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LE MONARCHIE ASSOLUTE
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INDICE INTRODUZIONE
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LA GUERRA DEI TRENT’ANNI
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L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO Dossier: La rivoluzione scientifica
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IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE Dossier: Versailles, modello delle corti europee
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UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA Dossier: La rivoluzione barocca a Roma
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
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APPENDICI Il mondo alla fine del XVII secolo Cronologia comparata: Europa, America, Altre civiltà Elenchi dinastici Bibliografia Indice analitico Immagini
146 148 150 152 154 155 159
PAGINA 2. Statua in bronzo di Luigi XIV in veste di imperatore romano, di Antoine Coysevox (Musée Carnavalet, Parigi). PAGINE 4 E 5. Las meninas, o La famiglia di Filippo IV, di Diego Velázquez (Museo del Prado, Madrid). NELLA PAGINA ACCANTO. La Chiesa di sant’Ivo alla Sapienza, a Roma, opera di Francesco Borromini.
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INTRODUZIONE
I
n Europa, il secolo XVII mise in crisi molte delle novità dell’epoca del Rinascimento. I conflitti dinastici tra le monarchie acquisirono dimensioni nettamente europee e coniugarono questioni politiche e religiose. La guerra dei Trent’anni (1618-1648) fu una dimostrazione di come la politica estera si impose infine come sistema di relazioni internazionali autonomo rispetto alle vicissitudini personali o confessionali dei sovrani. Anche se i teorici dell’assolutismo sostennero che la figura del monarca, dai suoi grandi palazzi, decidesse il destino di milioni di sudditi, la realtà fu ben diversa. Fu così che, accanto al lungo e complesso regno del Re Sole, Luigi XIV (1643-1715), le restanti potenze europee attraversarono una crisi delle formule politiche tradizionali. La comparsa dei primi ministri onnipotenti, i favoriti Oxenstierna, Richelieu, Mazarino o Olivares, fu un primo sintomo dell’affanno delle monarchie. D’altra parte, le potenti egemonie del periodo precedente, come per esempio la monarchia ispanica, sprofondarono in un processo di decadimento che portò a una profonda disgregazione territoriale a partire dalla serie di ribellioni del decennio del 1640, seguita dalla perdita di possedimenti territoriali negli scontri con altre potenze. Altri Stati adottarono governi repubblicani. Questo cambiamento nelle istituzioni, che colpì particolarmente l’Europa affacciata sull’Atlantico, ebbe sviluppi differenti. Alcuni ebbero carattere fugace, come l’esperienza repubblicana inglese, che finì con il trionfo di una monarchia parlamentare. Altri Paesi godettero invece di più ampio respiro, come nel caso delle Province Unite, dove il repubblicanesimo sconfisse le derive autoritarie degli Orange, anche se la situazione economica del Paese fu segnata da un irreversibile declino che lo avrebbe portato a seri problemi agli inizi del XVIII secolo. In Europa centrale e orientale, dopo la pace di Westfalia si gettarono le basi per la costruzione di poteri territoriali più centralizzati. In una geografia tradizionalmente marcata dalla disintegrazione, cominciarono a emergere nuovi poteri che avrebbero segnato l’Europa del XVIII secolo, in particolare la Prussia e la Russia. Tutte queste convulsioni sociali e politiche, le lotte titaniche tra assolutismo e rivoluzione, tra riforma e controriforma, aprirono la strada a discussioni scientifiche sulla tradizione e allo sviluppo del Barocco come stile caratterizzato dall’emotività e da un deciso rifiuto della serenità dello spettatore.
PAGINE 8 E 9. La Galleria degli specchi del palazzo di Versailles. NELLA PAGINA ACCANTO. Soldato con ragazza
sorridente, di Johanes Vermeer (Collezione Frick, New York).
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LA GUERRA TOTALE.
Battaglia dell’esercito olandese, di Pieter Snayers (Pinacoteca Nazionale, Siena). Nella pagina seguente, elmo dell’imperatore Ferdinando II, di Giovanni Serrabaglio (Kunsthistorisches Museum Rüstkammer, Vienna). 12
LA GUERRA DEI TRENT’ANNI Hans Jakob C. Grimmelshausen iniziò la sua novella satirica L’avventuroso Simplicissimus – ambientata durante la guerra dei Trent’anni – con un lamento disperato: «Nel nostro secolo. E molti ritengono che possa essere l’ultimo…». Questa guerra restò nella memoria storica come un conflitto particolarmente sciagurato, che cominciò come disputa locale e finì per trasformarsi in una lotta generale per il predominio europeo.
I
protagonisti della guerra dei Trent’anni si portavano dietro inimicizie storiche. L’impero tedesco era teatro di dispute religiose che risalivano agli inizi del XVI secolo, ma era anche scenario di lotta tra gli Asburgo di Vienna e di Madrid dinanzi alla nuova dinastia regnante in Francia, i Borbone. Saliti al trono, i monarchi francesi ripresero la politica estera di belligeranza anti-spagnola che aveva caratterizzato la precedente dinastia Valois. Sul finire del XVI secolo, nulla faceva presagire una guerra di dimensioni europee. Nel 1598, la pace di Vervins, accordata tra Francia e Spagna con la mediazione di papa Clemente VIII, mise
fine ai conflitti tra i due regni più potenti dell’epoca. Vervins siglò molti dei compromessi pattuiti con la pace di Cateau-Cambrésis, firmata nel 1559. In base ai termini di Vervins, la monarchia ispanica rinunciava a qualsiasi pretesa al trono francese. Filippo II, che morì pochi mesi dopo la firma del trattato, cedette allo stesso tempo i territori delle Fiandre a sua figlia Isabella Clara Eugenia, sposata con l’arciduca Alberto d’Austria. L’obiettivo era chiudere gli antichi fronti di conflitto militare. Nel caso spagnolo, sembrava necessario indietreggiare per far fronte ai disastri demografici ed economici causati dalla grande peste atlantica – così chiamata 13
FASI DELLA GUERRA DEI TRENT’ANNI 1618-1625
La rivolta in Boemia. L’intolleranza religiosa di Ferdinando II spinge i nobili protestanti cechi a ribellarsi e a nominare un nuovo re, Federico V del Palatinato. 1625-1629
L’intervento danese. Cristiano IV di Danimarca interviene al fianco dei protestanti. I Danesi vengono sconfitti a Lutter nel 1626. 1630-1635
L’intervento svedese. Con Gustavo II Adolfo al fronte, gli Svedesi attaccano il Sacro impero e fanno retrocedere le forze cattoliche. Il re muore nella battaglia di Lützen. 1636-1648
L’intervento francese. Pur essendo un Paese cattolico, la Francia entra in guerra accanto alla fazione protestante. Nel 1643 sconfigge la Spagna a Rocroi. 1648
La pace di Westfalia. La firma in maggio del trattato di Osnabrück e in ottobre di quello di Münster, quest’ultimo nella regione della Westfalia, mettono fine alla guerra.
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perché arrivò attraverso i porti del Mar Cantabrico – che colpì per cinque anni (1597-1602) tutta la Penisola Iberica e coincise con un susseguirsi di pessimi raccolti di cereali. Gli ultimi anni di regno di Filippo II furono anche caratterizzati da rivolte militari e, soprattutto, dalle difficoltà della finanza pubblica, che costrinsero la corona a dichiarare una terza bancarotta nel 1597.
Spagna, tra guerra e pace Con Filippo III (1598-1621) cominciò un periodo nel quale i regnanti abbandonarono le redini del potere nelle mani dei loro uomini di fiducia. Nel caso di Filippo III, il contrasto con suo padre Filippo II fu particolarmente evidente. Il carattere indolente del nuovo monarca favorì l’ascesa di una casta di personaggi ambiziosi che fu protagonista di scandalosi episodi di corruzione, come Rodrigo Calderón, che finì decapitato nella Plaza Mayor di Madrid nell’ottobre del 1621. Calderón fu sicuramente solo un attore secondario a corte, una “creatura”, un protetto del più importante uomo di fiducia o favorito del periodo: Francisco
Gómez de Sandoval, marchese di Denia, che molto presto divenne duca di Lerma per privilegio reale. Questi incarnò come pochi altri la corruzione del periodo e la più cruda avidità di privilegi. La sua influenza fu così importante che ottenne il trasferimento della sede della corte da Madrid a Valladolid tra gli anni 1601 e 1606, con l’unico proposito di ottenere benefici immobiliari. Il figlio di Lerma, primo duca di Uceda, che nel 1618 succedette al padre come oggetto di favoritismi nonostante le loro condotte fossero molto simili, patrocinò iniziative importanti per superare i problemi economici dell’epoca. In questo senso, creò una giunta di riforma per analizzare la situazione del regno e le possibili soluzioni ai problemi esistenti. L’idea fu ripresa dai dirigenti del regno successivo. Le relazioni esterne della monarchia continuarono a essere molto conflittuali. Filippo III appoggiò la sorella Isabella Clara Eugenia e l’arciduca Alberto, nominati eredi dei Paesi Bassi da Filippo II, nella lotta contro le Province Unite. La vittoria olandese della battaglia delle Dune
LA RESA DI BREDA.
In questa grande tela, conosciuta anche come Le lance e dipinta tra il 1634 e il 1635, Velázquez mostra l’episodio della resa della città di Breda al battaglione spagnolo, nel 1625, durante la guerra dei Trent’anni. Gli Olandesi, a sinistra, armati di picche e fucili, sono sotto il comando di Giustino di Nassau, che consegna la chiave della città ad Ambrogio Spinola (che Velázquez conobbe personalmente), il quale impedisce al vinto di inginocchiarsi davanti a lui. I due capi sembrano intrattenere una conversazione amichevole, in una scena molto lontana dalla tradizione pittorica dell’epoca, più incline a mostrare l’umiliazione del vinto davanti alla prepotenza del vincitore. Dietro Spinola si trovano i soldati spagnoli con le lunghe lance che danno il soprannome al quadro (Museo del Prado, Madrid).
(1600), nonostante i successi militari successivi del generale spagnolo di origine genovese Ambrogio Spinola Doria, che culminarono con la presa di Ostenda (1604), mise in chiaro che il conflitto non aveva prospettive di soluzione immediata. La lotta contro l’Inghilterra non diede risultati molto migliori, dopo il disastro dell’anno 1601 di una flotta di un mezzo centinaio di navi inviata contro le isole britanniche. Lo stato di prostrazione economica e le forti spese provocate da decenni di guerra continua, oltre al rinnovamento del personale politico di giunte e consigli della monarchia, motivarono un cambio di direzione nella politica estera del monarca Filippo III. La politica pacifista finì per caratterizzare il suo regno, che cercò di rinviare il decadimento della monarchia ispanica chiudendo i pozzi senza fondo che finanziavano le guerre con Inghilterra, Paesi Bassi e Francia. La morte di Isabella I d’Inghilterra, nemica storica di Filippo II, permise all’imperatore spagnolo a Londra di concordare con Giacomo I un trattato di pace nel 1604. Nel 1609 all’Aia si firmò
anche una tregua con le Province Unite, che si sarebbe prolungata fino all’anno 1621. In quanto alle relazioni con la Francia, l’assassinio di Enrico IV nel 1610 e l’inizio del governo della cattolica Maria de’ Medici permisero di porre fine a un altro conflitto secolare. Allo stesso tempo si rinforzarono i legami familiari tra le due monarchie, poiché la figlia di Filippo III, Anna d’Austria, si unì in matrimonio con Luigi XIII di Francia. A sua volta, Isabella di Borbone, figlia di Enrico IV, si sposò con il principe ereditario del trono spagnolo, Filippo IV. Ovviamente, tra i molti diplomatici del periodo, non tutti condivisero questa politica pacifista del monarca. In Italia, il duca di Osuna mostrò un atteggiamento abbastanza indipendente nel suo vicereame di Napoli, poco conciliatore con le direttive di corte. L’atteggiamento del conte di Fuentes fu simile nell’area del Ducato di Milano. Questo settore della nobiltà considerò gli accordi con le potenze protestanti come una perdita di prestigio e un tradimento al Cattolicesimo della monarchia ispanica. Sebbene in un primo mo15
LA GUERRA DEI TRENT’ANNI
L’espulsione dei moreschi di Spagna Il 9 aprile del 1609, su richiesta del suo favorito duca di Lerma, Filippo III decretò l’espulsione da tutti i propri regni dei moreschi, discendenti di quei musulmani che i Re Cattolici avevano fatto convertire e battezzare un secolo prima. La distribuzione geografica dei moreschi nella Penisola Iberica si concentrava soprattutto nelle zone agricole dell’antica corona d’Aragona, Murcia e Andalusia. A Valencia, per esempio, costituivano un terzo della popolazione. Nonostante la loro conversione forzata al Cattolicesimo nel 1502, i moreschi continuavano a essere una minoranza difficile da integrare con il resto della popolazione cristiana, che li guardava con diffidenza per via dei loro costumi, della loro capacità di lavorare, della loro buona amministrazione dei beni e, soprattutto, per il sospetto di eventuali imprese condotte con Turchi e pirati berbereschi, che ne faceva una minaccia dall’interno. La difficile convivenza tra cristiani e moreschi terminò nel 1609 con la deportazione dei secondi. Il prezzo però fu alto, soprattutto ad Aragona e Valencia, che videro le loro terre spopolarsi. Nell’immagine, frontespizio della Memorable expulsión y justísimo destierro de los moriscos de España, pubblicata nel 1613 (Biblioteca Nazionale, Madrid).
mento non riuscirono a riattivare la politica bellica della monarchia, furono in grado di imprimere un tratto molto più intollerante ad alcune delle grandi decisioni di governo di Filippo III. Per esempio, una grande vittoria del partito intransigente fu la brutale espulsione dalla Penisola Iberica verso il Nord Africa di numero di moreschi compreso tra 275.000 e 300.000 tra gli anni 1609 e 1611. I moreschi discendevano dall’antica popolazione musulmana convertita al Cristianesimo durante il XVI secolo, che si era mostrata molto fedele alle proprie tradizioni culturali islamiche, suscitando l’avversione dei settori più intransigenti rispetto alla questione confessionale. Le conseguenze di questo enorme salasso demografico demolirono del tutto alcune regioni spagnole. Un cronista, Gaspar de Escolano, scrisse di Valencia: «Pur essendo il regno più florido della Spagna, oggi è una landa secca e opaca a causa dell’espulsione dei moreschi». Alla fin fine, l’ascesa definitiva della linea politica più belligerante coincise con la caduta in disgrazia dell’anziano e corrotto duca di Lerma e 16
con lo scoppio della guerra dei Trent’anni nel 1618. Fu allora che la solidarietà dinastica tra le corti di Madrid e Vienna finì per imporsi. Sembrava che il regno pacifista di Filippo III, conosciuto come il periodo della pax hispanica, fosse servito solo come tregua affinché la monarchia ispanica recuperasse le sue capacità militari. Proprio nell’anno della morte di Filippo III, i Paesi Bassi spagnoli tornarono nelle mani della corona ispanica. Erano stati ceduti nell’anno 1598 agli arciduchi Alberto e Isabella Clara Eugenia. Quando la figlia di Filippo II morì senza discendenza nel 1621, questi territori di grande interesse geostrategico passarono al patrimonio dei monarchi spagnoli. Con loro, la monarchia ispanica incrementò di nuovo il campo d’azione dei propri impegni militari.
Il Sacro impero in veglia d’armi La situazione religiosa nell’impero presentò una complessità che non fu ben gestita dai successori di Ferdinando I, che morì nel 1564. Massimiliano II (1564-1576), Rodolfo II (1576-1612) e
Mattia I (1612-1619) furono imperatori mediocri, che lasciarono languire le potestà sovrane a beneficio dei poteri periferici dei principi. Le clausole di pace accordate fin dal 1552, come quella che impediva qualsiasi secolarizzazione all’interno del Sacro impero, non furono mai assunte dai luterani e per mezzo secolo si fece ben poco per esigere che venissero rispettate. I decenni finali del XVII secolo furono, per lo più, un’epoca di espansione del Calvinismo nell’Europa centrale. Si fece più urgente affrontare, in particolare, il problema dei diritti dei principi calvinisti, che non era stato trattato nella Pace di Augusta firmata nell’anno 1555. Questa pace aveva messo fine allo scontro armato tra i principi luterani e i principi cattolici, ma aveva ostacolato il credo delle altre riforme protestanti. Proprio durante i primi anni del XVII secolo diminuirono gli incidenti che avevano come protagonisti i calvinisti, che reclamavano una revisione degli statuti religiosi dell’impero e si accentuarono le tensioni latenti: iniziò dunque una pericolosa polarizzazione in seno all’impero. Fu
presto evidente che la Pace di Augusta era stata solo un armistizio temporaneo. L’odio religioso si generalizzò e aumentarono gli incidenti violenti in territorio tedesco. L’impero si vide invaso di libelli e opuscoli delle diverse fazioni, pieni di propaganda incendiaria. Dai settori riformati, gli stampati facevano riferimento a un sommo pontefice che «era un gemello bastardo dell’Anticristo orientale, Maometto», mentre i gesuiti cattolici si univano contro Lutero e i padri dottrinali delle sette protestanti. Questo spirito di scontro si trasferì molto presto alla sfera politico-militare. La formazione di leghe armate fu un riflesso di questa situazione. Nel maggio del 1608, un gruppo di principi protestanti e calvinisti fondò un’Unione Evangelica a capo della quale si pose il principe calvinista Federico IV del Palatinato. In risposta diretta, nel 1609 si formò una Lega Cattolica tedesca comandata dal duca di Baviera, Massimiliano. Ciascuno di questi gruppi si impegnò nella protezione delle garanzie confessionali dei propri membri, costituendo allo stesso tempo delle truppe e cercando alleanze
UN POTENTE BALUARDO.
Il castello di Heidelberg (in alto) fu un importante obiettivo militare durante la guerra dei Trent’anni. In basso, busto in bronzo dell’imperatore Rodolfo II (1603), opera di Leone Leoni. (Kunsthistorisches Museum - Kunstkammer, Vienna).
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LA GUERRA DEI TRENT’ANNI
Il Cattolicesimo estremista dell’imperatore Ferdinando II Il 20 marzo 1619, la morte senza figli dell’imperatore Mattia d’Amburgo fece sì che la corona del Sacro impero romano germanico ricadesse sul suo primo cugino, Ferdinando di Stiria. Iniziava in questo modo un regno che sarebbe stato segnato dal rinascere delle lotte tra cattolici e protestanti. La rivolta di Boemia, prologo della guerra dei Trent’anni, fu il suo primo episodio. L’intransigenza religiosa di Ferdinando II ravvivò i conflitti religiosi nel Sacro impero. Il nuovo sovrano non era solo un fervido cattolico che ascoltava la messa in qualsiasi momento della giornata, faceva esercizi di penitenza e si muoveva attorniato da gesuiti, ma era una persona convinta che il consolidamento degli Asburgo sul trono poteva avvenire solo attraverso il Cattolicesimo come elemento agglutinante dell’impero. La Boemia, la cui corona era portata da Ferdinando fin dal 1617, fu il primo territorio che si oppose alla sua politica pro-cattolica. Fu sconfitta, ma la sua ribellione sfociò in una guerra su scala europea che durò per tutto il regno di Ferdinando II e che, alla sua morte, nel 1637, passò in eredità al figlio Ferdinando III. Sopra, ritratto di Ferdinando II di Justus Sustermans (Palazzo Pitti, Firenze).
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in previsione di un possibile aggravamento della situazione. Nel 1609, per esempio, la crisi per la successione nei domini di Juliers-Cléveris fu sul punto di provocare una guerra, ma fu possibile negoziare una serie di tregue concatenate finché il conflitto non si chiuse definitivamente nel 1614. Sebbene né l’imperatore né il papa facessero parte della Lega Cattolica, Massimiliano di Baviera ottenne la protezione spagnola per i propri propositi. Dopo la morte di Enrico IV, i protestanti, per parte loro, ottennero aiuti dall’Inghilterra e dalla Svezia. In questo stato di guerra fredda, qualsiasi incidente avrebbe potuto scatenare un meccanismo di alleanze che avrebbe condotto a un’ecatombe. In queste circostanze, come membro del casato d’Asburgo, l’imperatore di Germania Rodolfo II era anche re di Boemia. Sebbene di fede cattolica, il monarca diede ai propri sudditi boemi una Lettera di Maestà nel 1609, che concedeva determinanti diritti religiosi ai protestanti. L’applicazione di queste garanzie fu molto discussa e riuscì solo ad aumentare le tensioni confessionali in Boemia. Questo peggioramento dei conflitti fu particolarmente importante con l’ascesa al trono, nell’anno 1612, di Mattia I, che appoggiò decisamente la politica controriformista del proprio cancelliere, il cardinale Melchior Khlesl. L’imperatore Mattia nominò come successore il cugino Ferdinando, duca di Stiria, un cattolico intransigente, definito dai ribelli protestanti «l’uomo dei gesuiti». Ferdinando fu riconosciuto re di Boemia nel 1617 e di Ungheria nel 1618. Durante questo biennio il suo atteggiamento fu relativamente accomodante, a causa della sua mancanza di potere militare ed economico. Tutto cambiò nel 1619 quando divenne imperatore. A partire da quel momento, i progetti di Ferdinando II, monarca del Sacro impero romano germanico (1619-1637) furono caratterizzati da una militanza cattolica decisamente estremista. I suoi principi furono la lotta a oltranza contro ogni variante del Protestantesimo, anche se non rinunciò a rinforzare la propria autorità effettiva, motivo per cui dispiegò un programma di centralizzazione sovrana dei propri possedimenti ereditari (Austria e ducati alpini) come anche delle proprie corone elettive (Boemia e Ungheria).
La scalata verso il conflitto Nonostante i tentativi di riappacificazione, i conflitti finirono per scoppiare in una delle zone più sensibili dell’Europa. La guerra che si scatenò in Boemia e nel Palatinato fu il detonatore di un sanguinoso conflitto che avrebbe portato in guerra tutta l’Europa per trent’anni. Le ostilità avrebbero attraversato diverse fasi.
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La defenestrazione dei governanti di Praga La Lettera di Maestà di Rodolfo II del 1609 riappacificò solo momentaneamente gli animi tra protestanti e cattolici in Boemia. La tensione tra i due gruppi scoppiò nel 1617 con l’incoronazione di Ferdinando II come sovrano del regno. Il 23 maggio del 1618, un gruppo di nobili protestanti entrò nel castello di Praga e gettò dalla finestra due alti funzionari imperiali del governo di Boemia, i cattolici Jaroslav Borita di Martinic e Vilém Slavata di Chlum, e un copista. I tre sopravvissero alla caduta grazie a un mucchio di sterco, ma questo non impedì che l’atto fosse considerato una provocazione al potere reale, come le due defenestrazioni già avvenute nella capitale ceca, nel 1419 e nel 1483, entrambe nel segno delle guerre hussite. Ma i ribelli non si accontentarono di questo: nello stesso giorno, mentre inviavano una lettera a Vienna nella quale affermavano che il loro atto non era contro l’imperatore, espulsero dal municipio della Città Nuova di Praga i consiglieri comunali fedeli agli Asburgo. Inoltre, un giorno più tardi, le classi protestanti riunite in assemblea elessero un nuovo governo. Lo stesso che, nell’anno 1619, avrebbe incoronato Federico V del Palatinato re di Boemia. Nell’immagine, incisione basata su un olio di Wenzel von Brozik sulla defenestrazione di Praga.
SPLENDORE BAROCCO (pag. 19). La Chiesa di
San Nicola in Malá Strana, a Praga, è considerata una delle opere maestre dell’architettura religiosa barocca in Europa. Concepita da Kryštofy Kilián Ignác Dientzenhofer, fu eretta quando la città fu ricostruita nella seconda metà del XVIII secolo, in coincidenza con i cambiamenti politici che seguirono la battaglia della Montagna Bianca, il ritorno della ribelle Boemia al Cattolicesimo e l’instaurazione del potere monarchico. 20
Al di là dei conflitti puntuali, il panorama europeo delle due prime decadi del XVII secolo fu caratterizzato da un apparente predominio della pace. Pian piano, le grandi potenze avevano trovato soluzione ai conflitti principali mediante tregue bilaterali. Oltre ai trattati firmati dalla monarchia ispanica con Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, l’imperatore e il sultano ottomano, Ahmed I, firmarono una tregua nel 1606, Danimarca e Svezia un’altra nel 1613, e Svezia e Russia lo fecero nel 1617. Nel 1618 sembrava imminente la firma dei trattati di pace tra Svezia e Polonia e tra Polonia e Russia. Si trattò però sempre di soluzioni provvisorie, di scarsa efficiacia. La politica di intransigenza religiosa praticata da Ferdinando II polarizzò le fazioni confessionali in Boemia e nell’impero, ma generò anche la sfiducia in potenze come Francia, Danimarca o Svezia, che videro nelle ambizioni centraliste dell’imperatore la configurazione di una grande potenza cattolica vincolata agli Asburgo e che si sommava all’egemonia rappresentata dalla monarchia ispanica. Arrivò un momento in cui queste tensioni non
poterono giungere a una soluzione soddisfacente a livello locale. Come scrisse un agente degli Stati generali delle Province Unite nel 1619: «La guerra boema deciderà il destino di tutti noi».
Guerra in Boemia e nel Palatinato Nel giugno del 1617, l’arciduca Ferdinando fu proclamato re di Boemia. Fedele ai suoi progetti di ricattolicizzazione ispirati alla propria formazione gesuita, tra le sue prime misure di governo decise di annullare la concessione delle libertà religiose a favore dei sudditi protestanti che Rodolfo II aveva invece stabilito nell’anno 1609. Tuttavia furono soprattutto le misure di rinforzo del suo potere sovrano nei confronti degli aristocratici boemi a incontrare il più forte rifiuto da parte della nobiltà. Le dispute religiose e politiche portarono allo scoppio di una ribellione dei Boemi stessi, contro il proprio monarca. Nel 1618, i governatori cattolici della città di Praga furono gettati da una finestra nel fossato del palazzo (la famosa terza “defenestrazione” di Praga). L’affronto al monarca segnò l’inizio della
RIPERCUSSIONI DELLA DEFENESTRAZIONE. La notizia della terza
defenestrazione di Praga si propagò come un lampo per tutta Europa, cattolica e protestante. L’ambasciatore spagnolo a Vienna, per esempio, si affrettò a inviare alla corte di Madrid missive che trasudavano panico di fronte all’improvviso peggioramento della situazione in Boemia. Nel mondo protestante invece, la defenestrazione fu salutata con entusiasmo e non tardò a occupare le pagine di gazzette, pamphlet e almanacchi popolari. Sopra, pagina della gazzetta Warhafftige Zeitung, stampata nello stesso anno 1618, con un’immagine della defenestrazione di Praga.
rivolta. I ribelli nominarono 30 membri che subito cercarono l’aiuto dei principi protestanti. Ferdinando fu eletto imperatore nel 1619, come successore di Mattia. I ribelli boemi si rifiutarono di riconoscerlo come re e nominarono al suo posto l’elettore del Palatinato, che salì al trono come Federico V (1619-1620). Il cosiddetto “re di un inverno”, così soprannominato poiché governò da novembre del 1619 a novembre del 1620, fu un calvinista che si era già fatto notare come dirigente dell’Unione protestante, ma che si vide superato dalla radicalità sociale dei propri sudditi. Praga cadde subito nelle mani dei rivoltosi, che immediatamente concentrarono le proprie forze verso Vienna, con l’obiettivo di assediarla. Nel frattempo, i principi luterani dell’impero restavano in attesa, senza decidersi a intervenire. Anche il duca di Sassonia, marcatamente anticalvinista, appoggiava l’imperatore cattolico. Accanto all’imperatore Ferdinando II si allinearono il papato, la monarchia ispanica, la Polonia e la Lega Cattolica tedesca. Con questo
schieramento, nel 1620, vicino a Praga, si verificò un evento bellico decisivo. Il conte di Tilly, Johann Tserclaes, conosciuto come il “Monaco con l’armatura”, ottenne la vittoria cattolica della Montagna Bianca. Dopo una battaglia durata solo due ore, i ribelli boemi furono dispersi, mentre il Palatinato veniva invaso e smembrato. Tutto il resto della Boemia e della Moravia fu occupato senza incontrare resistenza. Le conseguenze della schiacciante vittoria cattolica a seguito della battaglia della Montagna Bianca furono molto importanti. L’imperatore trasformò la Boemia in un proprio Stato patrimoniale, la cui corona divenne ereditaria in seno alla dinastia d’Austria, senza che in futuro fosse necessario il beneplacito della Dieta, ovvero il parlamento territoriale. Inoltre Ferdinando strappò con le proprie mani la Lettera di Maestà e riprese con fermezza la persecuzione dei calvinisti. I pastori luterani e i loro seguaci furono espulsi oppure incarcerati, mentre i frati gesuiti furono reintegrati nei centri di culto e nelle scuole di teologia. 21
IL TRIONFO CATTOLICO: LA MONTAGNA BIANCA
L’
8 novembre dell’anno 1620, quando le campane dell’orologio della cattedrale di San Vito di Praga suonavano mezzogiorno, cominciava su di una collina nei dintorni della città una battaglia decisiva per il destino della Boemia: quella della Montagna Bianca. In essa si scontrarono l’esercito delle fazioni protestanti, formato da mercenari di diversa provenienza, e quello dell’imperatore cattolico Ferdinando II. La vittoria dei secondi, ottenuta secondo la tradizione grazie al miracoloso intervento dell’immagine della Vergine della Vittoria, fu totale e significò la fine della rivolta protestante in Boemia. Non solo: il regno perse la propria indipendenza e divenne un altro territorio del patrimonio ereditario degli Asburgo. Come tale, l’imperatore si vide libero di portare avanti un programma che combinava repressione politica e riorganizzazione cattolica. Così, i leader dell’insurrezione che non riuscirono a scappare all’estero furono imprigionati e 27 di loro furono decapitati a Praga il 21 giugno del 1621. Allo stesso tempo, il tedesco si impose come lingua ufficiale in Boemia, si abolì la tolleranza religiosa e si obbligarono gli abitanti del regno a convertirsi alla fede cattolica. Nell’immagine, olio conservato nella Chiesa di santa Maria della Vittoria (Roma), che rappresenta la battaglia della Montagna Bianca.
Montagna Bianca
Praga
Anhalt
Thurn
a ldav e Mo m u i F
Bucquoy
Tilly Truppe cattoliche Ribelli boemi
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5
UNA SCONFITTA ANNUNCIATA Anche se la posizione delle truppe protestanti nella parte alta del colle avrebbe dovuto favorire la difesa, tutta una serie di circostanze faceva presagire la sconfitta: i loro soldati erano arrivati affaticati e demoralizzati dopo un precedente scontro a Rakovník; inoltre, il loro numero era sensibilmente inferiore a quello del ben sperimentato esercito cattolico (20.000 contro 29.000). Questo bloccò la via verso Praga e concentrò l’attacco sul corpo centrale ceco, che poté resistere solo due ore, mentre la cavalleria ungherese e i reggimenti del conte di Thurn fuggivano allo sbando. Quando i 3000 cavalieri del principe di Transilvania arrivarono sul campo di battaglia per soccorrere la fazione protestante, le sorti della battaglia erano già decise. Quel giorno, circa 5000 protestanti e 1.000 cattolici persero la vita.
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1 LA MONTAGNA BIANCA.
2 L’ESERCITO CATTOLICO.
3 L’ESERCITO PROTESTANTE.
Ancora oggi, un semplice tumulo di pietra ricorda che su questa collina, situata presso uno dei limiti settentrionali di Praga, ebbe luogo nel 1620 la battaglia della Montagna Bianca (in ceco Bílé Hore).
Le milizie cattoliche erano integrate dai soldati del Sacro impero romano germanico, diretto dal conte di Bucquoy, e dalla Lega Cattolica, agli ordini del conte di Tilly.
Comandato dal principe Cristiano di Anhalt, era integrato da mercenari cechi, ungheresi e tedeschi e da alcuni piccoli contingenti provenienti da Inghilterra e Paesi Bassi.
4 LA CAVALLERIA IMPERIALE.
5 GROVIGLIO DI PICCHE.
6 LA CITTÀ DI PRAGA.
Si trattava di un corpo internazionale in cui si trovavano reggimenti provenienti dall’Italia. Uno di questi, inviato dal granduca di Toscana, era guidato da Ottavio Piccolomini, duca di Amalfi.
Grazie all’esperienza accumulata sui campi di battaglia dei conflitti delle Fiandre e dell’Italia, i battaglioni spagnoli agli ordini di Tilly e Bucquoy si fecero notare per la partecipazione alla battaglia della Montagna Bianca.
Una volta saputo della sconfitta protestante, la capitale ceca si arrese senza resistenza all’esercito imperiale. Federico V, il re di un inverno, fuggì e la Boemia perse la propria indipendenza fino al 1918. 23
LA GUERRA DEI TRENT’ANNI
L’ambizione e il genio militare del generale Albrecht von Wallenstein Il 25 luglio del 1625, Ferdinando II nominò generalissimo un ambizioso nobile ceco, Albrecht von Wallenstein. A capo di un esercito di mercenari pagati di tasca propria, la sua campagna in Sassonia ebbe tanto successo che finì per trasformarlo in una figura troppo potente e scomoda per l’imperatore, che lo sollevò dall’incarico nel 1630 e lo fece assassinare quattro anni più tardi. Nato nel 1593 in seno a una scialba famiglia nobile ceca, fin da giovane Wallenstein mostrò una grande ambizione. Pur essendo cresciuto con un’educazione luterana, nel 1606 si convertì al Cattolicesimo per fare carriera nell’esercito imperiale. Il matrimonio nel 1609 con una ricca vedova e la sua abilità nell’impossessarsi di parte delle proprietà dei nobili cechi giustiziati dopo la sconfitta della Montagna Bianca del 1620, ne fecero uno dei personaggi più ricchi di Boemia. Tanto che poté proporre all’imperatore la creazione di un esercito personale per lottare al fianco delle armi cattoliche. Fu così che nel 1625 Wallenstein divene generalissimo dell’impero fino alla sua sospensione nel 1630. Due anni più tardi, Ferdinando II tornò a rivolgersi a lui, ma i sospetti di tradimento spinsero l’imperatore a decretarne la morte. Anche se Wallenstein si diede alla fuga, fu assassinato a Cheb il 25 febbraio del 1634. Nell’immagine, statua in bronzo di Wallenstein nei giardini del palazzo che porta il suo nome a Praga.
Il Palatinato rimase a sua volta diviso e sottomesso al dominio spagnolo e bavarese. Verso il 1623, la causa cattolica difesa dall’imperatore sembrava avere trionfato definitivamente nel Sacro romano impero germanico. La nuova riorganizzazione territoriale favorì i principi cattolici, che aumentarono notevolmente la propria presenza nel corpo degli elettori imperiali. Massimiliano di Baviera ottenne il titolo di elettore e si dedicò completamente al Palatinato, dopodiché cominciò una campagna di ricattolicizzazione a oltranza dei suoi nuovi domini. Nel 1621, l’arrivo al potere del conte-duca di Olivares e l’inizio di una politica aggressiva e bellicista da parte della monarchia ispanica, che riprese la guerra contro le Province Unite e fece aumentare l’inquietudine tra le potenze protestanti. In ambito imperiale, alcuni principi protestanti cercarono di unirsi tra loro e, soprattutto, di cercare appoggi esterni. In realtà, i rancori della guerra tra cattolici e protestanti erano lungi dal sopirsi. Alcuni capi e mercenari protestanti, come Ernst von Mansfeld, il feroce Christian di 24
Brunswick o Georg Friedrich I di Baden-Durlach, capeggiarono squadre armate che isolarono il territorio tedesco e non diedero tregua ai presunti vincitori cattolici.
L’intermezzo danese Il re di Danimarca Cristiano IV finì per diventare il grande protettore del partito protestante. Luterano e principe dell’impero (in qualità di duca di Holstein), alle proprie convinzioni religiose aggiunse l’interesse dinastico per essere diventato erede dei territori secolarizzati dei vescovadi tedeschi situati tra i fiumi Elba e Weser. A livello regionale, questo significava mettersi davanti alle ambizioni di egemonia sul Mar Baltico della corona di Svezia, la grande rivale della Danimarca nella zona. Dietro la belligeranza del monarca danese c’erano anche gli incitamenti di Inghilterra e Province Unite, come anche le garanzie diplomatiche degli agenti francesi del cardinale Richelieu. Ma Cristiano IV intraprese la propria campagna nell’impero senza tener conto dei cambiamenti avvenuti sul terreno militare all’interno della fazione cattolica. L’esercito imperiale si era rinforzato grazie alla figura di Albrecht von Wallenstein, un nobile ceco convertito al Cattolicesimo. La sua destrezza militare gli valse ricompense da parte dell’imperatore. Nel 1621, i feudi di Wallenstein in Boemia settentrionale furono elevati alla categoria di principato e, poi, di ducato. Il nuovo duca di Friedland fu un autentico impresario di guerra. Con il suo aiuto, l’imperatore Ferdinando II non dovette più dipendere in esclusiva dalle truppe della Lega Cattolica, cioè dalle truppe dei principi che nonostante fossero cattolici volevano preservare la propria ampia autonomia politica. Wallenstein si impegnò a procurare 20.000 soldati mercenari, per i quali fornì vitto e alloggio di tasca propria. Questo potente esercito, che di fronte alla necessità si riforniva sul campo tramite rapine e saccheggi, permise alla fazione cattolica di aumentare la propria efficacia – le diserzioni erano poco frequenti e Wallenstein arrivò a prevederle per pianificare le sostituzioni nei suoi piani di reclutamento – e ottenne un buon numero di successi. Dopo la sconfitta delle truppe di Cristiano IV a Lutter (1626), l’esercito imperiale occupò i territori danesi di Holstein, Schleswig e Jutland, oltre a sottomettere i possedimenti dei duchi di Meclemburgo e Pomerania. Come risultato immediato delle vittorie cattoliche, Ferdinando II dispose il cosiddetto Editto di Restituzione del 1629, pietra miliare della politica religiosa dell’impero, dato che cercò di ristabilire lo stato di cose vigente quasi un secolo prima. Tutti territori che erano stati confiscati alla
Chiesa cattolica dall’Editto di Passau del 1552 dovevano esserle restituiti, inclusi più di un centinaio di monasteri e fondazioni. Inoltre, solo i Protestanti che avevano aderito alla Confessione di Augusta (Confessio Augustana), redatta nell’anno 1530, avrebbero potuto proseguire nell’esercizio della libertà di culto, mentre i restanti credo sarebbero stati considerati “sette” e le loro congregazioni sarebbero state sciolte. L’editto fu promulgato unilateralmente dall’imperatore, senza consultare il parlamento imperiale; la decisione provocò il rifiuto anche di diversi principi cattolici, come il duca di Baviera. L’Editto di Restituzione fu rigorosamente applicato dalle truppe della Lega Cattolica comandate dal conte di Tilly e da Albrecht von Wallenstein. Due mesi dopo, il 29 maggio del 1629, la Pace di Lubecca segnò il termine dell’intervento danese nella guerra dei Trent’anni. Cristiano IV abbandonò i propri alleati protestanti in cambio del recupero dei territori danesi occupati dalle truppe imperiali. I domini del ducato di Meclemburgo passarono al generale Wallenstein. La
pace sembrava conclusa, al punto che l’imperatore cedette alle pressioni che provenivano dalla parte della fazione cattolica – specialmente del cosiddetto partito di Baviera – e nell’assemblea elettorale di Ratisbona (Regensburg), celebrata nel 1630, ordinò l’esonero del potente Wallenstein e il licenziamento di gran parte delle sue truppe, che si erano guadagnate un’orribile fama di saccheggiatori fanatici. Da quel momento, tutte le forze cattoliche di Germania passarono sotto gli ordini del conte di Tilly.
La guerra totale Nel giugno dell’anno 1630, il re svedese Gustavo II Adolfo sbarcò sulle coste di Pomerania e aprì le ostilità. La Svezia si alzò pubblicamente in difesa della fazione protestante e fece valere la parentela del monarca svedese con i deposti duchi di Meclemburgo. Alle spalle di questi argomenti congiunturali c’era il disegno svedese di costituirsi come una grande potenza baltica, scopo per cui era necessario ottenere possedimenti in Pomerania e Prussia, nell’Europa continentale.
CRISTIANO IV. Ritratto
equestre del monarca danese (ca. 1640) attribuito a Karel van Mander III (Castello di Rosenborg, Copenhagen). Il suo regno, fino a oggi il più lungo della storia di Danimarca (59 anni), si distinse per le riforme militari ed economiche e soprattutto per l’impulso al commercio marittimo, che diede inizio all’espansione imperiale danese.
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LA GUERRA DEI TRENT’ANNI
BATTAGLIE DELLA GUERRA DEI TRENT’ANNI 1620
La Montagna Bianca. Le truppe imperiali cattoliche sconfiggono quelle dei protestanti cechi ed entrano a Praga. La Boemia perde la propria indipendenza. 1626
Lutter. Il conte di Tilly, della Lega Cattolica, sconfigge il re danese Cristiano IV, che perde l’appoggio dei principi del nord della Germania. 1632
Lützen. Gli Svedesi, che avevano vinto a Breitenfeld l’anno precedente, ottengono una vittoria di Pirro, dato che perdono il loro re Gustavo II Adolfo. 1643
Rocroi. La Spagna cerca di invadere la Francia dalle Fiandre, ma le sue truppe sono sconfitte dalla cavalleria gallica al comando del duca di Enghien. 1645
Jankov. Grazie all’efficacia della loro artiglieria, gli Svedesi annientano l’esercito imperiale in una delle battaglie più sanguinose della guerra. 1648
Lens. L’ultima grande battaglia della guerra ha luogo in suolo belga e vede una nuova vittoria dell’esercito francese sulle truppe spagnole.
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La Svezia aveva firmato anche un trattato di aiuto con la Francia del cardinale Richelieu, una potenza che si trovava sempre più implicata nel ginepraio tedesco per via del suo conflitto con la monarchia ispanica. La Francia concesse alla Svezia un sussidio annuale di 1 milione di lire in cambio dell’impegno del re Gustavo Adolfo a rispettare il culto cattolico nei territori imperiali che cadevano in suo potere. Nel maggio dell’anno 1631, dopo aver preso Magdeburgo, il monarca svedese ricevette l’appoggio di tutti i principi protestanti, con gli elettorati di Sassonia e Brandeburgo come alleati di spicco. Tra il giugno del 1631 e il novembre del 1632, le truppe svedesi furono inarrestabili. La “grande marcia” si vide facilitata dallo spirito di combattimento degli Svedesi, fervidi protestanti, che potevano ascendere dalla categoria di soldati semplici fino alle gerarchie superiori. In questo modo erano garantite la loro fedeltà e l’immediata riorganizzazione dei reggimenti in caso di morte degli ufficiali. Gustavo Adolfo introdusse come novità l’uniforme militare e dotò i propri soldati di giubbotti di pelle di agnello per resistere al freddo. L’entità delle truppe era impressionante. La colonna di fanteria disponeva di due reggimenti di più di 2000 uomini, dei quali 1100 erano armati di moschetti e 900 di picche. Gli Svedesi riformarono anche l’artiglieria, fabbricando cannoni più leggeri che permettevano di guadagnare agilità e dinamicità nei combattimenti. Questa serie di novità spiazzò il nemico durante i primi combattimenti. In questo modo, nel settembre del 1631, il conte di Tilly fu sconfitto a Breitenfeld e la linea del fiume Elba cadde nelle mani degli Svedesi. Un anno più tardi, anche il leggendario condottiero Wallenstein, che aveva recuperato le proprie mansioni militari, fu sconfitto dagli Svedesi a Lützen, vicino a Lipsia nel novembre del 1632. Il re Gustavo II Adolfo però perse la vita in questa battaglia. Durante il 1633, questa perdita provocò lo scioglimento irrimediabile della coalizione protestante, nonostante gli sforzi della diplomazia francese per mantenere la pressione contro gli Asburgo. Il cancelliere svedese Axel Oxenstierna a fatica riuscì a mantenere in vita i grandi progetti del defunto monarca. L’elettore di Brandeburgo impose condizioni inaccettabili per mantenere il protettorato svedese, mentre l’elettore di Sassonia iniziò apertamente a condurre le trattative di pace con l’imperatore per ottenere un trattato sfavorevole per gli Scandinavi. Nella fazione cattolica, Wallenstein si trasformò in un pericoloso problema interno quando pretese di salire al trono di Boemia. Si inimicò cattolici e protestanti e prese parte a svariati in-
Centro Europa: un campo di battaglia devastato Quella che era iniziata nel 1618 come una ribellione in uno dei territori dell’impero, la Boemia, divenne in poco tempo un conflitto che, anche se localizzato in centro Europa, interessava l’intero Vecchio continente. Nel 1628, Gustavo Adolfo di Svezia affermò che “tutte le guerre attive in Europa si sono fuse e trasformate in una sola”. Ed era proprio così: anche se la rivolta boema fu repressa nella battaglia della Montagna Bianca, il conflitto tra cattolici e protestanti finì per generalizzarsi con l’ingresso in scena di altri attori. In appoggio dei secondi intervennero, oltre agli Inglesi e agli Olandesi, i Danesi a partire dal 1625 e gli Svedesi del 1630, ai quali finì per unirsi, già verso il termine del conflitto, la Francia; in questo caso non si trattava di questioni di credo (era cattolica), ma della sua rivalità personale con gli Asburgo dell’impero e di Spagna. Quest’ultima, naturalmente, partecipò nella fazione cattolica, alla quale aggiunse soldati provenienti da Italia e Fiandre. Il centro Europa, che fin dal principio fu lo scenario principale delle operazioni, fu raso al suolo, non solo dal passaggio degli eserciti, ma anche dalla fame e dalle epidemie.
trighi insieme agli avversari dell’imperatore. Di conseguenza, Ferdinando II lo sollevò dai suoi incarichi militari e lo fece assassinare nel febbraio dell’anno 1634. Nonostante la scomparsa del grande generale, i cattolici vinsero sugli Svedesi a Nördlingen nel settembre del 1634. Le negoziazioni di pace si attivarono nel maggio dell’anno seguente, sotto la guida dell’elettore di Sassonia. Gli accordi preliminari di Pirna, che furono confermati nel maggio dell’anno 1635 a Praga, stabilirono il mantenimento della Pace di Augusta, alleggerirono gli obblighi dell’Editto di Restituzione e stabilirono un’amnistia generale che passò dallo scioglimento delle leghe. Nei mesi successivi, tutti i principi tedeschi aderirono ai termini della pace sancita. Ma la guerra in Germania aveva smesso di essere un tema esclusivamente regionale ormai da anni. La riconciliazione germanica accordata a Pirna e Praga non risolveva le aspirazioni francesi e spagnole. Dalla corte di Filippo IV, il primo ministro Olivares era impegnato in una guerra senza tregua contro le Province Unite e conside-
Copenhagen
Mar Baltico
REGNO DI DANIMARCA
Mare del Nord
Königsberg
PRUSSIA Danzica
Stralsund (1628)
Holstein Lubecca (1629) E
Brema
PROVINCE UNITE Amsterdam Stadtlohn (1623)
Le Dune (1639) Dunkerque (1646)
Lille
Bruxelles
Paesi Bassi Spagnoli
Corbie (1636) Se
Parigi
Orléans
Reims
REGNO DI FRANCIA
Saint-Jean-de-Losne
Bourges (1636)
Borgogna
Magonza
Metz
Wimpfen (1622)
Nördlingen (1634 y 1645)
Norimberga
Ulm (1620)
Breisach (1638)
Breslavia
Glotz
Torino
REGNO DI UNGHERIA
AUSTRIA Linz
D an u b
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Vienna
Neuhäusel (1626)
Buda
Tirolo
Carinzia
REPUBBLICA DI VENEZIA
Carniola
Milano
DUCATO DI MILANO
rava imprescindibile un rinforzo spagnolo delle posizioni in Renania. Alla corte francese, Richelieu si allarmò per il successo diplomatico degli accordi di pace imperiali. Per il cardinale era giunto il momento di dichiarare una guerra aperta contro gli Asburgo. Agli inizi dell’anno 1635, la Francia firmò trattati di alleanza con le Province Unite, Svezia e Savoia, mentre si assicurava sul campo i servizi militari del prestigioso Bernardo di Sassonia-Weimar, un vecchio luogotenente di Gustavo Adolfo. Il 19 maggio 1635, il re di Francia dichiarava ufficialmente guerra alla monarchia ispanica. Un anno dopo, l’imperatore dichiarava guerra a Luigi XIII. Gli scontri si protrassero per più di un decennio, anche se presto lo stato di guerra permanente lasciò posto alla ricerca continua di una pace. I diplomatici negoziavano nelle corti, i soldati combattevano sul campo di battaglia e il popolo soffriva sempre in modo terribile. Il 17 gennaio del 1647, un’annotazione scritta a mano su una Bibbia lasciò testimonianza di una situazione ambigua e dolorosa: «Dicono che la terri-
Venezia
Pest
IMPERO OTTOMANO
Innsbruck
CONFEDERAZIONE ELVETICA DUCATO DI SAVOIA
Cracovia
Moravia
Stiria
Zurigo
Slesia
Boemia
Montagna Bianca Jankov (1620) (1645)
Monaco
Besançon
Franca Contea
de r
a tol Vis
Praga (1635)
Baviera Augusta
Friburgo in Brisgovia (1644)
Varsavia
Dresda
Ratisbona
Strasburgo
Toul
Ginevra Clermont Lione
O
Sassonia
Lützen (1632)
Basso Palatinato Verdun
REGNO DI POLONIA
Francoforte sull’Oder
Alto Palatinato
Treviri
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Berlino Dessau Breitenfeld (1626) (1631 y 1642)
Kassel Erfurt
Colonia
Visto la
o Ren
Lens (1648)
Magdeburgo (1631)
Lutter (1626)
Westfalia
Anversa
Torun’
Brandeburgo
Hannover Brunswick
Münster (1648)
Meclemburgo
o
L’Aia
Osnabrück (1648)
lba
Pomerania
Gli Asburgo e i loro alleati Avversari degli Asburgo Limite del Sacro impero Offensive di Tilly e Wallenstein (1630-1632) Campagne di Gustavo Adolfo II di Svezia (1630-1632)
Offensive spagnole a partire dal 1636 Principali offensive francesi a partire dal 1636 Principali vittorie degli Asburgo e dei loro alleati Principali vittorie degli avversari degli Asburgo Principali trattati
bile guerra è terminata. Ma non si vedono segni di pace, solo di odio e di violenza. Questo è quello che abbiamo ottenuto dalla guerra [...]. Viviamo come animali, strappando l’erba coi denti [...]. Molti dicono che qui non c’è Dio».
Verso la pace sotto l’egida di Francia Le guerre divamparono in un’area molto vasta. Nell’impero, dai Paesi Bassi all’Italia e lungo i Pirenei, la Francia iniziò una feroce lotta contro i domini degli Asburgo. I suoi primi risultati furono contrari agli interessi di Richelieu, dato che la situazione economica delle casse dello Stato francese era pessima e le truppe evidenziavano importanti carenze nell’equipaggiamento e nella strategia. Nel 1636, gli Spagnoli presero l’iniziativa e riuscirono ad aprire due fronti in Piccardia e in Borgogna. Nell’agosto dell’anno 1636, il timore di un attacco di cavalleria spagnola su Parigi scatenò il panico nella capitale francese. Nel corso degli anni seguenti (1637-1642), la Francia e i suoi alleati riuscirono a riprendersi e ottennero notevoli successi.
LE MILIZIE DELLE PROVINCE UNITE (pag. 28-29). La compagnia del
capitano Reynier Reael e del luogotenente C. M. Blaeuw ad Amsterdam, conosciuto anche come La magra compagnia (per l’aspetto degli alabardieri che la componevano), è uno dei quadri più celebri del pittore olandese Frans Hals e fu dipinto tra il 1633 e il 1637, in piena guerra dei Trent’anni, anche se fu completato da Pieter Codde (Rijksmuseum, Amsterdam). 27
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Rocroi, un punto di flessione nella guerra Il 19 maggio del 1643, a Rocroi, ebbe inizio il declino dei corpi militari ispanici che avevano svolto un ruolo tanto brillante sui campi di battaglia europei che durava fin dai tempi dell’espansione e del mantenimento dell’impero spagnolo. La morte del cardinale Richelieu nel 1642 e l’uscita dalla scena politica del conte-duca di Olivares quasi due mesi più tardi, non portarono con sé alcun cambiamento nella bellicosa e aggressiva politica estera dei loro rispettivi regni, Francia e Spagna. Lontane dal cercare un dialogo di pace, le due monarchie continuarono il loro spropositato sforzo bellico che la quantità di fronti aperti rendeva impossibile gestire. Fu nel mezzo di questa spirale di guerra che, nel 1643, gli Spagnoli decisero di invadere la Francia dalle Fiandre nell’intento di alleviare la pressione militare degli eserciti francesi su una Catalogna sollevata in armi fin dal 1640. Senza dubbio, l’inevitabile sconfitta subita nella decisiva battaglia di Rocroi significò per la Spagna un punto di flessione nella guerra dovuto all’impossibilità futura di lanciare qualsiasi altra offensiva dei Paesi Bassi o di inviare rinforzi in quelle zone. A destra, panoramica della battaglia in un olio (1688) del pittore francese Sauveur Le Conte (Musée Condé, Chantilly).
In Alsazia, molte città si misero volontariamente sotto la protezione di Luigi XIII e di Bernardo di Sassonia-Weimar, che riuscì ad attraversare il Reno e a consolidare posizioni a Brisach nel 1638. La morte del generale tedesco l’anno seguente permise alla Francia di contenere le truppe tedesche e di amministrare l’enclave di Brisach e la maggior parte dell’Alsazia. I famosi generali francesi Turenne ed Enghien presero l’iniziativa. Nello scenario delle Fiandre, l’alleanza tra Francia e Paesi Bassi permise la penetrazione francese in Artois e la presa di Arras nell’agosto del 1640. Sul fronte dei Pirenei furono prese le principali roccaforti del Rossiglione, mentre le truppe francesi istituivano un protettorato sulla Catalogna sollevata contro Filippo IV. Sul fronte della Germania, il nuovo imperatore Ferdinando III tornò a scontrarsi con gli Svedesi, che invasero Slesia e Boemia, imponendosi militarmente sulle truppe imperiali nel 1642. Nel giro di pochi mesi scomparvero i due grandi leader della guerra a oltranza. Il 4 dicembre 1642, il cardinale Richelieu morì a Parigi. Nel 30
gennaio del 1643, il conte-duca di Olivares cadde in disgrazia presso la corte di Filippo IV. A questo punto, l’esaurimento dei contendenti era diventato generale, anche se la morte di Richelieu spinse i cattolici a lanciare una grande offensiva finale, rivolta verso la città di Parigi. Nonostante tutto ciò, il 19 maggio 1643 il giovane duca di Enghien (che nel 1646 ottenne il titolo di principe di Condé) riuscì a sconfiggere a Rocroi il potente esercito imperiale di 25.000 soldati. I settori spagnoli persero in questa battaglia la loro leggendaria fama di invincibili. Anche se nel maggio 1643 morì Luigi XIII, il cardinale Mazarino, il nuovo uomo forte della corte francese, mantenne le direttrici belliciste di fronte alle speranze di pace delle corti di Vienna e di Madrid. In Germania, Turenne ed Enghien sconfissero le truppe imperiali a Friburgo di Brisgovia (1644) e Nördlingen (seconda battaglia, nel 1645). Nel 1646, il visconte di Turenne, già divenuto maresciallo di Francia e con l’appoggio dell’esercito svedese, invase la Baviera. La situazione disperata obbligò il duca di Baviera a fir-
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Truppe francesi Truppe spagnole
LA STRATEGIA DEL PRINCIPE DI CONDÉ. Il 19 maggio 1643 a Rocroi, si scontrarono gli eserciti francese e spagnolo. Il primo era costituito da 23.000 soldati ed era diretto da Luigi II di Borbone-Condé, duca di Enghien, e il secondo, di circa 25.000 uomini, era sotto il comando di Francisco de Melo, governatore dei Paesi Bassi. La sorte della battaglia fu presto decisa grazie all’azione della cavalleria francese, che sbaragliò il fianco sinistro spagnolo difeso dalla cavalleria e si abbattè, sia da questo lato sia sulla retroguardia, su squadre che a malapena poterono resistere alla loro spinta.
mare un armistizio temporaneo con la Francia nel marzo del 1647. Ciò nonostante, qualche mese dopo fu la stessa Baviera a riprendere le armi e a provocare una nuova invasione del ducato da parte delle truppe franco-svedesi. Questo esercito misto, vincitore nel maggio dell’anno 1648 a Zusmarshausen, vicino ad Augusta, marciò contro Vienna. Intanto, le truppe svedesi invasero la Boemia e presero la città di Praga. Solo le notizie della pace di Westfalia (nome con cui si conoscono i trattati di Osnabrück e Münster, firmati il 15 maggio e il 24 ottobre dell’anno 1648) trattennero un’offensiva finale organizzata contro la capitale austriaca. Negli stessi anni, sul fronte spagnolo, la guerra ebbe una sorte diversa. In Italia, dove una rivolta a Napoli aveva dato motivi di intervento a Mazarino e nella Catalogna sollevata contro Filippo IV, i Francesi non ottennero vittorie decisive. Nei Paesi Bassi, al contrario, Condé ebbe una serie di vittorie nella zona marittima delle Fiandre tra il 1645 e il 1648. Alcune di proporzioni epiche, come quella della battaglia di Lens
(1648), nella quale si impose su un esercito spagnolo molto superiore in numero, nonostante le truppe olandesi si fossero ritirate in seguito alla firma separata di un’ulteriore pace fra la monarchia ispanica e le Province Unite. Poche settimane più tardi, la Francia avrebbe firmato anche la Pace di Westfalia.
