Speciale Storica n°30 - L'Espansione dell'Islam

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L’ESPANSIONE DELL’ISLAM




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INDICE INTRODUZIONE

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LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE Dossier: I fondamenti dell’Islam

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DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

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I TRE GRANDI CALIFFATI Dossier: Cordova, la città dei califfi

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IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE Dossier: Lo splendore nasride dell’Alhambra

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DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

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APPENDICI Origine ed espansione dell’Islam Cronologia comparata: Islam, Europa, Altre civiltà Elenchi dinastici Bibliografia Indice analitico Immagini

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PAGINA 2. Abu Zaid e Al Hariri in barca sull’Eufrate, in una miniatura di un’edizione del 1237 del Maqamat di Al Hariri di Bassora, illustrata da Al Wasiti (Biblioteca Nazionale, Parigi). PAGINE 4 E 5. Mosaici bizantini e dipinti della navata centrale della Grande Moschea di Damasco. NELLA PAGINA ACCANTO. Minareto e vista parziale del patio della Grande Moschea di Qayrawan, in Tunisia.

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INTRODUZIONE

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ono molteplici i pregiudizi che pesano sulla nostra conoscenza dell’Islam. Primo tra tutti è quello secondo il quale i cristiani occidentali e i musulmani sarebbero “nemici storici”, destinati a scontrarsi per motivi geopolitici, se non metastorici. Tale idea preconcetta è frutto di una visione distorta, superficiale e retorica che preferendo alimentarsi con la storia delle guerre, si dimentica di considerare gli eventi bellici nel contesto di un continuum ricco e profondo, integrato da strette relazioni economiche, commerciali, culturali e diplomatiche, tutte positive. Un altro pregiudizio è quello che sostiene che l’Islam si sia sempre e soltanto imposto con il conflitto bellico. In realtà, se la marea islamica si è estesa tra i secoli VII e X dall’Arabia fino al Maghreb e alla Spagna a ovest, fino all’India e all’Asia centrale a est, fino all’Anatolia a nord e, al sud, fino ai confini dell’Etiopia, superando qualsiasi ostacolo, lo si deve in parte al fatto che, sia nell’impero bizantino che in quello mazdeo, l’Islam fu in grado di risolvere tutta una serie di conflitti interni. Le popolazioni, stanche della tirannia o del degrado dei vecchi sistemi, accolsero i musulmani come liberatori e in molti si convertirono. A quel punto, il nuovo impero islamico era ormai troppo esteso per un’aristocrazia araba numericamente ridotta. D’altra parte, il carattere universalista ed egualitario della umma musulmana, pur attribuendo alla tradizione araba la primazia indiscutibile del ruolo privilegiato della famiglia del Profeta e della conservazione rigorosa dell’arabo come lingua sacra, ammetteva che tutti coloro che abbracciavano la vera fede potessero convertirsi, a pieno titolo, in fratelli degli altri credenti, al di là di qualsiasi differenza etnica, linguistica o di altra natura. Ciò permise che i non Arabi, soprattutto i Persiani, ma anche i Bizantini, si radicassero profondamente nella umma, e la relazione tra mondo arabo e mondo iraniano sviluppò un’efficace sintesi, tra il II e I secolo a.C., analoga a quella che si era già vista con il mondo romano e quello greco. Fu soprattutto la sintesi bizantino-arabo-iraniana che creò la grande tradizione culturale musulmana: quella di Al Biruni, Avicenna e Al-Razi.

PAGINE 8 E 9. Belvedere di Daraxa o Lindaraja, nell’Alhambra di Granada. NELLA PAGINA ACCANTO. Sure del Corano in

un manoscritto dipinto a tempera del 1389 (Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera).

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LA RIVELAZIONE. Miniatura

ottomana del XV secolo che illustra la rivelazione del Corano a Maometto da parte dell’arcangelo Gabriele, nella caverna del monte Hira (Museo Topkapi, Istanbul) Nella pagina accanto, la Kaaba rappresentata in una miniatura di un trattato astrologico turco del secolo XVI (Biblioteca Nazionale, Parigi).

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LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE Nell’Arabia preislamica all’inizio del primo millennio, i culti religiosi si influenzavano tra di loro. Le credenze mitico-religiose importate dalla Mesopotamia e basate sulla divinizzazione degli astri e l’adorazione delle pietre bethelim, “dimore di Dio”, convivevano con le credenze cristiane monofisite o nestoriane, così come con il Giudaismo. Ma un siffatto panorama stava per essere stravolto dall’arrivo di un nuovo profeta.

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slam è un termine arabo che indica la fede religiosa di tutti coloro che, in virtù della stessa religione si definiscono islamici o, per dirla in maniera più appropriata, musulmani. Si tratta di una fede a carattere universale e, pertanto, non è vincolata ad alcun gruppo etnico eletto o privilegiato. Tuttavia, da un punto di vista storico, nacque tra la seconda e terza decade del VII secolo nella penisola arabica, e arabo era anche Maometto (o Muhammad), l’uomo che, secondo la tradizione musulmana, fu scelto da Dio per diffondere agli uomini il Verbo Divino, che gli era stato rivelato in arabo. Questa lingua, quindi, è la lingua sacra dell’Islam, e la

penisola arabica è la sua Terra Santa. In quel luogo sono sorte le due città sante: La Mecca, che ospita la Kaaba, il santuario più importante per la fede islamica, al quale ogni buon musulmano dovrebbe fare visita in pellegrinaggio almeno una volta nella vita, e Medina, dove è stato seppellito il Profeta. Oltre un millennio prima di Gesù Cristo, l’area corrispondente alla penisola arabica e alla frangia desertica che da nord si estende dal Golfo di Aqaba (a est della penisola del Sinai) fino alla Siria, costeggiando la piana del Giordano, andò incontro a uno strano destino. Arida e desertica, l’area era abitata soprattutto da po13


LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

IL PROFETA MAOMETTO E LA NASCITA DELL’ISLAM Anno 570

Nasce Maometto a La Mecca. Appartiene alla tribù dei Quraysh, dedita soprattutto al commercio. Anno 610

Maometto comincia la predicazione pubblica, nonostante l’ostilità dell’oligarchia meccana nei confronti del suo messaggio. Anno 618

Viaggio di Maometto da La Mecca a Gerusalemme, in cielo e all’inferno, per poi ritornare infine a La Mecca. Anno 622

Emigrazione (ègira) di Maometto e i suoi discepoli verso la città di Yahtrib (Medina). Anno 627

Battaglia del Fossato. Oltre 10.000 Meccani vengono sconfitti durante l’attacco a Medina. Anno 630

La Mecca si arrende a Maometto, che ordina di distruggere gli idoli custoditi nella Kaaba. Anno 632

Maometto compie il suo ultimo pellegrinaggio a La Mecca (marzo). Muore l’8 giugno.

