Speciale Storica n°25 - L'Europa Verso L'oriente

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NUOVE ROTTE VERSO ORIENTE




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INDICE INTRODUZIONE

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IL CROCEVIA DEL MEDITERRANEO Dossier: La nascita della banca

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DALLA GROENLANDIA A PECHINO

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NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE

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COMMERCIO ED ESPANSIONE

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PORTOGALLO E CASTIGLIA Dossier: Le ricche fiere medievali

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COLOMBO E LE INDIE

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TRA OCCIDENTE E ORIENTE Dossier: Navi e strumenti di navigazione

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APPENDICI Nuove rotte verso Oriente (XIII-XV secolo) Cronologia comparata: Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente, Asia, Africa e America Bibliografia Indice analitico Immagini

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PAGINA 2. Dio padre come creatore (1225) in una miniatura del manoscritto Bible moralisée. Codex Vindobonensis (Österreichische Nationalbibliothek, Vienna). PAGINE 4 E 5. Valle delle Grotte dei Mille Buddha, a Bezeklik, vicino all’antica città di Gaochang, in piena Via della Seta. NELLA PAGINA ACCANTO. Miniatura del foglio 141r del manoscritto illuminato

Il libro delle meraviglie del mondo, del 1410-1412, che mostra Jean de Mandeville mentre prende commiato prima di lasciare l’Inghilterra per intraprendere il suo viaggio a Oriente (Biblioteca Nazionale, Parigi).

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INTRODUZIONE

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l XIII secolo aprì un nuovo capitolo nella lunga storia delle relazioni internazionali. Fu l’epoca in cui il più grande degli imperi dei tempi, quello mongolo, arrivò a controllare l’area del Vicino e dell’Estremo Oriente. Mentre la marineria araba trasformava l’Oceano Indiano in una perfetta e ben organizzata riserva musulmana, l’espansione mongola mise in atto interessanti dinamiche sul piano politico, economico e culturale. Una prima conseguenza diretta fu la riorganizzazione degli itinerari commerciali in Asia e l’unificazione di mondi molto diversi, come Persia e Cina. In secondo luogo, l’Estremo Oriente incontrò l’Occidente europeo, dove il processo di espansione che dalla fine dell’XI secolo aveva favorito il progressivo ampliamento dei contatti politici, economici e culturali, stava vivendo il suo momento di massima gloria. Durante il XIII secolo, nell’Occidente europeo si assistette a una grande crescita dei centri urbani e a un’organizzazione sempre più efficace delle monarchie che, in collaborazione con alcune famiglie dell’aristocrazia italiana, promossero nuovi contatti con Asia, Africa e Atlantico. Nella prima fase, tra la fine dell’XI secolo e la prima metà del XIV – fase che, tuttavia, raggiunse il massimo splendore nel XIII secolo, definito come l’età degli “orizzonti aperti” – questo fenomeno diede il via a un incontro di culture che contribuì all’ampliamento delle relazioni con l’Asia e con le coste mediterranee e atlantiche dell’Africa. Nella seconda fase, che arrivò al termine del XV secolo, la fine della pax mongolica, la necessità di raggiungere un progressivo equilibrio con i Turchi, le attività europee sempre più presenti nell’area atlantica e la circumnavigazione del continente africano portarono a un numero crescente di scoperte e alla creazione di una rete di relazioni mondiali che diede un impulso decisivo verso la “globalizzazione”.

PAGINE 8 E 9. Enrico il Navigatore, con in mano una caravella, si alza alla testa del gruppo scultoreo del Monumento alle scoperte di Belém (Lisbona). NELLA PAGINA ACCANTO. Ritratto di Cristoforo Colombo, olio di Ridolfo del Ghirlandaio (Museo Navale di Pegli, Genova).

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MARCO POLO. Partenza dei fratelli Polo dalla darsena di San Marco a Venezia: miniatura di un manoscritto (ca. 1400) de Li livres du Graunt Caam (Bodleian Library, Oxford). Nella pagina accanto, sigillo in bronzo (1329) della cittĂ anseatica di Stralsund (Kulturhistorisches Museum, Stralsund).

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IL CROCEVIA DEL MEDITERRANEO Agli inizi del Basso Medioevo si assistette alla progressiva comparsa di sistemi politico-economici che diedero una nuova struttura al panorama euro-mediterraneo. Le monarchie e le città, in particolare i comuni italiani, cercarono di superare le proprie frontiere, mentre la Chiesa di Roma seguì con crescente attenzione ogni fase dello sviluppo delle relazioni internazionali.

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el Mar Mediterraneo, durante l’Alto Medioevo, il trinomio città-mercatomare era un fenomeno strutturale che non subì alcuna influenza da parte delle realtà circostanti: l’imperialismo bizantino e l’espansione islamica non provocarono fratture in seno ad esso. Tra la fine dell’XI secolo e la fine del XVI, gli equilibri di forza si videro modificati da una serie di alleanze, nate in un primo momento tra gli uomini dei comuni italiani e i signori feudali di Provenza, Borgogna, Normandia e Iberia e stabilitesi più tardi anche con le corone normanna e sveva, francese, angioina, portoghese e castigliana. Nella progressiva ricomposi-

zione del frazionamento politico europeo, le nascenti monarchie e le Città-Repubblica italiane assunsero il comando di un’espansione che, ampliando le frontiere politiche, economiche e culturali, tracciò un nuovo ambito per le relazioni internazionali, in collaborazione con altre forze esterne all’Europa come i Mongoli e il mondo islamico, arabo e turco. Nel Mediterraneo orientale, dove sfociavano le vie più importanti che univano l’Occidente con il Vicino ed Estremo Oriente, i rapporti stabiliti nell’Alto Medioevo dai Bizantini, dai Giudei e dagli Arabi non subirono alcuna conseguenza dalla serie di operazioni belliche dette “crociate”, 13


IL CROCEVIA DEL MEDITERRANEO

I PRIMI VIAGGI VERSO IL NUOVO MONDO 1245-1248

Giovanni da Pian del Carpine. Si dirige a Karakorum. 1253-1255

Guglielmo da Rubruck. Si dirige a Karakorum. 1271-1295

Marco Polo. Si dirige in Cina. 1325

Ibn Battuta. Inizia i suoi viaggi in Oriente. 1402

Jean de Béthencourt. Conquista le isole Canarie. 1405-1433

Zheng He. Inizia le sue spedizioni nell’Oceano Indiano. 1414-1439

Niccolò da Conti. Percorre l’Oceano Indiano. 1419

João Gonçalves Zarco e Tristão Vaz Teixeira. Scoprono le isole di Madera. 1427

Diogo de Silves. Avvista le Azzorre. 1434

Gil Eanes. Supera Capo Bojador. 1444

Dinis Dias. Giunge a Capo Verde. 1483

Diogo Cão. Raggiunge la foce del fiume Congo. 1488

Bartolomeo Diaz. Doppia il Capo delle Tempeste o di Buona Speranza. 1492

Cristoforo Colombo. Sbarca a Hispaniola.

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né dalla presenza di avamposti mercantili e coloniali che, al contrario, rappresentarono nuove basi per relazioni più strette. Salvo per brevi periodi di scontri, non risentirono nemmeno dei contatti con Bisanzio o con la grande rete islamica che, in questo periodo, arrivava ad abbracciare, a partire dall’Oriente, la Sicilia, gran parte della Penisola Iberica e il Maghreb. Qualcosa di simile accadeva nel Mediterraneo occidentale e nell’area iberica dove, nonostante le lotte tra i regni cristiani emergenti, la stretta collaborazione economica tra l’area islamica e quella cristiana andò progressivamente ampliando le frontiere terrestri e marittime – sebbene fu accompagnata da una serie di operazioni belliche riunite più tardi sotto il nome generale di Reconquista. Nella prima metà del XII secolo, il Portogallo completò la propria unificazione che portò al controllo del Capo di San Vincenzo; la Sicilia, da parte sua, fu riconquistata dai Normanni del Sud Italia che costituirono il Gran Regno di Sicilia.

Le corone europee e la Chiesa Le corone ispaniche seguirono cammini diversi. I Castigliani raggiunsero Siviglia, Cordova e Cadice tra il 1248 e il 1262; i Catalano-Aragonesi aprirono la “Via delle spezie e delle isole” che alla fine del XIII secolo terminò con l’acquisizione di Sicilia e Sardegna. Nel 1311, la Compagnia Catalana d’Oriente conquistò Atene e fondò i ducati di Atene e Neopatria. Di tutte le corone europee, quella francese fu quella che intervenne in forma più attiva nella difesa degli insediamenti nel Vicino Oriente e nell’avvicinamento all’Oriente mongolo. Dalla fine del XIII secolo fino alla fine del XV, Angioini e Aragonesi si scontrarono per l’egemonia sul Mediterraneo. Nella prima metà del XIV secolo, mentre le relazioni con il Vicino ed Estremo Oriente rimanevano bloccate dall’espansione turca e dalla fine della pax mongolica, la corona portoghese passò all’azione nell’Atlantico, azione ripresa nel secolo seguente quando anche la Castiglia intervenne nell’espansione oceanica. Gli imperatori Federico I e Federico II di Hohenstaufen, presenti in Terra Santa, rivolsero la propria attenzione anche alle relazioni internazionali. La Chiesa di Roma si mostrò aperta ad azioni diplomatiche, alle crociate e all’evangelizzazione in Oriente e in Occidente. Per quanto riguarda l’Eurasia e la vicina Africa, particolarmente importante fu l’azione intrapresa nel XIII secolo da papa Innocenzo IV. Nel 1481 e nel 1494, i trattati di Alcáçovas-Toledo (1479-1480) e di Tordesillas (1494), che furono stipulati tra Castiglia e Portogallo, ratificarono una prima divisione del mondo tra Portoghesi e Castigliani. In primo luogo fu sta-

Il Mediterraneo, grande punto di partenza Come nell’antichità, quando le navi fenicie, greche e romane avvicinarono le sue coste, nel Medioevo il Mediterraneo fu uno spazio di scambio di grande importanza. A partire da questo, l’Europa medievale cominciò a dare forma alla propria personalità. Nel corso del Medioevo, il vecchio Mare Nostrum dei Romani continuò a essere uno spazio di comunicazione primordiale per l’Europa. Tutto ciò nonostante l’irruzione, nell’VIII secolo, di un nuovo attore: l’Islam, che rapidamente si estese nel Vicino Oriente, il Nord Africa e praticamente nella totalità della Penisola Iberica, di modo che buona parte delle sponde mediterranee orientali e occidentali si trovò sotto suo dominio. Il mare però non interessava tanto agli Stati arabi, che non arrivarono mai a organizzare una grande flotta. Questo favorì un veloce recupero dei legami tra Europa e Oriente, grazie soprattutto all’attività dei mercanti italiani e, a partire dal XIII secolo, di quelli catalani. Furono questi, attraverso la loro attività commerciale, a porre le basi di un’interconnessione che si rifletté anche nella politica e che finì per provocare un’espansione verso nuovi mondi. A destra, ingresso dell’Arsenale di Venezia.

bilito un confine a 100 leghe dalle isole Canarie, sotto il controllo della corona di Castiglia. A Tordesillas fu fissata un’altra linea di confine, questa volta a 370 leghe a est delle isole di Capo Verde. Nel 1506, la bolla Ea quae pro bono pacis di papa Giulio II confermò tale divisione. L’Occidente e l’espansione atlantica furono il tema delle bolle Dum diversas (1452) e Romanus pontifex (1455) di Nicola V, così come della Inter caetera del 1456 di Callisto III, relativa all’attività portoghese, e della Aeterni regis di Sisto IV (1481), che confermò il trattato di Alcáçovas-Toledo. Tra maggio e settembre del 1493, cinque bolle di papa Alessandro VI accompagnarono l’attività della corona di Castiglia nell’Atlantico. Ma tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI, le corone inglese e francese aprirono nuovi scenari.

I mercanti italiani Fin dall’antichità, è sempre esistita una stretta relazione tra l’Europa e i mari che la circondano. Dal Mar Baltico e dal Mare del Nord, al Mar Nero e al Mar d’Azov passando dall’Atlan-


tico e dal Mediterraneo, il continente europeo è circondato e collegato da una fascia di mare che risulta essenziale per mantenere i contatti con il resto del mondo. Il dominio sul mare è determinante per coloro che vogliono ampliare il panorama delle proprie relazioni internazionali. Durante il XIII secolo si verificò una convergenza tra le aree marittime del Nord e del Sud Europa. Questa convergenza, che in parte fu dovuta a una serie di progressi tecnici e tecnologici, mise fine al monopolio delle vie terrestri, proponendo nuovi spazi operativi complementari a quelli legati all’Eurasia, dove fino a quel momento si era andata sviluppando ogni attività europea. La storiografia ha dimostrato ampiamente che questo fenomeno di interconnessione è partito dall’Europa mediterranea. Qui, a cominciare dall’Alto Medioevo, già nel X secolo, diverse città, tra le quali si distinguevano Amalfi e Venezia, mantenevano relazioni attive con Costantinopoli, Il Cairo e Alessandria d’Egitto a complemento della stessa attività commerciale che fu sviluppata da Arabi e Giudei, i quali fino a

quel momento erano stati intermediari essenziali nelle relazioni mercantili internazionali. Durante l’XI secolo, le città dell’Europa centrooccidentale divennero il nucleo della rivoluzione commerciale e il commercio assunse un ruolo primario anche in ambito politico. Questo fenomeno fu estremamente rilevante in Italia, dove verso la fine dell’XI secolo, nella regione compresa tra le Alpi e il Tevere, nacquero le Città-Repubblica, governate da élite mercantili in cerca di nuove opportunità. Alcune di queste, grazie a un’intensa attività marittima, si convertirono nel motore principale del progressivo ampliamento delle frontiere. Le corti occidentali, sempre in guerra, vivevano essenzialmente di un’economia di consumo e, a eccezione di quelle aragonese e portoghese, avevano un continuo bisogno di capitali; inoltre, generalmente non disponevano di flotte organizzate in marine di ambito locale. Nel XIII secolo, gli Amalfitani non potevano più contare sulla propria tradizionale capacità di azione. Fin dagli inizi del XII secolo la loro attività si era svolta in un’area che raggiungeva le

I MORI DI VENEZIA.

Statua di un mercante arabo nel Campo dei Mori di Venezia, XIII secolo.

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L’espansione delle repubbliche marinare italiane Per la sua posizione centrale nel Mediterraneo, la vocazione marittima e una struttura politica basata su repubbliche governate da élite mercantili, l’Italia fu protagonista della trasformazione di questo mare in uno spazio commerciale internazionale.

Mentre altri territori europei si organizzavano come monarchie, tra il X e il XIII secolo l’Italia medievale vide fiorire una serie di repubbliche commerciali che lottarono per ottenere il controllo sul Mediterraneo. Amalfi fu la prima, seguita da Pisa, Genova e Venezia. Queste ultime due finirono per diventare, nel XIV secolo, due potenze rivali capaci di influenzare le corti d’Europa, di Bisanzio, del Vicino Oriente e del Nord Africa. Sopra, rilievo di Palazzo Mastelli a Venezia, che rappresenta un cammello carico di merci; a destra, Genova nel 1481, copia di Cristoforo Grassi del 1597 (Galata Museo del Mare, Genova).

coste meridionali del Mediterraneo, dalle terre bizantine fino ad al-Andalus, ai confini dell’immenso “impero” islamico, toccando anche il Nord Italia. Inseriti nella struttura feudale delle corone normanna, sveva, angioina e aragonese, gli Amalfitani furono progressivamente sostituiti sul mercato internazionale dai Veneziani, dai Pisani e dei Genovesi a cui, già in pieno XIII secolo, si unirono Fiorentini e Catalani. Durante tutto il Medioevo, la Repubblica di Venezia mantenne il centro dei propri interessi nel Levante Mediterraneo e in Oriente, con l’intento di monopolizzare il ricchissimo commercio delle spezie. Presenti a Costantinopoli fin dal 1084, con la quarta crociata (1202-1204) i Veneziani divennero padroni di gran parte dell’area bizantina e del Mar Egeo e continuarono a esserlo fino al 1261. In quel periodo furono obbligati a riconsiderare la propria attività nell’ottica dell’alleanza tra la dinastia greca di Nicea e i Genovesi, che a partire da allora detennero il monopolio commerciale in quasi tutto il Mar Nero e nel Mar d’Azov. Nonostante questo, i Veneziani mantennero il 16

controllo di alcune isole greche, i propri insediamenti nei territori delle crociate e, a partire dall’anno 1265, recuperarono la libertà d’azione a Soldaia (l’odierna Sudak), Trebisonda e Tana. Gli stretti e l’area strategica del Mar Nero si trovavano dunque sotto il controllo di Veneziani e Genovesi che, oltre a godere di condizioni privilegiate per il commercio e per la navigazione, controllavano l’accesso a tutte le vie più importanti verso Oriente. I mercanti veneziani erano in tutto l’Occidente, ma la loro presenza e la loro attività sulle coste dell’Atlantico erano scarse. In effetti, pur avendo toccato tutti i punti principali della costa atlantica fino ai porti inglesi e fino a Bruges con i loro convogli marittimi (mude), non investirono capitali, uomini né imbarcazioni nei viaggi di “scoperta” nei quali, al contrario, i loro antagonisti genovesi, alleati con i Portoghesi e più tardi con i Castigliani, avevano il predominio. D’altra parte, i Veneziani non si contavano nemmeno tra i protagonisti delle attività internazionali di banca e di finanza, che in pieno XIII secolo erano in mano invece a Fiorentini e Geno-


vesi, spesso appoggiati dai mercanti di Piacenza e, in misura minore, da altri mercanti “lombardi” come quelli di Asti e di Milano.

Il Mediterraneo occidentale La parte occidentale del Mar Mediterraneo rappresentava una delle aree di scontro tra Pisani e Genovesi. Con attività presenti in tutto il Mediterraneo, i Pisani, così come i Genovesi e i Veneziani, disponevano di quartieri propri e di privilegi commerciali in Egitto e nei centri principali delle coste del Vicino Oriente; come i Genovesi avevano basi a Ceuta, Bugia, Tunisi e Tripoli. La tradizione vuole che la sconfitta subita da Pisa nella battaglia di Meloria (1284) abbia dato inizio al declino inarrestabile della sua presenza internazionale, anche se essa non sparì del tutto dal panorama mediterraneo. Alla fine del XIII secolo, la supremazia marittima e mercantile nel Mediterraneo occidentale era dei Genovesi, che avevano ottenuto il controllo politico dell’area più vicina, avevano potere in Corsica ed esercitavano il loro protettorato sulla zona provenzale. Nello

stesso periodo i Pisani si videro obbligati a cedere davanti al crescente potere di Firenze, che già dominava la regione. Addirittura prima dell’ascesa fiorentina i popoli della Toscana, area di fiorente attività bancaria e creditizia, erano già presenti nell’Occidente europeo, più concretamente nelle fiere che si tenevano nella regione francese della Champagne e che rappresentavano un punto d’incontro del commercio e delle finanze a livello internazionale. In Toscana, Siena spiccava come città che aveva sviluppato attività finanziarie con i “lombardi”, mentre Lucca operava soprattutto in connessione con l’industria della seta. Durante il XIII secolo, i Fiorentini, che combinavano la loro attività nell’industria della lana con l’attività bancaria e finanziaria e col possesso di una flotta in crescita, potevano inoltre contare sull’appoggio della corona d’Angiò e sul commercio nel Mediterraneo, nell’area greca, nel Vicino Oriente e in Occidente. Così come Genova, Firenze percepiva le “decime” delle camere apostoliche in area francese, inglese e iberica. Dalle famiglie Alberti, Frescobaldi, Bonaccorsi, Bardi, Peruzzi, Acciaiuoli 17


IL CROCEVIA DEL MEDITERRANEO

UN TESTIMONE FAMOSO. Francesco di

Marco Datini (1335-1410) fu un mercante italiano che fece fortuna ad Avignone, come molti compatrioti toscani dell’epoca che approfittarono delle opportunità che la fiorente città provenzale offriva per il commercio. Di nuovo a Prato, sua città natale, Datini espanse la propria attività mediante una rete di imprese (soprattutto tessili) che da Prato, Pisa e Avignone si estesero fino a Barcellona, Valencia e Maiorca. Alla sua morte, non avendo figli che potessero ereditare, lasciò la sua immensa fortuna ai poveri. La sua fama postuma si deve senz’altro al suo straordinario archivio di lettere e registri commerciali, un ricchissimo tesoro di informazioni di ogni tipo ritrovato nel XIX secolo in una stanza segreta del suo palazzo di Prato e che è stato fonte per numerosi studi.

IL COMMERCIO NELLE CITTÀ (pag. 19). Scena

quotidiana di una città medievale italiana in un dettaglio dell’affresco Effetti del Buon Governo in Città e Campagna, di Ambrogio Lorenzetti (Palazzo Pubblico, Siena). 18

e, soprattutto, dai Medici nacque un sistema societario e imprenditoriale che si mostrava perfettamente organizzato e linearmente strutturato, anche per quanto riguarda la documentazione contabile e quella informativa. Tutto questo viene ampiamente testimoniato dai libri contabili, dai diversi registri d’impresa, dai manuali per mercanti e dal ricco campionario di lettere che sono giunte fino a noi. In questo campo, l’archivio del mercante di origini toscane Francesco di Marco Datini è considerato come la testimonianza più famosa e interessante. I Genovesi si scontrarono frontalmente con Venezia nel Mediterraneo orientale e con i Catalani nel Mediterraneo occidentale. Per contro, mantennero relazioni eccellenti con i Fiorentini nell’area occidentale e soprattutto nell’area iberica, dove erano presenti fin dall’epoca islamica. La loro marcata tendenza all’attività individuale li portò molto presto su tutte le piazze internazionali. A differenza dei Veneziani, i Genovesi non credevano nelle istituzioni forti, ma nei grandi clan familiari sui quali si fondava la loro enorme

ricchezza – ma anche la perenne fragilità di Genova come Città-Stato. Il grande clan familiare era alla base della loro rete di contatti: un sistema dotato di notevole elasticità che governava la città e si estendeva oltre il Mediterraneo sin dagli inizi del XII secolo. Riunitisi presto in gruppi familiari, consorterie di famiglie nobili (chiamati alberghi) e mescolati alle élite straniere, i Genovesi cominciarono a portare alle diverse corone europee i loro capitali, gli ammiragli, le maestranze e le navi, a gestire affitti, mercanzie e finanze e ottenere in cambio privilegi, titoli e feudi ovunque. Il loro sistema di relazioni internazionali si consolidò con un gran numero di cellule familiari disperse dall’area greca e armena fino al Mar Nero, dall’area francese fino alla Penisola Iberica e alle coste atlantiche, alle Fiandre e all’Inghilterra, e si basava su diversi moduli: quartieri, fondaci, stabilimenti privati e maone, una formula pubblicoprivata che anticipò la Compagnia delle Indie. La contabilità, i dati economici e le notizie erano una prerogativa dei notai e degli archivi familiari. I Genovesi potevano contare su potenti lobby in tutte le corti, piccole e grandi, cristiane e islamiche, arabe e turche. Proprietari di importanti flotte private ancorate nel principale porto tra il Mediterraneo e l’Atlantico, erano titolari di un’imponente massa di “capitale caldo”. Nel 1408, parte di questo capitale confluì nell’istituzione di investimento più importante d’Europa, il Banco di San Giorgio, nelle cui mani fu deposta nel 1453 anche la gestione della Corsica e delle colonie del Mar Nero. Nella “Repubblica internazionale del denaro”, la maggior parte dei nomi corrispondeva ai 28 grandi alberghi genovesi. Da questi, e anche da alcuni fiorentini, provenivano gli investimenti finanziari, d’altra parte modesti, che erano stati realizzati con la conquista delle isole Canarie e durante i viaggi intrapresi da Cristoforo Colombo, Caboto, Vasco da Gama e Verrazzano. Unici titolari di un libro dei privilegi in Castiglia, nel 1519 insieme ai Fiorentini formarono il consorzio dei mercantibanchieri che assicurò a re Carlo V la vittoria su Francesco I di Francia sulla strada per l’occupazione del trono imperiale. Con i banchieri Fugger e Welser operavano i genovesi Agostino e Antonio Fornari, Agostino e Carlo Grimaldi e il fiorentino Antonio Gualterotti.

Catalani e Anseatici Le monarchie europee, fatta eccezione per quella aragonese e quella portoghese, non offrivano alcuno spazio politico né operativo ai propri commercianti, lasciando il traffico internazionale nelle mani degli Italiani a cui venivano affidate anche le operazioni di tipo finanziario.


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IL CROCEVIA DEL MEDITERRANEO

PIETRO IV IL CERIMONIOSO.

Il monarca, che regnò dal 1336 al 1387, consolidò il dominio della corona di Aragona nel Mediterraneo. Statua in alabastro conosciuta come San Carlo Magno (1535), opera dello scultore Jaume Cascalls, che rappresenta Pietro IV (Cattedrale di Girona).

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In città importanti come Valencia, Siviglia, Lisbona, Londra e Bruges, gli Italiani poterono contare sull’approvazione dei politici. Nelle zone bizantine e islamiche, gli uomini di commercio si appoggiarono anche ai Genovesi e ai Veneziani. Sicuramente nel Mediterraneo c’erano pure altri mercanti. Tra quelli della Provenza e del Languedoc, che avevano i loro punti di riferimento a Marsiglia e nei mercati di Saint Gilles, Arles e Narbona, la relazione con i Liguri era molto forte e andava ben oltre le questioni politiche. Nel 1267 un esiliato politico, il genovese Guglielmo Boccanegra, ex capitano del popolo (capo del governo del comune), diresse la fortificazione e l’amministrazione del porto della cittadina francese di Aigues-Mortes. Nell’anno 1330, Carlo Grimaldi divenne signore di Monaco e nel 1341 un patto tra i Grimaldi genovesi e quelli monegaschi segnò la nascita ufficiale della signoria. Molto più incisiva e aggressiva di quella provenzale risultò essere, a partire dalla prima metà del XIII secolo, l’attività marittima e mercantile dei Catalani. Durante i secoli seguenti e grazie al comando di Barcellona e Valencia e all’appoggio di una corona attenta al mercato e all’espansione, i Catalani si mossero attraverso l’area occidentale del Mediterraneo acquisendo prima il controllo delle Baleari, poi della Sicilia e della Sardegna e, nel XV secolo, dopo un’estenuante guerra contro gli Angioini, quello del regno di Napoli. Ai tempi di papa Alessandro VI (1492-1503), il loro potere fu considerevole anche presso la corte romana. Ci furono costanti scontri con i Genovesi, con i quali però i Catalani continuarono a commerciare, come testimoniato dai registri del Drictus catalanorum dell’archivio di Stato di Genova. I Catalani non parteciparono direttamente alle prime operazioni atlantiche, che erano monopolio del regno di Castiglia, ma mantennero la loro attività nell’area maghrebina, nel Sud Italia e in Oriente. Nel 1346, anticipando i Portoghesi, il commerciante Jaume Ferrer superò Cabo Noun, sulla costa del Marocco. Nel 1375 vide la luce lo splendido Atles català, opera del cartografo giudeo maiorchino Abraham Cresques. Nell’area settentrionale dell’Europa, dove si registrò una precoce attività dei mercanti frisoni, il predominio scandinavo mantenne attivi i contatti con le coste del Baltico, con i porti inglesi e soprattutto con quelli danesi, che ai tempi di Canuto il Grande incorporarono ai loro domini gran parte della Norvegia, della Svezia e tutta l’Inghilterra. Estesero così la loro

I Catalani: navigatori, guerrieri e mercanti Al Mediterraneo dominato dai mercanti delle repubbliche italiane si aggiunsero, a partire dal XIII secolo, i Catalani. La corona di Aragona vide subito la possibilità di ampliare la propria attività commerciale oltre la Penisola Iberica. La conquista di Valencia e Maiorca da parte di Giacomo I significò per la corona di Aragona il culmine della sua espansione a spese dei musulmani. A partire da allora, su iniziativa della classe mercantile, la Catalogna iniziò un’espansione in cui gli interessi commerciali accompagnavano quelli politici. L’invasione della Sicilia da parte di Pietro III il Grande (1282) e la presa di Atene per mano degli Almogavari (1311) furono due dei momenti culminanti di questa espansione, durante la quale Barcellona istituì consolati e banche lungo tutta la costa mediterranea. Risale ad allora il Consolat de Mar, le cui leggi, raccolte nel Libre del Consolat de Mar (1370), costituirono la base del diritto marino comune del Mediterraneo fino agli inizi del XIX secolo. Nell’immagine, olio di José Moreno Carbonero che rappresenta Ruggero da Fiore con i suoi Almogavari che sfilano davanti all’imperatore Andronico II nel 1303 (Palazzo del Senato, Madrid).

attività dal Baltico fino all’Irlanda, si stabilirono sul Mare del Nord e sugli stretti danesi, aprirono le vie verso il nord con la navigazione verso Groenlandia e Islanda e giunsero fino a Kiev e Novgorod. Le saghe nordiche alimentarono un immaginario che, fino alla fine del Medioevo, lasciò la sua testimonianza nella cartografia, dove continuarono ad apparire i nomi delle isole di San Brandano, delle Sette Città, del Brasile e di Antilia anche dopo le prime scoperte. Il predominio scandinavo cominciò a incrinarsi tra la fine dell’XI secolo e la fine del XIII, quando nacquero i tre regni di Norvegia, Svezia e Danimarca. In questo periodo l’area nordica subì la penetrazione dei mercanti dell’area germanica dove, nel corso del XIII secolo, le città avevano acquisito un grado di indipendenza simile a quello dei comuni italiani, ma senza il controllo delle contee né colonie permanenti, nonostante l’espansione dei mercanti germanici e dei cavalieri teutonici verso Lettonia, Estonia e Lituania. Per i Tedeschi, residenti provvisori ricompensati con concessioni e privilegi, Novgorod era la testa di ponte


CANVIAR

orientale. Verso Occidente la stessa funzione era svolta da Londra, Southampton e Bergen. Il punto di contatto tra questi e le genti del Mediterraneo era Bruges, più tardi sostituita in quel ruolo da Amberes. A differenza di quanto accadeva nell’area dei comuni italiani, non c’era discordia tra le città, bensì alleanze provvisorie. Da questo sistema nacque nel 1360 la Lega Anseatica che riunì progressivamente intorno ad Amburgo e Lubecca circa 200 città, tra il mare interno di Zuiderzee e il Golfo di Finlandia. Altri avamposti commerciali erano Danzica, Visby, Brema, Riga, Colonia, Vienna, Novgorod e Venezia, che fungeva da connessione tra il Mediterraneo e le città dell’alta Germania. Intanto l’attività bancaria cresceva per mano dei Fugger, dei Welser e degli Hochstetter.

Tra Nord e Sud Europa Nel XII secolo, gli Italiani partecipavano già alle fiere delle regione francese della Champagne nelle quali venivano scambiati i pregiati prodotti orientali – trecento tipi di spezie, avorio, pietre

preziose e sete – con ferro, stagno, lane e tessuti occidentali. Prima della metà del XIII secolo era già stato aperto il passo del San Gottardo, ma veniva ancora utilizzata più frequentemente la via marittima, che implicava costi più bassi, tempi ridotti, possibilità di trasportare carichi più voluminosi e assenza di pedaggi. Esistono testimonianze della presenza di navi genovesi nelle Fiandre tra il 1277 e il 1278, alcune provenienti da Focea, che portavano allume, utilizzato nella lavorazione dei tessuti. A Bruges, grande centro di commercio, i Genovesi contavano su una nutrita presenza, un mercato e la chiesa del Santo Sepolcro; alcune famiglie erano addirittura riunite in quartieri propri. Si trattava dei Vivaldi, dei Doria e dei Cattaneo, degli Spinola, dei Lomellini, degli Adorno, dei Maruffo e di altre famiglie che sarebbero poi confluite ad Amberes. Non è quindi un caso se le imbarcazioni di Benedetto Zaccaria, degli Spinola e dei Malocello furono le prime navi del Mediterraneo a navigare fino a queste terre, dove nel 1314 fecero la loro apparizione le prime mude o convogli commerciali veneziani. 21


L’ATLANTE CATALANO DI ABRAHAM CRESQUES

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el XIV secolo, a Maiorca fiorì una scuola di cartografi i cui rappresentanti più famosi sono Abraham Cresques, magister mappamundorum et bruxolarum di re Pietro IV il Cerimonioso, e suo figlio Jehuda. A loro si attribuisce l’Atles català. Fu disegnato nell’anno 1375 e i loro stessi contemporanei ne seppero apprezzare il valore. Tanto che il primogenito del monarca, il principe Giovanni, lo regalò nel 1381 al cugino Carlo VI in occasione della sua ascesa al trono di Francia. L’Atlante consiste di sei pergamene, delle quali le ultime quattro sono cartine che rappresentano praticamente la totalità del mondo allora conosciuto, dal meridiano delle Canarie fino al Mar della Cina e dal tropico del Cancro fino al parallelo 60 N. Nell’immagine a destra, le pergamene 3 e 4, in cui sono rappresentate Finisterre, Europa e Africa (Biblioteca Nazionale, Parigi).

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LA ROSA DEI VENTI. Tra le molte particolarità che rendono l’Atles català un riferimento per la cartografia storica, si trova il fatto che in esso si era presentata per la prima volta la rosa dei venti, copiata in tutte le cartine posteriori. Questa rosa segna 32 rotte.

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CALENDARIO PERPETUO. La pergamena della copertina posteriore è un grande calendario luni-solare incorniciato dalle personificazioni delle stagioni. 22

LE ISOLE FORTUNATE.

L’Atlante dei Cresques ha come centro il Mediterraneo, ma non per questo trascura l’Oceano Atlantico. Per espresso desiderio del principe Giovanni, vi sono rappresentate tutte le isole atlantiche allora conosciute.

2 MANSA MUSA. L’atlante non è solo ricco di indicazioni cartografiche, ma anche di bandiere e legende che alludono ai territori rappresentati. Compaiono inoltre personaggi come Mansa Musa, imperatore del Mali, che si vede con una pepita d’oro in mano. GRANADA. Il cartografo segnala chiaramente le città cristiane, che si distinguono da quelle musulmane con una croce. L’eccezione è Granada, con la croce e una bandiera con segni arabi, possibile allusione al vassallaggio del regno Nazarì nei confronti di Castiglia.

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CAROVANE COMMERCIALI Il realismo delle pergamene precedenti lascia il passo a una maggiore vaghezza e fantasia nei fogli 5 e 6, che rappresentano il sultanato di Delhi (India) e il regno del Catai (Cina). L’attenzione si concentra qui sugli aspetti della vita e sui costumi dei suoi abitanti, come anche sulle rotte del commercio internazionale. La cartina di Delhi si basa in grande misura sulle descrizioni di Marco Polo, mentre quella del Catai dovette essere ancora piÚ difficile da realizzare per la mancanza di informazioni geografiche; da qui, la sua maggiore ricchezza di dettagli decorativi. A destra, particolare di una carovana sulla cartina di Delhi.

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IL CROCEVIA DEL MEDITERRANEO

LA RICCHEZZA DELLE CITTÀ ANSEATICHE.

La Lega Anseatica ebbe un’enorme influenza sullo sviluppo commerciale europeo durante tutto il Medioevo. Sopra, battiporta in bronzo (ca. 1350) del municipio di Lubecca, opera di Johannes Apengeter (Museum für Kunst und Kulturgeschichte, Lubecca). Questa città tedesca fu per diversi secoli la “capitale” della Lega Anseatica.

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Le fiere della Champagne decaddero, ma i commercianti italiani continuarono a riunirsi con gli altri mercanti a Ginevra, Besançon, Lione e Medina del Campo, dove la vivacità degli affari era garantita da un sistema finanziario molto attivo e sempre più specializzato. In effetti, la circolazione del denaro aumentò e le lettere di cambio, con il patto di ricorsa (patto di interessi), permisero la speculazione su tutte le piazze. Nell’anno 1252 fu coniata a Genova e a Firenze la moneta d’oro, utilizzata fino a quel momento solo a Bisanzio e nel mondo islamico. Nel 1287 Venezia coniò il ducato. A quel punto la bilancia dei pagamenti si inclinò a favore dell’Occidente. I legami degli Italiani con le corti europee si videro rinforzati. Di fatto continuarono a basarsi sul commercio, al quale si aggiunse un’attività bancaria e di prestiti sempre più intensa – ambito in cui i Fiorentini presero l’iniziativa nella sfera d’azione anglosassone, mentre i Genovesi furono attivi prevalentemente nella sfera castigliana. Si trattava di operazioni molto redditizie, ma anche ad alto rischio, come dimostrano i fallimenti dei fiorentini Bardi e Peruzzi verificatisi nel XIV secolo. In area atlantica si sviluppò un’intensa attività commerciale tra la zona portoghese e basca e i territori del nord. La pesca delle aringhe e del baccalà e la loro conservazione resero necessario il sale di Setubal (Portogallo), della baia di Borgneuf (Francia) o di Ibiza. Così, nel giro di due secoli, le navi basche e bretoni che portavano la lana dalla Castiglia alle Fiandre, trasportavano anche il ferro proveniente da Biscaglia attraverso il Mediterraneo, nelle cui acque navigavano inoltre barche portoghesi e un capitano di nome Bartolomeo Diaz. Nel 1487 egli avrebbe doppiato il Capo delle Tempeste, che fu conosciuto a partire da allora come Capo di Buona Speranza. Gli Anseatici, che nel 1415 erano presenti alla presa di Ceuta, parteciparono con le famiglie Imhof, Hirschvogel e Behaim. A quest’ultima famiglia apparteneva Martin, autore del mappamondo che vide la luce poco prima della scoperta dell’America. Queste presenze furono il preludio dell’inclusione dei Fugger e dei Welser nell’asse di interesse asburgico. A metà del XV secolo le imbarcazioni della Lega Anseatica aumentarono la propria presenza nel Mediterraneo: da nord trasportavano cereali, cera, legno e pece che venivano venduti in cambio di frutta secca, vino, olio, zucchero, sale, allume e indaco. In Inghilterra la presenza italiana era particolarmente significativa a Londra, Southampton e Sandwich e il possesso di Aquitania e l’alleanza con il Portogallo risvegliarono l’interesse degli Inglesi per il

La battaglia di Meloria e la fine del potere di Pisa Anche se in alcune occasioni si erano alleate inseguendo un obiettivo comune, le relazioni tra le diverse repubbliche marinare italiane erano tutt’altro che facili. Un esempio è la rivalità tra Pisa e Genova, che passarono dall’iniziale alleanza a una guerra aperta. Repubbliche vicine, entrambe con lo sguardo rivolto al Mar Tirreno, Genova e Pisa mantennero nell’XI e XII secolo relazioni molto strette, decisamente diverse dall’ostilità che dominò il loro rapporto con l’adriatica Venezia fin dal principio. Nel 1016, per esempio, la forza congiunta delle due repubbliche strappò la Corsica e la Sardegna ai musulmani. Tutto cambiò quando le navi genovesi e pisane cominciarono a lottare per l’egemonia sul Mediterraneo occidentale. I primi conflitti armati scoppiarono già nel XII secolo, ma fu il 6 agosto 1284 a segnare la sorte delle due repubbliche. Quel giorno, davanti all’isolotto di Meloria, la flotta genovese distrusse quella pisana. Per la città sconfitta, quella fu la fine del proprio ruolo di potenza marittima nel Mediterraneo. A destra, rilievo del campanile della cattedrale di Pisa che mostra due navi della flotta pisana accanto al faro di Meloria.

Mediterraneo, un interesse che risaliva ai tempi di Riccardo Cuor di Leone. Ciò nonostante, la gestione del grosso del traffico continuava a essere nelle mani degli Italiani, che spesso si addentravano anche nel Nord Europa (Scandinavia e Paesi Baltici), area poco conosciuta e considerata un’isola dai cartografi per tutto il XV secolo. Nonostante questo, durante il XIV secolo s’intensificò l’attività dei commercianti inglesi, che impararono a organizzarsi secondo modalità che avrebbero più avanti condotto alla nascita della Company of Merchant Adventurers. L’importanza del porto di Bristol aumentò; qui nel 1497 arrivò Giovanni Caboto, con il quale si inaugura la storia della presenza inglese negli oceani. Ma la guerra dei Cent’anni assorbì denaro e forze sul continente. Dopo la Guerra delle Due Rose, la salita al trono di Enrico VII Tudor risvegliò nuovamente l’interesse per il Mediterraneo e diede il via all’espansione inglese nell’Atlantico. Diverso fu il caso della marina francese, che vide la separazione dei fronti marittimo atlantico e mediterraneo. In entrambi, la corona si appog-


giò spesso a capitali italiani e alla collaborazione di flotte e ammiragli genovesi. Solo alla fine del Medioevo l’acquisizione di Provenza, Bretagna e Normandia permise alla Francia di confrontarsi con le altre marine nell’Atlantico. Molti ammiragli genovesi, con i loro uomini e con le loro imbarcazioni, si misero a servizio di Luigi IX nelle sue crociate in cambio di ricompense e feudi. Nell’anno 1295, Filippo IV mandò a chiamare i Genovesi per organizzare il primo cantiere navale francese, il Clos des Galées della città di Rouen. Le Fiandre furono un’area economica di grande importanza per la produzione tessile, legata in principio alla Francia e più tardi, dal 1405, alla contea di Borgogna e all’impero; fu anche oggetto di continui scontri tra Francesi e Inglesi. Per tutto quanto concerne le questioni marittime, il re si mise nelle mani degli ammiragli genovesi. Il primo di questi fu Benedetto Zaccaria, un uomo di commercio di origini aristocratiche, stratega di fama internazionale, vincitore della battaglia di Meloria, difensore di Tripoli in Libano, collaboratore e feudatario dell’impero bizantino – dal quale

aveva ottenuto Focea – e già ammiraglio in Castiglia. Benedetto Zaccaria pianificò, molto prima di Napoleone, un blocco navale dell’Inghilterra, idea che presentò in un breve trattato di naumachia in cui descrive i metodi per condurre la guerra per mare e per terra, così come la quantità e la tipologia delle navi, accompagnando tutto con una previsione di spesa. L’ammiraglio proponeva di devastare uno dopo l’altro i porti inglesi con l’appoggio dei ribelli gallesi e scozzesi. Nell’anno 1295 il re francese inviò in Normandia una piccola flotta di 20 galere liguri, che nei porti di Rouen e Harfleur si sommò alle navi anseatiche, fiamminghe e iberiche. Nel 1299, mentre Filippo IV il Bello invadeva le Fiandre, Benedetto Zaccaria riuscì a bloccare la foce del fiume Zwin, che portava al mare il commercio delle città di Bruges, Damme, Ypres e Lille. Nel 1304 salpò nuovamente facendo rotta verso Oriente, dove voleva condurre una crociata di donne genovesi; ottenne come feudo l’isola di Chio e il monopolio sulla produzione e il commercio del mastice. In Francia venne sostituito da Raniero Grimaldi. 25


LA NASCITA DELLA BANCA

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La nascita della banca Le necessità del nascente commercio nell’Europa dell’XI secolo portarono alla creazione di un complesso sistema finanziario dal quale emergerà con forza la figura del mercante-banchiere.

L

a rivoluzione commerciale del Medioevo portò con sé profondi cambiamenti qualitativi e rappresentò ciò che la rivoluzione industriale sarebbe stata più tardi per l’età moderna. Il suo centro era la città, dove il processo di urbanizzazione e la diffusione del commercio e del denaro si rinforzavano a vicenda. L’affermazione del denaro come strumento adattabile a qualsiasi esigenza e la nascita del capitalismo rivoluzionarono la struttura sociale e promossero una nuova cultura legata al trinomio ragione-tecnica-esperienza. Il processo non fu semplice: suscitò indifferenza e disprezzo nell’aristocrazia feudale, mentre la Chiesa condannò l’usura e l’avarizia, considerati peccati peggiori dell’orgoglio. Nonostante ciò, l’avanzata del nuovo modello ideologico portò anche grosse novità: nacque il purgatorio, cammino di salvezza per coloro che si pentivano tardi, e san Tommaso d’Aquino ammorbidì la condanna del peccato rappresentato dal prestito con interessi. Tra il X e il XIV secolo, i commercianti presero la direzione dell’economia internazionale. Anche se i primi promotori del commercio erano stati, di fatto, gli Arabi e gli Ebrei, tra gli Europei i più precoci in questa attività furono gli Italiani. Furono di fatto le Città-Stato comprese nell’area centrosettentrionale, soprattutto Venezia, Genova, Firenze e Milano, con le loro oligarchie di mercanti, quelle che crearono reti internazionali e fornirono strumenti e metodi utili per lo sviluppo del commercio. Fino all’età moderna, fatta eccezione per i Catalani nella Penisola Iberica e, in misura minore, i Tedeschi nel centro-Europa, il resto dei Paesi doveva il proprio progresso quasi esclusivamente ai mercanti

PRESTITI E USURA. Usurai in una miniatura

del Trattato sui sette vizi, realizzato a Genova nel laboratorio della famiglia Cocharelli verso l’anno 1330 (Museo Britannico, Londra).

Oro e argento, i grandi padroni del cambiamento A metà del XII secolo, la scoperta di giacimenti in Sassonia, Boemia e Tirolo inondò l’Europa d’argento e per tutto il continente comparvero nuove zecche le cui monete, necessarie come misura di valore e mezzo di pagamento, diedero un nuovo impulso al commercio. Tale fu l’invasione di monete di questo metallo che una stima fa pensare che alla fine del XIII secolo in Inghilterra circolasse più argento che nel XVI secolo. Chi la faceva da padrone tra le monete, quindi, era l’argento. La moneta d’oro si aggiungerà nel secolo seguente, sebbene rimarrà relegata alle operazioni dei mercanti-banchieri italiani, che durante il XIII secolo praticamente monopolizzavano tutto quanto era legato alla nascente banca e, inoltre, avrebbero poi gestito buona parte del commercio internazionale e delle finanze dei principi e della Chiesa. Il fiorino di Firenze, il genovino di Genova - coniati per la prima volta nel 1252 - e il ducato veneziano (1284), diventeranno nel XIV secolo e fino alla crisi monetaria del secolo XV le monete di riferimento per la costanza del loro peso e la purezza della loro lega da quasi 24 carati, la più alta della loro epoca.

LA MONETA DELLE REPUBBLICHE. Ducato che mostra l’effigie di Pietro Gradenigo, dux della Serenissima Repubblica di Venezia tra gli anni 1289 e 1311, inginocchiato davanti a san Marco.

e ai negozianti stranieri che visitavano fiere e mercati e anticipavano ingenti fondi per guerre e spese.

La comparsa del credito Nel X secolo già non si coniavano più monete d’oro e l’unico metallo prezioso che veniva utilizzato era l’argento, spesso misto al rame. Le uniche monete d’oro che circolavano erano quelle musulmane e bizantine. Per affrontare la domanda causata dall’aumento di popolazione, beni e servizi, gli uomini d’affari svilupparono l’uso del credito. Numerosi documenti italiani ci danno testimonianza di una crescita vertiginosa del movimento di capitali durante il XII secolo. Ai prestiti con interessi elevati, che erano poi crediti al consumo concessi a usura, si sommarono altri tipi di contratto con nuove forme di partecipazione e di accordi per la suddivisione di rischi e benefici. In effetti, sono pochi i contratti commerciali che risalgono a epoche più antiche, prodotti dell’esperienza mediterranea comune. Nacquero così forme societarie ordinarie e “imprese” non strettamente familiari in cui i soci portavano capitale e lavoro suddividendosi benefici e perdite e accettando depositi a interesse fisso oltre al capitale sociale. Si trattava a ogni modo di sistemi molto rischiosi, riservati al commercio via terra e usati nelle città dell’interno, come Piacenza, Asti, Lucca e Siena. Il commercio marittimo non utilizzava questi strumenti dato che il rischio era molto alto a causa di pirateria e naufragi. Nel contratto di colonna usato ad Amalfi e nell’Italia meridionale e nella fraterna veneziana, adattamento di una vecchia istituzione patriarcale, il rischio condiviso non andava oltre la durata di un viaggio. Nonostante ciò, queste tipologie di contratto non venivano già più usate nel XII secolo. Un tempo esisteva il prestito marittimo, che non implicava alcun vincolo associativo tra prestatore e 27


LA NASCITA DELLA BANCA

Nuovi strumenti per una nuova economia La formazione e il consolidamento di una classe bancaria a partire dalla rivoluzione commerciale dell’XI secolo, generò in poco tempo in Italia una serie di strumenti finanziari senza i quali l’espansione del credito, così necessario per il buon funzionamento del sistema finanziario, non sarebbe stata possibile. Uno dei più importanti fu la lettera di cambio, un documento che poteva essere usato come un mezzo di pagamento in un’operazione commerciale, una fonte di credito o un mezzo di trasferimento di fondi, utilizzabile anche in fiere e mercati in cui circolavano monete differenti; inoltre, poteva produrre utili finanziari mediante la speculazione sulle variazioni del cambio di valuta, come diremmo oggi. Queste lettere venivano consegnate al creditore, che poteva renderle effettive in un arco di tempo stabilito (di solito sei mesi) e in un altro luogo, sempre attraverso una banca. Ma queste lettere non furono l’unica innovazione: oltre ad assegni e contratti di assicurazione, è bene sottolineare soprattutto i contributi di questi primi banchieri alla contabilità. I cambiavalute e più tardi i mercanti-banchieri furono particolarmente scrupolosi nel controllare lo stato dei propri conti, sempre in cerca di efficienza e chiarezza. È loro l’introduzione di un’ampia gamma di libri di contabilità e di commercio e della contabilità a partita doppia. Nell’immagine a sinistra, documento di accettazione di lettere di cambio tra mercanti di Barcellona e Firenze, datato 1411 (Archivio Diocesano, Barcellona); a destra, dettaglio di un affresco di Niccolò di Pietro Gerini (?-1415) che mostra alcuni banchieri mentre fanno affari (Sala Capitolare della chiesa di San Francesco, Prato).

mutuatario, copriva solo un viaggio e non contemplava garanzie in caso di perdita totale. Il grande commercio internazionale richiedeva però che rischi e benefici fossero ripartiti in misura maggiore. Questa formula sparì quindi nel XII secolo, quando nacque la commenda (acomendatio) – la creazione medievale più importante in ambito contrattuale – decisamente diversa da altre formule islamiche e bizantine. La commenda contribuì in maniera straordinaria allo sviluppo del commercio marittimo. Si tratta di un contratto che univa i vantaggi del prestito marittimo a quelli del contratto societario e, in quanto tale, prevedeva la figura di un prestatore che restava in suolo patrio e che consegnava il capitale a un mutuatario. Questi viaggiava per mare portando con sé il capitale che investiva in operazioni commerciali, ma in un solo viaggio di andata e ritorno. Il prestatore si assumeva i rischi, general28

mente col diritto ai tre quarti dei benefici. Il mutuatario, da parte sua, sopportava le vicissitudini della gestione diretta con diritto unicamente a quel che restava dei profitti. Sicuramente era lui che deteneva il vero controllo della situazione e solo lui conosceva realmente l’entità dei benefici. Poteva inoltre stipulare altri contratti di questo tipo moltiplicando gli ingressi. Tutti questi contratti implicavano operazioni che non richiedevano istituzioni creditizie speciali. Per questo motivo l’attività bancaria andò sviluppandosi lentamente e in modo indipendente sui tre livelli sociali, che si specializzarono in differenti forme di credito, anche se le loro attività si potevano sovrapporre: gli usurai con pegni a garanzia, i titolari di banche di deposito e i banchierimercanti. Nel Medioevo l’attività bancaria era fondamentalmente un derivato dell’attività mercantile. Gli usurai con prestiti a garanzia erano presenti ovun-

que. Le banche di deposito derivavano dall’attività di cambiavalute. Durante il giorno, in piazza, il cambiavalute esponeva una certa quantità di monete sul suo banco o tavolo (la banca). Di notte le conservava in un forziere, deposito dei guadagni derivati dalle operazioni e delle monete destinate a coloro che ne avrebbero fatto richiesta. Era in grado di prestare denaro a un tasso di interesse inferiore a quello degli usurai con pegno a garanzia, ma anche di pagare interessi più bassi a coloro che desideravano depositare il proprio denaro. Alcuni commercianti mantenevano un conto aperto con un banchiere e completavano così le proprie transazioni senza dover usare denaro contante. Per parte sua, il cambiavalute concedeva credito attraverso l’apertura di un conto corrente anche se, in alcune occasioni, il ritiro di grandi somme lo portava alla bancarotta. Gli interessi, abbastanza bassi, non permette-


vano a questi banchieri di accumulare sufficienti ricchezze per potersi mettere in competizione con gli uomini d’affari internazionali nel finanziamento delle grandi imprese commerciali. Così, strettamente controllati dai governi, seppur incaricati di compiti molto rilevanti come anticipare il denaro, verificare la circolazione di moneta, coniarla e denunciare i falsificatori, i banchieri potevano solo dedicarsi al prestito rivolto agli artigiani e ai piccoli commercianti.

La lettera di cambio I grandi mercanti invece potevano svolgere le stesse operazioni senza temere la condanna ecclesiastica. Accettavano depositi con interessi, concedevano prestiti a interessi elevati e utilizzavano liberamente titoli di credito e lettere di cambio. Lo strumento creditizio più utilizzato nel XIII secolo per le transazioni internazionali era la “lettera di cambio”, un

contratto molto comodo per le operazioni speculative in cui una parte riceveva dall’altra un anticipo in moneta locale e ne prometteva la restituzione in altra moneta e in un altro luogo. Inizialmente il credito su grande scala fu utilizzato soltanto per alcune “imprese” mercantili italiane, ma le discordie tra soci, come accadde già con i senesi Bonsignori nel 1298 o con l’insolvenza della corona inglese, in affari con i Bardi nel 1343 e con i Peruzzi nel 1346, portarono a grossi fallimenti. Più tardi acquisirono maggiore solidità le posizioni dei mercanti-banchieri genovesi Grimaldi, Centurione, Lomellini, Spinola, Cattaneo e altri, dei fiorentini Medici e dei milanesi Borromei. Fuori dall’Italia spiccarono i Tedeschi come i Fugger e i Welser e, in Francia, Jacques Coeur. I più grandi prestatori di denaro furono i Genovesi, che mantennero la loro attività grazie, soprattutto, ai membri degli alberghi isti-

tuiti all’estero, grandi creditori di re e principi europei. A partire dal XV secolo, alle banche private si aggiunsero quelle pubbliche o semi-pubbliche. La prima di queste fu la Taula de Canvi di Barcellona, che dal 1401 divenne organo della tesoreria della città e più tardi cominciò ad accettare anche depositi privati. A Genova la banca pubblica nacque nel 1407 con il Banco di San Giorgio o Casa delle Compere di San Giorgio, che ebbe origine nel consolidamento dei prestiti privati ai comuni garantiti, dal XII secolo, dalla cessione di rendite fiscali configurate come “vendite”. La banca, che era controllata dalle principali famiglie di Genova, finanziava i comuni, funzionava come tesoreria, riceveva depositi locali ed europei e amministrava colonie e territori, cosa che la trasformò nella “cassa di tesori” europea più importante dell’epoca, funzione che conservò fino all’età moderna. 29


MARCO POLO.

ll viaggiatore in un’incisione di una traduzione tedesca de Il Milione, del 1477. Nella pagina accanto, dettaglio di un vaso di porcellana di epoca Yuan (ca. 1350) con l’immagine di Zhongli Quan, uno degli Otto Immortali (Philadelphia Museum of Art, Philadelphia). 30


DALLA GROENLANDIA A PECHINO Il punto di partenza verso l’Oriente si trovava nel Mediterraneo orientale e nel Mar Nero, zone di scambio commerciale dalle quali partivano gli itinerari terrestri e marittimi della Via della Seta. Tra il XIII e il XIV secolo, tale via rinacque grazie alla pax mongolica; la attraversarono nei loro viaggi uomini di commercio di diverse provenienze e uomini di fede di differenti religioni.

