IL SECOLO XIX
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INDICE INTRODUZIONE
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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Dossier: La rivoluzione dei trasporti
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I CONFLITTI SOCIALI
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L’AUGE DEI NAZIONALISMI Dossier: Romanticismo e nazionalismo
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LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA Dossier: Le Esposizioni Universali
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LE POTENZE EXTRAEUROPEE
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L’ESPANSIONE COLONIALE
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APPENDICI Il mondo e la divisione coloniale nel 1895 Cronologia comparata: Europa, America, Asia, Africa e Oceania Regnanti e statisti Bibliografia Indice analitico Immagini
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PAGINA 2. La libertà che guida il popolo, di Eugène Delacroix, una scena della Rivoluzione del 1830 (Museo del Louvre, Parigi). PAGINE 4 E 5. La stazione nord-ovest di Vienna (1875), olio di Carl Kager (Österreichische Galerie Belvedere, Vienna). NELLA PAGINA ACCANTO. La celebre ballerina Jane Avril, seduta come spettatrice, in un cartello-manifesto
del teatro di spettacoli vari Divan Japonais (1892-1893) di Henri Toulouse-Lautrec (collezione privata).
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INTRODUZIONE
L’
Ottocento è stato spesso definito come “il secolo delle rivoluzioni”. I continui cambiamenti politici e le trasformazioni che investirono la società e l’economia globale durante questo secolo avvennero quasi sempre in modo molto brusco e improvviso, quando non violento, dandogli così un aspetto rivoluzionario. Dal punto di vista demografico, l’aumento straordinario della popolazione offre caratteristiche inedite, come quella delle migrazioni di massa. La “rivoluzione demografica” del XIX secolo diede un maggiore dinamismo al processo storico, contribuendo al progressivo deterioramento delle strutture sociali che erano rimaste praticamente inalterate per centinaia di anni. Un altro tratto caratteristico del XIX secolo fu il fenomeno dell’industrializzazione, che, pur essendo nato in Gran Bretagna, si diffuse ben presto nella maggior parte delle nazioni del Vecchio Continente. E con l’industrializzazione apparvero i movimenti sociali che cercavano di proteggere gli interessi e i diritti dei lavoratori contro gli abusi del capitalismo. Il fermento delle idee politiche e sociali derivate dalla Rivoluzione americana e da quella francese della fine del XVIII secolo – la rivendicazione dei diritti individuali, la libertà e l’uguaglianza, e l’autodeterminazione e l’indipendenza delle nazioni – contribuì a rendere il suffragio e la nazione-Stato la base dei nuovi governi. Inoltre, portò alla definizione di un nuovo ordine internazionale in cui i rapporti tra i Paesi iniziarono a sperimentare un alto grado di interdipendenza. Infine, caratteristiche di questa fase sono anche l’interconnessione dei cambiamenti politici, sociali ed economici in tutto il mondo, come conseguenza del rapido sviluppo delle comunicazioni internazionali, così come la forza che l’imperialismo europeo e nordamericano raggiunsero nella politica di espansione.
PAGINE 8 E 9. La stazione Victoria di Bombay (India) intorno al 1890, due anni dopo la sua inaugurazione. NELLA PAGINA ACCANTO. Ambiente cittadino nel Champ de Mars, con la Torre Eiffel e i padiglioni dell’Esposizione
Universale di Parigi dell’anno 1900 sullo sfondo.
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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE.
La fonderia (1872-1875), di Adolph von Menzel è uno dei quadri che meglio esprimono il lavoro nelle fabbriche durante la Rivoluzione industriale (Alte Nationalgalerie, Berlino). Nella pagina successiva, la locomotiva di Richard Trevithick, la prima a circolare con successo su due binari, in un’incisione del 1901 di Otto Spamer. 12
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Nel XIX secolo, la popolazione mondiale sperimentò un’esplosione demografica senza precedenti che diede anche origine a importanti movimenti migratori. Il fenomeno si sviluppò di pari passo con la Rivoluzione industriale, che nacque in Gran Bretagna e si diffuse nei Paesi occidentali nel corso del secolo. I suoi effetti profondi si fecero sentire sull’economia, sulla struttura della società e sugli stili di vita.
L
a “rivoluzione demografica”, come è definita dagli esperti, fu il passaggio progressivo da una situazione con tassi di natalità e di mortalità elevati a una situazione con una natalità media e una mortalità bassa. Nel corso di questo processo, la mortalità delle popolazioni diminuì con una rapidità molto superiore rispetto alla natalità. Tale decremento delle nascite fu dovuto anche a vari motivi: alcuni di carattere economico, come le crisi periodiche o il cambiamento verso una maggiore concentrazione della proprietà agricola, e altri di carattere sociale, come il calo delle credenze religiose o l’innalzamento del tenore di vita, che, in generale, com-
portò la ricerca di un maggiore benessere e favorì il cambiamento delle abitudini e dei costumi. È evidente, quindi, che il fattore determinante nell’aumento demografico fu la diminuzione della mortalità. Questo fenomeno si può attribuire a due cause principali: da una parte, a una migliore alimentazione, più abbondante e varia; dall’altra, agli importanti progressi della medicina e dell’igiene, che favorirono l’allungamento della speranza di vita e un invecchiamento più lento. Inoltre, morivano meno bambini piccoli e, al tempo stesso, un numero inferiori di madri a seguito del parto. L’igiene, oltretutto, consentì, nonostante la crescita inarrestabile di centri ur13
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
GRANDI FATTI DELLA TECNOLOGIA E DELLA SCIENZA 1775
La macchina a vapore. Partendo dalla macchina a vapore atmosferica di Newcomen, James Watt realizza la prima macchina a vapore moderna. 1779
La Mule jenny. Samuel Crompton inventa una macchina per filare il cotone che permette di ottenere un filo sottile e resistente. 1803
La nave a vapore. Si applica la forza motrice di una macchina a vapore a una nave. A partire dal decennio del 1830 si diffonde l’uso dell’elica. 1814
La locomotiva a vapore. George Stephenson costruisce la sua prima locomotiva a vapore. Nel 1825 si raggiungono i 30 km/h. 1844
Il telegrafo Morse. Samuel Morse costruisce, con l’appoggio del Congresso, la prima linea telegrafica tra Baltimora e Washington. 1869
Il canale di Suez. Si inaugura un canale che accorcia la rotta marittima tra Europa e l’Asia: non è più necessario girare intorno all’Africa.
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bani e industriali, la progressiva introduzione di migliorie fondamentali nelle infrastrutture dei servizi pubblici, specialmente nella somministrazione di acqua potabile e nello smaltimento delle acque residuali. A questo bisogna aggiungere che le epidemie endemiche – che nei secoli precedenti avevano colpito sistematicamente le persone, i raccolti e il bestiame – iniziarono a essere controllate e di conseguenza la salute e l’alimentazione degli individui migliorarono nettamente. Il contemporaneo progresso dei trasporti rese possibile la modernizzazione del sistema di fornitura dei prodotti e, pertanto, consentì di combattere la fame in maniera più efficace. Tuttavia, questa crescita della popolazione mondiale fu abbastanza disomogenea ed ebbe un’incidenza molto superiore in Europa e in America, i due continenti dove la Rivoluzione industriale sperimentò uno sviluppo maggiore e dove i tassi di mortalità registrarono cifre più basse. Agli inizi del XIX secolo, l’Europa aveva una popolazione di 180 milioni di abitanti e alla fine del secolo raggiunse la cifra di 401 milioni. All’interno del continente europeo, anche la crescita paragonata tra i diversi Paesi fu molto disomogenea. Gli Stati che sperimentarono un aumento più significativo furono la Germania e la Gran Bretagna, che raddoppiarono il numero dei loro abitanti nel corso del secolo. Dall’altro lato, la Francia, che fino ad allora era stato il Paese con il maggior numero di abitanti del continente, registrò invece un aumento più moderato rispetto ai primi due. Anche la Penisola Italina e la Spagna crebbero a un ritmo più lento, benché alla fine raddoppiarono anch’esse la loro popolazione. Ma di tutti i Paesi europei, quello che ebbe la crescita demografica più straordinaria fu la Russia, che raddoppiò la sua popolazione già nella prima metà del secolo e la raddoppiò nuovamente nella seconda metà. Questo fenomeno spiega, in parte, la sua grande espansione verso Oriente e la pressione che esercitò sui territori del sud-est dell’Europa durante questo secolo. In sostanza, alla fine del XIX secolo il continente europeo, la cui superficie (10.530.751 km2) non rappresenta neppure un quarto dell’estensione dell’Asia (44.579.000 km2) o dell’America (42.900.000 km2) raggiunse una densità di popolazione vicina ai 20 abitanti per chilometro quadrato. Non c’è dubbio che l’instabilità politica e sociale presente in Europa durante questa fase della sua storia sia dovuta in parte a tale fenomeno demografico. Di fronte al crescente aumento del numero di persone, nessun ordine sociale o politico poteva rimanere indenne. I vecchi sistemi politici, le istituzioni tradizionali e la
Le correnti migratorie del XIX secolo L’aumento della popolazione europea causato dalla Rivoluzione industriale provocò un ampio movimento migratorio. Dapprima fu soprattutto dalla campagna alla città, in seguito assunse una dimensione continentale e mondiale. La pressione demografica, la difficoltà a trovare lavoro o il desiderio di cercare fortuna altrove furono alcuni dei fattori che spinsero molte persone a lasciare la loro terra natale. Si stima così che tra il 1800 e il 1930, circa 40 milioni di emigranti lasciarono l’Europa. L’America, soprattutto quella del nord, fu la destinazione principale di questo flusso: gli Stati Uniti accolsero così oltre 30 milioni di migranti, soprattutto britannici, italiani e tedeschi, a cui si aggiunsero i Russi a partire dall’abolizione della servitù della gleba nel 1861. Al tempo stesso, il Regno Unito e la Francia approfittarono di questo movimento migratorio per allontanare dalle loro terre gli elementi indesiderati e per utilizzarli per colonizzare il Sudafrica e l’Australia nel caso del primo, e l’Algeria nel caso della seconda. Per ragioni storiche e culturali, Spagnoli e Portoghesi scelsero come destinazione l’America Centrale e del Sud. A destra, cartina con le correnti migratorie del XIX secolo.
vecchia organizzazione della società non riuscivano più a soddisfare le necessità delle nuove masse che irrompevano sulla scena europea e che chiedevano una riorganizzazione urgente delle strutture sociali vigenti e l’avvio di nuove forme di convivenza.
La popolazione extraeuropea Agli inizi del XIX secolo, l’America era un continente poco popolato, soprattutto se paragonato alla vecchia Europa. A nord non c’erano più di sei milioni di abitanti, mentre il centro e il sud potevano riunirne addirittura 19 milioni. Ma la crescita che si registrò in tutto il continente nel corso del secolo fu straordinaria e nel 1900 si potevano già contare, solo nel nord, circa 81 milioni di persone. Anche nel resto del Paese l’aumento demografico fu considerevole, benché di proporzioni minori. Alla fine dell’Ottocento la popolazione del centro e del sud era stimata in circa 65 milioni di abitanti. La ragione principale di questa crescita fu la forte immigrazione proveniente fondamentalmente dalla lontana Europa.
Porti principali: Di partenza Di arrivo Zona di partenza: Prima del 1890 Dopo il 1890
Capo Nord
Oslo
Stoccolma
Copenhagen Liverpool Amburgo Rotterdam Bristol Plymouth Le Havre St. Nazaire Bordeaux Genova Trieste Bilbao Santander Marsiglia Barcellona Napoli Lisbona Cadice Il Pireo Algeri Orano
CANADA
STATI UNITI
Italiani Spagnoli Portoghesi Russi Olandesi
Movimenti: Britannici Tedeschi Scandinavi Francesi
M A R G L AC I A L E A RT I C O
Boston New York Baltimora
ALGERIA
MESSICO Veracruz
L’Avana
INDIA
Porto Rico CUBA PORTO RICO Cartagena
Bombay
Capo Guardafui
La Guaira
COLOMBIA
VENEZUELA
OCEANO PA C I F I C O
Calcutta
INDOCINA Saigon
INDONESIA Luanda
OCEANO PA C I F I C O
ANGOLA
BRASILE Rio de Janeiro
CILE
URUGUAY
Montevideo Buenos Aires Valparaiso
OCEANO INDIANO
Mozambico
MOZAMBICO
OCEANO AT L A N T I C O
COLONIA DEL CAPO
Batavia
Stretto d i To r r e s
AUSTRALIA Perth
Città del Capo
Adelaide Sidney
NUOVA ZELANDA
Melbourne
Wellington
ARGENTINA
Capo di Buona Speranza
Stretto di Magellano Capo Horn
M A R
L’Asia, il continente più esteso della Terra, aveva anch’essa agli inizi del XIX secolo la popolazione maggiore in cifre assolute. Tuttavia, senza perdere suo primato, vide indebolita la sua posizione rispetto ad altre parti del mondo. Nonostante questo, si calcola che nel corso del secolo passò da 575 a 900 milioni di abitanti. La Cina era il Paese asiatico più popolato e anche quello che ebbe una crescita più significativa, al punto tale da raddoppiare la sua popolazione tra la metà del XVIII secolo e la metà del XIX. La prosperità che conobbe durante il periodo manciù è una delle cause di questo fenomeno. La pressione demografica fu tanto significativa che, nonostante le leggi in vigore proibissero ai Cinesi di espatriare e andare oltre le proprie frontiere, a partire dall’anno 1800 ci fu un importante esodo della popolazione verso tutto il sud-est asiatico e, più tardi, anche verso l’America e l’Oceania. Per quanto riguarda l’India, l’altro gigante demografico asiatico, questa sperimentò un processo di crescita più moderato, poiché l’elevato tasso di natalità fu compensato da un maggior
G L A C I A L E
A N TA RT I C O
tasso di mortalità. Il Giappone invece conobbe agli inizi del XIX secolo una fase di stallo, ma verso la metà del secolo, a partire dalla Rivoluzione Meiji, la tendenza cambiò e la popolazione registrò un aumento considerevole. Se le cifre di cui disponiamo sulla popolazione asiatica durante il XIX secolo presentano alcuni problemi di affidabilità, quelle che si riferiscono al continente africano sono ancora meno attendibili. Secondo alcuni autori, l’Africa doveva avere, agli inizi del secolo, una popolazione di circa 100 milioni di abitanti, cifra che aumentò fino a 120 milioni nel 1900. Altri esperti sostengono che è necessario ridurre queste cifre e richiamano l’attenzione sul grave colpo che subì la popolazione di colore a causa della tratta degli schiavi in fasi precedenti e anche sull’impatto della fame, delle epidemie e delle malattie che affliggevano continuamente gran parte del continente. Le regioni più popolate erano, senza dubbio, quelle a nord, attigue al bacino del Mediterraneo.
TERRA DI PROMESSE E DI ABBONDANZA.
Cartello pubblicitario (1870 ca.) per attrarre immigranti in California (New York Historical Society).
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L’emigrazione europea verso la terra promessa d’America Il continente americano fu il grande recettore, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, degli emigranti che lasciavano un’Europa densamente popolata alla ricerca di una nuova vita. Gli Stati Uniti furono la destinazione prediletta dalla maggior parte di questi migranti, attratti dalla vastità del suo territorio (in gran parte ancora da colonizzare), dalla sua rapida industrializzazione che aveva bisogno di manodopera e dalla scoperta dei giacimenti d’oro in California. La comparsa, intorno alla metà del XIX secolo, delle prime compagnie di navigazione a vapore che operavano tra l’Europa e l’America fece sì che molta gente scegliesse questo continente per migrare. Molti migranti vedevano gli Stati Uniti come una terra di opportunità, soprattutto perché la fine della guerra di Secessione nel 1865 aveva dato un nuovo impulso al processo di industrializzazione. Fondamentale in questo senso fu la costruzione di una rete ferroviaria che metteva in comunicazione tutta la sua geografia, dalla costa atlantica a quella del Pacifico, il che da un lato portò con sé una domanda urgente di manodopera e, dall’altro, aprì nuove possibilità tanto nello spostamento di persone e di merci quanto nello sviluppo e nella colonizzazione di territori fino ad allora isolati. L’arrivo di nuove ondate di emigranti, attratti dal sogno di una vita migliore, non si fece attendere. Agli inizi del XX secolo, si erano spostati negli Stati Uniti più di 30 milioni di migranti europei, soprattutto britannici (17 milioni), italiani (9 milioni), tedeschi (6 milioni) e sudditi dell’impero austro-ungarico (4 milioni). Per quanto riguarda il Canada, accolse circa 7 milioni di emigranti europei. A destra, La nave degli emigranti (1880 ca.), olio di Charles J. Staniland (Bradford Art Galleries and Museums, Bradford).
Nel sud, l’arrivo dei coloni europei nella seconda metà del secolo contribuì alla crescita della popolazione. Tuttavia, bisogna considerare che la popolazione bianca era ancora una minoranza di circa 500.000 persone, rispetto ai circa due milioni di nativi, per la maggior parte bantu. L’Oceania era all’epoca il continente meno popolato della Terra. Agli inizi del XIX secolo, il numero dei suoi abitanti non superava i due milioni, sommando quelli di tutte le isole. Ma anche in questo caso cominciò a registrarsi un notevole aumento demografico a partire dal 1850, come conseguenza della crescente emigrazione che, dall’Europa, aveva soprattutto come meta le terre vergini dell’Australia e della Nuova Zelanda. Alla fine dell’Ottocento, si stima che la popolazione del cosiddetto “quinto continente” raggiunse la cifra di sei milioni di abitanti.
I grandi movimenti migratori L’esplosione demografica del XIX secolo fu accompagnata da grandi flussi migratori, mediante i quali gli abitanti in eccesso dei territori più saturi 16
– oppure semplicemente quegli individui che volevano migliorare le loro condizioni di vita – si trasferirono da un posto all’altro, contribuendo in questo modo a un maggior equilibrio nella distribuzione degli abitanti in tutto il mondo. La maggior parte di queste correnti migratorie era motivata da ragioni di tipo economico, come la grande carestia irlandese del 1845-1849. Ma ci fu anche un’importante emigrazione politica a causa dei costanti cambiamenti del sistema e delle rivoluzioni che agitarono il Vecchio Continente. I perseguitati politici o religiosi si videro costretti a fuggire per scappare dalla repressione e dalla violenza. Alcuni degli Irlandesi che si spostarono in America lo fecero per evitare la sottomissione alla dominazione protestante. Anche una buona parte degli ebrei che emigrarono in quel luogo lo fecero per sfuggire ai pogrom che mettevano in pericolo la loro vita nella Russia degli zar. In Spagna ci furono molti liberali che furono obbligati a lasciare il Paese per fuggire dalla repressione che scatenò il re Ferdinando VII abolendo la Costituzione del 1812 e ristabilendo la
monarchia assoluta nel 1823. In seguito, carlisti, moderati, fanatici, repubblicani o anarchici si videro anch’essi costretti a prendere la strada dell’esilio verso altre terre, per evitare la persecuzione o il carcere. Allo stesso modo, un gran numero di Italiani, Polacchi o Tedeschi si videro forzati a cercare alloggio in altri luoghi per ragioni non strettamente economiche. Per un motivo o per l’altro, i Paesi europei furono quelli che registrarono i maggiori spostamenti migratori. A ogni modo, le ragioni economiche erano quelle che stimolavano la maggior parte di questi flussi. Le difficoltà con cui si scontravano molti dei sempre più numerosi Europei nella ricerca di un lavoro dignitoso e nel soddisfare le loro aspettative di un miglioramento delle condizioni di vita li spinsero a intraprendere l’avventura dell’emigrazione. Inoltre, in altri Paesi di recente formazione, lontani dall’Europa e con una popolazione scarsa, c’era bisogno di manodopera per promuovere lo sviluppo dell’economia e sfruttare adeguatamente le ricchezze che possedevano. Quindi erano gli stessi Paesi oltreoceano
a servirsi spesso di promesse e incentivi di ogni genere per accattivarsi chi era disposto a insediarsi nelle loro terre. Ci furono governi che attirarono gli emigranti con la pubblicità, ma anche molte compagnie di navigazione, i cui guadagni dipendevano dal flusso costante di persone, cercarono in tutti i modi di incrementare il numero di passeggeri sulle loro navi. Tuttavia, la propaganda migliore per incentivare queste correnti migratorie era quella fatta dagli emigranti stessi, che incoraggiavano parenti e amici a seguire lo stesso cammino percorso prima da loro. Il passaparola fu, senza dubbio, il sistema che moltiplicò l’abbandono dei rispettivi Paesi da parte di questi emigranti per iniziare una nuova vita.
L’esodo verso l’America L’America divenne, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, il polo di attrazione della maggior parte degli emigranti europei. Altri, specialmente quelli britannici e irlandesi, scelsero anche come destinazione i territori che erano appartenuti, o appartenevano ancora, alla 17
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
La grande carestia in Irlanda e l’emigrazione Anche se la Rivoluzione industriale fu anche una rivoluzione agricola, che permise di trarre maggiori vantaggi dalla terra, il suo sviluppo non fu uguale in tutti i Paesi. Questo spiega la grande crisi alimentare che soffrì l’Irlanda a partire dal 1845. Nel 1845 un germe di peronospora della patata si diffuse rapidamente in tutta l’Irlanda e devastò le piantagioni del principale – se non unico – sostentamento di milioni di persone. La progressiva riduzione delle porzioni di terra coltivate, la proprietà della terra nelle mani dei latifondisti britannici, la disastrosa gestione della crisi da parte del governo di Londra e l’uniformità genetica del tubero nell’isola favorirono la diffusione della piaga e provocarono una carestia devastante che durò fino agli inizi del decennio del 1850. Alcuni calcoli stimano che le vittime furono un milione, a cui bisogna aggiungere circa due milioni di Irlandesi (l’equivalente di un quarto della popolazione del Paese) che migrarono nel Regno Unito e, soprattutto, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. Nell’immagine, disegno di un settimanale newyorkese realizzato da Thomas Nast intorno al 1880, che mostra una donna, simbolo dell’Irlanda, chiedere aiuto alle navi americane durante la grande carestia.
corona britannica. Gli Spagnoli, gli Italiani e i Portoghesi preferivano i Paesi meridionali o del centro del continente americano, anche se questi ultimi, sul finire del secolo, iniziarono a dirigersi anche verso il nord. Le stime che sono state realizzate per quantificare l’emigrazione europea verso il resto del pianeta nel corso del XIX secolo offrono, dagli inizi del secolo fino al 1840, una cifra annuale che oscilla tra le 30.000 e le 40.000 persone. In totale, si calcola che in questi quattro decenni, circa 1.500.000 persone lasciarono il Vecchio Continente. Questa emigrazione della prima metà del secolo era ancora molto irregolare e anche poco organizzata, ma a partire dal 1850 e a seguire si assistette a un cambiamento radicale nel suo sviluppo. In parte per i problemi economici e politici che colpirono molti Paesi europei e in parte per le notizie che arrivavano sulla scoperta di favolosi giacimenti d’oro in California e in Australia, le cifre dell’emigrazione si impennarono bruscamente e in modo straordinario. Dalla metà del secolo, ogni anno partivano per nuove destina18
zioni tra 200.000 e 300.000 Europei e nell’ultimo decennio questo salasso migratorio raggiunse la cifra importante di 800.000 persone all’anno. L’emigrazione europea del XIX secolo costituisce uno dei fenomeni di travaso di popolazione più importanti e determinanti di tutta la storia dell’umanità. Le sue conseguenze non solo incisero sulla demografia dei Paesi di origine e di arrivo, ma colpirono anche la loro situazione economica e sociale. L’abbandono del Paese da parte degli emigranti permetteva di allentare la pressione demografica e, pertanto, di migliorare le condizioni di vita di quelli che rimanevano. Tuttavia, produsse un invecchiamento della popolazione, poiché quelli che si allontanavano erano generalmente giovani. Provocò anche un certo squilibrio tra i sessi, poiché gli emigranti erano per la stragrande maggioranza uomini. Questa situazione causò una diminuzione del tasso di nuzialità in Europa. Ma l’emigrazione non riguardò solo l’Occidente, poiché anche il sovrappopolamento di alcuni Paesi asiatici, come Cina e Giappone, pro-
vocò importanti movimenti migratori. La meta di molti di coloro che decidevano di abbandonare le loro case era, anche in questo caso, il continente americano. Tuttavia, gli Asiatici facevano più fatica a integrarsi rispetto agli Europei. Negli Stati Uniti, per esempio, gli emigranti provenienti dai Paesi asiatici non avevano la possibilità di colonizzare le terre non occupate. In Australia, ai minatori cinesi che volevano lavorare nei giacimenti auriferi dello Stato di Vittoria veniva imposta una tassa personale molto elevata. La California divenne un forte polo di attrazione per questa emigrazione e si calcola che nel 1876 c’erano già intorno ai 150.000 individui provenienti dal grande Paese asiatico. Anche il Canada accolse importanti gruppi di emigranti dell’Asia, i quali, come negli Stati Uniti, furono impiegati per la stragrande maggioranza nella costruzione della linea ferroviaria. Numerose ondate di emigranti lasciarono anche l’India in quegli anni. Si calcola che a partire dal 1870 abbandonarono questo Paese circa 14 milioni di individui, la maggior parte dei quali
erano diretti nelle colonie britanniche, francesi e tedesche. Anche se le loro mete erano molto diverse (sud-est asiatico, le isole dell’Indiano, il Pacifico e i Caraibi), un gran numero di emigranti indiani andò a Ceylon, attratto dal lavoro che offrivano le rigogliose piantagioni di tè. Il Giappone fu testimone dell’emigrazione di una parte della sua popolazione che non aspettò il processo tardivo di industrializzazione del suo Paese ma cercò condizioni di vita migliori ad altre latitudini. Già da molto tempo c’era una corrente migratoria verso la vicina penisola della Corea, ma in questo periodo il flusso aumentò, anche se molti Giapponesi scelsero mete più lontane in Paesi americani, specialmente in Brasile, in Perú e anche nelle isole Hawaii, prima che queste fossero annesse agli Stati Uniti nel 1898. Tutti questi movimenti migratori furono favoriti dal rapido sviluppo delle comunicazioni (con eventi chiave come l’apertura del Canale di Suez nel 1869) e dalle possibilità che offrivano i nuovi mezzi di trasporto marittimi. Nel complesso, contribuirono in modo decisivo ad av-
MIGRAZIONE DI MASSA. Durante la seconda metà del secolo, centinaia di migliaia di migranti attraversarono con i loro carri le Grandi Pianure dell’America del Nord alla ricerca di nuove terre dove stabilirsi. In alto, Ship of the plains di Samuel Colman (collezione privata). Dopo l’acquisto della Louisiana dai Francesi nel 1803, un territorio enorme di oltre 2.140.000 km2 si aprì a coloro che erano disposti a migrare in cerca di nuove terre e opportunità. I pionieri si lanciarono allora alla conquista del West in carovane di carri tirati da buoi o da mule. 19
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
LA RIVOLUZIONE DEL VAPORE. La macchina
a vapore perfezionata da James Watt fu uno dei fattori scatenanti della Rivoluzione industriale. Il suo sviluppo favorì la rivoluzione dei trasporti e l’auge dell’industria tessile. In suo onore, l’Associazione britannica per l’avanzamento della scienza designò con il nome di watt l’unità di misura della potenza; nel 1960, fu adottata dalla Conferenza internazionale dei pesi e delle misure. In alto, l’ingegnere scozzese in un’incisione realizzata a partire da un ritratto di sir William Beechey. 20
viare un processo di globalizzazione della popolazione mondiale che avrebbe raggiunto livelli insospettati nelle fasi successive.
Lo sviluppo dell’industria La Rivoluzione industriale iniziò nell’Inghilterra della fine del XVIII secolo ma si consolidò definitivamente, sia in questo Paese sia in buona parte del continente europeo e negli Stati Uniti a partire dal 1830. Intorno alla metà del XIX secolo, questa rivoluzione ebbe un nuovo impulso, al punto che alcuni autori si riferiscono a questa fase come seconda Rivoluzione industriale. Questo fenomeno riguardò inizialmente il settore tessile e in particolare quello cotoniero. Occorre situarne l’origine nell’applicazione della forza del vapore ai macchinari per lo sviluppo della produzione dei beni di consumo e anche ai macchinari legati al trasporto. In realtà, il grande passo in avanti nella tecnica fu fatto quando l’ingegnere scozzese James Watt (1736-1819) inventò in Gran Bretagna un meccanismo per fare in modo che un pistone generasse un movimento rotatorio
nelle macchine a vapore. Grazie a questa invenzione, la Spinning jenny (detta anche Giannetta), che fu la prima macchina a meccanizzare il processo di filatura e la Mule, che utilizzava l’energia idraulica, furono superate dalla Self-acting mule (filatoio automatico intermittente), che utilizzava la forza del vapore e moltiplicava enormemente la produttività dei filatoi manuali. Fino ad allora le macchine erano state mosse dalla forza dell’uomo, degli animali, dell’acqua o del vento. D’altra parte, l’uso del vapore provocò una domanda crescente e inarrestabile di ferro, per produrre i macchinari, e di carbone, per generare il vapore. I Paesi che disponevano di entrambe le materie prime partivano in vantaggio per il loro sviluppo industriale. L’Inghilterra le aveva e questo le permise di raggiungere un grande potere economico nel XIX secolo. Nel 1800 si producevano in Gran Bretagna 7 milioni di tonnellate di carbon fossile. Nel 1820 si arrivò a 20 milioni e nel 1870 a 110 milioni. Per quanto riguarda il ferro, la Gran Bretagna passò da una produzione di 160.000 tonnellate nell’anno 1806 a 6 milioni di tonnellate nel 1870. La produzione del ferro aumentò con le nuove tecniche per trasformarlo in acciaio. L’ingegnere inglese Henry Bessemer brevettò nel 1856 un procedimento mediante il quale, versando il ferro in stato di fusione in un convertitore riscaldato ad alte temperature e immettendogli una corrente d’aria per togliere le impurità, si otteneva l’acciaio. Quasi contemporaneamente, l’ingegnere, anch’egli tedesco, Carl Wilhelm Siemens inventò un forno a riverbero per riscaldare il ferro con fiamme di carbone o di gas, per eliminare in questo modo tutte le sue impurità. La produzione dell’acciaio attraverso un procedimento o l’altro diede un grande impulso all’industria, specialmente alla costruzione della rete ferroviaria. A poco a poco, il processo di industrializzazione si diffuse in altri Paesi nel corso del secolo. Tuttavia, è importante non ingigantire le possibilità e la rapidità dei cambiamenti che portarono con sé queste innovazioni. Nel continente, l’unico Paese la cui ricchezza industriale superava quella agricola nel 1830 era il Belgio. Il fatto di disporre di ricche miniere di carbone e di ferro spiega l’alto livello di sviluppo malgrado le dimensioni ridotte del suo territorio. Questa industrializzazione precoce del Belgio si concentrò soprattutto sulle fonderie e i suoi altiforni iniziarono a fabbricare prodotti metallici di eccellente rifinitura. Questo spiega anche lo sviluppo precoce della ferrovia, che, a sua volta, contribuì in modo efficace allo sviluppo dell’industria carbonifera e siderurgica. La sua vicina Francia, invece, rimase in svantaggio rispetto alla Gran Bretagna, a causa della minore ricchezza mineraria.
I TELAI, MOTORI DELLA RIVOLUZIONE
I
l grande motore della Rivoluzione industriale fu il settore tessile e, al suo interno, quello cotoniero. Una prima innovazione in questo campo si deve a John Kay, il quale nel 1733 brevettò una navetta volante che permetteva di tessere più rapidamente. Per poter filare più velocemente e intensamente, nel 1764 apparve la Spinning jenny di James Hargreaves, che rese possibile lavorare con vari fusi contemporaneamente. La forza idraulica permise a Edmund Cartwright di progettare nel 1786 un telaio che non aveva bisogno dell’azione dell’uomo; tuttavia, quello che davvero rivoluzionò la produzione fu la macchina a vapore. Le grandi dimensioni delle nuove macchine e la loro dipendenza da una fonte di energia diversa dalla forza umana trasferirono la produzione tessile dall’ambito domestico alla fabbrica. In basso, incisione del 1830 di una fabbrica tessile con telai idraulici.
DALLA MULE JENNY ALLA SELF-ACTING MULE Nel 1779, Samuel Crompton brevettò la Mule jenny, una macchina che sfruttava le innovazioni della Spinning jenny di Hargreaves e della Water frame di Richard Arkwright, quest’ultima, come dice il nome, azionata dall’energia idraulica. La Mule jenny forniva un filo sottile ma resistente, che poteva competere addirittura con i tessuti di seta e di cotone provenienti dall’India. Già nel decennio del 1820, Richard Roberts progettò la Self-acting mule, un telaio meccanico che non aveva bisogno di alcun operaio specializzato per funzionare e la cui produzione era molto superiore rispetto a un filatoio manuale. Nell’immagine, la Mule jenny in un’incisione di J. W. Lowry del 1830 circa.
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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
L’impero industriale della dinastia tedesca dei Krupp La produzione siderurgica in Prussia, così come nella successiva Germania unificata e anche nella Germania del Terzo Reich, ebbe un nome proprio: Krupp. L’impresa fondata e diretta da questa famiglia nella regione industriale della Ruhr ebbe un ruolo rilevante nella storia del Paese, grazie soprattutto alla fabbricazione degli armamenti, che fece della Germania del XIX e del XX secolo una grande potenza militare. Le origini della dinastia Krupp vanno ricercate in una piccola fonderia aperta nel 1811 vicino a Essen da Friedrich Krupp, sebbene sia stato suo figlio Alfred a prendere le redini dell’azienda nel 1826 a soli quattordici anni e a trasformarla nel colosso industriale che avrebbe segnato la storia tedesca. La costruzione della linea ferroviaria in Prussia contribuì in modo decisivo all’espansione dell’azienda, che nel decennio del 1850 conobbe una nuova spinta grazie al monopolio per la fabbricazione e l’approvvigionamento di armi nel regno. Dalle loro fonderie uscì allora un modello di cannone fatto di un unico pezzo di acciaio fuso la cui precisione, gittata ed efficacia furono decisivi nella guerra franco-prussiana del 1870. Alla morte di Alfred nel 1887, la sua azienda, che comprendeva anche lo sfruttamento di ferro e carbone, era un impero che dava lavoro a 45.000 persone. Suo figlio Friedrich Afred proseguì la sua espansione senza per questo abbandonare la fabbricazione di armamenti pesanti, blindaggi o esplosivi sempre più potenti. Il suo suicidio nel 1902 a causa di uno scandalo sessuale non frenò la crescita dei Krupp, che sotto la direzione di Gustav Krupp von Bohlen rifornirono l’esercito tedesco nella Prima guerra mondiale. Il cannone Grande Berta, battezzato così in onore della figlia di Friedrich Alfred, capace di sparare obici del peso di quasi una tonnellata a 12 km di distanza, fu uno dei loro risultati. Dopo la sconfitta, l’azienda cooperò con il nazismo nel riarmo tedesco e nella successiva guerra.
ALFRED KRUPP. Nato nel 1812,
Alfred Krupp fu conosciuto come “il re del cannone”. Nelle sue fabbriche impose un modello organizzativo praticamente militare, stabilendo al tempo stesso un sistema di pensioni e sussidi per i suoi lavoratori Nell’immagine, una statua dell’industriale a Essen, la città in cui nacque l’impresa.
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D’altra parte, gli esborsi generosi fatti dalle classi abbienti nell’acquisto delle terre confiscate dallo Stato ai nobili e alla Chiesa appena dopo la rivoluzione gli avevano tolto il capitale da investire nell’industria, contrariamente a quello che avevano fatto i grandi proprietari inglesi nel loro Paese. Per questo in Francia il decollo industriale iniziò durante la Rivoluzione borghese del 1830. Tra questa data e il 1855 la produzione industriale francese raddoppiò e si intensificò ancora di più nel decennio successivo. In Germania, la Rivoluzione industriale arrivò ancora più tardi, perché nel 1830 il Paese era ancora molto arretrato. Tuttavia, negli anni centrali del secolo e specialmente a partire dall’unificazione politica conobbe una trasformazione straordinaria, fino a diventare una delle maggiori potenze industriali del mondo. Alcune cifre possono dare un’idea di questo sviluppo industriale: se nel 1820 la Germania produceva un milione e mezzo di tonnellate di carbone, nel 1870 ne produceva già 37 milioni. La produzione di acciaio si moltiplicò e nel 1870 la fabbrica Krupp, in cui lavoravano 15.000 operai, era diventata una delle acciaierie più importanti del Vecchio Continente, in cui si fabbricava la maggior parte dell’oltre milione e mezzo di tonnellate prodotte dal Paese. L’impatto della Rivoluzione industriale diede uno straordinario potere alla borghesia imprenditoriale, commerciale e finanziaria in ascesa e portò alla creazione di un nuovo proletariato industriale.
La rivoluzione dei trasporti La rivoluzione provocata dalla macchina a vapore incise decisamente sui mezzi di trasporto e sulle comunicazioni. Nel 1803 veniva applicata per la prima volta la forza motrice della macchina a vapore alla navigazione, per muovere una nave mediante una ruota a pale. A partire da quel momento, il vento non sarebbe stato più indispensabile per poter solcare le acque. Tuttavia, inizialmente questo sistema fu utilizzabile solamente nei grandi fiumi, poiché il mare faceva oscillare troppo questo dispositivo e lo rendeva poco pratico. D’altra parte, le lunghe traversate necessitavano di una gran quantità di carbone come combustibile e le navi di quel tempo non disponevano di grandi stive per immagazzinarlo. Questo spiega perché il sistema fu utilizzato prima in quei Paesi che avevano un’ampia rete di fiumi e canali, come la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda, il Belgio o gli Stati Uniti, cioè i più avanzati della Rivoluzione industriale a livello mondiale. Solo nel 1859 fu introdotta sulle navi l’elica, che rivoluzionò la navigazione. Fino ad allora, le traversate oceaniche erano state dominate dai
veloci clipper, che disponevano di quattro alberi e un gran velame, e che con il vento favorevole impiegavano dieci giorni per andare dall’Europa all’America. La nave a vapore li avrebbe sostituiti progressivamente grazie alla sua maggiore regolarità e rapidità di viaggio. Se la navigazione a vapore cambiò il sistema delle comunicazioni marittime, il mezzo di trasporto che rivoluzionò le comunicazioni via terra fu il treno. L’inventore della macchina a vapore applicata a un veicolo che si muoveva su binari di ferro facendo un percorso lungo fu l’inglese George Stephenson. Grazie al suo impulso, il primo treno percorse il tratto compreso tra i paesi britannici di Stockton e Darlington nel 1825, coprendo la distanza tra questi due luoghi a una velocità di 39 km/h. Cinque anni più tardi venne inaugurata la prima linea per il trasporto dei passeggeri che collegava la città di Manchester con quella di Liverpool alla velocità di 40 km/h. Questa velocità, fino ad allora sconosciuta e irraggiungibile, fece pensare ad alcuni che potesse essere dannosa per la salute del corpo umano. Questo
timore scatenò una polemica che si risolse quando l’esperienza dimostrò il suo scarso fondamento. La ferrovia si estese nel continente europeo e in America fino a diventare un vero e proprio simbolo del progresso. Il Belgio fu uno dei primi Paesi a introdurre la ferrovia. I suoi ricchi giacimenti di carbone e il grande spirito imprenditoriale che lo avevano portato a ottenere l’indipendenza pochi anni prima, resero possibile un rapido sviluppo industriale. Inoltre, la sua posizione geografica gli permise di trasformarsi in un luogo di passaggio nelle vie di comunicazione tra Inghilterra, Francia, Olanda e Germania. La prima linea ferroviaria belga fu inaugurata nel 1835; univa Bruxelles a Malines e durante il suo primo anno di attività trasportò mezzo milione di passeggeri. La Francia aprì la sua prima linea tra Parigi e Saint-Germain nel 1837 e nel 1848 aveva costruito una rete ferroviaria di 3000 km. Alla fine del 1850, in Gran Bretagna c’erano ormai più di 11.000 km operativi di rete ferroviaria. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, si era arrivati a 14.500 km, rendendo così questo mezzo di trasporto un elemento
L’IMPERO DELL’ACCIAIO. Nella seconda metà del XIX secolo, lo stabilimento della famiglia Krupp produceva praticamente tutto l’acciaio fabbricato in Germania. Dal XVI secolo, nella parte centrale della conca della Ruhr, i nomi Krupp ed Essen avevano avuto uno stretto legame: nel 1896, quella che divenne famosa come “armeria del Reich” aveva già una popolazione di 100.000 abitanti. In alto, i camini fumanti del complesso siderurgico dei Krupp a Essen. Incisione anonima del 1865, resa successivamente a colori.
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Il ruolo delle banche e lo sviluppo internazionale delle finanze La Rivoluzione industriale fu accompagnata da un cambiamento considerevole in tutto ciò che riguarda il finanziamento e l’investimento. Perché le nuove industrie si sviluppassero, era necessario disporre di una moneta stabile e di un sistema bancario ben organizzato, due condizioni che all’inizio del XVIII secolo il Regno Unito soddisfaceva perfettamente. Agli inizi della Rivoluzione industriale l’investimento per creare nuove fabbriche fu a carico degli artigiani e dei piccoli commercianti, poiché si trattava di piccole installazioni che avevano bisogno di un capitale ridotto. Ma la meccanizzazione del lavoro obbligò a installare le industrie in grandi complessi che ospitavano macchinari costosi. Se nel 1800 aprire una filanda poteva costare intorno alle 2000 lire, nel 1820 questo prezzo si era moltiplicato già per dieci. Fu allora che le banche iniziarono a entrare nell’industrializzazione. E non le grandi banche statali, come quella d’Inghilterra (fondata nel 1694), ma quelle commerciali, che fino ad allora avevano basato la loro attività sul cambio di valute, sull’acquisto di debito pubblico e sulle cambiali. Grandi banchieri come i Rothschild, presenti in tutta Europa, ebbero un ruolo primario in questa fase dell’industrializzazione, durante la quale aumentarono vertiginosamente le transazioni internazionali: se nel 1850 il volume del commercio mondiale era di circa 800 milioni di lire, alla vigilia della prima guerra mondiale raggiungeva gli 8000 milioni. A destra, la Banca d’Inghilterra in un’incisione del 1850 circa; in basso, Lionel de Rothschild ritratto da Moritz Daniel Oppenheim (Museo d’Israele, Gerusalemme).
di straordinaria importanza nell’apertura di nuovi cammini verso l’Ovest. I territori tedeschi videro circolare il loro primo treno a vapore nel 1835 nello Stato della Baviera. Nel 1839 venne messa in funzione in Sassonia la linea tra Lipsia e Dresda, che nel suo primo anno trasportò 412.000 persone. La Germania aveva già, intorno alla metà del secolo, 6000 km di rete ferroviaria e questo rapido sviluppo della ferrovia ebbe degli effetti molto positivi sull’integrazione di tutti i suoi Stati. In altri Paesi, come in Italia e in Russia, in questo periodo esistevano solo poche linee e, tra l’altro, poco articolate. In Spagna, l’introduzione della ferrovia arrivò dopo rispetto ad altri Paesi poiché la prima linea fu inaugurata solamente nel 1848. Verso la metà del secolo, c’erano già 200.000 km di linea ferroviaria sulla Terra. Il treno non solo divenne un mezzo di trasporto rivoluzionario ma contribuì anche in maniera decisiva allo sviluppo dell’industria mineraria e di quella siderurgica. D’altra parte, favorì l’articolazione di un mercato in cui le distanze tra i centri di produzione e quelli di consumo si ac24
corciarono. Questo permise, per esempio, che determinate regioni agricole potessero dedicarsi alla monocoltura di prodotti deperibili con la sicurezza che l’eccedenza poteva essere trasportata rapidamente in altri mercati. Al tempo stesso, queste avevano la garanzia del trasporto, ugualmente rapido, dei prodotti di cui necessitavano. In generale, e come conseguenza della rivoluzione nei trasporti, i mercati divennero più economici e i prezzi ebbero la tendenza a uniformarsi in tutti i luoghi.
L’espansione del capitalismo Agli inizi, le imprese industriali si sostennero con i capitali generati dall’accumulo degli utili o si avvalsero dell’appoggio di fortune familiari, a volte derivanti dall’agricoltura. Tuttavia, lo sviluppo della grande industria richiedeva grandi capitali, che si ottennero attraverso la creazione di società anonime che si basavano sul contributo dei privati sotto forma di azioni. L’interesse per l’espansione di queste industrie e lo stimolo della concorrenza incoraggiarono l’unione di gruppi di
imprese che formarono cartelli o trust, allo scopo di fissare i prezzi dei prodotti o di controllare tutto il processo di produzione, dal conseguimento delle materie prime fino alla vendita dei prodotti finiti ai consumatori. Il sistema delle società per azioni comportava un rischio, considerato l’anonimato degli azionisti e la loro scarsa relazione con la direzione delle imprese. Tuttavia, il successo accompagnò la maggior parte di quelle che scelsero questo sistema e questa inclinazione al rischio si trasmise agli istituti finanziari. Le grandi banche esistenti fino ad allora erano statali, come la Banca d’Inghilterra, che nel 1815 possedeva i più grandi depositi di capitale di tutto il mondo, o la Banca di Francia, che garantiva il denaro in circolazione. Ora, nella prima metà del secolo iniziava a svilupparsi anche la banca privata, come quella delle famiglie di origine ebraico-tedesca Rothschild o ebraicosefardita-portoghese Pereire, i cui istituti non solo concedevano prestiti e scontavano cambiali o pagherò, ma finanziavano anche le grandi imprese industriali, speculavano con le loro azioni e
le alimentavano con un flusso di capitale permanente. Nel corso di tutto il secolo, nacquero via via altre grandi banche private come le Midland, Lloyds e Westminster in Gran Bretagna, Societé Générale, Societé Industrielle e Crédit Lyonnais in Francia, la Darmstädter Bank in Germania o la First National Bank negli Stati Uniti. Tutte divennero delle vere e proprie potenze finanziarie, la cui enorme influenza si fece sentire sui governi dei rispettivi Paesi, e anche di altri. La crescita e l’espansione del capitalismo attraversarono anche periodi di crisi, che colpirono i Paesi più sviluppati. Le crisi del 1818-1819 e quella del 1825 si ripeterono e furono più intense nel 1838-1839 e nel 1846-1847. Le fluttuazioni dei prezzi del cotone negli Stati Uniti e la liquidazione della Bank of United States, che comportava la perdita di grosse somme di capitale europeo investito in America, colpirono gravemente vari Paesi del Vecchio Continente. In Gran Bretagna e in Belgio fallirono varie società importanti e alcune banche attraversarono un periodo di grandi difficoltà. Inoltre, i cattivi raccolti del 1845, 1846 e 1847 25
L’apertura del Canale di Suez nell’anno 1869 Lo sviluppo del commercio non richiedeva solo nuovi mezzi di trasporto più rapidi ed efficienti, ma anche nuove vie di comunicazione che permettessero di risparmiare tempo negli spostamenti e ridurre i costi. La costruzione del Canale di Suez, una delle grandi prodezze dell’ingegneria del XIX secolo, andava a soddisfare queste necessità. Il diplomatico e ingegnere francese Ferdinand de Lesseps fu il grande artefice dell’apertura di un canale di navigazione attraverso l’istmo di Suez, che unisse le acque del Mediterraneo e del Mar Rosso o, in altre parole, il continente europeo e quello asiatico, senza la necessità di circumnavigare l’Africa. Nel 1854, Lesseps ottenne dal wali d’Egitto, Mehmed Said Pasha, una concessione per portare a termine un ambizioso progetto. Quattro anni dopo, nel 1858, si costituì la Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez con capitale francese ed egizia e nel 1859 iniziarono i lavori che sarebbero dovuti durare dieci anni e nei quali Lesseps utilizzò le più moderne macchine scavatrici e un esercito di un milione e mezzo di operai. Con la partecipazione dell’imperatrice francese Eugenia de Montijo, l’inaugurazione ufficiale di questa via di 163 km si tenne il 17 novembre 1869. Nell’immagine, incisione che riproduce la cerimonia, in cui si notano le navi delle delegazioni straniere.
resero necessaria in Europa l’importazione di alimenti dall’America o dal sud della Russia e i pagamenti di queste merci generarono un importante drenaggio d’oro. Le operazioni di speculazione sugli alimenti, specialmente in Gran Bretagna, causarono maggiori difficoltà economiche. Ci furono nuovi fallimenti di società mercantili, bancarotte e chiusure di imprese finanziarie. Gli effetti delle crisi finanziarie provocarono il peggioramento delle condizioni di vita e diedero origine a non poche tensioni sociali. La fame e lo sfruttamento crescente dei lavoratori industriali, mortificati da salari molto bassi, insieme allo scontento politico, contribuirono in modo decisivo a rendere il 1848 un anno di eventi rivoluzionari in tutto il Vecchio Mondo.
Il commercio internazionale Lo sviluppo dell’industria e il progresso vertiginoso dei trasporti diedero come risultato un incremento immediato del commercio mondiale. Questa situazione fu favorita dal contemporaneo trionfo delle teorie del libero scambio, incorag26
giate in particolar modo dalla Gran Bretagna. Il progresso industriale che mostrava questo Paese rispetto ad altre nazioni lo portò a predicare questi principi per superare le barriere doganali che proteggevano l’incipiente produzione industriale in altri luoghi d’Europa. Non fu facile e il trionfo del libero scambio e il dibattito con i sostenitori della politica protezionistica sarebbe rimasto vivo nel corso di tutto il XIX secolo. Inoltre, a causa della maggiore concorrenza, i grandi imprenditori richiedevano l’intervento dello Stato e, con il pretesto di proteggere l’economia nazionale, lo sollecitavano a prendere delle misure per evitare l’invasione commerciale di prodotti provenienti da altri Paesi. Queste misure protezionistiche consistevano generalmente nell’aumento delle tasse doganali per le importazioni o nella richiesta di sovvenzioni ufficiali per le esportazioni. Ma a volte assumevano altre forme molto più aggressive, come l’espansione politico-militare, quello che fu poi denominato “imperialismo economico”. La Gran Bretagna – sostenuta dal suo vantaggio industriale e dall’immensa ricchezza generata
L’ARTEFICE DI SUEZ. Lesseps era approdato in Egitto nel 1832
in qualità di viceconsole. Fu allora che fece amicizia con il principe Mehmed Said, che dal 1854 e fino alla sua morte nel 1863 fu il suo grande alleato nella costruzione del canale. Il successo ottenuto portò Lesseps a imbarcarsi nel 1880 nell’apertura, fallita, del Canale di Panama. In alto, Lesseps ritratto da Nadar.
dal suo impero coloniale, che si estendeva in tutto il pianeta – riuscì a conservare durante tutto il secolo una prima posizione dominante nel commercio di oltremare, a scapito dell’espansione degli altri Paesi europei. A titolo esemplificativo vale la pena citare la fondazione della Cunard Steamship Line da parte di Samuel Cunard nel 1840, la quale pochi anni dopo svolgeva con regolarità una tratta che metteva in comunicazione Liverpool e New York ogni settimana. Altre società seguirono un percorso simile. Le navi a vapore, che fino ad allora erano state utilizzate nella navigazione fluviale o costiera, iniziarono a solcare per la prima volta gli oceani. L’apertura nel 1869 del Canale di Suez, finanziato da Francia ed Egitto, che rendeva possibile la navigazione tra il Mar Mediterraneo e il Mar Rosso evitando la circumnavigazione dell’Africa, fu una pietra miliare nella storia del trasporto marittimo e permise di accorciare il tragitto tra l’Europa e l’Asia e di incrementare enormemente le attività commerciali con l’Estremo Oriente. La nuova rotta beneficiò in particolar modo la Gran
Bretagna, il Paese che aveva più legami con questa parte del mondo grazie al suo impero coloniale. Un settore importante della popolazione britannica cominciò a vivere dell’industria, del commercio e delle nuove occupazioni legate ai trasporti e alle comunicazioni. La situazione nel resto d’Europa era diversa. Verso la metà del secolo, la maggior parte del commercio europeo era interno o si limitava al continente. Molti Paesi continuavano ad applicare una politica protezionistica di fronte al pericolo della concorrenza britannica. In Germania, tra gli anni 1834 e 1848, lo Zollverein, l’organizzazione doganale che univa i diversi Stati, impose via via tariffe più alte per i prodotti inglesi, specialmente il ferro e il cotone. In Francia, anche se c’erano degli interessi a favore del libero scambio, la pressione degli agricoltori e degli industriali riuscì a far prevalere le misure protezionistiche. In Spagna, le misure protezionistiche adottate durante il regno di Ferdinando VII per favorirne la nascente e debole industria, furono violate sistematicamente dal contrabbando che 27
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Le nuove comunicazioni: dal telegrafo al telefono La necessità di comunicazioni più efficaci si tradusse nell’apertura di nuove vie e nel perfezionamento dei mezzi di trasporto e anche nell’invenzione di sistemi che permettessero un contatto immediato e fluido tra le parti, senza i ritardi propri del servizio postale. In un mondo in cui le transazioni economiche erano sempre più internazionali e in cui la gente si spostava più frequentemente e arrivava più lontano, disporre di informazioni aggiornate era fondamentale. Da qui l’interesse per trovare mezzi che permettessero il movimento delle informazioni tra due punti distanti in modo se non immediato, il più rapido possibile. Entrarono così in gioco due invenzioni basate sull’uso della corrente elettrica, che avrebbero rivoluzionato il mondo delle comunicazioni. 1 Il telegrafo. Mediante la trasmissione di una serie di segnali elettrici attraverso un cavo, Samuel Morse dimostrò che si potevano inviare messaggi a lunghe distanze. A partire dall’anno 1844, il suo telegrafo e l’alfabeto ideato da lui (codice Morse) si diffusero in tutto il mondo, trasformandosi nella prima forma di comunicazione basata sull’elettricità. 2 Il telefono. Il sogno di poter parlare con un’altra persona a prescindere dalla distanza che separava gli interlocutori iniziò a diventare realtà verso la metà del XIX secolo, quando una serie di inventori fece degli esperimenti applicando la corrente elettrica alla trasmissione e ricezione della voce umana. L’italiano Antonio Meucci fu il primo a costruire, nel 1854, un modello di telefono, sebbene i contributi allo sviluppo e all’espansione dello stesso fondatore della National Geographic, Alexander Graham Bell, furono anch’essi di grande importanza.
1 IL TELEGRAFO MORSE. Nel 1843, Samuel Morse ottenne dal Congresso degli Stati Uniti un incarico per costruire una linea sperimentale di 60 km che univa Baltimora a Washington. La prova fu un successo. Nell’immagine, incisione del 1860 che rappresenta un telegrafista davanti a un apparecchio di Morse.
praticava la Gran Bretagna attraverso la sua colonia di Gibilterra. Anche in Russia si rafforzarono le tariffe doganali allo scopo di favorire il commercio interno e per aumentare le entrate dello Stato. Tuttavia, a partire dal 1846, si liberalizzarono queste imposte, in parte grazie alle negoziazioni con l’Inghilterra. Nel 1850 scomparvero le barriere doganali esistenti fino ad allora tra la Russia e la Polonia. In ogni caso, con o senza restrizioni protezionistiche o delle frontiere, a partire dalla seconda metà del secolo l’espansione inarrestabile del commercio internazionale si manifestò in modo evidente nell’organizzazione delle grandi esposizioni, definite “universali”, in cui si mostravano ai mercati i prodotti che ogni Paese offriva ai compratori di tutto il mondo. Nel 1851 si tenne al Crystal Palace di Londra la prima di una serie di grandi esposizioni internazionali (la Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations), a cui parteciparono quattordicimila imprese. Parigi organizzò un’esposizione simile nel 1855 e in seguito altre città europee e ameri28
cane, come Philadelphia (1876) e Chicago (1893) continuarono con questa pratica per stimolare gli scambi commerciali tra i diversi Paesi.