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poli nomadi che, divisi in clan, erano dediti all’allevamento transumante da un’oasi all’altra di dromedari, pecore e capre. Dalla parola araba che li identifica, sappiamo che si chiamano beduini (bedu, abitante del bidwa, “la solitudine”, ossia il deserto). D’altro canto, pare che un termine semitico ancora più antico, habiru, definisse già nell’antichità questa popolazione che, composta in parte da pastori, in parte da briganti e in parte da guerrieri mercenari, era solita muoversi per queste immense terre desolate. Risulta, quindi, che tale parola sia la radice etimologica sia di “ebreo” che di “arabo”. Amanti assoluti della propria libertà, i beduini erano sempre coinvolti in guerre tribali, che scoppiavano per ragioni di vendetta, le cui origini sorgevano da reciproci saccheggi di cibarie o rapimenti di donne. Tali popolazioni nomadi distinguevano i propri clan in gruppi settentrionali (Nizariti, Qaysiti) e meridionali (Yemeniti). Li univa, però, una lingua comune, di ceppo semitico, legata a una ricca tradizione poetica orale.

L’attività commerciale Oltre all’attività pastorizia, all’allevamento e ai saccheggi, i beduini vivevano anche di commercio. A dir la verità, ciò costituiva un paradosso: la penisola arabica era divisa in aree, ciascuna delle quali si trovava sotto il controllo di una tribù che riconosceva unicamente l’autorità del suo sceicco (sheij:“vecchio”, “signore”), che veniva eletto liberamente e riconosciuto dal gruppo di anziani, e tra i suoi compiti dirigeva e garantiva il passaggio delle carovane sul suo territorio. Allo stesso tempo, le continue lotte tribali facevano sì che, nelle regioni abitate dai beduini, non ci fossero, in pratica, territori sicuri. La penisola arabica era l’area di convergenza di una serie di vie terrestri e di rotte marittime che univano terre e mari di grande importanza per le attività commerciali che vi si svilupparono fino al III millennio a.C. Dall’India e dal sud-est asiatico arrivavano, attraverso l’Oceano Indiano, le mercanzie – i profumi – che venivano sbarcate al sud della penisola (Golfo di Aden) e quindi, dopo averne percorso la costa sudoccidentale (l’Hegiaz), arrivavano nei centri siriomesopotamici e nei porti del Mediterraneo. La rotta commerciale che questi prodotti seguivano era quella nota come la “Via dell’Incenso” o “Via delle Spezie”. Da lì passavano anche le merci che provenivano dall’Africa orientale o dall’Etiopia, e che attraversavano lo stretto di Bab el Mandeb, così come anche i profumi che venivano prodotti nell’estremo meridionale della penisola arabica, il ricco e fertile Yemen che i Romani chiamavano Arabia Felix.

L’Arabia ai tempi di Maometto All’epoca della nascita di Maometto, la penisola arabica era attraversata da profondi cambiamenti politici e sociali, in gran parte motivati dal declino degli imperi del nord e dalla crescente importanza e influenza del commercio. A nord, l’impero bizantino e la Persia dei Sasanidi – che combattevano per il controllo della Via della Seta – disponevano entrambi di stati vassalli: quello dei Banu Ghasan o Ghassanidi e quello dei Banu Lakhm o Lakhmidi. A sud, la lotta per il dominio sulle reti commerciali della penisola avrebbe condotto alla conquista dello Yemen, la Arabia Felix, da parte dei Sasanidi nell’anno 572. I conflitti bellici causarono il declino del commercio tra l’Oceano Indiano e il Mar Rosso, motivo per cui assunsero maggior importanza le rotte terrestri della regione, che avevano ne La Mecca uno dei principali centri mercantili e religiosi, dato che lì si trovava il grande santuario politeista della Kaaba. D’altra parte, fu ne La Mecca che la crescente attività commerciale minò i valori tradizionali dei clan beduini, come la solidarietà; in quei luoghi, in un tale clima di progressiva disintegrazione culturale, nacque Maometto, il profeta della nuova fede, in seno alla tribù dei Quraysh, la più potente della città.

Lungo la Via dell’Incenso, nelle rare oasi che sorgevano nei pressi di sorgenti d’acqua, crebbero fiorenti alcune città carovaniere splendide, come Petra, Palmira, Baalbek, Yerash (Gerasa) e Bosra che, oltre a un’intensa seppur limitata attività agricola, dovevano al commercio la loro leggendaria fortuna. L’equilibrio millenario di quest’area dipendeva dalle relazioni tra gli abitanti della città, dunque stanziali, e le tribù nomadi del deserto.

Crocevia di tre imperi Si è parlato dell’”inspiegabile miracolo musulmano”: come poté sorgere in un ambiente così inospitale e soprattutto periferico, una fede destinata a rivoluzionare il mondo? Basta la sola esistenza in questa zona della Via dell’Incenso e delle città carovaniere per spiegare questo fenomeno? Sicuramente sì, sempre che si tenga presente che il carattere periferico della penisola arabica aveva anche un’altra caratteristica. Questa terra era il cardine che univa i tre grandi imperi euro-afro-asiatici dell’antichità e, in effetti,


