nelle mani di Antonio del Monte, che per ordine suo creò la rota, un tribunale supremo di appello per i cittadini della romagna mantenendo al tempo stesso le leggi e i privilegi delle città, il che diede a Cesare grande popolarità. Ma oltre al guanto di seta Cesare usò anche il pugno di ferro. Quando scoprì che ramiro de lorca, suo luogotenente e governatore di rimini, aveva preso parte alla congiura contro di lui, non esitò a farlo decapitare con l’accusa di aver commesso “le crudeltà più inaudite contro la popolazione nell’esercizio del suo incarico”. secondo niccolò Machiavelli, ottenne il ringraziamento degli abitanti della romagna con l’esecuzione di questo “uomo crudele e impetuoso” che “molti detestavano per la durezza del suo dominio”, non diverso da quello dei precedenti signori che avevano terrorizzato la regione.

114 storica national geographic

ARNAUD CHICUREL / gtRES

Ingrandimento

CARtOgRAfIA: EOSgIS.COm

Civitavecchia

gi XII) puntò verso Roma con 6000 soldati, 1800 cavallerizzi e una squadra di artiglieria d’assedio in cui spiccavano i cannoni francesi, di grande calibro. Nel suo cammino, Cesare attaccò e conquistò Imola e Forlì, governate da Caterina Sforza, indebolita dalla cacciata da Milano dello zio Ludovico. Per Cesare, era l’inizio della conquista della Romagna. Alcuni mesi dopo, nell’autunno del 1500, le sue truppe erano pronte per una seconda campagna che avrebbe consolidato il dominio del Valentino nella regione. Accompagnato da alcuni condottieri, Borgia uscì da Roma in ottobre al comando di un potente esercito. Pesaro e Faenza caddero senza quasi opporre resistenza, mentre Bologna e Firenze furono assediate ma non prese, poiché erano sotto la protezione della Francia. Il Valentino aveva ora quasi tutta la Romagna sotto il suo controllo. A maggio del 1501, il


La buona stella del Valentino Mancava ancora da consolidare del tutto il dominio sulla Romagna, e così nel giugno del 1502 Cesare iniziò una nuova spedizione da Roma. Passando vicino a Urbino inviò una lettera al duca Guidobaldo da Montefeltro perché gli permettesse di attraversare i suoi domini. Guidobaldo, uomo senza esperienza militare, cadde nella trappola di Cesare. Borgia, infatti, cambiò improvvisamente strada e diresse le sue forze verso l’indifesa Urbino, che prese senza quasi resistenza, per consegnarla poi al saccheggio dei suoi soldati. Anche la Repubblica fiorentina si era sentita minacciata dall’avanzata di Cesare Borgia e

per questo gli inviò gli ambasciatori Soderini e Machiavelli. Questi, appena giunti a Urbino, pochi giorni dopo la caduta della città, ricevettero dal principe vittorioso un chiaro avvertimento: “Se non mi volete come amico, mi avrete come nemico”. Quanto accaduto a Urbino suscitò scandalo: le ambizioni di Cesare sembravano illimitate e la sua parola infida. Così i suoi comandanti iniziarono a temere che i loro domini sarebbero stati la mossa successiva nel progetto di Borgia e decisero di giocare d’anticipo. Nel settembre del 1502 si tenne una riunione segreta nel castello di Magione, vicino a Perugia, a cui parteciparono i valorosi condottieri Oliverotto, Vitelli e Orsini insieme ai rappresentanti dei signori di Bologna, Perugia e Siena. Fu presa la decisione di uccidere Cesare appena se ne fosse presentata l’occasione e di invadere la Romagna.

lucrezia, sorella o amante i nemici dei Borgia diffusero le voci di una relazione incestuosa tra cesare e la sorella lucrezia, che avrebbe portato all’uccisione del marito di lei. presunto ritratto di Bartolomeo Veneto, XVi secolo.

AkG / ALbum

pontefice Alessandro VI concedeva a Cesare il titolo di duca della Romagna, trasformando così questo territorio in un patrimonio ereditario della famiglia Borgia.

storica national geographic

115


cORbIs / cORDOn pRess

torre guaita, san marino nota anche come prima torre, è la più antica tra le torri che dominano san Marino. tra il 1502 e il 1503, Cesare Borgia occupò la repubblica di san Marino per alcuni mesi.

116 storica national geographic


storica national geographic

117


scALA, fIRenze

mAcHIAVELLI E L’ENIGmA DEL bORGIA

N

eLL’ottobre 1502 niccolò Machiavelli andò incontro a Cesare Borgia a Imola, come ambasciatore di Firenze. per varie settimane, lo storico fiorentino poté osservare il duca mentre i suoi nemici stringevano l’assedio intorno a lui. sorpreso prima dall’assoluta fiducia in se stesso mostrata da Cesare, Machiavelli notò che in seguito si rinchiudeva tutto il giorno nelle sue stanze, circondato da “tre o quattro dei suoi ministri e alcuni stranieri”, di modo che “è impossibile indovinare cosa abbia in mente il duca”. Capì solo più tardi che stava tramando la vendetta attuata alcuni mesi dopo a senigallia, un episodio che riempì di ammirazione Machiavelli: “le azioni del duca sono accompagnate da una buona fortuna eccezionale, così come da un coraggio sovrumano e dalla fiducia nel fatto di poter ottenere tutto ciò che vuole”. niccolò machiavelli RItRAttO DA ROSSO fIORENtINO. CASA DEL mACHIAvELLI, SANt’ANDREA IN PERCUSSINA, fIRENzE.

elmo del xv secolo elmo a rondella, o a becco di passero, di scuola lombarda (XV secolo). per Machiavelli, cesare fu l’emblema del condottiero e del principe. cleveland Museum of art, (Usa).

La situazione di Borgia sembrava disperata. Il suo luogotenente spagnolo Michelotto Corella fu sconfitto a Calmazzo (oggi in provincia di Pesaro e Urbino) e Cesare venne accerchiato a Imola e fu sul punto di cadere nelle mani dei nemici. Ma Borgia non perse la calma. Grazie alla sua rete di spie sapeva da mesi della congiura e si era preparato a fronteggiarla: stabilì una corrispondenza con alcuni cospiratori per creare divisioni tra loro, mentre si procurava l’appoggio di Luigi XII. Le sue manovre diedero frutto e i suoi nemici, presi dalla sfiducia vicendevole, cercarono uno dopo l’altro di riconciliarsi con il duca.

bRIDGemAn / AcI

Il colpo da maestro Cesare coronò l’opera con la sua azione più celebre. Convocò Vitelli, Oliverotto e i fratelli Orsini a Senigallia allo scopo di prendere possesso del castello. Borgia abbracciò come

fossero fratelli i cospiratori. L’unico assente era Oliverotto, ma Cesare gli inviò un messaggero. Borgia voleva che entrassero nel paese con tutti gli onori per celebrare la pace. Così fecero, preceduti dalla cavalleria pesante e dai soldati svizzeri e guasconi. Nonostante i condottieri volessero ritirarsi a riposare, Cesare chiese loro di accompagnarlo nel palazzo signorile, poiché desiderava discutere della strategia futura. Poco dopo aver dato inizio alla riunione, Cesare si assentò con una scusa. Appena uscì, uomini armati si lanciarono sugli invitati e li arrestarono. In seguito, le truppe di Borgia disarmarono anche i seguaci di Oliverotto. Machiavelli, testimone dei fatti, scrisse quella notte: “Secondo me, domani mattina questi prigionieri non saranno vivi”. In effetti, Oliverotto e Vitelli furono strangolati, probabilmente da Corella. Gli altri ex-congiurati furono uc-


scALA, fIRenze

cisi pochi giorni dopo: Cesare aveva così portato a termine la sua vendetta. Città di Castello, Fermo e Perugia, le città dei signori assassinati, si arresero a Borgia, che quindi iniziò il cammino verso Roma. Iniziava a intravedersi il vero obiettivo di Cesare: l’unione del trono di San Pietro al patrimonio dei Borgia. Per questo, il duca aveva bisogno di garantirsi degli alleati a Roma, poiché suo padre era malato e sarebbe potuto morire da un momento all’altro.

Il rovescio di fortuna Cesare aveva calcolato ogni strategia, ma non poté prevedere che alla morte del padre Alessandro VI, il 18 agosto 1503, anche lui sarebbe stato a letto senza forze, colpito dallo stesso male che aveva ucciso il padre, forse malaria o avvelenamento involontario. I suoi nemici approfittarono velocemente della

situazione per attaccarlo e, in pochi giorni, del suo ducato della Romagna restavano solo Cesena, Faenza e Imola. Esausto e disorientato, Cesare appoggiò la nomina di Giuliano della Rovere come papa Giulio II, ricevendo in cambio la promessa di mantenere il comando delle forze papali e i suoi possedimenti nella Romagna. Si trattò di un errore fatale, di cui Machiavelli non tardò a sottolineare l’ingenuità: “Borgia si lascia guidare dalla fiducia imprudente che ha in sé stesso, fino al punto di credere che le promesse di altri sono più leali delle sue”. In realtà, Giulio II non impiegò molto a privarlo della Romagna e a ordinare la sua cattura. Cesare riuscì a fuggire a Napoli e poi in Navarra, ma l’ambito progetto di un regno per i Borgia era fallito. La buona fortuna aveva abbandonato definitivamente il Valentino, che morì in battaglia in Spagna, nel 1507.

il tentato avvelenamento il 6 agosto 1503, dopo cena, il papa e il cardinale castellesi ebbero un malore. si parlò di un tentato avvelenamento del cardinale, ordito dai Borgia e finito male. illustrazione di Jacques Wegrez, secolo XiX.

storica national geographic

119


autoRitRatto DI LEONARDO DA vINCI. BIBLIOtECA REALE, tORINO.

Verso la metà del 1502, Cesare Borgia assunse leonardo da Vinci come ingegnere militare. Questi passò nove mesi da una città all’altra della romagna, impegnato a supervisionare le fortezze e a progettare macchine da guerra per l’ambizioso duca, a cui si pensa fece addirittura un ritratto.