La Pace di Westfalia Una donna anonima che aveva seguito gli eserciti per anni esclamava nel 1648: «Sono nata durante la guerra, non ho casa, paese né amici… La guerra è tutto ciò che ho. E adesso, dove andrò?». La Pace di Westfalia mise fine a un conflitto che aveva colpito tutta una generazione di europei fino all’estremo di far credere loro che la guerra fosse lo stato normale dell’esistenza. I trattati cercarono di mettere fine a una lotta devastatrice, ma non riuscirono a chiudere le orribili ferite inflitte da decenni di guerra. Anche se si tende a ricordare solo la data del 1648, le negoziazioni si prolungarono per più di quattro anni. Le condizioni furono accettate sin 31
LA GUERRA DEI TRENT’ANNI
LA PACE DI WESTFALIA.
Moneta commemorativa coniata nel 1648 in occasione della firma della Pace di Westfalia, che mise fine alla guerra dei Trent’anni dopo difficili negoziazioni che si prolungarono per quattro anni. I tre lunghi decenni di continue guerre, con il centro Europa come campo di battaglia, lasciarono un continente devastato e ampie regioni praticamente spopolate.
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dal 1641 dall’imperatore, da Francia e da Svezia, ma di fatto le negoziazioni non iniziarono fino al 1644. Gli ambasciatori imperiali tennero riunioni con i rappresentanti francesi e svedesi a partire dal 1643 e nonostante le reticenze dell’imperatore finirono per negoziare. Nell’anno 1644, con la mediazione del nunzio papale, si riunirono a Münster i rappresentanti dell’imperatore, dei principi e delle principali città dell’impero, dei re di Spagna e di Francia, dei cantoni svizzeri, delle Province Unite e addirittura alcuni legati provenienti da diversi Stati italiani. Nella città di Osnabrück si discussero temi relativi alla Svezia e all’impero. Le negoziazioni si prolungarono eccessivamente, senza giungere ad accordi sostanziali. Nel gennaio del 1648, però, la monarchia ispanica segnò un punto di flessione firmando una pace separata con le Province Unite. Vi si riconosceva la sua indipendenza e le venivano concessi vantaggi commerciali sul fiume Schelda, oltre a diversi territori nelle Fiandre (in aggiunta alle fortezze di Berg-op-Zoom, Breda e Maastricht) e ad alcune piazze mercantili oltremare. La monarchia ispanica chiuse così un fronte militare e poté concentrare i propri sforzi nella guerra contro la Francia. Gli alleati tradizionali della Spagna, gli Asburgo di Vienna, sotto la pressione dei loro alleati tedeschi, in particolare del duca di Baviera, firmarono la pace con Francia e Svezia il 24 ottobre 1648. I termini dei trattati della Pace di Westfalia furono una conferma del fallimento delle ambizioni degli Asburgo di Vienna e della vittoria della politica francese. L’imperatore Ferdinando III dovette arrendersi alla divisione religiosa dell’impero germanico, come anche a un indebolimento della propria autorità. Le clausole della pace di Augusta furono confermate, anche se non favorivano solo i luterani, ma anche i calvinisti. Rispetto al problema delle secolarizzazioni si decise di riconoscere come perpetua la situazione esistente il 1 gennaio 1624. Questo implicò la perdita da parte dei cattolici di quelle restituzioni che avevano ottenuto in virtù dell’editto dell’anno 1629. In nome delle “libertà tedesche”, la Francia e i suoi alleati posero dei limiti ai poteri dell’imperatore. Si rinforzò la sovranità di circa 350 Stati tedeschi, che in futuro avrebbero potuto stabilire alleanze tra loro o con potenze straniere, anche se formalmente quelle alleanze che avrebbero danneggiato l’imperatore o la pace pubblica furono vietate. Il grado di autonomia raggiunto fu tale che anche la Dieta imperiale vide ridotti i propri poteri, con l’instaurazione di una specie di “anarchia costituente”. Ci furono cambiamenti nel collegio elettorale, che rimase composto da tre elettori protestanti di fronte
Westfalia: la fine di un conflitto interminabile Da quando cominciarono le conversazioni di pace a Münster nel 1644, dovettero passare altri quattro anni perché i contendenti mettessero fine a una guerra che aveva portato effetti devastanti nella società europea. Le negoziazioni di pace furono piene di particolari curiosi. A Münster, per esempio, c’era solo una camera ogni due delegati, ma questi avevano diritto a due o tre litri di vino a testa... Ciononostante, più che alla scomodità o all’alcol, la lentezza delle conversazioni fu dovuta particolarmente alla necessità di costanti consulti con i rispettivi governi, obbligo che generò una quantità di corrispondenza spaventosa. A ciò bisogna sommare le alterazioni provocate dallo stesso divenire di una guerra che non si fermava, a seconda di come la sorte favoriva l’una o l’altra fazione. La pace arrivò quindi col desiderio che fosse duratura: «Questa pace e amicizia sia osservata e coltivata con tale sincerità e zelo che ciascuna parte si sforzerà di procurare il beneficio, onore e vantaggio dell’altro». A destra, firma del Trattato di Münster secondo l’opera del pittore olandese Gerard ter Borch, datata 1648 (Rijksmuseum, Amsterdam).
a cinque di fede cattolica. Brandeburgo ricevette i vescovadi secolarizzati di Halberstadt e Minden, una grande porzione della Pomerania orientale e i diritti sull’arcivescovado di Magdeburgo. Con questa disposizione territoriale assumeva il controllo della navigazione media dei principali bacini fluviali tedeschi. Per quanto concerne i territori, la Francia ottenne Toul, Metz e Verdun e gran parte dell’Alsazia. Il re svedese raccolse i frutti delle vittorie di Gustavo II Adolfo e riuscì a impossessarsi della Pomerania occidentale e di parte di quella orientale. Il regno del Nord realizzò il proprio sogno di dominare la foce dei grandi fiumi tedeschi (Oder, Elba e Weser), grazie al controllo ottenuto sulle città di Stettino e Wismar, così come i vescovadi di Brema e di Verden. L’impero svedese si era stabilito sulle sponde del Mar Baltico. Svezia e Francia sarebbero state le potenze garanti degli accordi, cosa che permetteva loro di intervenire nei territori tedeschi. I trattati di Westfalia non significarono però la fine della guerra in Europa. Non misero fine alle
tensioni belliche nel Baltico né al continuo scontro tra la Francia e la monarchia ispanica. Come amara constatazione, la Boemia, che era stata la scintilla che aveva provocato la guerra, fu la grande sconfitta. Né cattolici né protestanti raggiunsero alcuno degli obiettivi iniziali. Anche se le testimonianze dell’epoca esagerarono il grado di distruzione provocato dalla guerra, alcune regioni della Germania restarono isolate. Il conflitto bellico, la fame e le malattie annientarono tre quarti della popolazione di Augusta; quattro quinti di quella di Wurtemberg e Turingia; ancora di più nel Palatinato. La Boemia, con circa quattro milioni di sudditi all’inizio delle ostilità, ne contava solo 800.000 alla firma della pace. Sicuramente, non tutti coloro che scomparvero in Boemia e in altre zone morirono. Gli spostamenti e la fuga delle popolazioni furono costanti. Più documentate, le distruzioni di infrastrutture e campi per colpa della guerra e dei furti affondarono l’economia di molti villaggi e città. La sofferenza psicologica si espresse attraverso visioni apocalittiche e la divulgazione di credenze sull’imminente fine del mondo.
La guerra dei Trent’anni fu l’ultima delle grandi guerre europee di religione. Dopo il 1648, le confessioni cristiane non riuscirono più ad avere un grado di influenza così determinante, come era stato fino a quel periodo, nelle decisioni politiche delle grandi potenze. Dopo tre decenni di feroci battaglie si erano prodotte trasformazioni decisamente sostanziali nel campo delle relazioni internazionali. Le monarchie ereditarie non potevano più dominare in esclusiva il continente. Le esperienze repubblicane in Inghilterra e nelle Province Unite consolidarono le identità politiche nazionali al di sopra dei credo religiosi. Allo stesso modo, i sovrani e i loro ministri si preoccuparono del potere a latere di qualsiasi opzione dottrinale. Il potere strategico del papato si spense inevitabilmente. In futuro non si sarebbe più trattato di difendere principi di diritto o religiosi, ma di guadagnare l’egemonia con il peso delle armi. Si impose definitivamente il concetto di pratica politica. Dietro a tutto ciò si trovava l’interesse a imporre la volontà della Francia del Re Sole, Luigi XIV. 33
AMSTERDAM, CAPITALE DELLE PROVINCE UNITE.
La piazza Damm di Amsterdam in un olio (1659) di Jacob van der Ulft (Musée Condé, Chantilly). Nella pagina accanto, stemma di Giacomo I in un azulejo del XVII secolo (Museo Britannico, Londra).
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L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO L’Inghilterra e le Province Unite sperimentarono violenti conflitti civili e dovettero guadagnarsi il proprio prestigio di fronte alle potenze tradizionali. Si trattò di una crisi di crescita e di consolidamento politico del loro potere economico su scala europea. Le Province Unite divennero il bazar del mondo, ma l’Inghilterra le avrebbe presto messe in ombra per quanto riguarda le attività di commercio marittimo e manifatturiero.
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el corso del XVII secolo, l’Inghilterra riuscì a conquistare il dominio marittimo in Europa. Lo fece in costante competizione con le Province Unite e con la Francia. Non fu una sfida da poco, dal momento che durante quest’epoca il Paese dovette affrontare due grandi rivoluzioni che presero la forma di guerre civili: la prima portò nel 1649 a un’esperienza repubblicana, dopo l’esecuzione di re Carlo I, e la seconda gettò le basi per la restaurazione assolutista e cattolica della dinastia degli Stuart nell’anno 1660. La dichiarazione dei diritti del 1686 riuscì a imporre un regime parlamentare fondato sulla tradizione patteggiatrice e
protestante dell’Anglicanesimo. Le origini di queste trasformazioni politiche così profonde si trovano nella fine del regno di Isabella I, che aveva rappresentato una tappa fondamentale dello splendore inglese. La sua scomparsa fu definita come quella del «sole più brillante che finisce per tramontare a Ovest» e sembrò stendere un’oscurità totale sul regno. Il regno della dinastia Stuart in Inghilterra era iniziato il 24 marzo 1603, alla morte della regina Isabella I. Poiché questa non aveva figli, l’evento segnò la fine del casato dei Tudor. Giacomo VI di Scozia, figlio della leggendaria regina Maria Stuarda, ascese al trono e riuscì a unire i 35
L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
La Congiura delle Polveri, un intento di regicidio fallito Nel 1605, un gruppo di cattolici capeggiati da Guy Fawkes cercò di far saltare in aria il palazzo di Westminster per uccidere non solo Giacomo I, ma anche una buona parte della nobiltà protestante lì riunita. La restaurazione del Cattolicesimo come religione ufficiale era il suo obiettivo. Sebbene battezzato cattolico dai suoi genitori – la regina Maria Stuart e il suo secondo marito, Lord Darnley – Giacomo VI di Scozia e I d’Inghilterra ricevette un’educazione calvinista conforme ai principi della Chiesa di Scozia. Per questo motivo, i cattolici non lo vedevano di buon occhio, nonostante nemmeno la relazione del re con la gerarchia presbiteriana fosse facile. Già nel 1588, l’anno in cui Filippo II inviò l’Invincibile Armata contro l’Inghilterra di Isabella I, Giacomo dovette reprimere una rivolta cattolica in Scozia. Ciò nonostante, il più ambizioso intento di compiere un attentato contro di lui si verificò due anni dopo la sua incoronazione come monarca inglese. Fu il 5 novembre 1605, a Londra, che i cattolici furono sul punto di far saltare in aria il re e il parlamento in quella che si conosce come la Congiura delle Polveri. Uno dei suoi membri, il soldato Guy Fawkes, fu scoperto in uno dei sotterranei di Westminster con 36 barili di polvere pronti per essere fatti esplodere. Fu torturato e giustiziato come il resto dei cospiratori; il loro leader, Robert Catesby, morì colpito da un proiettile mentre tentava di fuggire. Il proposito della sua congiura era quello di mettere sul trono la figlia di Giacomo, Isabella, che aveva allora nove anni, convertirla al Cattolicesimo e mettere così il paese sotto la tutela di Roma. Nell’immagine, l’arresto di Guy Fawkes in un olio del pittore Henry Perronet Briggs (Laing Art Gallery, Newcastle upon Tyne).
regni britannici. Regnò tra il 1603 e il 1625 sotto il nome di Giacomo I. Il monarca fu subito molto impopolare tra i suoi sudditi. Il suo carattere vanitoso e il suo fisico poco aggraziato lo fecero diventare oggetto di insidie e satire costanti. I suoi attriti con i poteri inglesi del momento furono provocati dalle sue maniere assolutiste nell’esercizio del potere. Nonostante la fedeltà dei suoi sudditi rispetto alla figura del monarca, i postulati sovranisti di re Giacomo furono motivo di polemiche. Il monarca proclamò il “diritto divino dei re”, adottando il motto latino A Deo rex, a rege lex (“da Dio proviene il re, dal re la legge”), un principio di autorità che affondava le proprie radici nella storia politica scozzese, ma che presto si dimostrò impossibile da applicare nelle camere parlamentari inglesi.
Inghilterra: parlamento e monarchia Inizialmente, le ambizioni autoritarie del re Giacomo contemplarono il rispetto per le leggi e le tradizioni del regno, in particolare dei privilegi parlamentari. Sta di fatto che il monarca si sforzò 36
di evitare la convocazione del parlamento per tutta la durata del proprio regno. Dal momento che il parlamento controllava le imposte dirette che venivano riscosse nel regno, Giacomo I, per evitare di convocarlo, istituì un nuovo modello di fiscalità che si basava sui diritti di dogana sul consumo e su un nuovo monopolio su prodotti come il tabacco. Nonostante la rendita fiscale fosse abbastanza scarsa, questo diede un certo margine di autonomia al monarca. Giacomo I diede impulso all’unione delle corone d’Inghilterra e di Scozia, che avevano però in comune solo il monarca. Per farlo avvicinò le chiese anglicana e presbiteriana, ma le tensioni religiose causate da queste iniziative furono molto importanti, soprattutto per la forza che stavano acquisendo i settori puritani in Inghilterra, specialmente tra la piccola nobiltà e la borghesia. I cosiddetti puritani (puritans), o “difensori della purezza”, esigevano che la Chiesa anglicana fosse “purificata” di tutte le cerimonie, i riti e le celebrazioni che ricordavano gli usi liturgici cattolici. Nei loro postulati più radi-
GUY FAWKES. La mano esecutrice della congiura aveva lottato per 10 anni come
soldato nelle Fiandre al servizio della cattolica Spagna. Dopo il suo arresto, fu torturato senza successo perché rivelasse i nomi degli altri congiurati. Fu infine giustiziato il 31 gennaio 1606 a Londra. Sopra, i cospiratori delle polveri e la loro repressione in un’incisione anonima del 1606 (National Portrait Gallery, Londra).
cali si affermava che l’attuazione del vescovado anglicano era in aperta contraddizione con i comandamenti della legge di Dio. La situazione religiosa peggiorò ulteriormente poiché il monarca si considerava una specie di Salomone redivivo e mirava addirittura a riportare la pace tra cattolici e protestanti. Ma per la maggior parte della popolazione inglese, l’accondiscendenza di Giacomo I nei confronti dei cattolici rappresentava la resa di fronte alla causa spagnola. Per questo motivo, indipendentemente dalle iniziative del re, i cattolici continuarono a essere confinati in una situazione di eccezionalità, fatto che li rese radicali. Nel 1605, sotto il comando di Guy Fawkes, avvenne la cosiddetta Congiura delle Polveri, l’intento – fallito – di un gruppo di cattolici di eliminare il monarca provocando un’esplosione nel palazzo di Westminster durante una sessione parlamentare, evento che aumentò l’antipapismo. Quanto alle sette protestanti, anche se i puritani furono meno belligeranti, non poterono sfuggire a persecuzioni e incarcerazioni.
In questo contesto, nell’anno 1620, si assisterà all’espatrio di intere famiglie verso il Nuovo Mondo: si trattava dei Padri Pellegrini imbarcati sulla nave Mayflower. Nel 1618, il re delegò gran parte dei compiti di governo a George Villiers, il suo favorito, che nominò duca di Buckingham. Si trattò di una decisione molto impopolare, dato che Buckingham era un avventuriero, preoccupato soltanto della propria vita di ostentazioni e fasti. Nemmeno la sua politica estera, che tentò un avvicinamento a Spagna e Francia, godette dell’appoggio generale. La morte di Giacomo I, nel 1625, lasciò dietro di sé l’immagine di una monarchia sontuosa, dedita a spese e feste eccentriche a Westminster.
Concordia e tirannia sotto Carlo I Il nuovo monarca Carlo I, che resse l’insieme del regno tra il 1625 e il 1642, sembrava l’immagine antitetica del proprio padre. Di notevole bellezza, valoroso, si mise in luce grazie alla propria prudenza politica e alla volontà di avvicinarsi al 37
L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
MONARCHI, GUERRE E RIVOLUZIONI IN INGHILTERRA 1603-1625
Giacomo I. Il figlio di Maria Stuard succede a Isabella I sul trono d’Inghilterra e cerca di instaurare una monarchia di taglio assolutista. 1625-1649
Carlo I. Sin dalla sua ascesa al trono, Carlo cerca di seguire la strada assolutista del padre, fonte di conflitti con il parlamento. 1642-1645
La guerra civile. La tensione tra Carlo I e il parlamento scoppia in una guerra civile che obbliga il re a moderare la propria politica. 1648-1649
Esecuzione reale. Una nuova guerra civile finisce con l’arresto del re, il suo giudizio e la sua condanna a morte. Viene decapitato il 30 gennaio del 1649. 1650-1660
La repubblica. L’Inghilterra si trasforma in una Repubblica che a partire dal 1653 devia in un protettorato capeggiato da Oliver Cromwell. 1660
La restaurazione. Un anno dopo la morte di Cromwell, gli Stuart risalgono al trono nella persona di Carlo II.
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parlamento; almeno fu così durante i primi periodi del suo governo. In realtà, in fondo, da bravo Stuart, credeva ciecamente in una monarchia di diritto divino. Un motivo di tensione, per esempio, fu il fatto che continuasse a tenere accanto a sé l’odiato duca di Buckingham, suo consigliere, finché questi non fu assassinato nel 1628. Un altro degli uomini del re a non godere di troppa approvazione generale fu il vescovo William Laud, passato alla storia per la durezza della sua repressione dei dissidenti. Dopo che il parlamento si sciolse nel 1629, per via del rifiuto dell’assemblea di concedere al re il diritto di imporre tributi, il monarca optò per esercitare un vero potere assoluto. I cosiddetti 11 anni di “tirannia” si succedettero tra il 1629 e il 1640. Lo scioglimento del parlamento obbligò il re a ridurre al massimo le spese della corona e a cercare nuove fonti di reddito. Il sovrano affermò il proprio indiscutibile diritto di imporre tributi indiretti. Mentre il nuovo consigliere, il conte di Strafford, stabiliva i modi dell’esercizio dell’assolutismo monarchico, il vescovo Laud fu nominato arcivescovo di Canterbury nel 1633. Costoro sarebbero state le due figure chiave del nuovo disegno politico del regno. Stafford mise fine alle guerre contro la Francia e contro la Spagna e contemporaneamente incrementò le entrate fiscali della monarchia grazie alla re-istituzione dei monopoli reali. Inoltre, una volta nominato Lord protettore d’Irlanda, Strafford creò un esercito permanente della corona mediante la leva di migliaia di soldati irlandesi. La scalata fiscale sostenuta dalla monarchia inglese trovò il proprio limite tra il 1634 e il 1635, quando un tributo destinato all’armamento di navi (lo ship money) provocò insurrezioni generalizzate. Problemi ancora maggiori causò la politica religiosa di Laud. L’impegno dell’arcivescovo nell’imporre l’Anglicanesimo come rituale esclusivo nell’insieme dei regni di Inghilterra e Scozia, provocò serie resistenze. Addirittura all’interno del clero si verificarono depurazioni di massa. Una fazione dell’Anglicanesimo tradizionale arrivò a denunciare il fatto che dietro alle misure di Laud ci fosse il proposito di ristabilire il Cattolicesimo in Inghilterra. La situazione in Scozia, dove il Presbiterianesimo era la confessione generalizzata sin dalla fine del XVI secolo, fu ancora più complicata. Nel 1637 l’arcivescovo Laud decise di introdurre nel regno una Chiesa nazionale di tipo americano, che avrebbe impiegato per i suoi culti la liturgia inglese. Queste azioni provocarono l’insurrezione di migliaia di Scozzesi, che si riunirono sotto la
Carlo I d’Inghilterra: l’esecuzione di un re Se Giacomo I si era distinto per il suo tentativo di imporre un’idea di monarchia per cui il re era tale per diritto divino e non doveva piegarsi al volere di alcun parlamento, altrettanto avrebbe fatto suo figlio ed erede Carlo. In un’opera pubblicata nel 1598, Giacomo I esponeva l’idea che fossero i re i “fautori delle leggi, e non viceversa”. L’applicazione della stessa teoria assolutista da parte di Carlo I, sfociò nel 1642 in una guerra civile che culminò nella cosiddetta rivoluzione inglese con cattura, giudizio e condanna a morte del re per tradimento. La sua esecuzione il 30 gennaio del 1649 fu un atto senza precedenti che causò un profondo impatto in Europa. Non tanto per la morte in sé, dal momento che il regicidio (come quello del francese Enrico IV per mano di un fanatico cattolico nel 1610) e le azioni di guerra (come quella che nel 1632 costò la vita allo svedese Gustavo II Adolfo) erano minacce costanti per qualsiasi monarca, ma perché questa morte fu approvata in un processo formale eseguito dai rappresentanti del popolo. Nell’immagine, triplo ritratto di Carlo I, opera del 1635 del pittore Anton van Dyck (The Royal Collection, Londra).
formula di un patto solenne (il cosiddetto Covenant) per la difesa della propria libertà religiosa. Nell’anno 1639, un esercito scozzese di covenanter sconfisse Carlo I e lo obbligò ad aprire le negoziazioni di pace. Incalzato dalla sconfitta e messo di fronte alla necessità di trovare nuove risorse per riarmare le truppe, il re convocò il parlamento inglese nell’aprile del 1640. Dovendo fronteggiare un permanente disaccordo però, il monarca chiuse le sessioni parlamentari nel giugno dello stesso anno. Questo breve intermezzo è passato alla storia come lo Short Parliament (“Parlamento breve”) del 1640: un’evidente espressione del divario esistente tra la società inglese e il monarca Carlo I. Nel frattempo, gli eserciti scozzesi continuarono la propria avanzata verso sud fino alla regione di York. Carlo I tornò allora a convocare il parlamento. Questa volta le sessioni si prolungarono fino all’anno 1653 (da cui la denominazione di Long Parliament o “Parlamento lungo”). Molto presto, i parlamentari cominciarono a imporre le proprie condizioni al monarca, che pian
piano perse i propri sostenitori. Nel 1641, Strafford fu giustiziato; nel 1645, Laud fece la stessa fine. Il parlamento avrebbe subito dopo ottenuto l’esclusione dei vescovi anglicani dalla camera dei Lord, l’allontanamento dei membri cattolici dalla corte, lo scioglimento dell’esercito irlandese creato da Strafford e la soppressione della Star Chamber (“camera stellata”), l’istanza di giudizio che aveva diretto la repressione durante i primi anni del regno di Carlo I. Il monarca cercò di far fronte alle pressioni parlamentari incoraggiando un sollevamento cattolico in Irlanda, che nell’ottobre del 1641 provocò l’uccisione di migliaia di protestanti nell’Ulster. La reazione parlamentare si catalizzò intorno a John Pym, un membro della Camera dei comuni che fece una critica devastante della politica sviluppata dal monarca a partire dal 1629. Nel gennaio del 1642, il re dichiarò Pym e altri quattro deputati colpevoli di alto tradimento. L’appoggio popolare agli accusati portò a un sollevamento contro Carlo I, che si vide obbligato ad abbandonare Westminster e
la capitale il giorno 10 gennaio 1642 per rifugiarsi a nord con i membri del proprio partito. Cominciava così la guerra civile in Inghilterra.
Le guerre civili L’Inghilterra si ritrovò divisa tra i sostenitori del monarca, per lo più membri dell’alta aristocrazia tradizionale anglicana (denominati Cavalier, “cavalieri”), insieme ai settori cattolici, e i sostenitori del parlamento, conosciuti come Roundhead (“teste rotonde”, per il loro taglio di capelli corto in stile puritano), le cui proposte erano focalizzate sulla difesa delle libertà politiche, religiose ed economiche. La loro composizione confessionale era eterogenea e riuniva membri presbiteriani, ma anche alcuni anglicani, puritani e membri di gruppi di minoranza. Fu proprio il fattore religioso, più che quello politico e costituzionale (le relazioni che si stabilirono tra re e parlamento), ad alimentare lo scontro civile. La guerra si svolse in due fasi molto diverse. Tra il 1642 e il 1646, la situazione non andò a favore di alcuna delle due fazioni, anche se du-
LE TRUPPE PURITANE.
Le truppe di Oliver Cromwell erano una strana mescolanza di soldati e chierici, che nelle pause dei sanguinosi scontri si riunivano per pregare. In basso, elmo di picchiere, conosciuto come pikesman’s pot (Victoria and Albert Museum, Londra).
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L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
Oliver Cromwell, Lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda L’esecuzione del re Carlo I lasciò come uomo forte della nuova Inghilterra repubblicana Oliver Cromwell, un parlamentare protestante proveniente dalla nobiltà rurale che svolse un ruolo chiave nello sviluppo delle guerre civili che misero fine al regno, e alla vita, del monarca Stuart. Come Lord protettore, Cromwell governò con pugno di ferro il destino del Paese fino alla propria morte nel 1658. Fino all’anno 1642, con lo scoppio della prima guerra civile tra il parlamento e il re, Oliver Cromwell era stato un parlamentare di poco rilievo. Tutto cambiò a partire da allora: in soli tre anni passò da capitano di uno squadrone di cavalleria a essere luogotenente dell’esercito parlamentare. I successi militari e un certo credo provvidenzialista che faceva sì che si ritenesse un inviato divino, portarono Cromwell a radicalizzare le proprie posizioni. Fu uno dei diretti istigatori della condanna a morte di Carlo I, della cui corona stava cercando di impossessarsi. Non vi riuscì, ma come Lord protettore si trasformò in un governatore con più potere di qualsiasi altro re britannico nella storia. Nell’immagine, Cromwell in un ritratto dipinto da Robert Walker verso il 1649 (National Portrait Gallery, Londra).
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rante questi primi anni la formazione militare di cavalieri fedeli al monarca diede loro evidenti vantaggi sul campo di battaglia. A margine del loro entusiasmo e valore, i puritani si mostrarono incapaci di resistere all’esercito reale. Incalzato dagli eventi sfavorevoli, il puritano John Pym firmò nel 1643 un trattato con gli Scozzesi che assicurò ai Roundhead un appoggio militare che permise finalmente di equilibrare la situazione. Nonostante tutto, i parlamentari controllavano la capitale, un popoloso e ricco emporio commerciale. Stabilitosi a Nord, il monarca cercò di riprendere Londra, ma le truppe monarchiche fallirono il loro intento in due occasioni e furono sconfitte in maniera schiacciante a Marston Moor il giorno 2 luglio del 1644. Gli insuccessi militari ebbero ripercussioni anche sulle truppe del parlamento. La situazione ebbe una svolta nel 1645 quando Oliver Cromwell, un protestante indipendente, assunse l’incarico di luogotenente delle truppe parlamentari dirette da Thomas Fairfax. Cromwell, che apparteneva alla piccola nobiltà contadina e professava un fervente Puritanesimo, riorganizzò l’esercito dando luogo al New Model Army (“esercito di nuovo modello”), basato su reggimenti di fedeli Ironside (“fianchi di ferro”). Le truppe di Cromwell si distinsero per le loro convinzioni puritane; nei momenti più pericolosi delle giornate di combattimento si assisteva tra le loro fila a scene insolite: Cromwell e i suoi ufficiali si riunivano per pregare per ore e addirittura per giorni, finché qualcuno non trovava la soluzione alle loro ansie e per i combattenti puritani si apriva una «porta di speranza». Un ufficiale dell’esercito monarchico scrisse a riguardo: «Nel nostro esercito commettiamo i peccati degli uomini: ci piacciono il vino e le donne. Nel vostro, commettete i peccati del diavolo: orgoglio spirituale e ribellione». Nonostante questo clima fondamentalista, gli Ironside trattavano bene i prigionieri, eccetto gli Irlandesi e i sacerdoti cattolici. A lato di queste forze spirituali, l’efficacia delle truppe di Cromwell si basava su fondamenta molto più materiali: uno stipendio da principi e un sistema di intendenza encomiabile per l’epoca. Quest’innovazione radicale della struttura militare permise la vittoria dei parlamentari nella battaglia di Naseby, durante la quale il principe Rupert, nipote del monarca, fu sconfitto il 14 giugno del 1645. Di fronte alla piega che stavano prendendo i fatti, Carlo I optò per fuggire e rifugiarsi in Scozia. Non accettò però la libertà religiosa propugnata dal Covenant scozzese, per cui nel gennaio del 1647 il parlamento di Edimburgo decise di consegnarlo a Londra in cambio della somma di 400.000 lire.
L’incarcerazione del re non mise però fine ai conflitti, dato che i vincitori erano divisi tra loro. Da un lato, una grande maggioranza di parlamentari di credo presbiteriano sosteneva la creazione di una nuova Chiesa nazionale che seguisse il modello scozzese; dall’altro, i seguaci di Cromwell, protestanti indipendenti e puritani, si opponevano all’esistenza di qualsiasi tipo di Chiesa statale ed esigevano la libertà religiosa per tutte le fedi. Sul piano politico, i parlamentari presbiteriani confidavano nella possibilità di arrivare a un accordo con il monarca. Al contrario, i seguaci del nuovo esercito, che fu smobilitato dal parlamento nel febbraio del 1647, cominciarono a radicalizzare le proprie pretese di fronte a un re che qualificavano come “empio”. Tra i settori più estremisti si fecero notare i Leveller (“livellatori”) di John Lilburne, che reclamavano l’abolizione della monarchia, il suffragio universale e l’uguaglianza di fronte alla legge. Fu con notevoli difficoltà che Cromwell riuscì a contenere la pressione dei Leveller e a preservare l’unità dell’esercito.
Nel novembre del 1647, Carlo I riuscì a evadere dalla prigione e cercò rifugio sull’isola di Wight, da dove poteva contare sull’appoggio degli Scozzesi. Cominciò in questo modo la seconda guerra civile, più breve e favorevole ai parlamentari inglesi. Cromwell sconfisse l’esercito di Scozia e conquistò Edimburgo tra agosto e settembre 1648. Nell’ottobre dello stesso anno entrò vittorioso a Londra. Il mese seguente, catturava il monarca fuggitivo. Per imporre la propria autorità, depurò il parlamento riducendolo a circa 60 membri. La prima decisione del cosiddetto Rump Parliament (“Parlamento tronco”) fu giudicare il monarca per il delitto di alto tradimento. Nella realtà, si giudicò “Carlo Stuart, attualmente re di Inghilterra”. Condannato a morte come «tiranno, traditore, assassino e nemico dello Stato», il re fu decapitato pubblicamente il giorno 9 febbraio dell’anno 1649 a Whitehall. Prima di morire, il monarca proclamò serenamente la propria innocenza. Quando il boia fece il suo dovere, la folla emise un prolungato gemito.
IL REGICIDIO. Carlo I, re d’Inghilterra, fu giustiziato nel 1649 davanti alla folla, accusato di alto tradimento. Sopra, la decapitazione del monarca in un’incisione anonima tedesca dello stesso anno (British Library, Londra). L’edificio sullo sfondo è la Banqueting House di Whitehall. Si dice che la folla ruggì quando la testa del re cadde. Nonostante la monarchia sia stata restaurata nel 1780, l’esecuzione di Carlo I mise fine all’idea del potere omnicomprensivo e indiscutibile del monarca.
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L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
John Milton, poeta repubblicano e ministro di Oliver Cromwell Sebbene sia noto soprattutto come autore del Paradiso Perduto, un lungo poema epico che fu considerato uno dei vertici della letteratura inglese, Milton partecipò attivamente sia alle guerre civili che rovesciarono Carlo I, sia al successivo governo di Oliver Cromwell, in cui si incaricò di dare una risposta compiuta agli attacchi letterari provenienti dall’Europa monarchica. I 10.000 versi del Paradiso Perduto, in cui si narra la ribellione di Satana e la caduta di Adamo ed Eva nel peccato, fecero di John Milton una delle glorie della letteratura inglese. Quando questo poema vide la luce nel 1667, l’avventura repubblicana inglese era già finita da più di un lustro. Per questa stessa avventura il poeta aveva combattuto prima come reclutatore dell’esercito parlamentare e poi, già durante il governo di Cromwell, a capo del ministero delle lingue straniere, un organismo simile ai moderni apparati di propaganda e contro-propaganda preposto a vigilare e a ribattere su quanto si scriveva sull’Inghilterra e allo stesso tempo a pubblicizzare le virtù del nuovo regime. Il saggio Defensio Secunda, in cui Milton lodava la figura di Cromwell e i valori repubblicani è uno dei frutti di questo periodo. Con la restaurazione, le sue opere furono bruciate pubblicamente e lui stesso fu arrestato e incarcerato, anche se l’intervento di alcuni membri del nuovo parlamento riuscì a far sì che venisse liberato. Nell’immagine, Milton in un’incisione di William French.
Alcuni dei presenti bagnarono i fazzoletti nel sangue del re, che ben presto cominciò ad essere considerato un martire.
Repubblica e protettorato Il 19 maggio 1649, il nuovo parlamento dichiarò il Commonwealth, la repubblica e la soppressione della monarchia. Dato che la camera dei Lord era stata a sua volta eliminata, il Rump Parliament assunse tutti i poteri, sia a livello legislativo sia in relazione alle questioni di politica interna ed estera. A questo scopo creò un consiglio di Stato composto da 41 membri, tra i quali spiccava Cromwell. L’opposizione fu obbligata a rimanere in silenzio. Come supporto al nuovo regime si faceva affidamento sulle truppe di Oliver Cromwell, convenientemente depurate dei loro elementi più radicali ed esaltati. Furono esclusi non solo i Leveller di Lilburne, ma anche i Diggers (“scavatori”) del riformatore religioso e attivista politico Gerrard Winstanley, che reclamavano la ripartizione delle terre dei grandi latifondisti e l’eguaglianza sociale più assoluta. 42
Fu il leader Cromwell che si fece carico della sottomissione militare di Scozia e Irlanda. Questi sbarcò sulla vicina isola nell’agosto del 1649 e condusse una campagna segnata da brutalità e massacri. Molti proprietari terrieri cattolici furono espulsi dalle ricche terre dell’est, che passarono nelle mani dei coloni protestanti giunti dall’Inghilterra. In Scozia, dove Carlo II, figlio del monarca giustiziato, era stato riconosciuto come re, Cromwell riuscì a dominare il territorio nel corso di due campagne tra il 1650 e il 1651. Alla fine del 1651, la Scozia fu sottomessa e incorporata all’Inghilterra nel segno della repubblica. Un contrattempo importante fu lo scoppio della guerra contro le Province Unite nel 1652. Sebbene la rivalità commerciale tra le due potenze avesse precedenti più lontani, la causa immediata del conflitto fu l’approvazione da parte del Rump Parliament di un atto di navigazione, il 9 di ottobre del 1651. Questa norma, che era diretta implicitamente contro gli interessi olandesi, riservava il diritto di importazione di merci alle imbarcazioni inglesi, salvo nel caso in cui navi straniere trasportassero dei prodotti provenienti dai loro Paesi d’origine. I mercanti delle Province Unite si erano specializzati proprio nella riesportazione di merci provenienti da diverse zone dell’Europa verso l’Inghilterra, cosa che fece scoppiare la guerra. Si trattò del primo scontro tra Inghilterra e Province Unite e fu una guerra abbastanza corta, combattuta negli anni tra il 1652 e il 1654. Alla fine, i mercanti olandesi dovettero accettare le clausole che erano contemplate nell’atto di navigazione. Per usare le parole attribuite a Cromwell, erano riusciti a «ricacciare le rane batave nelle loro paludi». L’importanza degli scenari bellici a livello interno ed esterno fece sì che nel 1654 Cromwell assumesse il potere in Inghilterra. Appoggiato dall’esercito, sciolse il Rump Parliament, creò un nuovo consiglio di Stato e il 16 dicembre 1654 fu nominato Lord protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda. in questo modo, riuscì a unire nella sua persona i poteri politici e militari supremi e molto presto impose una dittatura personale, mentre aumentavano le sue fantasticherie profetiche. Finì per convincersi di essere un nuovo Mosè, che doveva condurre il popolo britannico verso la terra promessa. Qualsiasi opposizione ai suoi piani fu convenientemente eliminata. Il suo credo religioso puritano entrò nell’ambito della vita quotidiana. I teatri vennero chiusi e le più comuni attività furono sottoposte a una stretta vigilanza. La popolazione vide perlopiù in Cromwell l’uomo che aveva portato la pace dopo le cruente guerre civili che avevano devastato l’Inghilterra. In quanto al dittatore, presto de-
cretò una libertà religiosa piena, negata unicamente ai cattolici, appoggiò il Protestantesimo europeo ed elaborò una politica economica che andava a beneficio degli interessi britannici. Quando morì, il 3 settembre del 1658, gli succedette come Lord protettore il figlio Richard, che aveva designato come erede. Sprovvisto del carisma e del carattere del padre, Richard si sentì oppresso e abbandonò il potere nel maggio del 1659. Cominciò allora un periodo di anarchia che durò sei mesi e risvegliò il timore di una nuova guerra civile. Nel febbraio del 1660, il generale George Monck marciò su Londra e fece eleggere un nuovo parlamento che il 1 maggio del 1660 decise di restituire il potere a Carlo II.
La restaurazione degli Stuart Carlo II governò tra il 1660 e il 1685. Patteggiatore di carattere, nei suoi primi tempi come monarca cercò di restare sul trono conciliando le proprie convinzioni assolutiste e filocattoliche col desiderio di convivenza della maggior parte dei suoi sudditi. Ciò nonostante, adottò delle mi-
sure punitive molto concrete come reazione al precedente periodo di dittatura. Ordinò l’esecuzione di diversi parlamentari che avevano preso parte al regicidio, licenziò le truppe di Cromwell e abrogò la maggior parte delle leggi che erano state votate dal 1642. Un nuovo parlamento, composto perlopiù da grandi proprietari monarchici e anglicani, fu eletto nell’anno 1661. Assunse il nome di Cavalier Parliament (“Parlamento Cavaliere”) in esplicito riferimento alla provenienza sociale della maggioranza dei suoi membri. Quest’assemblea approvò nel 1664 l’Atto Triennale, che garantiva che il regno non potesse venire privato del parlamento per più di tre anni. Nel 1665 scoppiò la seconda guerra tra Inghilterra e Province Unite. La superiorità militare olandese risultò schiacciante. Nel giugno 1667, l’ammiraglio olandese Michiel de Ruyter arrivò a risalire il fiume Tamigi, provocando il panico a Londra (una città che, allora, era devastata dalla peste del 1665 e dallo spaventoso incendio del 1666). La pace fu infine firmata a
IL GRANDE INCENDIO DI LONDRA. L’incendio
che rase al suolo Londra nei giorni 2, 3 e 4 settembre 1666 fu una delle più grandi calamità della storia della capitale inglese. Sopra, Il grande incendio di Londra, olio del pittore olandese Lieve Pietersz Verschuier (Museo di Belle Arti, Budapest).
L’OPERA DI CHRISTOPHER WREN (pag. 45). Veduta aerea
della cattedrale di St. Paul di Londra, forse l’opera più emblematica dell’architetto Christopher Wren, che per il suo progetto si ispirò alla Basilica di san Pietro a Roma. 43
L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
LA NUOVA LONDRA.
Dopo il devastante incendio, l’architetto Christopher Wren fu scelto per la ricostruzione dei grandi edifici distrutti. Sopra, la nuova Londra in un’incisione di Claes Visscher; sotto, busto di Christopher Wren, di Edward Pierce (Ashmolean Museum, Oxford).
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Breda nel luglio del 1667. Gli Olandesi finirono per cedere la colonia nordamericana di Nuova Amsterdam, che sotto il dominio inglese sarebbe diventata New York. Il Suriname veniva consegnato alle Province Unite. I commercianti olandesi dovettero accettare l’Atto di Navigazione del 1651, oltre ai testi che lo avevano completato nel 1660 e nel 1663. A partire dal 1668, Carlo II cominciò a modificare la propria politica. Nel 1670 firmò il trattato di Dover con Luigi XIV di Francia, atto che aprì la porta a un atteggiamento più tollerante verso i cattolici inglesi, espresso legalmente nella dichiarazione di indulgenza dell’anno 1672. Il parlamento però si oppose a questa dichiarazione e pretese che fosse annullata; adottò contromisure molto energiche, riuscendo a imporre legislazioni che escludevano i cattolici dagli incarichi pubblici e dal parlamento. A causa delle nuove disposizioni giuridiche, lo stesso fratello del monarca, Giacomo Stuart, duca di York, che si era convertito alla fede cattolica, fu escluso dalla linea di successione al trono.
Lo scoppio di una nuova guerra contro le Province Unite non sarebbe potuto risultare più inopportuno. Il terzo conflitto si estese tra gli anni 1672 e 1674. Il monarca finì per cedere alla pressione dell’opinione pubblica, che considerava la guerra come una sottomissione dell’Inghilterra alla politica francese. Nel 1674, Carlo II decise di abbandonare l’alleanza con Luigi XIV e firmare la pace con le Province Unite, a cui seguì un trattato di alleanza nel 1678. In parallelo, cominciarono a girare voci su cospirazioni religiose di ogni tipo, che contribuirono a esacerbare l’opinione pubblica. In questo senso rimasero famose le “rivelazioni” di Titus Oates, un avventuriero che presentò le sue rimostranze davanti al consiglio reale, avvertendo di un’orribile cospirazione cattolica. Tra gli implicati che Oates denunciò si trovava un vecchio segretario di Giacomo Stuart, al quale fu confiscata un’abbondante corrispondenza intimidatoria con i gesuiti. Un clima di allarmismo incombeva a quel punto su tutto il Paese. Noti parlamentari, come Anthony Ashley Cooper, conte di Shaftesbury, animarono questo clima di disperazione e ottennero la promulgazione di leggi che miravano a escludere i cattolici dallo spazio pubblico. Tra queste disposizioni, il parlamento accettò di proibire ai cattolici l’accesso alla Camera dei Lord e alla Camera dei Comuni. Nel 1679, il monarca non poteva più accettare l’antipapismo del parlamento, motivo per cui ne dispose lo scioglimento. Il rinnovo dell’assemblea fu segnato dalle aspettative di successione al trono inglese. Un settore, conosciuto come quello degli whig e che era formato da difensori della preponderanza del parlamento, presbiteriani e dissidenti, si mostrava a favore dell’esclusione dalla successione al trono del cattolico duca di York. Intanto, la maggior parte degli anglicani, che militavano nel settore dei tories, si convertì in sostenitrice dei privilegi monarchici e si mostrò disposta ad accettare il duca come re. Ma il parlamento eletto era composto in maggioranza da whig. Si succedettero diverse votazioni favorevoli all’esclusione del duca e fu approvato l’atto dell’Habeas Corpus, che garantiva la libertà individuale di fronte a qualsiasi iniziativa giuridica che potesse essere arbitraria e aliena al diritto. Il re rifiutò queste decisioni e finì per sciogliere il parlamento tra il 1680 e il 1681. La situazione interna non fece che peggiorare e gli whig organizzarono dei complotti negli anni tra il 1682 e il 1683. La maggior parte della popolazione cercò di evitare una nuova guerra civile, atteggiamento che favorì un governo praticamente autocratico del monarca fino alla sua morte, avvenuta il 6 febbraio del 1685.
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L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
LE GUERRE TRA PAESI BASSI E INGHILTERRA 1652-1654
Prima guerra. Il controllo dei mari e del commercio provoca questa guerra, che finisce con la sconfitta delle Province Unite. 1654
Il trattato di Westminster. La firma di questo trattato significa per l’Olanda l’accettazione degli atti di navigazione dell’Inghilterra. 1665-1667
Seconda guerra. Sono ancora gli interessi commerciali a segnare questa guerra, essenzialmente marittima, anche se questa volta chi si impone è l’Olanda. 1667
La pace di Breda. L’Olanda cede all’Inghilterra i territori americani dei Nuovi Paesi Bassi in cambio del Suriname e delle sue fabbriche di zucchero. 1672-1674
Terza guerra. La Francia attacca in un altro episodio della lotta di Luigi XIV, alleato con l’Inghilterra, contro i Paesi Bassi. 1780-1784
Indipendenza americana. L’Inghilterra e l’Olanda tornano a scontrarsi nel segno della guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti.
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Il duca di York salì al trono con il nome di Giacomo II e dovette subito far fronte a un tentativo di rivolta animata da un figlio illegittimo di Carlo II, il duca di Monmouth, di credo protestante. Allo stesso tempo, l’età matura del nuovo re alimentò la speranza che il suo sarebbe stato un regno breve, cosa che avrebbe portato a una successione protestante nella persona della principessa Maria, sposata con lo statolder olandese Guglielmo III d’Orange. Il monarca, che avrebbe potuto trarre beneficio da una politica moderata, prese presto decisioni polemiche. Riunì un esercito di 30.000 uomini alle porte di Londra e pubblicò due dichiarazioni di indulgenza nel 1687 e nel 1688, a favore dei cattolici e dei dissidenti protestanti. La maggior parte dei dissidenti e degli anglicani considerò queste decisioni come una svolta radicalmente papista del re. La nascita nel giugno del 1688 di un figlio maschio del monarca, battezzato cattolico, che spodestava la principessa Maria nell’ordine di successione, provocò l’unione dei due partiti parlamentari (tory e whig), che sollecitarono l’intervento in Inghilterra di Guglielmo d’Orange per salvaguardare la religione protestante, che consideravano minacciata. Lo statolder delle Province Unite, che aveva bisogno dell’appoggio inglese nella guerra che preparava contro la Francia, accettò. Il 5 novembre 1688 sbarcò nel porto di Brixham. Il corpo dell’esercito che lo accompagnava era formato da 11.000 fanti e 4500 soldati di cavalleria, imbarcatisi con 700 carri su 60 navi. Le forze olandesi erano inoltre accompagnate da sei reggimenti inglesi da 4.000 uomini, al servizio delle Province Unite fin dal 1677. Alcuni generali delle truppe del monarca inglese passarono al nemico, mentre il grosso dell’esercito reale fu disperso. Giacomo II si vide costretto a fuggire e si rifugiò in Francia, accolto da Luigi XIV. Lo statolder Guglielmo si fece carico del governo provvisorio del regno ed entrò a Londra. Di certo, non si trattò solo di un cambio di dinastia. I fatti successivi meritarono il nome di Gloriosa Rivoluzione. La deposizione di Giacomo II si fondò sull’argomento innovatore di un necessario contratto politico tra re e regno. Il re era stato privato della corona perché non aveva rispettato il contratto che lo univa al popolo. Un altro atto giuridico confermò la trasformazione del potere in Inghilterra. La Dichiarazione dei Diritti (Bill of Rights) stabilì gli obblighi del re e del regno. Era un elenco di leggi e libertà tradizionali letto davanti ai nuovi monarchi, Guglielmo e Maria, il 22 febbraio 1689. Costoro dovettero giurare sul testo. Questo fatto significò una trasformazione decisiva, che mise fine a
qualsiasi futuro tentativo di assolutismo monarchico. Il potere monarchico sarebbe stato da quel momento in poi subordinato a quello del parlamento. Poche settimane dopo, l’Atto di Tolleranza (Act of Toleration) concedeva ai dissidenti protestanti la libertà di culto pubblico, anche se non ai cattolici. Si chiudeva in questo modo la querelle religiosa tra protestanti inglesi che aveva provocato tanti scontri nel passato. L’importanza dei fatti degli anni 1688 e 1689 ebbe una grande ripercussione non solo sulle isole britanniche, ma anche sul continente. Mentre la fase politica degli Stati europei nel XVII secolo sembrava tendere al consolidamento di una monarchia di sapore assolutista basata sul modello francese di Luigi XIV, l’Inghilterra si orientò definitivamente verso il sistema della monarchia parlamentare, che guadagnò terreno durante il XVIII e XIX secolo. Dal governo personale degli Stuart si passò al sistema parlamentare che avrebbe caratterizzato il casato degli Hannover. Fino al 1697, la principale preoccupazione di re Guglielmo III furono le logoranti e intermina-
bili guerre contro la Francia, come anche i frequenti sollevamenti dei sostenitori dell’antico monarca conosciuti come giacobiti. Nel 1690, il progetto di Giacomo II di impossessarsi dell’Irlanda, appoggiato dall’armata francese, era stato abbandonato. La vittoria inglese portò a una severa repressione contro i Cattolici irlandesi. A partire dal 1692, re Guglielmo III approdò nei Paesi Bassi, dove proseguì le operazioni contro il re francese. Dell’assenza del monarca approfittò il parlamento, che sviluppò nuove misure legali che riducevano i privilegi del re: il nuovo Patto Triennale (1694) limitava a tre anni il periodo di ciascuna legislatura, cosa che impediva il prolungarsi di assemblee durature in base agli interessi arbitrari del monarca; furono approvate anche misure finanziarie, come l’elaborazione di budget annuali e la fiscalizzazione delle spese del governo da parte del parlamento. Il consiglio, privato dei favoriti del re, andò pian piano perdendo le proprie capacità esecutive a favore di un gabinetto che era formato, oltre che dal monarca, da vari ministri.
La regina Maria morì nel 1694 senza che il matrimonio avesse portato una discendenza. Da quell’anno, Guglielmo regnò da solo. Continuò a scontrarsi con le cospirazioni giacobite e con il problema della propria successione. Una nuova guerra con la Francia provocò una grave crisi economica. Alla fine, l’Atto di Disposizione dell’anno 1701 rifiutò qualsiasi pretendente cattolico e confermò l’obbligo del nuovo monarca di accettare la Dichiarazione dei Diritti. Alla morte di Guglielmo nel 1702, salì al trono la sorella della defunta regina Maria, la profondamente inglese e anglicana Anna, che regnò fino al 1714.
LA GLORIOSA RIVOLUZIONE. Imbarco
di Guglielmo III, principe d’Orange, a Hellevoetsluis (The Royal Collection, Londra). Sotto, medaglia d’argento commemorativa delle nozze di Guglielmo III e Maria II, figlia di Giacomo II (Timothy Millett Collection, Londra).
Le Province Unite Le Province Unite dei Paesi Bassi furono l’unico territorio europeo di importanza politica che non fu retto da un monarca o da un principe. Formalmente, acquisirono la propria indipendenza dopo la pace di Westfalia, ma di fatto le Province Unite avevano mantenuto uno status indipendente fin dalla rivolta contro Filippo II, a metà del XVI secolo. 47
REMBRANDT, IL GENIO DEL BAROCCO OLANDESE
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embrandt Harmenszoon van Rijn è il grande rappresentante dell’età dell’oro della pittura olandese, la cui esplosione coincide con l’irruzione della repubblica delle Province Unite come potenza economica e commerciale nel XVII secolo. Nonostante fosse nato a Leiden nel 1606, la maggior parte della sua carriera ebbe come scenario Amsterdam, dove conobbe il successo, ma anche la rovina e la povertà. Nell’immagine, La ronda di notte, ritratto di gruppo dipinto da Rembrandt nel 1642 (Rijksmuseum, Amsterdam).
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GLI AUTORITRATTI Da quando giunse ad Amsterdam, Rembrandt si dedicò a ritrarre i membri prominenti della borghesia olandese. Ma fu nei suoi autoritratti che la sua capacità di penetrare la psicologia del modello raggiunse la sua massima espressione. Si dedicò a questo genere con tanta assiduità che tutta la sua biografia si può seguire attraverso gli autoritratti, da quello del giovane di talento che aspira a conquistare il mondo fino a quello dell’anziano che ha perso tutto. Nell’immagine, Autoritratto a 34 anni (National Gallery, Londra).
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UN RITRATTO DI GRUPPO.
Sebbene conosciuto fin dal XVIII secolo come La ronda di notte, questo quadro in realtà si intitola La compagnia militare del capitano Frans Banning Cocq e del tenente Willelm van Ruytenburgh. Si tratta del ritratto di gruppo di un esercito di archibugieri, in cui appaiono 19 soldati.
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FRANS BANNING COCQ.
Il capitano della compagnia è la figura principale del ritratto, sia per gerarchia sia per la stessa composizione del quadro, del quale occupa l’asse centrale. Secondo un’annotazione dell’epoca, viene rappresentato nel momento in cui ordina alla compagnia di avanzare.
REMBRANDT INCISORE Oltre alla pittura, il disegno e soprattutto l’incisione furono altri ambiti nei quali eccelse Rembrandt. Il suo uso drammatico ed espressivo del chiaroscuro caratterizza queste tecniche con la stessa maestria che mostrano i suoi oli.
LA QUOTIDIANITÀ. Nelle sue incisioni, l’artista riuscì a carpire i gesti di ogni giorno della gente che lo circondava, come in questa Donna che legge (Petit Palais, Parigi).
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WILLELM VAN RUYTENBURGH.