Impero bizantino

Antiochia Rages

Palmira

SIRIA Damasco Cesarea

Battaglie Susa

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EGITTO

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Deserto della Siria

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PA L E S T I N A

Gruppi tribali

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MAR MEDITERRANEO

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si trattava di zona periferica, ma valeva per ciascuno degli imperi e per tutti quanti insieme. L’impero romano d’Oriente, che conosciamo normalmente come “bizantino”, aveva mantenuto fino al VI secolo la politica imperiale romana di egemonia sul Vicino Oriente fino all’Eufrate. Doveva però contrastare un rivale, nonché formidabile concorrente: l’impero persiano della dinastia sasanide, che nel III secolo aveva sostituito quello dei Parti (o dei Medi, ossia quello iraniano settentrionale) della dinastia degli Arsacidi. Nel tentativo di contenere i Persiani, i Bizantini avevano favorito il sorgere di un regno arabo sotto la dinastia dei Ghassanidi, cristiani monofisiti. Tale regno comprendeva le città di Petra e Palmira. I Persiani, da parte loro, avevano appoggiato l’ascesa di un altro regno arabo rivale, quello dei Lakhmiti, cristiani nestoriani, la cui capitale era la città di Al Hira (nell’attuale Irak). Nel VI secolo, il regno etiope di Aksum, valoroso alleato di Bisanzio e centro di una ricca cultura cristiana monofisita (chiamata così perché riconosceva solamente la natura divina di Gesù Cri-

sto), si era impossessato dello Yemen. I Persiani non riuscirono a conquistarlo e a stabilire la propria egemonia sul territorio se non alla fine del secolo. La guerra etiope-persiana che si scatenò nello Yemen colpì in maniera forte l’economia yemenita, distruggendo il sistema di dighe e canali da cui dipendeva la straordinaria fertilità di quelle regioni, che consideravano l’acqua un bene così prezioso da essersi meritate l’appellativo latino di Arabia Felix. Ciò cambiò seriamente lo stile di vita dei beduini, abituati a ricorrere alle oasi yemenite per ottenere cibi freschi e prodotti agricoli utili al proprio sostentamento. La diminuzione significativa dell’area coltivabile costrinse anche tanti yemeniti a emigrare al nord, per cui l’importanza di quelle città carovaniere situate a metà del cammino tra Yemen e Damasco, come La Mecca e Medina, aumentò rapidamente.

Giudei e cristiani Tra le popolazioni della penisola arabica, il Cristianesimo aveva una diffusione moderata: gli Etiopi avevano sostenuto con fermezza il Mono-

LA MOSCHEA DEL PROFETA. La Masyid

an Nabaui – la moschea del Profeta – in un azulejo ispano-arabo del secolo XV (Museo dell’Arte Islamica, Il Cairo). 15


LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

TOMBE NABATEE.

Vennero costruite nell’antica città di Madain Saleh (chiamata anche Al Hiyr, “luogo della roccia”), a 400 km a nord-est di Medina. L’oasi, nel cammino che collega Petra con il Mediterraneo, venne occupata dal III secolo a.C. e i suoi pozzi la trasformarono nella città più popolata dell’Arabia del I secolo.

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fisismo nella regione, che nel nord-est era penetrato anche dalla Siria, nonostante gli imperatori bizantini perseguissero con durezza qualsiasi eresia. Nel frattempo, sotto l’egida persiana, c’era stato nel VI secolo un notevole progresso del Nestorianesimo (per i nestoriani, in Cristo non convivevano due nature in una stessa persona, così come affermava la dottrina ortodossa, bensì erano due persone, una divina e un’altra umana). Sebbene i cristiani non fossero numerosi nelle città, esercitavano una discreta influenza sui commercianti arabi nomadi che, a causa dei loro affari, visitavano regioni in cui i cristiani erano ampiamente rappresentati, come la Siria, la Palestina, l’Irak e l’Egitto. Esistevano anche alcune tribù beduine che erano totalmente cristiane, specialmente nel nord della penisola, e che rimasero tali per molto tempo. Altrettanto numerose erano inoltre le comunità giudaiche in città, come La Mecca e Yahtrib (così era chiamata Medina prima dell’Islam). In generale, erano composte da commercianti, artigiani e agricoltori, soprattutto viticoltori. Esiste-

vano comunque anche gruppi di giudei nomadi. Si può dire, in sintesi, che il Cristianesimo e il Giudaismo erano ben rappresentati tra la popolazione stanziale nelle città carovaniere, mentre i beduini – pur condividendo a grandi linee la fede nel Dio di Abramo – professavano piuttosto culti ricchi di idoli e superstizioni. Tuttavia, tra di loro c’erano anche numerosi hanifi, ovvero “uomini di Dio”, che aspiravano a una religiosità più elevata e raffinata e che erano seguaci di un rigoroso monoteismo.

Il politeismo Gli Arabi ereditarono dagli antichi regni dei Moabiti, Edomiti e Nabatei, che da un punto di vista etnico erano popolazioni simili ad essi, tutta una serie di riti e culti, specialmente astrali, oltre a numerose figure mitologiche, soprattutto femminili, vicine alle divinità di origine babilonese o fenicia. Tuttavia, gli Arabi e in particolare i beduini che, trasferendosi da un luogo a un altro, erano obbligati ad assimilare velocemente usi e costumi delle popolazioni con cui


entravano in contatto, furono profondamente influenzati anche da quella popolazione che per ragioni di etnia, lingua e tradizione, era la più affine a loro: il popolo ebraico. Si può dunque affermare che nel VI secolo la maggior parte degli Arabi professasse una sorta di monoteismo imperfetto: la loro fede era centrata sull’unico Dio della Bibbia – che, d’altra parte a quanto sembra, era noto soltanto attraverso la tradizione orale – ossia il Dio di Abramo, progenitore comune di Ebrei e Arabi, secondo quanto narrato dalla Genesi, e dal nome di Allah, parola simile al termine ebraico Elohim e con lo stesso significato etimologico (El: la Forza, il Potere). Insieme al culto di El, comunque, si conoscevano e professavano ancora altri culti idolatrici, tra i quali spiccavano quelli dedicati ai bethelim, ossia le pietre di origine celeste (di solito erano meteoriti), che si pensava fossero “sede della forza di Dio” (come il significato della parola stessa, beit-El). Il bethel più noto era la Pietra Nera che si conservava alla Mecca. Si diceva fosse stata trasportata

fin lì dall’Arcangelo Gabriele e che, in origine bianca, si fosse poi scurita a causa dei peccati degli uomini. Nel sacro santuario della Kaaba, in cui era custodita, si riunivano periodicamente le varie tribù beduine. Un tale evento contribuì a trasformare La Mecca, già allora città carovaniera, in un centro mercantile ancora più prospero e ricco. Il santuario non aveva veri e propri sacerdoti: c’erano i kahin (“veggenti”, “indovini”: il loro nome assomiglia all’ebraico cohen, “sacerdote”). Con Allah, il Dio Creatore, e sottomesse direttamente a El, almeno nell’Arabia centrale, si veneravano le tre divinità femminili chiamate banat Alá (“figlie di Allah”): Al Uzá (la “Potente”), Al Lat ( la “Dea”) e Al Manat (“il Destino”). Ancora più sotto stava Iblis, che si identificava con Shaitan, il diavolo, e gli jinn, esseri demoniaci non sempre necessariamente malvagi: non erano veri e propri spiriti, bensì creature fatte di fuoco fatuo. Questo stato di monoteismo imperfetto, accompagnato da una fase religiosa di origine idolatrica, viene chiamato dai musulmani con il

L’ARABIA FELIX.