PHOtOAISA

a.

c.

b. schizzi DI mACCHINE DA gUERRA DI LEONARDO.

ALBUm

SCALA, fIRENzE

LEONARDO AL SERVIZIO DI cESARE

ALB Um

Cesare borgia, di famiglia spagnola (Borja), procurò a

L’artiglieria

leonardo aveva realizzato modelli di macchine da guerra sin dall’epoca in cui era al servizio del duca di Milano. cesare Borgia ne utilizzò probabilmente alcune nell’assedio della piccola città di ceri, presso cerveteri, nel marzo del 1503, come “mortai capaci di sparare molteplici proiettili esplosivi, artiglieria mobile di precisione e catapulte in grande scala”.

CORBIS / CORDON PRESS

CORBIS / CORDON PRESS

3.

A tutti i nostri locotenenti, castellani e capitani. Commettemo et Comandamo che al nostro prestantissimo et dilectissimo familiare Architecto et Ingengero Generale Leonardo Vinci dessa ostensore el quale de nostra commissione ha da considerare li lochi et fortezze de li Stati nostri. Adcio che secundo la loro exigentia et suo iudicio possiamo provederli debiano dare per tutto passo libero da qualunque publico pagamento per se et li soi, amichevole recepto et lassarli vedere, mesurare et bene extimare quanto vorra. Ne de questo presuma alcuno fare lo contrario per quanto li sia charo non incorrere in la nostra indignatione. salvacondotto DI CESARE BORgIA REDAttO IN fAvORE DI LEONARDO DA vINCI NELL’AgOStO DEL 1502 E AttUALmENtE CONSERvAtO A vILLA mELzI, vAPRIO D’ADDA (mI).

120 storica national geographic

ALBUm

leonardo da Vinci una lettera di raccomandazione il 18 agosto 1502, con cui gli garantiva che sarebbe stato accolto in tutti i suoi possedimenti, quale suo ingegnere ufficiale.

tRiPlo RitRatto, DI LEONARDO DA vINCI. ARCHIvI ALINARI, tORINO.


1.

schizzi PER L’AffRESCO DELLA BAttAgLIA DI ANgHIARI. BUDAPESt.

Il volto della guerra

2.

CORBIS / CORDON PRESS

lasciato il servizio presso cesare Borgia, verso la metà del 1503, leonardo da Vinci tornò a Firenze, dove il gonfaloniere della repubblica pier soderini gli affidò la realizzazione, a palazzo Vecchio, di una grandiosa scena a tema bellico, La battaglia di Anghiari. l’opera non fu portata a termine, ma i disegni preparatori mostrano un fine studio psicologico e l’acuta percezione dei sentimenti di un soldato in battaglia.

Mappa di Imola

al suo arrivo a imola, alla fine del 1502, leonardo da Vinci tracciò una mappa della città di una precisione straordinaria, in cui sono indicate le vie e le piazze, le residenze e, soprattutto, le mura e i baluardi. sicuramente la mappa si basava su un minuzioso lavoro di misurazione realizzato sul terreno. maPPa DI ImOLA. LONDRA, tHE ROYAL COLLECtION.

4.

Fortificazioni

cesare Borgia dava particolare valore alle conoscenze di leonardo da Vinci in riferimento alla guerra d’assedio. per esempio, il Fiorentino aveva un progetto per una macchina capace di portare 300 combattenti nella parte alta delle mura. leonardo consigliò anche a cesare di adeguare le mura per poter meglio sopportare l’artiglieria moderna.

Il ritratto di Cesare

nessun documento prova che cesare Borgia e leonardo da Vinci si fossero incontrati, anche se è probabile che un incontro ci fu. gli studiosi hanno suggerito che un personaggio ritratto con il gesso rosso nei quaderni dello scienziato corrisponde in realtà a un cesare Borgia prematuramente invecchiato. in un altro quaderno, leonardo cita “una cappa di stile francese che appartenne al duca Valentino”, probabilmente un regalo di cesare.

ALBUm

5.

macchina d’assedio DI LEONARDO DA vINCI. CODICE ATLANTICO.

storica national geographic

121


medaglia in bronzo Realizzata da Leone Leoni nel 1541 come ringraziamento per la liberazione dalla prigionia, mostra l’effigie di Andrea Doria. British Museum, Londra.

ALINIARIfirenze / CORDON PRESS scala,

il regista della congiura Gian Luigi Fieschi, conte di Lavagna, in un ritratto di Cristofano dell’Altissimo. Il dipinto fa parte della Collezione Gioviana. Uffizi, Firenze.


BriTisH MUseUM / scala, firenze

il complotto contro andrea doria

la conGiUra dei fieScHi nel gennaio del 1547, un gruppo di congiurati guidati da Gian Luigi Fieschi, capo di una delle famiglie nobili di Genova, cercò di rovesciare il governo di Andrea Doria con il sostegno del pontefice e della Francia vIttoRIo h. BeonIo BRoCChIeRI pRoFessoRe DI stoRIA MoDeRnA e stoRIA DeL sIsteMA InteRnAzIonALe UnIveRsItà DeGLI stUDI DeLLA CALABRIA


DEA / AgE fOtOStOCk

genova e il suo porto Veduta di Genova nell’anno 1481, dipinto di cristofaro grassi (1565-1598). l’opera riprendeva un quadro del 1488. rispetto all’originale (perduto) il pittore aggiunse i navigli e le migliorie al porto. Museo navale di genova-pegli.

124 storica national geographic

L

a sera del 2 gennaio 1547, nel sontuoso palazzo dei Fieschi, in via Lata, sul colle di Carignano, a Genova, Gian Luigi Fieschi (1523-1547), conte di Lavagna, ha radunato molti esponenti di famiglie nobili. Apparentemente si tratta di un invito a una festa, ma nel palazzo, pieno di uomini armati, regna una strana atmosfera. Ben presto, infatti, Gian Luigi rivela ai suoi ospiti le vere ragioni di questa convocazione, ovvero invitarli a unirsi al tentativo di abbattere il regime “tirannico”, del vecchio ammiraglio Andrea Doria, che dominava incontrastato sulla Superba dal 1528, e del suo erede politico, il nipote Giannettino. Per molti degli ospiti – anche se forse non per tutti – si deve essere trattato di una rivelazione inattesa e sconvolgente. Era infatti di un

progetto estremamente rischioso e il prezzo da pagare in caso di fallimento sarebbe stata senz’altro la vita. Non sorprende che alcuni degli invitati e potenziali congiurati abbiano prudentemente respinto la proposta di Gian Luigi, il quale, altrettanto prudentemente, decise di trattenerli nel palazzo per evitare che divulgassero i suoi progetti.

L’importanza di Genova Il progetto era rischioso non solo per la statura politica delle vittime designate – Andrea Doria in primo luogo – ma anche per le implicazioni di politica internazionale. Genova, alla metà del Cinquecento, non era infatti una città qualsiasi. Insieme a Venezia e Milano era una delle città più grandi e ricche non solo d’Italia, ma d’Europa. Soprattutto era una delle capitali economiche del continente. Da


navano nessuno. Genova faceva ormai parte integrante del “sistema” spagnolo. Sfidare Andrea Doria significava quindi sfidare l’imperatore Carlo V, l’uomo più potente d’Europa e forse del mondo.

Il ruolo della Francia e del papato Per intraprendere un passo così temerario, Gian Luigi Fieschi aveva cercato di assicurarsi una copertura politica e diplomatica adeguata, anche se, ovviamente, non esplicita. L’interlocutore privilegiato era stato naturalmente il re di Francia, Francesco I, che non si era rassegnato alla perdita di Genova e al “tradimento” di Andrea Doria. Questo tradimento era stato uno dei fattori determinanti della sconfitta francese nelle Guerre d’Italia.

francesco i di francia Medaglia in bronzo con l’effigie del sovrano francese, opera di Benvenuto cellini. 1537 circa. Museo nazionale del Bargello, Firenze.

bRIDgEmAN / ACI

tempo gli uomini d’affari genovesi, i cosiddetti hombres de negocios, avevano stretto relazioni particolarmente proficue con i sovrani di Spagna, ai quali del resto, mezzo secolo prima, un loro agente – Cristoforo Colombo – aveva regalato il dominio su un Nuovo Mondo. Inoltre la flotta genovese, la seconda per importanza, dopo quella veneziana, sulla sponda cristiana del Mediterraneo, era uno strumento strategico essenziale nella lotta per il predominio su quel mare. Dal 1528, quando aveva cambiato campo, passando dal servizio del Re Cristianissimo di Francia, Francesco I, a quello della Sua Cesarea Maestà, l’imperatore Carlo V, Andrea Doria era diventato infatti anche il garante della collocazione internazionale di Genova. La Repubblica conservava formalmente la sua indipendenza, ma le apparenze non ingan-

storica national geographic

125


centUrione, il bancHiere dei Sovrani

a

damo centurione fu a lungo

BridgeMan / aci

l’eminenza grigia di Andrea Doria che, stando alle parole di un ambasciatore spagnolo, “non prendeva nessuna decisione senza essersi consultato con lui”. La collaborazione fra i due fu sancita dal matrimonio fra Ginetta, figlia di Adamo, e Giannettino Doria, nipote di Andrea. Adamo fu un uomo d’affari, esponente di primo piano della élite di finanzieri genovesi legata alla corona di spagna (e ai suoi apparentemente inesauribili giacimenti di argento americano). Adamo fu anche un uomo di stato e di mare. nel 1529, al comando di una flotta di galee, si trovò di fronte al temuto corsaro Barbarossa, che però gli sfuggì. L’episodio suscitò sospetti di connivenze col nemico. nei drammatici momenti della congiura dei Fieschi, fu Adamo a mettere in salvo Doria e a riorganizzare le fila disorientate dei sostenitori dell’ammiraglio. villa centurione doria, EDIfICAtA INtORNO AL 1540 DAL bANChIERE DI CARLO V, OggI OSPItA IL muSEO NAVALE DI PEgLI.