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ona di partenza delle piste carovaniere orientali e punto d’arrivo di merci preziose, il Mediterraneo orientale, con i suoi porti e le sue isole, risultava essenziale per un mercato in via di espansione. Fin dagli inizi del XII secolo e fino alla fine del XV, i punti strategici di quest’area, i porti, le isole e le diverse strade si trovavano in gran parte sotto il controllo degli Europei. La tradizione storiografica situa cronologicamente l’espansione della zona di contatto tra Oriente e Occidente – e la conseguente formazione di una rete di insediamenti all’epoca della prima crociata e delle sei che si succedettero verso la fine del XVI secolo –

tra l’Egitto e il territorio che si estende da Giaffa fino a Tripoli (Libano). I centri costieri erano in continuo fermento e vi si notava l’azione combinata delle monocrazie feudali, degli ordini militari, della Chiesa di Roma e degli uomini dei comuni italiani, il che dava origine a un ricco incontro di culture, religioni e lingue differenti. Questi centri costieri erano il punto di partenza perfetto verso il Vicino e l’Estremo Oriente e costituivano un’alternativa interessante al Mar Rosso, il cui accesso si trovava sotto il controllo dell’Egitto. In effetti l’alternativa era il Golfo Persico, al quale si giungeva partendo dagli insediamenti crociati, da Costantinopoli o dai centri del 31


DALLA GROENLANDIA A PECHINO

Mar Nero. In realtà, sulle coste meridionali del Mediterraneo si manteneva in prima linea l’Egitto, che continuò ad essere una regione cardine vitale per le comunicazioni tra Oriente e Occidente e per la presenza islamica nel Maghreb e nella Penisola Iberica fino al 1492. I documenti trovati nel XIX secolo nella genizah (lo spazio destinato a fungere da deposito di libri sacri e altri oggetti del culto ebraico, non in utilizzo) della sinagoga del Cairo provano la presenza di mercanti italiani già nell’XI secolo. Le testimonianze occidentali hanno dimostrato l’esistenza di scambi commerciali a Il Cairo, ad Alessandria e a Damietta in tutte le epoche e indipendentemente dalle crociate, anche durante l’occupazione di quest’ultima città (1219-1221) e nonostante la proibizione di rifornire l’Egitto di materiale strategico, legno, pece e armi, imposta dalla Chiesa di Roma. Era un mercato in continua attività, al quale si sommava quello degli schiavi del Mar Nero, molto richiesti dai Mamelucchi. La fine della pax mongolica a metà del XIV secolo risollevò il problema delle comunicazioni 32

con l’Estremo Oriente e favorì principalmente l’Egitto, che riprese il controllo del traffico commerciale oltre che di quello abituale dei frequenti pellegrinaggi a Gerusalemme e alla Mecca. Dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Saladino nell’anno 1187, la creazione del nuovo regno di Cipro nel 1191 rappresentò solo una soluzione temporanea alla debilitazione di un’area vessata da continui scontri interni. In alleanza con il papato e con le altre corone occidentali, Luigi IX di Francia intraprese due crociate e tentò diverse volte di allearsi con i Mongoli, fino alla propria morte nel 1270 a Tunisi. I Mongoli conquistarono Baghdad nell’anno 1258, più tardi Damasco e infine Mossul. Vennero fermati nella battaglia di Ain Yalut nel 1260, quando dominavano un vasto impero che sarebbe potuto diventare un potente alleato dell’Occidente europeo contro i Turchi. Fu in questa direzione che si mosse anche Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX e fondatore della potenza angioina in Sud Italia, Boemia, Ungheria e nel principato d’Acaia, ma anche così non riuscì a frenare la temibile avan-


Luigi IX e il primo porto francese del Mediterraneo: Aigues-Mortes Fino al 1481, quando la corona gallica incorporò la Provenza, e con essa Marsiglia, ai propri domini, la Francia non disponeva di un porto con uno sbocco diretto sul Mediterraneo. Perciò, quando il re Luigi IX decise di intraprendere la conquista della Terra Santa, una delle prime cose che fece fu costruire un porto da cui il suo esercito potesse partire. Nella prima metà del XIII secolo, la Francia non aveva un porto sul Mediterraneo. Il principale porto della zona, Marsiglia, dipendeva dai conti di Provenza, terra che ai tempi era sotto la corona di Aragona, motivo per cui il re Luigi IX il Santo decise di costruire un porto che aprisse ai commercianti del suo regno i mercati d’Italia e dell’Oriente e che gli permettesse inoltre di imbarcare le proprie truppe destinate alla settima crociata senza dover dipendere dalle navi italiane. Il luogo prescelto fu una zona di paludi (da cui il nome “acque morte”) ceduta dall’abbazia benedettina di Psalmodie in cambio di altre terre. Lì, nel 1244 l’architetto Eudes de Montreuil cominciò ad innalzare un’imponente città murata. Quattro anni più tardi, i lavori erano sufficientemente avanzati per permettere al re di marciare verso la Terra Santa, anche se solo una piccola parte delle sue navi partì infine da Aigues-Mortes. Fallita questa crociata, nel 1270 il re si imbarcò per un’ulteriore spedizione, che nuovamente partì da Aigues-Mortes con destinazione Tunisi, dove tuttavia Luigi IX si ammalò e morì, il 25 agosto. Non per questo si interruppero i lavori ad Aigues-Mortes, le cui mura furono infine terminate agli inizi del XIV secolo. Nel 1481, l’incorporazione di Marsiglia al regno di Francia mise fine al ruolo della città come porto strategico. Nell’immagine a sinistra, la città di Aigues-Mortes circondata dalle sue mura.

zata turca. Nell’area del Levante mediterraneo operavano Opizzo Fieschi – nipote di papa Innocenzo IV, diplomatico in tutta Europa e patriarca di Antiochia prima di diventare amministratore della sede vacante a Genova – e Teobaldo Visconti, più tardi pontefice con il nome di Gregorio X, che si riunì con i Polo ad Acri prima che questi partissero per la Cina. Nella zona erano in grande attività diversi personaggi locali, come Boemondo III di Antiochia e di Tripoli e suo suocero, il re Aitone I d’Armenia, che divennero vassalli dei Mongoli. Da Biblo collaborarono anche i Gibelletto, ramo dei genovesi Embriaco. Nonostante ciò, nel 1265 caddero Cesarea e Arsuf, nel 1268 Antiochia, nel 1271 il Krak dei Cavalieri e nel 1287 Laodicea. Correva l’anno 1289 quando furono prese Tripoli (Libano), Batrun, Tiro, Tartus (Tortosa), Sidone, Beirut e Haifa, mentre l’importantissimo avamposto di Acri cadde nel 1291. Nel frattempo, oltre a Cipro, erano sorti altri insediamenti genovesi a Focea, a Konya e sulle coste dell’Asia minore; nella Piccola Armenia, Ayas era un nodo essenziale del traffico con l’Oriente. No-

LE CROCIATE. Imbarco dell’esercito crociato di re Luigi IX il Santo nel porto di

Aigues-Mortes in un manoscritto illuminato francese del XV secolo. La settima crociata di Luigi IX terminò con un insuccesso, nonostante la conquista del porto egiziano di Damietta, a causa della peste e dell’inaspettata piena del Nilo.

nostante la competizione esistente tra Genovesi e Veneziani, che aveva portato alla guerra di San Saba ad Acri (1258) e alla battaglia di Curzola (1298), restava sempre aperta l’opzione Costantinopoli-Mar Nero. Al di là dei costanti scontri, considerati una delle ragioni della fragilità degli insediamenti europei, la condotta delle due più grandi potenze commerciali e marittime evidenziava una tendenza e testimoniava una complementarietà d’azione che, ben oltre i confini del Mediterraneo orientale – dove ora operavano anche Fiorentini e Catalani – abbracciava una rete d’interessi molto ampia, che eccedeva l’ambito mediterraneo. Tra il 1204 e il 1261, i Veneziani erano il pilastro dell’impero latino d’Oriente, fondato durante la quarta crociata. Controllavano Eubea, Creta, le isole del Mar Egeo e, attraverso il Mar Nero, l’accesso alle rotte orientali. Nel 1261, con il Trattato di Ninfeo, in cui Genova si dichiarava alleata della dinastia greca dei Paleologi di Nicea, la strategia genovese fece un salto in avanti. Oltre al quartiere di Costantinopoli di Pera, che controllava la 33


DALLA GROENLANDIA A PECHINO

Kublai Khan e i quattro khanati dell’impero mongolo Alla fine del secolo XII, Gengis Khan unificò i diversi clan mongoli, fino ad allora in permanente guerra tra loro, e a capo di essi diede il via a una serie di campagne militari che in pochi anni avrebbero trasformato i popoli nomadi delle steppe nel più grande impero conosciuto fino ad allora nella storia. Il suo massimo splendore arrivò con Kublai Khan, nipote di Gengis Khan. Alla sua morte invece l’impero, diviso in quattro khanati, vide l’inizio del proprio scioglimento. LIB 20 Pag. 34

Frontiere dell’impero nel 1294 Campagne di Khan Campagne dei suoi successori Grande Muraglia

Volga

Mosca PRINCIPATI RUSSI

KHANATO DELL’ORDA D’ORO Karakorum

Kiev MAR NERO

Eu

gr Ti

Costantinopoli Tabriz

Kabul

Baghdad

ILKHANATO

H IM (DINASTIA YUAN) ALA YA

Gan ge SULTANATO DI DELHI Golfo del Bengala

Mar Giallo

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OCEANO PACIFICO

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Mar Hangzhou Cinese

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Deserto del Gobi

KHANATO DI CHAGATAI

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L’impero mongolo si estendeva dal Pacifico fino al Baltico e al Mediterraneo e includeva Mongolia, Cina e Corea, le steppe e le coste russe del Mar Nero, la Persia e la Mesopotamia. Fu il frutto delle conquiste di Gengis Khan dopo l’unificazione di tutte le tribù dell’odierna Mongolia, come Tartari, Chirghisi, Keraiti, Merkit e Naimani. Alla morte del caudillo nel 1227, i suoi figli portarono avanti la sua politica di conquista mentre l’impero si divideva in una confederazione di quattro khanati che, almeno in teoria, restava sotto la supervisione di un Gran Khan eletto dall’assemblea mongola. A partire dal 1260, questo incarico fu del nipote di Gengis, Kublai Khan, sovrano di un grande khanato che comprendeva la Mongolia e, dal 1279, una Cina riunificata sotto il potere mongolo. La dinastia sino-mongola da lui fondata, quella Yuan, restò al potere fino al 1368, quando fu rovesciata da una serie di ribellioni e sostituita dalla dinastia cinese Ming. Gli altri tre khanati furono l’Orda d’Oro in Russia, Chagatai nel Turkistan e il khanato in Persia-Mesopotamia. La loro unione durò fino alla morte di Kublai Khan nel 1294. A partire da questo momento, la separazione di ciascun khanato si fece ancora più evidente e l’impero iniziò la propria disintegrazione. Il khanato cadde nel 1335 di fronte all’anarchia feudale, mentre il Chagatai, dopo essere stato diviso in due metà tra il 1334 e il 1344, fu sottomesso nel 1369 dal conquistatore turco-mongolo Tamerlano. In quanto all’Orda d’Oro, gli attacchi dello stesso Tamerlano e dei principi russi la disintegrarono in vari khanati minori dei quali solo quello di Crimea riuscì a sopravvivere fino al XVIII secolo.

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Romania genovese e i suoi centri nel Mar Egeo, i Genovesi monopolizzavano quasi completamente i porti del Mar Nero. Tra questi, Caffa (Teodosia), nel territorio tartaro di Gazaria (Crimea), divenne il principale di una variegata tipologia di insediamenti sulle sponde del Mar Nero e del Mar d’Azov, dei quali oggi rimangono numerose testimonianze monumentali e abbondanti dati documentali. Oltre a Caffa, sono comprese Samastri, Sinope, Samsun, Sebastopoli, Vicina, Kilia, Licostomo, Maurocastro (Bilhorod-Dnistrovskyi), Tana, Vosporo, Matrega, Copa, San Giorgio, Balaklava, Soldaia e Trebisonda. Qui Greci, Armeni, Siriani, Ebrei e, entro certi limiti, Saraceni e Tartari, furono protagonisti di una notevole mescolanza di interessi pur mantenendo intatte le proprie leggi e i propri culti. Dalle terre bizantine, bulgare, russe, tartare, turche e greche di Trebisonda si importavano schiavi, cereali, cera, pellami, caviale e storione, cuoio e miele, che insieme all’allume di Focea, al mastice di Chio, al cotone, ai coloranti e alle spezie, alle mussoline, alle tele damascate, ai cammellotti (tessuti fatti con pelo di cammello), alle pietre preziose, all’avorio e all’incenso costituivano l’offerta dei mercati orientali. I problemi con i Tartari di Crimea erano costanti e si verificavano frequenti incursioni e saccheggi, ma anche dopo la fine della pax mongolica, che bloccò gli itinerari orientali, gli insediamenti del Mar Nero poterono contare sulla Polonia, rivolta verso sud dato che l’Ordine Teutonico l’aveva privata degli sbocchi verso nord. Da Leopoli (Lviv), il principale mercato della provincia polacca di Galizia, partivano due itinerari: uno che arrivava fino in Crimea e l’altro fino a Maurocastro e Licostomo. Uomini d’affari genovesi, che gestivano le miniere e l’estrazione del sale, furono presenti a Cracovia fino al 1306. Nel 1325 Ladislao il Breve inviò un Genovese ad Avignone per ottenere l’appoggio di papa Giovanni XXII contro i Tedeschi. Nel 1406, il primo Veneziano in Polonia lavorò per la zecca reale e faceva affari con lo sfruttamento delle miniere. Si stabilirono anche importanti relazioni con l’Ungheria prima che Luigi il Grande (1342-1382) cercasse sbocchi sull’Adriatico, così come con i principati di Moldavia e Valacchia. Nel 1453 cadde Costantinopoli seguita da altri insediamenti genovesi e veneziani, mentre Caffa resistette fino al 1475.

I Mongoli e la Via della Seta I quattro khanati dell’impero più grande di tutti i tempi (Cina-Mongolia, Turkestan, Persia-Mesopotamia e l’Orda d’Oro russa) univano la Cina alle coste russe del Mar Nero e ai confini orientali dell’Asia minore, formando un’ampia e tranquilla rete di itinerari che coincidevano in gran parte con l’antica Via della Seta, lungo la quale gli Oc-


cidentali potevano avventurarsi per raggiungere le ricchezze dell’India, di Cipango e del Catai (Giappone e Cina), prescindendo dalla mediazione islamica. La presenza di insediamenti nel Vicino Oriente, nella regione bizantina e sulle coste del Mar Nero, nell’area persiana e armena e nel sultanato di Konya, aprì nuove prospettive economiche e soluzioni alternative alla progressiva pressione islamica. Da lì partivano gli Europei che volevano incontrare i Mongoli, che a loro volta inviavano ambasciatori alle corti europee e alla Chiesa di Roma. Questa interazione raggiunse il culmine proprio nel momento in cui si scatenò l’offensiva turca più forte. Tra la metà del XIII e la metà del XIV secolo, si registrò un intenso movimento sugli itinerari della Via della Seta. Mercanti genovesi e veneziani, diplomatici e missionari viaggiavano dal Mediterraneo verso Cambaluc (Pechino) e Zaiton (Quanzhou), ma anche verso Delhi, capitale dello Stato musulmano più vasto dell’India. Allo stesso modo erano presenti a Tabriz, in Persia, a Sarai, sulle sponde del fiume Volga, e a Urgench, città turco-

manna. I Mongoli non avevano pregiudizi di carattere etnico né religioso e ammettevano un’ampia presenza di stranieri ai quali affidavano incarichi nei diversi settori della vita economica e funzionariale, come accadde a Marco Polo, fedele collaboratore del Kublai Khan per 17 anni. Bastimenti genovesi, affittati o protetti dal Khan di Persia, che confidava in maniera assoluta nei Genovesi anche come ambasciatori, solcavano il Mar Caspio e il Golfo Persico. A quei tempi, il visir persiano Rashid al-Din Hamadani, che volle redigere la prima storia interculturale euroasiatica, considerava Genova come punto di partenza dei mercanti “franchi” che si dirigevano verso l’Egitto, la Siria, il Maghreb, la Romania e Tabriz. La lunga tradizione di scambi tra Estremo Oriente e le regioni occidentali più prossime lasciò testimonianza, già nell’antichità, dell’esistenza e dell’utilizzo della Via della Seta. Risale all’epoca classica la scoperta della periodicità dei monsoni, di cui la navigazione orientale dovette tener conto: i monsoni soffiano da sud-est verso nord-est in estate e in senso contrario in inverno.

LE CONQUISTE MONGOLE. La conquista di

Baghdad nel 1258 per mano dei Mongoli di Hulagu Khan, nipote di Gengis Khan, rappresentò la fine definitiva del califfato abbaside. Qui sopra, scena dell’assedio di Baghdad in una miniatura persiana del XIV secolo contenuta nel Giami atTawarikh (Compendio di Cronache) del medico e storico persiano Rashid alDin Fadl Allah (Biblioteca Nazionale, Parigi).

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DALLA GROENLANDIA A PECHINO

L’ASIA NELL’ATLANTE DI CRESQUES (pag. 38-39).

Nelle pergamene 4 e 5 dell’Atles català appare la parte orientale del Mondo: il sultanato di Delhi (India) e il regno del Catai (Cina); nel mare, l’Insulindia, arcipelago di isole prodigiose, reali o forse immaginarie. 36

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Nel 1877, il geografo tedesco Ferdinand von Richthofen coniò l’espressione “Via della Seta” per riferirsi all’itinerario commerciale che unì l’Oriente e l’Occidente a partire dal III secolo a.C. Anche se divenne rapidamente popolare, forse sarebbe più appropriato usare questa denominazione al plurale, dato che erano molte le piste usate per trasportare non solo seta (un prodotto di lusso la cui tecnica di lavorazione era gelosamente custodita dalla Cina come segreto di Stato, in modo da assicurarsi il monopolio del suo sfruttamento), ma anche ogni tipo di merce: minerali, spezie, avorio, pietre preziose, tessuti, pelli o ceramiche, che transitavano in uno o nell’altro senso. Inoltre, questa rotta metteva in contatto popoli, imperi, religioni e tradizioni diverse, favorendo così lo scambio culturale. La cartina aiuta a capire la notevole portata di questa rotta in un territorio inospitale e dal clima estremo, con deserti come quello del Taklamakan, uno dei più aridi al mondo, o ghiacciai come quelli della catena del Pamir.

LAGO D’ARAL

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Grazie alla pax mongolica, l’interscambio commerciale tra Europa ed Estremo Oriente conobbe un grande impulso. Si aprì così ai mercanti occidentali l’accesso diretto alla mitica Via della Seta, senza necessità di ricorrere a intermediari islamici.

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I grandi itinerari della Via della Seta

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Dopo l’impero partico, il controllo del traffico commerciale tra Bisanzio e l’India e tra Cina e India si trovava nelle mani degli Arabi, che arrivavano da Bassora a Zaiton. Il Libro dei due Musulmani (il commerciante Solimano e l’erudito Abu Said al Hassan), che risale al IX secolo, e, ormai nel XII secolo, Le bellezze del commercio, manuale in uso tra i mercanti e diffuso da Abu al-Fadl al-Dimashqi, raccolgono numerosi dati sull’India e sulla Cina. Nel XIII secolo, gli incontri e gli scambi tra Arabi e Cinesi sono testimoniati nella Descrizione dei popoli barbari, testo redatto tra il 1225 e il 1258 da Zhao Rugua, commissario della marina mercantile a Zaiton, che ci trasmette importanti dati sui prodotti orientali e abbondanti informazioni sui luoghi di provenienza delle merci più preziose: Indonesia, l’arcipelago malese, l’India, le Filippine, il Giappone, la Corea, l’Oman, Zanzibar, la Somalia e l’Egitto. Il testo parla anche della Sicilia, della Sardegna e del Marocco e spiega il ruolo di mediazione della rete araba, che si sovrapponeva a quella bizantina, dove l’incontro di culture era favorito dal continuo pellegrinaggio di frati nestoriani e mo-

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naci buddisti lungo i diversi itinerari della Via della Seta (secondo la tradizione, la tomba dell’apostolo Tommaso si trova a Mylapore, in India). Tra il 1260 e il 1368, durante il periodo a cui gli storici si riferiscono come età della pax mongolica, la creazione del grande impero che con la dinastia Yuan andava dal Vicino Oriente fino alla Cina rappresentò per gli Occidentali la prima vera apertura verso l’Estremo Oriente, che ora dava valore agli antichi itinerari della Via della Seta. Genova e Venezia controllavano le principali vie marittime di comunicazione e i loro insediamenti nel Levante mediterraneo rappresentavano una via privilegiata verso l’Estremo Oriente. I punti di partenza degli Europei erano solitamente Acri, Ayas, Caffa, Soldaia, Tana e Trebisonda, da dove era possibile accedere alle vie terrestri e a quelle marittime. Avanzando dal Mar Nero verso le catene pontiche si passava da Sarai, dove si incrociava la via proveniente dalla Piccola Armenia, e si raggiungeva Tabriz. In questo modo si arrivava in Persia e, una volta attraversati il deserto di Kerman, la meseta del Pamir,


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Zhang Qian. L’ambasciatore dell’imperatore Wu, considerato il “padre della Via della Seta”, torna dall’Ovest con dati preziosi. Si aprono i primi contatti commerciali.

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Mitridate II. Il re di Partia invia ambasciatori a Roma e in Cina. Massimo apogeo. Raggiunge la propria età dell’oro durante la dinastia dei Tang. I musulmani hanno il controllo su questa pista. 700

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LA VIA DELLA SETA NELLA STORIA 139 a.C.

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Dinastia Tang. Entra in declino e, con essa, la Via della Seta. 1275

il bacino del Lop Nor e il deserto del Gobi, si raggiungeva la Grande Muraglia e, infine, Cambaluc. Un’alternativa frequente e sempre più utilizzata all’epoca – da quando, intorno al 1340, le relazioni con gli Ilkhanidi persiani si erano fatte più tese – fu la via che da Pera-Caffa-Tana passava da Astrakhan, Sarai e Urgench e arrivava sino ad Almaligh (Almaliq), al Gobi e, infine, Cambaluc. Da Urgench e Kabul si poteva giungere anche a Delhi. Dalla Crimea, il cammino del nord che partendo da Caffa e Tana portava a Cambaluc – un itinerario «molto sicuro di giorno e di notte», come afferma il Libro di divisamenti di paesi e di misuri di mercanzie di Francesco Balducci Pegolotti (1340) – implicava un viaggio che durava tra 259 e 284 giorni. Era anche possibile seguire un itinerario più settentrionale, come fece Giovanni da Pian del Carpine (ca. 1182-1252), un missionario italiano che si incontrò con un tale Michele da Genova a Kiev, conquistata nel 1240 dai Mongoli. Samarcanda, Merv e Kashgar erano i centri di principale interesse, ma ciò non escludeva altri luoghi di scalo, più o meno legati a pos-

sibili interessi in Turkestan, Persia o in altre zone. A ogni modo, le relazioni con i Mongoli di Persia e del Khanato Cumano (l’Orda d’Oro) non erano l’unico problema. C’era sempre la possibilità di incappare in gruppi di banditi e si era costretti ad attraversare fiumi, montagne, deserti e – come se non bastasse – la meseta più alta del mondo. L’itinerario marittimo che si seguiva per giungere in India risultava ben più lungo, anche se più pratico per spostare mercanzie voluminose. Non bisogna sottovalutare il fatto che la seta cinese doveva il proprio valore commerciale non alla sua qualità, ma alla sua quantità. Il viaggio durava come minimo due anni; i punti di partenza erano diversi, ma bisognava passare dal Mar Rosso o dal Golfo Persico per raggiungere l’Oceano Indiano e, avanzando lungo le coste dell’India e dell’Indocina, raggiungere la Cina. Era un itinerario conosciuto, legato ai cicli dei monsoni, utilizzato già in tempi molto antichi e che nel Medioevo continuò a essere preferito ad altri, dato che costeggiava zone ricche e popolate ed era più economico, nonostante richiedesse più tempo.

Marco Polo. Arriva alla corte di Kublai Khan. Con la pax mongolica la pista rinasce ed è sempre più sicura. 1368

Rotta marittima. Dopo la dissoluzione dell’impero mongolo, il traffico di lunga percorrenza si realizza per mare. 1405-1433

Zheng He. L’ammiraglio cinese percorre l’Oceano Indiano, aprendo nuove rotte e mercati. 1498

Vasco da Gama. Scopre il collegamento marittimo tra Europa e India e mette fine alla Via della Seta.

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DALLA GROENLANDIA A PECHINO

L’Egitto, che aveva nelle proprie mani l’accesso all’Oceano Indiano, cercò di bloccare il passo agli Europei ad Alessandria, Damietta e Il Cairo. Da quando però i Mongoli cominciarono a controllare l’ampio spazio che si estende dal Golfo di Alessandretta fino al Golfo Persico, fu possibile utilizzare la via terrestre fino al Persico e poi prendere quella marittima da Bassora o da Hormuz, passare da Bombay, Ceylon e Sumatra e arrivare al Mar della Cina Meridionale. Viaggiando per mare c’era la possibilità di incrociare pirati, di dover affrontare violente tempeste e addirittura scontrarsi con dei “mostri”. Di queste e di altre avventure reali e immaginarie, legate ai viaggi per mare o per terra, si trovano profusi resoconti nelle prime descrizioni europee del mondo orientale, nelle memorie e nei racconti di viaggio. Tali vicissitudini però non furono riportate nei documenti degli uomini d’affari, nella copiosa serie di contratti commerciali genovesi, nei manuali per mercanti – nei quali, al massimo, trova spazio l’astrologia – né nel Codex cumanicus, dizionario latino-persiano-cumano che fu redatto nell’anno 1303 in una colonia genovese. Qualsiasi fosse l’itinerario che si decideva di prendere, le bellezze e le ricchezze dell’Oriente ispiravano un immaginario che impregnava i testi di fantasie e “meraviglie”, che induceva a elaborare immagini e racconti di viaggi mai realizzati, come quelli che sono descritti nella Lettera del Prete Gianni e più tardi nel Libro della conoscenza, di autore spagnolo anonimo, e nei Viaggi (conosciuto anche come Il libro delle meraviglie del mondo), di Jean de Mandeville. NESTORIANI IN ASIA.

La grande diffusione e influenza della Chiesa nestoriana in Asia cominciò con la dinastia cinese Tang e raggiunse il massimo splendore durante la pax mongolica. Sopra, statuina in ceramica di un cristiano proveniente da Turfan, dell’epoca Tang (Durham University’s Oriental Museum, Durham).

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Gli Europei in rotta verso l’Oriente La conoscenza europea del mondo orientale era nelle mani dei mercanti e degli uomini di Chiesa. Nonostante ciò, a meno che non si affidasse loro una missione diplomatica – cosa che, d’altro canto, accadeva spesso – gli uomini d’affari non si preoccupavano di condividere le informazioni che andavano raccogliendo. Per loro erano importanti solo i manuali di commercio e gli atti notarili. Al contrario i missionari, strumenti della diplomazia, partivano quasi sempre con una finalità concreta di ricerca, per conto di Roma o della corona francese. Se però il loro proposito era missionario, potevano subire il martirio, come accadde ad alcuni Francescani in Marocco e in India. I primi tentativi di contatto con i Mongoli, che furono promossi dal papa genovese Innocenzo IV e portati avanti dai suoi successori, non escludevano una possibile conversione dei Mongoli. In questo ritroviamo la leggendaria figura del Prete Gianni, re e sacerdote nestoriano, signore cristiano dell’India e dell’Oriente dove

aveva radici, che i Portoghesi cercarono in Etiopia e che Cristoforo Colombo ricordò nel suo Diario. Delle tre missioni che seguirono il Concilio di Lione dell’anno 1245, la prima aveva il proposito di arrivare fino da Batu Khan, Khan di Persia, ed era costituita dai Domenicani Ascelino di Lombardia, Alessandro, Simon de SaintQuentin e Alberto, ai quali si unirono più tardi Guiscardo da Cremona e André de Longjumeau. Il racconto di Saint-Quentin, che prende forma nello Speculum historiale di Vincent de Beauvais, narra che i frati arrivarono nei territori di Batu Khan nel 1247, dove questi affermò invece di aspettare che il pontefice in persona gli rendesse i doverosi tributi. Del secondo gruppo, formato dai francescani Lorenzo di Portogallo, John di Stamford e Abraham di Larde – gli ultimi due inglesi – non si sono conservate testimonianze. La terza missione, condotta dal francescano di origini italiane Giovanni da Pian del Carpine, accompagnato da Stefano di Boemia e Benedetto di Polonia, partì il 4 aprile del 1245. Dopo aver attraversato l’Alemagna, la Boemia e la Polonia, Giovanni da Pian del Carpine giunse a Kiev il 16 febbraio dell’anno 1246. Da lì proseguì per Sarai e Talas e giunse a Karakorum il giorno 22 luglio, in tempo per assistere all’elezione di Guyuk Khan. A questi egli trasmise il messaggio pontificio, ottenendo tuttavia la ben nota risposta negativa. Il frate francescano rimase a Karakorum per diversi mesi. Il suo viaggio di ritorno cominciò il 13 novembre del 1246. Egli giunse a Kiev l’8 giugno del 1247 e infine a Lione il 18 novembre dello stesso anno. Del suo lungo viaggio e della sua esperienza, Giovanni da Pian del Carpine lasciò un testo, l’Historia Mongalorum – che fu incluso più tardi da Vincent de Beauvais nel suo Speculum historiale – nel quale il monaco francescano descrive, prima di qualsiasi altro europeo, tutto l’itinerario di andata e ritorno e le impressioni ricavate durante la sua permanenza tra i Mongoli. Narra la loro storia, ripercorre le loro origini e la genealogia, descrive l’ambiente in cui vivono, le terre conquistate, il sistema di governo, i costumi nomadi, le tecniche di guerra e il sincretismo religioso che praticano, in cui lo sciamanesimo originario si mescola senza conflitti con il Buddismo, il Taoismo, il Nestorianesimo e il Cattolicesimo. Non tralascia di includere nel suo racconto leggende sui cinocefali, sui pigmei e su altre “meraviglie” di questo genere. Dall’altra parte Luigi IX di Francia, che già si era riunito a Cipro con i propri ambasciatori, decise a sua volta di prendere contatto con i Mongoli. Il primo inviato fu il domenicano André de Longjumeau (ca. 1200-1271), che, dopo essere


partito da Nicosia con due compagni, arrivò fino al lago Baljash e lì si fermò. Il secondo tentativo giunse più lontano. Il 7 maggio del 1253, il Fiammingo Guglielmo da Rubruck (Willem van Ruysbroeck, ca. 1220-1293) partì da Costantinopoli insieme al confratello Bartolomeo da Cremona. Passarono da Soldaia e, dopo essersi riuniti con Sartak, figlio di Batu Khan, e più tardi con lo stesso Batu Khan, il francescano si trovò davanti alle steppe a nord del Lago d’Aral. Il 27 dicembre si riunì con Möngke Khan e con questi arrivò il 5 aprile dell’anno 1254 a Karakorum, dove rimase fino al giorno 9 luglio. Analizzò attentamente tutto quello che lo circondava, incontrò gli stranieri che risiedevano e lavoravano lì e discusse con buddisti, musulmani e, soprattutto, con i potenti rivali nestoriani. Durante il viaggio di ritorno seguì un itinerario un po’ diverso dal cammino di andata, che lo portò a Konya, Cipro, Antiochia e, infine, il 6 giugno del 1255, ad Acri. Nel suo Itinerarium anche lui, come già aveva fatto Giovanni da Pian del Carpine, descrive con grande ricchezza gli usi e i costumi dei Mongoli e

pone particolare enfasi sulle profonde differenze che separavano quel popolo dal sistema di vita dal quale lui stesso proveniva. Ad esempio, Carpine si era reso conto che la scarsità di acqua rendeva impossibile la costruzione di città, principio cardine dell’organizzazione del territorio. Anche l’attenzione di Rubruck fu fortemente richiamata dalla grande differenza tra due modelli di vita: da una parte le città di pietra da lui molto ammirate e dall’altra le grandi yurte, che pur potendo albergare centinaia di persone, testimoniavano che l’insediamento stabile non faceva affatto parte della cultura mongola.

Marco Polo in Cina

BATU KHAN. Secondo

quanto racconta lo Speculum historiale di Vincent de Beauvais, i domenicani inviati come ambasciatori del papa dal Concilio di Lione furono ricevuti dal nipote di Gengis Khan nel 1247. Sopra, Batu Khan sul suo trono, in una miniatura del Jami alTawarikh (Compendio di Cronache, ca. 1307-1316) del medico e storico persiano Rashid al-Din Hamadani (Biblioteca Nazionale, Parigi).

All’epoca, tre fratelli (Marco, Niccolò e Maffeo) Polo, come altri Veneziani di buona famiglia, avevano stabilito le basi della propria attività tra l’area bizantina e il Mar Nero, con una sede operativa a Costantinopoli e una filiale a Soldaia. Secondo quanto si narra nel Milione (anche conosciuto come I viaggi di Marco Polo), nell’anno 1261 Marco il Vecchio, il capo famiglia, tornò a 41


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I viaggi del veneziano Marco Polo

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Itinerario di Marco Polo (1271-1295): Viaggio di andata e viaggi in Cina Viaggio di ritorno (Curmos) Nomi usati da Marco Polo

Venezia. I suoi fratelli Niccolò e Maffeo decisero invece di rimanere e di intraprendere un viaggio d’affari verso i territori dell’Orda d’Oro, dirigendosi probabilmente verso Sarai. Come spesso accadeva, il viaggio si prolungò molto più del previsto e smise di avere fini esclusivamente commerciali. Durante il viaggio successivo, al quale partecipò Marco, figlio di Niccolò, i Polo presero parte a diverse e importanti missioni diplomatiche. I fratelli Polo arrivarono così alla corte di Berke Khan, nipote di Gengis Khan, dove rimasero per tutto un anno, trascorso il quale le lotte tra Berke e suo cugino Hulagu, Ilkhan di Persia, obbligarono i Polo a partire alla volta di Bukhara. In questo grande centro cosmopolita rimasero tre anni, apprendendo la lingua tartara e le tecniche mercantili locali. Poi, seguendo una delegazione inviata da Hulagu Khan a Kublai Khan – che secondo quanto rivela il Milione moriva dalla curiosità di conoscere dei «latini mai visti prima» – arrivarono fino al Gran Khan, con il quale ebbero modo di parlare diffusamente dell’Occidente. Infine, dopo un viaggio di tre anni 42

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L’autenticità dei viaggi descritti da Marco Polo fu messa in dubbio fin dal primo momento. Si dice addirittura che la sua famiglia e gli amici gli chiesero di eliminare dall’opera tutte le sue esagerazioni e di concentrarsi sulla verità. Il viaggiatore si difendeva da queste accuse dicendo di non aver scritto «nemmeno la metà delle cose che mi furono date di vedere»… I dubbi permangono ancor oggi, con posizioni tanto estreme da sostenere che Polo non arrivò mai in Cina. A nulla vale che le testimonianze di altri viaggiatori abbiano confermato molte delle sue osservazioni. Il suo testo non descrive una costruzione come la Grande Muraglia che avrebbe sicuramente meritato qualche parola, ma questa, così come la conosciamo oggi, è opera della dinastia Ming, che non cominciò a regnare fino alla caduta dei Mongoli nel 1368. D’altra parte, dettagli precisi come la descrizione della produzione del sale o del processo per fabbricare la carta per le banconote sarebbero possibili solo da parte di una persona che li abbia visti con i propri occhi. E qualcuno con una mentalità pratica da commerciante, capace di apprezzarli.

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Anche se Marco Polo non fu il primo occidentale a mettere piede nei domini del Gran Khan, fu però il primo, con il suo libro Il Milione, a risvegliare nei lettori europei il fascino per quell’impero lontano ed esotico.

D’ O A NA T O D E L L’ O R D A

in cui il Mongolo che li accompagnava cadde malato, giunsero ad Ayas (Laiazzo) provvisti di una “tavola di raccomandazione”: una tavoletta d’oro e una lettera per il papa da parte del Khan, che richiedeva artigiani europei, uomini di religione e un po’ d’olio della lampada di Gerusalemme. Ad Acri, dopo aver saputo che Clemente IV era morto e la sede era vacante, incontrarono il legato pontificio Teobaldo Visconti, che li pregò di attendere la nomina del nuovo papa per potergli trasmettere il messaggio del Khan. Da Acri, i fratelli viaggiarono fino all’insediamento veneziano di Negroponte, da dove partirono di nuovo in direzione della propria città natale. Lì Niccolò fu accolto soltanto da suo figlio Marco, di quindici anni: la moglie era morta mentre lui era lontano da casa. I due fratelli decisero perciò di ritornare alle terre del Gran Khan insieme al giovane Marco. Quella volta, come usavano fare i giovani dell’élite mercantile, l’inesperto Marco li accompagnò in veste di apprendista. Cominciò così il viaggio che avrebbe dato origine al Devisement du Monde o Le livre des


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Dunhuang (Saciu) Ganzhou Lanzhou

Yarcand (Yarcan) Khotan (Hetin/Hotan)

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Deserto del Gobi

Suzhou (Succiu)

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Kashgar (Kashi)

Shangdu (Ciandu/Chemeinfu)

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I FRATELLI POLO. Niccolò e Maffeo Polo mentre prendono commiato

da Baldovino II, imperatore di Costantinopoli, in una miniatura del manoscritto illuminato Le livre des merveilles, del 1410-1412 (Biblioteca Nazionale, Parigi).

merveilles (“il libro delle meraviglie”), un bestseller senza tempo il cui altro nome, il Milione, è un’aferesi del soprannome “Emilione” di questo ramo della famiglia Polo. Giunti ad Acri, i tre viaggiatori cercarono il legato pontificio al quale fecero sapere che, dato che ancora non era stato eletto il nuovo pontefice, avevano deciso di tornare alle terre del Gran Khan, dalle quali erano stati assenti per troppo tempo. Prima però vollero raccogliere l’olio della lampada del Santo Sepolcro. Una volta ottenuto il permesso e compiuta la loro missione, il legato consegnò loro una lettera per il Gran Khan in cui spiegava che i Polo erano stati lontani così tanto tempo per aspettare l’elezione del nuovo papa. Quando ormai si trovavano ad Ayas arrivò la notizia che il legato pontificio era stato eletto papa. Li raggiunse un araldo di Gregorio X con la preghiera di tornare ad Acri, dove arrivarono su una galera messa a loro disposizione dal re di Armenia. Questi aveva infatti ottime relazioni con i Mongoli e, insieme al genero Boemondo III di Antiochia e Tripoli, divenne loro vassallo con finalità

anti-turche. Ad Acri, i Polo furono ricevuti con tutti gli onori dal pontefice che consegnò loro, oltre a un documento che ne ufficializzava il ruolo di ambasciatori, una lettera per il Gran Khan. Li istruì sul messaggio da trasmettergli e aggiunse alla comitiva due Carmelitani, Niccolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli. Quando il gruppo arrivò ad Ayas, trovò la città in guerra. I due frati decisero di fermarsi lì presso i Templari, mentre la famiglia Polo proseguì il viaggio. Toccò Erzurum, Tabriz e, dopo essere passata per diverse località persiane, raggiunse Hormuz. Da qui la comitiva si diresse a Pamir, a Kashgar, al Deserto del Gobi, a Suzhou, a Gansu, Nansha e Ganzhou, dove si stabilì per un anno. Alla fine della primavera dell’anno 1275, i Polo arrivarono a Shangdu, residenza d’estate di Kublai, 275 km a nord di Cambaluc. A Shangdu – la Xanadu celebrata più tardi dal poeta Coleridge – i Polo furono ricevuti con grandi festeggiamenti. Dopo aver consegnato la lettera, Niccolò Polo dichiarò davanti al Gran Khan che Marco era suo figlio e il nuovo servitore del Khan. 43


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MARCO POLO. Medaglia commemorativa della nascita di Marco Polo. Nonostante i Polo non siano stati i primi a compiere dei viaggi in Cina, grazie al dettagliato racconto di Marco nel Milione il loro viaggio fu il primo a essere ampiamente conosciuto e ispirò molti esploratori. Tanto che, quasi due secoli più tardi, le sue descrizioni accesero l’immaginazione di Cristoforo Colombo, che cominciò a sognare le ricchezze orientali.

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Alla sua corte popolata da numerosi stranieri, Marco apprese i costumi, la lingua e la scrittura dei Tartari e dei popoli sottomessi. Kublai Khan decise quindi che il giovane sarebbe diventato un funzionario e che avrebbe viaggiato per tutto l’impero: di certo quella che prese fu una saggia decisione. Dimostrò infatti di aver visto ciò per cui il ragazzo era portato: giudicare il valore delle cose e delle persone e osservare la natura con l’occhio scrutatore di colui che conosce il mondo ed è in grado di percepirne le diverse sfumature. Marco Polo rimase in Cina per diciassette anni. I numerosi capitoli del Milione (109 su 234) dedicati a questioni mercantili – dove cioè la descrizione del mondo segue precise regole pratiche – ci fanno capire chiaramente quale fosse la funzione di Marco Polo e mostrano la natura originale del testo. Un’opera che, come tutti i “manuali di commercio”, si propone di narrare il mondo visitato e di presentare le numerose informazioni ricavate non solo da esperienze dirette, ma anche da fonti indirette, come troviamo in analoghi testi arabi, cinesi, toscani e veneziani. Marco Polo diede inizio ai propri viaggi nell’anno 1276. In primo luogo si diresse verso Shanxi, Sichuan e Yunnan, dove raccolse abbondanti notizie sulle regioni prossime al Tibet – che fino ad allora erano zone sconosciute – sulla Birmania e sul Bengala. Più tardi visitò l’area orientale della Cina da Cambaluc a Zaiton. In realtà i suoi spostamenti furono molto più numerosi, ma il racconto coincide esattamente con questo itinerario. Marco Polo non visitò Cipango, Baghdad o Mossul, né si spinse oltre le coste indiane; non vide Giava e le notizie che riporta sull’Insulindia non sono di prima mano, mentre sono originali le descrizioni che fa dell’Indocina e del regno di Champa. Molti dati sulla Cina risultano inoltre oscuri e inesatti. Il testo conservato riporta una notevole quantità di leggende e di “meraviglie” e fu redatto in lingua francese da uno scrittore di romanzi italiano, Rustichello da Pisa, al quale senza dubbio si devono le diverse, fantasiose, aggiunte: uomini con testa di cane, calici che, a corte, si sollevano da terra da soli, storie sul Vecchio della Montagna, sulla Setta degli Assassini, sul Prete Gianni. Dal racconto emerge un mondo fantastico e senza dubbio tangibile, una realtà destinata fin da allora ad affascinare tutto l’Occidente. Marco Polo fu il primo a descrivere la Cina con le sue mille città favolose e la grande rete di canali; fu il primo a disegnare esattamente la forma della città-palazzo di Shangdu e a parlare di petrolio, dell’ambiente e dei popoli che abitavano quei luoghi,

Zaiton-Venezia: una lunga traversata Dopo 17 anni trascorsi in Cina, nel 1292 i Polo intrapresero il viaggio di ritorno in patria. Lo fecero per una rotta diversa da quella di andata, per mare fino a Hormuz, nel Golfo Persico, con un viaggio che durò tre anni. Le rotte terrestri della Via della Seta non erano le uniche che univano l’Oriente e l’Occidente, come poté scoprire Marco Polo nel suo viaggio di ritorno a Venezia. Nel 1292 si imbarcò a Zaiton, che ai tempi era uno dei più grandi porti cinesi e un importante centro commerciale che attirava mercanti persiani e arabi. La presenza della moschea più antica della Cina, risalente all’XI secolo, ci dà un’idea del peso di questa comunità. Ma le conseguenze di tale parte del viaggio di Marco Polo si spingono oltre. Le informazioni che riporta riguardo all’esistenza di un grande oceano che bagnava il mitico Catai a Oriente, ispirarono a Cristoforo Colombo l’idea di arrivare lì navigando attraverso l’Atlantico. L’esemplare del Milione che contiene note scritte di suo pugno fa capire il valore che il Genovese riconosceva al Veneziano. Nell’immagine, Zaiton in una miniatura de Li Livres du Graunt Caam (Bodleian Library, Oxford).

della fauna e della flora, il primo a stilare una lista dei centri di distribuzione di quelle spezie di cui Venezia era allora il principale intermediario.

Il Milione, un testo per la politica I Polo ricevettero dal Gran Khan l’incarico di condurre la principessa Cocacin e la figlia del re di Mangi (Cina meridionale) fino alla corte di Arghun Khan di Persia che, essendo rimasto vedovo, aveva chiesto a Kublai Khan una donna della stirpe della defunta Bolgana. Così, agli inizi del 1292, approfittando dei monsoni, i Polo salparono da Zaiton con una flotta di 14 imbarcazioni e provviste per due anni. Il Gran Khan li lasciò partire controvoglia e consegnò loro le note tavolette d’oro che avrebbero costituito il loro lasciapassare attraverso l’impero tartaro. A Sumatra la flotta fece un lungo scalo. Dopo la spedizione riprese il viaggio costeggiando le isole Andamane, Nicobare e Ceylon e le regioni di Coromandel, Malabar e Gujarat, per arrivare a Hormuz alla fine del 1293. Dalla corte di Gaikhatu – il successore di Arghun – i tre Polo viaggiarono verso Tre-


bisonda, poi Costantinopoli e in ultimo Negroponte. Così nel 1295, dopo ventiquattro anni di assenza, sbarcarono nuovamente a Venezia. Diventanto ricco e famoso, Marco Polo non aveva però eredi maschi per il palazzo di famiglia del quale era proprietario di maggioranza e nel quale viveva insieme a sua moglie e alle sue due figlie – che con i loro matrimoni lo imparentarono alle famiglie Querini, Dolfino e Gradenigo. Nel 1295 il suo fratellastro Maffeo entrò a far parte del Consiglio Maggiore della città. Nel 1307, Marco Polo regalò una copia del Milione al cavaliere Thibaut de Cepoy perché la consegnasse a Carlo di Valois, fratello di Filippo IV il Bello. In quello stesso anno, Carlo di Valois, sposato in seconde nozze con Catalina di Courtenay – nipote dell’ultimo imperatore latino di Costantinopoli – e suocero di Filippo di Taranto, figlio di Carlo II d’Angiò, fu protagonista di un tentativo di riconquista di Costantinopoli. La spedizione, appoggiata dalle armate veneziane dei Minotto e dei Querini, partì nel 1307 e rimase fino al 1309 nelle acque del Mar Egeo dove, però, si limitò a scontrarsi con i pirati e

a difendere i possedimenti e il traffico commerciale verso Venezia. Alla fine Thibaut de Cepoy, in rappresentanza di Carlo di Valois, convinse il governo veneziano a ristabilire le buone relazioni con i Greci. In quel periodo si era aperto il dibattito su alcuni temi relativi alla crociata e al ruolo della corona francese come possibile nuovo impero costantiniano, come afferma Pierre Dubois tra il 1305 e il 1307 nel suo De recuperatione Terrae Sanctae, auspicando il ruolo complementare di Carlo d’Angiò come re di Gerusalemme e quello di Carlo di Valois come signore di Costantinopoli. Quanto scritto da Marin Sanudo il Vecchio nel suo Liber secretorum fidelium Crucis (1306-1307) e da Jacopo da Cessole, offrirono a Filippo il Bello un piano di crociata basato sulle regole del gioco degli scacchi. Nel 1307, il monaco Aitone da Corico, fratello del re di Armenia e canonico premostratense, ne parlò nel suo Flos historiarum terre Orientis. Da parte sua, il domenicano Guillaume Adam, arcivescovo di Soltaniyeh, si scagliò contro i pravi mercatores che ignoravano le proibizioni di commerciare con l’Egitto. 45


IL MILIONE: IL LIBRO DELLE MERAVIGLIE DEL MONDO

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ignori imperatori, re e duci e tutte altre genti…» Così si apre il Milione, un inizio da novella di cavalleria, perfetto per richiamare l’attenzione. Si tratta senza dubbio di un contributo di Rustichello da Pisa, un autore di storie di corte arturiano che fece da amanuense, se non addirittura da coautore, dei ricordi che Marco Polo gli raccontò nella prigione genovese. Fin dove arrivi la mano dell’uno o dell’altro, non lo sapremo mai. Ma sembra non esserci dubbio sul fatto che Rustichello si seppe identificare con ciò che Polo gli spiegava e diede al racconto un tono vivace e suggestivo, essenziale per risvegliare nell’uditorio il desiderio di saperne di più sull’Oriente. Il successo del libro dimostra che ci riuscì. A destra, miniatura de Le Livres du Graunt Caam, traduzione francese (circa 1333) del Milione (British Library, Londra).

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MARCO POLO. Ritratto del viaggiatore nell’ultima tappa

della sua vita, in un affresco di Antonio Giovanni da Varese (Villa Farnese, Caprarola). 46

DAVANTI ALL'IMPERATORE.

«Commercianti prudenti, nobili e oculati», nella descrizione che ne fa il figlio e nipote Marco Polo, Niccolò e Maffeo Polo furono ricevuti da Baldovino II, l’ultimo imperatore latino di Costantinopoli. Nel 1261, un anno dopo la partenza dei Polo, fu spodestato da Michele VIII Paleologo.

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DAVANTI AL PATRIARCA.

Niccolò e Maffeo Polo ricevettero la benedizione del patriarca prima di lasciare Costantinopoli, dove si erano stabiliti poco prima della nascita di Marco Polo e che abbandonarono nel 1260 per viaggiare verso l’Orda d’Oro e la Cina. A questo viaggio il Milione dedica i primi capitoli.


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L’ARTE DEI MAESTRI ILLUMINISTI NELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI FRANCIA Nella Biblioteca Nazionale di Francia, a Parigi, è conservato un prezioso manoscritto che, nel 1413, fu regalato dal duca di Borgogna Giovanni senza Paura a suo zio, il duca Jean de Berry. Il volume è importante perché contiene non solo una traduzione francese del Milione, ma anche altri racconti di viaggi in Oriente, come Il libro delle meraviglie del mondo di Jean de Mandeville o gli Itinerarium di Odorico da Pordenone. Il suo più grande valore però si trova nella splendida collezione di 265 miniature, dovute al lavoro di diversi illuministi, tra cui spiccano il Maestro de la Mazarine, quello di Egerton e il Maestro de Boucicaut, autori di diversi libri delle ore dell’epoca. Per alcuni storici quest’ultimo artista, attivo nel primo quarto del XV secolo, è stato uno dei più grandi innovatori prima dei fratelli Hubert e Jan van Eyck, soprattutto per il suo nuovo uso dello spazio e della luce al momento di creare le scene.

IL MAESTRO DE LA MAZARINE. Una nave mercantile arriva nel porto di Hormuz. Miniatura del foglio 14v del Libro delle Meraviglie, attribuita alla scuola del Maestro de la Mazarine (Biblioteca Nazionale, Parigi).

SUL MAR NERO. I fratelli Polo si lasciarono dietro Costantinopoli e navigarono attraverso il Mar Nero. La prima tratta della loro rotta verso Oriente li portò fino a Soldaia. Lì trascorsero diverso tempo prima di proseguire diretti verso la corte più occidentale dei Khan mongoli, quella dell’Orda d’Oro.

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IL MAESTRO DI EGERTON. Kublai Khan mentre esamina alcune

pietre preziose raccolte dai suoi sudditi nella miniatura del foglio 54 del Libro delle Meraviglie, attribuita al Maestro di Egerton e ai suoi collaboratori (Biblioteca Nazionale, Parigi).

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per ristabilire il contatto con la Cina. Entrarono in possesso di una copia del Milione anche il re portoghese e lo stesso Cristoforo Colombo, che scrisse nelle sue pagine attente annotazioni. Nella Biblioteca Colombina di Siviglia è conservata ancor oggi, insieme alla Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), una copia de I viaggi di Marco Polo appartenuta all’«Almirante de la Mar Océana», dato che esiste una lettera di Cristoforo Colombo in cui, nel 1488, questi la reclamò dal mercante inglese John Day. Infine, nel 1559, Giovanni Battista Ramusio raccolse il testo di Marco Polo nella sua famosa collezione dedicata a Navigazioni e viaggi. Nonostante ciò, la complessa natura del testo, la sua doppia redazione in francese e in toscano, la formula compositiva che ha suggerito interpretazioni oscillanti tra il “manuale per commercianti” e il Livre des merveilles, tra la letteratura didattica e la costruzione di un’opera basata sulla tipologia dello speculum principis, ha fatto sì che I viaggi di Marco Polo sia stato oggetto di numerose critiche. Per struttura e per contenuto, il Milione sembra essere un prodotto tipico della cultura urbana e mercantile occidentale. La sua elaborazione si basa su di un’interessante mescolanza, senza dubbio involontaria, ma comunque efficace. Il trinomio Pisa-Venezia-Genova è ben rappresentato dal pisano Rustichello, che Marco Polo conobbe dopo la fatale battaglia di Curzola che ebbe luogo nel 1298, nella prigione genovese in cui entrambi si trovarono.

L’evangelizzazione GIOVANNI BATTISTA RAMUSIO. Nel suo

Navigazioni e viaggi, opera considerata il primo trattato di geografia dell’età moderna, Ramusio raccolse i dati delle esplorazioni a partire dall’antichità classica fino al XVI secolo, con particolare attenzione a quelle di Marco Polo e Vespucci e alle rotte africane. Sopra, cartina di Ramusio e Grisellini che illustra il passaggio di Marco Polo attraverso i deserti dell’Asia (Palazzo Ducale, Venezia).

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Marco Polo morì prima del giugno del 1325. Nel suo testamento, sul quale figura la data del 9 gennaio del 1324, si fa menzione di uno schiavo tartaro, un rosario buddista, un cinturone d’argento dei cavalieri mongoli, un copricapo pure mongolo – la bochta – e una tavoletta d’oro, la “tavoletta di raccomandazione”. Il testo di Marco Polo, che si diffonderà in tutta Europa, è considerato un documento di enorme valore informativo. Tra le diverse traduzioni realizzate, quella redatta in latino dal frate Francesco Pipino rese il testo disponibile per gli intellettuali laici ed ecclesiastici. Il Catai (Cina) di Marco Polo appare nella mappa che Pietro Vesconte realizzò per Marin Sanudo; riapparve poi tale e quale nell’Atles català del 1375, nel mappamondo del veneziano Fra Mauro (1459) e in quello di Martin Behaim. Riprende il Milione anche la lettera che l’astronomo fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli inviò il 25 giugno dell’anno 1474 a Fernão Martins, canonico della cattedrale di Lisbona che si era rivolto a lui in rappresentanza della corona portoghese con l’obiettivo di studiare un possibile itinerario occidentale verso le Indie

Il 13 luglio del 1289, Giovanni da Montecorvino, un erudito francescano che aveva vissuto per molto tempo in Armenia e in Persia, partì da Rieti, nel Lazio, accompagnato da otto fratelli dell’ordine. Dopo essere arrivato a Tabriz, si diresse verso la Cina in compagnia del mercante genovese Pietro di Lucalongo. Dopo aver toccato prima Hormuz e più tardi la costa indiana di Coromandel, tra il 1292 e il 1293, arrivò a Cambaluc con un messaggio di papa Nicola IV per il nuovo Khan Timur. Come riporta una lettera del 1305, prima di giungere a Pechino si trattenne a Tangut, dove battezzò con il nome di Giorgio il re degli Ongut, che il francescano considerava discendente diretto del mitico Prete Gianni, e fondò una chiesa, consacrandola alla Santa Trinità. Anche a Pechino, dove Giovanni da Montecorvino affermò di aver battezzato circa seimila persone, il frate fondò chiese e conventi. In Cina studiò il tartaro per predicare in quella lingua e tradusse il Nuovo Testamento e i Salmi. Forse grazie al suo lavoro e al suo impegno, nel 1307 papa Clemente V lo nominò primo arcivescovo di Pechino e inviò altri sette frati, dei quali solo tre giunsero a destinazione: Gerardo, Pelle-


grino e Andrea da Perugia. Alla morte di Gerardo, primo vescovo di Zaiton, l’arcivescovo voleva nominare per quella sede Andrea da Perugia, ma questi rifiutò la nomina e l’arcivescovo dovette ricorrere a padre Pellegrino. Andrea da Perugia visse a Pechino per cinque anni grazie alla alafa, vale a dire il sussidio che il Gran Khan aveva concesso a lui e ad altre otto persone. Per motivi a noi sconosciuti, partì più tardi diretto a Zaiton. Come narra Andrea da Perugia, in questa diocesi, suffraganea di Pechino e a quasi tre mesi di cammino, una ricca dama armena aveva fondato una chiesa, più tardi trasformata in cattedrale, aggiungendo una dote adeguata per il mantenimento della cattedrale e di padre Gerardo e dei suoi compagni. Andrea da Perugia intraprese il viaggio con gli otto cavalli che gli aveva regalato il Khan e giunse alla città quando ancora il vescovo Pellegrino era in vita. Si fermò in un bosco, a circa cento metri da Zaiton, dove fece edificare una bellissima chiesa con gli alloggiamenti necessari per 20 frati e con quattro residenze adatte a ricevere quattro vescovi. Si trasferì lì, vivendo della alafa del Khan, che se-

condo i racconti di alcuni mercanti genovesi ammontava a cento fiorini d’oro l’anno, somma che destinò in gran parte alla costruzione della chiesa. Nominato terzo vescovo di Zaiton, si spostò per andare a risiedere nella chiesa cattedrale o nel convento francescano. Qui invecchiò serenamente, predicando senza conflitti, ma, come lui stesso ammise, senza riuscire a convertire giudei né musulmani. Nel gennaio dell’anno 1326, quando scrisse la sua lettera al padre guardiano del convento di Perugia, tutti i vescovi suffraganti della diocesi di Cambulac erano morti ed egli era l’unico ancora vivente. Diceva che solo i capelli bianchi rivelavano la sua età avanzata e raccontava al padre guardiano che in India quattro frati avevano subito il martirio, ma che uno di essi era uscito illeso dal rogo.

PALAZZO DUCALE DI VENEZIA. Durante il XIII e XIV

secolo, Venezia, terra dei Polo, fu un centro permanente di attività politica, commerciale e culturale che si diffuse fino ai più remoti confini del mondo conosciuto. Sopra, la chiesa di San Giorgio Maggiore vista da Palazzo Ducale; a destra, la colonna con il leone di San Marco, simbolo della Serenissima Repubblica.