La seconda figura del quadro in ordine di importanza è quella del tenente, che Rembrandt pone in rilievo con l’uniforme gialla, messa in risalto dalla luce. Mentre la posa dei due ufficiali tende a essere statica, il resto dei loro uomini si mostra in piena azione.
4 LA BAMBINA. Tra le figure rappresentate in quest’opera, Rembrandt incluse quella di una bambina fortemente illuminata, dalla cui cintura pende un gallo bianco, emblema della compagnia. Potrebbe trattarsi di un’allegoria della dea della vittoria, un omaggio alla sua sposa Saskia.
LA LIBERTÀ. Rembrandt fece dell’incisione un campo di sperimentazione con temi poco soliti nei suoi dipinti, come in questa Donna nuda (Petit Palais, Parigi).
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D’accordo con questo governo repubblicano, le direttive politiche del territorio furono molto mediate dall’élite sociale della borghesia commerciante che fiorì nei porti con abbondanti scambi marittimi. Un buon esempio di questa alleanza tra politica ed economia fu la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Creata nell’anno 1602, la Compagnia delle Indie acquisì un’autorità politica notevole nei territori asiatici che stavano sotto il suo controllo, fino al punto di avere il diritto di dichiarare la guerra o sancire la pace, di fondare nuove colonie o di coniare moneta. Per l’élite dei ricchi commercianti delle province, la prosperità economica doveva essere l’obiettivo principale. Immerse nei conflitti interni, in piena guerra d’indipendenza di fronte alla monarchia ispanica fino al 1648, le Province Unite riuscirono, durante il XVII secolo, a consolidare il proprio predominio in Europa. Questo si basò completamente sul commercio marittimo, al punto che la repubblica divenne la prima potenza economica del pianeta, perlomeno fino all’anno 1672, 50
quando il suo vigore fu eclissato dall’Inghilterra. Non a caso si è parlato di “miracolo” economico olandese del XVII secolo per caratterizzare questo periodo. Giocarono a favore dell’Olanda fattori geografici, come la posizione strategica del territorio localizzato tra il Mar Baltico, il Mare del Nord e l’Oceano Atlantico, ma anche la notevole capacità di sviluppare innovazioni organizzative, come le grandi banche e le società per azioni. Un buon esempio furono gli affari finanziari, che arrivarono a interessare l’intera popolazione, al punto che molte attività economiche, pur estranee agli affari di borsa, ne riprodussero i meccanismi speculativi. Rimase famoso, ma allo stesso tempo drammatico, il caso della cosiddetta “tulipomania”, un periodo di grande euforia speculativa basata sul commercio di bulbi di tulipani ed esplose tra gli anni 1636 e 1637 nell’ambito di taverne e birrerie, provocando un ampio boom economico con una conseguente crisi finanziaria, rapidi accumuli di ricchezze e non meno vertiginose bancarotte all’interno di tutti gli strati sociali, dall’alta bor-
ghesia fino ai più umili artigiani. La tulipomania passò così alla storia come uno dei primi fenomeni speculativi fino a oggi conosciuti.
Politica e religione nelle province Verso il 1609, la repubblica delle Province Unite comprendeva le sette province di Groninga, Frisia, Overijssel, Gheldria, Utrecht, Olanda e Zelanda. Nell’anno 1648, la monarchia ispanica riconobbe infine l’indipendenza della Repubblica e le cedette le regioni di Maastricht e del Nord delle Fiandre e di Brabante, territori che dovevano essere amministrati in accomandita dalle sette province (da lì venne la denominazione “Stati Generali”). Il governo della repubblica fu molto complesso, per via dell’intreccio tra istituzioni centrali, regionali e locali. Ciascuno di questi livelli godeva di ampia autonomia politica e amministrativa. I delegati dei municipi, insieme a quelli della nobiltà e, in alcuni casi, della classe contadina, formavano a livello regionale i cosiddetti Stati provinciali. Questi erano a loro volta incaricati di votare le leggi e avevano un amministra-
tore, conosciuto come “Pensionario”, nominato e finanziato dall’assemblea regionale. Egli aveva l’incarico di gestire le attività dell’organismo e dirigeva la burocrazia provinciale. In cima al sistema si trovava lo statolder, anch’egli nominato dagli Stati, che si incaricava di applicare le leggi e dirigeva le forze armate del proprio territorio. La funzione di statolder era di suprema importanza, dato che le Province Unite erano coinvolte in una guerra d’indipendenza che si protraeva sin dalla metà del XVI secolo. Le istituzioni federali erano costituite dagli Stati Generali, la più alta istanza della repubblica delle Province Unite, che avevano sede nella città dell’Aia nella provincia di Olanda. Ciascuna provincia era rappresentata da un numero di deputati variabile, ma con una sola voce provinciale. Per l’ubicazione degli Stati Generali e per il fatto che l’Olanda fosse la provincia più popolata e più ricca, il pensionario d’Olanda finì col tempo per diventare uno degli incarichi politici più potenti dello Stato. Conosciuto come “Gran pensionario”, assunse soprattutto la direzione della politica estera.
DISARMO A UTRECHT.
Il quadro di Pauwels van Hillegaert (1622) riproduce la scena del disarmo dei mercenari, i cosiddetti waardgelders, a Utrecht per mano di Maurizio di Nassau, nel 1618, e illustra la complessità della politica delle Province Unite, profondamente legata agli scontri religiosi (Museum Het Prinsenhof, Delft).
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L’APOGEO DEL MONDO ATLANTICO
Maurizio di Nassau, statolder delle Province Unite
In questo processo di concentrazione progressiva di poteri, cominciato già ai tempi di Guglielmo il Taciturno, gli incarichi di capitano generale e di ammiraglio generale finirono in mano agli statolder di Olanda e Zelanda. Ricoprirono l’incarico, successivamente, il principe d’Orange, Maurizio di Nassau (1584-1625), il suo fratellastro Federico Enrico (1625-1647) e il figlio di questi, Guglielmo II (1647-1650). In tal modo, lo statolder divenne la prima autorità della repubblica nel contesto della guerra contro la Spagna. Questa dinamica di concentrazione di poteri non era solo basata su motivi di urgenza bellica, ma rispondeva alla necessità di facilitare gli accordi in un sistema per cui, in base ai calcoli, qualsiasi decisione poteva dipendere dal consenso imprescindibile di perlomeno 1200 individui.
Gli Orange e la repubblica
Il figlio di Guglielmo d’Orange-Nassau e della sua seconda moglie, Anna di Sassonia, fu incaricato di riorganizzare l’esercito delle Province Unite per trasformarlo in un’arma capace di scontrarsi e mettere in difficoltà i fino ad allora quasi invincibili battaglioni di Filippo II. L’irruzione a partire dall’anno 1584 di Maurizio di Nassau come statolder delle Province Unite risultò decisiva nella guerra che queste portavano avanti per l’indipendenza contro la Spagna governata da Filippo II. Il reclutamento mediante leva, la formazione di unità di combattimento piccole che potessero realizzare attacchi rapidi e l’aumento della loro potenza di fuoco, tanto dell’artiglieria quanto della fanteria, furono alcune delle innovazioni che portò alle milizie olandesi. I risultati non tardarono ad arrivare e durante il decennio del 1590, gli Spagnoli persero Breda, Nimega e Deventer. Non solo: nel 1600 caddero nella battaglia di Nieuwpoort o delle Dune, la prima in campo aperto che fu vinta dalle truppe delle Province Unite. Grave cadde nell’anno 1601 e Sluis (Sluys) nel 1604. La firma nel 1609 del Trattato di Anversa, caldeggiato dalle oligarchie urbane nonostante l’opposizione dello statolder, mise fine a queste campagne e stabilì una tregua di dodici anni. Alla fine di questa, Nassau, diventato dal 1618 principe d’Orange, non fu tuttavia in grado di ripetere i suoi trionfi precedenti. Nell’immagine, Maurizio di Nassau ritratto da Michiel Jansz. van Mierevelt (Rijksmuseum, Amsterdam).
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L’ascesa della dinastia degli Orange generò una certa opposizione in seno alle Province Unite. I sostenitori della repubblica appoggiavano un’organizzazione provinciale più autonoma all’interno di una repubblica più permissiva. Agli ordini del Gran pensionario, difendevano gli interessi di commercianti e artigiani olandesi, favorevoli alla pace con la Spagna per poter sviluppare i propri affari. Al contrario gli orangisti, schierati dietro lo statolder, il cui potere era fondamentalmente militare, sostenevano un potere centrale forte. La loro base sociale era costituita dalla nobiltà, dai settori modesti delle città e dai contadini delle province più povere dell’interno, svincolati del tutto dall’inarrestabile espansione marittima della repubblica. Inoltre, queste fazioni si scontravano anche su questioni religiose. Praticamente la totalità degli abitanti delle Province Unite era calvinista (salvo gli Stati Generali, che erano cattolici), ma si scissero tra proseliti delle teorie di Jacobus Arminius (professore a Leiden, che negava la predestinazione) e seguaci dell’ortodossia confessionale, più fedele alla dottrina calvinista pura, rappresentata da Franciscus Gomarus. La maggior parte degli orangisti militava nella fazione gomarista e considerava la dottrina arminiana come una deviazione papista, sospettata di nascondere connivenze spagnole. L’intreccio tra questioni politiche e religiose divenne tragicamente manifesto nell’anno 1619, quando lo statolder Maurizio d’Orange-Nassau fece condannare a morte per Arminianesimo il Gran pensionario John van Oldenbarnevelt. Uno dei suoi seguaci, il grande giurista Hugo de Groot, fu condannato all’ergastolo, ma non tardò a fuggire in esilio. Quest’atto di forza permise allo statolder di aumentare i propri poteri e di
ridare inizio, nel 1621, alla guerra contro la Spagna. Alla sua morte, nel 1625, Maurizio d’OrangeNassau cospirava in segreto per instaurare nelle Province Unite una monarchia ereditaria vincolata alla dinastia d’Orange. Nel 1647, dopo la morte di Federico Enrico, Guglielmo II gli succedette come statolder. Di carattere molto ambizioso, cercò di trasformare nuovamente le Province Unite in una monarchia ereditaria. Nel 1648, decise che la firma della pace con la Spagna e la decisione degli Stati d’Olanda di licenziare una considerevole parte delle truppe mettevano in pericolo i suoi interessi, cosa che lo portò a organizzare un colpo di Stato. Nell’aprile del 1650 fallì nel suo intento di impossessarsi della città di Amsterdam. Morì una settimana più tardi, a soli 24 anni. Otto giorni più tardi nacque suo figlio, anche lui chiamato Guglielmo. Il fallimento della cospirazione e la morte di Guglielmo II permisero il trionfo dei repubblicani. Imposero il cosiddetto “sistema della vera libertà”. Con questo titolo solenne si indicò un governo a carattere federale, antirealista e anticlericale. L’in-
carico di statolder fu lasciato scoperto fino all’anno 1672 e le Province videro rinforzata la propria autonomia, cosa che portò all’egemonia della regione d’Olanda. Questo sistema di governo permise al Gran pensionario Johan de Witt di tenere nelle proprie mani il destino dei Paesi Bassi con un maggior grado di potere rispetto a quello che avrebbe raggiunto Oliver Cromwell come Lord protettore nell’Inghilterra del XVII secolo. Il periodo tra il 1650 e il 1672 corrispose al momento di massimo splendore economico, nonostante la concorrenza francese e inglese. Tra gli anni 1653 e 1672 questa situazione si vide favorita dall’amministrazione del Gran pensionario Johan de Witt. Questi sviluppò le libertà urbane e cercò di preservare la stabilità politica del Paese, impedendo a tutti i costi l’ingresso nella scena politica del giovane Guglielmo III. Difese anche a oltranza gli interessi economici della Repubblica di fronte a tutte le minacce esterne. Ma nell’aprile del 1672, le Province Unite furono improvvisamente invase dalle truppe francesi all’interno della strategia espansionista di Luigi XIV. Di fronte a questa
LA PROSPERITÀ DELLE PROVINCE UNITE.
Durante i primi decenni della seconda metà del XVII secolo, le Province Unite dominarono l’economia e il commercio europei. Sopra, il cortile della Borsa dei Valori di Amsterdam, fondata nel 1602 dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali e considerata la più antica del mondo. Questa borsa fece anche da mercato di prodotti coloniali. Illustrazione basata su un olio di Job Adriaensz. Berckheyde (1630-1693).
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Lib 25 pag. 54
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O D U C AT O DI L U S S E M B U RG
Toul Sens
Troyes Langres
Chalon-sur-Saône
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crisi, Johan de Witt permise che gli Stati Generali reclamassero l’intervento di Guglielmo III, che fu nominato statolder nel luglio del 1672. I rovesci militari di fronte alle truppe francesi si succedettero e infiammarono le masse popolari. Il giorno 20 agosto, Johan de Witt e suo fratello, considerati i diretti responsabili del disastro, furono brutalmente assassinati dalla folla a L’Aia. Gli orangisti tornarono ad assumere il controllo del Paese. Nel 1675, l’incarico di statolder fu dichiarato ereditario all’interno della famiglia d’Orange. Di nuovo, un membro della famosa dinastia fu visto come salvatore del Paese, liberatore di fronte alla minaccia delle grinfie straniere e papiste. Come tutti gli Orange, sin dai trionfi del suo bisnonno, Guglielmo d’Orange fu un entusiasta sostenitore della guerra. In pochi anni era riuscito a ristabilire la situazione militare e firmò i trattati di Nimega, una serie di accordi negoziati tra il 1678 e il 1679. In realtà, la pace con la Francia fu stabilita contro la volontà di Guglielmo, che voleva continuare il 54
Veurne
O AT A N
L’invasione nel 1672 delle Province Unite da parte degli eserciti di Luigi XIV, scatenò una nuova guerra nella zona e provocò un’alleanza che, solo pochi anni prima, sarebbe stata considerata impossibile: quella delle stesse Province Unite protestanti con la Spagna cattolica dalla quale si erano rese indipendenti. Al loro fianco lottava anche il Sacro impero, mentre dalla parte della Francia si trovavano Inghilterra, Svezia e alcuni principati tedeschi. I trattati di pace favorirono in particolare Francesi e Olandesi. Nell’agosto del 1678 si concordò la consegna da parte della Francia della città di Maastricht e del principato d’Orange, mentre le province cedevano l’isola di Tobago. Nel settembre dello stesso anno, la firma degli accordi con la Spagna significò per la Francia guadagnare la Franca Contea e alcune enclavi fiamminghe come Cassel e Ypres. La Spagna recuperò città come Charleroi e Courtrai, conquistate da Luigi XIV. In ultimo, nel febbraio del 1679, la Francia e la Svezia concordarono la pace con il Sacro impero romano germanico. Infine, l’imperatore Leopoldo I si vide obbligato a cedere a Luigi XIV la città di Friburgo e a riconoscere l’annessione francese del ducato di Lorena. Nella pagina seguente, Luigi XIV riceve gli ambasciatori stranieri, olio di Charles Le Brun (Szépmuvészeti Muzeum, Budapest); a sinistra, statua di Guglielmo III d’Orange a Brixham (Devon).
Dunkerque
Amsterdam
CIPA TO
Tra il mese di agosto del 1678 e il dicembre 1679, la città olandese di Nimega ospitò ardue negoziazioni di pace che originarono diversi trattati che misero fine alla guerra di Olanda provocata dalla brama espansionista del Re Sole, Luigi XIV di Francia.
Data e firmatari dei trattati 1. Agosto 1678 (Francia - Province Unite) 2. Settembre 1678 (Francia - Spagna) 3. Febbraio 1679 (Francia - Svezia)
P RIN
Le nuove frontiere stabilite dai Trattati di Nimega
Besançon
Friburgo
Belfort Basilea
Charolles Mâcon Province Unite Paesi Bassi spagnoli Regno di Francia
Movimenti della frontiera francese: Acquisizioni Perdite Riconoscimento di sovranità
conflitto per assecondare le proprie ambizioni smisurate. Un anno prima, nel 1677, lo statolder si era sposato con Maria, la figlia maggiore di Giacomo II, il re che avrebbe finito per essere deposto, cosa che diede una spinta decisiva ai suoi progressi per divenire Guglielmo III nei Paesi Bassi e, in futuro, Guglielmo III d’Inghilterra.
Le province dopo il 1689 Nel 1689, Guglielmo d’Orange divenne re d’Inghilterra, ma presto le Province Unite si resero conto che gli interessi dei due regni erano opposti. Inoltre Guglielmo III, sotto pressione per il governo del nuovo regno e per via della coalizione che aveva capitanato contro Luigi XIV, abbandonò a poco poco nelle mani del Gran pensionario Anthonie Heinsius le redini del potere nelle province. Quando nel 1702 Guglielmo d’Orange morì senza discendenza, le Province si rifiutarono di designare suo nipote come successore e cominciò un periodo di governo senza statolder che si protrasse fino al 1747. Fino alla propria morte nel 1720, Heinsius svolse un ruolo molto importante,
dato che proseguì la politica antifrancese e riuscì a conciliare repubblicani e orangisti. Per tutto il XVII secolo, i possedimenti spagnoli nel sud delle Fiandre fecero da contrappeso alle Province Unite del nord. I territori di Fiandre, Artois, Henao, Namur, Brabante, Anversa, Lussemburgo, Malines e Limburgo disposero di Stati Generali propri, che si riunivano a Bruxelles. La tregua dei Dodici anni tra Spagna e Province Unite riconobbe nel 1609 la divisione politica definitiva del territorio. Nel 1621, i Paesi Bassi del sud, che avevano goduto sin dal 1598 di un governo indipendente nelle mani degli arciduchi Alberto e Isabella Clara Eugenia, furono reintegrati alla monarchia ispanica. Nei decenni successivi, la loro sorte fu vincolata alle vicissitudini della guerra dei Trent’anni. In Westfalia, la monarchia ispanica riconobbe ufficialmente la situazione di indipendenza della repubblica delle Province Unite e i monarchi spagnoli abbandonarono qualsiasi pretesa futura di governare sui Paesi Bassi uniti, come era successo nel XVI secolo. Ciò significò anche l’implicazione dei Paesi Bassi spagnoli
nelle guerre tra Francia e Province Unite nella seconda metà del XVII secolo, che si conclusero con la pace di Nimega. L’espansionismo militare francese provocò notevoli perdite territoriali, come quella del Lussemburgo tra il 1684 e il 1697. Solo le mire francesi sul trono spagnolo, che rimarrà vacante nel 1700 dopo la morte di Carlo II, trattennero le offensive militari sul territorio. In particolare, la decisione di nominare come successore al trono un principe francese, Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV, scatenò la guerra di successione. I Paesi Bassi spagnoli, dopo una resistenza con l’appoggio francese del 1700 e il 1704, furono invasi dalle truppe della Grande Alleanza dell’Aia. Nei trattati di Utrecht e Rastatt del 1712-1715, tutti i possedimenti spagnoli nei Paesi Bassi passarono nelle mani dell’imperatore Carlo VI d’Austria. Restavano nelle mani degli Asburgo, ma alla corte di Madrid iniziava il regno della dinastia dei Borbone. Si concludeva una situazione politica durata due secoli, iniziata con l’ascesa al trono spagnolo del principe Carlo delle Fiandre nel 1516. 55
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
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La rivoluzione scientifica L’introduzione del metodo scientifico nella ricerca produsse un susseguirsi inarrestabile di scoperte che modificò per sempre la coscienza dell’uomo e la sua immagine dell’universo.
U
na gran parte dei valori e della sensibilità dell’Occidente fu modellata dal metodo scientifico e dai progressi tecnici. Durante il periodo compreso tra gli studi astronomici di Niccolò Copernico (1543) e la pubblicazione dei Principi matematici di Isaac Newton (1687), ci fu una serie di progressi considerevoli, ma prima di tutto si riuscì a stabilire un nuovo meccanismo di conoscenza certa del mondo fisico: il metodo scientifico. Il metodo scientifico fu l’elemento base dell’autentica rivoluzione della conoscenza del XVII secolo, dato che rappresentava una metodologia di ricerca che combinava tre procedimenti. In primo luogo, la componente logica, basata sullo sviluppo dei metodi di risoluzione (cioè, a partire dall’induzione si osservavano gli effetti per confermare le cause, secondo un processo di ragionamento a posteriori) e di composizione (fondato sul principio di deduzione, dalla causa si ipotizzavano gli effetti secondo un processo di ragionamento a priori). In secondo luogo, il metodo scientifico incorporava la componente sperimentale; i progressi nelle diverse discipline furono possibili a partire dall’esercizio attivo della conoscenza e dell’osservazione. Mediante la prova, il saggio e la pratica si superò lo stadio di mera osservazione, rendendo possibile stabilire nuove e risolutive conclusioni. Infine, la componente matematica si applicò in modo globale a tutte le discipline (Galileo Galilei lo sintetizzò alla perfezione: «Il mondo si scrive in linguaggio matematico»). Molto sviluppata fin dall’epoca del Rinascimento, la matematica di reminiscenze classiche (e, in particolare, platoL’ALCHIMIA. Le tecniche dell’alchimia sono
alla base della nascita della chimica. A sinistra, L’alchimista (1770), di Joseph Wright (Derby Museum and Art Gallery, Derby).
UN SECOLO DI GRANDI SCOPERTE Novembre 1609
Galileo Galilei. Migliora il telescopio e compie varie scoperte astronomiche. Viene considerato il padre dell’astronomia moderna. 1609-1618
Johannes Kepler. Pubblica le tre leggi del movimento dei pianeti e delle loro orbite intorno al sole. 1616-1628
William Harvey. Dimostra la circolazione sanguigna, confermando l’idea di Descartes. 1637
René Descartes. Contribuisce a istituire il metodo scientifico e dà inizio al metodo del ragionamento deduttivo. 1674-1677
Anton van Leeuwenhoek. A partire dallo sviluppo di potenti microscopi semplici, realizza grandi progressi in microbiologia. 1660-1687
Isaac Newton. Scopre, in parallelo con Leibniz, il calcolo infinitesimale. Presenta la legge di gravitazione universale.
niche) servì come linguaggio della natura a partire dalla descrizione geometrica esatta, per superare l’apparente confusione prodotta dalle esperienze sensoriali. Questo metodo scientifico permise al XVII secolo di diventare il punto di rottura con la storia precedente, portando alla nascita della scienza moderna. Le sue regole si basavano su teorie filosofiche precise (il razionalismo e l’empirismo) e su canali di discussione e diffusione (le accademie). Il metodo scientifico si sviluppò soprattutto durante il XVII secolo, quando fiorì una congiunzione di geniali autori di invenzioni e di scoperte. Inoltre, si verificò una serie di circostanze sociali, economiche e religiose che propiziarono un’atmosfera molto stimolante. I grandi viaggi d’esplorazione diedero un impulso alle migliorie nella cartografia e nell’astronomia. Le sfide tecniche dei commercianti dell’Europa atlantica spiegano l’importanza dei matematici inglesi (Robert Recorde e John Dee, maestri di algebra, furono consiglieri di diverse compagnie mercantili) o degli ottici olandesi (che crearono telescopi e microscopi avanzati). Alcuni uomini d’affari patrocinarono la creazione di scuole con cattedre dedicate alle conoscenze scientifiche e pratiche. Ci furono altri fattori che allo stesso modo proiettarono la scienza verso il dominio pubblico. A partire dal Rinascimento, gli artisti applicarono alle proprie creazioni sempre più tecniche e descrizioni anatomiche o disegni più sofisticati. In questo modo, la scienza assunse dimensioni che univa in modo sistematico teoria e pratica.
Scienza e filosofia COPERNICO. Il sistema solare di Copernico rappresentato in un’illustrazione dell’atlante stellare Harmonia macrocosmica di Andreas Cellarius.
Durante il XVII secolo nacque un nuovo clima intellettuale che era orientato alla supremazia della filosofia e della scienza sulla teologia come base della conoscenza. Bacone, Galileo e, soprattutto, Descartes 57
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
La nuova prospettiva eliocentrica: le tre leggi di Johannes Kepler Johannes Kepler (1571-1630), italianizzato con il nome di Keplero, fu, a partire dal 1594, professore di matematica al seminario di Graz, dove conobbe le teorie di Copernico. In questa città austriaca pubblicò la sua prima opera (Mistero della cosmografia, 1596), in cui sviluppava l’idea di un universo che funzionava in accordo con un’armonia matematica, una teoria con chiare influenze platoniche, ma che allo stesso tempo superava i calcoli semplici di Copernico. La dimostrazione di questa ipotesi lo occupò per il resto della vita. Espulso da Graz nel 1598 a causa del suo credo protestante, fu invitato a lavorare a Praga con Tycho Brahe e finì per formulare delle leggi sul movimento dei pianeti. Dedusse la sua teoria delle osservazioni sistematiche di diversi pianeti, ma in particolare si avvalse delle ricerche su Marte che erano già state effettuate da Brahe, il quale aveva visto le proprie analisi condizionate dai limiti tecnici nell’uso del telescopio. Le tre leggi di Kepler sostenevano, in sintesi, che l’orbita di ciascun pianeta disegnava un’ellisse rispetto al sole; che il raggio vettore di ciascun pianeta percorreva aree uguali in tempi uguali e che i quadrati di periodi dei pianeti erano proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal sole. A sinistra, sfera armillare in bronzo (1750-1764) con la rappresentazione del sistema copernicano, di Bonifazio Borsari (Museo civico d’arte, Modena). A destra, incisione francese del XVII secolo che mette a confronto i sistemi planetari di Copernico, Brahe e Descartes (collezione privata, Parigi).
(italianizzato Cartesio) prepararono il nuovo modello di pensiero. Francis Bacon (1561-1626), italianizzato Francesco Bacone, si confrontò col pensiero aristotelico nella sua opera Novum organum (1620), in cui cercò di porre le basi del metodo sperimentale fondato sull’induzione scientifica. Secondo Bacone, la reiterata e sistematica osservazione dei singoli fatti avrebbe permesso di elaborare con sicurezza concetti generali e di ottenere una conoscenza reale della natura. Le sue limitate nozioni matematiche, però, gli impedirono di avanzare in modo sicuro verso la nascita della fisica moderna. Nel caso di Galileo Galilei (1564-1642), il metodo di ricerca partiva da un’ipotesi di lavoro che veniva corroborata dalla sperimentazione, formulata matematicamente e annunciata come legge universalmente valida. Ma lo scienziato non espose queste questioni in modo esplicito e sistematico. 58
René Descartes (1596-1690) riuscì a unire logica scientifica e metafisica in una nuova visione dell’universo. Nel suo Discorso sul metodo (1637), e più tardi nei suoi Principi della filosofia (1644), stabilì i fondamenti di un’autentica rivoluzione intellettuale: egli, infatti, al pensiero prelogico, al naturalismo magico e alla fisica qualitativa del Rinascimento oppose la supremazia della ragione. Cartesio definiva la ragione come il potere dato a tutti gli esseri umani di «giudicare bene e distinguere il vero dal falso». L’errore proveniva dalla cattiva applicazione della ragione; per questo motivo era necessario un metodo che garantisse obiettività, necessità e certezza. Il fondamento di questo metodo furono il dubbio metodico (non «dare mai niente per certo senza saperlo evidentemente tale») e la verità scientifica. Questa verità si costruiva sulle evidenze: l’evidenza della propria esistenza, formulata secondo il primo prin-
cipio del metodo, «cogito ergo sum»: penso, dunque sono; l’evidenza della percezione del mondo esterno; e l’evidenza della comprensione chiara e coerente della struttura matematica del mondo. Questo contesto sociale e queste riflessioni individuali modificarono anche i modi dell’educazione scientifica. Secondo Bacon e la radicale separazione tra le arti meccaniche, basate sulla sperimentazione, e le scienze teoriche, era nefasta. Cartesio ed Evangelista Torricelli (1608-1647) chiesero una maggior presenza degli studi scientifici nelle università. A metà del XVII secolo, ci furono cambiamenti significativi in alcuni atenei: si crearono nuove cattedre, le si dotò di strumentazione matematica, astronomica e fisica e si costruirono laboratori, aule di anatomia e giardini botanici. La situazione era diversa da un Paese all’altro: le università italiane e olandesi furono leader della più sofisticata forma-
LE LEGGI DI KEPLER. Furono pubblicate nella sua Nuova astronomia (1609) e decenni più
tardi Newton dimostrò che erano la conseguenza logica della teoria della gravità universale. Sopra, Kepler in un olio anonimo del XVII secolo (Musée de l’Oeuvre Notre-Dame, Strasburgo).
zione fino alla metà del XVII secolo, e in Inghilterra le facoltà private (college) si fecero notare per l’introduzione delle nozioni più avanzate.
I nuovi centri del sapere La nuova scienza però non riuscì ad adattarsi completamente a questi spazi tradizionali e dovette sviluppare istituzioni completamente nuove, come le società scientifiche, che nacquero inizialmente come dei gruppi di persone interessate a temi specifici della scienza, patrocinate da corporazioni o mecenati, con lo scopo di facilitare la diffusione e il dibattito sulle nuove conoscenze. In Italia nacquero l’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma (1603) e l’Accademia del Cimento (1657) di Firenze. Nell’anno 1660 fu creata a Londra la Royal Society, i cui statuti esclusero esplicitamente le belle arti, la retorica, la metafisica, la teologia e la morale.
A Parigi, la Académie des Sciences fu fondata nel 1666. Queste società poterono contare su mezzi di diffusione propri che crearono uno spazio pubblico di dibattito (Philosophical Transactions, Journal des Savants, Acta Eruditorum). Quanto alle applicazioni concrete di questa rivoluzione scientifica, nel segno della diffusione delle matematiche come linguaggio di conoscenza del mezzo si distinsero diversi studi. Lo scozzese John Napier (1550-1617) sviscerò il calcolo dei logaritmi e lo svizzero Joost Bürgi (15521632) invece quello degli antilogaritmi. La geometria analitica si sviluppò per mano di René Descartes e di Pierre de Fermat (1601-1665), che espose anche una teoria sui numeri amicabili, naturali e primi. La geometria prospettiva fu studiata da Blaise Pascal (1623-1662) e da Gérard Desargues (1591-1661). Fermat e Pascal si occuparono di approfondire anche il calcolo delle proba-
bilità, anche se furono poi corretti da Christiaan Huygens (1629-1695). Infine, Gottfried Leibniz (1646-1716) e Isaac Newton (1642-1727) sintetizzarono le conoscenze matematiche del secolo e scoprirono il calcolo infinitesimale. L’applicazione di questi progressi matematici al mondo delle scienze fisiche favorì un gran numero di scoperte. Galileo iniziò lo studio dell’isocronismo del pendolo, un campo di ricerca portato avanti da Marin Mersenne (1588-1648), scopritore dei numeri primi che portano il suo nome. Christiaan Huygens perfezionò queste ricerche, rendendo possibile l’orologio a pendolo, molto affidabile, che rivoluzionò l’orologeria. Evangelista Torricelli, discepolo di Galileo, gettò le basi dell’idrodinamica e scoprì il principio del barometro, col quale dimostrò l’esistenza della pressione atmosferica. Gilles de Roberval (16021675) studiò il problema della descri59
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
L’invenzione del calcolo infinitesimale: Newton contro Leibniz Una delle grandi controversie del secolo si scatenò tra Newton e Leibniz a proposito del merito di aver sviluppato per primo il calcolo infinitesimale. Il tema alimentò un’abbondante corrispondenza tra i due. NEWTON
LEIBNIZ
Newton e Leibniz scoprirono, ciascuno per conto proprio, la matematica infinitesimale. Newton scoprì il calcolo con il metodo delle flussioni prima che Leibniz elaborasse il suo calcolo differenziale e integrale. Leibniz però pubblicò i risultati per primo, mentre Newton non divulgò i propri. I presupposti dei due erano diversi. Newton partiva da teorie fisiche-meccaniche, mentre Leibniz da considerazioni filosofiche. I due scienziati furono allora protagonisti di un’aspra disputa pubblica, dato che entrambi reclamavano per sé la paternità dello sviluppo di questo ramo della matematica. Oggi gli storici della scienza credono che entrambi abbiano sviluppato il calcolo infinitesimale in modo indipendente, anche se la notazione di Leibniz era ottima, mentre la formulazione di Newton si applicava meglio a problemi pratici. La polemica divise gli scienziati europei, nonostante il disaccordo personale tra i due non fosse così radicale da farli smettere di scambiarsi i risultati delle loro ricerche.
LA CURVA BRACHISTOCRONA. Manoscritto di Isaac Newton che mostra la sua soluzione al problema della curva brachistocrona, o curva di discesa più rapida.
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zione dei movimenti. Robert Boyle (1627-1691) fece la sua parte con il vuoto e, insieme all’abate francese Edme Mariotte (1620-1684), stabilì le leggi di base sulla pressione dei gas. Le opere di Ole Rømer (1644-1710), Huygens e Newton diedero dignità di natura scientifica all’ottica. Rømer realizzò misurazioni sulla velocità della luce, mentre Huygens formulò la teoria ondulatoria di propagazione della luce per onde sferiche attraverso l’etere. Newton sviluppò la teoria corpuscolare della luce, che fu accettata fino al XIX secolo inoltrato. In ottica, il perfezionamento strumentale dei telescopi e dei microscopi fu fondamentale. La legge della rifrazione fu spiegata da Willebrord Snellius (1580-1626) e quella delle distanze focali delle lenti concave da Bonaventura Cavalieri (1598-1647). Johannes Kepler, Descartes, Johannes Hevelius (1611-1687), Robert Hooke (1635-1703) e Huygens diedero il loro contributo all’ottenimento delle numerose migliorie tecniche e teoriche. L’osservazione astronomica e le descrizioni di un cosmo eliocentrico misero fine a concetti che risalivano al periodo medievale e all’eredità delle teorie aristoteliche.
Galileo, Leibniz e Newton Galileo Galilei fu uno scienziato d’eccellenza per questi aspetti revisionisti. Scoprì nel 1604 la legge del movimento rettilineo uniformemente accelerato e formulò la legge degli spazi proporzionali ai quadrati dei tempi. Studiò la legge del pendolo, la legge del piano inclinato e, infine, quella della caduta dei gravi. Con queste leggi, Galileo confutava la teoria aristotelica sul movimento. Le sue osservazioni astronomiche a partire dal cannocchiale celeste (1609) gli permisero di attaccare i fondamenti di idee che erano già radicate. Nella sua ambizione di elaborare un nuovo sistema di conoscenza, confutò il filosofo Aristotele sui suoi tre assi fondamentali: la limitatezza dell’universo, la sua incorruttibilità e il geocentrismo. Le sue osservazioni attraverso il telescopio gli permisero di scoprire nuove stelle, e lo studio della Via Lattea lo portò a dedurre che le distanze rispetto al sole erano incommensurabilmente maggiori. Non affermò categoricamente l’infini-
tezza dell’universo, ma di certo scalzò la sfera delle stelle fisse aristotelica. In realtà, la conoscenza avanzava in contemporanea. La scoperta delle macchie solari fu fatta quasi allo stesso tempo da Galileo a Padova (1610-1612), da Johann Fabricius a Wittenberg (1611) e da Christopher Scheiner a Ingolstadt (1611), cosa che dimostrò la corruttibilità del sole. Il meccanicismo tradizionale lasciò strada al dinamismo di Newton e Leibniz. Entrambi gli scienziati sostenevano che la causa del movimento fosse una forza inerente ai corpi. Per Leibniz questa forza era qualcosa di simile all’“anima” dei corpi inanimati. Per Newton, la forza era attrazione tra i corpi dovuta alla gravità, al magnetismo e all’elettricità. Newton scoprì e dimostrò matematicamente la legge della gravitazione universale che porta il suo nome, seppe calcolare la massa del sole e quella della terra, spiegò la precisione degli
equinozi, inferì l’appiattimento del globo terracqueo, interpretò le irregolarità del movimento della luna, diede una teoria soddisfacente per le maree e chiarì il movimento delle comete. Newton, insomma, unificò la fisica celeste e quella terrestre, facendo un autentico passo da gigante con la pubblicazione dei suoi Principia nell’anno 1687 (Principi matematici della filosofia naturale). L’esplorazione del microcosmo si avvalse del perfezionamento del microscopio. L’anatomia descrittiva di animali e vegetali, l’embriologia e la tassonomia per generi e specie videro un eccezionale sviluppo. Microscopisti di prestigio furono il francese Jean Pecquet (16221674), l’italiano Marcello Malpighi (16281694) e l’olandese Jan Swammerdam (1637-1680). Nel campo della fisiologia vegetale, Malpighi identificò il ruolo delle foglie nell’elaborazione di sostanze nutrienti e Edme Mariotte spiegò la cir-
L’ANATOMIA. Nei primi decenni del XVII secolo,
l’anatomia ebbe un grande sviluppo. Sopra, La lezione di anatomia del Dott. Nicolaes Tulp, dipinto da Rembrandt nel 1632 (Mauritshuis, L’Aia). colazione della linfa e il nutrimento delle specie. Il britannico Nehemiah Grew (1641-1712) e il tedesco Rudolf Jakob Camerarius (1665-1721) studiarono attraverso il microscopio l’anatomia e la fisiologia dei fiori, dimostrando la condizione sessuata delle piante e aprendo la strada all’ibridazione botanica. Le teorie classiche sulla generazione spontanea furono superate dall’opera del medico di origini fiorentine Francesco Redi (1626-1697), che sostenne che la vita può solo provenire dalla vita. Il padre della moderna embriologia fu il già menzionato Malpighi, con il suo studio sull’evoluzione dell’embrione di pollo. Malpighi fu il primo a sostenere che il germe conteneva, in una dimensione microsco61
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
Le macchine calcolatrici di Pascal e Leibniz Nella ricerca di strumenti per facilitare i calcoli basati sul sistema decimale, fu memorabile il precedente di Wilhelm Schickard (1592-1635), un matematico tedesco che costruì una macchina per calcolare tavole di astronomia, limitata però a sei cifre e fabbricata in legno. Blaise Pascal concepì nel 1642 una macchina aritmetica (la futura “pascalina”) che sommava e sottraeva numeri sino a un massimo di sette cifre. Era fatta in metallo, basata su ruote girevoli che muovevano dei dischi numerati. I risultati delle operazioni si vedevano in una finestrella. Pascal cercò di commercializzarla, ma riuscì a vendere solo 15 dei modelli fabbricati. Verso il 1672 Leibniz progettò vari marchingegni che potevano già realizzare le quattro operazioni elementari. Leibniz si ispirò alla macchina calcolatrice di Pascal, ma la migliorò in vari aspetti meccanici come il sistema di trasporto automatico, responsabile del fallimento commerciale della “pascalina”. Il prototipo era così complicato che il matematico dovette investire fino a 24.000 talleri nel progetto ed ebbe grandi difficoltà a trovare meccanici che riuscissero a montare la macchina con la necessaria precisione. Questi impedimenti tecnici fecero sì che altri progetti meccanici, come una macchina che trovava le radici quadrate, rimanessero solo teorici. Leibniz inventò anche una macchina per facilitare i calcoli aritmetici degli astronomi.
pica, tutto l’essere futuro. A lui si devono i primi studi sulla struttura cellulare dei tessuti, la descrizione di vasi capillari sconosciuti da William Harvey, la circolazione minore attraverso i polmoni, le emazie ecc. Quanto alla tassonomia, gli studi del naturalista inglese John Ray (1627-1705) confluirono nell’ingente lavoro di classificazione sistematica di tutto il mondo organico a partire dal concetto moderno di specie, genere e ordine biologico. In medicina, l’inglese William Harvey (1578-1657), medico personale dei monarchi della casa Stuart e di Francis Bacon, dimostrò in maniera inconfutabile la circolazione del sangue. La medicina clinica ebbe la sua opportunità nei lavori del medico inglese Thomas Sydenham (1624-1689), che nel 1676 descrisse la sintomatologia di un gran numero di malattie, tra cui la gotta, il vaiolo o la dissenteria. Nell’am62
LA PASCALINA. Dopo tre anni di ricerche e 50 prototipi, Pascal presentò la sua prima
macchina nel 1645. Costruì circa una ventina di pascaline sempre migliori; nove di queste sono giunte fino a noi.
LA STEPPED RECKONER. Macchina calcolatrice progettata da Gottfried Wilhelm Leibniz nel 1670; la prima capace di realizzare le quattro operazioni aritmetiche di base. Così come eseguiva addizioni e sottrazioni, poteva moltiplicare, dividere e trovare le radici quadrate tramite una serie di passaggi di addizioni.
bito della chimica, l’irlandese Boyle confutò la teoria degli elementi di Aristotele nell’anno 1661 e introdusse l’idea moderna di elementi chimici.
Dalle teorie alla pratica Scienza e scienziati poterono contare su nuovi mezzi di esplorazione e sperimentazione. Accanto a quelli già menzionati nel campo dell’ottica o degli osservatori di Parigi (1667) e Greenwich (1765), altri meccanismi, come gli emisferi di Magdeburgo (1654), la marmitta di Denis Papin (1690) o il piano inclinato di Galileo, funzionarono come laboratori pratici, permettendo la riproduzione sperimentale dei postulati teorici. La precisione delle misure si ottenne grazie a strumenti come il barometro o l’orologio a pendolo di Huygens, che rese possibile il controllo di movimenti di solo mezzo secondo. Altri progressi si realizzarono in forma più graduale. Nel
caso della misura della temperatura, fu complesso stabilire una scala. Dalle prime proposte, basate sul punto di congelamento dell’acqua, si passò alla scala massima della temperatura di bollore dell’acqua. Il consenso fu difficile e i dibattiti si protrassero fra le tre diverse scale Fahrenheit (da 0 a 212 gradi), Celsius (da 0 a 100) o Réamur (da 0 a 80). Le idee scientifiche nel passaggio di secolo dal XVII al XVIII, con il loro accento sulla necessità di spiegazioni razionali, favorirono una retrocessione dalle credenze irrazionali e superstiziose che non si potevano spiegare in termini scientifici. Ma serviranno anche per scuotere le credenze di molti uomini educati in seno alle dottrine tradizionali del Cristianesimo. In questo modo contribuirono alla secolarizzazione del pensiero e favorirono lo scetticismo e il deismo, che segneranno il secolo successivo: quello dell’Illuminismo in Europa.
I grandi progressi scientifici Il XVII secolo fu un’epoca chiave nella storia della scienza. Le continue scoperte introdussero cambiamenti decisivi nel metodo scientifico, nella cosmovisione dell’universo e nel concetto stesso di scienza come fonte di progresso per l’umanità.
Il MICROSCOPIO. Commerciante e tagliatore di lenti, Anton van Leeuwenhoek (1632-1723) riuscì a costruire un microscopio con cui riuscì a ingrandire fino a 300 volte gli oggetti osservati: scoprì così il mondo dei microrganismi. Sopra, uno dei microscopi realizzati da Leeuwenhoek.
IL BAROMETRO DI TORRICELLI. Evangelista Torricelli (1608-1647), discepolo di Galileo, realizzò nel 1644 un esperimento con un tubo pieno di mercurio che immerse in una vaschetta dello stesso metallo per dimostrare l’esistenza del peso dell’aria, vale a dire della pressione atmosferica.
LA MACCHINA A VAPORE DI SAVERY. Thomas Savery (1650-1715) mise in pratica gli ultimi progressi nel movimento di pistoni e stantuffi mediante la pressione gassosa. Nel 1698 brevettò la sua “macchina per tirare su l’acqua col fuoco”, conosciuta come “l’amico del minatore”.
LA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE. William Harvey (1578-1657) dimostrò che la contrazione dei muscoli cardiaci era in grado di spingere il sangue lungo le arterie e che il sistema vascolare lo portava alle diverse parti del corpo.
IL TELESCOPIO DI NEWTON. Per correggere le aberrazioni cromatiche dei telescopi rifrattori impiegati da Galileo e Huygens, Newton presentò nel 1672 un telescopio riflettore che eliminava le distorsioni ed era molto più piccolo.
LA POMPA A VUOTO. Nel 1654, il fisico e giurista tedesco Otto von Guericke (16021686) diede una spettacolare dimostrazione dell’immensa forza che l’atmosfera poteva esercitare, conosciuta come l’esperimento degli emisferi di Magdeburgo.
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LUIGI XIV. Ritratto (1701)
del Re Sole realizzato da Hyacinthe Rigaud (Museo del Louvre, Parigi). Nella pagina accanto, il sole, emblema della monarchia francese, su una delle cancellate d’ingresso al palazzo di Versailles, disegnata da Mansart.
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IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE A partire da Enrico IV, la restaurazione dell’autorità monarchica fu un obiettivo prioritario in Francia. Lo perseguì Luigi XIII che, con Richelieu, cominciò anche una politica di egemonia europea. Il culmine arrivò però con Luigi XIV, il Re Sole. Circondato da grandi collaboratori, stabilì la propria corte a Versailles: questa divenne il centro nevralgico di un’Europa che si arrese di fronte alle armi, ma anche di fronte alle arti francesi.
L’
incoronazione di Enrico IV significò l’ascesa della dinastia dei Borbone al trono francese. La sua conversione al Cattolicesimo cercò di mettere fine al conflitto religioso in Francia. Enrico di Navarra, rinunciando alla fede ugonotta, guadagnò Parigi al prezzo di una messa, ma soprattutto dimostrò che si potevano coniugare e affiancare diverse sensibilità politiche e religiose. Regnò tra il 1594 e il 1610 come sovrano preoccupato di recuperare l’unità interna mediante politiche di tolleranza religiosa (come l’editto di Nantes del 1598, che garantì la libertà di coscienza ai sudditi del regno). Finì per guadagnarsi l’ap-
poggio del clero cattolico francese, anche se non rinunciò all’inclusione di vecchi avversari personali nella sua nuova corte, come il famoso duca di Sully, Maximilien de Béthune, uno degli antichi capi protestanti; ma anche un oppositore cattolico quale fu il marchese di Villeroy. Sul piano internazionale cercò di recuperare il terreno perso dalla Francia durante la seconda metà del XVI secolo. I suoi interessi si proiettarono sull’Italia, soprattutto dopo il matrimonio con Maria de’ Medici, figlia di Francesco I, granduca di Toscana. Questo intervento ebbe luogo non solo militarmente, ma anche attraverso mediazioni, come quella esercitata tra 65
IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
RE DI FRANCIA: XIV-XVIII SECOLO 1328-1589
Dinastia Valois 1498-1515
Luigi XII 1515-1547
Francesco I 1547-1559
Enrico II 1559-1560
Francesco II 1560-1564
Reggenza di Caterina de’ Medici 1560-1574
Carlo IX 1574-1589
Enrico III 1589-1792
Dinastia Borbone 1589-1610
Enrico IV 1610-1617
Reggenza di Maria de’ Medici 1610-1643
Luigi XIII 1643-1715
Luigi XIV 1715-1774
Luigi XV 1774-1792
Luigi XVI 66
Venezia e il Papato romano, nel corso della cosiddetta guerra dell’Interdetto del 1607. La sua scommessa su un’organizzazione multilaterale su scala europea rimase espressa nel Gran Disegno (Grand Dessein), una proposta per risolvere l’instabilità politica del continente mediante la regolazione degli equilibri tra le sei monarchie ereditarie, le cinque elettive e le quattro repubbliche principali d’Europa che sarebbero state rappresentate in un Senato federale. La sua funzione sarebbe stata quella di risolvere i conflitti nelle relazioni internazionali. Anche se il suo progetto si può catalogare come un astratto sogno diplomatico, riflette però le caratteristiche dell’importanza attribuita dal re al ruolo degli ambasciatori e alla negoziazione come strade di attuazione internazionale della monarchia francese durante questo periodo, ai margini della guerra.
L’anelito sovrano di Enrico IV Enrico IV cercò di estendere il proprio potere sovrano in tutti gli ambiti. Fu una sfida difficile. La politica di tolleranza religiosa rispetto ai protestanti, nonostante i limiti di esercizio pubblico del culto che questi avevano a Parigi e in quelle regioni dove non erano stati precedentemente presenti, portò con sé la nascita di un centinaio di città fortificate con guarnizioni ugonotte armate a garanzia dell’editto di Nantes. Queste enclavi continuavano ad avere una certa autonomia che riduceva qualsiasi pretesa assolutista. Similmente, molte province francesi avevano un sistema di governo autonomo, vicino ai principati tedeschi o alle contee inglesi. Alcune contavano su potenti Stati provinciali – Languedoc, Bretagna, Provenza, Delfinato, Borgogna, mentre la Normandia era un caso misto – con amministrazione fiscale e giudiziaria propria. A ogni modo, Enrico IV andò pian piano sovrapponendosi a questi limiti strutturali e ridusse progressivamente il ruolo delle città e delle assemblee rappresentative territoriali. L’azione di Sully, sovrintendente delle finanze dal 1598, creò basi fiscali solide per la monarchia. Ci furono naturalmente molte resistenze, che vennero però severamente represse. Alla fine fu possibile avanzare lungo le direttrici segnate dalla monarchia. Le numerose rivolte popolari fallirono invece a causa del loro carattere spontaneo, disorganizzato e senza chiare rivendicazioni. Il monarca finì per imporsi di fronte a insurrezioni molto più pericolose e ambiziose. Nel 1602 ci fu la più grande sollevazione aristocratica contro la corona, che coinvolse Carlo Emanuele di Savoia insieme al governatore di Borgogna – il duca di Biron – e all’ugonotto duca di Bouillon. Dietro ai ribelli c’era il denaro spagnolo e la si-
Maria de’ Medici, regina e banchiera di Francia Nel 1600, un anno dopo l’annullamento del suo primo matrimonio, Enrico IV si sposò con Maria de’ Medici, che diventò così la seconda donna di questa potente famiglia toscana ad accedere al trono di Francia. Il primo matrimonio di Enrico IV non gli aveva dato figli per cui, dopo il suo annullamento, si impose la necessità di trovare una nuova sposa che da un lato assicurasse la continuità dinastica dando al re un erede, dall’altro fosse possibilmente accompagnata da una dote che risolvesse i problemi finanziari della corona. Fu così che Enrico si sposò con Maria, figlia dei suoi principali creditori, i Medici, l’influente famiglia di duchi e banchieri fiorentini. Non solo Maria gli diede dei figli, ma, oltre a diventare il mecenate di artisti come Rubens, Guido Reni o Poussin, introdusse alla corte francese il gusto italiano. Cosa che si accentuò durante gli anni in cui agì come reggente. I suoi screzi con il figlio Luigi, che fece assassinare il gruppuscolo italiano fedele a sua madre, finirono per mandarla in esilio, dove morì nel 1642. Nell’immagine, L’incoronazione di Maria de’ Medici , dipinto di Rubens (Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo).
tuazione si trasformò in un serio pericolo per la corona francese. Ma ribellione fu sedata, dimostrazione tangibile dei progressi effettuati nel consolidamento del potere reale in Francia. Biron fu infine giustiziato, dopo un processo legale davanti al Parlamento di Parigi. Lo sfondo di cospirazione spagnola della rivolta di Biron non potè essere negato. La scarsa sicurezza delle frontiere spinse il monarca ad appoggiare i protestanti tedeschi e a intensificare l’attività diplomatica a partire dal 1608. Nello stesso anno sostenne la formazione nell’impero dell’unione evangelica; nel 1609 intervenne nelle tregue tra le Province Unite e la Spagna; nello stesso anno la Francia divenne la grande sostenitrice delle aspirazioni dell’elettore di Brandeburgo sui territori imperiali in disputa. La monarchia francese sembrava a un passo dal mettere in pratica la minaccia militare. Ma il 14 maggio del 1610, il monarca, che era riuscito a scappare da un buon numero di attentati, fu pugnalato da un cattolico esaltato, François Ravaillac, in prossimità del palazzo del Louvre. Né il piombo
fuso, né l’olio bollente, né i quattro cavalli che lo squartarono riuscirono a ottenere dal regicida una confessione sulle sue motivazioni o sull’esistenza di istigatori. La minaccia di una guerra civile e il crollo di tutta l’opera di governo del re si abbatterono sulla Francia.
La reggenza di Maria de’ Medici Dopo l’assassinio di Enrico IV, avvenuto nel 1610, sua moglie Maria de’ Medici divenne tutrice del figlio Luigi, di soli nove anni. Fervente cattolica, nonostante le sue ambizioni politiche si lasciò influenzare eccessivamente dalla sua sorella di latte, Leonora Galigai, e soprattutto dal marito di questa, Concino Concini, che assurse presto al ruolo di maresciallo e fu nominato marchese d’Ancre. La reggente adottò una politica cattolica e di avvicinamento alla Spagna che allarmò i settori protestanti e gli antichi potenti di corte, specialmente il duca di Sully. La regina cercò di calmare questi sospetti mediante la ripartizione di ricompense e pensioni. Nel 1614, convocò le corti del regno, gli Stati gene-
rali, ma l’assemblea non potè superare le rivalità che esistevano tra i ceti rappresentati. In questo contesto di messa in discussione del potere, scoppiarono pericolose rivolte dei grandi nobili, come quella di Condé (1615), mentre gli intrighi di palazzo si succedevano intorno al consigliere Concini e ad alcuni dei suoi protetti, come il giovane vescovo di Luçon, Armand de Richelieu, che cominciò a distinguersi proprio in quegli anni. Il finale fu totalmente inaspettato, poiché nel 1617 il giovane Luigi XIII, a 16 anni, prese le redini del potere. In un atto di affermazione si allontanò dalla regina madre e nominò un nuovo favorito, il nobile provenzale Carlo d’Albert di Luynes. Le lotte si spostarono dunque all’interno della stessa famiglia reale. Seguirono diversi anni di amari scontri, con intrighi laceranti tra madre e figlio. L’inesperienza e la giovinezza di Luigi XIII e la mediocrità dei suoi servitori più vicini finirono per imporre una riconciliazione finale tra madre e figlio. In realtà, la lungimiranza della regina aveva previsto il futuro orientamento della Francia. Fu Maria de’ Medici a suggerire
ENRICO IV. Statua di Enrico IV – re di Navarra e Francia e primo monarca francese della dinastia Borbone – nel castello di Pau.
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IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
Il cardinale Richelieu, il pugno di ferro di Luigi XIII a La Rochelle La lotta di Richelieu per rinforzare il potere della corona passava dalla diminuzione del potere degli ugonotti e della nobiltà feudale attraverso la distruzione delle loro fortezze all’interno del regno, di modo che non potessero rifugiarsi in esse in caso di ribellione. La presa e distruzione della cittadella protestante di La Rochelle fu diretta dallo stesso cardinale. Se c’era una cosa che non mancava ad Armand-Jean du Plessis, cardinale e duca di Richelieu, era l’ambizione. Non lesinava alcun mezzo per raggiungere i propri obiettivi. Lo dimostrò con la presa di La Rochelle, una fortezza che l’Editto di Nantes, firmato da Enrico IV (lui stesso un ex ugonotto) nel 1598, concedeva ai protestanti. La deriva pro-cattolica che seguì l’assassinio del re e la convinzione di Richelieu che una fortezza ugonotta all’interno del regno rappresentava una specie di Stato dentro lo Stato e una pericolosa testa di ponte per possibili incursioni degli altri regni protestanti, come l’Inghilterra, fu il motivo che lo spinse a distruggerla. L’assedio cominciò nel settembre del 1627 e si concluse nell’ottobre dell’anno seguente con la capitolazione della città, dopo di che Richelieu fece costruire una gigantesca diga che ne impediva l’accesso al mare. A sinistra, busto di Richelieu scolpito dal Bernini (Museo del Louvre, Parigi); a destra, vista di La Rochelle nel 1628, di Jacques Callot; nella pagina seguente, Richelieu durante l’assedio di La Rochelle, olio di Henri-Paul Motte (Musée d’Orbigny Bernon, La Rochelle).
al figlio di cercare la collaborazione del personaggio che sarebbe stato l’uomo di punta del regno negli anni seguenti. Così, nell’anno 1624, Luigi XIII nominò suo consigliere principale Armand de Richelieu, che già godeva della posizione di cardinale dal 1622.