Frammento di un capitello del palazzo di Shabua, la capitale del regno di Hadramaut, nell’attuale Yemen, l’Arabia Felix dei Romani (sec. III a.C.; Museo Nazionale, Adén).

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LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

Le tre divinità femminili dei culti religiosi preislamici Insieme a Dio (Allah), la religione preislamica araba venerava altre divinità locali. Le più importanti erano Al Lat (“la Dea”), Al Uzà (“la Potente”) e Al Manat (“il Destino”). Erano considerate le tre figlie di Dio ed erano talmente radicate che Maometto, all’inizio della sua predicazione, le assunse come intermediarie divine; subito dopo, però, emendò l’errore dottrinale e le eliminò (Corano, 53:19-20). Al Lat, solare, dea tutelare dei Taqif, era la dea più importante, quella della rinascita annuale del mondo. Al Manat era venerata da diverse tribù e il suo santuario si ergeva a metà del cammino tra La Mecca e lo Yemen. Al Uzà, tutelare dei Nabatei e dei Quraysh, con santuario ad Al Hurad, sulla via La Mecca-Irak, dimorava in un’acacia sacra, davanti alla quale si facevano sacrifici di cammelli. La Mecca, nome che deriva dal sabeo makuraba (“santuario”), sorse come nucleo cerimoniale del politeismo semitico arabo, al cui centro si ergeva la Kaaba, con una pietra nera d’origine celeste (un meteorite) al suo interno e una cappella dedicata ad Al Uzà, identificata con il pianeta Venere. Fu la Inanna dei Sumeri, la Ishtar degli Accadi-Babilonesi e l’Astarte o Asherah dei Cananei: dea dell’amore e della procreazione di esseri umani e animali. Anche i Giudei la venerarono fino al III secolo a.C. insieme a Jahvè e vari baali. A sinistra, statua seduta, realizzata in marmo (forse Al Uzà), dei secoli I-III a.C., rinvenuta ad Hatra (Museo Nazionale dell’Iraq, Baghdad).

nome di yahiliya, che significa “età dell’ignoranza”, espressione che definisce il mondo arabo preislamico.

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vide la luce per la prima volta. Inoltre, l’abitudine di calcolare con precisione gli anni di vita degli individui è molto moderna e neanche oggi è diventata di uso familiare tra le popolazioni della penisola arabica. Più affidabile sembra essere il dato sull’anno della morte del Profeta, il 632, dieci anni dopo l’ègira. In realtà, l’anno di nascita più probabile per Maometto, il 570 o 571, fu un anno importante per la penisola arabica. Fu il cosiddetto “Anno dell’Elefante”, ossia l’anno di una famosa marcia verso la Mecca dell’esercito etiope, che avanzava con un pachiderma che rimase impresso nella memoria collettiva araba. Figlio postumo, Maometto visse la sua infanzia e la sua giovinezza sotto la tutela dello zio Abu Talib. Fu pastore e cammelliere e viaggiò con le carovane della sua famiglia, arrivando a nord nei pressi della città di Bosra, dove, secondo una leggenda molto più tarda, un monaco siriano, cristiano monofisita, Bahira, lo identificò dopo una visione notturna come il profeta di Dio annunciato nella Bibbia. È probabile che il giovane Maometto sia entrato in contatto con alcuni di quegli uomini pii detti hanifi, esperti nelle scritture ebraiche e cristiane e tendenti a un monoteismo rigoroso e, quindi, nemici delle superstizioni idolatriche e astrologiche che circolavano a quei tempi. La sua vita prese una direzione più positiva intorno all’anno 595, quando si sposò con Jadiya, una donna di quindici anni più anziana di lui, che era rimasta vedova due volte ed era l’agiata proprietaria di un’impresa mercantile. Per molto tempo, Maometto era stato amministratore dell’imprenditrice e aveva intrapreso molti viaggi al suo servizio. Da questo matrimonio, nacque la sua figlia prediletta, Fatima.

Maometto, i suoi primi anni

La rivelazione

Intorno all’anno 610, la vita degli abitanti della Mecca fu turbata dalle predicazioni di un certo Maometto, o Muhammad, il quale era membro del clan dei Banu Hashim della potente tribù dei Quraishiti, custodi di alcuni culti e idoli maggiormente venerati alla Mecca e, in particolare, della divinità lunare Hubal. Di Maometto, figlio di Ibn e di Amina, si sa veramente poco e quel poco che si conosce proviene dalle informazioni fornite dal Corano e dal racconto agiografico conosciuto come Sira, che fu redatto in due parti vari decenni dopo la morte di Maometto. La stessa data di nascita, l’anno 570, è dedotta da una congettura: dato che le sue prime esperienze mistiche risalgono all’anno 610 e sapendo inoltre che, quando iniziarono le sue predicazioni, il Profeta aveva circa quarant’anni, si è dedotto approssimativamente l’anno in cui

Circa quindici anni dopo il matrimonio, Maometto cominciò a manifestare i primi segni della sua vocazione: lunghi ritiri spirituali e più tardi visioni di angeli e voci che gli parlavano. È il segno della scoperta della vocazione profetica secondo la stessa Bibbia. Le manifestazioni divine erano accompagnate da febbri, tremori, sintomatologia simile a quella delle convulsioni e crisi epilettiche. Era solito ritirarsi per pregare nei pressi di una piccola collina vicino alla Mecca, il monte Hira. Lì, in una grotta, una notte dell’anno 611, l’arcangelo Gabriele lo svegliò dal sonno per salutarlo in modo simile a come sei secoli prima aveva fatto con Maria di Nazareth secondo il Vangelo, e gli disse: «Sei l’inviato di Allah, il Suo Profeta!» Allora l’arcangelo gli presentò un libro avvolto in un panno bordato e lo sollecitò a leggere, con un ordine pressante: «Iqrah!» (Leggi!).