Frati in Oriente Odorico da Pordenone nacque a Villanova di Pordenone (Friuli, Italia) intorno all’anno 1265. Esperto conoscitore della Russia mongola, fino a dove aveva viaggiato nel 1296 seguendo la scia dei numerosi francescani che in quegli anni viag49


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Il precoce interesse della Chiesa per l’Asia Per il loro carattere imprenditoriale, i mercanti svolsero un ruolo cruciale al momento di unire Occidente e Oriente. Ma non furono gli unici che nell’alto Medioevo decisero di affrontare i pericoli di una traversata lunga, ardua e non senza pericoli. Prima del viaggio di Polo, i missionari avevano già stabilito dei contatti con l’Asia. Secondo la tradizione, il primo sarebbe stato l’apostolo Tommaso, che avrebbe predicato in Persia e in India. Ma il grande interesse per l’Asia da parte della Chiesa, e con essa delle monarchie europee, arrivò nella prima metà del XIII secolo, quando i Mongoli si presentarono come possibili alleati degli interessi europei contro i Turchi. Fu allora che si cominciarono a inviare e ricevere ambasciate per conoscere le intenzioni dei conquistatori. Inoltre, la Chiesa non tardò nel trarre profitto dalle opportunità, portate dalla pax mongolica, di far partire gli ordini mendicanti di recente fondazione. Tra gli altri missionari si distinse il francescano Odorico da Pordenone, il “Marco Polo in abito talare”. Il suo viaggio durò trentatré anni e lo portò in luoghi in cui nessun europeo aveva mai messo piede, come il Tibet. A destra, miniatura dell’Itinerarium di Odorico da Pordenone, appartenente al manoscritto Libro delle Meraviglie (Biblioteca Nazionale, Parigi).

giavano verso Oriente, nell’anno 1314 (o forse nel 1318), partì in compagnia dei fratelli Jacopo d’Irlanda, Bernardo e Michele di Venezia. Dopo una tappa a Trebisonda, i monaci passarono da Erzurum, Tabriz, Soltaniyeh e Kashan e giunsero fino a Yazd. Più tardi si spostarono a Shiraz e, passando per Baghdad, giunsero a Hormuz. Lì, insieme a frate Jacopo d’Irlanda, Odorico intraprese un viaggio verso l’India, un periplo che si prospettava difficile. Vicino a Bombay, una tempesta lo obbligò a sbarcare. Giunse a Tana (Thane o Thana, India) tra il 1321 e il 1322, raccolse le reliquie dei francescani morti in quella città e riprese poi il viaggio per mare. Fece scalo nei porti della Penisola del Deccan, passò per Madras, Sumatra, Giava e il Borneo, seguì la costa vietnamita fino a Champa e infine arrivò a Canton (Guangzhou). Percorse da sud a nord i grandi porti della costa fino a Nanchino e, lungo il grande canale, giunse a Pechino dove interruppe il suo viaggio. Il fratello francescano Paolo della Trinità riferisce che in quel periodo Odorico riuscì a battezzare 50

circa ventimila persone. Nel viaggio di andata passò per Shanxi, Sichuan, il Tibet, Badakhshan e Khorasan, giungendo infine a Tabriz. Di ritorno a Padova raccontò le sue vicissitudini a Guidotto da Bassano, provinciale dell’ordine; nel maggio del 1330 dettò il proprio racconto a frate Guglielmo di Solagna, che redasse il testo in latino. Esiste anche una redazione di Enrico di Glatz e si conservano testi in toscano e in francese. Il suo racconto, arricchito da una moltitudine di dati sull’India e sul Tibet – egli fu il primo europeo a visitare Lhasa – ebbe un enorme successo. Quando Odorico morì a Udine (in Italia), il 14 gennaio dell’anno 1331, fu eretta per lui con suffragio pubblico una tomba di alabastro adorna di statue, completata nel 1332 dal veneziano Filippo de Santi. Nel 1755, Odorico da Pordenone fu beatificato da papa Benedetto XIV. Nel 1320-1321, il frate domenicano Giordano Catalano da Severac (Tolosa) partì alla volta dell’Oriente probabilmente con la missione francescana di padre Tommaso da Tolentino, che il giorno 7 aprile del 1321 subì il martirio a Tana,


sull’isola di Salsetta. Dopo aver sepolto i propri compagni, padre Giordano si rifugiò a Bharuch, nel Gujarat, e poi a Suali, vicino a Surat. Si spostò poi a Tana, da dove scrisse una serie di lettere ai suoi raccontando le proprie numerose peripezie. Tornò in Europa intorno al 1328 e nel 1329 fu consacrato vescovo di Quilon (Kollam) da papa Giovanni XXII, forse in vista di una possibile unione con la Chiesa nestoriana che avrebbe potuto dare nuovo impulso al Cristianesimo. Da questo momento, il nuovo vescovo cominciò a redigere la propria collezione di “meraviglie”. Nella narrazione il domenicano seguì le tappe del proprio viaggio, che nel cammino di andata si era sviluppato tra Armenia e Persia e fino all’India e Champa, mentre in quello di ritorno aveva seguito un diverso itinerario che, attraverso il Golfo Persico, lo aveva condotto fino a Baghdad. Da lì, attraverso Mogan, Baku e Georgia lo aveva riportato in Armenia. Nel suo testo si parla dello stretto di Messina e di Grecia, Armenia, Persia, India, Ceylon, Arabia, Etiopia, Caldea, Mogan e Baku, delle montagne intorno

al Mar Caspio, del Gran Khan e della Cina, di Chio e della Turchia; sono raccolti dati e curiosità sulla fauna e sulla flora, sui costumi e sulle razze. A partire dall’anno 1330 però, non ci sono più notizie di Giordano Catalano. Nel XVI secolo circolò la voce che il vescovo avesse subito il martirio. I Portoghesi credevano di aver trovato i resti della sua sepoltura tra le rovine di una pagoda di Tana, dove fu rinvenuta una statua in legno lunga un palmo che lo rappresentava vestito con il suo abito di religioso. Intorno all’anno 1334, il francescano Pasquale da Vittoria partì per la Cina con il fratello castigliano del suo stesso ordine Gonzalo de Trastorna. Passarono per Avignone, dove ricevettero la benedizione del generale dell’ordine per un viaggio che veniva realizzato al fine di ottenere l’indulgenza plenaria, come nel pellegrinaggio a Gerusalemme. Giunti a Venezia i due frati si imbarcarono su di una caracca che li portò a Galata, la colonia genovese a Costantinopoli, dove conobbero il padre vicario del Catai. Navigarono poi per il Mar Nero sino ad arrivare a Gazaria (Crimea), vale a dire in terra dei Tartari. Da lì proseguirono attraverso Tana fino al Mar d’Azov. Pasquale da Vittoria arrivò prima del suo compagno e si diresse a Sarai insieme ad alcuni Greci. Il suo compagno proseguì fino a Urgench, da dove tornò nel 1338. Pasquale da Vittoria rimase per un anno a Sarai – dove, come racconta, il suo fratello d’ordine Stefano aveva subito il martirio – per studiare il cumano e l’alfabeto uyghur, utilizzati in tutta l’area tartara e che, come egli stesso racconta, gli servirono per predicare tra i saraceni, i cristiani ortodossi e i nestoriani. Poi, dopo aver ricevuto la lettera nella quale gli si ordinava di proseguire il proprio cammino se desiderava ottenere l’indulgenza, si imbarcò su di un bastimento con vari Armeni e, dopo dodici giorni di viaggio, arrivò a Saraichuk (Sarai-Jük). Da lì, unendosi a una serie di carovane, raggiunse Urgench e, infine, Almaligh. Molto impegnato con la sua missione, Pasquale da Vittoria ebbe occasione di dibattere con i musulmani in numerose circostanze durante il suo viaggio. Lo fece anche durante i venticinque giorni del Ramadan accanto all’ingresso di una moschea con un gruppo di cadì, non senza sofferenza. Lo tentarono offrendogli donne, oro e gioielli, lo insultarono e gli tirarono pietre, gli bruciarono il viso e i piedi, lo trascinarono per la barba. Da Urgench, ultima città dei Persiani e dei Tartari, affrontò un viaggio di cinque mesi durante il quale predicò tra i saraceni, che cercarono di avvelenarlo e di affogarlo. Dopo molte altre sofferenze, Pasquale da Vittoria giunse

ARTE YUAN. Vaso meiping ottagonale della dinastia Yuan, XIV secolo. La porcellana fu uno degli articoli “esotici” che gli europei del Medioevo più apprezzarono – insieme a seta e spezie – tra i prodotti che cominciarono ad arrivare dall’Oriente dopo la riapertura della Via della Seta.

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Il Nestorianesimo in Asia ai tempi di Marco Polo Nel racconto dei suoi viaggi per il territorio del Gran Khan, Marco Polo segnala la presenza di numerose comunità di cristiani nestoriani. Secondo alcune fonti epigrafiche, come la stele nestoriana di Zhouzhi, la loro presenza in Cina risale al VII secolo, sotto la protezione della dinastia Tang (618-907).

finalmente ad Almaligh. Da lì, il 10 agosto dell’anno 1338 inviò alla Custodia di Vittoria una lettera in cui raccontava tutte le vicissitudini del suo accidentato viaggio. Padre Francesco d’Alessandria aveva operato il re Timur di cancro e per una fistola. Questi prese quindi a chiamarlo padre e gli affidò il proprio figlio. Il suo successore e usurpatore del trono, Alì, fu invece un musulmano intransigente. L’anno seguente subirono il martirio lo stesso Pasquale da Vittoria, il vescovo di Almaligh, il provinciale Raimondo Rufo, Lorenzo d’Alessandria, il provenzale Pietro Martell, Francesco d’Alessandria, l’interprete indiano del vescovo di Cambaluc e il mercante genovese Guglielmo di Modena. Un anno più tardi giunse ad Almaligh Giovanni de’ Marignolli. Fu lui che raccontò che Pasquale da Vittoria aveva predetto il proprio martirio e aveva addirittura profetizzato un grande diluvio, che avrebbe distrutto la potenza tartara.

L’ultimo arcivescovo in Cina

Nell’anno 431, il concilio riunito ad Efeso dibatteva sul titolo che fosse opportuno dare alla Vergine Maria, se quello di Madre di Dio o di Madre di Cristo. La tesi del patriarca di Costantinopoli Nestorio, cioè che si dovesse optare per il secondo - dato che in Cristo si hanno due nature diverse, quella divina e quella umana e non una sola umana e divina come ritenevano i sostenitori di Cirillo d’Alessandria - venne condannata come eretica e i suoi sostenitori furono espulsi dalla Chiesa cattolica. Fu l’inizio dell’espansione del Nestorianesimo, prima verso il vicino impero persiano e poi, attraverso la Via della Seta, sempre più verso Oriente sino a radicarsi, nel VII secolo, nella Cina dei Tang. Anche se la dinastia seguente, quella Song, proibì nell’anno 845 le religioni straniere, non per questo il Nestorianesimo scomparve; ottenne invece la protezione dei popoli mongoli delle steppe. Così, i rapporti con un principe keraita, Wang Khan, che nel 1145 sconfisse i Turchi Seleucidi, si trovano all’origine della leggenda del Prete Gianni, il leggendario sovrano cristiano dell’Asia che risvegliò tanto interesse nei regni occidentali. L’espansione dell’impero mongolo e la conseguente pax mongolica accrebbero la prosperità dei Nestoriani e dei loro monasteri lungo la Via della Seta finché, con l’irruzione di Tamerlano, la sua stella si andò spegnendo. Oggi restano alcune comunità in Iraq, Iran e Cina. Nell’immagine, dipinto murale del VII-VIII secolo, proveniente da una chiesa di Gaochang (Cina) che rappresenta dei sacerdoti nestoriani la Domenica delle Palme (Museo di Arte Asiatica, Berlino).

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Tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV, si registrò un’intensa corrispondenza tra l’impero mongolo, il papa e i re europei. In quel periodo i Mongoli si stavano convertendo all’Islam, ma si continuavano a progettare alleanze e lo scambio di ambasciatori era parecchio intenso. Parteciparono al Concilio di Lione del 1274 e, come dimostrano i viaggi dei Polo, le missioni diplomatiche aumentarono. Si verificò così la circostanza per cui un Ongut arrivò fino a Parigi. Nell’anno 1287, Rabban Bar Sauma, un Ongut nestoriano nato in seno a una famiglia di Tangut (l’attuale sito archeologico di Olon Süme, nella Mongolia interna), e Rabban Marcos, nestoriano originario di Kawasang (sempre nella Mongolia interna) e che più tardi sarebbe diventato Mar Yahballaha III, metropolitano delle diocesi di Catai e Ong, partirono in pellegrinaggio da Pechino a Gerusalemme. Ormai in Persia, Arghun Khan affidò a Rabban Sauma il compimento di una missione diretta al papa, al re di Francia e al re d’Inghilterra. Nel racconto scritto in siriano da un accompagnatore si racconta che Rabban Sauma partì accompagnato dal mercante genovese Tommaso Anfossi, allora ambasciatore del Khan, e da un interprete. Il viaggio si prospettava molto interessante per chi, come lui, conosceva bene solo le città orientali, ampiamente descritte nel testo. Città bellissime, che nella loro struttura urbana e sociopolitica riproducevano un modello di ordine immutabile, proiezione di armonie celesti. Erano le città in cui a quel tempo vivevano i Khan mongoli, «i re che tengono le redini del governo in tutto il mondo abitato», anche se spesso e volentieri le abban-


donavano. I monumenti e le reliquie di Roma affascinarono il viaggiatore. Più tardi, Rabban Sauma arrivò a Genova, tappa obbligata nel suo viaggio per il lontano Occidente. La città gli piacque molto, per il buon clima e per le sue bellezze naturali. Nella cattedrale di San Lorenzo, in una cassa di puro argento, era conservata la reliquia di san Giovanni Battista. Lì si trovava inoltre il calice “di smeraldo" (un grande vaso conosciuto anche come il Sacro Catino) con il quale Cristo aveva celebrato la Pasqua insieme ai suoi discepoli, risalente ai tempi della conquista di Gerusalemme. Nonostante ciò, l’autore osserva che «in quel luogo non c’è un re: il popolo elegge secondo la propria volontà un capo che lo governi…». La Città-Stato, diretta dall’aristocrazia mercantile alla quale apparteneva anche Tommaso Anfossi, era per l’orientale Rabban Sauma un fenomeno nuovo e incomprensibile, come pure erano gli «emiri del re» che più tardi conobbe a Parigi e in Guascogna. L’anno seguente, un altro ambasciatore di Arghun Khan partì in direzione dell’Europa.

Questa volta si trattava del mercante Buscarello Ghisolfi, uomo d’affari e aristocratico genovese, stretto collaboratore del Khan che tra il 1289 e il 1303 gli affidò una serie di missioni rivolte al papa e ai sovrani di Francia e Inghilterra. Tra il 1312 e il 1317, il genovese Segurano Salvago, meglio conosciuto come Sakran, un mercante che faceva sventolare la bandiera islamica sui suoi bastimenti e che praticava il commercio di schiavi dal Mar Nero fino all’Egitto, realizzò una serie di missioni diplomatiche tra gli Egizi, il khanato dell’Orda d’Oro e i Genovesi di Chio. Il francescano fiorentino Giovanni de’ Marignolli partì da Napoli nel dicembre del 1338 in compagnia di un aristocratico genovese con grande esperienza in Cina, dove era stato nell’anno 1330. Di ritorno a Genova nel 1333 e di nuovo in pista l’anno seguente, il mercante Andalò da Savignone tornò in Europa insieme a quindici compagni genovesi con i quali ad Avignone, il 31 maggio del 1338, consegnò al pontefice Benedetto XII una missiva del Gran Khan Togai Timur in cui, tra le altre cose, si annunciava la nomina

MONASTERO E CARAVANSERRAGLIO.

Nel XV secolo, Tash Rabat (Kirghizistan) era un caravanserraglio per il riposo dei viaggiatori della Via della Seta, ma in precedenza, sin dal X secolo, era stato uno dei monasteri nestoriani che costellavano la rotta dalla Cina fino alla Persia e alla Siria.

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DALLA GROENLANDIA A PECHINO

stamento del proprio concittadino Jacopo de Oliverio, che fu redatto da un notaio genovese. I fratelli Jacopo e Ansaldo de Oliverio si erano trasferiti «ad partes Catagii» («nel Catai») prima del 1333. Lì si era riunito con loro il nipote Franceschino, figlio di Giovanni. Dopo la morte di Jacopo e Franceschino, Ansaldo tornò a Genova nell’anno 1345. La presenza di un notaio genovese in Cina testimoniava la volontà di conservare quanto più possibile intatto il loro sistema di vita. Accadde lo stesso con le tombe dei giovani genovesi Catalina e Antonio Illione, figli di Domenico, morti a Yangzhou rispettivamente nel 1342 e nel 1344. Le iscrizioni realizzate in caratteri gotici in lingua latina si accompagnano alle immagini della Vergine, di Santa Catalina di Alessandria e di Sant’Antonio, circondate da figure alate, che ricordano elementi come i gandhara e gli apsara orientali.

Un altro sguardo sull’Oriente

IBN BATTUTA.

Considerato uno dei più grandi viaggiatori della storia, il berbero Ibn Battuta percorse tutto il territorio africano conosciuto all’epoca attraversando il continente dal Sahara fino alle coste dell’Oceano Indiano. Sopra, la città di Kilwa Kisiwani, nell’odierna Tanzania, alla quale Ibn Battuta giunse dal Mali, in un’illustrazione del Civitates orbi terrarum (1572), di Georg Braun.

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del nuovo arcivescovo di Pechino, dato che Giovanni da Montecorvino era morto ormai da otto anni. Accompagnato da Andalò da Savignone, Giovanni de’ Marignolli giunse a Caffa, Almaligh, nel deserto del Gobi e, finalmente, nella primavera del 1342, a Cambaluc, dove rimase fino al 1353, anno in cui ritornò ad Avignone realizzando un lungo viaggio che lo portò attraverso Giava, Sumatra e Ceylon fino a Hormuz. Si conserva memoria di questo viaggio nel Chronicum bohemicum. Non si sa se fu questa l’occasione in cui Andalò da Savignone portò al Khan i cavalli e gli oggetti di cristallo che desiderava. A ogni modo, i doni arrivarono al loro destinatario e il Khan, per suo espresso desiderio, fu ritratto dal pittore Ceu Iang a cavallo nell’atto di incaricare i letterati di corte di comporre un elogio dei destrieri. Quando nel 1333 Andalò da Savignone giunse a Genova con il mercante Leone Vegia, portò con sé le ultime volontà di Antonio Sarmore, raccolte e sigillate dal francescano Giacomo il 1 ottobre del 1330. Da parte sua, Domenico Illione portò da Yangzhou il te-

Grazie alla Rihla, il racconto che Ibn Battuta, uno dei viaggiatori arabi più importanti di tutti tempi, dedica ai propri viaggi, è possibile ascoltare un punto di vista assolutamente diverso da quello occidentale. Il 14 giugno del 1325, a ventun anni, Ibn Battuta partì da Tangeri per realizzare il suo pellegrinaggio alla Mecca. Il viaggio andò molto oltre alle sue intenzioni originarie e, nell’arco di vent’anni, seguendo i segni della presenza islamica, percorse 120.000 km da Tangeri fino a Pechino, da Astrakhan al Mali, da Safi a Zanzibar. Dopo essere passato da Tlemcen, Algeri, Costantina, Tunisi, Sfax, Gabès, Tripoli e Sirte, dovette interrompere il viaggio poiché l’inverno si faceva incombente e, sperando di chiudere il cerchio, visitò accuratamente Il Cairo e la valle del Nilo. Voleva proseguire attraverso il Mar Rosso, ma non trovò un luogo dove imbarcarsi cosicché dovette cambiare itinerario e passò attraverso Palestina e Siria. Toccò Gaza, Hebron, Gerusalemme e Nablus, tutti luoghi che erano familiari ai pellegrini musulmani, cristiani e giudei di tutti i tempi. Infine, da Damasco partì in direzione della Mecca, città dove giunse finalmente il 17 settembre. Viaggiò per un po’ di tempo attraverso le zone irachene e persiane e trascorse tutto l’anno 1328 come studioso ospite alla Mecca. In seguito si imbarcò diretto a Gedda (Jedda), si trattenne ad Aden, dove volle fondare un’azienda specializzata nel commercio delle spezie, viaggiò in Oman, giunse a Hormuz e, infine, nel novembre del 1332 tornò alla Mecca. Di ritorno a Il Cairo passò nuovamente attraverso la Siria, dove si imbarcò in direzione Laodicea (Lattakia) a bordo di un’imbarcazione genovese che lo portò ad Alanya, in Anatolia. Da qui, pas-


sando per Bursa, Nicea e Sinope, giunse a Caffa, sul Mar d’Azov, risalendo poi lungo il Volga sino a ritrovare Bogur, che tuttavia fu probabilmente una meta mai raggiunta. Altrettanto incerto è un viaggio che Ibn Battuta avrebbe compiuto a Costantinopoli per scortare una principessa turca. Il 13 settembre del 1333 partì per questa città e, dopo aver attraversato Transoxiana, Khorasan, Afghanistan e le montagne dell’Hindu Kush, giunse in India. A Delhi visse per dodici anni, durante i quali fu ospitato alla corte del sultano, studiò e viaggiò ottenendo diversi onori e numerosi incarichi. Nel 1341 una tempesta distrusse a Calicut le imbarcazioni che avrebbero dovuto portarlo come ambasciatore fino ai domini dei Mongoli. A partire da questo momento viaggiò attraverso tutta l’India, percorrendo il Malabar e il Bengala. Alla fine del 1342 si diresse verso le isole Maldive, dove svolse per diversi mesi la funzione di cadì. A fine agosto del 1344 andò in pellegrinaggio al Picco d’Adamo, a Ceylon. Più tardi, per mare, risalì la foce del fiume Gange, realizzò un lungo

percorso attraverso il Bengala e discese di nuovo verso l’arcipelago malese fino a raggiungere Sumatra. Sul finire dell’estate dell’anno 1346, partì da quei territori, diretto verso la Cina, dove però visitò soltanto Zaiton e Canton. Durante il suo viaggio di ritorno, Ibn Battuta passò per Sumatra, Quilon, Calicut, Zafar, Hormuz, Shiraz, Isfahan, Baghdad, Palmira, Gerusalemme, Medina, la Mecca, Gedda, Aydhab, il Cairo, Alessandria, Gabès, Tunisi e Cagliari. Arrivò a Fez l’8 di novembre del 1349 e poco tempo dopo riprese il viaggio. In primo luogo viaggiò nell’al-Andalus (Valencia e Granada) e si addentrò poi nei territori del fiume Niger, con i Mandingo. Dopo essere tornato definitivamente in Marocco, tra il 1354 e il 1355 dettò la Rihla (viaggio), il lungo racconto del suo viaggio che, però, al suo contemporaneo Ibn Khaldun, nonostante la grande ricchezza di dati raccolti, sembrò troppo fedele a quanto l’ispano-arabo Ibn Jubayr aveva già scritto a proposito del suo viaggio in Sicilia, attraverso Siria, Palestina, Mesopotamia, Arabia ed Egitto.

L’HAYY. Il primo motivo del

viaggio di Ibn Battuta – un periplo che si dilaterà poi in un arco di ventidue anni – fu compiere l’Hayy, l’obbligatorio pellegrinaggio di tutti i musulmani alla Mecca almeno una volta nella vita. Sopra, sala della Grande Moschea di Kilwa Kisiwani (X-XI secolo), nell’odierna Tanzania, che il viaggiatore visitò nel 1330, prima di imbarcarsi per l’Oman.

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TAMERLANO. Miniatura persiana (1533) che mostra Tamerlano dopo la presa di una fortezza nel Sistan durante la campagna persiana (British Library, Londra). Nella pagina accanto, statuina Ming in bronzo dorato del XIV secolo (Museo d’Arte Cinese ed Etnografico, Parma). 56


NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE L’ascesa al potere della dinastia Ming in Cina e l’avanzata turca verso l’Europa orientale ridisegnarono il profilo delle relazioni tra Oriente e Occidente, nelle quali svolse un ruolo importante la figura di Tamerlano. I viaggi proseguirono, sebbene con frequenza minore, mentre agli occhi degli occidentali l’Oriente mostrava sempre più intensi i tratti di un orizzonte onirico.

A

lla politica di chiusura dei mercati, che era stata inaugurata dalla dinastia Ming nell’anno 1368, si sommò la continua espansione turca che, tra il 1307 e il 1356, aveva assorbito tutta l’Asia Minore. Da Gallipoli, i Turchi avevano attaccato Costantinopoli ed erano avanzati verso i Balcani. Questa situazione sembrò cambiare all’improvviso con l’entrata in scena di Tamerlano (Timur Lang o Timur “lo Zoppo”, 1336-1404) che, seguendo le orme di Gengis Khan, estese le proprie conquiste territoriali dal Mar Caspio fino al Caucaso, al Lago d’Aral, all’Uzbekistan, al Kazakistan, al Turkmenistan e al Kirghizistan e dalla Persia a Delhi.

Le spedizioni intraprese da Tamerlano contro l’Orda d’Oro furono parallele a quelle contro i Mamelucchi. Le sue incursioni su Baghdad, Aleppo e Damasco aprirono nuove prospettive per il commercio e la politica occidentali. Dopo la sconfitta serba del Kosovo avvenuta nel 1389 e quella di Nicopoli nel 1396, che allinearono sullo stesso fronte Ungheresi, Valacchi, Borgognoni, Francesi e Inglesi, nel 1401 il basileus Giovanni VII Paleologo, i Genovesi, i Veneziani, la Francia e il papa cercarono un accordo con Tamerlano, che si mostrò aperto a possibili alleanze e trattati commerciali. Infatti, il blocco dello stretto dei Dardanelli e del Bosforo sarebbe 57


NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE

Il viaggio di Ruy González de Clavijo, ambasciatore alla corte di Tamerlano La crescente minaccia per l’Europa rappresentata dall’impero ottomano del sultano Bayezid I portò i sovrani del Vecchio Mondo a cercare un’alleanza con Tamerlano, il leader turco-mongolo che in poco più di due decenni fu sul punto di ricostituire la grandezza dell’impero di Gengis Khan. Il re castigliano Enrico III non fece eccezione. Nel 1403, Enrico III di Castiglia decise di seguire l’esempio di altri Stati europei, incluso il papato, e inviare un’ambasciata a Tamerlano. Ruy González de Clavijo, ciambellano del monarca, fu incaricato di intraprendere questa missione. Nel 1404, dopo un anno e mezzo di viaggio, arrivò a Samarcanda, dove Tamerlano lo ricevette con tutti gli onori: «Guarda qui questi ambasciatori che mi invia mio figlio, il re di Spagna, il più grande re tra i Franchi, che sono un gran popolo. Darò proprio la mia benedizione a mio figlio, il re». Nonostante ciò, l’ambasciata finì per ottenere scarsi risultati: Tamerlano stava preparando la sua campagna contro la Cina e la comitiva castigliana fu presto invitata a tornare a casa. Sarà durante questo viaggio di ritorno che Clavijo verrà a sapere della morte di Tamerlano. Nell’immagine, frontespizio di un’edizione del 1582 dell’Ambasciata a Tamerlano, opera in cui Clavijo ripercorse il proprio viaggio.

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stato molto utile per bloccare ai Turchi le vie di approvvigionamento. Perciò, nonostante la guerra di Chioggia recentemente conclusasi con la pace di Torino del 1381, le galere veneziane e genovesi arrivarono insieme per controllare gli stretti. Le relazioni con Tamerlano – che nel 1395 aveva saccheggiato la colonia veneziana di Tana – non erano sempre state buone. I Genovesi di Caffa, che per buona parte del XII secolo avevano combattuto contro i Tartari di Crimea, erano in rapporti discreti con i Turchi. Nonostante ciò, valeva la pena cercare un nuovo accordo in considerazione della frattura in seno all’Islam. La vittoria di Tamerlano sugli Ottomani ad Ankara il 28 luglio del 1402 poteva aver significato la ripresa del traffico commerciale. Tuttavia, anziché intercettare i Turchi fuggitivi negli stretti, le navi veneziane e genovesi accettarono, per denaro, di trasportarli fino alle coste europee. A ciò si aggiunsero nuovi trattati che stipularono a Bisanzio, Venezia e Genova con gli Ottomani. Il repentino “cambio di partito” sarà più avanti la giustificazione per un attacco traditore lanciato da Tamerlano su Smirne e Focea. Di fatto, per coloro che si occupavano di commercio, i Turchi erano soci obbligati. I Veneziani avevano troppi interessi da tutelare: i Genovesi avevano una lunga tradizione di eccellenti relazioni con loro, come dimostreranno una volta di più gli accordi firmati a Pera nel 1453, la sopravvivenza di Caffa fino al 1475 e quella di Chio fino all’anno 1566. La vittoria di Ankara portò solo saccheggi e, due anni più tardi, la scomparsa di Tamerlano riportò la situzione allo status quo precedente. Dalla battaglia di Nicopoli ci è arrivata la testimonianza del bavarese Hans Schiltberger, che partecipò sul fronte “crociato”. Nell’anno 1394, ad appena quindici anni, abbandonò la sua Baviera natale. Due anni più tardi cadde prigioniero a Nicopoli e trascorse trentadue anni della propria vita in condizioni di schiavitù, in un primo momento come parte del seguito di Bayezid e più tardi di quello di Tamerlano e dei suoi eredi Miran Shah e Abu Bakr. Fu scelto come membro della scorta di un principe tartaro e insieme ad altri quattro cristiani affrontò una lunga traversata. Il viaggio iniziò sulle sponde del Mar Caspio e li portò ad attraversare Gurgang e Urgench, le terre dell’Orda d’Oro e a raggiungere Mingrelia. Di ritorno in Baviera nel 1427, Schiltberger dettò il suo libro di viaggi, il Reisebuch, che si rivelò molto utile per rinfrescare le conoscenze diffuse sulla Via della Seta di cui, nonostante la pulsante attività dei mercanti, l’Occidente aveva notizie sempre più scarse. Il madrileno Ruy González de Clavijo, che partì da Cadice il 21 maggio 1403 a capo di una mis-


sione diplomatica inviata a Tamerlano dalla corona di Castiglia, riportò diverse informazioni. Il suo viaggio cominciò con un ampio giro del Mediterraneo durante il quale passò dalle Baleari a Ponza, fece scalo a Gaeta e costeggiò le isole di Ischia, Capri e le Eolie. Da Messina raggiunse il Peloponneso, visitò le isole di Rodi e Chio e raggiunse Costantinopoli in tempo per passarvi i tre mesi invernali. Da lì partì nuovamente; fece tappa a Trebisonda per affrontare poi la Via della Seta. Attraversò Armenia e Persia, passò da Soltaniyeh, Teheran e Nishapur e attraversò i temibili deserti del Turkmenistan meridionale. L’8 settembre del 1404 – un anno e mezzo dopo la sua partenza – giunse finalmente a Samarcanda dove, tra i festeggiamenti per il ritorno di Tamerlano, rimase fino al 20 novembre. Nel suo racconto dedicò ampio spazio alla descrizione della vita di corte, soffermandosi soprattutto sul signore di quell’immenso impero che si estendeva dalla Turchia alla Cina; un uomo crudele ma molto colto, un anfitrione generoso che, come fece Kublai Khan con Shangdu (Xanadu), trasformò Samarcanda in un

mito della cultura mondiale. Lì domina ancora il mausoleo di Gur-e Amir, nel quale giacciono le spoglie del grande conquistatore.

Veneziani in Oriente Nel 1414, il mercante Niccolò da Conti, originario di Chioggia (Italia), partì da Damasco con una carovana persiana. Giunto a Baghdad, navigò lungo le acque del Tigri e dell’Eufrate. Da Bassora si diresse a Hormuz e lì si imbarcò per Cambay (Khambhat, nel Gujarat), da dove si incamminò verso l’interno. Di ritorno sulla costa del Malabar, passò vicino a Madras e Mylapore e proseguì in direzione di Sumatra. Arrivò alle coste del Tenasserim, in Birmania e, dopo diversi scali, toccò Kuladan, Ava e infine Zaiton, dove rimase quattro mesi. Riprese il viaggio per mare e passò per Giava e per il Borneo. Durante uno scalo durato quasi nove mesi, mise insieme notizie sulle isole Celebi e sulle Molucche. Un mese di navigazione lo condusse fino al regno indocinese di Champa; altri 30 giorni di viaggio lo portarono dall’Indonesia fino in India.

L’AVANZATA MONGOLA.

Durante i primi anni del XV secolo, gli eserciti mongoli di Tamerlano avanzarono nel Vicino Oriente e inflissero un duro colpo all’egemonia ottomana. Sopra, il castello di Qalaatar Rabad (Giordania), eretto verso il 1184 da un nipote di Saladino e raso al suolo secoli più tardi dai Mongoli.

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SAMARCANDA, LA FAVOLOSA CAPITALE DI TAMERLANO

A

nche se è passato alla storia come l’ultimo dei grandi conquistatori nomadi dell’Asia, Tamerlano volle che il proprio impero avesse una capitale all’altezza della sua grandezza. Per questo motivo decise di abbellire Samarcanda (nell’odierno Uzbekistan) con palazzi e templi innalzati dai migliori artigiani dei territori conquistati, senza dimenticare gli esuberanti giardini in cui il caudillo montava le proprie tende. A quest’epoca risalgono monumenti come la moschea Bibi Khanum e il mausoleo di Gur-e Amir (a destra), che il conquistatore fece costruire per se stesso.

TAMERLANO. Il fiero aspetto del caudillo mongolo è

evidente in questo busto realizzato a partire dagli studi dell’archeologo e antropologo sovietico Mikhail Gerasimov. 60


CITTÀ DI MOSCHEE. Sopra, miniature di un’edizione

del 1237 del Maqamat di Al Hariri di Bassora illustrata da Al Wasiti, che mostra Abu Zaid intento in una predica nella moschea di Samarcanda (Biblioteca Nazionale, Parigi). Sotto, interno di Gur-e Amir, il mausoleo di Tamerlano e di alcuni dei suoi figli e nipoti.

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NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE

Lì, dopo diverse soste, raggiunse la costa del Malabar, Cranangore e Calicut e, alla fine, di nuovo Cambay. Riprese poi il viaggio attraverso il Mar Rosso e, dopo due mesi di viaggio e lasciandosi alle spalle Socotra, Aden e Yeda, arrivò finalmente alla Penisola del Sinai e proseguì diretto a Il Cairo, dove si stabilì. Lì, tra il 1339 e il 1340, il genovese Domenichino Doria, liberto di un emiro mamelucco che a quei tempi si trovava però in prigione, passò il suo tempo a descrivere minuziosamente i sedici principati turchi dell’Anatolia, l’impero greco di Trebisonda e l’Europa cattolica all’egiziano Ibn Fadl Allah al-Umari, più tardi autore di un’ampia opera enciclopedica che raccoglie dati storici, geografici e politici. La situazione non fu facile per Niccolò da Conti che, dopo aver subito il furto di tutto ciò che possedeva e dopo aver perso la moglie e due dei quattro figli a causa di un’epidemia, avendo imparato l’arabo a Damasco decise di svolgere per il sultano l’attività di interprete, cioè di “turcimanno”. Si convertì all’Islam, ottenne una casa e diversi altri beni e, nel giro di due anni, riuscì a farsi conce62

dere un salvacondotto che gli permise di ritornare a casa. Nel 1439, a Firenze, ottenne il perdono di Eugenio IV e l’umanista Poggio Bracciolini raccolse il racconto delle sue vicissitudini, che furono esposte con grande erudizione nel quarto libro del suo De varietate fortunae. Le sue informazioni furono riportate da Fra Mauro sul suo mappamondo e da Enea Silvio Piccolomini nella sua Cosmographia nel 1461. Dal Mar d’Azov arriva invece il viaggio del veneziano Giosafat Barbaro, autore di un interessante racconto pubblicato più tardi insieme ad altri dello stesso genere a Venezia, nel 1534, come parte del volume Viaggi fatti da Vinetia alla Tana in Persia in India et in Costantinopoli. Giosafat Barbaro era in possesso, dall’anno 1436, di un’importante società di pesca, essiccazione e salatura del pesce a Tana e da lì realizzò diverse incursioni nel territorio dell’Orda d’Oro, intorno a Tana e al basso Volga, cercando addirittura di portare a buon fine, insieme ad altri sette mercanti e a 120 uomini, uno studio archeologico su di un antico kurgan (tumulo funerario). Percorse la Crimea e i


L’eco dei viaggi di Niccolò da Conti Veneziano come Marco Polo, Niccolò da Conti fu un commerciante che visse ogni tipo di avventura nei 25 anni che trascorse in Asia. Ce lo racconta una narrazione dettata all’umanista Poggio Bracciolini come penitenza per la sua conversione all’Islam. Il racconto di Niccolò da Conti, pubblicato nel De varietate fortunae (Le vicissitudini della sorte) di Poggio Bracciolini, fu un successo che, da un punto di vista pratico, servì per confermare molti dei dati sull’Oceano Indiano riportati da Marco Polo nel Milione. L’uso immediato che i cartografi fecero delle sue informazioni ci fa capire quanto credito gli fosse riconosciuto. La critica moderna però ha messo in dubbio alcune lacune del testo di Da Conti. La più sorprendente è che egli non menzioni mai l’imponente flotta dell’ammiraglio cinese Zheng He che, al servizio di Yongle, terzo imperatore della dinastia Ming, solcava l’Oceano Indiano nella stessa epoca del Veneziano. Le sue navi, fino a cinque volte più grandi delle caravelle europee, dovettero sicuramente richiamare la sua attenzione. Qui accanto, giunche cinesi della flotta di Zheng He. Nella pagina precedente, mappamondo genovese di proprietà del cartografo Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482), che include i contributi di Da Conti.

paesi bagnati dal Mar Nero fino al Caucaso, passando da Astrakhan, Tiflis e altre località della Transcaucasia. Ritornò a Venezia tra il 1450 e il 1451, per partire ancora una volta nel 1473 in compagnia dei legati del papa e del re di Napoli. In qualità di ambasciatore della Repubblica si recò a far visita allo scià Uzun Hasan, che dopo la perdita di Negroponte cercava alleanze antiturche. Si fermò per un po’ a Famagosta come consigliere di Caterina Cornaro, allora regina di Cipro. Riprese poi il viaggio insieme a un legato persiano, un segretario e un interprete e sbarcò a Corico (Korghoz), in Asia minore; passò per Seleucia, Tarso, Adana, Urfa, Biremi, Mardin e Sirte e, dopo aver attraversato una zona curda, giunse a Tabriz alla fine del 1474. Si trattenne in Persia, dove visse per quattro anni viaggiando spesso e seguendo lo scià nei suoi spostamenti, che lo portarono fino a Persepoli e alla regione del Caspio. In questa occasione raccolse notizie anche su luoghi che non aveva visitato, come Van e Hormuz. Dato che, dal punto di vista diplomatico, non era riuscito a ottenere alcun risultato

positivo, nel 1478 decise di partire in compagnia di un ambasciatore dello scià per Erzincan e Malatya, attraversando Aleppo, Beirut e Cipro e sbarcando di nuovo a Venezia nel 1479. Durante la sua permanenza in Persia, Barbaro fece la conoscenza di un altro mercante veneziano che a sua volta portava un’ambasciata. Si trattava di Ambrogio Contarini, che dopo un periodo trascorso a fare affari a Costantinopoli e in altre località, fu inviato dalla Repubblica in Persia esattamente un anno dopo Barbaro. Ambrogio Contarini, che partì da Venezia il 23 febbraio del 1474 con un interprete, due servitori e un cappellano-cancelliere, preferì evitare le zone turche e scelse un itinerario continentale. Attraversò la Germania, la Polonia, la Russia Bianca e l’Ucraina per giungere sulle coste del Mar Nero. Passò per il Caucaso e il 30 ottobre giunse a Isfahan, dove si riunì allo scià Uzun Hasan. Con lui si spostò prima verso l’accampamento d’inverno di Qom e poi, a partire dal 4 agosto, a Tabriz. Lì conobbe frate Ludovico da Bologna, un avventuriero che si presentò come 63


NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE

I Contarini, mercanti e politici della potente Venezia Con origini che risalgono al X secolo, quella dei Contarini fu una delle famiglie più antiche, potenti, nobili e influenti della Serenissima Repubblica di San Marco, il cui destino ha gestito dall’alto in molteplici occasioni. Ma l’influenza di questa dinastia patrizia non si limitò esclusivamente ai settori della politica e del commercio. Nel 1473, il Senato veneziano decise di inviare in Persia una missione diplomatica per cercare nuovi alleati nella lotta contro i Turchi. La persona prescelta per guidare un’impresa così delicata fu Ambrogio Contarini. La Serenissima dimostrava in tal modo la propria fiducia in una delle sue famiglie più distinte e rispettate, che fino a quel momento le aveva dato tre dogi: Domenico I (?-1070), Jacopo (1194-1280) e Andrea Contarini (ca. 1300-1382). Non saranno gli unici, poiché nel Medioevo i Contarini ne diedero a Venezia altri cinque: Francesco (1556-1624), Niccolò (1553-1631), Carlo (1580-1656), Domenico II (1585-1675) e Alvise (1601-1684). Tutto ciò senza dimenticare i quattro patriarchi di Venezia e un buon campionario di diplomatici, militari, scrittori, matematici e artisti. Sopra, Palazzo Contarini del Bovolo, a Venezia, che risale al XV secolo, il cui nome si deve alla scala a chiocciola (del bovolo) sulla facciata.

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ambasciatore del duca di Borgogna, patriarca di Antiochia nonché promotore di una lega antiturca. Insieme riuscirono a ottenere dallo scià la promessa di un intervento. Fu così che il 28 giugno del 1475, il Veneziano e Ludovico intrapresero un viaggio con due ambasciatori persiani e l’ambasciatore di Moscovia. Quando arrivarono a Fasi però, sulle sponde del Mar Nero, scoprirono che Caffa era caduta nelle mani dei Turchi. Contarini e l’ambasciatore di Moscovia si diressero verso il Mar Caspio, verso la frontiera tra Persia e Tartaria, e passarono l’inverno a Derbent. Da lì si imbarcarono il 6 aprile del 1476 diretti ad Astrakhan. Contarini dovette affrontare diverse difficoltà: in un primo momento ottenne che i Russi gli prestassero il denaro di cui aveva bisogno per evitare che i Tartari lo riducessero in schiavitù; poi dovette fingere di essere un medico in viaggio verso la Moscovia, zona a quei tempi molto poco visitata dagli occidentali. Entrato a far parte della carovana dell’ambasciatore tartaro in Moscovia, riuscì finalmente ad arrivare a Mosca dove, alla fine di novembre, visse come ospite dell’architetto Aristotele da Bologna, che in quel periodo lavorava con altri Italiani nella capitale russa. Nel gennaio del 1477 riprese il viaggio e, dopo aver attraversato la Russia Bianca, arrivò in Lituania dove fu ricevuto da Casimiro IV di Polonia, precisamente a Trakai, vicino a Vilnius. Finalmente, il 10 aprile arrivò a Venezia passando da Trento. A Venezia, come facevano tutti gli ambasciatori della città, consegnò il suo racconto che fu pubblicato nel 1487.

Genovesi in Oriente La presenza in India e in Cina dei nomi delle più importanti famiglie veneziane – Polo, Loredan, Soranzo – non contrasta con le testimonianze dell’epoca, unanimi nel considerare i Genovesi come i più grandi conoscitori di quelle terre. I mercanti genovesi e veneziani furono complementari per quanto riguarda la conoscenza del mondo. A metà del XIII secolo, una nutrita serie di atti notarili genovesi lasciò una testimonianza dell’introduzione in Occidente, senza intermediari, della seta catuia, o seta cinese. Marco Polo, che ad Ayas e sulla pista carovaniera conobbe molti Genovesi, segnala che sul Mar Caspio avevano organizzato un regolare servizio di navigazione. Guillaume Adam, arcivescovo di Soltaniyeh, spiega che, di fronte alla necessità di trovare marinai capaci di intercettare e interrompere gli scambi commerciali tra India, Cina ed Egitto, fu necessario ricorrere ai Genovesi, gli unici in grado di navigare spingendosi verso tutte le direzioni. Anche Frate Giordano Catalano da Severac ricorda la presenza dei Genovesi tra Tana e Qui-


lon. Giovanni Boccaccio, figlio di mercanti e discepolo del famoso astronomo e astrologo genovese Andalò del Negro, afferma nel Decameron che, per poter includere nei suoi racconti le informazioni sulla Cina, aveva chiesto «a certi Genovesi che ci erano stati». Il fiorentino Francesco Balducci Pegolotti, nel suo «avvisamento del Gattaio» (Catai), incluso nella sua opera Pratica della mercatura, redatta nel 1340 – quando le relazioni con i Mongoli erano già meno facili – sostiene che sulla strada per la Cina il sistema di peso cinese si adattava sempre a quello genovese. Nel 1340, i Genovesi mantenevano la loro colonia a Tabriz, punto di riferimento per i mercanti occidentali. Nel 1343, Leone Oltremarino desiderava ancora viaggiare per la Cina; Galeotto Adorno raccolse a Cambaluc i beni di un mercante di Piacenza deceduto; Percivale Cybo si trovava a Peshawar; nell’anno 1363, i Basso e i Da Promontorio commerciavano in sete cinesi e, nel 1372, Gentile Adorno comprava seta a Mazar-e Sarif. Anche se si sentivano sempre più attratti dall’Occidente e dall’Atlantico che dall’Estremo

Oriente, nell’ultimo decennio del XV secolo i Genovesi si muovevano ancora per gli antichi itinerari orientali. Lo facevano ad esempio due uomini d’affari, Gerolamo Adorno, appartenente a un grande clan che aveva addirittura un dux nel proprio albero genealogico e che aveva rappresentanti in tutto il mondo incluse le isole atlantiche (e più tardi in America), e il meno blasonato Girolamo da Santo Stefano. Partirono da Genova, probabilmente prima del gennaio del 1494, e giunsero in Egitto. Da lì scesero lungo il Mar Rosso. Quando arrivarono ad Aden, si imbarcarono per Calicut e, dopo essere passati da Ceylon, arrivarono a Coromandel. Proseguendo per mare raggiunsero Pegu, che si trovava in guerra – cosa che impedì loro di proseguire in direzione di Ava. Durante questo lungo scalo obbligato, ormai stanco per le difficoltà del viaggio, Gerolamo Adorno morì il 27 dicembre del 1496. Una volta conclusi gli affari, Girolamo da Santo Stefano proseguì il viaggio da solo. Si rimise in marcia verso Malacca, ma le condizioni metereologiche avverse obbligarono

LA SETA. Conosciuta in

Cina fin dal secolo XXVII a.C., la seta non fu introdotta in Europa sino al XIV secolo e diede il nome alla più famosa delle vie commerciali della storia dell’umanità. In alto, pittura su seta che mostra alcune cortigiane dell’imperatore Huizong (1082-1135) mentre preparano delle matasse di seta (Museum of Fine Arts, Boston).

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NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE

La Firenze dei Medici e di Benedetto Dei Nel XV secolo, man mano che cresceva il potere della famiglia Medici, Firenze cominciò a svolgere un’intensa attività diplomatica, così come facevano le sue città rivali nella Penisola Italica, le marinare Genova e Venezia. I Medici sono passati alla storia per il loro ruolo di mecenati nella città che diede vita al Rinascimento. Soprattutto a partire dal 1434, quando Cosimo de’ Medici prese il potere e trasformò questa famiglia di banchieri e commercianti nella vera signora di Firenze. Un’ascesa che trova un cronista eccezionale in Benedetto Dei e nella Cronica dall’anno 1400 all’anno 1500, che offre ogni tipo di notizia sull’arte, sulla cultura, sulla politica e sull’economia fiorentine. Ma oltre che storico, Dei fu uno degli uomini di fiducia dei Medici, che lo inviarono non solo alla corte del sultano ottomano Mehmed II, ma anche in Francia, a Milano, in Inghilterra e in Germania, dove lavorò al servizio degli interessi politico-economici dei suoi protettori fino al suo ritorno definitivo a Firenze a settantatré anni. A destra, olio anonimo che mostra Piazza della Signoria a Firenze nel giorno dell’esecuzione di Girolamo Savonarola (1498).

CITTADELLA DI ALEPPO.

La città siriana di Aleppo fu, per tutto il Medioevo, una tappa obbligata per viaggiatori e commercianti che si muovevano tra Asia ed Europa lungo le rotte del Mediterraneo orientale.

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l’imbarcazione su cui viaggiava a far scalo in un luogo – forse Pase – dove il signore locale pretese di sequestrare i beni dell’uomo deceduto. Girolamo da Santo Stefano si oppose, fu arrestato e i suoi beni furono confiscati, inclusi alcuni rubini per un valore di 300 ducati. Fu un documento che portava con sé dal Cairo a salvarlo. Con l’aiuto di un cadì che capiva un poco di italiano, riuscì a recuperare le sue mercanzie, ma non i rubini. Vendette tutto quello che aveva recuperato, acquistò seta e benzoino e si rimise in cammino verso l’India. Dopo un mese di navigazione arrivò vicino alle Maldive. Lì una tormenta affondò la barca con le sue merci. Aggrappato a un pezzo del relitto per un intero giorno, Girolamo finì arenato su di una roccia e fu salvato da un’altra nave del convoglio. Già a Cambay ottenne aiuto da alcuni mercanti musulmani di Alessandria e di Damasco, uno dei quali lo prese sotto la propria protezione incaricandolo di concludere una serie di affari a Hormuz. Lì Girolamo si unì a una carovana di mercanti armeni e persiani che, al ritorno, si vide obbligata a seguire

un tortuoso itinerario per via delle guerre in corso. Passarono in primo luogo da Shiraz e poi da Isfahan, Qazim, Soltaniyeh e Tabriz. In cammino verso Aleppo, la carovana fu assalita e saccheggiata. Dalla città siriana, Girolamo da Santo Stefano si diresse verso Tripoli (Libano). Lì, il 1 settembre dell’anno 1499 scrisse una lettera-racconto diretta a Giacomo Maineri, parente di sua madre e probabilmente suo socio in affari o di chiunque fosse il suo procuratore, due relazioni contrattuali ampiamente diffuse tra i Genovesi. Lettere di questo tipo hanno grandissima importanza e non è un caso che siano incluse nelle collezioni di racconti di viaggio. In effetti, come nel caso di Antoniotto Usodimare, Antonio Malafante e Michele da Cuneo, che operarono in zone più occidentali, queste lettere sostituivano i manuali per mercanti che, nel loro zelo di preservare la sfera privata, i Genovesi preferivano non redigere. Dopo queste vicissitudini, è probabile che Girolamo da Santo Stefano abbia optato per l’Occidente. In una lettera datata 1502, Cristoforo Colombo, al quale era stato raccomandato dal


suo amico Niccolò Oderico, ambasciatore genovese, si dichiarò disposto ad accoglierlo quando fosse arrivato a Siviglia.

Il fiorentino Benedetto Dei Benedetto Dei viaggiò a bordo di un’imbarcazione catalana e da Tunisi arrivò a Timbuktu e alla corte del sultano Mehmed II. Membro di una famiglia di riconosciuto prestigio economico e politico, in gioventù si recò a Roma su invito della banca dei Medici, di cui fu ospite anche quando si trasferì temporaneamente a Venezia e a Milano. Partecipe delle vicissitudini politiche fiorentine e italiane della metà del XV secolo, Benedetto Dei aveva cominciato a muoversi per il mondo sviluppando attività commerciali e diplomatiche per Firenze. A partire dal 1460, i suoi viaggi lo portarono da Tunisi a Orano e da Timbuktu sino a Istanbul e alla Bosnia. La varietà dei suoi itinerari, che andavano da Occidente a Oriente, evidenzia la doppia direzione della politica economica fiorentina che, molto presente in Occidente, non voleva restare indietro rispetto ai Genovesi e ai

Veneziani della corte del sultano Mehmed II. Lì i rapporti con i Genovesi erano come sempre buoni, ma non era così con i Veneziani. Nonostante questo, il fiorentino riuscì a guadagnarsi la considerazione del sultano fino a diventare ambasciatore. Nel frattempo mantenne attiva la corrispondenza con il seguito di Piero de’ Medici, probabile ispiratore della missione in Turchia (nonché referente di Amerigo Vespucci in Spagna) ed ebbe relazioni con il cosmografo Paolo dal Pozzo Toscanelli. Benedetto Dei tornò a Firenze nell’anno 1467, ma quasi immediatamente partì per Parigi; si diresse poi a Milano e più tardi viaggiò per tutta l’Europa. Dopo i difficili momenti che seguirono la “cospirazione dei Pazzi”, preferì rimanere a Milano, città in cui risiedette a partire dal 1480. Tra il 1487 e il 1489, visse tra le corti di Bologna e di Ferrara; tornò poi a Firenze e più tardi di nuovo a Bologna. Tornò infine alla sua città natale, dove morì nel 1492. Nel 1473 aveva cominciato a redigere la sua Cronica, nella quale dedica diversi capitoli ai viaggi tra Turchia, il Mar Nero, la Penisola Balcanica, la Grecia, la 67


NUOVE ALLEANZE CON L’ORIENTE

I viaggi di esplorazione, un’inesauribile fonte di mirabilia Sebbene si tratti di viaggi e siano scritte dai viaggiatori, opere come il Milione, conosciuto anche come I viaggi di Marco Polo, e quelle venute dopo, appartengono più al genere dei mirabilia che a una letteratura di viaggio che nel Medioevo non esisteva come tale. Sono racconti di “meraviglie” in cui l’uomo medievale europeo si domandava cosa ci fosse al di là del proprio mondo. Non è strano che molti libri di viaggio medievali contengano nel titolo la parola “meraviglia”. Viene dal verbo latino mirari, che significa ammirare, stupirsi. Da questo deriva mirabilia, il termine che nel Medioevo si usava per nominare l’insieme di cose ammirevoli create da Dio in ogni angolo del mondo. Realtà che, sebbene remote, invitano a essere scoperte e descritte. Per questo i libri di viaggio, o “di meraviglie”, sono interessanti non solo per le informazioni che contengono sugli spazi lontani dall’Europa, ma anche per le notizie che riportano su come li vedeva l’uomo medievale europeo. Dove finisca la Terra e quali popoli ed esseri la abitino sono alcune delle domande alle quali questi autori cercano di rispondere, anche se spesso la fantasia si insinua nelle loro pagine. Come quando Mandeville parla di grifoni e leoni blu e verdi: sostiene la loro esistenza dicendo «io li ho visti». A destra, ritratto di Mandeville in un incunabolo di Augusta del 1481; nella pagina seguente, caravelle in navigazione per l’Oceano Indiano con un astrolabio, in una miniatura del Libro delle meraviglie del mondo (Biblioteca Nazionale, Parigi); a sinistra, uno degli esseri fantastici descritti da Mandeville in un’edizione inglese del XVIII secolo.

Bosnia, la Dalmazia, Tunisi, Cartagine e Timbuktu, oltre alle Memorie storiche che a loro volta raccolsero le sue vicissitudini di viaggiatore.

I Viaggi di Jean de Mandeville Jean de Mandeville afferma di essere un cavaliere inglese che partì verso Oriente il 29 settembre del 1322 e tornò nel 1356 in cattive condizioni di salute. Tempo dopo il suo ritorno, decise di narrare le proprie vicissitudini redigendo i Viaggi, testo considerato autentico fino a due secoli fa, quando furono messe in dubbio sia l’identità del personaggio che la sua credibilità. L’ipotesi è che Jean de Mandeville sia solo lo pseudonimo utilizzato da un medico di Liegi, Jean de Bourgogne, conosciuto anche come Jean à la Barbe. Questo personaggio sarebbe vissuto in Inghilterra prima di essere costretto a fuggire a causa dell’implicazione nell’assassinio di un nobile. Amante dell’arte dello scrivere, si sarebbe ispirato alla vita di un cavaliere inglese così chiamato e che ai tempi di Edoardo III fu protagonista di tali avventure. Secondo altri, 68

l’autore potrebbe essere il notaio Jean d’Outremeuse, novellista e cronista amico del medico. C’è anche chi pensa che, in ogni caso, si tratti di un Mandeville – nome molto diffuso a Saint Albans, Hertfordshire – che non avrebbe mai lasciato l’Inghilterra o che si sarebbe rifugiato a Liegi per esercitare lì la professione di medico sotto falso nome. Sicuramente l’autore dei Viaggi è un uomo di grande cultura. Il libro, pubblicato in francese nel 1480, ebbe un’enorme diffusione e fu tradotto in latino e in inglese e, poi, in molte altre lingue. Compendio dei viaggi medievali, i Viaggi divennero subito patrimonio degli intellettuali e della classe popolare grazie al loro inventario di meraviglie, in cui si salta dall’esotico al grottesco. Il testo mostra una fisionomia molto diversa da quella degli altri racconti d’indole simile, dato che l’autore mantiene per tutta la narrazione un tono sempre distante e alieno a qualsiasi giudizio o opinione. Per realizzare il suo viaggio intellettuale, Jean de Mandeville creò una sorta di compendio di letteratura odeporica, cioè riferita ai viaggi. È


certo che, tra i racconti di crociati, pellegrini e viaggiatori, mostrò una predilezione particolare per l’Itinerario attraverso Palestina ed Egitto di Wilhelm von Boldensele, come anche per il testo di Odorico da Pordenone. Mandeville parte da Costantinopoli il 29 settembre 1322, passa per Grecia, Cipro e Acri; si reca fino in Sicilia e in Egitto, da Il Cairo fino al Sinai e a Gerusalemme; si dirige in Arabia, Sumatra e Giava e arriva fino all’Himalaya e a Ceylon. Non riesce però a scalare il Paradiso Terrestre, il punto più alto della terra. A mano a mano che avanza verso l’Oriente, aumenta il numero delle meraviglie. Gli uomini e le donne assumono aspetti mostruosi, mentre gli oggetti si animano e una vita multiforme sembra avvolgere tutto. Sulla strada del ritorno, Mandeville passa per Roma per esporre il proprio racconto al pontefice che, su richiesta del viaggiatore, lo sottopone volentieri al giudizio di tre consulte, che certificano la veridicità dei fatti narrati. È qui però che Jean de Mandeville rivela la sua cattiva fede. In realtà, a quell’epoca il papa non si trovava a Roma, bensì ad Avignone.

Immaginazione ed erudizione sono alla base del Libro del conoscimiento de todos los reynos et tirerai et señoríos que son por el mundo et de las señales et armas que han cada tierra et señorío por sy et de los reyes et señores que los proueen e del Libro piccolo di meraviglie di Jacopo da Sanseverino. Il primo, redatto intorno al 1348 da uno sconosciuto francescano spagnolo, descrive il viaggio che, attraverso Francia, Germania, Fiandre, Danimarca, la costa meridionale del Baltico, Boemia e Polonia lo porta fino in Svezia, Norvegia centrale e poi Africa fino al Sudan e all’Abissinia. Una volta superato il Golfo Persico, il francescano viaggia verso India, Cina, Tartaria e Tibet. Di ritorno passa dal Mar Caspio, Mar Nero, Persia, Costantinopoli, Russia e Svizzera meridionale, da dove parte per le Fiandre per arrivare infine a Siviglia. Il testo, redatto da Sanseverino, è pieno di miti e “meraviglie” e si può considerare completamente dedicato all’Oriente. Il suo autore sostiene di aver realizzato, tra il maggio del 1416 e il Natale del 1418, un viaggio in compagnia di tre cavalieri oltremontani per visitare buona parte del mondo. 69


GUERRE NAVALI. Assedio navale di un porto in una miniatura di un manoscritto del 1350 (Museo Nazionale del Bargello, Firenze). Nella pagina accanto, astrolabio arabo del XV secolo. 70


COMMERCIO ED ESPANSIONE Alla fine del XIII secolo, una combinazione di tendenze e forze politiche, economiche e culturali si concretizzò in un’azione congiunta che aveva il fine di modificare le frontiere occidentali, con l’orizzonte di un possibile recupero delle relazioni con l’Oriente. Da questo scenario emerse con forza il ruolo predominante delle corone della Penisola Iberica e degli esperti mercanti e guerrieri italiani.