L’epoca di Richelieu Luigi XIII, che aveva ventidue anni nel 1624, governò con l’appoggio del cardinale Richelieu. Questi aveva senz’altro qualità eccezionali e coniugava con abilità una volontà inflessibile e un opportunismo malleabile. Consolidare il proprio potere, ma allo stesso tempo quello del giovane monarca, fu la sua regola ferrea, che portò il favorito a una politica di sottomissione di qualsiasi opposizione nel regno. Richelieu mise la Francia in uno stato di tensione permanente. Sapeva di dover contare sulla premessa di un regno forte e unito. Perciò, applicò una politica dal pugno di ferro. I sollevamenti aristocratici, l’insurrezione contro gli eccessi fiscali o le sommosse provocate dalla fame e 68
dalla miseria furono repressi senza pietà. All’interno del regno, il cardinale Richelieu obbligò gli ugonotti a piegarsi alla volontà del monarca prendendo una delle fortezze che garantiva la loro libertà di pratica religiosa, la città di La Rochelle, nel 1628. Dopo la sua conquista, le mura della città furono demolite e il governo municipale perse tutti i suoi privilegi. Anche se rimase l’autorizzazione alla predica del culto protestante, la pratica del Cattolicesimo fu ristabilita e incoraggiata. Altre ribellioni simili portarono al trionfo dell’opzione monarchica nell’Editto di Grazia di Alès, del 1629, che salvaguardò per i sudditi protestanti le libertà religiose, civili e giuridiche già stabilite dall’editto di Nantes. Li privava però, per il futuro, dei privilegi politici e militari. Quest’implicazione del cardinale Richelieu nelle questioni confessionali rifletteva una lotta interna molto tesa tra il cosiddetto “partito devoto” – che sosteneva lo sradicamento del Protestantesimo in Francia, come anche una politica estera in difesa del Cattolicesimo nell’impero tedesco – articolato intorno a Maria de’ Medici e
alla regina Anna, e il “partito dei buoni Francesi”, al quale si appoggiava Richelieu, che sosteneva la necessità di «evitare la confusione degli interessi dello Stato con quelli della religione», sia all’interno del regno sia all’esterno. Luigi XIII fu sottoposto a pressioni insostenibili da parte di entrambi i gruppi, che condussero alla “giornata degl’inganni” del 10 novembre 1630. Quel giorno, Maria de’ Medici fu protagonista di una scenata molto violenta davanti al re e al cardinale. Diverse ore più tardi, Luigi XIII chiamò al suo cospetto il cardinale e gli rinnovò la sua fiducia. Il partito devoto fu immediatamente decapitato con destituzioni, esili ed esecuzioni. Maria de’ Medici si rifugiò nei Paesi Bassi spagnoli, dove morirà dodici anni dopo, senza essere tornata in Francia. Una volta sicuro della cieca fiducia del re, il cardinale Richelieu subordinò tutta la politica interna alle esigenze della lotta della Francia contro gli Asburgo. Era riuscito a superare tutte le difficoltà provocate dai problemi economici, dai complotti di corte e dalle grandi rivolte popolari. Queste ultime furono, senza dubbio, la manifestazione
più chiara del rovescio della politica della “grande Francia”. A poco a poco, il malcontento contro il cardinale unì i 20 milioni di Francesi. Non solo mise d’accordo le masse dei contadini, ma stabilì legami di solidarietà tra la borghesia urbana e la nobiltà. Le rivolte si succedettero in concomitanza con i cattivi raccolti degli anni 1635, 16361637 – i croquants della zona della Loira e della Garonna; del 1639 – nu-pieds di Normandia – 1643... e così via nel tempo. Nonostante lo strenuo sforzo di Richelieu, la minaccia militare della Francia sull’Europa fu contenuta. Il cardinale era profondamente cosciente della mancanza di truppe allenate e della carenza di una marina potente. Per questo, la sua strategia si basò sul combattimento indiretto contro gli Asburgo, con cui metteva in campo capacità diplomatiche e distribuiva sussidi milionari ai nemici di Madrid e di Vienna. Ma dopo la morte del re svedese Gustavo Adolfo e la vittoria spagnola di Nördlingen, i fatti obbligarono il cardinale a optare per la guerra aperta. Così, nel 1635 la Francia dichiarò guerra alla Spagna. 69
IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
Di conseguenza, la pressione sul regno per far fronte alle spese militari aumentò. Le vittorie francesi cominciarono a susseguirsi, cosa che istigò il prosieguo di questa politica aggressiva. La morte di Richelieu il 4 dicembre 1642, accolta con sollievo dal regno, impedì che nel 1643 il cardinale potesse assistere al trionfo leggendario delle truppe francesi sulle milizie spagnole, che fino ad allora avevano goduto della fama di invincibili.
Mazzarino e la Fronda
Mazzarino, il successore di Richelieu giunto dall’Italia Nel suo testamento, l’onnipotente Richelieu raccomandava a Luigi XIII che alla propria morte prendesse in considerazione un cardinale suo protetto, Mazzarino, come suo successore nell’incarico di primo ministro di Francia. Il re morì presto, ma la sua sposa, diventata reggente, ascoltò il consiglio. Nel 1630, quando la Francia si preparava a invadere il nord Italia, Richelieu ricevette la visita di un giovane diplomatico al servizio della Santa sede. Era Giulio Mazzarino. Anche se questi non riuscì a portare a termine la propria missione, cioè frenare l’offensiva francese, il cardinale fu molto colpito dalle doti dell’italiano. Ancor di più quando ebbe occasione di trattare con lui da vicino una volta che Mazzarino, nel 1635, si trasferì a Parigi. Nel 1639 fu naturalizzato francese e divenne uno dei collaboratori più vicini di Richelieu, che nel 1641 ottenne per lui lo zucchetto cardinalizio e ne fece il proprio successore di fronte al regno. Nonostante questo e nonostante i suoi successi diplomatici e politici (come il Trattato dei Pirenei con la Spagna), la sua figura fu sempre molto contestata, dato che si dovette scontrare con rivolte come quelle della Fronda. Nell’immagine, Mazzarino ritratto da Philippe de Champaigne (Musée National du Château, Versailles).
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Nel 1643, pochi mesi dopo il suo prezioso ministro, morì Luigi XIII. La sua vedova, la regina Anna d’Austria, assunse la reggenza di Francia, anche se costantemente accompagnata dal cardinale Mazzarino – una vecchia eredità di Richelieu – in una relazione così stretta che si arrivò a vociferare di un matrimonio segreto tra la regina reggente e il favorito. Entrambi dovettero scontrarsi con la sfida del proseguimento della guerra all’estero, come anche con la difficoltà di finanziarla. Nonostante la Francia fosse uno dei regni più popolosi d’Europa, ci furono momenti in cui la pressione fiscale risultò eccessiva e portò allo scoppio di una serie di tumulti che sembravano insuperabili. Le insurrezioni a ferro e fuoco coinvolgevano i contadini, ma arrivarono anche nelle strade piene di miseria di alcune città. Poveri e privilegiati condivisero di nuovo la loro antipatia per un cardinale. Le misure di centralizzazione del governo provocarono anche episodi di insubordinazione costante tra le corporazioni rappresentative, specialmente nei parlamenti regionali, anche se l’assemblea che ebbe un ruolo protagonista nelle proteste fu il parlamento della capitale, Parigi. Contadini, nobili e oligarchie urbane avevano, senza dubbio, progetti molto diversi e opposti tra loro. Solo il rifiuto del regime di guerra imposto da Richelieu e proseguito da Mazzarino li unì nelle loro proteste, che sono conosciute con il nome di Fronda (da fronde, rivolta, insurrezione, in francese). La prima Fronda fu quella parlamentare, tra agosto 1648 e marzo 1649. I magistrati di Parigi decisero di riunirsi con i rappresentanti di altre assemblee per deliberare su una necessaria “riforma del regno”. Presero accordi che limitavano le mansioni fiscali della corona e diminuivano l’autonomia del re per creare nuove funzioni, che tra le altre cose sostenevano una direzione di governo nuova, caratterizzata da una supervisione costante dei comuni. Dopo l’indeterminatezza iniziale, provocata dall’appoggio di massa del popolo parigino agli accordi parlamentari, Mazzarino e la famiglia reale abbandonarono Parigi. Per ordine della regina reggente, la capitale rimase bloccata da un grande esercito comandato dal
principe di Condé. I ceti popolari, in uno scenario di caos e distruzione, finirono per essere un nemico molto più pericoloso per le élite privilegiate. Poco a poco, grazie alle amnistie e alle concessioni economiche, i Parigini più in vista desistettero dai loro propositi. Nonostante tutto, era stata una soluzione inutile, dato che il movimento di protesta e di scontento contro Mazzarino non si spense. Resistette nella capitale e nel regno, con gradi di intensità variabili. I nobili furono protagonisti della seconda Fronda, chiamata “dei principi”, che si sviluppò durante l’anno 1650. Il suo leader fu il principe di Condé, che aveva svolto un ruolo decisivo nei fatti dei mesi precedenti. La bramosia dell’aristocratico, tronfio della propria gloria militare, lo portò a porsi come sostituto del cardinale Mazzarino nel godere della protezione reale. Dopo molti intrighi, Condé fu incarcerato per ordine del cardinale. Dopo il principe di Condé, altri grandi nobili subirono la stessa sorte. La situazione nelle province degenerò e la Fronda raggiunse il suo punto culminante tra il
dicembre del 1650 e il settembre del 1651, quando alla rivolta dei principi si unirono nuovamente gli animi infiammati dei parlamentari. Insistettero affinché il re assumesse il programma di riforme del 1648 e la situazione finì per farsi insostenibile per il cardinale. Con un gesto molto ben calcolato, questi abbandonò la città di Parigi, liberò i principi e si esiliò a Colonia. La scomparsa del nemico comune ebbe un effetto fulminante sul regno. Lungi dal concludere una pace, la mancanza del capro espiatorio dopo tanti decenni fece affiorare le divergenze profonde che esistevano tra i frondisti. Il movimento di rivolta si disgregò e i suoi leader nobili, specialmente Condé, si ritirarono dalla prima linea di proposte. Fu allora che scoppiò l’ultima Fronda – quella del “Grande Condé” – tra settembre 1651 e agosto 1653. Fu la più violenta e anche la più disastrosa per i suoi catastrofici effetti sul regno. Il gran principe strinse alleanze con la Spagna e trasformò le insurrezioni in una guerra con elementi internazionali. Ma gli insorti furono nuovamente vittime della mancanza di organizza-
IL TESTAMENTO DI MAZZARINO. L’antico
Collegio delle quattro nazioni, nell’odierna sede dell’Istituto di Francia, fu costruito per espresso desiderio del cardinale Mazzarino, che nel proprio testamento lasciò la sua fortuna personale alla fondazione di un collegio destinato all’educazione di sessanta gentiluomini delle quattro nazioni (Artois, Alsazia, Pinerolo e Rossiglione e Sardegna) che avevano firmato i trattati di Westfalia e dei Pirenei.
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Il Trattato dei Pirenei, molto più di una spartizione territoriale Anche se la guerra dei Trent’anni era finita ufficialmente nel 1648 con i trattati di Westfalia, non per questo il continente si era rappacificato. In Catalogna rimaneva un fronte aperto, la guerra dei Mietitori, che coinvolgeva direttamente le corone spagnola e francese. La pace arrivò finalmente nel 1659 con un nuovo trattato. Il 7 novembre del 1659, sull’isola dei Fagiani (situata sul fiume Bidasoa, sulla frontiera franco-spagnola), fu solennemente siglato un trattato di pace che metteva fine alla guerra di Catalogna. Per la Francia fu una pace molto vantaggiosa, poiché implicò l’annessione delle province nord-catalane del Rossiglione e della Cerdagna, da sempre bramate dalla corona, oltre alla contea d’Artois e ad alcune roccaforti del nord, come Metz e Verdun. Come contropartita, la Spagna ottenne dalla Francia la fine dei suoi aiuti al Portogallo e la rinuncia alle sue pretese sulla contea di Barcellona. Ma il Trattato dei Pirenei fu molto più che una spartizione territoriale, dato che includeva disposizioni che regolavano il commercio e lo scambio di prigionieri di guerra. Furono previsti anche compromessi matrimoniali che avrebbero messo fine alla lunga storia di scontri tra i due regni. Nell’immagine, la firma del trattato in un dipinto di Laumosnier (Musée de Tessé, Le Mans), in cui si vedono ritratti buona parte dei partecipanti all’atto. 1 Filippo IV, re di Spagna; 2 Luigi XIV, re di Francia; 3 l’infante Maria Teresa, primogenita di Filippo IV, destinata a essere la moglie del Re Sole con la condizione che la coppia reale avrebbe rinunciato a tutti i diritti al trono spagnolo; 4 don Luis Méndez de Haro, nipote del conte-duca di Olivares, che si incaricò delle negoziazioni da parte spagnola; 5 il cardinale Mazzarino, rappresentante della parte francese e grande trionfatore del trattato.
zione e di un’ideologia coerente o di una base sociale solida. I nobili cedettero pian piano di fronte alle offerte di indulgenza e di favore inviate dai legati regi. Dopo il fallimento delle operazioni militari contro Parigi, Condé si rifugiò nei Paesi Bassi spagnoli. Allora, la reggente e il giovane monarca chiamarono di nuovo Mazzarino a corte e nel febbraio del 1653 il cardinale recuperò tutti i suoi privilegi.
Il tramonto dei cardinali L’armonia sembrò imporsi nel regno a mano a mano che si riuscivano a contenere alcune ribellioni di nobili provinciali e si reprimevano senza sosta i numerosi sollevamenti contadini del periodo 1656-1659. Le crisi provocate dalla Fronda avevano messo in luce l’incapacità di governo di un regno diretto da aristocratici e parlamentari. Uscito rafforzato dagli eventi, il cardinale Mazzarino condusse un’offensiva assolutista con l’appoggio della regina e del giovane monarca. Per farlo, contò sull’aiuto di una solida squadra di consiglieri, che cominciarono 72
a comparire in quel periodo, ma i cui nomi contribuirono alla fama posteriore del regno di Luigi XIV (Séguier, Fouquet, Colbert, Le Tellier). Questo riarmo politico non significò alcun ripensamento da parte del cardinale sulla dura pressione fiscale su una popolazione francese soggetta senza pietà alla miseria più nera. Prima di morire il 9 marzo del 1661, Mazzarino poté godere degli ultimi successi dei suoi stratagemmi politici e diplomatici con la restaurazione del prestigio del generale Condé, ottenuto per la causa del cardinale, e con gli accordi del Trattato dei Pirenei, che mettevano una fine vittoriosa alla guerra contro la Spagna. I tumulti provocati dalla fronda tra il 1648 e il 1652 beneficiarono momentaneamente dell’avanzata spagnola. Ma a partire dal 1652, il cardinale Mazzarino diede inizio a un’offensiva diplomatica e militare destinata a isolare Filippo IV e a obbligarlo a firmare un accordo di pace. Nel 1655, la Francia firmò un trattato di amicizia con l’Inghilterra di Cromwell, che nel 1657 significò per l’Inghilterra appoggiare la Francia con la
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propria flotta e con un contingente di 6000 uomini. L’offensiva marittima congiunta inglese e francese ebbe come conseguenza diretta la conquista di Dunkerque e causò una sconfitta epocale alla flotta spagnola nella battaglia delle Dune del 14 giugno 1658. La pace tra Spagnoli e Francesi fu firmata infine con il Trattato dei Pirenei del novembre 1659. In base a questo, la monarchia ispanica consegnò alla Francia il territorio del Rossiglione e parte della contea della Cerdagna, la regione fiamminga dell’Artois e varie roccaforti nelle zone delle Fiandre e del Lussemburgo. Il trattato volle anche stabilire relazioni di pace e di amicizia mediante il legame di Luigi XIV di Francia con l’infanta di Spagna Maria Teresa.
Il Re Sole e la sua corte Luigi XIV decise di governare in solitario il giorno successivo alla morte del cardinale Mazzarino. Il monarca era senz’altro un uomo preparato intellettualmente, ben istruito e conoscitore delle realtà del regno. Il suo unico difetto
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era un orgoglio eccessivo, che mostrava nel suo stemma (il sole splendente) e nel suo motto (Nec pluribus impar, “non inferiore ai più”, all’interno del suo fantastico progetto di impero universale). Presto si trasformò nel meglio riuscito archetipo di re assoluto della sua epoca: governò per diritto divino ed era considerato l’origine di tutta la legislazione del regno, fonte inesauribile di privilegi e giudice supremo. In relazione a queste caratteristiche divine, tutta la sua corte si era preparata a rendere culto alla sua persona attraverso una liturgia quasi sacra. La sua corte fu itinerante per la Francia finché non si stabilì a Versailles nel 1682. Fu in quest’ambito che il re e il suo mondo assunsero le loro più fantastiche e sovrumane proporzioni. Non tutti coloro che circondarono il Re Sole furono meri e futili adulatori. Il monarca poté contare su collaboratori molto ben scelti e competenti. Per consultarsi disponeva di un consiglio reale diviso in sezioni specializzate, che esaminavano due volte alla settimana i grandi temi di ordine interno ed esterno. 73
VAUBAN: LE FORTEZZE DELLA FRANCIA DEL RE SOLE
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a politica estera tracciata dal cardinale Mazzarino e dal suo successore JeanBaptiste Colbert per il monarca Luigi XIV, non solo era interventista, ma istituiva anche la necessità, molto realistica, di fortificare le frontiere di Francia in un periodo in cui sia gli scambi sui limiti territoriali, che le innovazioni tecniche introdotte dagli eserciti (in primo luogo l’artiglieria), avevano trasformato in obsolete le precedenti fortezze. La persona responsabile di trasformare tutto il sistema di difesa francese fu Sébastien Le Prestre, marchese di Vauban, il più grande ingegnere militare del XVII secolo. A lui si deve il disegno, la ricostruzione o la ristrutturazione delle fortezze e delle cittadelle lungo le frontiere ovest, nord e est della Francia, tra cui quella di Neuf-Brisach (nell’immagine). Situata in Alsazia, è una delle 12 cittadelle fortificate da Vauban – insieme ad Arras, Longwy, Briançon e Mont-Luis, tra le altre – che dall’anno 2008 fanno parte del patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
LA FORTEZZA DI SALSES. Ricostruita da Ferdinando il Cattolico, questa fortezza catalana rimase dal lato francese in base al Trattato dei Pirenei. Vauban la ristrutturò, ma trovandosi a 50 km dalla nuova frontiera, fu trasformata in prigione. 74
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DISEGNI, PIANI, FORTIFICAZIONI. I disegni delle fortificazioni realizzati da
Vauban cercavano, se non di contrastare, di minimizzare l’azione dell’artiglieria, capace di distruggere con facilità le vecchie muraglie medievali. Sopra, dettaglio di un bastione ispirato a Vauban, in un trattato di ingegneria militare francese pubblicato nel 1745 (Archiv für Kunst und Geschichte, Berlino).
SÉBASTIEN LE PRESTRE, SIGNORE DI VAUBAN Colui che diverrà il grande ingegnere militare di Luigi XIV cominciò la propria carriera come soldato nell’insurrezione della Fronda accanto al principe di Condè. Dopo essere stato fatto prigioniero, cambiò fazione e da allora servì fedelmente il re, conciliando con lo stesso successo il progetto di fortezze inespugnabili e la direzione del loro assedio e assalto, come fece a Nimega nel 1672, a Besançon nel 1674 o, ormai settantenne, a Vieux-Breisach nel 1703. Nello stesso anno, come premio ai suoi servizi, fu nominato maresciallo di Francia. Quattro anni più tardi morì a Parigi. Sotto, statua del marchese di Vauban, di Gustave Crauck (Palazzo del Louvre, Parigi).
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TERRENO PIANO. Al contrario degli ingegneri del passato, che preferivano costruire in luoghi brulli e di difficile accesso, il marchese di Vauban eresse le sue cittadelle su terreni piani. Le mura erano basse e larghe ed erano costruite in pietra e sabbia, materiali che meglio assorbivano gli impatti dei proiettili dell’artiglieria nemica.
2 I BASTIONI. Una delle caratteristiche principali delle fortezze del marchese di Vauban, anche se non erano una sua invenzione (la loro origine va cercata nello stile di fortificazione conosciuto come “alla moderna” sviluppato in Italia), è l’uso dei bastioni, strutture proiettate verso l’esterno dagli angoli della cittadella per facilitarne la difesa.
3 I RIVELLINI. Un altro elemento che Vauban fece suo (anch’esso derivato dalle fortificazioni "alla moderna" italiane) e che sfruttò con efficacia nelle sue costruzioni, fu il rivellino. Si tratta di una fortificazione triangolare che veniva situata generalmente al di là del fossato e che serviva a dividere l’attacco nemico, proteggere le mura e a fare fuoco incrociato sugli assaltatori.
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LA PIANTA A FORMA DI STELLA. Bastioni e rivellini
danno origine a fortificazioni a forma di stella che presto furono copiate da tutte le nazioni europee, Spagna inclusa (è il caso di San Ferdinando, a Figueres). Dentro le mura la pianta è reticolare, con una piazza centrale sulla quale si aprono gli edifici più importanti della cittadella. 75
IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
Jean-Baptiste Colbert, il grande ministro delle finanze di Luigi XIV Uno degli artefici del fatto che il regno del Re Sole sia stato considerato il "grande secolo francese" fu Colbert, grazie alle sue capacità di riorganizzare efficacemente i conti dello Stato e aumentarne le entrate. Non tutti gli economisti hanno avuto la fortuna, o il merito, di dare il nome a una dottrina economica. Jean-Baptiste Colbert è uno di questi con il colbertismo, la cui teoria si basa sul protezionismo mercantile e sul ruolo attivo dello Stato nella creazione della ricchezza nazionale. Colbert ebbe occasione di applicarla a partire dalla propria nomina a ministro delle finanze nel 1661. Fino ad allora, questo figlio di commercianti si era fatto notare come uno degli uomini di fiducia di Mazzarino, di cui amministrava i beni. Alla morte di questi e dopo la caduta in disgrazia del precedente sovrintendente alle finanze, Nicolas Fouquet, Colbert si accaparrò tutti gli incarichi di governo a eccezione dei ministeri della guerra e degli esteri. Per questo motivo ci fu sempre la sua mano dietro imprese tanto diverse come la costruzione del Canal du Midi, l’abbellimento di Parigi con l’apertura di nuove piazze e delle Tuileries, o la creazione dell’Accademia delle scienze. Il suo talento e la sua capacità di lavoro lo trasformarono in una delle poche persone di cui Luigi XIV si fidò sempre, anche durante la grave crisi economica che infangò i suoi ultimi anni di governo. Nell’immagine, busto di Jean-Baptiste Colbert, di Nicolas Coustou (Musée National du Château, Versailles).
LA CAPPELLA REALE (pag. 77). Terminata nel
1710, cinque anni prima della morte di Luigi XIV, questa cappella fu l’ultima delle grandi opere del Re Sole per la sua gloriosa Versailles. Anche se la sua costruzione in stile tradizionale francese a due piani si protrasse per oltre due decenni, è a Jules Hardouin-Mansart, il grande artefice di Versailles, che si deve la sua forma definitiva. (Dopo la sua morte l’opera fu conclusa da suo cognato Robert de Cotte). 76
Tra i ministri vanno ricordati Nicolas Fouquet (anche se presto cadde in disgrazia per le sue attività fraudolente), François Michel Le Tellier de Louvois, Hugues de Lionne e, soprattutto, Jean-Baptiste Colbert. Nel 1671, quando morì Lionne, il marchese di Louvois, figlio del vecchio segretario Le Tellier, entrò a far parte di questa cricca di notabili. Mentre Colbert risultava decisivo nelle questioni finanziarie ed economiche, Louvois si fece notare per la gestione delle questioni militari. Il compito fondamentale del governo fu rafforzare il potere assolutista del re in tutta la Francia. Le assemblee rappresentative tradizionali (assemblea del clero, ceti nobiliari, parlamenti regionali, corti di giustizia, città sovrane) furono sottoposte a controllo. Allo stesso tempo, i loro poteri concreti furono ridotti. Nel caso delle popolazioni implicate nella Fronda, persero il diritto di eleggere i propri magistrati, che passarono a essere nominati dal monarca. Tali iniziative significarono anche una riforma della legislazione, che cercò di uniformarsi attraverso ordinanze e
codici applicati in tutto il regno (ordinanze di acqua e boschi del 1669, ordinanze criminali del 1670, ordinanze marittime del 1681…) e nei territori sottoposti a colonizzazione. Fu questo il caso del crudele Codice Nero sugli schiavi del 1685, applicato ai Caraibi.
Le difficoltà finanziarie Jean-Baptiste Colbert fu molto efficiente nello svolgere i suoi compiti di adeguamento finanziario. Fino alla guerra contro le Province Unite, riuscì a mantenere l’equilibrio tra ingressi e spese mediante uno stretto controllo della contabilità, una diminuzione delle rendite e dei diritti che tradizionalmente ipotecavano i tributi e con sensibili miglioramenti all’esattoria. Con un leggero errore di anacronismo, gli è stato attribuito il calcolo sistematico, a partire dall’anno 1667, di “preventivi”. Tale concetto è valido in modo approssimativo e rende conto della scrupolosa contabilità del ministro. A ogni modo, sarebbe ingiusto dimenticare le altre misure non fiscali adottate da Colbert, che trasformarono il ministro anche in un portabandiera del mercantilismo europeo attraverso le legislazioni di protezionismo commerciale e di tutela delle manifatture. Le guerre finirono per piegare le eccellenti doti di Colbert come amministratore. Insieme all’apparato militare, alle fortificazioni, alla costruzione del grande palazzo di Versailles e addirittura al mantenimento dell’affollata corte del Re Sole, obbligarono la macchina regia ad aumentare continuamente le imposte o negoziare operazioni creditizie con banchieri privati, che applicavano interessi illeciti. Inoltre, dal 1680, si affermò l’affitto generalizzato dei tributi a tesorieri privati, cosa che incrementò l’arbitrarietà delle loro pretese sulle classi più modeste della popolazione urbana e, in particolare, su una classe contadina materialmente distrutta.
I problemi religiosi Cresciuto in un ambiente familiare impregnato di un profondo Cattolicesimo, Luigi XIV fu un monarca estremamente ostile con i giansenisti, che accusava non solo di eterodossia, ma anche di non essere leali verso di lui. I giansenisti prendevano il nome da Cornelius Jansen, autore dell’opera Augustinus (1640), che sosteneva un Cattolicesimo estremamente rigoroso. Per questo autore, secondo una lettura molto scrupolosa del pensiero di sant’Agostino, Cristo non sarebbe morto per tutta l’umanità, ma solo per un piccolo gruppo di cattolici eletti. Quest’interpretazione era diametralmente opposta alla morale gesuita in voga nell’Europa seicentesca e che si sosteneva su elementi molto più indulgenti.
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IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
Il Giansenismo a Port-Royal: i difensori dell’Augustinus Nel 1640 veniva pubblicato a Lovanio un voluminoso trattato redatto in latino sulla teologia di sant’Agostino che, senza allinearsi con alcuna delle correnti protestanti, rappresentava una sfida all’ortodossia cattolica stabilita un secolo prima a Trento. Il suo autore, Cornelius Jansen, ex vescovo di Ypres, era morto due anni prima.
Acerrimo nemico dei gesuiti, Jansen non ruppe mai con la Chiesa di Roma e addirittura prima di morire chiese che il suo libro fosse esaminato dalle autorità ecclesiastiche. E così fu fatto, con il risultato che cinque delle sue affermazioni furono considerate eretiche. L’inquisizione proibì la sua pubblicazione, ma né questo né le bolle critiche dei papi Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII poterono impedire che l’Augustinus venisse stampato e si diffondesse rapidamente in Francia. Fu così che nacque il Giansenismo, una corrente che per le sue posizioni radicali può essere vista come l’equivalente del Calvinismo in ambito cattolico. Il suo rigore, la negazione della possibilità che l’uomo possa fare del bene e, soprattutto, la sua considerazione che le autorità ecclesiastiche sono incapaci di rappresentare la volontà divina in terra, ne fecero un movimento pericoloso che sia lo Stato che la Chiesa si affrettarono a combattere, seppur con scarsi risultati. Il principale centro di diffusione di questa dottrina fu l’abbazia di Port-Royal des Champs, a sud-ovest di Parigi. Il Giansenismo vi arrivò nel 1634, quando un amico di Jansen, Jean Duvergier de Hauranne, fu nominato direttore spirituale sia della comunità femminile che delle scuole che questa aveva nella zona. La proibizione, nel 1679, che il cenobio accettasse nuove novizie, la sua successiva chiusura per ordine di papa Clemente XII e la sua demolizione nel 1710 misero fine a quel luogo, ma non al movimento. Nell’immagine, ritratto di Agnès Arnauld, badessa di PortRoyal, e di suor Catherine de Sainte Suzanne de Champaigne, di Philippe de Champaigne (Museo del Louvre, Parigi).
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In Francia, il movimento si stabilì nell’abbazia di Port-Royal des Champs, dove approdarono personalità insigni del momento come Blaise Pascal e Jean Racine. Le connessioni tra i giansenisti e il partito devoto avevano già provocato, fin dall’epoca di Richelieu, persecuzioni contro i “solitari” o “signori” di Port-Royal. Il Giansenismo fu inoltre considerato dalla Chiesa di Roma una deviazione dottrinale e fu condannato nel 1653 in una bolla che censurava cinque proposte concrete difese nell’Augustinus. Con questo documento pontificio si preparò un formulario di adesione a queste condanne dottrinali che fu dato ai principali giansenisti francesi perché lo firmassero. Diversi di loro, insieme a quattro vescovi e alle religiose di Port-Royal, si rifiutarono di accettarlo e crearono un movimento di resistenza di fronte al re che fu risolto solo con l’intervento del nuovo papa, Clemente IX. Con la cosiddetta “pace Clementina” si ottenne una tregua temporanea e i vescovi dissidenti assunsero un “ossequioso silenzio” conciliatore. Ma la polemica sulla liceità di questa formula transazionale finì per scoppiare, dato che implicava il fatto di mettere in discussione il ruolo di Luigi XIV come garante dell’ortodossia cattolica in Francia. Nel 1709, il re ordinò l’espulsione con la forza delle religiose di Port-Royal des Champs. Un anno dopo, lo stesso convento fu distrutto. Il problema giansenista fu solo uno dei tanti nodi del governo assolutista con cui Luigi XIV soppiantò il ruolo della Chiesa cattolica nel regno. Il monarca sostenne continuamente queste iniziative “galliche” (francesi) sulla Chiesa. Seppure c’era stata una certa connivenza per quanto riguardava il Giansenismo, rispetto ad altre direttive pontificie emanate da Roma, il sovrano si impegnò a far valere l’autorità dei vescovi nazionali di fronte al pontefice. I risultati arrivarono pian piano e la corona, dopo aver alimentato discussioni dottrinali sui limiti che era giusto imporre all’infallibilità del papa, ottenne che la maggioranza del clero accettasse le tesi del sovrano. Le bolle papali cominciarono a non essere pubblicate in Francia, gli editti di censura inquisitoria furono ignorati e la Sorbona si costituì come suprema autorità teologica del regno. Nel 1682, l’assemblea generale del clero francese finì per accettare una dichiarazione composta da “quattro articoli” che diventarono la sintesi della Chiesa gallica. In particolare, si diceva che il potere del pontefice si doveva intendere esclusivamente in senso spirituale. Ma il più importante episodio religioso del regno di Luigi XIV fu la revoca dell’Editto di Nantes nel 1685. D’accordo con i principi assolutisti di un solo re, un solo Dio e una sola religione, l’esi-
stenza di quasi un milione di protestanti risultava assolutamente intollerabile. I sospetti di connivenza con i protestanti olandesi davano al problema il marchio di pericolo internazionale. Durante il suo regno, Luigi XIV esercitò diversi gradi di pressione sugli ugonotti, dalle minacce fino alla corruzione, arrivando all’estremo di rendere obbligatoria l’educazione dei figli di famiglie protestanti in istituti cattolici. Infine, furono applicati metodi molto più duri, soprattutto mediante le terribili “dragonate”, assalti alle comunità protestanti da parte dei soldati del corpo dei Dragoni durante i quali si commettevano aggressioni, assassini o coercizioni perché ricevessero i sacramenti cattolici. Il 17 ottobre dell’anno 1685, il monarca prese una decisione definitiva e con la promulgazione dell’Editto di Fontainebleau revocò il precedente Editto di Nantes di tolleranza religiosa, risalente al 1598. La Francia diventava ufficialmente cattolica. Decine di migliaia di sudditi protestanti (circa 200.000 tra il 1680 e il 1700) abbandonarono il regno. Ciò nonostante, il Protestantesimo sopravvisse in ambito privato e ricomparve addirit-
tura sporadicamente nelle sue dimensioni più ampie delle cosiddette “assemblee del deserto”, pratiche di culto all’aria aperta in luoghi remoti. La morte o la galera era la sorte a cui andavano incontro coloro che vi partecipavano. Le persecuzioni, considerate come martiri protestanti, favorirono la comparsa di ideologie millenaristiche esaltate che condussero a rivolte territoriali di una certa entità, come quella che scoppiò nel massiccio delle Cevenne all’inizio del XVIII secolo con i cosiddetti camisards.
La politica europea nel 1661-1672 Nel suo primo decennio di regno, Luigi XIV impose la propria egemonia di fronte a tre grandi poteri europei: Spagna, Inghilterra e papato. Secondo i piani del monarca francese, non si trattava di intraprendere una politica di conquista e di aggressione, ma una «politica di prestigio» sulla scena internazionale. Con questo fine riformulò alleanze, dispiegò un esercito di diplomatici per le corti europee per ottenere la supremazia francese e le annessioni territoriali o si fece coin-
LUIGI XIV, PROTETTORE DELLE ARTI E DELLE SCIENZE. Molière e la sua
compagnia teatrale godettero della protezione del Re Sole, che nel 1660 li installò nel Théâtre du PalaisRoyal, la loro sede definitiva. Sopra, olio di Jean-Léon Gérôme intitolato Luigi XIV e Molière, in cui si vede il re che invita il drammaturgo a condividere la sua cena (Malden Public Library, Malden). Comico ambulante, autore, attore e regista, Molière dimostrò sempre un’attività frenetica. Le sue commedie gli valsero il favore reale e l’astio della Chiesa, dei cortigiani e dei borghesi, la cui ipocrisia egli fustigò con il suo umorismo. 79
IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
Lib 25 pag. 80 Amsterdam Dunkerque
Gand B R AAnversa B A N T E IE G I L 2 Bruxelles DI
DR N
Parigi Principali battaglie e assedi 1 Charleroi (1667) 2 Audenarde (1667) 3 Dole (1668) 4 Peene (1677) 5 Seneffe (1674) 6 Sinzheim (1674) 7 Besançon (1674) 8 Salzbach (1675) 9 Turckheim (1675) Campagne: Turenne Condé Province Unite Paesi Bassi spagnoli Regno di Francia
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Maastricht Colonia Aquisgrana Liegi
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Campagna delle Fiandre (1675-1678)
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5 1 Arras Tournai Cambrai Namur
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Magonza Lussemburgo Campagna 6 del Palatinato Verdun Metz (1674)
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Campagna della Franca Contea 3 (1668) Charolles
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7
9
8
Strasburgo
Campagna d’Alsazia (1674-1677) Basilea
Ginevra
Lione
CAMPAGNE DI TURENNE E CONDÉ. Il principe di Condé e il visconte di Turenne
parteciparono alle principali campagne di Luigi XIV, come la guerra dei Trent’anni, quella di Restituzione e quella d’Olanda, e addirittura diressero insieme battaglie importanti come quella di Nördlingen (1645), nella quale sconfissero la Lega Cattolica. Ma si trovarono anche a combattere in campi opposti, soprattutto durante la rivolta dell’ultima Fronda e dopo la successiva fuga del principe di Condé nelle Fiandre, dove ottenne la protezione spagnola.
volgere sempre di più nelle questioni tedesche. In un certo qual modo, questa linea politica proseguiva la strategia internazionale sviluppata da Richelieu e Mazzarino dagli inizi del XVII secolo che sosteneva che la Francia dovesse consolidare le sue frontiere naturali dell’epoca della Gallia romana. Il controllo delle Alpi, dei Pirenei e del Reno era considerato basilare e irrinunciabile per poter proteggere questo spazio. Per ottenere tutto ciò, si mise mano a ogni tipo di strumento. Nel piano dinastico familiare, per esempio, Luigi XIV impose al duca di Lorena, nel 1662, l’obbligo di riconoscerlo come erede. La morte di Filippo IV di Spagna nel 1665, permise al monarca francese di reclamare determinati territori fiamminghi che gli spettavano per via del matrimonio con l’infanta spagnola Maria Teresa e che secondo un’argomentazione giuridica, a suo tempo molto discussa, dovevano essere reintegrati alla Francia. Questo fatto scatenò la cosiddetta guerra di Devoluzione tra gli anni 1667 e 1668, che permise al generale francese Condé, 80
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GRA DI ND L
Luigi II di Borbone-Condé e Henri de la Tour d’Auvergne, visconte di Turenne, furono i due principali sostegni di Luigi XIV sul campo di battaglia. Il primo apparteneva a una famiglia che si era distinta per aver fatto parte della fazione protestante durante le guerre di religione che devastarono la Francia durante i regni dei tre ultimi Valois, anche se più tardi non esitò a passare al Cattolicesimo seguendo l’esempio di Enrico IV. Protetto da Richelieu, con la cui nipote si sposò nel 1641, Luis de Condé si fece presto notare come stratega nella battaglia di Rocroi. Anche Turenne aveva origini protestanti. Inoltre, lui stesso lo fu fino alla propria conversione al Cattolicesimo che avvenne molto tardi, nel 1668. Entrambi parteciparono fianco a fianco alla guerra dei Trent’anni, ma la sorte li portò a lottare anche in fazioni opposte, come nella battaglia delle Dune del 1658 in cui Turenne, a capo di una coalizione anglo-francese, sconfisse un Condé che si era unito alle truppe spagnole. Il perdono reale permise che tornassero a combattere dalla stessa parte nella guerra d’Olanda del 1672. Nella pagina seguente, ritratto equestre di Henri de la Tour d’Auvergne fuori da Maastricht, opera di Adam Frans van der Meulen (Deutsches Historisches Museum, Berlino). A sinistra, busto in bronzo del principe di Condé realizzato da C. A. Coysevox (Museo del Louvre, Parigi).
Campagna delle Fiandre (1667)
Campagna d’Olanda (1672-1673)
E
Calais
Buona parte della politica estera del Re Sole si basò sui successi di due militari, il visconte di Turenne e il principe di Condé. I due uomini furono i grandi protagonisti delle battaglie della guerra che vide la Francia scontrarsi contro i firmatari della Triplice Alleanza.
Utrecht
Ypres
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Le campagne di Turenne e Condé, i potenti marescialli di Luigi XIV
con un esercito di 72.000 soldati, di ottenere una vittoria totale dopo una sbrigativa campagna che portò alla Francia l’annessione della Franca Contea. La corona spagnola sembrava non poter fare nulla di fronte all’azione militare francese. Nel 1668 però, si formalizzò la Triplice Alleanza (Inghilterra, Olanda, Svezia) contro la Francia, cosa che obbligò il monarca francese a firmare la Pace di Acquisgrana nel 1668. La Franca Contea tornò in mani spagnole, anche se la Francia s’impossessò di cinque roccaforti sulla frontiera con l’impero, oltre a sette città nella zona delle Fiandre. Acquisgrana segnò la conferma del progressivo e inarrestabile declino del ruolo della monarchia ispanica nella grande politica europea. Senza dubbio, a livello europeo, la Triplice Alleanza mostrò la strada giusta di una coalizione come mezzo di difesa davanti all’imperialismo di Luigi XIV.
Guerra con le Province Unite La repubblica delle Province Unite aveva avuto un deciso ruolo da protagonista nella Triplice Alleanza, ma minacciava di diventare una seria ri-
vale della Francia in campo commerciale. La guerra economica tra le due potenze si acutizzò per via della politica di protezione doganiera dei prodotti francesi auspicata da Colbert. La guerra tariffaria scatenata sin dal 1665 non dava risultati favorevoli agli interessi francesi, che dovevano far fronte non solo al dinamismo imprenditoriale olandese, ma anche alle enormi risorse finanziarie delle banche di Amsterdam e di Rotterdam. La strategia militare del Re Sole contro le Province Unite ebbe come primo obiettivo quello di distruggere la Triplice Alleanza. Nel 1670, in cambio di grossi sussidi, l’Inghilterra firmò un trattato di alleanza con la Francia. Nel 1672, il trattato di Stoccolma rinnovò le tradizionali relazioni di amicizia con la Svezia. Le Province Unite erano rimaste isolate. Senza alcuna previa dichiarazione di guerra, nella primavera del 1672 gli eserciti francesi invasero i territori repubblicani, facendo affidamento su di un’alleanza con la Renania. L’occupazione militare fu vertiginosa. In brevissimo tempo le truppe della monarchia francese si trovavano vicino a Utrecht. Solo le inonda-
zioni provocate intenzionalmente mediante la distruzione delle dighe permisero agli Olandesi di riprendere l’iniziativa. La nuova difesa della Repubblica rimase nelle mani di Guglielmo III d’Orange. Negli anni successivi, le Province Unite riuscirono a raccogliere intorno a sé alleati per paralizzare l’offensiva francese: l’imperatore Leopoldo I, opposto all’alleanza franco-turca; il Brandeburgo, nemico dell’egemonia svedese sul Baltico; la Savoia, permanentemente minacciata dall’espansionismo gallico; addirittura la monarchia ispanica. Sul fronte francese, nell’anno 1674 si perse l’alleanza con l’Inghilterra a causa delle pressioni parlamentari contro Carlo II. Le campagne del visconte di Turenne furono decisive per mantenere la guerra a favore della Francia, anche se il maresciallo francese morì nel 1675 durante le operazioni in Alsazia. Per terra, le truppe di Luigi XIV sembravano invulnerabili; ottennero vittorie importanti anche per mare, come la sconfitta dell’ammiraglio olandese Ruyter. Lungo le coste della Sicilia nel 1676, però, la Francia perse gradualmente gli altri suoi appoggi 81
IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
Luigi XV, il Bene Amato, erede del Re Sole Dopo settantadue anni di regno, Luigi XIV morì senza che nessuno dei figli avuti dalla moglie Maria Teresa d’Austria gli fosse sopravvissuto. Con la morte del Delfino Luigi nel 1711 e quella di suo figlio l’anno seguente la corona passò al bisnipote del Re Sole. Quando Luigi XV divenne successore al trono di Luigi XIV aveva cinque anni, curiosamente la stessa età che aveva il suo bisnonno quando fu incoronato. Le somiglianze tra i due monarchi però finiscono qui, poiché a differenza del suo bisnonno, anche una volta raggiunta la maggiore età Luigi XV preferì lasciare gli incarichi di governo nelle mani dei propri favoriti, specialmente delle sue amanti come Madame de Pompadour e la duchessa Du Barry, mentre lui si dedicava alla caccia e a costosi passatempi di corte che poco a poco rovinarono le casse statali e alimentarono lo scontento crescente della popolazione. Le cose non andarono meglio nell’ambito della politica estera, con una Francia coinvolta in guerre disastrose, come quella di successione austriaca (1740-1748) e quella dei Sette anni (17561763), che portarono alla perdita di importanti possedimenti oltremare, tra cui il Canada. Nell’immagine, Luigi XV all’età di cinque anni, ritratto da Hyacinthe Rigaud (Musée National du Château, Versailles).
(Svezia e Turchia). L’alleanza dell’Inghilterra e delle Province Unite dopo il matrimonio di Guglielmo d’Orange con la principessa Maria spinse definitivamente la Francia a negoziare una pace favorevole ai propri interessi. Gli accordi della pace di Nimega (1678-1679) significarono per la Francia lo scambio di varie roccaforti con l’impero, la cessione all’Olanda di Maastricht e la soppressione delle tariffe di dogana del 1667, che minacciavano gli interessi olandesi. Anche se dovette consegnare alcuni territori alla corona spagnola, Luigi XIV si impossessò della Franca Contea e di 14 posti di frontiera nelle Fiandre, oltre ad ampliare la propria area di influenza sulla Lorena. Anche se si trovò dalla parte dei vincitori, la monarchia spagnola non smise, a ragione, di sentirsi la più impoverita.
La tregua di Ratisbona Nel segno dell’offensiva diplomatica francese, che corse sempre parallela all’offensiva militare, le clausole della Pace di Nimega furono discusse e reinterpretate dall’intendente dell’Alsazia, Char82
les Colbert – fratello minore del famoso ministro delle finanze – nei termini più favorevoli agli interessi di Luigi XIV. Di conseguenza, si pretese che tutti i territori tradizionalmente vincolati all’Alsazia e alla Franca Contea venissero incorporati alla corona francese. Facendo appello a questo principio di “ricongiungimento”, il monarca francese s’impossessò nel giro di pochi anni della maggior parte del Lussemburgo, del principato svedese di Zweibrücken, di varie città tedesche e addirittura dell’importante città di Strasburgo. L’Alsazia e la Lorena restarono sottomesse al vassallaggio perpetuo della Francia. L’opposizione contro questo bottino francese unì gli austriaci di Vienna e di Madrid, ai quali si aggiunsero Olanda e Svezia. Si volle obbligare Luigi XIV a rispettare scrupolosamente i termini dei trattati di Nimega. La coalizione antifrancese si sciolse però gradualmente finché il conflitto non si vide ridotto a una guerra tra la Francia e la monarchia ispanica. La tregua ratificata a Ratisbona del 1684 significò per Carlo II di Spagna accettare i “ricongiungimenti” effet-
tuati da Luigi XIV a partire dal 1681 e riconoscerli senza discussioni perlomeno per vent’anni. Tolto ogni valore agli accordi dei trattati di Nimega, sembrava proprio che Luigi XIV avesse raggiunto il proprio zenit. Da Versailles, dove si trasferì nel 1682, il Re Sole poteva contemplare la Francia e tutta l’Europa prostrate ai suoi piedi.
Le difficoltà finali del regno Furono diversi gli avvenimenti che fecero degli anni dal 1682 al 1686 un momento di cambiamenti e declino della monarchia di Luigi XIV. Nel 1682, la corte si insediò a Versailles e Colbert morì; nel 1684 fu firmata la tregua di Ratisbona; nel 1685 fu revocato l’Editto di Nantes e, infine, nel 1686 fu formalizzata la Lega di Augusta. Accaddero perciò numerosi fatti che resero espliciti i primi sintomi di stanchezza del colosso. Nel 1682, quando si trasferì a Versailles, il monarca aveva 44 anni ed era appena rimasto vedovo della regina Maria Teresa. L’anno seguente si sposò in segreto con una delle sue amanti, Madame de Maintenon, che ebbe un discreto ruolo
nell’orientamento politico del re, ma che fu determinante per l’atteggiamento di Luigi XIV di fronte al pacifismo e alla devozione cattolica. Il monarca francese invecchiò in questo contesto. Dovette far fronte a due grosse disgrazie familiari: la morte nel 1711 dell’erede al trono e quella del duca di Berry, che veniva dopo di lui in linea di successione, nel 1714. Quando Luigi XIV morì nel 1715 dopo aver regnato per settantadue anni, il suo successore sarebbe stato un giovanissimo infante reale: il suo bisnipote, il futuro Luigi XV, ultimo figlio del duca di Borgogna. I temi religiosi continuarono a tenere il monarca impegnato. La morte di Innocenzo XI facilitò un accordo tra il papato e Luigi XIV. Nel 1693, Roma accettò l’imposta sul tabacco estero e investì tutti i vescovi nominati a partire dal 1682. Come contro prestazione, Luigi XIV abbassò il grado di Gallicanesimo - la tendenza separatista della Chiesa di Francia rispetto alla giurisdizione del papa - e intervenne meno sui temi ecclesiastici. Il monarca francese cercò di avvicinarsi alla Chiesa romana per far fronte alle dissidenze reli-
LES INVALIDES.
L’Hôtel des Invalides, a Parigi, fu edificato tra il 1671 e il 1674 per ordine di Luigi XIV per albergare i militari ritirati o feriti nelle continue campagne militari, specialmente nella guerra dei Trent’anni. Libéral Bruant realizzò i piani e iniziò la costruzione, ma a partire dal 1676 fu il suo discepolo Jules Hardouin-Mansart, uno degli architetti europei più importanti del secolo, che si fece carico dell’opera ed eresse la chiesa con la sua imponente cupola.
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IL RE SOLE DI UN SECOLO FRANCESE
La Hogue: la battaglia navale decisiva della guerra della Lega di Augusta La pace di Nimega del 1678 frenò la penetrazione della Francia nei territori delle Province Unite, ma non per questo mise fine alle brame espansionistiche del Re Sole. Nel 1688, la pressione gallica nella zona del Reno provocò una nuova guerra. La fortuna che aveva sorriso a Luigi XIV sui campi di battaglia europei iniziò a voltargli le spalle nella guerra della Lega di Augusta, in cui la Francia lottò praticamente sola contro una grande coalizione che includeva il resto delle potenze europee, tra cui l’Inghilterra. Una delle sue battaglie decisive fu quella di La Hogue, che nel 1692 vide scontrarsi la flotta inglese contro quella francese. Nel segno della guerra, il Re Sole si era riproposto di riportare sul trono inglese Giacomo II, deposto nel 1688 dalla Gloriosa Rivoluzione, e per farlo organizzò un grande esercito che, come quello dell’Invincibile Armata di un secolo prima, doveva sbarcare in Inghilterra. Non arrivò a farlo. Mentre la flotta francese si dirigeva verso La Hogue, in bassa Normandia, per raccogliere le truppe, le andò incontro quella inglese, molto superiore in numero (99 navi contro 44 e 7100 cannoni contro 3100). Nonostante il primo incontro tra le due, il 29 maggio, non fu decisivo, il 2 e 3 giugno gli Inglesi riuscirono a incendiare tutta la flotta rivale. La vittoria lasciò l’Inghilterra come unica potenza navale in Europa. A sinistra, medaglia inglese commemorativa della battaglia di La Hogue, che mostra il dio del mare Nettuno di fronte a un Luigi XIV prostrato; a destra, arazzo fiammingo risalente al XVIII secolo che rappresenta la sconfitta francese nella stessa battaglia (Neues Schloss Schleissheim, Monaco).
giose che potevano far fallire la sua opera di governo su un regno coeso. Ottenne quindi da Roma le condanne successive delle derive mistiche del Cattolicesimo, rappresentate dal movimento quietista di François Fénelon; evitò anche la rinascita del Giansenismo rappresentato da padre Quesnel e dai casi di coscienza sostenuti dai teologi della Sorbona. Il papato - sempre ben disposto di fronte a qualsiasi richiesta del potente Luigi XIV - condannò con fermezza tutte queste posizioni, considerate eterodosse per quanto riguarda la dottrina e pericolose in politica per gli interessi del monarca. La situazione di resistenza protestante sfociò però in sollevamenti di massa, come la rivolta della regione delle Cevenne tra il 1702 e il 1705, che per una Francia coinvolta nella guerra europea di successione al trono spagnolo significò ipotecare 20.000 soldati, necessari per reprimere il movimento. L’atteggiamento di Luigi XIV fu però, nonostante tutto, irremovibile. In un’ordinanza del marzo 1715, il re considerò cattolici tutti i vecchi protestanti che erano rimasti in Francia dopo il 84
1685, senza eccezioni. Si trattava di una disposizione legale perché in pratica, nelle strade e nella coscienza di migliaia di Francesi, la politica di unità religiosa perseguita dal monarca era stata un fallimento in piena regola. Ma la questione che maggiormente caratterizzò quest’ultimo periodo del regno del Re Sole furono i problemi finanziari ed economici. La società francese andava incontro a difficoltà sempre maggiori per sovvenzionare le costose guerre, dato che la corona non doveva più scontrarsi con rivali localizzati in territori precisi; in parte per l’aggressività della politica sviluppata fino ad allora, una serie di alleanze tra il 1688 e il 1714 fece sì che praticamente tutta l’Europa fosse coalizzata contro la Francia.
La guerra della Lega di Augusta La costante pressione francese sul Reno fece sì che nel luglio 1686 i principi tedeschi e l’imperatore Leopoldo I accordassero un’alleanza, conosciuta come la Lega di Augusta. La coalizione fu appoggiata anche da altre potenze che avevano
interessi nel Sacro impero, come la Spagna e la Svezia, e addirittura dalle Province Unite e dal Portogallo. Il patto aspirava a mantenere l’equilibrio europeo istituendo una coalizione che rappresentava una minaccia inequivocabile e preventiva di fronte a qualsiasi avanzata francese. Ma la Francia non rinunciò al proprio atteggiamento aggressivo. In modo calcolato, prima di decidersi a riprendere l’iniziativa prese in considerazione l’inasprimento degli scontri tra l’imperatore e gli Ottomani nella zona del Danubio. Nel 1687, Luigi XIV reclamò per il vescovo di Strasburgo la mitra episcopale di Colonia. L’anno seguente, le truppe francesi invasero il Palatinato, avvalendosi dei diritti di successione della duchessa di Orléans, cognata di Luigi XIV. Nel 1688 iniziò un interminabile decennio di guerra, questa volta su scala realmente continentale, dato che l’Inghilterra aderì presto all’iniziativa antifrancese e in Europa orientale il conflitto coinvolse Polonia, Russia, Venezia e l’impero ottomano. In campo navale, la flotta inglese dimostrò di essere destinata a imporre in futuro la
propria egemonia. Le campagne terrestri dei generali francesi però si fecero nuovamente notare per la perfezione delle loro strategie e per i successi. Un decennio di guerra finì per stremare i contendenti senza che se ne vedesse la conclusione nel medio termine. Il trattato di Ryswick del 1697 mise fine al conflitto, in un’Europa che si riorganizzava aspettando la risoluzione della crisi successoria in Spagna.
La grande alleanza dell’Aia Il Trattato di Ryswick obbligò Luigi XIV a restituire tutti i territori annessi mediante il diritto di ricongiungimento tra il 1679 e il 1688, eccetto Strasburgo, e a restituire ai loro precedenti proprietari tutte le conquiste effettuate durante la guerra (in particolare Edimburgo, il Palatinato, la Lorena, il Lussemburgo e la Catalogna). La Francia tornò così ai limiti di frontiera stabiliti nei trattati della Pace di Nimega. Per quanto riguarda la tregua di Ratisbona, il bilancio finale fu sicuramente dannoso per gli interessi francesi. Senza essere stato realmente sconfitto, Luigi XIV si era 85
I RLANDA Limite del Sacro impero Trattati di pace Perdite territoriali della Spagna Perdite francesi delle guarnigioni dei Paesi Bassi Veurne Tournai Forte Knock Namur Ypres Mons Menin Charleroi
L’Europa dopo i Trattati di Utrecht e Rastatt La Pace di Utrecht ratificata a Rastatt non solo mise fine alla guerra di successione, che risolse la questione del successore di Carlo II sul trono spagnolo, se Filippo V o Carlo VI (sotto, in un ritratto del Musée Royal dìArt Ancien, Bruxelles), ma portò con sé anche una nuova cartina d’Europa.