Gli emissari della Francia nella Penisola, come il cardinale Trivulzio, ebbero quindi un ruolo di primo piano nell’incoraggiare e sostenere i progetti di Gian Luigi Fieschi.

Le ambizioni dei Farnese E poi c’era il papa. Per quanto possa sembrare poco consono al loro ruolo pastorale, i pontefici del Rinascimento hanno spesso dimostrato una notevole propensione a utilizzare la congiura come arma di lotta politica. Due delle più celebri congiure dell’epoca, quella dei Pazzi contro i Medici a Firenze e, appunto, quella dei Fieschi a Genova, ebbero infatti come promotori, dietro le quinte, due grandi pontefici, rispettivamente Sisto IV della Rovere e Paolo III Farnese. In entrambi i casi il movente fu la difesa degli interessi dinastici delle rispettive famiglie, prima ancora di quelli dello Stato della Chiesa di Roma. 126 storica national geographic

Il motivo di fondo del contrasto fra Paolo III (1468-1549) da una parte e Carlo V e Andrea Doria dall’altro stava nel desiderio del papa di creare uno “Stato” per la sua famiglia. In un primo tempo il papa aveva addirittura sperato che il figlio Pier Luigi venisse investito del Ducato di Milano. In seguito pensò di creare ex novo un ducato nei territori di Parma e Piacenza che in quel momento facevano parte dello Stato della Chiesa. Il progetto era visto con grande ostilità dal governatore spagnolo di Milano, Ferrante Gonzaga, che considerava le due città di pertinenza dello Stato di Milano di cui avevano fatto parte fino al 1513. Anche Andrea Doria non vedeva di buon occhio questa nuova presenza ai confini nord-occidentali della Repubblica di Genova. Tra Farnese e Doria si venne a determinare una sorta di “guerra fredda” che in certi mo-


dea / scala, firenze

l’ammiraglio di genova Ritratto di Andrea Doria, dipinto da sebastiano del piombo su ordine di Clemente vII nel 1526, quando Doria divenne comandante supremo della flotta pontificia. Galleria Doria pamphilj, Roma.

storica national geographic

127


DEA / SCALA, fIRENzE

i fieScHi, fra le famiGlie più potenti di Genova, rifiUtavano Un rUolo SUbalterno ai doria elmo gENOVESE (XVI SECOLO). muSEO NAVALE DI gENOVA-PEgLI.

menti rischiò di trasformarsi in vera e propria guerra aperta. Come accadde nell’estate del 1544, quando Giannettino Doria catturò quattro galee del papa, portandole a Genova, e per rappresaglia Paolo III fece imprigionare alcuni Genovesi: anche se la questione venne in quel momento risolta con un compromesso, la tensione rimase alta.

Per comprendere le ragioni della congiura del 1547 occorre dunque guardare al più generale scacchiere italiano ed europeo. Ma non per questo dobbiamo perdere di vista i conflitti e le tensioni che agitavano la città ligure. Torniamo quindi a Genova e cerchiamo di capire quali motivazioni spinsero Gian Luigi Fieschi a lanciarsi in un’avventura che lo avrebbe portato alla rovina. La conquista del potere da parte di Andrea Doria nel 1528 non aveva portato solo a un cambio di campo di Genova sullo scenario internazionale, ma anche a una profonda trasformazione politica interna. Le Reformationes Novæ del 1528 avevano messo fine alla secolare tradizione genovese delle lotte di fazione, fra nobili e popolari, guelfi e ghibellini, sostenitori della famiglia Adorno o dei Fregoso. Al posto di questa cronica instabilità, venne creata una repubblica aristocratica fondata sull’indiscusso predominio di un ceto dirigente coeso ma ristretto, nel quale confluivano sia famiglie appartenenti all’antica nobiltà, come i Doria, che detenevano ampi feudi nell’entroterra, sia famiglie di origine popolare, emerse più recentemente grazie al commercio o alla finanza, come i Lomellini o i Centurione. Di questa ristretta oligarchia, i Fieschi facevano naturalmente parte a pieno titolo. 128 storica national geographic

DEA / SCALA, fIRENzE

La Repubblica aristocratica

Anzi, erano una delle famiglie più antiche e più potenti. Il loro “Stato” – ovvero l’insieme dei feudi detenuti dalla famiglia nel Levante ligure – era forse il più importante. I loro pessedimenti erano una fonte di reddito, di prestigio e anche di influenza politica e militare, perché proprio dai loro feudi i Fieschi potevano far giungere milizie e partigiani come quelli che affollavano il loro palazzo a Genova nella notte fatale del 3 gennaio 1547. Eppure, nei decenni seguenti, forse anche perché dopo la morte di Sinibaldo, padre di Gian Luigi, nel 1532, non avevano più potuto contare su un esponente prestigioso, la stella dei Fieschi si era un po’ appannata. Non si può parlare di decadenza vera e propria, piuttosto di un relativo declino. I Fieschi, rispetto ad altre famiglie genovesi più intraprendenti o forse più fortunate, avevano perso posizioni. Infatti, famiglie dello


1547: l’anno delle conGiUre

p

ochi mesi dopo la congiura dei Fieschi a Genova, un complotto ordito da alcuni nobili di parma con l’appoggio di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano per conto degli spagnoli, portò all’uccisione del duca di parma e piacenza, pier Luigi Farnese. La quasi concomitanza dei due avvenimenti non fu casuale. La creazione del nuovo ducato era stata avversata da Carlo v e dal suo rappresentante in Italia Ferrante Gonzaga. Come nel caso della fallita congiura Fieschi, la riuscita congiura contro il Farnese non ha solo motivazioni internazionali ma anche interne alle due città. La nuova realtà del ducato indipendente, con al vertice una famiglia estranea alla realtà locale, aveva ridimensionato il potere e il prestigio delle antiche famiglie del luogo. Il principale protagonista della congiura, Giovanni, apparteneva infatti a una di questa famiglie, gli Anguissola. In riconoscimento al suo successo ottenne dagli spagnoli il governatorato di Como.

ferrante gonzaga doMina l’invidia, sTaTUa in Bronzo di leone leoni (Xvi secolo) n piazza Mazzini, a gUasTalla.

stesso rango, come gli Spinola o i Grimaldi, avevano saputo meglio adattarsi alla nuova realtà politica ed economica, riconoscendo il primato politico dei Doria e approfittando delle nuove opportunità offerte dalla crescita economica del Cinquecento e dal legame con la monarchia spagnola.

Un desiderio straordinario di gloria I Fieschi, e in particolare Gian Luigi, scelsero invece un’altra strada, quella dello scontro diretto con i Doria e con la Spagna. In breve, scelsero la strada sbagliata. Per capirne le ragioni non si può prescindere dalla personalità di colui che in quel periodo era il capo del casato, ovvero Gian Luigi. Anche i cronisti e gli storici che non hanno simpatizzato con la sua causa, hanno dovuto riconoscergli notevoli qualità personali. La prima fra queste era però una qualità peri-

colosa, anche se lodevole soprattutto per un aristocratico, ovvero “un desiderio straordinario di accrescere la propria gloria”, come ha scritto uno dei primi storici della vicenda. Era questo desiderio a spingerlo a rifiutare il ruolo, eminente ma pur sempre di secondo piano rispetto ai Doria, che lui e la sua famiglia avevano nella città della Lanterna. E l’oggetto del risentimento dei Fieschi, più che lo stesso Andrea Doria, allora ottuagenario e presumibilmente sul punto di uscire di scena (anche se in realtà l’ammiraglio morì quasi centenario nel 1560), era il giovane erede Giannettino. Con lui il predominio personale di Andrea Doria si sarebbe trasformato in un potere ereditario. A Genova, e non solo, l’insofferenza dei Fieschi nei confronti del predominio dei Doria non era un mistero. Così come non lo erano i contatti intessuti con i Francesi e i Farnese. storica national geographic

129


SCALA, fIRENzE

l’anneGamento di Gian lUiGi ribalta la Scena e il partito di doria riprende coraGGio giovanni andrea doria, INCISIONE DEL fIAmmINgO DOmINICuS CuStOS, DAL SuO AtRIum hEROICum (1602-1604).

Nel 1545 Gian Luigi aveva acquistato dal Pier Lugi Farnese cinque galee e ingaggiato alcune centinaia di armigeri con il pretesto di compiere delle scorrerie ai danni dei Turchi. Ci sarebbe stato di che insospettirsi, e infatti il governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, aveva provato a mettere in guardia l’ammiraglio genovese. Andrea Doria si era tuttavia rifiutato di credere a un pericolo imminente. Pertanto, quanto i congiurati passarono all’azione, Andrea e Giannettino furono colti completamente di sorpresa.

La morte dell’erede I primi obbiettivi dei congiurati sono il controllo di una delle porte della città, per facilitare l’ingresso ai loro sostenitori provenienti dalle montagne, e la conquista delle galee di Andrea ormeggiate nel porto. Porta san Tommaso viene conquistata da Gerolamo Fieschi, mentre lo stesso Gian Luigi si occupa delle galee attraccate. Il successo è inizialmente completo, anche grazie all’effetto sorpresa. Andrea Doria riesce a stento a sottrarsi alla cattura fuggendo a cavallo dalla città, rifugiandosi nel castello di Masone, proprietà dell’altro uomo forte del regime al potere, Adam Centurione. Giannettino invece viene ucciso da un colpo di archibugio mentre cerca di opporsi ai congiurati presso Porta san Tommaso. Giannettino è morto, Andrea è in fuga, Porta san Tommaso e le galee dei Doria sono nelle mani dei congiurati, il cui successo sembra ormai a portata di mano. I sostenitori dei Fieschi percorrono i vicoli di Genova inneggiando alla “Libertà!” ai “Fieschi!” e alla “Francia!”. Negli anni precedenti Gian Luigi si era conquistato un certo seguito nei ceti popolari, soprattutto presso i tessitori di seta, grazie alle sue generose largizioni, e in quel momento sperava di incassare i dividendi di questa 130 storica national geographic

politica demagogica, provocando una sollevazione popolare a sostegno della sua impresa. Tuttavia a questo punto si verifica un imprevisto che ribalta completamente la situazione. Gian Luigi, mentre è impegnato nella conquista delle galee di Doria, cade in acqua, è trascinato sul fondo dal peso dell’armatura e muore annegato. Nel momento decisivo, i congiurati perdono quindi il loro capo carismatico, il leader indiscusso della cospirazione. Il partito dei Doria ritrova invece il coraggio e serra le sue fila. Il popolo non si muove, resta in attesa, e coloro tra i nobili genovesi che avevano esitato e aspettavano di vedere lo svolgersi degli eventi per prendere posizione, capiscono che la congiura, rimasta senza una guida, sta vacillando.