S

ia per il Portogallo che per la Castiglia, le due monarchie leader nella prima espansione per gli oceani, il periodo a cavallo tra il XIII e il XIV secolo fu un momento di transizione, di fronte al quale reagirono in modi e tempi diversi. Entrambe pagarono il proprio debito alla politica dell’epoca e a una struttura di regni in cui, come accadeva in tutta l’Europa centro-occidentale, dominavano le aristocrazie di cultura feudale. L’economia di consumo, che spingeva a perseguire la conquista e la colonizzazione di nuove terre, continuava a lasciare nelle mani italiane il commercio e le finanze. È in questo contesto che vanno considerate le operazioni portate a

termine in area iberica e nel Mediterraneo che, a metà del XIII secolo, permisero alla corona di Castiglia il recupero di al-Andalus. In un certo senso anche la politica di acquisizione delle isole mediterranee messa in pratica dalla corona di Aragona si situava su questa linea. In questo caso, la corona e i mercanti di Barcellona e Valencia erano uniti da un patto di collaborazione. Sull’altro fronte, nell’anno 1317 il re Dionisio di Portogallo creò una flotta con caratteristiche militari e mercantili, anche se tutto rimase poi bloccato fino al 1385, quando la nuova dinastia degli Aviz, che ancora collaborava ampiamente con gli Italiani sul fronte delle relazioni internazionali, 71


COMMERCIO ED ESPANSIONE

strinse un patto con la loro classe mercantile. Lo scontro tra le due tendenze, una che perseguiva la conquista territoriale anche in Africa e l’altra che intendeva realizzare un ambizioso progetto marittimo-mercantile, continuò per gran parte del XV secolo e svolse un ruolo decisivo nell’interruzione delle attività sull’Oceano Atlantico. A ogni modo, la fase di transizione dal XIII al XIV secolo risultò determinante anche per la corona d’Aragona e le corone di Francia e d’Angiò. Le tre operavano fondamentalmente nel Mediterraneo, sebbene i Francesi fossero presenti anche sull’Atlantico. Nonostante ciò, la loro attività in quell’area non ebbe peso fino alla seconda metà del XV secolo, ai tempi dello scontro tra Portogallo e Castiglia. Sia la corona di Francia che quella d’Angiò continuarono ad appoggiare i mercanti-banchieri italiani per tutto il tempo e, in questa fase, soprattutto quelli fiorentini.

Catalano-aragonesi e Genovesi

BUSTO DI GIACOMO I IL CONQUISTATORE.

Il monarca aragonese diede l’impulso definitivo all’espansione del regno con la conquista delle Baleari e di Valencia. Questa rappresentazione di Giacomo I in pietra lavorata del XIV secolo, sebbene molto deteriorata, mostra l’aspetto guerriero del monarca (Musée Languedocien, Montpellier).

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La storia della corona d’Aragona rappresenta un caso a parte. Giacomo I (1213-1276) aveva optato per una politica che aveva portato la corona fino al mare, rendendola una riconosciuta potenza mediterranea all’altezza di Genova, Venezia, della corona di Francia e di quella d’Angiò, che erano sempre alleate tra loro. Era presente e attiva dal Maghreb all’Egitto, comprendendo Baleari, Sicilia, Sardegna e area greca. Ai tempi del matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia (1469), il suo raggio d’azione continuava a essere mediterraneo. I due regni, legati unicamente da un’unione personale, mantenevano caratteristiche e interessi molto diversi. L’unione matrimoniale non portò i Catalani né alle Canarie né in America, ma i cardinali di casa Borgia – papa Callisto III e, soprattutto, Alessandro VI, papa della “scoperta” – pesarono molto nella storia dell’espansione e delle relazioni internazionali. Nonostante ciò, sembra chiaro che le situazioni dei due regni si influenzavano reciprocamente. Il matrimonio di Ferdinando con Isabella provocò una serie di guerre con il Portogallo che si risolsero infine con il trattato di Alcáçovas-Toledo. La questione mediterranea era un problema della corona d’Aragona che provocò scontri con gli Angiò e con la Francia finché, nel 1442, Alfonso V d’Aragona salì al trono di Napoli con il nome di Alfonso I il Magnanimo. Con lui, nel XV secolo, si inasprirono gli scontri con Genova: i Genovesi portarono la guerra fino al porto di Barcellona e Alfonso V la condusse fino alle coste della Liguria. Dopo la vittoria di Ponza (1435), questo scontro portò per un breve periodo la presenza dei Catalani nelle due città liguri di Lerici e Portovenere.

L’espansione della corona d’Aragona L’alleanza tra la monarchia e la classe dei commercianti di Barcellona fece sì che il re Giacomo I il Conquistatore e i suoi successori puntassero su un’apertura verso il Mediterraneo, facendone il punto focale della loro politica. Durante il regno di Giacomo I, si gettarono le basi che avrebbero trasformato la corona d’Aragona in una delle grandi potenze del Mediterraneo. Il primo passo fu la conquista di Maiorca, culminata nel 1231. Anche se il resto dell’arcipelago delle Baleari sarebbe rimasto ancora per diverso tempo in mani musulmane (Ibiza fu presa nel 1235 e Minorca nel 1298), la conquista dell’isola regalò alla corona una posizione strategica nel Mediterraneo occidentale. Ne approfittarono i mercanti catalani, ai quali a partire dal 1238 si unirono i Valenziani dopo che il re ebbe conquistato il regno di Valencia. Più tardi, nel 1282, Pietro III il Grande porterà avanti l’espansione catalanoaragonese, iniziata da suo padre Giacomo I, nel Mediterraneo con l’annessione della Sicilia. A destra, Retablo di San Giorgio, di Pere Niçard (XV secolo), in cui sono rappresentate la città e il porto di Maiorca ai tempi di Giacomo I (Museo Diocesano, Palma di Maiorca).

A Ferdinando il Cattolico e alla sua cerchia catalano-aragonese non piaceva Cristoforo Colombo, in parte forse perché aveva lavorato con Renato d’Angiò e continuava ad avere relazioni con i Fieschi, legati alla corona di Francia e che dal 1499 detenevano il potere su Genova. Senza dubbio l’ammiraglio godeva dei favori della regina Isabella, sostenuta da una potente lobby che poteva contare sull’appoggio di ventuno dei ventotto nomi di alberghi genovesi. Sia i Genovesi che i meno numerosi, ma molto attivi, Fiorentini, presenti in Portogallo e Castiglia, cercarono di non essere coinvolti in attività che abbracciavano soltanto il bacino mediterraneo. In questa impresa, sia questi che i regni della Penisola Iberica ottennero l’appoggio della Chiesa di Roma che, nella seconda metà del XV secolo e nella prima del XVI, era retta da papi che appartenevano a grandi famiglie genovesi e fiorentine, fatto salvo il caso di Alessandro VI, il papa Borgia dei Borgia valenziani. Venezia per contro, penalizzata dall’espansione turca nonostante la crociata lanciata da Eugenio IV e nonostante la battaglia di


Otranto preparata da Sisto IV, era meno presente in Occidente e procedette contro l’espansione portoghese verso il mercato delle spezie.

Mediterraneo versus Atlantico Alla fine del XIII secolo, due anni prima che l’Europa continentale – con le attività di Olandesi, Francesi e Inglesi – riuscisse a mettersi alla guida dell’espansione mondiale e disegnasse un nuovo panorama politico ed economico, gli uomini dell’Europa mediterranea diedero un impulso decisivo alla formazione di un nuovo Occidente. Il suo processo di avvicinamento all’Atlantico ha radici lontane nel tempo. Tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, negli stessi secoli in cui era attivo il movimento verso il Levante Mediterraneo e verso Oriente, Genovesi e Pisani erano presenti nel Mediterraneo occidentale e i primi stavano già sviluppando la propria attività sulle coste settentrionali e meridionali dell’Atlantico, attraverso i loro uomini d’affari e le loro maestranze navali. Nel 1110-1111, si trovavano a Santiago de Compostela, dove, per conto del vescovo,

costruirono il bastimento richiesto per combattere le incursioni e gli atti di pirateria saraceni e normanni; nel 1147 erano presenti alla presa di Lisbona e, nelle stesse date, nell’al-Andalus islamico, a Siviglia e nel grande porto di Malaga; alla fine del secolo si trovavano a Safi e Salé, sulle coste del Marocco. Alla fine del secolo seguente, le imbarcazioni dei mercanti mediterranei erano giunte sulle coste atlantiche e nelle Fiandre. Perciò, anche se il processo era già cominciato, per molto tempo l’Oceano Atlantico sarebbe stato ancora considerato come un Mare Tenebrosum, un “mare delle tenebre”, dominio esclusivo dei pescatori, navigabile soltanto per le vie di cabotaggio nell’area del cosiddetto “Atlantico Mediterraneo” e al largo della rotta verticale costiera verso sud e verso nord. Verso la fine del XV secolo, la presenza sulle mappe di isole dai nomi leggendari suggerisce che l’Atlantico continuava ad essere in gran parte sconosciuto. Le Isole Fortunate dei Fenici, la mitica isola-balena di San Brandano, le isole Brasile e Antilia si spostavano tra le Azzorre e le isole Shetland. La car73


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ALFONSO V DI ARAGONA. Detto anche

Alfonso I il Magnanimo come re di Napoli, conseguì parecchi successi militari e politici nel Mediterraneo. Sopra, ducato d’oro con l’effigie del re a cavallo.

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tografia e gli eruditi dell’epoca facevano menzione di quella che era l'“ultima” Thule del greco Pitea, della biblica Taprobana (Ceylon) o di Punt e Ofir, tra l’India e l’Africa. Il Paradiso Terrestre fluttuava tra Oriente e Occidente, mentre il regno del Prete Gianni si spostava nella cartografia dell’epoca da Oriente fino all’Etiopia. Queste indicazioni erano chiaramente segno di preesistenti eredità culturali ed espressione dell’immaginario collettivo dell’epoca. Allo stesso tempo furono però anche una testimonianza dell’esistenza di altre realtà ancora da esplorare e di altre opportunità di cui si doveva approfittare. I luoghi immaginari erano stati creati a bella posta, appositamente per risvegliare l’iniziativa e la curiosità degli Europei, qualità che, in una famosa lettera scritta ai Re Cattolici nel 1501, Cristoforo Colombo rivendicò come tratti caratteristici degli uomini di mare. Alla fine del XIII secolo, per i naviganti si aprivano tre possibili itinerari. Da una parte si estendevano le rotte più abituali e sempre più conosciute della navigazione verticale verso

nord e verso sud in cerca di un passaggio per l’Oriente. Dall’altra, si aprivano le vie di navigazione trasversale, che erano ancora incipienti, verso quelle isole del “Mediterraneo Atlantico” che ben presto sarebbero divenute le basi del cabotaggio triangolare con le rotte africane e che, poco tempo dopo, sarebbero state utilizzate come sostegno da un’altra esperienza. E sarà questa esperienza che, unitamente a una conoscenza diretta sempre più profonda e a una rapida evoluzione tecnica, indurrà in un primo momento a immaginare e più tardi a cercare attivamente un nuovo itinerario verso le Indie. Quindi, a quel tempo, l’opzione marittima era ancora dominante. D’altra parte, i cambiamenti in atto nel Mediterraneo orientale e il progressivo aggravarsi dei problemi in area balcanica resero sempre più necessario il controllo delle rotte occidentali e possibilmente l’apertura di nuove strade. Era quindi decisamente incalzante la necessità di una navigazione libera. Per questo motivo, si prestava sempre più attenzione all’ampliamento della frontiera marittima mediterranea e al con-


trollo dello stretto che unisce il Mare Nostrum con l’Atlantico, operazioni in cui entrarono con interesse le corone iberiche in collaborazione con gli uomini d’affari italiani. Durante il XIII secolo, questi furono sempre più presenti nelle estreme regioni occidentali. Qui, insediamenti e privilegi mercantili permettevano di unire le forze economiche e di investire nella ricerca di nuove rotte per arrivare a un Oriente sempre più difficile da raggiungere attraverso gli itinerari tradizionali, nonché di promuovere azioni decise sulle isole atlantiche, verso il Nord Europa e verso la costa africana. Tutto sommato, si trattava di un’operazione tremendamente complessa, che riorganizzava tutte le forze dell’Occidente europeo ed era destinata ad applicare alla Reconquista e ai nuovi territori conquistati i modelli già sperimentati di crociata, mercato e missione. Nel mirino si trovavano ora il Maghreb, la costa occidentale dell’Africa e l’insieme di isole dell’Atlantico; allo stesso tempo però, seppure con un’intensità minore, l’attenzione era puntata anche sull’Egitto e sull’Africa orientale dove, no-

nostante le grosse difficoltà, forse era possibile trovare un itinerario alternativo che potesse condurre al mondo orientale.

Il Maghreb e l’Africa La debolezza del Maghreb stava nella fragilità politica di un’area divisa tra molti poteri. È ciò che sosteneva, a metà del XIV secolo, Ibn Khaldun, funzionario alle corti di Tunisi, Fez e Tlemcen e autore della celebre Muqaddima. In questa zona chiave, punto d’arrivo dei commerci orientali e delle carovane africane a cui arrivava l’oro, tanto ricercato dagli Europei, e area strategica per l’accesso all’Oceano Atlantico, prevalse per molto tempo la presenza di Pisa e di Genova, entrambe protagoniste di un sistema di rotte commerciali interconnesse delle quali il Maghreb faceva parte insieme a Malaga, Valencia, Almeria e Maiorca. Presto i Genovesi firmarono trattati con il Marocco e con i poteri islamici nel Mediterraneo occidentale. A Ceuta, Bugia, Tunisi e Tlemcen, Pisani e Genovesi godevano di privilegi particolari e potevano contare su piazze commer-

LA NAPOLI DEL XV SECOLO. Sopra, il porto di

Napoli con il Castel Nuovo e Castel dell’Ovo, a sinistra, nella cosiddetta Tavola Strozzi, un olio su tavola attribuito a Francesco Rosselli datato 1472, che potrebbe essere una rappresentazione del rientro trionfale della flotta aragonese dopo la vittoria di Ischia nel 1465 (Museo di San Martino, Napoli).

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Le civiltà “segrete” del continente africano Fin dall’antichità, l’Africa era praticamente ridotta al suo litorale mediterraneo. Lì stabilirono le proprie città i Fenici, i Cartaginesi e i Romani e lo stesso fecero, già nel Medioevo, Bizantini e Arabi. Il resto del continente, considerato inabitabile, rimaneva avvolto nel mistero. Anche se i Romani avevano già realizzato incursioni dell’Africa in cerca di schiavi e belve, le immensità africane restarono ignote per secoli, come si può vedere nei mappamondi medievali. Era un continente inospitale, popolato da esseri fantastici e inquietanti, se non addirittura impossibili. Nonostante ciò, cominciò lentamente a svelare i propri segreti, soprattutto man mano che i Portoghesi, nel XV secolo, navigarono lungo le sue coste occidentali verso sud. Arrivarono così i primi contatti con civiltà con un notevole livello di sviluppo. Come l’impero monomotapa, che raggiunse il proprio apogeo nel 1450 grazie al commercio dell’oro, cosa che nel 1505 attrasse l’avida attenzione dei Portoghesi, i quali, però, non riuscirono a soggiogare gli indigeni fino al 1629. La sua capitale, Grande Zimbabwe, possiede le rovine più antiche e imponenti dell’Africa subsahariana. E non bisogna dimenticare l’Etiopia, regno cristiano fin dal IV secolo in cui i Portoghesi credettero di trovare i domini del Prete Gianni. A destra, chiesa di San Giorgio a Lalibela (Etiopia), scavata tra il XII e XIII secolo nella roccia basaltica. A sinistra, il planisfero circolare realizzato dal cartografo tedesco Andreas Walsperger verso il 1448 (Biblioteca Vaticana, Roma).

ciali, consolati, funzionari e notai. Sappiamo che all’epoca circolavano documenti bilingui. Il matematico Leonardo Fibonacci, autore del famoso Liber abaci, era figlio di un funzionario pisano della dogana di Tunisi. Nell’Archivio di Stato di Genova è conservato un registro del notaio Pietro Battifoglio iscritto a Tunisi nel 1288-1289. A Ceuta ebbe luogo, nel 1179, una “disputa” di carattere religioso tra un mercante genovese e uno giudeo; un’altra simile avvenne a Maiorca nel 1276. Nel XIV secolo, i fiorentini Bardi, Peruzzi e Acciaiuoli aprirono succursali anche a Tunisi e, al principio del XV secolo (probabilmente nel 1421), inaugurarono una serie di connessioni commerciali che arrivavano a Bugia, Algeri, Orano, Tripoli e Tunisi. Dal Maghreb si viaggiava verso l’Atlantico, ma anche attraverso l’Africa. Conosciuta soltanto nella sua zona costiera, l’Africa era considerata inabitabile dalla cultura ufficiale, che fondamentalmente riconosceva la mappa di Hereford, che fu tracciata tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV e che, a sua volta, riprendeva lo stereotipo del 76

mappamondo di Ebstorf (ca. 1240). Come tutte le mappe che rispondono allo schema della T o della T inscritta in una O, i due mappamondi citati fanno coincidere la divisione tripartita del mondo con la suddivisione tra i tre figli di Noè. Le mappe che presentano una T inscritta in una O rappresentano la terra circondata dall’oceano; il tratto verticale indica il Mar Mediterraneo, alla cui sinistra si trova l’Europa e a destra un’Africa senza una precisa forma. La parte sinistra del tratto orizzontale rappresenta il Tanai (Don); la destra corrisponde al Nilo e nel suo insieme separa l’Europa dall’Asia, che è posizionata nella parte superiore del mappamondo. Queste immagini e la cartografia posteriore trasformarono il continente africano, torrido e desertico, nella culla di innumerevoli mirabilia, dove all’esistenza del popolo dei Garamanti si aggiungeva quella dei Trogloditi, oltre che di mandragole e formiche giganti, guardiane dell’“aurum de paxolla” (l’oro in pagliuzze) che proveniva dalle Montagne della Luna o dai monti d’oro di Ofir, a oriente del Nilo, dove vivevano grifoni e salaman-


dre e crescevano le mandragole. Nell’anno 1448, in piena età delle esplorazioni e dei viaggi verso quelle zone, il planisfero circolare del francescano Andreas Walsperger rappresentava l’Africa secondo schemi tolemaici, come un territorio informe che terminava a sud in una coda di pavone, abitato da uomini con code di volpe o con teste di caprone, mostri con un solo piede e col viso in mezzo al petto. Verso la fine del XV secolo, secondo Diogo Gomes, il re del Mali legò il suo cavallo a un’enorme pepita d’oro che neppure venti uomini erano in grado di spostare. Il Nilo nasceva in Marocco da un lago annesso al giardino delle Esperidi. Nel 1492, sul mappamondo di Martin Behaim, la rappresentazione dell’Africa meridionale continuava a essere un’assurdità. Al contrario, la mappa tracciata tra il 1488 e il 1492 da Cristoforo Colombo denotava già una precisione notevole. In essa si indicava che l’oro, o meglio la polvere d’oro conosciuta come auri tiberi (dall’arabo tiber), proveniva dalla valle alta del Senegal indicata da Colombo come Insula tiber. A quei tempi, grazie alle attività di

Portoghesi, Genovesi e Catalani, circolavano già numerose informazioni. Di sicuro molte erano note a Giovanni Mauro di Carignano, parroco della chiesa genovese di San Marco al Molo tra il 1291 e il 1330, che affittava ai mercanti una parte della sua chiesa e del cimitero contiguo come magazzino per vele e altre attrezzature marittime. Nel 1306, i suoi contatti lo portarono a redigere un testo – oggi perduto – in cui riportava le proprie conversazioni con Etiopi e Armeni. Giovanni Mauro di Carignano era un prete cartografo. Disegnò un planisfero in cui, insieme ai Paesi bagnati dal Mediterraneo, dal Mar Baltico, dal Mar Nero e dal Mar d’Azov, compariva un disegno costiero corretto della parte di Africa conosciuta a quei tempi. In esso figuravano le diciture Gozola e Regnum Gozolae, luoghi in cui Jacopo Doria ricorda che nel 1291 furono avvistate per l’ultima volta le imbarcazioni dei fratelli Vadino e Ugolino Vivaldi, partiti da Genova in cerca della rotta per le Indie. Appaiono lì i nomi di Ceuta, Salé, Safi, Mogador e altri; sulla strada che porta a Tuat e Safi si trova Sigilmassa, dove nel 1291 aveva fatto 77


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L’Africa, un nuovo continente traboccante di meraviglie Prima che cominciassero la conquista e la colonizzazione dell’America, nell’immaginario europeo l’Africa occupava la posizione di terra popolata di meraviglie, dopo che il continente asiatico, grazie a missionari, mercanti ed ambasciatori che lo visitavano, si era fatto sempre più vicino. Nonostante ciò, le esplorazioni portoghesi cominciarono ad allontanare tutte le immagini fantastiche dell’Africa e contemporaneamente misero fine alla sua fama di luogo inospitale e impenetrabile.

Quando nel XIX capitolo del suo, in teoria, realista e degno di fede Libro delle meraviglie del mondo, Jean de Mandeville si occupa dell’Etiopia e dei suoi popoli, lo fa in primo luogo parlando degli Schiopodi: «Esistono uomini con un solo piede ed è davvero una meraviglia vedere come corrano con tanta fretta; il loro piede è così grande che quando si sdraiano e alzano la gamba per ripararsi dal sole, l’ombra del piede arriva a coprire tutto il corpo come se fosse un ombrellone. In questo Paese i bambini nascono canuti, ma man mano che crescono i loro capelli diventano neri». È un buon esempio dell’aura meravigliosa e sorprendente di cui l’Africa godeva agli occhi degli Europei durante il Medioevo. Il loro immaginario era ancora fermo sugli stessi elementi favolosi creati da Plinio e da altri autori latini. Nello stesso XIV secolo in cui scriveva Mandeville, gli Europei avevano già avuto contatti o perlomeno avevano notizia di alcuni degli Stati africani dell’epoca. Ma l’elemento fantastico continuava ad impregnare la realtà. È quello che accadde con l’impero del Malì e soprattutto con il suo sovrano Mansa Musa, al quale si attribuiva una ricchezza degna di Salomone. Di lui, per esempio, si diceva che nel 1326, in occasione del pellegrinaggio alla Mecca, avesse regalato una tale quantità di oro che la risultante inflazione fece affondare i mercati nordafricani per un intero decennio. Un dettaglio degno di essere immortalato nell’Atles català di Abraham Cresques, in cui il re maliano appare ritratto con una grossa pepita d’oro in mano. Nell’immagine, rappresentazione dell’Africa in una cartina di Battista Agnese del 1553 (Museo Correr, Venezia).

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ritorno un Genovese che portava notizie sulla tribù dei Tuareg. Secondo le cronache di Ibn Abi Zar, nel 1292 un altro Genovese era arrivato a Tazouta (a sud di Melilla) e aveva reso omaggio all’emiro con numerosi regali, tra cui un albero dorato con uccelli meccanici che cantavano. Più a sud figura l’isola di “Palola”, alla foce di un lungo fiume detto “Nilo dei negri”. Dati simili compaiono anche nel planisfero del genovese Pietro Visconte e in quello del maiorchino Angelino Dulcert (per altri, il genovese Angelino Dalorto), che arriva fino a Cabo Noun. Il planisfero dei fratelli veneziani Pizzigano, realizzato nel 1424, arriva fino oltre il fiume “Palolus”, che secondo loro nasceva dal lago dei Monti della Luna. Le mappe catalane riproducono i punti di fermata nelle zone dell’interno e le località essenziali per il commercio dell’oro, come Timbuktu. Si parla anche del re del Mali, che regnava sul mercato dell’oro, e delle terre che erano dominio del Prete Gianni. Del resto erano già cominciati inoltre i viaggi portoghesi di esplorazione di queste zone e c’era già stato il viaggio del catalano Jaume Ferrer. A questo si riferisce in modo esplicito il magnifico Atles català del 1375-1377, opera di Abraham Cresques e che il re Giovanni I d’Aragona regalò a suo cugino Carlo VI di Francia. La rappresentazione geografica arriva fino al sud di Capo Bojador, dove la realtà si mescola con immagini di re e di Re Magi, di animali fantastici, di bastimenti, di città con torri e di grandi accampamenti di tende. Dati più precisi compaiono nelle mappe maiorchine di Mecia de Viladestes e Gabriel de Vallseca, realizzate rispettivamente nel 1413 e nel 1439. Mentre i viaggi portoghesi lungo la costa continuavano, nel 1447 il mercante genovese Antonio Malafante arrivò a Touat da Honein, porto della città algerina di Tlemcen. Gli insediamenti genovesi in Marocco erano molto antichi: Ceuta, Assilah, Fez, Massa e Tarkuku, 20 km a nord di Agadir.

Verso l’Asia del Prete Gianni L’Africa orientale presentava maggiori difficoltà di accesso dato che era necessaria una negoziazione con l’Egitto (come facevano i Genovesi nel 1290 per poter commerciare lungo il Nilo). Nonostante ciò, queste terre orientali del continente africano erano percorse da viaggiatori e missionari, molti dei quali desideravano incontrare il Prete Gianni, il rex sacerdozi, modello perfetto di giustizia e sovrano di un regno meraviglioso e pacifico ricordato da Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo da Rubruck, Marco Polo, Giovanni da Montecorvino, Odorico da Pordenone e Frate Giordano Catalano da Severac. Il regno del Prete Gianni si colloca all’interno di limiti territo-


riali molto vasti e la sua leggenda si sposta nel tempo dall’Oriente all’Etiopia, dove lo cercavano anche i Portoghesi, mentre Cristoforo Colombo portò con sé l’immagine del regno durante il suo viaggio verso l’America. Anche se con forme imprecise, l’Etiopia appare con il nome di Abissinia sui planisferi di Giovanni Mauro di Carignano, di Pietro Vesconte e dei fratelli Pizzigano. In effetti, nella zona orientale dell’Africa la presenza europea andava aumentando. Lo dimostra il diario del fiorentino Felice Brancacci che, insieme al suo concittadino Carlo Federighi, fu inviato nel 1422 in Egitto per cercare di ottenere privilegi negli scambi commerciali. Ne sono testimonianza i racconti che ci sono stati lasciati da Pietro Rombulo, noto anche come Pietro Napoletano. Questo navigatore e diplomatico, originario di Messina, aveva vissuto in Etiopia per 37 anni; lì si era sposato con una nobile indigena da cui aveva avuto otto figli. Fece parte dell’ambasciata nel Paese africano organizzata nell’anno 1432 dal duca di Berry e, nel 1450, fu inviato come ambasciatore dall’imperatore etiope Zara Yaqob ad Alfonso il

Magnanimo. Un paio di scritti testimoniano le straordinarie esperienze di Rombulo in Etiopia. Il primo di questi fu redatto nell’anno 1432 a Pera da Bertrandon de la Broquière. Il secondo invece fu raccolto dal vescovo Pietro Ranzano e da questi inserito nei suoi Annales omnium temporum, dopo averlo arricchito con ogni sorta di mirabilia. Furono però soprattutto i Veneziani, interessati all’apertura di possibili vie alternative verso le “spezie”, a viaggiare in Etiopia. È quanto testimoniano nel 1402 l’arrivo a Venezia di Antonio Bartoli, un fiorentino ambasciatore del Prete Gianni, dominus partium Indie, e il testo Iter de Venetiis ad Indiam, in cui un autore anonimo descrive il viaggio realizzato tra il XIV e XV secolo attraverso Mar Rosso, Asmara, Axum e Amara, residenza invernale del Prete Gianni, fino ad arrivare a Scioa, sua residenza estiva. Sempre in quest’ambito va considerata la crociata promossa da Eugenio IV, in virtù della quale arrivarono al concilio ecumenico di Firenze rappresentanti delle Chiese copte egizia ed etiope, per apportare le descrizioni dei propri Paesi d’origine.

LE STELE DI AXUM.

Il regno di Axum fu un importante Stato commerciale dell’est dell’Africa, che arrivò a espandersi fino alla Penisola Araba prima della sua caduta nel X secolo. Testimoni del suo splendore sono le monumentali stele di pietra lavorata che risalgono al IV secolo a.C. Sopra, la cosiddetta stele n°1, crollata e segmentata in vari pezzi.

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LA MAPPA DI FRA MAURO E IL PROGRESSO DELLA CARTOGRAFIA

U

na delle prime rappresentazioni dell’Africa con intento esaustivo è quella che il monaco veneziano Fra Mauro realizzò nel 1459 nel monastero di San Michele di Murano. La cartina, in cui compaiono anche l’Europa e l’Asia (cioè tutto il mondo conosciuto prima della scoperta dell’America), è particolarmente preziosa dato che contiene le informazioni geografiche più recenti, tra cui quelle portoghesi. Si tratta di un incarico di Alfonso V del Portogallo, a cui la Repubblica di Venezia la inviò accompagnata da una lettera in cui incoraggiava il regno a proseguire le sue esplorazioni. Persa la cartina originale, quella che possiamo vedere oggi è una copia che Fra Mauro iniziò a realizzare per il governo veneziano e che, alla sua morte nel 1460, fu terminata dal suo collaboratore, Andrea Bianco. Nell’immagine, il mappamondo con orientamento capovolto (il nord si trova nella parte inferiore), tipico delle mappe musulmane (Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia).

BUSSOLA AZIMUTALE. Gli strumenti e i dati sempre

più precisi dei navigatori fornirono le informazioni necessarie per migliorare le mappe. 80


MAPPAMONDO DI EBSTORF. Realizzata verso il 1283, questa cartina assomiglia molto a quella di Hereford (in basso): la struttura è a forma di T e O. Il centro è segnato da Gerusalemme e vi sono riprodotti i tre continenti abitabili. L’autore però non cerca tanto la fedeltà geografica, ma piuttosto la rappresentazione del mondo della fede. E tutto da un punto di vista germanico, dato che la Germania occupa uno spazio sproporzionato (Museo Provinciale, Hannover).

MAPPAMONDO DI HEREFORD. Disegnato alla fine del XIII secolo o agli inizi del XIV, anche questo colloca al centro

Gerusalemme. Nella parte superiore del cerchio, sotto al Pantocratore, si trova il Paradiso. Da qui si sviluppa il mondo conosciuto, incluse per la prima volta le isole Faroe. L’Asia e l’Africa appaiono popolate da esseri fantastici. Le due mappe, quella di Ebstorf e quella di Hereford, mancano dell’interesse per la fedeltà geografica evidente in quella di Fra Mauro. 81


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Enrico il Navigatore e la scuola di Sagres Nonostante non arrivò mai a cingere la corona, il principe Enrico il Navigatore fu il grande propugnatore dell’era delle scoperte che avrebbe finito per rendere il Portogallo un impero universale. Figlio del fondatore della dinastia Aviz, Giovanni I, e fratello di Edoardo I, l’infante Enrico fu l’artefice dell’apertura del Portogallo all’Oceano Atlantico. Il regno aveva già una lunga tradizione marinara, ma fu con questo principe che ricevette l’impulso decisivo a una serie di esplorazioni che avrebbero ampliato il mondo fino ad allora conosciuto. Per farlo, secondo la tradizione, Enrico stabilì la propria base a Sagres, all’estremo sudoccidentale del Portogallo, e fece chiamare i più importanti armatori, navigatori e cartografi, tra cui il maiorchino Jehuda Cresques. Nasceva così la scuola di Sagres. Sotto Enrico, le navi portoghesi scoprirono l’arcipelago di Madera (1420) e quello delle Azzorre (1427) e riuscirono a doppiare Capo Bojador (1434), il punto più occidentale dell’Africa. Nell’immagine, dettaglio del Polittico di San Vincenzo di Nuno Gonçalves (Museo Nazionale di Arte Antica, Lisbona). Enrico il Navigatore appare in atteggiamento di preghiera accanto al Santo. Nella pagina seguente, la Rosa dei venti del principe nell’antico recinto della fortezza di Sagres (Algarve).

Nacque da lì il proposito di visitare quelle regioni che l’umanista Ciriaco d’Ancona formulò nell’Itinerarium presentato al pontefice il 18 ottobre dell’anno 1441. Prese vita così il progetto di spedizione di circa quaranta frati che, sotto la direzione di Alberto Berdini da Sarteano, nominato nel 1430 commissario apostolico in partibus Indie, Ethiopiae, Egipti et Jerusalem, vollero arrivare in Etiopia. Quest’iniziativa fu emulata da altri francescani, tra cui uno che, di ritorno dall’Etiopia nel 1470, portò le informazioni sulle fonti del Nilo più tardi raccolte dal veneziano Alessandro Zorzi. Nel 1481, arrivò a Roma un’ambasciata diretta dal cappellano del negus (re) per chiedere che il re di Etiopia fosse incoronato dalle autorità religiose dei luoghi santi. Nel gennaio del 1482, il Francescano Giovanni Battista Brocchi da Imola partì da Il Cairo insieme a Giovanni di Calabria e arrivò a Scioa dopo un viaggio di 11 mesi intrapreso con l’obiettivo di convertire il negus neghesti (re dei re) al Cattolicesimo. Il suo viaggio avanzò lungo il Nilo, le coste del Mar Rosso, l’Eritrea, Tigrè, Tacazzè, e Amara. Nel convento del 82

Monte Sion narrò le proprie vicissitudini a Paolo da Canneto e, più tardi, il minorita italiano Francesco Suriano incluse il testo nell’Opera nova chiamata itinerario de Hierusalem, testo in cui raccolse i suoi ricordi del viaggio in Palestina. Brocchi ricorda che tutti i cristiani – mercanti, artigiani, artisti – vengono sempre ben accolti alla corte del negus, dove risiedevano il genovese Giovanni Fieschi, Giovanni Darduino – tra altri veneziani – il piemontese Matteo, il napoletano Gabriele, un tal Filippo Borgognone, così come Lys da Beirut e Gonzalve Catalano. Avendo saputo che anche i Fiamminghi erano ben accolti, nell’anno 1482 Joos van Ghistele intraprese il viaggio, ma dopo due tentativi infruttuosi non riuscì ad arrivare alla meta. Le novità furono raccolte nel mappamondo del monaco veneziano Fra Mauro, tracciato a metà del XV secolo e che, tra l’altro, dimostrò la sua buona conoscenza del corso del Nilo Azzurro e del suo bacino, così come del bacino dell’Auash e dell’Eritrea. Fra Mauro, che parlava della possibilità di circumnavigare l’Africa, mise insieme


naturalmente anche tutte le informazioni provenienti dalle esplorazioni condotte nell’area occidentale del continente africano, dove erano in atto una serie di iniziative che permisero infine ai naviganti di superare e doppiare il capo delle Tempeste o di Buona Speranza e penetrare poi nell’Oceano Indiano.

Il Maghreb, al-Andalus e l’Algarve La presenza dell’Islam nel Maghreb e nella Penisola Iberica aveva una doppia incidenza. Da un lato era il compagno naturale dell’Europa occidentale; dall’altro, era il nemico musulmano che si doveva combattere, anche se il “punto caldo” non era certamente nel Mediterraneo occidentale – zona di scambi intensi – ma piuttosto in quello orientale. Al-Andalus e l’Algarve erano zone strategiche per l’economia e la navigazione. In Algarve si guarda verso l’Atlantico. Sia lì che nell’al- Andalus furono raccolte le conoscenze scientifiche di Arabi e Giudei. Al-Andalus era il destino commerciale del grande impero musulmano: cotone, canna da zucchero, agrumi, palme,

melograni, piante tintorie, spezie, zafferano, robbia e oro africano. Tutto arrivava alle sue coste. Siviglia e Cadice erano nelle mani della corona di Castiglia, ma Malaga continuò a essere il porto del regno di Granada fino al 1487 e Granada non si sarebbe arresa ai re cattolici fino al 1492. In Algarve si trova Sagres, dove la tradizione racconta che il principe Enrico il Navigatore, conquistatore di Ceuta, creò una scuola di cartografi, astronomi ed esperti di questioni marittime. Le corone francese e aragonese erano particolarmente interessate a questa zona. Nell’anno 1269, Luigi IX di Francia diresse una crociata su Tunisi. Giacomo I d’Aragona firmò a sua volta trattati con il Marocco e si concentrò sul Maghreb orientale, nominando consoli a Tunisi e a Bugia e in tutta la regione della Barberia. Nel 1291, Acri cadde nelle mani islamiche, mentre Giacomo II d’Aragona e Sancho IV di Castiglia cercarono di ripartirsi le aree di influenza sul fiume Moulouya, a est di Tlemcen. Allo stesso modo nel 1291, il genovese Benedetto Zaccaria divenne ammiraglio di Castiglia, nel medesimo 83


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Il potere della repubblica marinara di Genova nel Mediterraneo Durante il Medioevo, Genova si disputò con Venezia il dominio del Mediterraneo. La base del suo successo furono le grandi flotte private e un’oligarchia di uomini d’affari-banchieri che mise base all’interno di un territorio molto vasto. Dopo aver sconfitto Pisa nella battaglia di Meloria (1284), Genova divenne la grande potenza navale europea in rivalità con Venezia. Nella seconda metà del XIII secolo, le sue navi si dirigevano a est, verso Alessandria, la Siria e Costantinopoli, ma anche verso la Crimea, allora sotto il dominio tartaro. A ovest, i suoi convogli superavano le tradizionali destinazioni delle Baleari, della Penisola Iberica e del Nord Africa per raggiungere le coste dell’Inghilterra e le Fiandre. In molti di questi luoghi posero basi commerciali e lobby i cui rappresentanti influivano sulla politica locale. Il loro vantaggio principale fu la capacità di adattarsi alle evoluzioni della fine del Medioevo. Non ci fu settore di attività per il quale non provassero interesse, come il monopolio di prodotti con valore speculativo, l’esplorazione di territori o il servizio alle monarchie. Senza dimenticare il consolidamento di un sistema bancario che nel XVI secolo fece di Genova la grande potenza economica d’Europa. Nell’immagine, fortezza genovese di Soldaia, sulle coste della Crimea (XIV-XV secolo).

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anno in cui i suoi parenti Vivaldi partirono da Genova diretti verso le Indie seguendo una rotta atlantica. A metà del XIII secolo nell’Al-Andalus, terra di frontiera, Siviglia, Cordova, Cadice e le islamiche Granada e Malaga assistevano già alla predominanza dei Genovesi, che operavano su entrambi i fronti rimanendo a Granada fino al 1492. A Lisbona e a Siviglia erano presenti inoltre altri Italiani, soprattutto fiorentini, che si dedicavano fondamentalmente al commercio. A differenza degli altri, i Genovesi collaboravano anche con la corona di Castiglia in attività belliche per mare, come dimostrano gli scudi degli ammiragli che risplendono nell’Alcazar di Siviglia. In realtà, la stretta collaborazione degli ammiragli genovesi con la corona di Castiglia cominciò molto prima dei viaggi di Colombo. Così, nel 1291, per portare a termine un’operazione ordinata dal re Sancho IV contro i Marocchini che controllavano le teste di ponte di Tarifa e Algeciras, giunse a Siviglia Benedetto Zaccaria. Lì allestì cinque galere con equipaggio locale che si sommarono alle sette galere con equipaggio del Ponente ligure – dove possedeva dei feudi – arruolati da suo fratello Manuele. Il patto con il re di Castiglia gli fornì una rendita di 6000 dobloni al mese e la città gaditana del Puerto de Santa Maria come feudo ereditario in cambio della promessa di mantenere in futuro una galera a difesa di Siviglia e Cadice. Come già era successo con Focea, feudo concesso dal basileus bizantino in Asia minore, Zaccaria e i suoi concittadini controllavano ora un bacino che avrebbe potuto, col tempo, favorire il libero transito delle loro imbarcazioni e, contemporaneamente, rinforzare l’insediamento genovese a Cadice, necessario per la vigilanza dello stretto e per le possibili connessioni con le isole atlantiche e con le coste africane. Abituato ai blocchi navali e alle guerre dei corsari, per adeguare le pesanti imbarcazioni genovesi alla velocità delle barche marocchine, Benedetto Zaccaria decise di aumentare da due a tre il numero di rematori per nave. Le operazioni di guerra, tra l’agosto del 1291 e l’ottobre del 1292, portarono alla vittoria di Marzamosa e Zaccaria divenne il più grande ammiraglio sul mare. Fu allora che Sancho IV di Castiglia e Giacomo II d’Aragona firmarono il patto del fiume Moulouya e abili marinai e comandanti catalani si sommarono a quelli genovesi, galiziani e castigliani. Nel 1291, la battaglia di Tarifa portò con sé un nuovo successo e ulteriori ricompense per il genovese Zaccaria. Nell’estate del 1294 però, probabilmente in seguito a uno scontro con i Catalani, le sue relazioni con la corona di Castiglia si interruppero. È probabile che fossero in atto le negoziazioni con Filippo IV di Francia, che


ne aveva bisogno per le sue guerre contro gli Inglesi. Le corone europee, fatto salvo quella aragonese e quella inglese, ricorsero spesso a navi, maestranze e ammiragli genovesi. Gli ammiragli genovesi costituiscono un capitolo a parte nel panorama della marineria mondiale. Il termine “ammiraglio” fece la sua comparsa in ambito mediterraneo nel XII secolo. L’ammiraglio, il cui titolo deriva dal termine arabo “emiro”, era innanzitutto un “comandante” di uomini e non sempre un uomo di mare. In epoca medievale, le corone europee conferivano generalmente questo titulus, con i relativi privilegi e redditi, a membri della nobiltà che non avevano niente a che fare con il mare. Perciò gli ammiragli genovesi, che arrivavano sempre con le loro navi e marinai e firmavano patti di durata variabile, ma molto vantaggiosi per loro, costituivano, insieme ai loro uomini, ai loro esperti, alle loro imbarcazioni e alle ricompense ottenute, un ente con un potere notevole. I Genovesi, abituati dai tempi più remoti a combattere tra le isole del Mar Tirreno, erano considerati molto abili nella

guerra marittima. Nel XIII secolo, tra gli ammiragli genovesi che collaboravano con l’imperatore Federico II, si trovava Enrico da Castro, che possedeva il titolo di conte di Malta – isola di grande importanza strategica – come anche alcuni Spinola e De Mari. Luigi IX il Santo lanciò una crociata con due ammiragli genovesi, Iacopo da Levanto e Ugo Lercari, che portarono le proprie imbarcazioni. La corona di Castiglia firmò un contratto con Ugo Vento, che però non arrivò a entrare in azione, cosa che invece fece Benedetto Zaccaria, più tardi ammiraglio della corona francese a cui poi succedettero in Francia Raniero e Carlo Grimaldi. In Castiglia, dopo Zaccaria, l’incarico fu assunto da Egidio Boccanegra, fratello di Simone, primo dux di Genova – il “Barbanera” odiato dagli Inglesi – a cui fu assegnato il feudo di Palma del Rio; suo erede fu il figlio Ambrogio. Nel 1342 Algeciras fu conquistata da una flotta diretta da Boccanegra e Lanzarotto Pessagno, figlio ed erede del titolo del genovese Emanuele che nel 1317 aveva fondato la dinastia degli ammiragli portoghesi. I Doria ebbero numerosi

IL POTERE NAVALE DI GENOVA. Il potere della

flotta genovese e dei suoi ammiragli fu un elemento determinante nell’equilibrio militare del Medioevo tra il XIII e il XV secolo. Sopra, miniatura della Cronaca di Lucca, di Giovanni Sercambi, che mostra una scena della guerra di Chioggia (13761381) tra Genova e Venezia per l’egemonia navale mediterranea (Archivio di Stato, Lucca).

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ammiragli in famiglia: Corrado, che combatté a Meloria (1284) e Lamba, che sconfisse i Veneziani a Curzola (1298). Simone Doria fu ammiraglio della corona ungherese. Nonostante questo, il più famoso di tutti sarebbe stato Andrea Doria, che dopo aver servito la corona francese entrò – e con lui Genova – nell’orbita spagnola durante i regni di Carlo V e Filippo II. In questo contesto rientra anche la scelta da parte del re Dionisio di Portogallo, nel 1317, del genovese Emanuele Pessagno come ammiraglio della corona portoghese e a questa lunga storia si riferiranno inoltre le capitolazioni accordate tra la corona di Castiglia e Cristoforo Colombo.

La fondazione della flotta portoghese

LE NAVI PORTOGHESI.

Sopra, una caracca portoghese (con vele quadrate) in un azulejo di Sagres (Museo della Marina, Lisbona); in basso, un’altra caravella, appartenente alla flotta di Francisco de Almeida, primo viceré delle Indie portoghesi.

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Nel maggio 1291, i fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi, accompagnati da due frati francescani, partirono dal porto di Genova a bordo delle galere Allegranza e Sant’Antonio, armate da Tedisio Doria, in direzione ad partes Indiae e con la prospettiva di spartirsi i proventi dell’impresa. A quell’epoca, i Vivaldi erano presenti da almeno un secolo in al-Andalus, Algarve e Lisbona. Il viaggio fu progettato pochi anni dopo l’arrivo delle imbarcazioni genovesi nelle Fiandre nel 1277. Come racconta il cronista ufficiale genovese Jacopo Doria, che incluse la notizia negli Annales della città come avvenimento eccezionale, la spedizione scomparve nel nulla all’altezza delle isole Canarie e non se ne ebbero mai più notizie. Diversi anni più tardi però, Antoniotto Usodimare incontrò un discendente di quei navigatori alla foce del fiume Gambia. Tutti i naviganti che si avventuravano per l’Atlantico si dovevano scontrare con problemi associati alla presenza degli alisei, venti che soffiano costantemente da nord-est a sud-est facilitando la navigazione solo fino a Capo Bojador, e a un regime di correnti – quelle delle Canarie e quella nord equatoriale – che a sua volta complicava la navigazione. La storiografia considera questo viaggio come il primo di una serie di iniziative oceaniche volte ad aprire nuovi itinerari. Infatti, non erano passati molti anni quando, già nella prima metà del secolo seguente, si realizzarono nuove traversate in direzione diversa anche se complementare. È probabile che questi viaggi avessero origine nel patto stretto nell’anno 1317 dal re Dionisio di Portogallo con il suo ammiraglio, il genovese Emanuele Pessagno: a lui egli aveva chiesto di portare periodicamente a Lisbona 20 uomini “esperti di mare”. È molto probabile che la storia delle “scoperte” oceaniche cominci precisamente il giorno 1 febbraio del 1317, quando «Dom Dinis, per grazia di Dio re del Portogallo e dell’Algarve», conferì a Emanuele

Una grande flotta per i nuovi mondi Un secolo prima che Enrico il Navigatore desse il suo impulso alle grandi esplorazioni portoghesi, il regno aveva già cominciato a guardare con decisione verso l’Atlantico. Lo fece costruendo una grande flotta con l’aiuto dei Genovesi. Nel 1317, il re Dionisio nominò il genovese Emanuele Pessagno ammiraglio del Portogallo e lo incaricò di costruire una flotta e di comandarla in diverse battaglie contro Castiglia e in una spedizione contro Ceuta, i cui pirati a quei tempi devastavano l’Algarve. Per cinque generazioni, i Pessagno furono al comando dell’armata portoghese. Ma non furono gli unici Genovesi che servirono il Portogallo. Già ai tempi di Enrico il Navigatore si fece notare Antonio da Noli, a cui si attribuisce la scoperta di alcune isole di Capo Verde e il riconoscimento del fiume Gambia. Con questi precedenti non deve stupire il fatto che un altro genovese, Cristoforo Colombo, avesse offerto per prima cosa alla corte portoghese il proprio progetto di raggiungere le Indie attraverso l’Atlantico. Nell’immagine, navi portoghesi si scontrano con la flotta ottomana di Sidi Ali Reis lungo le coste dell’Arabia, dal Livro de Lisuarte de Abreu del 1565 (The Morgan Library & Museum, New York).

Pessagno il titolo di ammiraglio del regno, incarico ereditario in linea di primogenitura legittima, concedendogli in perpetuo il logora di Pedreira a Lisbona (destinato precedentemente ai Giudei, ma da quel momento conosciuto come “o bairro do Almirante”) e 3.000 lire portoghesi di rendita annuale, riscosse dalle terre reali di Frielas, Unhos, Sacavém e Camarate, che avrebbe percepito in quote trimestrali. Da parte sua, Emanuele Pessagno si dichiarò vassallo del re e dopo avergli reso onore e aver prestato giuramento di fedeltà sui Vangeli, promise di servire come si conveniva e con lealtà il monarca portoghese in qualsiasi cosa questi desiderasse e contro tutti gli uomini del mondo, di qualsiasi Stato e condizione, cristiani o saraceni. Promise che avrebbe dato consigli al monarca e che avrebbe mantenuto segreto ciò che questi gli avrebbe confidato o ordinato di confidare. Per mare, il suo corpo doveva navigare al servizio del re con la condizione che si muovessero sempre almeno tre galere; per terra, doveva viaggiare sempre con il re quando questi si muoveva con il


suo esercito. Promise inoltre che lui e i suoi successori nell’incarico – che dovevano essere sani di corpo e di mente e aver raggiunto la pubertà – avrebbero tenuto sempre e continuamente con sé 20 uomini di Genova “esperti di mare” preparati per essere alcaydes de galeas e arrayzes e che con le loro galere avrebbero saputo servire a dovere il re per mare ogni volta che questi lo desiderasse. In qualsiasi altro momento, Emanuele Pessagno e i suoi successori si sarebbero potuti servire di questi uomini per le proprie attività commerciali inviandoli nelle Fiandre o a Genova o in qualsiasi altro posto. Li avrebbero subito richiamati se il re ne avesse avuta necessità. Ciascun alcayde di galera in servizio avrebbe ricevuto dodici lire e mezzo al mese, acqua e cibo. Se qualcuno degli uomini fosse fuggito o morto in servizio, l’ammiraglio era obbligato a procurare, entro massimo otto mesi e facendosi carico delle spese, altri “esperti di mare”, di modo che il numero complessivo rimanesse sempre inalterato. All’ammiraglio era permesso tenere la quinta parte del bottino conquistato per mare e

sottratto ai nemici della fede e del Portogallo, con l’unica eccezione dello scafo delle imbarcazioni, delle armi e degli strumenti nautici; per quanto riguardava i Saraceni – il cui destino era competenza del re – corrispondeva all’ammiraglio la quinta parte del prezzo di 100 lire portoghesi per ciascuno di loro. L’ammiraglio aveva giurisdizione e potere su tutti gli uomini per terra e per mare e questi dovevano essergli fedeli proprio come al re, la stessa fedeltà che dovevano agli alcaydes dal momento dell’armamento sino al disarmo delle galere. Come garanzia per le due parti, gli scrivani reali trascrivevano dettagliatamente tutto ciò che accadeva in mare. Nel caso in cui non esistessero successori legittimi e laici, tutto sarebbe tornato alla corona. Accordi successivi stabilirono che tutti gli uomini di mare dovevano obbedire all’ammiraglio, pena la loro eliminazione fisica e la distruzione dei loro averi. Nell’anno 1319, dato che i benefici pattuiti non permettevano di provvedere al pagamento regolare delle 3.000 lire annuali e non essendo possibile ricorrere ad altre fonti di entrate, 87


COMMERCIO ED ESPANSIONE

I Guanci e le culture aborigene delle isole Canarie Quando nel XIV secolo i primi esploratori europei arrivarono nell’arcipelago delle Isole Fortunate, scoprirono che queste erano abitate dai Guanci. Fu soltanto un secolo più tardi, con l’inizio della conquista spagnola, che questo popolo di origini berbere cominciò a essere decimato e la sua cultura venne quasi del tutto distrutta. Anche se il nome “Guanci” si applica in forma generica all’insieme di aborigeni dell’arcipelago canario, in senso stretto si riferisce solo agli antichi abitanti di Tenerife. Le altre isole furono abitate da Canari (Gran Canaria), Bimbachi (El Hierro), Benahoriti (La Palma), Gomeri (La Gomera) e Majos (Lanzarote e Fuerteventura). Tutti questi popoli condividevano le stesse origini berbere, anche se ancor oggi si discute su come siano arrivati dal Nord Africa alle diverse isole, considerando che non avevano conoscenze di navigazione. La teoria più diffusa ipotizza che le isole furono popolate in due fasi, una nel V secolo a.C. e un’altra all’inizio della nostra era e che questi Guanci possano essere stati trasportati da navi fenicie, cartaginesi e romane. A ogni modo, i primi Europei trovarono popoli la cui economia girava intorno all’allevamento del bestiame, ma il cui livello di sviluppo e la cui struttura sociale e politica erano molto variabili a seconda dell’isola. Mentre a Lanzarote e in Gran Canaria si costruivano villaggi con case in pietra secca, nel resto dell’arcipelago la forma di abitazione più diffusa erano le grotte e i tunnel di lava. Nell’immagine, idolo di Tara, proveniente dalla cultura canaria (Museo Canario, Las Palmas de Gran Canaria).

la rendita in denaro passò ad essere conferita in forma di terre, più idonee a venire lasciate in eredità come feudo. Si trattava del castello e della villa di Odemira con tutti i diritti, le rendite e le pertinenze e con tutti i diritti di amministrazione di giustizia e di giurisdizione reale (ad eccezione delle aree di pascolo situate nelle sue vicinanze). L’ammiraglio e i suoi successori, a loro volta, erano obbligati ad accogliere sempre il re e il suo seguito e a difenderli e a dichiarare guerra, tregua o pace per ordine del re, al quale riconoscevano la suprema giurisdizione. Al re appartenevano i giacimenti di metallo, se ce n’erano, e la decima sul commercio internazionale proveniente dall’area franco-tedesca, mentre l’ammiraglio percepiva la totalità dei diritti di pesca e gli altri diritti che un tempo spettavano al re. Emanuele Pessagno ricevette inoltre il “demanio” di Alges, vicino a Lisbona, all’interno di confini precisi con riserve reali e proibizione di future alienazioni. La concessione del titolo ebbe luogo durante una cerimonia in cui, pubblicamente, il monarca ratificò la propria de88

cisione mettendo alla mano destra dell’ammiraglio un anello e consegnandogli nella sinistra uno stendardo con le armi reali, oltre a una spada corta. Come contropartita – secondo le usanze – Emanuele Pessagno si impegnò a servire fedelmente il re portoghese in tutti i progetti di cui questi l’avesse incaricato. I Pessagno avrebbero servito la corona fino al 10 giugno dell’anno 1484 (quando Cristoforo Colombo si trovava ancora in Portogallo). Più tardi, continuarono a offrire i propri servizi al monarca, ma con la collaborazione di altre famiglie. La cooperazione tra Genovesi e Portoghesi fu intensa anche nel Mediterraneo. Non è un caso che a Genova, gran mercato di schiavi, il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz abbia comprato una schiava nel 1478.

Le Isole Fortunate C’è chi data la “scoperta” delle Canarie nell’anno 1312, anche se è molto più probabile che risalga all’anno 1338 o 1339, quando l’arcipelago fu registrato in una carta nautica realizzata dal maiorchino Angelino Dulcert, che disegnò la bandiera genovese sull’isola di Lanzarote. L’isola deve il suo nome al suo “scopritore” e governante, Lanzerotto Malocello, membro di un clan genovese di grande prestigio, mercante e signore di terre e imbarcazioni. Diversi secoli più tardi, la famiglia francese Maloisel si dichiarò erede dell’isola. Alcuni anni dopo il viaggio di Malocello, ci fu un’altra traversata nella stessa direzione. Nel 1341, il genovese Nicoloso da Recco e il fiorentino Angiolino del Tegghia dei Corbizzi partirono da Lisbona per esplorare tutto l’arcipelago delle Canarie. L’impresa fu registrata da Giovanni Boccaccio – legato alla famiglia Bardi, presente anche in Castiglia (un Bardi si sposò con la cognata di Colombo) – nel suo De Canaris et reliquis insulsi ultra Hispaniam in oceano noviter repertis, nel quale troviamo i primi riferimenti ai Guanci, gli abitanti indigeni delle isole. Per la sua posizione strategica, l’arcipelago delle Canarie divenne subito oggetto di una disputa tra le corone portoghese e castigliana, un conflitto che sarebbe continuato fino all’anno 1479. Nel 1344, papa Clemente VI nominò principe delle Isole Fortunate Don Luis de la Cerda, bisnipote di Alfonso X di Castiglia e di Luigi IX di Francia. Nell’anno 1402, da La Rochelle partì una spedizione diretta dal normanno Jean de Béthencourt, che salpò accompagnato da Gadifer de la Salle e si lanciò alla conquista delle isole. L’episodio, che appare descritto nella cronaca Le canarien, redatta da un francescano e da un sacerdote che facevano parte della spedizione, narra tra le altre cose la costruzione di una fortezza sull’isola di Lanzarote. Di nuovo di ritorno a Cadice, città


nella quale era rientrato a causa delle molte ribellioni e insubordinazioni, Jean de Béthencourt ottenne l’appoggio di Castiglia e, con ciò, guadagnò i pieni poteri sulle isole. I Portoghesi cercarono di recuperarle, ma i tentativi realizzati dagli uomini del principe Enrico il Navigatore nel 1420, nel 1425 e nel 1427, fallirono tutti. Nonostante ciò, si succedettero scontri e incursioni periodiche, con la cattura di schiavi da parte dei Portoghesi. Il papa Eugenio IV, nelle bolle Creator omnium del 1434 e Sicut dumdum del 1435, condannò chiunque sottomettesse in schiavitù un uomo che si fosse convertito al Cattolicesimo. Nonostante questo, tra il 1436 e il 1442, il papa rispose favorevolmente alla corona portoghese che gli aveva chiesto di riconoscere la qualità di crociata delle sue operazioni, cosa che implicava la riduzione in schiavitù di tutti coloro che non si fossero convertiti. Ma Castiglia non desistette e la questione delle Canarie non fu considerata ufficialmente risolta fino alla firma del Trattato di Alcáçovas-Toledo (1479-1480), che attribuì l’arcipelago a Castiglia. Nel 1492 fu intra-

presa una serie di operazioni di colonizzazione dirette dal galiziano Alonso Fernández de Lugo. In questa impresa investirono capitali il genovese Francesco da Rivarolo (Francisco de Riberol), che grazie a essa ottenne terre più tardi destinate alla coltivazione della canna da zucchero e al monopolio dell’oricello (sostanza colorante ricavata da alcune specie di licheni), e il fiorentino Giannotto Berardi, forse il mercante fiorentino più importante presente in Andalusia a quei tempi. Berardi commerciava in oro e schiavi. Organizzò i primi viaggi di Colombo, il viaggio di suo fratello Bartolomeo e il traffico dall’isola di Hispaniola. Francesco da Rivarolo investì capitali anche nei viaggi di Colombo, insieme a Francesco Doria, Francesco Cattaneo, Gaspare Spinola e altri Genovesi, come con Giannotto Berardi. Cosimo da Rivarolo, fratello di Francesco, commerciò intensamente in zucchero e in schiavi da Cadice e dalle Canarie. Sulle isole operavano molti Genovesi di riconosciuto prestigio, tra cui membri della famiglia Giustiniani, che controllava la Maona di Chio.