MAOMETTO, IL PROFETA DELL’ISLAM Ascensione Secondo la tradizione musulmana, nell’anno 620, il Profeta compì un viaggio noto come Isra e Miraj. La prima delle due parole si riferisce al passaggio miracoloso da La Mecca a Gerusalemme, nel luogo in cui attualmente sorge la Cupola della Roccia. Da lì ascese in cielo (Miraj) in sella al cavallo alato Burak. Attraversò i sette livelli, incontrò i precedenti profeti, Abramo, Mosè e Gesù, e si unì a Dio. A destra, l’ascensione di Maometto in un acquerello su pergamena risalente al sec. XVI (Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo).

Ègira Tra gli anni 610 e 622, molti fedeli perseguitati a La Mecca furono costretti a emigrare e Maometto fu oggetto di diversi attentati. I fedeli di Medina lo invitarono a trasferirsi lì e ad assumere l’incarico di mediatore tra le tribù rivali degli Aus e dei Kahzrag. La dottrina islamica ben si adattava alla tradizione delle tribù dei Qurayshiti, dei Qanuqa e dei Nadir; i fedeli di Medina speravano che Maometto riuscisse a unificare i clan intorno alla nuova fede. La fuga (ègira) verso Medina ebbe luogo il 16 luglio del 622, primo giorno del calendario musulmano e dell’era islamica.

Morte Nell’anno 10 dell’ègira (il 632), dopo aver diffuso l’Islam in Arabia, Siria e Palestina, e aver conseguito la vittoria nella guerra contro i signori de La Mecca, Maometto si mise a capo del pellegrinaggio, non solo come guida spirituale ma anche come restauratore della religione di Abramo (Corano 2: 119-121) . Questo “pellegrinaggio dell’addio” come si è soliti chiamarlo, fu l’unico che poté compiere in vita. Di ritorno a Medina, dopo essere venuto a conoscenza della sollevazione di molte tribù e falsi profeti, morì di “febbre” il 13 di Rabi’l (8 giugno 632), durante i preparativi per la campagna militare.

IL NOME DI MAOMETTO L’Islamismo vieta il culto degli idoli, sia come statue pagane che come rappresentazione divina. Nel IX secolo la teologia mutazila introdusse la iconofobia che, per quattro secoli, bandì le immagini antropomorfe, anche nei libri e nell’arte laica. Al suo posto, si ricorse all’arte calligrafica che vide nel nome del Profeta (a sinistra) uno dei temi preferiti.

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LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

La figura di Maometto nella tradizione letteraria occidentale A causa dell’origine africana, egizia o ispanica dei conquistatori islamici, gli studiosi cristiani considerarono l’Islamismo una nuova eresia del Cristianesimo e i primi testi prodotti riguardavano non tanto la dottrina musulmana, quanto piuttosto la figura del Profeta. La fonte primaria della rappresentazione di Maometto fu il libro del musulmano Hunain Ibn Ishaq (sec. VIII) che il bizantino Teofane il Confessore tradusse in greco nella sua Cronografia (sec. IX). Cinquant’anni più tardi, Anastasio il Bibliotecario la tradusse in latino e la inserì nella Cronografia tripartita con quelle di Niceforo e di Sincello. Da quel momento, l’aspetto eretico cristiano fu predominante nella letteratura ecclesiastica, che trasformò Maometto in un vero esempio di eterodossia. Guiberto di Nogent nella sua Dei gesta per Francos (cronaca della prima crociata), si inventò una trama romanzata: Bahira il Siriano, monaco cristiano indispettito per non aver ottenuto la cattedra patriarcale di Alessandria, istruì Maometto, uno dei suoi discepoli, su come vendicarsi della Chiesa. Ildeberto di Tours, altro scrittore dell’epoca, descrisse Bahir come un mago e Maometto come un imbonitore da fiera. Per secoli queste calunnie vennero considerate verità storiche. Pietro il Venerabile riteneva che Maometto fosse guidato dal diavolo e che i suoi seguaci, i musulmani, fossero infedeli o traditori della fede cristiana. L’abate Gioacchino di Fiore (sec. XII) lo considerò la prefigurazione dell’Anticristo e spiegò a Riccardo Cuor di Leone che le sette teste del drago dell’Apocalisse erano i grandi persecutori della Chiesa: Erode, Nerone, Costanzo, Maometto, Saladino e Mesemoto, oltre a un personaggio dell’impero romano. Innocenzo III lo identificò con la Bestia. Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, lo presenta come un eretico cristiano.

I SETTE PERSECUTORI DELLA CHIESA. Pagina del Liber Figurarum di

Gioacchino di Fiore con il disegno del drago a sette teste dell’Apocalisse, di cui una rappresenta Maometto (Basilica di San Pietro, Perugia).

Da quel momento, il monte Hira cominciò a essere conosciuto come al jabal an Nur (“monte della Luce”). Tutto accadeva, come dicono i musulmani, laylat al qadr, «nella notte del Destino». All’inizio, Maometto rivelò le sue esperienze soltanto a poche persone fidate, tra le quali suo cugino Alì, figlio di Abu Talib, e i suoi parenti Othman e Abu Bakr, che in seguito sarebbero stati suoi vicari e successori (califfi). Fino alla fine della seconda decade del secolo VII, Maometto non cominciò la sua attività di predicazione in pubblico, che si basava fondamentalmente sulla rivelazione monoteista: proclamava la sua fede in un unico Dio, del quale si riconosceva come “inviato” (rasul) per proseguire e concludere il messaggio dei profeti, da quelli biblici fino a Gesù. Le sue predicazioni furono segnate in principio da un tono assai duro e apocalittico e dalla ferma opposizione alle tradizioni idolatriche, che costituivano tuttavia uno dei motivi di prosperità della Mecca; egli fu avversato con violenza dall’aristocrazia mercantile della città, la quale otteneva enormi benefici economici dall’intenso pellegrinaggio alla pietra di Kaaba. 20

La morte dello zio Abu Talib e della moglie Jadiya gli fecero venir meno protezioni influenti e affrettarono la sua decisione di abbandonare la città. Nel frattempo, qualche suo seguace aveva già intrapreso la fuga verso l’Etiopia.