L’era delle invenzioni La fiducia nel progresso, che aveva portato l’uomo occidentale a raggiungere degli importanti risultati scientifici e tecnologici dalla fine del XVIII secolo, diede origine nella seconda metà del secolo successivo a una crescita economica straordinaria, che contribuì in maniera sostanziale a cambiare la vita dell’umanità. In realtà si trattava dell’applicazione delle scoperte scientifiche all’industria, allo scopo di estendere i vantaggi della loro evoluzione a un numero sempre maggiore di persone. La maggior parte delle nuove invenzioni fu la conseguenza dei progressi della termodinamica, un ramo della fisica che ebbe uno sviluppo straordinario a partire dal 1865. La cosa più curiosa era che molti degli inventori non erano affatto scienziati dediti unicamente allo studio, piuttosto invece dei semplici “appassionati”, che con un
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2 IL TELEFONO. Secondo la tradizione, Graham Bell fu colui che inventò il telefono nel 1876; tuttavia, dal 2002, una decisione del Congresso americano ha riconosciuto Antonio Meucci come suo primo inventore. In alto, Graham Bell a New York nel 1892, durante il primo collegamento telefonico tra questa città e Chicago.
grande senso pratico scoprirono le enormi possibilità che racchiudeva il dominio della natura. Così, Thomas Alva Edison, che perfezionò la lampada elettrica nell’anno 1879, iniziò la sua carriera come venditore di giornali e telegrafista; Werner von Siemens, inventore della dinamo e pioniere nell’installazione delle linee telegrafiche sottomarine nel decennio del 1870, non aveva studiato fisica, e Guglielmo Marconi, l’inventore della telegrafia senza fili nel 1895, era un autodidatta. Nel 1854, Antonio Meucci inventò il telefono, che in seguito fu sviluppato da Graham Bell, e in questo modo la comunicazione fece un significativo salto di qualità. Altri scienziati professionisti, sia teorici sia sperimentali, svilupparono in questa fase nuove ipotesi che portarono a una migliore conoscenza dell’ambiente fisico. Lo scozzese James Clerk Maxwell formulò nel 1871 la teoria elettromagnetica della luce, che fu poi sviluppata negli anni successivi dal tedesco Heinrich Hertz, il quale riuscì a misurare la velocità reale delle onde elettromagnetiche. A partire da questa sco-
perta, ci furono dei rapidi progressi nello studio della radioattività. Nel 1895, il tedesco Wilhelm Conrad Röntgen scoprì i raggi X. Tre anni dopo, Pierre e Marie Curie riuscirono a isolare il radio. Queste scoperte incoraggiarono l’evoluzione della conoscenza del rapporto tra materia ed energia, il cui studio era iniziato nel 1870. Permisero anche di stabilire una relazione più stretta tra la fisica e la biologia e contribuirono a sviluppare da una parte le telecomunicazioni e la radio e, dall’altra, la radioterapia e i nuovi metodi per sconfiggere le malattie. In definitiva, i risultati raggiunti tramite queste scoperte resero più comoda la vita nelle società che potevano beneficiare del loro sfruttamento. La luce elettrica permise di cambiare gli orari nel mondo industrializzato, garantendo l’illuminazione all’interno degli edifici e delle fabbriche e anche nelle strade delle città; la telegrafia, la radio e il telefono contribuirono a stimolare le comunicazioni in tutto il mondo e i motori a scoppio finirono per rivoluzionare tanto il lavoro quanto la locomozione.
E LUCE FU.
Il perfezionamento della lampada a incandescenza di Thomas Elva Edison provocò un cambiamento radicale nella vita delle città del XIX secolo. In basso, una copia della prima lampadina di Edison.
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LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI
La rivoluzione dei trasporti
Le invenzioni della seconda metà del XVIII secolo trasformarono l’economia in generale e contribuirono a produrre, nel XIX secolo, una rivoluzione nei mezzi di trasporto.
L’
inarrestabile progresso tecnologico fu la base per lo sviluppo dei trasporti. In questo processo ebbe un’importanza decisiva l’invenzione della macchina a vapore, basata sul principio della dilatazione dei gas. Già nell’anno 1712, l’inventore Thomas Newcomen aveva fatto degli esperimenti con una macchina azionata dal vapore surriscaldato, che era ancora molto rozza e che
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diede uno scarso rendimento, ma a partire dalla quale James Watt, nel 1775, riuscì ad applicare la macchina a vapore all’industria. Nel 1800 Watt aveva già prodotto 469 macchine a vapore e nel 1830 in Gran Bretagna ce n’erano oltre 10.000, che venivano utilizzate principalmente nell’industria tessile. Tuttavia, l’applicazione di questa invenzione a un mezzo di trasporto sarebbe
La locomotiva Nel 1829, la locomotiva Rocket di George Stephenson si impose su altre in una gara per scegliere quella che sarebbe stata usata sulla linea ferroviaria Liverpool-Manchester. La medaglia, su cui è riprodotta questa locomotiva, commemora il centenario della nascita dell’ingegnere.
La forza del vapore per conquistare terre e mari Il mondo si fece più piccolo una volta che la forza del vapore iniziò a essere applicata ai mezzi di trasporto. Treni e piroscafi contribuirono in modo decisivo alla crescita economica. A sinistra, carico di una nave a vapore nel porto di Copenhagen (1881); in alto, treno merci della Central Pacific Railroad con il relativo personale a Mill City (Nevada), nel 1883.
arrivata solo nel 1807, quando un ingegnere e inventore nordamericano di nome Robert Fulton riuscì a portare a termine un progetto agognato per lunghi anni, ovvero azionare tramite una macchina a vapore le pale addossate al fianco di una nave – la nave a vapore del North River, conosciuta anche come Clermont – che risalì il corso del fiume Hudson da New York fino ad Albany in 32 ore, raggiungendo una velocità di circa 7 km/h. Pochi anni dopo, nel 1812, fu costruita a Glasgow un’imbarcazione che riusciva a risalire le acque del fiume Clyde in Scozia; presto cominciarono a funzionare navi a vapore in molti altri fiumi dell’Europa settentrionale. Questi primi esperimenti delle navi azionate dalla forza delle macchine a vapore si svolsero sulla rete fluviale e nei laghi, non soggetti a forti ondate che rendevano difficile il funzionamento delle pale su cui si basava il loro avanza-
mento. Il sistema permetteva, inoltre, di navigare controcorrente e di risalire i corsi dei fiumi, il che in molti casi risultava invece estremamente complesso con la navigazione a vela.
Il trasporto fluviale Per questo motivo, fu in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi che le prime navi a vapore ebbero lo sviluppo maggiore, per la presenza di numerosi canali e fiumi navigabili. Il trasporto di materiali pesanti fu così enormemente facilitato, a tal punto che aumentò considerevolmente il traffico e questo causò una diminuzione dei prezzi. Ci si rese anche conto che questo tipo di trasporto di merci era ugualmente utile per il trasporto dei passeggeri. In Francia si cercò di sviluppare un sistema simile di comunicazioni attraverso i fiumi e i canali, ma le distanze maggiori, le difficoltà che presentava il terreno, gli
ostacoli da superare e la mancanza di fondi per portare a termine le opere necessarie ritardarono il progetto. Nel Nordamerica, invece, si completò un canale nel lago Erie nell’anno 1825 e si costruì anche un sistema di canali che mise in comunicazione l’Atlantico con la regione dei Grandi Laghi. Durante i decenni successivi si svolsero importanti lavori di ingegneria per ampliare questa rete di trasporti fluviali in tutta Europa. Gli ingegneri tedeschi riuscirono a estendere questo tipo di comunicazioni costruendo dei canali che collegavano i principali fiumi, al punto tale che intorno al 1840 si poteva navigare da Rotterdam fino a Basilea. Una commissione internazionale stabilita con il Trattato di Parigi del 1856 allo scopo di procedere al dragaggio del Danubio, si occupò di dare a questo fiume una foce più grande e ne regolò il traffico. Negli Stati Uniti, le imbarcazioni 31
LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI
attraversavano l’Atlantico trasportando merci e passeggeri, esse iniziavano già a essere superate in numero dalle navi a vapore costruite con lo scafo di ferro.
Il trasporto marittimo
LA NAVE A VAPORE. L’ingegnere e inventore nordamericano Robert Fulton, padre della nave a vapore, in un’incisione del 1807 in cui appare circondato dalle immagini delle imbarcazioni create a partire dalla sua invenzione.
che navigavano sul Mississippi triplicarono tra il 1830 e il 1860, intensificando in questo modo il traffico di merci e passeggeri da nord a sud. L’applicazione della macchina a vapore alla navigazione transatlantica avrebbe dovuto aspettare ancora fino alla risoluzione dei diversi problemi tecnici che la rendevano difficoltosa, nella seconda metà del XIX secolo. La supremazia della navigazione a vela nei grandi spazi marittimi sarebbe rimasta tale almeno fino al 1880. Non era facile competere con il clipper, un veliero a tre o più alberi, con uno scafo stretto e allungato e molto veloce, che divenne padrone delle traversate oceaniche per la 32
sua rapidità e sicurezza a partire dal 1830. Nonostante nel 1859 fu inventata l’elica, uno strumento di straordinaria efficacia per la navigazione a vapore, la costruzione di navi con scafo di ferro causava ancora grandi difficoltà per la sporcizia che rimaneva attaccata allo scafo e per il costo che ne comportava la pulizia; inoltre, erano necessario uno spazio sufficiente per il combustibile e bisognava risolvere il problema della capacità di sopportare l’alta pressione richiesta dai motori marini. La navi con scafo di legno conservavano ancora il loro fascino e avevano notevoli vantaggi. Intorno al 1870 il tonnellaggio di questo tipo di navi della Gran Bretagna, per esempio, era salito a quattro milioni e mezzo, mentre quello della flotta delle navi di ferro azionate a vapore era appena di circa un milione. Tuttavia, anche se nel 1882 c’erano ancora oltre 500 navi mosse dal vento che
Altri progressi contribuirono a completare la rivoluzione nei trasporti marittimi. Uno di questi fu l’apertura del Canale di Suez nel 1869, che accorciò la distanza tra l’Europa e l’Asia. Il progetto e il suo finanziamento furono a carico della Francia e il suo ideatore fu l’ingegnere Ferdinand de Lesseps, anche se a trarre i maggiori vantaggi dalla sua realizzazione furono la Gran Bretagna e altri Paesi con interessi nell’Oriente asiatico. A sette anni dalla sua apertura da parte dell’imperatrice dei Francesi, Eugenia de Montijo, festeggiata con la prima dell’opera di Verdi Aida scritta per l’occasione, la Gran Bretagna assunse il controllo maggiore sul canale e sarebbero state le sue navi ad attraversarlo maggiormente nel corso del XX secolo. L’apertura del Canale di Suez fu seguita nel 1872 dalla costruzione di un canale che collegò la città olandese di Rotterdam con il Mare del Nord. Allo stesso modo, tra il 1887 e il 1895 si costruì il Canale di Kiel, che univa il Mar del Nord con il Baltico. L’intensificazione del traffico marittimo come conseguenza di tutte queste innovazioni richiese anche la modernizzazione dei porti, con la costruzione di nuovi scali, nuovi magazzini, gru e altri macchinari, così come il mantenimento della navigabilità dei canali con un dragaggio frequente e con investimenti sempre maggiori di capitali. Fu allo stesso modo molto importante per i collegamenti tra i mercati l’installazione dei cavi sottomarini che mettevano in comunicazione in maniera simultanea tutte le parti del mondo. Il promotore di questo sistema fu l’ingegnere tedesco Carl Wilhelm Siemens, che nel 1863 iniziò i lavori nella sua fabbrica di Woolwich per lanciare il primo dei suoi cavi oceanici. Un decennio dopo, nel 1874, erano già stati tesi cinque cavi sotto le acque dell’Atlantico.
Le prime locomotive Malgrado tutto, il simbolo della rivoluzione dei trasporti nell’era industriale è costituito senza dubbio dalla locomotiva.
Dalla nave fluviale al transatlantico Anche se l’uso della forza motrice del vapore applicata alle navi iniziò a essere sperimentata prima che nel trasporto terrestre, impiegò più tempo a diffondersi. Le prime prove si fecero alla fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX, con imbarcazioni azionate da ruote a pale che si rivelarono utili per la navigazione su fiumi e laghi. È il caso di quella che nel 1803 l’americano Robert Fulton varò nella Senna o quella che, solo quattro anni più tardi, gli servì per stabilire la prima linea regolare di navigazione sul fiume Hudson, che univa i 240 km compresi tra New York e Albany. Nel mare, e nonostante progressi tecnici importanti come la propulsione mediante eliche, i piroscafi tardarono a imporsi sui velieri, più rapidi ed economici, poiché non bisogna dimenticare che il vento, a differenza del carbone, non deve essere caricato né pagato. Intorno al 1880, la struttura in ferro, che permetteva di costruire navi di maggiori dimensioni e con maggiore capacità di carico, e una buona rete di approvvigionamento del carbone, che consentiva di sostituire il carbone durante la rotta, misero la navigazione commerciale a vela nel dimenticatoio.
PIROSCAFI FLUVIALI E OCEANICI. Nell’immagine in alto, litografia del 1866 che rappresenta una
gara tra piroscafi a elica sul fiume Mississippi, in cui Robert Fulton introdusse questo tipo di imbarcazione nel 1811. In basso, progetto dell’ingegnere britannico David Kirkaldy per un transatlantico di ferro battuto o dolce, il Persia. Nel 1856, la nave ricevette il Nastro Azzurro, un riconoscimento che dal 1833 le compagnie di navigazione concedevano alla nave che attraversava più rapidamente l’Atlantico. Il suo record da Liverpool a Sandy Hook (9 giorni, 16 ore e 16 minuti) fu battuto solo nel 1863.
2 1
5 4 3 1 LUNGHEZZA. Varato nel 1855, il Persia misurava 121 m di lunghezza, la nave più lunga del momento, e trasportava 3300 tonnellate.
2 RUOTA A PALE. Si metteva in funzione mediante una ruota a pale. Questo dettaglio rese il Persia subito obsoleto. Nel 1868 fu ritirato.
3 CALDAIA. Due caldaie producevano una potenza di 3600 cavalli e consumavano 147 tonnellate di carbone al giorno per raggiungere 24 km/h.
4 CABINE. Il Persia fu costruito per il trasporto di passeggeri. Aveva 250 posti destinati alla prima classe e 50 alla seconda.
5 VELAME. Disponeva originariamente di tre pali con la loro alberatura di vele. Il terzo di questi, situato a poppa, fu eliminato nel 1856.
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LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI
La rete ferroviaria: dagli Stephenson al transcontinentale Quando nel 1814 George Stephenson creò un primo prototipo di locomotiva, lo fece con l’idea di offrire una trazione meccanica ai vagoncini delle miniere. L’invenzione, tuttavia, non tardò a essere adattata al trasporto dei passeggeri. Se nel 1825 nacque la prima strada ferrata tra Darlington e Stockton (40 km), intorno al 1850 la rete ferroviaria in Europa occupava già 10.000 km. In basso, ritratto di Robert Stephenson; a destra, una Rocket, la locomotiva che progettò insieme al padre George e che poteva raggiungere i 47 km/h. Nella pagina successiva, cartina dello sviluppo ferroviario in Europa per decenni.
Anche se il primo tragitto realizzato con questo nuovo mezzo di trasporto avvenne con un certo ritardo rispetto alla navigazione giornaliera della prima nave a vapore, il suo sviluppo fu più rapido e si produsse essenzialmente nella prima metà del XIX secolo. In realtà, la prima locomotiva di cui si hanno notizie fu messa in funzione in Francia e fu opera di un ingegnere militare francese, Joseph Cugnot, che nel 1769 azionò una macchina a vapore senza rotaie davanti al re Luigi XV nel parco del principe di Conti a Vanves. Tuttavia, la fattura grossolana dell’invenzione e lo scarso entusiasmo che mostrarono le autorità non diede un seguito a quella dimostrazione. Il sistema avrebbe funzionato con successo solo quando si unirono la rotaia o binario, prima di legno e in seguito di ferro, alla macchina a vapore locomotiva. E questo sarebbe successo in Inghilterra, già agli inizi del XIX secolo. Nel 1800, l’in34
gegnere inglese Richard Trevithick costruì una locomotiva che era capace di trasportare un carico di otto tonnellate, ma la sua invenzione cadde nel dimenticatoio per le difficoltà che presentava la costruzione di rotaie capaci di sopportare tutto questo peso. Fu necessario aspettare fino al 1825 quando un altro ingegnere britannico, George Stephenson, riuscì infine a far circolare una locomotiva che tirava 30 vagoncini carichi di 80 tonnellate di carbone per i 15 km che separavano le località di Stockton e Darlington, alla considerevole velocità di 39 km/h. Il successo ottenuto da questa dimostrazione fu tale che il governo britannico aprì un concorso per costruire una linea ferroviaria di 65 km tra Liverpool e Manchester. George Stephenson vinse il concorso con la sua locomotiva Rocket e la linea regolare tra queste due città inglesi fu aperta nel 1829 con grande successo di passeggeri. Così gli
Stephenson divennero costruttori di locomotive, che perfezionarono nel corso degli anni successivi. Tuttavia, la locomotiva a vapore raggiunse la sua forma definitiva solo dopo il 1850. Con gli anni migliorarono le sue prestazioni e questo consentì un notevole aumento della sua potenza. Da qui, ogni Paese adattò la macchina d’accordo con le necessità di utilizzo e tenendo in considerazione l’orografia del territorio e l’estensione della rete dei binari che doveva essere costruita. In Paesi con territori scoscesi, le difficoltà che presentava il terreno montagnoso fecero pensare agli ingegneri che ci fosse bisogno di caldaie voluminose per poter superare gli ostacoli presentati dalle forti pendenze delle reti che attraversavano. Allo scopo di sostenere il peso di queste locomotive, in alcuni Paesi fu progettato un tipo di binario più largo rispetto al resto d’Europa. Tuttavia, gli studi svolti in Austria
Rete ferroviaria:
San Pietroburgo
Fino al 1850
Stoccolma
Intorno al 1870 Glasgow
Edimburgo
Belfast
MARE DEL NORD
Mosca
Newcastle Dublino Liverpool Manchester Birmingham Bristol
OCEANO AT L A N T I C O
Danzica Amburgo
Amsterdam
Hannover Londra Rotterdam Anversa Dortmund Berlino Essen Lille Düsseldorf Bruxelles Dresda Le Havre Liegi Lipsia Francoforte Parigi
Nancy
Praga
Stoccarda
Strasburgo
Saragozza
Graz
Lione
Rostov
Budapest
Milano Torino
Saint-Etienne Bilbao
Katowice Cracovia
Vienna
Berna Oviedo
Varsavia
Monaco
Basilea Bordeaux
Łódź Breslavia
Venezia
Tolosa Marsiglia
Firenze
M A R N E RO
Madrid Barcellona
Roma Napoli
Málaga
R M A
M E D I T E
a partire dal 1850 diedero origine allo sviluppo di locomotive capaci di superare i dislivelli più pronunciati senza aver bisogno di aumentare l’ampiezza dei binari. Per questa ragione si organizzò un concorso per la costruzione della linea che doveva unire Bruck a Vienna, incrociando il Semmering. D’altra parte, i nuovi progressi tecnici permisero presto alle locomotive dei treni passeggeri di raggiungere la velocità di 100 km/h. Il rapido sviluppo della ferrovia pose ben presto nuovi e complessi problemi tecnici, derivati dall’intensificazione del traffico, come quello della segnaletica, quello del perfezionamento del sistema di frenatura o la necessità di un’illuminazione artificiale. Nel 1832, Charles Fox inventò il sistema degli scambi, che rendeva possibile l’intersezione di due treni su un binario doppio, solo nelle stazioni. Tra il 1860 e il 1870 si introdusse nella rete un sistema di segnaletica elettrica
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mediante semafori, il cui funzionamento deve molto agli ingegneri francesi Lartigue, Tesse e Prud’homme. In questi anni furono introdotti anche nuovi sistemi di frenatura ideati contemporaneamente in Europa e negli Stati Uniti.
La rivoluzione ferroviaria La febbre della ferrovia si diffuse ben presto in tutto il mondo. Dai poco più di 300 km di binari costruiti nel 1830 si passò a 35.000 nel 1850. In Europa, Belgio e Germania si resero subito conto dei vantaggi offerti dalla comunicazione ferroviaria. Per la sua posizione sulla cartina, il Belgio, che ottenne l’indipendenza nel 1830, divenne il punto nevralgico delle comunicazioni europee. Attraverso il suo porto di Anversa comunicava, inoltre, con tutto il mondo. Questo Paese possedeva anche importanti miniere di carbone nelle valli della Sambre e della Mosa e ciò gli permise di avviare un
piano di comunicazioni ferroviarie che, ramificandosi a partire da Bruxelles, l’avrebbe trasformato in uno dei centri più importanti dell’industria e del commercio nel continente. In Germania, i primi treni per passeggeri iniziarono a funzionare in Baviera e in Sassonia nel decennio del 1830. Per quanto riguarda il trasporto delle merci, la città di Colonia divenne il centro delle comunicazioni ferroviarie nel cuore dell’Europa, con linee che la collegavano con Anversa, Minden e Basilea. Anche Berlino assunse una nuova importanza con il suo collegamento con Amburgo, Stettin, Anhalt, Breslavia, Magdeburgo e Lipsia. Il carbone della conca della Ruhr poté raggiungere nuovi mercati distanti e questo contribuì ad aumentare l’importanza dei porti tedeschi del Mare del Nord. La domanda crescente di rotaie stimolò l’espansione dell’industria tedesca del ferro e, anche se la maggior parte 35
LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI
L’UNIONE DI DUE OCEANI. Il 10 maggio 1869
fu messo a Utah l’ultimo chiodo della linea transcontinentale degli Stati Uniti. In alto, The last Spike , olio di Thomas Hill (California State Railroad Museum, Sacramento). delle dotazioni delle ferrovie proveniva dall’Inghilterra, dal Belgio e anche dagli Stati Uniti, anche le società tedesche decisero di aggiungersi alla produzione di questi rifornimenti. In Francia, anche se fu subito messo in funzione un treno prima sulla linea Lione-Saint-Étienne (1831) e poco dopo nei dintorni di Parigi, la costruzione della rete completa avvenne con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi europei, fondamentalmente a causa di ragioni di tipo politico. Non era chiaro chi si sarebbe preso la responsabilità del suo tracciato e del suo finanziamento, e solo nell’anno 1842 fu approvata una legge per la costruzione di una rete che si articolava da 36
Parigi. Le prime linee furono quelle di Rouen e Le Havre, che univano la capitale con un’importante regione tessile e con il porto più importante del nord del Paese e quella di Lille e Calais, che l’avvicinava alle città di Londra e Bruxelles. Negli Stati Uniti la prima linea per passeggeri fu inaugurata a Baltimora nel 1830. A partire da allora si crearono nuove linee nel nord e negli Stati del sud, ma senza alcuna connessione tra di esse. Presto le rotaie del treno attraversarono la linea del Mississippi e nel 1869 si estesero in tutto il continente. Il collegamento tra la Union Pacific e la Central Pacific formò la prima linea transcontinentale. Il Canada, da parte sua, tese una linea che univa Quebec e Ontario, a ovest, e un’altra che collegava Montreal con il porto di Portland, negli Stati Uniti. In Australia, i primi 1000 km di ferrovia furono costruiti durante gli anni Sessanta e univano le principali capitali con le zone dei
pascoli e delle coltivazioni. L’India fu il primo Paese asiatico a godere della ferrovia e nel 1870 era quasi l’unico a disporre di questo mezzo di trasporto. Nonostante tutto, alla fine del secolo era stata costruita solamente una piccola parte di quello che sarebbe stata la rete ferroviaria mondiale nel secolo successivo. La ferrovia rivoluzionò il sistema delle comunicazioni e comportò grandi vantaggi per le regioni dell’interno di tutto il continente. Zone che prima erano isolate poterono unirsi a mercati molto lontani e la rapidità del trasporto dei prodotti favorì la concentrazione industriale laddove esistevano importanti nodi ferroviari. Per quanto riguarda il trasporto passeggeri, la ferrovia accelerò i movimenti migratori e ridusse il prezzo degli spostamenti. Il conte di Saint-Simon vide addirittura in essa il miglior garante per l’unione delle nazioni e per il conseguimento della “pace perpetua nel mondo”.
Lo sviluppo dell’architettura e dell’ingegneria del ferro La fiducia del XIX secolo nella tecnica trovò eco nel modo di costruire, soprattutto quegli spazi nati dalle necessità del progresso stesso, come le stazioni ferroviarie. È il momento degli ingegneri, che a partire da materiali innovativi come il ferro o il vetro crearono strutture pratiche, espressione anche di una nuova estetica.
STAZIONI TEDESCHE. Illustrazione dell’enciclopedia Meyers Konversations-Lexikon, che mostra i dettagli di alcune stazioni ferroviarie tedesche costruite nel XIX secolo (dall’alto verso il basso): la Personenbahnhof di Francoforte, la stazione di Friedrichstrasse di Berlino, quella di Düsseldorf e la stazione centrale di Colonia.
GRAND CENTRAL DI NEW YORK. Inaugurata nel 1871 (l’incisione che la mostra è di un anno dopo), aveva una forma a L e si estendeva lungo la quarantaduesima strada e Vanderbilt Avenue. L’edificio originale fu abbattuto nel 1899. Quello attuale è la stazione ferroviaria più grande del mondo, grazie alle sue 44 banchine e ai 67 binari.
PONTE DI FERRO DI COALBROOKDALE. Sul fiume Severn, fu il primo ponte ad arco costruito con ferro fuso. Progettato da Thomas Farnolls Pritchard nel 1775, misura 60 m di lunghezza e si eleva a 30 m d’altezza. Nell’immagine, vista del ponte dipinta su un vassoio del 1801 (Palazzo Pitti, Firenze).
VIADOTTO DI GARABIT. Gustave Eiffel diresse tra il 1880 e il 1884 i lavori di questo ponte di ferro battuto per la linea ferroviaria Marvejols-Neussargues. Il suo arco sul fiume Truyère ha 165 m di luce e un’altezza di 122 m. Nell’immagine, fotografia realizzata il 6 aprile 1884, venti giorni prima della chiusura dell’arco centrale.
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SOLIDARIETÀ OPERAIA. Incisione
tedesca del 1889 (basata su un’illustrazione di Walter Crane) sulla proclamazione del Primo maggio come giornata internazionale del lavoro. Nella pagina accanto, un martello e un’incudine, simboli degli operai dell’industria metallurgica. 38
I CONFLITTI SOCIALI Le nuove condizioni di lavoro della Rivoluzione industriale e le differenze crescenti tra capitale e lavoro diedero origine alla comparsa di varie correnti di pensiero che avevano come proposito la redenzione del proletariato. Tra queste si distinsero il socialismo utopico, l’anarchismo e il comunismo. I lavoratori presero coscienza della necessità di associarsi e nacquero così il movimento operaio e il sindacalismo.
L
a Rivoluzione industriale introdusse cambiamenti molto importanti nelle strutture economiche delle società più sviluppate e provocò una trasformazione radicale delle condizioni di vita della popolazione, grazie all’applicazione dei progressi tecnologici. Inoltre, portò alla nascita di una nuova classe sociale: la classe operaia o proletariato. Il proletariato industriale era, per la maggior parte, di estrazione contadina. Spesso i cattivi raccolti, la pressione fiscale e le condizioni miserabili in cui erano costretti a vivere i lavoratori dei campi obbligavano i contadini senza terra e giornalieri ad abbandonare l’attività agricola per
cercare rifugio nelle città. L’agricoltura si fece più estensiva e si industrializzò e, inoltre, in alcuni paesi d’Europa ci fu un processo di alienazione che contribuì a concentrare la proprietà. Di conseguenza, il numero degli agricoltori senza lavoro aumentò e peggiorarono le condizioni di vita. I nuovi proprietari non offrivano la “giornata” se non in modo saltuario, durante il periodo dei raccolti. L’unica via d’uscita per i salariati era spostarsi nei centri urbani. Un altro elemento che influenzò questo esodo fu la presa di coscienza da parte di molti contadini, che combinavano la produzione domestica in forma artigianale con i lavori agricoli, dell’im39
I CONFLITTI SOCIALI
Londra, una popolazione ammucchiata e in costante aumento La capitale del Paese che vide nascere la Rivoluzione industriale non fu esente dalle contraddizioni derivate da questa stessa industrializzazione. Così, Londra era il cuore delle finanze e del commercio mondiali ma anche il luogo dove si ammucchiavano milioni di persone, che Charles Dickens descrisse molto bene nei suoi romanzi. Durante il XIX secolo, Londra divenne la città più popolata d’Europa: nel 1815 aveva 900.000 abitanti e nel 1891 la popolazione raggiungeva già i quattro milioni e mezzo. La ragione di questo aumento va cercata nelle masse di artigiani e contadini provenienti dall’ambiente rurale inglese che vi si stabilirono attratti dalla necessità di manodopera delle industrie e dei commerci, negli emigranti delle zone più povere d’Europa e nell’alto tasso di natalità di tutti questi. La vita, tuttavia, non era per niente facile. Nel corso di tutto il secolo, Londra fu una città caratterizzata da spiccati contrasti, in cui convivevano spazi molto diversi come uno splendido centro finanziario, moderno e lussuoso, la City, dove si prendevano le decisioni che influenzavano tutta l’economia mondiale, un porto in cui giungevano le merci più insospettabili da qualsiasi angolo del pianeta e dei quartieri, come l’East End, in cui le masse operaie sopravvivevano in condizioni penose. Il gran numero di persone stipate in misere abitazioni, la mancanza di igiene, l’assenza di rete fognaria e acqua potabile, la promiscuità, l’alcolismo e la precarietà del lavoro rendevano molto alta la mortalità di questa classe sociale. Nell’immagine, scena di strada a Dudley Street (Londra), in un’incisione dell’illustratore francese Gustave Doré, per il libro Londra: un pellegrinaggio (1872).
possibilità di competere con la produzione industriale. Il loro rendimento era molto minore di quello che offrivano le macchine e, di conseguenza, i salari che percepivano da parte degli intermediari diminuivano progressivamente. Chi si dedicava alla tessitura a mano a casa propria era condannato alla povertà. Alla fine, non ebbero altra soluzione che abbandonare la concorrenza sleale e, di fronte all’impossibilità di vivere esclusivamente della terra, furono spinti ad abbandonare le loro botteghe di tessitori manuali e le loro case contadine per andare, insieme a tutta la famiglia, a cercare lavoro nei centri industriali delle città o nelle miniere.
La nascita del proletariato La classe proletaria era costituita da lavoratori urbani impiegati nelle fabbriche e nelle miniere che offrivano la forza delle loro braccia in cambio di salari generalmente da fame. Nella maggior parte dei casi, questi lavoratori andavano nelle città attratti dal desiderio di migliorare le dure condizioni di vita che soffrivano nei loro 40
luoghi d’origine. Tuttavia, quello che trovavano una volta giunti alla loro nuova destinazione non aveva niente a che vedere con quello che si erano immaginati. Inoltre, gli Stati liberali della prima metà del XIX secolo trascuravano i problemi suscitati dall’esistenza precaria di una massa indifesa di lavoratori contro gli abusi commessi dai padroni delle grandi fabbriche, che li assumevano per sfruttare la loro forza lavoro al minor costo possibile. Non solo non esisteva alcun tipo di protezione sociale, ma la borghesia e le classi abbienti consideravano una minaccia l’esistenza di questa massa di poveri salariati che poteva mettere in pericolo le loro proprietà e anche la stabilità stessa della società. D’altra parte, l’esplosione demografica incrementò l’offerta di manodopera e svalutò il prezzo del lavoro, mentre il macchinismo permise di produrre di più con meno operai. Per questo le prime rivolte sociali, nei primi decenni del secolo, si tradussero nella distruzione delle macchine perché considerate nemiche del lavoratore. Queste rivolte sono conosciute come quelle dei luddisti, dall’inglese
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(milioni di abitanti)
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1815
1811
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1831
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1861
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(anni)
LA POPOLAZIONE LONDINESE NEL XIX SECOLO. Se verso la fine del XVIII secolo i confini di
Londra non superavano di molto quelli della città romana originaria, il XIX secolo portò con sé una grande espansione urbanistica per accogliere i nuovi abitanti. Nel grafico, i dati dell’Office for National Statistics del Regno Unito mostrano il ritmo di questa crescita inarrestabile.
luddites, così chiamati poiché seguaci di un operaio leggendario di nome Ned Ludd, che verso la fine del secolo aveva distrutto diversi telai. Queste rivolte, che all’inizio furono spontanee e disorganizzate, avrebbero preso forza e capacità organizzativa con l’avanzare del XIX secolo.
Le condizioni di vita La fuga dei contadini nelle città non è un fatto esclusivo di questa fase, ma si può osservare anche, seppure non con la stessa intensità, già nei secoli precedenti. Quello che ora è significativo è piuttosto l’enorme entità del fenomeno. In quest’epoca iniziarono a formarsi le grandi concentrazioni urbane del mondo moderno. Agli inizi del secolo nessuna città raggiungeva il milione di abitanti. Londra e Parigi, che erano le capitali più popolate d’Europa, avevano solamente 900.000 abitanti la prima e 800.000 la seconda. Solo altre venti città superavano la cifra di 100.000 abitanti. Alla fine del secolo erano già quattordici quelle che superavano il milione e ce n’erano 186 che superavano i 100.000.
Lo sviluppo delle grandi capitali d’Europa ha uno degli esempi più significativi nella città di Londra. Accoglieva, agli inizi del XIX secolo, solo un quinto della popolazione britannica. Nel 1851, invece, in essa viveva già la metà della popolazione di tutto il Paese. Questo processo di urbanizzazione comportò una trasformazione della società, che fino ad allora era stata principalmente agricola. La crescita delle città ebbe anche molto a che vedere con la Rivoluzione industriale. Con la creazione delle grandi fabbriche, il numero dei contadini che iniziarono a trasferirsi nelle città fu in aumento. Avevano la speranza di trovare lavoro e ottenere salari migliori rispetto a quelli offerti dalla campagna. Nelle città c’era sempre più bisogno di manodopera per far funzionare le nuove macchine nelle fabbriche. Non era richiesta alcuna specializzazione, così che potevano essere assunti anche le donne e i bambini, ma con salari ancora più bassi di quelli degli uomini adulti. Non c’era nessuna legislazione che proteggesse i diritti di questi lavoratori, pertanto gli orari di 41
I CONFLITTI SOCIALI
Louis Pasteur e i progressi nell’igiene e nella salute della popolazione Così come denunciavano i medici igienisti dell’epoca, l’alta mortalità nei quartieri operai era provocata, tra gli altri fattori, dalla mancanza di igiene dovuta all’affollamento e dal consumo di acqua contaminata e di alimenti in cattivo stato di conservazione. Lo stesso valeva per le malattie infettive, campo quest’ultimo in cui i contributi del chimico Louis Pasteur segnarono un prima e un dopo. Nato a Dole nel 1822, Pasteur studiò chimica a Besançon e a Parigi e non tardò a distinguersi grazie ai suoi lavori sulla cristallografia dell’acido tartarico. Tuttavia, la sua fama è legata maggiormente ai suoi studi sulla fermentazione e sulla batteriologia. Nel primo ambito, dimostrò che la fermentazione era prodotta da microorganismi e stabilì un metodo per eliminarli, la pastorizzazione, che consiste nel sottoporre un liquido a un breve trattamento termico che diminuisca il numero di patogeni fino a renderlo inoffensivo per il consumo umano. In questo modo, alimenti di base come il latte poterono essere trattati e distribuiti con maggiori garanzie sanitarie rispetto a prima. Nel campo della batteriologia, Pasteur studiò i meccanismi di trasmissione delle malattie infettive e dimostrò che erano dovuti a germi patogeni penetrati nell’organismo. Il vaccino contro la rabbia fu uno dei suoi risultati. Nell’immagine, Pasteur ritratto nel suo laboratorio da Albert Edelfelt nel 1885 (Musée d’Orsay, Parigi).
lavoro potevano prolungarsi dall’alba al tramonto. I padroni delle fabbriche costruivano delle case per ospitare i lavoratori, ma questi alloggi avevano delle scarse condizioni di abitabilità ed erano affittati a una famiglia completa oppure, a volte, a differenti famiglie, che si vedevano costrette a vivere ammucchiate e con ogni genere di scomodità. Se non era possibile permettersi di pagare un affitto o non c’erano abbastanza alloggi familiari, i lavoratori dovevano vivere in abitazioni collettive. In generale, le case dei lavoratori erano situate alle periferie delle città e vicino alle fabbriche perché potessero andare a piedi al lavoro. Questa crescita rapida e disordinata delle città favoriva la sporcizia e la mancanza di igiene nelle strade dei quartieri periferici dove si insediava questa nuova popolazione. Tutto ciò contribuiva alla diffusione di ogni sorta di malattie. Anche nelle città più sviluppate c’erano pochi abitanti che potevano godere dell’acqua corrente e della rete fognaria nelle loro case. La maggior parte della gente doveva fare la coda alle fontane pub42
bliche per portare l’acqua nelle proprie case nei secchi o in qualunque altro tipo di recipiente. Si raccoglieva anche l’acqua piovana o si prendeva dai fiumi, quando era possibile. Ne risultava che spesso l’acqua era poco salubre e il suo consumo diventava anche la causa di infezioni e di malattie. Nella capitale inglese morirono 31.000 persone come conseguenza del germe del colera che si scatenò nell’anno 1832, e molte altre morirono di tifo, difterite e dissenteria. Tuttavia, gli effetti di queste condizioni igieniche migliorarono nel corso del secolo, grazie ai progressi della medicina e alla scoperta di nuovi rimedi contro le malattie infettive. A ogni modo, la crescita delle grandi città in Europa si iniziò a verificare solo nell’anno 1870. Il processo fu lungo e complesso e contribuì a portare un grande cambiamento nella vita e nei costumi sociali. Incoraggiò anche la grande massa di lavoratori che si concentrava nelle zone periferiche delle città ad aumentare la propria capacità di relazionarsi e di associarsi, per cercare di risolvere i propri problemi e rivendicare in modo collettivo i propri diritti.
Il socialismo utopistico La situazione penosa che soffrivano gli operai nelle città portò alcuni intellettuali e filantropi a iniziare a pensare alla loro difesa e alla necessità di proporre delle soluzioni di fronte ai problemi causati dalla meccanizzazione e dalla concentrazione industriale. I primi teorici che iniziarono a formulare dottrine destinate alla redenzione delle classi lavoratrici lo fecero nella prima metà del XIX secolo. Furono definiti “socialisti utopistici” perché peccavano di un eccessivo utopismo e perché le loro idee non si adeguavano completamente alla realtà. Il termine fu coniato dall’attivista e rivoluzionario francese Louis Auguste Blanqui nel 1839 e fu utilizzato in seguito da Carl Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del Partito Comunista dell’anno 1848. Anche se ci sono autori secondo cui le origini di queste formulazioni socialiste nacquero all’epoca dell’Illuminismo, o addirittura anche prima se si considera la lunga tradizione della letteratura utopistica del pensiero occidentale, sicuramente le loro argomentazioni derivavano piuttosto dalla Rivoluzione francese. Mentre i liberali mettevano l’accento sul conseguimento delle libertà e i democratici sul raggiungimento dell’uguaglianza, i socialisti insistevano soprattutto sul principio della fraternità. Questi primi socialisti credevano sinceramente nel valore morale della collaborazione tra gli uomini e nella dignità del lavoro, ed erano convinti che con queste basi si potesse creare una società ar-
monica che fosse capace di rigenerare l’umanità. Le loro teorie si basavano sul principio rousseauviano secondo cui gli uomini erano buoni per natura ed eliminando le condizioni che provocavano la disuguaglianza sociale e la povertà, tutti si sarebbero comportati come fratelli. Il conseguimento della fraternità universale era, quindi, l’obiettivo perseguito da queste dottrine, anche se le strade per raggiungerla erano molto diverse a seconda degli autori che le formulavano. Tuttavia, il socialismo utopistico fu un fallimento quando si cercò di metterlo in pratica. Nonostante questo, ebbe una profonda influenza sui lavoratori e quando scoppiarono le rivoluzioni del 1848 in tutta Europa c’erano già gruppi attivi intrisi di questi ideali che lottarono per ottenere diritti sociali e politici per la classe proletaria. Alcuni dei tentativi di attuazione delle idee del socialismo utopistico si ebbero non in Europa bensì in America, specialmente negli Stati Uniti, dove l’estensione del territorio e la crescita economica frenetica offrivano (o promettevano) un nuovo modo di vivere a tutti coloro che vole-
vano fuggire dalle difficoltà economiche e dai convenzionalismi sociali che ancora imperavano invece nel Vecchio Continente.
I teorici del socialismo Alcuni dei rappresentanti più illustri del socialismo utopistico provenivano dalla classe borghese o erano addirittura membri dell’aristocrazia. Tra questi vale la pena citare i francesi Pierre-Joseph Proudhon, Claude Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon, Charles Fourier ed Étienne Cabet, così come l’inglese Robert Owen. Di tutti questi, Pierre-Joseph Proudhon era l’unico dei socialisti utopistici che proveniva dal mondo operaio. Aveva avuto una formazione da autodidatta ed esercitò il mestiere di tipografo. Espose la sua critica alla proprietà privata nell’opera Che cos’è la proprietà? che provocò un grande scandalo tra le classi abbienti del suo tempo. Proponeva la scomparsa dello Stato e la creazione di una federazione formata da una serie di unità sindacali e cooperative dedite ad attività che si sarebbero integrate tra di loro. In
FILOSOFO E RIVOLUZIONARIO.
Pierre-Joseph Proudhon e i suoi figli nel 1853 è uno dei ritratti più celebri del pittore Gustave Courbet, che era un fervente difensore delle idee del socialista, che definiva come «mio compagno» (Musée du Petit Palais, Parigi). Nel 1865 il giovane critico Émile Zola rifiutò energicamente le idee estetiche di Proudhon, che voleva mettere la creazione artistica al servizio delle sue utopie umanitarie. Per Zola, la sottomissione dell’arte all’ideologia significava il disprezzo per la personalità dell’artista e portava alla sua morte definitiva. 43
I CONFLITTI SOCIALI
Robert Owen e il villaggio utopistico di New Lanark Anche se è considerato un socialista utopistico, Owen non si limitò alla teoria, ma cercò di mettere in pratica il suo ideale riformista nelle fabbriche di New Lanark. L’esperienza funzionò sia sul piano sociale sia su quello economico. Intriso dell’ottimismo dell’Illuminismo, secondo cui la società poteva essere riformata grazie alla ragione e all’educazione, Robert Owen fece tutto il possibile per migliorare le conseguenze dello sviluppo capitalista sull’anello più debole della società, gli operai. E lo fece nelle fabbriche di cotone di New Lanark (Scozia), fondate dal suocero David Dale. Dal 1799, applicò in esse un programma sociale che garantì ai lavoratori delle condizioni abitative e igieniche dignitose. Inoltre, aumentò i salari, stabilì un sistema di previdenza sociale mutualistica e, nel 1816, fondò una scuola per i bambini affinché ricevessero una formazione liberale. Queste migliorie si tradussero in un incremento della produttività e degli utili, anche se Owen fu infine sollevato dalla direzione per decisione dei suoi soci. Nell’immagine, incisione di Frederick Bate della comunità cooperativa sperimentale di New Harmony, che Owen fondò nel 1825 a Indiana (Stati Uniti).
UTOPIE DIVERSE.
Ritratto di Charles Fourier realizzato da Jean-François Gigoux (Musée du Temps, Besançon). La società ideale di Fourier era agricola e artigiana, a differenza di quella di Saint-Simon, legata alla crescente industrializzazione. La sua idea di realizzare nella pratica una forma di vita cooperativa si basava sulla creazione di comunità rurali autosufficienti, i cosiddetti falansteri, dove tutti i servizi erano comunitari e i loro membri erano liberi di scegliere il tipo di lavoro più incline alle proprie capacità. I falansteri furono gli antenati delle comunità hippie del XX secolo. 44
questo senso Proudhon è stato spesso considerato un precursore dell’anarchismo. Saint-Simon aveva imboccato in gioventù la strada dell’esercito e aveva partecipato alla Rivoluzione americana delle Tredici Colonie che aveva portato alla nascita degli Stati Uniti. Presto lasciò l’esercito e si dedicò agli studi di economia e ingegneria, responsabili della nascita delle sue inquietudini sociali. Nei suoi scritti è presentata la relazione tra la produzione di ricchezza e il potere politico. Considerava ingiusto i lavoratori non avessero alcuna capacità politica, mentre quelli che non lavoravano né creavano ricchezza fossero coloro che detenevano il potere. SaintSimon considerava lavoratori gli industriali, i banchieri o gli imprenditori così come i muratori e i calzolai. I redditieri e i nobili e i politici erano semplicemente “parassiti” ed erano questi che dovevano essere esclusi dal potere. I suoi discepoli svilupparono le sue idee e si autodefinirono sansimoniani. Ebbero grande successo in Francia e si preoccuparono principalmente di estendere il benessere alle classi lavoratrici mediante
lo sviluppo economico di tutta la società. Sansimoniani potevano essere definiti sia Ferdinand de Lesseps, l’ingegnere che progettò il Canale di Suez, sia i fratelli Pereire, fondatori di una delle banche più importanti di Francia. Charles Fourier, viaggiatore di commercio francese, fu un altro dei patriarchi del socialismo utopistico. Tuttavia per lui l’importante non era come produrre di più – la preoccupazione principale di Saint-Simon – ma come distribuire meglio le ricchezze prodotte. A differenza di quest’ultimo, che era un sostenitore entusiasta della crescita dell’industria, Fourier accusava l’industrializzazione di massa di essere responsabile della miseria estrema in cui viveva la classe operaia. Per lui la società ideale era una società agricola e artigiana in cui si scambiassero in modo naturale i prodotti dello stesso valore. A questo scopo creò i falansteri, come forma di associazione volontaria per ottenere una società più giusta senza aver bisogno di ricorrere alla violenza. I falansteri erano unità socioeconomiche, composte da circa 1600 individui, nelle quali
ognuno svolgeva lavori complementari allo scopo di sostentarsi a vicenda. Anche se i tentativi di creare falansteri in Francia, negli Stati Uniti, in Spagna o in Messico furono un fallimento totale, Fourier apportò una serie di idee che sarebbero state poi d’ispirazione e raccolte dal socialismo successivo. Un altro rappresentante di spicco della corrente del socialismo utopistico fu Étienne Cabet, nato in Francia nel 1788. Studiò diritto e lavorò come giornalista nel suo Paese. In gioventù fece parte della società segreta dei carbonari (Charbonnerie), che cospirarono contro la monarchia di Luigi XVIII e di Carlo V durante la Restaurazione, intervenendo attivamente nel processo rivoluzionario del luglio del 1830. Cabet sviluppò una specie di comunismo utopistico, esponendone la dottrina nella sua opera Viaggio in Icaria, pubblicata nell’anno 1842, che ebbe una grande diffusione e fu ristampata cinque volte tra il 1840 e il 1848. Le sue idee si basavano sulla convinzione che, condividendo la proprietà, sarebbe stata eliminata la povertà e che tutti gli esseri
umani avrebbero raggiunto in questo modo l’uguaglianza. I suoi seguaci furono soprannominati icariani. Nel Nordamerica, dove si vide costretto a emigrare nel 1849, il movimento e i suoi adepti, 280 dei quali andarono con lui e fondarono varie comunità, ricevettero un’ottima accoglienza. Tuttavia queste comunità si sciolsero dopo alcuni anni a causa delle crescenti difficoltà finanziarie e delle dispute personali tra i loro componenti. Cabet morì nella città di Saint Louis (nel Missouri) nel 1856. Infine, citiamo Robert Owen, proprietario di un’industria di filatura del cotone in Scozia, che cercò di migliorare le condizioni di vita degli operai che lavoravano nella sua fabbrica mediante la creazione di cooperative, abitazioni e scuole. Era convinto che il progresso scientifico e lo sviluppo della tecnica avrebbero favorito anche le classi lavoratrici. Nel 1825 cercò di mettere in pratica le sue teorie negli Stati Uniti mediante la creazione di una colonia chiamata New Harmony, nello Stato dell’Indiana. A differenza di Fourier, credeva che questo tipo di colonie dovessero essere 45
I CONFLITTI SOCIALI
create dallo Stato con il denaro pubblico. La sua esperienza funzionò, ma si concluse con un fallimento, come i falansteri dell’utopista francese.
Il marxismo
Karl Marx e Friedrich Engels, una coppia che ha cambiato la storia Secondo Marx ed Engels, molti dei progetti socialisti che erano stati ideati e che si era tentato di mettere in pratica erano utopistici, perché credevano di poter riformare la società in modo pacifico. Per loro, invece, la strada per il socialismo poteva essere aperta solo dalla rivoluzione del proletariato. Marx ed Engels si conobbero a Parigi il 28 agosto 1844. Erano molto diversi: il primo era figlio di una famiglia della classe media di origine ebraica, mentre il secondo di una famiglia borghese e conservatrice, anche se questo non impedì che durante il periodo dell’Università di Berlino simpatizzasse con i giovani di sinistra. Da quel primo incontro iniziarono a collaborare a opere che gettarono le basi del socialismo rivoluzionario. Una di queste fu il Manifesto del Partito Comunista, la cui pubblicazione nel 1848 coincise con una serie di sollevazioni in Europa. Marx ed Engels furono costretti ad andare in esilio nel Regno Unito, dove il primo, grazie in buona misura alla situazione economica agiata del secondo, continuò a dar forma a nuovi progetti, tra cui il celebre Il capitale. In alto, Engels (a sinistra) con Marx e le figlie di quest’ultimo, Laura, Eleanor e Jenny, in una fotografia scattata a Londra nell’anno 1864.
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Il socialismo raggiunse la sua espressione più classica nelle teorie di Karl Marx. Marx era nato nella Prussia renana nel 1818 e aveva studiato nelle università di Bonn e Berlino, laureandosi infine in storia e filosofia all’Università di Jena. Non riuscì a ottenere il posto di professore universitario, che era ciò che desiderava, ma iniziò una carriera giornalistica che avrebbe esercitato fino alla morte. Ma ciò che davvero rese famoso questo pensatore e attivista tedesco di origine ebraica fu l’elaborazione di una teoria basata sulla lotta di classe. A suo giudizio, il capitale si otteneva dal plusvalore, che era la differenza tra il lavoro realizzato dall’operaio e il salario che riceveva. Questa differenza aumentava le risorse del padrone e avrebbe portato a una concentrazione industriale che avrebbe generato inevitabilmente una società in cui sarebbe prevalso un piccolo numero di capitalisti rispetto a una massa enorme di lavoratori. Questo sarebbe stato il momento di portare a termine la rivoluzione del proletariato per raggiungere il potere e stabilire un regime comunista. Marx si unì nel 1847 alla cosiddetta Lega dei Giusti, che era stata fondata a Parigi da un gruppo di rifugiati tedeschi nel decennio precedente e che a partire da quel momento fu ribattezzata con il nome di Lega Comunista. Insieme all’amico fraterno e collaboratore Friedrich Engels, Marx scrisse nell’autunno di quello stesso anno il Manifesto del Partito Comunista, un documento in cui non solo si formulava una dottrina completa per la rivoluzione sociale, ma anche una strategia per poterla attuare. Nel testo si offriva un’interpretazione della storia in generale come la storia della lotta di classe e si presentava la società del tempo al crocevia delle grandi forze rivoluzionarie. Nel 1848 Marx ed Engels andarono a Parigi e più tardi in Renania per intervenire attivamente nelle rivoluzioni sociali tedesche. A Colonia pubblicarono la Nuova Gazzetta Renana, una piattaforma da cui volevano diffondere i postulati comunisti. Dopo il fallimento della rivoluzione in Germania, si recarono a Londra, dove Marx continuò a sviluppare le sue teorie, che rese poi pubbliche nel 1867 con la pubblicazione del primo tomo di quella che è considerata la sua opera simbolo: Il Capitale; il resto dei volumi sarebbe stato pubblicato ormai dopo la sua morte. Le idee della dottrina marxista esposte in quest’opera, fondamentale per la sua influenza
sui movimenti sociali del XIX e del XX secolo, rivelano, oltre al fondamento sulla dialettica hegeliana, una forte influenza positivista e un chiaro legame con le teorie darwiniste dell’evoluzione. Evidenziano inoltre anche la loro conoscenza e il loro interesse per l’economia politica, che aumentò con le loro osservazioni sul nuovo sistema delle fabbriche e sulle condizioni lavorative del proletariato industriale. Il marxismo divenne rapidamente una specie di credo politico, che portò i suoi seguaci e i partiti marxisti che questi fondarono a imporre i loro dogmi impliciti in questa nuova religione laica. Marx non tardò a essere considerato come un profeta che era venuto a predicare la redenzione della classe lavoratrice. Il dogmatismo dei suoi seguaci gli impediva di esercitare l’autocritica delle loro teorie e coloro che si allontanavano dall’ortodossia non erano solamente cacciati dal partito ma anche considerati degli avversari. Grazie a questo e alla ferrea disciplina imposta da coloro che assunsero la direzione di questa corrente, il marxismo guadagnò terreno
tra il proletariato fino a diventare, alla fine del secolo, il credo della maggior parte dei partiti operai. Questi partiti iniziarono a essere presenti sulla scena politica dei Paesi europei e, alla fine del secolo, il socialismo aveva circa un milione di elettori in Francia. In Germania, il Partito Socialdemocratico (SPD) fu fondato nel 1875 e alla fine del secolo aveva 112 deputati; in Spagna, il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), basato sulle dottrine marxiste, fu fondato da Pablo Iglesias nel 1879; e in Gran Bretagna, il Partito Laburista fu sondato nel 1900 e attrasse non solo molti lavoratori ma anche un gran numero di professori e intellettuali.
XIX
Anarchismo e comunismo Prendendo come spunto l’Esposizione Universale che ci fu a Londra nell’anno 1862, in città si svolse un incontro degli operai di diversi paesi. Due anni più tardi, un altro incontro nel Saint Martin’s Hall di Covent Garden portò alla creazione della AIL, Associazione Internazionale dei Lavoratori (International Workers’ Association, IWA).
L’ANNO DELLE RIVOLUZIONI.
Questo è il modo in cui gli storici hanno definito il 1848. Iniziata in Francia, la terza ondata di rivoluzioni del XIX secolo (le altre due erano state nel 1820 e nel 1830) ebbe delle tinte sia liberali sia nazionalistiche e, per la prima volta, il movimento operaio diede prova di organizzazione. Le rivoluzioni furono soffocate, ma era già evidente che l’Antico Regime non era più sostenibile. Riunione politica a Treviri nel 1848, olio di Johann Velten (Stadtmuseum Simeonstift, Treviri). 47
L’EVOLUZIONE DELLE SPECIE, LA TEORIA DI DARWIN
N
el 1831, un giovane di ventidue anni di nome Charles Darwin si imbarcò sul brigantino HMS Beagle come naturalista senza salario per intraprendere una spedizione scientifica intorno al mondo. Nei cinque anni della durata del viaggio, egli compilò in modo esaustivo e scrupoloso una raccolta di dati su fauna, botanica, geologia, geografia e paleontologia. La sua intenzione era utilizzarli per andare al di là della mera descrizione e che gli indicassero il motivo delle differenze e delle somiglianze tra le specie che popolavano il pianeta. Fu così che nacque la teoria della selezione naturale, esposta nel 1859 in L’origine delle specie. La sua influenza superò ben presto il confine della biologia per raggiungere le ideologie più disparate, persino quella anarchica rappresentata dal principe russo Piotr Kropotkin, egli stesso naturalista di grande fama. A destra, il Beagle nello stretto di Murray, secondo un acquarello di Conrad Martens (Down House, Kent).
LA SPEDIZIONE.
I FRINGUELLI. Nelle Galapagos Darwin trovò varietà
di fringuelli diverse rispetto a quelle dell’America continentale. Il sospetto che queste differenze fossero dovute all’adattamento all’ambiente è l’origine della teoria dell’evoluzione. In alto, fringuelli in una litografia di Elizabeth Gould per il libro Zoologia del viaggio del Beagle. 48
Sestante utilizzato da Charles Darwin nel suo viaggio intorno al mondo a bordo del Beagle (Royal Geographical Society, Londra).
La seconda spedizione del Beagle, con Darwin a bordo, partì da Plymouth il 27 dicembre 1831 e approdò a Falmouth il 2 ottobre 1836, dopo quattro anni e nove mesi di viaggio. Durante questo tempo, Charles Darwin rimase tre anni e tre mesi sulla terraferma e diciotto mesi in mare, in navigazione.