La congiura fallisce In realtà, la maggioranza dei nobili non è favorevole alla cospirazione. I legami economici e politici con la Spagna e l’Impero sono ormai troppo stretti e troppo proficui perché qualcuno sia disposto a metterli a repentaglio con una svolta filofrancese in politica estera. La “tirannia” di Andrea Doria e la perdita, di fatto, dell’indipendenza della Repubblica è un prezzo che tutto sommato il ceto dominante genovese è disposto a pagare senza troppo rammarico. La mattina del 4 gennaio, dunque, gli eventi prendono una piega sfavorevole alla famiglia Fieschi. Tuttavia la situazione è ancora incerta e confusa. I congiurati in armi, comandati da Gerolamo Fieschi, controllano ancora alcune parti della città e delle mura; Andrea Doria è invece assente e si teme un intervento francese o dei Farnese. I maggiorenti fedeli al regime dei Doria non vogliono quindi correre rischi e preferiscono trattare. Gerolamo ottiene dunque di potersi ritirare indisturbato nel castello di Montoggio, nella


MarK sUnderland / age foTosTocK

il palazzo ducale Il desiderio di disporre di una sede che mantenesse il governo al riparo da intrighi e colpi di stato spinse il senato genovese a fare ristrutturare, nel 1591, il palazzo Ducale della cittĂ . storica national geographic

131


doria definì qUello dei fieScHi il maGGior tradimento mai commeSSo

valle Scrivia, sull’Appennino, roccaforte dei Fieschi, dove poco dopo lo raggiungono altri complici. Sembra che si possa arrivare a un compromesso fra i due partiti.

L’ammiraglio Andrea Doria è al contrario molto meno accomodante. Nella lettera che scrive il giorno seguente all’imperatore Carlo V per informarlo di quanto accaduto, definisce quello di Gian Luigi Fieschi “il maggior tradimento che sia mai stato usato da alcun’altra persona scelerata”. Il giovane Fieschi era stato un protetto di Andrea Doria dopo la morte del padre Sinibaldo e Gian Luigi aveva frequentato il suo palazzo, mostrando per l’ammiraglio, almeno apparentemente, il massimo rispetto. Inoltre, c’è il dolore per la morte di Giannettino, che per Andrea non era solo un erede politico ma quasi un figlio. E forse soprattutto c’è l’orgoglio ferito per essersi lasciato sorprendere e per essere stato costretto alla fuga. A più riprese Andrea aveva respinto gli avvertimenti che gli erano giunti, assicurando che il suo potere su Genova non correva alcun rischio. I fatti lo avevano però clamorosamente smentito. Tutti questi elementi spinsero l’ammiraglio a una terribile vendetta, sui vivi e sui morti. A Gian Luigi Fieschi venne negata persino una sepoltura cristiana. Il suo corpo, ritrovato quattro giorni dopo la morte, venne ributtato in mare. Gerolamo Fieschi venne giustiziato il 12 luglio 1547, quando il castello di Montoggio venne finalmente espugnato. Il palazzo Fieschi a Genova venne demolito mentre i vasti possedimenti della famiglia nell’entroterra ligure furono confiscati. Quella che per secoli era stata una delle famiglie più prestigiose e potenti della città, una famiglia che aveva anche dato ben due papi alla Cristianità, venne per sempre cancellata dalla storia. 132 storica national geographic

SCALA, fIRENzE

La vendetta di Andrea Doria


il pontefice e i nipoti papa paolo III ritratto con i nipoti, il cardinale Alessandro (detto il Giovane) e ottavio Farnese, opera (1545-1546) di tiziano. Museo nazionale di Capodimonte, napoli.

storica national geographic

133


lo stemma di famiglia Nel Salone degli Stemmi del castello di Torrechiara (in provincia di Parma) è presente, tra i molti simboli araldici affrescati sulle pareti, anche il blasone di Pio IV, appartenente al ramo lombardo dei Medici.

ALINIARI / CORDON PRESSamBrosiana / scala, FirenZe Veneranda BiBlioteca

ritratto di pio iv Giovanni Angelo Medici, papa Pio IV, ritratto da Giuseppe Franchi (1565-1628). Il dipinto venne donato nel 1618 dal cardinale Federico Borromeo alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.


dea / scala, FirenZe

nella roma controriformista

la congiura contro il papa Pio IV aveva idee rivoluzionarie per l’epoca, volte a tentare un dialogo con i protestanti: il matrimonio per i sacerdoti e la comunione con il vino per i fedeli. Furono forse queste proposte a turbare gli animi dei cospiratori ElENA BoNorA ProFESSorE dI STorIA ModErNA, UNIVErSITà dI PArMA


GONZALO AZUMENDI / AGE fOtOStOCk

basilica di san pietro Dopo la morte di Michelangelo, nel 1564, pio iV affidò la prosecuzione dei lavori della cupola a Jacopo Barozzi detto il Vignola, che ebbe tempo di iniziare solo le due cupole minori, finite da giacomo Della porta.

136 storica national geographic

L

a congiura contro Pio IV fu organizzata a Roma alla fine del 1564. Fu una piccola congiura, ma sullo sfondo aveva le grandi trasformazioni che stavano investendo la Chiesa e la distribuzione del potere al suo interno. La capitale del papa era allora una città ancora profondamente medievale. Entro le mura aureliane, larghe aree disabitate si alternavano a zone popolose, alle antiche basiliche, ai teatri e alle rovine dei fori. I lupi si aggiravano intorno alle mura del Vaticano; sotto il Campidoglio, cuore della città antica, c’era un grande pascolo; la mole possente del Colosseo si ergeva in mezzo al fango e all’erba. Poche erano le strade pavimentate, molte quelle invase dalle acque sporche e dalle immondizie gettate sulla via da macellai e pescivendoli. La basilica di San

Pietro era in costruzione, senza cupola e circondata dalle impalcature. La piazza, ancora priva del colonnato del Bernini, era una spianata senza forma definita. Roma non era ancora la capitale del mondo cattolico splendida di marmi e fontane, ornata di obelischi egizi e delle chiese grandiose dei nuovi ordini religiosi. Il papa non era ancora la figura sacralizzata e distante intorno al quale si sarebbero addensati i simboli e le cerimonie della Controriforma.

Un drappello particolare La mattina del 7 novembre 1564 sei personaggi si incamminarono verso il Vaticano per assistere all’udienza papale. Erano tutti ben vestiti ma avevano provenienze sociali diverse: Antonio Canossa e Taddeo Manfredi erano eredi di grandi famiglie che avevano


perso la loro fortuna e i loro Stati. Il conte Canossa era un giovane colto che sapeva il latino; la sua antica casata vantava origini da Matilde, la principessa che cinque secoli prima aveva governato su mezza Penisola trattando da suoi pari pontefici e imperatori. Il conte Manfredi era uomo d’arme e discendente da signori di Romagna. Avevano entrambi meno di trent’anni ed erano pieni di debiti. A Roma speravano di rientrare in possesso di parte dei loro beni grazie alle cause pendenti presso i tribunali del papa. Tutt’altra presenza era quella del cavalier Gian Giacomo Pelliccione: con la sua barba rossa si aggirava per i quartieri popolari di Roma armato di spada e vestito di velluto nero, spacciandosi per figlio del re di Cipro. In realtà era un soldato disoccupato dopo la pace che nel 1559 aveva segnato la fine delle

guerre d’Italia e sancito il dominio spagnolo sulla Penisola. Pelliccione era un avventuriero, ricercato dai veneziani per aver fabbricato zecchini falsi in laguna in combutta con alcuni “alchimisti ladri”, gaglioffi come lui. Il drappello era guidato dal fiorentino Benedetto Accolti. L’Accolti era un uomo maturo, tanto brutto quanto affascinante. Quando parlava era un torrente in piena, e di cose ne aveva da dire, perché aveva letto un mucchio di libri, in greco e in latino. Figlio bastardo di un cardinale, aveva rifiutato la carriera ecclesiastica. Da giovane aveva per un po’ studiato legge all’università per accontentare i suoi parenti, poi aveva abbandonato. Aveva lavorato nelle stamperie veneziane, aveva letto Erasmo da Rotterdam e i libri luterani, discusso la Bibbia e la Divina commedia con teologi, filologi e uomini di lettere in Italia, in storica national geographic

137


DAGLI ORtI / ARt ARChIvE

filippo ii di spagna il sovrano spagnolo, qui in un ritratto di tiziano, interpretò il suo ruolo e quello della spagna come principali difensori dell’ortodossia cattolica. palazzo Barberini, roma.

138 storica national geographic

Francia e in Svizzera. Era stato anche ricercato per eresia dall’Inquisizione per aver liberamente predicato e spiegato le Sacre scritture. Da qualche tempo si atteggiava a visionario e profeta, e a Roma era conosciuto come tale.