L’ègira e la predicazione Perseguitato dai potenti della Mecca, nell’anno 622, Maometto trovò protezione nella città carovaniera di Yahtrib, da lì non molto lontana, che accolse il suo messaggio. Si trattava della hichra, “emigrazione”, termine italianizzato in ègira. Secondo la tradizione, il 16 luglio è il giorno riconosciuto come data di questo evento, in cui Maometto cominciò realmente la sua attività di predicatore, profeta e conquistatore. Per tutti i Paesi musulmani, l’anno 622 sarebbe diventato quello dell’inizio della nuova era. La nuova fede obbligò a una nuova impostazione del calendario, che si basava sull’anno di 354 giorni, ordinati in dodici mesi lunari (nel Corano, sura IX, at Tawba, “Il pentimento” o “La disapprovazione”, 36-37)


A Yahtrib, il Profeta allacciò relazioni di fratellanza tra i muhayirun (“gli emigranti”, che lo avevano seguito fin dalla Mecca) e gli ansar (i nuovi alleati nella città che Maometto aveva eletto come luogo di residenza) e contrasse matrimonio con Aisha, figlia di Abu Bakr. Da quel momento Yahtrib cominciò a essere nota come Al Madina, Medina (in arabo, “la Città” per eccellenza, per essere la preferita del Profeta). Da lì diede il via alla conquista di tutta la penisola arabica, compresa La Mecca, e, in seguito, delle aree circostanti. A Medina, a cavallo della sua cammella sacra Al Qasu – il cui orecchio tagliato la rendeva animale sacro secondo la tradizione beduina – Maometto delimitò l’area del primo masyid, “luogo di prostrazione” (da cui proviene il termine moschea). Nel frattempo, si cominciava a palesare lo scontro con le ricche comunità ebraiche influenti della penisola arabica, che si erano insediate nelle città carovaniere da quando, nell’anno 135, l’imperatore Adriano aveva distrutto il tempio, raso al suolo Gerusalemme e imposto ai Giudei l’esilio

(avvenimento noto come “Diaspora”). Fino a quel momento, Maometto aveva considerato i Giudei con una certa simpatia, riconoscendo loro il ruolo di popolo eletto da Dio e ammirandone il rigoroso monoteismo. In un secondo tempo, tuttavia, non mancarono episodi di persecuzione, come d’altra parte accadde anche con le comunità cristiane, prima che entrambe le confessioni venissero regolamentate da uno statuto che ne permetteva la professione in terra musulmana.

Il ritorno alla Mecca

IL TAUAF DE LA MECCA. Il tauaf è la

cerimonia fondamentale del pellegrinaggio a La Mecca. I pellegrini devono compiere sette giri intorno alla Kaaba in senso antiorario. Coloro che non riescono ad accedere al recinto sacro, compiono giri perimetrali nelle gallerie coperte.

Da Medina, l’autorevolezza di Maometto si impose ben presto su tutta la penisola grazie al profondo carisma delle sue predicazioni e alla forza inarrestabile delle sue vittorie militari sulle tribù che si ostinavano a non accogliere il messaggio monoteista. Nel gennaio dell’anno 630, era ormai ben chiaro che nessuno avrebbe potuto opporsi al nuovo credo. Anche gli abitanti della Mecca vennero sottomessi, così come molte tribù beduine. In questo modo, il Profeta poté tornare nella sua città accolto con trionfo. 21


LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

Le potenti tribù della Mecca, tuttavia, non cedettero alla sua autorità prima di aver siglato un accordo con cui, inevitabilmente, Maometto si presentava come leader carismatico, la cui autorità ricordava enormemente quella del Mosè della Bibbia: legislatore, condottiero militare e dirigente politico in nome di Dio. Gli stessi cittadini, che lo avevano cacciato e che ora lo accoglievano, gli richiesero garanzie affinché potessero mantenere il proprio prestigio e le proprie ricchezze. Forse per favorire gli abitanti della Mecca, forse per marcare con chiarezza la differenza tra la nuova fede monoteista e gli altri due monoteismi abramidi, ovvero Ebraismo e Cristianesimo, Maometto nominò La Mecca come prima città più importante, la Città Santa, al posto di Gerusalemme, anche se al Quds, “la Santa” (appellativo arabo di Gerusalemme) continuerà ad essere nel tempo un’enclave fondamentale della geografia islamica. Il santuario della Kaaba, spogliato degli idoli che conteneva, a eccezione della Pietra Nera, divenne da quel momento il centro sacro dell’Islamismo e la meta dell’hayy, il pellegrinaggio obbligatorio per tutti i musulmani. Inoltre, si stabilì che la preghiera rituale dovesse essere recitata con il volto orientato in direzione della Kaaba. In pratica, La Mecca divenne, con Maometto, il centro del mondo.

L’eredità di Maometto

Alì, genero e cugino di Maometto, e mancato successore del Profeta Alì, figlio di Abu Talib, custode de La Mecca, sposo di Fatima, figlia prediletta di Maometto, e cugino del Profeta, poeta, guerriero e santo, possedeva tutte le qualità per succedergli, ma non fece mai nulla per farsi nominare da Maometto come suo successore. Il Profeta, provato dalla malattia, morì tra le braccia di Aisha, figlia di Abu Bakr, che si curò dell'agonia del suo sposo. Una volta morto Maometto, Abu Bakr, padre di Aisha, divenne il primo califfo. Gli successe Omar, che realizzò grandi conquiste, ma una schiava persiana lo ferì a morte nel 644 e Omar, in fin di vita, pronunciò i nomi di sei suoi compagni che avrebbero potuto succedergli, ma non fece il nome di Alì. Othman, del clan dei Qurayshiti, venne eletto, e si assistette al primo scisma. Othman venne assassinato e Alì si proclamò califfo, ma Muauiya lo accusò di essere l’istigatore dell’omicidio di Othman. Entrambi gli eserciti si scontrarono a Siffin. Muauiya vinse la battaglia e i sostenitori di Alì si divisero, dando vita al kharigismo. Alì si ritirò e Muauiya si proclamò califfo di Damasco, abbandonando così Medina, la prima capitale. Da quel momento, la comunità islamica (umma) rimase divisa in tre fazioni: sunnita, sciita e kharigita. In alto, Alì in un dipinto murale del sec. IX nel mausoleo di Fatima al Masuma a Qorn (Irak).