ISOLE GALÁPAGOS
ECUA
Calla ISOLE TAHITI
ISOLE CHILOÉ
TE
AGOS
HILOÉ
CHARLES DARWIN, DALLA SCIMMIA ALL’HOMO SAPIENS Nel 1871, Darwin pubblicò L’origine dell’uomo, in cui trattava l’essere umano come una specie qualsiasi del regno animale. La polemica era servita.
IL RITRATTO PREFERITO. Nonostante non godesse di buona salute, Darwin continuò a studiare e a pubblicare fino alla sua morte nel 1882. In alto, il naturalista ritratto nel 1868 da Julia Margaret Cameron nella casa di campagna sull’isola di Wight.
INGHILTERRA
Falmouth (2-10-1836)
Plymouth (27-12-1831)
ISOLE AZZORRE ISOLE CANARIE
Tenerife
ISOLE DI CAPO VERDE Capo Verde ECUADOR
Callao Lima
Pernambuco
ISOLA DI ASCENSION ISOLA MAURIZIO
Salvador
PERÙ de Bahía ISOLA DI BRASILE Cabo Frío SANT ’ ELENA URUGUAY Río de Janeiro
Valparaíso Montevideo
CILE
Valdivia ARGENTINA
Stanley
ISOLE MALVINE
COLONIA DEL CAPO
Città del Capo
ISOLE COCOS
Port Louis
POLEMICA E BURLA. La teoria sull’evoluzione
AUSTRALIA
Sidney
BAIA DEL RE GIORGIO
Hobart
Wellington
umana suscitò nella società del suo tempo un’aspra controversia, plasmata in caricature come questa, pubblicata nel Punch, in cui Darwin è raffigurato come un primate.
TERRA DEL FUOCO
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I CONFLITTI SOCIALI
Marx, Bakunin e Kropotkin: dal socialismo all’anarco-comunismo La teoria di Darwin non tardò a essere adattata dai principali ideologi sociali della seconda metà del XIX secolo, sia marxisti sia anarchici. Tutti erano d’accordo sull’idea di una società egualitaria come culmine dell’evoluzione sociale, anche se avevano idee diverse sui metodi per realizzarla. Nel 1864, la fondazione, a Londra, della AIL (Associazione Internazionale dei Lavoratori) o Prima Internazionale evidenziò che il movimento operaio era diviso in due grandi correnti ideologiche: da un lato, il socialismo scientifico di Marx ed Engels e dall’altro l’anarchismo collettivista di Michail Bakunin. Le differenze tra le due riguardavano tutti gli ambiti, tanto dottrinali quanto pratici, fino a renderle incompatibili. Così, mentre il marxismo presentava una visione della storia come una lotta di classe, il bakuninismo privilegiava la libertà d’azione dell’individuo rispetto al concetto di classe, visto come qualcosa di borghese. E se Marx parlava di una dittatura del proletariato come fase precedente al socialismo, Bakunin, nel suo rifiuto di ogni genere di autorità, pur provvisoria, invocava una rivoluzione totale che distruggesse qualunque ricordo dello Stato. La scissione, quindi, era annunciata e si concretizzò nel V Congresso dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, tenutosi a L’Aia nel 1872. Quello stesso anno Bakunin redasse il suo Scritto contro Marx, in cui attribuiva all’autore de Il Capitale il progetto della costruzione di un grande Stato pantedesco ipoteticamente popolare. Bakunin morì nel 1876 e il suo testimone fu raccolto dal principe Pëtr Kropotkin, che fino al 1870 si era fatto un nome con i suoi studi di geografia. Le sue teorie, molto influenzate da Darwin, diedero forma all’anarco-comunismo, una società retta dalla cooperazione.
KARL MARX. Il grande ideologo del socialismo e della lotta di classe accettava la partecipazione al gioco politico. In alto, il filosofo fotografato a Londra (Karl Marx Museum, Treviri).
L’AIL, detta anche Prima Internazionale, scelse un consiglio generale che avrebbe avuto la sua sede a Londra e che era formato da delegati, la maggior parte inglesi, ma anche francesi, italiani e tedeschi, tra i quali c’era Karl Marx. Tuttavia, l’autore del Manifesto del Partito Comunista preferì lasciare da parte in quei momenti le definizioni dottrinali e concentrarsi sull’aspetto organizzativo della nuova associazione. La Prima Internazionale si diffuse rapidamente in tutti i Paesi europei e anche negli Stati Uniti, dove giunsero dei delegati a predicare i suoi principi e a cercare di ottenere l’affiliazione dei lavoratori. La struttura dell’organizzazione si basava sulla creazione di sezioni nazionali che dipendevano da un comitato centrale con sede a Londra. Gli statuti stabilivano che si sarebbe dovuto tenere un consiglio annuale delle diverse sezioni e che la direzione sarebbe stata affidata a un consiglio generale formato dai delegati. Nonostante il successo iniziale, l’AIL ebbe difficoltà a svilupparsi per la comparsa al suo interno di due correnti contrapposte. Da una parte, 50
quella socialista, guidata da Karl Marx; dall’altra, quella anarchica, rappresentata dal russo Michail Bakunin (1814-1876). I due avevano un concetto diverso della rivoluzione proletaria; mentre il primo voleva che i lavoratori utilizzassero i mezzi offerti dallo Stato per ottenere il potere politico e, una volta conseguitolo, procedere alla rivoluzione, Bakunin voleva che lo Stato scomparisse. Michail Bakunin era figlio di una famiglia russa aristocratica ed era una strana combinazione di misticismo e di violenza. Era fermamente convinto della bontà della natura umana, che secondo lui era stata viziata da strutture – lo Stato, la Chiesa, la giustizia e l’esercito – che dovevano essere completamente estirpate. Una volta raggiunto questo obiettivo, gli uomini avrebbero potuto vivere felici, senza imposizioni né ostacoli che gli impedissero di sviluppare la loro bontà naturale. Le dottrine anarchiche di Bakunin ebbero una straordinaria accoglienza nei Paesi della sponda del Mediterraneo con un’economia fondamentalmente agricola e meno sviluppati dal punto di vista industriale, come l’Italia, la Spagna
MICHAIL BAKUNIN. Il pensiero del padre dell’anarchismo non era esente da contraddizioni, come la xenofobia o l’antisemitismo. Nell’immagine, Bakunin fotografato da Nadar nel 1865.
o i Balcani. Gli operai e i contadini poveri di questi Paesi erano entusiasti dei discorsi degli anarchici che predicavano la creazione di una specie di paradiso collettivista, in cui non sarebbero esistiti possessori né posseduti e in cui tutti avrebbero vissuto un’esistenza pienamente felice. Le due correnti contrapposte non ci misero molto a provocare una scissione all’interno dell’AIL, che si consumò durante il Congresso dell’Aia nel 1872, quando Bakunin e i suoi seguaci anarchici furono cacciati dall’organizzazione. Questo provvedimento, tuttavia, diede come risultato il fallimento della Prima Internazionale. L’ultimo congresso dell’associazione si tenne a Ginevra nel 1873 e il suo scioglimento fu concordato da un piccolo gruppo di seguaci che si riunirono a Philadelphia nel 1876. Le idee di Bakunin ebbero la loro continuazione nel pensiero del naturalista e geografo Pëtr Kropotkin (1842-1921) – anch’egli appartenente all’aristocrazia russa – seguace convinto della teoria dell’evoluzione darwinista e considerato come uno dei principali teorici del movimento
PËTR KROPOTKIN. La coscienza sociale di questo principe si risvegliò in Siberia, dove fu destinato durante il suo servizio militare. In alto, Kropotkin in una fotografia scattata nel 1913.
anarco-comunista. Kropotkin sviluppò la teoria del mutuo appoggio, un’interpretazione più ampia dell’evoluzionismo darwiniano, secondo la quale la cooperazione e l’aiuto reciproco – più che la competitività tra le persone – sono pratiche essenziali nella natura umana. Il tema centrale delle tesi dell’anarco-comunismo era l’abolizione di ogni forma di governo a favore di una società che fosse retta dal principio del mutuo aiuto (la sua opera scientifica di maggior prestigio ha per titolo: Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione) e della cooperazione, senza la necessità di istituzioni statali.
La Seconda Internazionale Dopo il fallimento della Prima Internazionale, nel 1889 si cercò nuovamente di realizzare l’unione del proletariato mondiale mediante la creazione della Seconda Internazionale in un congresso che si tenne a Parigi. Gli anarchici, che si erano già orientati verso una posizione più violenta con l’utilizzo sistematico del terrorismo, non furono ammessi in questa organizzazione.
IL QUARTO STATO (pag. 52-53). Quadro di
grande forza espressiva e simbolica, Il quarto Stato (1901) di Giuseppe Pellizza da Volpedo rappresenta la nuova maggioranza sociale, il proletariato di origine rurale, che irrompe con una forza mettendo da parte le vecchie strutture dell’Antico Regime (Museo del Novecento, Milano). 51
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La rivolta di Haymarket e il Primo maggio Nel 1886 Chicago fu lo scenario di uno degli episodi più drammatici della lotta degli operai per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. In quella sede, la serie di proteste e scioperi iniziata il 1 maggio per rivendicare diritti che oggi sono assodati, come la giornata lavorativa di otto ore, finì tre giorni più tardi in un bagno di sangue. La convocazione dello sciopero fu una risposta all’inadempimento della Legge Ingersoll, che il presidente Andrew Johnson aveva approvato quello stesso anno e che stabiliva la giornata di otto ore. Oltre 200.000 lavoratori di Chicago, la seconda città più industrializzata degli Stati Uniti, appoggiarono il 1 maggio delle mobilitazioni che continuarono i giorni successivi. La tragedia si consumò il giorno 4 durante un atto organizzato a Haymarket Square per protestare contro la brutalità della condotta politica nella manifestazione del giorno precedente. Lo scoppio di una bomba tra un gruppo di 180 poliziotti che stava disperdendo i manifestanti provocò la morte di un ufficiale e gli agenti aprirono un fuoco indiscriminato sulla folla. La repressione degli operai continuò nei giorni successivi con detenzioni che culminarono a giugno in un processo. Nell’immagine, incisione di Thure de Thulstrup con la scena dell’esplosione della bomba.
Un anno prima della fondazione della Seconda Internazionale, in una riunione dei sindacati che si era tenuta a Saint Louis, negli Stati Uniti, si era deciso di festeggiare l’International Workers’ Day (Festa del Lavoro) il primo maggio di ogni anno, con manifestazioni in tutto il mondo a favore della giornata lavorativa di otto ore e per rivendicare altre misure allo scopo di migliorare la situazione degli operai. L’evento sarebbe servito per commemorare la repressione a cui erano stati sottoposti nel 1886 alcuni lavoratori a Chicago e che era costata la vita ad alcuni di loro (la rivolta di Haymarket). Nel 1891, il secondo congresso dell’Internazionale fece proprio questo accordo istituendo definitivamente questa data come festa annuale del lavoro. La sede di questa nuova Internazionale fu stabilita a Bruxelles a partire dall’anno 1900 e si fece particolare attenzione a evitare la centralizzazione della sua organizzazione mediante l’autonomia dei gruppi nazionali. L’esistenza di una minima organizzazione centrale aveva come unico obiettivo quello di garantire che le diverse 54
federazioni fossero in relazione tra loro mediante l’organizzazione di congressi, dai quali sarebbe derivata una serie di orientamenti che in nessun modo sarebbero stati vincolanti. A partire dalla creazione della Seconda Internazionale, una volta allontanati gli anarchici, la classe operaia ottenne via via migliori condizioni lavorative e servizi che contribuirono al suo benessere sociale. Al tempo stesso, alcuni socialisti iniziarono a cambiare la loro posizione radicale nei confronti del capitalismo e della classe borghese ed ebbero la tendenza ad ammorbidire i loro postulati sulla lotta di classe. Quelli che assunsero questa posizione furono definiti revisionisti e sarebbero poi sfociati nella socialdemocrazia.
I movimenti sindacali I primi tentativi di associazione sindacale dei lavoratori non furono legati alla comparsa delle dottrine socialiste: le loro origini vanno cercate prima, nei primi decenni del XIX secolo, in Gran Bretagna. Le prime manifestazioni di questo associazionismo si ebbero mediante le cosiddette
I MARTIRI DI CHICAGO. Il 21 giugno 1886 iniziò il processo contro i sindacalisti anarchici responsabili degli episodi di Haymarket. Otto di questi furono processati e cinque condannati a morte e giustiziati: August Spies, George Engel, Adolph Fischer, Albert Parsons e Louis Lingg, anche se quest’ultimo si suicidò in prigione. Sono i “martiri di Chicago” e in loro onore l’Internazionale Socialista stabilì nel 1889 il primo maggio come Giornata internazionale dei lavoratori.
casse di resistenza. Questo sistema consisteva nella realizzazione di depositi di denaro creati con i contributi dei lavoratori che godevano di migliori condizioni economiche, allo scopo di sostenere coloro che non ricevevano il salario perché avevano partecipato agli scioperi oppure erano stati licenziati dai loro padroni. I governi reagirono proibendo le associazioni operaie, dichiarando illegali gli scioperi e reprimendo duramente le manifestazioni nelle strade. Tuttavia, questo atteggiamento non impedì lo sviluppo del movimento associazionista e che si arrivasse prima alla creazione dei sindacati delle imprese e, in seguito, alle grandi unioni sindacali, che in Inghilterra presero il nome di Trade Unions. Nel 1825 fu riconosciuta la libertà di associazione e nel 1830 fu fondata la National Association for the Protection of Labour, che raggiunse presto i 100.000 affiliati. Nel 1838 il falegname William Lovett e il sarto Francis Place pubblicarono The People’s Charter (La carta del popolo), che comprendeva un programma politico per estendere il suffragio uni-
versale maschile e mettere in atto un’altra serie di riforme elettorali. Il movimento cartista si diffuse presto tra le classi lavoratrici e si trasformò in una denuncia contro i mali dell’industrializzazione in Gran Bretagna, dando impulso a una serie di riforme posteriori. Pertanto, anche se il cartismo ha radici politiche, nacque come conseguenza di un malcontento popolare generalizzato. Tuttavia, il suo fallimento nel 1842 fece sì che il movimento operaio si orientasse verso un punto di vista puramente sindacalista. Nella seconda metà del XIX secolo iniziò il vero e proprio movimento sindacale sulle basi di una maggiore organizzazione e si abbandonarono le agitazioni sporadiche che avevano caratterizzato le rivendicazioni operaie fino ad allora. I sindacati ottennero il riconoscimento legale in Gran Bretagna nel 1871, in Spagna nel 1881, in Francia nel 1884 e in Germania nel 1890. Fino al decennio del 1880, i sindacati erano formati per la maggior parte da lavoratori specializzati nella costruzione, nelle arti grafiche, nel settore minerario e nell’industria tessile. Si trat55
I CONFLITTI SOCIALI
Rerum novarum, la prima enciclica sociale Il 15 maggio 1891, il papa Leone XIII promulgò un’enciclica che avvicinò la Chiesa ai problemi e ai conflitti sociali ed economici del proletariato provocati dallo sviluppo della Rivoluzione industriale. La Chiesa cattolica tardò a reagire di fronte alle ingiustizie sociali provocate dall’industrializzazione e dal consolidamento del sistema economico capitalista. La prima enciclica sul tema fu promulgata molto tardi, nel 1891, quando la società era già cambiata radicalmente rispetto a quella dell’Antico Regime. Il timore di fronte all’auge dei movimenti rivoluzionari, per definizione materialisti quando non radicalmente atei e anticlericali, è alla base della gestazione della Rerum novarum (Delle cose nuove). Ne fu l’artefice Leone XIII (nell’immagine), che dalla sua elezione al soglio pontificio nel 1878 trasformò il Vaticano in uno strumento di mediazione diplomatica nella scena europea. La sua enciclica non discuteva l’ordine stabilito (la proprietà privata, per esempio, è vista come una cosa basata sulla legge naturale) e, di conseguenza, chiamava gli operai cattolici a rifiutare ogni genere di tentazione rivoluzionaria, ma al tempo stesso invocava la necessità di salari giusti e di una giustizia sociale salvaguardata dallo Stato.
tava di associazioni impegnate essenzialmente nell’attenzione alla salute dei loro membri, nella prevenzione di incidenti e negli aiuti che le famiglie potevano ricevere in caso di malattia o morte dei lavoratori. Solo occasionalmente supportavano le loro richieste di migliori condizioni di lavoro, di meno ore di lavoro e salari migliori con degli scioperi. A partire dal periodo di crescita economica che iniziò nel 1886, ci fu un rapido sviluppo del sindacalismo, in cui si consentì l’accesso anche a braccianti e lavoratori non specializzati. In questo modo aumentò il numero di scioperi, che divennero più duri. Nel 1886 si registrarono movimenti di questo tipo in Belgio da parte dei minatori e dei vetrai; nel 1889 a Londra da parte degli stivatori e nella regione tedesca della conca della Ruhr da parte dei lavoratori delle miniere di carbone e negli anni 1891 e 1892 in Francia da parte dei boscaioli. L’impulso del movimento sindacale contribuì ad arricchire la vita sociale, ma la indebolì anche, a causa del frazionamento in diverse correnti. Per questo alla fine del secolo si registrò una ten56
denza all’unificazione e alla federazione per perseguirne il rafforzamento. In Francia, i sindacati formarono nell’anno 1895 la Confédération Générale du Travail (CGT), che inizialmente non ebbe alcun legame con la politica e le attività parlamentari. In Inghilterra il Trades Union Congress si era costituito originariamente nel 1868 per unire i diversi tipi di sindacato. Tuttavia, a differenza della Francia, accettò la partecipazione alla politica e portò nel 1900 alla creazione del Partito Laburista. In Germania e in Italia, il sindacalismo rimase diviso, anche se furono i sindacati di tendenza socialista che riuscirono a riunire un maggior numero di affiliati.
La chiesa e il sindacalismo cristiano L’atteggiamento che mostrò inizialmente la Chiesa cattolica verso il movimento operaio fu di assoluta incomprensione. La comparsa del proletariato e le precarie condizioni di vita delle classi lavoratrici come conseguenza della Rivoluzione industriale furono fenomeni che né la Chiesa cattolica né le diverse confessioni protestanti
seppero affrontare contro gli abusi evidenti del capitalismo. I suoi ministri non erano nemmeno capaci di offrire ai lavoratori un conforto spirituale, poiché di fronte alla vita misera degli operai invocavano la carità, non la giustizia. Dai pulpiti, i pastori e i sacerdoti attribuivano ai vizi dei poveri le sofferenze che subivano. Con il passare del secolo, la sensibilità della gerarchia ecclesiastica cattolica di fronte alla situazione creata dallo sviluppo del capitalismo tra le classi lavoratrici aumentò progressivamente. Una delle prime personalità della Chiesa cattolica che si mostrò capace di affrontare con coraggio la necessità di trovare delle soluzioni per migliorare la condizione degli operai fu il vescovo di Magonza, Wilhelm von Ketteler, che apportò alcune formule per migliorare le condizioni di lavoro e incoraggiare l’associazionismo. Le sue preoccupazioni diedero origine alla formazione delle prime associazioni operaie cattoliche, che insieme alle rivendicazioni materiali sostenevano nei loro programmi il perfezionamento morale e religioso dei lavoratori.
La cosiddetta “questione sociale” assunse importanza tra le preoccupazioni della Chiesa di Roma fino a culminare nella promulgazione dell’enciclica Rerum novarum da parte di papa Leone XIII nell’anno 1891. Questo documento formula in modo chiaro la dottrina sociale cristiana di fronte ai problemi presentati dai tempi nuovi: si condanna il socialismo per la sua radice materialista e per la scelta della lotta di classe come strumento per imporre la sua dottrina sociale e si difende il diritto dei lavoratori a una proprietà stabile e all’istituzione familiare. L’enciclica sollecita anche l’intervento dello Stato per proteggere le classi più numerose e deboli attraverso la promulgazione di leggi sociali e, al tempo stesso, incoraggia i lavoratori a creare dei sindacati cattolici, in difesa dei propri interessi. A partire dalla promulgazione dell’enciclica, iniziò a diffondersi un sindacalismo di base cristiana, anche se ciò avvenne con maggiore successo tra i lavoratori delle campagne piuttosto che negli ambienti industriali, fatta eccezione per Francia, Italia e Belgio.
IL MOVIMENTO DEGLI SCIOPERI. Lo sciopero
(1886), olio del pittore di origine tedesca Robert Koehler, ispirato alle lotte operaie degli Stati Uniti che sfociarono nella rivolta di Haymarket. Quest’opera, la più famosa tra le scene di genere ispirata alla vita della classe operaia che dipinse Koelher, mostra il momento in cui gli operai si radunano furiosi davanti al padrone della fabbrica, riconoscibile dal cilindro (Deutsches Historisches Museum, Berlino).
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LA NAZIONE TEDESCA.
Germania, allegoria della nuova nazione, in un olio del 1848 di Philipp Veit (Germanisches Nationalmuseum, Norimberga). Nella pagina accanto, elmo da ufficiale prussiano, o Pickelhaube, della fine del XIX secolo. 58
L’AUGE DEI NAZIONALISMI Le correnti nazionaliste che affiorarono in Europa dopo la sconfitta napoleonica portarono un profondo cambiamento nella geopolitica del Vecchio Continente. In alcuni casi, contribuirono a unire politicamente nazioni che erano frammentate in vari Stati, come Germania o Italia. In altri, diedero luogo allo smembramento di grandi imperi costituiti da popoli molto diversi, come nel caso dell’impero degli Asburgo.
A
gli inizi del XIX secolo, la carta politica del mondo presentava notevoli differenze rispetto a quella della fine del secolo. Molte delle attuali nazioni non erano ancora nate e non avevano ancora definito i loro confini così come le conosciamo oggi. Nel corso del secolo si venne a delineare una nuova cartografia politica, specialmente in Europa, che modificò quella ereditata dall’epoca della formazione degli Stati moderni e in cui ebbero un ruolo essenziale i nazionalismi emergenti. Il fenomeno del nazionalismo è stato uno dei temi che ha suscitato i dibattiti più accesi tra storici, antropologi, politologi e pensatori della
fine del XX secolo. Alcuni autori, che si potrebbero denominare nazionalisti culturali, sostengono che le nazioni moderne nacquero in modo naturale a partire da comunità che condividevano lingua e cultura. Altri autori, tra i quali occorre citare Eric Hobsbawm e Benedict Anderson, sono dell’idea che le nazioni furono “costruite” o “inventate” da forze politiche o da atti di immaginazione invece che sorgere in modo naturale come organismi viventi. Senza addentrarsi in questo dibattito, si può descrivere una nazione come una comunità di individui consapevoli di appartenere a qualcosa di comune, fondata sulla convinzione di condivi59
L’AUGE DEI NAZIONALISMI
L’”ANIMA D’ITALIA”.
Ispiratore del processo di unificazione italiano, il giornalista e attivista Giuseppe Mazzini fallì nei suoi tentativi di insurrezione e, alla fine, il suo progetto repubblicano-liberale fu superato dal piano di Cavour per la creazione di uno Stato italiano unificato sotto la monarchia costituzionale. In alto, Mazzini in un olio dell’epoca (Museo del Risorgimento, Milano).
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dere una stessa patria, un’identica evoluzione storica e delle comuni tradizioni culturali. Con questo significato ampio si può segnalare l’esistenza di nazioni da molto prima del XIX secolo. Senza dubbio esisteva un forte senso di appartenenza a una nazione già nell’Inghilterra dei Tudor nel XV secolo e anche la Francia sviluppò un sentimento simile con la monarchia centralizzatrice della dinastia dei Borbone. Tuttavia, sembra generalmente accettato che il nazionalismo moderno fu una corrente che nacque in Europa nella prima metà del XIX secolo, spinta dal desiderio di alcuni popoli di affermare la loro identità e indipendenza rispetto al dominio di altre comunità o gruppi. Nella seconda metà del secolo, le correnti nazionaliste raggiunsero già una dimensione globale. Le conquiste napoleoniche in tutta Europa risvegliarono i sentimenti nazionalisti di molti popoli, che reagirono al dominio della Francia. Così, in Europa, il nazionalismo moderno nacque come spirito di resistenza al dominio imposto dagli stranieri e, pertanto, fu in origine antifrancese. In Germania e in Italia ma anche in Spagna, Polonia, Belgio, Russia e Portogallo, l’espansione dell’impero napoleonico contribuì a ravvivare i sentimenti nazionalisti dei popoli sottomessi. Di conseguenza, i costumi nativi, le istituzioni locali, la cultura e le lingue vernacolari assunsero un nuovo e imprescindibile valore. In realtà, la politica di Napoleone si proponeva di convertire i Paesi conquistati in satelliti della Francia e di mettere a disposizione le risorse necessarie per soddisfare le sue ambizioni dinastiche. Sicuramente l’imperatore non aveva un’idea chiara di come gestire i sentimenti nazionalisti che affioravano già in alcuni Paesi europei contro i governi. Non preparò nemmeno una base strutturale per dare solidità al suo impero; si limitò a introdurre i codici legali e il sistema amministrativo francesi. Le urgenze militari e le esigenze del blocco continentale furono i fattori che segnarono la sua politica in ogni momento. Il nazionalismo non fu, pertanto, il risultato delle intenzioni di Napoleone, ma piuttosto una reazione contro il suo impero nei popoli sottomessi con la forza al dominio del suo esercito. D’altra parte, il movimento romantico stava consolidando in alcune regioni d’Europa un rinascimento culturale. Era il caso della Germania, dove una serie di personalità della musica, della letteratura e del pensiero, come Beethoven, Goethe, Schiller, Kant ed Hegel, avevano ottenuto un’enorme risonanza. I filosofi Herder e Fichte avevano mostrato ai Tedeschi l’importanza del carattere nazionale peculiare, o Vol-
La formazione delle identità nazionali Il concetto di “nazione”, che i Francesi avevano reso uno dei cardini della loro rivoluzione, acquistò nel XIX secolo il suo pieno significato. Con il liberalismo e il socialismo, si trasformò in una delle idee chiave di questo secolo. La lingua e un passato storico comune erano due degli elementi essenziali del sentimento nazionalista. Entrambi furono i cardini che strutturarono l’Hambacher Fest. Tra i giorni 27 e 30 maggio 1832, i dintorni di questo castello del Palatinato divennero il centro di un atto di rivendicazione della libertà e dell’unificazione nazionale tedesche a cui parteciparono tra le 20.000 e le 30.000 persone, per la maggior parte studenti democratici e liberali, ma anche Francesi ed esiliati polacchi. Uno degli organizzatori, Jakob Siebenpfeiffer, iniziò il discorso inaugurale dicendo: «Viva la Germania libera e unita! Vivano tutti i popoli che lottano per rompere le loro catene e aderiscono all’alleanza della libertà!». E questo in una cornice arricchita da bandiere tricolore tedesche, simbolo della libertà, dell’unità e dei diritti dei cittadini. A destra, incisione dell’epoca in cui è rappresentato il corteo da Neustadt fino al castello di Hambach.
kgeist, che presentavano come la base fondamentale di ogni cultura. Il respiro intellettuale per il rafforzamento di questo nazionalismo proveniva fondamentalmente dall’Università di Berlino. Da quell’ateneo, Hegel diffuse la nuova filosofia dell’autorità e del potere dello Stato che avrebbe attratto Tedeschi, Italiani e molti Europei nel corso del XIX secolo.
Nazionalismo e imperialismo Il nazionalismo non è un fenomeno esclusivamente europeo. Spesso è stato considerato come un movimento trasferito dal mondo occidentale alle popolazioni meno sviluppate dell’Asia e dell’Africa. Tuttavia, questa convinzione deve essere sfatata. Sicuramente molti Africani vivevano in comunità locali o regionali senza possedere un’identità chiaramente definita. Ma già verso la metà del secolo, e in risposta ai tentativi occidentali di diffusione della Bibbia, alcuni intellettuali nativi che scrivevano in lingue vernacolari iniziarono a parlare di “popoli” africani. Inoltre, bisogna tenere nella giusta considera-
zione quei movimenti indipendentisti che nacquero in India o in Egitto durante gli anni Ottanta, così come successe in altre parti dell’Asia intorno al 1900. Il Giappone era per molti aspetti uno Stato-nazione prima della fine dell’era Tokugawa, nell’anno 1868. Di conseguenza, non bisogna ridurre il fenomeno dei movimenti nazionalisti all’ambito esclusivamente europeo. La diffusione del sentimento nazionalista non rispondeva unicamente alle ondate di guerre che si verificavano in tutto il mondo ma rifletteva anche la facilità delle comunicazioni e l’incremento della circolazione delle correnti ideologiche. In India, il riformatore Ram Mohan Roy poteva leggere sui giornali inglesi di Calcutta il risultato delle rivoluzioni post-napoleoniche in Europa per scrivere di autodeterminazione nazionale. La rivolta degli spahi del 1857 e la nuova invasione britannica spinsero alcune regioni della costa a riconsiderare il loro status all’interno dell’impero britannico. La nascita del Giappone Meiji come moderno Stato-nazione nel 1868 trasformò questo Paese durante gli anni Ot-
tanta in un modello per altri nazionalisti asiatici e africani. Allo stesso modo, nella seconda metà del secolo, dopo la fine della guerra di Secessione, gli Stati Uniti d’America rafforzarono il loro sentimento di nazione. Accanto a queste correnti che portavano alla nascita di nuove nazioni o rafforzavano i sentimenti nazionalisti, c’erano gruppi che si identificavano per la loro religione, per la razza, la lingua e lo stile di vita, che erano troppo piccoli o erano troppo dispersi per reclamare la loro autonomia come nazione. Era il caso, per esempio, dei Tartari in Russia, degli Indios in America o degli Ebrei in Europa. Queste minoranze comportavano una sfida costante per i nazionalisti che progettavano la costruzione dei nuovi Statinazione. Per alcuni governanti, l’esistenza di minoranze poteva essere utile per facilitare l’esercizio del potere mediante l’applicazione del principio “dividi e vincerai”. Tuttavia, per i nazionalisti le minoranze con identità propria dovevano essere incorporate, sia per ragioni strategiche sia per ragioni di tipo culturale. 61
PRINCIPALI FATTI DELLE RIVOLUZIONI DEL 1830 E 1848 Luglio 1830
Le tre gloriose. Sollevazione popolare a Parigi che provoca la caduta di Carlo X, a cui succede Luigi Filippo di Borbone-Orléans. Agosto 1830
Indipendenza del Belgio. Una rivoluzione porta gli abitanti delle Fiandre e della Vallonia a separarsi dal Regno Unito dei Paesi Bassi. Novembre 1830
Insurrezione dei cadetti. In Polonia, l’insurrezione contro la Russia è soffocata con decisione. Molti patrioti vanno in esilio. Maggio 1832
Hambacher Fest. I patrioti tedeschi si concentrano nel Palatinato per rivendicare la libertà e l’unificazione. Febbraio 1848
Repubblica francese. Luigi Filippo è rovesciato e si proclama la Seconda repubblica francese, che aprirà la strada al Secondo impero. Marzo 1848
Rivoluzione in Ungheria. Inizia una rivoluzione che si trasforma nella guerra d’Indipendenza ungherese.
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Per le potenze coloniali, l’esistenza di differenze culturali o religiose tra gli abitanti dei loro territori di oltremare e i loro cittadini implicava vantaggi e al tempo stesso inconvenienti che non sempre seppero gestire. Queste differenze complicavano i tentativi di stabilire una stessa legge e una stessa amministrazione, così come lo sfruttamento economico dei loro possedimenti. Il problema fu risolto mediante il mantenimento di “amministrazioni native”, rispettando parzialmente la loro peculiare idiosincrasia invece di imporre governi con caratteristiche europee. Tuttavia, in realtà queste manovre volte a trattare in modo particolare popoli molto diversi tra loro servì solo a intensificare le differenze che, a lungo andare, incoraggiavano nuovi movimenti nazionalisti in tutto il mondo.
Il ciclo rivoluzionario del 1848 Le rivoluzioni che erano avvenute in Europa tra la fine del XVIII e il primo terzo del XIX secolo avevano contribuito a cambiare sostanzialmente il panorama politico, sociale ed economico del
continente. I movimenti liberali e nazionalisti avevano lasciato le loro impronte in vari Paesi. Il Belgio aveva proclamato la sua indipendenza dai Paesi Bassi il 4 ottobre 1830. In Polonia c’era stato un tentativo di insurrezione contro la dominazione russa nel novembre del 1830, anche se l’intervento di un esercito inviato da Mosca l’anno successivo mise fine alla rivolta. Nel nord Italia si registrarono insurrezioni prontamente soffocate dall’Austria. Anche Spagna e Portogallo, anche se con un certo ritardo, conobbero gli effetti di questa scossa e stabilirono infine dei regimi di taglio liberale. Allo stesso modo i cantoni svizzeri si fecero eco dell’ondata rivoluzionaria che percorse l’Europa nel 1830. Agli inizi del 1848 una parte significativa della popolazione dei Paesi che si estendevano dal Canale della Manica fino alla frontiera russa aveva forti ragioni per mostrare il proprio malcontento verso i rispettivi governi. Inoltre, in alcuni luoghi come Italia e Germania, questo malcontento era accompagnato da un crescente fervore popolare per l’indipendenza nazionale.
La causa di fondo di questo malessere generalizzato andava cercata nella cattiva situazione economica in cui si trovava la maggior parte dell’Europa. Lo sviluppo industriale che era iniziato nei primi anni del secolo aveva portato grandi disordini a causa dell’introduzione di nuovi modi di produzione, dell’espansione incontrollata degli stessi e di una smisurata speculazione. Migliaia di artigiani e operai rimasero senza lavoro. Al tempo stesso, i cattivi raccolti del 1845 e 1846 fecero salire i prezzi alle stelle, dall’Irlanda alla Polonia. Nei primi mesi del 1848, le classi medie riformiste e i lavoratori disperati si unirono in una difficile alleanza e a partire da marzo iniziarono a scoppiare movimenti rivoluzionari in tutto il continente. Parigi fu, come era successo nel 1830, la città dove iniziarono a registrarsi disordini. La debolezza della monarchia di Luigi Filippo d’Orléans e il rifiuto del suo primo ministro François Guizot di concedere il voto alla piccola borghesia e ai lavoratori scatenarono la rivolta. La risposta di Luigi Filippo di fronte alla crescente opposizione
fu la limitazione delle libertà; la proibizione di un banchetto in cui sarebbe stato criticato il governo nel febbraio del 1848 fu la scintilla che fece scoppiare la rivoluzione. Luigi Filippo fu detronizzato e si vide costretto a fuggire in Inghilterra. La Seconda repubblica sostituì la monarchia liberale e nei primi mesi fu governata da socialisti e moderati, ma le elezioni di dicembre, le prime a suffragio universale, diedero il potere alla destra. In altri luoghi d’Europa ci furono rivoluzioni simili a quella francese. Anche prima, una rivolta popolare a Palermo aveva obbligato il reazionario Ferdinando II di Napoli ad accettare una Costituzione. Ma fu a Vienna che gli echi rivoluzionari francesi ebbero una risonanza maggiore. Il 12 marzo 1848 ci fu una manifestazione guidata dagli studenti, che chiedevano l’eliminazione della censura e maggiori libertà democratiche. La repressione da parte delle truppe imperiali aggravò la situazione e l’imperatore Ferdinando I d’Austria si vide costretto ad abdicare a favore del nipote Francesco Giuseppe. Anche in Ungheria ci furono diverse rivolte nate per chiedere
LA RIVOLUZIONE DEL 1848. Lamartine, davanti al Municipio di Parigi il 25 febbraio 1848, rifiuta l’uso della bandiera rossa, olio di Félix Philippoteaux. Alphonse de Lamartine fu scrittore, poeta e politico e occupò per breve tempo l’incarico di governatore durante la Rivoluzione del 1848. Dopo l’insurrezione popolare di Parigi (dal 23 al 25 febbraio), il governo provvisorio, formato da repubblicani moderati come Lamartine e da radicali e socialisti, portò alla Seconda Repubblica. (Musée du Petit Palais, Parigi).
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L’AUGE DEI NAZIONALISMI
Italia: un mosaico di Stati in cerca di unità
CONFEDERA
Z I O N E E LV E T I C
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Battaglie Territori ceduti alla Francia (1859) Regno di Piemonte-Sardegna: Prima del 1859 1859 Trieste Padova Torino Custoza (1866) ISTRIA 1º semestre 1860 A I R PARMA Parma GU 2º semestre 1860 L I Genova Bologna NIZZA 1866 MODENA Montecarlo Zara Nizza 1870 Pisa SAN MARINO Firenze MONACO TOSCANA Ancona IMPERO Siena OTTOMANO Castelfidardo Spalato (Split) (1860) UMBRIA Orvieto Lissa CORSICA (1866) Ajaccio Mentana (1867) Z Roma O Macerone (1860) Manfredonia Gaeta Sassari Napoli Volturno (1860) PU G L Brindisi Salerno CA SARDEGNA Taranto I A M H
AU S T R I AUN Vezza SAVOIA Trento VENEZIA G (1866) Chambéry T E LOMBARDIA ON Versa (1866) FR E MMagenta Milano Solferino (1859) Verona (1859) Venezia PI
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Cagliari
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Soveria Mannelli (1860)
Palermo Calatafimi (1860)
Messina Milazzo (1860) SICILIA
CA L
Campagne militari: Intervento francese (1859) I “mille” di Garibaldi (1860) Spedizione del regno sardo (1860) Interventi indipendentisti (1866)
maggiori libertà contro il dominio dell’Austria; il governo di Vienna dovette accettare di applicare una serie di riforme, che trionfarono infine senza spargimenti di sangue. In Prussia iniziarono a emergere i settori liberali e nazionalisti, fino ad allora pesantemente repressi; a Berlino, una potente classe lavoratrice fece numerose rivendicazioni. Il re Federico Guglielmo IV si vide costretto a riunire un’Assemblea Costituente nel mese di maggio dell’anno 1848; in essa si generò una divisione tra l’estrema sinistra, che aspirava a istituire una repubblica, e i più moderati, soddisfatti di una monarchia con poteri limitati. Il re approfittò di questa divisione e, appoggiandosi al gruppo più conservatore degli Junker (i membri della nobiltà possidente), sciolse l’Assemblea con la forza il 9 novembre. Anche se nel 1850 la fiamma rivoluzionaria aveva già iniziato ad affievolirsi e sembrava che l’Europa nel suo insieme non subisse grandi cambiamenti, in realtà tutti quegli avvenimenti avevano indebolito gli ultimi resti dell’Antico Regime e favorirono la definizione di siste64
ER
NC
L’Italia precedente all’unificazione era un rompicapo di Stati con regimi e livelli di sviluppo molto diversi, a cui si aggiungeva il fatto che alcuni di essi non erano nemmeno indipendenti: la Lombardia, il Veneto e il Regno delle Due Sicilie erano sotto la dominazione austriaca, mentre i ducati di Parma, Modena e Toscana oscillavano tra l’influenza austriaca e quella francese. Al centro rimanevano gli Stati Pontifici, governati dal papa, e al nord il regno di Piemonte-Sardegna, che fu il motore dell’unificazione. A sinistra, Giuseppe Garibaldi in una fotografia del 1866; a destra, olio di Sebastiano de Albertis che rappresenta l’incontro di Vittorio Emanuele II e Garibaldi a Teano, il 26 ottobre 1860 (Museo Nazionale del Risorgimento, Torino).
A
Anche se non era una novità, il sogno di un’Italia unificata ebbe un nuovo slancio nella seconda metà del XIX secolo con quel movimento romantico di affermazione culturale, nazionale e politica che fu il Risorgimento.
Aspromonte (1862)
Reggio Catania
mi politici parlamentari e democratici. D’altra parte, favorirono anche la gestazione dei processi di unificazione di Italia e Germania.
L’unificazione dell’Italia Intorno alla metà del XIX secolo, la Penisola Italiana era divisa in vari Stati e Staterelli. A sud c’era il regno borbonico delle Due Sicilie; al centro, gli Stati Pontifici e, più a nord, il Granducato di Toscana e i piccoli ducati di Modena e Parma. Lombardia e Venezia rimanevano sotto il dominio austriaco e completava la cartina peninsulare il Piemonte, che era retto dal casato di Savoia, titolare anche della Sardegna. Il dominio napoleonico aveva contribuito a rafforzare negli Italiani l’idea dell’unificazione di una Penisola frammentata in tutto il suo territorio. Nonostante tra gli Stati italiani ci fossero delle notevoli differenze politiche, sociali, economiche e culturali, l’amministrazione francese mostrò i vantaggi della centralizzazione e la possibilità di liberarsi definitivamente di alcune pratiche feudali ancora radicate dal passato. In
seguito, dopo la sconfitta di Napoleone, durante le ondate rivoluzionarie degli anni 1820 e 1830, gli Italiani del nord compresero che non avrebbero potuto arrivare all’unificazione di tutti i territori della Penisola senza prima liberarsi della dominazione austriaca e che questo non sarebbe potuto accadere senza l’aiuto e l’appoggio di qualche potenza straniera. Dopo il fallimento della Rivoluzione del 1830, il genovese Giuseppe Mazzini, che aveva provato la via cospiratoria per sollevare il popolo e ottenere l’unità attraverso la società segreta dei carbonari, cambiò tattica. Nel 1831 fu esiliato a Marsiglia, dove organizzò il movimento della Giovine Italia allo scopo di creare una nazione repubblicana, libera e indipendente. Dopo il fallimento di vari tentativi di insurrezione, Mazzini fu costretto ad andare in esilio a Londra nel 1837; anche se non riuscì a realizzare il suo sogno, è da considerarsi il vero ispiratore dell’unità d’Italia. A partire da allora, gli sforzi per conseguire l’unificazione degli Stati italiani spettarono al papato. Vincenzo Gioberti, nella sua opera Del pri-
mato morale e civile degli italiani, pubblicata nel 1843, faceva appello a una federazione italiana guidata dagli Stati Pontifici, che diede origine alla corrente denominata neoguelfismo. Questa denominazione faceva riferimento alla fazione dei guelfi del XII secolo, che appoggiavano il papato, contro i ghibellini, che sostenevano gli interessi dell’imperatore del Sacro romano impero germanico. Durante i primi anni del suo pontificato, Pio XI adottò alcune misure liberalizzatrici che allarmarono gli Austriaci, poiché sembravano portare all’unificazione. Tuttavia, quando scoppiò la Rivoluzione del 1848, il movimento neoguelfo si sciolse di fronte al rifiuto del pontefice di utilizzare le forze del Vaticano contro l’Austria. L’atteggiamento del pontefice provocò una reazione contro di lui a Roma, da dove fu costretto a fuggire vestito da sacerdote il 24 novembre. Diverse nazioni di fede cattolica si prepararono ad andare in suo aiuto, ma la Francia anticipò tutti e gettò l’assedio nella Roma repubblicana. La difesa della capitale degli Stati Pontifici fu guidata da Giuseppe Garibaldi, un avventu65
L’AUGE DEI NAZIONALISMI
riero che divenne l’eroe della causa italiana, anche se non fu in grado di impedire l’ingresso delle truppe francesi a Roma.
L’abilità di Cavour
Camillo Benso, conte di Cavour, l’artefice dell’unità d’Italia Nel 1852, quando Vittorio Emanuele II lo rese primo ministro del regno di Piemonte-Sardegna, il conte di Cavour iniziò a lavorare per realizzare il vecchio sogno di un’Italia unita sotto uno stesso scettro. Continuava così il lavoro del suo predecessore, il nazionalista moderato Massimo d’Azeglio, a cui si deve una frase celebre del Risorgimento: l’Italia farà da sé. Nel suo lavoro per ottenere l’unificazione dell’Italia, Cavour si distinse per la sua abilità negoziatrice con le potenze che potevano facilitare la sua impresa. In particolare la Francia di Napoleone III, vista come un alleato indispensabile in un processo che, prima o poi, avrebbe portato allo scontro con la potente Austria. Ma Cavour non si fermò qui: sapeva che affinché Piemonte-Sardegna potessero guidare il processo, aveva bisogno di essere uno Stato forte e dotato di un’economia dinamica e moderna; per questo condusse una politica liberale che in poco tempo trasformò il regno nel più sviluppato della Penisola. Tuttavia, i patrioti più radicali, riuniti intorno al repubblicano Giuseppe Mazzini, criticarono la sua politica perché si trattava di un processo troppo cauto e lento. In alto, il conte di Cavour ritratto da Francesco Hayez (Pinacoteca di Brera, Milano).
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Dopo il fallimento dei tentativi nazionalisti nell’anno 1848, il movimento di unificazione italiano volse lo sguardo verso il regno savoiardo di Piemonte-Sardegna affinché il re, Carlo Alberto, ne assumesse la direzione. Tuttavia, quest’ultimo affidò il compito al suo figlio primogenito, a favore del quale abdicò nel 1849. Fu così che Vittorio Emanuele II divenne il primo re dell’Italia unita. Nel 1852 designò come ministro Camillo Benso, conte di Cavour, un imprenditore agricolo di idee liberoscambiste, ammiratore del parlamentarismo britannico ed editore del giornale Il Risorgimento, per guidare il processo di unificazione. Cavour stimolò lo sviluppo della rete ferroviaria, protesse gli interessi delle classi medie e rafforzò l’esercito. Obbligò la Chiesa a pagare le imposte e confiscò le terre degli ordini religiosi, aumentando così in modo considerevole le entrate dello Stato. In politica estera inviò le truppe nella guerra di Crimea a sostegno dell’impero ottomano e contro l’espansionismo russo, rafforzando così la sua amicizia con Francia e Gran Bretagna. Nel Congresso di pace di Parigi del 1856 difese le rivendicazioni italiane contro l’Austria e anche se in concreto non ottenne nulla, si guadagnò l’appoggio di Napoleone III e fece sì che si cominciasse a parlare della questione italiana su scala internazionale. Nel 1858 si svolse un incontro tra Cavour e Napoleone III nella residenza estiva di Plombières, nei Vosgi. I due firmarono un patto segreto mediante il quale, in cambio dell’aiuto per cacciare gli Austriaci dal nord Italia, la Francia avrebbe ricevuto Nizza e la Savoia. Il papa non sarebbe stato disturbato e Ferdinando II sarebbe rimasto a Napoli. Le truppe di Napoleone III entrarono nel nord Italia e sconfissero le forze dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe a Magenta e Solferino. Tuttavia, poco dopo, nel 1859, fu firmato l’armistizio di Villafranca, con grande sorpresa di Cavour, che si aspettava un intervento più decisivo da parte dei Francesi. La sua delusione lo portò a presentare le dimissioni come presidente del consiglio dei ministri piemontese. Nonostante questo, Modena, Parma, la Toscana e la Romagna, dove si tennero dei plebisciti, decisero di unirsi al regno del Piemonte.
La spedizione di Garibaldi Il movimento di riunificazione era iniziato con l’annessione delle quattro province centrali al regno piemontese. Rimaneva in sospeso l’annes-
sione del resto della Penisola. Nell’aprile del 1860 scoppiò in Sicilia un’insurrezione contro Francesco II. La richiesta di aiuto dei ribelli ottenne la risposta di Garibaldi, che rispose al loro appello con la cosiddetta “spedizione dei Mille”, le giubbe rosse, che salpò dal porto di Genova il 5 maggio. Sei giorni dopo sbarcavano a Marsala e poco dopo entravano nella città di Palermo. Garibaldi prese il potere nell’isola in nome del re Vittorio Emanuele. Viste le notizie che arrivavano dalla Sicilia, Francesco II si affrettò a realizzare alcuni cambiamenti politici a Napoli e a impegnarsi a elaborare una Costituzione e a nominare un governo liberale. Questo non bastò a fermare Garibaldi, che il 7 di settembre attraversò lo stretto di Messina e si impossessò di Napoli con l’intenzione di proclamare una repubblica nel sud Italia e di inviare anche una spedizione a Roma. Cavour, che era tornato al governo piemontese per il cambio della congiuntura nel processo di unificazione, non poteva sopportare che si interrompesse ora il cammino intrapreso, a causa dell’azione di Garibaldi. Quindi, con il consenso
della Francia, inviò delle truppe nei territori pontifici per evitare che cadessero anch’essi nelle mani di Garibaldi e si unissero al progetto repubblicano. Agli inizi di novembre del 1860, Vittorio Emanuele entrò a Napoli, dove fu ben accolto da Garibaldi, che si vide costretto ad abbandonare il suo proposito di proclamare la repubblica. Con l’unione del regno di Napoli al Piemonte nacque il regno d’Italia, il cui parlamento si riunì nella prima capitale Torino nell’anno 1862. Ma una capitale a nord era troppo isolata per essere quella definitiva della nuova nazione e fu così che venne spostata a Firenze nel 1865. Solo Venezia e la città di Roma rimanevano ancora fuori dall’Italia unita. Il 6 giugno 1861 morì Cavour, proprio nel momento in cui il suo lavoro avrebbe potuto essere decisivo per completare l’unità nazionale.
GLI EROI DELLA NUOVA NAZIONE. Nella battaglia di Calatafimi (15 maggio 1860), uno degli episodi decisivi della “spedizione dei Mille”, le giubbe rosse furono appoggiate da volontari siciliani antiborbonici. Garibaldi gli aveva lanciato la sua celebre arringa: «Qui si fa l’Italia o si muore!». Olio di Remigio Legat (Museo Centrale del Risorgimento, Roma).
La questione romana Tuttavia, la questione della scelta della capitale del nuovo regno non fu risolta definitivamente, come altrettanto incerta era ancora l’unità territoriale di tutti gli Stati della Penisola. 67
VERDI E WAGNER, IL NAZIONALISMO NELLA MUSICA
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a questione nazionalista non si risolse solo sui campi di battaglia e nell’alta politica. Ebbero anche molto da dire gli artisti e in particolare i compositori, questi ultimi impegnati in un genere, l’opera, che unendo la parola e la musica divenne la voce più efficace delle rivendicazioni delle sue popolazioni. È il caso delle opere di Giuseppe Verdi e Richard Wagner. Nati entrambi nel 1813, seppero essere i portavoce dei desideri di libertà dell’Italia e della Germania, rispettivamente. Il primo lo fu con opere che erano subito interpretate dal pubblico in chiave patriottica, come il Nabucco e il suo coro Va’ pensiero. E non solo, il suo nome fu anche sfruttato come acronimo politico: scrivere “Viva Verdi!” sul muro era sì un elogio al musicista, ma anche uno slogan nazionale, poiché “Verdi”I significava Vittorio Emanuele Re D’Italia… Per quanto riguarda Wagner, arrivò a prendere parte alla sollevazione nazionalista e di sinistra di Dresda nel 1849, a conseguenza della quale fu costretto ad andare in esilio a Zurigo. Da allora, plasmò i suoi ideali patriottici in drammi musicali basati su leggende e miti germanici, come Lohengrin, Parsifal o la grande tetralogia epica L’anello del nibelungo.
UN TEATRO PER WAGNER. Con l’appoggio di Luigi II di Baviera, Wagner costruì a Bayreuth un teatro solo per le sue opere. Il Festspielhaus fu inaugurato nel 1876. 68
LA SCALA DI MILANO E VERDI. Buona parte delle opere di Giuseppe Verdi ebbe la sua prima al Teatro alla Scala di Milano. Inaugurato nel 1778 con un’opera di Antonio Salieri, è ancora oggi uno dei più emblematici teatri lirici del continente europeo. Tra le prime delle opere di Verdi in cui figura il suo debutto nel genere, l’oggi dimenticata Oberto (1839) e due opere le cui melodie incendiarono di ardore patriottico Milano, una città che allora si trovava ancora sotto il dominio austriaco: Nabucco (1842) e I lombardi alla prima crociata (1843).
PERSONALITÀ OPPOSTE Verdi e Wagner dominarono la scena operistica da posizioni opposte, il primo conservando la tradizione, il secondo guardando al futuro.
GIUSEPPE VERDI. Seppe rinnovare l’opera italiana dando maggior peso al contenuto e ai personaggi, ma senza tradire l’essenza del genere, il canto. Il suo motto era: «Tornate all’antico e sarà un progresso!». Olio di Giovanni Boldini (Galleria d’Arte Moderna, Roma).
IL TEATRO DOPO L’UNIFICAZIONE. Dopo la prima di Giovanna d’Arco nel
1845, Verdi abbandonò la Scala, scontento dell’impresario del teatro. Non ci sarebbe tornato fino al 1869, quando gli Austriaci aveno lasciato la città già da dieci anni. La riconciliazione del maestro con il teatro valse a quest’ultimo la prima europea di Aida (1872), l’opera scritta per l’inaugurazione del Canale di Suez e quella delle sue due ultime opere, Otello (1887) e Falstaff (1893). In alto, rappresentazione alla Scala secondo un’incisione degli inizi del XIX secolo.
RICHARD WAGNER. Con Beethoven come idolo,
Wagner gettò le basi de “la musica del futuro”: rifiutò l’opera perché decaduta e la sostituì con il dramma musicale, visto come un’opera d’arte completa.
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L’AUGE DEI NAZIONALISMI
L’ULTIMO MONARCA.
Tre anni dopo la sua elezione a presidente della Seconda repubblica nel 1848, Luigi Napoleone Bonaparte fece un colpo di Stato che portò a promulgare una nuova Costituzione autoritaria e infine fu proclamato imperatore, dopo un plebiscito, con il nome di Napoleone III. Pertanto, fu l’unico presidente dell’effimera Seconda repubblica e anche l’ultimo imperatore di Francia. Il Secondo impero finì con la sconfitta di Sedan, contro la Prussia, nel 1871. Ritratto dell’imperatore da parte di Hippolyte Flandrin (Musée National du Château, Versailles). 70
Per raggiungerla c’erano due ostacoli: da una parte, l’unione del Veneto, ancora sotto il dominio austriaco e la cui annessione al regno di Savoia non rendeva molto felice Napoleone III, che non desiderava un ulteriore ampliamento del nuovo Stato; dall’altra, gli Stati Pontifici, alla cui occupazione si opponeva la maggior parte del mondo cattolico e anche Napoleone, che manteneva una guarnigione nella Città Eterna. Pertanto, la conquista di quei territori sarebbe stata possibile solo approfittando dei conflitti esterni, e così avvenne. Alla vigilia della guerra franco-prussiana, il cancelliere Bismarck, con il beneplacito della Francia, firmò un trattato con l’Italia attraverso cui quest’ultima si impegnava a dichiarare guerra all’Austria nel momento in cui l’avrebbe fatto la Prussia, mentre la Prussia riconosceva il diritto dell’Italia a occupare Venezia. Una volta scoppiata la guerra nel giugno 1866, le forze austriache respinsero i tentativi italiani di entrare nel Veneto e occuparono anche parte della Lombardia. Tuttavia, la vittoria di Bismarck e la firma della Pace di Vienna nell’ottobre del
1866 comportarono, tra le altre cose, la cessione di Venezia alla Francia affinché questa, a sua volta, le cedesse immediatamente l’Italia. Pochi giorni dopo si tenne il plebiscito in cui i Veneziani ratificarono in modo massiccio la loro volontà di unirsi al regno d’Italia. Rimaneva in sospeso solo l’annessione degli Stati Pontifici, i quali per secoli erano stati il simbolo del potere temporale del papa. Pio IX era stato inizialmente un pontefice di taglio liberale e aveva dato prova del suo patriottismo italiano. Tuttavia, era rimasto deluso dalle conseguenze della Rivoluzione del 1848 e, soprattutto, dubitava delle intenzioni del poco clericale casato di Savoia. L’occasione si presentò a motivo dello scoppio della guerra franco-prussiana nel luglio del 1870. A causa del conflitto, Napoleone III si vide costretto a ritirare le sue truppe da Civitavecchia. Fu questa l’occasione che sfruttarono gli Italiani per impossessarsi di Roma, poiché le truppe pontificie della guardia svizzera erano, da sole, incapaci di difendere il piccolo Stato. Il 20 settembre le truppe italiane entravano da Porta Pia senza incontrare una grande resistenza. Il papa non si arrese né firmò alcun accordo: semplicemente si ritirò dal palazzo del Quirinale al Vaticano e si considerò prigioniero, mettendosi in una situazione che sarebbe rimasta irrisolta fino alla firma dei Patti Lateranensi nel 1929. Infine, agli inizi di agosto del 1871, Roma fu dichiarata capitale del regno d’Italia. Si chiudeva così un lungo processo che avrebbe trasformato l’Italia in una nuova nazione. Tuttavia, l’organizzazione del nuovo Stato fu lenta e difficoltosa. Continuarono a persistere grandi differenze tra il nord, più prospero e industrioso e il sud, essenzialmente agricolo e nobile. I costi delle continue guerre e della sempre più costosa amministrazione fecero aumentare il debito italiano in modo esorbitante e, pur confiscando e vendendo le proprietà di molti conventi e monasteri, i profitti ottenuti non servirono a garantirne la solvenza. In definitiva, il conseguimento dell’unità d’Italia costituì la realizzazione di un sogno, ma fu abbastanza rovinosa per la nazione, che non riuscì a entrare nel novero delle grandi potenze europee del momento.