La congiura fallisce Tutti i membri di quel gruppetto eterogeneo (oltre a Canossa, Manfredi, Pelliccione e Accolti c’erano altri due personaggi di più modesta condizione) nascondevano tra gli indumenti spade e pugnali, tra cui uno stiletto avvelenato. Ma il 7 novembre non riuscirono ad assassinare il pontefice: Benedetto Accolti, che per primo doveva affondare la lama nel fianco del papa, disse di aver atteso un segno divino che lo confermasse nel suo progetto, però il segno non era arrivato. I congiurati avevano così organizzato un altro incontro con Pio IV per il 14 dicembre grazie all’aiuto

di un coppiere. Tuttavia prima dell’alba il cavalier Pelliccione denunciò i suoi compagni. Ci volle del tempo prima che quest’uomo armato, presentatosi nel cuor della notte a Palazzo, fosse ricevuto da Pio IV che lo ascoltò allibito. I bargelli furono subito mandati ad arrestare i congiurati che dormivano nel palazzo del Manfredi. La mattina stessa iniziò il processo, segreto e rapido, davanti al Tribunale del governatore che si occupava dei crimini di lesa maestà. Il giudice doveva agire in fretta: non si sapeva quanto in alto né sin dove arrivassero le maglie della congiura. Occorreva proteggere Pio IV dai pericoli esterni e da quelli interni. Da soldati e armati ma anche da coppieri, scalchi, servitori, tutti uomini molto vicini al corpo del papa, che potevano avvelenarlo o colpirlo con un pugnale. Il più autorevole tra i cospiratori – il conte Canossa – era fuggito. Fu arrestato quattro giorni più tardi, nella casa di una prostituta vicino a piazza del Popolo, mentre avvolto in una coperta cercava di fuggire per i tetti. Interrogati a lungo, i prigionieri confessarono di essersi uniti a Benedetto che aveva un disegno tratto dai suoi sogni, da lui orgogliosamente chiamati visioni. Volevano uccidere Pio IV per far spazio all’avvento della vera Chiesa nascosta, guidata da un “papa angelico”, “divino e onto”. Un papa buono con la barba e i capelli bianchi annunciato dalle profezie trovate nei libri e sugli antichi affreschi di alcune chiese romane. Durante gli interrogatori, Benedetto continuò a ripetere di riconoscere l’autorità pontificia, ma di esser convinto che Pio IV non fosse il vero papa. Lottò a lungo per impedire che gli attribuissero l’etichetta di eretico, trasformandolo in uno di quei luterani per i quali tutti i pontefici erano figure dell’Anticristo. Ovviamente alle autorità giudiziarie non interessavano le visioni di Benedetto: volevano sapere i nomi dei mandanti, degli “uomini grandi” che stavano dietro all’iniziativa dei congiurati. Il fatto è che la loro non era una semplice congiura per veleno, ma un vero e proprio attentato che doveva consumarsi alla luce del giorno. E quindi, o erano dei folli kamikaze convinti di essere il braccio armato di Dio, oppure sapevano di poter contare su aiuti concreti dall’esterno. Molti indizi suggerivano che non avessero


scala, FirenZe

lo scenario della congiura la Stanza della Segnatura, parte delle Stanze di raffaello (che ne realizzò la decorazione tra il 1508 e il 1511), era il luogo designato dai congiurati per l’assassinio di Pio IV.

storica national geographic

139


malgrado le torture i cospiratori non rivelarono i nomi dei mandanti

affrontato l’impresa da martiri. Al contrario, erano pieni di speranze per il futuro della Chiesa e per il loro personale; avevano organizzato vie di fuga e fatto generose promesse di doni e favori ad amici e conoscenti. Per giorni e giorni i prigionieri furono interrogati mentre un notaio metteva per iscritto le loro deposizioni. Registrò persino le urla mentre venivano torturati, strattonati e storpiati con la corda. Nessuno di loro rivelò i nomi dei mandanti e così furono condannati a morte, tranne il cavalier Pelliccione, il traditore, che fu liberato con un compenso. Di lui non si seppe poi più nulla.

Proviamo ora a scostarci dalle domande che interessavano il giudice (chi c’era dietro la congiura? chi erano i mandanti?) e analizziamo i fatti da storici, ossia contestualizzando. Chiediamoci che cosa significasse per un uomo del Cinquecento assassinare il papa; sarebbe infatti un errore imperdonabile pensare che quel gesto avesse allora lo stesso significato che avrebbe oggi. Qualche risposta potrebbe venire dai trattati dell’epoca. Ma sarebbero risposte teoriche. Le deposizioni raccolte nel corso del processo permettono di rispondere in modo meno astratto. Ci raccontano chi fosse Pio IV per gli abitanti di Roma, come si parlava del pontefice per le strade e nei palazzi dei potenti che i congiurati, abituati a vivere di espedienti e dell’ospitalità di qualche ricco conoscente, avevano frequentato. Le carte del processo riportano le conversazioni intrattenute nelle corti con cardinali e ambasciatori, ma anche con segretari, camerieri e cavallari al loro seguito. Fuori dalle corti, restituiscono le voci di mercanti, capitani e uomini d’arme provenienti da tutta Italia di cui era affollata Roma, giù giù sino a spadari, ladri, osti, donne del popolo e chierici spiantati dediti a magie. Il risultato è diverso da quello che ci sarem140 storica national geographic

kAOS / fOtOtECA 9X12

La “bestia travestita”


castel sant’angelo Nel 1561, a causa dell’ampliamento del quartiere di Borgo, Pio IV diede ordine di realizzare un nuovo tratto di mura, che raggiunse il bastione settentrionale di Castel Sant’Angelo.

storica national geographic

141


la satira contro la chiesa

L

e illustrazioni satiriche contribuirono a

dare alla riforma il sostegno popolare che fu la chiave del suo successo. lutero poté contare sull’appoggio del suo grande amico lucas Cranach il Vecchio, che aiutò spesso il riformatore e le cui incisioni rispecchiano bene lo spirito della riforma; in particolare, quelle satiriche contro il papato illustrano perfettamente le critiche caustiche e feroci di lutero; l’incisione riprodotta, di Cranach, mostra il divario tra la virtuosa Chiesa protestante e la corrotta Chiesa cattolica.

1  Cristo, l’unico mediatore

contro il ruolo di mediazione della Vergine e dei santi per la salvezza, lutero asserì il principio della “sola fede, sola grazia”. non vi era quindi spazio per le opere.

1

2  Dal sacerdote al pastore

il principio del “sacerdozio universale dei credenti” comportò il passaggio dal sacerdote al pastore, che condivide i compiti con i membri della comunità.

3  Il ruolo della Bibbia

per la chiesa luterana, la Bibbia è l’unica fonte di conoscenza di Dio (sola scriptura) e di istruzione nel cammino verso la salvezza.

4  Il buon predicatore

per lutero, il sermone aveva un ruolo fondamentale, per cui insistette molto sulle qualità del predicatore, tra le quali una mente lucida e una buona eloquenza.

5  La falsa predicazione

il diavoletto che sussurra al monaco sottolinea la differenza tra una predicazione fondata sulla Bibbia e quella cattolica, affidata a sacerdoti di incerta moralità.

2

6  Opere per la salvezza

nel mondo cattolico, le opere compiute erano parte integrante per la salvezza, ma l’incisione ne mostra l’inutilità: il monaco viene infatti ignorato da Dio.

7  I cattivi sacerdoti

8  La vendita delle indulgenze

attraverso questa pratica, condannata da lutero, i vivi potevano abbreviare la propria permanenza e quella dei parenti defunti nel purgatorio.

142 storica national geographic

BPk / SCALA, fIRENZE

l’incisione è una critica feroce a un clero che non sembra credere a quanto predica: ecco membri del clero con carte da gioco o maschere carnevalesche.


6

4

5

3 7

8

storica national geographic

143


SCALA, fIRENZE

filippo ii, i gesuiti e l’inquisizione osteggiavano apertamente le idee del papa michelangelo buonarroti, RItRAttO DI JACOPINO DEL CONtE. CASA BUONARROtI, fIRENZE.

mo aspettati. Dal processo emerge tutto un mondo fatto di immagini e opinioni secondo le quali Pio IV era un “manigoldo”, un “asino”, un “ribaldo”, un “tiranno”, un “cornuto caprone”, una “bestia travestita”. Di questi discorsi non è importante stabilire se coglievano la verità. Chiacchiere, convinzioni e voci diffuse ci interessano perché rispecchiano la percezione che i contemporanei avevano dei fatti. Fanno parte della realtà storica, sono esse stesse dei fatti.

Il papa rivoluzionario Dalle testimonianze processuali emerge l’esistenza di un clima di grave delegittimazione intorno al pontefice regnante, lo stesso che aveva portato i congiurati ad affermare che Pio IV non era il vero papa. Da dove traeva origine tale delegittimazione? Non dagli attacchi dei protestanti né dalla propaganda riformata, ma dall’interno del mondo cattolico. Il milanese Pio IV era stato eletto nel 1560. Il suo pontificato durò cinque anni, inserendosi tra quelli di due papi inquisitori. Il predecessore, Paolo IV (1555-59), era stato a capo del Sant’Ufficio sin dalla sua fondazione nel 1542. Il suo successore, il domenicano Pio V Ghislieri (1565-1572), era il Sommo Inquisitore, una carica creata apposta per lui da Paolo IV. Il pontificato di Pio IV, il papa che i congiurati volevano assassinare, costituì una parentesi rispetto alla linea ideale che legava due papi intransigenti, da sempre impegnati nella rigida difesa dell’ortodossia e nella lotta contro il dissenso religioso. Pio IV, che non era frate e non si era formato nella militanza antiereticale, aveva portato in curia un’aria nuova rispetto alle posizioni intolleranti che l’Inquisizione andava imponendo ai vertici della Chiesa. Chiuso il Concilio di Trento, aveva tentato di aprire una finestra di dialogo con il mondo protestante. Nel far questo 144 storica national geographic