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Nonostante la riconciliazione con le famiglie della Mecca, il Profeta aveva mantenuto un forte vincolo di gratitudine e di affetto con la popolazione di Medina. Quando si ammalò, quindi, mentre era ormai prossimo a morire, volle ricevere sepoltura a Medina. Morì l’8 giugno dell’anno 632. La sua fortuna, ma anche la grande abilità di Maometto, nasceva dall’incontro positivo con le tribù beduine, che avevano abbracciato la nuova fede nella quasi totalità dei suoi principi. La sua forza consisteva nell’aver offerto a queste tribù un credo e, di conseguenza, un ideale comune al quale ispirarsi, sottraendole a quella violenta spirale di vendette tribali che le vedeva costrette a guerre sanguinose e continue. La prassi della vendetta tra tribù continuò comunque a sussistere, e rimase in particolare legata alla vita nomade, ai saccheggi dei bottini e al possesso dei pozzi situati nel deserto. Grazie ai beduini, alla loro etica basata su una grande lealtà personale e familiare, su di un coraggio militare enorme, su un valido senso dell’onore e anche su di un’estrema parsimonia, il Profeta poté forgiare un vero impero in pochi


anni. Il saccheggio, che i beduini consideravano un diritto e un motivo di vanto oltre che fonte di sussistenza, divenne una delle norme fondamentali della nuova religione. La jihad, lo “sforzo verso ciò che è grato ad Allah”, si configurava in questo modo come un impegno di guerra, e il suo scopo ultimo non era la conversione degli infedeli – dato che la conversione doveva essere il risultato di una scelta libera e personale, impossibile da imporre con la forza – bensì la sottomissione ai veri credenti (i muslimun), ai quali bisognava pagare un tributo e la cui superiorità si era obbligati a riconoscere. Maometto è stato un grande sayid, o “signore della guerra” e un saggio rais , o “capo”. Era considerato dai suoi soprattutto un nabì, un “profeta”, paragonabile ai profeti di Israele e a Gesù, che per i musulmani era stato il più grande di tutti. Maometto era definito il rasul, l’“Inviato”, al quale Dio aveva trasmesso direttamente la Sua parola. Con Maometto, Allah rinunciava a inviare tutti quei profeti che erano stati periodicamente oggetto di scherno e che erano stati spesso

rifiutati, perseguitati e anche assassinati. Maometto era il “sigillo della profezia”, l’ultimo e definitivo profeta del Dio.

La Persia, ai confini dell’impero Nei secoli I e II, la Roma imperiale aveva stabilito il proprio dominio sul fronte sirio-persiano, assorbendo anche molti territori vassalli. Le regioni di frontiera che erano finite sotto l’autorità di Roma erano state sottratte all’area di influenza dei Parti, che erano sciiti originari dell’area compresa tra i monti Elburz, il fiume Amu Daria, il mar Caspio e il deserto iraniano, zona che era passata sotto il potere dei Persiani nel sec. III a.C. Negli anni a cavallo tra i secoli I e II, l’impero dei Parti visse un periodo di gravi difficoltà interne, causate in primis dalla disgregazione del potere centrale, così come anche da una serie di incertezze in ambito sociale e religioso che aveva decisamente favorito i Romani. Senza dubbio però, le potenzialità militari dei Parti non erano assolutamente esaurite e si sarebbero rivelate successivamente, in numerose vittorie.

LA KAABA. Miniatura turca

dipinta all’interno di una scatola a tema geografico che rappresenta un’allegoria della Kaaba. Il santuario è circondato da quattro edifici che simboleggiano le quattro scuole sunnite di giurisprudenza: hanafita, malikita, sciafiita e hanbalita. La miniatura si trova in una mappa del mondo, con La Mecca al centro.

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LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

L’islamizzazione dei Persiani dell’impero sasanide I Sasanidi riconquistarono e ampliarono l’impero distrutto da Alessandro Magno e divennero la massima potenza asiatica per più di quattro secoli. La dinastia fondata da Ardashir sopravvisse alle campagne belliche dell’impero romano, compresa quella del bizantino Eraclio, che attentò alla vita di Cosroe II, conquistatore di Siria, Palestina e Gerusalemme. L’impero sasanide comprendeva gli attuali territori dell’Iran, Iraq, Armenia, Afghanistan, parte del Pakistan, Siria, e la Turchia orientale. La sconfitta e la morte di Cosroe II segnarono l’inizio della decadenza che terminò con le campagne dei califfi Omar e Othman. In dieci anni, l’esercito di Omar sottomise migliaia di città e piazzeforti, distrusse 4.000 chiese o templi degli infedeli e fece costruire 1.400 moschee. Yazdegerd III, nipote di Cosroe II, e nuovo sovrano, non aveva ancora quindici anni quando sfruttò tutto il potere militare che gli restava, un esercito di 130.000 uomini, per combattere Othman che lo aveva attaccato con 30.000 soldati. La battaglia durò quattro giorni: l’esercito di Othman sconfisse l’esercito persiano e pose fine alla dinastia sasanide, distruggendone l’impero e cancellando il mazdeismo. L’Islamismo penetrò nei territori dell’impero persiano e romano con la stessa forza con cui la cultura, l’arte, l’architettura e il pensiero islamico erano stati influenzati dai Persiani Sasanidi e dai Bizantini. A sinistra, vassoio d’argento del sec. V a.C., in parte dorato, su cui è rappresentato un sovrano sasanide, forse Sapore II, mentre è a caccia di cervi (British Museum, Londra).

Quando nel 216, Caracalla invase il regno con l’intenzione di assestargli il colpo di grazia, ciò coincise con un grande evento della storia iraniana: l’ascesa al potere di Ardashir e la nascita di una nuova dinastia regnante, quella dei Sasanidi. Essi non erano Parti, bensì Persiani, imposero una nuova centralizzazione del potere e introdussero, come religione ufficiale, lo Zoroastrismo. Durante gli anni successivi, Ardashir e suo figlio Sapore rafforzarono i propri ruoli e, nell’anno 260, inflissero una sconfitta tremenda all’imperatore Valeriano. Lo scontro tra le due potenze sarebbe continuato con risultati alterni per entrambi i contendenti. Tra gli anni 540 e 562, i Persiani invasero la Siria settentrionale, conquistarono la città di Antiochia, grande e fiorente metropoli, e passarono immediatamente alla conquista dell’Armenia e della Siria orientale. Nel 562 si firmò una nuova tregua, ma soltanto a condizione che il governo bizantino consegnasse ai Persiani un ingente tributo in oro. L’impero romano d’Oriente stava attraversando in quel tempo una profonda crisi econo24

mica, il cui momento più drammatico si registrò tra gli anni 542 e 546, quando una forte epidemia di peste (nota precisamente come la “peste di Giustiniano”) annientò la popolazione della capitale e di tutto il Paese. Pochi anni più tardi, nell’anno 599, una nuova minaccia si profilava a nord-est: Costantinopoli, assediata da un’ondata di invasori unni e slavi, riuscì con molte difficoltà a salvarsi.