L’unificazione tedesca Come in Italia, il processo di unificazione tedesco fu guidato da uno dei suoi Stati, la Prussia. Entrambi i fenomeni ebbero la loro origine nella reazione nazionalista all’occupazione napoleonica e appaiono nella storia del continente perfettamente intrecciati tra il 1850 e il 1870. Si rafforzarono a vicenda, alcune volte senza volerlo, altre deliberatamente. I loro leader si trova-
rono ad affrontare nemici comuni: l’impero austro-ungarico, una potenza mediatrice comune, la Francia del Secondo impero di Napoleone III e un’unica forza religiosa, la Chiesa cattolica. Per questi motivi, i due movimenti non si possono comprendere del tutto se non mettendoli in relazione tra loro. Tuttavia, ci fu una differenza sostanziale tra il processo di unificazione tedesco e quello italiano, poiché sia la Prussia sia i restanti territori tedeschi disponevano di risorse economiche molto maggiori, con una rete industriale molto più avanzata e sviluppata, e con una maggiore forza finanziaria rispetto ai territori italiani. L’utilizzo delle comunicazioni ferroviarie e lo sfruttamento della ricchezza mineraria potenziarono la crescita industriale tedesca. Questo portò alla modernizzazione dell’esercito, con l’avvio di una nuova strategia militare guidata dal maresciallo di campo Helmuth von Moltke, che consisteva nell’approfittare della rapidità con cui si potevano spostare le truppe e i rifornimenti grazie allo sviluppo delle comunicazioni. La fabbricazione di
un’artiglieria pesante favorita dalla Rivoluzione industriale e dal rapido trasferimento di queste armi laddove erano necessarie resero possibile la trasformazione della cosiddetta “arte della guerra”. Negli anni centrali del XIX secolo, lo Stato prussiano si era già trasformato in una potenza dell’Europa centrale, situazione da cui l’Italia era ancora molto lontana. Il fatto è che in Germania si delineavano due modelli di unificazione distinti. Da un parte, c’era quello che optava per la creazione di una Grande Germania, sostenuta dall’Austria, testa del secolare impero. Questa soluzione comportava l’inclusione nell’orbita tedesca dei popoli magiaro, boemo, polacco e slavo, che dipendevano dall’Austria. Dall’altra parte c’era il modello della Piccola Germania sostenuto dalla Prussia, che consisteva in una federazione che avrebbe incluso i popoli tedeschi del nord, ma che avrebbe escluso il regno d’Austria e il suo impero. Nel 1834, la Prussia aveva stabilito un’unione doganale, al confine con l’Austria, con quasi tutti gli Stati tedeschi, affinché potessero commer-
BERLINO, LA CAPITALE EMERGENTE. L’ascesa
della Prussia nel contesto europeo portò al consolidamento di Berlino come capitale dell’impero tedesco nel 1871, quando la Prussia ottenne l’unificazione dopo aver risolto i suoi conflitti con l’Austria e la Francia. Nell’immagine, vista del viale Unter den Linden intorno al 1850, in un dipinto di Wilhelm Brücke che mostra, sullo sfondo, da sinistra a destra, gli edifici dell’Università, la Nuova Guardia e l’Arsenale (Niedersächsische Landesmuseum, Hannover).
71
L’AUGE DEI NAZIONALISMI
Lo Zollverein: la prima unione doganale d’Europa Prima che i destini degli Stati tedeschi si unissero in uno stesso regno, 39 di loro decisero, su iniziativa della Prussia, di formare un’unione doganale (Zollverein in tedesco) che eliminasse le frontiere interne.
SVEZIA
DEL NORD SCHLESWIG (1867) HOLSTEIN (1867) AMBURGO (1888) OLDENBURGO (1854) BREMA (1888)
LUBECCA (1867)
Lübeck Amburgo
Rostock
LAUENBURGO (1867)
Danzica
Königsberg
MECKLEMBURGO
Stettin (1867) SIA PAESI BASSI (Szczecin) R U S P Thorn Berlino I SCHAUMBURG-LIPPE (1854) OD HANNOVER R EG N LIPPE-DETMOLD (1888) Posen Magdeburgo (1842) IMPERO Dortmund EL Düsseldorf Essen GIO RUSSO Lipsia Colonia HESSE (1854) WALDECK (1838) Dresda Breslavia TURINGIA (1854) NASSAU (1836) SASSONIA (1854) Francoforte LUSSEMBURGO FRANCORTE (1836) LUSSEMBURGO Lussemburgo Magonza PALATINATO (1836) (1842) Metz Norimberga ALSAZIA-LORENA BADEN (1836) (1872) Strasburgo Stoccarda Ratisbona IMPERO HOHENZOLLERN WURTEMBERG (1834) Monaco AUSTRO-UNGARICO (1834) Friburgo BAVIERA (1834) FRANCIA Evoluzione e crescita dello Zollverein: CONFEDERAZIONE Unione doganale prussiana (1828) ELVETICA Unione commerciale della Germania Centrale (1828-1831) Annessioni: REGNO DI 1829-1834 PIEMONTE-SARDEGNA 1835-1854 1867-1872 Brema Hannover
LIBERA CIRCOLAZIONE. Le dogane e i dazi interni furono una delle cause del ritardo degli Stati tedeschi
nella corsa all’industrializzazione. La loro eliminazione grazie al Zollverein favorì la libera circolazione delle merci e gettò così le basi di un mercato interno dinamico che diede impulso al commercio, favorì lo sviluppo industriale e lo sfruttamento minerario e permise la costruzione di una vasta rete di infrastrutture, soprattutto quella ferroviaria. In alto, cartina con gli Stati membri dell’unione doganale; a destra, incisione del 1850 del primo grande ponte ferroviario di Dresda.
ciare liberamente tra loro all’interno delle frontiere dell’unione o Zollverein. Durante il decennio degli anni Sessanta si crearono varie associazioni per rafforzare ancora di più saldamente quest’unione doganale e nel 1861 fu creata una camera di commercio. Sul piano legislativo, anche i giuristi avevano iniziato a lavorare per ottenere un’unificazione delle leggi in tutti gli Stati tedeschi. E sul terreno politico e ideologico, alcuni politici avevano dato avvio e appoggiato chiaramente un movimento di segno nazionalista sotto la leadership prussiana. Questo movimento aveva un consenso molto ampio, poiché la sua ideologia era penetrata profondamente tra le classi medie, i professionisti, i funzionari e gli intellettuali, ma anche tra le personalità importanti del mondo finanziario e industriale, come Werner von Siemens – l’inventore della dinamo elettrica – che aveva messo in funzione tutto il sistema della telegrafia in Germania, o come Hermann Henrich Meier, il fondatore della compagnia di navigazione Norddeutscher Lloyd a Brema. In sostanza, l’uni72
DANIMARCA
B
A eccezione degli Stati settentrionali di Schleswig-Holstein, sotto l’orbita della Danimarca, e Mecklemburgo, tutti i territori che a partire dal 1871 formarono la Germania unita sperimentarono una prima unione a partire dal 1834. Dalle guerre napoleoniche, la questione nazionale era un tema molto vivo, ancora di più dopo la pubblicazione, nel 1808, dei Discorsi alla nazione tedesca del filosofo Johann Gottlieb Fichte, in cui si invocava la creazione di uno Stato germanico che ricostruisse l’unità (da una parte fittizia) del Sacro romano impero germanico. Le rivoluzioni studentesche e liberali del 1830, con le loro rivendicazioni di unità nazionale, così come i profondi cambiamenti economici prodotti dall’industrializzazione di alcuni Stati tedeschi, finirono per portare alla costituzione, il 1 gennaio 1834, dello Zollverein, un mercato unificato di dimensioni nazionali. Anche se il suo obiettivo era economico, l’unione doganale diede ai suoi membri una certa coesione politica dalla quale, a partire dalla guerra franco-prussiana, sarebbe sorto l’impero tedesco.
MARE
ficazione tedesca guidata dalla Prussia godeva di un ampio appoggio sociale ed economico, una circostanza che non si era verificata in altri movimenti nazionalisti sorti in precedenza.
Il cancelliere Bismarck La figura chiave nel processo di unificazione politica tedesca fu il politico e statista Otto von Bismarck. Il Cancelliere di Ferro, come sarebbe stato denominato in seguito, apparteneva alla nobiltà rurale prussiana, i cui membri per secoli avevano distribuito i loro sforzi tra la cura dei loro affari e l’adempimento di incarichi pubblici civili e militari al servizio dei sovrani del casato di Hohenzollern. Era, pertanto, un tipico Junker, com’erano chiamati questi membri della piccola nobiltà prussiana. Era nato vicino a Berlino nel 1815 e in gioventù studiò alle università di Gottinga e Berlino; in seguito svolse alcuni incarichi come funzionario. Di mentalità ultraconservatrice, accettò solo la Costituzione approvata dal re Federico Guglielmo IV nel 1850 per fedeltà al monarca, poiché il suo rifiuto del liberalismo lo portò
a partecipare attivamente alla formazione di un partito conservatore, contrario a qualsiasi tipo di liberalizzazione del sistema politico. Nel 1851 Bismarck entrò nel servizio diplomatico e fece un grande lavoro nella Dieta della Confederazione Germanica – creata nel Congresso di Vienna e in cui erano rappresentati gli Stati tedeschi – e nelle ambasciate di San Pietroburgo e Parigi. Nel 1862 fu chiamato a Berlino dal re Guglielmo I affinché “addomesticasse” la maggioranza progressista del parlamento, cosa che ottenne mediante l’applicazione di una politica anticostituzionale dal pugno duro. Era convinto del protagonismo che la Prussia doveva assumere nella costituzione di uno Stato nazionale tedesco e disponeva di un esercito riformato e forte, capace di vincere la resistenza che opponeva l’Austria a qualunque tentativo di unificazione del complesso dei territori tedeschi. La scusa per scontrarsi con l’Austria si presentò a Bismarck a causa della rivendicazione dei ducati di Schleswig-Holstein. Questi ducati erano retti dal re di Danimarca, ma abitati per la mag-
gior parte da Tedeschi. L’Austria e la Prussia rivendicavano insieme il possesso di questi territori, che i reali danesi si rifiutavano di cedere. Nel 1864 scoppiò una guerra tra Danimarca, da una parte, e Austria e Prussia, dall’altra. I soldati prussiani invasero i ducati utilizzando per la prima volta la ferrovia per il trasporto massiccio di truppe. La Danimarca fu obbligata ad accettare le condizioni del Trattato di pace di Vienna e a rinunciare a tutti i suoi diritti sui ducati. Il conflitto per la ripartizione del bottino tra Austria e Prussia si risolse momentaneamente mediante un accordo in cui lo Schleswig sarebbe stato occupato e amministrato dalla Prussia e l’Holstein dall’Austria. A partire da quel momento, Bismarck avviò un’abile politica diplomatica per assicurarsi degli appoggi internazionali in vista di un possibile scontro con l’Austria. Nell’ottobre del 1865 ebbe un incontro con Napoleone III a Biarritz in cui promise determinate concessioni alla Francia alla frontiera del Reno in cambio della sua neutralità nel prevedibile conflitto austro-prussiano. Dall’altra 73
L’AUGE DEI NAZIONALISMI
Otto von Bismarck, il cancelliere di ferro Il ruolo politico svolto dal conte di Cavour nell’unificazione italiana trova in Bismarck il suo corrispondente tedesco, anche se l’azione di quest’ultimo si distinse per essere molto più interventista e ferrea. Da quando nel 1862 il re Guglielmo I fece di Bismarck il suo braccio destro, questi iniziò una politica rivolta non solo a forgiare l’unità tedesca sotto la spinta della Prussia, ma anche a trasformare il futuro Stato in una potenza militare e politica capace di imporre le sue condizioni sul continente. Il suo primo passo fu rafforzare l’esercito prussiano, poiché se il cancelliere era convinto che l’unificazione della miriade di Stati tedeschi era inevitabile, era altrettanto convinto che per ottenerla bisognava usare la forza. E non si sbagliava, perché la Prussia si trovò coinvolta in tre guerre vittoriose con Danimarca, Austria e Francia. A parte l’armamento, l’utilizzo di innovazioni come la ferrovia e il telegrafo fu decisivo in queste vittorie. Completata l’unificazione tedesca nel 1871, con la proclamazione di Guglielmo I imperatore di Germania a Versailles, Bismarck dedicò il resto della sua vita a forgiare un intreccio di alleanze che conservassero sia l’egemonia del Reich sia la pace in Europa. Il suo sistema resistette fino alla prima guerra mondiale. Nell’immagine, Bismarck in una fotografia del 1870 circa.
parte, si assicurò l’alleanza del neonato regno d’Italia con la promessa di riuscire a strappare all’Austria la cessione di Venezia.
La guerra austro-prussiana La scusa per far scoppiare la guerra con l’Austria fu trovata da Bismarck fomentando gli intrighi a Holstein contro l’amministrazione austriaca e presentando un piano di riforma della Confederazione Germanica che escludeva l’Austria. Molti Stati tedeschi si misero dalla parte dell’Austria perché temevano che la riforma contribuisse a ridurre il potere dei loro rispettivi sovrani. I liberali, da parte loro, diffidavano del conservatorismo prussiano e i cattolici del sud mostravano maggiori simpatie per l’Austria. Bismarck interpretò questa posizione come un segno di ostilità e ritirò il suo rappresentante dalla Confederazione, proclamando che la Prussia si vedeva costretta a difendersi contro l’Austria e i suoi alleati per portare avanti il progetto di unione nazionale della Germania. Bismarck agì con attenzione e grande astuzia diplomatica per ottenere non solo l’aiuto dell’Ita74
lia ma anche l’appoggio della maggior parte dei Paesi europei. Lo stesso Napoleone III sostenne moralmente i Prussiani, poiché pensava che l’Austria era il suo avversario più potente. Tuttavia, l’imperatore francese non tardò a rendersi conto dell’errore che stava commettendo. La guerra era, quindi, inevitabile, ma la sua durata fu così breve da meritare il nome di guerra delle Sette settimane. Nonostante le forze dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe fossero apparentemente superiori, la capacità militare di uno dei grandi strateghi del secolo, il maresciallo prussiano Von Moltke, e la buona preparazione del suo esercito portarono la Prussia a ottenere una rapida vittoria. L’Austria dovette lottare su due fronti contemporaneamente: da un lato contro gli Italiani a Venezia e dall’altro contro i soldati di Von Moltke in Boemia. L’esercito austriaco riuscì a frenare l’offensiva italiana in Trentino, respinse l’invasione di Venezia e la sua flotta sconfisse la flotta italiana nell’Adriatico. Tuttavia, in Boemia, l’esercito prussiano inflisse una pesante sconfitta alle forze che l’Austria aveva concentrato in quel
luogo; a seguire, nella battaglia di Sadowa (o di Königgrätz), il 3 luglio dell’anno 1866, la mise fuori combattimento. I Prussiani rafforzarono il loro prestigio militare e la loro vittoria ebbe enormi ripercussioni in Europa. Con il Trattato di Praga, poco dopo la fine della guerra, l’Austria si vide costretta a cedere Venezia all’Italia e il ducato di Holstein alla Prussia. Inoltre dovette versare un’indennità di guerra e consentire la dissoluzione della Confederazione Germanica, che fu sostituita da una Confederazione della Germania del Nord, al comando della Prussia, e nella quale si dava molto potere agli Stati tedeschi per assicurarsi la loro adesione. Solamente la Baviera e alcuni piccoli Stati vicini si rifiutarono di entrare nella nuova Confederazione e accettare l’egemonia della Prussia.
La guerra franco-prussiana Dopo la sconfitta dell’Austria, Bismarck continuò a lavorare sul piano diplomatico per ottenere la completa unificazione della Germania sotto l’egemonia della Prussia. Ma era chiaro che l’unifica-
zione definitiva sarebbe arrivata solo mediante una nuova guerra esterna che suscitasse l’entusiasmo patriottico degli Stati tedeschi del sud. Napoleone III aveva mostrato delle aspettative di compensi territoriali per l’espansione che aveva conseguito la Prussia con l’appoggio della Francia. Bismarck non era disposto a soddisfare queste attese e ancora meno a costo di cedere territori tedeschi. Voleva scontrarsi con la Francia, poiché era sicuro della superiorità del suo esercito e l’occasione si presentò con la nomina di un nuovo re per la corona di Spagna. La detronizzazione della regina spagnola Isabella II come conseguenza della Rivoluzione del 1868 aveva lasciato vacante il trono spagnolo. Il nuovo presidente del governo, il generale Prim, cercava nelle corti europee un principe che accettasse la corona. Uno dei candidati era Leopoldo, nipote di Guglielmo di Prussia. Ma l’imperatore francese si rifiutò di accettare la candidatura di un principe del casato di Hohenzollern, il quale appoggiava Bismarck, che in una comunicazione scritta – il famoso telegramma di Ems – mascherava legger-
LA BATTAGLIA DI SADOWA. Conosciuta
anche come battaglia di Königgrätz, mise praticamente fine alla guerra austro-prussiana e consolidò l’egemonia della Prussia negli stati tedeschi. In alto, La battaglia di Königgrätz, olio (1886) di Emil Hünten (Deutsches Historisches Museum, Berlino). Il quadro mostra il momento in cui il re Guglielmo I di Prussia ha appena consegnato al figlio, il futuro kaiser Federico III, la medaglia Pour le Mérite dopo la vittoria sull’esercito austriaco. Sono presenti anche il cancelliere Bismarck e il capo dello Stato Maggiore Helmuth von Moltke, artefice del trionfo prussiano. 75
L’AUGE DEI NAZIONALISMI
La battaglia di Sedan e la fine del Secondo impero francese La superiorità militare della Prussia fu evidente nei giorni 1 e 2 settembre 1870, quando il suo esercito ottenne una vittoria definitiva sulle truppe di Napoleone III. Fu la fine dell’impero francese e la nascita di quello tedesco.
Olly
St. Menges
Illy
Iges Floing
B osco di G arenne
Glaire
B osco delle Ardenne
Givonne Villers Cernay
SEDAN Donchery
Frénois
Esercito francese Fanteria Cavalleria Esercito prussiano Fanteria Cavalleria
B osco della Marfée
Mo Bazeilles sa
Noyers
Il progetto di Napoleone III di resuscitare l’impero che lo zio aveva eretto agli inizi del XIX secolo sfumò sui campi di Sedan. La Prussia era la grande potenza militare dell’Europa continentale e la Francia non poteva fare niente per opporvisi. Questo fu evidente dai primi episodi della guerra tra i due: il 18 agosto, i Prussiani avevano inflitto una pesante sconfitta ai Francesi nella battaglia di Gravelotte. Il 30 agosto, una nuova sconfitta nella battaglia di Beaumont obbligò l’esercito francese a ripiegare a Sedan. L’esercito prussiano non solo era superiore a quello francese per uomini (200.000 contro 120.000) e cannoni (774 contro 564), ma aveva circondato il suo avversario, togliendogli così ogni possibilità di ritirata. Con il re Guglielmo di Prussia e il cancelliere Bismarck come spettatori sulla collina di Frénois, le truppe prussiane iniziarono a bombardare quelle francesi, senza che i tentativi di queste ultime di rompere l’assedio centrassero l’obiettivo. Il giorno dopo, Napoleone III ordinò di issare la bandiera della resa. L’imperatore stesso fu fatto prigioniero e venne condotto prima in Belgio e poi in Prussia, mentre in Francia una rivolta metteva fine, il 4 settembre, al Secondo impero francese e proclamava la Terza Repubblica. Il governo nato da essa continuò la guerra, ma senza riuscire a evitare che i Prussiani arrivassero nelle vicinanze di Parigi. Lì e precisamente nella Galleria degli specchi del palazzo di Versailles, il re di Prussia fu incoronato imperatore di Germania con il nome di Guglielmo I. L’impero tedesco era diventato ormai una realtà sotto gli occhi di tutti.
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mente l’atteggiamento del monarca prussiano. La Francia lo interpretò come un segno di disprezzo e dichiarò guerra alla Prussia. I Francesi si mostravano così come aggressori, proprio quello che voleva l’astuto cancelliere. Le ostilità della guerra franco-prussiana iniziarono nel luglio del 1870 e vi parteciparono tutti gli Stati tedeschi. Alla Francia mancavano alleati e il suo esercito non era nemmeno preparato a scontrarsi con la magnifica macchina da guerra che aveva avviato la Prussia sotto la guida di Von Moltke. Il maresciallo Mac Mahon fu chiamato di corsa dall’Algeria per farsi carico della guida dell’esercito francese in Alsazia, mentre il maresciallo Bazaine faceva lo stesso in Lorena. Tuttavia, nessuno dei due riuscì ad agire con il necessario coordinamento e lo stesso Napoleone III, indebolito dalla malattia, fu incapace di unificare la guida delle operazioni. I Francesi si videro costretti a ritirarsi dalle loro posizioni e fecero un ultimo e disperato sforzo per fermare le truppe prussiane a Sedan, nei pressi della frontiera belga. La battaglia, che si sviluppò nei giorni 1 e 2 settembre del 1870, terminò con la sconfitta dell’esercito francese che, tra morti e feriti, sopportò delle perdite di circa 25.000 uomini. La battaglia di Sedan non solo significò la sconfitta della Francia per mano della Prussia, ma mise anche fine al Secondo impero, che fu sostituito perciò dalla Terza repubblica. Dalla parte tedesca, invece, Guglielmo I venne nominato kaiser, imperatore di tutta la Germania, tra l’entusiasmo patriottico dei vincitori.
Doppia monarchia e nazionalismi La guerra che l’Austria aveva combattuto contro la Prussia accentuò anche i nazionalismi all’interno dell’impero degli Asburgo. Le popolazioni slave avevano mostrato le loro aspirazioni nazionaliste a causa delle rivoluzioni del 1848. La Polonia aveva già messo in atto il suo tentativo indipendentista nel ciclo rivoluzionario del 1830, ma il movimento era stato soffocato. Anche gli altri popoli slavi e quello magiaro d’Ungheria ebbero la loro occasione nel 1848, ma fallirono anch’essi. L’inesistenza di una borghesia consolidata e la divisione politica del movimento favorirono l’azione repressiva delle truppe austriache, che sottomisero gli insorti. Dopo la battaglia di Sadowa, i leader delle sollevazioni rivoluzionarie tennero un congresso a Vienna da cui uscì una proposta per trasformare l’impero austriaco in una “pentarchia” o confederazione di cinque Stati: Austria tedesca, Ungheria magiara, Boemia ceca, Jugoslavia serbo-croata-slovena e Galizia polacca. Tuttavia, il piano si scontrò con il rifiuto dei patrioti magiari d’Ungheria, poiché
non erano disposti a cedere nessuna delle loro province storiche, anche se queste erano ampiamente popolate da Serbi, Sloveni e Croati. Inoltre, non avevano dimenticato l’atteggiamento degli Sloveni, che permise al governo austriaco di contenere la sollevazione indipendentista ungherese di Lajos Kossuth nel 1849 e, passato un certo tempo, credevano che i loro desideri nazionalisti si sarebbero potuti realizzare meglio all’interno dell’impero piuttosto che ribellandosi contro di esso. Questa posizione, guidata in quel momento da Ferenc Deák, si concretizzò in un’alleanza tra Magiari e Austriaci che diede origine alla trasformazione di un impero centralizzato in una doppia monarchia. L’imperatore Francesco Giuseppe si rese conto che questa soluzione era più vantaggiosa di quella della “pentarchia” proposta dagli Slavi e così nell’anno 1867 si stabilì un nuovo regime politico mediante l’Ausgleich o Compromesso. In virtù di questo accordo, i domini appartenenti agli Asburgo rimasero divisi in due territori separati dal fiume Leita, un affluente del Danubio: uno di essi, l’Austria, gover-
nato da Vienna, con Boemia, Galizia, Carniola o il Tirolo; l’altro, Ungheria, sotto il dominio dei Magiari e governato da Pest, con Croazia, il Banato e la Transilvania. Ognuna di queste due grandi parti avrebbe disposto di istituzioni proprie pur rimanendo unita all’impero da un sovrano comune che avrebbe preso il nome di imperatore d’Austria e re d’Ungheria. I popoli slavi non ebbero successo nei loro propositi e anche se Croati e Polacchi ottennero alcuni vantaggi, non poterono soddisfare le loro aspirazioni; e lo stesso successe ai Cechi. Nonostante fosse più sviluppato, il nazionalismo ungherese era stato integrato nell’impero con una certa autonomia e, insieme, Magiari e Austriaci, si misero d’accordo per impedire nel corso di una generazione l’emergere di nuovi nazionalismi. Quindi, nonostante la complessità che comportava il mosaico etnico, linguistico e culturale dei popoli che la costituivano, la doppia monarchia Austria-Ungheria riuscì a mantenere un difficile equilibrio fino al sopraggiungere della Prima guerra mondiale del 1914.
LE CONSEGUENZE DI SEDAN. La sconfitta
francese a Sedan mise fine al Secondo impero e comportò l’ascesa della Germania. Quest’opera del pittore Anton von Werner (1877) mostra la proclamazione di Guglielmo I come imperatore di Germania il 18 gennaio 1871, nel salone degli Specchi del palazzo di Versailles (BismarckMuseum, Aumühle). Sul podio, a destra del kaiser, il principe ereditario Federico; a sinistra, Federico I di Baden. Al centro, il cancelliere Bismarck (in bianco) e il capo dello Stato Maggiore prussiano Helmuth von Moltke. 77
ROMANTICISMO E NAZIONALISMO
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Romanticismo e nazionalismo La ricerca incondizionata della libertà assoluta, tanto degli uomini quanto dei popoli, fu un aspetto comune del Romanticismo, che accomunò i desideri di artisti e nazioni nell’Europa del XIX secolo.
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l Romanticismo fu un movimento culturale e politico nato in Gran Bretagna e Germania come una reazione rivoluzionaria contro il razionalismo dell’Illuminismo e del classicismo e si diffuse in tutto il mondo occidentale dalla fine del XVIII secolo fino al terzo quarto del XIX secolo. Il suo centro di gravità era la ricerca incondizionata della libertà autentica e questo diede al movimento un carattere rivoluzionario indiscutibile. Per questo trovò terreno fertile nei sentimenti nazionalisti nati nel corso del secolo, che ruotavano intorno alla ricerca della libertà politica e sociale strappata ai vari Paesi dall’espansionismo militare dell’impero napoleonico. Il Romanticismo cercava nel passato, in culture lontane ed esotiche, e anche nel Medioevo, le sue fonti di ispirazione, e ruppe con l’immagine del mondo statica e astorica tipica dell’Antico Regime, proveniente dalla Scolastica e dal Rinascimento, introducendo una concezione della natura dell’uomo e della società più evoluzionista e dinamica. «L’idea che noi e la nostra cultura – scrisse lo storico dell’arte ungherese Arnold Hauser – ci troviamo in un eterno fluire e in una lotta interminabile, l’idea che la nostra vita spirituale è un processo e ha un carattere vitale transitorio è una scoperta del Romanticismo e rappresenta il suo contributo più importante alla filosofia del presente». Non sempre però c’è stato un accordo sulla definizione di Romanticismo e a volte vengono messi in discussione persino i suoi confini cronologici. Per molti, il Romanticismo si concretizza in una serie di movimenti estetici che diedero luogo a una rottura con il classicismo e
L’eroe romantico L’obiettività, l’equilibrio e la ricerca della bellezza del classicismo entrarono in crisi agli albori del XIX secolo. Irrompeva il Romanticismo, un movimento che se si caratterizzò per qualcosa fu proprio l’entusiasmo per tutto ciò che era passione, impulso e… soggettività. Se fino a quel momento l’artista era stato una persona che seguiva delle regole accettate da tutti, a partire da allora fu visto come un creatore che utilizzava l’arte come espressione di se stesso, anche se questo l’avrebbe portato a scontrarsi con la società, con le regole e le forme stabilite. Nacque così il mito del genio, dell’eroe romantico che faceva della sua vita la sua opera migliore, pur sapendo che il finale sarebbe stato tragico. L’esempio più rappresentativo è forse il poeta inglese George Gordon Byron, più conosciuto come Lord Byron, un talento tanto eccentrico, controverso e portato all’esagerazione, quando non allo scandalo, quanto i suoi personaggi Manfred o Childe Harold.
IL MISTERO DELLA NATURA. L’olio Viandante
sul mare di nebbia (1818) di Caspar David Friedrich, esprime magistralmente l’attrazione romantica per il paesaggio come fonte di profonda identificazione con il nazionale.
LOTTA IN GRECIA. Nel 1824, Lord Byron andò in
Grecia per lottare per la sua indipendenza. Lì morì poco dopo. In alto, il poeta in abiti albanesi di T. Phillips (National Portrait Gallery, Londra).
il razionalismo. In questo senso, il movimento culturale ebbe le sue manifestazioni più evidenti nel campo artistico.
Il Romanticismo nell’arte L’ambito letterario fu uno dei più fecondi nella corrente romantica complessiva e nel suo ambito crebbero alcuni dei grandi nomi che sono rimasti incisi in modo indelebile nella storia della letteratura. In Germania si distinsero scrittori come Goethe, Schiller, Novalis, Hoffmann e Hölderlin; in Inghilterra dominarono grandi poeti come Lord Byron, Shelley e Keats e il romanziere Walter Scott; in Francia spiccarono tra gli altri Victor Hugo, Lamartine, George Sand, Musset e i due Alexandre Dumas (padre e figlio). Bisogna anche citare Leopardi e Manzoni in Italia, Pushkin in Russia e Poe negli Stati Uniti. In campo musicale il grande genio di Beethoven aveva introdotto un nuovo stile musicale durante l’era napoleonica. Subito emersero compositori come Berlioz, autore della Sinfonia fantastica, compositori di musica sentimentale e a volte malinconica, come Franz Schubert, Carl Maria von Weber, Frédéric Chopin o Franz Liszt. Sempre in questa fase iniziò a diffondersi un nuovo stile dell’opera, che utilizzava come tema i romanzi storici degli autori contemporanei o i fatti reali della vita quotidiana. In questo nuovo movimento si distinsero Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti. Diversi anni dopo, i grandi creatori di quella che potremmo definire la corrente del tardo Romanticismo, Richard Wagner e Giuseppe Verdi, entrambi nati nel 1813, portarono questo genere all’auge della sua popolarità grazie al loro talento musicale. Entrambi ebbero inoltre un ruolo importante nei processi di unificazione dei loro rispettivi Paesi, la Germania e l’Italia. Nelle arti plastiche, il Romanticismo abbondò nella rappresentazione di scene 79
ROMANTICISMO E NAZIONALISMO
Gli ispiratori del nazionalismo romantico Durante l’Illuminismo, sia i pensatori sia gli artisti avevano forgiato una cultura con una vocazione universale basata su codici comprensibili in tutto il mondo, qualunque fosse il luogo di provenienza. Fu uno dei principi contro cui si scagliarono i romantici. Per loro, l’importante era l’individuo, ma con lui assunse importanza anche la nazione in cui era nato, intesa come quella comunità di uomini che erano uniti da una lingua, una cultura, una religione, dei costumi e anche un’etnia comune. È questo che si apprezza nei Discorsi alla nazione tedesca di Johann Gottlieb Fichte o nelle opere di Johann Gottfried von Herder, che contrappongono il concetto di Volkstum (nazione-popolo) a quello di Stato, quest’ultimo visto come una creazione artificiale. Per questo i romantici dedicarono anima e corpo alla ricerca di leggende e miti popolari, così come a comporre ritmi e melodie folcloristiche. Uno degli esempi più rappresentativi è quello dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, che percorsero in lungo e in largo la Germania alla ricerca di racconti “autenticamente tedeschi”. In queste manifestazioni tradizionali, sempre disprezzate o come minimo messe in secondo piano dagli illuministi, i romantici vedevano l’essenza più pura della loro nazione, poiché si rifaceva proprio alle loro origini. Ma il loro lavoro non si limitava al semplice recupero di materiali popolari, ma a partire da essi crearono le loro epopee, opere di teatro, dipinti, poemi sinfonici e opere. L’arte “seria” diventava in questo modo anche la voce del popolo, e ancor più nelle nazioni frammentate, come Italia e Germania, in quelle sottomesse a una potenza, come Boemia, Polonia e Ungheria o anche nelle potenze chiaramente autocrate che aspiravano a una certa libertà interna, come la Russia.
storiche e patriottiche, con colori brillanti e molto movimento ed emozione, come La ritirata di Napoleone da Mosca, di Adolph Northen, La libertà che guida il popolo, di Eugène Delacroix o La zattera della Medusa, di Théodore Gericault. Anche nella rappresentazione poetica della natura, che raggiunse la sua massima espressione nelle tele dei pittori come Turner, Constable o Corot.
Una nuova mentalità Victor Hugo diceva che «il Romanticismo non è altro che il liberalismo in letteratura». Ma senza dubbio si trattò di un movimento più ampio e complesso, che non si manifestò solo nell’arte: implicò la comparsa di una mentalità e di un atteggiamento nuovi e in ambito sociale e politico stabilì un nuovo tipo di relazione tra l’individuo e la società, conferendo il primato a quest’ultima, colei che offre il linguaggio necessario per 80
JACOB LUDWIG KARL GRIMM. Con suo fratello Wilhelm, pubblicò tra il 1812 e il 1815 le Fiabe del focolare, una raccolta di racconti tedeschi di tradizione orale. Fu uno dei fondatori della filologia tedesca.
raggiungere, attraverso il pensiero, la condizione umana. La società, quindi, invece di essere una costruzione volontaria diventa per i romantici una realtà originaria dotata di una personalità specifica che la distingue. Non è quindi più concepita come un’entità astratta, ma come un gruppo concreto: il popolo, che si esprime attraverso una comunità e una cultura proprie, i cui elementi caratterizzanti fondamentali sono la lingua e anche il diritto. L’esistenza di realtà etniche e culture diverse permette di scoprire popoli unici, ciascuno dei quali ha la sua missione storica ed è attrezzato per la realizzazione di uno spirito proprio – il Volkgeist – che lo distingue dagli altri. Quindi, il pensiero romantico offrì la base su cui si poggiarono i movimenti nazionalisti. Una figura essenziale nella corrente romantica che servì a sostegno dei nazionalismi fu quella del filosofo e
filologo tedesco Johann Gottfried von Herder, il quale nella sua opera Saggio sull’origine del linguaggio (1771) formulò la teoria dell’importanza di quest’ultimo al di sopra di qualunque altro fenomeno culturale. La lingua era per lui la fonte di una mentalità unica e l’eredità di ogni popolo. Non era una cosa costruita in modo consapevole e metodico, ma il risultato di un’elaborazione profonda dell’anima collettiva che risaliva a tempi remoti. In questo senso, per Herder, la Germania esisteva da sempre, unita o divisa, perché era conseguenza di uno spirito collettivo che le dava la sua identità, a prescindere che avesse assunto o meno la forma politica di uno Stato. Ma da un lato, le dottrine di Herder furono in questo modo anche un grande stimolo per le popolazioni slave. Tutte loro erano state soggiogate dai loro vicini più potenti. Il loro sviluppo era stato fermato in una fase
GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL. Fu il creatore del concetto di Volkgeist, lo “spirito del popolo” che descrive il carattere di una nazione concreta ed è una delle manifestazioni del Weltgeist o “spirito del mondo”.
iniziale e la loro cultura era in pericolo di essere assorbita dalle civiltà più ricche e potenti intorno a loro. Tedeschi, Austriaci, Russi, Turchi o Ungheresi minacciavano l’identità di questi popoli. Influenzati dalle idee di Herder, i loro filologi, storici e pensatori si impegnarono a salvare e preservare per i posteri le loro antiche e agonizzanti tradizioni nazionali. Non c’era alcun interesse politico in questa posizione: si trattava solamente di proteggere e potenziare la lingua vernacolare ed elaborare una storiografia nazionalista.
Il nesso con il nazionalismo La ricerca dell’identità nazionale assunse un significato politico quando la Rivoluzione francese e le teorie di Herder confluirono durante l’epoca napoleonica. La pretesa che ebbe Napoleone di diffondere i risultati rivoluzionari in tutto il continente può aver influito sul
JOHANN GOTTLIEB FICHTE. Pubblicata nel 1808 nella Berlino occupata dalle truppe francesi di Napoleone, la sua opera Discorsi alla nazione tedesca fu uno dei pilastri ideologici su cui si basò il processo di unificazione della Germania conclusa dalla Prussia nel 1871.
desiderio generalizzato di ottenere la libertà, ma risvegliò anche lo spirito nazionalista. Ognuno volle essere libero alla sua maniera, senza che nessuno venisse a imporre questa libertà da fuori. Anche se potrebbe sembrare un paradosso, l’accettazione delle idee napoleoniche comportava una sollevazione contro Napoleone stesso. In questi anni di espansione imperiale francese, un altro tedesco, anch’egli filosofo e filologo come Herder, Johann Gottlieb Fichte, incoraggiava il popolo tedesco a prendere coscienza della propria identità nei famosi Discorsi alla nazione tedesca (1807-1808), pronunciati nell’anfiteatro dell’Accademia delle Scienze di Berlino ogni domenica dal 13 dicembre 1807 al 20 marzo 1808, mentre le truppe di occupazione napoleoniche sfilavano sotto le finestre del suo auditorium e le fanfare militari si mescolavano alle sue parole. In questi discorsi, Fichte, oltre a dimo-
strare il suo grande coraggio, sfidava l’invasore chiedendo una rigenerazione spirituale della Germania come condizione per liberarla dal giogo straniero. Uno degli argomenti più saldi dei discorsi di Fichte era anche quello della lingua come elemento di coesione nazionale: «Tutti gli individui che parlano una stessa lingua […] sono uniti sin dall’inizio da legami indivisibili». La minaccia che comportava il dominio napoleonico dell’Europa metteva in pericolo la singolarità delle sue culture. L’opera di Fichte costituisce perciò una chiamata alla difesa della nazione tedesca – e di qualunque nazione sottomessa – contro le intromissioni straniere. In effetti, il tentativo dell’imperatore Bonaparte di stabilire un impero continentale provocò nelle popolazioni conquistate o minacciate una risposta in cui si identificava la loro indipendenza con una rafforzamento dell’identità nazio81
ROMANTICISMO E NAZIONALISMO
ARTE E POLITICA. Il famoso quadro di Théodore
Gericault, La zattera della Medusa (1818-1819; Museo del Louvre, Parigi), suscitò uno scandalo poiché si attribuiva la colpa del naufragio – un fatto reale del 1816 – all’imperizia di un capitano sotto l’autorità della monarchia appena restaurata. nale. Questo successe in Germania, ma anche in Spagna, dove la popolazione si sollevò contro il dominio delle baionette francesi e contro l’intronizzazione della dinastia Bonaparte, assunse la sovranità e affermò la sua identità come nazione. L’esempio fu seguito in altre parti d’Europa, in Russia o in Prussia, dove un patriottismo istintivo comportava la manifestazione chiara di una lotta per conseguire un nazionalismo identitario. «Dobbiamo fare dall’alto quello che i Francesi hanno fatto dal basso», scrisse il ministro Karl August von Hardenberg al re Federico Guglielmo III di Prussia nel 1807. In effetti, i riformatori della 82
Prussia erano impressionati dalla forza e dalla vitalità che potevano scaturire da un popolo armato, come avevano dimostrato i rivoluzionari francesi. Per questo cominciarono a creare un potere centrale forte, un esercito veramente nazionale e un sistema educativo destinato a inculcare nei cittadini uno spirito di riverenza patriottica rispetto all’eredità germanica e di devozione per la causa nazionalista tedesca. Anche in Gran Bretagna si forgiò un profondo sentimento di identità, dopo che le reclute del popolo accompagnarono le guerre napoleoniche. Le vittorie ottenute nelle battaglie di Trafalgar e Waterloo rafforzarono la consapevolezza di questo Paese come nazione. Una volta archiviata la sconfitta di Bonaparte e concluso il tentativo imperiale, i Paesi vincitori, riuniti nel Congresso di Vienna tra il 1814 e il 1815, misero subito da parte i sentimenti nazionalisti che avevano contribuito a sollevare i popoli con-
tro il dominio dell’imperatore e cercarono di restaurare il vecchio ordine – quello definito dagli storici Antico Regime – e la legittimità dell’istituzione monarchica e, inoltre, naturalmente, di conservare l’integrità territoriale delle grandi potenze alleate contro Napoleone. E non solo, si stabilì anche una Santa Alleanza destinata a soffocare sul nascere tutte le spinte rivoluzionarie che potessero sorgere in Europa, posto che per le potenze conservatrici che parteciparono al patto le rivolte popolari e le sollevazioni nazionaliste erano due facce dello stesso spirito rivoluzionario che bisognava reprimere a tutti i costi. Tuttavia, il seme del nazionalismo era già attecchito definitivamente e si sarebbe rafforzato negli anni successivi per concretizzarsi in diversi eventi: nell’unificazione dell’Italia (1870) e della Germania (1871), o nell’indipendenza della Grecia (1829), in quella dell’Ungheria (1867),
della Romania (1878), della Serbia (1882) e della Bulgaria (1878). Infine, la marea della corrente nazionalista superò ben presto i confini del continente europeo per diffondersi in tutto il mondo.
Il ruolo del folclore e dei miti nel consolidamento del nazionalismo
Un movimento mondiale Nel Nord Africa, in India e sull’isola di Ceylon, le rivolte rivoluzionarie di fronte alla crescente pressione colonizzatrice imperialista alimentarono nuovamente i sentimenti di identità patriottica, spesso animati da forti sentimenti religiosi. In Marocco e in Algeria, nella lotta contro quella che era considerata una nuova crociata da parte di Napoleone e dei suoi successori, i credenti musulmani arrivarono a identificare la loro fede con il loro Paese. La jihad, definita nel Corano come lo “sforzo nella direzione gradita a Dio” divenne nuovamente, come già era stato ai tempi di Maometto e dei suoi successori, una guerra santa, un dovere patriottico che era completamente amalgamato con il potere religioso. In Egitto, Mehmet Ali (1805-1848), che viene considerato il padre fondatore dell’Egitto moderno, stimolò un senso di identità nazionale in quel territorio che si era appena organizzato, allargando le sue frontiere e dotandolo di una grande autonomia rispetto all’impero ottomano. Nel continente asiatico, in Paesi come Cina, Giappone, Vietnam e Corea, si sviluppò intorno all’anno 1830 un vasto movimento nazionalista, basato in parte sulla consapevolezza delle profonde differenze culturali che esistevano, e che furono evidenziate dai tentativi di penetrazione coloniale delle potenze europee, che bramavano le nuove risorse e i mercati orientali e costituivano sempre più un pericolo per la sopravvivenza dell’identità nazionale, delle tradizioni e della millenaria cultura dei diversi Paesi asiatici. Così, la diffusione del nazionalismo coincise con l’auge del Romanticismo e, una volta innescata la sua fiamma dapprima nel continente europeo e poi in molte altre parti del mondo, nessuno lo avrebbe più fermato, nel corso del XIX così come del XX secolo, tanto che il nazionalismo diventò il principale sentimento di coesione dei popoli e delle società e il principio ultimo della legittimità della sovranità e dell’ordine politico.
Nel 1763, James Macpherson pubblicò le opere del leggendario bardo scozzese Ossian. Furono accolte con entusiasmo e risvegliarono un tale interesse per tutto quello che alludeva al passato mitico delle Isole Britanniche che neppure la scoperta, anni dopo, che erano state solo un inganno editoriale, ne decretò la fine. È un esempio del ruolo che il folclore avrebbe avuto nel Romanticismo nel consolidamento del nazionalismo, in un’epoca che, stando alla cronologia, bisognerebbe definire preromantica. I miti e le leggende caratteristiche di ogni popolo, insieme alla lingua, divennero così una specie di segno di identità nazionale. Questa fu la visione di Richard Wagner, che a partire dal 1845, con Tannhäuser, usò come argomento dei suoi drammi musicali solo episodi della mitologia e della storia germanici, per arrivare a creare, nelle quattro opere che compongono L’anello del Nibelungo (L’oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dèi), una complessa cosmogonia in cui si confondono mito ed esaltazione patriottica. In alto, Il bardo, dipinto di John Martine del 1817 in cui è ricreata la fuga di un bardo dal massacro dei poeti gallesi ordinato da Edoardo I d’Inghilterra (Yale Center of British Art, New Haven); a sinistra, figurino per il personaggio di Sigfrido nell’opera omonima di Wagner, realizzato nel 1889 da Carl Emil Doepler.
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IL PARLAMENTO INGLESE.
La regina Vittoria presiede la sessione di apertura del parlamento nella Camera dei Lord (1875), secondo una litografia di S. J. Hodson a partire da un originale di Joseph Nash (Victoria and Albert Museum, Londra). Nella pagina accanto, la corona imperiale della regina Vittoria (Museum of London).
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LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA Nel XIX secolo, molti Paesi europei iniziarono il passaggio dal liberalismo alla democrazia. Alcuni si trasformarono in grandi potenze imperiali e ci furono guerre per la sovranità e la supremazia continentale. L’equilibrio ottenuto nell’ultimo terzo del secolo non fece diminuire le tensioni tra le potenze che volevano l’egemonia e questo non fu altro che l’anticamera della Prima guerra mondiale.
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l liberalismo si impose in Europa a partire dal secondo decennio del XIX secolo, ma le sue radici filosofiche vanno cercate nel razionalismo del secolo precedente. Si tratta di un sistema di pensiero che si basa sulla difesa dei diritti individuali e sui principi di equilibrio di poteri, di libertà, di tolleranza e di ricerca della verità mediante il confronto di idee. Il suo fondamento dottrinale si trova in John Locke, padre del liberalismo, e in altri pensatori del XVIII secolo, come Montesquieu, Voltaire e Rousseau. La dottrina liberale non condizionò solamente le forme politiche dominanti fino ad allora, ma anche quelle sociali ed economiche.
Il liberalismo politico proponeva una limitazione del potere mediante l’applicazione del principio della separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere legislativo doveva rimanere nelle mani di un’assemblea eletta a suffragio censitario, quello esecutivo spettava al governo e quello giudiziario doveva appartenere ai tribunali, come un terzo potere indipendente. Questa divisione di poteri doveva essere stabilita mediante la creazione di organi di governo che avessero pari forza, posto che nel loro equilibrio relativo c’era la migliore garanzia di controllo mutuo e, al tempo stesso, di libertà dell’individuo di fronte alla tentazione dell’assolutismo. 85
LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
Peterloo e gli inizi sanguinosi della lotta per il suffragio in Inghilterra Il 16 agosto del 1819, nello spazio aperto che attualmente è St. Peters Square, nella città di Manchester, si radunarono in modo pacifico circa sessantamila persone per chiedere una forma più democratica di rappresentazione parlamentare nel Regno Unito. La risposta delle autorità a questo atto fu una carica della cavalleria con le sciabole sguainate che si trasformò in un massacro. Anche se le guerre napoleoniche non si risolsero su terreno britannico, portarono però con sé una profonda crisi economica, accompagnata da fame e disoccupazione. Il malcontento si diffuse tra la popolazione, ancor più quando nel 1815 il parlamento approvò le Corn Laws, dei dazi doganali sull’importazione del grano, destinati a proteggere la produzione locale ma che incrementarono i costi industriali e, di conseguenza, i prezzi pagati dal consumatore. Questa situazione portò anche a una radicalizzazione politica che aspirava a livelli maggiori di democrazia e rappresentaza parlamentare. A quell’epoca il diritto al voto era un privilegio dei possidenti e solo degli uomini, il che equivaleva a un 2% della popolazione. Inoltre, le circoscrizioni elettorali erano rimaste così obsolete che i centri urbani erano rappresentati appena. Tutto questo giustificò l’incontro del 16 agosto. Il suo principale oratore, il radicale Henry Hunt, fu arrestato prima dell’atto su richiesta delle autorità locali, le quali ordinarono anche che la cavalleria disperdesse la folla, con un saldo di 18 morti e 700 feriti, inclusi donne e bambini. In riferimento alla battaglia di Waterloo, questa fu battezzata ironicamente Peterloo. Nell’immagine, incisione sul massacro pubblicata dall’editore e scrittore radicale Richard Carlile il 1 ottobre 1819 (Art Gallery, Manchester).
IL SUFFRAGIO IN EUROPA 1791
Francia. Votano gli uomini di età superiore ai 25 anni che pagano le tasse. 1849
Prussia. Sistema di tre classi, con voti di diverso valore. 1884
Regno Unito. Gladstone incita l’ampliamento del suffragio. 1890
Spagna. Si approva il suffragio universale maschile.
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Tuttavia, il suffragio non era universale, ma censitario. Per quanto possa sembrare contradditorio, nei regimi liberali solo una piccola parte della popolazione aveva diritto al voto. Per votare bisognava avere dei particolari requisiti, che generalmente erano di natura economica. In Francia, bisognava raggiungere un reddito di 300 franchi; in Spagna, le leggi elettorali stabilivano anche un determinato livello di ricchezza per accedere alle urne. «Arricchitevi con il lavoro e il risparmio!», incitava il ministro liberale François Guizot a coloro i quali reclamavano il diritto al voto. In definitiva, anche se il liberalismo predicava l’uguaglianza dei diritti dei cittadini, in realtà stabiliva una discriminazione basata non sulla nascita né sul sangue, come succedeva nell’Antico Regime, ma sul reddito. Il trionfo del liberalismo non comportò la scomparsa delle monarchie e, di fatto, quasi tutti i Paesi europei nei quali si impose erano guidati da un sovrano. Solo in America, per la mancanza di una tradizione del sistema monarchico, si imposero i regimi repubblicani.
La crescente presenza pubblica delle masse nel corso del XIX secolo e la loro richiesta di una maggiore partecipazione politica portò alla graduale trasformazione dei regimi liberali in regimi democratici. La differenza fondamentale della democrazia rispetto al liberalismo stava nella convinzione che la sovranità non risiedeva nei sistemi costituzionali o nelle assemblee parlamentari rappresentative, come sosteneva il liberalismo, ma nella volontà generale di tutto il popolo, come aveva stabilito Rousseau. Per questo difendeva il suffragio universale maschile rispetto a quello censitario, la subordinazione dei corpi parlamentari alla volontà dell’elettorato e il ricorso al plebiscito o al referendum. Nella prima metà del secolo, la democrazia fu considerata come una dottrina rivoluzionaria, forse per paura che risorgesse il giacobinismo che tormentò i governi conservatori d’Europa tra gli anni 1815 e 1848. Tuttavia, il diritto al voto si estese durante la seconda metà del secolo e i regimi politici del mondo occidentale si democratizzarono progressivamente, anche se il processo non fu uni-
FRANCIS BURDETT. Politico di orientamento radicale che non nascondeva la sua ammirazione per Robespierre, fu uno dei pochi membri del parlamento inglese a denunciare il massacro di Peterloo. Per questo fu condannato per oltraggio a tre mesi di prigione e 2000 lire di multa. Non era la sua prima condanna: nel 1810 aveva già passato due mesi nella Torre di Londra per ingiurie al parlamento, a cui apparteneva dal 1807. In alto, Francis Burdett in un’incisione dell’epoca.
forme e contemporaneo in tutti i Paesi. Tra le prime democrazie realizzatesi nel mondo, bisogna citare prima di tutto gli Stati Uniti d’America. In Europa, il Regno Unito e la Francia furono i Paesi in cui la democrazia come sistema si impose prima che in altri.
Partiti ed elezioni in Europa Il progressivo allargamento del diritto di voto alla totalità della popolazione adulta maschile diede luogo alla sostituzione della politica delle minoranze con una nuova politica democratica delle masse. La Francia fu il primo Paese europeo a stabilire in modo definitivo e permanente il suffragio universale maschile nell’anno 1871. In Gran Bretagna, l’allargamento del suffragio fu approvato dal primo ministro liberale William Gladstone nel 1884. In Svizzera era stato stabilito nel 1874, in Spagna nel 1890 e in Belgio nel 1893. In Germania, Bismarck permise che il Reichstag fosse eletto a suffragio universale, ma il vero potere risiedeva nella camera alta (il Bundestag) e sia il cancelliere sia l’imperatore si preoccupa-
rono che il governo non dipendesse direttamente da un’assemblea eletta democraticamente. In questo nuovo scenario politico, i partiti svolsero un ruolo essenziale. Dall’essere partiti di notabili, si trasformarono in partiti di masse. Non erano più formati solamente da élite esclusive di proprietari e intellettuali, ma cercavano di aprirsi al maggior numero di militanti possibili, a prescindere da quale fosse la loro condizione o estrazione sociale. I partiti tradizionali, liberali e conservatori, ebbero notevoli difficoltà ad adattarsi a questa nuova situazione e nacquero inoltre nuovi partiti, come quelli socialisti, cattolici o nazionalisti, che accoglievano tutti coloro che si univano alla vita politica. Le elezioni legislative divennero il momento chiave per il funzionamento dei sistemi democratici, perché da esse dipendeva non solo la composizione della camera o delle camere legislative, ma la formazione del governo. Con il tempo si impose il criterio che il governo dovesse poter contare sulla fiducia della maggioranza parlamentare, di modo che era il partito 87
LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
Robert Peel e il consolidamento del sistema parlamentare britannico Eletto ad appena ventun anni membro della Camera dei Comuni, il conservatore Peel partecipò in modo decisivo alla riforma economica che fece del Regno Unito la grande potenza mondiale della seconda metà del XIX secolo. Questo, tuttavia, lo portò a scontrarsi con i settori più tradizionalisti e agrari del suo partito e addirittura a perdere nel 1846 l’incarico di primo ministro. Il conservatore Robert Peel fu per tutta la sua vita un esempio politico capace di giungere ad accordi con altre formazioni, quando ciò significava un beneficio per il Paese. Diede prova di questa condotta da quando fu ministro dell’Interno (1822-1827 e 1828-1830) con misure come la riforma del Codice Penale o la promulgazione della legge di Emancipazione del 1829, che concedeva pieni diritti ai cattolici. E non solo: quando il suo partito passò all’opposizione nel 1830, seppe farsi carico delle riforme stabilite dal governo liberale, così come lasciò scritto nel Manifesto di Tamworth del 1834. Dopo una breve parentesi (dal dicembre del 1834 all’aprile del 1835) come primo ministro, Peel continuò ad avvicinarsi ad alcuni precetti del liberalismo, soprattutto in materia economica. Riuscì a metterli in pratica nel suo secondo mandato (1841-1846), anche se la deroga delle protezioniste Corn Laws a favore del libero scambio provocò la scissione del settore più conservatore del suo partito e lo costrinse alle dimissioni. Nell’immagine, ritratto di Arthur Wellesley, duca di Wellington, con Robert Peel nel 1844, di Franz Xaver Winterhalter (The Royal Collection, Windsor Castle, Windsor).
maggioritario della camera legislativa a definire la direzione del governo. In vista delle elezioni si organizzavano campagne elettorali in cui i partiti esponevano i loro programmi per raccogliere voti. Anche la stampa iniziò ad avere un ruolo molto rilevante nella diffusione delle idee e delle proposte dei partiti e dei candidati che si presentavano alle elezioni. E, tuttavia, non sempre i votanti esprimevano liberamente la loro volontà nell’atto elettorale. Le pressioni, i vincoli locali e anche le minacce travisavano la volontà popolare al momento del voto. C’erano molti elettori che si lasciavano manipolare con la promessa di ricevere favori, come l’esenzione dal servizio militare, la concessione di posti di lavoro, la sospensione di atti giudiziari o, semplicemente, l’acquisto del voto. Questo fenomeno, che sembrava essere esclusivo dei regimi con sistemi elettorali limitati ristretti, persistette anche nella democrazia. La costruzione di reti di influenze e la formazione di clientele elettorali furono procedimenti profondamente radicati nella pratica politica di Paesi 88
come la Spagna (il cosiddetto caciquismo spagnolo, che corrisponde al lobbismo), la Francia e l’Italia, così come in altri Paesi che via via ospitarono regimi politici democratici.