stava incontrando ostacoli insormontabili. Proprio perché disposto a un certo pragmatismo, Pio IV perseguiva un progetto che ancora oggi suona rivoluzionario: voleva accordare due concessioni nei Paesi dove si era diffusa la Riforma protestante. Più precisamente, era sua intenzione concedere la comunione con il calice ai fedeli e il matrimonio ai preti. Con la prima si sarebbe data la possibilità ai laici di bere il vino durante la comunione, una pratica molto diffusa in Germania e in Boemia ancor prima di Lutero, ammessa dai protestanti. Non dimentichiamo che per gli uomini dell’epoca i riti religiosi e le devozioni erano estremamente importanti; i fedeli che oltralpe si vedevano rifiutare il calice nelle chiese cattoliche, andavano perciò a fare la comunione in quelle protestanti pur di non rinunciare alle antiche abitudini che li avevano messi in relazione con il sacro. L’altra concessione, che suonava ancor più scandalosa, avrebbe permesso ai sacerdoti che, seguendo Lutero, si erano ammogliati o accompagnati, di rientrare nel grembo della Chiesa senza rinunciare alle loro donne. Si trattava di scelte pragmatiche e di soluzioni transitorie che non intaccavano i dogmi e le dottrine, né erano vietate dalla Bibbia. Ma in questo progetto di conciliazione Pio IV aveva degli oppositori formidabili: Filippo II re di Spagna, l’Inquisizione e i gesuiti. L’identità della monarchia ispanica si era costruita contro musulmani ed ebrei all’insegna dell’intolleranza verso minoranze religiose. Il rifiuto di ogni compromesso con gli eretici e l’intransigente difesa di un’identità cattolica non modificabile né negoziabile erano posizioni che la potente Inquisizione romana, e soprattutto il Sommo Inquisitore Ghislieri, erano pronti a far valere non solo contro i protestanti, ma anche contro il papa. I mormorii a mezza voce che Pio IV fosse diventato “semiluterano” a causa delle concessioni che


scala, FirenZe

la porta del pontefice la facciata interna di Porta Pia, fatta edificare da Pio IV tra il 1561 e il 1565 su disegno di Michelangelo, in sostituzione della Porta Nomentana.

storica national geographic

145


DEA / SCALA, fIRENZE

la morte di pio iv il cardinale carlo Borromeo al capezzale di pio iV morente, antello di vetrata realizzata per il Duomo di Milano da pompeo Bertini. Veneranda Fabbrica del Duomo, Milano.

voleva accordare echeggiavano in quegli anni nelle lettere dei gesuiti in Germania, alla corte spagnola e nei corridoi curiali, dove alle concessioni si oppose il cardinal nepote Carlo Borromei, per rimbalzare e dilagare verso il basso per tutta Roma. In altre parole, il re di Spagna, il Sommo Inquisitore e i gesuiti si ersero allora a custodi delle verità della Chiesa contro il vicario di Cristo.

Una punizione feroce Possiamo ora capire in quale contesto era maturata la congiura del ’64 contro Pio IV. Un papa isolato, contro il quale si era scatenata da tempo un’opposizione feroce che era giunta ad avanzare sospetti d’eresia nei suoi confronti pur di fermarlo. La solitudine politica di Pio IV fu lo sfondo sul quale prese forma il gesto dei congiurati. Non sappiamo chi li avesse materialmente armati, né i giudici riuscirono 146 storica national geographic

ad appurarlo, sebbene l’esistenza di autorevoli protezioni emergesse più volte nel corso del processo. Sappiamo che Pio IV li punì in modo esemplare. La sentenza fu eseguita il 27 gennaio 1565. L’Accolti, Manfredi e Canossa furono legati su tre carretti alti un palmo da terra e trascinati per la città. Furono poi ricondotti sulla piazza del Campidoglio dove era stato montato un palco sul quale, l’uno dopo l’altro, il boia li colpì con una mazzata alla tempia. Furono poi scannati con il taglio alla gola come vacche, e infine squartati con l’apertura del torace. Alla fine di quello stesso anno, la morte di Pio IV per cause naturali segnò la fine della sua politica di concessioni, che cadde nell’oblio anche sul piano storico. L’inflessibile Sommo Inquisitore, il domenicano Ghislieri, divenne papa con il nome di Pio V. Fu l’unico pontefice del Cinquecento a essere proclamato santo.


scala, FirenZe

la casina di pio iv Nota anche come Villa Pia, è stata realizzata per volere di papa Paolo IV all’interno dei Giardini Vaticani. Alla sua morte fu terminata sotto Pio IV, che ne fece un ambiente di ricreazione e rappresentanza.

storica national geographic

147


concerto d’arpa a corte Maria Antonietta di Francia suona l’arpa nei suoi appartamenti di Versailles dinnanzi a una ristretta corte di nobili. Tempera su carta di J.-Fabien Gautier Dagoty, XVIII secolo, Versailles.

bridgeman / aci

placca in bronzo dorato Dettaglio dal celebre serre-bijoux (mobile portagioie) in ebano, vetro, bronzo dorato e porcellana realizzato per Maria Antonietta dall’ebanista francese J.-F.Schwerdfeger. 1787, Versailles.


art archive

IntrIghI alla corte dI FrancIa

la collana della regIna Nel 1785 Maria Antonietta di Francia fu coinvolta, forse a sua insaputa, in una truffa perpetrata per appropriarsi di un prezioso collier di diamanti. Lo scandalo screditò gravemente la monarchia, preparando il terreno per la Rivoluzione MARÍA LARA MARTÍNEZ uNIVERSITà NAZIONALE DI EDuCAZIONE A DISTANZA DI MADRID


bridgeman / aci

figlia di maria teresa d’austria Maria antonietta d’asburgo lorena in un ritratto a olio firmato dalla pittrice Élisabeth Vigéele Brun: la regina era figlia dell’imperatrice Maria teresa d’austria.

150 storica national geographic

U

n evento senza precedenti, un cardinale truffatore, la regina implicata in una truffa… Quanto fango sul pastorale e sullo scettro! Che trionfo per le idee di libertà!”. Così l’avvocato Fréteau de Saint-Just, deputato liberale durante la Rivoluzione francese, esprimeva nel 1785 la sua indignazione per quello che sarebbe passato alla storia come “lo scandalo della collana”. Fu una vicenda di cortigiani corrotti, di ladri, prostitute e truffatori: un intrigo che macchiò l’immagine della monarchia, accendendo gli animi contro la famiglia reale e dissodando il terreno per la Rivoluzione del 1789. La protagonista della truffa fu una donna di 29 anni, Jeanne de Saint-Rémy de Valois,

ascesa agli onori della vita di corte dopo una giovinezza di povertà. Nata nel 1756 a Fontette, nella Francia nordorientale, durante l’infanzia era giunta a mendicare scalza per le strade del suo paese tenendo sulle spalle la sorellina. A poco più di vent’anni conobbe un ufficiale della Gendarmerie, Nicolas de La Motte, e lo sposò. I due avevano in comune i pochi soldi e le pretese origini aristocratiche: se il rango nobiliare di Nicolas era dubbio, la discendenza del padre di Jeanne dalla dinastia reale francese dei Valois era invece assodata. Fu proprio il padre di Jeanne, poco prima di morire in totale indigenza, a ordinare alla figlia di restituire alla sua famiglia i beni e l’onore perduti: una promessa della quale Jeanne non si sarebbe mai dimenticata. Grazie a una benefattrice, la marchesa di Boulainvilliers, Jeanne poté studiare in collegio e,


akg / album

colloquIo In gIardIno Per convincere il cardinale di Rohan della sua intimità con Maria

Antonietta, Jeanne de Valois gli organizzò un incontro con la regina – in realtà una sosia pagata per fingersi tale – nei giardini di Versailles. Durante il breve colloquio, il cardinale si inginocchiò ai piedi della presunta sovrana, che gli fece intendere di voler dimenticare gli screzi del passato. L’incontro tra la finta maria antonietta e il cardinale di rohan in una stampa tratta da un’edizione ottocentesca di la collana della regina, romanzo storico di alexandre dumas.

più tardi, accedere agli ambienti di corte, dove si spacciò per contessa – per la precisione la contessa de la Motte Valois – e fece credere a tutti di essere vittima di un’ingiustizia a causa della quale aveva perso tutti i suoi beni.

Il cardinale vanitoso Fu durante una delle sue tante visite a Versailles che Jeanne conobbe il cardinale di Rohan, ex ambasciatore francese a Vienna e insignito del titolo di Grande elemosiniere di Francia –l’ecclesiastico che sovraintendeva alla cappella privata del re. Rohan era un uomo vanitoso, frivolo, superstizioso, ingenuo; di lui era nota l’assiduità con cui frequentava le sessioni di spiritismo organizzate a Parigi dall’alchimista siciliano Cagliostro. Jeanne pensò che sarebbe stato una vittima perfetta per i suoi piani. Quando scoprì che il

più grande desiderio di Rohan era recuperare i favori di Maria Antonietta – persi a causa di alcune maldicenze nei confronti di Maria Teresa d’Austria (madre della regina) pronunciate quand’era ambasciatore a Vienna – le venne l’idea di spacciarsi per confidente della sovrana, e offrirsi come mediatrice di una possibile riconciliazione. Iniziò allora a trasmettere a Rohan finti messaggi di Maria Antonietta, accompagnati da richieste di denaro che il cardinale si prestò volentieri a soddisfare. Organizzò anche, a Versailles, un presunto incontro tra il cardinale e la regina; in realtà la donna che ricevette il cardinale era una prostituta vestita come la sovrana e istruita dal marito di Jeanne.

i ritratti sul ventaglio Ventaglio di scuola francese con i ritratti dei personaggi coinvolti nel cosiddetto “scandalo della collana”. 1786, Musée carnavalet, parigi.

brid

storica national geographic

151

gem

an /

ac i


il petit trianon di versailles Fatto costruire da luigi XV a Versailles per l’amante Madame de pompadour, questo piccolo palazzo in stile classicheggiante fu poi donato da luigi XVi alla moglie Maria antonietta. nella foto, una sala del palazzo.