LA CONQUISTA DELL’ARCIPELAGO CANARIO. Olio del pittore

canario Gumersindo Robayna (1860) che mostra la fondazione di Santa Cruz de Tenerife (Museo Municipale di Belle Arti, Santa Cruz de Tenerife). Il governatore Alonso Fernández de Lugo pianta la croce che diede il nome alla città il 3 maggio 1494.

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TORRE DI BELÉM. Costruita tra il 1515 e il 1521 per difendere l’estuario del Tago e la città di Lisbona, la torre è divenuta simbolo della vocazione marinara della nazione portoghese. Nella pagina accanto, cofanetto di gioielli di Isabella la Cattolica (Cappella Reale, Granada).

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PORTOGALLO E CASTIGLIA Le prime monarchie che diedero un impulso decisivo all’ampliamento delle relazioni internazionali furono Portogallo e Castiglia. La corona portoghese promosse due linee d’azione, una verso le isole atlantiche e l’altra verso l’India, che portò a circumnavigare l’Africa. Il trattato di Alcáçovas-Toledo (1479-1480) stabilì sulle isole Canarie (di competenza castigliana) una prima ripartizione del mondo.

D

opo i primi viaggi verso le Isole Fortunate, la nuova fase di scoperta del mondo non fu inaugurata fino alla dinastia portoghese degli Aviz, che salirono al potere con Giovanni I nel 1385, dopo un periodo di dure battaglie. La presa di Ceuta, nell’anno 1415, è considerata l’inizio di una nuova serie di operazioni atlantiche patrocinate dal principe Enrico il Navigatore, terzo figlio di Giovanni I e di Filippa di Lancaster. Enrico il Navigatore fu un personaggio complesso, per il quale gli scopi della crociata si sommavano a interessi commerciali e operazioni culturali. Secondo la tradizione, il principe Enrico avrebbe fondato a Sagres, loca-

lità prossima al Capo di San Vincenzo, un centro di studi di astronomia, cartografia e nautica, dove sarebbero confluiti i più insigni esperti del momento. A quell’epoca, il Portogallo era il punto d’incontro di interessi politici, economici e scientifici e il principe, che dal 1416 amministrava i beni dell’Ordine di Cristo – che aveva confiscato le proprietà dello sciolto Ordine dei Templari – mise in moto la fase decisiva dell’espansione portoghese. Si trattò di una serie di operazioni in cui spesso Genovesi e Portoghesi collaborarono, sia nella messa in pratica che nella loro registrazione per iscritto. I Portoghesi erano fedeli alla “politica del segreto” e concedevano la parola solo ai pro91


PORTOGALLO E CASTIGLIA

LE TAPPE DELLA PRIMA ESPANSIONE PORTOGHESE 1415

Giovanni I. Conquista Ceuta. 1419-1420

João Gonçalves Zarco e Tristão Vaz Teixeira. Scoprono le isole di Madera. 1427

Diogo de Silves. Scopre le Azzorre. 1434

Gil Eanes. Doppia Capo Bojador. 1441

Antão Gonçalves e Nuno Tristão. Raggiungono Capo Bianco. 1443

Tristão. Arriva alla Baia di Arguin. 1444

Nuno Tristão. Arriva alla foce del Senegal. 1446

Alvaro Fernandes. Arriva al nord di Guinea-Bissau. 1455

Alvise Cadamosto. Esplora il fiume Gambia. 1472

Rui de Sequeira. Arriva nel Benin. 1482-1486

Diogo Cão. Arriva all’estuario dello Zaire e all’attuale Namibia. 1487-1488

Bartolomeo Diaz. Doppia il Capo di Buona Speranza. 1498

Vasco da Gama. Arriva a Calicut, in India.

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pri storiografi e ai documenti ufficiali. I Genovesi erano uomini d’affari molto riservati e le loro testimonianze consistono fondamentalmente in lettere-racconti inviate a parenti che, con ogni probabilità, avevano investito denaro nelle operazioni di cui parlano nei loro scritti.

La prima espansione portoghese Dopo la presa di Ceuta iniziò un’intensa fase di viaggi oceanici. Questa grande operazione fu condotta in due direzioni: verso la costa africana e verso le isole. Nel 1418, João Gonçalves Zarco e Tristão Vaz Teixeira si incontrarono sull’isola di Porto Santo; nel 1420 Vaz Teixeira e Bartolomeo Perestrello si trovavano a Madera. Nel 1446 Perestrello, discendente di un’antica famiglia di Piacenza, divenne capitano-donatario di Porto Santo. La sua quarta moglie, una nobile portoghese della famiglia Moniz, era proprietaria di alcune terre destinate alla coltivazione della canna da zucchero in Algarve. Più tardi una delle sue figlie, Filippa, si sarebbe sposata con Cristoforo Colombo. Gli insuccessi portoghesi nelle Canarie furono compensati dall’acquisizione di nuove isole. A Madera nel 1440, Vaz Teixeira diventò capitanodonatario di Machico, mentre Zarco lo diventò di Funchal. Vaz Teixeira ebbe un genero genovese, conosciuto solo con il suo nome, don João, che si dedicava alla coltivazione della canna da zucchero in Algarve. Madera entrò a far parte della rete genovese. Sull’isola, i Genovesi impiantarono gli engenhos da zucchero, che avrebbero assicurato loro il monopolio del mercato. A Madera si trovavano anche Cattaneo, Gentile, Lomellini, Usodimare e Di Negro. Nel 1478 Colombo, che risiedeva a Lisbona, viaggiò verso l’isola portoghese per una partita di zucchero a cui erano interessati un Di Negro e un Centurione. A Madera, insieme ad alcuni membri della famiglia Adorno, i più importanti proprietari dei mulini da zucchero, risiedevano anche diversi Lomellini che, per parte loro, monopolizzavano il sughero portoghese e, più tardi, avrebbero detenuto anche il monopolio del corallo tabarchino. Tutti questi cognomi si troveranno poi in America, come quello della famiglia Cassana della quale uno dei membri era agente a Tenerife e l’altro controllava la situazione a Terceira. Allo stesso tempo avanzava la rotta verso l’Africa lungo la quale, in quasi tutti gli scali, fu eretto un padrão reale (un monolite in pietra, simbolo della sovranità portoghese) e fu fondata, dove possibile, una feitoria. L’intensificarsi dei viaggi aprì le porte a nuove scoperte. In navigazione si scoprì la volta do largo, una manovra decisiva nelle traversate oceaniche utilizzata per evitare la zona centrale delle bonacce equatoriali. Nel 1426, Gonçalo Velho Ca-

I grandi progressi della cartografia La grande espansione portoghese nell’Atlantico fin dall’inizio del XIV secolo cambiò in modo radicale la nozione che fino ad allora si aveva del mondo. Le sue ripercussioni nel campo della cartografia non tardarono a farsi notare. Tra il 1504 e il 1505, il genovese Niccolò Caveri disegnò una cartina nella quale erano riflesse le conoscenze del mondo nel 1502, inclusi gli ultimi contributi degli scopritori spagnoli presi direttamente da Juan de la Cosa, il cartografo che partecipò ai primi sette viaggi verso l’America. Probabilmente realizzata in Portogallo, la cartina di Caveri inaugura una nuova era nell’arte della cartografia, nella quale l’oggetto che si riproduce cambia costantemente. Le sue novità non erano solo geografiche, ma anche tecniche, come l’inclusione delle latitudini sul margine sinistro grazie a una scala graduata dai 55 gradi sud fino ai 70 gradi nord. Il Caveri fu anche la base del mappamondo della Universalis cosmographia (1507) di Martin Waldseemüller, famoso per essere stato il primo a includere il nome “America”. Nell’immagine, il planisfero di Caveri (Biblioteca Nazionale, Parigi).

bral doppiò Cabo Noun. Nel 1427, Diogo de Silves avvistò le Azzorre. Il passaggio per il Capo Bojador fu immediato. Nel 1434, Gil Eanes e Afonso Gonçalves Baldaia doppiarono il capo, considerato fino a quel momento il limite estremo della zona abitabile. Nel 1435, entrambi toccarono Angra dos Ruivos. Nel 1436 si arrivò a quello che viene considerato il Río de Oro, che però non si trovava in Senegal, terra a cui tutti si riferiscono quando si parla del Río de Oro. La linea politica che contemplava la conquista della vicina costa africana assistette, tra il 1437 e il 1438, a una fallimentare spedizione portoghese verso Tangeri. Il principe Enrico si ritirò a Lagos, vicino a Sagres, e probabilmente entrò in una fase di stasi. L’interesse per la zona atlantica più prossima era senz’altro generale, cosicché le scaramucce tra le genti dell’Algarve e quelle della Contea di Niebla, dove si trovano Palos e Sanlucar de Barrameda, i porti da cui partì Cristoforo Colombo, continuarono. Entrarono in gioco anche i duchi di Medinaceli e di Medina Sidonia, molto interessati a tutte le ope-


razioni che avevano a che vedere con quest’area, inclusa più tardi la spedizione di Colombo. Nel 1441, Antão Gonçalves arrivò a Capo Bianco, dove lo raggiunse Nuno Tristão. Risale a quell’anno la prima notizia relativa all’esistenza di un veliero stretto e lungo che resisteva bene all’impeto del mare: la caravella. Di quest’epoca sono anche le prime notizie sul mercato degli schiavi. L’oro arrivò nel 1443 con l’insediamento sull’isola di Arguin, dove nell’anno 1461 fu costruito un castello. Il principe Enrico aveva il monopolio di tutto ciò che riguardava il mare e i guadagni ottenuti oltre Capo Bojador, più la quinta parte di tutto quanto veniva caricato sulle sue barche e la decima parte del carico di altre imbarcazioni. Nel 1444, Nuno Tristão arrivò alla foce del Senegal e Dinis Dias raggiunse Capo Verde. Alvaro Fernandes doppiò il capo nel 1445 e nel 1446 Nuno Tristão, Estêvão Afonso e Alvaro Fernandes si trovarono alla foce del fiume Gambia. Nel 1446, Diogo Gomes avanzò un po’ di più. Nello stesso anno, Alvaro Fernandes arrivò al fiume Casamanza. D’accordo col potente clan genovese dei

Centurione, nel 1447 Antonio Malfante viaggiò in queste regioni in cerca di oro. Mandò notizie in una lettera diretta al parente Giano (o Giovanni) Marione (o Marchione), relativa al suo viaggio sahariano verso l’oasi di Tuat. Dopo essere sbarcato a Honein, si unì a una carovana araba e in un mese arrivò a destinazione. Intanto, i Castigliani non desistevano. Nel luglio del 1449, la corona di Castiglia concesse al duca di Medina Sidonia il diritto a navigare fino a Capo Bojador e di prendere quello che volesse, tranne l’oro. Nel 1452, Diogo de Teive scoprì le isole Flores e Corvo nel gruppo occidentale delle Azzorre. Anche il veneziano Alvise Cadamosto arrivò a conoscere il principe Enrico, che celebrò poi ampiamente nella sua relazione del viaggio. Cadamosto intraprese il viaggio, ma una tempesta lo bloccò nell’Algarve. Nel 1455 partì da lì per un giro che lo portò nel Senegal e durante il quale visitò e descrisse alla perfezione il Golfo di Guinea. Durante il viaggio, Cadamosto conobbe Antoniotto Usodimare, membro di un’antica e prestigiosa famiglia genovese che aveva ottenuto il 93


PORTOGALLO E CASTIGLIA

permesso di commerciare e navigare in quelle terre, dove non solo sbarcò alla foce del Gambia, ma risalì il corso del fiume, come scrisse in una lettera diretta alla sua famiglia. Cadamosto raccontò poi di aver navigato e di aver scoperto insieme a Usodimare le isole di Capo Verde, operazione effettuata dal ligure Antonio da Noli e dal portoghese Diogo Gomes. Nel 1460, alla morte del principe Enrico, i Portoghesi erano già arrivati, con Pedro da Sintra, fino in Sierra Leone. Un anno più tardi Antonio da Noli, membro di una famiglia di cartografi, dopo essere partito da Genova insieme a un fratello e a un nipote diretto in Portogallo, divenne capitano-donatario di Santiago, nell’arcipelago di Capo Verde, mentre Diogo Afonso ricevette lo stesso incarico per la parte settentrionale. Produttore di zucchero e commerciante di schiavi e di zucchero, Antonio da Noli fu vittima, nel 1476, di un assalto da parte dei Castigliani. Giunse però a un accordo con loro e conservò il governo dell’isola senza subire danni. Nel 1481 infatti, al suo ritorno, i Portoghesi lo mantennero in carica. 94

Antonio da Noli morì nel 1496, lasciando erede del capitanato sua figlia. È probabile che Cristoforo Colombo lo conoscesse, dato che segnala l’esistenza dell’“isola di Antonio”. Nel 1469, Alfonso V cedette per cinque anni il monopolio commerciale della Guinea al mercante Fernão Gomes per 200.000 reais annuali, con l’obbligo di continuare ad esplorare la costa. Tra il 1470 e il 1474, una serie di spedizioni percorse il Golfo di Guinea e arrivò fino al Capo di Santa Catalina. Dal 1470, il principe ereditario Giovanni, oltre a partecipare alla presa di Arzila, cominciò a occuparsi della Guinea e delle terre che erano state scoperte o che stavano per esserlo. Nel 1474, la corona stabilì il mare clausum di Guinea, proibendo la navigazione a coloro che non vi erano autorizzati. È di quell’anno la lettera che l’astronomo fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli inviò il giorno 25 giugno a Fernão Martins, canonico della cattedrale di Lisbona. Questi si era rivolto a lui in nome della corona portoghese al fine di studiare un possibile itinerario occidentale verso le Indie


Il grande progetto di espansione coloniale della corona portoghese In generale, si considera che dietro all’interesse del Portogallo a trovare una via marittima che portasse in India, ci fossero le spezie. Soprattutto dopo che, in seguito alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453, il flusso di questa preziosa merce verso l’Europa si interruppe. La realtà è però più complessa. Nel 1385, saliva al trono portoghese una nuova dinastia nella persona di Giovanni I. Era il casato degli Aviz. Nei quasi duecento anni in cui resse il destino del Portogallo, il regno si trasformò in un impero marittimo con presenza in Africa, Asia e nell’America recentemente scoperta. Questa espansione, conosciuta anche come l’“era delle scoperte”, si vide in buona misura spinta dalla necessità di istituire una rotta marittima tra Europa e Asia attraverso la quale fare arrivare seta e spezie dall’Oriente, il cui commercio sarebbe così rimasto nelle mani dei Portoghesi. Ma non fu questo l’unico motivo. L’origine di questa espansione va cercata prima della caduta di Costantinopoli, precisamente nel 1415, quando Enrico il Navigatore conquistò Ceuta, allora punto di arrivo dell’oro subsahariano. L’idea di impossessarsi delle fonti di approvvigionamento del metallo prezioso e contemporaneamente del mercato degli schiavi spinse il Portogallo degli Aviz a iniziare un progetto di navigazione oceanica in cui concorrevano anche fattori come la brama di conquista e di cristianizzazione dei nuovi territori. Fino a qualche tempo dopo, quando già Giovanni II era sul trono, non si intravvide la possibilità di accedere all’oro indiano costituito dalle spezie. Nell’immagine a sinistra, chiostro del monastero di Batalha, fatto erigere da re Giovanni I; a destra, cartina delle isole Azzorre, dall’Atlas Miller, realizzato nel 1519 (Biblioteca Nazionale, Parigi).

che sarebbe servito per ristabilire il contatto con la Cina. Nelle sue elucubrazioni, Toscanelli si sbagliò riguardo alle reali distanze. Si sbagliò anche Cristoforo Colombo, che riprodusse questa lettera sulla sua copia della Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini, conservata insieme ad altri testi a lui appartenuti nella Biblioteca Colombina di Siviglia. La corona portoghese difese il mare clausum arrivando addirittura a reclutare dei corsari, tra cui si annoverava una persona nota come Coullon o Coulon, che aveva prestato servizio agli ordini del re di Francia e con cui è possibile che Cristoforo Colombo avesse navigato in gioventù. Tra gli anni 1482 e 1484 fu costruito il castello di São Jorge da Mina. In quegli anni si aggravò il conflitto luso-castigliano, sul quale influivano ancora la questione della successione al trono di Castiglia e i problemi riguardanti l’Andalusia, l’Algarve e il mare di Guinea. Si registrarono scontri violenti a cui parteciparono anche i Francesi, alleati dei Portoghesi nell’Atlantico e nel Mediterraneo. Infine, nel 1479, con il trattato di Alcáçovas, ratificato a

Toledo nell’anno 1480, si stabilì la prima ripartizione del mondo. L’accordo tra Portogallo e Castiglia decretò, infatti, che l’area compresa tra Fez, Madera, le Azzorre e Capo Verde e tutto quanto si sarebbe scoperto a sud delle isole Canarie, sarebbe stato di pertinenza portoghese, mentre le Canarie sarebbero state dominio di Castiglia. In questo modo, la linea che passa a sud delle isole divideva l’oceano in due parti: quella a nord apparteneva a Castiglia e quella a sud, al Portogallo. Nacquero due zone di influenza e si creò uno spazio cerniera conosciuto come “Mar di Guinea”, porta d’accesso all’Atlantico meridionale. In questa zona, che comprende una frangia orizzontale in cui i venti alisei incontrano le latitudini medie tra le isole Canarie e Capo Verde, si concentrarono le esperienze relative a quella navigazione verso Occidente nell’ambito della quale maturò poco a poco il progetto di Cristoforo Colombo. Questi racconta di essere arrivato alla fortezza di São Jorge da Mina al comando di due imbarcazioni nel 1482 o nel 1483, anno in cui presentò il suo progetto al re Giovanni II di Porto95


PORTOGALLO E CASTIGLIA

GIOVANNI II DI PORTOGALLO. Conosciuto

come il Principe Perfetto, Giovanni II riprese il progetto delle esplorazioni atlantiche del suo prozio Enrico il Navigatore. Sopra, Giovanni II in una miniatura del codice Livro dos copos (Archivio Nazionale Torre do Tombo, Lisbona).

MONASTERO DOS JERÓNIMOS (pag. 97).

Costruito da Manuel I per commemorare il felice ritorno dall’India di Vasco da Gama, è uno dei grandi gioielli dello stile manuelino portoghese. 96

gallo, il Principe Perfetto, che regnava dal 1481. Nello stesso anno, la bolla Aeterni regis emanata da Sisto IV riconobbe il Trattato di Alcáçovas-Toledo e con esso la ripartizione dei territori dell’Atlantico tra le corone di Castiglia e Portogallo.

Il grande progetto di Giovanni II Giovanni II, che regnò fino al 1495, mise in atto un grande progetto che iniziò con le spedizioni di Diogo Cão, proseguì con il fondamentale viaggio di Bartolomeo Diaz e si concluse con Vasco da Gama. Diogo Cão, esperto marinaio dei mari di Guinea, partì nella primavera del 1482 da Lisbona, passò per la fortezza di São Jorge da Mina, arrivò nello Zaire e proseguì verso il capo di Santa Maria. Tornò a Lisbona nella primavera del 1484. Nel suo secondo viaggio, intrapreso nell’autunno del 1485, navigò a largo della costa africana quasi fino al Tropico del Capricorno, cercando un passaggio verso Oriente. La Oratio de obedientia presentata dai legati della corona portoghese al nuovo papa Innocenzo VIII, sul trono pontificio dal 1484, ricorda le sue imprese insieme alle altre

gesta portoghesi. Sicuramente l’anno chiave per i Portoghesi fu il 1487, quando due spedizioni, una per terra e l’altra per mare, partirono da Lisbona. La seconda avrebbe dato un impulso fondamentale alle relazioni internazionali. Nel 1487, Pêro da Covilhã e Afonso de Paiva, sempre guidati dall’immagine del Prete Gianni – identificato con il negus d’Etiopia – partirono in cerca di possibili notizie sul commercio con l’India. Per viaggiare più sicuri finsero di essere mercanti musulmani. Ad Aden Afonso scomparve, ma Da Covilhã proseguì il suo viaggio visitando i centri mercantili più importanti: Calicut e Goa nel Malabar, Hormuz all’ingresso del Golfo Persico e Sofala sulla costa orientale dell’Africa, nel canale del Mozambico, 100 miglia a nord del punto a cui sarebbe arrivato Bartolomeo Diaz. Infine si fermò in Etiopia e lì rimase dopo aver consegnato a Il Cairo il suo rapporto per il re ai giudei José de Lamego e Abraão de Beja, rabbino di questa popolazione. Disponiamo di pochissimi dati relativi a Bartolomeo Diaz, l’uomo che superò il Capo delle Tempeste che dopo il suo viaggio prese il nome di Capo di Buona Speranza. Sappiamo che Bartolomeo Diaz fu un cavaliere della piccola nobiltà e che nel 1475 un comandante di nave con questo nome comprò una schiava a Genova. Il suo nome torna a comparire nel 1478 a Porto Pisano, dove il padrone di una barca trasportava un carico di zucchero per una compagnia fiorentina. Nell’ottobre 1486, un non ben identificato Bartolomeo Diaz – anche se in questo caso potrebbe essere proprio lui – ottenne da Giovanni II 6.000 reali portoghesi in cambio di una serie di servizi che il re si aspettava di ricevere da lui. È possibile che si trattasse proprio della spedizione che salpò sotto i suoi ordini nell’estate del 1487. Bartolomeo Diaz partì con due caravelle e un piccolo bastimento. Dopo vari scali, in ciascuno dei quali misurò la latitudine, in dicembre si fermò ad Angra das Voltas (l’attuale baia di Lüderitz, in Namibia). Ripresa la navigazione, si lasciò dietro la foce del fiume Orange e, nonostante una tempesta l’avesse obbligato ad allontanarsi dalla costa, riuscì finalmente a superare il Capo delle Tempeste, in un’operazione che segnò il momento culminante del progetto di connessione dei due oceani. Nel dicembre del 1488, Diaz si trovava di nuovo a Lisbona e lì, nel marzo del 1493, si incontrò con Cristoforo Colombo, di ritorno dal suo primo viaggio. Nel 1497, uno dei suoi secondi, Pêro de Alenquer, viaggiò con lui e con Vasco da Gama fino alla Guinea. Nel marzo dell’anno 1500 partì con Pedro Alvares Cabral, ma alla fine del mese di maggio, mentre si trovava di nuovo nei pressi del Capo di Buona Speranza, la sua caravella scomparve insieme a tutti i suoi occupanti.



PORTOGALLO E CASTIGLIA

Il primo viaggio di Vasco da Gama: dal Tago alle coste del Malabar L’apertura di una rotta sicura che, circumnavigando il continente africano, arrivasse fino ai favolosi tesori dell’India, non fu un’impresa facile. Si dovettero sacrificare molte vite, tempo e fatica prima che Vasco da Gama riuscisse a sbarcare nel 1498 nel porto di Calicut. Sotto Giovanni II, il Portogallo rivisse la febbre delle esplorazioni nell’oltremare, ideate dal suo prozio Enrico il Navigatore. E se possibile con ancora più ambizione, dato che il re si prefisse l’obiettivo di raggiungere con le sue navi l’India. Anche se la morte, nel 1495, gli impedì di vedere realizzato questo sogno, il suo successore Manuel I raccolse il testimone e proseguì con la spedizione. Al comando di questa nominò Vasco da Gama che, dopo quasi 11 mesi di navigazione, il 28 maggio del 1498 sbarcò sulla costa del Malabar, vicino alla mitica Calicut, da dove si diceva venissero tutte le spezie. Ma la situazione si rivelò presto difficile per via dell’ambiente ostile creato dai mercanti arabi lì stabilitisi, che a ragion veduta riconoscevano negli uomini appena arrivati dei temibili concorrenti commerciali. Anche se Vasco da Gama si vide costretto ad anticipare la data di rientro, l’obiettivo della spedizione era raggiunto: la rotta marittima verso le Indie era aperta. Lo stesso Vasco sarebbe tornato in altre due occasioni, nel 1502 e nel 1524, e meglio equipaggiato. Nell’immagine di destra, arazzo fiammingo degli inizi del XVI secolo che rappresenta l’arrivo dei Portoghesi a Calicut (Banco Nazionale Ultramarino, Lisbona); a sinistra, pagina del diario di bordo di Vasco da Gama.

Nonostante ciò, la via verso le Indie era ormai aperta e i Portoghesi potevano raggiungere l’Oceano Indiano dove già la rete di connessioni marittime che era stata aperta dall’Islam con la Cina, l’Asia peninsulare e insulare e il Mediterraneo orientale era in perfetto funzionamento. Così, l’8 luglio del 1497, Vasco da Gama salpò da Restelo, sulla foce del fiume Tago, con tre velieri – São Gabriel, São Rafael e la caravella Bérrio – e un piccolo bastimento. Superate le isole Canarie, dopo una fermata presso le isole di Capo Verde e dopo aver realizzato un’ampia volta do largo, il 4 novembre Vasco da Gama arrivò alla baia di Sant’Elena, che si trovava 130 miglia a nord-est del Capo di Buona Speranza. A Natale egli era entrato nella regione sudafricana (Natal) e arrivò poi alla baia di Mossel, dopo aver fatto scalo sulla foce del Limpopo e dello Zambesi. Nei porti del Mozambico osservò che i navigatori locali utilizzavano bussole di fabbricazione genovese. La spedizione si trattenne per un mese a Sofala e infine giunse a Malindi, sotto la guida di un comandante arabo o forse indiano, Ahmad Ibn Majid. Lì i Portoghesi incontra98

rono un nativo che parlava genovese. Grazie al monsone estivo, il 28 maggio dell’anno 1498 la spedizione sbarcò a poche miglia da Calicut, nel sud del Malabar. Stabilirsi lì non fu però cosa facile e Vasco da Gama, trovatosi in difficoltà, dovette partire il 27 agosto. A causa dell’assenza del monsone, non riuscì tuttavia a raggiungere le coste africane prima di tre mesi. Nel frattempo, Nicolau Coelho, comandante della Bérrio, si era portato avanti e il 10 luglio aveva dato la notizia a Lisbona. Quando Da Gama giunse a Lisbona, gli restavano solo 50 dei 150 o 180 uomini che erano partiti con lui. Il racconto del lungo e difficile viaggio di Vasco da Gama appare nel diario di bordo – conosciuto come roteiro – redatto da Alvaro Velho, che raccoglie una preziosa serie di dati di ogni tipo inclusi quelli di natura mercantile, in un breve, ma valido testo utile per i mercanti. In poco tempo fu preparata una flotta di 13 bastimenti a carico di Pedro Alvares Cabral, che durante il viaggio, a causa di una deviazione, scoprì l’isola di Vera Cruz, cioè il Brasile. Qualche anno dopo, un brusco calo degli affari rese evi-


dente che i Veneziani, già in crisi per l’avanzata ottomana, avevano definitivamente perso il monopolio sul mercato delle spezie.

La corona di Castiglia Nel decennio del 1490, la corona di Castiglia entrò in pieno nella politica atlantica guardando alle Canarie, a quel tempo già sotto il suo controllo, quando accettò una proposta rifiutata da Giovanni II di Portogallo. Nel 1492, liquidate le questioni relative a giudei e musulmani, la regina Isabella di Castiglia decise di considerare il progetto che le era stato presentato sette anni prima da Cristoforo Colombo, protetto dalla lobby genovese che da più di due secoli collaborava con la corona. La lunga relazione tra i Genovesi e la Spagna si era rafforzata durante il XIII secolo, quando l’area ispanica aveva definitivamente disegnato la propria identità “tridimensionale”: l’al-Andalus islamico, la corona di Castiglia e la corona aragonese. All’epoca di Colombo, la collaborazione tra la monarchia castigliana e gli alberghi genovesi era ormai consolidata. I Genovesi erano “commercianti all’ingrosso”, si-

gnori della guerra, tesorieri delle famiglie aristocratiche, monopolisti dello zucchero e dell’oricello, mercanti di tessuti; gestivano approvvigionamenti, imposte e miniere ed erano titolari di incarichi molto alti a livello statale e locale, laico e religioso. Solo a Siviglia avevano più di venti membri della famiglia Spinola (Espíndola) e più di una decina di Pinelli (Pinelo). Molti erano i Cattaneo (Cataño), i Grimaldi (Grimaldo), i Centurione (Centurión). C’erano anche Fornari (Forne), Giustiniani (Justinián), Gentile (Gentil), Castiglione (Castellón), Vivaldi (Vivaldo), Adorno, Lomellini (Lomelín), Di Negro, Salvago, Sopranis, Doria, Calvi, Cassana e altri. I Genovesi avevano anche un proprio quartiere in città, nonché dei palazzi. Non è un caso che Cristoforo Colombo segni, nel 1492, il punto d’arrivo della storia mediterranea e il punto di partenza di quella atlantica. L’operazione che unì la corona di Castiglia a Colombo seguì ormai consolidati modelli, ma non indica soltanto l’ingresso di una nuova potenza europea nella storia delle relazioni internazionali; è piuttosto una testimonianza della caduta dell’ultima frontiera. 99


LE RICCHE FIERE MEDIEVALI

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Le ricche fiere medievali Situate ai crocevia di rotte importanti, le fiere furono il motore della rivoluzione economica del Medioevo. Tra esse spiccava quella della Champagne, nella quale intervenivano mercanti da tutta Europa.

«I

niziano i mercanti a esporre / la merce che han portato da vendere. / Dal sorgere del sole / fino all’imbrunire / una moltitudine di persone indaffarate / riempie la città di vita e frenetica attività. / Fin oltre i confini dalla città e nei campi / già han preparato tavoli e bancarelle». Con questi versi il poeta francese della Champagne, Bertrand de Bar-sur-Aube, descriveva il trambusto di una fiera alla fine del XII secolo. In quel momento storico, l’Europa si trovava immersa in pieno in un’autentica rivoluzione commerciale che avrebbe trasformato in maniera decisiva l’economia feudale tipica del Medioevo per gettare le basi di un sistema che si può considerare agli albori del capitalismo e che finirà per imporsi durante il Rinascimento. La parola “fiera” deriva dal latino feria, che significa “solennità” e “festa”, un carattere che anche oggi è stato conservato, almeno in parte: in effetti, molte fiere che vengono oggi celebrate hanno un carattere più ludico e festivo che propriamente commerciale, aspetti che erano invece dominanti nel Medioevo. L’origine di questo fenomeno va cercato nella crescita della produzione dei campi che si verificò nell’XI secolo, che dava agli agricoltori la possibilità di vendere una parte delle eccedenze nei piccoli mercati rurali. Allo stesso tempo, la crescita delle città e la nascita in esse di gruppi di artigiani incrementarono questa incipiente offerta commerciale nei mercati. In tal modo, l’aumento delle transazioni locali e regionali sia di prodotti agricoli che artigianali gettò le basi della rinascita del grande commercio. L’impulso decisivo arriverà con l’istituzione di fiere annuali

La moneta, il valore economico più stabile Una delle cause che favorirono la rivoluzione commerciale medievale fu il crescente uso della moneta. Alla fine del X secolo, la moneta era scarsa e per questo motivo veniva usata soprattutto per le grandi transazioni, mentre per il commercio su piccola scala si preferiva il baratto. Tutto cambiò con lo sfruttamento di nuove miniere d’argento che permisero la creazione di un solido sistema monetario, condizione basilare per la rinascita del commercio. Fin dai tempi di Carlo Magno, il sistema monetario si basava sul monometallismo dell’argento, anche se le monete, i pesi e le misure non erano unificati. Perciò il lavoro dei cambiavalute era particolarmente complesso: dovevano verificare la qualità e la lega di ciascun pezzo oltre al suo peso, dato che l’uso li consumava. La moneta d’oro arrivava soprattutto attraverso il commercio con Bisanzio e con i regni musulmani, che pagavano i propri acquisti con questo metallo e vendevano i propri prodotti in cambio dell’argento. Anche se alcune repubbliche italiane di commercianti come Genova, Firenze (1252) e Venezia (1284) coniarono monete d’oro a partire dalla metà del XIII secolo, la loro circolazione fu minima e non arrivarono mai a soppiantare quelle d’argento.

LA GALLERIA DEI MERCANTI.

Commercianti di tessuti e mobili di una fiera medievale in una miniatura di un manoscritto italiano del XV secolo, conservato al Museo Civico Archeologico di Bologna.

IL TALLONE AUREO. Verso di un fiorino del 1300 con l’immagine di san Giovanni Battista (Museo Nazionale del Bargello, Firenze).

nei crocevia delle strade e delle vie navigabili. I principali prodotti delle fiere erano le spezie, i gioielli e tessuti realizzati in lana, seta e cotone.

Il commercio nella Champagne La più importante di queste fiere fu quella della regione della Champagne, patrocinata dai conti della regione dal 1125. In realtà sarebbe più corretto usare il plurale, dato che questa parte del nordest francese ospitava ben sei fiere in quattro diverse città: Lagny, Bar-sur-Aube, Provins e Troyes. L’elemento originale alla base del loro successo era che queste fiere costituivano un ciclo ininterrotto di incontri commerciali che copriva l’intero calendario annuale: a Lagny la fiera era tra gennaio e febbraio, a Bar-sur-Aube a marzo-aprile, a Provins a maggio-giugno, a Troyes in luglio-agosto, di nuovo a Provins a settembre-novembre e un’altra volta a Troyes a novembre-dicembre. Ciascuna di queste edizioni (separate da un intervallo da 40 a 50 giorni nell’arco di circa otto mesi, da marzo a novembre) durava tra tre e sei settimane. Con questa distribuzione, la Champagne diventava l’asse indiscusso del commercio internazionale nel mercato quasi permanente dell’Europa occidentale. Ciascuna delle città protagoniste, nessuna delle quali superava i 10.000 abitanti, approfittava dell’evento per offrire i propri prodotti artigianali come i panni e i tessuti di Provins e Troyes. Nonostante ciò, la cosa più importante non era tanto questo, bensì l’opportunità di fare affari legata all’arrivo di un grande numero di mercanti da tutti gli angoli del continente, che dovevano essere alloggiati e sfamati. Ospiti il cui arrivo era preceduto o accompagnato da saltimbanchi, giullari, poeti e musici che dovevano contribuire a generare un’atmosfera animata, ma anche da mendicanti più o meno professionisti o gli inevitabili, e sempre presenti, furfanti. 101


LE RICCHE FIERE MEDIEVALI

Non solo la sua posizione strategica tra nord e sud, est e ovest d’Europa rese questa fiera la più visitata. Un’altra ragione del suo successo era l’esemplare sistema di sicurezza e organizzazione offerto dai conti della Champagne. Per cominciare, i commercianti che arrivavano fino qui lo facevano grazie a un salvacondotto speciale per tutto il territorio della contea che, tra l’altro, li esentava dal pagamento di pedaggi e altre tasse feudali. Anche gli abitanti delle città si vedevano favoriti dalla politica dei conti, che esonerava dalle imposte servili coloro che mettevano in piedi alloggi, mercati, taverne, cappelle o locali per accogliere i mercanti, le loro mercanzie e le loro attività. Per proteggere queste ultime si istituì un servizio di polizia per le fiere, mentre per vigilare sull’ordine e la legalità delle transazioni furono create la magistratura delle fiere, un sistema di diritto speciale che vigeva durante la loro cele102

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MARE DEL NORD

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Rotte d’Oriente

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(grano, spezie, seta, profumi)

Rotte africane (oro, schiavi)

Danzica Stettino

Amberes Colonia Ypres Gand Lipsia Parigi Reims Francoforte Chalons Norimberga Chartres Provins Strasburgo Troyes Basilea Augusta

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Il mercante medievale, quando non si trovava a una fiera, era in cammino verso un’altra o ritornava a casa. Per questo motivo nel XII e XIII secolo si ricostruirono e pavimentarono strade, si eressero ponti e si aprirono nuove rotte che agevolassero il transito di questi e delle loro mercanzie. E non solo vie terrestri: nelle Fiandre si costruirono canali che mettevano in comunicazione le città tra di loro e con le zone di approvvigionamento rurali, mentre nel resto del continente si intensificavano le vie fluviali, come quella del Po e, soprattutto, del Rodano che, collegata a quelle della Mosella e della Mosa, si trasformò in un grande asse di commercio tra nord e sud. E non bisogna dimenticare le vie marittime, sia nel Mediterraneo, con in testa Italiani e Catalani, sia nell’Atlantico e nel Baltico, scenari della Lega Anseatica che monopolizzava il commercio di legno, pelle, rame e pesce salato russi e scandinavi in cambio di panni fiamminghi, sale e vini francesi. Nell’immagine, cartina con le principali fiere medievali e le loro rotte; nella pagina successiva, convoglio di muli in una miniatura del xv secolo.

L

Le rotte del commercio

Bordeaux Santander León Salamanca

Burgos Montpellier

Lione

Milano Genova Marsiglia Pisa

Medina del Campo

Lisbona

Toledo

Siviglia Tangeri

Bilbao

Valencia

Venezia Bologna

MAR N E RO

Firenze

Barcellona Roma Napoli

Palma

Ceuta

Costantinopoli

Messina Tremecen

Bugia Tunisi

Catania

Sigilmassa Principali centri industriali e commerciali Rotte dell’Hansa Rotte mediterranee e atlantiche

brazione, e la vigilanza delle fiere, ispettori speciali che erano gli unici abilitati a sequestrare la merce o addirittura arrestare i commercianti. Tutto ciò trasformava la città che accoglieva la fiera in un autentico brulichio di gente che iniziava e concludeva affari, contrattava, mostrava la propria merce migliore… Anche se arrivavano mercanti dal resto della Francia, dai regni della Penisola Iberica o dal Sacro romano impero germanico, i più attivi erano gli Italiani, gli Anseatici e i Fiamminghi. I Fiamminghi e gli Anseatici vendevano tele e panni di produzione propria, oltre a prodotti del commercio atlantico e nordico come pellame, pesce salato o ambra, mentre gli Italiani portavano i più preziosi frutti del commercio mediterraneo come seta e spezie orientali, e inoltre pepe, chiodi di garofano, cannella e noce moscata. Ma l’ampia varietà di mercanzia non finiva qui: sulle bancarelle dei mercanti erano

Rotte terrestri Rotte del XIII secolo che perdono importanza Fiere

MAR MEDITERRANEO

accumulati anche arazzi, ottoni cesellati, profumi e cristallerie orientali; marocchineria andalusa; zucchero del Vicino Oriente; miele, vino, liquirizia e carta della Penisola Iberica… O prodotti medicinali, come canfora, rabarbaro o aloe, oltre a cereali, legno da costruzione, tinture, lana, ecc.

La circolazione del denaro Accanto ai commercianti non era raro trovare i cambiavalute, principali incaricati della circolazione del denaro grazie ai quali erano possibili tutte le transazioni. In un primo momento l’incarico era svolto dai giudei, gli unici che nell’Europa medievale potevano praticare l’usura che la Chiesa proibiva a tutti i cristiani. Ma presto questa comunità, che commerciava in denaro anziché in merci, fu rimpiazzata dai mercanti cristiani, principalmente italiani, che svilupparono nuove tecniche finanziarie che

Alessandria


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andavano oltre il mero cambio e prestito di moneta per evitare da un lato il rischio di viaggiare con una considerevole quantità di denaro addosso, dall’altro l’inevitabile logorio delle monete d’argento al passare di mano in mano, cosa che ne diminuiva il valore. Grazie a questi nuovi mercanti-banchieri, a partire dal decennio del 1230 la fiera della Champagne si trasformò del tutto in un mercato finanziario in cui venivano fissati i cambi in corso, si concedevano crediti e si compensavano debiti grazie a strumenti come le lettere di cambio, le note di pagamento nominali e trasferibili a terzi o i contratti di cambio e di trasporto. A partire da questo momento, le operazioni finanziarie arrivarono addirittura ad acquisire più importanza delle transazioni propriamente commerciali. Le nuove soluzioni bancarie permettevano che i mercanti si impegnassero a pagare le merci acquistate in un’altra

fiera o che emettessero cambiali che il creditore poteva riscuotere in un altro luogo. Fu così che l’ultima delle fiere del ciclo annuale della Champagne, quella di Troyes, si trasformò in una specie di tribunale di compensazione, in cui venivano arbitrate le liti per debiti e venivano prese le misure necessarie. La forza di questo Stato finanziario arrivò a essere tale che se un commerciante si rifiutava di pagare un debito, gli venivano automaticamente confiscati tutti i prodotti che mancavano per raggiungere il valore del debito contratto. Ma quelle della Champagne non erano le uniche fiere che animavano la rivoluzione commerciale europea. Ce n’erano altre che avevano in comune una posizione strategica tra diverse rotte di passaggio. Nel continente si trovavano fino a sei sistemi di fiere ben radicate: nel Nord Italia, nelle Fiandre, in Inghilterra, così come lungo il medio e

basso corso del Reno e, naturalmente, nella Champagne. Tutti contavano sui privilegi concessi dai principi locali, con buone infrastrutture stradali sia terrestri che fluviali o marittime e con un tessuto produttivo artigianale proprio particolarmente attivo. In questo modo, se nelle fiere inglesi il prodotto di punta era la lana, che i mercanti stranieri compravano mentre vendevano i propri articoli di lusso, le Fiandre spiccavano per la produzione di panni e tessuti di qualità, molto apprezzati dagli Italiani. Le cinque fiere che a partire dal 1200 si celebravano lì tra febbraio e novembre, declinarono quando alla fine del XIII secolo la fiamminga Bruges divenne un mercato aperto tutto l’anno. Il nodo più orientale del sistema di fiere si trovava a Francoforte sul Meno, il cui primo privilegio fieristico, concesso dall’imperatore Federico II, è datato 1240. Si celebrava in due date, in Quaresima e in autunno, e fu 103


LE RICCHE FIERE MEDIEVALI

I prodotti del commercio medievale Nelle fiere era possibile trovare ogni tipo di prodotto: generi di prima necessità, come cereali, pesce sotto sale o lana, ma anche molte cose che solo i più abbienti si potevano permettere, come spezie, seta o profumi. Ma il commercio dell’epoca non si esauriva in questi luoghi: villaggi, cittadine e città avevano anche i propri mercati settimanali, che rifornivano gli abitanti dei beni indispensabili. Mercato di frutta e verdura. Fresca, secca o in conserva, la frutta, insieme alla verdura, fu particolarmente apprezzata nel Medioevo. E non solo nel mondo rurale, ma anche presso le corti dei principi, soprattutto nelle varianti più esotiche. È il caso, per esempio, del melone, che arrivò in Francia alla fine del XV secolo e si serviva accompagnato da moscatello. Data la scarsità di zucchero e miele, la frutta veniva spesso usata come dolcificante per accompagnare altri cibi. A sinistra, un mercato di frutta e verdura in un affresco conservato al castello di Issogne (Val d’Aosta). Mercato del grano. I cereali erano alla base dell’alimentazione medievale lungo tutta la scala sociale, dal contadino al re. Le differenze di classe si notavano essenzialmente nel tipo di cereale impiegato e nella sua lavorazione. Il grano era il più nobile e il suo pane bianco, fatto con farine particolarmente raffinate, era uno status symbol; le classi più basse dovevano accontentarsi di un pane più scuro e ricco di crusca. A sinistra, mercato del grano a Firenze in una miniatura dello Specchio umano di Domenico Lenzi, detto “Il Biadaiolo” (Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze). Vendita di riso. Uno dei prodotti che gli Arabi che conquistarono la Penisola Iberica nell’anno 711 portarono con sé fu il riso. Poco dopo, verso il IX secolo, lo introdussero anche in Sicilia. Nonostante ciò, e a eccezione dei territori dove si coltivava (specialmente la Catalogna, Valencia e il sud della Penisola Italica, cui nel XIII secolo si aggiunse la Lombardia), nel Medioevo fu un prodotto molto apprezzato, ma di lusso, che solo le famiglie aristocratiche si potevano permettere. Vendita di riso in una miniatura del Tacuinum sanitatis in medicina. Codex Vindobonensis (Österreichische Nationalbibliothek, Vienna).

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una delle fiere più longeve poiché continuò ad esistere fino alla guerra dei Trent’anni (1618-1648). Al principio del XV secolo, erano attive le fiere di Ginevra, Lione e Medina del Campo, grandi piazze commerciali e finanziarie. L’altra importante fiera tedesca aveva come scenario Lipsia, anche se il suo sviluppo fu posteriore a quello delle fiere sopra citate. Infatti si affacciò sul mercato nel XV secolo e rapidamente divenne il punto nevralgico del commercio tedesco di libri, provocato dalla nascente attività di stampa, e in una posizione strategica che univa il commercio dell’est e dell’ovest europeo. Boemi, Transilvani, Ungheresi, Austriaci e Polacchi venivano fin qui per comprare panni, biancheria e seta e offrire articoli in cuoio, lana, pelle russa o cera. Anche più a est nacque una rete commerciale di fiere prospere come quelle di Lublin e Jaroslaw (Polonia), Leopoli (Lviv, Ucraina), Košice (Slovac-

chia) e Brasov (Romania). Nella maggior parte di queste vincevano gli stessi meccanismi di credito che nella Champagne permettevano di differire i pagamenti a un’altra fiera dello stesso ciclo. La fine delle grandi fiere tradizionali, in particolare quella della Champagne, cominciò durante i primi decenni del XIV secolo. Da un lato, e soprattutto per quanto concerne questa fiera, l’insicurezza e l’instabilità generatesi in Francia con la guerra dei Cent’anni furono determinanti. Dall’altro, le miniere d’oro, che avevano assicurato la liquidità monetaria così necessaria per il transito e la distribuzione di merci, cominciarono a dare segni di esaurimento. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare la presenza stabile di agenti italiani nelle città fiamminghe, dove compravano direttamente i preziosi panni, o l’apertura di nuove rotte, soprattutto marittime, che univano l’ambito mediterraneo

PROVINS. Antico nucleo murato della città di Provins, sede di una delle più importanti fiere medievali della Champagne.

con quello atlantico e baltico e i cui bastimenti potevano trasportare carichi più grossi, e a un prezzo migliore, rispetto alle carovane che da sempre circolavano per le rotte terrestri. Inoltre, l’epidemia di peste nera, che isolò l’Europa a partire dall’anno 1348, diede il colpo di grazia a questo sistema commerciale. Nonostante ciò, anche se le fiere della Champagne rimasero relegate a un livello puramente regionale, il loro modello non scomparve. L’auge della città di Lipsia a partire dal XV secolo è un esempio di questo retaggio. E lo è ancor di più un catalogo datato 1585 che segnala nientemeno che 171 fiere importanti sparse per tutta Europa, dalla Spagna alla Lituania, passando per Francia, Italia, Inghilterra, Paesi Bassi, Germania, Austria e Boemia. 105


IL NAVIGATORE.

Cristoforo Colombo in un olio del pittore francese Émile Lassalle (Biblioteca Capitolare Colombina, Siviglia). Nella pagina accanto, bussola del XV secolo con Rosa dei venti (Museo Archeologico Nazionale, Madrid).

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COLOMBO E LE INDIE La corona di Castiglia, avvalendosi di un’antica relazione di collaborazione con i Genovesi, affidò a uno di essi, Cristoforo Colombo, il proprio ingresso nella politica atlantica. La notizia della “scoperta” dell’America si diffuse immediatamente per tutta Europa e trasformò l’anno 1492 in una data fondamentale, che da allora avrebbe segnato il passaggio dalla fine del Medioevo all’inizio dell’età moderna.

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ristoforo Colombo nacque a Genova nell’anno 1451. Suo padre Domenico, tessitore di lana e figlio di Giovanni di Moconesi – originario di Fontanabuona e poi trasferitosi a Quinto (Genova) – era custode della porta dell’Olivella, nel borgo di Santo Stefano. Qualche anno più tardi la famiglia si trasferì a Porta Soprana, che con il tempo, dopo diverse vicissitudini, divenne la sua residenza definitiva. Sua madre, Susanna Fontanarossa, era originaria di Val Bisagno. Cristoforo Colombo aveva quattro fratelli: Giovanni Pellegrino, Bartolomeo (Bartolomé), Giacomo (poi conosciuto come Diego) e Bianchinetta. Secondo l’uso dell’epoca, il giovane

Cristoforo Colombo crebbe sotto la protezione di uno dei più importanti clan di quei tempi, quello della famiglia Fieschi e dei suoi alleati. Seguendo una pratica molto diffusa in tutti gli ambiti sociali nell’area genovese e in quella ligure, e pur conoscendo i fondamenti dell’attività artigianale di famiglia, Colombo si imbarcò molto giovane, a 14 anni. Nonostante le poche notizie relative alla sua giovinezza, trascorsa tra Genova e Savona, dove la sua famiglia si trasferì tra gli anni Settanta e Ottanta, sappiamo che navigò per tutto il Mediterraneo e attraverso l’area atlantica più vicina, probabilmente con il celebre ammiraglio Coullon o Coulon, forse suo parente. La sua 107


COLOMBO E LE INDIE

CRONOLOGIA DEI VIAGGI DI CRISTOFORO COLOMBO 1492

Il 3 di agosto, Colombo parte dal porto di Palos. Il 12 ottobre arriva a Guanahani e in dicembre a Hispaniola. 1493

A gennaio comincia il viaggio di ritorno sulla Niña. La Pinta, con Pinzón, arriva prima alle coste galiziane e annuncia la Scoperta. A settembre Colombo inizia il suo secondo viaggio. 1494

Fondazione di La Isabela. Arriva in Giamaica. A marzo inizia il ritorno; arriva a Cadice a giugno. 1498

Inizia il suo terzo viaggio e arriva a Trinidad. Entra nel Golfo di Paria, sul delta dell’Orinoco, e per la prima volta calpesta il suolo americano. 1500

Bobadilla arresta i Colombo. L’Almirante viene ricevuto a Granada dai re cattolici. 1502

A maggio comincia il suo quarto viaggio e a giugno arriva a Martinica. 1503

Fondazione del primo insediamento in territorio coloniale, Santa Maria di Belen, a Panama. Comincia il viaggio di ritorno e a novembre arriva a Sanlucar.

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attività, sviluppata in relazione alle esigenze della trama dei grandi alberghi genovesi, oscillava continuamente tra la guerra e il commercio, dall’isola di Chio alle Fiandre. Per quanto riguarda gli scontri dell’epoca, nei quali si trovavano implicate le grandi famiglie genovesi e liguri, Colombo partecipò almeno a un’attività bellica sul fronte angioino-aragonese, al servizio di Renato d’Angiò, prima di trasferirsi definitivamente in Portogallo nel 1476. L’ultimo documento che testimonia una breve permanenza a Genova, motivata da una partita di zucchero di Madera disputata tra i clan Centurione e Di Negro, è datato 25 agosto 1479. A partire da questa data, il resto della sua vita sembra legato all’area iberica. Colombo si riunì a Lisbona con suo fratello Bartolomeo e con molti dei suoi famosi amici-protettori genovesi, che a loro volta erano presenti nella vicina regione andalusa e sulle isole atlantiche. Risalgono a quest’epoca alcune notizie sui suoi viaggi in Islanda (1477), Madera (1478) e Mina, in Guinea (1482). In Portogallo, nel 1479, Colombo si unì in matrimonio con Filippa, figlia di Bartolomeo Perestrello, con lontani antenati a Piacenza (Italia) e capitano-donatario di Porto Santo, con cui ebbe un figlio, Diego. Colombo aveva conosciuto la giovane nel monastero di Santos, che apparteneva all’ordine di Santiago della Spada – di cui era membro suo padre – e si era sposato con lei tra gennaio e febbraio del 1479. Fu in quest’epoca che si succedettero le spedizioni dal Portogallo e sempre allora, in terre portoghesi, Colombo sviluppò il proprio progetto: «Buscar el Levante por el Poniente» (Arrivare a Levante per la via di Ponente). È possibile che in Portogallo fosse arrivata nelle sue mani la lettera del canonico della cattedrale di Lisbona, Martins, e che conoscesse gli esperti presenti alla corte portoghese, avendo così l’opportunità di riflettere su testi e carte di navigazione. Più tardi riunì questi pensieri in numerosi scritti e nelle postille ai testi di Marco Polo, di Pierre d’Ailly, di Enea Silvio Piccolomini, di Plinio il Vecchio e di altri autori. Tra gli anni 1483 e 1484, l’Almirante presentò il suo progetto al re portoghese che, sulla base dell’opinione negativa degli scienziati, lo rifiutò. Dopo la risposta negativa di Giovanni II, basata in parte sul costante esito delle spedizioni verso le Indie, si registrò tra il 1484 e il 1485 un periodo oscuro, che si concluse con un repentino viaggio di Colombo in Andalusia, accompagnato unicamente da suo figlio Diego. La “fuga” di Colombo fu il risultato di una congiura ordita dall’Ordine di Santiago contro Giovanni II, in cui si vide indirettamente implicato (sua moglie Filippa era imparentata con i Braganza). Racconta

La rete di amicizie e di contatti di Colombo Tanto in Portogallo, dove si stabilì nel 1479, come presso la corona di Castiglia, ai cui domini arrivò nel 1485, il genovese Cristoforo Colombo poté contare sul deciso appoggio di molti influenti membri del clero e della nobiltà. Per portare avanti il progetto di «buscar el Levante por el Poniente», Colombo necessitava dei contatti giusti tra le classi più vicine alla corona. Anche così però non era un’impresa facile, come si può capire dal fallimento delle trattative con Giovanni II di Portogallo. Non fu facile nemmeno con i Re Cattolici. In questo caso, il contributo di religiosi come i francescani Antonio de Marchena e Juan Pérez, del monastero della Rábida (Palos de la Frontera, Huelva), risultò decisivo. Furono loro che lo raccomandarono a frate Hernando de Talavera, della cui posizione di confessore della regina Isabella la Cattolica seppe senz’altro approfittare il futuro ammiraglio. Nell’immagine, rilievo della base del monumento a Colombo che si trova nell’omonima piazza di Madrid. Nella scena, il navigatore spiega i propri progetti a padre Diego de Deza, altro personaggio decisivo al momento di convincere re Ferdinando.

la tradizione che Colombo arrivò al monastero della Rábida e lì ricevette un primo aiuto. A dire la verità, in Andalusia Colombo fu ricevuto da tutta una rete di protezioni familiari, di potenti personaggi laici italiani e spagnoli e dai membri del clero spagnolo e italiano e degli ordini religiosi, in particolare quello francescano, alla quale appartenevano Padre Pérez e Padre Marchena, del monastero della Rábida. Dopo essere fuggito dal Portogallo nel 1485, nel giro di tre anni Colombo ritornò su esplicito invito del re. La permanenza in questo Paese sarà fondamentale nella sua vita. Lì aveva un figlio, la recuperata amicizia della corona e una serie di amici molto influenti.

Amici potenti Un’idea dell’influenza della rete di relazioni e amicizie che appoggiarono Colombo ce la dà il fatto che nel 1497, a Burgos, Don Alvaro di Portogallo, primo fratello di Isabella del Portogallo, madre di Isabella la Cattolica, continuava ad appoggiare la richiesta di Colombo, che cercava di ottenere che i re rattolici lo supportassero con la “decima” (una


decima parte) su tutti i guadagni che avrebbe ottenuto nel corso dei suoi viaggi, istituita in occasione delle capitolazioni di Santa Fe e ora a rischio poiché era stato concesso il via libera ai viaggi di altri navigatori. Prima del 1494, Diego Mendez di Segura, il servo fedele che, insieme a Bartolomeo Fieschi, avrebbe lottato per mettere in salvo Colombo in Giamaica durante il suo ultimo viaggio verso l’America, era stato al servizio di Lopo de Albuquerque, conte di Penamacor, e di sua moglie Leonor de Noronha. Ana Moniz, nipote dell’Almirante, si sposò nel 1504 con Juan de Barahona e ricevette la sua dote dal conte del Faro. Nel 1509, don Cristóbal de Sotomayor, figlio della contessa di Caminha, accompagnò don Diego Colombo a Santo Domingo e regalò preziosi manoscritti a don Fernando Colombo. Se nulla si sa sulla moglie e sulla madre dell’Almirante, molto sappiamo invece di una delle sorelle di Filippa, Briolanja o Violante Moniz, che si muoveva nell’intorno dei Medina Sidonia e si sposò in due occasioni, con il fiammingo Miguel Muliart, morto a Hispaniola, e con

il fiorentino Francesco Bardi, discendente della famosa famiglia di mercanti-banchieri e procuratore dell’Almirante, insieme a Giannotto Berardi. Briolanja era la protetta di doña Isabel Enríquez, marchesa di Montemor-o-Novo, la sua esecutrice testamentaria, e il cappellano della marchesa era incaricato di riscuotere le rendite d’oltremare di “servitori e congiunti” di Colombo. Nulla sappiamo invece di Ana, l’altra cognata di Colombo, sposata con Francisco de Garay, che fu nominato ufficiale giudiziario a Santo Domingo, isola dove più tardi Briolanja si sarebbe recata in viaggio per accompagnare Diego Colombo, sposo di Maria di Toledo, nipote del duca di Alba e dell’ammiraglio di Castiglia. Oltre ai duchi di Medinaceli e Medina Sidonia, Colombo contava tra i suoi amici alcuni importanti convertiti, come il valenziano Luis de Santángel, che insieme al genovese Francesco Pinelli ritirò dalle casseforti della Santa Hermandad (“Santa Fratellanza”) 1.140 dei due milioni di maravedì necessari per il viaggio. Era amico anche di Gabriel Sánchez, Alfonso de Quintanilla, 109


La Rábida e Palos de la Frontera, culla della scoperta dell’America Al suo arrivo nel territorio della corona di Castiglia, Cristoforo Colombo trovò rifugio nel monastero francescano di Santa Maria de La Rábida, a Palos de la Frontera. Fu agli inizi del 1485. Sette anni più tardi, questa stessa località della provincia di Huelva diventerà il punto di partenza della sua tanto voluta spedizione verso le Indie attraverso l’Atlantico. L’avventura della scoperta dell’America ebbe quindi inizio sulle coste del sud della penisola. Il 3 agosto 1492 salpavano da Palos de la Frontera tre navi con destinazione quella che Colombo pensava essere la "terra delle spezie". A quell’epoca, Palos era un porto la cui prosperità si era basata in buona misura sulle sue spedizioni in Guinea, fonte di gravi conflitti con il Portogallo. La firma del trattato di Alcáçovas-Toledo nel 1480, che stabiliva che tutto quello che si trovava a sud delle Canarie restava sotto la sovranità portoghese, mise fine a questa attività. Ma Palos era un buon porto atlantico e i suoi marinai conoscevano bene la navigazione oceanica. È per questo che i re cattolici la scelsero come punto di partenza della spedizione che sarebbe arrivata in America. Nell’immagine di sinistra, i fratelli Pinzón, che accompagnarono Colombo nel suo primo viaggio, in un dettaglio degli affreschi della Scoperta di La Rábida; a destra, La partenza dal porto di Palos, olio anonimo (monastero di La Rábida, Palos de la Frontera).