L’Inghilterra vittoriana L’Inghilterra fu uno dei pochi Paesi europei che non registrò alcuna agitazione rivoluzionaria nel corso del XIX secolo. La regina Vittoria occupò il trono britannico nel 1837 e vi rimase fino alla sua morte nel 1901. Durante questo lungo periodo, la Gran Bretagna cercò di mantenere la pace al di fuori dei confini, sostenendo il cosiddetto balance of power, l’equilibrio territoriale e militare dei Paesi europei. Tuttavia, i problemi che generò la sua espansione coloniale nel Vicino Oriente, in India, Africa, sud-est asiatico, nell’Indiano, in Oceania e nel Pacifico, in Canada e nell’Atlantico mantennero costantemente vigile la sua attenzione. La regina Vittoria si sposò nel 1840 con il principe Alberto di Sassonia-Coburgo e durante il suo lungo regno diede prova di una notevole risolutezza, così come di una considerevole prudenza. Rimase vedova nell’anno 1861 e a partire da allora le sua apparizioni pubbliche si ridussero molto. La sua popolarità aumentò quando il suo erede, il principe di Galles, fu sul punto di morire e quando lei stessa subì un attentato. Il sistema della monarchia parlamentare in Gran Bretagna si era consolidato con la riforma elettorale del 1832, la quale significò la scomparsa del dominio politico dell’aristocrazia possidente rappresentata dal partito tory e l’accesso al potere degli imprenditori e della classe media in generale, che appoggiavano il partito whig. Tuttavia, questa riforma – che non colpì in larga misura il carattere oligarchico del sistema – non soddisfò alcuni radicali e, soprattutto, un gran numero di lavoratori urbani che aspiravano a conseguire anche il diritto alla partecipazione al parlamento. Questi ultimi chiesero nel 1838 l’applicazione della People’s Charter di Lovett, che avrebbe garantito il suffragio universale maschile e altri vantaggi elettorali. Il cartismo, come venne definito questo movimento di riforma sociale, non riuscì nel suo proposito, poiché gli operai radicali si staccarono da esso e da quel momento si indebolì fino a scomparire. I vecchi dirigenti tories e whigs – Robert Peel e il visconte di Palmerston, rispettivamente – aprirono la strada, intorno al 1860, a un processo di modernizzazione del sistema. Il partito conservatore fu guidato da Benjamin Disraeli, che diede ai tories delle nuove forze con un programma più rinnovatore. Per quanto riguarda il partito whig, si trasformò in un partito liberale moderno grazie al lavoro di William Gladstone.
LA REGINA VITTORIA DEL REGNO UNITO
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ono pochi i monarchi che hanno dato il nome a tutta un’epoca. Uno di questi è Vittoria d’Inghilterra. Il suo lungo regno di sessantatré anni e sette mesi è conosciuto come l’epoca vittoriana e comprende la maggior parte degli avvenimenti chiave del secolo. Fu un periodo prevalentemente conservatore, ma che vide crescere il potere del parlamento a scapito di quello della corona e della nobiltà. Forse per questo uno dei suoi tratti distintivi fu la stabilità politica, in contrasto con il convulso panorama che dovettero affrontare sovrani come la spagnola Isabella II e il francese Napoleone III, abbattuti dalle rispettive rivoluzioni. Questa stabilità, inoltre, favorì la trasformazione del Paese in una potenza industriale, marittima e coloniale presente in tutti i continenti. A seguito di questa espansione, nel 1877 Vittoria fu incoronata imperatrice dell’India. Nelle immagini, a destra, la regina Vittoria ritratta nel 1842 da Franz Xaver Winterhalter (Musée National du Château, Versailles); in basso, Buckingham Palace, residenza ufficiale della corona, dipinto da Achille Louis Martinet (1862).
IL LUNGO REGNO DI UNA REGINA LONGEVA 1819
1837
Nasce a Londra, figlia del duca di Kent.
Succede al trono allo zio, Guglielmo IV.
1840
1877
1901
Contrae matrimonio con Alberto di Sassonia-Coburgo.
È incoronata imperatrice dell’India.
Muore sull’isola di Wight il 22 gennaio.
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LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
L’alternanza Gladstone-Disraeli e la genesi del bipartitismo inglese
Anche se l’azione politica di Robert Peel come primo ministro tese a limare le differenze tra conservatori (tories) e liberali (whigs), soprattutto nell’ambito dell’economia, il suo esempio non fu seguito dai suoi successori alla carica, il liberale William Gladstone e il conservatore Benjamin Disraeli. Da quando il governo di Peel cadde nell’anno 1846, vittima dei problemi interni del partito, in particolare la scissione dell’ala più conservatrice che difendeva gli interessi dei possidenti, il Regno Unito conobbe due decenni quasi ininterrotti di governo liberale o whig. Ma fu nella fase finale di questo periodo che si intrapresero le riforme che tanto aiutarono a democratizzare la vita politica del Paese. Ne furono protagonisti il whig Gladstone, che occupò la carica di primo ministro in quattro occasioni (1868-1874, 1880-1885, 1886 e 1892-1894), e il tory Disraeli, che lo fu due volte (1868 e 1874-1880). Nella lunga fase coperta dai due politici, si approvarono misure che consolidarono la posizione del Regno Unito come una monarchia parlamentare, delle quali la più importante fu l’allargamento del voto fino a trasformarlo in suffragio universale (anche se solo maschile), conquista che era stata una delle rivendicazioni del movimento operaio dai tempi del radicale Francis Burdett. Una misura che tuttavia non impedì ai partiti liberale e conservatore di mantenere l’egemonia e di alternarsi al potere. Nell’immagine, fotografia di sir William Gladstone scattata intorno al 1865.
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Nel 1867, Gladstone diede impulso a una riforma per allargare il suffragio e ottenere una maggiore rappresentanza parlamentare, anche se la sua approvazione fu opera di un governo presieduto da Disraeli. Durante il primo lungo governo di Gladstone (1868-1874) furono attuate altre importanti riforme legislative nei campi dell’amministrazione, dell’educazione e dell’organizzazione dell’esercito. Ma uno dei problemi più gravi che dovette affrontare fu quello delle rivendicazioni religiose, politiche ed economiche dell’Irlanda, guidate dall’attivista Daniel O’Connell. I cattolici irlandesi si lamentavano di dover pagare imposte alla Chiesa anglicana e chiedevano la creazione di un’università cattolica che avesse il potere di conferire dei diplomi. Politicamente non erano soddisfatti della legge di Emancipazione del 1829, che aveva conferito ai cattolici irlandesi una rappresentanza nella Camera dei Comuni. Sul piano economico, reclamavano la proprietà di molte terre che erano nelle mani dei contadini inglesi. Gladstone cercò di sedare gli Irlandesi con alcune concessioni, ma il problema avrebbe continuato a rimanere irrisolto fino a quando l’Irlanda ottenne la sua indipendenza nel 1922. L’Inghilterra vittoriana, stimolata in particolar modo dalla politica di Disraeli, si consolidò come guida di un grande impero coloniale. A questo contribuì il suo dominio dei mari, la sua grande espansione industriale e il suo interesse per la conquista dei mercati del mondo. Intorno alla metà del secolo, gli Inglesi avevano già interessi in Egitto e dominavano una buona parte del continente africano. In America continuavano a possedere i territori del Canada, che si erano allargati fino alla costa ovest. Le isole Malvine furono dichiarate sotto la sovranità britannica nel 1833. In Asia, riuscirono a ottenere vantaggi commerciali in Cina e il dominio sull’enclave di Hong Kong a motivo della cosiddetta guerra dell’oppio nel 1839. Si impadronirono anche del dominio dell’India, dove già operava la Compagnia Britannica delle Indie Orientali: la sollevazione dei sepoy nel 1857 offrì loro il pretesto per intervenire militarmente e procedere alla sua occupazione. In Oceania si dichiarò la sovranità britannica in Nuova Zelanda nel 1840, mentre si rafforzò il suo dominio nel continente australiano. La Gran Bretagna diventava così una grande potenza imperiale presente in cinque continenti.
Napoleone III e il Secondo impero Dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte, la Francia aveva restaurato la monarchia borbonica nella persona di Luigi XVIII. Il nuovo re stabilì un sistema parlamentare molto limitato, retto da una “costituzione ottriata” (la charte octroyée) impo-
sta dal potere e non redatta né approvata dall’assemblea rappresentativa. Suo fratello Carlo X, che gli succedette nel 1824, volle tornare all’Antico Regime, ma la resistenza che provocò precipitò la Rivoluzione liberale del 1830. Il trionfo della borghesia rivoluzionaria portò a una nuova monarchia guidata da Luigi Filippo d’Orléans, un principe che si era distinto per le sue idee liberali. Si allargarono i diritti civili a tutti i cittadini, ma sul piano politico si permetteva solo ai più capaci di eleggere e di essere eletti. La domanda di una maggiore partecipazione politica da parte della piccola borghesia e l’emergere di nuovi gruppi sociali che si unirono a queste rivendicazioni diedero luogo a una rivoluzione nell’anno 1848. Nella capitale iniziarono i tumulti e le agitazioni si fecero violente, mentre si alzarono le barricate. Per evitare il peggio, Luigi Filippo rinunciò al trono e si rifugiò in Inghilterra. La Rivoluzione del 1848 sfociò nella proclamazione della Seconda repubblica. Si stabilì momentaneamente il suffragio universale e si nominò un governo provvisorio, presieduto dallo scrit-
tore e rivoluzionario Alphonse de Lamartine. Nelle elezioni di dicembre di quell’anno fu eletto presidente della Repubblica il nipote di Napoleone, Carlo Luigi Bonaparte. Si era presentato come un conciliatore e aveva promesso di offrire protezione all’industria e al commercio, sostegno all’agricoltura e rispetto della religione. Le sue prime misure furono quelle di mettere ordine nel Paese e di seguire una politica conservatrice. Tuttavia, nel 1851 mise in atto un colpo di Stato dichiarandosi presidente a vita. L’anno successivo, un plebiscito l’avrebbe reso imperatore. Nasceva così la Francia del Secondo impero. Napoleone III, come si fece chiamare il nuovo imperatore dei Francesi, era figlio del fratello di Napoleone, Luigi Bonaparte (re d’Olanda) e contrasse matrimonio con la nobile spagnola Eugenia de Montijo. Aveva un carattere un po’ enigmatico, ma non gli mancava l’immaginazione e un certo talento, anche se non aveva senso della realtà e la sua salute era molto precaria. Governò combinando autoritarismo e concessioni al parlamento e alle richieste popolari.
L’ARISTOCRAZIA DEL SECONDO IMPERO.
La vita sfarzosa di corte contribuì al malcontento popolare precedente alla rivoluzione repubblicana. In alto, Napoleone III a caccia di fagiani a Compiègne, olio (1865) di Ange-Louis JanetLange (Musée National du Château, Compiègne). L’AVVENTURA MESSICANA (pag. 92-93). L’olio di Édouard Manet L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano del Messico (1867) mostra la fine dell’avventura imperiale francese nelle terre americane (Städtische Kunsthalle, Mannheim). 91
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LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
FRANCIA: FINE DELLA MONARCHIA 1849
Carlo Luigi Napoleone. Il nipote di Bonaparte è eletto presidente della Seconda repubblica francese. 1852-1870
Secondo impero. Dopo un colpo di Stato, Luigi Napoleone mette fine alla Repubblica e si proclama imperatore con il nome di Napoleone III. 1870
Sconfitta e rivoluzione . Napoleone III è fatto prigioniero dai Prussiani dopo la battaglia di Sedan. A Parigi scoppia una rivoluzione repubblicana. 1870-1940
Terza repubblica. Léon Gambetta, leader dei repubblicani, proclama la Terza repubblica, che durerà fino all’invasione della Germania nazista. 1871
La Comune. A marzo, la Guardia Nazionale si solleva in armi e stabilisce un governo popolare della durata di due mesi. 1877
Consolidamento repubblicano. I tentativi di restaurazione monarchica sono definitivamente frenati dal trionfo repubblicano nelle elezioni.
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Nel 1852 fece approvare una nuova costituzione che gli conferiva ampi poteri: dichiarare la guerra e firmare trattati, nominare i ministri, presentare leggi e firmare decreti. Il potere legislativo era composto da una Camera bassa di 260 deputati eletti a suffragio universale maschile, con prerogative molto limitate, e un Senato nominato dal capo dello Stato. Governò, quindi, con ampi poteri. Durante il suo mandato, la Francia fece enormi passi avanti nell’industrializzazione e l’amministrazione ne guadagnò in efficienza. Tra le opere pubbliche che avviò, bisogna considerare la modernizzazione urbanistica e monumentale di Parigi, per la quale si appoggiò al suo famoso sindaco, il barone di Haussmann. La Francia del Secondo impero partecipò attivamente alla politica europea del momento e si impegnò in vari conflitti, nonostante Napoleone III si considerasse un pacifista. Il suo nazionalismo lo portò ad appoggiare i popoli in cerca della loro libertà e indipendenza, per questo intervenne in Italia. Prese anche posizione in difesa dei Polacchi e dei Rumeni, sottomessi al dominio di Russi e Ottomani. Ma la potenza contro cui si scontrò quasi subito fu la Russia dello zar Nicola II. Partecipò alla guerra di Crimea insieme alla Gran Bretagna a favore dell’impero ottomano e contro la minaccia dell’espansione russa per avere uno sbocco verso il Mediterraneo. La sua azione esterna più stravagante fu senza dubbio l’intervento in Messico. Allo scopo di proteggere i detentori francesi dei debiti messicani, mandò in quel Paese un esercito di 30.000 soldati e convinse Massimiliano d’Austria, fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe, ad accettare la nomina di imperatore del Messico in sostituzione del presidente Juárez. L’avventura terminò in un fallimento e Massimiliano fu catturato e fucilato dalle forze juariste. Alla fine, le guerre contro l’Austria nell’anno 1866 e contro la Prussia nel 1870 evidenziarono il poco prestigio francese in Europa. Il disastro di Sedan e la sua fragile salute agevolarono il rovesciamento di Napoleone III da parte dell’opposizione repubblicana.
La Terza repubblica francese Quando ancora non era terminata la guerra con la Prussia, il 4 settembre 1870, un gruppo di repubblicani guidati da Léon Gambetta proclamò a Parigi la Terza repubblica. I Francesi erano divisi su quale dovesse essere la nuova forma di governo, ma tutti erano d’accordo nel riconoscere che l’impero era stato un fallimento totale. Nell’anno 1871 si scelse un’Assemblea Nazionale che nominò Adolphe Thiers alla guida di un governo provvisorio. Tuttavia, nella capitale, i patrioti radicali volevano assicurare quello che
La Comune di Parigi e il repubblicanesimo Nel 1870, la sconfitta della Francia nella battaglia di Sedan contro la Prussia non significò solo il crollo del Secondo impero e la proclamazione della Terza repubblica, ma anche l’inizio di un periodo rivoluzionario che portò all’esperienza della Comune nel 1871. Approfittando del vuoto di potere dopo l’armistizio con i Prussiani, il 18 marzo 1871 la Guardia Nazionale si sollevò in armi a Parigi con l’appoggio popolare e instaurò un governo municipale libero dominato da socialisti e repubblicani dell’ala radicale. Tra le ragioni di questa sollevazione c’erano l’angoscia per la capitolazione e il risultato delle elezioni, che aveva dato una maggioranza significativa a monarchici e conservatori. Nei due mesi in cui durò l’esperienza della Comune, prima di essere schiacciata dall’esercito, si approvarono misure come la laicità dello Stato, l’abolizione degli interessi dei debiti e l’autogestione delle fabbriche. Per Karl Marx fu il primo tentativo di dittatura del proletariato. Nell’immagine, fotografia scattata nel mese di maggio del 1871 che mostra l’abbattimento dei simboli napoleonici di Parigi, come la colonna dedicata alle gesta di Napoleone in Place Vendôme.
doveva essere il repubblicanesimo del nuovo regime e stabilirono una Comune in ricordo dell’Assemblea nell’anno 1793, dominata dai giacobini. Era sostenuta principalmente dalla piccola borghesia e dalle classi lavoratrici. Questo movimento popolare parigino fu schiacciato brutalmente dall’esercito comandato dal maresciallo Mac Mahon, al punto che si contarono fino a 30.000 morti, oltre a 38.000 persone imprigionate e 7000 deportate in Nuova Caledonia. Molti di quelli che parteciparono alla Comune dovettero andare in esilio. Una volta ristabilito l’ordine, Thiers fu sostituito da Mac Mahon alla presidenza della Repubblica. L’Assemblea approvò una serie di leggi fondamentali che delineavano la Repubblica come un regime parlamentare bicamerale, in cui il presidente doveva essere eletto a maggioranza assoluta della Camera dei deputati e del Senato, riuniti come Assemblea Nazionale. Il corpo fondamentale del sistema era la Camera dei deputati, eletta a suffragio universale maschile diretto per un periodo di quattro anni. Tra le diverse
personalità che occuparono la presidenza della Repubblica si distinse Jules Ferry (1880-1881 e 1883-1885), il cui lavoro si concentrò sul risanamento delle ferite provocate dalla Comune. Tornarono gli esiliati, si tolse la censura della stampa e furono legalizzati i sindacati. Ferry fece una profonda riforma educativa che comportò la laicizzazione dell’insegnamento e avviò un’ambiziosa politica coloniale per cercare di ristabilire il prestigio che la Francia aveva perso in Europa. Durante gli ultimi anni del XIX secolo, la Terza repubblica francese dovette affrontare tre crisi importanti. La prima fu quella provocata dal tentativo di colpo di Stato del generale Georges Boulanger, il cui proposito era eliminare la costituzione per stabilire un regime forte. La seconda fu il cosiddetto “scandalo di Panama”, che scoppiò per la scoperta di una frode nella compagnia che avrebbe finanziato la costruzione del canale nel Paese centroamericano e il cui promotore era Ferdinand de Lesseps, l’artefice del Canale di Suez. Infine, il caso Dreyfus, nel 1894: la condanna per tradimento di un giovane uffi-
ciale ebreo di origine alsaziana accusato di aver venduto segreti di guerra ai Tedeschi. Il conflitto sociale e politico che si scatenò destabilizzò la Repubblica per oltre un decennio e provocò una campagna a favore della sua innocenza guidata dallo scrittore Émile Zola.
La Russia imperiale
IL CASO DREYFUS.
Caricatura pubblicata nel 1897 dalla rivista satirica nordamericana Puck che mostra Dreyfus o un militare francese come una scimmia che cerca di “riscattare” la Repubblica.
Intorno alla metà del XIX secolo, la Russia era già il più grande Stato d’Europa e comprendeva un conglomerato di territori che, a differenza dell’impero britannico, formavano un insieme continuo che occupava parte dei continenti europeo e asiatico. La maggior parte della sua popolazione continuava a essere rurale e agricola e la società era dominata da un numero ridotto di potenti signori, grandi proprietari possidenti, che avevano una gran quantità di servi (mujiks) a loro sottomessi, a cui non era praticamente riconosciuto nessun genere di diritti. La Russia era rimasta al margine della modernizzazione ed era sempre retta da un sistema guidato dallo zar, che esercitava un potere assoluto e ar95
LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
IL PRIMO RIFORMATORE DI RUSSIA. Abolendo la
servitù, Alessandro II aprì le porte alla modernizzazione dell’economia agraria russa, la principale fonte di ricchezza del suo immenso Paese. In alto, statua di bronzo dello zar, opera della seconda metà del XIX secolo, di Ernst J. W. Mehnert.
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bitrario sui suoi sudditi. Questa politica portò nel 1830 a un’insurrezione contro il dominio russo in Polonia, che durò oltre un anno e divenne famosa come Rivoluzione cadetta. L’insurrezione si concluse con l’annientamento della resistenza da parte dell’esercito russo al comando di Ivan Paskevč, nominato principe di Varsavia dopo aver fatto capitolare la città e aver provocato una grande emigrazione di Polacchi, specialmente in Francia. Lo zar Nicola I era succeduto al fratello Alessandro nel 1825 e durante il suo regno si mostrò contrario a ogni genere di innovazione che comportasse la riduzione del potere onnicomprensivo dello zar, della cui origine divina era fermamente convinto. Mostrò una particolare preoccupazione per la politica estera e il suo desiderio di ottenere uno sbocco sul Mediterraneo attraverso gli stretti turchi provocò i timori di Francia e Inghilterra e sfociò alla fine nella guerra di Crimea. In politica interna, agì a favore della Chiesa ortodossa per rafforzare i sentimenti nazionali e il sistema autocratico. La sua brama di controllare tutte le leve dello Stato lo portò a sviluppare un forte sistema di polizia e ad aumentare gli effettivi dell’amministrazione pubblica. Nel 1851 riuscì a inaugurare la linea ferroviaria tra San Pietroburgo e Mosca e durante quegli anni centrali del secolo la Russia sperimentò una certa crescita economica, spinta anche da un moderato processo di industrializzazione. Tuttavia, la persistenza di antiche strutture feudali teneva a freno ogni tentativo di modernizzazione del Paese. Alessandro II succedette al padre Nicola I nell’anno 1855 e dall’inizio del suo regno avviò una serie di riforme destinate a trasformare la società russa. Così, nel 1858 concesse l’emancipazione ai servi della corona e nel 1861 estese il provvedimento a tutti i servi. Inoltre concesse maggiori libertà, ridusse la censura della stampa, diede impulso all’insegnamento e diede maggiore autonomia alle università. Modificò anche il sistema giudiziario per sostituire la giustizia nobiliare con una giustizia pubblica che dava quindi maggiori garanzie. Sul piano della politica estera, lo zar Alessandro II nel 1973 formalizzò con l’Austria e la Germania la cosiddetta Lega dei tre imperatori, che aveva l’ambizioso proposito di preservare la pace in Europa. Tuttavia, gli interessi di Austria e Russia sui Balcani scatenarono l’intervento di quest’ultima in Turchia, allarmando le potenze europee che si riunirono nel 1878 nel Congresso di Berlino, in cui obbligarono la Russia a rinunciare alla maggior parte delle sue conquiste. Come conseguenza, la Lega dei tre imperatori fu
spezzata e anche se Bismarck la resuscitò anni dopo, non tardò a sciogliersi definitivamente. L’emergenza dei nazionalismi ebbe il suo riflesso in Polonia sotto il dominio zarista. I Polacchi si sollevarono nell’anno 1836 per chiedere una costituzione e una maggiore autonomia e anche se ottennero l’ausilio della Prussia e l’appoggio di Napoleone III, furono sottomessi da Alessandro II. L’insurrezione della Polonia e le difficoltà riguardanti l’applicazione delle riforme provocarono l’involuzione del governo, che cadde nelle mani degli elementi più conservatori. Questa situazione diede luogo alla comparsa di gruppi estremisti di carattere anarchico rivoluzionario e si diffuse il terrorismo, del quale fu vittima proprio lo zar Alessandro II, che morì in un attentato a San Pietroburgo il 13 marzo 1881. Alessandro III, suo successore, accentuò la politica di repressione, non solamente contro il popolo russo, ma anche contro i popoli baltici e polacchi, combattendo le loro lingue e la loro religione. Perseguitò anche gli ebrei, che furono oggetto di volenti pogrom. I conflitti delle na-
zionalità e i problemi politici derivati dalla lenta modernizzazione dello Stato avrebbero finito per folgorare il regime degli zar.
L’impero turco Dagli inizi del XIX secolo, l’impero ottomano era minacciato dalle mire espansionistiche della Russia e dai movimenti nazionalisti delle popolazioni cristiane ortodosse che abitavano nei Balcani. Conservò tuttavia la maggior parte del suo dominio territoriale, che si estendeva in tre continenti: in Europa, dall’Adriatico al Mar Nero; in Asia, dall’Egeo al Golfo Persico e dal Mar Nero al Mar Rosso, e in Africa del Nord, nelle province di Tripoli e Cirenaica, nell’odierna Libia. La sua sopravvivenza era dovuta, soprattutto, all’appoggio che gli avevano dato alcune potenze europee come il Regno Unito, le quali erano interessate a mantenere una barriera con le ambizioni espansionistiche della Russia sulla costa mediterranea e anche nei Paesi balcanici. Oltre a questa pressione politica, l’impero turco aveva un’endemica arretratezza tecnologica, che
tenne la sua economia, basata essenzialmente sull’agricoltura, al margine della Rivoluzione industriale e nelle mani dei capitali stranieri. A questo bisogna aggiungere, d’altra parte, le correnti nazionaliste che presero piede nei Paesi balcanici e costituirono una forza dissolvente per la sua integrità territoriale. Il suo sistema politico era basato sulla presenza di un sultano con dei poteri quasi illimitati. Era il capo dei credenti nell’Islam, ai quali riconosceva una serie di diritti di cui non godevano gli altri sudditi dell’impero. Tuttavia, l’autorità imperiale mostrava una certa tolleranza verso i popoli cristiani che erano sotto il suo dominio. L’impero turco, che aveva subito la perdita della Grecia dopo la guerra d’Indipendenza greca (1821-1832), fu governato tra il 1839 e il 1861 dal sultano riformista Abdülmecid I. Durante il suo mandato si scatenò il conflitto degli stretti. Attraverso il Trattato di Adrianopoli del 1829, mediante il quale la Grecia ottenne la sua indipendenza, la Turchia aveva accordato di concedere la libertà di navigazione e commercio nel
L’EQUILIBRIO DI POTERE. Nel Congresso di Berlino del 1878, convocato da Benjamin Disraeli e Robert Gascoyne-Cecil e presieduto da Bismarck, le potenze europee si proposero di mettere fine alla guerra russo-turca e di riorganizzare l’equilibrio di poteri nei Balcani. In alto, Il Congresso di Berlino, olio (1881) di Anton von Werner (Municipio di Berlino). Si distinguono in primo piano, a sinistra il cancelliere russo Gorchakov (seduto) e il primo ministro britannico Disraeli (in piedi) e, al centro, il ministro di Austria-Ungheria Andrássy, il cancelliere Bismarck e il consigliere russo (tutti in piedi). 97
LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
Vicino Oriente e nel Mediterraneo, mentre la Russia e la Francia reclamavano la protezione dei cristiani – ortodossi e romani, rispettivamente – nei Luoghi Santi, controllati dalla Turchia. Tutto faceva pensare che la “questione orientale” sarebbe diventata presto una fonte di problemi. Verso la metà del secolo, la pace dell’Europa dipendeva dall’esito che sarebbe stato dato a questi conflitti; anche se il sistema di Metternich, che fu stabilito al Congresso di Vienna del 1814, era scomparso, tutte le potenze erano d’accordo nel preservare a tutti i costi l’equilibrio europeo che era stato raggiunto in quell’occasione. Tuttavia, sia l’emergenza dei nazionalismi sia il consolidamento del liberalismo erano diventati una minaccia per l’ordine stabilito dal vecchio sistema diplomatico.
La guerra di Crimea
LA FINE DELL’IMPERO OTTOMANO. Abdul
Hamid II, soprannominato il Sanguinario per la pulizia etnica praticata contro Armeni e Curdi, fu l’ultimo sultano ottomano ad avere poteri assoluti e colui che ritardò di alcuni decenni, con la sua politica autoritaria, l’avvento dell’epoca moderna in Turchia. Nel 1909 fu deposto dalla sollevazione militare dei Giovani Turchi. In alto, il sultano (1885 ca.)
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Mar Nero e di permettere il passaggio attraverso il Bosforo e i Dardanelli alle navi dei Paesi che non erano in guerra con lei. La Russia approfittò di questa situazione per esercitare il suo dominio su questa parte del Mediterraneo. Tuttavia, nel 1841 il ministro inglese Palmerston insistette sul fatto che le questioni della Turchia riguardavano tutta l’Europa e riuscì a fare in modo che si firmasse la London Straits Convention tra le cinque grandi potenze (Russia, Regno Unito, Francia, Austria e Prussia) e la Turchia. In virtù di questo accordo, si chiudevano il Bosforo e i Dardanelli a tutte le navi da guerra straniere. Anche nei Balcani la Russia cercò di diventare la protettrice delle nazionalità slave contro la Turchia. I Russi avevano occupato la Moldavia e la Valacchia, e anche se l’occupazione finì nel 1851, il suo atteggiamento fece sorgere dei sospetti ad alcune potenze europee. Soprattutto l’Inghilterra voleva mantenere la fortezza della Turchia come barriera contro le mire espansionistiche della Russia. Dall’altra parte, Francia e Gran Bretagna avevano stabilito forti interessi commerciali nel
La guerra di Crimea scoppiò nel 1853 come conseguenza delle ambizioni contrapposte dello zar Nicola I e di Napoleone III, e della determinazione della Gran Bretagna nel mantenere l’integrità della Turchia come misura di difesa dei suoi interessi nel Mediterraneo verso l’India. Ma la causa immediata della guerra va cercata nel Vicino Oriente. La Francia e la Russia reclamavano la protezione dei cristiani in Terra Santa sotto il dominio turco, ma ciò che realmente voleva l’imperatore francese era il trionfo che non aveva ottenuto il suo predecessore, Luigi Filippo di Orléans, in quei luoghi, così come la sconfitta della Russia, la sua vecchia nemica dal 1812. La Gran Bretagna si unì alla Francia per evitare l’avanzata russa nei territori turchi. Nonostante gli sforzi fatti per preservare la pace mediante la convocazione dell’incontro a Vienna, la guerra fu inevitabile. La Russia, in risposta al rifiuto turco di riconoscerle il diritto alla protezione dei cristiani nei Balcani, occupò nuovamente i territori della Moldavia e della Valacchia. La Turchia le dichiarò guerra in ottobre e a marzo dell’anno successivo lo fecero Francia e Gran Bretagna, che inviarono le loro rispettive flotte ai Dardanelli. Di fronte alla minaccia di un possibile intervento dell’Austria, lo zar ritirò le sue truppe dalla Moldavia e dalla Valacchia. Sarebbe stato un buon momento per firmare la pace, poiché l’epidemia di colera stava facendo stragi nelle truppe francesi e britanniche, ma entrambe le parti erano molto coinvolte e c’era in gioco il prestigio delle nazioni belligeranti. Nel settembre del 1854, gli alleati sbarcarono nella Penisola di Crimea e mantennero l’assedio alla base navale russa di Sebastopoli per un anno. Dopo le battaglie di Inkerman e Balaclava, Sebastopoli fu presa d’assalto. Nel dicembre del 1854,
l’Austria si unì alle potenze occidentali mediante la firma di un trattato, anche se non prese parte alle ostilità. Poco dopo, lo fece anche il re del Piemonte, con il proposito di ottenere più avanti l’appoggio degli alleati per conseguire l’unità italiana. In questa guerra, il telegrafo e la stampa popolare ebbero per la prima volta un ruolo importante. Fecero anche la loro comparsa le fotografie dei campi di battaglia, che avvicinarono la terribile realtà di quei disastri al resto della società. La morte dello zar Nicola I nel 1855 eliminò gli ostacoli sulla via della pace, che infine fu firmata mediante il Trattato di Parigi, il 30 marzo dell’anno 1856. Il Mar Nero si apriva alle navi mercantili di tutte le nazioni e il Danubio si internazionalizzò. La Moldavia e la Valacchia ottennero, insieme alla Serbia, un certo grado di indipendenza e il sultano turco si impegnò a trattare i cristiani come i musulmani. A partire da questa guerra, l’impero ottomano divenne ancora più debole a causa dei movimenti per l’indipendenza di alcuni dei po-
poli che rimanevano sotto il suo dominio e anche della cattiva amministrazione interna e della crescente corruzione. La Serbia avrebbe finito per ottenere la sua totale indipendenza nel 1867 e la Moldavia e la Valacchia si unirono per dare origine allo Stato della Romania nel 1862. Anche il Montenegro aumentò la sua autonomia, così che solamente la Bulgaria rimase completamente sotto il dominio turco. Nel 1857 scoppiò una rivolta in Bosnia-Erzegovina, alla quale si unì la Bulgaria. Il sultano Abdul Hamid II represse duramente i ribelli di fronte all’orrore degli Europei. L’intervento dello zar portò al Trattato di Santo Stefano nel marzo del 1878, mediante il quale si creava la Grande Bulgaria, di fronte all’allarme della Gran Bretagna e dell’Austria, poiché entrambe le potenze temevano che il nuovo Stato potesse diventare un satellite della Russia. Quando nel 1878 il cancelliere tedesco Bismarck si unì a questi timori, si stabilì di riunire il Congresso di Berlino, nel quale fu modificato il Trattato di Santo Stefano. La Bulgaria rimase allora divisa in tre parti: il nord, indipen-
LA BATTAGLIA DI BALACLAVA. Questa
incisione di Richard Caton Woodville (1895) mostra la leggendaria anche se disastrosa carica della brigata leggera durante la battaglia di Balaclava, il 25 ottobre 1854, nel corso dell’assedio di Sebastopoli. A quanto sembra, la brigata di cavalleria britannica ricevette un ordine confuso che la mise di fronte a una batteria di 50 pezzi d’artiglieria, due battaglioni di fanteria e vari regimenti di cavalleria russi (National Army Museum, Londra).
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LA LOTTA PER IL POTERE IN EUROPA
Florence Nightingale, ispiratrice della Croce Rossa Nel 1883, la regina Vittoria concedette l’Ordine della Croce Rossa, appena creato, a Florence Nightingale. Questa infermiera britannica vedeva così riconosciuto il suo lavoro in ambito sanitario militare, che aiutò a riformare a partire dalla sua esperienza nella cura dei feriti della guerra di Crimea. Nata nel 1820 a Firenze, città da cui prende il nome, Florence Nightingale dedicò tutta la sua vita alla professione di infermiera. E lo fece nonostante l’opposizione della sua famiglia agiata, che preferiva per la figlia un destino più conforme al suo status. Nel 1853, quasi dieci anni dopo aver iniziato il suo lavoro di infermiera, divenne responsabile dell’infermeria di un ospedale di Londra, dove perfezionò la sua pratica scientifica e professionale. Questa esperienza le fu di grande aiuto quando le notizie della guerra di Crimea che giungevano dal Regno Unito la spinsero ad andare al fronte per aiutare nella cura dei malati. Vi giunse nel mese di novembre del 1854, alla guida di un’équipe di 38 infermiere e nei due anni della sua permanenza in quel luogo riuscì a ridurre l’indice di mortalità dei feriti nonostante i pochi mezzi a sua disposizione. Il miglioramento delle condizioni igieniche fu essenziale per questo risultato. Al suo ritorno in Gran Bretagna, fece un’intensa campagna a livello istituzionale per ottenere dal parlamento sia la professionalizzazione del suo lavoro sia la riforma della sanità militare e civile. Quando il filantropo svizzero Henri DUnant fondò nel 1863 la Croce Rossa, non esitò a riconoscere che l’ispirazione gli era venuta dall’esempio di questa donna. Nell’immagine, statua di Florence Nightingale, opera di Arthur George Walker, a Waterloo Place (Londra).
dente; la parte centrale – Rumelia orientale – con un governatore sotto il controllo turco; e il sud, compresa la Macedonia, che fu restituito alla Turchia. La Gran Bretagna ottenne il controllo dell’isola di Cipro e l’Austria passò ad amministrare la Bosnia-Erzegovina. Il crollo definitivo dell’impero ottomano fu frenato da questo accordo, anche se i Turchi non potevano più aspettarsi nessun genere di aiuto esterno. Quando la Bulgaria ottenne il controllo della Rumelia orientale nel 1885, agiva già in modo indipendente dalla Russia. Il controllo della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria creò in Serbia una grande tensione, che anni dopo sarebbe sfociata nella Prima guerra mondiale.
La pace armata Nonostante gli avvicinamenti occasionali e sporadici tra Francia e Germania durante la seconda metà del XIX secolo, la crescente ostilità mutua divenne una delle preoccupazioni più grandi 100
della diplomazia europea. La costruzione di un sistema di grandi alleanze si basò proprio sulla convinzione che questa inimicizia costituiva una minaccia che superava qualunque altro problema che potesse mettere in pericolo la pace in Europa. In generale, si cercava l’equilibrio europeo. Ma questo balance of power non si basava ora, come dopo la sconfitta di Napoleone, sul fatto che nessun Paese potesse essere più potente dell’altro, ma sul fatto che ciascuno avesse un potenziale bellico e militare proporzionale alla sua importanza demografica ed economica. Ovvero, non si trattava dell’applicazione di alcun tipo di principio etico che facesse prevalere la pace come conseguenza del suo riconoscimento come valore universale, ma si trattava piuttosto del risultato di una visione pragmatica e materialista. L’equilibrio ottenuto in questo modo era così fragile che non avrebbe impiegato molto a rompersi clamorosamente per dare origine alla prima guerra veramente mondiale della storia. Tuttavia, a partire dal 1870 l’aria che si respirava in Europa era quella di una progressiva e crescente cooperazione tra tutti i Paesi. Cominciarono a proliferare le organizzazioni internazionali, come la Croce Rossa (1864), l’Unione Telegrafica Internazionale (1875), l’Unione Postale Universale (1878), le grandi esposizioni universali o il Giochi Olimpici moderni, che si reintrodussero a partire dal 1896. Le grandi potenze iniziarono a dirimere le loro differenze non con scontri bellici ma mediante la convocazione di incontri: il Congresso di Berlino del 1878, che riorganizzò i Balcani dopo la guerra russo-turca, la Conferenza di Berlino del 1884 per giungere a un accordo sulla ripartizione coloniale, il Trattato di Bucarest del 1886, che mise fine alla guerra tra Serbia e Bulgaria o la Conferenza di Pace de L’Aia del 1899, in cui si cercarono di stabilire i fondamenti di una pace universale. La Germania unificata ebbe in questo processo un ruolo fondamentale. Il cancelliere Bismarck si propose di assicurare, almeno per una generazione, una pace che garantisse l’unità nazionale mediante la firma di accordi con le potenze che la circondavano. Per quanto riguarda la Francia, voleva trovare alleati per uscire dall’isolamento in cui era caduta dopo la sconfitta del 1871 e guardava alla Gran Bretagna. In questo modo, le due potenze europee manifestavano delle intenzioni difensive piuttosto che offensive. La Gran Bretagna non voleva fare il gioco della Francia per diventare sua alleata, né tantomeno farsi coinvolgere troppo nella politica europea, presa com’era nella sua espansione coloniale. Riteneva che l’esistenza di cinque grandi potenze nel continente era già di per sé
L’ANTICAMERA DELLA GUERRA. L’interpretazione
strettamente militaristica dell’equilibrio di potere da parte del cancelliere Bismarck e la sua applicazione rigida e manichea nei conflitti degli ultimi decenni del XIX secolo fu, secondo l’opinione di molti storici, una delle situazioni che gettarono le basi che avrebbero portato, nel XX secolo, allo scoppio della Grande Guerra, la prima di portata mondiale nella storia dell’umanità. A sinistra, L’angelo della pace, una caricatura satirica nordamericana, pubblicata nel 1886 da Joseph Kepler, in cui il Cancelliere di Ferro è rappresentato come un ipocrita e immacolato angelo della pace dei Balcani, dopo il suo intervento al Congresso di Berlino del 1878, che mise fine alla guerra russo-turca senza risolvere gli interessi contrapposti tra le grandi potenze che l’avevano causata.
una buona bilancia per mantenere l’equilibrio di potere. I suoi interessi, le sue tradizioni e la sua visione dell’Europa la portavano a rimanere in uno “splendido isolamento”. Di fronte all’isolazionismo britannico, Bismarck si rivolse verso l’impero austro-ungarico per renderlo il suo alleato più importante. Passò poi alla Lega dei tre imperatori, con la Russia, nel 1873, il cui fallimento fu determinato dalla confluenza degli interessi contrapposti dell’Austria e della Russia sui Balcani. Nel 1881, la Francia invase Tunisi per trasformarla in un protettorato e gli Italiani, che aspiravano a occupare questo territorio nordafricano vicino alla Sicilia, cercarono l’alleanza di Bismarck. Per il Cancelliere di Ferro era una buona opzione di fronte alla ritirata della Russia come alleata. Fu così che nel 1882 nacque la Triplice Alleanza tra Germania, Italia e Austria, un’unione a scopo difensivo, la quale prevedeva che se uno degli alleati fosse stato attaccato da qualunque altra potenza, gli altri due l’avrebbero difeso. La sostituzione sul trono di Russia dello zar Alessandro II con Alessandro III
nel 1881 favorì anche il ripristino della Lega dei tre imperatori nel 1883, che si sciolse per la rivalità franco-russa. Fu sostituita dal Trattato di Riassicurazione del 1887, un patto di non belligeranza tra Germania e Russia, neppure questo destinato a durare molto. Nel 1888 morì il kaiser Guglielmo I e salì al trono Guglielmo II, che nel 1890 destituì il vecchio cancelliere Bismarck. La Francia firmò un’alleanza con la Russia nel 1893, così che agli albori del XX secolo, l’Europa era divisa in due blocchi rivali: da una parte la Triplice Alleanza e dall’altra parte l’alleanza franco-russa, che in seguito avrebbe dato origine alla Triplice Intesa, comprendendo anche la Gran Bretagna. Questo complesso quadro europeo della fine del secolo, la deriva della politica internazionale e la difesa a oltranza degli interessi sovrani che ogni nazione anteponeva alle altre rese l’equilibrio molto precario. L’Europa visse in pace tra il 1870 e il 1914, ma si trattava fuor di dubbio di una “pace armata”, che sarebbe sfociata in una guerra senza precedenti nella storia. 101
LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI
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Le Esposizioni Universali Intorno alla metà del XIX secolo, le Esposizioni Universali che mostravano al pubblico le ultime innovazioni di carattere tecnologico divennero internazionali e furono la grande vetrina della modernità.
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li spettacolari progressi scientifici e tecnici che si produssero nel corso della seconda metà del XIX secolo, insieme alla nuova fiducia nel progresso, diedero origine a una delle epoche nella storia dell’Occidente in cui l’uomo si sentì più sicuro di se stesso. La Belle Époque, come fu definito il periodo compreso tra la guerra francoprussiana e la Prima guerra mondiale, fu caratterizzato dalla convinzione diffusa e generalizzata del fatto che erano già stati risolti i problemi principali dell’umanità e che ci si era lasciati definitivamente alle spalle le ondate di peste, la fame, le guerre e altre calamità che avevano punito la specie umana per migliaia di anni. Lo scrittore britannico Bertrand Russell diceva che «l’ottimismo scientifico fece credere agli uomini che il Regno dei Cieli stava per insediarsi sulla Terra». Il progresso scientifico e materiale che aveva raggiunto l’uomo occidentale si rifletté in tutte le sue sfaccettature nelle Esposizioni Universali che si ebbero luogo nelle principali città del mondo. In effetti, lo sviluppo dell’industria e del commercio portò, a partire dalla metà del secolo, all’organizzazione di esposizioni definite “universali” in cui le diverse nazioni partecipanti esibivano i loro prodotti e i loro risultati più significativi allo scopo di estenderli ad altri mercati. Queste mostre divennero un segno distintivo della modernità e un efficace mezzo di propaganda per quelle nazioni che volevano mostrare la superiorità del loro grado di civiltà rispetto a quello degli altri popoli che erano stati inclusi nella cartina del mondo fino ad allora conosciuto, attraverso la grande opera di colonizzazione. Così, iniziarono a comprendere tra le loro novità anche PARIGI, 1889. Il pubblico presente passa sotto
la Torre Eiffel durante l’Esposizione Universale; fotografia scattata il 31 ottobre 1889.
LE PRINCIPALI ESPOSIZIONI 1851
Londra. È inaugurata a maggio la prima delle Esposizioni Universali, pensata per mostrare il progresso tecnico mondiale. 1855
Parigi. Napoleone III organizza un’esposizione per consolidare a livello internazionale il suo impero di recente creazione. Oltre agli aspetti tecnici, riguarda anche le belle arti. 1867
Parigi. Prima esposizione organizzata con padiglioni nazionali. I temi furono il progresso e la pace. 1876
Philadelphia. Il centenario della Dichiarazione di Indipendenza americana ispirò questa esposizione. 1889
Parigi. Organizzata per celebrare il centenario della Rivoluzione francese, la sua principale attrattiva fu la Torre Eiffel. 1893
Chicago. Organizzata per il quarto centenario della scoperta dell’America, fu un riflesso della crescita degli Stati Uniti.
PARIGI, 1867. Rovescio di una medaglia di bronzo di Napoleone III coniata in occasione dell’Esposizione Universale del 1867 (Museo Lázaro Galdiano, Madrid).
la presenza di esseri umani di altre razze, provenienti da Paesi esotici, la cui esplorazione e conquista si stava realizzano proprio in quel periodo da parte delle potenze europee.
Inghilterra, 1851 La prima di queste esposizioni si tenne a Londra nel 1851, da maggio a ottobre, e prese il nome di “Grande Esposizione delle opere dell’industria di tutte le Nazioni”. Il suo obiettivo principale era agire come mezzo di propaganda dell’Inghilterra vittoriana e per questa occasione fu costruito un padiglione fastoso, il Crystal Palace, nel centro di Hyde Park. L’esposizione fu ideata dal marito della regina Vittoria, il principe Alberto, e il padiglione fu progettato dall’architetto autodidatta Joseph Paxton, che lo costruì in soli dieci giorni sulla base di una struttura di ferro e di migliaia di pezzi di vetro. Si trattava di una specie di serra che poteva ospitare piante al suo interno e il cui costo fu relativamente basso. Il progetto risultò molto redditizio dal punto di vista economico per vari fattori: in primo luogo, perché il padiglione fu costruito con elementi prefabbricati, e poi perché il montaggio fu molto rapido e anche perché molti dei suoi componenti erano recuperabili. Tra le numerose innovazioni architettoniche introdotte da Paxton bisogna anche segnalare che il pavimento era quattro piedi sopra il livello del suolo, di modo che la parte inferiore serviva per la ventilazione e la raccolta della polvere. L’edificio, che fu smontato dopo l’esposizione per essere trasferito a Sydenham, a sud del Tamigi, in un quartiere che finì per prendere il nome del palazzo, fu collocato secondo una disposizione paesaggistica ideata dallo stesso Paxton, ma 85 anni dopo la sua costruzione fu totalmente distrutto da un incendio che scoppiò il 30 novembre dell’anno 1936. 103
LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI
Il Crystal Palace di Londra Nel 1851, i Londinesi poterono ammirare un edificio completamente diverso da tutti quelli che avevano visto fino ad allora, nel Regno Unito come nel resto del mondo. Si trattava del Crystal Palace, l’opera più celebre ed emblematica dell’Esposizione Universale organizzata quell’anno nella capitale britannica. Ne era l’autore Joseph Paxton, un giardiniere e paesaggista autodidatta che si era specializzato nella costruzione di serre. Non si trattava, quindi, di un architetto professionista ma nonostante questo concepì una grande struttura di 580 m di lunghezza, 137 m di larghezza e 34 m di altezza, che occupava 70.000 m2 e che traeva il massimo vantaggio da due dei materiali simbolo della Rivoluzione industriale, il ferro e il vetro. Per la prima volta nella storia dell’architettura, Paxton utilizzò elementi prefabbricati nei due materiali e questo, unito a delle innovative tecniche di montaggio, gli permise di erigere la costruzione in poco tempo. Il risultato dimostrò che con ferro e vetro si potevano costruire edifici non solo pratici e funzionali, ma anche esteticamente belli.
Durante l’esposizione, il padiglione del Crystal Palace fu diviso in una serie di spazi in cui si potevano ammirare dalle fedeli riproduzioni dell’architettura dell’antico Egitto alle opere d’arte del Rinascimento. In realtà, l’esposizione era organizzata in tre settori: la modernità industriale, l’impero coloniale, i suoi uomini e i suoi prodotti, l’arte e l’artigianato. Nella parte centrale si potevano celebrare concerti e proprio lì fu installato il più grande organo del mondo. Intorno al Crystal Palace il visitatore poteva godere del verde del grandissimo parco in cui l’edificio era stato eretto (Paxton era anche un giardiniere paesaggista) e dello spettacolo di una serie di fontane da cui zampillavano, a una notevole altezza, getti d’acqua continui o di una riproduzione delle cascate del Niagara. Tra le migliaia di oggetti esposti c’erano prodotti industriali, da cucine a mietitrici, telai e utensili di ac104
ciaio di ogni tipo. Altri prodotti provenivano da Paesi lontani o esotici, compresa l’India o altri territori in cui l’uomo bianco era arrivato soltanto da poco tempo, come l’Australia o la Nuova Zelanda. La Compagnia delle Indie esponeva un popolo intero e si poteva osservare anche il diamante Koh-i-Nor, un trono del maragià e un elefante con tutto il suo ornamento. Il numero di visitatori raggiunse la cifra di sei milioni e gli incassi ottenuti furono tali da permettere la costruzione di edifici della portata del Royal Albert Hall, del Victoria and Albert Museum e del Science Museum, che attualmente rappresentano una parte molto importante del patrimonio monumentale della capitale inglese.
Francia, 1855, 1867 e 1878 Quattro anni dopo, nel 1855, ci fu un’altra Esposizione Universale a Parigi. Napoleone III decise di organizzare una
mostra simile a quella di Londra per consolidare il prestigio dell’impero ma che fosse dedicata, oltre che all’industria, alle belle arti. Nel palazzo eretto a questo scopo furono esposti oltre 5000 dipinti provenienti da 28 Paesi. Si costruì anche un palazzo permanente dell’industria agli Champs Élysées, nel quale si distingueva il tetto di vetro, che cercava di competere con l’impatto architettonico del Crystal Palace di Londra. La sala aveva dimensioni di 48 m di larghezza per 192 m di lunghezza e costituiva il più grande spazio di ferro coperto senza supporti esistente fino ad allora. In esso erano esposte macchine a vapore in pieno funzionamento, barche, eliche, turbine e ogni genere di marchingegno meccanico, e anche un pendolo di Foucault, mediante il quale veniva dimostrato scientificamente il movimento di rotazione della Terra. L’esposizione registrò anche un gran
L’INTERNO, UN MONDO SU MISURA. Il fatto che le pareti del Crystal Palace fossero trasparenti grazie all’utilizzo del vetro portò a un nuovo rapporto tra lo spazio interno ed esterno. Nel 1854, l’edificio fu trasferito da Hyde Park a Upper Norwood, dove fu utilizzato finché un incendio lo distrusse nel 1936. A sinistra, l’edificio nel 1851. In alto, una delle gallerie verdi interne del Crystal Palace.
numero di visitatori, anche se, visto il costo elevato del biglietto d’ingresso, il bilancio finale risultò deficitario. Per i Francesi questo era poco importante, poiché lo scopo reale era quello di mostrare al mondo la grandeur di Francia e di consolidare la posizione del Paese tra le potenze industriali del pianeta. Altre esposizioni simili si svolsero nella capitale della Francia nel 1867 e 1878. La prima di queste segnò una pietra miliare nella storia delle Esposizioni Universali, poiché cercava di collocare il mondo in un sistema di classificazione intellegibile, coerente e globale, allo scopo di rendere visivamente percettibile il progresso delle civiltà. D’altra parte fu la prima Esposizione Universale che disponeva di spazi verdi all’interno del recinto stesso della mostra e intorno all’edificio centrale. Era pertanto la prima che si teneva all’aria aperta. Fu anche pioniera nel modo in cui furono
disposti i padiglioni che rappresentavano le diverse nazioni, la cui architettura voleva riflettere la cultura e la storia di ogni Paese invitato. Tuttavia, l’intenzione di riprodurre il mondo come un microcosmo, come un modello enciclopedico ridotto, fu un fallimento totale. Che sia stato per la mancanza di spazio, per l’eccessivo spirito di competizione tra le nazioni partecipanti oppure per lo scarso tempo di preparazione, sicuramente questa esposizione non fu altro che un mero spettacolo per l’intrattenimento e lo svago delle persone che si recavano a vederla. L’Esposizione Universale di Parigi del 1878 si svolse tra i mesi di maggio e novembre e rispose alla necessità di mostrare la ripresa della Francia dopo la guerra franco-prussiana. Tuttavia, a causa delle difficoltà politiche, al momento della sua inaugurazione, c’erano ancora molti dettagli da ultimare. Gli
sforzi degli ultimi periodi riuscirono però a fare in modo che tutto funzionasse agli inizi del mese di giugno. Il recinto occupava una superficie di 270.000 m2 nel Champ de Mars (Campo di Marte). La Germania non fu rappresentata, ma furono presenti invece il Regno Unito e molte delle sue colonie di oltremare, che nel complesso occuparono un terzo di tutto lo spazio. Il Viale delle Nazioni, di 750 m di lunghezza, era dedicato a mostrare l’architettura della maggior parte dei Paesi europei e anche dell’Asia, dell’Africa e dell’America. Tra gli oggetti curiosi esibiti nei giardini del palazzo del Trocadero c’era la testa della Statua della Libertà che la Francia avrebbe regalato agli Stati uniti per la celebrazione del centenario della Dichiarazione d’Indipendenza. Erano anche in mostra il telefono di Graham Bell, così come un megafono e un fonografo di Thomas Edison. La mostra fu 105
LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI
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La vetrina migliore per un mondo nuovo L’idea originaria che portò allo svolgimento delle Esposizioni Universali era quella di mostrare i progressi tecnici del momento. Ma fu presto qualcosa di più: un ineguagliabile veicolo di promozione per il Paese organizzatore, che aveva così l’opportunità di svelare al resto del mondo il suo potere economico, coloniale e culturale, anche se neppure le altre nazioni erano da meno, soprattutto da quando ognuna iniziò a costruire il suo padiglione a partire dall’Esposizione di Parigi del 1867. Secondo il pensatore tedesco Walter Benjamin, questa mostra in particolare fu «il certificato di battesimo dell’industria dello spettacolo». E aveva ragione: la possibilità di vedere nuove macchine o edifici che ricreavano l’immagine di altre culture più o meno lontane era uno stimolo che risvegliava la curiosità del pubblico. Lo erano anche le attività culturali che vi si svolgevano, che potevano essere sia esibizioni di musiche tradizionali degli angoli più remoti del mondo (è il caso del gamelan de Java, che ebbe una grande influenza sul compositore Claude Debussy) sia concorsi internazionali tra creatori di discipline diverse o esposizioni di artisti moderni, soprattutto da quando nel 1855, a Parigi, la tecnica avrebbe lasciato spazio anche alle belle arti. Previo pagamento di un biglietto di ingresso, il pubblico si lanciava in questi eventi. Così, nel 1900, fino a cinquanta milioni di visitatori arrivarono nella capitale francese per vedere l’esposizione di turno. Ma l’eco di ogni esposizione non si fermava con la sua chiusura: molte lasciavano delle strutture che continuavano a essere un polo di attrazione, come la Torre Eiffel. Nell’immagine, la gigantesca ruota di George Ferris dell’Esposizione universale di Chicago del 1893.
ART NOUVEAU A PARIGI. L’atrio centrale
della Galleria delle macchine dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889 era un campione di un nuovo movimento artistico emergente: l’Art Nouveau. A sinistra, in un olio di Louis Béroud. visitata da oltre 13 milioni di persone e questo contribuì a finanziare il costo elevato della sua organizzazione. Tra i numerosi incontri che ebbero luogo durante il suo svolgimento, si distingue quello presieduto dallo scrittore Victor Hugo sulla protezione dei diritti d’autore, che gettò le basi della legislazione internazionale su questa materia.