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visto inevitabilmente obbligato a optare per una politica di moderazione. Anche se conservò l’Alsazia e Strasburgo, così come il prestigio indiscutibile dell’abilità dei suoi eserciti, il Trattato di Ryswick rappresentò un importante riconoscimento del nuovo ordine europeo delle cose. Da una politica di egemonia (prima ispanica, poi francese) si passò a una politica di equilibrio. Nelle negoziazioni diplomatiche di Ryswick l’interesse era focalizzato sul concertare la pace, ma nelle discussioni più appassionate il tema caldo fu quello della successione al trono di Spagna. A partire dal 1696, lo stato di salute del re Carlo II, che giungeva senza figli dai suoi due matrimoni, era allarmante e sia Luigi XIV sia l’imperatore Leopoldo I avevano vincoli familiari che permettevano loro di aspirare legittimamente al trono spagnolo. Nel 1698 i due si accordarono con un trattato di suddivisione della monarchia ispanica, applicabile dopo la morte di Carlo II. Secondo i termini dell’accordo, la corona spagnola e i suoi principali possedimenti sarebbero passati al nipote di Carlo II, figlio
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dell’elettore di Baviera; Napoli, la Sicilia e parte del País Vasco al Gran Delfino; mentre il ducato di Milano sarebbe passato nelle mani dell’imperatore Leopoldo I. Dopo la morte prematura del piccolo principe bavarese, fu firmato un secondo trattato di ripartizione nel marzo del 1700, che finì per non essere riconosciuto dall’imperatore. Per parte sua, il 2 ottobre dell’anno 1700, il monarca spagnolo, preoccupato soprattutto di poter garantire il mantenimento dell’integrità della propria eredità, nominò erede al trono di Spagna Filippo, il duca d’Angiò, secondo figlio del Gran Delfino di Francia e pertanto nipote di Luigi XIV. La condizione più importante delle clausole testamentarie era che il duca d’Angiò rinunciasse al suo diritto al trono francese. Carlo II morì l’1 novembre del 1700. Il testamento fu reso noto in Francia il giorno 9 novembre. Luigi XIV si trovò nella posizione di accettare il testamento o di rispettare il trattato di ripartizione del marzo del 1700. In ogni caso, a margine della sua decisione, la guerra contro l’imperatore d’Austria sembrò inevitabile. Il 16
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GRAN BRETAGNA. La Spagna le cedette Minorca e Gibilterra, oltre al monopolio sul commercio degli schiavi. Guadagnò anche Terranova, la Nuova Scozia e la Baia di Hudson.
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IL CASATO DEI SAVOIA. Ricevette dalla Spagna la Sicilia, e con essa il titolo di re, anche se poi la scambierà con l’Austria per la Sardegna. Recuperò anche la Savoia e Nizza, occupate dalla Francia all’inizio della guerra.
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3 LE PROVINCE UNITE. Ricevettero la cosiddetta “barriera fiamminga”, formata da otto fortezze (tra cui Ypres, Namur e Charleroi) sulla frontiera con la Francia, ma la rovina economica le portò a perdere la propria supremazia navale e commerciale nel continente. BRANDEBURGO. Il principe elettore Federico I ottenne il diritto di trasformare il proprio territorio in regno e di fregiarsi del titolo di re di Prussia. Gli succedette il figlio Federico Guglielmo I.
4
PORTOGALLO. Il trattato obbligò la Spagna a restituirgli Colonia del Sacramento, nel sud-ovest dell’Uruguay, occupata durante la guerra.
5
FRANCIA. Ottenne da Brandeburgo la provincia di Orange, ma si vide obbligata a cedere all’Inghilterra parte dell’Acadia canadese e l’isola delle Antille di San Cristoforo. Inoltre, si impegnò a distruggere le fortificazioni e a bloccare il porto di Dunkerque.
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Napoli
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novembre, Luigi XIV decise di recepire pubblicamente il testamento di Carlo II. Mentre l’imperatore apriva le ostilità contro la Francia, il resto d’Europa rimaneva in attesa, accettando i termini della successione al trono spagnolo nella persona del nuovo re Filippo V. Le ambizioni politiche di Luigi XIV lo portarono nei mesi successivi ad adottare una serie di decisioni pericolose: contravvenne alle disposizioni testamentarie e rifiutò la rinuncia di Filippo V ai diritti sul trono francese, mentre le truppe francesi presero posizione nei Paesi Bassi spagnoli, minacciando le Province Unite. Tra il 1701 e il 1702, la Grande Alleanza dell’Aia riunì le principali potenze europee contro Francia e Spagna, i cui unici alleati erano i duchi di Savoia e di Baviera. Il 15 maggio dell’anno 1702 cominciò la guerra di successione al trono spagnolo, che si sarebbe protratta fino alla firma dei Trattati di Utrecht e Rastatt del 1713 e del 1714. Senza entrare nel merito delle loro numerose clausole politiche, territoriali ed economiche, questi trattati significarono per la Francia il con-
AUSTRIA. Prese il posto degli Spagnoli nel ducato di Milano, nelle Fiandre, a Napoli e in Sardegna. L’arciduca Carlo, trasformato in imperatore del Sacro impero, rinunciò a qualsiasi pretesa al trono spagnolo.
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SPAGNA. Filippo V di Borbone fu riconosciuto come re di una Spagna relegata in secondo piano sulla scena politica europea. Il regno perse tutti i suoi possedimenti sul continente a favore dell’Austria, oltre a Minorca e Gibilterra, cedute agli Inglesi.
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solidamento di frontiere che erano certamente molto meno vulnerabili di quelle che aveva agli inizi del XVII secolo (tra l’altro, aveva potuto aprire il cerchio imposto al suo esagono territoriale dagli Asburgo, dato che ora sul trono spagnolo c’era un Borbone). Tuttavia, la nuda realtà di un regno ormai sfiancato da un quarto di secolo di lotta senza tregua era incontestabile. Luigi XIV rinunciò definitivamente a tutti i sogni di dominio su scala continentale. Il 10 agosto del 1715, all’età di settantasei anni, dopo essere rientrato da una giornata di caccia, Luigi XIV, il Re Sole, il monarca assoluto di Francia, sentì un intenso dolore a una gamba. Gli fu diagnosticata una sciatica. Ma, in realtà si trattava invece della fase iniziale di una cancrena senile che progredì molto rapidamente. La vecchia roccia cominciò ad andare irrimediabilmente in putrefazione. Sul letto di morte fece chiamare il suo erede, il bisnipote Luigi, e gli chiese di essere un re pacifico e di evitare le guerre perché queste erano «la rovina dei popoli!». Morì il 1 settembre del 1715. 87
VERSAILLES, MODELLO DELLE CORTI EUROPEE
Versailles, modello delle corti europee Lo splendore di Versailles accecò tutti i sovrani europei, al punto che alcuni, come l’imperatrice Maria Teresa d’Austria fece con Schönbrunn, cercarono addirittura di superarlo.
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l palazzo di Versailles fu una creazione personale del Re Sole, Luigi XIV. A partire dal decennio del 1660 e dopo la definitiva interruzione delle opere di adeguamento dell’antica residenza reale, il palazzo del Louvre, Luigi XIV decise di edificare un nuovo palazzo in accordo con i suoi progetti imperiali di potere e gloria. Optò per ubicarlo a Versailles. Lì creò un grande complesso architetto88
nico, circondato da magnifici giardini, che sarebbe diventato il centro della corte e del governo di Francia nonché sede di intrattenimenti fastosi. Lo stile di Versailles e dei suoi giardini fu imitato nelle principali città e nei palazzi europei, come quelli delle corti imperiali di Vienna e di San Pietroburgo e anche nelle sedi delle piccole corti germaniche come Potsdam e Dresda, tra le altre.
L’architetto del re Jules Hardouin-Mansart, il primo architetto di Luigi XIV, è considerato il più importante del periodo barocco in Francia. La sua fama si deve senza dubbio alla grandiosità del palazzo di Versailles, costruzione che fu ampiamente imitata da molte grandi corti in tutta Europa.
Luigi XIV, il Re Sole, monarca assoluto di Francia Lo splendore di Versailles inonda tutto, dai fastosi interni fino allo spazio esterno, disseminato di simboli del potere del re. A sinistra, stagno presidiato dall’allegoria della Senna, di fronte alla facciata della Galleria degli specchi; sopra, statua equestre di Luigi XIV, di Gian Lorenzo Bernini (Galleria Borghese, Roma).
Il Re Sole ordinò di erigere una prima residenza dedicata allo svago, prendendo come base la posizione e gli edifici di un antico padiglione di caccia, la cui costruzione risaliva al biennio 1623-1624. Tra il 1631 e il 1634 Luigi XIII, il monarca precedente, aveva già incaricato il celebre architetto Philibert Le Roy di costruire su questo edificio un palazzetto progettato ancora in stile rinascimentale. Nel 1661, Luigi XIV dispose un nuovo programma artistico a partire dalla combinazione dei lavori dell’architetto Louis Le Vau (1612-1670), del pittore murale e decoratore d’interni Charles Le Brun (1619-1690) e del giardiniere paesaggista André Le Nôtre (1613-1700). Mentre l’edificio originale fu solo leggermente modificato, tutti quelli che lo circondavano furono rimodellati con l’aggiunta di nuove costruzioni e balaustrate e con l’organizzazione di un vasto intorno di giardini.
Quando, nel 1665, Luigi XIV decise di fare di Versailles la propria residenza definitiva, i quattro nuovi padiglioni costruiti furono annessi al palazzo originale. Louis Le Vau, con l’aiuto del discepolo François d’Orbay (1634-1697), si occupò di collegare tutti gli edifici formando un enorme congiunto, anche se rimase in sospeso il progetto degli interni. Questo incarico fu assunto dall’anno 1678 da Jules Hardouin-Mansart (1646-1708), che sarebbe diventato il nuovo primo architetto reale. Sebbene si occupò anche di ampliare la superficie degli edifici costruiti, il suo lavoro meglio riuscito fu l’impressionante Galleria degli specchi. La magnificenza reale di Luigi XIV si espresse nell’architettura di Versailles, ma anche in ciò che lo circondava. I giardini di Versailles, ideati da Le Nôtre, combinavano geometricamente aiuole d’arbusti, parterre di fiori, fontane e composizioni scultoree. I parchi e gli stagni pieni
di carpe, insieme alle fontane, furono collocati lungo sentieri tracciati geometricamente che davano su gloriette circolari adornate da siepi tagliate a forma di piramide. La disposizione dell’insieme riuscì a compensare il volume del palazzo con i boschetti (la stella, il labirinto, il bosco delle tre fontane), che si aggiungevano alle aiuole ornamentali intorno alle grandi fontane che adornavano i giardini (Latona, Nettuno, Dragone, Apollo, Svizzeri e altre ancora). Molte delle statue maschili di questi giardini rappresentavano il Re Sole sotto forma di divinità ed eroi antichi. In questo universo, che idealmente voleva plasmare nel marmo tutta la corte, le sculture femminili erano ispirate alla regina, alle principesse e alle principali dame del seguito. Le costruzioni di svago, come il Grande Trianon e i colonnati con capitelli ionici, aumentavano l’attrattiva dei giardini. Nel 1682, Versailles divenne ufficial89
VERSAILLES, MODELLO DELLE CORTI EUROPEE
Pittori e scultori al servizio del re I ritratti di Luigi XIV venivano trattati come sostituti del monarca. Uno dei celebri ritratti di Rigaud occupava il posto di Luigi XIV nel salone del trono quando il re era assente. Dare le spalle al dipinto equivaleva a offendere il re. Altre rappresentazioni del re presidiavano le feste cortigiane o venivano portate in processione sotto la figura di san Luigi.
LA PITTURA. A sinistra, olio di Nicolas de Largillère che mostra Le Brun mentre lavora a una replica in scala de La
conquista della Franca Contea, per la Galleria degli specchi; sopra, affreschi di François Lemoyne – detto “il nuovo Le Brun” – sul soffitto del Grande Appartamento del re, dei tempi di Luigi XV.
Pittori e scultori contribuirono ad aumentare la grandiosità di Versailles, riempiendo di rappresentazioni del re l’immenso complesso del palazzo e del suo intorno. Tra i pittori va ricordato Charles Le Brun, i cui ritratti furono chiosati come capaci di trasmettere le «alte qualità, come in uno specchio molto luminoso» del monarca. La fulgente Galleria degli specchi di Mansart finì per essere la stanza più rappresentativa delle gesta del Re Sole. Anche i principali scultori dell’epoca si prodigarono a Versailles. François Girardon (1628-1715) o Antoine Coysevox (1640-1720) seguirono fondamentalmente un programma di iconografia mitologica con statue di ninfe, Nettuno e, in particolare, Apollo, che come dio del sole e protettore delle arti era un riferimento innegabile a Luigi XIV. Le realizzazioni di Pierre Puget (1620-1694), sebbene a loro volta importanti, presero le distanze dal Classicismo imperante e rispecchiarono concetti più tormentati e barocchi, dotati di un enorme potere espressivo.
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LA SCULTURA. Una delle
statue che si trovano sulla scalinata della seconda Orangerie, opera di Jules Hardouin-Mansart.
mente la residenza del Re Sole. I lavori continuarono per tutto il suo regno e si protrassero durante il XVIII secolo.
Un protocollo sacralizzato La corte di Versailles era organizzata secondo un protocollo molto rigido, che dipendeva dai diversi privilegi e dalle precedenze. Un solo gesto del monarca poteva significare l’innalzamento di un cortigiano o, al contrario, la sua caduta nella disgrazia più assoluta. A corte si decidevano l’avvenire dell’aristocrazia, il destino del Paese e – nei momenti della massima espansione territoriale della Francia – addirittura il futuro dell’Europa. Il cerimoniale rigoroso dei fasti monarchici era l’asse della vita sociale aristocratica. L’etichetta segnava il ritmo quotidiano in maniera assoluta. Era uno strumento di dominio del monarca, in quanto il protocollo sottolineava sempre la sottomissione dei cortigiani alla sua
figura. Nel mondo cortigiano, la gerarchia si esprimeva con il diritto alla poltrona o allo sgabello. Durante i banchetti di corte, il privilegio di “donna seduta” era alla portata delle sole duchesse. Le norme prescrivevano quali vestiti bisognasse indossare durante la giornata. In realtà, tutto seguiva delle regole: i saluti con i cappelli, il modo di sedersi o di alzarsi, come ci si avvicinava ai nobili importanti di corte, il modo di baciare con deferenza le vesti di una duchessa prima di farle un complimento. I rappresentanti delle città – l’intenzione era quella di discriminarli dalle regole riservate all’aristocrazia – dovevano rivolgersi al monarca stando in ginocchio. Ma erano soprattutto i cortigiani quelli che finirono per essere «veri e propri macachi agli ordini della regalità», come scrisse in proposito Jean de La Bruyère, che li ridicolizzò descrivendo il modo compulsivo con cui muovevano la
AMPI GIARDINI. Dalla fontana di Latona la
prospettiva si estende verso l’infinito al di sopra delle acque del gran canale. testa di fronte a qualsiasi gesto del monarca. Ogni dettaglio rendeva pubblico il rango del cortigiano, imponendo un autentico regime di servitù che durante il regno di Luigi XIV colpì direttamente diverse migliaia di uomini e donne, condannati a essere permanentemente partecipi di una perpetua rappresentazione teatrale del potere del Re Sole. Tutta Versailles girava intorno al monarca, perfino nei dettagli più quotidiani. Il memorialista duca di Saint-Simon rappresentò questa precisione oraria del monarca: «Con un calendario e un orologio, a trecento leghe da qui, si poteva dire quello che stava facendo». Luigi XIV veniva svegliato ogni mattina dal primo aiuto di camera, ma la sua solitudine aveva fine nel giro di pochi mi91
VERSAILLES, MODELLO DELLE CORTI EUROPEE
nuti. Immediatamente, gli infanti reali, il maresciallo di corte, i cortigiani, il medico personale del re e altri servitori lo accompagnavano attraverso il cerimoniale del petit lever, momenti di vicinanza al monarca alla portata di pochi dignitari scelti. Si aprivano poi le porte dell’alcova e cominciava il grand lever, di carattere meno ristretto. Principi, principesse, marescialli e i cortigiani principali auguravano il buongiorno al monarca con inchini e servigi d’ogni tipo. Coloro che erano insigniti della grazia reale gli annodavano la cravatta, gli sistemavano le scarpe o gli porgevano i guanti e il re li ricompensava con qualche parola. Una volta completato l’agghindamento, il monarca diceva le sue preghiere e cominciava la sua giornata pubblica. Dopo una leggera colazione, si riuniva con i ministri nel suo gabinetto. Li incontrava individualmente, poiché non riuscì mai a tollerare i grandi consigli. Le decisioni del monarca erano inappellabili. Una volta trattati i primi temi che avevano a che fare con l’amministrazione del regno, riceveva i diplomatici stranieri, ma anche qualche suddito francese che presentava le proprie suppliche. Poi, Luigi XIV assisteva ai riti religiosi della mattina. Mentre percorreva il tragitto fino alla cappella reale, i cortigiani gli facevano ala nelle lunghe gallerie di palazzo. Questo severo cerimoniale non era meramente gestuale e meccanico, dato che durante i suoi spostamenti per Versailles Luigi XIV notava l’assenza di qualsiasi membro della corte e in quel caso lo richiamava all’ordine. Una volta terminata la messa, il re continuava a lavorare sino all’una del pomeriggio. Durante il pranzo potevano sedersi a tavola solo il re e la regina. Addirittura il fratello di Luigi XIV, Filippo d’Orléans (chiamato Monsieur a corte), all’inizio del pranzo doveva rimanere in piedi. Dopo aver porto il tovagliolo al monarca, questi autorizzava Monsieur a sedersi e gli permetteva quindi di condividere il cibo con i sovrani. I pomeriggi trascorrevano quasi frenetici, tra rappresentazioni teatrali, balli e feste in maschera, con frequenti spettacoli pirotecnici che si svolgevano tra le fontane e i parchi. Spesso però, il monarca non partecipava a questi intrattenimenti e lavorava fino a tardi. 92
Lo scenario del potere reale Il dominio europeo della Francia era ben presente nello scenario di Versailles. Durante le udienze pubbliche, venivano aperti uno o due battenti delle porte in base al prestigio della persona ricevuta dal monarca. Gli ambasciatori dovevano percorrere lunghi corridoi fiancheggiati da guardie prima di trovarsi di fronte al monarca. La posizione dei soldati, il loro armamento, il rullo dei tamburi e il dispiego o meno degli stendardi erano elementi che denotavano simbolicamente il grado della potenza rappresentata dal dignitario, come anche le sue relazioni con la Francia. Armi e tamburi a terra, con gli stendardi piegati, per esempio, trasmettevano il desiderio del monarca di mostrare il proprio prestigio senza tributare alcun onore all’ambasciatore ricevuto. Alla corte di Versailles di Luigi XIV, il protocollo degli ambasciatori delle potenze europee era molto difficile da gestire. I rappresentanti dei ducati o marchesati e i principi dell’impero dovevano cedere il passo ai dignitari dei sovrani di Spagna, Inghilterra, Svezia, Danimarca o Polonia, in base alle gerarchie aristocratiche tradizionali. Tutti gli ambasciatori cattolici cedevano il passo al nunzio papale, un estremo rifiutato dagli Stati protestanti, specialmente dall’Inghilterra. Le guerre di etichetta portavano a discussioni che si protraevano per settimane prima che un ambasciatore fosse effettivamente ricevuto. A destra, vista panoramica di Versailles (1668), di Pierre Patel (Musée National du Château, Versailles).
I GIARDINI. Il paesaggista André Le Nôtre,
figlio del giardiniere di Luigi XIII, godette del favore e della protezione del Re Sole, che gli affidò, oltre ai giardini di Versailles, quelli delle altre residenze reali, come Fontainebleau. A sinistra, ritratto di Le Nôtre (ca. 1679) del pittore italiano Carlo Maratta (Musée National du Château, Versailles).
8
7
5 6 4 3 2 1
1 CORTILE D’ONORE. Chiamato anche cortile dei ministri. Le carrozze di cortigiani e ministri dovevano fermarsi qui.
2 CANCELLATA. Separa il cortile d’onore dal cortile reale. Oggi ripristinata, nel XIX secolo fu sostituita da una statua di Luigi XIV.
5 PALAZZO DI LUIGI XIII. Qui fu
6 GRANDE APPARTAMENTO. Fu il
costruita la Galleria degli specchi, centro nevralgico di tutto il cerimoniale di corte.
nome di una serie di saloni (di Venere, di Diana, di Marte, di Mercurio e di Apollo) dove il re riceveva tre volte alla settimana.
3 CORTILE REALE. Solo le carrozze reali, come quella che compare nel dipinto, potevano accedervi.
4 CORTILE DI MARMO. È circondato dall’originario palazzo di Luigi XIII, che Le Vau e Hardouin-Mansart ristrutturarono.
7 APPARTAMENTO DELLA REGINA. Era un insieme di camere lussuose create per Maria Teresa d’Austria, moglie di Luigi XIV e figlia di Filippo IV di Spagna.
8 GRAN CANALE. Verrà riempito nel 1680. Accanto a esso si sarebbe innalzata la Piccola Venezia, le case dei marinai della flottiglia di corte.
93
VERSAILLES, MODELLO DELLE CORTI EUROPEE
La Versailles della regina Maria Antonietta L’alleanza tra Francia e Austria fu assicurata con il matrimonio, nel 1770, del Delfino con l’arciduchessa Maria Antonietta. Questo matrimonio era anche una sfida del duca di Choiseul, uomo di fiducia del re. Il ministro sperava che la giovane austriaca sarebbe stata un’alleata decisiva di fronte alle ambizioni della contessa Du Barry, l’amante di Luigi XV. Tra intrighi di alta diplomazia e tensioni di corte, il matrimonio tra il futuro Luigi XVI e l’arciduchessa si celebrò a Versailles il 16 maggio del 1770. Per commemorare l’evento, fu inaugurata una nuova opera (qui sotto) nel complesso del palazzo. Ma la giornata terminò nel lutto generale, dato che i fuochi d’artificio preparati per l’occasione provocarono una valanga che causò 130 morti. Come regina, Maria Antonietta mostrò un carattere energico e una grande intelligenza, ma fu incapace di difendersi dalle calunnie. Le sue imprudenze si facevano sempre più frequenti, animate dalla sua frivolezza e dal suo gusto per il lusso. Versailles fu lo scenario di queste lotte cortigiane, in cui la regina ottenne occasionali vittorie. La maternità, nel 1781, parve cambiare la regina, che ordinò di costruire a Versailles, vicino al Petit Trianon (a destra) un villaggio in miniatura per prodigarsi in attività contadine. Fu un’esperienza fugace. L’impopolarità della monarchia si completò con Maria Antonietta, che fu imprigionata nel palazzo delle Tuileries dai rivoluzionari nel 1789. La sua esecuzione nel 1793 provocò l’immediata guerra tra la Repubblica francese e l’Austria.
94
Con assoluta puntualità, la cena regia si svolgeva alle 10 della sera. Luigi XIV passava allora un’ora in famiglia. Al momento di andare a letto, si svolgeva un cerimoniale protocollare simile a quello mattutino. Mentre il monarca dormiva, il buio della notte cadeva su tutta Versailles. Finché, col nuovo giorno, il Re Sole ritornava e illuminava con la sua persona tutto il palazzo affinché i cortigiani, come uno sciame di farfalle attratte dalla luce, tornassero a godere del suo estenuante dinamismo e dello snervante obbligo delle continue lusinghe.
Un’opera colossale Le cifre dell’edificazione di Versailles erano spettacolari e sono paragonabili solo, in quanto a mobilitazione di manodopera, ai grandi monumenti degli altri imperi antichi. Il palazzo fu continuamente demolito, ristrutturato e perfezionato fino alla morte di Luigi XIV. Durante i 54 anni della durata dei lavori (1661-1715) vi furono impiegati fino a 36.000 uomini e 6000 muli da soma, cifra massima raggiunta nell’anno 1685. In proporzione, questo significa 100 milioni di giornate lavorative, come se ognuno dei sudditi di Luigi XIV avesse consacrato cinque giorni della propria esistenza all’edificazione del castello. Il risultato fu un immenso recinto, circondato da circa 40 km di mura, attraversate da 24 porte monumentali, con parchi per passeggiare e per cacciare. Tutto questo intorno a un palazzo che contava ben 364 stanze, capace di accogliere una corte di 5000 persone. Al suo interno, ciascun mobile e ciascun oggetto presente costituiva un’opera d’arte. Sebbene fosse stata ideata per esaltare la figura del Re Sole, Versailles divenne un’autentica gabbia d’oro per i cortigiani, obbligati alla routine del protocollo e alla partecipazione a una serie inarrestabile di balli, partite di caccia e rappresentazioni teatrali. Il loro stesso aspetto personale fu modellato e adattato per il cerimoniale di adulazione del monarca. La moda impose agli uomini la parrucca dai ricci incipriati, mentre le donne coronavano le proprie acconciature con le alte fontanges, una specie di intreccio di nastri ispirato alla civetteria della duchessa di Fontanges, una delle amanti del monarca.
Ma quando il chiasso degli omaggi al re o il fasto delle celebrazioni pubbliche cessava, o quando arrivavano i primi freddi dell’autunno, l’immenso palazzo si trasformava in un gelido castello di marmo e cristallo. La routine quotidiana dei cortigiani diventava allora insopportabile, fino all’estremo per cui durante i lunghi inverni una dama di grande bellezza e considerazione riusciva a sopportare questo ambiente solo portando una pelle d’orso cucita al proprio corpo. «Magnificenza e spazzatura», così descrisse la vita quotidiana a Versailles il grande storico Pierre Goubert. Volle così sottolineare la scarsa igiene regnante a palazzo e nel suo intorno, nonostante il castello di Versailles disponesse di acqua potabile grazie a una rete di acqua corrente costruita tra il 1676 e il 1688. Dei 100 milioni di lire che costò costruire il palazzo di Versailles e il suo complesso, una quarta parte fu destinata alle fontane e ai
LA GALLERIA DEGLI SPECCHI. Opera del primo architetto del re, Jules Hardouin-Mansart, è forse la più alta espressione della magnificenza e del lusso di cui si volle circondare il Re Sole.
sistemi idraulici di rifornimento. Ma nonostante potesse contare su questa favolosa infrastruttura, la fornitura d’acqua seguiva gli usi del momento e non quelli di oggi. Era destinata soprattutto alle fontane e ai giardini. Luigi XIV, che soffriva di digestione difficile, si curava bevendo ogni giorno acqua fresca da una fontana. Ma i suoi bagni preferiti erano “a secco”, cioè limitati a un cambio d’abito senza ricorrere all’acqua. Per il resto degli abitanti del castello, il che significava diverse migliaia di persone, c’erano solo due latrine pubbliche. Queste scarse condizioni d’igiene erano all’origine di frequenti epidemie, tra cui si ricorda quella di tifo del 1734, che uccise la metà della popolazione di Versailles. 95
VENEZIA. La Riva degli
Schiavoni, olio di Leandro Bassano (Museo della Reale Accademia di San Ferdinando, Madrid). Nella pagina accanto, medaglia del XVII secolo con il ritratto del doge Francesco Morosini (Palazzo Ducale, Venezia).
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UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA Il Mediterraneo perse il proprio protagonismo di fronte al vigore dei mondi atlantici. La monarchia ispanica soffrì una drammatica crisi economica e politica e la precedente generazione pacifista fu superata dai “falconi” di Filippo IV. Il Portogallo evidenziò i costi di questa scelta di belligeranza che disintegrò l’impero degli Asburgo. L’Italia continuava a essere frammentata, vittima dei conflitti interni e delle dispute tra Madrid e Versailles.
F
in dall’inizio del regno di Filippo IV nel 1621, la ripresa della politica di scontri armati per preservare l’egemonia spagnola in Europa costituì un enorme sforzo economico. Verso il 1626, il mantenimento delle truppe in quattro campi di operazione distinti – Fiandre, Renania, Europa centrale e Italia – implicava un contingente attivo di circa 300.000 uomini. Inoltre, la Spagna doveva farsi carico del pagamento dei sussidi monetari inviati regolarmente all’imperatore austriaco per la sua lotta contro il Protestantesimo – circa 350.000 ducati nel decennio 1618-1622 per pagare i leader Tilly e Wallenstein – e contro l’assillo ottomano, che
esalò il suo ultimo respiro nella minaccia che si abbattè sulla città di Vienna nel 1683. La crisi economica che aveva colpito seriamente la Castiglia, che rappresentava la colonna vertebrale su cui poggiava la monarchia ispanica, l’arrivo sempre più irregolare di partite di metalli preziosi americani, e, infine, la disuguaglianza contributiva dei restanti regni peninsulari, fecero sì che questo aumento della spesa militare sfociasse in tensioni politiche molto importanti. In particolare, poiché il favorito di Filippo IV, il conte-duca di Olivares, parallelamente alla propria scalata militare e a un coinvolgimento sempre maggiore della monarchia nella guerra dei 97
UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
DATE DELLA MONARCHIA ISPANICA NEL XVII SECOLO Marzo 1621
Un nuovo re. Filippo IV succede a suo padre Filippo III al trono. Il suo regno di 44 anni è il più lungo tra quelli degli Asburgo spagnoli. Giugno 1640
Corpus di sangue. Le politiche di Olivares provocano in Catalogna una rivolta che sfocia in guerra aperta contro la corona ispanica. Dicembre 1640
Indipendenza del Portogallo. A dicembre dello stesso anno, il Portogallo riesce a rendersi indipendente dalla Spagna dopo settant’anni di dominio. 1648
Fine della guerra dei Trent’anni. La firma della Pace di Westfalia comporta il riconoscimento dell’indipendenza dell’Olanda. Novembre 1659
Trattato dei Pirenei. La Francia e la Spagna firmano un accordo di pace. Si organizza il matrimonio tra il Re Sole e l’infanta Maria Teresa. Novembre 1700
Fine degli austriaci. La morte senza eredi di Carlo II provoca una guerra di successione. Il nuovo re sarà Filippo V di Borbone.
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Trent’anni, intraprese una politica di riforme per cui l’insieme dei regni della corona doveva contribuire al supporto della politica estera spagnola con truppe e risorse economiche.
Il canto del cigno dell’impero spagnolo Il regno di Filippo IV (1621-1665) fu caratterizzato dalla figura del conte-duca di Olivares, il nuovo uomo di fiducia o favorito che prese il posto della dinastia dei Lerma nel godere della fiducia reale. I suoi piani segnarono in buona misura le grandi decisioni politiche. Olivares rappresentò infatti il culmine di un processo di ritorno della nobiltà nell’ambito del potere di corte, anche se le sue qualità ne fecero inoltre un abile governatore in momenti particolarmente complessi per la monarchia. La sua personalità e il suo programma aggressivo di riforme finirono anche per mettere distanza tra lui e i gruppi dirigenti dei diversi territori che facevano parte della monarchia ispanica. Questo ebbe conseguenze particolarmente nefaste durante la crisi del 1640. Il conte-duca di Olivares era cosciente della necessità di realizzare riforme nel nucleo castigliano di una monarchia di dimensioni planetarie. Attraverso un sistema di giunte, tra le quali ricordiamo la Grande Giunta di Riforma, cercò d’introdurre criteri mercantilisti per promuovere la demografia e ridurre le spese considerate superflue. Nel 1624 presentò il suo più ambizioso progetto di trasformazione, nel cosiddetto Gran Memorial. Esso conteneva un insieme di misure che colpivano tutti i diversi gruppi sociali – inclusi addirittura i ceti privilegiati della nobiltà e del clero – ma in particolare conteneva proposte relative ai regni non castigliani costitutivi della monarchia. In sintesi, postulava un rafforzamento dell’autorità del monarca di fronte ai privilegi tradizionali, in particolare fiscali, di ciascun territorio. Da questa proposta, nel 1625, nacque il progetto dell’Unione delle Armi, che intendeva formare un esercito di 140.000 soldati sostenuto dai diversi regni – in base a una quota stabilita in funzione delle ipotetiche risorse di popolazione ed economiche. Mentre alcuni territori accettarono parzialmente le pretese di Olivares, in Catalogna e in Portogallo le divergenze furono sempre più grandi. Inoltre, le altre misure fiscali d’emergenza adottate dal favorito suscitarono rapidamente rivolte e proteste nella stessa Castiglia, ma in particolare in Catalogna, in Portogallo e nell’Italia spagnola. Nel 1627 fu dichiarata la bancarotta finanziaria della corona e fu necessario rinegoziare il debito contratto con i diversi creditori; ma nel 1632 cominciò la costruzione del palazzo del Buen Retiro a Madrid, che per costi e lusso era in netto contrasto con la pessima
La guerra dei Mietitori in Catalogna Il 7 giugno del 1640, centinaia di mietitori che si trovavano a Barcellona in attesa di ottenere un lavoro, si sollevarono e assassinarono il viceré, il conte di Santa Coloma. Fu il Corpus di Sangue, che non tardò a sfociare in una guerra aperta. Prima del Corpus di Sangue, le relazioni tese tra la monarchia e il Governo Autonomo catalano erano già state messe alla prova. Soprattutto dopo che il 22 maggio alcuni contadini avevano liberato il deputato Francesc de Tamarit, incarcerato per aver ostacolato l’alloggiamento delle truppe reali. La guerra che scoppiò dopo i fatti di giugno significò la scomparsa dell’apparato di governo reale in Catalogna e la rapida negoziazione di un’alleanza con la Francia che avrebbe permesso di armare un esercito capace di opporsi alle truppe del conte-duca di Olivares. Il 26 gennaio del 1641, un primo esercito inviato per sedare la rivolta, comandato dal marchese de los Vélez, fu sconfitto dai Catalani nella battaglia di Montjuic. Poco dopo arrivò l’aiuto francese. In cambio, re Luigi XIII ricevette il titolo di conte di Barcellona. Nell’immagine, Corpus di sangue (1907), olio di Antoni Estruch i Bros (Museo d’Arte, Sabadell).
situazione delle finanze del regno; infine, nel 1635, scoppiò la guerra contro la Francia, che ebbe tra i suoi scenari principali la frontiera dei Pirenei. Le frizioni tra la popolazione civile e le truppe accelerarono lo scoppio di rivolte popolari, fondamentalmente in Catalogna nel giugno del 1640. Questo sollevamento catalano (chiamato guerra dei Mietitori) ispirò anche altri movimenti di indipendenza in Portogallo (1640) e in Italia (1647), con alcuni tentativi minori in Andalusia (nel 1641, con la cospirazione del duca di Medina Sidonia e con il marchese di Ayamonte) e anche in Aragona (nel 1648, con la ribellione capeggiata dal duca di Hijar). Nel caso della Catalogna, le riforme politiche del conte-duca di Olivares provocarono un aumento delle tensioni con le più importanti personalità della regione fin dall’inizio del regno di Filippo IV. Tuttavia fu lo scatenarsi della guerra contro la Francia nel 1635 a far precipitare gli eventi in un conflitto. La presenza massiccia delle truppe nella Catalogna, così come nelle contee di Rossiglione e Cerdagna,
sfociò in frequenti alterchi con la popolazione. Gli scontri politici e sociali finirono per provocare un grande sollevamento popolare a Barcellona, nel giugno dell’anno 1640 (conosciuto come Corpus di Sangue, dato che nacque in occasione di questa festività). Nei mesi seguenti, la Junta de Brazos de Cataluña, un organismo di governo del territorio, costituì una riunione di corti senza l’autorizzazione del monarca e finì per proclamare la repubblica. Di fronte alla pressione militare castigliana, la Catalogna si legò alla Francia e riconobbe la sovranità di Luigi XIII sul territorio nel gennaio dell’anno 1641. Il conflitto si protrasse per dodici anni, fino alla presa di Barcellona da parte di Giovanni d’Austria e del marchese di Mortara nell’ottobre del 1652. A partire dal 1640 quindi, la Spagna si dovette confrontare con la propria disintegrazione interna e con il logorio dovuto alle guerre esterne. Nel gennaio del 1643, nel pieno climax di questa crisi politica e militare, il conte-duca di Olivares perse la fiducia di Filippo IV. La consapevolezza dell’insuccesso non fu però sufficiente
per accettare immediatamente le difficili sfide. Un nuovo uomo di fiducia, Luis Méndez de Haro, prese le redini del potere e con esse il complesso compito della risoluzione della guerra tra Catalogna e Portogallo, così come dei restanti conflitti internazionali. Lo fece con esiti diversi, dato che nel 1652 la Catalogna tornò a essere reintegrata sotto la monarchia spagnola, mentre il Portogallo finì finalmente per veder riconosciuta la propria indipendenza nel 1668. Filippo IV era morto nell’anno 1665. Anche se dalla caduta del conte-duca di Olivares il re Filippo IV aveva cercato nuovi assessori nelle figure di Luis Méndez de Haro e della monaca Maria di Gesù di Ágreda, il bilancio finale del suo regno fu angosciante. La vecchiaia del monarca fu segnata da un ulteriore peggioramento della situazione della pubblica finanza, che arrivò a una nuova bancarotta nell’anno 1662; è vero però che si ottennero anche i trattati della Pace di Westfalia, che metteva fine alla guerra dei Trent’anni (1648) e a quella dei Pirenei, con la Francia (1659). 99
UN
VELÁZQUEZ, MAESTRO DELLA PITTURA UNIVERSALE
L
a capacità di fermare il tempo e di catturare un istante magico è ciò che distingue Diego Rodríguez de Silva y Velázquez da qualsiasi altro autore della sua epoca e ciò che ne fa il grande artista del Secolo d’Oro spagnolo. Di origine portoghese da parte di padre, si formò nella sua natale Siviglia, allora la più ricca e prospera città della monarchia ispanica, sotto la direzione del pittore e teorico Francisco Pacheco. A diciott’anni cominciò la sua carriera indipendente come artista con alcune opere fortemente influenzate dallo stile tenebrista del Caravaggio. La fama ottenuta con queste lo spinse nel 1623 a trasferirsi a Madrid, una decisione che segnerà la sua vita e la sua arte. Filippo IV, un monarca particolarmente amante della pittura, lo nominò pittore di camera, incarico a cui Velázquez aggiunse più tardi quelli di aiutante di camera e di ciambellano di corte. A destra, Il conte-duca di Olivares a cavallo (Museo del Prado, Madrid).
AUTORITRATTO. Velázquez fu il grande ritrattista alla
corte di Filippo IV i cui personaggi, fossero essi nobili, plebei o lui stesso, come nell’olio qui sopra, ritrasse con uguale dignità (Museo di Belle Arti, Valencia). 100
VECCHIA CHE FRIGGE LE UOVA. Le sue prime opere
mostrano un chiaro interesse per il naturalismo, come evidenzia questa tela del 1618 (National Gallery of Scotland, Edimburgo).
VENERE ALLO SPECCHIO. L’unico nudo femminile dipinto
da VelĂĄzquez risale al suo secondo viaggio in Italia, realizzato tra il 1649 e il 1651 (National Gallery, Londra).
IL TRIONFO DI BACCO. Mitologia e natura, soprattutto nei volti dei contadini, vanno mano nella mano in questo quadro del 1629 (Museo del Prado, Madrid). 101
UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
Filippo IV, il re mecenate del secolo d’oro spagnolo Come suo nonno Filippo II, Filippo IV fu un grande amante delle arti. Tanto che per dedicarsi a esse arrivò a tralasciare gli impegni di governo e a delegarli a uomini di fiducia, come il conte-duca di Olivares. Nonostante la crisi endemica del regno e alcuni forzieri in bancarotta, Filippo IV fece tutto il possibile perché le sue collezioni d’arte si arricchissero di nuove acquisizioni. Per farlo manteneva tutta una rete di corrispondenti in Europa che lo informavano di possibili acquisti, a cui bisogna aggiungere gli incarichi affidati a geni come Rubens e all’impiego diretto di artisti come Velázquez, al suo servizio dal 1623. Ma il re non si accontentava solo di collezionare, bensì pare che lui stesso fosse dotato di qualità artistiche. A detta di Lope de Vega, aveva esercitato «l’arte e la pittura in tenera età». Lo stesso si poteva dire della musica, che scriveva e interpretava con scioltezza. In quest’altra forma artistica si dimostrò aperto a esperimenti come l’opera: la prima conservata in castigliano, Celos aun del aire matan, con libretto di Calderón de la Barca e musica di Juan Hidalgo, vide il proprio debutto nel palazzo del Buen Retiro nel 1660. Nell’immagine, Filippo IV con corazza, ritratto di Diego Velázquez (Museo del Prado, Madrid).
In contrasto con le difficili circostanze economiche e politiche a cui il Paese doveva far fronte, il regno di Filippo IV fu un’epoca di splendore artistico e letterario. Parte del Secolo d’Oro della cultura ispanica trascorse proprio durante i 44 anni della sua monarchia. Il re fu un mecenate, protettore delle arti e appassionato a tal punto che arrivò a essere il più grande collezionista di pittura e scultura dell’epoca.
Carlo II e la fine dell’impero europeo Carlo II, che avrebbe regnato tra il 1665 e il 1700, era solo un bambino di quattro anni alla morte di suo padre, Filippo IV. Tra il 1665 e il 1675, il potere della monarchia fu nelle mani della regina reggente, Maria Anna d’Austria, che portò avanti la consuetudine reale di delegare tutti i compiti di governo a uomini di fiducia, come il gesuita Giovanni Everardo Nidardo o Ferdinando de Valenzuela, marchese di Villasierra. I conflitti intorno al monarca per la successione furono costanti durante i primi anni del regno di Carlo II per via delle ambizioni di uno dei 102
figli naturali di Filippo IV, l’unico riconosciuto ufficialmente, don Giovanni d’Austria, un generale dalla brillante carriera che continuò a organizzare intrighi fino alla propria morte nel 1679. Per il resto, Carlo II – soprannominato lo Stregato – che cominciò a regnare personalmente nel 1675, fu di costituzione cagionevole, con sintomi di incapacità fisica e mentale, e dovette far fronte alle aspettative causate dalla sua mancanza di discendenza. Questo tema assunse dimensioni internazionali, poiché i pretendenti alla successione provenivano da Savoia, Francia e dall’impero. Gli intrighi si moltiplicarono, finché, nel 1699, uno degli uomini di fiducia del monarca, il cardinale Portocarrero, approfittando delle scorrerie popolari di Madrid, riuscì a imporre la candidatura francese al trono nella persona di Filippo d’Angiò. Sarebbe stato il primo monarca spagnolo della dinastia dei Borbone, proclamato re nel novembre dell’anno 1700. Negli anni seguenti, questa scelta francese finì per diventare argomento di discussione e diede origine alla guerra di successione spagnola, che si trasformò in una guerra di
dimensioni continentali e tornò a unire quasi tutta l’Europa contro la Francia di Luigi XIV, come protettore della dinastia Borbone in Spagna. Le difficoltà della vita di corte corrisposero a una situazione politica che attestò la fine dell’egemonia spagnola sull’Europa. Le guerre contro la Francia furono costanti. Tra il 1667 e il 1668, la guerra di devoluzione, nonostante la monarchia spagnola avesse combattuto con i vincitori, comportò per Carlo II la perdita di una dozzina di roccaforti nelle Fiandre (Pace di Aquisgrana, del 1668). Nuovamente, dopo essersi alleata con la coalizione antifrancese del 1674, il Trattato di Nimega significò per Madrid la perdita di sedici roccaforti nelle Fiandre, oltre all’Artois e alla Franca Contea. Nel 1697, il Trattato di Ryswick portò ancora una volta a cessioni territoriali di fronte alla Francia. Era evidente che la monarchia ispanica aveva perso ogni influenza decisiva sugli accordi internazionali e che aveva finito per essere trasformata in un bottino per le nuove potenze dell’epoca, come divenne evidente nei trattati di spartizione firmati a partire dall’anno 1698.
La decisione di Carlo II di nominare come proprio successore Filippo d’Angiò, il nipote di Luigi XIV, fu presa proprio come estremo tentativo da parte del monarca spagnolo di mantenere nella loro integrità i domini che aveva ereditato dal suo progenitore Filippo IV. Questo impegno del monarca si fece evidente anche nella nomina di uomini di fiducia che misero in moto una politica riformista sull’economia peninsulare. In questo modo, il duca di Medinaceli portò avanti, nel decennio del 1680, una politica di svalutazione monetaria e di cambiamenti nell’amministrazione della pubblica finanza che migliorarono sul medio termine il livello sociale ed economico del regno, specialmente nelle province periferiche della Penisola Iberica. Tra gli anni 1685 e 1691, il conte di Oropesa portò avanti queste iniziative, accompagnate da un risanamento degli incarichi amministrativi della monarchia. Questo rafforzamento interno però arrivò tardi ed ebbe poche ripercussioni sul futuro internazionale di una monarchia che, durante il XVII secolo, era passata per fasi di offen-
LA MADRID DEGLI AUSTRIACI. Olio anonimo
che mostra una corrida di tori nella Plaza Mayor di Madrid ai tempi di Carlo II, l’ultimo re della dinastia degli austriaci. I festeggiamenti fecero parte delle celebrazioni organizzate per il matrimonio del re con Maria Luisa d’Orléans nel 1679 (Museo di Storia, Madrid). Sullo sfondo compare il palco reale nella Casa de la Panadería, ricostruita dopo l’incendio che l’aveva distrutta nel 1672.
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UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
siva, ma che ora sopravviveva sulla difensiva sotto Carlo II. Ormai persa definitivamente la reputazione che aveva all’epoca del conte-duca di Olivares, all’ultimo degli austriaci spagnoli non restò che bere l’amaro calice della rassegnazione.
Portogallo: la scelta atlantica
Filippo V, il primo monarca Borbone alla corte di Spagna Quando Luigi XIV e Maria Teresa d’Austria, figlia di Filippo IV, si sposarono sulla base del Trattato dei Pirenei, una clausola stabiliva che avrebbero rinunciato a qualsiasi pretesa al trono di Spagna. Ciò nonostante, il nipote Filippo finirà per ereditare questa corona alla morte di Carlo II nel 1700. La morte senza discendenza dell’ultimo re del ramo spagnolo degli Asburgo, Carlo lo Stregato, aprì un conflitto per la successione che non si concluse fino al 1713, con il riconoscimento come re di Spagna di Filippo di Borbone, duca d’Angiò, figlio secondogenito del Delfino Luigi e di Maria Anna di Baviera e, pertanto, nipote di Luigi XIV e Maria Teresa d’Austria. Con lui sul trono cominciò un ambizioso processo di riforma, unificazione e centralizzazione dello stato, espresso nei Decreti di Nueva Planta secondo i quali, oltre ad abolire le giurisdizioni e le corti dei regni storici della corona d’Aragona, vigenti sotto gli Austriaci, si allontanava l’alta nobiltà da tutti i compiti burocratici in favore di una maggiore efficacia amministrativa. Tutto ciò seguiva il modello francese instaurato con successo dal Re Sole. Il suo regno di quarantacinque anni fu il più lungo della monarchia spagnola. Nell’immagine, ritratto di Filippo V di Miguel Jacinto Meléndez (Palacio de Viana, Cordoba).
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Per gran parte del XVII secolo, il Portogallo fu sottomesso all’egemonia ispanica. A partire dal 1580, il re di Spagna lo fu del Portogallo. Durante i primi decenni di unione dei due regni, i monarchi spagnoli rispettarono le leggi e l’amministrazione dei loro sudditi portoghesi. D’altra parte, per via della sua inclusione nella monarchia ispanica, il Portogallo subì l’assillo delle Province Unite sul suo impero coloniale americano e asiatico. Durante il regno di Filippo IV, il conte-duca di Olivares cercò di applicare in Portogallo una politica centralizzatrice a beneficio della corona spagnola, simile a quella esercitata in altri regni peninsulari. Di fronte a questo, il 1 dicembre del 1640 scoppiò a Lisbona un’insurrezione diretta contro la corona spagnola. Il 1 dicembre del 1640, il duca di Braganza, un discendente dell’antica dinastia reale portoghese, che fu fondata nel 1442 da Alfonso I, appoggiato dal clero e dalla maggior parte della nobiltà, si proclamò re del Portogallo con il nome di Giovanni IV (1640-1656). Il nuovo monarca si alleò rapidamente con i nemici della Spagna. Prima strinse alleanze con la Francia e con le Province Unite e, l’anno seguente, si unì con l’Inghilterra. Il conflitto tra Spagna e Portogallo si protrasse per un quarto di secolo. Durante il regno di Alfonso VI (1656-1683), figlio del defunto re Giovanni IV, si succedettero grandi vittorie portoghesi sul campo di battaglia. Il re fu soprannominato il Vittorioso. Dopo essere stati sconfitti a Villaviciosa il 17 giugno 1665, gli Spagnoli finirono per riconoscere l’indipendenza del Portogallo. Conservarono però Ceuta nelle mani della monarchia ispanica. L’altro figlio di Giovanni IV, Pietro II (16831706), prima come reggente del proprio fratello malato a partire dal 1668 e poi come monarca, si sforzò di portare avanti una politica nazionale in chiave assolutista, mentre dettava misure di protezionismo economico. Dopo aver sciolto, nel 1697, le corti portoghesi, oscillò per molti anni tra Francia e Inghilterra e optò infine per l’alleanza inglese. Così, il 27 dicembre del 1703 il Portogallo firmò un trattato commerciale di enorme importanza per il futuro del regno. Negoziati con Lord Methuen, gli accordi aprirono il mercato portoghese e brasiliano ai prodotti manifatturieri inglesi, mentre i britannici garantivano ingenti importazioni di vino portoghese. A partire da allora si strinsero legami
economici molto solidi tra Portogallo e Inghilterra, che molto presto, nel segno della guerra di successione al trono spagnolo, diventeranno vincoli politici di maggior rilievo.
Il complicato quadro italiano Durante il XVII secolo, l’Italia non fu un’unità politica: la Penisola era occupata da un mosaico di Stati e Staterelli, alcuni dei quali sottomessi alla corona spagnola (come nel caso di Milano, di Napoli, della Sicilia e della Sardegna). Gli Stati Pontifici controllavano l’Italia centrale; Genova e Venezia, nonostante i loro minuscoli territori, continuavano a essere due potenze commerciali di grande rilievo; nella zona delle Alpi, il ducato di Savoia e il Piemonte si collocavano sulla frontiera storica di fronte alla Francia. Infine, una serie di piccole entità completava l’immagine di frammentazione: il Granducato di Toscana, governato dalla famiglia Medici; Parma, dai Farnese; Ferrara, dagli Este e Mantova dai Gonzaga. Ma questo panorama disgregato poteva essere ingannevole rispetto all’importanza dell’Italia
nelle relazioni internazionali europee. Non bisogna dimenticare che in un’Europa di monarchie, famiglie come quella dei Medici erano una risorsa di regine per le grandi corone, come nel caso della regina di Francia Maria de’ Medici. Così, questi piccoli Stati attraversarono periodi di alleanze e di guerre senza soluzione di continuità, cosa che diede origine a continui episodi militari. In buona misura ricorsero all’aiuto delle grandi potenze del momento, proiettando i conflitti italiani su scala europea. Gli avvenimenti della Valtellina furono senz’altro un chiaro esempio di questo concatenamento di tensioni. Questa piccola enclave cattolica situata in Lombardia partecipò alle sanguinose guerre confessionali che devastarono il continente durante la guerra dei Trent’anni. Voltaire ricordò proprio che uno degli episodi più tragici dell’intolleranza moderna fu l’assassinio di 600 protestanti per mano dei cattolici nel settembre del 1620, in Valtellina. Un’area su cui la monarchia spagnola esercitò un protettorato a mo’ di blindaggio di fronte alle leghe protestanti dei Grigioni
LA GUERRA DI RESTAURAZIONE.
L’instaurazione della dinastia di Braganza in Portogallo nel 1640, in sostituzione del casato degli Asburgo, e la proclamazione di Giovanni IV come re scatenarono la guerra di restaurazione tra Portogallo e Spagna e misero fine all’unione iberica. Sopra, pannello di azulejos della sala delle battaglie del palazzo dei marchesi di Fronteira, a Lisbona, che mostra diverse scene legate a un periodo di ostilità che durò 28 anni (1640-1668).
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UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
CRONOLOGIA DEL DUCATO DI SAVOIA E DEL PIEMONTE 1416
Un nuovo ducato. Sigismondo I di Lussemburgo, imperatore del Sacro impero, concede il titolo di duca di Savoia al conte Amedeo VIII. 1536-1559
Occupazione francese. Francesco I occupa il ducato di Savoia. È la prima delle cinque occupazioni portate a termine dalla Francia. 1610
Il Trattato di Lione. Il duca Carlo Emanuele I si vede obbligato a consegnare alla Francia le enclavi di Bresse, Bugey, Valromey e Gex. 1655
Pasque Piemontesi. Il 24 aprile, in Piemonte, l’esercito ducale di Carlo Emanuele II compie uno sterminio di fedeli valdesi. 1689
Lega di Augusta. Per liberarsi dal controllo francese, la Savoia entra in questa alleanza. Nel 1690 è occupata dall’esercito gallico. 1713
Pace di Utrecht. Il casato dei Savoia recupera dalla Francia Savoia e Nizza. Dalla Spagna riceve la Sicilia e il diritto a usare il titolo di re.
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svizzeri. L’importanza strategica della valle alpina però, fini per sollecitare l’intervento francese nel 1652. Alla fine, i Trattati di Madrid e di Monzón nel 1626 si conclusero favorendo la causa spagnola, le cui truppe ottennero il privilegio di libero diritto di passaggio per le valli. Anche nel caso dei rimanenti Stati italiani fu evidente l’intervento dei grandi poteri. Dopo la morte di Vincenzo Gonzaga, scoppiò un’altra guerra per la successione a Mantova e nel Monferrato. Filippo IV sostenne le candidature alleate del duca di Guastalla per Mantova e del duca di Savoia per il Monferrato. La Francia, al contrario, sostenne il duca di Nevers, che pretendeva l’eredità della stirpe Gonzaga su entrambi territori. La guerra aperta avvenne tra il 1628 e il 1629, con evidenti successi per le truppe spagnole. Ma nel giugno del 1630, i Francesi ottennero la vittoria di Avigliana. Il rovescio militare obbligò papa Urbano VIII a farsi arbitro della disputa, che si concluse nel 1631 con la firma della Pace di Cherasco. Questo trattato, ispirato dalle direttive del cardinale Mazzarino, comprendeva una revisione a favore della Francia degli accordi di Madrid-Monzón. Il duca di Nevers riuscì a impossessarsi del Monferrato, mentre il regno gallico occupò il passo di Pinerolo che diventerà un punto fondamentale per la penetrazione dell’influenza francese in Italia. Proprio l’interesse francese per il consolidamento di questa influenza portò a un aumento delle tensioni nella zona durante il XVII secolo. Se a partire dalla pace di Cateau-Cambrésis del 1559 il potere predominante sul destino dell’Italia era nelle mani spagnole, durante il XVII secolo le ambizioni francesi si scatenarono in maniera inarrestabile. Le vicissitudini degli Stati italiani più importanti (Savoia, Venezia, il papato, i possedimenti spagnoli) furono un buon esempio.