Miguel Ballester, Santiago Margarit, Andrés Cabrera, Gutierre de Cárdenas e molti altri, tra Castigliani e Catalani. Aveva inoltre amici italiani, appartenenti principalmente a importanti famiglie genovesi, direttamente o indirettamente implicati nelle spedizioni e finanziatori abituali sia suoi che della sua famiglia. L’Almirante teneva rapporti con diversi potenti uomini di chiesa spagnoli: il domenicano Diego de Deza, precettore del principe Giovanni e più tardi vescovo di Zamora, Hernando de Talavera, il confessore della regina Isabella, il cardinale González de Mendoza, gli amici francescani Pérez e Marchena – anche se più tardi ne incontrerà di ostili, che da Santo Domingo scriveranno cose tremende su di lui e sui suoi amici genovesi, definiti come “faraoni” – e il potente cardinale Cisneros, a cui si riferisce il benedettino catalano Boil, che a sua volta viaggiò con l’Almirante. Tra gli amici di Colombo si annoveravano anche padre Ramón Pané, autore di interessanti note etnografiche sulle terre “scoperte”, e il futuro storico Andrés Bernáldez, detto “il curato dei Palazzi”. 110

Durante il suo secondo viaggio, che partì da Cadice il 25 settembre del 1493, Colombo fu accompagnato da Pedro de Las Casas, padre del frate domenicano Bartolomé de Las Casas, futuro fustigatore degli eccessi della Conquista spagnola, che celebrò la sua prima messa proprio a Santo Domingo, dove Don Diego era viceré. Da questi, Bartolomé de Las Casas, già diventato vescovo del Chiapas, ottenne l’enorme quantità di documenti che più tardi gli permise di redigere la sua Historia general de las Indias. In essa, l’autore della famosa Brevísima relación de la destrucción de las Indias in cui condanna la Conquista, non solo offre una trascrizione del “diario” del primo viaggio e moltissimi altri dati sull’Almirante e sulla sua storia, ma gli dedica inoltre un famoso ritratto, forse il più fedele tra le numerose e imprecise immagini che esistono di lui. Colombo entrò in relazione anche con uomini della cultura italiana – romani, milanesi, napoletani, genovesi e fiorentini: Pietro Martire d’Anghiera, cronista del cardinale Ascanio Sforza e del cardinale Luigi d’Aragona, legato a Iñigo


López de Mendoza e Quiñones, marchese di Tendilla; i due fratelli umbri Geraldini, dei quali uno, Alessandro, che fu precettore-confessore della regina Isabella la Cattolica, sarebbe diventato vescovo di Santo Domingo; e l’umanista siciliano Niccolò Scillacio. Una delle amicizie più solide di Colombo fu quella di Gaspare Gorricio di Novara, certosino nel monastero di Las Cuevas dove, oltre alle lettere di Colombo, sono stati conservati per un po’ di tempo i suoi resti mortali, che furono più tardi oggetto di insensate dispute tra Spagna e America. Si contavano anche tra i suoi amici numerosi fiorentini, come Giannotto Berardi, così come i Rondinelli e gli Strozzi e, soprattutto, Francesco Bardi, marito di Briolanja e procuratore dell’Almirante. Tra tutti questi spiccava inoltre la figura di Amerigo Vespucci, che tuttavia Colombo considerava tra i suoi amici meno fortunati. Nel 1486, ad Alcalá de Henares, Cristoforo Colombo espose ai re cattolici il proprio progetto; ma anche questi, in un incontro tenutosi nell’accampamento situato di fronte a Malaga, grande

porto del regno nazarì, che sarebbe caduta tre anni prima di Granada, lo rifiutarono basandosi su opinioni scientifiche contrarie. Mentre suo fratello Bartolomeo correva alle corti francese e inglese in cerca di possibili appoggi per l’impresa, Colombo intraprese un nuovo itinerario, a cui più tardi ci fu chi volle dare tinte romanzesche. Passarono sette lunghi anni, dei quali abbiamo poche notizie. Sappiamo che in questo periodo, precisamente nel 1488, Colombo ebbe un secondo figlio di nome Fernando o Hernando, nato dall’unione con la cordovana Beatriz Enríquez de Arana e più tardi famoso bibliofilo e autore della biografia del proprio padre. Nessuno dei grandi temi in cui si trovava implicata la corona di Castiglia si risolse sin dopo la Scoperta, quando, una volta appianate le questioni giudea e saracena, Colombo ottenne finalmente il permesso tanto desiderato. Il 17 aprile del 1492, nell’accampamento di Santa Fe (Granada), i re cattolici approvarono le capitolazioni, seguite dalla concessione di titoli, prerogative e diritti. Da quel momento Cristoforo Colombo, 111


COLOMBO E LE INDIE

come primo “Almirante de la Mar Océana”, viceré e governatore delle isole e delle terre da scoprire, poté godere, tra altre prerogative, di una serie di importanti privilegi economici: una decima parte dei profitti netti ottenuti e l’ottava parte degli utili commerciali.

Il primo viaggio

I POPOLI DEL NUOVO MONDO. Al suo arrivo nel

Nuovo Mondo, Colombo lo trovò abitato da indigeni che, in un primo momento, si mostrarono pacifici, ma che poi assassinarono gli uomini della fortezza di Navidad. Sopra, idolo in legno della cultura taina precolombiana delle Antille e delle Bahamas (Fondazione García Arévalo, Santo Domingo).

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Il 22 maggio, Colombo arrivò di nuovo a Palos e a La Rábida con la cedola reale che ordinava agli abitanti di Palos di armare due caravelle. Il 3 agosto del 1492, armate le caravelle Pinta e Niña e la nave Santa Maria, cominciò a Palos il primo viaggio. Una fermata obbligata alle Canarie che durò trenta giorni frenò il ritmo, ma il 12 ottobre il Nuovo Mondo apparve infine con la fisionomia di un’isola dell’arcipelago delle Bahamas, Guanahani, che Colombo ribattezzò San Salvador. Nei mesi seguenti furono scoperte Cuba e Hispaniola e fu stabilito il primo insediamento europeo, con 30 uomini, nella fortezza che Colombo chiamò La Navidad. Il 16 gennaio del 1493, con le due sole caravelle (la Santa Maria aveva fatto naufragio), cominciò il viaggio di ritorno, il più importante poiché dimostrò che l’itinerario era corretto e ripetibile. Di tutto ciò rimane testimonianza nel diario di bordo che Colombo consegnò alla corona. È opinione condivisa che la prima testimonianza del viaggio sia il Diario di Colombo. Ma il Diario non sarebbe venuto alla luce fino a parecchio tempo dopo e del tanto prezioso manoscritto il cui originale non si è conservato esistono solo due trascrizioni: una di frate Bartolomé de Las Casas e l’altra di Fernando Colombo. Al contrario, esiste un primo documento sul viaggio che divenne poi famoso e che, a differenza del Diario, vide una grande diffusione, dato che chiunque in Europa poteva accedervi. Ancora una volta, la sua esistenza offre una testimonianza delle capacità dell’Almirante, uomo di infinite risorse inclusa la volontà di perpetuare la memoria di se stesso e della propria impresa. Infatti, fu lui stesso a redigere questo primo testo sulla Scoperta. Quando, dopo sei mesi di navigazione, dei quali tre erano stati investiti nell’esplorazione del Mar delle Antille, Colombo lasciò il Nuovo Mondo diretto al Vecchio, all’inizio tutto procedette senza contrattempi. Le due caravelle navigavano tranquille sulle acque dell’oceano e ai primi di febbraio cominciarono a comparire resti di piante, legno e uccelli, segni che la terraferma era vicina. Ma improvvisamente, il giorno 12, «mare grosso e tempesta» minacciarono la spedizione. La disperazione di Colombo fu tanta quanto la «paura di non poter dimostrare che aveva visto cose tanto grandi e che le sue affermazioni erano veritiere». Due erano i pensieri che lo tormentavano:

Il primo viaggio di Cristoforo Colombo Al comando di due caravelle, la Pinta e la Niña, e di una “nao”, la Santa Maria, Cristoforo Colombo salpò il 3 agosto del 1492 da Palos per arrivare il 12 ottobre su un’isola delle Bahamas. Fu il primo contatto europeo con il Nuovo Mondo. Il primo viaggio di Colombo, e il suo arrivo alla terra da lui confusa con le Indie occidentali, è un evento così importante che per alcuni storici segna il passaggio tra il Medioevo e l’età moderna (altri preferiscono la caduta di Costantinopoli nel 1453 come simbolo di tale passaggio). Fu un viaggio arduo, durante il quale Colombo dovette affrontare diversi tentativi di ammutinamento. Non tanto perché l’equipaggio pensasse che l’idea di raggiungere le Indie da Occidente fosse sbagliata, ma per paura di trovarsi persi, circondati solo da migliaia di chilometri di mare senza trovare la tanto bramata terra. Arrivò un momento in cui la situazione si fece così critica che Colombo dovette promettere ai suoi uomini che sarebbero tornati indietro se non avessero avvistato terra nel giro di tre giorni. Il grido del mozzo Rodrigo de Triana, il 12 ottobre, mise fine all’incertezza. Il viaggio era giunto a buon fine e Colombo, anche se non l’avrebbe mai saputo, entrò nella storia come lo scopritore di un nuovo continente.

i figli, che stavano studiando a Cordova e potevano restare orfani di padre e madre, e i re cattolici, che non avrebbero mai saputo che gran servizio egli aveva prestato loro. Ma l’Almirante non si arrese. Prese una pergamena e, racconta il suo Diario, «scrisse tutto quello che poté di tutto quello che aveva trovato», pregando chiunque la trovasse di consegnarla ai re. L’avvolse poi in carta cerata, la introdusse in un grosso barile di legno e la gettò in mare. Infine, collocò un’altra copia della lettera nell’albero di poppa perché si salvasse dal naufragio. Oggi è opinione condivisa che questa pergamena dovesse contenere un testo identico a quello della lettera-racconto che, in due versioni differenti, Colombo, che per fortuna riuscì ad arrivare il 4 marzo alla foce del Tago, decise di inviare ai re, a Luis de Santángel e a Gabriel Sánchez. Da lì inviò anche una lettera, ma di carattere molto diverso, a Giovanni II di Portogallo, in cui affermava che, durante il suo viaggio, in nessun momento era venuto meno ai patti stipulati tra Portogallo e Castiglia. È sicuro che Colombo portasse con sé il

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salvacondotto reale, ma, visto lo scontro poco gradevole avvenuto una decina di giorni prima nelle Azzorre, la situazione sembrava giustificare questa precauzione. A Lisbona l’Almirante si riunì con Bartolomeo Diaz, in qualità di rappresentante della corona. La risposta del re arrivò l’8 marzo e il giorno seguente Giovanni II e l’Almirante si incontrarono nel Santuario de Nuestra Señora de las Virtudes, a Villena, vicino a Lisbona. L’incontro non fu felice, per via – dicono i cronisti portoghesi – della superbia di Colombo e della diffidenza del re. Nonostante questo, fu permesso a Colombo di tornare in Castiglia, ma solo via terra e a partire dal giorno 12. L’atmosfera era carica di incertezza e per Colombo si profilava già il rischio che Martín Alonso Pinzón, che già da diverso tempo navigava con la sua Pinta, lo precedesse e incontrasse per primo i regnanti. Perciò Colombo partì immediatamente. La notizia del ritorno di Colombo si propagò a gran velocità. Il duca di Medinaceli lo scrisse il 19 marzo e il 22 se ne parlava perfino a Cordova. Ma fu la Carta del descubrimiento il documento che diffuse la conoscenza dei fatti.

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In effetti, Colombo si comportò come già aveva fatto Marco Polo e perfezionò il testo che sarebbe stato il primo best-seller della storiografia americana. Le sue molte amicizie lo aiutarono in questa attenta operazione di immagine. All’ampia diffusione della notizia contribuì senza dubbio il fatto che, oltre a Santángel (che a ogni modo operava in sincronia con il genovese Pinelli), il fiorentino Giannotto Berardi aveva coperto un quarto delle spese del viaggio. Grazie al loro ramificato sistema familiare-imprenditoriale, i Genovesi non avevano bisogno di ottenere informazioni da nessuno, dato che le ricevevano direttamente da qualche parente ben sistemato presso la corte reale o presso corti minori, ma non meno importanti. Risulta estremamente interessante la notizia del viaggio registrata nel libro di racconti di un cardatore fiorentino tra il 25 e il 31 marzo, così come è importante trovarla alla corte della casa d’Este e alla corte di Milano, a Venezia e a Siena. Come sempre, le lettere degli uomini d’affari e dei diplomatici erano responsabili della diffusione della notizia.

Primo viaggio di Colombo: Andata ed esplorazione (agosto 1492-gennaio 1493) Ritorno (gennaio-marzo 1493) Direzione dei venti: Alisei Controalisei Posizione di Giappone, Cina e altre terre secondo il globo terracqueo del cosmografo Martin Behaim (1492), ispirato dall’opera di Toscanelli Linee di divisione del globo tra la Corona spagnola e quella portoghese Altre meridiane di divisione

LE NAVI DELLA SCOPERTA (pag. 114-115).

Le caravelle Pinta e Niña, e la “nao” Santa Maria in un acquerello di Rafael Monleón y Torres intitolato La ciurma di Colombo prende il largo all’uscita da Palos (Museo Navale della Torre dell’ Oro, Siviglia). 113


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COLOMBO E LE INDIE

SBARCO A HISPANIOLA.

Incisione di Theodor de Bry che mostra il primo contatto di Colombo con gli abitanti del Nuovo Mondo. Dall’edizione di Americae retectio pars sexta (Francoforte, 1596). Il prolifico incisore ed editore tedesco fu uno pseudo storico della scoperta dell’America e a lui si deve gran parte delle leggende che circolarono su questa.

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La prima edizione del testo spagnolo, che fu pubblicato a Barcellona nell’aprile del 1493, corrisponde alla logica di un’ovvia divulgazione dei diritti spagnoli. Risulta però ugualmente importante l’immediata traduzione in latino realizzata dall’aragonese Leandro Cosco, strettamente legato ai re cattolici e sacerdote del papa Borgia. L’edizione vide la luce in coincidenza con l’emissione delle “bolle alessandrine” (maggio-settembre del 1493), una delle quali stabiliva la linea di demarcazione oceanica tra le corone portoghese e castigliana. Il testo latino conobbe immediatamente tre edizioni nella Penisola Italica (due a Roma e una a Firenze), tre a Barcellona e, nel 1494, sei tra Amberes, Basilea e Parigi. Una così intensa attività culturale mise in movimento anche il mondo accademico in cui, dall’altro lato, fu portata avanti una vasta operazione culturale che trovò espressione innanzitutto nell’Opus epistolarium e nel De orbe novo decades di Pietro Martire d’Anghiera, amico e protettore di Colombo, così come in altri testi – come quello redatto da Niccolò Scillacio. Riprende le vicissitudini del testo

di Marco Polo la retroversione in lingua volgare realizzata dal fiorentino Giuliano Dati, uomo di chiesa legato a Giulio II e più tardi nominato vescovo da Leone X. Questa traduzione venne alla luce a Roma sotto forma di canto popolare in ottava rima il giorno 15 giugno dell’anno 1493, appena due mesi dopo la traduzione di Leandro Cosco. Così, sin dal momento della pubblicazione della lettera – ovvero, immediatamente dopo il suo arrivo – la storia della scoperta dell’America, unitamente ai racconti dei sogni e delle utopie, dei dilemmi e delle tragedie che l’avevano accompagnata nella realtà e nella leggenda, entrò a far parte dell’immaginario mondiale. Con l’insegna di Castiglia e con la croce, Cristoforo Colombo “ribattezzò” con nuovi nomi innumerevoli isole. La natura meravigliosa e incontaminata e l’atteggiamento pacifico e amoroso delle genti, la cui stessa nudità si mostrava a garanzia della loro purezza, si presentarono davanti a quest’uomo della provvidenza, che proveniva da un mondo più oscuro, sanguinoso e violento, come una visione di beatitudine che proponeva future e utopiche letture del mondo. Ma Colombo, che pensava anche a una crociata per Gerusalemme, non nascose il suo desiderio di oro, che qui si mescolava con immagini di amazzoni e cannibali e con reminiscenze di conoscenze enciclopediche medievali legate a Marco Polo. Dalla lettera si deduce anche un’evidente abilità dello scrittore, che più tardi dimostrò in tutti i suoi scritti. Emergeva inoltre l’immagine di un uomo che sapeva come autocelebrarsi, lamentando appena le contrarietà e illustrando la propria lealtà verso la corona. Un uomo che, vanagloriandosi dei propri meriti, chiedeva conferma dei privilegi accordati e ne pretendeva altri per la propria famiglia. Colombo si sentiva protetto da Dio, di cui si riteneva un messaggero. Infatti, più tardi si sarebbe firmato “Christoferens”. Nella sua prima lettera era già presente tutto quello che, in tempi successivi, avrebbe fornito materiale per l’esaltazione o l’esecrazione dell’uomo e dell’avvenimento: l’eurocentrismo, il colonialismo, la missione e la crociata, il dibattito sulla schiavitù, il diritto naturale, il mito del buon selvaggio e la nascita dell’utopismo, il rifiuto della diversità e la “leggenda nera”, l’umanitarismo cristiano e il razionalismo laico, il tema dell’identità e il terzomondismo. Alla fine di aprile, tra grandi festeggiamenti, i re cattolici diedero all’Almirante il benvenuto a Barcellona.

Il secondo viaggio Iniziato il 25 settembre del 1493 a Cadice con 17 navi e circa 1.200 uomini di equipaggio, il secondo viaggio portò Colombo fino all’isola di Dominica alle cui coste giunse il 3 novembre. Fu-


rono scoperte la Guadalupa, La Désirade, Marie Galante e altre isole delle Piccole Antille. Il 27 novembre arrivò a Hispaniola. Qui però cominciarono grossi problemi anticipati dal ritrovamento dei cadaveri degli uomini della fortezza della Navidad, seguito da scontri continui e sempre più violenti tra indigeni e Spagnoli e per la vana ricerca di un inesistente Catai (la Cina settentrionale). Nell’aprile del 1494, Colombo salpò di nuovo. Esplorò la parte meridionale di Cuba e della Giamaica che molto più tardi, insieme a Veragua (Panama), diventeranno un ducato della sua famiglia. Infine rientrò a La Isabela, la prima città fondata a Hispaniola, il 2 febbraio del 1494, anche se presto fu abbandonata per via della sua pessima posizione. Due anni più tardi Santo Domingo sarebbe stata la prima città fondata dagli Europei in America e la base del nascente sistema coloniale. In questo secondo viaggio avvenne il primo vero contatto con il mondo americano. Tra le testimonianze di quelle vicissitudini, a parte i racconti dell’Almirante, altri documenti a lui relativi e alcune lettere di uomini d’affari fiorentini, esistono

tre documenti importanti. Abbiamo il testo di Ramón Pané, il primo che descrisse con grande dovizia di particolari la vita e i costumi delle popolazioni incontrate; la lettera del medico Diego Alvarez Chanca alla giunta municipale di Siviglia, che descrive il viaggio considerando anche l’ambiente e, soprattutto, la flora; infine, la lettera-racconto di Michele da Cuneo, un amico dell’Almirante originario di Savona, località dove la famiglia di Colombo aveva vissuto per molto tempo. Nel febbraio del 1494, Michele da Cuneo tornò dall’America e il 15 ottobre del 1495 decise di rispondere al suo amico Gerolamo Aimari, che gli aveva chiesto notizie del viaggio. La lettera dell’amico di Savona è lunga e molto dettagliata, tanto che non è per nulla difficile considerarla il primo “manuale per commercianti” dedicato all’America. Michele da Cuneo apparteneva a un’importante famiglia di mercanti e armatori, aveva viaggiato molto e superava di gran lunga Colombo nella capacità di osservare con perizia tecnica tutto ciò che gli stava intorno. In questo senso è molto più simile a Marco Polo che al suo amico il

IL RITORNO. Dopo la

Scoperta, i re cattolici ricevettero Colombo a Barcellona tra grandi festeggiamenti. Sopra, la scena dell’udienza con i monarchi in Il ritorno di Colombo, olio di Eugène Delacroix (Museum of Art, Toledo, Ohio).

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COLOMBO E LE INDIE

Cristoforo Colombo: un navigatore dalle qualità eccezionali Ancor oggi, la figura di Colombo racchiude molti interrogativi. Uno di essi è relativo alla sua origine: alcuni mettono in dubbio che la sua patria fosse Genova per situarla in Catalogna, a Maiorca o in Portogallo; altri lo ritengono giudeo convertito, croato o norvegese. Ciò che non si mette in discussione è che fu un navigatore capace e una persona sicura di sé. Anche se suo figlio Fernando riferisce che studiò all’Università di Pavia, lo stesso Colombo riconosceva che tutto quello che sapeva lo aveva imparato con la pratica e grazie al contatto con gente saggia. Questo, insieme alle sue letture (il Milione di Marco Polo in testa a tutte) e alla sua esperienza come navigatore, finì per dar forma in lui a un’idea del mondo che sarebbe culminata nel suo progetto di navigare fino alle Indie. Ma Colombo non fu solo una persona dotata di grande capacità di osservazione e di apprendimento: fu anche perseverante, di quelli che una volta che hanno un’idea vanno avanti per la loro strada incuranti degli ostacoli che sopraggiungono. La mancanza di comprensione del suo progetto presso la corte portoghese e le difficoltà con cui si scontrò presso quella castigliana, non lo fecero desistere. Allo stesso tempo ebbe un’alta concezione di sé, come si evince dalla sua negoziazione con i re cattolici al momento di lottare per i titoli, le prerogative e i diritti che riteneva giusto ottenere, se avesse concluso con successo la propria impresa. Al riguardo, non aveva dubbi, convinto di essere guidato dalla Divina Provvidenza. Nell’immagine, portolano attribuito a Colombo sul quale si vedono le coste dell’Europa e dell’Africa (Biblioteca Nazionale, Parigi).

quale, pur molto capace in quanto a questioni marittime, proveniva dall’ambiente dell’artigianato e, anche se aveva sempre mantenuto relazioni con commercianti-banchieri e lui stesso aveva cercato di concludere numerosi affari, in questo ramo era molto meno abile di Michele da Cuneo. Per questa ragione, l’Almirante si appoggiò quasi sempre ai Fiorentini. Michele da Cuneo conosceva bene le doti di Colombo. Nella lettera che scrisse al suo amico Girolamo Aimari sosteneva che non fosse mai nato altro uomo così abile nella navigazione. Infatti, semplicemente guardando una nuvola o una stella di notte, Colombo era capace di decidere il da farsi. Se veniva sorpreso dal maltempo, si metteva lui stesso al timone. Passata la tempesta, era lui a issare le vele mentre gli altri dormivano. Michele da Cuneo fu l’unico che seppe valutare le difficoltà di un’impresa in cui tutti erano spinti unicamente dalla brama di trovare l’oro. Prese nota del peggioramento delle relazioni tra Genovesi e Castigliani, ma anche di tutte le debolezze e le ambiguità del suo amico. Ad esempio, a La Gomera, Colombo 118

si era innamorato di Beatriz de Bobadilla, vedova di Hernán Peraza, e aveva fatto giurare ai suoi uomini che Cuba non era un’isola, ma terraferma. Come tutti i Liguri, Colombo era solito fidarsi unicamente dei parenti, soprattutto di suo fratello Bartolomeo. Tra gli estranei, l’unico per cui fece eccezione fu Da Cuneo. Michele fu il primo che, durante l’esplorazione, avvistò un capo con un bel porto, che più tardi l’Almirante battezzò con il nome di San Michele Savonese. In seguito questi ricevette in regalo un’isola, l’odierna Saona, anch’essa avvistata da lui. Da Cuneo ne prese possesso con la procedura in uso, cioè mediante un atto notarile pubblico, strappò personalmente l’erba, tagliò alberi, piantò una croce e battezzò l’isola col nuovo nome di Bella Saonese. L’Almirante – racconta Da Cuneo – riportava tutto ciò in un libro, che naturalmente era il suo diario di bordo. Da Cuneo fu l’unica persona a cui Colombo cedette una signoria coloniale. Sembra piuttosto improbabile che un Catalano, un Corso o un Provenzale, che sono alcune delle cittadinanze attribuite a Colombo, avrebbe battezzato l’isola con il nome di Saona. Ma la missiva di Michele da Cuneo non è solo un racconto di viaggio. È più appropriato includerla nell’ambito dei “manuali di commercio”, un genere a cui appartiene per forma e per contenuto. Si fa notare per la tipologia e la qualità dei dati, esposti in una combinazione tra ciò che si sapeva del Vecchio Mondo e quello che a poco a poco si scopriva del Nuovo. Da Cuneo non si limita, come fanno gli altri, a compilare una lista di piante e animali o a descrivere luoghi e popolazioni. Per i Liguri, che poche volte applicavano la colonizzazione diretta, il viaggio aveva come obiettivo aprire nuovi mercati e, se possibile, diventarne monopolisti. Il loro sistema era piuttosto diverso da quello castigliano. Anche Colombo, come già aveva fatto Emanuele Pessagno con la corona portoghese, pensò subito al mercato e lo dimostrò nella redazione delle capitolazioni di Santa Fe, in cui si dimostrò particolarmente attento alla pre-costituzione di un monopolio nell’ambito delle attività commerciali. Soddisfatto della sua isola, Da Cuneo osserva la nuova realtà con gli occhi di chi sa riconoscerne i “valori” e prenderne nota dal punto di vista della loro utilità commerciale. Nel suo testo il tema di fondo è il viaggio, del quale indica gli itinerari, le località di interesse che si vanno incontrando, i mercati e i porti con le relative distanze e difficoltà; sottolinea le peculiarità del paesaggio e dell’ambiente e la presenza di acqua, ma anche tutti quei dati che possono essere utili per chi fosse interessato al movimento commerciale più che all’emigrazione e alla colonizzazione.


LE PRIME VISIONI DEL NUOVO MONDO

L

a notizia dell’arrivo di Colombo nelle Indie occidentali si diffuse veloce come un lampo per tutta Europa. E questo in buona misura grazie alla pubblicazione a Barcellona nel 1493 della Carta del descubrimiento, che quasi immediatamente fu tradotta in latino. Nella lettera, i lettori trovarono le prime descrizioni di questo Nuovo Mondo, dei suoi paesaggi, dei suoi abitanti e delle sue ricchezze, dipinti dal loro scopritore coi colori più brillanti. Come quando dice: «Hispaniola è una meraviglia: le catene montuose e le montagne, le pianure e le campagne, le terre tanto belle e ricche per piantare e seminare, per allevare bestie di ogni tipo, per la costruzione di cittadine e case», o come quando si riferisce ai loro popoli: «Su queste isole sin qui non ho trovato uomini mostruosi, ma tutta gente di molti bei modi», oltre che monogama e docile, facile da evangelizzare. Questa lettera è attribuita all’Almirante e non è l’unica testimonianza che si conserva di lui: c'è anche il suo Diario di bordo, copiato dal frate domenicano Bartolomé de las Casas e poi usato nella sua Historia general de las Indias, anche se i due testi videro una pubblicazione molto più tarda. Nell’immagine di destra, una delle incisioni dell’edizione latina della lettera di Colombo pubblicata a Basilea nel 1494.

LE DIVERSE EDIZIONI DELLA LETTERA DI COLOMBO La recente invenzione della stampa agevolò una più rapida ed efficace diffusione della Carta del descubrimiento per tutto il continente europeo. La prima edizione apparve nel 1493 in castigliano nella bottega di Pere Posa, a Barcellona, con Luis de Santángel, Escribano de Ración della corona di Aragona, come destinatario. Alla fine di aprile dello stesso anno, il testo era giunto a Roma, dove venne tradotto in latino da Leandro Cosco, segretario di papa Alessandro VI. Questa traduzione fu stampata ad Amberes, Basilea e Parigi e servì come base per altre traduzioni, come quella italiana (nel 1493, in versi) e quella tedesca (1497). Un accenno fatto da Fernando Colombo suggerisce che se ne fece anche una versione in catalano. A sinistra, una delle incisioni della terza edizione romana della lettera.

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Hispaniola, porta d’ingresso del Nuovo Mondo Nel suo primo viaggio, Colombo arrivò a una grossa isola delle Grandi Antille, che battezzò Hispaniola. Lì, il 25 dicembre del 1492 fondò il primo insediamento ispanico in America, la fortezza de La Navidad. Nel suo primo viaggio verso le Indie, l’Almirante non raggiunse il continente. Il suo unico contatto fu con isole come Hispaniola. Lì, con i resti della nave Santa Maria, eresse una fortezza che fu battezzata La Navidad. Gli uomini che vi rimasero costituirono il primo insediamento europeo nel Nuovo Mondo. La sua storia fu però tragica: quando nel novembre 1493 Colombo ritornò in occasione del suo secondo viaggio, scoprì che tutto l’equipaggio era morto per mano degli indigeni dell’isola, i Taino. La risposta di Colombo fu tornare con più uomini e mezzi. La fondazione della prima città spagnola in America, La Isabela, è datata 1494. Due anni più tardi la seguirà Santo Domingo, da dove si organizzò il processo di colonizzazione non solo dell’isola, ma del Nuovo Mondo. Le conseguenze a Hispaniola non si fecero aspettare: il lavoro forzato, i maltrattamenti e le malattie europee decimarono la popolazione autoctona sino a farla sparire. Nell’immagine, l’Alcazar di Colombo, a Santo Domingo (Repubblica Dominicana), residenza del viceré delle Indie, Diego Colombo.

Dopo le informazioni di carattere ambientale, figura la parte più rilevante del testo, dedicata alle possibilità commerciali di tutto ciò che il Nuovo Mondo aveva da offrire. Delle piante trovate, sottolinea soprattutto il possibile utilizzo merceologico in ambito alimentare, farmaceutico o artigianale, facendo gli opportuni paragoni con i prodotti conosciuti nel Vecchio Mondo. Non si tratta solamente di elaborare un catalogo esaustivo dei prodotti locali, indicandone le caratteristiche e cercando di metterli in relazione con materie prime più familiari. Colombo aveva introdotto in questa nuova realtà specie di fauna e flora provenienti dall’Europa: il prezzemolo cresceva bene e si potevano coltivare con successo anche meloni, angurie, zucche e rafano. Crescevano male invece cipolle e porri, lattuga, grano, ceci e fagioli. Le galline, i cani e i gatti avevano proliferato in abbondanza, mentre il numero di capi di bestiame bovino, equino e ovino mostrava una crescita più lenta. Michele da Cuneo completa le informazioni aggiungendo una lunga lista di varietà ornitologiche e marine. Aggiunge inol120

tre molti altri dettagli sulla gente che va incontrando e sui loro usi e costumi, anche se qui il racconto si fa meno originale e più prevedibile.

Il terzo e quarto viaggio Dopo essere sbarcato a Cadice l’11 luglio del 1495, Colombo cominciò a incontrare notevoli difficoltà, anche se ogni volta poteva contare su un maggiore appoggio da parte della rete genovese in cui, oltre ai nomi dei suoi più saldi protettori, Fieschi, Di Negro e Centurione, apparivano anche quelli di Spinola, Doria, Cattaneo, Grimaldi, Da Rivarolo, Oderico e altri. Decise quindi di compiere un atto fondamentale per la costruzione della sua nuova “dinastia” spagnola: l’istituzione del maggiorasco a favore del proprio primogenito Diego e la regolamentazione delle questioni di successione ed eredità. Inoltre, come voleva la tradizione dei grandi nomi dell’élite genovese, dispose anche un lascito per l’ammortamento del debito pubblico presso il Banco di San Giorgio di Genova. Non dimenticò, poi, il ramo genovese della famiglia, con il quale, a quanto pare, non


LA FORTEZZA DE LA NAVIDAD. Costruzione della fortezza de La Navidad a

Hispaniola; incisione dell’edizione di Basilea (1494) della lettera di Colombo.

aveva perso i contatti. Anzi, alcuni dei suoi parenti genovesi si sarebbero uniti a lui e l’avrebbero accompagnato nel suo ultimo viaggio, per poi fermarsi in Spagna. Il terzo viaggio segna un momento fondamentale per la traiettoria di Colombo. Il 30 maggio del 1498 partì da Sanlucar de Barrameda con cinque caravelle e una “nave” e arrivò sull’isola di Trinidad il 31 luglio. In agosto, dopo aver attraversato il golfo di Paria, o Golfo delle Perle, e la Bocca del Drago ed essere passato vicino alle coste dell’isola di Margarita, giunse alla grande foce del fiume Orinoco. Lì, dove sembrava veramente manifestarsi l’“altro mondo” del quale scriveva ai re, Colombo, testardamente fedele al posizionamento inesatto della geografia tradizionale, affermò di trovarsi alle porte del Paradiso Terrestre. Ma le cose per lui stavano cambiando. A partire dall’anno 1499, Genova era diventata una signoria del regno di Francia e sembravano esserci buone ragioni perché Colombo cadesse in disgrazia, tenendo conto dei suoi precedenti e della sua stretta relazione con i filofrancesi Fie-

schi. Una ribellione a Hispaniola e le continue lamentele degli Spagnoli per il suo comportamento fecero arrivare sull’isola Francisco de Bobadilla. Dopo un’indagine non troppo chiara, della quale comunque si conservano gli atti, il 23 agosto del 1500 Colombo fu arrestato. Con i suoi fratelli Bartolomeo e Diego si imbarcò in catene all’inizio di ottobre e nello stesso modo sbarcò a Cadice. Per parte sua, fin dal 1499 la corona aveva cominciato a concedere ad altri interessati il permesso di viaggiare verso le “Indie” dove, nel 1501, inviò un nuovo governatore: Nicolás de Ovando. La situazione non era facile: mentre preparava un altro viaggio, Colombo dispose anche la compilazione e la conservazione dei propri documenti e diritti nel Libro dei privilegi, consegnato più tardi ad alcuni amici genovesi. Nel frattempo preparò il matrimonio di suo figlio Diego, che aveva passato già diversi anni a corte insieme al suo secondo figlio Fernando e che si sposava ora con doña Maria de Toledo, nipote del duca d’Alba. L’8 aprile del 1502 cominciò l’ultimo viaggio, “l’alto viaggio”, come lo definì l’Almirante, in cui, 121


COLOMBO E LE INDIE

Las Casas, luci e ombre della conquista e dell’evangelizzazione La vita di Bartolomé de las Casas rappresenta fedelmente il profondo conflitto etico vissuto da molti religiosi durante la colonizzazione del Nuovo Mondo. Da una parte, l’entusiasmo iniziale per la missione evangelizzatrice degli indigeni; dall’altro, l’orrore di fronte alle atrocità commesse dai conquistatori nei confronti della popolazione locale. Erano passati solo dieci anni dalla scoperta delle Indie quando, nel 1502, vi arrivò Bartolomé de las Casas. Anche se la sua attività durante i primi anni in America non fu molto diversa da quella degli altri colonizzatori, il destino degli indigeni, sottomessi in schiavitù, maltrattati e decimati, finì per risvegliare la sua coscienza e per trasformarlo nel principale difensore della loro causa. Per lui, l’evangelizzazione era l’unico scopo della presenza spagnola in America, perciò era necessario sopprimere l’istituzione dell’encomienda, abolire la schiavitù e porre le basi di un’economia giusta. Un progetto idealista che, tuttavia, fallì. Nonostante ciò, le sue denunce, espresse nella Brevísima relación de la destrucción de las Indias, originarono nel 1542 le Leggi Nuove, il cui proposito era migliorare le condizioni di vita degli indigeni. Sopra, ritratto di Bartolomé de las Casas (Archivio Generale delle Indie, Siviglia).

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come in precedenti traversie, fu fondamentale la partecipazione di capitale genovese. Insieme a Colombo viaggiavano il suo giovanissimo figlio Fernando, suo fratello Bartolomeo, il fedele amico Bartolomeo Fieschi al comando della Vizcaína, vari parenti genovesi e diversi liguri. La spedizione toccò le coste di Honduras, Veraguas e Giamaica. Lì Colombo sbarcò il 25 giugno del 1503, dato che gli era stato proibito di attraccare a Hispaniola, e vi rimase un anno. Poi, grazie al successo della spedizione di Bartolomeo Fieschi e Diego Mendez, poté finalmente ripartire il 25 giugno del 1504. Il 7 novembre sbarcò nel porto di Sanlucar de Barrameda. La morte della regina Isabella lo privò sicuramente di un importante appoggio, ma la fitta rete creata intorno a lui dalla sua famiglia, dai suoi amici Francesco Pinelli, Bernardo Grimaldi, Niccolò Oderico, Agostino e Pantaleone Italiano, Francesco Doria, Francesco Cattaneo, Francesco da Rivarolo, dai Fieschi, dai Gallo e dagli Oderico, così come dagli amici fiorentini e spagnoli, si vide rinforzata da una rinnovata e affabile relazione con il pontefice Giulio II e con il cardinale savonese Giovanni della Rovere. Risale a questi anni un’interessante corrispondenza intrattenuta con Giovanni Luigi, il patriarca dei Fieschi, che sembra nata proprio per confermare le accuse dei suoi probabili, sebbene indiretti, contatti con la Francia. Nonostante ciò, da numerosi indizi sembra evidente che, direttamente o meno, la lobby genovese controllava attentamente l’evoluzione della questione. Il 19 maggio a Valladolid, nel codicillo testamentario che raccoglie le sue ultime volontà, la lista dei suoi beneficiari è totalmente composta da nomi genovesi. Figurano Battista Spinola, genero di Luigi Centurione, Antonio Basso, Niccolò Spinola di Ronco e Gerolamo da Porto, amico di gioventù e padre del cancelliere genovese Benedetto. Si chiuse così la storia dell’“Almirante de la Mar Océana”, a lato del quale si trovò sempre il fedele Bartolomeo Fieschi. Il giorno 20 maggio dell’anno 1506, Colombo si spense. La lobby genovese, alcuni esponenti della quale avevano già viaggiato verso Hispaniola con Colombo, non perse alcuno dei suoi privilegi, anzi: questi sarebbero aumentati in Spagna e in America con i successori della regina Isabella. Per qualche tempo calò il silenzio sulla figura di Cristoforo Colombo, ma con gli anni, inevitabilmente, nacque il mito.

Roma e la Scoperta La Chiesa di Roma aveva sempre prestato grande attenzione alla ricerca e alla scoperta di nuovi mondi. Durante il XV secolo, Nicola V, Callisto III ed Eugenio IV avevano appoggiato i Portoghesi; sul finire del secolo invece, i pontefici romani


avevano tutti a che vedere con la Castiglia e con Colombo. Tra il 1471 e il 1488, il papa fu Sisto IV, il savonese Francesco della Rovere. A partire da questo momento, tutto passò sotto il controllo dei Liguri, dagli incarichi religiosi fino a quelli civili. Questa situazione sarebbe durata molto tempo, fatta eccezione per il periodo di presenza e influenza catalana corrispondente al pontificato di Alessandro VI Borgia, dalla fine di agosto 1492 fino all’agosto 1503. Ad Alessandro VI succedette, dopo un brevissimo pontificato di Pio III, il nipote di Sisto IV, Giuliano della Rovere, che fu nominato papa con il nome di Giulio II. I Colombo, che avevano vissuto a Savona, erano legati alla famiglia Della Rovere, alla quale dall’altra parte erano uniti anche i Fieschi. Sisto IV fu un papa molto impegnato nelle questioni internazionali. Iniziò una crociata contro i Turchi con riscossione di fondi e indulgenze. La vittoria di Otranto del 1480 da parte di una grande flotta diretta dall’arcivescovo (più tardi l’arcivescovo-dux) genovese Paolo Fregoso non portò grandi benefici. L’Occidente mantenne

buone relazioni con i Turchi e il papa non insistette oltre. Gli interessavano molto di più altre questioni. Con la Aeterni regis del 1481, Sisto IV avallò il trattato di Alcáçovas-Toledo, stipulato quando Cristoforo Colombo si trovava ancora in Portogallo. Il pontefice lanciò una crociata sotto forma di imponente riscossione di fondi per le operazioni militari che avevano come oggetto la conquista di Granada. Questa avvenne più tardi, ai tempi di un altro papa ligure, Innocenzo VIII. I Genovesi avevano molto peso a Siviglia, da dove nel 1473 avevano chiesto al papa di nominare un arcivescovo genovese che tutelasse i loro interessi. Nel 1478, il prezioso allume di Tolfa, che nel 1462 sostituiva le perdute miniere di Focea, passò dalla gestione fiorentina a quella genovese, vale a dire che divenne monopolio del gruppo dei Centurione, presenti nella Penisola, sulle isole atlantiche e in altri punti del contesto europeo. Non si può ignorare l’intervento fondamentale di Sisto IV in appoggio alla “cospirazione dei Pazzi” di quell’anno a Firenze, un tema che andava molto oltre le mere dispute locali. A

COLOMBO INCATENATO.

Le lamentele dei coloni spagnoli provocarono un’indagine che finì con l’arresto e il successivo invio a Cadice di Cristoforo Colombo e dei suoi fratelli Diego e Bartolomeo da parte del nuovo governatore delle Indie nominato dai re cattolici, Francisco de Bobadilla. Sopra, Ritorno di Colombo in catene, olio di Emanuel Leutze (1816-1868).

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COLOMBO E LE INDIE

L’influenza papale nella divisione del Nuovo Mondo L’arrivo nel 1492 a quelle che si credevano le Indie occidentali, provocò la disputa tra Portogallo e Castiglia. Nel 1493, Alessandro VI intervenne nella polemica con diverse bolle, alle quali nel 1494 seguì il Trattato di Tordesillas, che suddivideva il mondo tra le due potenze. Sotto, ritratto di papa Alessandro; a destra, il planisfero Cantino (1502) che mostra il meridiano designato con il trattato.

quel tempo suo nipote, il cardinale Giuliano, svolgeva un’attività molto intensa. Politico ed eccellente uomo di guerra, Giuliano della Rovere era legato ai Fieschi e a Giovanni Battista Cybo, alla cui elezione contribuì la morte di suo zio. Della Rovere annoverava tra i suoi amici il portoghese Jorge da Costa, che entrò a far parte del Sacro Collegio insieme a Paolo Fregoso e a Cybo, vescovo di Savona nominato cardinale da Sisto IV. Il nuovo pontefice, figlio di Teodorina de Mari e di un conte del Sacro Palazzo, senatore della città di Roma e viceré del regno di Napoli al servizio di Renato d’Angiò, proveniva da una vasta e aristocratica famiglia di commercianti di prestigio internazionale. Aveva vissuto a Napoli, dove nel 1486 appoggiò la rivolta dei baroni – cosa che lo mise in una difficile situazione dalla quale l’avrebbe salvato il genio militare del cardinale Giuliano. Padre prolifico, il pontefice tenne conto delle alleanze matrimoniali che potevano risultare convenienti e in considerazione di queste si mosse tra Firenze e Genova. Organizzò il matrimonio di suo figlio Franceschetto, al quale con124

cesse la contea di Anguilarra, con Maddalena de’ Medici. Concesse la porpora cardinalizia a Giovanni de’ Medici quando questi aveva appena 13 anni; all’età di sette anni era già stato nominato protonotario apostolico e, ai tempi della buona sorte della casa medicea, avrebbe ottenuto il papato con il nome di Leone X. Sua figlia Teodorina contrasse matrimonio con Gherardo Usodimare, membro della prestigiosa famiglia genovese, “depositario” generale della Camera Apostolica e parente di Antoniotto Usodimare, che aveva risalito il corso del fiume Gambia in cerca di oro. Nell’anno 1492, poco prima della morte di Innocenzo VIII, il Banco di San Giorgio offrì a Giuliano della Rovere 100.000 ducati perché li utilizzasse nel conclave di agosto. In quel momento Giuliano della Rovere appoggiò il suo amico Jorge da Costa, uno dei membri più rispettati del Sacro Collegio, e non il cardinale Borgia, con il quale aveva pessime relazioni, anche se più tardi finì per dargli il suo voto. Così, la “scoperta” ebbe luogo quando a Roma erano già entrati con forza i Catalani (nemici tradizionali dei Geno-


BOLLE ALESSANDRINE INTER CAETERA. La prima bolla donava alla corona castigliana il dominio delle terre scoperte e da scoprire che non appartenessero a un principe cristiano; la seconda confermava la donazione e tracciava la linea di demarcazione che divideva l’oceano in due parti tra Castiglia e Portogallo. EXIMIAE DEVOTIONIS. Bolla minore che concedeva ai re cattolici e ai loro eredi o successori uguali diritti e privilegi dei re portoghesi in virtù della Inter caetera; vale a dire l’organizzazione e il diritto di patronato sulla Chiesa delle Indie. PIIS FIDELIUM. Bolla minore destinata a Fra Bernat Boïl, segretario del re e compagno di Colombo nel suo secondo viaggio. Tratta della cristianizzazione dei territori scoperti. DUDUM SIQUIDEM. Bolla minore di ampliamento della donazione che concedeva ai re cattolici e ai loro successori le terre scoperte verso Oriente, sulle quali non avessero il dominio altri principi cristiani. Complemento della seconda Inter caetera, ampliava la futura espansione castigliana verso Oriente.

vesi), che pur essendo stati penalizzati nella conquista dell’America, si videro favoriti dall’attenta politica di Ferdinando d’Aragona e dal potente recupero del papa Borgia. Mediante le sue bolle, papa Alessandro VI fu il primo a collocare il viaggio e il suo protagonista in un contesto provvidenziale e a vedere nella corona di Castiglia l’artefice della costruzione di un nuovo impero cristiano. Quest’idea, che presentava lo scopritore come uno strumento della Provvidenza, accompagnò per molto tempo l’immagine di Colombo, insieme all’altra che avrebbe fatto di lui, invece, un eroe incompreso e perseguitato. Colombo scrisse una lettera ad Alessandro VI per chiedergli di disporre l’evangelizzazione delle nuove terre e sollecitò allo stesso tempo la concessione della carica di cardinale a suo figlio minore, Fernando. Sono di questo pontefice le prime bolle riguardanti il Nuovo Mondo, emesse il 3 maggio e il 25 settembre del 1493: Inter caetera (due bolle), Eximiae devozioni, Piis fidelium e Dudum siquidem, precedenti al trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494, in cui Colombo ebbe una

parte importante e che fissò la linea che separava l’area di controllo castigliana da quella portoghese a cento leghe dalle isole Azzorre. Nel 1499, Genova finì sotto il dominio della Francia. Con la Pace di Granada dell’anno 1500, Ferdinando il Cattolico e Luigi XII si spartirono il regno di Napoli. Nello stesso anno, il re Ferdinando annullò i privilegi genovesi nell’area italica di sua pertinenza e Colombo finì al centro di un’indagine. Dopo il brevissimo pontificato di Pio III, nel 1503 Giuliano della Rovere fu eletto papa con il nome di Giulio II. Il suo papato rafforzò l’influenza dei Liguri su Roma e fuori da Roma. Con i papi liguri e, in particolar modo, con Giulio II, non solo il Sacro Collegio restò in mani liguri, ma i Cybo, Fieschi, Sauli, Del Carretto, Doria, De Mari, Pallavicini, Centurione, Grimaldi, Spinola, Fregoso e Giustiniani ebbero il controllo sugli affari e sulla banca, sull’allume di Tolfa, sulla banca vaticana, sull’ammiragliato e sulla guardia pontificia. Giulio II volle avere notizie di Colombo. Nel 1507, sempre a lui si sarebbe rivolto anche Bartolomeo, fratello dell’Almirante. 125


AMERIGO VESPUCCI.

Ritratto di Vespucci di Cristofano dell’Altissimo (Galleria degli Uffizi, Firenze). Nella pagina accanto, piatto laccato della dinastia Ming, datato 1489 (British Museum, Londra). 126


TRA OCCIDENTE E ORIENTE La spinta verso la globalizzazione proseguì con nuovi viaggi atlantici e con la partecipazione di due nuove monarchie, quella inglese e quella francese. Sulla base di dati reali, come i viaggi dei Vichinghi in America e quelli del cinese Zheng He, si sviluppò la dimensione mitica di una scoperta “irraggiungibile”, che non fu percepita con piena coscienza fino al viaggio di Cristoforo Colombo.

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er i popoli europei che si affacciano sull’oceano, la navigazione atlantica ha pochi misteri. Testimonianza ne sono l’immram irlandese che narra le vicissitudini di san Brandano, le saghe scandinave che celebrano le gesta di Erik il Rosso e il Beowulf, il leggendario poema anglosassone dell’VIII secolo. La storia registra il viaggio di Giovanni Caboto (o John Cabot) verso la parte continentale del Nord America, nel 1497, come il primo coronato da un successo chiaro e definitivo. Poco si sa di questo commerciante, navigatore ed esploratore italiano, come ci si può aspettare per quei tempi. Non è però da escludere che venisse proprio da Venezia

l’uomo a cui, pur essendo straniero e di umili origini, fu affidata la prima spedizione atlantica, grazie alle sue capacità. Caboto, il cui nome ha subito alterazioni di ogni tipo, era un cittadino veneziano, anche se con la stessa certezza possiamo affermare che non doveva essere nato a Venezia. Sicuramente lo conoscevano come veneziano quasi tutti i suoi contemporanei e a Venezia fece spesso riferimento suo figlio Sebastiano nei momenti più delicati della sua lunga e rischiosa vita. I Veneziani, molto più gelosi dei Genovesi dei propri privilegi di cittadinanza, lo accettarono fra loro nel 1476, presumibilmente dopo almeno 15 anni di residenza 127


Giovanni Caboto, un Veneziano in Terranova La notizia della scoperta dell’America ebbe ripercussioni immediate presso le corti europee, che si mossero per impossessarsi della loro parte di mondo e ovviare così a quella spartizione che Portogallo e Castiglia avevano concordato con il Trattato di Tordesillas. L’Inghilterra, con a capo un Veneziano, non farà eccezione. Come Cristoforo Colombo, Giovanni Caboto (conosciuto anche come John Cabot) fu uno dei tanti Italiani che tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo offrirono la propria esperienza di navigatori alle diverse monarchie europee. Nel suo caso, né il Portogallo né la Castiglia si interessarono ai suoi servigi. Non fu così per l’Inghilterra, che invece vide di buon occhio il progetto del Veneziano di raggiungere la terra delle spezie navigando più a nord-est di Colombo, la cui rotta Caboto considerava molto più lunga. Fu così che il 24 giugno 1497 raggiunse quelle che credette le terre vicine a Cipango (Giappone). In realtà si trovava in Terranova. In senso stretto, Caboto non fu il suo scopritore, dato che già nel X secolo vi erano arrivati i Vichinghi. Nel 1502, la stessa costa che il Trattato di Tordesillas assegnava al Portogallo fu esplorata dal portoghese Gaspar Corte Real. Nell’immagine, La scoperta di Terranova, olio di Robert Dudley (ca. 1853).

GIOVANNI CABOTO.

Statua del navigatore a Capo Bonavista, a Terranova.

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nella città. Giovanni Caboto visse a Venezia fino agli inizi dell’anno 1485. In questa città aveva la propria casa, i propri beni, una sposa veneziana – Mattea – e tre figli. Da Venezia navigò per tutto il Mediterraneo, acquisendo una moltitudine di conoscenze utili e vantaggiose. Oscure vicissitudini, forse legate a qualche debito, obbligarono Caboto ad allontanarsi dalla città, anche se non sappiamo né quando né come. È probabile che abbia attraversato un periodo difficile e che per questo motivo abbia deciso di recarsi in Spagna, terra verso cui molti si diressero intorno al decennio cruciale del 1490. A Valencia si appoggiò ai Genovesi, ma le opere portuali che progettò per la città non furono compiute. Decise quindi di mettersi in viaggio per l’Inghilterra, Paese molto conosciuto sia dai Veneziani che dai Genovesi. Il momento sembrava propizio. Enrico VII Tudor non riconosceva il Trattato di Tordesillas e la corona inglese aveva intenzione di incentivare le attività marittime e mercantili. L’ambasciatore spagnolo informò la corona dell’arrivo a Londra di “uno come Colombo”

che cercava di convincere il monarca a organizzare una spedizione come quella colombina. Raimondo da Soncino, che era ambasciatore del duca di Milano, parla molto di questo cittadino veneziano, intelligente e grande esperto di questioni marittime che, proprio insistendo sulla competenza di Spagnoli e Portoghesi, ottenne che Enrico VII concedesse a lui e ai suoi tre figli un privilegio di “scoperta”. Il privilegio, conservato fino ai nostri giorni insieme ad altri documenti, è simile a quelli emessi dalle diverse corone a favore di coloro che si avventuravano in questo tipo di imprese. I Caboto disponevano dell’autorizzazione reale per armare cinque navi sotto la bandiera inglese, ma assumendosene le spese, per «scoprire, rivelare e trovare paesi, isole, regioni, territori, pagani o infedeli, situati in qualsiasi parte del mondo e fino a questo momento sconosciuti al mondo cristiano». Il privilegio concedeva ai Caboto, in qualità di vassalli della corona inglese, l’investitura delle terre scoperte e l’esenzione doganale per i prodotti importati, per i quali veniva loro concessa una specie di


TERRANOVA. Anche se la questione del luogo esatto a cui arrivò il Matthew

è molto controversa, i governi di Canada e Regno Unito hanno dichiarato capo ufficialmente Capo Bonavista, sull’isola di Terranova, come il luogo in cui sbarcò. Sopra, cartina delle terre esplorate da Giovanni Caboto in un’incisione di un’edizione veneziana (1556) delle Navigazioni e viaggi del geografo e scrittore Giovanni Battista Ramusio.

monopolio commerciale, salvo la cessione del “quinto” alla corona. L’unica destinazione di questi prodotti doveva essere il porto di Bristol che, insieme a Londra, York e Southampton, era uno dei centri chiave per il commercio. I suoi abitanti erano pescatori ed eccellenti marinai, conoscitori del regime dei venti e delle correnti atlantiche ed erano abituati, da almeno vent’anni, a organizzare spedizioni verso l’isola di “Brasil”, a ovest dell’Irlanda, in cerca di luoghi di pesca migliori di quelli islandesi, dove erano arrivati i Tedeschi. Inoltre, si mostravano desiderosi di aumentare la loro partecipazione nella ricerca di nuovi territori. Per questo tennero in gran conto l’aiuto di Caboto, come scrisse, particolarmente preoccupato, l’ambasciatore spagnolo. Il 20 maggio 1497, Giovanni Caboto salpò con la nave Matthew e con un equipaggio composto da una ventina di uomini, tutti inglesi salvo un Borgognone e un barbiere di Castiglione (Genova). Inizialmente il mare si mantenne calmo e il Matthew si lasciò dietro l’Irlanda, dirigendosi senza intoppi a ovest dopo aver virato verso nord.

Dopo aver superato una grande tempesta, l’imbarcazione, trascorso poco più di un mese dalla sua partenza da Bristol, approdò probabilmente sulle coste di Terranova (o, secondo altri, del Maine o della Nuova Scozia), giungendo poi fino a Capo Bretone o a Capo Race. Il 24 giugno 1497, Giovanni Caboto prese possesso della terra scoperta. Vi piantò una croce, una bandiera inglese e un’altra veneziana e la battezzò come «Prima terra vista», mentre la grande isola vicina ricevette il nome di St. John. Del successivo riconoscimento della costa resterà più tardi il segno in una carta nautica e in una sfera solida da lui stesso costruita. Anche se la zona era molto pescosa, la scarsezza di viveri indusse la spedizione a intraprendere il cammino di ritorno, lasciandosi dietro altre due isole inesplorate. Approfittando dei venti favorevoli, in quindici giorni la nave arrivò in Bretagna e il 6 di agosto toccò terra a Bristol. La spedizione era andata a buon fine e la notizia corse per gli ambienti diplomatici e mercantili. Colombo ricevette notizie a riguardo dal commerciante inglese John Day, che lo in129


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si trovavano tutte le spezie e le pietre preziose. Sapeva tutto questo grazie ai suoi viaggi alla Mecca, nel corso dei quali aveva messo insieme molti dati che si riferivano alla forma rotonda della terra. Enrico VII gli credette e, come dice Raimondo da Soncino – ambasciatore del duca di Milano – gli credette anche la gente che sperava di trasformare Londra in un fondaco di “spezie” più grande di quello di Alessandria. Se avesse voluto accompagnarlo, persino l’ambasciatore milanese avrebbe ottenuto un arcivescovado, ma preferì continuare a essere un fedele servitore del duca. Nuovi dispacci reali del 3 febbraio 1498 autorizzarono una nuova e più grande spedizione, integrata da cinque navi, una delle quali a spese del re e le altre quattro dei mercanti di Londra e Bristol, sulle quali furono caricati panni e altri prodotti da scambiare con mercanzie orientali. All’inizio di maggio, Caboto ripartì. Una delle navi dovette subito fermarsi in Irlanda. Poi, non si ebbero più notizie dell’uomo. Come scrive Polidoro Virgili nella sua Anglica historia riguardo a questo episodio, si crede che Giovanni Caboto «in nessun luogo abbia trovato altre terre, se non nella profondità dell’oceano dove, insieme alla sua barca, si crede che sia disceso rapito dallo stesso oceano, dato che, dopo quella navigazione, non comparve più in alcun luogo».