Parigi 1889: l’impero L’esposizione che ottenne maggiore risonanza in Francia fu però quella organizzata nel 1889, per il centenario della Rivoluzione francese. Questa esposizione fu collocata in uno spazio che partiva dal palazzo del Trocadero e arrivava
fino alla spianata del Champ de Mars. La sua attrattiva principale era la Torre Eiffel, costruita ex professo per l’occasione e destinata a diventare il simbolo della capitale francese. L’ingegnere Alexandre Gustave Eiffel affidò a due ingegneri della sua azienda, Nouguier e Koechlin, e all’architetto Sauvestre, un progetto di una torre di ferro che si iniziò a costruire nel 1887. Il suo progetto era studiato di modo che potesse resistere all’azione del vento e che, nonostante i suoi 330 m di altezza, avesse dei contorni armonici. Oltre alla torre, l’esposizione comprendeva 80 edifici, di cui il più importante era la Galleria delle macchine. Questo padiglione enorme aveva 420 m di lunghezza per 115 m di larghezza e la sua struttura era sostenuta da due grandi archi di ferro senza il supporto delle colonne. Per permettere ai visitatori di contemplare in tutta la loro grandezza le
enormi macchine esposte al suo interno, furono collocati due ponti mobili che li trasportavano lungo tutto l’edificio. C’era anche un padiglione dedicato alla storia dell’abitazione, il cui autore era Charles Garnier, architetto che aveva ideato il progetto dell’Opera di Parigi. L’esposizione del 1889 ha la particolarità di essere stata la prima a includere in modo sistematico padiglioni etnografici (l’etnografia è lo studio delle pratiche e delle credenze di gruppi umani non occidentali). In effetti, nel Champ de Mars si potevano osservare fino a sei “luoghi esotici”, che rappresentavano l’Indocina, il Pacifico e l’Africa subsahariana. La stampa dell’epoca descriveva gli approcci stravaganti che si stabilivano tra gli “indigeni” portati da altri continenti e il numeroso pubblico che partecipava a questa mostra. In totale, i visitatori potevano ammirare circa 300 indigeni vigilati da un centinaio di sol107
LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI
Lo spirito del fin de siècle e la nascita della pubblicità La Rivoluzione industriale e il conseguente sviluppo del sistema capitalista portarono un incremento della produzione di ogni genere di beni. La presenza sul mercato di alcuni di questi era necessaria per attirare l’attenzione dei compratori. Fu in questo contesto che nacque la pubblicità moderna. Una data chiave fu il 16 giugno 1836, quando l’editore francese Émile de Girardin inserì nel suo quotidiano La Presse annunci a pagamento e questo gli permise di diminuire il prezzo della sua pubblicazione e aumentare il numero di lettori. A partire da quel momento la pubblicità non fece altro che aumentare la sua presenza nella società. Non solo sulla stampa, ma anche attraverso cartelloni firmati dai più prestigiosi illustratori, tra cui il pittore Henri de Toulous-Lautrec. I suoi lavori riflettono una società contenta, spensierata ed edonista, che partecipa all’ottimismo presentato anche dall’auge delle Esposizioni Universali e che troverà la sua fine tragica nella guerra del 1914. Nell’immagine, cartellone attribuito a Jules Chéret per l’Esposizione Universale di Parigi del 1889.
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dati coloniali. Si trattava nientemeno che di una strategia per legittimare l’espansione coloniale in cui la Francia era totalmente immersa in quel periodo.
Philadelphia e Chicago La prima delle grandi Esposizioni Universali che si svolsero in America fu quella organizzata dalla città di Philadelphia nel 1876, con il titolo “Esposizione internazionale delle Arti, Manifatture e prodotti della Terra e delle miniere”, anche se fu maggiormente conosciuta come Esposizione del centennale, poiché commemorava i cento anni dalla Dichiarazione d’indipendenza del grande Paese nordamericano. Nel corso dei sei mesi della sua apertura al pubblico, l’esposizione accolse oltre 10 milioni di visitatori. Nelle sue installazioni riunì 30.000 espositori in oltre 250 padiglioni indipendenti. Nell’edificio del Governo della nazione si svolsero diverse presentazioni ideate dal neonato Museo nazionale dell’Istituto smithsoniano, con animali della fauna americana, minerali, meteoriti e oggetti fabbricati dagli Indios. Organizzata a soli dieci anni dalla fine della Guerra di secessione, l’Esposizione Universale di Philadelphia aveva lo scopo di glorificare il patriottismo americano e di celebrare i benefici della stabilità e del progresso, così come di far conoscere i prodotti dell’industria e dell’agricoltura del Paese e affermare nel contempo la sua crescente influenza sull’economia mondiale. La seconda grande esposizione in terre nordamericane fu quella di Chicago, tenutasi nel 1893 e battezzata come World’s Columbian Exposition (Fiera colombiana), poiché commemorava (con un anno di ritardo) il quarto centenario del primo viaggio di Cristoforo Colombo. Nel Jackson Park, situato a sud della città, si stabilì la cosiddetta “città bianca”, in riferimento al colore dei suoi padiglioni. Tra questi ce n’era uno dedicato all’agricoltura e altri ai trasporti, alle arti liberali ecc. Su un asse perpendicolare a questa zona, conosciuta come Midway Plaisance, furono installati i padiglioni etnografici, i ristoranti e le attrazioni per il pubblico, come la ruota gigante inventata dall’ingegnere George Ferris, la prima “ruota da fiera” del mondo. Un’altra delle prin-
cipali attrazioni dell’esposizione fu il padiglione dedicato all’elettricità, uno dei più apprezzati e visitati, dove la Westinghouse Electric realizzò dimostrazioni a effetto degli apparecchi e dei sistemi elettrici del loro geniale inventore, il serbo Nikola Tesla. Non lontano da lì, Buffalo Bill e il suo Congress of Rough Riders rappresentavano scene del Far West. A questa esposizione parteciparono un totale di 46 Paesi e si registrarono circa 26 milioni di visite.
Altre esposizioni Anche Amsterdam ebbe la sua esposizione internazionale nel 1883, organizzata e finanziata dai membri della Camera di Commercio e della Società Geografica olandesi. La Internationale Koloniale en Uitvoerhandel Tentoonstelling contribuì a trasformare la capitale dei Paesi Bassi in un “magazzino generale del mondo”. Ma il suo scopo fu
in realtà quello di trasformare e modernizzare profondamente la città di Amsterdam, che si ritrovò ad accogliere oltre un milione di visitatori. Nel 1897 fu organizzata una nuova esposizione a Bruxelles, nel Parco del Cinquantenario della capitale belga con dei padiglioni a Tervuren in cui si stabilì una sezione coloniale. Il finanziamento fu a carico di Leopoldo II, che disponeva di risorse illimitate grazie allo sfruttamento del caucciù proveniente dal Congo; il suo proposito era quello di far conoscere al pubblico belga la “sua” colonia, che gestiva come una proprietà privata. In realtà, a partire dal decennio degli anni Ottanta, le esposizioni si moltiplicarono in tutto il mondo e arrivarono fino in Australia, dove si svolsero a Sydney nell’anno 1879 e a Melbourne nel 1885. Entrambe disponevano di ampi padiglioni che ricordavano il mitico Crystal Palace della capitale britannica. Quello
LA VETRINA DELLA TECNOLOGIA. La Galleria delle macchine all’Esposizione Universale di Parigi del 1889: un grande richiamo pubblicitario dei progressi della tecnica patrocinato dai produttori.
di Sydney, che offriva anche elementi in legno, fu distrutto tempo dopo, a seguito di un incendio nel 1882. Le esposizioni avrebbero continuato a svolgersi quasi senza interruzione nel corso del XX secolo, anche se la loro organizzazione richiedeva un controllo sovrastatale sempre più sicuro, per evitarne la proliferazione disordinata e proteggere la loro qualità. Così, nel 1928, si istituì a Parigi la Convenzione per le Esposizioni internazionali, un trattato firmato il 22 novembre per regolarne qualità e frequenza. La convenzione stabilì di creare un Ufficio internazionale delle Esposizioni (Bureau International des Expositions, BIE) che fu attivo a partire dall’anno 1931. 109
I PIONIERI. Daniel Boone guida un gruppo di pionieri, olio (1851-1852) di George Caleb Bingham (Washington University Gallery of Art, Saint Louis). Nella pagina accanto, un inro o scatoletta di lacca giapponese con netsuke, o sigillo, di Teiun, del periodo Meiji.
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LE POTENZE EXTRAEUROPEE Il XIX secolo registrò un rapido processo di industrializzazione mediante il quale i diversi Paesi rafforzarono a tal punto i rapporti reciproci che nessuno sfuggiva alle ripercussioni di quello che succedeva negli altri. Al di fuori dell’Europa emersero nuove potenze che acquisirono progressivamente importanza nell’ordine mondiale. Le più importanti furono gli Stati Uniti in America e Giappone, Cina e India nel continente asiatico.
L
a storia degli Stati Uniti costituisce un caso singolare, perché nel corso del XIX secolo presenta una continuità e una stabilità molto lontane dalle rivoluzioni e dai cambiamenti costanti che si registrano nei Paesi europei nel corso dello stesso periodo. Il fatto che la costituzione approvata nell’anno 1787 rimanesse ancora in vigore, senza quasi essere alterata, costituisce una buona prova della solidità del sistema politico, stabilito alla base della dichiarazione della sua indipendenza. E questo nonostante gli Stati Uniti siano stati la prima nazione moderna del mondo occidentale a proclamare la repubblica, una forma di governo che fino ad al-
lora era stata considerata esclusiva delle città della Grecia antica o dell’Italia medievale. La cosa più sorprendente del sistema costituzionale degli Stati Uniti fu che, nonostante fosse stato elaborato per un Paese di un milione e mezzo di abitanti e per una società eminentemente agricola, continuasse a regolare l’azione politica di una nazione che durante il XIX secolo ebbe un aumento considerevole della sua popolazione, si estese nell’immenso territorio dell’America del Nord, conobbe uno straordinario sviluppo industriale e divenne una delle più potenti al mondo. Sin dalle origini, gli Stati Uniti si configurarono come una repubblica federale basata sul 111
LE POTENZE EXTRAEUROPEE
Alexis de Tocqueville e La democrazia in America Nel 1831, Tocqueville, all’epoca un giovane magistrato destinato a Versailles, ebbe l’opportunità di fare un viaggio negli Stati Uniti. Lì scoprì, studiò e ammirò un sistema politico, a suo dire, più giusto ed equilibrato dei modelli proposti dai suoi compatrioti rivoluzionari. Quando Alexis de Tocqueville si imbarcò per le terre statunitensi, lo fece per studiare il loro sistema penitenziario e vedere, in qualità di magistrato, quali elementi di questo si potessero applicare in Francia. Tuttavia, fu la democrazia di stampo liberale praticata in questo Paese a richiamare la sua attenzione, pertanto nei due anni della sua permanenza negli Stati Uniti si dedicò a studiarla in profondità. Frutto di questo fu il suo saggio La democrazia in America, di cui la prima parte apparve nel 1835. In esso Tocqueville riconosce che l’obiettivo della democrazia è l’uguaglianza dei suoi membri sul piano sociale, uguaglianza che elimina il concetto di caste dell’Antico Regime, sebbene questo cammino non sia esente da pericoli, come la tirannia delle maggioranze o un cesarismo populista come quello rappresentato da Napoleone III, a cui l’autore si oppose. Nell’immagine, Tocqueville ritratto da Théodore Chassériau nel 1850 (Musée National du Château, Versailles).
compromesso tra governo centrale e i diversi Stati. Un compromesso che si rifletteva anche nella soluzione adottata per suscitare il timore degli Stati piccoli verso quelli grandi: tutti avevano la stessa rappresentanza parlamentare al Senato (due senatori per Stato), invece nel Congresso il numero di rappresentanti era proporzionale all’importanza delle loro rispettive popolazioni. Dall’altra parte, l’equilibrio e la totale indipendenza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario garantivano che nessuno Stato potesse prevalere sugli altri.
L’emergere degli Stati Uniti Con l’elezione di Andrew Jackson come presidente nel 1828 si aprì un periodo nella storia degli Stati Uniti conosciuto come l’era jacksoniana. Furono riviste le costituzioni dei diversi Stati, fu approvato il suffragio universale e si impose in tutti gli ordini la volontà degli elettori. Grazie ai progressi nel campo dell’educazione e alla grande diffusione raggiunta dalla stampa, le masse acquisirono via via un crescente protagonismo politico. 112
Questo sviluppo della democrazia richiamava l’attenzione degli Europei che visitavano il Paese, come successe al celebre Alexis de Tocqueville, che lasciò testimonianza della sua ammirazione nell’opera conosciuta come La democrazia in America, pubblicata tra il 1835 e il 1840. Bisogna però segnalare che accanto a queste conquiste sul terreno delle libertà politiche, si produsse in questi anni il rafforzamento della schiavitù negli Stati del Sud, conseguenza della diffusione delle piantagioni di cotone e della crescente necessità di manodopera. Allo stesso modo, l’azione contro le comunità di Indios con leggi che ne limitavano i diritti e con il trasferimento forzato di molte tribù indiane verso il West mette in evidenza le contraddizioni di questo periodo. Per quanto riguarda la politica estera, l’idea che prevalse nell’era jacksoniana fu quella del “destino manifesto”, ovvero la convinzione che la parte nord del continente, nonostante le proteste di Francia, Spagna, Russia, Gran Bretagna e Messico, era destinata a diventare territorio degli Stati Uniti. La presenza della
Francia terminò con l’acquisto della Louisiana nel 1803; la frontiera spagnola con il vicereame della Nuova Spagna si stabilì mediante il trattato del 1819; le richieste della Russia sull’Alaska si risolsero con l’accordo russo-americano del 1824 e le pretese britanniche sul territorio dell’Oregon scomparvero con il trattato firmato nel 1846. Nel 1848, la sconfitta dell’esercito messicano nel primo intervento statunitense in questo Paese permise di occupare i territori di Texas, California e New Mexico. Infine, con la vittoria nella guerra ispano-americana del 1898, gli Stati Uniti acquisirono l’isola di Porto Rico e allargarono la loro influenza a Cuba. In questo modo, il grande Paese nordamericano raggiungeva un’estensione pari a quella dell’Europa e diventava una vera potenza di rango mondiale.
La conquista del West Il movimento di espansione verso il West è una delle grandi epopee della storia degli Stati Uniti. Non si tratta di un fatto marginale, ma di una parte essenziale per la formazione della nazione
nordamericana, che contribuì in modo decisivo a delineare l’identità collettiva dei suoi cittadini. La conquista del West fu un grande fenomeno migratorio, costituì una forte spinta per lo sviluppo economico del Paese, accelerò il processo di democratizzazione politica e servì anche come stimolo per affrontare i tanti e controversi problemi sociali posti dalla schiavitù. Per evitare la concorrenza tra gli Stati in questo processo di conquista e colonizzazione, si decise che i confini di quelli già esistenti non venissero alterati e che i nuovi territori sarebbero serviti per creare nuovi Stati. Così, i tredici originari erano già diventati trenta nel 1850. Anche se il flusso di immigranti verso il West fu ininterrotto nel corso del secolo, si può affermare che ci furono due grandi ondate: una nei primi decenni del secolo, tra il 1800 e il 1825, che raggiunse e superò la linea del fiume Mississippi, e un’altra intorno alla metà del secolo, che si diresse verso la costa dell’Oceano Pacifico e con la quale si arrivò al controllo di praticamente tutti i territori dell’attuale Unione.
GUERRA CON IL MESSICO. La battaglia di Veracruz (1847) fu un episodio decisivo per la vittoria degli Stati Uniti sul Messico. L’esercito nordamericano assediò la città entrando attraverso lo stesso cammino che aveva seguito Hernán Cortés. In alto, La battaglia di Veracruz, incisione (1851) di Adolphe Jean-Baptiste Bayot basata su un olio di Carl Nebel (Biblioteca Nacional de Antropologia e Historia, Città del Messico). L’invasione del Messico da parte degli Stati Uniti si concluse con il Trattato di Guadalupe Hidalgo: il Messico perse il 55% del suo territorio in cambio di 15 milioni di dollari per le riparazioni di guerra. 113
LE GUERRE INDIANE E LA CONQUISTA DEL WEST 1851
Trattato di Fort Laramie. Il governo e le tribù delle Grandi Pianure concordano di mantenere la pace di fronte al passaggio delle tribù di emigranti verso il West. 1861-1866
Guerre apache. L’Arizona e il nord del Messico furono lo scenario di questo conflitto, che ebbe nella figura di Geronimo il suo leader più importante. 1864
Sand Creek. Il governatore del Colorado, John Chivington, permette un massacro di Cheyenne e Arapaho.
Little Bighorn e il Settimo di Cavalleria Tra il 25 e il 26 di giugno del 1876, l’esercito statunitense conobbe una delle sue sconfitte più dolorose: l’annientamento del Settimo reggimento di cavalleria, al comando di Custer, da parte di un’alleanza di tribù indigene. La battaglia che si combatté nei pressi del fiume Little Bighorn è uno degli episodi più rilevanti della guerra, che vide il confronto tra una coalizione di tribù indigene guidate dai Sioux e il governo di Washington, sebbene lo sia più per motivi simbolici che strettamente militari. E la morte sul campo di battaglia di un reggimento e del suo comandante assunse presto delle tinte eroiche. Per i Sioux fu invece solo una vittoria effimera, poiché il governò reagì inviando molti più uomini, e meglio armati. 1 Toro Seduto, capo e sciamano sioux, fu uno dei leader della battaglia insieme a Cavallo Pazzo. Morì assassinato nel 1890. La guerra di Secessione fece di 2 George Armstrong Custer uno dei militari più famosi del Paese. Nominato tenente colonnello del Settimo reggimento di cavalleria, trovò la morte a Little Bighorn. Nell’immagine, L’ultima carica di Custer, incisione (1876) di Feodor Fuchs (Biblioteca del Congresso, Washington).
1876-1877
Black Hills. Il tentativo di conquista di queste terre, ricche d’oro, ma sacre ai Sioux e ai Cheyenne, scatena la guerra. 1876
Little Bighorn. Il Settimo di cavalleria del generale Custer è sterminato dai Sioux di Cavallo Pazzo e Toro Seduto. 1890
Wounded Knee. Il 29 dicembre, l’ordine dato al Settimo di cavalleria di deportare un gruppo di Sioux del Dakota del Sud finisce in mattanza.
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Il West divenne una frontiera per le migliaia di pionieri ed emigranti che cercavano di iniziare una nuova vita e migliorare la loro situazione economica in una terra promessa, sulla quale si creò una leggenda che attirava gente da ogni dove. Tuttavia, non tutto il West era una zona vergine e disabitata. Molti dei territori che si trovavano al di là del fiume Mississippi erano occupati da diversi indigeni e popoli spagnoli, che furono cacciati per poter colonizzare queste terre. Inizialmente si pensò alla creazione di un territorio indiano permanente più a ovest, per poter preservare l’identità di queste popolazioni, ma l’insaziabile espansionismo nordamericano portò subito nuove tensioni e lotte con quelle tribù allontanate dalla loro terra. I trattati che si firmarono non furono rispettati, poiché i coloni bianchi aumentarono la pressione e diedero origine a nuove espulsioni e ad azioni di sterminio. Il governo federale ideò, negli anni centrali del secolo, un sistema di riserve indiane in Texas e in California, allo scopo di far assorbire agli Indios la cultura nordamericana, ma anche questo fu un
fallimento. Gli scontri continuarono nella seconda metà del secolo e l’esercito federale attuò una persecuzione sistematica delle tribù che portò a scontri molto violenti. Nel 1864, un esercito al comando del colonnello John Civington, governatore del Colorado, fece un massacro di Cheyenne e Arapaho a Sand Creek. Nel 1876, il Settimo reggimento di cavalleria al comando del tenente colonnello George Armstrong Custer fu oggetto di una sanguinosa sconfitta per mano dei Sioux sul fiume Little Bighorn, in una battaglia in cui morirono lui e la maggior parte dei suoi uomini. Ma poco a poco la resistenza indigena cedette alla violenza delle armi, e i sopravvissuti furono confinati in nuove riserve dove furono costretti a una vita di emarginazione e povertà. I territori del West, nel frattempo, continuarono a essere colonizzati da un numero sempre maggiore di agricoltori, allevatori, cercatori d’oro e avventurieri di ogni genere. L’abbondanza di terre senza padrone nel West degli Stati Uniti contribuì a modellare l’identità sociale, politica ed economica della giovane nazione nordameri-
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cana, ma la fine della “frontiera” sulla costa del Pacifico suscitò la necessità di cercare nuovi orizzonti e questo portò gli Stati Uniti a lanciarsi n una politica estera di carattere imperialista.
La questione della schiavitù Durante la prima metà del XIX secolo si erano delineati nei vasti territori dell’Unione due tipi di economie divergenti tra il nord e il sud. Gli Stati del nord erano industriali, commerciali e intraprendenti. I loro interessi passavano dal mantenimento di una politica doganale protezionista per difendersi dall’industria europea, più antica, meglio organizzata, che forniva prodotti di qualità superiore. Gli interessi del Sud erano esattamente opposti: difendevano il libero scambio. La loro economia si basava esclusivamente sulla coltivazione del cotone e, come ogni sistema di monocoltura, era strettamente legata alle condizioni del mercato. La maggior parte della produzione era destinata all’esportazione, specialmente all’industria cotoniera britannica. Per quanto riguarda gli acquisti, erano interessati alla concor-
renza tra i prodotti fabbricati nel New England e quelli della Gran Bretagna. Per quanto riguarda gli altri, a causa della scarsa liquidità, i piantatori del Sud non volevano barriere con l’Europa, visto che solitamente vivevano di prestiti sui raccolti provenienti dalla banca inglese. Pertanto le differenze tra nord e sud stavano essenzialmente nella loro diversa concezione della politica doganale e nell’antagonismo dei loro interessi. Tuttavia, la crisi non scoppiò come conseguenza delle differenze sul commercio estero, ma a causa di un’istituzione ancor più fondamentale per gli interessi dell’economia degli Stati del sud: la schiavitù, un’eredità del passato coloniale. I fondatori della nuova nazione avevano confidato nella graduale scomparsa di questa antica piaga con il passare del tempo e nel rafforzamento delle libertà personali. Ma le cose erano andate diversamente e, come conseguenza dell’ampliamento delle coltivazioni di cotone e della necessità di manodopera economica, la schiavitù andò avanti a tal punto da minacciare di estendersi a tutta l’Unione. Inoltre, faceva da sup115
LE POTENZE EXTRAEUROPEE
Confederati e unionisti: due mondi contrapposti Dalla loro indipendenza dal Regno Unito, riconosciuta dal Trattato di Versailles del 1873, i territori del Nord e del Sud che formarono gli Stati Uniti mostrarono differenze evidenti sul piano politico ed economico, che si acutizzarono sempre più con il tempo fino a sfociare in una guerra. Nel 1861, la campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti creò tensione tra gli Stati del nord e quelli del sud fino alla rottura. Temi come l’abolizionismo o le libertà di ogni Stato all’interno della confederazione di Stati che caratterizzava il Paese avevano radicalizzato le posizioni degli uni e degli altri. Così, quando il repubblicano Abraham Lincoln assunse la presidenza degli Stati Uniti, undici Stati del sud risposero con la creazione della Confederazione e proclamarono la loro indipendenza. Si trattava della Carolina del Sud e della Carolina del Nord, di Mississippi, Florida, Alabama, Georgia, Louisiana, Texas, Virginia, Arkansas e Tennessee, che proclamarono Jefferson Davis presidente. Gli Stati del nord fedeli a Lincoln, tra cui c’erano anche alcuni stati del West, come California e Oregon, rimasero inglobati sotto il nome dell’Unione. Nell’immagine, corpi di soldati confederati morti il 1 luglio 1863 nella sanguinosa battaglia di Gettysburg (Pennsylvania), in una fotografia di Timothy H. O’ Sullivan; a sinistra, Abraham Lincoln in un ritratto di Matthew Henry Wilson dipinto poco prima dell’assassinio del presidente (The U.S. Naval Academy Museum, Annapolis).
porto a un tipo di società tradizionale, elegante, colta e raffinata, e la sua scomparsa poteva significare la divisione delle grandi piantagioni e la rovina dei ricchi proprietari. Al contrario, l’opinione pubblica degli Stati del nord iniziò a mostrare una crescente inquietudine, intorno alla metà del secolo, per il protrarsi di una situazione che violava chiaramente i principi della costituzione. Questa inquietudine si concretizzò nel movimento abolizionista. Il dibattito assunse una dimensione nazionale, soprattutto a partire dalla comparsa del romanzo di Harriet Beecher Stowe, La capanna dello zio Tom, pubblicato a puntate sul settimanale abolizionista National Era tra gli anni 1851 e 1852, che ebbe una grande diffusione e sensibilizzò l’opinione pubblica sul tema. Il West ebbe un ruolo essenziale nella disputa. Poiché il cotone è una coltivazione che stanca il terreno, la necessità di nuove terre portò i proprietari del Sud a colonizzare nuovi Stati, come Arkansas e Missouri. Dalla condizione che avrebbero assunto questi Stati dipendeva il futuro 116
dell’Unione. Se in essi veniva ammessa la schiavitù, i piccoli proprietari liberi avrebbero finito per scomparire e sarebbero stati i grandi piantatori a dominarli. Se non si permetteva l’organizzazione del lavoro agricolo con gli schiavi, sarebbero finiti nell’orbita del Nord. In questo modo, la controversia si estese fino a diventare una vera e propria crisi nazionale.
La guerra di Secessione La rottura tra gli Stati del nord e quelli del sud era inevitabile. Tuttavia, la guerra non scoppiò come conseguenza della disputa sulla schiavitù, ma fu incentrata su una questione di diritto costituzionale: la facoltà di secessione che avevano gli Stati. Quando nelle elezioni del 1860 fu annunciato il trionfo del candidato repubblicano alla presidenza, Abraham Lincoln, la Carolina del Sud prese l’iniziativa di uscire dall’Unione. I repubblicani si distinguevano per la loro posizione abolizionista e Lincoln, nonostante il suo temperamento conservatore, si era mostrato come uno dei più fermi antischiavisti. Dieci Stati seguirono la Caro-
Battaglie principali:
Stati dell’Unione
Stati della Confederazione
Stati schiavisti che rimangono
Altri territori non ancora
Vittoria unionista
all’interno dell’unione
appartenenti a uno Stato
Vittoria confederata
ON
MAINE
S IN M
CALIFORNIA IOWA
ILLINOIS
O
H
IOPittsburgh
New York
MASSACHUSETTS Boston
RHODE ISLAND
AN
CONNECTICUT Gettysburg (1863) NEW JERSEY Antietam (1862) DELAWARE Fredericksburg (1862) I Washington Chancellorsville (1863) MARYLAND Perryville (1862) IA Sette giorni (1862)
Saint Louis
RGIN
UI
LO
MESSICO
lina e formarono con essa una nuova unità politica: gli Stati Confederati d’America (detta anche Confederazione). La secessione non significò la guerra immediata. Lincoln negò ai secessionisti il diritto di abbandonare l’Unione e non volle riconoscere la realtà della separazione, guardandosi bene dal fare uso della forza. Furono gli Stati del sud a prendere l’iniziativa delle ostilità, attaccando il 12 aprile 1861 Fort Sumter, un’enclave federale che difendeva l’ingresso del porto di Charleston, città della Carolina del Sud. La guerra di Secessione durò quattro anni (dall’aprile del 1861 fino all’aprile del 1865) e in essa fu lampante la superiorità dei 23 Stati del nord in quanto sia a popolazione sia a risorse belliche. Gli Stati del sud riuscirono tuttavia a difendersi con efficacia e la ricchezza delle loro classi dirigenti gli permise di acquistare armamenti europei. All’inizio della guerra, l’esercito sudista compensò l’inferiorità delle sue forze con la capacità di iniziativa, l’abilità manovratrice e la preparazione dei suoi soldati. Tuttavia l’esercito
Savannah
Vicksburg (4-7-1863)
Baton Rouge Houston
A M BA Atlanta (1864)
AL
SI
TEXAS Austin
Jackson
A
A
KENTUCKY VI Nashville (1864) OKLAHOMA Fort Donelson (1862) TENNESSEE Chattanooga (1863) KANSAS AR Shiloh (1862) AN
CO SI ES
N E WAlbany PENNSYLVANIA
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KANSAS
MISSOURI
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OREGON
NEW HAMPSHIRE VERMONT
CANADA
MINNESOTA
YO
DAKOTA
New Orleans
Mobile Bay (5-8-1864)
Richmond
CAROLINA DEL NORD CAROLINA DEL SUD
Charleston
Fort Sumter (1861)
GEORGIA
FLORIDA
O O C E A N
I C O AT L A N T
MISSISSIPPI
del Nord impose progressivamente la sua superiorità e, a partire dalle sue vittorie di Vicksburg e Gettysburg nel mese di luglio dell’anno 1863, la guerra girò a suo favore. A questo contribuì anche in grande misura l’abilità tattica dei generali Ulysses S. Grant e William T. Sherman e gli effetti del blocco navale alla Confederazione. Con l’esercito del Sud diviso e indebolito dalle diserzioni, il generale sudista Robert E. Lee si arrese a Grant ad Appomattox, il 9 aprile 1865. La guerra civile causò 620.000 morti tra i due schieramenti. L’ultima vittima fu proprio il presidente Lincoln, che venne assassinato da un fanatico simpatizzante del Sud mentre partecipava alla rappresentazione di una commedia musicale al teatro Ford di Washington, appena cinque giorni dopo la resa dell’esercito confederato del generale sudista sopracitato. La schiavitù fu abolita e questo portò al crollo dell’economia dell’aristocrazia del Sud. A partire da allora prevalsero gli Stati del nord e il potere centrale ebbe la meglio su quello territoriale. L’economia agricola fu superata da quella industriale e la fisionomia del
LE DATE DELLA SECESSIONE 1861
Si costituiscono gli Stati Confederati d’America. 1863
A luglio, battaglia di Gettysburg, la più sanguinosa della guerra. 1864
Ulysses S. Grant, comandante degli eserciti dell’Unione. 1865
Fine della guerra. Ad aprile, Lincoln è assassinato a Washington. 117
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LE POTENZE EXTRAEUROPEE
EPISODI CHIAVE DELL’ERA MEIJI 1866
L’ultimo shogun. Tokugawa Yoshinobu diventa shogun, anche se un anno dopo si vede costretto a cedere il suo potere all’imperatore. 1867
Imperatore. Il 3 febbraio Mutsushito succede al trono imperiale al padre Komei. Governerà il Giappone fino alla sua morte, avvenuta nel 1912 a cinquantanove anni. 1868
Guerra Boshin. Scoppia una nuova guerra civile tra i sostenitori dello shogunato Tokugawa e quelli che volevano un’apertura del Paese e una cessione del potere all’imperatore. 1868 (aprile)
Giuramento. Si rende pubblico un giuramento di cinque articoli, in cui si specificano gli obiettivi del governo di Mutsushito per la modernizzazione del Giappone. 1868 (sett.)
Era Meiji. Edo diventa Tokyo, che sarà la nuova capitale del Giappone. Inizia ufficialmente l’era Meiji. 1869
Resa. La Repubblica di Ezo, formata da sostenitori dello shogunato, si arrende a maggio e accetta il mandato dell’imperatore Mutsushito.
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Paese si trasformò rapidamente. La guerra di Secessione portò a una coesione nazionale più solida; gli Stati Uniti divennero maggiormente consapevoli del loro potere militare.
Giappone: la Rivoluzione Meiji Fino al XIX secolo il Giappone aveva vissuto isolato dal resto del mondo. Nel XII secolo, il potere dell’imperatore (mikado) era stato soppiantato dallo shogunato e la sua figura era diventata solo quella di capo supremo della religione nazionale, lo Scintoismo. Lo shogun (comandante a capo dell’esercito) era una specie di dittatore militare, il cui potere assoluto ricadde dal XVII secolo sul clan Tokugawa. Tuttavia, il suo potere fu assunto infine dai daimy, i signori feudali a cui prestavano servizio i samurai, capi militari, con i loro rispettivi eserciti. Fino a XIX secolo inoltrato, l’impero giapponese mantenne un regime signorile che opprimeva i contadini e le classi popolari. Le tasse che i signori feudali imponevano ai piccoli agricoltori li obbligavano a privarsi delle loro terre per diventare o affittuari dei grandi proprietari oppure semplici giornalieri. Questa situazione spiega le frequenti rivolte contadine che dominarono lo shogunato Tokugawa o periodo Edo (1603-1868) e la comparsa di alcune voci che reclamavano un cambiamento della situazione, come quella del filosofo Ando Shoeki, che nella sua opera, pubblicata nel 1755, difendeva già una specie di socialismo. Intorno alla metà del XIX secolo, gli Stati Uniti, una volta ampliato il loro territorio fino alla West Coast, iniziarono a rendersi conto dell’importanza dell’espansione commerciale nel Pacifico. Cercavano un porto intermedio per stabilire una rotta verso la Cina e l’Asia continentale. Nel 1853 inviarono una flotta al comando del commodoro Matthew Calbraith Perry, che sbarcò nel porto di Uraga, nella baia di Edo (l’odierna Tokyo) e chiese di stabilire dei rapporti commerciali con il Giappone. Di fronte alla minaccia che comportava la presenza della flotta degli Stati Uniti, i Giapponesi accettarono di firmare un accordo che permetteva agli Americani di entrare nei loro porti per mantenere dei rapporti commerciali. Poco dopo, altri Paesi, come Russia, Inghilterra, Francia e Paesi Bassi firmarono trattati simili. Il nuovo contatto con l’Occidente provocò un turbamento in tutto il Paese. L’ingresso nell’economia monetaria e l’immediato innalzamento dei prezzi colpirono molto negativamente i contadini e le classi basse. Ci furono, pertanto, coloro che si schierarono contro l’apertura oltreconfine ma al tempo stesso molti
La fine dello shogunato e la restaurazione del mikado Dalla fine del XII secolo, in Giappone il potere ricadeva sullo shogun o comandante supremo dell’esercito, mentre la figura dell’imperatore era relegata a un piano simbolico, senza un potere vero e proprio. Questa situazione caratterizzò anche i sette secoli successivi fino alla restaurazione Meiji. Il contatto con l’Occidente, a partire dall’arrivo della flotta del commodoro statunitense Matthew Perry nel 1853, comportò non solo la fine dell’ancestrale politica di isolamento giapponese (che si concretizzava nel sakoku, per cui nessuno poteva entrare o uscire dal Paese pena la condanna a morte), ma portò anche a una profonda crisi sociale interna che mise fine al sistema feudale vigente nei sette secoli precedenti. Quest’ultimo era rappresentato dai sostenitori dello shogunato Tokugawa, al potere dal 1603, mentre dall’altra parte c’erano alcuni settori dell’aristocrazia che sostenevano l’apertura del Giappone e la restituzione del potere politico all’imperatore. La guerra civile che scoppiò nel 1868 terminò un anno dopo con la vittoria imperiale. Lo shogunato fu abolito e il Giappone si unì intorno al trono dell’imperatore Mutsushito. Iniziava così l’era Meiji. Nell’immagine, disegno del 1857 che rappresenta l’incontro tra il console statunitense Townsend Harris e i rappresentanti del potere in Giappone appartenenti allo shogunato Tokugawa.
rimasero invece affascinati dai progressi dell’Occidente e dalle possibilità che offriva per la modernizzazione del Giappone e per la sua possibile trasformazione in una potenza di una certa importanza nel mondo. Entrambi gli atteggiamenti, per quanto possano sembrare contraddittori, furono la base della Rivoluzione Meiji che si produsse tra gli anni 1866 e 1869. La Rivoluzione aveva come obiettivo la scomparsa del regime dello shogunato e la restituzione di tutto il potere all’imperatore o mikado. Dopo vari scontri armati tra i nemici e i sostenitori del regime che era in vigore da settecento anni, si riuscì a restituire il potere al sovrano. L’imperatore Meiji, Mutsushito, eliminò l’autorità dello shogun e si stabilì con la sua corte nella nuova capitale, che chiamò Tokyo.
La modernizzazione del Giappone A partire dall’incoronazione di Mutsushito come imperatore nel 1867, si operò in Giappone una trasformazione sociale ed economica di una tale portata e con una velocità tale da poter dire che il
Paese passò direttamente, senza tappe intermedie di alcun genere, dal Medioevo all’Età Contemporanea. L’antico regime di carattere feudale fu rimpiazzato da un nuovo regime basato sul capitalismo moderno. Nel 1868, l’imperatore annunciò in una dichiarazione quali sarebbero stati i principi fondamentali su cui si sarebbe basata la nuova fase politica (I cinque articoli del giuramento imperiale). Primo, le questioni importanti sarebbero state sempre oggetto di decisione pubblica nell’ambito di assemblee aperte; secondo, i cittadini di tutte le classi sociali dovevano avere la possibilità di partecipare attivamente alle questioni pubbliche; terzo, si sarebbe cercato di soddisfare i desideri legittimi di ogni cittadino senza distinzione di rango, affinché nessuno rimanesse insoddisfatto; quarto, bisognava seguire i nuovi principi, che erano basati sulla ragione, e abbandonare invece i vecchi costumi di tipo irrazionale; infine, bisognava sforzarsi di cercare di acquisire e apprendere le conoscenze tecniche e scientifiche raggiunte nel mondo occidentale, per rafforzare così le basi dell’impero.
In una nuova dichiarazione, l’imperatore annunciò l’applicazione del principio della divisione dei poteri, anche se in realtà alla fine il potere continuò a rimanere nelle mani dei vecchi clan. Nel 1889 fu promulgata la Costituzione, che non fu elaborata da alcuna assemblea, ma redatta da un consiglio privato, che prese come modello alcuni testi costituzionali europei. Questa costituzione, una specie di “costituzione ottriata”, stabiliva la creazione di una dieta imperiale formata da due Camere: quella dei pari e quella dei deputati. Il diritto al voto era concesso agli uomini di età superiore ai venticinque anni che pagassero una determinata quantità di imposte. Stando a questa limitazione, solo l’uno per cento della popolazione complessiva aveva il diritto di partecipare alla politica. Il regime feudale fu abolito legalmente e nel 1869 quattro dei signori più importanti consegnarono all’imperatore i loro domini con tutti i loro abitanti. Gli altri signori fecero poi la stessa cosa. In teoria, tutti i Giapponesi furono anche dichiarati uguali davanti alla
MATTHEW CALBRAITH PERRY. Fotografia
(1856 ca.) del commodoro Perry, il marinaio che aprì le porte del Giappone al commercio con l’Occidente.
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LE POTENZE EXTRAEUROPEE
Mutsushito, l’imperatore che modernizzò l’impero giapponese Nel 1867, a soli quindici anni, Mutsushito succedette al padre Komei come imperatore del Giappone. La fine dello shogunato dopo la guerra civile contro i sostenitori del clan Tokugawa non solo gli restituì il potere di cui i suoi predecessori non avevano goduto negli ultimi sette secoli, ma gli permise anche, in relazione con l’Occidente, di modernizzare un Paese che per molti aspetti era ancora radicato nel feudalesimo. La morte dell’imperatore Komei, poco disposto a rompere l’isolamento del suo Paese, permise al settore più riformista della società giapponese di esercitare la sua influenza sul figlio e successore Mutsushito che, nonostante la sua giovane età, mostrava un forte interesse per ciò che era straniero. Così, nei quarantacinque anni del suo regno, trasformò il Giappone in tutti gli ambiti. Fu l’era Meiji o “era del rispetto delle regole”; per questo Mutsushito è conosciuto anche come imperatore Meiji. La promulgazione nel 1868 del giuramento imperiale chiarì quali sarebbero stati gli obiettivi del suo governo, iniziando dalla democratizzazione della vita politica. Furono abolite progressivamente le strutture feudali, compresi i privilegi dei samurai; si decretò l’uguaglianza politica di tutti i cittadini e si diede impulso a un’industrializzazione di taglio occidentale. Nel 1889, l’approvazione della costituzione completò l’affermazione del Giappone come una monarchia parlamentare. A sinistra, ritratto di Mutsushito; a destra, incisione ukiyo-e di Ando Hiroshige, del 1872, che mostra l’arrivo di un treno a una stazione della linea Yokohama-Tokyo.
legge, ma anche se sulla carta era scomparsa l’antica gerarchia sociale, di fatto continuarono a rimanere le profonde e apparentemente insuperabili differenze tra la nobiltà e i contadini. Nonostante questo, a poco a poco sparirono alcuni antichi costumi che risultavano del tutto incompatibili con il processo di modernizzazione ormai avviato. Così, tra gli altri, furono adottate misure legali per abolire la tortura utilizzata allo scopo di ottenere dichiarazioni dai processati, furono autorizzati i matrimoni tra persone di classi sociali differenti e fu proibita infine la compravendita dei bambini. Uno dei primi obiettivi che si pose il governo fu quello di riorganizzare l’esercito dotandolo di una struttura moderna, che fosse capace di far fronte alle grandi potenze mondiali. Per questo si stabilì il ritorno del servizio militare obbligatorio e si adottarono i modelli degli eserciti francese e prussiano. Il secondo grande obiettivo fu quello di promuovere lo sviluppo di un’economia industriale competitiva e, sotto questo aspetto, quello dell’industrializzazione richiama 120
particolarmente l’attenzione sulla grande rapidità con cui si svolse questo processo: nell’anno 1869 si inaugurava la comunicazione telegrafica; allo stesso modo, appena due anni dopo, nel 1871, iniziò a funzionare il servizio postale e un anno dopo fece il suo viaggio inaugurale il treno che viaggiava da Tokyo fino a Yokohama. Ben presto si diffusero in tutto il Paese le fabbriche tessili e gli stabilimenti siderurgici e si iniziò la costruzione navale su larga scala. A mano a mano che il Giappone si modernizzava, aumentò la necessità di allargare i mercati ad altri Paesi, poiché il mercato interno non era più capace di assorbire la crescente produzione. La sua attenzione si concentrò in primo luogo sulla vicina Penisola di Corea, che in quel periodo era sotto l’influenza diretta della Cina. Già da alcuni anni, l’antico regno coreano era diventato la destinazione di un nutrito gruppo di Giapponesi, emigrati a seguito del sovrappopolamento delle isole e questo fu causa di scontri con la popolazione autoctona. Il conflitto di interessi con la Cina non tardò a scoppiare e iniziò la
prima guerra cino-giapponese, che inserì il Giappone in uno scenario internazionale e rafforzò la sua coscienza nazionalista. La corrente democratica che chiedeva una maggiore modernizzazione interna fece a poco a poco un passo indietro di fronte a queste pressioni nazionaliste che preferivano volgere lo sguardo verso l’esterno.
La Cina e le guerre dell’oppio Da quando la Manciuria aveva conquistato Pechino intorno alla metà del XVII secolo, la dinastia Qing era rimasta sul trono cinese. Dopo due secoli di dominio, i Manciù avevano dato pochi segni di industrializzazione. L’amministrazione imperiale era scarsamente centralizzata e il Paese era difeso debolmente, senza gli opportuni mezzi necessari. Nella capitale, sotto il potere sovrano dell’imperatore, risiedeva il Gran Consiglio di Stato, composto da quattro o cinque membri incaricati della risoluzione delle questioni più importanti. Il Paese era diviso in diciotto province e al fronte di ognuna c’era un governatore. A causa delle enormi distanze esistenti in un territorio
tanto grande e della precarietà delle comunicazioni dell’epoca, le province e le città godevano di una considerevole autonomia. L’esercito manciù disponeva di 300.000 uomini, un terzo dei quali stazionava nella regione di Pechino. Oltre a queste truppe, ogni provincia aveva le sue rispettive milizie, che complessivamente riunivano altri 400.000 effettivi. Tuttavia, né l’esercito né la milizia rappresentavano una forza sufficientemente organizzata per far fronte a un’invasione esterna. La popolazione era per il novanta per cento contadina ed era formata per la maggior parte da proprietari di piccoli appezzamenti che si associavano per coordinare i raccolti, per l’utilizzo dell’acqua o il mantenimento dei pascoli. C’era una nobiltà, che però non si poteva definire feudale con lo stesso significato che questo termine aveva in Europa o in Giappone, ovvero, proprietaria inalienabile della terra. Questa nobiltà viveva generalmente nelle città murate e i suoi membri formavano un’ élite locale che si trovava a metà strada tra i contadini e gli alti funzionari. 121
LE POTENZE EXTRAEUROPEE
L’oppio: una guerra per il controllo di una fonte di ricchezza inesauribile La pressione delle potenze occidentali, e in particolare del Regno Unito, per inserirsi nel mercato chiuso cinese scatenò due guerre (1839-1842 e 1856-1860) che ebbero come sfondo il commercio illegale dell’oppio. In entrambe, la grande sconfitta fu la Cina, dove la droga faceva stragi. Per le sue qualità terapeutiche e l’uso ricreativo, l’oppio è una droga con una lunga storia in Cina. Lo fumavano le classi alte e, divenendo più accessibile con il passare del tempo, entrò a far parte anche delle interazioni sociali della classe media e si trasformò addirittura in un sollievo dalla fame e dalle fatiche fisiche per gli strati più popolari della società. Per questo gli Inglesi vedevano in questa droga una buona moneta di pagamento per avere i preziosi prodotti cinesi: seta, tè, cotone, porcellana, smalti… Prodotti tutti molto cari, ancor di più considerato il disinteresse cinese per le merci europee che avrebbero potuto equilibrare la bilancia commerciale. Gli Inglesi entrarono allora in contatto con i trafficanti di oppio e, in cambio di grandi quantità di droga coltivata in India, ottenevano articoli di lusso cinesi. Nel 1839 le misure di Pechino per fermare questo traffico illegale portarono alla prima guerra dell’oppio. Nell’immagine, un’incisione inglese risalente al 1843 che riproduce l’attacco britannico contro la città di Chuenpee, durante la prima guerra dell’oppio; qui a sinistra, tre pipe cinesi utilizzate per fumare l’oppio, realizzate in avorio.
All’interno della nobiltà esistevano due categorie: quella di coloro che discendevano dal primo imperatore manciù e quella nominata dall’imperatore in virtù dei suoi servigi militari o civili. Il Paese era chiuso a qualunque tentativo di apertura verso l’esterno, per via della convinzione delle sue classi dirigenti che la civiltà cinese fosse il centro del mondo e, pertanto, che non avesse bisogno di alcuna relazione al di fuori dei suoi confini. Tuttavia, sin dai primi viaggi di Marco Polo, intorno alla metà del XIII secolo, i Paesi europei si erano interessati ai prodotti cinesi, alle sete, alle porcellane, ai mobili e ai dipinti. Gli interessi commerciali degli Europei si intensificarono nel XIX secolo e in particolare quelli degli Inglesi, che mostrarono un forte desiderio di impadronirsi del controllo assoluto dei mercati cinesi. La Cina però resistette ad aprire le sue frontiere all’importazione di prodotti occidentali, verso i quali non aveva alcuna curiosità e che, per ragioni culturali, non considerava nemmeno necessari. Non potendo bilanciare le sue importazioni di prodotti cinesi mediante la 122
vendita di prodotti occidentali, la Gran Bretagna si vedeva costretta a pagarli in monete d’argento. Questo comportava un consumo inarrestabile di metallo prezioso per l’economia britannica e, per evitarlo, gli Inglesi iniziarono a esportare oppio coltivato in India utilizzandolo come mezzo di pagamento, dato l’alto consumo che se ne faceva e il grande apprezzamento di cui godeva questo prodotto nella popolazione cinese. Allarmato dall’aumento del consumo di questa droga, il governo Qing cercò di imporre dei limiti alla sua importazione, stabilendo delle misure proibitive. Nonostante tutto, l’oppio continuò a entrare, di contrabbando, attraverso la mediazione di commercianti privati inglesi e americani che si stabilirono nel porto di Canton. Il governo cinese irrigidì allora le misure contro questo commercio e, nel 1834, inviò un magistrato che confiscò diverse migliaia di casse d’oppio e le lanciò in mare. Questo episodio costituì una motivazione sufficiente perché l’Inghilterra considerasse questo atto come un attacco alla proprietà britannica e aprisse le ostilità.
IL TRATTATO DI NANCHINO. Firmato il 29 agosto 1842, mise fine alla prima guerra dell’oppio con i Britannici. Per i Cinesi, il primo dei cosiddetti “trattati diseguali” con l’Occidente.
Gli Inglesi iniziarono la guerra contro la Cina e accelerarono il crollo della sua fragile dinastia perché volevano continuare a mantenere il flusso di oppio proveniente dall’India e diretto al mercato cinese. La vittoria britannica permise di firmare il Trattato di Nanchino (1842). In esso non era citato il commercio dell’oppio, ma si stabiliva il pagamento di una indennità e l’apertura al commercio inglese di Canton e di altri quattro porti cinesi. I benefici che offriva questo commercio erano troppo importanti, tanto per l’India che per la Gran Bretagna e i loro governi non erano assolutamente disposti a rinunciarvi. Una nuova guerra per l’apertura dei mercati cinesi si svolse tra il 1856 e il 1860. La fece scoppiare il cosiddetto “incidente dell’Arrow”: l’Arrow era una nave britannica registrata a Hong Kong che fu assaltata da alcuni soldati cinesi di fronte al sospetto che essa trasportasse merce di contrabbando. Le truppe britanniche attaccarono i forti vicini a Canton e diedero fuoco al palazzo estivo dell’imperatore. Di nuovo, innalzando la bandiera della libertà di commercio e del rispetto delle leggi
internazionali, la Gran Bretagna cercava di giustificare la sua penetrazione economica nella Cina, per stabilire un monopolio commerciale.
La fine della dinastia Qing Nella seconda metà del XIX secolo, le potenze occidentali incrementarono la loro presenza in Cina. L’Inghilterra mantenne il suo interesse per la conservazione del suo dominio commerciale. La Russia fece valere la sua importanza nella costruzione della ferrovia, la Francia stabilì una base a Tonkin e reclamò il territorio circostante e il Giappone, semplicemente, mostrò i suoi interessi di espansione e conquista. Oltre alla pressione straniera, il governo dovette affrontare una serie di sollevazioni, la più importante delle quali fu incoraggiata dalla setta Taiping, che conservava un forte sincretismo religioso, ma curiosamente impregnato di Cristianesimo. Le potenze occidentali, tuttavia, mosse dalla brama di ottenere maggiori vantaggi da una corte fortemente indebolita, diedero manforte al governo per sottomettere i rivoltosi. 123
LE POTENZE EXTRAEUROPEE
LA PRIMA GUERRA CINO-GIAPPONESE.
Opera ukiyo-e di Utagawa Kunimasa (1894) che mostra una scena delle truppe giapponesi prima di attaccare Pyongyang, il 15 settembre 1894. Il controllo della Penisola della Corea fu l’obiettivo principale della guerra e la sua perdita come Stato dipendente dalla dinastia Qing aprì una grave crisi in Cina che si sarebbe conclusa solo con la fine della monarchia e l’avvento della repubblica nel 1911.
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Nel 1894 scoppiò la guerra con il Giappone. L’imperatore cinese manteneva una sovranità teorica sulla Penisola di Corea. Il Giappone però aveva ottenuto un trattato commerciale con la Corea nel 1876, che comprendeva l’apertura di tre porti per il commercio e l’applicazione della giurisdizione giapponese per i cittadini del suo Paese che vivevano nella Penisola Coreana. Nell’anno 1884 ci fu uno scontro a causa di questi porti e nel 1885 si firmò un trattato che accordava la chiusura della Penisola. Nel 1894, un intervento della Cina nelle questioni interne coreane servì come scusa perché il Giappone inviasse velocemente delle truppe di occupazione. La Cina dichiarò allora guerra al Giappone, ma, nel corso degli scontri, emerse la netta superiorità dell’esercito giapponese a seguito della modernizzazione avviata dopo la restaurazione Meiji. Le truppe giapponesi occuparono la Manciuria meridionale e la Cina si vide costretta a firmare il Trattato di Shimonoseki, che riconosceva l’indipendenza della Corea e faceva alcune concessioni al Giappone. La nuova posizione
del Giappone nel continente asiatico suscitò l’inquietudine della Russia. La sua base navale di Port Arthur era troppo vicina alla Penisola di Liaodong; per questo motivo, con l’appoggio della Francia e della Germania, voleva costringere il Giappone a rinunciarvi. Tutti questi episodi non facevano altro che evidenziare la necessità di intraprendere delle riforme in Cina, per modernizzare un Paese obsoleto e restio a introdurre qualsiasi innovazione all’interno della sua amministrazione e del suo esercito. Alcuni timidi tentativi fatti in questa direzione furono fermati rapidamente dall’imperatrice Cixi, che fomentò di nuovo la xenofobia, appoggiando un movimento che negli ultimi anni del secolo divenne molto potente nel nord del Paese: i boxer, una società segreta di carattere religioso e politico, le cui origini risalgono all’inizio del XIX secolo. In Cina, c’era un diffuso sentimento popolare di rifiuto per la crescente penetrazione commerciale dei Paesi occidentali e l’aumento della presenza dei missionari cristiani. Nell’anno 1900, 8000 soldati si unirono ai boxer e uccisero molti religiosi stranieri e numerosi Cinesi convertiti, oltre a distruggere missioni, cavi elettrici e telegrafici e linee ferroviarie. L’ambasciatore tedesco, che cercò di protestare contro questi episodi, fu anch’egli ucciso. L’imperatrice chiese, mediante un ultimatum, la ritirata di tutti gli stranieri. Le potenze si rifiutarono categoricamente e iniziarono immediatamente le ostilità. Una forza militare internazionale prese la città di Pechino e l’imperatrice fu costretta ad abbandonarla e a fuggire. La guerra ebbe delle conseguenze disastrose per la Cina, che alla fine delle ostilità dovette pagare delle forti indennità alle potenze occidentali. Il movimento boxer è stato considerato come il precursore del nazionalismo cinese del XX secolo e come l’antecedente immediato della Rivoluzione del 1911 o Xinhai, che portò all’instaurazione della Repubblica della Cina nell’anno 1912.
Le rivoluzioni asiatiche Le rivoluzioni che ebbero luogo e si svilupparono nel continente asiatico verso la metà del XIX secolo possono essere considerate delle reazioni al colonialismo occidentale e alle nuove forme di governo e commercio che portarono con sé. Questa reazione fu provocata anche dai problemi interni derivanti dalla diversità etnica e religiosa che generò la diffusione delle nuove ideologie e, in particolare, dell’influenza che stava avendo il Cristianesimo. Infine, bisogna anche tenere in considerazione l’aumento della popolazione e le disuguaglianze economiche che si intensificarono sensibilmente nel corso del secolo.
L’IMPERATRICE CIXI, DAMA DI FERRO CINESE
L’
ultimo tentativo di mantenere la Cina isolata dal resto del mondo ebbe come protagonista l’imperatrice Cixi. Nata nel 1835, era stata una delle concubine dell’imperatore Xianfeng. Quando quest’ultimo morì nel 1861, a trent’anni, Cixi fece da co-reggente del figlio Tongzhi – che all’epoca aveva soltanto cinque anni – allo stesso livello della moglie del defunto imperatore, l’imperatrice Ci’an. Il tutto perché, dopo la morte improvvisa del figlio nel 1875, facesse ancora da co-reggente, questa volta del nipote Guangxu, che aveva appena due anni. In pratica, l’imperatrice divenne l’autentica sovrana assoluta della Cina, ancor più a partire dal 1881, quando Ci’an morì, presumibilmente avvelenata. Il suo governo si distinse per il rifiuto totale dell’influenza occidentale nel Paese e per la difesa dell’antica tradizione imperiale manciù. L’imperatrice morì nel 1908 a Pechino. Nell’immagine, Cixi ritratta (1905) dall’olandese Hubert Vos, il primo pittore occidentale che dipinse un’imperatrice della Cina (Museo d’Arte dell’Università, Harvard).
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1 IL PALAZZO. Il palazzo estivo di pechino fu costruito nel 1755 dall’imperatore Qianlong. Tra il 1898 e il 1908, Cixi rinchiuse in esso il nipote Guangxu.
RESTAURO. Nel 1860, durante la seconda guerra dell’oppio, il palazzo fu distrutto dalle truppe anglo-francesi. Fu restaurato nel 1893 per ordine di Cixi.
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3 LA BARCA DI MARMO. Costruita in marmo e legno sul lago Kunming, a imitazione delle navi a vapore fluviali, era il luogo preferito dell’imperatrice Cixi. 125
LE POTENZE EXTRAEUROPEE
La rivolta dei boxer, molto più di un conflitto religioso
Spalleggiati nell’ombra dal trono imperiale rappresentato da Cixi, i boxer si ribellarono nel 1900 contro l’ingerenza occidentale in Cina, che aveva provocato le due guerre dell’oppio, e un’altra contro il Giappone occidentalizzato. Nell’anno 1898, nella provincia di Shandong, nacque una società patriottica e segreta, che voleva mettere fine alla penetrazione straniera nel commercio, nella politica e nella religione della Cina. Si trattava della Yihetuan, traducibile come “Milizia della giustizia e della concordia”, ed era formata soprattutto da contadini e lavoratori le cui abilità con le arti marziali valse loro l’appellativo di boxer (“pugili”) da parte dei Britannici. Il movimento si estese rapidamente in tutto il Paese e fu diretto soprattutto contro i missionari cristiani e i Cinesi convertiti, considerati allo stesso modo come agenti al soldo degli stranieri. Il ruolo dell’imperatrice Cixi di fronte a questa crisi fu di calcolata ambiguità, poiché anche se non appoggiò apertamente i ribelli, nominò ministro degli Esteri Zaiyi, più conosciuto come principe Duan, uno dei loro più forti sostenitori. L’incidente più grave avvenne nel giugno del 1900, quando i boxer, appoggiati dalle truppe di Duan, assediarono il quartiere delle delegazioni straniere di Pechino, che resistettero fino all’arrivo, in agosto, di un esercito internazionale. Infine, la rivolta fu schiacciata e la famiglia imperiale fu costretta a fuggire a Xi’an. Nell’immagine, processo di uno dei boxer presso il Tribunale Supremo della Cina, risalente all’incirca al 1900.