152 storica national geographic

Dopo questo colloquio, il cardinale di Rohan si affidò totalmente a Jeanne de Valois, che non mancò di approfittarne. A quell’epoca i due gioiellieri di corte, Charles Boehmer e Marc Bassenge, vivevano anni difficili. Nel 1774 avevano creato un superbo collier di diamanti per Luigi XV, che voleva donarlo alla favorita Madame du Barry. La morte del re aveva mandato a monte l’affare e gli orafi non erano più riusciti a vendere il pezzo, valutato quasi due milioni di livres (la moneta francese dell’epoca). Si stavano ormai rassegnando a disfare la collana e venderne separatamente le pietre quando, nel gennaio del 1785, entrò in scena la contessa de La Motte. Non appena vide la favolosa collana, a Jeanne balenò nella testa un’idea diabolica: avrebbe convinto Rohan che la regina Maria Antonietta desiderava acquistare il collier in segreto, e che lui avrebbe dovuto offrirsi come

mediatore dell’operazione, anticipandone il pagamento. Con l’aiuto del suo amante, Rétaux de Villette, falsificò una lettera nella quale la regina spiegava che non poteva acquistare personalmente il gioiello, e quindi gli chiedeva di comprarlo a suo nome promettendogli di pagarlo più tardi. Come era prevedibile, il cardinale abboccò alla truffa e firmò con i gioiellieri un contratto che lo impegnava a pagare la collana in quattro rate da 400.000 livres ciascuna. Il 1o febbraio i gioiellieri consegnarono la collana a Rohan, che subito si recò a casa della contessa La Motte. Jeanne lo ricevette in una stanza buia, nella quale poco dopo entrò un uomo – Rétaux de Villette – vestito con una livrea; Rohan, credendolo un valletto della regina, gli consegnò il collier, dopodiché tornò a Versailles convinto di essersi ormai definitivamente meritato la fiducia di Maria


art archive

Antonietta. Ma non appena si fu allontanato, Jeanne, il marito e l’amante smontarono la collana: Jeanne s’impossessò di varie pietre per farne dei monili a uso personale; anche Rétaux ricevette diverse gemme, mentre Nicolas, il marito di Jeanne, partì poco dopo per Londra dove vendette i suoi diamanti.

Sotto processo per truffa Nel frattempo, il cardinale di Rohan partecipava a tutti i ricevimenti di Versailles, ansioso di vedere la regina indossare il lussuoso collier e fargli qualche gesto di gratitudine per la sua mediazione; ma della collana non vi era traccia, e Maria Antonietta si mostrava schiva come sempre nei suoi confronti. Jeanne si inventava una scusa dietro l’altra per tranquillizzare il cardinale, e intanto cercava di convincere i gioiellieri a posticipare la data di pagamento della prima rata. Alla fine

La coLLana da cui ebbe origine lo scandalo del 1785 era un meraviglioso collier composto da quattro cascate di diamanti, che copriva tre quarti del collo e si chiudeva con nastri di seta. Era formato dal 647 pietre per 2800 carati complessivi. Fu valutato quasi due milioni di livres, un valore corrispondente a quello di circa 500 chili d’oro. riproduzione del collier all’origine dello scandalo del 1785: era stato creato nel 1774 dai gioiellieri boehmer e bassenge per l’ultima favorita di luigi xv, madame du barry.

Boehmer e Bassenge, insospettiti, decisero di recarsi a corte dove, non potendo parlare con la regina, si confidarono con Madame Campan, una dama di compagnia. Quando Maria Antonietta seppe dell’accaduto, andò su tutte le furie. Il 15 agosto 1785, mentre si accingeva a celebrare messa nella cappella reale, il cardinale di Rohan venne arrestato. Stessa sorte toccò poco dopo a Jeanne de Valois, e così pure a Giuseppe Cagliostro (accusato da Jeanne di essere complice dell’inganno) e alla prostituta che si era spacciata per la regina. Luigi XVI avrebbe potuto risolvere la questione discretamente, ma era così indignato per l’offesa arrecata alla moglie che volle rendere pubblico il processo. Fu un errore politico clamoroso, in quanto il processo trasformò una semplice truffa in un affare di Stato.

porcellana di sèvres piatto a decori floreali in porcellana di sèvres appartenente a un servizio da tavola realizzato nel 1784 per Maria antonietta. collezione privata.

bridgeman / aci

bertrand rieger / gtres

cascate dI dIamantI

storica national geographic

153


dagli Orti / art archive

la camera della regina Maria antonietta volle che le pareti di tutti i locali del suo appartamento di Versailles, compresa la camera da letto, fossero rivestite di satin bianco decorato con arabeschi in oro.

La nobiltà francese, che aveva sempre detestato Maria Antonietta, la definì traditrice e sleale, diffondendo la voce che si fosse accordata con Jeanne per appropriarsi del collier. Il popolo, dal canto suo, vide confermati i pregiudizi nei confronti della nobiltà, che sprecava quantità enormi di denaro in diamanti. La vicenda ebbe risonanza internazionale: “Questo processo attrae l’attenzione non solo della Francia, ma dell’intera Europa”, annotava un cronista del processo.

Una sentenza esplosiva Il 31 maggio del 1786 fu pronunciata la sentenza: prigione a vita per Jeanne de Valois e per suo marito Nicolas, esilio per l’amante della donna, Rèteaux de Villette. In realtà, i due uomini erano fuggiti e la pena venne applicata solo all’incauta Jeanne, che i giudici condannarono anche a essere marchiata 154 storica national geographic

pubblicamente sulla spalla con una “V” rossa (da voleuse, “ladra”). Gli altri indagati, tra cui Cagliostro, vennero prosciolti. L’irritazione di Maria Antonietta quando seppe che il cardinale di Rohan era stato assolto fu enorme. Insistette molto con Luigi XVI perché il cardinale venisse destituito dal suo posto di cappellano reale; alla fine, il re lo privò di tutte le cariche e lo esiliò a La Chaise-Dieu, nell’omonima abbazia, mentre Cagliostro veniva espulso dalla Francia. Wolfgang von Goethe scrisse più tardi che lo scandalo della collana “sgretolò le fondamenta dello Stato, annichilendo il rispetto verso la regina e in generale verso la nobiltà, in quanto dimostrò l’orribile corruzione nella quale vivevano la corte e gli aristocratici”. In effetti, la Rivoluzione scoppiò solo tre anni dopo lo scandalo, e dopo altri tre anni la monarchia francese aveva cessato di esistere.


1 Il collier della truffa

4 Il re fantoccio

Jeanne de Valois, accompagnata dal cardinale di rohan, mostra il favoloso collier di diamanti al centro dello scandalo del 1785.

4

2 L’anima della fuga

la regina regge lo scettro al posto del marito e lo guida nella fuga verso l’estero. “Dirigo tutto io”, dice nel testo dell’incisione (qui non visibile).

Maria antonietta porta sulle spalle luigi XVi, che dice: “Vado dove mi portano”. Dietro di lui il figlio luigi carlo, erede al trono di Francia.

5 Le principesse

la sorella del re, elisabetta di Francia, e la figlia primogenita del sovrano, Maria teresa carlotta, seguono i reali in fuga.

2

3 Il grande balzo

l’incisione raffigura la regina mentre, con un balzo, cerca di lasciare il palazzo delle tuileries e raggiungere il confine con l’attuale Belgio.

5 3

rmn- grand palais

1

una cattIva Fama dIFFIcIle da cancellare

A

stampa satirica del XiX secolo Conservata alla Bibliothèque nationale de France di Parigi, questa stampa ironizza sul fallito tentativo di fuga dalla Francia della famiglia reale, avvenuto il 21 giugno del 1791.

se, nel 1789, le critiche contro la regina Maria Antonietta si moltiplicarono. Fu accusata di essere frivola, dissipatrice, amante del lusso sfrenato e degli intrighi, più legata al suo Paese d’origine, l’Austria, che alla Francia. Vennero anche pubblicati libelli – tra cui un paio scritti proprio da Jeanne de Valois, rifugiatasi a Londra dopo essere evasa dal carcere parigino – in cui la si accusava di tradire il marito e di condurre una vita licenziosa. Nemmeno lo scandalo della collana fu dimenticato, come testimonia questa incisione satirica del 1791 nella quale si evoca il tentativo di fuga della coppia reale per combattere la Rivoluzione francese dall’estero.

bridgeman / aci

LLo scoPPio della Rivoluzione france-

l’amante svedese Diplomatico e militare svedese, il conte Hans Axel von Fersen (qui ritratto dal pittore Noël Hallé) entrò nelle grazie di Maria Antonietta, che probabilmente ebbe una relazione con lui.

storica national geographic

155


JON ARNOLD / AwL imAges


il tempio del faraone Il meglio conservato e il piÚ interessante di tutti gli edifici a occidente di Tebe, il tempio funerario di Ramses III a Medinet Habu (nella parte ovest di Luxor) è famoso anche per le iscrizioni dedicate alle campagne militari del faraone contro i Popoli del Mare.


bridgeman / aci

la famiglia borgia I membri della famiglia Borgia, tra i quali si distinguono Cesare, Lucrezia e il padre, papa Alessandro VI, in un dipinto del 1863 di Dante Gabriel Rossetti. Victoria and Albert Museum, Londra.


per saperne di più la congiura dell’harem

gli intrighi di messalina

riccardo iii d’inghilterra

la congiura dei fieschi

SAGGI Omaggio all’Egitto. Sandro Vannini. Mondadori Electa, 2008.

SAGGI Dammi mille baci. Eva Cantarella. Feltrinelli, 2009.

SAGGI Storia dell’Inghilterra. Kenneth O. Morgan. Bompiani, 2001.

SAGGI Andrea Doria. Gabriella Airaldi. Salerno, 2015.

L’Egitto dei faraoni. Jean Vercoutter. Editori Riuniti, 1998.

Valeria Messalina. Stefano De Asarta. ESI, 2004.

TEATRO Riccardo III. William Shakespeare.

la congiura catilina

ROMANZI Messalina. Alfred Jarry. Giunti, 2007.