Savoia e il Piemonte Le enclavi strategiche di Savoia e del Piemonte, sui valichi alpini che collegavano la Francia e l’Italia, subirono le conseguenze della rivalità tra le monarchie di Parigi e di Madrid. Storicamente, una soluzione per questo tipo di conflitti era quella matrimoniale, che era stata già collaudata dai duchi in riferimento alle case regnanti delle due potenze in lizza. Ma, senza dubbio, agli inizi del XVII secolo, il ducato di Savoia era chiaramente incline alla scelta spagnola. Il leggendario duca Carlo Emanuele I (15801630), conosciuto come Testa di Fuoco per il suo comportamento agguerrito sul campo di battaglia, era il genero di Filippo II. All’epoca di Filippo III inviò addirittura i propri figli alla corte spagnola per cercare di consolidare i legami familiari con la nuova generazione di austriaci. Ciò
nonostante, i conflitti con la Francia mandarono il conto al piccolo regno. In base al Trattato di Lione del 1601, il duca Carlo Emanuele conservò il marchesato francese di Saluzzo, ma si vide obbligato a consegnare ai sovrani francesi le enclavi di Bresse, Bugey, Valromey e Gex. Il suo successore, Vittorio Amedeo I (16301637), seguì una linea di governo più prudente, ma il suo breve regno finì con una guerra civile. La minore età del nuovo monarca, Carlo Emanuele II di Savoia (1638-1675), fu compensata dalla reggenza della duchessa Cristina di Francia, che riusciva a controllare la situazione con difficoltà. Il Trattato di Cherasco aveva lasciato il territorio sotto la minaccia francese. La corte ducale passò per serie difficoltà che la debilitarono a causa delle lotte di fazioni che stavano dalla parte di Madrid o di Parigi. Anche se Carlo Emanuele II raggiunse la maggiore età nel 1648, sua madre continuò di fatto a governare finché non morì nell’anno 1663. Come altre famiglie governanti del momento, il casato ducale cercò di riaffermare il proprio potere territoriale combattendo qualsiasi accenno
di tensioni religiose. In particolare, la mattanza dei valdesi in Piemonte durante le spaventose Pasque Piemontesi dell’anno 1655 provocò uno scandalo in tutta Europa per la crudeltà delle feroci repressioni in esse attuate. Di nuovo, la reggenza caratterizzò l’inizio del regno del duca successivo, Vittorio Amedeo II (1675-1730). Fino al 1684, la politica francofila del ducato fu garantita dalla duchessa governatrice Maria Giovanna Battista di Savoia. Tutto ciò, nonostante l’occupazione dell’importante enclave di Casale da parte di Luigi XIV nel 1681. L’influenza francese si manifestò nelle nuove persecuzioni contro i protestanti del 1685, su richiesta diretta del monarca francese. Ma dopo la morte della reggente Maria Giovanna, Vittorio Amedeo cercò di sottrarsi al giogo francese e militò nella Lega di Augusta a partire dal 1689. Nel 1696, il duca riconsiderò le proprie posizioni e riprese l’alleanza con la Francia. Come ricompensa per aver recuperato dalle mani francesi l’enclave di Pinerolo, la nuova alleanza portò benefici immediati per Luigi XIV, dato
che le potenze della Lega furono obbligate a ritirarsi dall’Italia e fu possibile imporre la neutralità generale della Penisola durante il conflitto. La politica delle alleanze con la Francia sarebbe continuata in maniera mutevole, a seconda delle ambizioni del duca che nella guerra di successione avrebbe scelto di appoggiare la causa dei Borbone (1701) per poi cambiare fazione (1703). La scelta finale, con la decisione di parteggiare per la causa austriaca, permise al ducato di trasformarsi in regno nell’anno 1713 e al nuovo re Vittorio Amedeo II di mettere le mani sull’antico possedimento spagnolo della Sicilia.
Venezia, il sogno di una potenza Venezia continuò a essere un centro finanziario abbastanza attivo, un porto importante e una delle città più belle e frequentate della penisola Italiana. Ma la competizione con le altre potenze marittime atlantiche, la diminuzione della sua flotta mercantile e i danni provocati dalla pirateria, condannarono all’apatia quella che era stata una grande repubblica. Venezia dovette
IL POTERE DEI SAVOIA.
La decisa politica del duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, sommata alla debolezza della Spagna e alla rivalità tra Francia e Sacro impero, gli permise di ottenere indipendenza e territori di fronte alle grandi potenze. Sopra, il padiglione di caccia di Stupinigi (1729-1731), nella città di Nichelino, vicino a Torino, disegnato dall’architetto Filippo Juvarra. Invitato in Spagna da Filippo V nel 1735, Juvarra lavorò al palazzo di La Granja, al nuovo Palazzo Reale di Madrid e al Palazzo Reale di Aranjuez.
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UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
La Venezia di Francesco Morosini di fronte all’espansione ottomana La Venezia della seconda metà del XVII secolo era una repubblica in declino, inevitabilmente legata a un Mediterraneo che aveva perso protagonismo economico e commerciale di fronte all’Oceano Atlantico. In questo panorama, l’irruzione di Morosini portò con sé il tentativo di ricostruire la passata grandezza veneziana a spese dell’impero ottomano, lo stesso che aveva preso possesso di tutte le sue colonie mediterranee. Nato nel 1619, Francesco Morosini aveva solo ventisette anni quando fu nominato comandante delle forze veneziane di Candia (l’odierna Heraklion), l’ultima ridotta che Venezia conservava a Creta. La sua capacità di organizzare la difesa e di motivare i suoi uomini fu tale che i Turchi non riuscirono a entrarvi fino al 1669, dopo che Morosini aveva negoziato una pace dignitosa. L’assedio era durato 23 anni. Dopo un lungo ritiro, Morosini tornò in scena nel 1683 per prendere parte alla guerra d’Austria e Venezia contro l’impero ottomano. Al comando di una flotta, la sua campagna ebbe come scenario la Grecia e non avrebbe potuto avere più successo: l’isola di Leucade (1684), la città di Corone (1685), quelle di Argos e Nauplia (1686) e il congiunto del Peloponneso, oltre a Corinto e Atene (1687), sono alcuni dei luoghi che conquistò e che gli valsero il titolo di Peloponnesiaco conferitogli dal Senato veneziano. Nel 1688 fu nominato doge, incarico di cui si fregiò fino alla morte nel 1694. A sinistra, uno dei leoni del Pireo “requisiti” da Morosini, oggi situato all’ingresso dell’Arsenale di Venezia; a destra, scena della guerra di Candia (Museo Correr, Venezia).
inoltre far fronte alla costante minaccia dell’impero ottomano, con una lotta che finì per esaurire le risorse della metropoli italiana. Infine, bisogna ricordare che Venezia era governata da un’oligarchia di origine mercantile, formata dalle famiglie del Libro d’Oro, che si spartivano le funzioni e gli incarichi ufficiali. Ma anche i problemi interni tra le principali famiglie urbane finirono per presentare il conto alla città. Nel XVII secolo, prima di lottare contro i Turchi, i Veneziani avevano dovuto far fronte al pericolo rappresentato dai pirati uscocchi, corsari cristiani stabilitisi lungo la costa della Dalmazia e protetti dagli Austriaci. Tra il 1615 e il 1617, la lotta contro questi pirati significò in pratica confrontarsi anche con gli Asburgo spagnoli. In realtà, esisteva una situazione di tensione e di guerra fredda tra Venezia e i territori spagnoli del Nord Italia. Venezia iniziò una politica di opposizione a qualsiasi consolidamento del potere spagnolo nella zona. La strategia della Serenissima per ottenere il proprio scopo fu molto abile. Da una parte cercò l’appoggio diplomatico di Savoia, 108
Francia e Paesi Bassi. Dall’altra, gli agenti veneziani ordirono quella che si conobbe come la Congiura di Venezia del 1618. Diffusero la notizia di un immaginario complotto spagnolo orchestrato dall’ambasciatore di Filippo III a Venezia, il viceré di Napoli e il governatore del ducato di Milano, destinato a far saltare in aria gli arsenali del porto e a impossessarsi dei punti strategici della città per proclamare la sovranità spagnola. Lo stratagemma fu così efficace che a Madrid nacquero sospetti sulla fedeltà dei suoi principali amministratori in Italia. Infine, tutti i presunti implicati furono gradualmente esonerati dai loro compiti e in questo modo Venezia riuscì a liberarsi di tre dei suoi più acerrimi nemici. Tra il 1645 e il 1669, la lunga e dura guerra di Candia contro i Turchi segnò il destino dei Veneziani per quasi un quarto di secolo. Durante una prima tappa, almeno fino al 1658, gli ammiragli Giovanni Battista Grimani e i tre fratelli Mocenigo riuscirono a portare la guerra fin nel cuore dell’impero ottomano. La vittoria veneziana dei Dardanelli lasciò le navi della Serenissima alle
porte di Istanbul. Ma l’agilità dei combattimenti marittimi e di corso diede successivamente origine a una guerra di distruzione, localizzata presso la città di Candia sull’isola di Creta. Nonostante alcuni episodi eroici e l’aiuto puntuale ricevuto dalla Francia, il lungo assedio terminò con la resa della città di fronte ai Turchi nel settembre del 1669. Per l’impero ottomano significò raggiungere il momento della sua massima espansione all’interno del Mediterraneo, mentre Venezia abbandonava un’enclave che aveva dominato per quattro secoli e mezzo. Gli scontri contro i Turchi proseguirono da parte di Venezia. Nel 1684, in alleanza con l’Austria e con la Polonia, le operazioni militari assunsero le dimensioni di una crociata, quando gli alleati adottarono il nome di Lega Santa e si sottomisero alla direzione del papato. I Veneziani, sotto il comando di Francesco Morosini, ottennero notevoli successi in Grecia, anche se durante i combattimenti ad Atene il Partenone subì danni irreparabili poiché fu bombardato e saccheggiato dai soldati veneti. La conquista della
regione greca di Morea fu completata nel 1687 e il trattato di Karlowitz del 1699 riconobbe per i Veneziani il possesso di questo territorio. La capacità di resistenza militare di Venezia, però, non comportò in alcun caso il recupero del prestigioso ruolo economico di cui la Serenissima aveva goduto sin dall’epoca medievale.
Urbi et orbi: gli Stati Pontifici Oltre a esercitare la propria autorità spirituale sul mondo cattolico della controriforma, in quanto sovrani degli Stati Pontifici, i papi continuarono a essere coinvolti nelle lotte politiche italiane. Così, dopo l’estinzione della casa degli Este a causa della morte di Alfonso II, papa Ippolito Aldobrandini, Clemente VIII (1592-1615), incorporò nel 1598 il ducato di Ferrara agli Stati Pontifici. Quest’operazione portò i regni del papato a essere limitrofi alla Repubblica di Venezia e condusse a una crisi che raggiungerà il suo climax nel conflitto degli anni 1606 e 1607. Impegnato a recuperare l’autorità politica papale, Clemente VIII fece anche valere il proprio ruolo di 109
UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
Scienza contro religione: UrbanoVIII e Galileo, un’amicizia troncata Nonostante la sua difesa a oltranza della teoria eliocentrica di Niccolò Copernico, tanto discussa e temuta dalla Chiesa cattolica, Galileo Galilei trovò appoggio in alcuni membri illustri della gerarchia romana. Uno di questi fu il cardinale fiorentino Maffeo Barberini, un amante delle scienze e delle arti che nel 1623 ascese al trono di san Pietro con il nome di Urbano VIII. Già nel 1611, il cardinale Barberini aveva dimostrato il proprio interesse per il lavoro di Galileo. L’aveva addirittura invitato a recarsi a Roma per spiegare le sue scoperte all’Accademia Nazionale dei Lincei, un’istituzione scientifica fondata solo otto anni prima. Da allora, la relazione tra il cardinale e lo scienziato fu dominata dall’affetto e dall’ammirazione reciproca. Non solo Barberini dichiarava a Galileo che «siamo sempre pronti a servirvi», ma nel 1620 scrisse anche un poema, Adulatio Perniciosa, in onore del suo amico. Tre anni più tardi, l’elezione del principe della Chiesa a papa sembrò mettere fine a tutte le opposizioni di Roma all’eliocentrismo. Tutto andò bene finché Urbano VIII autorizzò Galileo a pubblicare, nel 1632, il fondamentale Dialogo sui due massimi sistemi del mondo. Fu la fine della loro amicizia, una volta che i nemici dello scienziato convinsero il papa di essere stato ridicolizzato in uno dei personaggi del libro, il goffo Simplicio, cosa che Urbano non perdonò. Rimasto senza protezione papale, Galileo fu condannato dall’Inquisizione nel 1633. Nell’immagine, ritratto di Galileo di Ottavio Mario Leoni (Biblioteca Marucelliana, Firenze).
IL POTERE DI ROMA (pag. 111). L’immensa e
maestosa piazza di San Pietro, progettata dal Bernini tra il 1656 e il 1667 e presidiata dalla grande basilica, è il più grande simbolo di potere della Chiesa e dello Stato Pontificio. Costituisce anche un modello della grandiosità scenografica dell’urbanesimo barocco: la piazza ovale, costeggiata dai colonnati e con l’obelisco al centro, si apre sulla via della Conciliazione e sul quartiere del Borgo. 110
mediatore tra i principali monarchi cattolici e ottenne la firma della Pace di Vervins tra la Francia e la Spagna nel 1598. Il suo pontificato fu caratterizzato però da un peggioramento della pratica del nepotismo nella nomina degli incarichi, cosa che portò a una scandalosa malversazione del patrimonio vaticano nelle mani dei suoi parenti Cinzio e Pietro Aldobrandini. Dopo il breve pontificato di Leone XI (marzo e aprile del 1605), membro della famiglia fiorentina de’ Medici, le lotte all’interno della Curia tra le fazioni dei cardinali che stavano dalla parte della Francia (capeggiati dagli Aldobrandini) e il gruppo spagnolo guidato dal cardinale Montalto si conclusero con la vittoria di un nuovo candidato Aldobrandini, Camillo Borghese. Ciò nonostante, come papa Paolo V (1605-1621), questi cercò di mantenersi equidistante dai disegni delle grandi potenze europee. Paolo V ebbe, fin dall’inizio del suo pontificato, frizioni costanti con le autorità veneziane. La Serenissima aveva limitato la costruzione di nuove chiese e due sacerdoti cattolici stavano per essere giudicati dal tribunale civile senza conside-
razione per i loro privilegi ecclesiastici. Fu allora, nell’aprile del 1606, che il papato impose un’interdizione alla Serenissima e scomunicò i suoi dirigenti. Solo la mediazione francese permise di arrivare a una soluzione amichevole. Ma durante l’interdizione la condotta del clero veneziano fu di manifesta disobbedienza alle direttive del papato, che veniva accusato di difendere interessi strettamente politici. Questo episodio, convenientemente divulgato attraverso i pamphlet popolari e i trattati giuridici, dimostrò che le minacce del castigo con le armi spirituali, che avevano costituito l’arsenale della Chiesa in passato, non sortivano più alcun effetto. Episodi come quello menzionato mostrarono che, sempre di più, i papi del XVII secolo avevano come interesse prioritario la difesa dei propri domini dipendenti da Roma, prima del destino dell’orbe cattolico, la cui difesa militare rimase nelle mani della dinastia degli Asburgo, che governava a Madrid e a Vienna. Alessandro Ludovisi, Gregorio XV (16211623), fu il pontefice successivo, e cercò un avvicinamento all’imperatore Ferdinando II per riuscire nell’intento di unire il potere politico delle potenze cattoliche ai privilegi spirituali della Città Eterna. Con questo obiettivo portò abbondanti risorse economiche al sostentamento delle truppe imperiali durante la guerra dei Trent’anni. L’espansione territoriale proseguì sotto Maffeo Barberini, Urbano VIII (1623 1644), che si annettè il ducato di Urbino nel 1631. Denunciato l’inadempimento del pagamento dei debiti verso il Papato, nell’anno 1641 mobilitò un esercito contro il ducato di Castro, situato sotto la giurisdizione del duca di Parma, Odoardo Farnese. In questa occasione si scatenò una reazione collettiva di vari principi italiani, che corsero in aiuto di Parma. La guerra si protrasse per tre anni. Quando nel 1644 la Santa Sede restituì il ducato di Castro al duca di Parma, il conflitto aveva devastato parte delle terre della Chiesa: Umbria, Romagna e la zona di Ferrara. Urbano VIII fu anche coinvolto nella guerra dei Trent’anni, anche se a differenza del pontefice precedente la sua politica fu caratterizzata da una feroce militanza contro le potenze imperiali. Il suo appoggio alla Francia non frenò però il progresso dell’assolutismo regio sul clero gallico. Tali errori politici furono fatali e macchiarono il suo papato; a questo si sommò un alto grado di nepotismo, che finì per mettere in ombra i meriti del Papa Barberini come umanista e mecenate. Nel 1644 fu eletto papa il cardinale Giovanni Battista Pamphili, Innocenzo X (1644-1655). Il suo atteggiamento contrario alla Francia e perseguitore delle direttive degli Asburgo, provocò seri conflitti tra Roma e i diplomatici francesi.
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UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
Innocenzo X, il papa che si scontrò con l’onnipotente Luigi XIV
Da quando l’imperatore Carlo V punì con il Sacco di Roma le simpatie di papa Clemente VII per i Francesi, i pontefici dell’Europa moderna si resero conto del caro prezzo che bisognava pagare per mettersi contro il sovrano di una grande potenza. Anche così però alcuni, come Innocenzo X, non esitarono ad affrontare il rischio. Il trono di san Pietro non era estraneo alle lotte tra le grandi potenze. Anzi, queste cercavano di fare in modo che ogni nuovo conclave eleggesse un papa affine ai propri interessi. La Francia vi riuscì con Urbano VIII, nato Maffeo Barberini, mentre la corona ispanica, rappresentata dal cardinale Gil de Albornoz, lo ottenne nel 1644 quando Giovanni Battista Pamphili ricevette la tiara papale con il nome di Innocenzo X. Anche se a quel tempo era ormai anziano, negli otto anni di vita che gli restavano prese parte attiva alla politica europea, sempre accanto alla Spagna e all’impero degli Asburgo. Il conflitto del papa con la Francia fu quindi inevitabile, soprattutto a partire dalla persecuzione che fu intrapresa contro i cardinali Francesco e Antonio Barberini, entrambi parenti del suo predecessore Urbano VIII e chiaramente filofrancesi, che egli accusò di appropriazione di beni della Chiesa. Rifugiatisi nel Paese gallico, Innocenzo pretese il loro ritorno a Roma e solo la minaccia del cardinale Mazzarino di invadere i territori papali riuscì a fargli cambiare atteggiamento. Sopra, il papa ritratto da Velázquez verso il 1650 (Galleria Doria Pamphili, Roma).
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Innocenzo X si rifiutò di riconoscere le successioni di Portogallo e Catalogna e rimandò la nomina dei vescovi nei territori in guerra aperta contro Filippo IV. Le tensioni tra uomini di Chiesa francesi e spagnoli raggiunsero momenti di fortissima tensione, come i disordini dell’aprile 1646 tra i seguiti dell’ammiraglio di Castiglia, ambasciatore ispanico, e del cardinale Rinaldo d’Este, protettore degli affari della Francia davanti alla Santa Sede. Con la sua bolla del 1653, Innocenzo condannò cinque affermazioni dell’opera di Jansen, dando inizio alla controversia giansenista in quello che sembrò un avvicinamento agli argomenti difesi dal sovrano Luigi XIV. Fabio Chigi, Alessandro VII (1655-1667), fu protagonista di gran parte delle dispute della Chiesa di fronte ai progetti gallicani del cardinale Mazzarino. Le ribellioni degli ambasciatori francesi furono costanti. Nel governo interno della Chiesa nominò nuovi cardinali con l’intenzione di sottrarsi alle pressioni esterne sul conclave. Oltre al fatto di aver fissato le posizioni dottrinali rispetto al Giansenismo, è passato alla storia per il suo patrocinio delle realizzazioni del Bernini e, soprattutto, perché fu il papa che accolse la regina Cristina di Svezia una volta convertita al Cattolicesimo. Clemente X, Giulio Rospigliosi, ebbe un pontificato breve (1667-1669). La sua elezione obbedì alle influenze francesi e la fugacità del suo governo impedì che si materializzassero le sue intenzioni di mediazione tra i gesuiti e i giansenisti. Rispetto ai precedenti pontefici, ebbe importanza nella sua epoca il comasco Benedetto Odescalchi, che assunse la cattedra di san Pietro con il nome di Innocenzo XI (1676-1689) e fu uno dei papi più importanti della storia moderna. A livello interno, esercitò una politica di riforme, riorganizzando le finanze e moralizzando tutto l’intorno cortigiano di Roma. Mentore della lotta contro gli Ottomani, fu il grande sostenitore della Lega Santa. Ma, soprattutto, si fece notare per la sua militanza contraria al regalismo di Luigi XIV. Di fronte alla dichiarazione del clero francese del 1682, Innocenzo XI si rifiutò di nominare vescovi i sacerdoti che accettassero qualsiasi articolo della dichiarazione. Dopo il papato dell’anziano Alessandro VIII (Pietro Vito Ottoboni, 1689-1691), il secolo si concluse con un altro papa dalla personalità rilevante, Antonio Pignatelli, Innocenzo XII (1691-1700). Le sue riforme della Curia furono decisamente importanti e inasprì le condizioni di accesso dei familiari del papa a incarichi politici o benefici economici. La bolla Romanum decet Ponteficem (1692) mise fine al nepotismo che aveva caratterizzato i tempi moderni della Chiesa romana. In ambito internazionale, Innocenzo XII ottenne nel
1697 un avvicinamento a Luigi XIV; il monarca francese abrogò gli articoli regalisti del 1682 e con questo la Chiesa recuperò il proprio ruolo di legittimazione spirituale della grande potenza europea del momento. La posizione francese del papato sarebbe stata meno belligerante durante il pontificato del successore di Innocenzo XII, Clemente XI (1700-1721), che coincise con la guerra di successione al trono spagnolo. I pontefici del XVII secolo oscillarono tra l’affermazione del proprio potere e l’incapacità di superare i legami familiari. La pressione delle potenze europee non solo cercò l’alleanza con Roma, ma, una novità nel caso francese, la corona decise di invadere alcune competenze ecclesiastiche. Il regalismo francese costituì un precedente dell’affermazione delle Chiese nazionali che proliferarono in Europa durante il XVIII secolo.
La crisi dell’Italia spagnola Durante il XVII secolo, la presenza spagnola nella Penisola Italiana si localizzò nel ducato di Milano, da una parte, e a Napoli e in Sicilia dall’altra, con
un viceré in ciascuno dei tre territori. La Sardegna, appartenente alla corona d’Aragona sin dal secolo XIV, che manteneva ancora un severo regime feudale, aveva anch’essa un suo viceré. Il ducato di Milano fu un’enclave di massima importanza geostrategica nel nord dello Stivale anche se, nonostante le sue ricchezze naturali, attraversò durante il XVII secolo un periodo di recessione economica molto grave. Nei territori dell’Italia meridionale, la presenza spagnola si tradusse sempre in seri problemi sia di ragione sociale sia economica, che furono provocati immancabilmente dall’aumento della pressione fiscale a beneficio delle urgenti necessità militari dell’impero ispanico. La miseria dei contadini si vide inoltre aggravata dalle esazioni della nobiltà locale. Le tensioni sfociarono in numerosi sollevamenti di massa che, anche se godettero dell’appoggio francese, furono tuttavia un fallimento. I più notevoli furono quelli di Napoli dell’anno 1647 (con la rivolta di Masaniello) e quella del 1674 di Messina La povertà endemica nel regno di Napoli si vide
ARTISTI E MECENATI.
La Roma barocca era una città monumentale, disseminata di opere d’arte di architettura e scultura, come nel caso di piazza Navona con la chiesa di sant’Agnese in Agone, del Borromini e di Girolamo Rainaldi, e le fontane del Bernini. Il suo propugnatore, papa Innocenzo X, voleva con questa celebrare la grandezza della dinastia Pamphili, rivale dei Barberini e dei Farnese e fece in modo che Rainaldi vi costruisse il palazzo della propria famiglia. Sopra, La Piazza Navona di Roma (1699), olio di Caspar Adriaensz van Wittel (Museo ThyssenBornemisza, Madrid). 113
UN MEDITERRANEO CHE SI ADDORMENTA
DATE DELLA CRISI DELL’ITALIA SPAGNOLA 1647
La ribellione di Masaniello. Gli alti tributi applicati alla frutta provocarono una sommossa a Napoli. Il leader di questa è un pescatore. 1648
La repubblica napoletana. Giovanni d’Austria soffoca la rivolta di Napoli e mette fine alla repubblica proclamata con l’appoggio francese. 1656
Arriva la peste. Un’epidemia di peste distrugge Napoli e la Campania. La città perde quasi i tre quarti dei propri abitanti. 1674
Rivolta di Messina. Questa città siciliana si solleva in armi contro la monarchia ispanica e reclama l’aiuto di Luigi XIV di Francia. 1713
Trattato di Utrecht. I possedimenti italiani degli Asburgo spagnoli, il ducato di Milano, Napoli e la Sardegna, passano ora all’Austria. 1734
Recupero spagnolo. La corona spagnola, nella persona di Carlo di Borbone (il futuro Carlo III di Spagna), recupera Napoli e la Sicilia.
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acutizzata dall’offensiva fiscale condotta dai governanti spagnoli con il beneplacito delle élite regionali. Nel 1647, un pescatore napoletano, Tommaso Aniello d’Amalfi (più conosciuto come Masaniello), diede inizio a una rivolta contro i tributi applicati sulla frutta, che in pratica era l’unico alimento alla portata degli strati più poveri e disagiati della popolazione. Masaniello, dotato di grandi doti demagogiche, animò il malessere popolare con discorsi molto violenti. I suoi richiami infiammarono le masse, che assaltarono il palazzo del viceré, le prigioni e le postazioni per la riscossione delle imposte sulla frutta. I tumulti degenerarono presto in giudizi molto sommari contro chiunque osasse contraddire le derive paranoiche del proclamato profeta, acclamato dalle masse come capitano generale. Tommaso Aniello finì assassinato e squartato da dei sicari. La sua figura fu ingigantita nella leggenda, che lo trasformò in martire e oggetto di culto. Si diffuse il racconto che al suo funerale intervennero 400 sacerdoti e più di 100.000 persone e che il suo cadavere smembrato si ricompose miracolosamente per benedire la folla un’ultima volta. Facendo nuovamente sfoggio delle sue grandi capacità militari, già dimostrate ampiamente su innumerevoli campi di battaglia, Giovanni d’Austria si mise a capo dell’esercito che finì per soffocare la rivolta, anche se si fece bello con diverse concessioni per i rivoltosi (il viceré fu sollevato dal suo incarico, fu proclamato un indulto generale e nel 1648 furono soppressi i polemici tributi che gravavano sui prodotti di maggior consumo). Se i fatti di Napoli del 1647 si poterono iscrivere nel contesto delle rivolte antifiscali che colpivano la monarchia ispanica sin dal 1640, la rivolta di Messina del 1674 ebbe un carattere molto più internazionale. Sin dal 1672 il prospero porto siciliano di Messina era in balia di una serie di tumulti, legati alla lotta tra le due principali fazioni urbane, i Merli e i Malvizzi. Il governatore spagnolo della città, Luis del Hoyo, cercò di utilizzare questi scontri a beneficio della corona, rinforzando la sovranità spagnola di fronte ai poteri tradizionali del Senato, della nobiltà e dei ricchi borghesi. Il peggioramento della situazione comportò lo scoppio, nel 1674, di una rivolta popolare contro le truppe spagnole, per cui la città reclamò l’aiuto di Luigi XIV. L’intervento francese fu rapido ed efficace. Ancora una volta, come accadeva abitualmente nell’Europa di quell’epoca, il conflitto locale assunse dimensioni internazionali. La flotta francese vinse su quella spagnola davanti all’isola di Stromboli nel febbraio del 1675. Nello stesso anno, le autorità di Messina prestarono giuramento di fedeltà al monarca francese. Nel
Rivolte anti spagnole nel regno di Napoli Le ribellioni di Portogallo e Catalogna non furono gli unici conflitti interni che la Spagna subì nel decennio del 1640. A questi si unì la crisi che, nel 1647, fu sul punto di rendere Napoli una repubblica indipendente. Anche se inizialmente la rivolta di Masaniello non fu altro che una sommossa che aveva come protagonisti i meno fortunati di Napoli, presto divenne la valvola di sfogo per il malcontento generalizzato della società napoletana verso la monarchia ispanica. L’espulsione delle autorità spagnole sfociò nella proclamazione, in quello stesso anno 1647, della Serenissima repubblica di Napoli, il cui titolo di doge (secondo l’usanza veneziana) fu concesso a un discendente del re napoletano Renato I il Buono, il francese Enrico II di Guisa. Ciò nonostante, l’avventura si rivelò fugace. Il duca perse rapidamente l’appoggio dei suoi nuovi sudditi e gli Spagnoli, sotto il comando di Giovanni d’Austria, entrarono nuovamente a Napoli nell’aprile del 1648 senza quasi incontrare resistenza in una popolazione stanca di un anno di lotte e intrighi. Nell’immagine, la rivolta di Masaniello a Napoli, vista da Michelangelo Cerquozzi (Galleria Spada, Roma).
1676, la flotta olandese e di nuovo quella spagnola furono disalberate dalla marina da guerra del sovrano Luigi XIV, cosa che dimostrava gli eccellenti risultati dell’ambizioso progetto di ricostruzione navale messo in atto da Colbert. Ma proprio mentre si stava imponendo la necessità di una pace strategica da parte della Francia di fronte a un’Europa nuovamente coalizzata contro di lei, il monarca francese ruppe i legami con il patriziato di Messina. La ritirata delle truppe francesi diede vita al caos nella città italiana e le rivolte popolari provocarono la fuga dell’aristocrazia. Il nuovo viceré spagnolo, il conte di Santisteban, impose l’ordine, ma allo stesso tempo represse molto duramente gli insorti. Dopo la guerra di successione, i possedimenti spagnoli in Italia passarono nelle mani degli Asburgo austriaci e del ducato di Savoia.
Il Mediterraneo nel XVII secolo Nella storia dei mari europei, il XVII secolo fu senza dubbio il secolo del Mar Baltico e del Mare del Nord, mentre il Mediterraneo, che aveva se-
gnato il ritmo della storia europea sin dai tempi dell’impero romano, sembrò perdere importanza sui terreni politico ed economico. Durante la prima metà del secolo, la relativa calma vissuta nel Mediterraneo orientale fu messa in relazione con la perdita d’importanza dello scenario marittimo dell’impero ottomano. Le truppe del sultano combatterono principalmente in Asia e nell’Europa centrale. Ci fu solo un’eccezione degna di nota: la guerra di occupazione ottomana contro Creta. Cominciò nel 1645 ed ebbe nel lungo assedio di Candia (1648-1669) un’inesauribile fonte di angoscianti notizie diffuse dalla cristianità attraverso quell’antenato della stampa che erano i “resoconti dei fatti”. Al contrario, le acque del Mediterraneo occidentale furono più agitate. Furono il campo di battaglia nella lunga lotta per l’egemonia che vide la Francia contro la monarchia ispanica tra il 1635 e il 1659. Non per niente, nel 1642 di fronte a Barcellona ebbe luogo quella che fu chiamata la “Rocroi navale”, una sconfitta senza precedenti della flotta spagnola di fronte all’armata francese. Le
operazioni navali francesi si tradussero anche in persecuzioni contro i possedimenti spagnoli situati lungo le coste italiane. Nello stesso scenario si svilupparono i conflitti tra cristiani e berberi, anche se la Francia del cardinale Mazzarino arrivò puntualmente a stringere accordi di amicizia con le reggenze nordafricane e con il Gran Turco, svincolandosi dalla sorte dell’Occidente. La Francia negoziò trattati commerciali e di tregua con il Marocco, il più notevole dei quali fu quello del 1631, confermato nel 1635 e che sarebbe rimasto in vigore per molto tempo. Il Mediterraneo dunque, dietro la parvenza di un prolungato periodo di calma, nascose tensioni strutturali con un lungo percorso storico, come la lotta tra l’Islam e la cristianità. Inoltre, come carattere distintivo, fu uno spazio di violenza strutturale più o meno costante durante tutto il secolo. Nella complessa storia diplomatica del XVII secolo, non si trova nel Mediterraneo niente di simile al Trattato di Oliva che portò una pace generale nel Mar Baltico dopo i seri conflitti scoppiati tra le potenze nordiche. 115
LA RIVOLUZIONE BAROCCA A ROMA
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La rivoluzione barocca a Roma Durante il XVII secolo, nella capitale del mondo cattolico tutte le discipline artistiche sembrarono allearsi per venerare ed elogiare il mistero della religione nella coscienza dei fedeli.
N
ell’anno 1600, il pontefice Clemente VIII (1592-1605) proclamò un giubileo e contemporaneamente Giordano Bruno fu bruciato a Roma. Sono due aspetti che riassumono l’atmosfera regnante nella ”città dei papi” del XVII secolo, quella di una Chiesa trionfante dopo il Concilio di Trento. La Roma della controriforma fu uno dei centri da cui l’arte barocca si diffuse in Europa, ma ancor di più fu l’esempio di come questo stile si formò come riflesso di una consapevolezza di trionfo e di potere. Il mondo ecclesiastico era stato, fin dagli inizi del Rinascimento, una delle più importanti fonti di domanda del lavoro di pittori e architetti. Nel XVII secolo questa domanda ebbe un’ulteriore caratteristica: la volontà di trasformare l’arte in uno strumento al servizio della glorificazione della religione cattolica. Roma fu in quest’epoca lo scenario principale di una spettacolare campagna che cercava, con la profusione di luce, colore ed effetti di dinamismo, di contrapporsi al trono austero che aveva caratterizzato l’arte protestante. Fin dalla fine del XVI secolo, i pontefici ebbero a disposizione una nuova pianificazione urbanistica di Roma che andò riempiendo gli spazi pubblici con fiammanti edifici e monumenti barocchi. Sisto V aveva già iniziato nel 1585 un progetto di apertura di nuove strade a Roma per trasformare la “città dei papi” in una caput mundi dei cattolici. Altri papi del XVII secolo, come Urbano VIII (16231644), Innocenzo X (1644-1655) e Alessandro VII (1655-1667), porteranno avanti questi progetti. Il XVII secolo è il momento della costruzione e della decorazione delle grandi piazze della città: Quirinale, Campidoglio e Navona. Ma non possiamo dimenticare che la spettacolare Roma trionfante fu riflesso di un’epoca italiana ed UN’OPERA MAESTRA. L’estasi di Santa Teresa, di Bernini. Scultura in marmo (Chiesa di santa Maria della Vittoria, Roma).
OPERE MAESTRE DEL BAROCCO ROMANO 1568-1572
Chiesa del Gesù. Costruita da Jacopo da Vignola e Giacomo della Porta per i gesuiti, le sue forme dinamiche ne fanno la prima grande chiesa barocca. 1602-1626
San Pietro del Vaticano. Carlo Maderno fu incaricato di dare alla basilica la sua attuale pianta a croce latina e di progettarne la facciata. 1634-1664
Chiesa di San Luca e Santa Martina. A pianta centrale, dominata dalla sua grande cupola, è opera di Pietro da Cortona. 1638-1641
San Carlo alle Quattro Fontane. In quest’opera, Francesco Borromini rompe con la linea retta classica per creare uno spazio ondulato. 1656-1667
Piazza di San Pietro. Per incarico di papa Alessandro VII, Gian Lorenzo Bernini la progettò per evidenziare la monumentalità della basilica.
AUTORITRATTO. Gian Lorenzo Bernini da giovane
(Galleria Borghese, Roma).
europea segnata dall’espansione della spiritualità cattolica. I nuovi ordini religiosi e figure come Francesco di Sales o Vincent de Paul furono un’eccellente espressione di questo clima religioso di riconquista dello spazio geografico e culturale perduto davanti al mondo protestante alcuni decenni prima.
Arte e religione In questo proposito d’innalzamento della religione per catturare le coscienze dei fedeli furono coinvolte tutte le discipline artistiche. Così come le nuove tecniche permettevano di creare l’illusione di una continuità visiva tra strutture tridimensionali e pittura piana, non ci fu nemmeno una separazione stretta tra le funzioni dell’architetto, dello scultore o del pittore. Chiari esempi di ciò sono le chiese progettate da Francesco Borromini (1599-1667), eccellente dimostrazione dell’interesse a privilegiare le linee curve rispetto a quelle rette. Per parte sua, Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) divenne celebre e passò ai posteri come scultore e architetto, anche se ai suoi tempi godette anche di considerazione come pittore. Nominato architetto della Basilica di san Pietro nel 1629, tra le sue opere monumentali più degne di nota si ricordano i colonnati della piazza e soprattutto l’enorme baldacchino, sostenuto da colonne tortili di bronzo, collocato sull’altare. Inoltre, lasciò disseminati per le piazze e le strade di Roma altri edifici e numerose sculture. Se intorno alla corte papale proliferavano i grandi artisti e le loro splendide realizzazioni, il modello barocco si materializzò anche in decorazioni più domestiche, da quelle dei palazzi dei cardinali fino alle grandi magioni della borghesia romana. Al di là delle distinzioni tra pubblico e privato, una caratteristica comune all’architettura romana barocca furono sicuramente le sue dimensioni decorative e di ostentazione. Le facciate delle antiche 117
LA RIVOLUZIONE BAROCCA A ROMA
Un artista al servizio della Santa Sede: Bernini e la ristrutturazione di San Pietro Due papi, Urbano VIII e Alessandro VII, fecero del Bernini il proprio uomo di fiducia nell’impresa di trasformare la basilica vaticana nel cuore del Cattolicesimo. Il primo gli affidò l’incarico di progettare lo spazio interno, che l’artista fece diventare una grande scenografia barocca grazie al baldacchino e alla cattedra di san Pietro; il secondo progettò il suo intorno e in particolare la piazza, che Bernini chiuse su due lati da un colonnato carico di simbolismo. Infatti, come lui stesso avrebbe affermato: «La Chiesa di san Pietro, come matrice di tutte le altre, deve avere un portico che mostri che riceve a braccia aperte, con gesto materno, i cattolici per confermarli nella fede, gli eretici per riunirli alla Chiesa e gli infedeli per illuminarli nella vera fede».
IL BALDACCHINO. Eretto tra il 1624 e il 1633, fu un incarico dato da papa Urbano VIII per coprire la tomba dell’apostolo Pietro. Le sue quattro colonne tortili, alte 11 m, esprimono il dinamismo barocco. Il bronzo con cui l’opera è realizzata proviene dal Pantheon.
LA CATTEDRA DI S. PIETRO. Per realizzare il trono in legno attribuito al primo vescovo di Roma, Bernini ideò tutto un apparato scenografico dominato dalla luce che entra attraverso una vetrata dell’abside e al cui centro appare rappresentata la colomba dello Spirito Santo.
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IL GRANDE COLONNATO. Bernini concepì il colonnato come uno spazio visivamente chiuso diretto alla basilica, ma in pratica aperto, capace di accogliere le grandi festività del Cattolicesimo, come la benedizione urbi et orbi. Le statue che lo coronano sono lavori di bottega realizzati a partire dagli schizzi dell’artista. Il progetto originale includeva la costruzione di un terzo colonnato a chiusura della piazza.
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1 OBELISCO. Al centro della
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piazza si innalza un obelisco alto 25 metri di 327 tonnellate di peso, portato dall’Egitto da Caligola per segnare la spina del Circus Vaticanus. Secondo la tradizione, san Pietro fu martirizzato molto vicino a esso.
2 COLONNAT0. Consiste di 88 pilastri e 284 colonne d’ordine dorico di 13 m di altezza e disposte su quattro file. La balaustrata che lo corona conta 140 statue di santi alte 3,20 m, opera dei discepoli del Bernini.
29 m di altezza, il baldacchino compie la funzione di riempire il vuoto che si apre sotto la cupola di Michelangelo grazie al dinamismo ascendente che gli è dato dalle sue colonne a spirale. Al di sotto si trova ora la tomba di san Pietro.
4 CROCE LATINA. Carlo Maderno fu il responsabile della variazione della pianta a croce greca disegnata da Michelangelo in una a croce latina longitudinale. Per farlo, aggiunse tre nuove corsie di modo che, visivamente, la cupola resta spostata verso il fondo.
Disegnate da Michelangelo, sono concepite come un muro avvolgente fatto di superfici piane separate da pilastri, con grande coerenza stilistica. Su di esse si aprono le finestre che illuminano l’interno.
6 ABSIDE. Nell’abside della
7 ABSIDIOLA. Nello spazio
3 BALDACCHINO. Con i suoi
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navata centrale è collocata la cattedra di san Pietro. La presenza in questo punto dell’unica vetrata colorata di tutto il tempio impregna di simbolismo la luce che penetra attraverso essa, che diventa così quasi un riflesso della divinità.
9 CUPOLA. Fu progettata da
! CAPPELLA SISTINA.
Michelangelo e terminata nel 1590 dal suo discepolo Giacomo della Porta. Il diametro interno misura 42,56 m. La base recita in latino: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa e a te darò le chiavi del cielo».
Situata nel palazzo apostolico, deve il suo nome a papa Sisto IV, che la fece costruire nel 1471. Michelangelo ne dipinse la volta tra il 1508 e il 1512 e la parete dell’altare, con la rappresentazione del Giudizio universale, tra il 1536 e il 1541.
# LUCERNARIO. La lanterna che sormonta la cupola misura 17 m. Con questa e la croce che la decora, la cupola si innalza sino a 136,57 m. Su di essa si legge:«Per la gloria di san Pietro, Sisto V, papa, nell’anno 1590 e quinto anno del suo pontificato».
che si apre sotto i quattro pilastri che sostengono la cupola, si trova il deambulatorio che circonda le tre absidi dell’insieme. Le cappelle e gli altari conservano reliquie di santi e i monumenti funerari di diversi papi.
$ LA PIAZZA. Opera del Bernini, è composta da due parti: un primo spazio trapezoidale delimitato dai bracci del colonnato e un secondo di forma ellittica. Le misure sono imponenti: 320 m di profondità e 240 m di diametro.
5 MURA ESTERNE.
8 FONTANE. All’interno della piazza, ai lati dell’obelisco, si trovano due fontane. Quella a nord è un’opera di Carlo Maderno risalente al 1615 e fu collocata qui da Bernini, che fece costruire quella a sud, di Carlo Fontana, per ottenere una simmetria. % FACCIATA. Opera di Carlo Maderno, che la terminò nel 1614, misura 115 m di larghezza e 48 di altezza. Sulla sua balaustrata si trovano 13 statue alte 5,7 m che rappresentano gli apostoli, eccetto Pietro e Giovanni Battista e, al centro, Cristo.
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LA RIVOLUZIONE BAROCCA A ROMA
Borromini: lo zenit dell’architettura religiosa barocca Devoto e profondamente religioso, di carattere scontroso e riservato, Francesco Borromini si disputò per tutta la vita il favore dei papi con l’altro grande architetto dell’epoca, Bernini, e lasciò la propria impronta in diverse chiese tra le più belle di Roma.
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SANT’AGNESE IN AGONE. Il progetto iniziale del 1652, un incarico di Innocenzo X a Girolamo Rainaldi, fu ripreso e modificato dal Borromini tra il 1653 e il 1657. Cupola con affreschi di Ciro Ferri.
LA FACCIATA DI SANT’AGNESE. La Chiesa domina il centro del costato occidentale di Piazza Navona. Borromini aumentò la distanza tra i campanili e ideò la facciata concava per farli risaltare.
SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE. Parte superiore della facciata e campanile della chiesa romana di San Carlo, iniziata dal Borromini tra il 1638 e il 1641 e terminata dopo la sua morte.
SANT’IVO ALLA SAPIENZA. Per il suo valore artistico e per la grande difficoltà tecnica della sua costruzione, questa chiesa è considerata una delle opere maestre dell’architetto.
chiese furono ristrutturate per essere caricate di ornamenti e dotate di suggestioni dinamiche in accordo con il principio che Bernini aveva applicato alla scultura, secondo cui «l’uomo non assomiglia mai a se stesso tanto quanto quand’è in movimento». Fino all’anno 1630 a Roma si sviluppò un Barocco primitivo, la cui figura più importante fu Carlo Maderno (1556-1629), con la sua facciata della Chiesa di santa Susanna (1597-1603) e il completamento della Basilica di san Pietro (1606-1615). Maderno completò il progetto di Michelangelo con tre tronchi di una navata accompagnata da due laterali. Concepì la basilica come uno spazio aperto al pubblico per mezzo di una facciata di pilastri e colonne, con una balconata che sarebbe servita da cornice alle benedizioni urbi et orbi che tanta risonanza avevano nei pellegrinaggi e nei giubilei. Ma il Barocco romano raggiungerà la sua massima espressione durante i decenni compresi tra il 1630 e il 1660 per mano di due grandi architetti, ambedue dotati di una personalità molto particolare. La combinazione di arti diverse permise la creazione di grandi complessi monumentali, con effetti spaventosi finalizzati a impressionare lo spettatore. Il Barocco romano accumulerà sulle facciate, in qualità di elemento costruttivo che metteva a confronto lo spazio urbano con l’interno degli edifici, una cultura quasi enciclopedica.
Bernini e Borromini Gian Lorenzo Bernini fu architetto dei papi Urbano VIII e Alessandro VII. L’architettura, la scultura e la decorazione si unirono nelle sue opere in un’unica sintesi. Educato secondo la pedagogia gesuita, raggiunse in profondità il senso della controriforma, riflettendo mirabilmente le ambizioni del potere della Chiesa. L’esempio più chiaro di questi concetti è il già menzionato baldacchino o tabernacolo di san Pietro (1624-1633), anche se la sua opera più trascendentale come architetto fu sicuramente il progetto dell’interno e della piazza della Basilica di san Pietro (1657-1667), in cui l’architettura assolveva le funzioni di un teatro, per forma e contenuto espressivo. La sua ambizione era, per dirla con le sue stesse parole, che i fedeli, entran-
do nella piazza, si sentissero accolti dalle «braccia materne della Chiesa». Le caratteristiche principali dell’opera del Bernini come scultore furono il movimento esaltato, la ricerca di nuove tessiture precedentemente non accettate come “scultoree” e una profonda naturalezza, tutti elementi già presenti in forma incipiente nelle sue prime opere (David, 1619; Apollo e Dafne, 1621-1622) e pienamente sviluppati nell’Estasi di Santa Teresa (1646), forse la sua opera più conosciuta. Come ritrattista, rese noto il suo grande senso scenografico nelle tombe papali di Urbano VIII e Alessandro VII. Con Francesco Borromini si assisterà alla massima accentuazione, audace e drammatica, delle forme barocche. In Sant’Ivo alla Sapienza (1652), tutta la chiesa è un insieme di curve, controcurve e rette, in pianta e in alzato, un vortice che termina nella cupola con un pinnacolo a forma di spirale, dove si
URBANO VIII. Patrocinò le arti e fu mecenate
di vari artisti, tra i quali va ricordato Bernini. A lui i conservatori incaricati dell’amministrazione e della cura dei monumenti della città commissionarono questa statua del pontefice (Palazzo dei Conservatori, Roma). vede culminare la volontà ascensionale barocca. La Chiesa di san Carlo alle Quattro Fontane (iniziata nel 1634 e terminata nel 1644 per incarico del nuovo ordine spagnolo dei Trinitari), la Chiesa di sant’Agnese (1653) e il palazzo Falconieri di Frascati sono altri esempi dell’inesauribile creatività del Borromini. Tra i suoi discepoli va ricordato Pietro da Cortona (1590-1669), che introdusse importanti innovazioni come la facciata curva verso l’esterno di Santa Maria della Pace (1656), anche se è più conosciuto per la sua pittura e soprattutto per i suoi affreschi, considerati il culmine dell’arte decorativa del barocco pieno. 121
IL PALAZZO DI WILANÓW.
Costruito nel 1677, fu la residenza estiva di re Giovanni III Sobieski. Nella pagina accanto, vassoio d’argento con l’effigie di Giovanni III Sobieski (Castello di Montrésor, Francia).
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IL NORD E IL SACRO IMPERO Nel 1648, i principi tedeschi si resero quasi indipendenti e i poteri dell’imperatore divennero puramente onorifici. A compensazione di questo, gli Asburgo di Vienna diressero il proprio interesse verso il Danubio e verso la centralizzazione dei loro domini patrimoniali. La Svezia attraversò un momento di grandezza, mentre la Polonia seguì un percorso più drammatico, poiché fu vittima di continue mutilazioni territoriali.
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l Sacro impero romano germanico continuò a essere un’unione di regioni molto diverse, il cui legame principale fu sempre la fedeltà alla corona imperiale. Gli imperatori, a ogni modo, non poterono mai controllare e governare in modo assoluto su tutto il territorio. Ciò nonostante, il loro potere fu indiscusso nelle terre d’Austria e dell’antica corona boema (Boemia, Moravia e Slesia), dove l’imperatore governò assistito da un segretario e mediante un consiglio privato. In parte questa fu una conseguenza della guerra dei Trent’anni. Nel 1620, la battaglia della Montagna Bianca aveva messo fine a ogni velleità di autonomia con una sconfitta schiacciante. Una
burocrazia molto efficace amministrava l’Austria e la Boemia con carattere centralizzatore, mentre nei territori restanti il motivo dominante era l’esistenza di diversi gradi di unità. I trattati internazionali che furono firmati a metà del XVII secolo confermarono la divisione politica e religiosa dello spazio germanico. All’interno di ciascuno dei loro Stati i principi tedeschi furono praticamente indipendenti. I privilegi dell’imperatore rimasero ridotti a un sommario ruolo onorifico. Il collegio elettorale passò dagli otto membri del 1648 ai nove nell’anno 1692, quando il duca di Hannover fu promosso al ruolo di elettore. La Dieta divenne perpetua nel 1663, 123
Il regno di Leopoldo I: pugno di ferro di fronte a Turchi e Ungheresi Il secondo figlio di Ferdinando III non era destinato a regnare. Anzi, pare che la sua vocazione fosse la musica. Ma la morte del fratello maggiore Ferdinando nel 1654 e quella del padre nel 1657 lo portarono infine sul trono imperiale. Quando morì nel 1705, era riuscito a riunire nelle proprie mani le corone di Sacro impero, Boemia e Ungheria. Leopoldo I fu un tipico esponente di monarca assolutista. Fondato su un grande esercito, riuscì a imporre un modello centralizzato di Stato e a estendere i domini degli Asburgo lungo il bacino del Danubio a spese di un impero turco che nell’anno 1683 era arrivato a minacciare per la seconda volta la stessa Vienna (la prima volta fu nel 1529). Questo non fu il suo unico nemico, dato che l’imperatore lottò anche contro la Francia in nome di suo figlio Carlo a causa della successione al trono spagnolo, al quale riteneva di aver diritto essendo figlio dell’infanta Maria Anna, figlia di Filippo III. A destra, allegoria del regno di Leopoldo I, di Gerard Hoet (Castello di Ambras, Innsbruck). 1 L’imperatore appare qui come un nuovo Ercole che ottiene l’ammirazione universale per i propri lavori, come la vittoria sulla 2 idra che si trova ai suoi piedi. Leopoldo appare accompagnato dalle 3 virtù: Fede, Speranza, Carità, Giustizia, Costanza e Misura. A sinistra, busto di Leopoldo I, di Gabriel de Grupello (Kunsthistorisches Museum, Vienna).
PALAZZO DI SCHÖNBRUNN (pag. 126-127). Il palazzo,
conosciuto come la Versailles di Vienna, è uno dei più grandi simboli del potere e della ricchezza dell’impero austroungarico. Fu costruito per volere dell’imperatore Leopoldo I, anche se il suo ampliamento si deve all’imperatrice Maria Teresa. 124
ma rimase seriamente limitata nelle proprie capacità dopo che fu divisa in tre collettivi (elettori, principi e città), sottoposti oltretutto a forti querelle interne. La frammentazione della Germania fu un fatto a livello politico, ma si vide anche aggravata dal momento che alcuni principi continuarono a suddividere i propri domini tra i figli come eredi distinti. La guerra dei Trent’anni ebbe come conseguenza uno scotto terribile per l’impero. Gli Stati più importanti, accanto ad Austria e Brandeburgo, Sassonia e Baviera, rimasero praticamente distrutti, cosa che fece sì che la ricostruzione materiale dovesse impiegare molte risorse durante tutta la seconda metà del XVII secolo. La profonda crisi del mondo tedesco arrivò addirittura ad avere un riflesso culturale nella circostanza per cui la maggior parte dei grandi autori tedeschi del periodo, come per esempio Gottfried Leibniz, preferirono utilizzare come lingua della cultura il latino o il francese. In campo artistico, la situazione fu altrettanto drammatica. Ciò nonostante, questo decadimento
culturale non impedì un movimento religioso di rinnovo, espresso alla fine del secolo con il culminare del Pietismo, propugnato dal teologo luterano Philipp Jakob Spener.
L’impero austroungarico Le potenze firmatarie dei Trattati di Westfalia, in particolare Francia e gli Asburgo, fecero da garanti di quest’ordine nel Sacro impero. La Francia però andò perdendo il proprio ascendente a causa della sua politica militare interventista e per il suo atteggiamento ambiguo nei confronti delle confessioni protestanti. Al contrario, l’influenza austriaca aumentava, soprattutto nei territori meridionali dell’impero. Pian piano, Brandeburgo cresceva sempre più, diventando così il contrappeso dell’Austria nei territori del nord. Il fallimento delle ambizioni degli imperatori Ferdinando II e Ferdinando III segnò una svolta importantissima nella storia della dinastia degli Asburgo. Obbligati ad abbandonare l’idea medievale di un solo impero e di una sola cristianità, simboli ormai senza grande valore in Germania,
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dove il titolo di imperatore era ridotto a valore nominale, gli Asburgo si dedicarono completamente ai propri territori austriaci e ai regni di Boemia e d’Ungheria. Il loro obiettivo era creare un vasto impero danubiano, che avrebbe dovuto formare nelle loro intenzioni una delle principali potenze dell’Europa del futuro. Il lungo regno di Leopoldo I d’Asburgo (16581705) fu decisivo in questa direzione. Il sovrano gettò le basi di un esercito permanente a partire dal 1680 mediante l’istituzione di un sistema di imposte indirette riscosse regolarmente e sostenendo un’amministrazione imperiale sempre più centralizzata. Un altro dei suoi obiettivi fu quello di portare in Ungheria, retta secondo il principio della monarchia elettiva, lo stesso sistema di governo imposto in Boemia. Si trattava di trasformare il regno ungherese in ereditario, confessionalmente cattolico e culturalmente germanico. Le resistenze vennero sollevate da molti fronti, non solo da parte dei sudditi ungheresi, ma anche perché diversi territori del regno storico d’Ungheria erano nelle
mani dell’impero ottomano. Bisogna anche ricordare che durante la prima metà del XVII secolo, il Protestantesimo aveva fatto progressi in Ungheria e che i tentativi del territorio di acquisire autonomia di fronte all’impero degli Asburgo erano stati costanti. Le manovre per far diventare sovrano d’Ungheria il principe di Transilvania, un territorio ungherese sottomesso al protettorato turco, andavano verso questo obiettivo. Nel 1670 scoppiò un altro complotto contro gli Austriaci, che fu severamente represso. Infine, nel 1683, dopo la vittoria di Leopoldo I contro i Turchi nella battaglia di Vienna, l’imperatore assunse il controllo a oltranza dell’Ungheria. Oltre a portare avanti una repressione sanguinaria mediante l’istituzione di tribunali straordinari, l’imperatore riuscì a far sì che nell’anno 1687 una Dieta riunitasi a Presburgo riconoscesse il carattere ereditario della corona d’Ungheria in seno alla casa d’Austria. L’imperatore Leopoldo I, però, dovette accettare il mantenimento delle leggi tradizionali e del sistema parlamentare del regno.
GLI ASBURGO NEL SACRO IMPERO 1576-1612
Rodolfo II 1612-1619
Mattia I 1619-1637
Ferdinando II 1637-1657
Ferdinando III 1658-1705
Leopoldo I 1705-1711
Giuseppe I 1711-1740
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
manico. Le sovvenzioni economiche e i tentativi di corruzione verso i principi tedeschi da parte della Francia furono sempre all’ordine del giorno e finirono per indebolire gran parte della sovranità dell’imperatore austriaco sul territorio imperiale. Anche l’autorità morale di Leopoldo I fu messa in dubbio dai diplomatici inviati da Versailles a Vienna, dai quali era sottovalutato costantemente: essi informarono la corte francese che l’imperatore era «un orologio che aveva sempre bisogno della carica». Luigi XIV non riuscì mai a superare il fallimento, nell’anno 1657, dell’iniziativa del cardinale Mazzarino che voleva ottenere la corona imperiale per il monarca francese. Come ripercussione immediata di questo fiasco politico, i meccanismi economici e diplomatici della Francia ricorsero a ogni tipo di intrigo per ottenere la firma del cosiddetto patto del Reno tra i principi elettori di Magonza e di Colonia, il langravio dell’Assia e addirittura il re di Svezia in qualità di signore di Brema. Anche Luigi XIV, sotto il pomposo titolo che lo definiva «membro della pace», fece a sua volta parte di quest’alleanza che minacciava l’autorità dell’imperatore. Queste sempiterne tensioni tra l’impero degli Asburgo e il potere del monarca francese originarono una serie di conflitti all’interno dei quali Leopoldo I, tramite un’abile politica di alleanze, fu in grado di fronteggiare la predominanza politica della Francia.