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Il mix esplosivo di tutti questi elementi provocò rivolte sociali frequenti e violente, che cercavano di ridefinire le strutture di governo interne dei Paesi asiatici, con la riforma dell’amministrazione e della burocrazia, sistemi di imposte più trasparenti e con degli eserciti più moderni e organizzati, in grado di far fronte alle pericolose sfide occidentali. La rivolta persiana dell’anno 1848 e la successiva emergenza della religione bahai si produsse in una regione fortemente sottomessa alla pressione russa e britannica. Alcuni di coloro che la sostenevano erano impiegati e lavoratori delle nuove linee telegrafiche, che avevano percepito ciò che significava la modernizzazione in altri Paesi e volevano che si realizzasse anche nel loro. Anche nell’impero ottomano la riorganizzazione dello Stato portò a una ridefinizione dei rapporti tra i musulmani e i cristiani, come conseguenza dell’influenza esercitata su questi ultimi dal potere dell’Austria e della Russia. In Cina, la citata rivolta dei Taiping contro la decadente dinastia Qing riuniva molte caratteristiche della civiltà occidentale. Il loro leader, Hong Xiuquan era stato educato dai missionari cristiani ed era per questo che spesso citava dei passi della Bibbia. La sua morte e l’intervento occidentale finirono per soffocare la rivolta. D’altra parte, alla fine del secolo, e di fronte alla crescente avanzata delle potenze occidentali, i governanti manciù della dinastia Qing e i loro eserciti proclamarono la loro ostilità alla religione cristiana straniera, così che la ribellione dei boxer fu allo stesso tempo intrisa di un forte sentimento anticristiano. L’India aveva subito, in misura molto maggiore rispetto alla Cina, la pressione inarrestabile della penetrazione economica e politica degli Europei. Tuttavia, la potente Compagnia Britannica delle Indie Orientali, la società commerciale che di fatto governava l’India, si rese conto che era più efficace e meno costoso lasciare il governo agli Indiani. I dirigenti della compagnia credevano che mantenere i sovrani indiani (i maragià), i proprietari e i sacerdoti li avrebbe aiutati a essere accettati dal popolo indiano. Nel 1857 scoppiò tuttavia la rivolta dei sepoy, i soldati indigeni della compagnia, che protestavano contro i bassi salari, le condizioni in cui dovevano svolgere il loro lavoro e il peggioramento della loro situazione in generale. Una nuova ondata di espropriazione di terre e nuove misure per la trasformazione dell’esercito, il tutto unito al disprezzo per i costumi indiani e per le loro autorità, scatenarono un insieme di rivendicazioni che si tradusse in insurrezioni e ribellioni contro il potere degli Inglesi (1857-1859). In ambito politico,
questi conflitti si sommarono alle forti tensioni locali che erano già sorte per la comparsa di una nuova forma di dominio della terra, i conflitti sulla gestione dei boschi e dei pascoli e le disuguaglianze che furono create dal sistema delle imposte. La rivolta fu infine soffocata e il territorio passò a essere amministrato direttamente dalla corona britannica. Come era successo in altri regni, come la Persia e Giava, o in Cina e in India, le differenze religiose e lo spirito patriottico ebbero un ruolo determinante nelle rivolte asiatiche. È possibile che non tutte possano essere considerate come protonazionaliste, ma nella stragrande maggioranza si ricerca la manifestazione di un compromesso con la comunità e il Paese. La rivolta del 1857 in India non era né indù né musulmana, ma rifletteva un’ostilità generale contro i cristiani, fossero essi indiani, indo-portoghesi o europei, come settori privilegiati stabiliti fuori dalla comunità indigena e con un trattamento preferenziale da parte delle autorità. La stessa cosa successe in Indonesia, dove le rivolte degli anni 1825-1830 tra-
smettevano una sensazione di ritorno all’islamismo contro l’attività missionaria degli Olandesi, nonostante la loro influenza non fosse eccessiva. Dall’altra parte le crisi asiatiche della metà del secolo rivelano la comparsa di tensioni sociali e agrarie che avevano anche uno sfondo economico. In Cina, l’aumento della popolazione fece alzare la pressione sulle risorse agricole, specialmente nei territori del sud. Le migrazioni interne abbassarono ovunque i livelli di vita e provocarono nuovi conflitti tra le popolazioni residenti e quelle che emigravano. Anche in India, le migrazioni interne provocarono effetti molto simili. La classe contadina che dominava nel nord del Paese si vide colpita dalla lenta ma costante diminuzione delle entrate che derivavano dalle sue proprietà, mentre aumentava il numero dei nuovi agricoltori. Anche nelle città del nord dell’India, le comunità di artigiani poveri che soffrivano la concorrenza dei prodotti che giungevano dalle manifatture inglesi svolsero un ruolo rilevante nelle proteste, che in queste regioni presero talvolta la forma di rivolta islamica.
LA RIVOLTA DEI SEPOY.
Molte delle ribellioni asiatiche ebbero tinte sanguinose e si accanirono sugli occidentali, fossero essi commercianti, militari o religiosi. In alto, incisione che mostra la morte di un militare inglese e della sua famiglia per mano dei sepoy nel 1857. Chiamate anche “moti indiani” del 1857, iniziarono tra i soldati indiani della Compagnia Britannica delle Indie Orientali, i sepoy, e si estesero come rivolta civile a gran parte del nord della colonia, costringendo lo scioglimento della compagnia nel 1858 e la riorganizzazione amministrativa della colonia, il nuovo British Raj. 127
UNA COLONIZZAZIONE VIOLENTA. Il processo
di colonizzazione diede origine a conflitti frequenti e sanguinosi con le popolazioni locali. Nell’immagine, illustrazione del 1893, ispirata a un olio di George W. Joy, che ritrae la scena precedente alla morte di Charles George Gordon a Khartum per mano delle truppe ribelli di El Mahdi. Nella pagina accanto, scatola d’avorio del XIX secolo proveniente dal Benin, con le figure di due soldati portoghesi che si scontrano e un dragone (University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology, Philadelphia).
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L’ESPANSIONE COLONIALE Tra il Congresso di Vienna (1814-1815) e la Conferenza di Berlino (1884), il consolidamento delle potenze europee diede origine a un processo di espansione imperialista. L’economia capitalista cercava nuove fonti di materie prime e manodopera e il controllo dei territori che ancora non erano soggetti alla politica degli Stati moderni. Questa espansione sfociò in cruente guerre coloniali e nella lotta per il dominio del mondo.
L’
espansione coloniale dei Paesi europei durante il XIX secolo è stata trattata dalla storiografia occidentale con un certo senso di colpa, perché sono stati sottolineati specialmente gli aspetti più negativi dell’intervento dell’uomo occidentale nei territori dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania. Gli Europei del XIX secolo pensavano che il progresso dell’umanità avesse raggiunto la sua massima espressione in Occidente e che il resto del mondo si trovasse in una situazione di arretratezza e stallo che lo collocava in un contesto di barbarie e preistoria. Questo li portò alla convinzione della superiorità dell’uomo bianco sulle pre-
sunte razze inferiori, ma anche a considerare che il lavoro di colonizzazione era come un dovere che gli Europei dovevano assolvere verso i popoli più arretrati, che andavano “liberati” dal loro stato semiselvaggio. Colui che espresse meglio questi sentimenti fu lo scrittore inglese Rudyard Kipling, che nelle sue poesie e nei suoi romanzi divenne il cantore dell’imperialismo britannico. Indubbiamente in questo processo furono commessi abusi terribili contro le popolazioni native ed episodi di vero e proprio saccheggio delle ricchezze dei Paesi coloniali, ma oltre a queste atrocità la colonizzazione ebbe anche degli aspetti positivi, soprattutto le scoperte che consentirono 129
L’ESPANSIONE COLONIALE
Esploratori, missionari, affaristi e militari L’ultima zona della cartina del mondo rimasta intatta iniziò a essere esplorata durante il XIX secolo. Spinti dalle ricchezze naturali, dal desiderio di evangelizzazione o semplicemente dall’interesse scientifico e dalla passione per l’avventura, gli Europei si lanciarono alla scoperta del cuore dell’Africa. L’avanguardia dell’esplorazione dell’Africa furono i missionari, in particolar modo quelli britannici. A poco a poco si addentrarono nel continente, talvolta accompagnando gli esploratori ma sempre con l’intenzione di creare missioni permanenti nelle regioni che visitavano. Il più famoso di questi esploratori fu lo scozzese David Livingstone, che tra il 1851 e il 1856 percorse l’Africa da est a ovest e fu il primo europeo a contemplare le cascate Vittoria, così battezzate in onore della sovrana britannica. Anni dopo, tra il 1863 e il 1873, un’altra esplorazione lo portò a cercare le fonti del Nilo, proprio uno degli stimoli che motivarono le spedizioni di Richard Burton e John Speke. Lo scozzese Mungo Park, che esplorò il Niger nel 1795, fu uno dei primi Europei che si avventurarono in queste terre. Ma l’epoca d’oro dell’esplorazione africana fu il XIX secolo. L’uso, a partire dal 1850, del chinino come profilassi contro la malaria (una malattia trasmessa dalle zanzare che faceva stragi tra gli Europei) diede un nuovo impulso a queste spedizioni, molte delle quali intraprese da missionari come David Livingstone. La scoperta di materie prime e risorse minerarie avrebbe aperto la strada alla successiva colonizzazione. A sinistra, zanna d’elefante lavorata del XIX secolo, proveniente dalle coste del regno di Loango, vicino alla foce del fiume Congo.
PIERRE DE BRAZZA. Di origine italiana, esplorò i territori del Congo e diede il suo nome alla capitale della Repubblica del Congo, Brazzaville. In alto, in una fotografia di Nadar.
il progresso della scienza, l’introduzione dei servizi medici e sanitari, la scolarizzazione e l’educazione dei bambini, la creazione di infrastrutture di comunicazione, così come l’introduzione delle nuove tecnologie sviluppate dalla civiltà occidentale. Nonostante questo, il bilancio finale fu molto negativo per tutti i Paesi colonizzati. Quando iniziò il processo di decolonizzazione nel XX secolo, l’eredità che avevano lasciato i bianchi era confusa e complessa e le loro colonie, le nuove nazioni indipendenti, dovettero imboccare un cammino difficile, nel quale il loro sviluppo si vide enormemente rallentato. D’altra parte, la storiografia attuale tende anche a riconoscere che l’espansione coloniale non era dovuta solamente a motivazioni di tipo economico, come affermava Lenin nella sua opera L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), in cui attribuiva il fenomeno alle nuove forze economiche esistenti nelle nazioni più industrializzate d’Europa. Ora si sa che non tutte le nuove colonie erano così redditizie come si era creduto inizialmente e che in alcuni casi il loro 130
mantenimento risultava molto costoso per la madrepatria. Per questo non bisogna considerare esclusivamente i fattori economici nella spiegazione dell’espansionismo europeo; bisogna anche tenere in considerazione i fattori di prestigio internazionale e di carattere strategico che nutrivano i grandi progetti colonizzatori. Non esistendo nel XIX secolo nessun organismo internazionale che controllasse né regolasse la loro espansione oltre i propri confini, le potenze proiettarono la tensione che dominava le relazioni tra loro in uno scenario extraeuropeo, specialmente in Africa e nell’Oriente asiatico.
Esploratori e missionari Anche se l’espansione coloniale fu avviata dalle nazioni europee, è curioso che l’intervento nei nuovi territori nascesse a volte come conseguenza di iniziative private e individuali. Fu questo il caso di un ufficiale francese di origine italiana, Pierre de Brazza, che facilitò l’unione del Congo ai domini coloniali della Francia nel 1879. Brazza, dopo aver esplorato il territorio facendosi carico di tutti
HENRY MORTON STANLEY. Ritratto qui con il suo assistente Kalulu, fu un giornalista che divenne famoso per l’esplorazione alla ricerca di Livingstone nel 1871. Esplorò anche il fiume Congo.
i costi della spedizione, convinse il governo francese ad annetterlo, in forte concorrenza con gli interessi di Leopoldo II del Belgio, che voleva anch’egli il dominio di quella regione africana. Una cosa simile successe in Sudan, una provincia dell’Egitto che nel 1884 divenne un protettorato britannico a seguito dell’intervento di un soldato di ventura inglese, il generale Charles George Gordon. Egli era al servizio del sovrano egizio per soffocare una rivoluzione fondamentalista islamica, di cui furono protagonisti i dervisci sudanesi. Assediato a Khartum dai ribelli, Gordon chiese aiuto all’Inghilterra, il cui primo ministro Gladstone inviò un esercito che, pur non riuscendo a salvarlo – Gordon morì infatti difendendo Khartum – rese comunque il Sudan una colonia britannica. L’esploratore e colonnello francese ParfaitLouis Monteil partì nel 1890 per Timbuctù, in Mali, occupata allora dai Tuareg. Lì fu assediato e la Francia fu costretta a inviare due colonne di soldati in suo soccorso e, come conseguenza di ciò, tutto il territorio divenne dominio della Francia.
DAVID LIVINGSTONE. Arrivato in Africa nel 1841, fino alla sua morte nel 1873 fece tre grandi spedizioni che aprirono nuove rotte e contribuirono ad ampliare la conoscenza del continente.
Ci furono molti altri esempi di spedizioni con caratteristiche simili che, insieme ad altri tipi di penetrazione più organizzata e con obiettivi di carattere più commerciale – come quelli della Royal Niger Company, dell’Imperial British East Africa Company o della British South Africa Company – militare o strategico da parte delle nazioni che le incoraggiarono, resero il continente africano un’immensa colonia europea. Anche i missionari cristiani ebbero un ruolo importante nell’espansione coloniale. Uno dei primi fu il ministro presbiteriano John Campbell (1766-1840), fondatore della British and Foreign Bible Society. Nel 1812, partendo da Città del Capo si addentrò nel continente africano e dopo un lungo viaggio raggiunse Litakun (Sudafrica), dove credette di aver trovato il luogo perfetto per la diffusione della civiltà che avrebbe assicurato la pace in quei territori. Tuttavia, il suo sogno non riuscì a realizzarsi, poiché pochi anni dopo, quando fece la seconda spedizione nel 1819, poté verificare che le guerre endemiche che colpivano il continente si erano scatenate 131
L’ESPANSIONE COLONIALE
Tunisi
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Cabinda Luanda
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Lago Victoria
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Mogadiscio
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di nuovo e avevano provocato la distruzione di tutte le missioni che aveva creato. Campbell pubblicò tutte le sue esperienze in un libro che intitolò Travels in South Africa: Undertaken at the Request of the Missionary Society. Ma il più famoso di tutti gli esploratori fu lo scozzese David Livingstone (1813-1873), anch’egli missionario. Fece il suo primo viaggio nel continente africano inviato dalla London Missionary Society. In seguito tornò in varie occasioni sotto gli auspici del governo britannico come esploratore «per aprire la strada al commercio e al Cristianesimo». Uno dei suoi risultati più importanti fu la scoperta della rotta principale della tratta degli schiavi che univa il cuore dell’Africa con la costa orientale. Seguì anche il corso del fiume Zambesi, dallo Zambia fino alla foce nell’Oceano Indiano. Battezzò con il nome della regina d’Inghilterra, Vittoria, le cascate che trovò nel corso medio
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Uban gi Congo
GABON
Lourenço Marques L
Orang e A
Limite della zona desertica Foresta tropicale Giacimenti: Oro Rame Spedizioni: Barth, Overweg, Richardson (1850-1855) Livingstone (1853-1856) Burton, Speke (1857-1858) Livingstone (1858-1864) Rohlfs (1862-1867) Livingstone (1866-1871) Nachtigal (1869-1874) Stanley (1874-1877) Cameron (1873-1875) De Brazza (1875-1880)
Massawa
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COSTA Lomé D ’ AVORIO
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Bengasi Il Cairo
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Caricatura satirica che mostra l’esercito britannico e l’ordine dei gesuiti che si contendono il dominio del continente africano.
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DOMINARE IL MONDO.
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Per secoli, gli Europei che giunsero nell’Africa subsahariana si addentrarono poco oltre i loro insediamenti costieri. L’interno del continente era considerato impenetrabile, sia per l’ostilità dei suoi abitanti sia per le condizioni estreme del clima o per le malattie. Questa idea iniziò a cambiare alla fine del XVIII secolo, quando a Londra fu fondata l’African Association allo scopo di promuovere l’esplorazione del continente, e questo tanto nell’interesse della scienza quanto a favore degli interessi commerciali del Regno Unito. A mano a mano che la cartina africana riempiva le sue lacune, a missionari ed esploratori succedettero i militari e i commercianti, che gettarono infine le basi per la colonizzazione del continente. Episodi come la guerra franco-zulù, che si combatté nel 1879 in quello che oggi è il Sudafrica, rivelano questa nuova fase della penetrazione europea in Africa, che raggiunse il culmine con la conferenza di Berlino, tra il 1884 e il 1885, in cui si decise la ripartizione dei territori africani tra gli Stati europei.
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Agli inizi del XIX secolo, l’entroterra dell’Africa continuava a essere sconosciuto dagli Europei. Fu allora che si intrapresero delle spedizioni che mostrarono la presenza di altre ricchezze oltre agli schiavi.
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Tangeri B
Le ricchezze di un continente inesplorato
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Città del Capo
del fiume e che i nativi chiamavano “il fumo che rimbomba”, perché le sue acque, cadendo da oltre cento metri d’altezza, liberano un vapore intenso e rimbombano con un fragore che si riesce a sentire anche da una distanza di 100 km. Livingstone scomparve nel corso del suo viaggio alla scoperta delle fonti del Nilo e dopo vari anni senza avere sue notizie un altro esploratore fu inviato in quei luoghi per cercarlo: era il giornalista gallese nazionalizzato americano Henry Morton Stanley (1841-1904). Stanley rintracciò il missionario nel 1871 sulle sponde del lago Tanganica e divenne famosa la frase che pronunciò quando se lo trovò davanti: «Il dottor Livingstone, suppongo», che riflette l’atteggiamento e la calma con cui questi pionieri affrontavano le loro avventure. Tuttavia, Livingstone, gravemente malato, non volle tornare in patria. Quando morì a seguito della dissenteria, il suo corpo fu mandato a Londra con una scorta navale e sepolto nell’abbazia di Westminster come un eroe nazionale. Ci fu anche un consistente numero di missionari cattolici in Africa durante la seconda metà
del XIX secolo. A differenza degli anglicani e dei presbiteriani, ai quali interessavano soprattutto le scoperte scientifiche e geografiche, i cattolici erano spinti soprattutto dal loro zelo religioso. Le missioni che la Francia inviò durante la Terza repubblica furono molto attive e i suoi missionari costituirono i due terzi del totale suddiviso nei cinque continenti. Si distribuirono in tutto il mondo, compreso il Vicino e l’Estremo Oriente. Nel 1869, il cardinale Charles Martial Lavigerie (1825-1892) fondò ad Algeri la Società dei missionari d’Africa, che presto furono conosciuti come “Padri Bianchi” a causa del colore della loro veste. Nel 1875 si diffusero anche in Tunisia e crearono un protettorato religioso che non tardò a diventare un protettorato politico. Altre missioni francesi penetrarono verso il centro dell’Africa, seguendo le impronte degli esploratori e degli avventurieri, e stabilendo scuole e servizi medici. Uno dei più celebri Padri Bianchi fu Auguste Achte, che dopo aver trascorso diversi anni ad Algeri e a Gerusalemme e aver imparato la lingua araba, fu inviato in Uganda dove svolse un
intenso lavoro e contribuì in maniera efficace a convertire i popoli della regione al Cattolicesimo. Scrisse inoltre un catechismo in lingua swahili e tradusse anche in questa lingua il Nuovo Testamento. I missionari belgi fecero notare la loro presenza in Congo dal 1878. Il lavoro dei missionari non si limitava ai territori africani. I loro sforzi per estendere l’evangelizzazione e diffondere l’educazione e lo sviluppo sociale furono proiettati anche ad altri continenti. Così il parlamento britannico creò nell’anno 1832 un comitato per i popoli aborigeni che facevano parte dell’impero britannico, che ottenne notevoli risultati in Australia, Nuova Zelanda e nei territori del Pacifico. Allo stesso modo, i missionari provenienti dalla Francia si mostrarono molto attivi tra la popolazione nativa dell’Indocina e di altri territori del sud-est asiatico. I missionari erano convinti che predicando la morale cristiana e i costumi occidentali avrebbero potuto mettere fine ai riti aborigeni, alla pratica del cannibalismo, ai sacrifici umani e alle guerre tribali endemiche. Dovettero anche far fronte al
SCONTRI PER LE COLONIE.
L’espansione coloniale provocò diversi scontri tra le potenze europee. In alto, Cappuccetto Rosso, caricatura de Le Petit Journal pubblicata il 20 novembre 1898 sulla crisi di Fascioda, che mostra la Francia come Cappuccetto Rosso e l’Inghilterra come il lupo vestito da nonna. L’incontro delle forze della spedizione britannica e francese a Fascioda, sulle sponde del Nilo (l’odierno Sudan del Sud) diede origine al primo conflitto di interessi per il controllo della conca del Nilo. 133
L’ESPANSIONE COLONIALE
FATTI CHIAVE DEL PERIODO COLONIALE 1839-1860
Guerre dell’oppio. La vittoria del Regno Unito permette di impadronirsi di Hong Kong e apre i porti e i mercati cinesi. 1877
Imperatrice dell’India. Il 1 gennaio Vittoria prende il titolo di imperatrice dell’India, che manterrà fino alla morte. 1880-1881
Guerre boere. Britannici e coloni di origine olandese si scontrano per il possesso del Sudafrica. Una seconda guerra si svolge nel 1899-1902. 1882
Egitto. Il Regno Unito occupa l’Egitto per controllare il canale di Suez, che nel 1888 è dichiarato zona neutrale sotto la protezione britannica. 1884-1885
Conferenza di Berlino. Su iniziativa del cancelliere tedesco Bismarck, 14 Paesi si riuniscono per gettare le basi della ripartizione dell’Africa. 1885
Congo belga. Il re Leopoldo II del Belgio rende lo Stato libero del Congo una sua proprietà privata e inizia una spoliazione sistematica.
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traffico degli schiavi. In alcuni casi raggiunsero i loro obiettivi, seppur a caro prezzo. L’introduzione degli stili di vita europei e la conseguente scomparsa dei costumi tribali portò molti uomini giovani ad adattarsi, trasformandosi in agricoltori, aiutanti domestici o artigiani nelle zone di influenza dei bianchi. Ma in molti casi il cambiamento dei costumi e il trattamento vessatorio che ricevevano avvicinò i nativi all’alcolismo, alla delinquenza e al crimine, ed essi iniziarono a riempire le carceri e ad alimentare così nuovamente il razzismo dei coloni europei.
L’imperialismo britannico La Rivoluzione americana che portò all’indipendenza delle colonie britanniche nel Nuovo Continente nella seconda metà del XVIII secolo, contribuì all’introduzione di cambiamenti importanti nella politica imperiale della Gran Bretagna. A partire da quel momento, aumentò la sua azione in India e anche in Cina, estese il suo dominio alla Birmania e l’acquisizione del porto di Singapore (1819) le permise di espandersi in Malesia e di controllare le rotte dell’Estremo Oriente. Grazie al suo dominio dei mari – “Britannia rules the waves”, dice la famosa canzone patriottica – il Regno Unito incorporò via via una serie di punti strategici, come Aden (1839), Hong Kong (1842) o Labuan, nel nord del Borneo (1846), e nel Mediterraneo si assicurò la nuova rotta verso l’Oriente attraverso il Canale di Suez, con le enclave di Gibilterra, Egitto, Malta e Cipro. In Africa occidentale aumentò progressivamente la sua presenza dall’Oceano Indiano e dall’isola di Zanzibar fino all’Uganda e alla Great Rift Valley, mettendo in comunicazione le colonie che andavano dal nord al sud del continente. Inoltre, vantava anche i possedimenti dell’Africa orientale e vasti territori in America e in Oceania, come Canada, Australia e Nuova Zelanda, colonie abitate principalmente da persone di provenienza europea che per questo, alla fine del secolo, assunsero la denominazione di domini, con una grande autonomia politica ed economica, per formare nel loro complesso la base di quello che sarebbe stato il Commonwealth. In questo modo, l’impero britannico arrivò a raggiungere un’estensione di quasi un quarto della superficie terrestre. Si può affermare che la Gran Bretagna era uscita a testa alta dalla sua sconfitta contro le tredici colonie d’America, grazie all’annessione di nuovi territori coloniali in altri continenti e intorno alla metà del XIX secolo disponeva del più grande impero mai conosciuto. Il gioiello della corona britannica era l’India. La presenza britannica nel subcontinente indiano risaliva al XVII secolo, quando la Compagnia delle Indie Orientali, con il patrocinio della corona,
L’espansione britannica nel XIX secolo Il lungo regno di Vittoria d’Inghilterra coincise con la più grande espansione territoriale mai conosciuta dal Regno Unito, che lo rese l’impero più grande di tutta la storia, con domini estesi in tutto il continente. Alla base dell’espansione territoriale del Regno Unito c’era la necessità di aprire nuovi mercati per i suoi prodotti industriali e di trovare nuove fonti di materie prime. Così, anche se alla fine del XVIII secolo la Guerra d’Indipendenza nordamericana aveva provocato la perdita di buona parte delle colonie del Nuovo Mondo, a partire dalla seconda metà del XIX secolo giocarono d’anticipo sulle altre nazioni europee nella colonizzazione del pianeta. La sua posizione come potenza marittima fu un vantaggio, come anche la sua relativa indifferenza verso le questioni del continente in un momento di evidente scontro tra la Francia e una potente Russia. Alternando diversi modelli di occupazione, dal protettorato fino alla conquista, il Regno Unito aveva agli inizi del XX secolo un territorio di 33 milioni di metri quadrati e 450 milioni di abitanti. Nell’immagine, cartina dell’impero britannico datata 1886 (Royal Geographical Society, Londra).
aveva iniziato la sua attività. La sollevazione dei sepoy portò all’intervento dell’esercito e a partire da quel momento l’India divenne un dominio della corona; il primo ministro Benjamin Disraeli conferì alla regina il titolo di imperatrice dell’India e l’immenso territorio passò sotto il governo del parlamento britannico. Da allora la responsabilità delle questioni indiane ricadde sul segretario di Stato per l’India. Nella colonia, il suo rappresentante continuò a essere il governatore generale, ora in qualità di viceré, e i militari e i funzionari inglesi si incaricarono dell’amministrazione. La colonia progredì, si crearono nuove istituzioni culturali e si sviluppò un ampio sistema di comunicazioni, tanto che alla fine del secolo c’erano già 39.000 km di rete ferroviaria nel subcontinente. La presenza inglese diede una maggiore coesione a quel mosaico in cui convivevano oltre seicento principati, duecento lingue e otto religioni differenti. Una diversità che era spesso causa di tensioni e rivalità. L’India, che allora comprendeva anche gli attuali Stati di Pakistan, Bangladesh e Nepal, divenne un esempio
positivo di quello che si poteva originare dalla coesistenza di due civiltà anche molto diverse tra loro. Nel continente africano, gli Inglesi estesero il loro influenza ai domini della Francia dopo essersi impadroniti di alcune posizioni in Egitto, poco dopo l’apertura nel 1867 del Canale di Suez, di vitale importanza per le loro comunicazioni con il continente asiatico. Si appropriarono abilmente della maggior parte delle operazioni del canale dopo la rovina del chedivè Ismail Pasha e l’Egitto divenne un protettorato britannico. Nel 1883 fu nominato console generale e ambasciatore plenipotenziario al Cairo lord Cromer, che contribuì a modernizzare il Paese e sviluppare un’amministrazione efficiente. Gli Inglesi occuparono poi il Sudan, la Somalia, il Kenya e Zanzibar, con l’idea di costruire una rete ferroviaria che attraversasse il continente dal Cairo fino al Capo e servisse da cardine della sua espansione. Ma il progetto si scontrò con i Portoghesi, che volevano unire l’Angola al Mozambico, e con la Francia, che stava avviando un progetto di unione dei suoi territori africani dell’Atlantico
con quelli dell’Indiano. Quest’ultimo scontro portò al cosiddetto incidente di Fascioda (1898) vicino alle fonti del Nilo, nel quale, dopo una grave crisi internazionale, i Francesi furono costretti a cedere agli Inglesi, come anche avevano fatto i Portoghesi. Nel frattempo, nell’Africa del sud, dove gli Olandesi si erano stabiliti nel 1652 al capo di Buona Speranza, la Gran Bretagna aveva preso le loro terre durante le guerre napoleoniche e aveva obbligato i coloni, i Boeri, a vivere sotto il suo dominio. L’abolizione della schiavitù in tutto l’impero britannico nel 1834 fece sì che gli Olandesi emigrassero verso nord in quello che fu definito il Grande Trek (la grande marcia): circa 10.000 contadini si traferirono nei territori vicini al fiume Orange, dove fondarono lo Stato libero dell’Orange e in seguito sull’altra sponda del fiume Vaal per fondare la colonia del Transvaal. Un altro gruppo si stabilì a Natal, dove fu costretto a combattere una grande battaglia con gli indigeni zulu, nel dicembre del 1838 (battaglia di Blood River).
DA LONDRA A HONG KONG.
L’inarrestabile espansione coloniale britannica si appoggiò in gran misura sull’egemonia navale. In alto, medaglia con una scena di navi britanniche e cinesi nel porto di Hong Kong. 135
IL BRITISH RAJ, GIOIELLO DELLA CORONA BRITANNICA
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a quando nel 1858 i Britannici soffocarono la rivolta che era iniziata l’anno prima a nord ed eliminarono i resti dell’impero mongolo, l’India divenne parte della corona. E per rafforzare questa dipendenza, nel maggio del 1876 il primo ministro Benjamin Disraeli approvò una legge che conferiva alla regina Vittoria il titolo di imperatrice dell’India, che divenne effettivo il 1 gennaio dell’anno successivo. Come con il resto dei possedimenti britannici, l’amministrazione, gestita da un viceré da Calcutta, si impegnò nella modernizzazione del Paese mediante la creazione di industrie e reti ferroviarie e telegrafiche, anche se lo sfruttamento delle abbondanti risorse indiane fu sempre di dominio dell’impero. Si venne a formare allora una classe media che parlava inglese, la quale non ci mise molto a denunciare il prosciugamento delle ricchezze messo in atto dalla madrepatria. Le sue rivendicazioni finirono per dare origine a movimenti nazionalisti che portarono all’indipendenza nel 1947.
VICTORIA MEMORIAL. Nel gennaio del 1906, cinque anni dopo la morte della regina Vittoria, si pose la prima pietra di un edificio commemorativo della sua figura a Calcutta, la capitale amministrativa dell’impero britannico in India. L’architetto londinese William Emerson fu l’incaricato del progetto di questo monumento in marmo bianco e in stile rinascimentale (in alto) che comprende anche alcuni elementi mongoli. Ci vollero quindici anni per costruirlo.
L’AVORIO E LE SCENE DI CACCIA. La caccia era una delle attività predilette dagli Europei diretti in India già dal XVIII secolo, quando il territorio era amministrato dalla Compagnia delle Indie Orientali. In questa statuetta d’avorio del 1795 (a sinistra), le figure sotto il baldacchino rappresentano ufficiali inglesi (Art Gallery, Manchester). L’elefante, proprio per il suo avorio, era una delle prede più ambite dai cacciatori britannici, compresi i viceré. 136
L’INTEGRAZIONE BRITANNICA NELLA SOCIETÀ INDIANA LA REGINA E UN SERVITORE INDIANO. La rivolta del 1857
aggravò la divisione tra Britannici e Indiani nella colonia. Questi ultimi si vedevano relegati a ruoli subalterni, senza possibilità di un’ascesa nell’amministrazione. Fotografia di Hills & Saunders scattata a Windsor. LA CACCIA ALLA TIGRE. George
Nathaniel Curzon, viceré dell’India tra il 1899 e il 1905 e la moglie Mary Victoria Leiter posano insieme ad altri cacciatori dopo aver abbattuto una tigre vicino a Nekonda. Fotografia del 1902.
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L’ESPANSIONE COLONIALE
Le guerre boere o del Transvaal e la scoperta dell’oro in Africa La Conferenza di Berlino del 1884 fu organizzata per evitare per quanto possibile gli scontri tra le potenze coloniali europee, come quello che solo quattro anni prima era avvenuto in Sudafrica tra gli Inglesi e i coloni di origine olandese. L’obiettivo non fu raggiunto, come fu evidente nel 1899 con lo scoppio di una seconda guerra boera, molto più aspra e risolta, questa volta, a favore del Regno Unito.
Ma gli Inglesi cercavano di estendere il loro dominio in quei territori occupati dai Boeri e nel 1843 ci fu l’annessione di Natal. Quindi verso la metà del XIX secolo nel sud dell’Africa c’erano due colonie britanniche – quella del Capo e quella di Natal – e due repubbliche olandesi – Transvaal e lo Stato libero dell’Orange. La situazione cambiò quando nel 1867 furono scoperti dei diamanti nel fiume Orange e più tardi, nel 1886, l’oro a Transvaal. Gli Inglesi si affrettarono a creare delle compagnie per sfruttare queste ricchezze e allargare i loro domini e in quest’opera si distinse il magnate del settore minerario e politico Cecil Rhodes, uno dei più attivi pionieri dell’espansione coloniale britannica nel sud del continente. L’aumento della pressione britannica provocò lo scontro con gli Zulu e portò a una guerra sanguinosa nel 1879, che si risolse con la sconfitta di questi ultimi nella battaglia di Ulundi, contribuì a riaccendere la rivalità tra le due comunità – britannica e olandese – e sfociò nelle cosiddette guerre boere, che si sarebbero combattute tra il 1880 e il 1881 e tra il 1889 e il 1902. Lo scontro terminò con la firma del Trattato di Vereeniging che avrebbe portato, già nel 1910, alla scomparsa delle due repubbliche olandesi, incluse nell’Unione Sudafricana, oggi Repubblica del Sudafrica.
L’espansione coloniale francese
La parola boero indica i contadini bianchi afrikaner, cioè discendenti dai coloni olandesi che parlavano afrikaans, un dialetto olandese. Stabilitisi nella colonia del Capo dal XVII secolo, erano stati costretti, a causa della pressione britannica, a espandersi verso nord, dove nella prima metà del XIX secolo fondarono due repubbliche indipendenti, Transvaal e Orange, entrambe riconosciute rispettivamente nel 1852 e 1854, dal Regno Unito. Ma la pace non fu duratura. Nel 1877, gli Inglesi reclamarono la sovranità del Transvaal e lo annetterono ai loro domini. Tre anni dopo, i Boeri si sollevarono e sconfissero infine l’esercito britannico. Londra firmò la pace e riconobbe nuovamente l’indipendenza della repubblica, anche se non per molto tempo. Nel 1886, la scoperta dell’oro in questo territorio attirò ancora l’attenzione del Regno Unito, che facilitò l’arrivo in questa zona di migliaia di avventurieri inglesi che, come c’era a aspettarsi, provocarono disordini e tensioni. I provvedimenti presi contro di loro dal governo boero, per esempio, nel concedere i permessi per l’estrazione dell’oro, diedero infine a Londra un motivo per intervenire militarmente. Nel 1899 scoppiò di nuovo la guerra e nonostante i successi che accompagnarono la prima offensiva boera, alla fine furono gli Inglesi a imporsi. Nel febbraio del 1900, essi avevano già occupato Orange e a giugno Transvaal. La guerra, trasformatasi in “guerra di guerriglie”, si protrasse fino al 1902, pendendo sempre dalla stessa parte, quella inglese. In alto, nell’immagine, prigionieri britannici catturati dopo la battaglia di Nooitgedacht del 13 dicembre 1900, durante la prima guerra boera.
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La Francia, che durante l’era napoleonica aveva perso buona parte dei suoi possedimenti coloniali dell’Antico Regime, costruì la base della sua espansione successiva a partire dalla Restaurazione. Recuperò la Martinica, Guadalupe, SaintPierre-et-Miquelon, la Guayana, il Senegal e gli empori del Madagascar. Alla fine del regno di Carlo X si preparò una spedizione per occupare Algeri nel nord dell’Africa. Dal XVI secolo, questa zona era diventata un covo di pirati barbareschi che avevano continuamente ostacolato la navigazione nel Mediterraneo. Il Congresso di Vienna aveva trovato una soluzione per mettere fine al problema, ma non si compì nessuna azione immediata. L’Algeria faceva parte dell’impero ottomano, ma di fatto era governata da un potente pirata che aveva assunto il titolo di dey; il suo atteggiamento nei confronti della Francia provocò l’occupazione del territorio pochi giorni prima che a Parigi scoppiasse la Rivoluzione del 1830. Così, spettò al nuovo monarca Luigi Filippo il compito di inviare la spedizione. L’occupazione dell’Algeria fu lenta e le truppe francesi dovettero vincere la resistenza dei gruppi armati del comandante nazionalista Abdelkader. Infine, nel 1848 si concluse l’occupazione di tutto il territorio, anche se il totale controllo su di esso si ottenne soltanto nel 1879. I Francesi iniziarono a
stabilirsi in Algeria a partire dall’anno 1840 e dieci anni dopo c’erano già oltre 100.000 coloni. La Tunisia fu l’obiettivo successivo dell’espansione francese, che ebbe il beneplacito di Bismarck e del primo ministro inglese lord Salisbury, il quale in cambio chiese il riconoscimento dell’occupazione di Cipro. Tuttavia, la Francia si scontrò con l’opposizione dell’Italia, le cui ambizioni su questo territorio nascevano dalla vicinanza dell’isola della Sicilia. Nonostante questo, la Tunisia fu occupata dalla Francia nel 1881. In Egitto, i Francesi avevano esercitato un’evidente influenza dalla morte del potente valì Mehmet Ali nel 1848 e furono loro a portare a termine la costruzione del Canale di Suez. Tuttavia gli interessi inglesi nella regione portarono alla definizione di un controllo congiunto sul governo egiziano, per proteggere gli investimenti finanziari degli azionisti di entrambi i Paesi e finirono per rimpiazzare l’influenza francese. La Francia utilizzava il Senegal dalla fine del XVII secolo come base per il commercio degli schiavi ma a partire dal 1850 i Francesi iniziarono
a espandersi anche all’interno del territorio. Per questo si avvalsero del giovane ufficiale Louis Faidherbe, ingegnere militare nominato governatore nel 1854. Forte di una notevole esperienza nelle missioni coloniali, Faidherbe organizzò il commercio e riuscì a fare resistenza contro il capo religioso e militare islamico El Hadj Umar Tall, che aveva imposto la sua autorità sulla popolazione indigena e respingeva gli Europei. Il suo lavoro si concentrò sull’unificazione della colonia sotto il suo potere, sulla creazione di un esercito di nativi, sullo sviluppo dell’educazione e sull’abolizione della schiavitù. Altri territori dell’Africa occidentale dove i Francesi erano presenti erano il Dahomey, il Congo francese (oggi Repubblica del Congo o Congo-Brazzaville) e le odierne repubbliche di Mali, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger e Centroafricana. Questi territori si univano a quelli già occupati a nord, Mauritania e Sahara. Sulla costa dell’Oceano Indiano, la Francia aveva il Madagascar e parte della Somalia e voleva creare un passaggio che mettesse in comunicazione questi do-
IL NORD AFRICA.
I movimenti di resistenza organizzati contro l’occupazione coloniale abbondarono in tutto il continente africano. In Algeria, il corpo di spedizione francese dovette vincere la resistenza del capo nazionalista Abdelkader per quindici anni (1832-1847). In alto, Resa di Abdelkader, olio (1847 ca.) di Augustin Régis (Musée Condé, Chantilly). Dopo essere stato internato in Francia, nel 1852 fu messo in libertà per meriti e si stabilì in Siria, dove morì rispettato dai suoi vecchi nemici. 139
Il Congo, la tenuta privata del re del Belgio Leopoldo II Dalla filantropia allo sfruttamento al solo scopo di un arricchimento personale, il caso del Congo risulta emblematico per conoscere le tragiche contraddizioni dell’esperienza coloniale europea nel continente africano. Quando nell’anno 1876 Leopoldo II del Belgio creò l’Associazione Internazionale Africana, lo fece per «mettere la parola fine a questo traffico odioso [la tratta degli schiavi] che è una barbarie per l’epoca in cui viviamo». A questo scopo, nel 1879 assunse Henry Morton Stanley perché si addentrasse nell’Africa centrale e riconoscesse il corso del Congo. Fu il primo nucleo dello Stato Libero del Congo, che il monarca trasformò in sua proprietà privata. Da quel momento, mentre in Europa Leopoldo suscitava ammirazione per le sue convinzioni umanitarie, nella sua riserva africana l’unico obiettivo prefissato era ottenere più caucciù e avorio possibile al minimo costo. Per ottenerlo, il re esortava i suoi funzionari: «Bisogna sottomettere la popolazione alle nuove leggi e il più urgente e utile dei doveri è certamente il dovere del lavoro». Ed essi realizzarono i suoi desideri più del dovuto, poiché la popolazione nativa fu costretta a lavorare in condizioni di schiavitù e amputazioni, punizioni ed esecuzioni erano all’ordine del giorno. La situazione era così grave che alla fine le voci di rivolta si fecero sentire. Così, nel 1890, l’afroamericano George W. Williams dava del trafficante di schiavi a Leopoldo II. E anche se quest’ultimo riuscì a frenare lo scandalo con un’efficace campagna di propaganda, le denunce di quello che succedeva in Congo proseguirono. Lo scrittore Joseph Conrad le riassunse dicendo: «La crudeltà sistematica verso i negri è la base dell’amministrazione». Nell’immagine, fotografia del 1907 che mostra la punizione con un chicotte, una frusta che provocava lacerazioni tali da provocare la morte.
mini con quelli dell’ovest, ma si scontrò con gli interessi britannici. In Indocina, l’espansione coloniale francese ebbe la sua origine nel desiderio di ottenere concessioni commerciali e nella necessità di proteggere i prigionieri. Anche se Napoleone III aveva già inviato delle spedizioni in Estremo Oriente, fu durante la Terza repubblica che si svolse un’azione più decisa. Il presidente Jules Ferry, promotore dell’espansione, inviò una forza che obbligò la Cina ad accordare l’istituzione di un protettorato francese sui suoi Stati vassalli in Indocina: Annam e Tonkin. Alla fine del XIX secolo, l’impero coloniale francese comprendeva una serie di colonie sparse in tutto il mondo, il cui nucleo principale si trovava nel continente africano, che comprendeva nel complesso un’area di otto milioni di chilometri quadrati (quattordici volte la superficie della Francia). In questi territori ci fu sempre una scarsa presenza di coloni provenienti dalla madrepatria, ma l’azione culturale francese si fece sentire comunque in modo intenso sulle popolazioni native, grazie alla creazione di scuole e 140
all’introduzione di mezzi materiali che permisero di avvicinarsi all’orbita della civiltà europea. In Messico, l’intervento per eleggere imperatore Massimiliano d’Austria, che finì tragicamente con la sua esecuzione nel 1867, può essere considerato anch’esso come il desiderio di aprire questa nazione americana alla nuova civiltà europea mediante la sua pacificazione e l’organizzazione di un governo stabile, oltre ai progetti di apertura del Canale di Panama. Propositi a cui, senza dubbio, si univano intenzioni di carattere economico oltre che di natura umanitaria.
La Germania e altre nazioni europee Il cancelliere Bismarck si era mostrato contrario alla politica di espansione coloniale, poiché la sua idea era rafforzare la coesione interna della Germania e proiettarsi all’interno del continente europeo. Tuttavia, la pressione esercitata dalle imprese floride e dagli investitori, che volevano ampliare la loro attività commerciale, dai missionari, che volevano esercitare il proselitismo, e dai patrioti, che aspiravano a una Germania trasfor-
LEOPOLDO II. Re del Belgio dal 1865 fino alla sua morte nel 1909,
arrivò alla creazione dello Stato libero del Congo mosso dal tentativo di fare del Paese una potenza imperialista. Il suo sfruttamento lo rese uno dei personaggi più ricchi del mondo, ma gli abusi attuati sulla popolazione lo obbligarono nel 1908 a cederne l’amministrazione al parlamento belga.
mata in grande potenza mondiale, contribuirono all’avvio di una politica di espansione coloniale. A partire dall’anno 1879, gli uomini d’affari tedeschi iniziarono ad aprire la strada per la creazione di un impero oltremare. Una compagnia tedesca ottenne la concessione di privilegi sulle isole Samoa, nel Pacifico del sud, e poco dopo altre società ottennero concessioni in diversi territori africani – tra cui Togo, Camerun e Africa orientale – così come in varie isole del Pacifico, come la Nuova Guinea, che fu chiamata Terra dell’imperatore Guglielmo. Bismarck finì per spalleggiare politicamente queste azioni e nel 1884 convinse il Reichstag a trasformare legalmente questi insediamenti in colonie. Il cancelliere si proponeva così di consolidare la Germania come potenza di prim’ordine e di incoraggiare le altre potenze a ottenere nuovi domini coloniali. Prima che il cancelliere si ritirasse, la Germania aveva domini coloniali estesi su circa due milioni e mezzo di chilometri quadrati, estensione che corrispondeva a cinque volte quella dell’area metropolitana. Il kaiser Guglielmo II poté
dichiarare nell’anno 1895 che «l’impero tedesco era diventato un impero mondiale». Nel 1897, la Germania ampliò i suoi domini in Asia. L’assassinio di due missionari tedeschi in Cina servì come scusa per inviare delle truppe nella baia di Kiau Chau e ottenere alcune concessioni commerciali per i commercianti e i banchieri tedeschi. Dopo la guerra ispano-americana del 1898, la Germania comprò alla Spagna le isole Caroline, le Marianne (eccetto Guam) e le Palau nel Pacifico. L’anno successivo, d’accordo con gli Stati Uniti e con la Gran Bretagna, acquisì la maggior parte di Samoa. Anche altre nazioni europee più piccole erano in quest’epoca importanti potenze coloniali. Nel 1876 il re Leopoldo II del Belgio invitò geografi e scienziati di tutto il mondo a un incontro a Bruxelles per un aggiornamento sulle conoscenze acquisite fino ad allora sul continente africano. Leopoldo nutriva in gioventù sentimenti filantropici sui popoli primitivi e credeva che l’obbligo delle nazioni civilizzate fosse quello di svolgere su di essi un lavoro di miglioramento delle loro 141
L’ESPANSIONE COLONIALE
José Martí, poeta e padre della Rivoluzione cubana La Spagna, che era stata la più grande potenza coloniale tra il XVI e il XVIII secolo, vide svanire nel XIX secolo quello che rimaneva del suo impero. Nel 1898, Cuba ottenne l’indipendenza grazie sia agli interessi statunitensi sull’isola sia all’azione rivoluzionaria condotta da José Martí. Quest’ultimo, tuttavia, non visse abbastanza per vederla: tre anni prima era stato ucciso da soldati spagnoli. Insieme a Simón Bolívar e José de San Martín, Martí è uno dei grandi protagonisti dei movimenti di liberazione dell’America spagnola. Il suo legame con i settori che lottavano per l’indipendenza di Cuba fu precoce e a diciassette anni fu condannato a sei di lavori forzati, dai quali si liberò per la sua cattiva salute. Non sfuggì invece dalla deportazione in Spagna, che si concretizzò nel 1871. Al suo ritorno nel 1878 continuò le sue attività rivoluzionarie, che gli valsero una seconda deportazione un anno dopo. Da quel momento, e con New York come base, si dedicò totalmente alla lotta per l’indipendenza, sia in campo giornalistico e letterario sia in ciò che riguardava l’organizzazione del Partito rivoluzionario cubano o nella ricerca di appoggi interni ed esterni alla sua causa, tra i quali quello decisivo degli Stati Uniti. Nel 1895, Martí sbarcò a Cuba in testa a un piccolo contingente per preparare una nuova sollevazione. Fu ucciso il 19 maggio in un’imboscata. Nell’immagine, statua di José Martí a L’Avana.
condizioni di vita, incoraggiando il progresso e lo sviluppo. Tuttavia, il suo atteggiamento cambiò radicalmente negli anni e iniziò a considerare l’attività coloniale come una fonte di ricchezza personale. Dall’incontro di Bruxelles nacque l’Associazione Internazionale Africana, che inviò l’esploratore Henry Morton Stanley nei territori limitrofi al fiume Congo tra il 1879 e il 1884. Lì Stanley stipulò degli accordi con i capi nativi e stabilì l’influenza del re belga su territori estesi dell’interno. Nel 1885, l’Associazione Africana si trasformò in Stato libero del Congo, con Leopoldo come re assoluto. In realtà si trattava di alcuni territori che appartenevano a una società privata, ma il cui sfruttamento era gestito da funzionari belgi e i cui utili finivano nelle mani del re. Nel 1889, Leopoldo rese pubblico il suo testamento, in cui scriveva che alla sua morte avrebbe lasciato questa proprietà allo Stato belga. Per quanto riguarda l’Olanda, nel XIX secolo continuava a possedere gran parte dell’impero coloniale che aveva acquisito nel XVII secolo. Dopo aver perso dei territori a favore degli Inglesi a causa delle guerre napoleoniche, gli Olandesi 142
possedevano ancora un impero nelle Indie orientali (Giava, Sumatra, isole delle Spezie, parte del Borneo e della Nuova Guinea), oltre alle colonie di Guyana e Curaçao in America. Questi domini offrivano al piccolo Paese europeo notevoli vantaggi economici e garantivano un considerevole prestigio internazionale. Anche il Portogallo manteneva da epoche precedenti alcune importanti enclavi nel continente africano. A queste ora si aggiungeva il suo dominio sulla Guinea (Guinea-Bissau) e i territori di Mozambico e Angola. Inoltre conservò parte di Timor in Indonesia, le enclavi di Goa, Daman e Diu in India e Macao in Cina.
La liquidazione dell’impero spagnolo La monarchia spagnola era riuscita a riunire il più grande impero coloniale del mondo durante l’Età Moderna, ma le guerre napoleoniche e la Rivoluzione liberale scatenarono un processo di emancipazione delle sue colonie in America, che culminò nel 1824. A partire da quel momento, la Spagna riuscì a mantenere solo le colonie di Cuba e Porto Rico nei Caraibi e le isole Filippine nel Pacifico. Cuba era diventata una delle fonti di ricchezza più importanti della Spagna, poiché la sua produzione di zucchero, tabacco e caffè permetteva non solo il rifornimento della madrepatria ma anche un’ulteriore esportazione di questi prodotti in altri Paesi. I Cubani si resero conto delle possibilità economiche dell’isola e aumentò il loro desiderio di indipendenza. Nel 1868 scoppiò una guerra della durata di dieci anni, che fu soffocata mediante l’accordo raggiunto con i ribelli nella Pace di Zanjón. Nel 1895 si combatté la battaglia conosciuta come “Grito de Oriente o Baire” e l’insurrezione si estese con una forza mai raggiunta prima. In questa occasione gli indipendentisti avevano leader importanti che seppero guidare il movimento in modo efficace. Il più importante tra questi era José Martí, un giornalista cubano che fu costretto ad andare in esilio negli Stati Uniti a causa della sua attività rivoluzionaria; da lì riuscì a mobilitare l’opinione pubblica nordamericana affinché il governo si impegnasse per la sua causa. Gli Stati Uniti erano interessati all’emancipazione dell’isola di Cuba dal dominio spagnolo. Già il presidente Monroe aveva stabilito agli inizi del XIX secolo la necessità di favorire l’isolamento del continente dalla presenza delle grandi potenze europee (“L’America agli Americani”). Oltre agli interessi economici e agli investimenti degli Stati Uniti su Cuba, era opportuno che la Spagna non avesse più il controllo sull’economia della sua colonia. La Spagna non seppe gestire la concessione di una maggiore autonomia ai Cubani per calmare i
movimenti indipendentisti e usò la forza per sottometterli. Mandò truppe al comando del generale Valeriano Weyler, il quale utilizzò un sistema di piste, linee di fortificazione che dividevano l’isola in compartimenti stagni, allo scopo di ripulirla sistematicamente dagli insorti. La durezza con cui svolse questo compito gli valse il soprannome di “il macellaio Weyler” e servì a convincere il nuovo presidente statunitense, McKinley, della necessità di intervenire a favore degli insorti. Nel febbraio del 1898 mandò la corazzata Maine nei pressi della baia di L’Avana con la scusa di proteggere gli interessi dei cittadini nordamericani. Il giorno 15 di quel mese ci fu un’esplosione nella nave nella quale morirono alcuni marinai. Anche se in seguito si dimostrò che la Spagna non aveva niente a che vedere con l’incidente, gli Stati Uniti la accusarono all’epoca di aver provocato l’esplosione. Tutti i tentativi di negoziazione fallirono e gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Spagna il 23 aprile. La guerra ispano-americana fu molto squilibrata. Le forze spagnole non erano in grado di far fronte a quelle nordamericane, che, spinte
dalla febbre imperialista del “destino manifesto” si mostravano già come una grande potenza internazionale. La squadra che mandò la Spagna, al comando dell’ammiraglio Cervera, era formata da navi antiquate che dovettero rifugiarsi nella baia di Santiago de Cuba a causa della mancanza di combustibile. Lì furono messe alle strette dalla flotta nordamericana, che aspettava soltanto di affondarle una dopo l’altra quando Cervera ricevette l’ordine di allontanarsi da quella trappola. Non avendo tuttavia la possibilità di inviare altri aiuti dalla Spagna, il presidente del governo spagnolo Práxedes Mateo Sagasta decise di chiedere la pace. Anche le isole Filippine ottennero quell’anno la loro indipendenza, grazie anche all’aiuto nordamericano. Una flotta, al comando dell’ammiraglio Dewey, sconfisse di fronte a Cavite la flotta spagnola dell’ammiraglio Montojo. Quella doppia sconfitta, che fu confermata nella firma della Pace di Parigi (10 dicembre 1898) fu definita in Spagna come “il disastro del 98”. Mediante il trattato firmato a Parigi, la Spagna cedeva le Filippine, l’isola
LA GUERRA DI CUBA.
Le ultime tracce dell’impero coloniale spagnolo, le Filippine e Cuba, scomparvero con la Pace di Parigi del 1898. In alto, fotografia scattata intorno al 1898 di un gruppo di soldati spagnoli durante la guerra ispano-americana. Anche se la Spagna non era più una potenza mondiale da molto tempo, il cosiddetto “disastro del 98” ebbe un forte impatto nazionale, che aprì una profonda crisi morale, politica e sociale.
143
L’ESPANSIONE COLONIALE
SCONFITTE NAVALI.
La battaglia navale di Cavite (in alto, in un dipinto dell’epoca) che si combatté nella baia di Manila tra la Marina spagnola e quella statunitense, finì con una grave sconfitta della prima e risultò decisiva nella guerra impari che avrebbe avuto come conseguenza la perdita delle colonie del Pacifico: Filippine e Guam, cedute agli Stati Uniti e Marianne, Caroline e Palau, vendute alla Germania con il trattato tedesco-spagnolo del 1899.
144
di Guam e Porto Rico agli Stati Uniti in cambio di un’indennità di venti milioni di dollari e si vedeva costretta a riconoscere l’indipendenza di Cuba. Non rimaneva più niente di quell’immenso impero coloniale che la Spagna aveva costruito dal XVI secolo. A partire da quel momento, le sue modeste brame espansionistiche si sarebbero limitate all’ampliamento dei suoi domini nella zona del Nordafrica e nel Golfo di Guinea.