Amerigo Vespucci

ENRICO VII TUDOR.

ll monarca inglese – che non riconosceva il Trattato di Tordesillas – autorizzò e in parte finanziò le spedizioni di Giovanni Caboto. Sopra, il re in un olio del XVI secolo, con in mano la rosa dei Tudor (Society of Antiquaries of London Library, Londra).

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formò in una lettera molto ricca di dettagli. Caboto ricevette dieci lire sterline, alle quali se ne sarebbero sommate altre venti di pensione. Il veneziano Lorenzo Pasqualigo descrive il successo di Caboto raccontando che passeggiava con abiti di seta, seguito dagli Inglesi che «gli vanno dietro come matti». Raimondo da Soncino scrive che Giovanni Caboto si sentiva «ammiraglio» e «principe». In effetti era addirittura arrivato a spartire isole tra i compagni di viaggio (tra questi il suo barbiere genovese). Sicuramente nessuno gli avrebbe creduto, in quanto straniero e povero, se non fosse stato per la testimonianza dei suoi compagni inglesi. Questi affermarono che ci sarebbe stato così tanto da pescare che il regno non avrebbe avuto più bisogno di ricorrere ai banchi islandesi, da dove proveniva al momento la maggior parte del pesce conosciuto come “stoccafisso” o baccalà secco. Ma Raimondo da Soncino racconta anche altre cose interessanti. Caboto era sicuro di essere arrivato nel Paese del Gran Khan, da dove pensava di poter raggiungere Cipango, la terra in cui

Nato a Firenze il 9 maggio del 1454 in seno alla famiglia del notaio Nastagio Vespucci e di Lisa di Andrea Mini, Amerigo ebbe tre fratelli – Antonio, notaio come suo padre, Girolamo, più tardi cavaliere dell’ordine di San Giovanni, e Bernardo, che visse in Ungheria – e una sorella, Agnoletta. L’esistenza di alcune proprietà immobiliari a Firenze e a Siena è testimonianza della buona situazione economica dei Vespucci. Nella chiesa di Ognissanti nel capoluogo toscano è conservato un ritratto familiare che fa parte dell’affresco dedicato alla Vergine della Misericordia, del celebre pittore fiorentino Domenico Ghirlandaio. Il clan familiare dei Vespucci annoverava personaggi di grande rilievo: uno degli zii paterni, Bartolomeo, era professore a Pavia; il domenicano Giorgio Antonio gli insegnò il latino e Guido Antonio, giurista e legato fiorentino presso la Santa Sede, lo portò con sé all’estero. Tra altri funzionari e professionisti di prestigio appare un gonfaloniere della Repubblica, Giuliano. Per quanto riguarda i familiari politici, uno di questi era la bella e abbiente dama genovese Simonetta Cattaneo, che fu immortalata dal Botticelli nella Nascita di Venere, tra gli altri dipinti. Come molti fiorentini, i Vespucci intervennero in attività marittime che, legate all’espansione commerciale, avevano acqui-


sito un peso notevole in ambito internazionale, soprattutto da quando Firenze aveva assunto definitivamente la guida della regione (1405). La fortuna dei Medici era aumentata anche con il fiorire del commercio internazionale e dell’attività bancaria, in una regione che aveva contribuito ad ampliare i confini del mondo. La giovinezza di Amerigo Vespucci trascorse, pertanto, immersa in un relativo benessere, al quale si sommavano buone relazioni sociali. Gli artisti Verrocchio e Vasari vissero in alcune delle case della famiglia e, intorno a loro, altri personaggi di cultura dell’epoca dibatterono con frequenza sulle novità che circolavano a proposito dell’imago mundi. Giunse il momento in cui lo zio Guido Antonio lo chiamò perché lavorasse come copista presso la sua ambasciata a Parigi. Gli anni trascorsi nella capitale francese – tra il 1480 e il 1482 – furono senza dubbio molto importanti per Amerigo, come dimostra la corrispondenza da lui firmata in quest’epoca. Di ritorno a Firenze per occuparsi dell’eredità paterna, Vespucci passò ad essere amministratore dei beni di un ramo della famiglia

Medici, in particolare di quello di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, detto Il Popolano. Visse a Firenze fino al 1491, mantenendo contatti con tutte le novità, le innovazioni e con tutti i personaggi più interessanti del suo tempo, come l’umanista e poeta Poliziano, il pittore Botticelli e il filosofo Marsilio Ficino. Ma la sua vita era destinata a cambiare radicalmente. Donato Nicolini, che controllava gli affari della famiglia Medici nella Penisola Iberica, si lamentò della cattiva gestione dei Capponi a Siviglia e propose la loro sostituzione con Giannotto Berardi. Amerigo Vespucci fu inviato come delegato. Giunto a Siviglia, tra il novembre del 1491 e il marzo del 1492, si vide subito implicato in una circostanza interessante. Mentre Cristoforo Colombo arrivava finalmente a un accordo con la corona di Castiglia, Giannotto Berardi partecipò alla conquista e alla colonizzazione delle isole Canarie. A Siviglia, Amerigo Vespucci cominciò immediatamente a lavorare per Berardi che, come agente di Colombo, organizzava per lui viaggi e scambi commerciali. Amerigo Vespucci, che

GLI SCOPRITORI. Mappa

dell’America di Theodor de Bry, del 1596, ai cui angoli appaiono ritratti Colombo, Vespucci, Magellano e Pizarro (Kunstbibliothek Staatliche Museen, Berlino).

ALVARES CABRAL (pag. 133). La flotta di

Pedro Alvares Cabral al suo arrivo in Brasile, dal manoscritto Livro das Armadas del 1568 (Academia das Ciências, Lisbona). Nell’immagine si vedono dodici delle tredici navi della flotta di Cabral: due ritornarono vuote, cinque a pieno carico e sei si persero. 131


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I Vespucci, una famiglia al centro dell’arte del Rinascimento A metà del XV secolo, la famiglia Vespucci, dedita al commercio, alle leggi e al mecenatismo artistico a Firenze, era ben lontana dall’immaginare che uno dei suoi membri avrebbe dato il nome a un intero continente.

All’interno dell’élite oligarchica fiorentina, i Vespucci occupavano un posto di rilievo. Ancor di più a partire dall’irruzione nel governo della città dei Medici, con i quali stabilirono una solida alleanza. Provenienti dal villaggio toscano di Peretola, i Vespucci erano arrivati alla fine del XIII secolo a Firenze, dove avevano cominciato a far fortuna come artigiani e mercanti e finirono per concludere contratti notarili e lucrative operazioni di banca e di commercio. Quando il più celebre dei suoi membri, Amerigo Vespucci, venne al mondo nel 1454, la famiglia godeva di una situazione sociale ed economica invidiabile. C’erano notai come il nonno, il padre e il fratello maggiore di Amerigo; frati come suo zio, il domenicano Giorgio Antonio, la cui biblioteca era famosa all’epoca, o banchieri come Giuliano Vespucci, che arrivò a essere gonfaloniere o capo del governo della Repubblica. Ma dove più ci si può rendere conto dell’ascesa della famiglia è nel mecenatismo, opera imprescindibile in una Firenze che, spinta dai Medici, si era imbarcata in quella rivoluzione culturale e artistica che fu il Rinascimento. Nella chiesa di Ognissanti, dove si trovava la cappella di famiglia, ancora oggi si possono vedere gli affreschi dipinti da Domenico Ghirlandaio e Sandro Botticelli. Quest’ultimo ritrasse inoltre in diverse occasioni Simonetta Cattaneo, moglie di un cugino di Amerigo, Marco Vespucci, donna la cui travolgente bellezza affascinò i suoi contemporanei. Nell’immagine, Madonna della Misericordia, affresco del Ghirlandaio nella chiesa di Ognissanti a Firenze, in cui compare la famiglia Vespucci. Amerigo è il giovane inginocchiato sotto al braccio destro della Vergine.

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aveva conosciuto il navigatore genovese a Barcellona quando questi era tornato dal suo primo viaggio, si dedicò totalmente a queste attività. Le cose però si fecero difficili per Cristoforo Colombo. La Real Provisión del 10 aprile 1495, che autorizzava chiunque a navigare verso il Nuovo Mondo a patto che consegnasse la decima parte degli utili alla corona, ostacolò il suo progetto originario di monopolio. La morte di Berardi, alla fine del 1495, e il naufragio di una spedizione agli inizi del 1496, obbligarono Vespucci, una volta chiusa la contabilità, a entrare direttamente in azione. Nel maggio 1499 egli si imbarcò verso le Indie, forse per la prima volta. Qui comincia il mistero delle vicissitudini di Vespucci, accresciuto dal complesso tramandarsi di informazioni sui suoi viaggi, dei quali solo due sono realmente documentati. Il primo, compiuto tra il maggio del 1499 e il giugno del 1500 sotto la bandiera di Castiglia, fu comandato da Alonso de Ojeda e Juan de la Cosa e fece parte di una nuova serie di viaggi effettuati dopo la deroga degli accordi tra la corona e Colombo. Nel trascorso di questo viaggio, Vespucci lasciò che gli altri facessero incetta di perle mentre lui navigava in cerca di un passaggio verso le Indie. Arrivò alla foce del Rio delle Amazzoni e poi a Capo San Rocco (cioè in Brasile, anche se questo non fu reso noto). Ormai di ritorno passò per Trinidad, il Golfo di Paria, Curaçao e Aruba, esplorando questo tratto di costa che proprio in ragione di una sua osservazione relativa alle palafitte che gli ricordavano Venezia e per la descrizione che ne fece, ricevette il nome di Venezuela. Il 25 novembre del 1500, Colombo tornò dal suo terzo viaggio come prigioniero in catene. Amerigo Vespucci decise quindi di trasferirsi da Siviglia a Lisbona, città dove possedeva una grande comunità di amici e un’enorme fucina di iniziative. Si era da poco conclusa l’impresa di Vasco da Gama e, nell’estate dell’anno 1500, Gaspar de Lemos arrivò per raccontare la “scoperta” del Brasile da parte di Pedro Alvares Cabral. La questione era molto delicata, dato che si trattava di verificare se l’isola di Santa Cruz – il nome con cui Cabral aveva battezzato il territorio scoperto credendo che si trattasse di un’isola – si trovasse all’interno della linea divisoria che era stata stabilita nel 1494 dal Trattato di Tordesillas. Nel frattempo il Portogallo, come legittimo proprietario di queste terre, diede la notizia della scoperta al mondo. Secondo Vespucci, il suo repentino allontanarsi da Siviglia fu dovuto all’arrivo di una lettera da parte del re Manuel I di Portogallo, che aveva reclamato la sua presenza nella squadra delle tre navi che erano state preparate per partire verso la scoperta di nuove terre.


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TRA OCCIDENTE E ORIENTE

I DIARI DI BORDO. Fonte inesauribile di dati di grande valore, non solo geografico, ma anche politico ed economico, i diari di bordo degli scopritori ebbero un ruolo decisivo nelle esplorazioni di nuovi mondi. Sopra, copertina e controcopertina in metallo dorato di un diario di bordo veneziano del XVI secolo (Museo Correr, Venezia).

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In questo modo Vespucci realizzò il viaggio che, tra il 1502 e il 1503, sotto il comando di Gonçalo Coelho, si diresse verso il Brasile. Intanto, Colombo intraprendeva il suo quarto viaggio. Nel viaggio di andata, il fiorentino incrociò Cabral, che tornava dalla sua accidentata spedizione in India. Vespucci arrivò a Capo San Rocco e al Capo di Sant’Agostino. Discese lungo la costa fino al Rio de la Plata e fino alle coste della Patagonia, giungendo così allo stretto che più tardi prese il nome di Magellano. Battezzò i luoghi nei quali passava con nomi di santi o secondo il calendario, come nel caso di Rio de Janeiro, scoperto il giorno 1 di gennaio. Vespucci non era un marinaio. Studiò le costellazioni e cercò di utilizzare gli strumenti che aveva a disposizione. Si buttò completamente nel nuovo mondo che trovò: un nuovo continente, di questo era sicuro. Lo esaminò con scarsa comprensione verso quelle persone che, pur essendo esseri umani e razionali, vivevano nude e senza regole, senza legge né religione. Nonostante ciò, rimase strabiliato per le meraviglie di una natura esuberante e vergine, dove niente sembrava alterare l’armonia di una vita completamente naturale. Forse, non essendoci in quei luoghi né oro né argento, solo la massiccia presenza del pau brasil (letteralmente, albero brasil), utile in tintoria, permetteva alcune elucubrazioni di tipo commerciale. L’esperienza portoghese di Vespucci giunse rapidamente alla fine. Non si sa con certezza se abbia partecipato al viaggio di Noronha, tra il maggio del 1503 e il settembre del 1504. Quel che è sicuro è che alla fine del 1504 si trovava di nuovo a Siviglia, dove si riunì con Cristoforo Colombo ormai caduto in disgrazia, ma che non si arrendeva e consegnò all’amico, chiamato a corte, una lettera per Diego, in cui incoraggiava il figlio a collaborare con Vespucci che considerava ingiustamente penalizzato da una fortuna avversa. Con la sua collaborazione, avrebbero potuto far sì che Colombo recuperasse la fiducia della corona castigliano-aragonese. Colombo era ancora in vita quando, nel bel mezzo della valanga di pubblicazioni sulle scoperte, apparvero, a poca distanza di tempo tra loro, due opere. La prima vide la luce nel 1503 ed è intitolata Mondus Novus. Si tratta di una lettera inviata da Amerigo Vespucci a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, redatta in latino e stampata a Firenze. Il testo, che narra il viaggio portoghese del 1501, ebbe grande successo e vide più di dieci riedizioni. Poco dopo, nel 1504, fu pubblicata un’altra lettera-racconto, questa volta diretta a Piero Soderini, gonfaloniere della Repubblica fiorentina. Si tratta della Lettera di Amerigo Vespucci delle isole nuovamente trovate in quattro suoi

Martin Waldseemüller, l’America e Vespucci Nel 1507, il cartografo e umanista tedesco Martin Waldseemüller propose di battezzare il continente scoperto da Colombo con il nome di Amerigo Vespucci. Quello del genovese dovrà “accontentarsi” di un Paese, la Colombia. Per Waldseemüller, Vespucci era l’autentico scopritore dell’America per il semplice motivo che era stato il primo a rendersi conto che si trattava di un continente nuovo. Perciò, nel piccolo trattato di geografia intitolato Cosmographiae introductio che accompagnava l’edizione della sua Universalis cosmographia, propose il nome America per designare il Nuovo Mondo. L’edizione includeva la traduzione latina dei quattro viaggi di Vespucci, opera la cui autenticità è stata messa in dubbio. Non solo: la figura del Fiorentino appare anche nel planisfero stesso; nella sua parte superiore, il cartografo aggiunse un ritratto di Tolomeo, il grande geografo dell’antichità classica, dalla parte dell’emisfero che corrisponde al Vecchio Mondo; da quella del Nuovo, il ritratto di Amerigo Vespucci. Nell’immagine, il planisfero di Waldseemüller, pubblicato nel 1507 (Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, Washington).

viaggi. Dei quattro viaggi in essa trattati, due ebbero luogo sotto la bandiera spagnola e gli altri due sotto la bandiera portoghese. Durante il primo viaggio spagnolo (maggio 1497-ottobre 1498), colui che si ipotizza essere stato Vespucci afferma di aver scoperto l’America. Il secondo viaggio (maggio 1499-giugno 1500) corrisponde effettivamente a quello realizzato insieme a Ojeda. Il terzo viaggio (il primo portoghese, maggio 1501-giugno 1502) rimanda a quello realizzato con Gonçalo Coelho. Il quarto (il secondo portoghese, maggio 1503-giugno 1504) evoca la spedizione con Noronha, mai realizzata. Da questa strana operazione e dalla frenetica attività editoriale che ne derivò prese vita un’iniziativa che finirà per imporre al Nuovo Continente il nome di America. Nell’anno 1507, nella stamperia del monastero di Saint Dié, in Lorena, vide la luce la Cosmographiae introductio. In essa compaiono le Quatuor navigationes, con mappe illustrative e la seguente recensione di Martin Waldseemüller: «Ma ora che queste parti del mondo sono state ampiamente esplorate e un’altra quarta parte è stata scoperta


da Amerigo Vespucci, non vedo ragione perché non venga chiamata America, vale a dire la terra di Americus, il suo scopritore, un uomo d’intelletto acuto, così come l’Europa e l’Asia hanno ricevuto nomi femminili». L’unico a protestare vivamente fu il frate domenicano Bartolomé de las Casas, che vedeva in pericolo la fama del suo amico Colombo. La sua protesta fu premonitrice, perché il grande successo dell’opera di Vespucci e le numerose ristampe fecero sì che, mentre un’ombra calava sulla figura di Colombo, il nome di “America”, la terra di Amerigo, brillava in piena luce. Nonostante ciò, la “questione vespucciana” non sarebbe mai arrivata a risolvere completamente l’enigma di chi avesse messo in moto quell’operazione “propagandistica” che ebbe così tanto successo. Gli studiosi si sono imbarcati in numerosi dibattiti, risolti solo in parte grazie alla comparsa di tre lettere “familiari” di Amerigo e di un frammento trovato successivamente. La prima lettera, datata 18 o 28 luglio 1500, fu inviata da Siviglia e si riferisce al viaggio realizzato con Ojeda; la seconda, spedita da Capo Verde il 4 giugno

1504, corrisponde all’inizio del viaggio portoghese effettivamente realizzato; la terza, posteriore al 22 luglio del 1501, è il seguito della precedente. Il frammento stampato che è stato trovato contiene la risposta ad alcune repliche provenienti da Firenze. In occasione del viaggio realizzato a Toro nel 1505 per studiare la programmazione di nuove spedizioni, Amerigo Vespucci ricevette dal re la carta de naturaleza (che corrisponde a una sorta di “diritto di cittadinanza”), senza la quale non poteva intraprendere viaggi per conto della Spagna. Ma egli non sarebbe più tornato a navigare, anche se erano già cominciati i preparativi per un viaggio, capitanato da lui e da Vicente Yáñez Pinzón, che non si sarebbe mai realizzato. Nonostante tutto, la carriera di Vespucci continuò. Agli inizi del 1508 fu nominato “pilota maggiore” della Casa del Commercio di Siviglia. Vespucci fu il primo ad ottenere un incarico così importante, che comportava funzioni come esaminare e valutare i futuri “piloti”, redigere mappe, verificare gli strumenti e aggiornare la mappa ufficiale delle rotte 135


TRA OCCIDENTE E ORIENTE

tario di uno di essi, Piero Rondinelli. Morì il 22 febbraio del 1512 e anche lui, come la regina Isabella e come Colombo, lasciò testimonianza del suo desiderio di essere interrato con il saio francescano nella chiesa di San Miguel, dove suo suocero possedeva una cappella. Dopo la sua morte, i “piloti” della Casa del Commercio sarebbero stati Juan Díaz de Solís e Sebastiano Caboto, i quali si assunsero il compito di pagare una pensione alla sua vedova.

Giovanni da Verrazzano

GIOVANNI DA VERRAZZANO.

Seguendo le intenzioni dei navigatori degli inizi del XVI secolo che cercavano di trovare un passaggio a Oriente in acque atlantiche, i fratelli Verrazzano sbarcarono sulle coste di quella che diventerà l’odierna New York. Sopra, ritratto di Giovanni da Verrazzano (Palazzo Comunale, Prato).

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spagnole – il Padrón Real. Non tornerà più a Firenze. Scrisse poco ai suoi fratelli e solo per questioni senza importanza, come vendere per conto suo un rubino o una perla; alla fine, gli eredi dei suoi beni fiorentini furono loro e la parrocchia. Esercitò il suo incarico arrotondando il suo salario annuale di 70.000 maravedì con lezioni private e qualche altro affare. Importante creditore e uomo di pochi e modesti debiti, possedeva una piccola biblioteca con qualche testo in lingua latina e romanza e vari strumenti per la navigazione. Non visse nel lusso, come sembra dimostrare la modestia delle case che occupò, prima nel quartiere di Santa Maria e più tardi al Postigo del Carbón. Visse con la moglie, Maria Cerezo, con la quale non ebbe figli. Abitavano con loro una cognata, una nipote, suo nipote Giovanni, figlio di suo fratello Antonio, due servitori, cinque schiavi e i figli di questi. Abbiamo la certezza che Vespucci si mantenne in contatto con Colombo fino alla morte di questi nel 1506. Continuò ad avere buone relazioni con gli uomini d’affari fiorentini e fu esecutore testamen-

Il primo nome dell’odierna città di New York, come sappiamo dalla sua lunga storia, fu Angoulême, il secondo Nuova Amsterdam e, infine le fu dato quello attuale. Il fiorentino Giovanni da Verrazzano sbarcò in queste terre nel 1524 insieme al fratello Girolamo, che battezzò il luogo con il nome della casa del re di Francia, Francesco I di Valois. Il viaggio dei due fratelli Verrazzano non rappresenta, di per sé, un fatto straordinario. Si inserisce, infatti, nella serie di operazioni marittime che, tra il XV e XVI secolo, seguendo la scia delle intenzioni di Caboto, Magellano e molti altri, voleva trovare una soluzione al problema del passaggio a Oriente. La sua meta era quella terra incognita che le mappe collocavano tra il 30º e il 45º parallelo, tra la Florida e la Nuova Scozia, e che forse avrebbe potuto risolvere la questione. Il più conosciuto dei due fratelli fu Giovanni, già famoso per le sue esperienze di navigazione nel Mediterraneo insieme a Portoghesi e Inglesi, che ne apprezzavano le capacità. Girolamo invece era un buon cartografo, che avrebbe lasciato importanti testimonianze della propria attività. Secondo la tradizione, i Da Verrazzano avevano un castello in Val di Greve, un palazzo a Firenze, due gonfalonieri di giustizia, 35 priori e un ammiraglio, anche se la famiglia si era stabilita da diverso tempo in Francia. A Lione, i Da Verrazzano facevano parte del patriziato locale insieme a molti altri emigrati fiorentini, come i Guadagni (Gadagne), i Gondi e i Rucellai, spesso imparentati tra loro e con importanti famiglie locali. Base delle operazioni della “Repubblica internazionale del denaro” – che univa Amberes, Genova, Siviglia, Cadice e Lisbona – Lione rappresentava il centro di numerose attività finanziarie e città molto amata da re Francesco I, che spesso vi trascorreva lunghi periodi di tempo. Fiorentini e Lucchesi, perfettamente integrati nella trama sociale locale, concentravano la propria attenzione soprattutto sul commercio e sulle attività bancarie. Territorio molto ricco e dall’economia fondamentalmente agricola, la Francia, con la sua antica e radicata tradizione marittima in Provenza, Bretagna e Normandia, in quegli anni si trovava im-


mersa in un processo che l’avrebbe condotta a una politica di Stato organizzata e univoca anche sul piano marittimo. Il progetto che avrebbe portato i fratelli Verrazzano fino alle coste nordamericane infatti, nacque da un incontro di volontà convergenti nel segno delle tematiche politiche ed economiche che caratterizzano l’inizio dell’età moderna. Di fatto, il progetto cominciò a prendere forma nell’ambiente dei mercanti-banchieri fiorentini e degli armatori normanni, trovando inoltre uno spettatore molto attento in Francesco I, il Re Cristianissimo, in un momento cruciale: tra guerre e scoperte stava nascendo lo Stato moderno, con la sua tendenza accentratrice, con i suoi eserciti e le sue flotte, con l’accettazione del capitalismo. Il re di Francia era assolutamente deciso a non permettere che il mondo si trovasse diviso tra Spagnoli e Portoghesi ed era pertanto un fermo difensore del principio del “mare aperto”. Nel 1522, Verrazzano si trovava a Parigi, più tardi a Lione e poi a Rouen, dove nel 1523 costituì con cinque fiorentini e tre francesi una società per commerciare con il Catai. Così, tra Dieppa, Lione

e Rouen si formò una società mista a maggioranza fiorentina e le navi normanne si apprestarono a levare le ancore. Una serie di ostacoli obbligò a posporre la partenza finché, nel 1524, salpò una sola nave, la Dauphine. Solo una serie di studi condotti nel XX secolo ha permesso di definire con certezza la storia di questo importante viaggio e di altri realizzati più tardi dai fratelli Verrazzano. Nonostante ciò, un punto forte delle testimonianze continua a essere la lettera-racconto che Giovanni da Verrazzano scrisse di proprio pugno al re, della quale però inviò una copia anche a Roma, a Buonaccorso Rucellai, socio in affari del suo parente Bernardo da Verrazzano. Non fu l’oro né una missione evangelizzatrice l’obiettivo dell’impresa di Giovanni da Verrazzano, che al contrario in questo viaggio si dimostrò fedele alla fama che lo precedeva. Come esponente di una categoria di squisiti mercanti-gentiluomini, Verrazzano osservava il mondo con gli occhi di una cultura esclusiva dei circoli più elevati, ai quali apparteneva per condizione sociale. Impressionato dalla bellezza vergine dei luoghi che andava scoprendo, Verrazzano de-

LA NUOVA AMSTERDAM.

Prima immagine conosciuta di Nuova Amsterdam - la futura New York - e dell’isola di Manhattan in un’incisione pubblicata da Joost Hartgers ad Amsterdam, verso il 1626. Si possono vedere le fortificazioni e un mulino circondati da navi europee e canoe indigene.

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TRA OCCIDENTE E ORIENTE

Francesco I, un fermo difensore del “mare aperto” Anche se con un certo ritardo rispetto ai suoi rivali, la corona francese seguì il sentiero tracciato da Portogallo, Castiglia e Inghilterra e intraprese con decisione questa strada per scoprire e colonizzare nuovi territori transoceanici. Il timore che il mondo potesse essere suddiviso unicamente tra Portoghesi e Spagnoli, con l’aggiunta poi degli Inglesi, fu ciò che spinse Francesco I a prestare attenzione alla politica d’oltremare. Questa non prese un avvio deciso fino al decennio del 1520 e lo fece, come in altri Stati dell’epoca, con gli Italiani come protagonisti: in questo caso, erano i fiorentini Da Verrazzano. I risultati non si fecero attendere. Nel 1534, dieci anni dopo lo sbarco di Giovanni da Verrazzano in quella che oggi è New York, il vicereame della Nuova Francia era una realtà, con un territorio che, fino all’anno 1763, si estendeva dal fiume San Lorenzo fino al delta del Mississippi. L’ampia comunità francofona dell’odierno Quebec canadese ricorda ancora questo passato coloniale gallico. Nell’immagine, un ritratto di Francesco I, di autore anonimo (Museo Carnavalet, Parigi). Nella pagina seguente, la città e il porto di Rouen, base di alcuni progetti di Verrazzano, in un’incisione del XVI secolo.

scrive questo mondo lontano circondandolo di un’aura di antica età dell’oro, che gli suggeriva solo immagini di bellezza e armonia. Nella sua prosa di cosmografo attento, tutto sembra rimandare ai toni e allo spirito del best-seller dell’epoca, la famosa Arcadia del poeta italiano Jacopo Sannazaro. Le prime terre che calpestò appena sbarcato (probabilmente a Capo Fear), furono da lui battezzate “Selva dei Lauri” e “Campo di Cedri”, “Arcadia” e “Vallombrosa”, nomi che si aggiungono ad altri a lui altrettanto familiari, come “Lorena”, “Vendôme”, “Margarita”, “Luisa” (rispettivamente la sorella e la madre del re) e così via. In onore del re, tutta l’area scoperta ricevette il nome di “Francesca”, mentre l’odierna New York fu battezzata Angoulême, denominazione della nobile famiglia alla quale apparteneva il monarca. Il tempo e le vicissitudini di questo viaggio tormentato, senza un seguito da parte francese, cancelleranno questi nomi, sostituiti dai diversi risultati di avvenimenti successivi. Bisogna però riconoscere a Giovanni da Verrazzano il merito di aver aperto questa nuova via alla conoscenza del mondo. Se 138

anche la convinzione di aver scorto all’altezza di Capo Hatteras il famoso e auspicato passaggio (che nella cartografia verrazzaniana compare con la denominazione di “istmo di Verrazzano”) fosse stata soltanto una sua illusione, il viaggio proseguì in questa dimensione di totale scoperta. La baia di Newport si trasformò in un piacevole rifugio. Gli indigeni che abitavano in quei luoghi erano pacifici, belli e orgogliosi; il loro modo di vivere era tranquillo e Giovanni da Verrazzano, primo etnologo in quelle terre, li descrive con grande ricchezza di dettagli. Di ritorno a Dieppa, l’8 luglio dell’anno 1524 Verrazzano annunciò un altro viaggio. Ora i Francesi si mostravano anche più interessati a partecipare alle iniziative di quest’uomo che, simile ad «Amerigo Vespucci o a Ferdinando da Magellano», rendeva onore alla patria fiorentina, come scrive in toni entusiastici l’uomo d’affari fiorentino Bernardo Carli. Il periodo però non era dei più propizi; il re era ora prigioniero del suo nemico Carlo V e le navi previste per la nuova spedizione erano state requisite per motivi mili-


tari. È possibile che in quel momento Verrazzano abbia ricevuto offerte da parte di Portogallo e Inghilterra, che però non si sarebbero concretizzate. Nonostante ciò, nella primavera dell’anno 1526, una volta che Francesco I ebbe riottenuto la libertà, il progetto tornò a galla grazie alla spinta decisa dell’ammiraglio Philippe Chabot, dell’armatore normanno Ango e di vari uomini d’affari di Dieppa, oltre ai fiorentini e a uno Spinola genovese. Poco sappiamo di questa seconda spedizione, che avvenne tra il 1526 e il 1527. Le due navi salparono da Honfleur il 26 luglio 1526 dirette verso “le Indie” e, dopo svariate vicissitudini, toccarono il Capo di Buona Speranza, si separarono e una di loro finì sul fondo dell’Oceano Indiano. Dopo 15 mesi di navigazione e tormentati avvenimenti, inclusi gli incontri con i corsari, nell’autunno del 1527 Giovanni da Verrazzano tornò con un carico del prezioso legno pau brasil, prova tangibile del successo dell’avventura commerciale e primo segno concreto dell’attenzione francese prestata a questo interessante mercato brasiliano che, sicuramente, con il passare del

tempo sarebbe arrivato a instaurare le tradizionali buone relazioni con i Portoghesi. Del terzo viaggio di Giovanni da Verrazzano non si conoscono con certezza né gli obiettivi né la destinazione: forse il Rio della Plata o l’irraggiungibile istmo fra gli oceani. Il viaggio, realizzato nel 1528, risultò fatale per il navigatore. Girolamo narrò questa storia ai suoi amici umanisti a Roma, città a cui tornò definitivamente dopo un ultimo viaggio tra il Mediterraneo e l’Atlantico, realizzato nel 1529 con l’intenzione di creare una rotta di collegamento commerciale tra queste due aree. Con il nome di Giovanni da Verrazzano si conclude la serie dei navigatori italiani di epoca medievale a cui la storiografia internazionale ha riconosciuto il ruolo di pionieri nella ricerca e nella scoperta di nuovi mondi.

Zheng He, l’America e la Vinlandia Nel XV secolo, la dinastia dei Ming, che già controllava tutto il territorio cinese, decise di incrementare il proprio potere anche per mare e di riprendere il controllo del mercato delle “spezie”, 139


TRA OCCIDENTE E ORIENTE

Zheng He, il navigatore delle città galleggianti Non erano solo gli Europei a essere curiosi (o ad avere interessi economici, religiosi e politici) di cosa ci fosse al di là del mondo conosciuto. Lo stesso accadde in Asia, nella Cina dei Ming. Nonostante ciò, la mancanza di fonti affidabili rende difficile conoscere la reale portata delle sue esplorazioni. Nel 2002, Gavin Menzies, ex comandante di sottomarini della Marina britannica e appassionato storico, pubblicò il suo polemico libro 1421. La Cina scopre l’America, dedicato all’ammiraglio Zheng He e alle sue spedizioni per l’“oceano occidentale” alla testa di una potente flotta. Secondo la sua tesi, che anche se rifiutata dalla comunità scientifica non è per questo meno suggestiva, Zheng He e le sue navi furono i primi a scoprire l’America, superare lo stretto di Magellano, risalire l’Atlantico fino alle Antille, toccare le coste dell’Australia e, in definitiva, circumnavigare il globo. Tutto per ordine dell’imperatore Yongle, che voleva ampliare gli orizzonti culturali e commerciali del proprio impero. Se non ci furono contatti con gli Stati europei fu solo per l’arretratezza di questi e per la mancanza di prodotti o di conoscenze che potessero interessare il sovrano cinese. Le scoperte di Zheng He, comunque, si risolsero in niente una volta che la Cina si auto-impose una corrente isolazionista fomentata dall’élite confuciana, che ordinò addirittura di distruggere i registri e le mappe di questi viaggi. L’unica cosa che non è argomento di discussione è l’esistenza stessa dell’ammiraglio, o che i suoi viaggi lo avessero portato attraverso tutto l’Oceano Indiano, inclusa l’Africa orientale. A sinistra, scultura in bronzo di Zheng He; a destra, navi della flotta cinese di Zheng He nel corso delle sue esplorazioni per l’Oceano Indiano.

arrivando fino all’Oceano Indiano. Per raggiungere questo obiettivo organizzò una serie di spedizioni marittime. A capo di un’operazione così imponente i Ming collocarono l’eunuco, militare e marinaio Zheng He. Zheng He, il cui nome di nascita era Ma He, nacque nel 1371 nel villaggio di Hedai, provincia dello Yunnan, in seno a una famiglia di funzionari musulmani. A undici anni, durante un’incursione cinese contro il mongolo ribelle Basalawarmi, Zheng He fu fatto prigioniero e condotto alla corte di Beiping (Pechino). Li studiò presso il collegio imperiale, poi partecipò a diverse campagne militari e più tardi entrò a far parte del gruppo di consiglieri dell’imperatore Yongle. Dopo un pellegrinaggio alla Mecca, nel 1405 gli fu affidato il comando di una grande flotta di 317 vascelli (dei quali 62 erano imbarcazioni mercantili). Si trattava di grandi navi, autentiche città galleggianti, conosciute dagli occidentali sin dai tempi di Marco Polo e sulle quali viaggiavano anche artigiani, uomini d’affari e dignitari. Le navi, tra i 70 e gli 80 metri di lunghezza, 140

erano dotate di un numero di alberi che variava tra 7 e 9, alti 40 m, e di vele fatte di stuoie; avevano la chiglia piatta e potevano immagazzinare abbondanti scorte alimentari e tutto il necessario per realizzare lunghe traversate. Ciascuna barca aveva funzioni e caratteristiche differenti: c’erano imbarcazioni per gli approvvigionamenti, per la riserva d’acqua mensile, per la scorta militare e altre dedicate ai compiti di ricognizione. Con queste navi, lente e monumentali, tra gli anni 1405 e 1433, Zheng He realizzò fino a sette viaggi. Nel corso dei primi tre, tra il 1405 e il 1411, visitò la parte sudorientale di Asia, India e Ceylon; tra il 1413 e il 1419, nel quarto e quinto viaggio, arrivò fino allo stretto di Hormuz, alle isole Maldive, alle coste dell’Africa orientale, ad Aden e al Golfo Persico; tra il 1421 e il 1423, durante il sesto viaggio, arrivò da Hormuz all’Africa orientale e alla Penisola Arabica; tra il 1430 e il 1433, durante il settimo ed ultimo viaggio, navigò per l’Oceano Indiano tra Giava, Sumatra e Ceylon, arrivando fino all’India occidentale e a Hormuz. Proprio durante quest’ultima traversata, Zheng He morì e il suo corpo fu gettato in mare.


Le imprese di questo personaggio, giustamente celebrato, hanno cominciato ad alimentare un mito che gli ha attribuito viaggi per tutto il mondo. Tutto faceva parte della tradizione finché questa fantasia fu ripresa da Gavin Menzies nel suo libro 1421. The Year China Discovered the World (1421. La Cina scopre l’America), pubblicato nel 2002 e del quale subito furono pubblicate diverse traduzioni. In questo libro si sostiene che, nel suo sesto viaggio, Zheng He abbia scoperto mezzo mondo, inclusa l’America. Nel 2005, Menzies aggiunse che la prova di quanto aveva scritto era una mappa del 1763, copia di una mappa originale cinese datata 1418. In questa appariva un doppio globo che rispecchiava con somma precisione dati conosciuti solo a partire dal XVI secolo inoltrato. I Cinesi furono i primi a smentire la notizia e l’autenticità del documento che, una volta analizzato dal punto di vista scientifico e tecnico, risultò essere clamorosamente falso. Una falsificazione simile a un’altra, ugualmente clamorosa, ispirata alla cosiddetta “Mappa della Vinlandia”, resa nota nel 1965 da alcuni studiosi dell’Univer-

sità di Yale in cui, insieme all’Islanda e alla Groenlandia, compare anche una Vinlandia Insula. Secondo questi studiosi, si trattava di una mappa delle coste americane tracciata dai Vichinghi nel XV secolo sulla base di un originale molto più antico. Il ritrovamento dimostrava che, per i Vichinghi, lo sbarco in America non era stato casuale e che dopo lo stesso si era messo in moto un processo di vera e propria presa di coscienza del fatto. Anche in questo caso studi scientifici precisi fecero cadere tutte le precedenti ipotesi. Si trattava effettivamente di una falsa mappa realizzata agli inizi del XX secolo da Joseph Fisher che, per rendere la cosa più credibile, aveva utilizzato un’antica pergamena. Un altro documento falso quindi, uno di più tra i tanti che hanno accompagnato il nome di Cristoforo Colombo. Anche se sembra non esserci dubbio che altri navigatori europei siano arrivati in America prima dell’Almirante, solo con lui e con il suo viaggio la Scoperta entrò a far parte di una conoscenza cosciente da cui, da quel momento in poi, nessuno avrebbe potuto più prescindere. 141


NAVI E STRUMENTI DI NAVIGAZIONE

Navi e strumenti di navigazione L’epoca delle scoperte non sarebbe mai stata possibile senza i progressi che la navigazione conobbe a partire dal XII secolo in materia di costruzione di navi e di invenzione di nuovi strumenti.

C

ome nell’antichità, nel Medioevo il mare fu la principale via di comunicazione e di commercio internazionale. E non solo il Mediterraneo, ma anche l’Oceano Atlantico: due mondi inizialmente separati, ma che grazie al miglioramento delle tecniche di navigazione si avvicinarono fino a formare una nuova entità alla quale si aggiungevano da una parte il Mar Nero e, dall’altra, il Mare del

142

Nord e il Mar Baltico. Queste migliorie, che interessavano sia il progetto e la qualità delle navi sia l’integrazione di un grande numero di strumenti che permettevano ai marinai di determinare la propria direzione e posizione con una certa precisione, cominciarono a svilupparsi nel XII secolo e diedero il via a una rivoluzione che rese possibile partire alla scoperta di altri mondi e mari ignoti.

Nuove navi A bordo delle caravelle, il cui progetto è attribuito dalla tradizione alla scuola di Sagres sviluppata da Enrico il Navigatore, i Portoghesi esplorarono le coste occidentali dell’Africa. Nell’immagine, una di queste navi con lo scudo portoghese sulla vela, in una ceramica mudejar di Manises del XV secolo.


Giunca di Zheng He

Caravella di Colombo

Navigatori di tutti gli oceani del globo In diverse spedizioni e momenti, Europei e Asiatici navigarono, tra il XV e il XVI secolo, le acque dei tre grandi oceani del pianeta: l’Atlantico, l’Indiano e il Pacifico. Delle navi che parteciparono all’avventura dell’esplorazione del mondo, le più imponenti furono senza dubbio quelle cinesi della flotta chiamata “del Tesoro dell’ammiraglio Zheng He”. Una sola delle sue giunche poteva misurare 120 m di lunghezza e portare 1500 tonnellate, cosa che la rendeva più grande delle flotte di Cristoforo Colombo e Vasco da Gama messe insieme. Nell’immagine, a sinistra, caravelle dell’epoca delle scoperte in un dipinto del Museo dell’America (Madrid); sopra, paragone tra le dimensioni di una delle colossali giunche della flotta di Zheng He e quelle di una delle caravelle di Colombo.

Ciò non vuol dire che prima di questo secolo non ci siano state temerarie avventure marine. Nell’Atlantico e nel Mare del Nord, i Vichinghi avevano dimostrato le proprie doti di marinai non solo con le loro incursioni di commercio e saccheggio verso le isole britanniche, ma anche con le spedizioni verso l’ignoto che li portarono a scoprire le isole Shetland, le Faroe, l’Islanda, la Groenlandia e addirittura Terranova, già in America. E tutto questo senza mappe né strumenti, facendo affidamento solo sulla propria conoscenza delle correnti marine, memorizzando punti di riferimento terrestri e osservando i diversi tipi di uccello che incontravano (pulcinelle di mare vicino agli arcipelaghi; sule in alto mare), senza dimenticare una certa dose di fortuna. Il testimone, anche se sprovvisto di tutto lo spirito d’avventura, fu raccolto a partire dalla metà del XII secolo dalla Lega Anseatica, una confederazione commerciale

di città tedesche che colonizzò la costa baltica e i cui prodotti (legno, grano, pellame o ambra) venivano distribuiti per tutto il continente europeo attraverso le periodiche fiere che si tenevano nella regione della Champagne. Nel Mediterraneo, a partire dalla disgregazione del califfato omeyyade nel X secolo (sino ad allora, e da diversi secoli, il Mare Nostrum poteva considerarsi un “lago musulmano” tale era la preponderanza della mezzaluna sulle sue coste), Veneziani e Genovesi diedero inizio a una feroce competizione per ottenere l’egemonia commerciale e politica. La presa del porto musulmano di Tavira (1238) da parte dei Portoghesi e quella dei regni di Cordova (1236) e Siviglia (1248) da parte dei Castigliani, contribuirono al fatto che l’attraversamento dello Stretto di Gibilterra fosse sicuro per la navigazione, cosa che portò i Genovesi e i Veneziani a superarlo in cerca di mer-

cati atlantici. La stessa cosa facevano sia il nord che il sud dell’oceano. Prima della fine del XIII secolo, i Genovesi, al servizio del Portogallo, stavano già esplorando una rotta che li avrebbe portati fino alle Indie delle spezie preziose, costeggiando il continente africano.

Nuove imbarcazioni Nulla sarebbe stato possibile senza il progresso nell’arte della navigazione e della costruzione di navi. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, i modelli di imbarcazione utilizzati nel Mediterraneo non erano adatti per la navigazione oceanica. Da un lato c’era la galera, il cui disegno derivava dalle antiche navi greche e romane che ne avevano solcato le acque. Leggerezza, rapidità, facilità di manovra e mobilità erano le sue principali caratteristiche positive, mentre a suo svantaggio c’erano la scarsa capacità di carico e la forza motrice, dipendente dall’azione dei 143


NAVI E STRUMENTI DI NAVIGAZIONE

sto, cioè della chiglia a poppa – la parte posteriore dell’imbarcazione. Dall’altro lato, la vela triangolare latina, con più di duemila anni di storia nel Mediterraneo, fu aggiunta alla tradizionale alberatura di grandi vele quadrate. Mentre queste avevano il compito di spingere la nave, le prime si usavano principalmente durante le manovre e i cambi di direzione. Entrambi i nuovi elementi presero forma nei due tipi di imbarcazione che avrebbero dominato i mari durante il XV e XVI secolo: la caravella portoghese a tre alberi, lunga, veloce e resistente, e il più tardo galeone spagnolo, che sommava alla velocità e alla manovrabilità di quella la capacità di carico delle vecchie cocche e caracche.

L’arte della navigazione

LE GALERE. Galera con arcieri e lancieri,

miniatura di un’edizione italiana del XV secolo del trattato De re militari, di Roberto Valturio (British Library, Londra). rematori. Era, insomma, una nave ideale per un mare dalle acque calme con onde soavi come il Mediterraneo, ma inadatta all’Atlantico. Per quanto riguarda il secondo tipo di nave, la caracca, era pesante e lenta, il suo movimento era troppo dipendente dal vento e aveva pochissimo margine di manovra, cosa che la esponeva sia agli attacchi dei pirati, sia ai sempre temibili temporali. Il suo unico punto a favore era la grossa capacità di carico. Altrettanto pesanti e lente, anche se molto adatte a navigare nell’Atlantico, erano le cocche o koggen anseatiche, delle quali le navi iberiche, come la Santa Maria di Cristoforo Colombo, furono un’evoluzione. La mancanza di strumenti per determinare la posizione e di mappe per trac144

ciare le rotte, contribuiva a sua volta a rendere difficili e a ritardare le traversate. La navigazione abituale era quella di cabotaggio, sempre con la costa a vista e con l’attracco in porti o insenature per la notte. Le tormente o i venti avversi erano sufficienti per allontanare i piloti dalla loro rotta e disorientarli. Ma tra il XII e XIII secolo furono introdotte riforme fondamentali nella costruzione navale e i nuovi strumenti di navigazione, così come il progresso nella cartografia, permisero l’assalto definitivo all’avventura oltremarina. Quindi, le imbarcazioni adottarono il timone sul dritto di poppa e la vela latina. Il primo, la cui origine alcuni storici collocano nel Baltico anseatico mentre altri lo fanno risalire alla Cina, permise di migliorare la manovrabilità della nave e di stabilire una direzione fissa, oltre ad aumentare il tonnellaggio. Si trattava di una pala verticale che veniva incernierata al dritto di poppa a prolungamento di que-

Ma senza strumenti di navigazione e mappe che le orientassero, queste navi non avrebbero mai potuto affrontare la navigazione in alto mare con qualche garanzia di successo. I primi strumenti che comparvero, ormai nel XII secolo, furono la bussola o ago magnetico e la carta nautica. La prima arrivò in Europa latina sicuramente attraverso i commercianti arabi, che a loro volta la conoscevano grazie ai contatti nell’Oceano Indiano con i marinai cinesi, che già la usavano per navigare come minimo dall’XI secolo. Secondo la tradizione, un tale Flavio Gioia, oriundo della Repubblica marinara di Amalfi, fu il suo inventore o perlomeno colui che la perfezionò intorno al 1300, fissando la calamita a una Rosa dei venti e montandola su di una chiesuola, anche se la sua stessa esistenza è stata messa in dubbio. Per complicare ancora di più le cose, già verso il 1180 nel trattato del monaco inglese Alexander Neckam si trova un riferimento a un ago montato su di una calamita che segna sempre il nord. Il monaco lo descrive con così tanta naturalezza da far pensare che lo strumento non fosse per lui niente di nuovo. Quello che invece è fuori di dubbio è che la bussola rivoluzionò il modo di relazionarsi al mare. Grazie a essa era possibile navigare senza tenere la costa a vista e addirittura di notte, cosa che accorciava il tempo da investire in ciascun tragitto. E non solo nel Mediterraneo, ma anche oltre lo Stretto di Gibilterra. L’altra grande innovazione fu la carta nautica o portolano, mappe che include-


Le caravelle delle scoperte A bordo delle caravelle, Portoghesi e Castigliani si lanciarono alla conquista dell’Atlantico. Sebbene di aspetto fragile, erano navi sufficientemente robuste per resistere alle onde dell’oceano, oltre ad essere rapide e manovrabili. Il loro scarso pescaggio le rendeva anche idonee ad esplorare le nuove coste. Alla fine del XVI secolo, la necessità di disporre di navi con maggior capacità di carico ne provocò il declino.

#

ALBERI. Le caravelle potevano avere

da due a quattro alberi, anche se comunemente ne avevano tre.

1

3

5 7 4

9 2 8 6 !

! 1

ALBERO MAESTRO. Era

EQUIPAGGIO. In genere

posizionato al centro dello scafo della nave. Su di esso si trovava la coffa per la vedetta.

2

ALBERO DI TRINCHETTO.

l’equipaggio era di non più di 30 uomini.

3

ALBERO DI MEZZANA.

È l’albero più vicino alla prua nelle imbarcazioni con più di un albero, come nel caso della caravella.

È l’albero di poppa. Di solito aveva una vela triangolare o latina tenuta da un’asta che prende il nome di pennone.

7

8 STIVA. Questo spazio all’interno dello scafo conteneva provviste, merci, strumenti e dotazioni per la navigazione.

CASSERO DI POPPA.

Questa struttura che si eleva al di sopra della coperta proteggeva le cabine del capitano e degli ufficiali della caravella.

BOMPRESSO. È l’albero che esce quasi orizzontalmente dalla prua. Le piccole vele triangolari che vi sono montate sono i fiocchi.

5

9

! SCAFO. Lo scafo tondo della caravella deriva da quello della cocca medievale. Il corpo delle navi veniva dipinto vivacemente.

4

CABINA DEL CAPITANO.

L’equipaggio della caravella dormiva in coperta; solo il capitano aveva una cabina sotto al cassero di poppa.

VELA QUADRATA.

Nonostante la sua forma quadrata, questo tipo di vela si conosce anche come tonda. Riceve il vento da poppa.

6

TIMONE DEL DRITTO DI POPPA. Per mezzo di una barra

all’interno dello scafo, questo timone permetteva alla nave di mantenere una direzione fissa. STENDARDO. L’albero maestro portava lo stendardo dello Stato al quale apparteneva la nave. Nel caso di Colombo, era quello dei reali di Castiglia.

#

145


NAVI E STRUMENTI DI NAVIGAZIONE

vano anche istruzioni scritte su distanze e direzioni, oltre a descrizioni di punti della costa che il marinaio doveva tenere in considerazione, come porti o scogli. Le più antiche conservate risalgono al XIII secolo e in esse appaiono già segnate le rotte che si seguivano con l’aiuto della bussola. Col passare del tempo, queste mappe mostrano una geografia sempre più riconoscibile e dettagliata, che viene integrata con le ultime scoperte dei navigatori. Almeno per quel che riguarda le coste, dato lo scopo pratico del documento, finalizzato a facilitare la navigazione, la rappresentazione della Terra si riduce alla fascia bagnata dal mare, mentre la parte interna resta in bianco. Fino all’irruzione della scuola catalana, non si vedrà una maggiore complessità o ricchezza di decorazioni sulle mappe. L’Atlas catalán (1375) di Abraham Cresques è il miglior esempio del livello raggiunto dall’arte cartografica. Ma ci furono anche molti altri strumenti che contribuirono ad ampliare gli orizzonti della navigazione. Uno di questi fu l’astrolabio, le cui origini si possono far risalire fino ai cosmografi greci Ipparco di Nicea (II secolo a.C.) e Claudio Tolomeo (II secolo). Furono però gli Arabi che, a partire dai loro insegnamenti, lo adottarono nel momento in cui cominciarono ad approfondire le loro ricerche su longitudine e latitudine terrestre. Verso l’anno 1000, pare che l’astrolabio fosse già usato in Catalogna e da lì non tardò a diffondersi in tutta Europa. Prima dei marinai europei, quelli arabi e cinesi avevano già usato molti di questi strumenti. Il loro punto di contatto era l’Oceano Indiano, che i primi solcavano sui loro rapidi dhows, imbarcazioni ancor oggi usate a quelle latitudini che si differenziavano da quelle europee per l’uso della vela triangolare, che permetteva una migliore navigabilità in acque sferzate dai monsoni in inverno. A bordo di queste navi, gli Arabi si muovevano lungo le coste dell’Arabia, dell’India, della Cina e dell’Indonesia, commerciando in spezie, seta, legni preziosi e schiavi d’Africa. Ma i sovrani delle acque orientali erano senza dubbio i Cinesi. Non solo per le loro conoscenze tecniche o la qualità della loro cartografia, ma soprattutto per le loro navi. Le giunche erano le più grandi imbarcazioni del loro tempo e a 146

bordo di queste l’ammiraglio Zheng He compì nel primo terzo del XIV secolo sette spedizioni per tutto l’Oceano Indiano fino alle coste dell’Africa orientale, in pratica fino all’odierno Kenya. Che però sia arrivato in America è un’ipotesi tanto suggestiva quanto difficile da dimostrare.

LA PROTEZIONE DIVINA. Ferdinando il Cattolico, l’imperatore Carlo V, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e uno dei fratelli Pinzón sono tra i personaggi principali inginocchiati al riparo del manto protettore della Madonna dei Navigatori, del pittore spagnolo Alejo Fernández (Casa della Contrattazione, Siviglia).


Gli strumenti ai tempi di Colombo La navigazione in mare aperto non sarebbe mai stata possibile senza l’aiuto di tutta una serie di marchingegni che permisero ai marinai di determinare in ogni momento la posizione, la direzione e la velocità della nave e di annotarle con precisione nelle loro carte nautiche. Basati sull’osservazione della volta celeste, molti di questi strumenti rimasero in uso fino al secolo XIX inoltrato. A destra, bussola e orologio solare portatile del XV secolo.

ASTROLABIO. Con origini nella Grecia ellenistica, questo era il principale strumento di cui disponevano i navigatori per determinare l’ora a partire dalla latitudine o, al contrario, controllare la latitudine se conoscevano l’ora.

BALESTRIGLIA. Questo semplice strumento, descritto per la prima volta nell’anno 1342 dal giudeo catalano Levi ben Gerson, era impiegato per conoscere la latitudine a cui si trovava la nave misurando l’altezza della stella polare rispetto all’orizzonte.

QUADRANTE. Anch’esso usato per determinare la latitudine. Durante il giorno si misurava l’altezza del Sole sull’orizzonte; di notte, quella della stella polare. Al vertice è appeso un piombino (non conservato in questo esemplare) che indica la direzione verticale.

SFERA ARMILLARE. Questo modello della sfera celeste si usava in astronomia per osservare il movimento delle stelle intorno alla Terra e al Sole. Il suo scheletro di cerchi graduati mostra l’equatore, l’eclittica, i meridiani e i paralleli.

NOTTURLABIO. Questo speciale astrolabio serviva ai marinai per calcolare l’ora di notte in funzione della posizione di una stella. A questa funzione si aggiunsero, tra il XVII e il XVIII secolo, quella di misurare la latitudine e determinare l’orario delle maree.

CLESSIDRA O OROLOGIO A SABBIA. Anche se la sua precisione non era il massimo, la clessidra era fondamentale per segnare la posizione della nave sulla carta nautica, sempre con l’uso congiunto della bussola o della velocità segnata dal solcometro.

147


148


APPENDICI Nuove rotte verso Oriente (XIII-XV secolo) Cronologia comparata: Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente, Asia, Africa e America Bibliografia Indice analitico Immagini

150 152 154 155 159

NELLA PAGINA ACCANTO. “Nao” dell’armata francese in una miniatura di un manoscritto illuminato del XV secolo

conservato nel castello di Chantilly (Francia).