Polonia, baluardo cattolico IL PRIMO DEI VASA.
Sigismondo III di Polonia fu il primo re polacco della dinastia Vasa, originaria della Svezia. Ritratto del monarca realizzato da Martin Kober (Castello di Ambras, Innsbruck).
COLONNA DI SIGISMONDO III (pag. 129). Fu eretta nella
piazza del castello di Varsavia nel 1644 da Ladislao IV in memoria di suo padre, che spostò la capitale polacca da Cracovia a Varsavia (Muzeum Historyczne Miasta Warzawy, Varsavia). 128
Nonostante tutte le tensioni politiche e territoriali, l’impero degli Asburgo fu capace di affrontare le due terribili sfide che minacciarono il territorio europeo: la grande peste del 1679 e l’assedio turco dell’anno 1683. Nel 1699, l’Ungheria storica era pienamente integrata nell’impero. Grazie ai trionfi del principe Eugenio di Savoia di fronte ai Turchi, gli Ottomani cedettero i territori ungheresi che erano rimasti in loro potere fin dall’anno 1526, oltre al principato di Transilvania. Anche se agli inizi del XVIII secolo scoppiarono nuove rivolte ungheresi dirette contro gli imperatori austriaci, non possiamo dimenticare che nell’equilibrio dei regni europei del XVII secolo, Leopoldo I fu il monarca che potè portare le più grandi conquiste territoriali alla corona, superando addirittura il saldo finale delle conquiste che riuscì a ottenere il potente Luigi XIV di Francia. Di certo, nemmeno Leopoldo I si potè sottrarre all’influenza francese. Il suo regno procedette in parallelo con quello del Re Sole, con cui ebbe contenziosi indiretti in terra d’impero ger-
Da quando si era unito alla Lituania nel 1569, il regno polacco era il più grande d’Europa. Si estendeva dal Mar Baltico fino al Mar Nero, dal fiume Dnepr fino quasi al fiume Oder. La fusione dei due regni fu un fedele riflesso della struttura sociale ed economica di questa vastissima zona di grandi latifondi controllati dai casati nobili. Gli aristocratici cercarono nell’unione monarchica la protezione dagli attacchi esterni, ma accettarono solo un dominio formale e senza eccessivi tributi economici. Questa “Repubblica regia” fu legata alla famiglia degli Jagelloni fino all’anno 1572. In quello successivo si istituì la pratica di eleggere come re personaggi vari, che fossero dipendenti dagli aristocratici elettori e che, con la loro neutralità, accontentassero i differenti clan. Questo sistema risultò molto efficace poiché impedì che si riproducessero in Polonia le guerre civili endemiche che avevano distrutto l’Europa orientale durante la seconda metà del XVI secolo. Sigismondo III (1587-1632) fu il primo re polacco della dinastia Vasa. Seguendo il procedimento abituale, fu eletto monarca sebbene fosse anche erede del trono di Svezia. Solo il suo rovesciamento a Stoccolma nel 1594 (e nuovamente
nel 1599) impedì la formazione di un regno che avrebbe assunto dimensioni esorbitanti per l’epoca. In Polonia, Sigismondo fece fronte alla tradizionale mancanza di unione dell’aristocrazia. Con un gesto di grande importanza per l’affermazione della propria sovranità, trasferì la capitale del Paese da Cracovia a Varsavia. Passò alla corona polacca i propri possedimenti feudali in Estonia e cercò di consolidare l’autorità reale sull’importante zona della Prussia. Per quanto riguarda le relazioni estere, Sigismondo III Vasa praticò una politica di espansione verso est, ma soprattutto di avvicinamento diplomatico all’impero. I suoi legami familiari con gli Asburgo si rinforzarono ulteriormente grazie al simile orientamento delle loro politiche religiose. Come il casato d’Austria, il monarca polacco fu uno dei più attivi difensori della controriforma cattolica. Il Cattolicesimo polacco si basò sulla presenza un po’ ovunque di collegi e scuole gesuitiche, che avevano l’effettivo monopolio dell’istruzione. Sigismondo considerò che per un regno dalle frontiere tanto estese e senza di-
fese naturali, l’unione religiosa era vitale per aumentare la coesione tra i suoi sudditi. A Sigismondo III succedette Ladislao IV (16321648). Entrambi i monarchi vissero solo la fine dell’età dell’oro della Polonia, che si era fondata sulle ricchezze generate dall’esportazione verso l’Occidente di prodotti come cereali, legno, lino e canapa. Come suo padre, Ladislao IV fu un re eletto dall’oligarchia nobiliare che controllava la Polonia. Il fatto che la monarchia fosse elettiva rende bene l’idea dello scarso potere del monarca, che non disponeva nemmeno di un esercito proprio. Inoltre, la Dieta o parlamento aristocratico polacco manteneva il principio della libertà di veto, che faceva sì che il dissenso di uno solo dei suoi membri provocasse la sospensione immediata di qualsiasi accordo. Ladislao IV Vasa ebbe un regno piuttosto accidentato, soprattutto a causa del fatto che occupò diversi troni: quello svedese ufficialmente fino al 1648, anche se privo di potestà pratica; quello di zar di tutte le Russie tra il 1610 e il 1613. Questi vincoli lo spinsero a intraprendere azioni militari su en-
MONARCHI DI POLONIA 1587-1632
Sigismondo III Vasa 1632-1648
Ladislao IV Vasa 1648-1668
Giovanni II Casimiro 1669-1673
Michele Korybut Wisniowiecki 1674-1696
Giovanni III Sobieski 1697-1733
Augusto II 1733-1736
Stanislao I Leszczynski
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
Giovanni III Sobieski, re di Polonia e monarca battagliero Più che Leopoldo I, l’eroe che scongiurò la minaccia turca sull’Europa fu il re polacco Giovanni III Sobieski, che nel 1683 sconfisse il grande esercito del visir Kara Mustafà che si apprestava a mettere Vienna sotto assedio. Nonostante questo successo, nel suo regno era ostacolato dalla crisi economica e da una nobiltà poco disposta a rinunciare ai propri privilegi. Figlio del nobile Giacomo Sobieski, Giovanni si fece notare per le sue doti adatte al comando militare. Passò tutta la gioventù sui campi di battaglia, dove sconfisse Svedesi, Tartari e Cosacchi. Questi successi gli valsero nel 1665 il comando supremo dell’esercito polacco. Aveva allora quarantun anni. Nel 1673, la sua vittoria a Chocim di fronte a un esercito turco molto superiore in numero fece di lui un eroe nazionale, cosicché un anno dopo, alla morte di Michele Korybut Wisniowiecki, fu eletto dalla Dieta di Varsavia a occupare il trono di Polonia. Non per questo smise di partecipare alle campagne militari. La più famosa di tutte fu quella per la difesa di Vienna: l’11e 12 settembre del 1683, Polacchi, Bavaresi e Austriaci sconfissero sotto la sua direzione i Turchi nella battaglia di Kahlenberg. Nell’immagine, ritratto di Giovanni III Sobieski realizzato da Jan Tretko (Museo della Biblioteca Jagellonica, Cracovia).
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trambi territori, specialmente le campagne contro la Russia che terminarono con il Trattato di Viasna nel 1634. Nel 1635, il Trattato di Stummdorf stabilì una lunga tregua tra Polonia e Svezia. Nonostante tutto, in generale il regno di Ladislao IV fu caratterizzato da lunghi periodi di pace, malgrado le brame di prestigio europeo del monarca. In questo senso, dopo aver visto crollare le proprie aspirazioni ai troni di Svezia e di Russia, Ladislao IV portò avanti un importante lavoro diplomatico tra le potenze che erano coinvolte nella guerra dei Trent’anni. Cercò di farsi mediatore e a questo scopo inviò continuamente delegati polacchi ai diversi leader della guerra, incluso il comandante Albrecht von Wallenstein. A dispetto del suo impegno, tutti i suoi propositi fallirono e la Polonia non riuscì ad avere alcun ruolo nelle negoziazioni di Westfalia. In campo religioso, e a differenza di suo padre, Ladislao IV si mostrò di parte verso le iniziative ecumeniche tra protestanti, ortodossi e cattolici. Ebbe anche preoccupazioni culturali notevoli, come evidenziò la sua abbondante corrispondenza con personaggi come Galilei o Hugo de Groot. Su questo fronte di occidentalizzazione culturale del regno, il monarca dovette tuttavia lottare contro la potente aristocrazia che, così come si era opposta alle guerre di espansione del monarca, si rifiutò di accettare l’apertura di teatri o la programmazione di opere italiane. Il suo atteggiamento marcatamente xenofobo arrivò all’estremo di ostacolare con nuovi diritti di dogana, approvati dal parlamento aristocratico, l’ingresso delle opere di pittori consacrati come fu per esempio Rubens.
Il crollo del regno Se con Ladislao IV la monarchia riuscì a mantenere un certo prestigio intorno alla figura del re, il regno del suo fratellastro e successore, Giovanni II Casimiro Vasa (1648-1668), ex gesuita e cardinale, portò a un autentico crollo. Anche se nei conflitti precedenti la Polonia era riuscita a tenere le redini del gioco, negli anni a venire il regno andò perdendo il proprio ruolo di protagonista in maniera irreversibile. Nel 1648, i cosacchi di Zaporozhye (le “terre selvagge”), della regione del medio Dnepr, si sollevarono e, grazie alla protezione dello zar di Russia Alessio I, riuscirono a espellere i Polacchi dalla zona. Il capo cosacco Jmelnitski ottenne numerosi appoggi interni alla propria opposizione al monarca: i contadini pensavano che il ribelle li avrebbe liberati dalla servitù, la Chiesa ortodossa era stata tentata dalle promesse di un dominio sul Cattolicesimo e anche la nobiltà luterana si unì a questa alleanza contro il monarca gesuita. Infine, la gravità della crisi e il malgoverno interno spinsero Russia e
Svezia a scagliarsi contro la Polonia. Gli eserciti dello zar Alessio entrarono rapidamente in Lituania e in Ucraina. Il monarca svedese Carlo X Gustavo invase il nord della Polonia. Per far fronte a questi attacchi, Giovanni II Casimiro cercò l’alleanza con l’elettore di Brandeburgo. In cambio del suo appoggio, il monarca polacco rinunciò a tutti i diritti storici sul Ducato di Prussia. Tutto invano, poiché la Polonia dovette in ogni caso cedere alla Svezia le regioni della Livonia interna, mentre lo zar Alessio otteneva l’annessione di una parte della Russia Bianca e la totalità dei territori ucraini situati a est del fiume Dnepr. Queste invasioni tra il 1655 e il 1660 sono passate alla storia nazionale polacca sotto il nome di «Diluvio universale svedese». Sicuramente la situazione era drammatica e il regno non tornò più a rivestire un ruolo di prim’ordine nella regione. Il monarca Giovanni II Casimiro cercò di riformare le istituzioni con la creazione di norme impositive permanenti e con il controllo del sistema ereditario del regno. In questo campo, la soppressione del diritto di veto della nobiltà feudale
(liberum veto) di fronte alla proposta del successore al trono, accordato dalla Dieta del 1652, condusse a un sollevamento dell’aristocrazia. Incapace di opporsi alla situazione di caos politico ed economico che si era creata, il re abbandonò i propri progetti e abdicò nel 1668. Giovanni III Sobieski fu eletto re nel 1674. Regnò fino alla propria morte, nel 1696. Nonostante la sua gloriosa politica estera di fronte all’impeto degli eserciti turchi, non poté porre rimedio all’ormai cronico malgoverno a livello interno. La persistenza del diritto di veto nelle mani della nobiltà condannava la politica del regno a uno stato di permanente impotenza e anarchia. Dopo le invasioni del Diluvio universale svedese, la ristretta borghesia urbana e commerciale languiva, mentre si ingigantiva la condizione di servitù dei contadini sotto alle signorie. La preponderanza politica ed economica della nobiltà ebbe indubbiamente un corrispondente sociale. Una minoranza di magnati potenti, di un certo livello culturale, controllava la maggior parte del territorio insieme alla piccola nobiltà (la nota szlachta),
IL SECONDO ASSEDIO DI VIENNA. La più famosa
delle imprese militari di Giovanni III Sobieski fu senza dubbio la liberazione di Vienna dalla minaccia degli Ottomani, che l’avevano assediata ed erano sul punto di far cadere la sua resistenza. La battaglia di Vienna o di Kahlenberg (12 settembre 1683), che finì con la vittoria polacca, segnò la fine della minaccia ottomana sul territorio europeo. Sopra, la battaglia in un olio anonimo (Heeresgeschichtliches Museum, Vienna).
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
AUGUSTO II DI POLONIA.
Soprannominato il Forte, cercò di creare una dinastia reale mediante la soppressione della monarchia elettiva; ma la Grande guerra del Nord mise fine al suo progetto e lasciò la Polonia sottomessa al potere russo, che avrebbe troncato la sua indipendenza come nazione dopo il regno di Stanislao II Poniatowski (1764-1795).
molto numerosa, ma di carattere belligerante e turbolento. L’unità interna si vide anche ostacolata dall’eterogeneità confessionale del regno, in maggioranza cattolico, ma con forti minoranze religiose radicali, regionalmente molto localizzate: gli ortodossi erano situati a est, i luterani stavano a ovest e un’abbondante popolazione giudea abitava invece nelle città. Nel momento in cui Augusto II, elettore di Sassonia, succedette a Giovanni Sobieski nell’anno 1697, le più importanti carte del gioco di equilibri territoriali erano già state distribuite. La Polonia entrò in pieno nella lunga Grande guerra del Nord nel 1699 e ne uscì mortalmente debilitata. Anche se Augusto II morì come re di Polonia nel 1733, già dal 1717 il suo regno non era niente più che un semplice protettorato della grande Russia dello zar Pietro I il Grande.
La monarchia danese Per gran parte del XVII secolo, il regno di Danimarca (che comprendeva anche l’odierna Norvegia, a quei tempi zona molto povera e praticamente 132
spopolata) fu il più grande nemico della monarchia svedese. Dopo la guerra dei Trent’anni, la Danimarca riuscì a mantenere le sue posizioni territoriali favorevoli di fronte al potente regno scandinavo. I possedimenti dei re danesi comprendevano la Penisola dello Jutland e si estendevano verso sud per includere, come proprietà personale della famiglia Oldenburg, il ducato germanico di Holstein, che faceva parte del Sacro impero romano germanico. Il casato degli Oldenburg poteva contare anche su numerose isole situate nella zona strategica degli stretti e fino alle sponde più orientali del Baltico. Con il dominio della zona più australe della Svezia (la regione della Scania) e il controllo del Sund (lo stretto di Oresund, che separa la Danimarca dalla Svezia), la monarchia danese aveva nelle proprie mani il passaggio obbligato di tutte le navi che entravano nel Baltico. A ogni modo, più che questa vitale situazione geostrategica – che provocò frequenti scontri con i regni vicini – per conoscere la storia danese del periodo è necessario concentrarsi sulla problematica delle tensioni tra il re e la nobiltà terriera. Dal punto di vista confessionale, la Danimarca si posizionava all’interno del Luteranesimo, cosa che finì per proiettare il regno verso il ginepraio della guerra religiosa dei Trent’anni scaturita nel centro d’Europa. Come accadde per le restanti monarchie scandinave, in Danimarca fu fondamentale ottenere il rafforzamento del potere del re di fronte alla nobiltà, dato che se così non fosse stato i regni si sarebbero visti esposti a una situazione di perpetua anarchia. Alcuni clan della stessa aristocrazia si impegnarono a superare queste restrizioni nobiliari. Su questa linea di condotta si fece notare la dinastia degli Oldenburg, che occupò il trono di Danimarca durante questi anni. Cristiano IV, che regnò per sessant’anni tra il 1588 e il 1648, fu un monarca ambizioso e deciso, paradigmatico di questa linea di rafforzamento del potere reale, ed è considerato come uno degli eroi militari della storia danese. Nel campo della politica interna progredì nel consolidamento dei privilegi reali di fronte alla nobiltà, rafforzò l’organizzazione difensiva del regno e promosse alcune riforme economiche importanti per potenziare l’incipiente espansione coloniale danese verso le Indie orientali. Allo stesso tempo, cercò di ottenere l’egemonia militare nella zona di fronte al potente nemico svedese. Nel 1611 intraprese una guerra contro la Svezia occupando il porto svedese di Kalmar – da cui il nome di guerra di Kalmar – e nel 1613 ottenne un trattato di pace favorevole agli interessi danesi – la Pace di Knäred – che gli permise di ottenere un indennizzo di un milione di riksdaler (la mo-
neta svedese dell’epoca) per danni di guerra. Le sue aspirazioni egemoniche lo portarono anche a intervenire nello scenario tedesco della guerra dei Trent’anni a partire dal 1626. Si dichiarò quindi difensore del partito protestante, anche se il suo vero scopo finale era quello di ottenere il controllo militare e commerciale degli estuari delle principali vie fluviali tedesche. Ma le truppe danesi poco poterono per far fronte ai potenti contingenti della Lega Cattolica del conte di Tilly e dell’esercito imperiale del leader Albrecht von Wallenstein. Nel corso di tre campagne e dopo le sconfitte danesi subite a Dessau e Lutter, tra i mesi di aprile e agosto del 1626 gli eserciti imperiali si lanciarono sulla Danimarca. La Pace di Lubecca, firmata nel 1629, mise definitivamente fine alle aspirazioni danesi di intervenire nelle questioni tedesche. Nonostante tutto, fu infine possibile evitare la perdita dei territori della corona danese. Nuovamente, nello scenario settentrionale, tra il 1643 e il 1645 si scatenò un’altra guerra tra Danimarca e Svezia, in quest’occasione iniziata a
causa dell’invasione svedese della Penisola dello Jutland, che nel 1644 finì nelle mani degli Svedesi. Si trattò di una guerra di logoramento, in cui la sorte favoriva ora l’una, ora l’altra fazione. Alla fine, nell’agosto del 1645 e con la mediazione di Francia e Province Unite, le due potenze firmarono il secondo trattato di Brömsebro, che mise fine al conflitto con rinunce territoriali da parte di entrambi i contendenti. L’altro grande attore danese della politica della metà del XVII secolo fu il re Federico III, che ascese al trono nel 1648 e regnò fino al 1670. Dopo poco più di un decennio di regno, nel 1660, riuscì a prendere il controllo di quel potere che per secoli era stato nelle mani dell’aristocrazia feudale e della sua Dieta. Cercò l’appoggio della fiorente borghesia urbana e portò avanti una politica di creazione di nuovi titoli nobiliari la cui validità dipendeva strettamente dalla fedeltà al monarca. Così, nel 1665, il parlamento danese votò una legge che riconosceva il carattere ereditario della corona e che lasciava nelle mani del monarca un buon numero dei principali privilegi politici, legislativi e finanziari.
FREDERIKSBORG.
Il palazzo-castello di Frederiksborg fu costruito tra il 1601 e il 1620 per ordine di Cristiano IV. Bella dimostrazione dello stile rinascimentale danese, è il palazzo più grande della Scandinavia e doveva rappresentare il potere della monarchia danese. Fu ricostruito dopo un incendio nel 1839.
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
Gustavo II Adolfo di Svezia, il Leone del Nord, e la sua tragica fine Fedele al suo soprannome, il Leone del Nord morì in prima linea sul campo di battaglia, alimentando una leggenda che era andata crescendo durante quattro guerre internazionali nelle quali dimostrò, oltre a un grande valore, eccellenti doti di stratega. La sua morte sui campi di Lützen macchiò la vittoria degli Svedesi, ma l’opera del monarca perdurò fino agli albori del secolo seguente. Nessuno sa dove sarebbe arrivata la Svezia se nella sua storia non fosse intervenuta la morte del re, che a 17 anni, nel 1611, aveva ereditato un Paese immerso in una profonda crisi politica ed economica e l’aveva lasciato trasformato in una prima potenza mondiale. Sembra che fu proprio questa audacia personale che, portata sul campo di battaglia, gli costò la vita: durante una delle ultime lotte, in piena battaglia di Lützen, vide che una delle sue brigate di fanteria era in difficoltà; diede ordine di aiutarla e, prendendo l’iniziativa, caricò contro il nemico nonostante la misera scorta personale. Fu il primo a ricevere una palla di moschetto, nel braccio sinistro; un’altra ferì il suo cavallo, che lo portò fino alle file nemiche dove un cavaliere imperiale gli sparò a una spalla. Disarcionato dal suo destriero e gravemente ferito, fu finito da un altro colpo sparato alla testa. A sinistra, monumento a Gustavo II Adolfo di Svezia nella città estone di Tartu; a destra, La battaglia di Lützen e la morte del re, in un olio di Carl Wahlbom (Museo Nazionale, Stoccolma).
Le guerre contro la Svezia si succedettero tra il 1657-1658 e il 1658-1660, con il breve intermezzo favorito dal Trattato di Roskilde del 1658. Il Trattato di Copenhagen del 1660, che avvalorò gli accordi firmati a Roskilde, permise a Federico III di approfittare della fama che aveva ottenuto sul campo di battaglia e di avanzare nelle sue aspirazioni politiche. Il figlio di Federico III, Cristiano V, fu proclamato principe erede nel 1665, a soli nove anni. Regnò tra il 1670 e il 1699 e andò più a fondo sulla strada della monarchia assolutista iniziata da suo padre, mentre patrocinava riforme economiche sulla scia delle dottrine mercantilistiche tanto in voga nell’Europa occidentale dell’epoca. Per contrastare e limitare il potere della nobiltà, istituì l’uso di affidare gli incarichi pubblici a plebei a cui concedeva i titoli di barone e conte. In campo militare, fu implicato in una nuova guerra contro la Svezia, tra il 1675 e il 1679, mentre a livello interno si fece notare per il suo impegno per l’unificazione legislativa e per l’introduzione di un catasto territoriale nell’anno 1688. 134
Il successore di Cristiano V, suo figlio Federico IV, fu sovrano tra gli anni 1699 e il 1730 e si vide implicato nella Grande guerra del Nord, oltre a dover gestire le alterne vicissitudini dei perpetui conflitti con la vicina Svezia. In politica interna, portò avanti l’occidentalizzazione del regno utilizzando misure quali l’introduzione del calendario gregoriano e la soppressione delle formule più lesive di servitù contadina che ancora fin dall’epoca medievale.
Svezia: l’egemonia sul Baltico Dopo la firma dei trattati della pace di Westfalia, la Svezia divenne la potenza egemonica della regione del Baltico. Dal punto di vista territoriale, acquisì Brema, Verden e Wismar nel Sacro impero romano. Si impossessò anche della Pomerania e verso la metà del XVII secolo la monarchia svedese controllava anche Finlandia, Ingria, Estonia e Lettonia. Il Mar Baltico era diventato il “lago svedese”. Sembravano compiersi i progetti accarezzati dalla dinastia regnante dei Vasa svedesi sin dalla loro ascesa al trono nel 1525.
La Svezia si delineò come un grande regno, anche se con poche risorse naturali e una popolazione molto esigua. Per questo motivo, il controllo delle rotte marittime e commerciali sul Mar Baltico fu una risorsa geostrategica molto importante. Il suo rilievo era internazionale, dato che l’Inghilterra e le Province Unite dipendevano per mantenere le proprie truppe militari da cereali e altri prodotti portati dall’Europa orientale attraverso gli scali del Mar Baltico. Alla fine del XVI secolo, la Svezia e la Polonia erano due regni integrati sotto la dinastia Vasa. Nel 1592, Sigismondo Vasa riunì nuovamente, anche se in modo effimero, la Polonia (come Sigismondo III) e la Svezia (come Sigismondo I). Nel regno scandinavo rimase suo zio Carlo come reggente. L’intenzione del re Sigismondo era quella di approfondire l’unione dei due regni e, per quanto possibile, restaurare il Cattolicesimo come credo maggioritario in questi territori del nordest dell’Europa. Ma l’opposizione della nobiltà svedese e protestante fu feroce. Argomentò questioni di carattere dottrinale, ma in realtà quello
che si voleva preservare sul territorio svedese era un ordine sociale e politico basato sul predominio dell’aristocrazia sul monarca. Il tentativo del re polacco di invadere la Svezia fallì e nel 1599 la Dieta di Stoccolma lo depose, dando inizio a un interregno che si sarebbe protratto fino al 1604. Carlo IX, zio di Sigismondo, regnò in Svezia tra il 1604 e il 1611. Il suo problema principale fu che dovette far fronte alla politica aggressiva della Polonia. Tuttavia anche in queste difficili condizioni, il clima bellico non gli impedì un’opera di governo in cui spiccò il potenziamento delle enclave portuali degli stretti baltici. Questa manovra sollecitò la risposta aggressiva della Danimarca, che impose le proprie condizioni alla Svezia nel trattato di Knäred del 1613. Questo accadde già sotto il regno di Gustavo II Adolfo e rappresentò l’ultima vittoria danese sulla Svezia. Senza dubbio Gustavo II Adolfo di Svezia, che regnò dal 1611 al 1622 ed era conosciuto come il Leone del Nord, fu il monarca più prestigioso della Svezia del XVII secolo. Alla sua morte, tutta l’area che circonda il Mar Baltico era sottoposta al
RE DI SVEZIA NEL SECOLO XVII 1604-1611
Carlo IX 1611-1632
Gustavo II Adolfo 1632-1654
Cristina di Svezia 1654-1660
Carlo X Gustavo 1660-1697
Carlo XI 1697-1718
Carlo XII 1718-1720
Ulrica Eleonora
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
Cristina di Svezia, la regina illuminata, protettrice delle arti e della letteratura La morte di Gustavo II Adolfo nella battaglia di Lützen lasciò la corona svedese nelle mani di sua figlia, allora una bambina di sei anni. Compiuta la maggiore età nel 1644, Cristina dimostrò subito un grande interesse per le arti, le scienze e la letteratura piuttosto che per la politica e per la guerra. Il breve regno di Cristina (10 anni, se si conta dalla data in cui raggiunse la maggiore età sino alla sua abdicazione nel 1654) significò per la Svezia una rinascita culturale. Il suo motto era Columna regni sapientia («La conoscenza è il pilastro del regno») e per metterlo in pratica non esitò a spendere grandi somme per acquistare opere d’arte, anche a rischio di debilitare ulteriormente le già di per sé precarie finanze svedesi, esaurite dagli anni di guerra e dalle necessità militari. Cosa che la avvicina all’altro grande collezionista che fu Filippo IV, a cui nel 1654, poco dopo la sua abdicazione, regalò il dittico Adamo ed Eva di Albrecht Dürer. Gli interessi culturali della regina non si riducevano però all’arte, ma si estendevano anche alla filosofia e alla scienza, per cui nel 1649 invitò a corte René Descartes, senza dubbio il nome più importante nell’ampio numero di eruditi d’ogni tipo che chiamò sia a Stoccolma sia nella città universitaria di Uppsala. A Roma, dove si stabilì nel 1655, Cristina continuò a collezionare arte, soprattutto statue antiche, che si possono oggi vedere al Museo del Prado di Madrid. Nell’immagine, la corona di Cristina di Svezia (Uhrenmuseum, Wuppertal).
CRISTINA DI SVEZIA E LA SUA CORTE (pag. 137). Olio del pittore
francese Pierre Louis Dumesnil (1698-1781), in cui il filosofo René Descartes appare in piedi di fronte alla regina Cristina di Svezia (Musée National du Château, Versailles). Cartesio fu invitato dalla regina nell’ottobre del 1649, ma le lezioni private di filosofia e di religione non poterono iniziare fino a dicembre, e molto presto al mattino, nella gelida residenza reale. A quanto pare, come conseguenza, Descartes contrasse una polmonite e morì nel febbraio del 1650. 136
controllo della Svezia e un regno fino ad allora del tutto periferico si era trasformato in una grande potenza militare europea. Anche se il suo periodo di regno era cominciato con una pace disonorevole di fronte alla Danimarca, il monarca si prese subito la rivincita con la creazione di un esercito potente basato su un cambio di strategia che privilegiava la fanteria leggera appoggiata dall’artiglieria. Questo fu lo strumento con cui il fervente luterano Gustavo II Adolfo cercò di creare un impero baltico e protestante nell’Europa settentrionale. Prima di intervenire nel conflitto tedesco, il re svedese firmò trattati con la Russia e con la Polonia, rispettivamente nel 1617 e nel 1629. Così, nel 1621, mentre i Polacchi erano immersi in una guerra contro l’impero ottomano, Gustavo II Adolfo occupò il porto di Riga, una città che si era trasformata in uno dei più grandi porti mercantili internazionali. Solo Danzica godeva di maggior rilievo nell’Europa orientale. All’indubitabile successo economico dell’operazione, si accompagnò il successo simbolico. Di fronte alla sconfitta
protestante nella guerra di Boemia, la conquista svedese rappresentò una vittoria luterana a danno della Polonia cattolica. Con questa manovra, il re svedese volle guadagnare l’appoggio degli Olandesi e degli Stati del nord della Germania, mentre sconfiggeva la Danimarca come potenza paladina del Luteranesimo. Nei suoi progetti per un impero di segno confessionale, la Svezia potè contare molto presto sull’appoggio francese. Soprattutto a partire dal 1630, quando il regno nordico entrò in pieno nel vortice della guerra dei Trent’anni. Nel 1631, la Francia firmò con la Svezia il trattato di Bärwald, che concedeva al regno scandinavo sussidi economici per una campagna di cinque anni in Germania. In cambio, i diplomatici francesi invitarono la Svezia al rispetto dell’integrità territoriale della Baviera e del Cattolicesimo nelle regioni che andavano occupando. Le vittorie del re svedese furono rapide e fulminee. Le truppe svedesi percorsero senza incontrare resistenza tutto il bacino del fiume Reno. Sembravano inarrestabili. I loro stessi alleati francesi si allarmarono di fronte al mancato rispetto degli accordi di Bärwald, dato che ci furono dei combattimenti anche in Baviera e la città di Monaco fu occupata. Ma nel marzo del 1632, l’esercito imperiale si poté ricostituire quando il leader Wallenstein assunse nuovamente il comando. Nella battaglia di Lützen del novembre 1632, gli Svedesi vinsero sulle truppe cattoliche, ma il re Gustavo II Adolfo morì in combattimento. Sua figlia Cristina, che era rimasta in Svezia sotto la tutela del cancelliere Axel Oxenstierna, diventò erede della corona. La principessa aveva a quel tempo sei anni, motivo per cui il cancelliere assunse la reggenza del regno. Dotata di intelligenza e memoria notevoli, ricevette un’educazione raffinata senza distinzioni fatte per il suo sesso e arrivò a essere conosciuta come la Minerva del Nord per la sua produzione letteraria. Nel 1644, quando salì personalmente al trono, prese le distanze dal cancelliere Oxenstierna, cosa di cui approfittarono gli ambiziosi nobili svedesi. Questi, fin dal 1638, avevano iniziato a mettere le mani su terre appartenenti al patrimonio reale, impoverito oltretutto anche dalla concessione di vasti latifondi ai generali svedesi che tornavano in patria dopo le grandi campagne all’estero. Anche se la sconfitta subita nella prima battaglia di Nördlingen nel 1634 aveva comportato per la Svezia la perdita di territori tedeschi, l’alleanza francese permise al regno nordico di ottenere diversi vantaggi finali alla firma dei trattati della Pace di Westfalia del 1648 (quasi tutta la Pomerania, con l’importante porto di Stettino alla foce del fiume Oder, come anche il ducato di Brema, che controllava il traffico dei fiumi Weser ed Elba).
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IL FIASCO DEL VASA, LA GRANDE NAVE REALE SVEDESE
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no dei sogni del re Gustavo II Adolfo era quello di creare una flotta che permettesse alla Svezia di controllare il Baltico. Firmò perciò nel 1625 un contratto con l’olandese Henrik Hybertsson per costruire quattro navi, tra cui quella che avrebbe dovuto essere lo stendardo della marina svedese. Il re specificò che voleva il galeone più grande, moderno e con la maggior potenza di fuoco allora conosciuta. Si sarebbe chiamato Vasa, dal nome della dinastia reale svedese. I lavori ebbero inizio nei cantieri navali di Stoccolma nella primavera del 1626 e vi parteciparono più di quattrocento uomini. Due anni più tardi l’imponente galeone, di 69 m di lunghezza, 52 di altezza dalla chiglia fino alla punta dell’albero maestro e con una capacità di carico di 1210 tonnellate, era pronto. Con il danese Söfring Hansson come capitano e un centinaio di uomini a bordo, fu varato il 10 agosto del 1628. Uscendo dal porto sparò alcuni colpi a salve. Accadde l’impensabile: una raffica di vento non particolarmente forte fece sì che il Vasa cominciasse a inclinarsi pericolosamente. Poco dopo stava già colando a picco con le vele spiegate sotto gli occhi di tutta Stoccolma. Quello che avrebbe dovuto essere l’orgoglio della Svezia si trasformò in un motivo di vergogna. Miracolosamente, il Vasa si conservò intatto sotto le acque e potè essere riportato a galla nel 1961. Oggi è il Museo Vasa di Stoccolma.
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LO SCUDO REALE.
La poppa del Vasa era tutta una rappresentazione del potere della casa reale svedese, il cui emblema è sostenuto da due leoni. Sulla fascia superiore appare il re in persona fiancheggiato da due grifoni che lo incoronano. Il tutto era dipinto a colori vivaci. 138
SCAFO. Secondo i calcoli moderni, se lo scafo del Vasa fosse stato più largo di 0,5 m, non sarebbe stato destabilizzato dal vento.
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COPERTA.
Prima del varo, i marinari corsero da un lato all’altro della coperta per controllare la stabilità; i loro consigli non furono ascoltati.
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BATTERIA ALTA.
Oltre a un carico mal assicurato, un’altra ragione dell’affondamento fu il peso dei cannoni all’altezza a cui erano stati collocati. BATTERIA BASSA. Le feritoie
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dei cannoni erano aperte, così che l’acqua entrò attraverso queste con il colpo di mare e affondò la nave.
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TROPPI CANNONI Il Vasa era provvisto di 64 cannoni, 48 dei quali di grosso calibro, ripartiti su tre ponti: superiore, batteria alta e batteria bassa. Tutti i pezzi erano in bronzo e arrivavano a un peso totale di circa 80 tonnellate. Disporre di una tale capacitĂ di fuoco, sconosciuta su altri galeoni, era stato un espresso desiderio del monarca Gustavo II Adolfo, che fece orecchie da mercante ai consigli dei costruttori che gli dicevano che il numero dei cannoni era eccessivo e poteva mettere in pericolo la stabilitĂ e la navigabilitĂ del vascello.
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IL NORD E IL SACRO IMPERO
Il genio militare di re Carlo XII di Svezia Lo sventurato Gustavo II Adolfo trovò un degno successore, per quanto riguarda l’ardore guerriero, nella persona di Carlo XII. L’abilità strategica che dimostrò gli valse il soprannome di Alessandro del Nord. A differenza di suo padre Carlo XI, che dedicò la maggior parte dei propri sforzi alla ristrutturazione dello Stato svedese, Carlo XII decise di collocare nuovamente la Svezia in prima linea sulla scena internazionale. E lo fece attraverso un’aggressiva politica di espansione, animata dal rapido annientamento della coalizione antisvedese formata da Danimarca, Polonia e Russia poco tempo dopo essere salito al trono. «Da adesso, questa sarà la mia musica» disse sentendo le cannonate di queste prime campagne. E così fu, dato che il successo ottenuto lo portò nel 1707 a imbarcare il proprio regno in un’impresa ardita: l’invasione della Russia. Sebbene in un primo momento riuscì a occupare l’Ucraina, in cammino verso Mosca fu sconfitto nella battaglia di Poltava. Carlo XII si dovette rifugiare nell’impero ottomano fino al 1713. Al suo ritorno in Svezia aprì un nuovo fronte bellico attaccando la Norvegia, ma morì nel 1718 durante l’assedio del forte di Fredriksten. Fu anche la fine del suo Paese come potenza europea. Nell’immagine, ritratto di Carlo XII di Mikael Dahl (collezione privata).
Con questi possedimenti, la Svezia poteva partecipare a pieno diritto alla Dieta imperiale e riusciva quindi a mantenere intatto il proprio status di grande potenza europea. I nobili finirono per imporre le proprie direttive di governo in Svezia. Nel 1650, nel segno di quello che risultò essere il peggior raccolto agricolo in mezzo secolo, i contadini, la società urbana e il clero cercarono l’appoggio della regalità per ridurre i privilegi signorili dei grandi aristocratici latifondisti. L’atteggiamento della regina Cristina fu distante; era più interessata alle questioni culturali di corte, dove si era circondata di saggi e filosofi come René Descartes. Inoltre, Cristina si stava sempre più svincolando dal ferreo credo protestante della Svezia. Nel 1654 abdicò dal trono e si trasferì in Italia. Con grande stupore dei suoi ex sudditi e dell’Europa dei suoi tempi, nel 1655 la regina si convertì al Cattolicesimo adottando il nome di Maria Cristina Alessandra Vasa e ricevette a Roma la sua prima comunione dalle mani di papa Alessandro VII. La situazione territoriale raggiunta nel 1648 però, si sarebbe potuta mantenere solo a costo di 140
interminabili conflitti con i territori geograficamente vicini. Il controllo del porto di Danzica portò il monarca Carlo X Gustavo (1654-1660) a dichiarare guerra alla Polonia nell’anno 1655. Fu un tentativo di recuperare il predominio svedese sul Baltico in un momento delicato per la Polonia, immersa in una guerra con la Russia. Gli Svedesi avanzarono rapidamente e occuparono le importanti città di Cracovia e Varsavia. Il timore delle grandi potenze della zona nel veder rinascere l’egemonia svedese, portò alla formazione di una coalizione contro di essa. Danimarca, Russia, Brandeburgo e l’imperatore si allearono contro la Svezia. La Danimarca fu sottomessa in poco tempo. Il trattato di Roskilde del 1658 permise alla Svezia di esercitare il controllo sulla sponda nord dello Stretto di Oresund, una rotta obbligata per il monopolio commerciale del traffico tra il Mare del Nord e il Baltico. Polonia, Brandeburgo e l’impero, con il subdolo appoggio della flotta olandese, ripresero la lotta nello stesso anno 1658. Questa volta la guerra fu più intensa e sfavorevole agli interessi svedesi.
Nel mese di novembre del 1659, gli alleati vinsero la battaglia di Nyborg. Di nuovo, solo l’intervento diplomatico francese permise di ammorbidire le dure pretese della tregua stabilita dai vincitori. Nel maggio dell’anno 1660 firmarono la pace nel monastero di Oliva. Gli accordi si conoscono come i Trattati di Oliva e Copenhagen. La Svezia perse parte dei territori guadagnati con il Trattato di Roskilde, anche se riuscì a conservare la regione della Scania. In modo complementare, Russia e Polonia firmarono con la Svezia i rispettivi Trattati a Kardis (1661) e ad Andrusovo (1667), grazie ai quali riuscirono a impossessarsi delle enclavi territoriali nelle zone di Smolensko e a est dell’Ucraina. La prima guerra del nord lasciava in Europa un triangolo nordorientale basato su di un equilibrio molto fragile delle aspirazioni a potenza esclusiva, un anelito disputato tra Svezia, Russia e Polonia. Ma la Svezia cominciò un rapido declino. Il regno di Carlo XI (1660-1697) portò a una nuova scalata bellica. Si impegnò in una disastrosa guerra contro Brandeburgo (sconfitta di Fehrbel-
lin, 1675) e proseguì poi con scontri contro Danimarca e Province Unite, con scarso successo. Solo l’intervento di Luigi XIV di Francia permise che la Svezia recuperasse i territori di Pomerania e Scania, persi momentaneamente nel fragore dei combattimenti nel 1676 e nel 1679. Questa scalata militare, che la Svezia manteneva senza interruzioni dagli inizi del XVII secolo, obbligò la corona a vendere gran parte del suo esiguo patrimonio, che naturalmente passò nelle mani della nobiltà terriera. Gli aristocratici andavano conquistando porzioni sempre maggiori di potere nel regno. A livello parlamentare, in seno al Riksdag, il clero luterano, gli abitanti delle città e i contadini reclamarono con insistenza, ma senza risultati, il ritorno alla corona dei beni alienati che erano passati nelle mani dell’aristocrazia. Nel 1680, Carlo XI riuscì a rendere effettiva questa reintegrazione patrimoniale e riuscì inoltre a debilitare il potere dell’aristocrazia. Successivamente, il monarca governò in maniera assoluta un regno che attraversava una fase di prosperità enorme grazie alla sua potenza mine-
LA BATTAGLIA DI ÖLAND. Nel 1676, una flotta
combinata danese e olandese attaccò le navi svedesi nel Baltico. Il 1 giugno, la flotta alleata distrusse praticamente il potere navale della Svezia in una battaglia avvenuta di fronte alle coste dell’isola di Öland (Museo Marittimo, Stoccolma).
141
Nonostante le sue doti militari, Carlo XII non riuscì a impedire la sconfitta in questa battaglia. Come conseguenza, una nuova potenza con pretese di egemonia si aprì la strada nello scenario europeo: la Russia. Carlo XII, che aveva sconfitto i Russi nel 1700 nella battaglia di Narva, voleva conquistare Mosca e obbligare così la Russia a firmare un’alleanza che avrebbe dato alla Svezia una posizione dominante nel nord. Ma il re, come poi Napoleone, sottovalutò la durezza del clima e la capacità di combattimento russi. A ciò si aggiungeva la tattica di terra bruciata impiegata dai Russi, che fece sì che l’inverno del 1709 risultasse ancora più duro per gli invasori. Ciò nonostante, l’8 luglio a Poltava avvenne la battaglia decisiva. Quel giorno, circa 20.000 Svedesi si scontrarono con un contingente russo che contava quasi il doppio di uomini. Carlo XII fu ferito, per cui dovette delegare la direzione della battaglia al maresciallo Rehnskiöld. Prima di mezzogiorno, l’esercito svedese era stato annientato. Quelli che non morirono furono fatti prigionieri e divennero la manovalanza per la costruzione San Pietroburgo di Pietro I. Nell’immagine, la battaglia dipinta da Denis Martens il Giovane (Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo). A sinistra, elmo comune tra le truppe di cavalleria europee del XVII secolo (Saint Louis Art Museum, Missouri).
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La battaglia di Poltava: la fine dell’egemonia svedese
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3
Rehnskiöld
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1 Accampamento fortificato russo
Truppe svedesi Truppe russe
Vorskla
1 INIZIO. I Russi erano trincerati e riuscirono a respingere gli attacchi svedesi e a contrattaccare.
raria e metallurgica come anche per lo sviluppo di un’intensa attività commerciale. Carlo XII (che regnò tra il 1679 e il 1718) salì al trono a soli 15 anni e fin dal primo momento dovette far fronte alle pressioni esercitate contro la Svezia da parte dei regni limitrofi o vicini. Lo zar Pietro I di Russia e i re di Polonia e Danimarca si coalizzarono nell’intento di smembrare la potenza svedese, approfittando della presunta inesperienza del giovane monarca. Ma Carlo XII dimostrò, sorprendentemente, di essere un leader eccezionale. Grazie al suo potente esercito, tra il 1700 e il 1701 si impose sui suoi avversari. Anche così però, la sua fortuna fu effimera.
La Grande guerra del Nord La Grande guerra del Nord decise il futuro di Svezia e Polonia e dell’insieme dell’Europa baltica. Alle sue lontane origini si trovavano gli antichi conflitti politici e territoriali, ma indubbiamente un ruolo di primo piano nel suo scoppio lo svolsero le singolari personalità dei governanti che si trovarono a regnare nella zona alla fine del XVII secolo: Pietro il 142
2
2 CONTRATTACCO. L’attacco iniziale svedese si indebolì quando i Russi attaccarono il suo fianco destro e la retroguardia.
FUGA. Alle 11 del mattino, vedendo che tutto era perduto, Carlo XII diede l’ordine di ritirata in direzione del Dnepr.
3
Grande di Russia, dal 1682; Augusto II di Polonia, detto il Forte, dal 1697; Carlo XII di Svezia, conosciuto come l’Alessandro del Nord, dal 1697; Federico IV di Danimarca, dal 1699 e infine Federico I di Prussia, dal 1701. Tutti questi monarchi volevano imporre militarmente i propri diritti sul Mar Baltico e sui suoi litorali, con estensioni agli stretti che lo collegavano al Mare del Nord. Il conflitto cominciò nell’anno 1698 con la già citata alleanza tra Polonia e Russia contro la Svezia. Nell’anno successivo, Federico IV di Danimarca si aggiunse alle operazioni militari contro i territori svedesi. La reazione di Carlo XII risultò fulminea e inaspettata. Si impose rapidamente sulla coalizione, sconfiggendo successivamente le truppe danesi e quelle russe. La battaglia di Narva del 1700 significò, in questo senso, una vittoria spettacolare di fronte alle truppe dello zar Pietro I di Russia. Infine, in quella che era un’autentica emulazione delle campagne di suo nonno Carlo X, il monarca svedese conquistò Varsavia e sconfisse il re Augusto II di Polonia nella battaglia di Kliszów (1705). La Svezia sembrò così ottenere l’ege-
monia sulla zona e impose ai vinti condizioni molto severe. Il monarca polacco fu obbligato ad abdicare e l’imperatore d’Austria dovette accettare la libertà religiosa nella Slesia (1707). Ciò nonostante, il proseguire delle campagne militari contro la Russia si rivoltò presto contro Carlo XII. La penetrazione eccessiva delle truppe svedesi nell’immenso territorio dell’Ucraina, senza praticamente possibilità di ottenere rifornimenti, condusse al disastro della battaglia di Poltava del 1709. La Russia degli zar assumeva il rilievo storico della Svezia e della decaduta Polonia come grande potenza sul Baltico.
Prussia, la nuova potenza Dalla dinastia degli Hohenzollern provenivano gli elettori di Brandeburgo che governarono il momento d’oro di questo territorio. I loro domini triplicarono durante la prima metà del XVII secolo e la Prussia smise di essere un modesto e inospitale Paese di lande desolate e paludi al centro della Germania. Grazie al reclamo della successione ereditaria, gli Hohenzollern ottennero nel 1614 il ricco
ducato di Cléveris, nella zona del Reno, oltre alle vicine contee di Mark e Ravensberg; nel 1618, alla morte del duca Alberto Federico, ottennero il ducato di Prussia, un territorio enorme anche se poco popolato e povero. Infine, sotto il segno dei trattati della Pace di Westfalia, Federico Guglielmo I ottenne la Pomerania orientale e i vescovadi di Magdeburgo, Halberstadt e Minden. Vista in prospettiva, la configurazione territoriale di Brandeburgo e Prussia risultava molto difficile. Agli inizi del XVII secolo, la Prussia era un semplice feudo della corona polacca, separato dall’elettorato di Brandeburgo dalla regione della Pomerania, a sua volta ripartita tra Polonia e Svezia. A ovest, il Brandeburgo consolidò le sue basi territoriali impossessandosi dei ducati renani di Jülich e Cléveris, di notevole importanza strategica, che tradizionalmente erano stati disputati da Francia e Neoburgo. Con il controllo sulla Renania, i margravi elettori di Brandeburgo beneficiarono a loro volta delle alleanze alternanti rispetto alla Francia durante la guerra dei Trent’anni, specialmente durante gli anni di amministrazione di 143
IL NORD E IL SACRO IMPERO
Federico Guglielmo I di Prussia, il Re Sergente Vestito sempre in uniforme, il figlio di Federico I fece tutto il possibile per dotare il suo giovane regno di un esercito che fosse l’invidia del resto delle potenze europee. La disciplina e la capacità organizzativa che inculcò ai propri soldati finì per trasmettersi anche alla società prussiana. La forte tradizione militarista della Prussia conobbe con Federico Guglielmo I un nuovo, decisivo impulso. Infatti, il rafforzamento dell’esercito fu il suo principale obiettivo. A questo fine creò la Scuola cadetti di Berlino, istituì un efficace sistema di reclutamento obbligatorio e incrementò gli effettivi da 40.000 a 80.000 uomini. Inoltre, la protezione dispensata all’industria e la sua politica di colonizzazione dei terreni incolti della Prussia orientale gettarono le basi per una prosperità economica che permise al re sia di sostenere questo esercito sia di dotarlo delle armi più moderne. I risultati non si fecero aspettare e la Prussia divenne la grande potenza militare d’Europa. Paradossalmente, il Re Sergente combattè solo in gioventù nella guerra contro Carlo XII di Svezia. Dopo la sconfitta di questi, non tornò a prender parte alla campagna. Nell’immagine, Federico Guglielmo I ritratto da Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff (SPSG Berlino-Brandeburgo).
144
Adam, conte di Schwarzenberg, eccellente ministro del margravio Giorgio Guglielmo I di Brandeburgo (che governò tra il 1619 e il 1640). Federico Guglielmo I (1640-1688) fu conosciuto con il soprannome di Grande Elettore. Riuscì a fare di questo insieme eterogeneo di domini un grande Stato moderno. I suoi sforzi si diressero all’inizio all’unificazione amministrativa. A questo scopo privò le assemblee provinciali dei loro privilegi finanziari e trasformò il Consiglio di Stato segreto nel principale organo di governo, che collocò nella città di Berlino. Allo stesso tempo creò un sistema di entrate fiscali regolari mediante l’istituzione di imposte permanenti basate sul consumo, in particolare, della birra e sull’esercizio del monopolio regio sulla vendita del sale. Per mitigare la scarsità di risorse demografiche e le proprie terre, incoraggiò l’immigrazione di coloni olandesi verso Brandeburgo, Prussia e Pomerania. Attrasse protestanti francesi mediante l’Editto di Potsdam, che permise l’arrivo di più di 20.000 immigranti che crearono ricche enclavi manifatturiere e agrarie nei dintorni di Berlino. Questi progetti di colonizzazione diedero i loro frutti grazie al decisivo impulso dato ai canali navigabili che univano i fiumi Oder, Spree ed Elba e all’istituzione di una politica doganale protezionista. Nei domini delle signorie di Prussia e Brandeburgo si consolidarono le relazioni feudali di servitù sui contadini. Con le entrate fiscali regolari, Federico Guglielmo poté creare un esercito permanente di mercenari fatto di 30.000 uomini. Questa potenza militare permise a Brandeburgo di svolgere un ruolo molto rilevante della politica europea della seconda metà del XVII secolo. Nel 1657, il Grande Elettore ottenne dalla Polonia la piena sovranità su tutte le terre del Ducato di Prussia. Infine, nel 1675 ottenne una vittoria impressionante sugli Svedesi nella battaglia di Fehrbellin. Il suo successore,il figlio Federico III (16881713), non era dotato della forte personalità di cui fece sfoggio suo padre. Tormentato da sogni tipici di grandezza, la sua ossessione fu governare con il titolo di re. Non poté farlo a Brandeburgo, poiché era terra dell’impero, ma di certo in Prussia, dove gli Hohenzollern godevano di piena sovranità. Nel novembre dell’anno 1700, l’imperatore Leopoldo lo riconobbe come re di Prussia. Il 18 gennaio del 1701, nel corso di una sontuosa cerimonia celebrata a Königsberg, Federico III, margravio elettore di Brandeburgo, divenne Federico I di Prussia. Egli stesso si cinse della corona reale. Dietro alla vanagloria però, il nuovo monarca nascondeva una carta molto importante. In futuro, i calvinisti Hohenzollern si sarebbero imposti formalmente sul
resto dei principi tedeschi. Dal punto di vista confessionale sarebbero divenuti rivali in Germania degli Asburgo cattolici. A metà del secolo XVII, la Prussia di Brandeburgo aveva uno schema territoriale simile a quello dell’impero degli Asburgo. Era un conglomerato di province sottomesse al potere del Grande Elettore. Senza dubbio, i sovrani prussiani riuscirono a portare avanti una centralizzazione politica di tutto rispetto. Gli Stati provinciali cedettero il loro diritto a votare le disposizioni sulle imposte in cambio della garanzia di esenzioni fiscali e privilegi sociali per la nobiltà. In questo modo, i Grandi elettori furono in grado di organizzare un esercito di dimensioni straordinarie, molto al di sopra di quello che potevano aspettarsi da uno Stato relativamente piccolo. L’esercito finì per diventare la colonna vertebrale della Prussia. Fu così che Federico Guglielmo I (1713-1740), il figlio e successore di Federico I, divenne il primo sovrano d’Europa che compariva abitualmente in pubblico vestito in uniforme, fedele al proprio soprannome di Re Sergente.
La politica reale stimolò anche la creazione di un corpo di burocrati e amministratori assistito dall’apparato fiscale centralizzato. I commissari locali, destinati all’esazione tributaria e alla gestione amministrativa dell’esercito, divennero responsabili di fronte a un commissario di guerra che veniva stabilito a Berlino. Quest’organismo cambiò più tardi la propria denominazione e passò a chiamarsi “direttivo generale”; aveva competenze su tutta l’amministrazione. Questa permanenza di poteri sociali ed economici della grande aristocrazia fece senz’altro in modo che questa burocrazia di amministratori esercitasse la funzione di classe media per diversi decenni. Sul lungo periodo, i nobili e i signori finirono anche per penetrare negli interstizi dell’apparato amministrativo e per militare in modo attivo, e non soltanto onorifico. Il destino futuro della Prussia passò attraverso il mantenimento di uno Stato militare centralizzato, che finirà per essere l’asse su cui si poi costruirà il futuro della Germania durante i successivi secoli XVIII e XIX.
LA CAMERA D’AMBRA.
Fu regalo di Federico Guglielmo I di Prussia a Pietro I il Grande per stringere le relazioni tra i due Paesi. L’originale, un insieme di pannelli di diverse dimensioni, zoccoli e mobili formati da migliaia di bacchette d’ambra – all’epoca valeva dodici volte più dell’oro – si trovava nel palazzo di Tsárskoye Seló. Scomparve durante l’occupazione nazista dell’Urss nella seconda guerra mondiale e fu riprodotta integralmente nel 2003.
145
APPENDICI Il mondo alla fine del XVII secolo Cronologia comparata: Europa, America, Altre civiltĂ Elenchi dinastici Bibliografia Indice analitico Immagini
148 150 152 154 155 159
NELLA PAGINA ACCANTO. Il suonatore di liuto (ca. 1595) di Michelangelo Merisi da Caravaggio, il primo grande
esponente della pittura barocca (Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo).