La ripartizione dell’Africa Per cercare di risolvere i conflitti che presentava l’occupazione coloniale dell’Africa, fu convocata alla fine del 1884 la Conferenza di Berlino, a cui parteciparono i rappresentanti di quattordici Stati. L’incontro aveva come scopo principale chiarire la questione della sovranità territoriale per determinare quali Paesi avevano il diritto di occupare i territori africani. Da una parte, c’erano Paesi, come il Portogallo, che rivendicavano il loro diritto all’occupazione motivandolo con la loro presenza sulle coste del continente da tempi antichi e che, pertanto, erano legittimati a estendersi
verso l’interno. Dall’altra, c’era chi sosteneva che il diritto di occupazione stava nel dominio effettivo del territorio (Germania e il Regno Unito). La Conferenza, che durò fino alla fine di febbraio del 1885, adottò una serie di accordi che si rifletterono in un atto generale. Si riconosceva lo Stato libero del Congo di Leopoldo II del Belgio, la libera navigazione nelle conche del fiume Congo e Niger, la libertà di commercio in Africa centrale e, soprattutto, si stabiliva che le pretese territoriali dovevano basarsi sull’effettiva occupazione. Tuttavia, questo principio fu formulato in modo così vago che quasi non aveva senso. Il problema era che non c’era più neanche un territorio che non fosse già realmente occupato da qualche Paese europeo. Per questo le pretese, che diedero origine a contrasti e conflitti tra le potenze, sarebbero state risolte non tanto in base alla presenza sul territorio quanto piuttosto al peso e al potere politico delle nazioni schierate. Si dichiarò anche l’abolizione della schiavitù e si stabilirono le linee guida dello sviluppo e del benessere dei popoli indigeni. In questo modo furono definite le basi
per la “ripartizione coloniale dell’Africa” che sarebbe stata attuata in fretta e furia mediante un intervento immediato delle potenze. Così, alla fine del XIX secolo, si configurò la cartina del continente, che si trasformò in un mosaico di possedimenti coloniali europei. Una volta stabilita la “ripartizione”, le potenze svilupparono una politica che rispondeva a due concezioni diverse: l’”assimilazione” e la “associazione”. La prima si proponeva l’integrazione tra la madrepatria e la colonia, di modo che scomparissero via via le differenze culturali e religiose tra nativi e colonizzatori e si imponesse infine uno stile di vita occidentale. Per raggiungere questo obiettivo, era necessario un sistema di governo e di amministrazione forte, guidato dalla madrepatria. Questo fu il metodo utilizzato dalle nazioni latine, come Francia e Portogallo. L’unione comportava anche uno sviluppo parallelo delle due società, quella nativa e quella europea, mantenendo la superiorità di quest’ultima per rafforzare il suo dominio coloniale. Questo fu il sistema praticato da nazioni come Gran Bretagna e Germania.
AUSTRIA UNGHERIA
FRANCIA
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Il Cairo
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SOMALIA BRITANNICA SOMALIA AFRICA ITALIANA ORIENTALE BRITANNICA
AFRICA Mombasa ORIENTALE Zanzíbar TEDESCA
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ANGOLA
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MADAGASCAR O AP LC DE A R I CA I N AF UD
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AFRICA EQUATORIALE SPAGNOLA
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San Luis Dakar GAMBIA TO GO
Che sia stato per rafforzare il nuovo status (Germania), per attenuare gli effetti della sconfitta contro la Prussia (Francia) o per conquistare nuovi mercati in cui vendere i propri prodotti (Regno Unito), l’Africa divenne l’oggetto del desiderio delle potenze europee. La colonizzazione, favorita dal lavoro di esplorazione di missionari e studiosi, fu rapida, tanto che se alla fine del decennio del 1870 la maggior parte del continente era nelle mani degli Africani, con il passaggio al nuovo secolo la proporzione si era già invertita. Come ci si può aspettare, questa espansione non fu esente da conflitti. Per esempio, le aspirazioni del re belga Leopoldo II di creare un regno centroafricano in Congo con lui stesso come sovrano si scontrarono con gli interessi che avevano nella stessa zona anche Inglesi, Francesi e Portoghesi… Per risolvere per via diplomatica i problemi della colonizzazione fu convocata nel 1884 la conferenza di Berlino, a cui parteciparono i rappresentanti di quattordici Stati. In essa si stabilirono le basi della ripartizione. Francia e Regno Unito furono i grandi favoriti, soprattutto il secondo, che si impadronì di un cammino praticamente ininterrotto che attraversava il continente da sud a nord, dalla sudafricana Città del Capo all’egizia Il Cairo. Alla Germania rimase la Namibia, la Tanzania, il Camerun mentre il Portogallo ampliò le sue tradizionali basi costiere e la Spagna e l’Italia si accontentarono di Sahara occidentale e Guinea la prima, della Somalia e della Libia la seconda.
GERMANIA BELGIO
A
Terminata la guerra franco-prussiana, l’Africa subsahariana divenne il principale scenario della rivalità tra le potenze europee. Per risolvere le loro posizioni contrapposte, nel 1884 il cancelliere tedesco Bismarck organizzò un incontro che decise la ripartizione del continente.
Colonie: Britanniche Francesi Belghe Italiane Portoghesi Spagnole Tedesche
OLANDA
GRAN BRETAGNA
M
La conferenza di Berlino del 1884 e la ripartizione dell’Africa
Città del Capo BASUTOLAND
Tutto questo processo di colonizzazione si vide accompagnato da un forte interesse degli Europei per le imprese di scoperta, l’esplorazione di terre ignote e l’incontro con etnie diverse. In questo periodo si diffusero le narrazioni e le poesie di Rudyard Kipling sull’India, o romanzi e racconti come Le miniere di re Salomone (1885), di Henry Rider Haggard o Il cuore di tenebra (1899) di Joseph Conrad. Risvegliò anche la curiosità dell’uomo occidentale per il “selvaggio”, questo essere esotico e sconosciuto che conveniva addomesticare e adattare alle necessità dell’espansionismo europeo. Da qui il successo dell’esibizione di indigeni sulle piste del circo, alle fiere o alle Esposizioni Universali. In definitiva, l’imperialismo coloniale si basava sulla ferma convinzione della maggior parte degli occidentali della superiorità della razza bianca. Questa convinzione servì come legittimazione alle grandi potenze europee per imporre il loro potere sui popoli meno sviluppati dell’Africa e di altri continenti e per rafforzare in questo modo la loro supremazia nell’ordine internazionale. 145
146
APPENDICI Il mondo e la divisione coloniale nel 1895 Cronologia comparata: Europa, America, Asia, Africa e Oceania Regnanti e statisti Bibliografia Indice analitico Immagini
148 150 152 154 155 159
NELLA PAGINA ACCANTO. Il ballo del Moulin de la Galette, di Pierre-Auguste Renoir: un capolavoro dell’Impressionismo e una testimonianza vivida della Belle Époque parigina alla fine del XIX secolo (Musée d’Orsay, Parigi).
147
APPENDICI
IL MONDO E LA DIVISIONE COLONIALE NEL 1895
1895
MAR G L AC I A L E A RT I C O
GROENLANDIA
ISLANDA
NORV Oslo CANADA
PAESI DAN BASSI REGNO UNITO Berlin Londra GERM Bruxelles BELGIO Parigi FRANCIA
Montréal
STATI UNITI
Rom Chicago
OCEANO AT L A N T I C O
New York Washington
San Francisco
PORTOGALLO SPAGNA Lisbona Madrid Algeri
MESSICO HAWAII
HONDURAS BRITANNICO
Messico
PORTO RICO ANGUILLA
GIAMAICA
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HONDURAS EL SALVADOR
NICARAGUA COSTA RICA
OCEANO PA C I F I C O
COSTA DEI MOSQUITO GALÁPAGOS
AFRICA OCCIDENTALE BARBUDA
GUADALUPA TRINIDAD MARTINICA CURA ç AO TOBAGO ST . LUCIA ST .- VINCENT BARBADOS
TOGO
GAMBIA GUINEA PORTOGHESE
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SIERRA LEONE
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GUYANA FRANCESE
COLOMBIA Quito ECUADOR
FRANCESE
Dakar
VENEZUELA GUYANA BRITANNICA Bogotá GUYANA OLANDESE
Lagos
CAM
COSTA D ’ AVORIO AFRICA EQUATORIALE SPAGNOLA ASCENSION
PERÙ Lima
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PARAGUAY Asunción
Domini:
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Impero ottomano Italia Paesi Bassi Portogallo
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Stretto di Magellano Capo Horn
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148
G L A C I A L E
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ANGLO - EGIZIANO EQUATORIALE ERITREA FRANCESE
Bombay
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SIAM Bangkok INDOCINA
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SOMALIA FRANCESE
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SOMALIA BRITANNICA
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AFRICA ORIENTALE BRITANNICA AFRICA ORIENTALE Mombasa TEDESCA
CONGO BELGA
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SWAZILAND
Città del Capo
SARAWAK BRUNEI
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MADAGASCAR
DEL SUD
COLONIA DEL CAPO / SUDAFRICA
FILIPPINE
NYASALAND
DEL NORD
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Nanchino Shanghai
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INDIA
NIGERIA
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EGITTO AFRICA
Pechino
IMPERO CINESE
Il Cairo
LIBIA
TEDESCA
MANCIURIA
BASUTOLAND
Sidney
Capo di Buona Speranza
Melbourne TASMANIA NUOVA ZELANDA
CROZET KERGUELEN
A N TA RT I C O
149
CRONOLOGIA COMPARATA EUROPA 1815-1830 Sconfitta di Napoleone a Waterloo Formazione del regno dei Paesi Bassi Congresso di Vienna Morte di Napoleone a Sant’Elena Rivoluzione del 1830 in Francia. Luigi Filippo d’Orléans, re dei Francesi Indipendenza del Belgio Fatti culturali: Prima della Nona sinfonia di Beethoven
1831-1845 Prima grande riforma elettorale in Gran Bretagna Desamortización di Mendizábal in Spagna Insurrezione repubblicana a Parigi Inizia il regno della regina Vittoria in Gran Bretagna Mazzini fonda la Giovine Italia Cartismo in Gran Bretagna Fatti culturali: Victor Hugo pubblica NotreDame de Paris
1846-1860 Rivoluzioni del 1848 in Europa La Francia instaura la Seconda repubblica Mazzini proclama la Repubblica romana Esposizione Universale di Londra Luigi Napoleone instaura il Secondo impero in Francia Comincia il regno di Alessandro II in Russia Fatti culturali: Darwin pubblica L’origine delle specie Marx ed Engels pubblicano il Manifiesto del partito comunista
AMERICA 1815-1830
1831-1845
Congresso di Tucumán e indipendenza dell’Argentina
Occupazione delle isole Malvine da parte della Gran Bretagna
Bolívar fonda la Repubblica di Colombia Piano di Iguala e indipendenza del Messico La Spagna cede la Penisola della Florida agli Stati Uniti Battaglia di Ayacucho Indipendenza della Bolivia e dell’Uruguay
Dittatura di Sant’Anna in Messico Indipendenza del Texas Pietro II, imperatore del Brasile Fatti culturali: Samuel Morse inventa il telegrafo
1846-1860 Guerra tra Messico e Stati Uniti Scoperta dell’oro in California Il Congresso accetta la California come Stato dell’Unione Si conclude la ferrovia interoceanica a Panama Costituzione federale in Messico e Venezuela
Congresso di Panama Morte di Simón Bolívar, il Liberatore
ASIA, AFRICA E OCEANIA 1815-1830 Africa: Presa di Algeri da parte dei Francesi Il re d’Olanda cede la Colonia del Capo alla Gran Bretagna L’Egitto conquista la Nubia Si crea una colonia in Africa, la futura Liberia, per gli schiavi nordamericani Oceania: Insediamento di coloni in Australia occidentale
150
1831-1845 Asia: Prima guerra dell’oppio in Cina Africa: Guerra tra Turchia ed Egitto Grande Trek dei coloni afrikaner Oceania: Trattato di Waitangi tra Polinesiani e Gran Bretagna Fondazione della città di Melbourne
1846-1860 Asia: Il commodoro Perry apre i porti del Giappone Rivolta dei Taiping in Cina. Seconda guerra dell’oppio con la Gran Bretagna Africa: Comincia la costruzione del Canale di Suez Oceania: Indipendenza dello Stato di Vittoria in Australia Febbre dell’oro in Australia
1861-1875 Garibaldi guida la “spedizione dei Mille” nel sud Italia Proclamazione del regno d’Italia Bismarck è nominato primo ministro in Prussia Alleanza austro-prussiana contro la Danimarca Si fonda la Prima Internazionale Prima Repubblica in Spagna Guerra franco-prussiana. Sconfitta della Francia a Sedan Congresso a L’Aia della AIT Fatti culturali: Pio IX pubblica il Syllabus
1876-1890 Guerra russo-turca La regina Vittoria d’Inghilterra nominata imperatrice dell’India Alessandro II di Russia muore in un attentato. Gli succede Alessandro III Congresso di Berlino per la ripartizione dell’Africa
1891-1900 La Home Rule è approvata alla Camera dei Comuni Il caso Dreyfus in Francia Nicola II, nuovo zar di Russia La Spagna perde Cuba, Porto Rico e le Filippine Fatti culturali: Marconi inventa la telegrafia senza fili
Incoronazione di Guglielmo II in Germania Dimissioni del cancelliere Bismarck Fatti culturali: Gottlieb Daimler inventa il motore a combustione interna
1861-1875
1876-1890
1891-1900
Scoppia la guerra di Secessione negli Stati Uniti
Il generale Custer muore nella battaglia di Little Bighorn
Guerra ispano-americana, con scenari a Cuba e nelle Filippine
Spedizione in Messico di Francia, Spagna e Gran Bretagna L’arciduca Massimiliano è nominato imperatore del Messico Inizio della guerra dei Dieci anni a Cuba Gli Stati Uniti comprano la Penisola dell’Alaska dalla Russia La ferrovia unisce la costa est con quella ovest degli Stati Uniti
Pace di Zanjón a Cuba Abolizione della schiavitù in Brasile Sciopero di Chicago per una giornata di otto ore Fatti culturali: Edison inventa il fonografo e la lampada elettrica
Annessione delle isole Hawaii da parte degli Stati Uniti Guerra dei Mille giorni in Colombia La Germania compra dalla Spagna le isole Marianne e Palau nel Pacifico Fatti culturali: Esposizione Universale di Chicago
Si inaugura a New York la Statua della Libertà
1861-1875
1876-1890
1891-1900
Asia: Abolizione del feudalesimo in Giappone Firma di un trattato commerciale tra Corea e Giappone Ferrovia da Tokyo a Yokohama in Giappone
Asia: Insurrezione dei samurai in Giappone Si stabilisce l’istruzione obbligatoria in Giappone
Asia: Scoppia la prima guerra cinogiapponese. L’esercito giapponese si impone su quello cinese Accordo russo-giapponese per il co-dominio sulla Corea
Africa: Inaugurazione del Canale di Suez Incontro tra Stanley e Livingstone sulle sponde del lago Tanganica
Africa: La Tunisia è occupata dalla Francia Si crea lo Stato Libero del Congo sotto il dominio di Leopoldo II del Belgio Prima guerra boera
Africa: In Sudan, incidente di Fascioda tra Francia e Inghilterra Comincia la seconda guerra boera
151
APPENDICI
REGNANTI E STATISTI Presidenti della Repubblica
REGNO UNITO Re Giorgio III Giorgio IV Guglielmo IV Vittoria
1801-1820 1820-1830 1830-1837 1837-1901
Primi ministri Robert Banks Jenkinson George Canning Frederick John Robinson Arthur Wellesley Charles Grey William Lamb Arthur Wellesley Robert Peel William Lamb Robert Peel John Russell Edward Smith Stanley George Hamilton-Gordon Henry John Temple Edward Smith Stanley Henry John Temple John Russell Edward Smith Stanley Benjamin Disraeli William Ewart Gladstone Benjamin Disraeli William Ewart Gladstone Robert Gascoyne-Cecil William Ewart Gladstone Robert Gascoyne-Cecil William Ewart Gladstone Archibald Primrose
1812-1827 1827 1827-1828 1828-1830 1830-1834 1834 (lug.-nov.) 1834 (nov.-dic.) 1834-1835 1835-1841 1841-1846 1846-1852 1852 (feb.-dic.) 1852-1855 1855-1858 1858-1859 1859-1865 1865-1866 1866-1868 1868 (feb.-dic.) 1868-1874 1874-1880 1880-1885 1885-1886 1886 (feb.-lug.) 1886-1892 1892-1894 1894-1895
FRANCIA Re Luigi XVIII Carlo X Luigi Filippo d’Orléans Napoleone III (presidente) Napoleone III (imperatore) 152
1814-1824 1824-1830 1830-1848 1848-1852 1852-1870
Adolphe Thiers Patrice de Mac Mahon Jules Grévy Marie François Sadi Carnot Jean Casimir-Perier Félix Faure
1871-1873 1873-1879 1879-1887 1887-1894 1894-1895 1895-1899
BELGIO Erasmo Luis Surlet de Chokier (reggente) Leopoldo I Leopoldo II
1831 (feb.-lug) 1831-1865 1865-1909
SPAGNA Re, reggenti e presidenti della Repubblica Ferdinando VII 1813-1833 Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie (reggente) 1833-1840 Baldomero Espartero (reggente) 1840-1843 Isabella II 1843-1868 Francisco Serrano (reggente) 1869-1871 Amadeo I 1871-1873 Estanislao Figueras (presidente della Repubblica) 1873 Francisco Pi y Margall (presidente della Repubblica) 1873 Nicolás Salmerón (presidente della Repubblica) 1873 Emilio Castelar (presidente della Repubblica) 1873-1874 Francisco Serrano (presidente della Repubblica) 1874 Alfonso XII 1874-1885 Maria Cristina d’Asburgo Lorena (reggente) 1885-1902
PORTOGALLO Maria I Giovanni Pietro IV Maria II Michele I Maria II Pietro V Luigi I Carlo I
1777-1816 1816-1826 1826 (mar.-mag.) 1826-1828 1828-1834 1833-1853 1853-1861 1861-1889 1889-1908
Alessandro III Nicola II
PIEMONTE-SARDEGNA Carlo Alberto Vittorio Emanuele II (Sardegna)
1831-1849 1849-1861
ITALIA Vittorio Emanuele II Umberto I
1861-1878 1878-1900
1881-1894 1894-1917
IMPERO AUSTRO-UNGARICO Francesco I Francesco I Francesco Giuseppe I
1804-1835 1835-1848 1848-1916
STATI UNITI PRUSSIA Re Federico Guglielmo III Federico Guglielmo IV Guglielmo I Federico III Guglielmo II
Presidenti 1797-1840 1840-1861 1861-1888 (Germania) 1888 (Germania) 1888-1918 (Germania)
Cancellieri Otto von Bismarck Leo von Caprivi Clodoveo di Hohenlohe-Schillingsfürst
1871-1890 1890-1894 1894-1900
SVEZIA Gustavo IV Adolfo Carlo XIII Carlo XIV Giovanni Oscar I Carlo XV Oscar II
1792-1809 1809-1818 1818-1844 1844-1859 1859-1872 1872-1907
DANIMARCA Cristiano VII Federico VI Cristiano VIII Federico VII Cristiano IX
1766-1808 1808-1839 1839-1848 1848-1863 1863-1906
RUSSIA Alessandro I Nicola I Alessandro II
1801-1825 1825-1855 1855-1881
Thomas Jefferson James Madison James Monroe John Quincy Adams Andrew Jackson Martin van Buren William Henry Harrison John Tyler James Knox Polk Zachary Taylor Millard Fillmore Franklin Pierce James Buchanan Abraham Lincoln Andrew Johnson Ulyses Grant Rutherford B. Hayes James A. Garfield Chester A. Arthur Grover Cleveland Benjamin Harrison Grover Cleveland William McKinley
1801-1809 1809-1817 1817-1825 1825-1829 1829-1837 1837-1841 1841 1841-1845 1845-1849 1849-1850 1850-1853 1853-1857 1857-1861 1861-1865 1865-1869 1869-1877 1877-1881 1881 1881-1885 1885-1889 1889-1893 1893-1897 1897-1901
IMPERO OTTOMANO Selim III Mustafà IV Mahmud II Abdülmecid I Abdülhaziz I Murad V Abdul Hamid II
1789-1807 1807-1808 1808-1839 1839-1861 1861-1876 1876 (mag.-ago.) 1876-1909 153
APPENDICI
BIBLIOGRAFIA
OPERE GENERALI BAYLY, C. A.,
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INDICE ANALITICO A
Abdelkader 138-139 Abdul Hamid II 98-99 Abdülmecid I 97 Accademia delle Scienze di Berlino 81 Achte, Auguste 133 Aden 134 Adrianopoli, Trattato di 97 Adriatico, mar 74, 97 Africa 7, 14, 15, 26-27, 60, 83, 88, 97, 105, 107, 129-135, 138141, 144-145 African Association 132 Aia, L’ Conferenza di Pace (1899) 100 Congresso (1872) 51 Alabama 116 Alaska 113 Albany 31, 33 Albertis, Sebastiano de 64 Alberto di Sassonia-CoburgoGotha 88-89, 103 Alessandro II di Russia 96, 101 Alessandro III di Russia 96, 101 Algeri 133, 138 Algeria 14, 76, 83, 138-139 Alsazia 76 Amburgo 35 America 7, 14-17, 19, 23, 25-26, 43, 48, 61, 86-87, 90, 103, 105, 108, 111-112, 117, 134, 142 America del Nord 19, 111 Amsterdam 109 Anderson, Benedict 59 Andrássy, Gyula 97 Angola 135, 142 Anhalt 35 Annam 140 Antico Regime 47, 79, 82, 86, 91, 112, 138 Anversa 35 Appomattox, battaglia di 117 Arizona 114 Arkansas 116 Arkwright, Richard 21 Art Nouveau 107 Asburgo, dinastia degli 59, 76, 77 Asia 7, 14, 19, 27, 32, 60-61, 90, 97, 105, 118, 129, 141 Associazione Britannica per l’Avanzamento della Scienza 20 Associazione Internazionale Africana 140, 142 Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL) 47, 50-51 Prima Internazionale 50, 51 Seconda Internazionale 51, 54-55 Atlantico, Oceano 31-33, 88, 135 Australia 14, 16, 18-19, 36, 104, 109, 133-134 Austria 34, 62-66, 70-71, 73-77, 94, 96, 98-101
Avana, La 142, 143 Azeglio, Massimo d’ 66
B
Bakunin, Michail 50, 51 Balaclava, battaglia di 98-99 Balcani 51, 96-98, 100-101 Baltico, Mar 32 Baltimora 14, 28, 36 Banato 77 Bangladesh 135 Baring, Evelyn 135 Basilea 31, 35 Bate, Frederick 44 Baviera 24, 35, 68, 75 Bayot, Adolphe Jean-Baptiste 113 Bayreuth 68 Bazaine, François Achille 76 Beagle vedi HMS Beagle Beaumont, battaglia di 76 Beecher Stowe, Harriet 116 Beechey, William 20 Beethoven, Ludwig van 60, 69, 79 Belgio 20, 22-23, 25, 35, 56-57, 60, 62, 76, 87, 131, 134, 140-141, 144 Bell, Alexander Graham 28, 29, 105 Belle Époque 103 Bellini, Vincenzo 79 Benin 128 Benjamin, Walter 107 Benso, Camillo conte di Cavour 60, 66-67, 74 Berlino 12, 35, 37, 46, 57, 60, 64, 71-73, 75, 81, 96-97, 99-101, 129, 132, 138, 144, 145 Conferenza di (1884) 100, 129, 132, 134, 138, 144-145 Congresso di (1878) 96-97, 99-101 Università di 46, 60, 72 Berlioz, Hector 79 Béroud, Louis 107 Besançon 42, 44 Bessemer, Henry 20 Biarritz 73 Bingham, George Caleb 110 Birmania 134 Bismarck, Otto von 70, 72-77, 87, 96, 97, 99-101, 139 Blanqui, Louis Auguste 42 Blood River, battaglia di 135 Boemia 74, 76-77, 80 Boldini, Giovanni 69 Bolívar, Simón 142 Bonaparte, Luigi 91 Bonaparte, Napoleone 60, 65-66, 70-71, 73-76, 80-83, 89-91, 94, 96, 98, 100, 103-104, 112 Boone, Daniel 110 Borbone, dinastia dei 60 Borneo 134, 142 Bosforo, Stretto del 98 Bosnia 99
Boulanger, Georges 95 boxer, rivolta dei 124, 126 Brasile 19 Brazza, Pierre Savorgnan de 130 Brazzaville 130, 139 Brema 72 Breslavia 35 Britanniche, isole 83 British and Foreign Bible Society 131 British Raj 127, 136 British South Africa Company 131 British Trade Union Congress 56 Bruck an der Mur 35 Brücke, Wilhelm 71 Bruxelles 23, 35-36, 54, 109, 141-142 Bucarest, Trattato di 100 Buffalo Bill vedi Cody, William Frederick Bulgaria 83, 99-100 Buona Speranza, Capo di 135 Burdett, Francis 87, 90 Burkina Faso 139 Burton, Richard Francis 130 Byron, George Gordon 79
C
Cabet, Étienne 43, 45 Cairo, Il 135, 145 Calais 36 Calatafimi, battaglia di 67 Calcutta 61, 136 California 15-16, 18-19, 36, 113-114, 116 Cameron, Julia Margaret 49 Camerun 141, 145 Campbell, John 131-132 Canada 16, 18-19, 36, 88, 90, 134 Canton 122-123 Caraibi 19, 142 carbonari 45, 65 Carlile, Richard 86 Carlo Alberto di Sardegna 66 Carlo X di Francia 45, 62, 91, 138 Carniola 77 Carolina del Nord 116 Carolina del Sud 116-117 Caroline, isole 141, 144 Cartwright, Edmund 21 Cavallo Pazzo 114 Cavite, battaglia di 143, 144 Cavour, conte di vedi Benso, Camillo Cecil, Robert 139 Central Pacific Railroad 31, 36 Cervera y Topete, Pascual 143 Ceylon (Sri Lanka) 19, 83 Chassériau, Théodore 112 Chéret, Jules 108 Chicago 28-29, 54-55, 103, 107-108 Chivington, John 114 Chopin, Frédéric 79 Chuenpee, battaglia di 122 Ci’an (imp.) 125
Cina 15, 19, 83, 90, 111, 118, 120-127, 134, 140-142 Cipro 134, 139 Cirenaica 97 Città del Capo 131, 135, 138, 145 Civitavecchia 70 Cixi (imp.) 124-126 Cody, William Frederick 109 Colman, Samuel 19 Colombo, Cristoforo 108 Colonia 35, 37, 46 Colorado 114 Commonwealth 134 Compagnia Britannica delle Indie Orientali 90, 104, 126-127, 134, 136 Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez 26 Comune di Parigi 94-95 Confédération Générale du Travail (CGT) 56 Confederazione Germanica 73-75 Conferenza Internazionale dei Pesi e delle Misure 20 Congo 109, 131, 133, 145 vedi anche Stato Libero del Congo; Repubblica del Congo Congo-Brazzaville 139 Conrad, Joseph 140, 145 Constable, John 80 Copenhagen 31 Corea 19, 83, 120, 124 Corona britannica 18, 127, 134, 136 Corona spagnola 75 Corot, Jean-Baptiste Camille 80 Cortés, Hernán 113 Costa d’Avorio 139 Courbet, Gustave 43 Crane, Walter 38 Crimea, Penisola di 66, 94, 96, 98, 100 Croazia 77 Croce Rossa, Ordine della 100 Cromer, conte di vedi Baring, Evelyn Crompton, Samuel 14, 21 Crystal Palace vedi Londra Cuba 113, 142-144 Cunard Steamship Line 27 Cunard, Samuel 27 Curaçao 142 Curie, Marie 29 Curie, Pierre 29 Curzon, George Nathaniel 137 Custer, George Armstrong 114
D
Dahomey, regno di 139 Dakota del Sud 114 Dale, David 44 Daman 142 Danimarca 72-74 Dardanelli, Stretto dei 98 Darlington 23, 34 155
APPENDICI
Darwin, Charles 48-50 Davis, Jefferson 116 Deák, Ferenc 77 Debussy, Claude 107 Delacroix, Eugène 80 Dewey, George 143 Dickens, Charles 40 Disraeli, Benjamin 88, 90, 97, 134, 136 Doepler, Carl Emil 83 Dole 42 Donizetti, Gaetano 79 Doré, Gustave 40 Dresda 24, 68, 72 Dreyfus, Albert 95 caso 95 Duan, principe vedi Zaiyi Due Sicilie, regno delle 64 Dumas, Alexandre (figlio) 79 Dumas, Alexandre (padre) 79 Dunant, Jean Henri 100 Düsseldorf 37
E
Edelfelt, Albert 42 Edison, Thomas Alva 29, 105 Edo, periodo 118 vedi anche Tokugawa, era Edo vedi Tokyo Edoardo di Kent 89 Edoardo I d’Inghilterra 83 Edoardo VII del Regno Unito 88 Egeo 97 Egitto 27, 61, 83, 90, 104, 131, 134-135, 139 Eiffel, Gustave 37, 107 El Hadj Umar Tall 139 El Mahdi (Mohamed Ahmad) 128 Emerson, William 136 Ems, telegramma di 75 Engel, George 55 Engels, Friedrich 42, 46, 50 Erzegovina 99 Essen 22, 23 Estremo Oriente 27, 133-134, 140 Europa 7, 14, 16-18, 22-24, 26-27, 31, 32, 34-35, 39-43, 46, 5964, 71-72, 74, 76, 79, 81-82, 85,-87, 94-98, 100-101, 111, 113, 115, 121, 130, 140
F
Faidherbe, Louis 139 Falmouth 48 Farnolls Pritchard, Thomas 37 Fascioda, incidente di 133, 135 Federico Guglielmo III di Prussia 82 Federico Guglielmo IV di Prussia 64, 72 Federico I di Baden 77 Federico III di Germania (imp.) 75, 77 Ferdinando I de Austria (imp.) 63 Ferdinando II delle Due Sicilie 63, 66 Ferdinando VII di Spagna 16, 27 Ferris, George 107-108 Ferry, Jules 95, 140 Fiandre 62 Fichte, Johann Gottlieb 60, 72, 80, 81 Filippine 142-144 156
Firenze 37, 67, 100 Fischer, Adolph 55 Flandrin, Hippolyte 70 Florida 116 Fort Laramie, Trattato di 114 Fort Sumter 117 Fourier, Charles 43, 44, 45, 46 Fox, Charles 35 Francesco Giuseppe I d’Austria (imp.) 64, 66, 74, 77, 94 Francesco II delle Due Sicilie 67 Francia 14, 20, 22-23, 25, 27, 31-32, 34, 36, 44-45, 47, 55-57, 60, 65-67, 70-71, 74-76, 79, 86-88, 90-91, 94-96, 98, 100, 101, 104-105, 107-108, 112, 118, 124, 1 30-131, 133-135, 138-139 Francoforte 37 Frénois 76 Friedrich, Caspar David 79 Fuchs, Feodor 114 Fulton, Robert 31-33
G
Galápagos, isole 48 Galizia 76, 77 Gambetta, Léon 94 Garibaldi, Giuseppe 64, 66-67 Garnier, Charles 107 Gascoyne-Cecil, Robert 97 Genova 67 Georgia 116 Géricault, Théodore 80, 82 Germania 14, 22-25, 27, 35, 46-47, 55-56, 59-62, 64, 68, 71-72, 74-77, 79-83, 87, 94, 96, 100101, 105, 124, 140-141, 144 Geronimo (capo apache) 114 Gerusalemme 24, 98, 133 Gettysburg, battaglia di 116, 117 Giappone 15, 19, 61, 83, 111, 118-121, 123, 124, 126 Giava 107, 127, 142 Gibilterra 28, 134 Gigoux, Jean-François 44 Ginevra 51 Gioberti, Vincenzo 65 Giovani Turchi 98 Giovine Italia 65 Girardin, Émile de 108 giubbe rosse 67 vedi anche spedizione dei Mille Gladstone, William Ewart 86-88, 90, 131 Glasgow 31 Goa 142 Goethe, Johann Wolfgang von 60, 79 Gorchakov, Alexandr 97 Gordon, Charles George 128, 131 Gould, Elizabeth 48 Gran Bretagna 13-14, 20, 22-23, 25-28, 30-32, 47, 54-55, 66, 79, 82, 87, 90, 94, 98-101, 112, 115, 122-123, 134 Grande Trek, il 135 Grandi Laghi, regione dei 31 Grant, Ulysses S. 117 Gravelotte, battaglia di 76 Great Rift Valley 134 Grecia 79, 83, 97, 111
Grimm, Jacob 80 Grimm, Wilhelm 80 Grito de Oriente o Baire, sollevazione del 142 Guadalupe 113, 138 Guadalupe Hidalgo, Trattato di 113 Guam 141, 143-144 Guangxu (imp.) 125 Guayana 138 guerra anglo-zulù 132 guerra austro-prussiana 70, 74-75 guerra Boshin 118 guerra cino-giapponese, prima 121, 124 guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti 134 guerra d’Indipendenza greca 97 guerra d’Indipendenza ungherese 62 guerra delle Sette settimane vedi guerra austro-prussiana guerra di Black Hills 114 guerra di Crimea 66, 94, 96, 98-100 guerra di Cuba 142 guerra di Secessione americana 16, 61, 108, 114, 116-118 guerra franco-prussiana 22, 70, 72, 75-76, 103, 105, 145 guerra ispano-americana 113, 141, 143 guerra russo-turca 97, 100-101 guerre apache 114 guerre boere 134, 138 guerre dell’oppio 90, 121-123, 125-126, 134 guerre napoleoniche 72, 82, 86, 135, 142 Guglielmo I di Germania (imp.) 73-77, 101 Guglielmo II di Germania (imp.) 101, 141 Guglielmo IV del Regno Unito 64, 72, 89 Guinea 141-142, 144-145 Guinea-Bissau 142 Guinea, Golfo di 144 Guizot, François 63, 86 Guyana 142
H
Hambach castello 60 Hambacher Fest 60, 62 Hardenberg, Friedrich von 79 Hardenberg, Karl August von 82 Hargreaves, James 21 Harris, Townsend 118 Hauser, Arnold 79 Haussmann, Georges Eugène 94 Havre, Le 36 Hawaii 19 Hayez, Francesco 66 Haymarket, rivolta di 54, 55, 57 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich 60, 81 Herder, Johann Gottfried von 60, 80, 81 Hertz, Heinrich Rudolf 29 Hill, Thomas 36 Hiroshige, Ando 120 HMS Beagle 48 Hobsbawm, Eric 59 Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus 79
Hohenzollern, dinastia degli 72, 75 Hölderlin, Friedrich 79 Holstein, dinastia degli 72, 73, 74, 75 Hong Kong 90, 123, 134-135 Hong Xiuquan 126 Hugo, Victor 79-80, 107 Hunt, Henry 86 Hünten, Emil 75
I
Iglesias, Pablo 47 Illuminismo 37, 42, 44, 79-80 Imperial British East Africa Company 131 impero austriaco 76 impero austro-ungarico 16, 71, 101 impero britannico 61, 95, 133-136 impero giapponese 118, 120 impero mongolo 136 impero napoleonico 60, 79 impero ottomano 66, 83, 94, 97-100, 126 impero tedesco 71, 72, 76 impero turco vedi impero ottomano India 15, 19, 21, 36, 61, 83, 88-90, 98, 104, 111, 122-123, 126-127, 134, 136, 137, 142, 145 Indiana 44, 45 Indiani, motti 127 Indiano, Oceano 19, 88, 132, 134, 135, 139 Indocina 107, 133, 139-140 Indonesia 127, 142 Ingersoll, Legge 54 Inghilterra 20, 23-25, 28, 34-35, 55, 56, 60, 63, 79, 83, 86, 88-91, 96, 98, 103, 118, 122, 123, 131-134 vedi anche Regno Unito Inkerman, battaglia di 98 International Workers’ Association (IWA) 47 vedi anche Associazione Internazionale dei Lavoratori Irlanda 18, 63, 90 Isabella II di Spagna 75, 89 Ismail Pasha 135 Italia 14, 24, 51, 56-57, 59, 60, 62, 64-68, 70, 71, 74-75, 79-80, 83, 88, 94, 101, 111, 139
J
Jackson, Andrew 112 Janet-Lange, Ange-Louis 91 Johnson, Andrew 54 Joy, George William 128 Juárez, Benito 94 Jugoslavia 76
K
Kalulu 131 Kant, Immanuel 60 Kay, John 21 Keats, John 79 Kenya 135 Kepler, Joseph 101 Ketteler, Wilhelm Emmanuel von 57 Khartum 128, 131
Kiau Chau 141 Kiel, Canale di 32 Kipling, Rudyard 129, 145 Kirkaldy, David 33 Koechlin, Maurice 107 Koehler, Robert 57 Komei (imp.) 118, 120 Königgrätz, battaglia di vedi Sadowa, battaglia di Kossuth, Lajos 77 Kropotkin, Piotr 48, 50-51 Krupp von Bohlen, Gustav 22 Krupp, Alfred 22 Krupp, famiglia 22, 23 Krupp, Friedrich 22 Krupp, Friedrich Alfred 22 Kunimasa, Utagawa 124
L
Labuan 134 Lamartine, Alphonse de 63, 79, 91 Lartigue, Henri 35 Lavigerie, Charles Martial 133 Lee, Robert E. 117 Lega Comunista 46 Lega dei Giusti vedi Lega Comunista Lega dei tre imperatori 96, 101 Legat, Antonio Remigio 67 Leiter, Mary Victoria 137 Lenin, Vladimir Ilich 130 Leone XIII (papa) 56, 57 Leopardi, Giacomo 79 Leopoldo di HohenzollernSigmaringen 75 Leopoldo II del Belgio 109, 131, 134, 140-142, 144-145 Lesseps, Ferdinand de 26-27, 32, 44, 95 Liaodong, Penisola di 124 Libia 97, 145 Lille 36 Lincoln, Abraham 116-117 Lingg, Louis 55 Lione 36 Lipsia 24, 35 Liszt, Franz 79 Litakun (Dithakong) 131 Little Bighorn, battaglia di 114 Liverpool 23, 27, 30, 33-34 Livingstone, David 130, 131, 132 Loango, regno di 130 Locke, John 85 Lombardia 64, 70 London Straits Convention 98 Londra 18, 28, 36, 40-41, 46-48, 50, 56, 65, 79, 84, 87, 89, 99, 100, 103-104, 132, 134, 135, 138 Crystal Palace 28, 103-105, 109 Esposizione Universale (1862) 47 Lorena 76 Louisiana 19, 113, 116 Lovett, William 55, 88 Lowry, J. W. 21 Ludd, Ned 41 luddisti 40 Luigi Filippo I di Francia 62-63, 91, 98, 138 Luigi II di Baviera 68
Luigi XV di Francia 34 Luigi XVIII di Francia 45, 90
M
Mac Mahon, Patrice de 76, 94 Macao 142 Macpherson, James 83 Madagascar 138, 139 Magdeburgo 35 Magenta 66 Malesia 134 Mali 139 Malines 23 Malta 134 Malvine, isole 90 Manchester 23, 30, 34, 86, 136 Manciuria 121, 124 Manet, Édouard 91 Manica, Canale della 62 Manila 144 Manzoni, Alessandro 79 Maometto 83 Marconi, Guglielmo 29 Marianne, isole 141, 144 Marocco 83 Marsala 67 Marsiglia 65 Martens, Conrad 48 Martí, José 142 Martin, John 83 Martinica 138 Marx, Eleanor 46 Marx, Jenny 46 Marx, Karl 42, 46-47, 50, 94 Marx, Laura 46 marxismo 46-47, 50 Massimiliano I del Messico 91, 94, 140 Mauritania 139 Maxwell, James Clerk 29 Mazzini, Giuseppe 60, 65-66 McKinley, William 143 Mecklemburgo 72 Mediterraneo 15, 26-27, 50, 94, 96, 98, 134, 138 Mehmed Said Pasha 26 Mehmet Ali 83, 139 Mehnert, Ernst J. W. 96 Meier, Hermann Henrich 72 Meiji, era 15, 61, 110, 118, 120, 124 Rivoluzione 15, 118 Melbourne 109 Menzel, Adolph von 12 Mesopotamia 7 Messico 45, 91, 94, 112-114, 140 Messina, Stretto di 67 Metternich, Klemens von 98 Meucci, Antonio 28-29 Milano 51, 60, 66, 68 Minden 35 Mississippi 116 Missouri 45, 116 Modena, ducato di 64, 66 Moldavia 98-99 Moltke, Helmuth von 71, 74-77 Monroe, James 142 Monteil, Parfait-Louis 131 Montenegro 99 Montesquieu, barone di vedi Secondat, Charles- Louis de Montijo, Eugenia de 26, 32, 91
Montojo y Pasarón, Patricio 143 Montreal 36 Morse, Samuel 14, 28 Mosca 62, 80, 96 Mozambico 135, 142 Musset, Alfred de 79 Mutsuhito (imperatore Meiji) 118, 120
N
Nadar vedi Tournachon, Gaspard-Félix Namibia 145 Nanchino, Trattato di 123 Napoleone III 66, 70-71, 73-76, 89-91, 94, 96, 98, 103-104, 112, 140 Nash, Joseph 84 Nast, Thomas 18 Natal 135, 138 National Association for the Protection of Labour 55 Nebel, Carl 113 Nekonda 137 neoguelfismo 65 Nepal 135 Nero, Mar 97-99 Neustadt 60 Nevada 31 New England 115 New Harmony 44-45 New Lanark 44 New Mexico 113 New York 27, 29, 31, 33, 142 Newcomen, Thomas 14, 30 Nicola I di Russia 94, 96, 98-99 Niger 130, 139, 144 Nightingale, Florence 100 Nizza 66 Nooitgedacht, battaglia di 138 Nord, Mar del 32, 35 Nordamerica 31, 45 vedi anche America del Nord Norddeutscher Lloyd 72 Northen, Adolph 80 Nouguier, Émile 107 Novalis vedi Hardenberg, Friedrich von Nuova Caledonia 94 Nuova Guinea 141, 142 Nuova Zelanda 16, 90, 104, 133-134
O
O’Connell, Daniel 90 O’Sullivan, Timothy H. 116 Oceania 7, 15-16, 88, 90, 129, s134 Olanda 22-23, 91, 142 Ontario 36 Oppenheim, Moritz Daniel 24 Oregon 113, 116 Ossian 83 Owen, Robert 43-45
P
Pacifico, Oceano 16, 19, 88, 107, 113, 115, 118, 133, 141-142 Paesi Bassi 31, 62, 109, 118 Pakistan 134 Palatinato 60, 62 Palau 141, 144
Palermo 63, 67 Palmerston, visconte di vedi Temple, Henry John Panama, Canale di 27, 140 Parigi 7, 11, 23, 28, 31, 36, 41-43, 46, 51, 62-63, 66, 73, 76, 82, 94, 99, 103-105, 107-109, 138, 143 Pace di 66, 143 Trattato di 31, 66, 99 Park, Mungo 130 Parma, ducato di 64, 66 Parsons, Albert 55 Partito Laburista britannico 47, 56 Partito Socialdemocratico tedesco (SPD) 47 Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) 47 Paskevič, Ivan 96 Pasteur, Louis 42 Paxton, Joseph 103-104 Pechino 121-122, 124-126 Peel, Robert 88, 90 Pellizza da Volpedo, Giuseppe 51 Pereire, Émile 25, 44 Pereire, famiglia 25 Pereire, Isaac 44 Perry, Matthew Calbraith 118-119 Persia 33, 127 Persico, Golfo 97 Perú 19 Pest 77 Peterloo, massacro di 86, 87 Philadelphia 28, 51, 103, 108, 128 Philippoteaux, Henri Félix Emmanuel 63 Piemonte 64, 66-67, 99 Piemonte-Sardegna, regno di 66 Pio IX (papa) 65, 70 Place, Francis 55 Plombières 66 Plymouth 48 Poe, Edgar Allan 79 Polo, Marco 122 Polonia 28, 60, 62-63, 76, 80, 96 Portland 36 Porto Rico 113, 142, 144 Portogallo 60, 62, 142, 144-145 Praga, Trattato di (1866) 75 Prim y Prats, Juan 75 Prima guerra mondiale 22, 24, 74, 77, 85, 100-101, 103 Proudhon, Pierre-Joseph 43-44 Prussia 22, 46, 64, 70-76, 81-82, 86, 94, 96, 98, 134, 145 Pyongyang 124
Q
Qianlong (imp.) 125 Qing, dinastia 121-124, 126 Quebec 36
R
Ram Mohan Roy 61 Régis, Augustin 139 Regno Unito 14, 18, 24, 41, 46, 86,-88, 90, 97, 98, 100, 104, 105, 116, 122, 132, 134, 138, 144-145 vedi anche Gran Bretagna Regno Unito dei Paesi Bassi 62 Renania 46 157
APPENDICI
Repubblica Centroafricana 139 Repubblica del Congo 130, 139 Repubblica del Sudafrica 14, 131-132, 134, 138 Repubblica di Ezo 118 Rhodes, Cecil 138 Riassicurazione, Trattato di 101 Rider Haggard, Henry 145 Rinascimento 79, 104, 136 Risorgimento 64, 66 Rivoluzione americana 44, 134 Rivoluzione borghese (liberale) del 22, 45, 47, 62-63, 65, 72, 76, 91, 127, 138, 142 Rivoluzione Cadetta 96 Rivoluzione cubana 142 Rivoluzione del 1848 43, 47, 62, 63, 65-66, 70, 76, 91 Rivoluzione del 1868 75 Rivoluzione di Xinhai 124 Rivoluzione francese 42, 81, 103, 107 Rivoluzione industriale 12-14, 18, 20-22, 24, 39-41, 56, 71, 97, 104, 108 Roberts, Richard 21 Robespierre, Maximilien de 87 Roma 65-67, 69-70 Romania 83, 99 Romanticismo 79, 80, 83 Röntgen, Wilhelm Conrad 29 Rossini, Gioachino 79 Rosso, Mar 26-27, 97 Rothschild, famiglia 24, 25 Rothschild, Lionel de 24 Rotterdam 31-32 Rouen 36 Rousseau, Jean-Jacques 85-86 Rouvroy, Claude Henri de 36, 43, 44 Royal Niger Company 131 Ruhr 22-23, 35, 56 Russia 14, 16, 24, 26, 28, 60-62, 79-80, 82, 94-101
S
Sacro romano impero germanico 65, 72 Sadowa (o de Königgrätz), battaglia di 75, 76 Sagasta, Práxedes Mateo 143 Sahara 139, 145 Saint Louis (Missouri) 45, 54, 110 Saint-Germain 23 Saint-Pierre-et-Miquelon 138 Saint-Simon, conte di vedi Rouvroy, Claude Henri de Salieri, Antonio 68 Salisbury, marchese di vedi Cecil, Robert Samoa 141 San Martín, José de 142 San Pietroburgo 73, 96 Sand Creek 114 Sand, George (Amandine Aurore Lucile Dupin) 79 Santa Alleanza 82 Santiago de Cuba 143 Santo Stefano, Trattato di 99 Sardegna 64, 66 Sassonia 24, 35, 88, 89 Sauvestre, Stephen 107 158
Savoia 66, 70 Savoia, dinastia dei 64, 70 Schiller, Friedrich 60, 79 Schleswig-Holstein 72 Schleswig, ducato di 73 Schubert, Franz 79 Scott, Walter 79 Scozia 31, 44, 45 Sebastopoli 98, 99 Seconda repubblica francese 62-63, 70, 91, 94 Secondat, Charles-Louis de 85 Secondo impero 62, 70-71, 76-77, 90-91, 94 Sedan, battaglia di 70, 76-77, 94 Semmering 35 Senegal 138-139 Sepoy, rivolta dei 61, 90, 126-127, 134 Serbia 83, 99-100 Settimo Reggimento di Cavalleria 114 Shandong 126 Shelley, Percy Bysshe 79 Sherman, William T. 117 Shimonoseki, Trattato di 124 Shoeki, Ando 118 shogunato 118, 120 vedi anche Tokugawa, clan Shuvalov, Piotr 97 Sicilia 67, 101 Siebenpfeiffer, Philipp Jakob 60 Siemens, Carl Wilhelm 20, 32 Siemens, Werner von 29, 72 Singapore 134 Società dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi) 133 Solferino 66 Somalia 135, 139, 145 Spagna 14, 16, 24, 27, 45, 47, 51, 55, 60, 62, 75, 82, 86-88, 112-113, 141-145 Spamer, Otto 12 Spedizione dei Mille 67. vedi anche giubbe rosse Speke, John Hanning 130 Spezie, isole delle 142 Spies, August 55 Staniland, Charles J. 16 Stanley, Henry Morton 131-132, 140, 142 Stati Confederati d’America 73-75, 116, 117 Stati Pontifici 56, 64-65, 70 Stati Uniti d’America 14, 16, 18-20, 22-23, 25, 28, 32, 35-36, 43-45, 50, 54, 57, 61, 87, 103, 105, 111-116, 118, 141-144 Stato Libero d’Orange 135, 138 Stato Libero del Congo 134, 140-142, 144 Stephenson, famiglia 34 Stephenson, George 14, 23, 30, 34 Stephenson, Robert 34 Stettin (Szczecin) 35 Stockton 23, 34 Sudafrica vedi Sudafrica, Repubblica di Sudan 131, 133, 135 Sudest Asiatico 15, 19, 88, 133
Suez, Canale di 14, 19, 26-27, 32, 44, 69, 95, 134-135, 139 Sumatra 142 Svizzera 87 Sydenham 103 Sydney 109
T
Taiping, rivolta dei 123, 126 Tanzania 145 Teano 64 Teiun 110 Temple, Henry John 88, 98 Tennessee 116 Tervuren 109 Terza repubblica francese 76, 94, 95, 133, 140 Terzo Reich 22 Tesla, Nikola 109 Tesse, Paul 35 Texas 113-114, 116 Thiers, Adolphe 94 Thulstrup, Thure de 54 Timbuctù 131 Timor 142 Tirolo 77 Tocqueville, Alexis de 112 Togo 141 Tokugawa, clan 118, 120 Tokugawa, era 61, 118, 120 vedi anche Edo, periodo Tokyo 118, 120 Tongzhi (imp.) 125 Tonkin 123, 140 Torino 64, 67 Toro Seduto 114 Toscana, Gran Ducato di 64, 66 Toulouse-Lautrec, Henri de 108 Tournachon, Gaspard-Félix 27, 51, 130 Trade Unions 55 Trafalgar, battaglia di 82 Transilvania 77 Transvaal 135, 138 Trentino 74 Trevithick, Richard 12, 34 Triplice Alleanza 101 Triplice Intesa 101 Tripoli 97 Tudor, dinastia dei 60 Tunisi 101, 133, 139 Turchia 96, 98, 100 Turner, Joseph Mallord William 80
U
Uganda 133, 134 Ulundi, battaglia di 138 Ungheria 62, 64, 76, 77, 80, 83 Union Pacific 36 Unione Postale Universale 100 Unione Sudafricana vedi Repubblica del Sudafrica Unione Telegrafica Internazionale 100 Uraga 118 Utah 36
V
Valacchia 98-99 Vallonia 62 Veit, Philipp 58
Velten, Johann 47 Veneto 64, 70 Venezia 64, 67, 70, 74-75 Veracruz, battaglia di 113 Verdi, Giuseppe 32, 68, 69, 79 Vereeniging, Trattato di 138 Versailles 70, 74, 76-77, 89, 112, 116 palazzo di 76-77 Trattato di 116 Vicino Oriente 88, 98, 133 Vicksburg 117 Vienna 35, 63-64, 70, 73, 76-77, 82, 98, 129, 138 Congresso di 73, 82, 98, 129, 138 Pace di (1864) 73 Pace di (1866) 70 Vietnam 83 Villafranca, armistizio di 66 Virginia 116 Vittoria (Australia) 19 Vittoria I del Regno Unito 84, 88-89, 100, 103, 132, 134, 136-137 Vittorio Emanuele II d’Italia 64, 66, 67 Voltaire (François-Marie Arouet) 85 Vos, Hubert 125
W
Wagner, Richard 68-69, 79, 83 Walker, Arthur George 100 Washington 14, 28, 110, 114, 117 Waterloo, battaglia di 82, 86, 100 Watt, James 14, 20, 30 Weber, Carl Maria von 79 Wellesley, Arthur 88 Wellington, duca di. vedi Wellesley, Arthur Werner, Anton von 77, 97 Weyler, Valeriano 143 Wight, isola di 49, 89 Williams, George Washington 140 Wilson, Matthew Henry 116 Winterhalter, Franz Xaver 88, 89 Woodville, Richard Caton 99 Woolwich 32 Wounded Knee, massacro di 114
X
Xi’an 126 Xianfeng (imp.) 125
Y
Yokohama 120 Yoshinobu 118
Z
Zaiyi 126 Zambia 132 Zanjón, Pace di 142 Zanzibar 134, 135 Zola, Émile 43, 95 Zollverein 27, 72 Zurigo 68
IMMAGINI Fotografie: Age FotoStock: 39, 122-123, 122; Aisa: 26-27, 31, 45, 48-49, 52-53, 60, 62-63, 64, 69a, 69b, 79, 81d, 84, 89bd, 116, 119b, 139, 140-141; Album: 19, 21a, 24-25, 33b, 36, 49b, 65, 67, 71, 73, 78, 87, 110, 113, 114-115, 120, 132i, 144; Album/adoc-photos: 8-9, 27, 37bd, 74, 90, 109, 133i; Album/akg-images: quarta di copertina, 10, 13, 22, 23, 28, 29da, 38, 42, 51d, 59, 68, 75, 77, 80, 81i, 83b, 96-97, 100, 107, 124, 125a, 125b, 129, 131, 137d, 138; Album/Oronoz: 6, 56, 57, 103, 143; Bridgeman/Index: 4-5, 15, 16-17, 21b, 24, 30, 34i, 37ai, 40-41, 44, 48d, 51i, 58, 83a, 85, 86-87, 99, 128, 130, 136, 142; Corbis: 18, 29db, 46, 54-55, 55,
68-69, 89a, 89b, 95a, 95b, 98, 102, 104-105, 105, 108, 111, 115a, 115b, 123, 132d, 133d, 135b, 136-137; Cordon Press/ The Granger Collection: 20, 32, 33a, 37ad, 61, 96, 101, 116-117, 119a, 120-121, 126, 127, 137i, 141; Getty Images: 29dc, 48i; Erich Lessing/Album: 2, 12, 30-31, 43, 47, 50, 70, 82, 88, 91, 92-93, 112, 146; Photo Scala, Florence: 66; The Art Archive: 29i, 34d, 37bi, 106
Cartografia: Víctor Hurtado (documentazione), Merche Hernández, Eosgis. 159
STORICA
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EVA CANTARELLA Professore di Istituzioni di Diritto Romano e di Diritto Greco Antico, Università Statale di Milano; global visiting professor New York University. Autrice di: L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nel mondo greco e romano, Feltrinelli.
PAOLO MATTHIAE Professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico, Università di Roma La Sapienza; direttore della Missione Archeologica Italiana a Ebla; membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Autore di: Ebla, un impero ritrovato, Einaudi.
VITTORIO BEONIO BROCCHIERI Professore di Storia moderna (Università degli Studi della Calabria); membro del collegio della scuola di dottorato Andre Gunder Frank. Autore di: Celti e Germani. L’europa e i suoi antenati Encyclomedia Publishers.
MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History. Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella.
YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President, Digital, RACHEL LOVE, Vice President, Book Publishing, CYNTHIA COMBS, ARIEL DEIACO-LOHR, DIANA JAKSIC, JENNIFER LIU, RACHELLE PEREZ COMMUNICATIONS
BETH FOSTER Vice President RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE
PETER H. RAVEN Chairman JOHN M. FRANCIS Vice Chairman PAUL A. BAKER, KAMALIJIT S. BAWA, COLIN A. CHAPMAN, KEITH CLARKE, J. EMMETT DUFFY, CAROL P. HARDEN, KIRK JOHNSON, JONATHAN B. LOSOS, JOHN O’LOUGHLIN, NAOMI E. PIERCE, JEREMY A. SABLOFF, MONICA L. SMITH, THOMAS B. SMITH, WIRT H. WILLS
21/1/16 11:45