I Fieschi: splendore e declino, 1494-1709. Riccardo De Rosa. Frilli, 2004.

la congiura contro i medici

La corruzione politica nell’antica Roma. Luciano Perelli. BUR, 1994. TESTI Le catilinarie. Cicerone. BUR, 2004. La congiura di Catilina. Sallustio. BUR, 2007.

l’assassinio di cesare SAGGI Giulio Cesare, il dittatore democratico. Luciano Canfora. Laterza, 2006. Cesare. Una biografia. Adrian Goldsworthy. Castelvecchi, 2014. TESTI Vite dei Cesari. Svetonio. Garzanti, 2007. ROMANZI Le idi di marzo. Thornton Wilder. Sellerio, 1995.

irene SAGGI La civiltà bizantina. Cyril Mango. Laterza, 2014. Lo Stato bizantino. Silvia Ronchey. Einaudi, 2002.

marino faliero SAGGI Marin Faliero. Lo sventurato doge di Venezia Cristina Nadin. Edizioni Anordest, 2011. La Repubblica del leone. Storia di Venezia. Alvise Zorzi. Bompiani, 2001. Storia di Venezia. Frederic C. Lane. Einaudi, 2005. TESTO Marin Faliero. Ernst T. Hoffmann. Studio Tesi, 1995.

inÉs de castro SAGGI Storia del Portogallo. José Hermano Saraiva. Bruno Mondadori, 2007.

SAGGI La congiura dei Pazzi. Intrighi politici, sangue e vendetta nella Firenze dei Medici. Lauro Martines. Mondadori, 2004. L’enigma Montefeltro. Arte e intrighi dalla congiura dei Pazzi alla Cappella Sistina. Marcello Simonetta. Rizzoli, 2008. TESTO La congiura dei Pazzi e l’età di Lorenzo il Magnifico. Niccolò Machiavelli. Nerbini, 2009.

cesare borgia SAGGI La leggenda nera. I Borgia. Mario Dal Bello. Città Nuova, 2012. La saga dei Borgia. Antonio Spinosa. Mondadori, 2001. TESTO Il principe. Niccolò Machiavelli. Feltrinelli, 2013. incisione RAffiguRANte L’impeRAtORe bizANtiNO COstANtiNO V e LA mADRe iReNe Che Regge iL gLObO e LO sCettRO impeRiALe sORmONtAtO DA uNA CROCe. COLLeziONe pRiVAtA.

SAGGI Navicula Petri. L’arte dei papi nel Cinquecento Fabrizio Biferali, Massimo Firpo. Laterza, 2009. Roma 1564. La congiura contro il papa. Elena Bonora. Laterza, 2011. Roma del Rinascimento. Antonio Pinelli (a cura di). Laterza, 2001.

la collana della regina SAGGI Maria Antonietta e lo scandalo della collana. Benedetta Craveri. Adelphi, 2006. Maria Antonietta. La solitudine di una regina. Antonia Fraser. Mondadori, 2004. Maria Antonietta. Evelyne Lever. BUR, 2006.

bridgeman / aci

SAGGI Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta. Massimo Fini. Mondadori, 1998.

la congiura contro il papa


maTZ SJĂ–berg / age foToSTock

palazzo vecchio, firenze Cesare Petrucci, il Gonfaloniere di Giustizia, dopo aver saputo del tentativo di assassinare Lorenzo il Magnifico da parte della famiglia Pazzi, arrestò un gruppo di congiurati nel Palazzo della Signoria (Palazzo Vecchio), guidati dall’arcivescovo Salviati.



storica

Pubblicazione periodica bimestrale - anno V - n. 21 editore: RBA ItALIA SRL Via Roberto Lepetit, 8/10 - 20124 Milano

licenciataria de naTional geograpHic socieTy, naTional geograpHic Television PresIdenTe

dIreTTore generale: StEFANO BISAttI

ricardo rodrigo ConseJero delegado

enriQue iglesias dIreCToras generales

dIreTTore resPonsaBIle: GIORGIO RIVIECCIO

ana rodrigo, mari carmen coronas

redazione e amministrazione: RBA ItALIA SRL

via roberto lepetit, 8/10 - 20124 milano - tel. 0200696352 email: storica@storicang.it

dIreCTor general PlanIfICaCIÓn Y ConTrol

ignacio lÓpez

Coordinamento editoriale: ANNA FRANChINI grafica: MIREIA tREPAt CIRERA Impaginazione, traduzione e adattamento: LEStEIA SRL autori: Michael Alpert (Università di Westminster); Vittorio h.

Beonio Brocchieri (professore di Storia Moderna e Storia del sistema internazionale, Università degli Studi della Calabria); Almudena Blasco (docente di Storia Medievale all’Università autonoma di Barcellona); Elena Bonora (professore di Storia, Università di Parma); Núria Castellano (egittologa e archeologa); Elena Castillo Ramírez (professore di archeologia classica all’Università Complutense di Madrid); Lorenzo Gagliardi (professore di Storia del Diritto Romano all’Università degli Studi di Milano); Francisco García Jurado (professore di filologia latina all’Università Complutense di Madrid); Ernest Marcos (Università di Barcellona); Maria Lara Martinez (Università nazionale di educazione a distanza di Madrid); Jacopo Mordenti (storico e scrittore); Josep Palau (dottore in storia); Covadonga Valdaliso (ricercatrice dell’Università di Lisbona) Testi aggiuntivi a cura di: Micol tummino (Le più potenti regine di Costantinopoli; Il corteo della casata medicea)

dIreCTora edITorIal InTernaCIonal

soledad lorenzo dIreCTora MarKeTIng

BerTa casTelleT dIreCTora CreaTIVa

jordina salvany dIreCTora de ConTenIdos

aurea dÍaz dIreCTor de CIrCulaCIÓn

josÉ orTega dIreCTor de ProduCCIÓn

ricard argilÉs difusión controlada por

sTaMPaTore: NIIAG S.P.A. - BEPRINtERS Via Zanica, 92 - 24126 Bergamo

dIsTrIBuZIone: PRESS-DI DIStRIBUZIONE StAMPA & MULtIMEDIA Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI)

PuBBlICITà:

corso vercelli, 25 - 20144 Milano - tel. 02 5469893 - Fax 02 54107522 registrazione presso il Tribunale di milano n. 51 del 26/01/2011 issn: 2421-2512 - ©2009-2015 rBa iTalia srl

naTional geograpHic socieTy per l’incremento e la diffusione delle conoscenze geografiche National Geographic Society fu fondata a washington nel 1888. È una delle più importanti organizzazioni non profit in campo scientifico ed educativo al mondo. essa persegue la sua missione sostenendo gli studi scientifici, le esplorazioni, la salvaguardia del patrimonio naturale e culturale.

serVIZIo aBBonaMenTI

volete sottoscrivere un abbonamento a storica? oppure dovete segnalare un eventuale disservizio? chiamate il numero 199 111 999 per tutta italia (costo della chiamata: 0,12 euro +iva al minuto senza scatto alla risposta; per i cellulari il costo varia in funzione dell’operatore). il servizio è attivo da lunedì a venerdì, dalle 9.00 alle 19.00. altrimenti inviate un fax al numero 030 7772387. per chi chiama dall’estero è attivo il numero +39 041 5099049. oppure inviate una mail a servizioabbonamenti@mondadori.it, o scrivete alla casella postale 97, 25126 Brescia

serVIZIo arreTraTI

avete perso un numero di storica o un numero di speciale di storica? ecco come richiederlo. chiamate il numero 045 8884400. altrimenti inviate una mail a collez@mondadori.it. oppure un fax al numero 045 8884378. o scrivete a press-di servizio collezionisti casella postale 1879, 20101 milano

gary e. knell President and CEO Executive Management Terrence B. adamson, Terry d. garcia, BeTTy Hudson, cHris joHns, declan moore, Brooke runneTTe, Tracie a. winBigler Board of TrusTees

joHn faHey Chairman, dawn l. arnall, wanda m. ausTin, micHael r. Bonsignore, jean n. case, alexandra grosvenor eller, roger a. enrico, gilBerT m. grosvenor, william r. Harvey, gary e. knell, maria e. lagomasino, jane luBcHenko, nigel morris, george muñoz, reg murpHy, paTrick f. noonan, peTer H. raven, edward p. roski, jr., frederick j. ryan, jr., B. francis saul ii, Ted waiTT, Tracy r. wolsTencrofT InTernaTIonal PuBlIshIng

collaboratori ENRICO BENELLI Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico (Iscima) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Monterotondo (Roma). Curatore della seconda edizione del Thesaurus Linguae Etruscae, Fabrizio Serra editore. Autore di: Le iscrizioni bilingui etrusco-latine, Olschki.

EVA CANtARELLA Professore di Istituzioni di Diritto Romano e di Diritto Greco Antico, Università Statale di Milano; global visiting professor New York University. Autrice di: L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nel mondo greco e romano, Feltrinelli.

PAOLO MAtthIAE Professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico, Università di Roma La Sapienza; direttore della Missione Archeologica Italiana a Ebla; membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Autore di: Ebla, un impero ritrovato, Einaudi.

VIttORIO BEONIO BROCChIERI Professore di Storia moderna (Università degli Studi della Calabria); membro del collegio della scuola di dottorato Andre Gunder Frank. Autore di: Celti e Germani. L’europa e i suoi antenati Encyclomedia Publishers.

MARINA MONtESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History. Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella.

yulia peTrossian Boyle Senior Vice President, ross goldBerg Vice President, Digital, racHel love, Vice President, Book Publishing, cynTHia comBs, ariel deiaco-loHr, diana jaksic, jennifer liu, racHelle perez CoMMunICaTIons

BeTH fosTer Vice President researCh and exPloraTIon CoMMITTee

peTer H. raven Chairman joHn m. francis Vice Chairman paul a. Baker, kamalijiT s. Bawa, colin a. cHapman, keiTH clarke, j. emmeTT duffy, carol p. Harden, kirk joHnson, jonaTHan B. losos, joHn o’lougHlin, naomi e. pierce, jeremy a. saBloff, monica l. smiTH, THomas B. smiTH, wirT H. wills



S P E CI AL E


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.