147
APPENDICI
IL MONDO ALLA FINE DEL XVII SECOLO MAR G L AC I A L E A RT I C O
GRAN BRETAGNA Liverpool Londra Plymouth Le Havre
TERRA DI RUPERT Fort Rupert TERRANOVA
NUOVA Quebec ACADIA FRANCIA Montreal
LO
COLONIE INGLESI
Forte San Luis Monterrey
BAHAMAS SANTO DOMINGO
AN
CAPO VERDE
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Panama VICEREAME DELLA NUOVA GRANADA Bogotá Paramaribo Quito
Saint-Louis SENEGAL GUINEA
GUIANA
Tasso
Caienna
COSTA D ’ ORO
Belém
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Pernambuco
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Callao Lima
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Salvador de Bahia La Paz
EL ED PE RÚ
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Domini:
Cadice
Charleston
COSTA DEI MISKITO
PA C I F I C O
PORTOGALLO Madrid Lisbona SPAGNA
FLORIDA
VICEREAME DELLA l’Avana NUOVA SPAGNA CUBA Messico San Blas Veracruz GIAMAICA BELIZE Acapulco Guatemala
OCEANO
FRANCIA
AT L A N T I C O
New York
UIS I A N A
Santa Fe
OCEANO
PR
Am SA IM Parig
BRASILE Rio de Janeiro Santos
Santiago Sacramento Buenos Aires
spagnoli portoghesi francesi inglesi olandesi
O C E A N O
danesi russi
Stretto di Magellano Capo Horn
148
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Calcutta
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Aden
Cochin Colombo
Manila
Zanzibar
San Pablo de Loanda
Kagoshima
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Malacca SULTANATO DI ZANZIBAR
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IMPERO RUSSO
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Arcangelo
SVEZIA
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SUMATRA GIAVA
ANGOLA
Mozambico
TIMOR
Stretto d i To r r e s
MOZAMBICO
Sofala
OCEANO INDIANO COLONIA DEL CAPO Città del Capo
Capo di Buona Speranza
A N TA R T I C O
149
CRONOLOGIA COMPARATA EUROPA 1600-1615
1616-1630
1631-1648
Giordano Bruno, bruciato come eretico a Roma Fondazione della Compagnia delle Indie Orientali d’Inghilterra e Olanda Unione delle corone d’Inghilterra e Scozia Tregue della monarchia ispanica con Inghilterra e Paesi Bassi Espulsione di 300.000 Moreschi dai regni ispanici Assassinio di Enrico IV di Francia, che porta alla reggenza di Maria de’ Medici Dopo un periodo di disordini, comincia la dinastia Romanov in Russia
Inizio dell’epoca dei grandi primi ministri: il cardinale Richelieu e il conte-duca di Olivares Defenestrazione di Praga, inizio della guerra dei Trent’anni Intervento di Cristiano IV di Danimarca nell’impero Petizione dei Diritti in Inghilterra Morte di Maurizio d’Orange Wallenstein al servizio dell’imperatore
Tappa svedese della guerra dei Trent’anni Francia e Spagna in guerra aperta Rivolte in diversi territori della monarchia ispanica (Catalogna, Portogallo, Napoli) Inizio della guerra civile inglese Cardinale Mazzarino, primo ministro. Olivares perde il favore reale Pace di Westfalia, che conclude la guerra dei Trent’anni Regno di Luigi XIV, reggenza di Anna d’Austria
1600-1615
1616-1630
1631-1648
Primi insediamenti britannici permanenti in Nord America (Jamestown) Missioni gesuite lungo il Rio delle Amazzoni Primi censimenti e sviluppo urbanistico del Messico e della Città dei Re (Lima) Episodio della cattura e cristianizzazione della principessa indiana Pocahontas Fondazione del Consolato dei Commercianti del Messico Inizia la coltivazione sistematica di tabacco in Virginia
Viaggio dei padri pellegrini sul Mayflower e insediamento nel Nord America. Fondazione di Plymouth Acquisto dell’isola di Manhattan dai nativi e fondazione di Nuova Amsterdam Insediamenti olandesi, inglesi e francesi in Guiana Fondazione di Boston e creazione della colonia del Massachusetts Fatti culturali:
Fondazione di Rhode Island e del Connecticut Gli Inglesi si impossessano delle isole Bahamas
AMERICA
Fatti culturali: Pubblicazione del primo libro nelle colonie inglesi del Nord America Fondazione di Harvard, la prima università del Nord America
Fondazione dell’Università di Cordova di Tucumán
ALTRE CIVILTÀ 1600-1615
1616-1630
1631-1648
Africa: Formazione dell’impero Yoruba a partire dal suo nucleo iniziale di Oyo, a sud della Nigeria
Africa: Prime colonie francesi in Madagascar
Africa: L’estuario del Senegal si trasforma in un’enclave francese per la tratta di schiavi africani
Asia: prime chiese cristiane edificate in Cina Inizio dello Shogunato Tokugawa in Giappone Espulsione dei gesuiti dal Giappone Apogeo della Scuola moghul di pittura, sotto il regno di Jahangir Guerre tra Persia e l’impero ottomano
Asia: Declino della dinastia persiana dei Safavidi Il Giappone proibisce agli stranieri l’ingresso nell’impero. Comincia un periodo di isolamento che durerà due secoli In Giappone, repressione del sollevamento Shimabara La dinastia Manciù sale al potere in Cina
1631-1648
Asia: I Moghul ordinano la distruzione di tutti i templi induisti di recente costruzione, cosa che mette fine alla tradizione di tolleranza religiosa. Costruzione del Taj Mahal Oceania: Abel Tasman raggiungere le coste della Tasmania, della Nuova Zelanda, Tonga e Figi
1649-1665
1666-1680
1681-1700
Carlo I, re d’Inghilterra, viene decapitato Repubblica e protettorato in Inghilterra. Governi di Cromwell Ribellione delle Fronde in Francia Lotta per l’egemonia svedese sul Mar Baltico L’impero russo si estende attraverso la Siberia fino alla costa del Pacifico Restaurazione di Carlo II sul trono d’Inghilterra Carlo II di Spagna succede a Filippo IV
Incendio di Londra Fase di appoggio militare di Luigi XIV di Francia Trattato di Aquisgrana, che porta alla fine della guerra di Devoluzione e alla pace tra Francia e impero Successivi Trattati di Nimega, che mantengono l’equilibrio militare europeo Guglielmo III, statolder dei Paesi Bassi Il regno di Portogallo si scinde definitivamente dalla monarchia spagnola Persecuzione contro i cattolici in Inghilterra
Conflitto gallicano tra Francia e papato I Turchi, in guerra contro la Polonia e l’Austria, assediano Vienna Revoca dell’Editto di Nantes Maria e Guglielmo d’Orange, monarchi d’Inghilterra. Fine della dinastia Stuart Trattati di spartizione per risolvere la questione della successione spagnola Trattato di Karlowitz tra Turchia e Venezia, Polonia e Austria Inizio della dinastia Borbone in Spagna
1649-1665
1666-1680
1681-1700
Occupazione inglese della Giamaica Primi attacchi del pirata inglese Henry Morgan contro le città dei Caraibi spagnoli Missioni del padre gesuita Vieira in Brasile La Nuova Francia riceve lo statuto di provincia reale di Francia
Nuova Amsterdam è ribattezzata New York dai coloni inglesi che vi si sono recentemente stabiliti Fondazione della Compagnia della Baia di Hudson Espansione francese lungo il bacino del Mississippi Terremoto di Lima Sollevamento degli Indios del Nord della Nuova Spagna
Ritrovamento di importanti giacimenti d’oro in Brasile La Francia ottiene la metà occidentale dell’isola di Santo Domingo Spedizioni di gesuiti spagnoli in California Il pirata William Dampier trova sull’isola di Juan Fernández il marinaio Alexander Selkirk, ispiratore di Robinson Crusoe Fondazione di Philadelphia e creazione della colonia di Pennsylvania Primi insediamenti mennoniti in Nord America
1649-1665
1666-1680
1681-1700
Africa: Insediamenti olandesi sul Capo di Buona Speranza
Asia: Il regno Kang Hsi, di Sheng Tsu, porta un periodo di straordinario sviluppo culturale in Cina I Portoghesi si stabiliscono a Macao Predicazione dei gesuiti in Cina Bombay viene ceduta alla Compagnia Inglese delle Indie Orientali Gli Olandesi iniziano l’importazione di porcellana Kakiemon dal Giappone
Africa: Una flotta dell’Oman scaccia i Portoghesi da Mombasa e Zanzibar
Fatti culturali: Completamento della cattedrale di Puebla de los Ángeles
Asia: Ritirata di principi e bramini induisti da Giava a Bali. La piccola isola diventa l’ultima enclave dell’Induismo nel sud-est asiatico Prima ambasciata russa alla corte imperiale di Pechino Regno di Aurangzeb, il nadir dell’impero Moghul Gli Olandesi cacciano i Portoghesi dallo Sri Lanka
Asia: Il periodo Genroku è il momento di apogeo culturale dell’epoca Tokugawa in Giappone Gli imperatori manciù ordinano a tutti gli uomini cinesi di rasarsi il capo, lasciandosi solo un lungo codino Gli Inglesi fondano Fort Williams, alla foce del Gange, su cui sorgerà Calcutta
151
APPENDICI
ELENCHI DINASTICI IMPERATORI DEL SACRO IMPERO Dinastia degli Asburgo Rodolfo II Mattia I Ferdinando II Ferdinando III Leopoldo I Giuseppe I Carlo VI
DUCHI DI SAVOIA 1576-1612 1612-1619 1619-1637 1637-1657 1658-1705 1705-1711 1711-1740
RE D’INGHILTERRA Dinastia dei Tudor Isabella I
1558-1603
Dinastia degli Stuard Giacomo I (re di Scozia come Giacomo VI, dal 1567) Carlo I Repubblica e Protettorato Carlo II Jacobo II
1603-1625 1625-1649 1649-1660 1660-1685 1685-1688
Dinastia d’Orange Maria II Giacomo III
1689-1694 1689-1702
RE DI SCOZIA Dinastia degli Stuart Giacomo VI (Re d’Inghilterra come Giacomo I, dal 1603)
1567-1625
1598-1621 1621-1665 1665-1700
RE DI PORTOGALLO Dinastia dei Braganza Giovanni IV Alfonso VI Pedro II (reggente tra 1668-1683)
1640-1656 1656-1683 1683-1706
RE DI FRANCIA Dinastia dei Borbone Enrico IV Luigi XIII Luigi XIV 152
1589-1610 1610-1643 1643-1715
1580-1630 1630-1637 1637-1638 1638-1675 1675-1730
DUCHI DI FERRARA-MODENA Dinastia d’Este Cesare Alfonso III Francesco I Alfonso IV Francesco II Rinaldo III
1597-1628 1628-1629 1629-1658 1658-1662 1662-1694 1694-1737
DUCHI DI MANTOVA Dinastia dei Gonzaga Vincenzo I Francesco IV Ferdinando Vincenzo II
1587-1612 1612 1612-1626 1626-1627
Dinastia di Nevers Carlo I Carlo II Ferdinando Carlo
1627-1637 1637-1665 1665-1708
DUCHI DI TOSCANA Ferdinando I Cosimo II Ferdinando II
RE DI SPAGNA Dinastia degli Asburgo Filippo III Filippo IV Carlo II
Carlo Emanuele, il Grande Vittorio Amedeo I Francesco Giacinto Carlo Emanuele II Vittorio Amedeo II (re di Sardegna dal 1720)
1587-1609 1609-1621 1621-1670
DOGI DI VENEZIA Marino Grimani Leonardo Donato Marcantonio Memmo Giovanni Bembo Niccolò Donato Antonio Priuli Francesco Contarini Giovanni Cornaro I Niccolò Contarini Francesco Erizzo Francesco Molin Carlo Contarini Francesco Cornaro Bertuccio Valier Giovanni Pesaro Domenico Contarini II Niccolò Sagredo Alvise Contarini
1595-1605 1606-1612 1612-1615 1615-1618 1618 1618-1623 1623-1624 1625-1629 1630-1631 1631-1646 1646-1655 1655-1656 1656 1656-1658 1658-1659 1659-1675 1675-1676 1676-1684
Marcantonio Giustinian Francesco Morosini Silvestro Valier
1684-1688 1688-1694 1694-1700
STATOLDER DELLE PROVINCE UNITE Dinastia di Nassau Maurizio Federico Enrico Guglielm II Interregno Guglielmo III
1585-1625 1625-1647 1647-1650 1650-1672 1672-1702
ELETTORI DI BAVIERA Dinastia di Hohenzollern Massimiliano I Ferdinando Maria Massimiliano II Emanuele
1597-1651 1651-1679 1679-1726
ELETTORI DI BRANDEBURGO Gioacchino Federico I Giovanni Sigismondo I Giorgio Guglielmo I Federico Guglielmo I Federico III (re di Prussia come Federico I, dal 1701)
1598-1608 1608-1619 1619-1640 1640-1688 1688-1701
RE DI PRUSSIA Federico I Federico Guglielmo I
1701-1713 1713-1740
RE DI SVEZIA Dinastia dei Vasa Sigismondo Reggenza Carlo IX Gustavo II Adolfo Cristina
1592-1599 1599-1604 1604-1611 1611-1632 1632-1654
Dinastia del Palatinato Carlo X Gustavo Carlo XI Carlo XII Ulrica Eleonora
1654-1660 1660-1697 1697-1718 1718-1720
RE DI DANIMARCA Dinastia degli Oldenburg Cristiano IV Federico III Cristiano V Federico IV
1588-1648 1648-1670 1670-1699 1699-1730
Federico IV
1699-1730
Dinastia dei Godunov Boris Godunov Teodoro II Dimitri il Falso
1598-1605 1605 1605-1606
Dinastia dei Shuiski Basilio IV Interregno
1606-1610 1610-1613
Dinastia dei Romanov Michele I Alessio I Teodoro III Co-zarato di Ivan V e Pietro I Pietro I
1613-1645 1645-1676 1676-1682 1682-1696 1696-1725
ZAR DI RUSSIA
RE DI POLONIA Dinastia dei Vasa Sigismondo III Ladislao IV Giovanni II Casimiro
1587-1632 1632-1648 1648-1668
Dinastia di Wisniowiecki Michele Korybut
1669-1673
Dinastia dei Sobieski Giovanni III
1674-1696
Dinastia di Sassonia Augusto II
1697-1706, 1709-1733
RE DI UNGHERIA Dinastia degli Asburgo Rodolfo II Mattia II Ferdinando II Ferdinando III Ferdinando IV Leopoldo I
1572-1608 1608-1619 1618-1637 1625-1657 1647-1654 1655-1705
PAPI Clemente VIII Leone XI Paolo V Gregorio XV Urbano VIII Innocenzo X Alessandro VII Clemente IX Clemente X Innocenzo XI Alessandro VIII Innocenz XII
1592-1605 1605 1605-1621 1621-1623 1623-1644 1644-1655 1655-1667 1667-1669 1670-1676 1676-1689 1689-1691 1691-1700 153
APPENDICI
BIBLIOGRAFIA
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INDICE ANALITICO
A
Acadia 87 Accademia del Cimento 59 Accademia delle Scienze di Parigi (Académie des Sciences) 59 Accademia Nazionale dei Lincei 59, 110 Agostino d’Ippona 76, 78 Ágreda, Maria di Gesù di 99 Ahmed I 20 Aia, L’ 15, 51, 54-55, 61, 85 Albert, Carlo d’ (duca di Luynes) 67 Alberto Federico di Prussia 143 Alberto VII d’Austria 13-14, 16, 55 Albornoz, Gil Álvarez de 112 Aldobrandini, Cinzio 110 Aldobrandini, Pietro 110 Alessandro VII (papa) 78, 112, 117-118, 121, 140 Alessandro VIII (papa) 112 Alessio I di Russia 130 Alfonso I di Portogallo 104 Alfonso II d’Este 109 Alfonso VI di Portogallo 104 Alsazia 30, 32, 71, 74, 81-82, 86 Álvarez de Toledo y Colonna, Pedro (Grande di Spagna) 108 Álvarez de Toledo, Manuel Joaquín (conte di Oropesa) 103 Amalfi, duca di vedi Piccolomini, Ottavio Amedeo VIII di Savoia 106 Amsterdam 27, 34, 43, 48, 52-53, 81 Ancre, marchese d’ vedi Concini, Concino Andalusia 16, 98 Andrusovo, Trattato di 141 Aniello d’Amalfi, Tommaso 114 vedi anche Masaniello, rivolta di Anna I di Gran Bretagna 47 Anna d’Austria e Austria-Stiria 15, 69-70, 72 Anna di Sassonia 52 Anversa 55 Trattato 52 Aquisgrana, Trattato di 80, 103 Argos 108 Aristotele 60, 62 Arminius, Jacobus 52 Arnauld, Agnès 78 Arras 30, 74 Artois 30, 55, 71-73, 103
Asburgo, dinastia degli 13, 15, 18, 20-22, 26-27, 32, 55, 69, 82, 87, 97-98, 103-106, 108, 110, 112, 114, 123-125, 128-129, 145 Ashley Cooper, Anthony (conte di Shaftesbury) 44 Atene 108-109 Aubigné, Françoise d’ (Madame de Maintenon) 83 Augusta Confessione di 25 Trattato di 17, 26, 32 Augusto II di Polonia 129, 132, 142 Austria 18, 87, 108-109, 123-124 Austria, dinastia d’ vedi Asburgo, dinastia degli Avigliana, battaglia di 106 Ayamonte, marchese di vedi Silvestre de Guzmán y Zúñiga, Francisco Manuel
B
Bacon, Francis 57-58, 62 Barberini, Antonio 112 Barberini, dinastia dei 113 Barberini, Francesco 112 Barcellona 72, 98-99, 115 Barry, Jeanne du 82, 94 Bärwald, Trattato di 136 Bassano, Leandro 96 Belgio 31 Benavides Dávila y Corella, Francisco de (conte di Santisteban) 114 Berckheyde, Job Adriaensz 53 Berg-op-Zoom 32 Berlino 74, 80, 144-145 Bernardo di Sassonia-Weimar 27, 30 Bernini, Gian Lorenzo 68, 89, 110, 112-113, 117-121 Besançon 75 Bethlen, Gabriel (principe di Transilvania) 22 Béthune, Maximilien de (duca di Sully) 65-67 Biron, duca di vedi Gontaut, Charles de Boemia 14, 18, 20-24, 26, 30-31, 33, 123-125, 136 Bogislao XIV di Pomerania 24 Bonaventura, Karel (conte di Bucquoy) 23 Borbone, dinastia dei 13, 55, 65 Borch, Gerard ter 32 Borgogna 27, 66, 83 Borita de Martinic, Jaroslav 20 Borromini, Francesco 113, 117, 120-121 Borsari, Bonifazio 58 Bouillon, duca di vedi Tour d’Auvergne, Henri de la
Boyle, Robert 60, 62 Brabante 51, 55 Braganza, dinastia dei 105 Brahe, Tycho 58 Brandeburgo 26, 32, 66, 81, 87, 124, 131, 140-141, 143-145 Breda 15, 32, 43, 46, 52 Trattato di 43, 46 Breitenfield, battaglia di 26 Brema 32, 128, 134, 136 Bresse 106 Bretagna 66, 87 Briançon 74 Brisach 30, 74 Britaniche, isole 15, 46 Brixham 46, 54 Brömsebro, Trattato di 133 Bruant, Libéral 83 Bruno, Giordano 117 Brunswick, Christian di 24 Bruxelles 55, 86 Buckingham, duca di vedi Villiers, George Bugey 106 Buonarroti, Michelangelo 119, 121 Bürgi, Joost 59
C
Calderón de la Barca, Pedro 102 Calderón, Rodrigo 14 Caligola, Caio Giulio Cesare Germanico (imp.) 119 Callot, Jacques 68 Camerarius, Rudolf Jakob 61 Canada 82 Candia (Heraklion), battaglia di 108-109, 115 Caravaggio, Michelangelo Merisi da 100 Carlo I d’Inghilterra 35, 37-42 Carlo II d’Inghilterra 38, 42-44, 81 Carlo II di Spagna (lo Stregato) 55, 82, 86-87, 102-103 Carlo IV di Lorena 80 Carlo V d’Asburgo (imp.) 55, 112 Carlo VI d’Asburgo (imp.) 55, 86, 87, 124, 125 Carlo IX di Francia 66 Carlo IX di Svezia 135 Carlo X Gustavo di Svezia 131, 135, 140, 142 Carlo XI di Svezia 135, 140-141 Carlo XII di Svezia 135, 140, 142-144 Carlo Emanuele I di Savoia 66, 106-107 Carlo Emanuele II di Savoia 106 Casale 107 Cassel (Kassel) 54
Catalogna 30-31, 72, 85, 98-99, 112, 114 Cateau-Cambrésis, Trattato di 13, 106 Catesby, Robert 36 Cavalier Parliament 43 Cavalieri, Bonaventura 60 Cellarius, Andreas 57 Cerda, Juan Francisco de la (duca di Medinaceli) 103 Cerdagna 72, 73, 99 Ceuta 104 Cevenne 79, 84 Champaigne, Philippe de 70, 78 Charleroi 54, 87 Cheb (Eger) 24 Cherasco, Trattato di 106 Chocim, battaglia di 130 Choiseul, Étienne François de 94 Clemente VII (papa) 112 Clemente VIII (papa) 13, 109, 117 Clemente IX (papa) 78, 112 Clemente XI (papa) 113 Clemente XII (papa) 78 Cléveris 18, 143 Codde, Pieter 27 Colbert, Charles 82 Colbert, Jean-Baptiste 72, 74, 76, 81, 83, 114 Colonia 71, 85, 128 Commonwealth 41 Compagnia Olandese delle Indie Orientali 47, 53 Concini, Concino (marchese d’Ancre) 67 Condé, principe di vedi Luigi II di Borbone-Condé Copenhagen, Trattato di 134, 141 Copernico, Niccolò 57-58, 110 Corinto 108 corona d’Aragona 16, 98, 104, 113 corona di Castiglia 97-98, 112 Corpus di Sangue 98-99 Cortona, Pietro da 117, 121 Cotte, Robert de 76 Courtrai 54 Coustou, Nicolas 76 Coysevox, Antoine 90 Cracovia 128-130, 140 Crauck, Gustave 75 Creta 108-109 Cristiano I (principe di AnhaltBernburg) 23 Cristiano IV di Danimarca 14, 24-26, 132-133 Cristiano V di Danimarca 134 Cristina di Francia 106 Cristina di Svezia 112, 135-136, 140 155
APPENDICI
Cromwell, Oliver 38-43, 53, 73 Cromwell, Richard 42-43
D
Dahl, Mikael 140 Dalmazia 108 Danimarca 14, 20, 24-25, 92, 132-133, 135-136, 140-142 Danzica 136, 140 Dardanelli, Stretto dei 108 Dee, John 57 Delfinato 66 Desargues, Gérard 59 Descartes, René (Cartesio) 57-60, 136, 140 Dessau, battaglia di 133 Deventer 52 Dientzenhofer, Kilián Ignác 20 Dientzenhofer, Kryštof 20 Diluvio universale svedese 131 Dover, Trattato di 44 Dresda 88 Ducato di Milano 15, 86, 87, 105, 108, 113-114 Dumesnil, Pierre Louis 136 Dune, battaglia delle 15, 73, 80 Dunkerque 73, 87 Dürer, Albrecht 136 Duvergier de Hauranne, Jean 78 Dyck, Anton van 38
E
Edimburgo 40-41, 101 Egitto 119 Enghien, duca di vedi Luigi II di Borbone-Condé Enrico II di Francia 66 Enrico III di Francia 66 Enrico IV di Francia 15, 18, 38, 65-68, 80 Enríquez de Acevedo, Pedro (governatore del Ducato di Milano) 15 Enríquez de Cabrera, Juan Alfonso (ammiraglio di Castiglia) 112 Escolano, Gaspar de 16 Este, dinastia d’ 105, 109 Estonia 129, 134 Estruch i Bros, Antoni 98 Eugenio Francesco di Savoia 128
F
Fabricius, Johann 61 Fairfax, Thomas 40 Fajardo y Pimentel, Pedro (marchese de los Vélez) 98 Farnese, dinastia dei 105, 113 Farnese, Odoardo 110 Fawkes, Guy 36, 37 Congiura delle Polveri 36-37 Federico Enrico d’OrangeNassau 52, 53 Federico Guglielmo I di Brandeburgo (Grande Elettore) 131, 143-144 Federico Guglielmo I di Prussia 87, 144-145 156
Federico I di Prussia e III di Brandeburgo 87, 142, 144-145 Federico III di Danimarca 133-134 Federico IV del Palatinato 17 Federico IV di Danimarca 134, 142 Federico V del Palatinato 14, 20-21, 23 Fehrbellin, battaglia di 141, 144 Fénelon, François 84 Ferdinando I d’Asburgo (imp.) 16 Ferdinando II d’Aragona (il Cattolico) 74 Ferdinando II d’Asburgo (imp.) 12, 14, 18, 20-22, 24, 26, 110, 124-125 Ferdinando III d’Asburgo (imp.) 18, 30-32, 124-125 Ferdinando IV d’Ungheria 124 Fermat, Pierre de 59 Ferrara 109-110 Ferri, Ciro 120 Fiandre 13, 23, 26, 30-32, 37, 51, 55, 73, 80, 82, 87, 97, 103 vedi anche Paesi Bassi Figueras 75 Filippo I d’Orleans 92 Filippo II di Spagna 13-16, 36, 47, 52, 102, 106 Filippo III di Spagna 14-16, 98, 106, 108, 124 Filippo IV di Spagna 15, 26, 30-31, 72, 80, 93, 97-100, 102-104, 106, 112, 136 Filippo V di Spagna 55, 86, 87, 98, 102-104, 107 Finlandia 134 Fontainebleau 79, 92 Editto di 79 Fontana, Carlo 119 Fontanges, duchessa di vedi Scorailles, Marie Angélique de Fouquet, Nicolas 72, 76 Franca Contea 54, 80, 82, 90, 103 Francesco I de Francia 66, 106 Francesco I de’ Medici 65 Francesco II di Francia 66 Francia 13-15, 20, 26, 27, 30-33, 35, 37-38, 44, 46-47, 54-55, 65-76, 78-89, 91-92, 94, 98-99, 102-110, 112, 114-115, 122, 124, 128, 133, 136, 141, 143 Fredriksten, fortezza di 140 Fresnes, marchese di vedi Lionne, Hugues de Friburgo di Brisgovia 30, 54, 85 Frisia 50 Fronda 70-72, 75, 76, 80
G
Galigai, Leonora 67 Galilei, Galileo 57-58, 60, 110, 130
Genova 105 Georg Friedrich I di Baden-Durlach 24 Germania 18, 25-26, 30, 33, 124-125, 136, 143, 145 Gérôme, Jean-Léon 79 Gex 106 Giacomo I d’Inghilterra e VI di Scozia 15, 34-38 Giacomo II d’Inghilterra 44, 46, 47, 54, 84 Gibilterra 87 Giorgio Guglielmo I di Brandeburgo 26, 144 Giovanni Giorgio I di Sassonia 26 Giovanni Giuseppe d’Austria 99, 102, 114 Giovanni II Casimiro Vasa 129-131 Giovanni III Sobieski 122, 129-132 Giovanni IV di Portogallo 104-105 Girardon, François 90 giunta di riforma 14 Giuseppe I d’Asburgo (imp.) 125, 143 Giuseppe Ferdinando di Baviera 86 Gloriosa Rivoluzione 46-47, 84 Gomarus, Franciscus 52 Gontaut, Charles de (duca di Biron) 66 Gonzaga-Nevers, Carlo I di 106 Gonzaga, dinastia dei 105 Gonzaga, Ferrante II (duca di Guastalla) 106 Gonzaga, Vincenzo 106 Goubert, Pierre 95 Gran Bretagna 87 Grande Alleanza dell’Aia 55, 85 Grande guerra del Nord 132, 134, 142 Grave 52 Graz 58 Grazia di Alès, Editto di 68 Grecia 108,-109 Gregorio XV (papa) 110 Grew, Nehemiah 61 Grimani, Giovanni Battista 108 Groninga 50, 130 Groot, Hugo de 52 Grupello, Gabriel de 124 Guastalla, duca di vedi Gonzaga, Ferrante II 106 Guericke, Otto von 63 guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti 46 guerra d’Olanda 80 guerra dei Mietitori 72, 98 guerra dei Sette anni 82 prima guerra del nord 141 guerra dei Trent’anni 13-18, 25, 27, 32-33, 55, 72, 80, 83, 98-99, 105, 110, 123-124, 130, 133, 136, 144 guerra dell’Interdetto 66
guerra della Lega di Augusta 84 guerra di Candia 108 guerra di Devoluzione 80, 103 guerra di Kalmar 132 guerra di Restaurazione portoghese 105 guerra di Successione austriaca 82 guerra di Successione spagnola 55, 86-87, 98, 102, 105, 107, 113-114 guerre hussite 20 Guglielmo I d’Orange-Nassau (il Taciturno) 51-52, 54 Guglielmo II d’Orange-Nassau 52-53 Guglielmo III d’Inghilterra 44, 46-47, 53-54, 81 Gustavo II Adolfo di Svezia 14, 25-27, 32, 38, 69, 134-136, 138-140 Guzmán y Pimentel, Gaspar de (conte-duca di Olivares) 24, 26, 30, 72, 97-100, 102, 104
H
Hainaut (Henao) 55 Halberstadt 32, 143 Hals, Frans 27 Hannover 123 Hannover, dinastia di 46 Hansson, Söfring 138 Haro y Guzmán, Luigi Méndez de 72, 99 Harvey, William 57, 62-63 Heidelberg, castello di 17 Heinsius, Anthonie 54 Hevelius, Johannes 60 Hidalgo, Juan 102 Hijar, duca di vedi Silva Mendoza y Sarmiento, Rodrigo de Hillegaert, Pauwels van 51 Hoet, Gerard 124 Hogue, battaglia di La 84 Hohenzollern, dinastia degli 143-144 Holstein 24, 132 Hooke, Robert 60 Hoyo, Luis del (governatore di Messina) 114 Huygens, Christiaan 59-60, 62-63 Hybertsson, Henrik 138
I
Iberica, Penisola 14, 16, 103 impero austroungarico 124 impero ottomano 85, 108-109, 115, 124-125, 136, 140 impero spagnolo 30, 98 impero svedese 32 Inghilterra 15, 18, 23-24, 33, 35-36, 38-44, 46, 50, 53-54, 59, 68, 72-73, 79-82, 84-85, 87, 92, 104-105, 135 Ingolstadt 61
Ingria 134 Innocenzo X (papa) 78, 110, 112-113, 117, 120 Innocenzo XI (papa) 83, 112 Innocenzo XII (papa) 112 Invincibile Armata 36, 84 Irlanda 38-40, 42, 46 Isabella Clara Eugenia 13-14, 16, 55 Isabella di Borbone (regina di Spagna) 15 Isabella I d’Inghilterra 15, 35-36, 38 Istanbul 109 Italia 15, 23, 26-27, 31, 59, 65, 70, 97, 98, 101, 105-108, 113-114, 140 vedi anche Penisola Italiana
J
Jacinto Meléndez, Miguel 104 Jagelloni, dinastia degli 128 Jankov, battaglia di 26 Jansen, Cornelius 76, 78, 112 Jmelnitski, Bogdan 130 Jülich 143 Juliers-Cléveris, crisi di 18 Jutland 24, 132-133 Juvarra, Filippo 107
K
Korybut Wisniowiecki, Michele 129-130 Kober, Martin 128 Knobelsdorff, Georg Wenzeslaus von 144 Knäred, Trattato di 132, 135 Kliszów, battaglia di 142 Klesl, Melchior 18 Kepler, Johannes 57-58, 60 Karlowitz, Trattato di 109 Kardis, Trattato di 141 Kara Mustafá Pasha 130 Kalmar 132 Kahlenberg (o Vienna), battaglia di 130
L
La Bruyère, Jean de 91 Ladislao IV Vasa 128-130 Languedoc 66 Largillière, Nicolas de 90 Laud, William (arcivescovo di Canterbury) 38 Laumosnier 72 Le Brun, Charles 54, 89-90 Le Nôtre, André 89, 92 Le Prestre, Sébastien (marchese di Vauban) 74-75 Le Roy, Philibert 89 Le Tellier, François Michel (marchese di Louvois) 72, 76 Le Vau, Louis 89, 93 Leeuwenhoek, Anton van 57, 63 Lega Cattolica 17-18, 21, 23-26, 80, 133 Lega di Augusta 83-84, 106-107
Lega Santa 109, 112 Leibniz, Gottfried Wilhelm 57, 59-62, 124 Leiden 48, 52 Lemoyne, François 90 Lens, battaglia di 26, 31 Leone XI (papa) 110 Leoni, Ottavio Mario 110 Leopoldo I d’Asburgo (imp.) 54, 81, 84, 86, 124-125, 128, 130, 144 Lerma, duca di vedi Sandoval y Rojas, Francisco Gómez de Lettonia 134 Leucade 108 Lilburne, John 41, 42 Limburgo 55 Lione, Trattato di 106 Lionne, Hugues de (marchese di Fresnes) 76 Lipsia 26 Lituania 128, 131 Livonia 131 Lombardia 105 Londra 15, 34, 36-41, 43-44, 46-48, 59, 101 Long Parliament 38 Longwy 74 Lope de Vega, Félix 102 Lorena 54, 80, 82, 85 Louvois, marchese di vedi Le Tellier, François Michel Louvre, palazzo del 66, 88 Lovanio 78 Lubecca, Pace di 25, 133 Luigi di Francia 82 Luigi di Francia (il Gran Delfino) 82, 86, 104 Luigi II di Borbone-Condé (duca di Enghien e principe di Condé) 26, 30-31, 34, 67, 71-72, 75, 80 Luigi XII di Francia 66 Luigi XIII di Francia 15, 27, 30, 65-70, 89, 92-93, 98-99 Luigi XIV di Francia 33, 44, 46, 53-55, 64-66, 72-76, 78-93, 95, 98, 103-104, 107, 112114, 128, 141 Luigi XV di Francia 66, 82-83, 87, 90, 94 Luigi XVI di Francia 66, 94 Lussemburgo 55, 73, 82, 85, 106 Lutero, Martin 17 Lutter, battaglia di 14, 24, 26, 133 Lützen, battaglia di 14, 26, 134, 136 Luynes, duca di vedi Albert, Charles d’
M
Maastricht 32, 51, 54, 80, 82 Maderno, Carlo 117, 119, 121 Madrid 13-16, 21, 30, 55, 69, 82, 96-98, 100-103, 106-108, 110, 113 Trattato 106
Magdeburgo 26, 32, 62, 63, 143 Magonza 128 Maintenon, Madame de vedi Aubigné, Françoise d’ Malinas 55 Malpighi, Marcello 61 Mansart, Jules Hardouin- 64, 76, 83, 88-90, 93, 95 Mansfeld, Ernst von 24 Mantova 105-106 Maratta, Carlo 92 Maria Anna d’Austria 102 Maria Anna d’Austria e Austria-Stiria 124 Maria Anna Vittoria di Baviera 104 Maria Antonietta d’Austria 94 Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours 107 Maria I di Scozia (Maria Stuart) 35-36, 38 Maria II d’Inghilterra 44, 46-47, 54, 82 Maria Luisa d’Orléans 103 Maria Teresa d’Austria e Borbone 72-73, 80, 82-83, 93, 98, 104 Maria Teresa I d’Austria 88, 124 Mariotte, Edme 60, 61 Mark 143 Marocco 115 Marston Moor, battaglia di 40 Masaniello, rivolta di 113-114 Massimiliano I di Wittelsbach (duca di Baviera) 17-18, 24-25, 30, 32 Massimiliano II d’Asburgo (imp.) 16 Massimiliano II Emanuele di Baviera 87 Mattia I d’Asburgo (imp.) 17-18, 21, 125 Mattia, Enrico (conte di Thurn) 22 Maurizio I d’Orange-Nassau 51-52 Mazarino, Giulio 30, 31, 70-74, 76, 80, 106, 112, 115, 128 Mecklemburgo-Schwerin e Friedland, duca di vedi Wallenstein, Albrecht von Medici, Caterina de’ 66 Medici, dinastia de’ 66, 105, 110 Medici, Maria de’ 15, 65-69, 105 Medina Sidonia, duca di vedi Pérez de Guzmán e Gómez de Sandoval y Rojas, Gaspar Medinaceli, duca di vedi Cerda, Juan Francisco de la Melo, Francisco de 31 Mersenne, Marin 59 Messina 113-114 rivolta 113 Methuen, John 104 Methuen, Trattato di 104 Metz 32, 72 Meulen, Adam Frans van der 80
Mierevelt, Michiel Jansz van 52 Milton, John 42 Minden 32, 143 Minorca 87 Mocenigo, Lazzaro 108 Mocenigo, Luigi Leonardo 108 Mocenigo, Tommaso 108 Modena 58 Molière (Jean-Baptiste Poquelin) 79 Monaco 84, 136 Monck, George 43 Monferrato 106 Monmouth, duca di vedi Scott, James Mont-Louis 74 Montagna Bianca, battaglia della 20-24, 26, 123 Montalto, Alessandro Peretti di 110 Montjuic, battaglia di 98 Monzón, Trattato di 106 Moravia 21, 123 Morea 109 Morosini, Francesco 96, 108-109 Mortara, marchese di vedi Orozco, Francisco de Mosca 140, 142 Motte, Henri-Paul 68 Münster 32 Trattato 14, 31-32 Murcia 16
N
Namur 55, 87 Nantes, Editto di 65-66, 68, 78-79, 83 Napier, John 59 Napoli 15, 31, 86-87, 105, 108, 113-114 Narva, battaglia di 142 Naseby, battaglia di 40 Nassau, Giustino di 15 Nauplia 108 Neoburgo 143 Neuf-Brisach 74 New York vedi Nuova Amsterdam Newton, Isaac 57, 59-61, 63 Nicolas IV de Neufville (marchese di Villeroy) 65 Nidardo, Giovanni Everardo 102 Nieuwpoort (o delle Dune), battaglia di 52 Nimega 52, 54-55, 75, 82-85, 103 Trattato 55, 82, 84-85 Trattati 54, 82-83 Nizza 87, 106 Nördlingen, battaglia di 26, 69, 136 Nördlingen, battaglia di 30, 80 Normandia 66, 69, 84 Norvegia 132, 140 Nuova Amsterdam 43 Nuova Scozia 87 Nyborg, battaglia di 140 157
APPENDICI
O
Oates, Titus 44 Olanda 46, 50-51, 53-54, 80, 82, 98 vedi anche Province Unite Oldenbarnevelt, Johan van 52 Oldenburg, dinastia di 132 Oliva, Trattato di 115, 141 Olivares, conte-duca di vedi Guzmán y Pimentel, Gaspar de Orange-Nassau, dinastia d’ 52, 54 Orbay, François d’ 89 Oresund 132, 140 Oropesa, conte di vedi Álvarez de Toledo, Manuel Joaquín Orozco, Francisco de (marchese di Mortara) 99 Osnabrück 32 Trattato 14, 31 Ostenda 15 Osuna, duca di vedi Téllez-Girón y Velasco, Pedro Overijssel 50 Oxenstierna, Axel 26, 136
P
Pacheco, Francisco 100 Padri Pellegrini 37 Paesi Bassi 14-16, 20, 23, 27, 30, 31, 46-47, 53-55, 69, 72, 87, 108 País Vasco 86 Palatinato 14, 17-18, 20-21, 24, 33, 85 Pamphili, dinastia dei 113 Paolo V (papa) 110 Papin, Denis 62 Parigi 27, 30, 49, 58-59, 62, 64-66, 68, 70-72, 75-76, 78, 80, 83, 106 Parma 105, 110 Pascal, Blaise 59, 62, 78 Pasque Piamontesi 107 Passau, Editto di 24 Patel, Pierre 92 Pau 67 Paul, Vincent de 117 Pecquet, Jean 61 Peloponneso 108 Pérez de Guzmán e Gómez de Sandoval y Rojas, Gaspar (duca di Medina Sidonia) 98 Perronet Briggs, Henry 36 Piccardia 27 Piccolomini, Ottavio (duca di Amalfi) 23 Piemonte 105-107 Pietro I di Russia (il Grande) 132, 142, 145 Pietro II di Portogallo 104 Pinerolo 71, 106-107 Pirenei, Trattato dei 70-74, 98, 104 Pirna 26 158
Plessis de Richelieu, ArmandJean du 24, 26-27, 30, 65, 67-70, 78, 80 Poisson, Jeanne-Antoinette (Madame de Pompadour) 82 Polonia 20-21, 85, 92, 109, 123, 128-132, 135-136, 140-144 Poltava, battaglia di 140, 142-143 Pomerania 24-25, 32, 134, 136, 141, 143-144 Pompadour, Madame de vedi Poisson, Jeanne-Antoinette Port-Royal des Champs, Abbazia di 78 Porta, Giacomo della 117, 119 Portocarrero, Luigi Fernández de 102 Portogallo 72, 85, 87, 97-99, 104-105, 112, 114 Potsdam 88, 144 Editto di 144 Poussin, Nicolas 66 Praga 20-24, 26, 31, 26 Presburgo 125 Provenza 66 Province Unite 14-15, 20, 24, 26-27, 31-35, 42-44, 46-48, 50-55, 66, 76, 80-82, 84-85, 87, 104, 133, 135, 141 Prussia 25, 87, 129, 131, 142-145 Puget, Pierre 90 Pym, John 39
Q
Queralt, Dalmau de (conte di Santa Coloma) 98 Quesnel, Pasquier 84
R
Racine, Jean 78 Rainaldi, Girolamo 113, 120 Rakovník 22 Rastatt, Trattato di 55, 86, 87 Ratisbona (Regensburg) 25 tregua 82-83, 85 Ravaillac, François 66 Ravensberg 143 Ray, John 62 Re Cattolici 16 Recorde, Robert 57 Redi, Francesco 61 Rehnskiöld, Carl Gustaf 142 Rembrandt 48-49, 61 Renania 26, 81, 97, 143 Reni, Guido 66 Reno, Patto del 128 Restituzione, Editto di 24-26, 32 Richelieu, cardinale vedi Plessis de Richelieu, Armand-Jean du Riga 136 Rigaud, François Hyacinthe 64, 82, 90 Rinaldo d’Este 112 Rivoluzione inglese 38 Roberval, Gilles de 59 Rochelle, La 68
Rocroi, battaglia di 14, 26, 30-31, 80, 115 Rodolfo II d’Asburgo (imp.) 16-18, 20, 125 Roma 22, 36, 43, 59, 78, 83-84, 89, 110, 112-114, 117-118, 120-121, 136, 140 Sacco di Roma 112 Romagna 110 Rømer, Ole 60 Roskilde, Trattato di 134, 140-141 Rossiglione 30, 71-73, 99 Rotterdam 81 Royal Society 59 Rubens, Peter Paul 66, 102, 130 Rump Parliament 41, 42 Rupert del Reno, principe 40 Russia 20, 85, 130-132, 136, 140-143 Ruyter, Michiel de 43, 81 Ryswick (Rijswijk), Trattato di 85-86, 103
S
Sacro romano impero germanico 14, 16, 18, 23-24, 54, 85, 87, 106-107, 123-124, 132, 134 Saint-Simon, Henri de 91 Sainte Suzanne de Champaigne, Catherine de 78 Sales, Francesco di 117 Saluzzo 106 San Cristoforo, isola di 87 San Pietroburgo 66, 88, 142 Sandoval y de la Cerda, Cristóbal Gómez de (duca di Uceda) 14 Sandoval y Rojas, Francisco Gómez de (duca di Lerma) 14, 16 Santa Coloma, conte di vedi Queralt, Dalmau de Sardegna 71, 87, 105, 113-114 Sassonia 21, 24, 26-27, 30, 52, 124, 132 Savery, Thomas 63 Savoia 27, 66, 81, 87, 102, 105-108, 114, 107 Scania 132, 141 Scheiner, Christopher 61 Schickard, Wilhelm 62 Schleswig 24 Schönbrunn, palazzo di 88, 124 Schwarzenberg, Adam von 80, 144 Scorailles, Marie Angélique de (duchessa di Fontanges) 95 Scott, James (duca di Monmouth) 44 Scozia 35-36, 38, 40-42, 87 Secolo d’Oro 100, 102 Séguier, Pierre 72 Shaftesbury, conte di vedi Ashley Cooper, Anthony Short Parliament 38
Sicilia 81, 86-87, 105-107, 113-114 Sigismondo I di Lussemburgo (imp.) 106 Sigismondo III Vasa 128-129, 135 Silva Mendoza y Sarmiento, Rodrigo de (duca di Híjar) 98 Silvestre de Guzmán y Zúñiga, Francisco Manuel (marchese di Ayamonte) 98 Sisto IV (papa) 119 Sisto V (papa) 117, 119 Slavata de Chlum, Vilém 20 Slesia 30, 123, 143 Sluis (Sluys) 52 Smolensko 141 Snellius, Willebrord 60 Sobieski, Giacomo 130 Spagna 13-14, 16, 26, 30, 32, 37-38, 52-55, 66-67, 69-72, 75, 79-80, 82, 85, 87, 92-93, 97-99, 103-107, 110, 112, 114 Spener, Philipp Jakob 124 Spinola Doria, Ambrogio 15 Stanislao I Leszczynski 129 Stanislao II Poniatowski 132 Stato Pontificio 105, 109-110 Stettino (Szczecin) 32, 136 Stoccolma 81, 129, 134-136, 138, 141 Trattato di 81 Strafford, conte di vedi Wentworth, Thomas Strasburgo 59, 82, 85-86 Stromboli 114 Stuart, dinastia degli 35, 38, 43, 46 Stuart, Enrichetta Anna 85 Stuart, Enrico (Lord Darnley) 36 Stuart, Isabella 36 Stuart, Maria vedi Maria I di Scozia (Maria Stuart) Stummdorf, Trattato di 130 Stupinigi 107 Sully, duca di vedi Béthune, Maximilien de Sund (Oresund) 132 Suriname 43, 46 Svezia 18, 20, 24-27, 31-32, 54, 80-82, 85, 92, 112, 123, 128, 130-136, 138, 140-144 Swammerdam, Jan 61 Sydenham, Thomas 62
T
Tamarit, Francesc de 98 Tartu 134 Téllez-Girón y Velasco, Pedro (duca di Osuna) 15, 108 Terranova 87 Tilly, conte di vedi Tserclaes, Johann Tobago 54 Torino 107
Torricelli, Evangelista 58-59, 63 Toscana 23, 65, 105 Toul 32 Tour d’Auvergne-Bouillon, Henri de la (visconte di Turenne) 30, 80, 81 Tour d’Auvergne, Henri de la (duca di Bouillon) 66 Transilvania 22, 125, 128 Trento, Concilio di 78, 117 Triplice Alleanza 80-81 Tserclaes, Johann (conte di Tilly) 21, 23, 25-26, 97, 133 Tudor, dinastia dei 35 Turenne, visconte di vedi Tour d’Auvergne-Bouillon, Henri de la Turingia 33
U
Uceda, duca di vedi Sandoval y de la Cerda, Cristóbal Gómez de Ucraina 131, 140-141, 143 Ulft, Jacob van der 34 Ulrica Eleonora di Svezia 135 Ulster 39 Umbria 110 Ungheria 18, 124-125, 128
Unione Evangelica 17, 66 Uppsala 136 Urbano VIII (papa) 78, 106, 110, 112, 117-118, 121 Urbino 110 Uruguay 87 Utrecht 50-51, 55, 81, 86-87, 106, 114 Trattato di 55, 86-87, 106
V
Valencia 16, 100 Valenzuela, Ferdinando de (marchese di Villasierra) 102 Valladolid 14 Valois, dinastia di 13 Valromey 106 Valtellina, guerra della 105 Varsavia 128-130, 140, 142 Vasa, dinastia dei 128, 135 Vauban, marchese di vedi Le Prestre, Sébastien Velázquez, Diego 15, 100-102, 112 Vélez, marchese de los vedi Fajardo y Pimentel, Pedro Venezia 65, 85, 93, 96, 105-110, 114 Verden 32, 134 Verdun 32, 72
Versailles, palazzo di 64-65, 70, 73, 76, 82-83, 88-92, 94-95, 97, 124, 128, 136 Verschuier, Lieve Pietersz 43 Vervins, Pace di 13, 110 Viasna, Trattato di 130 Vienna 12-13, 16-17, 20-21, 30-32, 69, 82, 88, 97, 110, 123-125, 128, 130-131 Vienna, battaglia di 125 Vieux-Breisach 75 Vignola, Jacopo Barozzi da 117 Villasierra, marchese di vedi Valenzuela, Ferdinando de Villaviciosa, battaglia di 104 Villeroy, marchese di vedi Nicolas IV de Neufville Villiers, George (duca di Buckingham) 37-38 Visscher, Claes 44 Vittorio Amedeo I di Savoia 106 Vittorio Amedeo II di Savoia 87, 107 Voltaire (François Marie Arouet) 105
W
Wahlbom, Carl 134 Walker, Robert 40
Wallenstein, Albrecht von (duca di MecklemburgoSchwerin e Friedland) 24-26, 97, 130, 133, 136 Wentworth, Thomas (conte di Strafford) 38 Westfalia 14, 31-32, 47, 55, 71-72, 98-99, 124, 130, 134, 136, 143 Trattato 14, 31-32, 47, 71-72, 98-99, 124, 134, 136, 143 Westminster palazzo 36-37, 39, 46 Trattato di 46 Wight, isola di 41 Winstanley, Gerrard 42 Wismar 32, 134 Witt, Johan de 53-54 Wittel, Caspar Adriaensz van 113 Wittenberg 61 Wren, Christopher 43-44 Wright, Joseph 57 Wurtemberg 33
Y
York 38, 43, 44 Ypres (Ieper) 54, 78, 87
Z
Zaporozhia 130 Zelanda 50, 51 Zusmarshausen, battaglia di 31 Zweibrücken 82
IMMAGINI Fotografie: Age FotoStock: 19, 24, 28-29, 63ai, 71, 82, 95, 108, 118b, 134, 134-135; Aisa: copertina, 4-5, 14-15, 21, 30-31, 30, 34, 39b, 48, 48-49, 49a, 49b, 53, 62a, 62b, 63bc, 64, 67b, 70, 72-73, 78, 84-85, 89, 96, 99, 100, 100-101, 101a, 101c, 102, 103, 115, 116, 118ai, 118ad, 126-127, 131, 137, 146; Alamy/ Aci Online: 75, 105, 138; Album: 10, 12, 39a, 44a, 67a, 101b, 106-107, 129, 143; Album/akg-images: 18, 20-21, 25, 32, 41, 42, 58-59, 60ai, 60b, 63bd, 63ad, 74d, 76, 79, 90ai, 110, 113, 132, 136, 144, 145; Album/Oronoz: 16, 33, 52, 57, 60ad, 63bi, 86, 104, 112; Bridgeman/Index: 36-37, 43, 44b, 46-47, 47, 54, 58, 63ac, 81, 84, 88, 92, 97, 117, 118-
119, 121, 140, 142; Manuel Cohen/The Art Archive: 120ai; Corbis: 8-9, 45, 74i, 90ad, 94b, 133, 138-139, 139; Gtres/ Hemis.fr: quarta di copertina, 2, 17a, 65, 69, 74-75, 77, 83, 88-89, 90b, 91, 94a, 111, 122; Erich Lessing/Album: 13, 17b, 35, 40, 50-51, 51, 55, 56, 59, 61, 68d, 80, 92-93, 108-109, 123, 124-125, 124, 128, 130, 141; Photo Scala, Florence: 6, 120ad, 120bd, 120bi; The Art Archive: 37, 68i.
Cartografia: Víctor Hurtado (documentazione), Merche Hernández, Eosgis. 159
SPECIALE
numero27 settembre2016 €9,90
Pubblicazione periodica bimestrale - Anno VI - n. 27
IL GRAN SECOLO DI LUIGI XIV, DEL BAROCCO E DELLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA. UN’EPOCA DI CONFLITTI DEVASTANTI, COME LA GUERRA DEI TRENT’ANNI O LA RIVOLUZIONE INGLESE, E IN CUI IL POTERE ASSOLUTO DEI SOVRANI EBBE IL CULMINE
RITRATTO DEL RE DI FRANCIA LUIGI XIV, DI HYACINTHE RIGAUD, MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI. FOTOGRAFIA: DEA / ALBUM
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National Geographic Society è un’istituzione scientifica ed educativa senza fini di lucro fondata a Washington nel 1888 e impegnata nell’esplorazione e nella salvaguardia del pianeta.
Via B. Quaranta, 29. 20141 Milano Tel. 02573717.1 r.a. - Fax 02 573717290 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 51 del 26/01/2011 ISSN: 2421-2512 © 2013, Bernat Hernández (testo) © 2013, Juan Carlos Moreno, Jaume Prat (testi complementari) © RBA Contenidos Editoriales y Audiovisuales, S.A.U. © 2016, RBA REVISTAS S.L. © 2009-2016 RBA ITALIA SRL
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COLLABORATORI civiltà italiche
grecia e roma
vicino oriente
storia moderna
storia medievale
ENRICO BENELLI Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico (Iscima) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Monterotondo (Roma) Curatore della seconda edizione del Thesaurus Linguae Etruscae, Fabrizio Serra editore Autore di: Le iscrizioni bilingui etrusco-latine, Olschki
EVA CANTARELLA Professore di Istituzioni di Diritto Romano e di Diritto Greco Antico, Università Statale di Milano; global visiting professor New York University Autrice di: Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Rizzoli - L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nel mondo greco e romano, Feltrinelli
PAOLO MATTHIAE Professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico, Università di Roma La Sapienza; direttore della Missione Archeologica Italiana a Ebla; membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei Autore di: Ebla, un impero ritrovato, Einaudi Storia dell’Arte dell’Oriente Antico, Electa Mondadori
VITTORIO BEONIO BROCCHIERI Professore di Storia moderna presso l’Università degli Studi della Calabria; membro del collegio della scuola di dottorato Andre Gunder Frank Autore di: Storie globali. Persone, merci e idee in movimento Celti e Germani. L’europa e i suoi antenati Encyclomedia Publishers
MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella Editore Caccia alle streghe, Salerno Editrice
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NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY “Suscitando interesse per l’esplorazione e la protezione del pianeta”
GARY E. KNELL President and CEO BOARD OF TRUSTEES
JEAN N. CASE Chairman, TRACY R. WOLSTENCROFT Vice Chairman, WANDA M. AUSTIN, BRENDAN P. BECHTEL, MICHAEL R. BONSIGNORE, ALEXANDRA GROSVENOR ELLER, WILLIAM R. HARVEY, GARY E. KNELL, JANE LUBCHENKO, MARC C. MOORE, GEORGE MUÑOZ, NANCY E. PFUND, PETER H. RAVEN, EDWARD P. ROSKI, JR., FREDERICK J. RYAN, TED WAITT, ANTHONY A. WILLIAMS RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE
PETER H. RAVEN Chairman PAUL A. BAKER, KAMALJIT S. BAWA, COLIN A. CHAPMAN, JANET FRANKLIN, CAROL P. HARDEN, KIRK JOHNSON, JONATHAN B. LOSOS, JOHN O’LOUGHLIN, STEVE PALUMBI, NAOMI E. PIERCE, JEREMY A. SABLOFF, MONICA L. SMITH, THOMAS B. SMITH, CHRISTOPHER P. THORNTON, WIRT H. WILLS NATIONAL GEOGRAPHIC PARTNERS DECLAN MOORE CEO SENIOR MANAGEMENT
SUSAN GOLDBERG Editorial Director, CLAUDIA MALLEY Chief Financial Officer, MARCELA MARTIN Chief Marketing and Brand Officer, COURTENEY MONROE Global Networks CEO, LAURA NICHOLS Chief Communications Officer, WARD PLATT Chief Operating Officer, JEFF SCHNEIDER Legal and Business Affairs, JONATHAN YOUNG Chief Technology Officer, BOARD OF DIRECTORS
GARY E. KNELL Chairman JEAN A. CASE, RANDY FREER, KEVIN J. MARONI, JAMES MURDOCH, LACHLAN MURDOCH, PETER RICE, FREDERICK J. RYAN, JR. INTERNATIONAL PUBLISHING
YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President of Strategic Development, ARIEL DEIACO-LOHR, KELLY HOOVER, DIANA JAKSIC, JENNIFER JONES, JENNIFER LIU, LEIGH MITNICK, ROSANNA STELLA
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Senza titolo-1 1
26/07/16 10:49
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