149


APPENDICI

NUOVE ROTTE VERSO ORIENTE (XIII-XV SECOLO)

8

OCEANO AT L A N T I C O

O

IC

LT

N

A

Tra t t a t o d i To r d e s i l l a s (1 4 94 )

Ant

Tripoli Sirte

9

Sin Cost

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Alessandr

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Taghaza

S e c o n d a I n t e r c a e t e r a (1 4 9 3 )

Capo Verde

Timbuktu

Gao

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Djenné

San Jorge de la Mina

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S t re t t

11

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Maracaibo

10

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Hispaniola Santo Domingo

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Tunisi

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6

Cuba

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Canarie

L'Avana

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Durazzo Napoli M A R M EMessina D

Marrakesh

San Agustín

Roma

5

Kiev

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Zara

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Madera

Venezia Genova

Lione

Valencia

12

Riga

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M Lubecca Rostock Danzica Hull Yarmouth Brema Amburgo Brunswick Londra Amberes Bristol Erfurt Cracovia Bruges Colonia Praga Parigi Rouen Bratislava

Bordeaux

Azzorre

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Visby

Edimburgo

T E R R A N O VA

FLORIDA

Stoccolma

MARE DEL NORD

L o n g. 3 1˚ 8'

L o n g. 4 6 ˚ 3 0'

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Repubbliche Marinare Venezia

Lyon

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Genova

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150

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Costantinopoli

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Trebisonda Smirne Antiochia Rodi

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Novgorod

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2

Karakorum

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Trebisonda Erzurum

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3

Baghdad Isfahan Gerusalemme Bassora Kerman Eilat

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Ganzhou Lanzhou

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Medina

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Fuzhou Quanzhou Guangzhou

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4

Damghan Soltaniyeh Teheran

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13

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1

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Malacca

Isole Maldive

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Mogadiscio 9

Malindi Mombasa

OCEANO INDIANO

Zanzibar Surabaya

Kilwa

Viaggi e spedizioni: Quelimane

Madagascar

1

Giovanni da Pian del Carpine (1245-1247)

10

Americo Vespucci (1499-1500)

2

Guglielmo da Rubruck (1253-1255)

11

Americo Vespucci (1502-1503)

3

Marco Polo (1271-1295)

12

Giovanni da Verrazzano (1524)

4

Rabban Bar Sauma (1287-1294)

13

Zheng He (1405-1433)

5

Ruy González de Clavijo (1403-1404)

6

Cristoforo Colombo (1492-1493)

Repubblica di Venezia

7

Vasco da Gama (1497-1498)

Repubblica di Genova

8

Giovanni Caboto (1497)

Lega Anseatica

9

Ibn Battuta (1325-1354)

Impero del Gran Khan

Territori e domini di:

151


CRONOLOGÍA COMPARADA

CRONOLOGIA COMPARATA EUROPA, MEDITERRANEO E VICINO ORIENTE 1095-1169

1170-1239

1240-1309

Prima e seconda crociata. Presa di Gerusalemme I Normanni d’Inghilterra invadono l’Irlanda Gli Almohadi prendono Marrakesh e dominano il Maghreb Conquista di Lisbona, in mani islamiche, da parte di Alfonso I di Portogallo Fondazione dell’Ordine dei Templari Concordato di Worms

Fondazione degli ordini monastici francescano e domenicano Saladino mette fine al califfato fatimide d’Egitto Terza, quarta e quinta crociata. Presa e saccheggio di Costantinopoli Crociata contro gli Albigesi Saladino sconfigge gli eserciti crociati nella battaglia di Hattin

Conquista mongola di Baghdad e fine del califfato abbaside I Mongoli vengono sconfitti dai Mamelucchi d'Egitto nella battaglia di Ain Yalut Espulsione dei Giudei da Inghilterra e Francia Carlo d’Angiò conquista buona parte della Penisola Italica

Fatti culturali:

Fatti culturali:

Fondazione dell’Università di Parigi Apogeo della scuola di traduttori di Toledo

Costruzione della cattedrale di Chartres Pere Abbat copia il Cantare del mio Cid

Fatti culturali: Dante Alighieri inizia la stesura della Divina Commedia Apre a Fabriano (Italia) la prima cartiera d’Europa

ASIA 1095-1169

1170-1239

1240-1309

Apogeo della dinastia Chola in India e nell’arcipelago malese Dinastia Song in Cina Nasce Temucin (Gengis Khan), fondatore dell’impero mongolo La dinastia cinese Liao cade di fronte a quella Jin

Temucin è proclamato Gengis Khan Guerra Genpei tra clan in Giappone Riapertura della Via della Seta Fondazione del sultanato di Delhi (India) I Mongoli prendono Zhongdu (Pechino) Massima espansione dell'impero Khmer in Cambogia Minamoto Yorimoto, primo Shogun del Giappone. I samurai sono trasformati in élite militare

Kublai Khan inizia la dinastia Yuan dopo aver messo fine a quella Song del sud. I Polo sono ricevuti alla corte di Cambaluc (Pechino), la nuova capitale di Kublai Khan I Mongoli cercano infruttuosamente di invadere il Giappone

1170-1239

1240-1309

Fatti culturali: Diffusione del Neo confucianesimo in Cina Progressi matematici dell’astronomo e matematico indiano Bhaskara Costruzione dei templi di Angkor Vat nel periodo di splendore dell’impero Khmer

Fatti culturali: Prime opere teatrali cinesi, scritte dagli eruditi del periodo Yuan

AFRICA E AMERICA 1095-1169 Africa: massima espansione del Grande Zimbabwe nell’Africa sudorientale America: espansione della civiltà pueblo nel sud-est dell’America del Nord Formazione della città-Stato di Cuzco Saccheggio e incendio di Tula, la capitale tolteca, da parte di gruppi indi del Messico Apogeo della civiltà mixteca

152

Africa: fine dell'antico regno del Ghana

Africa: nasce l’impero del Benin, in Nigeria

America: nasce l’impero inca. Regno di Manco Capac I

Espansione dell’impero del Mali, fondato nella regione occidentale del Sudan, lungo il corso superiore del fiume Niger Fine della dinastia Zagüe in Etiopia e instaurazione della dinastia Salomonica che segna l’inizio dell’impero etiope

Confederazione irochese o delle Cinque Nazioni Fatti culturali: Viene scavata la chiesa rupestre di Lalibela, in Etiopia

America: Mayapan diventa la capitale principale dei popoli Maya Espansione del regno Chimu


1310-1379

1380-1449

1450-1530

Inizia lo scisma d’Occidente Inizia la guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra La peste nera uccide circa la metà della popolazione europea Fine della dinastia dei Capetingi Battaglia di Poitiers tra Francia e Inghilterra

Dopo la battaglia del Kosovo, gli Ottomani controllano i Balcani Battaglia navale di Chioggia tra le repubbliche di Genova e Venezia Battaglia di Aljubarrota e definitiva indipendenza del Portogallo Costruzione della Bastiglia a Parigi

Presa di Granada e fine della Reconquista Trattato di Tordesillas Presa di Costantinopoli da parte degli Ottomani Enrico VII d’Inghilterra inizia la dinastia Tudor

Fatti culturali:

Fatti culturali: Ibn Khaldun scrive la sua Storia degli Arabi Espansione del Rinascimento artistico italiano da Firenze

A Firenze si inventa la prima arma da fuoco funzionante Giovanni Boccaccio termina il Decamerone. Petrarca compone il Canzoniere

1310-1379

1380-1449

Inizia il periodo delle conquiste di Tamerlano Fine della dinastia Yuan e inizio del periodo Ming In Giappone, guerra civile tra gli shogun e l’imperatore Fondazione dell’impero Vijayanagara nel sud dell’India Insediamento cinese a Singapore; comincia la colonizzazione cinese del sud-est asiatico

Tamerlano saccheggia e distrugge Delhi Morte di Tamerlano, sepolto a Samarcanda L’imperatore Yongle, della dinastia Ming, ordina la costruzione della Città Proibita di Pechino Spedizioni di Zheng He nell'Oceano Indiano Formazione dell’Orda d’Oro L’esercito cinese distrugge Karakorum, la capitale mongola

Fatti culturali: Luo Guanzhong scrive il Romanzo dei tre regni

Fatti culturali: Muore il poeta persiano Hafiz Shirazi

Fatti culturali: Viene stampata la Bibbia di Gutenberg Pubblicazione dell’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam Leonardo da Vinci dipinge La Gioconda

1450-1530 Declino della civiltà Khmer In Giappone, le guerre Onin danno inizio all'era degli Stati belligeranti o Sengoku Muore l’imperatore Babur, fondatore della dinastia Moghul Regno di Mehmed II, inizio dell’espansione dell'impero ottomano Vasco da Gama arriva a Calicut, in India Fatti culturali: Creazione della casta dei samurai

1310-1379

1380-1449

1450-1530

Africa: Ibn Battuta arriva fino al Mali e Zanzibar

Africa: Zara Yaqob, imperatore d’Etiopia, instaura relazioni diplomatiche con Alfonso il Magnanimo

Africa: inizia l’espansione dell’impero Songhai

America: fine della civiltà anasazi Fondazione di Tenochtitlan, la capitale dell’impero indio del Messico Conflitto tra gli stati Inca e Chimù nell’America del sud

Inizia l’espansione del regno del Benin America: fine della supremazia di Mayapan (civiltà Maya) Fatti culturali: Costruzione di Machu Picchu

I Tuareg conquistano Timbuktu. Impero Songhai, potenza dominante America: Colombo scopre l’America Giovanni Caboto arriva in Terranova Hernán Cortés conquista Tenochtitlan Massima espansione dell’impero inca Magellano raggiunge il Pacifico doppiando Capo Horn

153


APPENDICI

BIBLIOGRAFIA OPERE GENERALI AIRALDI, G.,

Dall’Eurasia al Nuovo Mondo. Una storia italiana, Fratelli Frilli, Genova, 2007. BACCI LIVI, M. Eldorado nel pantano. Oro, schiavi e anime tra le Ande e l'Amazzonia, Il Mulino, Bologna, 2008. BAILYN, B., Storia dell'Atlantico, Bollati Boringhieri, Torino, 2007. BOULNOIS, L., La via della seta. Dèi, guerrieri, mercanti, Bompiani, Milano, 2005. BROC, N., La geografia del Rinascimento, Panini, Modena, 1996. CHAUNU, P., L'espansione europea dal XII al XV secolo, Mursia, Milano, 1979. —, L'America e le Americhe. Storia di un continente, Dedalo Edizioni, Bari, 1969. CURTIN, PH. D., Mercanti. Commercio e cultura dall'antichità al XIX secolo, Laterza, Roma-Bari, 1999. LÓPEZ, R. S., La rivoluzione commerciale nel Medioevo, Einaudi, Torino, 1975. MAGALHÃES GODINHO, V., Mito e mercadoria, utopia e prática de navegar. Séculos XIII-XVIII, Difusão Editorial, Lisbona, 1990. MCALISTER, L. N., Dalla scoperta alla conquista. Spagna e Portogallo nel Nuovo Mondo, Il Mulino, Bologna, 2000. MOLLAT DU JOURDIN, M., L'Europa e il Mare dall'antichità a oggi, Laterza, Roma-Bari, 2004. PHILLIPS, J. R., The Medieval Expansion of Europe, Oxford University Press, Oxford, 1998. PHILLIPS, E. D., Genghiz Khan e l'impero dei Mongoli, Newton Compton, Roma, 2008. RUIZ-DOMÈNEC, J. E., Europa. Las claves de su historia, RBA Libros, Barcellona, 2010. SINOR, D., Inner Asia and Contacts with Medieval Europe, Variorum Reprints, Londra, 1977. WOOD, F., The Silk Road. Two Thousand Years in the Heart of Asia, University of California Press, Berkeley, 2004.

MONOGRAFIE ABULAFIA, D.,

I regni del Mediterraneo occidentale dal 1200 al 1500. La lotta per il dominio, Laterza, Roma-Bari, 2006. AIRALDI, G., Guerrieri e mercanti. Storie del Medioevo genovese, Aragno, Torino, 2004. CAVACIOCCHI, S. (a cura di), Ricchezza del mare, ricchezza dal mare, secoli XIII-XVIII: atti della trentasettesima settimana di studi, 11-15 aprile 2005, 2 vol., Le Monnier, Firenze, 2006. D'AMATO, G., Viaggio nell'Hansa baltica. L'unione europea e l'allargamento a Est, Greco & Greco Editori, Milano, 2004. DREYER, E. L., Zheng He, China and the Oceans in the Early Ming Dinasty, 1403-1433, Pearson Longman, New York, 2007. ELLIOTT, J. H., Imperi dell'Atlantico. America britannica e spagnola, 1492-1830, Einaudi, Torino, 2010. 154

FERNÁNDEZ-ARMESTO, F.,

Amerigo. La vita avventurosa dell'uomo che ha dato il nome all'America, Bruno Mondadori, Milano, 2009. GROUSSET, R., Il conquistatore del mondo. Vita di Gengis Khan, Adelphi, Milano, 2011. HAKLUYT, R., The Principal Navigations, Voyages, Traffiques and Discoveries of the English Nation, Kelley, New York, 1969. HEERS, J., Cristoforo Colombo, Rusconi, Milano, 1983. LÓPEZ, R. S., Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Zanichelli, Bologna, 1938. NORWICH, J. J., Storia di Venezia. Vol.1: dalle origini al 1400, Ugo Mursia Editore, Milano, 1981. PAPACOSTEA, S., La Mer Noire, carrefour de grandes routes intercontinentales 1204-1453, Institutul Cultural Roman, Bucarest, 2006. PIKE, R., Entreprise and Adventure. The Genoese in Seville and the Opening of the New World, Cornell University Press, Ithaca, New York, 1966. PISTARINO, G., Genovesi d’Oriente, Civico Istituto Colombiano, Genova, 1990. ROUX, J.-P., Tamerlano, Garzanti Libri, Milano, 2011. TARDUCCI, F., Memorie di Giovanni e Sebastiano Caboto, Fratelli Visentini, Venezia, 1892. UNGER, R. W., The Ship in the Medieval Economy, 600-1600, Croom Helm, Londra, 1980. WILLIAMSON, J. A., The Cabot Voyages and Bristol Discovery under Henry VII, Hakluyt Society, Cambridge University Press, Cambridge, 1962.

FONTI CABOTO, S., Passaggio a nord-est (a cura di Daniele Lucchini;

traduzione dal latino di Giovan Battista Ramusio), Finisterrae, Mantova, 2013. COLOMBO, C., Gli scritti (a cura di Consuelo Varela e Paolo Collo; introduzione di Juan Gil), Einaudi, Torino, 1992. GAMA, V. DA, La prima circumnavigazione dell'Africa, 1497-1499 (ed. Carmen M. Radulet e Alvaro Velho), Diabasis, Reggio Emilia, 1994. GONZÁLEZ DE CLAVIJO, R., Viaggio a Samarcanda 1403-1406. Un ambasciatore spagnolo alla corte di Tamerlano (a cura di Paola Boccardi Storoni), Viella, Roma, 1999. IBN BATTUTA, I Viaggi (a cura di Claudia M. Tresso), Einaudi, Torino, 2006. POLO, M., Milione, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1965. VARRAZANO, G. DE, La scoperta di Terranova (a cura di Daniele Lucchini, traduzione dal latino di Giovan Battista Ramusio), Finisterrae, Mantova, 2008. VESPUCCI, A., Lettere sul mondo nuovo (a cura di Daniele Lucchini, traduzione dal latino di Giovan Battista Ramusio), Finisterrae, Mantova, 2009.


INDICE ANALITICO A

Abissinia 69, 79 Abraão de Beja 96 Abraham di Larde 40 Abu al-Fadl al-Dimashqi 36 Abu Bakr 58 Abu Said al Hassan 36 Abu Zaid 61 Acaia 32 Acciaiuoli, famiglia 18, 76 Acri 33, 36, 41-43, 69, 83 Adam, Guillaume 45, 64 Adana 63 Aden 54, 62, 65, 96, 140 Adorno, famiglia 21, 92, 99 Adorno, Galeotto 65 Adorno, Gentile 65 Adorno, Gerolamo 65 Afghanistan 55 Afonso, Diogo 94 Afonso, Estêvão 93 Agnese, Battista 78 Ahmad Ibn Majid 98 Aigues-Mortes 20, 33 Ailly, Pierre d’ 108 Aimari, Gerolamo 117, 118 Ain Yalut, battaglia di 32 Aitone I d’Armenia 33, 43 Aitone da Corico 45 Al Hariri di Bassora 61 Al Wasiti 61 Al-Andalus 16, 55, 71, 73, 83, 84, 86, 99 Alanya 54 Alberti, famiglia 17 Albuquerque, Lopo de 109 Alcáçovas-Toledo, trattato di 14, 72, 89, 91, 95, 96, 110, 123 Alcalá de Henares 111 Alessandria 15, 32, 40, 55, 66, 84, 130 Alessandro VI (papa) 14, 20, 72, 116, 119, 123-125 Alenquer, Pêro de 96 Aleppo 57, 63, 66 Alfonso V d’Aragona (il Magnanimo) 72, 74, 79 Alfonso V di Portogallo 48, 80, 94 Alfonso X di Castiglia 88 Algarve 82, 83, 86, 92, 93, 95 Algeciras 84, 85 Alges 88 Alì, sultano 52 Almaligh (Almaliq) 37, 51, 52, 54 Almeida, Francisco de 86 Almeria 75 Alvares Cabral, Pedro 96, 98, 131, 132, 134 Alvarez Chanca, Diego 117 Alvaro di Portogallo, don 108 Amalfi 15, 16, 27, 144 Amara 79, 82 Amberes 21, 116, 119, 136 Amburgo 21 Andamane, isole 44 Andronico II Paleologo (imp.) 20 Anfossi, Tommaso 52, 53 Ango (o Angot), Jean 139 Angiò, casa d’ 72

Ankara, battaglia di (1402) 58 Antilia 20, 73 Antille 112, 117, 120, 140 Antiochia 33, 41, 43, 64 Aquino, Tommaso d’ 27 Aquitania 24 Arabia 51, 55, 69, 86, 146 Aragona, Luigi d’ 110 Arghun Khan 44, 52, 53 Arguin, isola di 92, 93 Arles 20 Armenia 33, 36, 43, 48, 51, 59 Arsuf 33 Aruba 132 Arzila (Assilah) 78, 94 Asmara 79 Asti 17, 27 Astrakhan 37, 54, 63, 64 Atene 14, 20 Austria 105 Ava 59, 65 Avignone 18, 34, 51, 53, 54, 69 Aviz, casa d’ 71, 82, 91, 95 Axum 79 Ayas (Laiazzo) 33, 36, 42, 43, 64 Aydhab 55 Azzorre 14, 73, 82, 92, 93, 95, 113, 125

B

Badakhshan 50 Baghdad 32, 35, 44, 50, 51, 55, 57, 59 Bahamas 112 Baku 51 Balaklava 34 Balcani 57 Baldovino II di Costantinopoli 43, 45, 46 Balducci Pegolotti, Francesco 37, 65 Baleari, isole 20, 59, 72, 84 Ballester, Miguel 110 Barahona, Juan de 109 Barbaro, Giosafat 62, 63 Barberia 83 Barcellona 18, 20, 28, 29, 71, 72, 116, 117, 119, 132 Bardi, famiglia 17, 24, 29, 76, 88 Bardi, Francesco 88, 109, 111 Bar-sur-Aube 101 Bartoli, Antonio 79 Basalawarmi 140 Basilea 116, 119, 121 Bassano, Guidotto da 50 Basso, Antonio 122 Basso, famiglia 65 Bassora 36, 40, 59, 61 Batrun 33 Battifoglio, Pietro 76 Battuta, Ibn 14, 54, 55 Batu Khan 40, 41 Bayezid I 58 Beauvais, Vincent de 40, 41 Behaim, Martin 24, 48, 77 Beiping vedi Pechino Beirut 33, 63, 82 Benedetto di Polonia 40 Benedetto XII (papa) 53 Benedetto XIV (papa) 50

Bengala 44, 55 Benin 92 Berardi, Giannotto 89, 109, 111, 113, 131, 132 Bergen 21 Berke Khan 42 Bernáldez, Andrés 110 Bertrand de Bar-sur-Aube 101 Besançon 24 Béthencourt, Jean de 14, 88, 89 Bharuch 51 Bianco, Andrea 80 Biblo (Jbeil) 33 Biremi 63 Birmania 44, 59 Bisanzio 14, 16, 24, 36, 58, 101 Biscaglia 24 Bobadilla, Beatriz de 118 Bobadilla, Francisco de 108, 121, 123 Boccaccio, Giovanni 65, 88 Boccanegra, Ambrogio 85 Boccanegra, Egidio 85 Boccanegra, Guglielmo 20 Boccanegra, Simone 85 Bogur 55 Boemia 27, 32, 40, 69, 105 Boemondo III di Antiochia 33, 43 Boïl, Bernat 110, 125 Boldensele, Wilhelm von 69 Bolgana 44 Bologna, Aristotele da 64 Bologna, Ludovico da 63, 64 Bologna 67 Bombay 40, 50 Bonaccorsi, famiglia 17 Bonsignori, famiglia 29 Borgogna 25, 47, 64 Borgognone, Filippo 82 Borneo 50, 59 Borromei, famiglia 29 Bosnia 67, 68 Botticelli, Sandro 130-132 Boucicaut, Maestro de 47 Bracciolini, Poggio 62, 63 Braganza, dinastia dei 108 Brancacci, Felice 79 Brandano il Navigatore 127 Brasile 20, 73, 98, 129, 131, 132, 134 Brasov 105 Braun, Georg 54 Brema 21 Bretagna 25, 129, 136 Bristol 24, 129, 130 Brocchi da Imola, Giovanni Battista 82 Broquière, Bertrandon de la 79 Bruges 16, 20, 21, 25, 103 Bry, Theodor de 116, 131 Bugia 17, 75, 76, 83 Bukhara 42 Burgos 108 Bursa 55

C

Caboto, Giovanni (o John Cabot) 18, 24, 127-130, 136 Caboto, Mattea 128 Caboto, Sebastiano (o Sebastian Cabot) 127, 136

Cabral, Pedro Alvares vedi Alvares Cabral, Pedro Cabrera, Andrés 110 Cadamosto, Alvise 92, 93, 94 Cadice 14, 58, 83, 84, 88, 108, 110, 116, 120, 121, 123, 136 Caffa (Teodosia) 34, 36, 37, 54, 55, 58, 64 Cagliari 55 Cairo, Il 15, 32, 40, 54, 55, 62, 66, 69, 82, 96 Calabria, Giovanni di 82 Caldea 51 Calicut 55, 62, 65, 92, 96, 98 Callisto III (papa) 14, 72, 122 Calvi, famiglia 99 Camarate 86 Cambaluc vedi Pechino Cambay (Khambhat) 59, 62, 66 Canada 129 Canarie, isole 14, 18, 22, 72, 86, 88, 89, 91, 92, 95, 98, 99, 110, 112, 131 Canneto, Paolo da 82 Canton (Guangzhou) 50, 55 Canuto il Grande 20 Cão, Diogo 14, 92, 96 Capo Verde 14, 86, 93-95, 98, 135 Capponi, famiglia 131 Capri, isola di 59 Cárdenas, Gutierre de 110 Carli, Bernardo 138 Carlo I di Monaco 85 Carlo I di Napoli e Sicilia (Carlo d’Angiò) 32 Carlo II di Napoli e Sicilia 45 Carlo V (imp.) 18, 86, 138, 146 Carlo VI di Francia 22, 78 Carlo di Valois 45 Carlo Magno 20, 101 Carretto, famiglia Del 125 Casas, Bartolomé de las vedi Las Casas, Bartolomé de Casas, Pedro de las vedi Las Casas, Pedro de Casimiro IV di Polonia 64 Cassana, famiglia 92, 99 Castello, Pellegrino da 49 Castiglione (Castellón), famiglia 99 Castro, Enrico da (Enrico di Malta o Enrico Pescatore) 85 Catai 23, 35, 36, 44, 48, 51, 52, 54, 65, 117, 137 Catalano, Gonzalve 82 Cattaneo (Cataño), famiglia 21, 29, 92, 99, 120 Cattaneo, Francesco 89, 122 Cattaneo, Simonetta 130, 132 Caucaso 57, 63 Caveri, Niccolò 92 Celebi, isole 59 Centurione (Centurión), famiglia 29, 92, 93, 99, 108, 120, 123, 125 Centurione, Luigi 122 Cepoy, Thibaut de 45 Cerda, Luis de la 88 Cerezo, María 136 Cesarea 33 155


APPENDICI

Cessole, Jacopo da 45 Ceu Iang 54 Ceuta 17, 24, 75-78, 83, 86, 91, 92, 95 Ceylon (Sri Lanka) 40, 44, 51, 54, 55, 65, 69, 74, 140 Chabot, Philippe 139 Chagatai, khanato di 34 Champa 44, 50, 51, 59 Champagne 17, 21, 24, 101-103, 105, 143 Chio, isola di 25, 34, 51, 53, 58, 59, 89, 108 Chioggia 59 guerra 58, 85 Cina 14, 22, 23, 33-37, 40-42, 44, 46, 48, 49, 51-55, 57-59, 64, 65, 69, 95, 98, 140, 141, 144, 146 Cipro 32, 33, 40, 41, 63, 69 Cipango 35, 44, 128, 130 Ciriaco d’Ancona 82 Cirillo d’Alessandria 52 Cisneros, cardinale vedi Jiménez de Cisneros, Francisco Clavijo, Ruy González de vedi González de Clavijo, Ruy Clemente IV (papa) 42 Clemente V (papa) 48 Clemente VI (papa) 88 Cocacin 44 Coelho, Gonçalo 134 Coelho, Nicolau 98 Coeur, Jacques 29 Coleridge, Samuel Taylor 43 Colombo, Bartolomeo 89, 107, 108, 111, 118, 121-123, 125 Colombo, Bianchinetta 107 Colombo, Cristoforo 14, 18, 40, 44, 48, 66, 72, 74, 77, 79, 84, 86, 88, 89, 92-96, 99, 106-113, 116123, 125, 127-129, 131, 132, 134-136, 141, 143-147 Colombo, Diego (figlio di Cristoforo Colombo) 108-110, 120, 121, 134 Colombo, Domenico 107 Colombo, Fernando 109, 112, 118, 119, 121, 122 Colombo, Giacomo (o Diego) 107, 121, 123 Colombo, Giovanni Pellegrino 107 Colonia 21 Contarini, Alvise 64 Contarini, Ambrogio 63, 64 Contarini, Andrea 64 Contarini, Carlo 64 Contarini, Domenico I 64 Contarini, Domenico II 64 Contarini, Francesco 64 Contarini, Jacopo 64 Contarini, Niccolò 64 Conti, Niccolò da 14, 59, 62, 63 Corbizzi, Angiolino del Tegghia dei 88 Cordova 14, 84, 112, 113, 143 Corea 34, 36 Corico (Korghoz) 63 Cornaro, Caterina 63 Corona di Aragona 20, 33, 71, 72, 119 Corona di Castiglia 14, 18, 20, 22, 24, 25, 58, 59, 71, 72, 83-86, 88, 89, 91, 93, 95, 96, 99, 107113, 116, 123-125, 128, 131, 132, 138, 145 156

Corona di Francia 40, 45, 72, 85, 86, 138 Corona d’Inghilterra 29, 128 Corona di Portogallo 14, 48, 86, 89, 91, 94-96, 118 Corsica 17, 18, 24 Corte Real, Gaspar 128 Corvo, isola di 93 Cosa, Juan de la 92, 132 Cosco, Leandro 116, 119 Cosimo, Piero di 132 Costa, Jorge da 124 Costantina 54 Costantinopoli 15, 16, 31, 33, 34, 41, 43, 45-47, 51, 52, 55, 57, 59, 63, 69, 84, 95, 112 Coullon (o Coulon) 95, 107 Courtenay, Catalina di 45 Covilhã, Pêro da 96 Cracovia 34 Cranangore 62 Cremona, Bartolomeo da 41 Cremona, Guiscardo da 40 Cresques, Abraham 20, 22, 36, 48, 78, 146 Cresques, Jehuda 22, 82 Creta 33 Crimea 34, 37, 51, 58, 62, 84 Crociate 14, 16, 25, 32, 33 Cuba 112, 117, 118 Cuneo, Michele da 66, 117, 118, 120 Curaçao 132 Curzola, battaglia di 33, 48, 86 Cybo, famiglia 125 Cybo, Franceschetto 124 Cybo, Giovanni Battista vedi Innocenzo VIII (papa) Cybo, Percivale 65 Cybo, Teodorina 124

D

Dalmazia 68 Damasco 32, 54, 57, 59, 62, 66 Damietta 32, 33, 40 Damme 25 Danimarca 20, 69 Danzica 21 Darduino, Giovanni 82 Dati, Giuliano 116 Datini, Francesco di Marco 18 Day, John 48, 129 Dei, Benedetto 66, 67 Delhi 35, 37, 55, 57 regno 23, 36 Derbent 64 Désirade, isola La 117 Deza, Diego de 108, 110 Dias, Dinis 14, 93 Diaz, Bartolomeo 14, 24, 88, 92, 96, 113 Díaz de Solís, Juan 136 Dieppa 137, 138, 139 Dionisio I di Portogallo 71, 86 Dominica, isola di 116 Doria, Andrea 86 Doria, Corrado 85 Doria, Domenichino 62 Doria, famiglia 21, 85, 99, 120, 125 Doria, Francesco 89, 122 Doria, Jacopo 77, 86 Doria, Lamba 85 Doria, Simone 86 Doria, Tedisio 86

Dubois, Pierre 45 Dulcert, Angelino (Angelino Dalorto) 78, 88

E

Eanes, Gil 14, 92 Edoardo I di Portogallo 82 Edoardo III d’Inghilterra 68 Efeso 52 Egerton, Maestro di 47 Egitto 15, 17, 31, 32, 35, 36, 40, 45, 53, 55, 64, 65, 69, 72, 75, 78, 79 Embriaco, famiglia 33 Enrico il Navigatore 82, 83, 86, 89, 91-96, 98, 142 Enrico III di Castiglia 58 Enrico VII d’Inghilterra 24, 128, 130 Enríquez de Arana, Beatriz 111 Enríquez, Isabel (Isabel de Noronha) 109 Eolie, isole 59 Erik il Rosso 127 Eritrea 82 Erzincan 63 Erzurum 43, 50 Este, casa d’ 113 Estonia 20 Etiopia 40, 51, 74, 76-79, 82, 96 Eubea 33 Eugenio IV (papa) 62, 72, 79, 89, 122 Eyck, Hubert van 47 Eyck, Jan van 47

F

Famagosta 63 Faroe, isole 81, 143 Fasi 64 Federico I Barbarossa (imp.) 14 Federico II Hohenstaufen (imp.) 14, 85, 103 Federighi, Carlo 79 Ferdinando II d’Aragona (il Cattolico) 72, 108, 125, 146 Fernandes, Álvaro 92, 93 Fernández de Lugo, Alonso Luis 89 Ferrer, Jaume 20, 78 Ferrara 67 Fez 55, 75, 78, 95 Fiandre 18, 21, 24, 25, 69, 73, 84, 86, 87, 102, 103, 108 Fibonacci, Leonardo 76 Ficino, Marsilio 131 Fieschi, Bartolomeo 109, 122 Fieschi, famiglia 72, 107, 120-125 Fieschi, Giovanni 82 Fieschi, Giovanni Luigi 122 Fieschi, Opizzo 33 Filippo I di Taranto 45 Filippo II di Spagna 86 Filippo IV di Francia (il Bello) 25, 45, 84 Finisterre 22 Firenze 17, 24, 27, 28, 62, 66, 67, 70, 79, 101, 104, 116, 123, 124, 126, 130-132, 134-136 Flores, isola di 93 Florida 136 Focea 21, 25, 33, 34, 58, 84, 123 Fontanabuona 107 Fontanarossa, Susanna 107 Fornari, Agostino 18 Fornari, Antonio 18 Fornari (Forne), famiglia 99 Fortunate, Isole 22, 73, 88, 91

Francoforte 103 Francia 18, 22, 24, 25, 29, 32, 33, 40, 47, 52, 53, 57, 66, 69, 72, 78, 83-85, 88, 95, 102, 104, 105, 121, 122, 125, 136-138 Francesco di Alessandria 52 Francesco I di Francia 18, 136-139 Fregoso, Paolo 123-125 Frescobaldi, famiglia 17 Frielas 86 Friuli 49 Fuerteventura 88 Fugger, famiglia 18, 21, 24, 29 Funchal 92

G

Gabès 54, 55 Gaeta 59 Gaikhatu 44 Galata 51 Galizia 34 Gallipoli 57 Gallo, famiglia 122 Gama, Vasco da 18, 37, 92, 96, 98, 132, 143 Gansu 43 Ganzhou 43 Gaochang 52 Garay, Francisco de 109 Gaza 54 Gazaria (Crimea) 34, 51 Gengis Khan 34, 35, 41, 42, 57, 58 Genova 16-18, 20, 24, 27, 29, 33, 35, 36, 48, 53, 54, 58, 65, 66, 72, 75-77, 83-88, 94, 96, 101, 107, 108, 118, 120, 121, 124, 125, 129, 136 Genova, Michele da 37 Gentile (Gentil), famiglia 92, 99 Georgia 51 Geraldini, Alessandro 111 Geraldini, Antonio 111 Gerardo Albuini 49 Gerasimov, Mikhail 60 Germania 21, 63, 66, 69, 81, 105 Gerusalemme 32, 42, 45, 51-55, 69, 81, 116 Ghirlandaio, Domenico 130, 132 Ghisolfi, Buscarello 53 Ghistele, Joos van 82 Giaffa 31 Giacomo I d’Aragona (il Conquistatore) 20, 72, 83 Giacomo II d’Aragona (il Giusto) 83, 84 Giamaica 108, 109, 117, 122 Giappone 35, 36, 128 Giava 44, 50, 54, 59, 69, 140 Gibelletto 33 Ginevra 24, 105 Gioia, Flavio 144 Giordania 59 Giovanni I d’Aragona 22, 78 Giovanni I di Borgogna 47 Giovanni I di Portogallo 82, 91, 92, 95 Giovanni II di Portogallo 94-96, 98, 99, 108, 112 Giovanni VII Paleologo (imp.) 57 Giovanni XXII (papa) 34, 51 Giovanni Battista 53, 101 Giovanni d’Aragona e Castiglia 110 Giulio II (papa) 14, 116, 122-125 Giustiniani (Justinián), famiglia 89, 99, 125


Glatz, Enrico di 50 Goa 96 Gomera, La 88, 118 Gomes, Diogo 77, 93, 94 Gonçalves, Antão 92, 93 Gonçalves Baldaia, Afonso 92 Gonçalves Zarco, João 14, 92 Gondi, famiglia 136 González de Clavijo, Ruy 58, 59 Gorricio di Novara, Gaspare 111 Gradenigo, Pietro 27 Gran Canaria 88 Granada 22, 55, 83, 84, 90, 108, 111, 123, 125 Pace 125 Grande Muraglia Cinese 37, 42 Grande Zimbabwe 76 Grecia 51, 67, 69, 147 Gregorio X (papa) 33, 42, 43 Grimaldi, Agostino 18 Grimaldi, Bernardo 122 Grimaldi, Carlo 18, 20, 85 vedi Carlo I di Monaco Grimaldi (Grimaldo), famiglia 99, 120, 125 Grimaldi, Raniero vedi Raniero I di Monaco Grisellini, Francesco 48 Groenlandia 20, 141, 143 Guadagni (Gadagne), famiglia 136 Guadalupa 117 Gualterotti, Antonio 18 Guanahani 108, 112 Guascogna 53 guerra dei Cent’Anni 24 guerra dei Trent’Anni 105 guerra delle Due Rose 24 Guglielmo da Tripoli 43 Guinea Portoghese 92, 94, 96, 108, 110 Gujarat 44, 51, 59 Gurgang 58 Guyuk Khan 40

H

Haifa 33 Harfleur 25 Hartgers, Joost 137 Hebron 54 Hertfordshire 68 Hierro, El 88 Himalaya 69 Hindu Kush 55 Hirschvogel, famiglia 24 Hispaniola 14, 89, 108, 109, 112, 116, 117, 119-122 Hochstetter, famiglia 21 Honduras 122 Honein 78, 93 Honfleur 139 Hormuz 40, 43, 44, 47, 48, 50, 54, 55, 59, 63, 66, 96, 140 Huelva 108 Huizong (imp.) 65 Hulagu Khan 35, 42

I

Ibiza 24, 72 Ibn Abi Zar 78 Ibn Battuta vedi Battuta, Ibn Ibn Fadl Allah al-Umari 62 Ibn Jubayr 55 Ibn Khaldun 55, 75 Ilkhanato 34 Illione, Antonio 54

Illione, Catalina 54 Illione, Domenico 54 Imhof, famiglia 24 India 23, 35-37, 40, 49-51, 55, 59, 62, 64, 66, 69, 74, 91, 92, 95, 96, 98, 134, 140, 146 Indocina 37, 44 Indonesia 36, 59, 146 Inghilterra 18, 20, 24, 25, 27, 52, 53, 66, 68, 84, 103, 105, 128, 138, 139 Innocenzo IV (papa) 14, 33, 40 Innocenzo VIII (papa) 96, 123, 124 Insulindia 36, 44 Ipparco di Nicea 146 Iran 52 Iraq 52 Irlanda 20, 50, 129, 130 Isabela, La 108, 117, 120 Isabella I di Castiglia (la Cattolica) 72, 90, 99, 108, 110, 111, 122, 136 Isabella di Portogallo 108 Ischia, isola di 59, 75 battaglia (1465) 75 Isfahan 55, 63, 66 Islanda 20, 108, 141, 143 Istanbul 67 Italia 14-16, 20, 27-29, 32, 33, 50, 59, 103, 105, 108 Italiano, Agostino 122 Italiano, Pantaleone 122

J

Jaroslaw 105 Jean de Berry 47, 79 Jiménez de Cisneros, Francisco 110 John de Stamford 40

K

Kabul 37 Kashan 50 Kashgar 37, 43 Kawasang 52 Kazakistan 57 Kenya 146 Khorasan 50, 55 Kiev 20, 37, 40 Kilia 34 Kilwa Kisiwani 54, 55 Kirghizistan 53, 57 Konya 33, 35, 41 Košice 105 Kosovo, battaglia del (1389) 57 Krak dei Cavalieri 33 Kublai Khan 34, 35, 37, 42, 44, 47, 59 Kuladan 59

L

Ladislao I di Polonia (il Breve) 34 Lagny 101 Lagos 92 Lalibela 76 Lamego, José de 96 Lancaster, Filippa di 91 Languedoc 20 Lanzarote, isola di 88 Laodicea (Latakia) 33, 54 Las Casas, Bartolomé de 110, 112, 119, 122, 135 Las Casas, Pedro de 110 Lazio 48 Lega Anseatica 21, 24, 102, 143 Lemos, Gaspar de 132

Lenzi, Domenico (Il Biadaiolo) 104 Leone X (papa) 116, 124 Leopoli (Lviv) 34, 105 Lercari, Ugo 85 Lerici 72 Lettonia 20 Levante 16, 33, 36, 73, 108 Levanto, Iacopo da 85 Levi ben Gerson 147 Lhasa 50 Licostomo 34 Liegi 68 Liguria 72 Lille 25 Lione 24, 40, 41, 52, 105, 136, 137 Lipsia 105 Lisbona 20, 48, 73, 82, 84, 86, 88, 90, 92, 94, 96, 98, 108, 113, 131, 132, 136 Lituania 20, 64, 105 Lombardia 40, 104 Lombardia, Ascelino di 40 Lomellini (Lomelín), famiglia 21, 29, 92, 99 Londra 20, 21, 24, 128-130 Longjumeau, André de 40 López de Mendoza e Quiñones, Íñigo, “il Gran Tendilla” 110, 111 Loredan, famiglia 64 Lorena 134, 138 Lorenzo d’Alessandria 52 Lorenzo di Portogallo 40 Lubecca 21, 24 Lublin 105 Lucalongo, Pietro di 48 Lucca 17, 27, 85 Luigi I di Ungheria (il Grande) 34 Luigi IX di Francia (il Santo) 25, 32, 33, 40, 83, 85 Luigi XII di Francia 125 Lys de Beirut 82

M

Machico 92 Madera 14, 82, 92, 95, 108 Madras 50, 59 Magellano, Ferdinando da 131, 134, 136, 138, 140 Maghreb 14, 32, 35, 72, 75, 76, 83 Maine 129 Maineri, Giacomo 66 Malabar 44, 55, 59, 62, 96, 98 Malacca 65 Malaga 73, 75, 83, 84, 111 Malatya 63 Maldive, isole 55, 66, 140 Malfante, Antonio 66, 78, 93 Mali 22, 54, 77, 78 Malindi 98 Maiorca 18, 20, 22, 72, 75, 76, 118 Malocello, Lanzerotto 88 Malocello (Maloisel), famiglia 21, 88 Malta 85 Mandeville, Jean de 40, 47, 68, 69, 78 Mangi (Cina meridionale) 44 Manhattan, isola di 137 Mansa Musa 22, 78 Manuel I di Portogallo 96, 98, 132 Marchena, Antonio de 108, 110 Mardin 63 Margarit, Santiago 110 Margarita, isola di 121

Mari, De famiglia 85, 125 Mari, Teodorina de 124 Marie Galante, isola di 117 Marignolli, Giovanni de’ 52, 53, 54 Marione, Giano (Giovanni Marchione) 93 Marocco 20, 36, 40, 55, 73, 75, 77, 78, 83 Marsiglia 20, 33 Martell, Pietro 52 Martinica 108 Martins, Fernão 48, 94, 108 Martire d’Anghiera, Pietro 110, 116 Maruffo, famiglia 21 Marzamosa 84 Massa 78 Matrega 34 Mauro, Fra 48, 62, 80, 81, 82 Mauro di Carignano, Giovanni 77, 79 Maurocastro 34 Mazar-e Sarif 65 Mazarine, Maestro de la 47 Mecca, La 32, 54, 55, 78, 130, 140 Medici, Cosimo de’ 66 Medici, famiglia 18, 29, 132 Medici, Giovanni de’ vedi Leone X (papa) Medici, Lorenzo di Pierfrancesco de’ (Il Popolano) 131, 134 Medici, Maddalena de’ 124 Medici, Piero de’ 67 Medina 24, 55, 92, 93, 105, 109 Medina del Campo 24, 105 Medina Sidonia, duca di 92, 93, 109 Medinaceli, duca di 92, 109 Mehmed II 66, 67 Meloria, battaglia di (1284) 17, 24, 84, 86 Mendez di Segura, Diego 109, 122 Mendoza, González de 110 Menzies, Gavin 140, 141 Mesopotamia 34, 55 Messina 51, 59, 79 Michele VIII Paleologo (imp.) 46 Milano 17, 27, 66, 67, 113, 128, 130 Mina (Guinea) 95, 96, 108 Ming, dinastia 34, 42, 56, 57, 63, 126, 139, 140 Mingrelia 58 Mini, Lisa di Andrea 130 Minotto, Marco 45 Miran Shah 58 Mitridate II di Partia 37 Moconesi, Giovanni di 107 Modena, Guglielmo di 52 Mogador 77 Mogan 51 Moldavia 34 Molucche, isole 59 Monaco 20 Möngke Khan 41 Mongolia 34, 52 Moniz, Briolanja (o Violante) 109, 111 Moniz Perestrello, Ana 109 Moniz Perestrello, Filippa 92, 108, 109 Montecorvino, Giovanni da 48, 54, 78 Montreuil, Eudes de 33 Moscovia 64 Mossul 32, 44 Mozambico 96, 98 157


APPENDICI

Muliart, Miguel 109 Mylapore 36, 59

N

Namibia 92, 96 Nanchino 50 Nansha 43 Napoli 20, 53, 63, 72, 74, 75, 124, 125 Napoletano, Pietro 79 Navidad, fortezza di La 112, 117, 120, 121 Neckam, Alexander 144 Negro, Andalò del 65 Negro, famiglia Di 92, 99, 108, 120 Negroponte 42, 45, 63 Neopatria 14 Nestorio da Costantinopoli 52 Nicea 16, 33, 55, 146 Nicobare 44 Nicola IV (papa) 48 Nicola V (papa) 14, 122 Nicolini, Donato 131 Nicopoli, battaglia di (1396) 57, 58 Nicosia 41 Ninfeo, Trattato di 33 Nishapur 59 Noli, Antonio da 86, 94 Normandia 25, 136 Noronha, Fernão (o Fernando) 134 Noronha, Leonor (o Catarina) de 109 Norvegia 20, 69 Novgorod 20, 21 Nuova Amsterdam (New York) 136-138 Nuova Francia 138 Nuova Scozia 129, 136

O

Oderico, famiglia 120 Oderico, Niccolò 67, 122 Ojeda, Alonso de 132, 134, 135 Oliverio, Ansaldo de 54 Oliverio, Jacopo de 54 Oltremarino, Leone 65 Oman 36, 54, 55 Ong 52 Orano 67, 76 Orda d’Oro 34, 37, 42, 46, 47, 53, 57, 58, 62 Otranto, battaglia di (1480) 72, 123 Outremeuse, Jean d’ 68 vedi anche Mandeville, Jean de Ovando, Nicolás de 121

P

Paesi Bassi 105 Paiva, Afonso de 96 Palestina 54, 55, 69, 82 Pallavicini, famiglia 125 Palma del Rio 85 Palma, La 88 Palmira 55 Palos de la Frontera 92, 108, 110, 112, 113 Panama 108, 117 Pané, Ramón 110, 117 Parigi 47, 52, 53, 67, 116, 119, 131, 137 Pasqualigo, Lorenzo 130 Patagonia 134 pax mongolica 14, 31, 32, 34, 36, 37, 40, 50, 52 Pazzi, famiglia 67, 123 158

Pechino 31, 35, 48-50, 52, 54, 140 Pegu 65 Peloponneso 59 Pera 33, 37, 58, 79 Peraza, Hernán 118 Perestrello, Bartolomeo 92, 108 Peretola 132 Pérez, Juan 108, 110 Persepoli 63 Persia 34-37, 40, 42, 44, 48, 50-53, 57, 59, 62-64, 69 Perugia, Andrea da 49 Peruzzi, famiglia 17, 24, 29, 76 Peshawar 65 Pessagno, Emanuele 85-88, 118 Pessagno, Lanzarotto 85 Piacenza 17, 27, 65, 92, 108 Pian del Carpine, Giovanni da 14, 37, 40, 41, 78 Piccolomini, Enea Silvio vedi Pio II (papa) Pietro III d’Aragona (il Grande) 20, 72 Pietro IV d’Aragona (il Cerimonioso) 20, 22 Pinelli (Pinelo), famiglia 99 Pinelli, Francesco 109, 113, 122 Pinzón, Francisco Martín 110 Pinzón, Martín Alonso 110, 113 Pinzón, Vicente Yáñez 110, 135 Pio II (papa) 48, 62, 95, 108 Pio III (papa) 123, 125 Pipino, Francesco 48 Pisa 16-18, 24, 44, 46, 48, 75, 84 Pisa, Rustichello da 44, 46, 48 Pizarro, Francisco 131 Pizzigano, Domenico 78, 79 Pizzigano, Francesco 78, 79 Plinio il Vecchio 78, 108 Poliziano, Angelo 131 Polo, famiglia 33, 43 Polo, Maffeo (zio di Marco Polo) 41-43, 46 Polo, Maffeo (fratellastro di Marco Polo) 45 Polo, Marco 12, 14, 23, 30, 35, 37, 41-46, 48, 50, 52, 63, 64, 78, 108, 113, 116-118, 140 I viaggi di Marco Polo (Il Milione) 30, 41-48, 63, 68, 118 Polo, Marco (il Vecchio) 41 Polo, Niccolò 41-46 Polonia 34, 40, 63, 64, 69, 105 Ponza 59, 72 battaglia (1435) 72 Pordenone, Odorico da 47, 49, 50, 69, 78, 82 Porta Soprana 107 Porto, Benedetto da 122 Porto, Gerolamo da 122 Porto Pisano 96 Porto Santo, isola di 92, 108 Portogallo 14, 24, 71, 72, 80, 82, 86-88, 91, 92, 94-96, 98, 99, 108, 110, 112, 118, 123-125, 128, 132, 138, 139, 143 Portovenere 72 Posa, Pere 119 Prato 18 Prete Gianni 40, 44, 48, 52, 74, 76, 78, 79, 96 Promontorio, famiglia Da 65 Provenza 20, 25, 33, 136 Provins 101, 105 Puerto de Santa Maria 84

Q

Qazim 66 Quebec 138 Querini, Marco 45 Quilon (Kollam) 51, 55, 64 Quintanilla, Alfonso de 109

R

Rabban Bar Sauma 52, 53 Rabban Marcos vedi Yahballaha III Rábida, La 108, 110, 112 Ramusio, Giovanni Battista 48, 129 Raniero I di Monaco 25, 85 Ranzano, Pietro 79 Rashid al-Din Hamadani 35, 41 Re Cattolici 74, 83, 108, 110-112, 116-118, 123, 125 Recco, Nicoloso da 88 Regno Unito 129 Renato I di Napoli 72, 108, 124 Repubblica di Firenze 130, 132, 134 Repubblica di Venezia 16, 27, 49, 63, 64, 80 Restelo 98 Riccardo I d’Inghilterra (Cuor di Leone) 24 Richthofen, Ferdinand von 36 Riga 21 Rio de Janeiro 134 Rivarolo (o Riverol, o Riberol), Cosimo da 89 Rivarolo (o Riverol, o Riberol), Francesco da 89, 122 Rochelle, La 88 Rodi, isola di 59 Roma 13, 14, 31, 32, 35, 37, 40, 53, 67, 69, 72, 82, 116, 119, 122, 124, 125, 137, 139 Romania 33, 35, 105 Rombulo, Pietro 79 Rondinelli, famiglia 111 Rondinelli, Piero 136 Rouen 25, 137, 138 Rovere, Francesco della vedi Sisto IV (papa) Rovere, Giovanni della 122 Rovere, Giuliano della vedi Giulio II (papa) Rubruck, Guglielmo da (Willem van Ruysbroeck) 14, 41, 78 Rucellai, Buonaccorso 137 Rucellai, famiglia 136 Rufo, Raimondo 52 Ruggero da Fiore 20 Russia 34, 49, 63, 64, 69 Rustichello da Pisa vedi Pisa, Rustichello da

S

Sacavém 86 Safi 54, 73, 77 Sagres 82, 83, 86, 91, 92, 142 Saint Gilles 20 Saint-Quentin, Simon de 40 Saladino 32, 59 Salé 73, 77 Salle, Gadifer de la 88 Salomone 78 Salvago, famiglia 99 Salvago, Segurano (Sakran) 53 Samarcanda 37, 58-61 Samastri 34 Samsun 34 San Brandano, isola di 20, 73

San Jorge de la Mina (São Jorge da Mina) 95, 96 San Saba, guerra di 33 San Salvador, isola di 112 vedi anche Guanahani Sánchez, Gabriel 109, 112 Sancho IV di Castiglia ( il Bravo) 83, 84 Sandwich 24 Sanlucar de Barrameda 92, 108, 121, 122 Sannazaro, Jacopo 138 Sanseverino, Jacopo da 69 Santa Cruz de Tenerife 89 Santa Maria di Belen 108 Santángel, Luis de 109, 112, 113, 119 Santi, Filippo de 50 Santo Domingo 109-112, 117, 120 Santo Stefano, Girolamo da 65, 66 Sanudo il Vecchio, Marin 45, 48 Saona, isola 118 Sarai 35-37, 40, 42, 51 Saraichuk (Sarai-Jük) 51 Sardegna 14, 20, 24, 36, 72 Sarmore, Antonio 54 Sarteano, Alberto da 82 Sauli, famiglia 125 Savignone, Andalò da 53, 54 Savona 107, 117, 123, 124 Savonarola, Girolamo 66 Scandinavia 24 Schiltberger, Hans 58 Scillacio, Niccolò 111, 116 Scioa 79, 82 Sebastopoli 34 Seleucia 63 Senegal 77, 92, 93 Sequeira, Rui de 92 Sercambi, Giovanni 85 Sette Città, isola delle 20 Setubal 24 Severac, Giordano Catalano da 50, 64, 78 Sfax 54 Sforza Visconti, Ascanio Maria 110 Shangdu (Xanadu) 43, 44, 59 Shanxi 44, 50 Shetland, isole 73, 143 Shiraz 50, 55, 66 Sichuan 44, 50 Sicilia 14, 20, 36, 55, 69, 72, 104 Sidi Ali Reis 86 Sidone 33 Siena 17, 27, 113, 130 Sierra Leone 94 Sigilmassa 77 Silves, Diogo de 14, 92 Sinope 34, 55 Sintra, Pedro da 94 Siria 35, 53-55, 84 Sirte 54, 63 Sistan 56 Sisto IV (papa) 14, 73, 96, 123, 124 Siviglia 14, 20, 48, 67, 69, 73, 83, 84, 95, 99, 117, 122, 123, 131, 132, 134-136, 143 Slovacchia 105 Smirne 58 Socotra 62 Soderini, Piero 134 Sofala 96, 98 Solagna, Guglielmo di 50 Soldaia (Sudak) 16, 34, 36, 41, 47, 84


Soltaniyeh 45, 50, 59, 64, 66 Somalia 36 Soncino, Raimondo da 128, 130 Song, dinastia 52 Sopranis, famiglia 99 Soranzo, famiglia 64 Sotomayor, Cristóbal de 109 Southampton 21, 24, 129 Spagna 58, 67, 99, 105, 111, 121, 122, 128, 135 Spinola, Battista 122 Spinola di Ronco, Niccolò 122 Spinola (Espíndola), famiglia 21, 29, 85, 99, 120, 125, 139 Spinola, Gaspare 89 St. John (San Giovanni di Terranova) 129 Stefano di Boemia 40 Stefano d’Ungheria 51 Stralsund 12 Strozzi, famiglia 75, 111 Suali 51 Sudan 69 Sumatra 40, 44, 50, 54, 55, 59, 69, 140 Surat 51 Suriano, Francesco 82 Suzhou 43 Svezia 20, 69 Svizzera 69

T

Tabriz 35, 36, 43, 48, 50, 63, 65, 66 Tacazzè 82 Talas 40 Talavera, Hernando de 108, 110 Tamerlano 34, 52, 56-61 Tana (Tanais) 16, 34, 36, 37, 51, 58, 62 Tana (Thane, India) 50, 51, 64 Tang, dinastia 37, 40, 52 Tangeri 54, 92 Tangut 48, 52 Tanzania 54, 55 Tara 88 Tarifa, battaglia di 84 Tarkuku 78 Tarso 63 Tartaria 64, 69 Tartus (Tortosa) 33 Tash Rabat 53

Tavira 143 Tazouta 78 Teheran 59 Teive, Diogo de 93 Tenasserim 59 Tenerife 88, 89, 92 Terceira, isola 92 Terranova 128, 129, 143 Tibet 44, 50, 69 Tiflis 63 Tigrè 82 Timbuktu 67, 68, 78 Timur Khan 48 Timur, Togai 53 Timur, Yesun 52 Tiro 33 Tlemcen 54, 75, 78, 83 Toledo, Maria di 109, 121 Tolentino, Tommaso da 50 Tolomeo, Claudio 134, 146 Tommaso l’Apostolo 36, 50 Tordesillas, Trattato di 14, 124, 125, 128, 130, 132 Torino, Pace di (1381) 58 Toro 135 Toscana 17 Toscanelli, Paolo dal Pozzo 48, 63, 67, 94, 95 Trakai 64 Transcaucasia 63 Transoxiana 55 Trastorna, Gonzalo de 51 Trebisonda 16, 34, 36, 45, 50, 59, 62 Trento 64 Triana, Rodrigo de 112 Trinidad, isola di 108, 121, 132 Trinità, Paolo della 50 Tripoli (Libano) 25, 31, 33, 43, 66 Tripoli (Libia) 17, 54, 76 Tristão, Nuno 92, 93 Troyes 101, 103 Tuat 77, 93 Tunisi 17, 32, 33, 54, 55, 67, 68, 75, 76, 83 Turchia 51, 59, 67 Turfan 40 Turkestan 34, 37 Turkmenistan 57, 59

U

Ucrania 63, 105

Ungheria 32, 34, 130 Unhos 86 Urfa 63 Urgench 35, 37, 51, 52, 58 Usodimare, Antoniotto 66, 86, 93, 94, 124 Usodimare, Gherardo 124 Uzbekistan 57, 60 Uzun Hasan 63

V

Valacchia 34 Valencia 14, 18, 20, 55, 71, 72, 75, 104, 128 Valladolid 122 Vallseca, Gabriel de 78 Valturio, Roberto 144 Van 63 Vasari, Giorgio 131 Vaz Teixeira, Tristão 14, 92 Vegia, Leone 54 Velho, Álvaro 98 Velho Cabral, Gonçalo 92 Venezia 12-16, 18, 21, 24, 27, 36, 42, 44, 45, 48-51, 58, 62-64, 66, 67, 72, 78-80, 84, 85, 101, 113, 127, 128, 132, 134 Venezuela 132 Vento, Ugo 85 Vera Cruz, isola di vedi Brasile Veragua (Panama) 117, 122 Verrazzano, Bernardo da 136, 137 Verrazzano, Giovanni da 18, 136-138 Verrazzano, Girolamo da 136, 139 Verrocchio, Andrea del 131 Vesconte, Pietro 48, 78, 79 Vespucci, Agnoletta 130 Vespucci, Amerigo 48, 67, 111, 126, 130-132, 134-136, 138, 146 Vespucci, Antonio 136 Vespucci, Bartolomeo 130 Vespucci, Bernardo 130 Vespucci, Giorgio Antonio 130, 132 Vespucci, Giovanni 136 Vespucci, Girolamo 130 Vespucci, Giuliano 130, 132 Vespucci, Guido Antonio 130, 131

Vespucci, Marco 132 Vespucci, Nastagio 130 Via della Seta 31, 34-37, 44, 52, 53, 58, 59 Vicenza, Niccolò da 43 Vicina 34 Viladestes, Mecia de 78 Villanova di Pordenone 49 Vilnius 64 Virgili, Polidoro 130 Visby 21 Visconti, Teobaldo vedi Gregorio X (papa) Vittoria, Pasquale da 51, 52 Vivaldi, Ugolino 77, 86 Vivaldi, Vadino 77, 86 Vivaldi (Vivaldo), famiglia 21, 83, 99 Vosporo 34

W

Waldseemüller, Martin 92, 134 Walsperger, Andreas 76, 77 Wang Khan 52 Welser, famiglia 18, 21, 24, 29 Wu (imp.) 37

Y

Yahballaha III 52 Yangzhou 54 Yaqob, Zara 79 Yazd 50 Yeda (Yida) 54, 55, 62 York 129 Ypres 25 Yuan, dinastia 30, 34, 36, 51 Yunnan 44, 140

Z

Zaccaria, Benedetto 21, 25, 83-85 Zafar 55 Zaiton (Quanzhou) 35, 36, 44, 49, 55, 59 Zanzibar 36, 54 Zhang Qian 37 Zhao Rugua 36 Zheng He 14, 37, 63, 127, 139-141, 143, 146 Zhongli Quan 30 Zorzi, Alessandro 82 Zuiderzee 21

IMMAGINI Fotografie: Age FotoStock: 4-5, 22, 44, 49, 55, 60-61, 61b, 68d, 71, 79, 84, 94, 98-99, 98, 128, 137, 140-141, 147bi; Aisa: 10, 12, 16, 21, 23, 27, 30, 61a, 62, 72, 73, 82, 85, 86a, 86b, 91, 93, 96, 104a, 104c, 110-111, 124, 135, 147ci, 152a; Alamy/Aci Online: 120-121; Album: 28, 33, 38-39, 48, 57, 63, 67, 78, 80-81, 95, 103, 122, 123, 129, 138, 139, 148; Album/akg-images: quarta di copertina, 2, 6, 13, 24, 25, 41, 46-47, 53, 56, 60, 66, 68i, 70, 81b, 87, 101, 112, 116, 118, 119a, 119b, 121, 128-129, 142, 144, 147bd; Album/Oronoz: 16-17, 20, 22-23, 29, 54, 58, 74, 74-75, 80, 88, 89, 100, 106, 107, 110, 124-125, 142-143, 146,

147a, 147bc, 147cc, 147cd, 152b, 153ad; Bridgeman/Index: 18, 31, 40, 43, 50-51, 104b, 130; Corbis: 8-9, 59, 65, 83, 132, 140; Gtres/Hemis.fr: 32, 64, 76-77, 90, 97, 105; Gregory A. Harlin/ NGS: 143; Erich Lessing/Album: copertina, 19, 26, 35, 117, 127, 134; Photo Scala, Florence: 15a, 69, 126, 131, 136; The Art Archive: 15b, 45, 46, 51, 114-115, 133. Disegni: Gabriel Martín: 145. Cartografia: Víctor Hurtado (documentazione), Merche Hernández, Eosgis. 159


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numero25 Maggio2016 €9,90

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Pubblicazione periodica bimestrale - Anno VI - n. 25

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L’EUROPA VERSO L’ORIENTE NEL XIII SECOLO LA PACIFICAZIONE DELL’IMPERO MONGOLO FAVORÌ L’INTENSIFICAZIONE DELLE ROTTE VERSO L’ESTREMO ORIENTE CREANDO UN CROCEVIA DI COMMERCI E INCONTRI DI CULTURE E RELIGIONI, CHE SAREBBE DURATO FINO ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA

LIBRO DELLE MERAVIGLIE. MARCO POLO ARRIVA A HORMUZ. BIBLIOTECA NAZIONALE PARIGI, FRANCIA. FOTOGRAFIA: JOSEPH MARTIN / ALBUM

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MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella Editore Caccia alle streghe, Salerno Editrice

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