Bisanzio e l’Oriente Alla fine del sec. VI, il grande imperatore romano d’Oriente, Maurizio I (582-602), che era anche scrittore e noto teorico di strategia militare, riuscì a contenere in modo permanente, con una serie di azioni militari, la pressione di Avari e Slavi sui Balcani. Allo stesso tempo, era cosciente della situazione critica che si viveva in molti settori dell’impero e, per dare una risposta coerente, fondò, con sedi centrali a Ravenna e a Cartagine, due esarcati, ossia, due province rette da un magistrato speciale, l’esarca, che aveva funzione politica e militare. Le due province di frontiera erano necessarie per contenere la pressione, rispettivamente, dei Longobardi in Italia e delle tribù berbere ancora non sottomesse nell’Africa settentrionale. Allo stesso tempo, Maurizio passò all’offensiva in Oriente e, nell’anno 591, conquistò l’Armenia, terra cristiana dal sec. III , ma che, al tempo stesso, aveva aderito al Monofisismo ed era motivo di contesa tra l’impero e i Sasanidi. Di fatto, l’offensiva persiana riprese nel sec. VII con una serie interminabile di guerre. Le milizie del Gran Re Cosroe II conquistarono Gerusalemme nel 614. La rivalsa romana iniziò con l’imperatore Eraclio (610-641), che riuscì a sconfiggere il potente impero sasanide, ormai in profonda crisi, anche se le sue truppe, alleate con gli Avari, riuscirono ad arrivare fino a Costantinopoli nel 626. Due anni dopo, l’imperatore poté finalmente entrare da vincitore nella Città Santa e occupare la capitale nemica, Ctesifonte, sulle rive del Tigri (628). A partire da questa schiacciante sconfitta, l’impero sasanide entrò in un periodo di grave crisi, sia dinastica che politica. Bisanzio, comunque, non attraversava una situazione migliore, poiché la guerra che aveva condotto contro i Sasanidi, protrattasi per lungo tempo, aveva esaurito praticamente tutte le sue risorse. Nonostante ciò, l’opera riformista di Eraclio ebbe una grande rilevanza. Egli seppe riorganizzare l’amministrazione centrale in logotesie, dipendenti da funzionari detti logoteti, e divise il territorio dell’impero in 32 distretti o themata, governati da strathegos che disponevano di poteri


civili e militari. Organizzò, inoltre, una sorta di milizia territoriale, formata da soldati-contadini, la milizia degli stratioti. I due imperi in crisi erano, tuttavia, sul punto di essere travolti da un inaspettato cataclisma.

Il califfato elettivo Alla morte di Abu Bakr, successore di Maometto e primo califfo dell’Islam, e per sua espressa volontà, fu nominato califfo Omar Ibn al Jatab, dalle spiccate qualità politiche e militari. Nel decennio in cui esercitò il suo califfato, tra gli anni 634 e 644, cominciarono a manifestarsi le prime attività di conquista, che furono anche le più importanti, ai danni di Bisanzio e dell’impero sasanide. A lui si deve un avvicinamento più deciso alle tribù della penisola arabica e, soprattutto, agli Yemeniti, che fornivano le forze di base dell’esercito. D’altra parte, a Omar si deve anche una decisione che non va sottostimata: cosciente della difficoltà insita nell’arrivare a un accordo per la designazione del successore, instaurò il califfato elettivo. Propose così, e ottenne, la for-

mazione di una shura, ossia di un consiglio elettivo, al quale veniva affidato perciò il compito di eleggere il nuovo califfo. Due erano i candidati: Othman, membro del potente clan dei Qurayshiti e due volte genero del Profeta, e Alì, genero e cugino di Maometto. In seguito all’omicidio del califfo Omar, la scelta cadde sul primo, forse per l’idea che così ci sarebbe stata una maggiore continuazione della tradizione. Durante i primi anni del califfato, in effetti, Othman parve seguire le linee dei suoi predecessori. Ben presto, tuttavia, cominciò a cercare aiuti, soprattutto in seno al suo clan familiare, assegnando cariche di potere ad alcuni degli appartenenti al clan. In concreto, nominò un suo parente, Mu’awiya, governatore di una regione chiave, la Siria. La sua elezione evidenziava l’esistenza di un importante problema di fondo: come poter evitare la logica tribale, così tradizionale sotto questo aspetto, se mancava ancora un’organizzazione politica che mettesse ordine all’interno delle irrefrenabili conquiste che si stavano realizzando nel contempo?

BIZANTINI CONTRO PERSIANI. Smalto a

decorazione champlevé del sec. XIII. L’imperatore bizantino Eraclio (610-641) decapita l’imperatore Cosroe II dopo averlo sconfitto nella battaglia di Ninive (Museo del Louvre, Parigi).

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I PRIMI QUATTRO CALIFFI Anni 573-634

Abu Bakr al Sidiq. È stato il primo uomo convertito da Maometto e il primo dei califfi ortodossi. Anni 634-644

Omar Ibn al Jatab. Secondo califfo ortodosso, cominciò l’attacco degli imperi romano e sasanide. Anni 644-656

Utmán Ibn Afán. Terzo califfo, marito di due figlie del Profeta. Venne proclamato sovrano alla morte di Omar. Anni 656-661

Alí Ibn Abi Tálib. Primo imam degli Sciiti, venne sconfitto a Siffin da Muauiya.

La fragilità istituzionale sarebbe stata di frequente un ostacolo al progresso islamico, corretta solo in parte dal sorgere delle dinastie di califfati. L’operato di Othman dovette portare a un aumento dello scontento tra molti musulmani, che trovarono una guida ideale in Alì, il candidato sconfitto delle elezioni. Nonostante le divisioni interne che già cominciavano a manifestarsi ai vertici del potere del mondo musulmano, gli anni del califfato elettivo furono caratterizzati da rapide e straordinarie conquiste.

Le prime conquiste Il 637 segnò la presa di Ctesifonte e la caduta dell’impero sasanide. Poco dopo, intorno al 645, tutti i territori di quell’antico impero erano già nelle mani dei musulmani. Nel frattempo, anche l’impero bizantino fu oggetto di attacchi. La Siria e la Palestina furono conquistate dagli Arabi tra gli anni 633 e il 640, e l’Egitto, tra il 639 e il 646. Nell’anno 638 venne occupata Gerusalemme e nel 642 fu il turno di Alessandria. Da questa città, gli Arabi avanzarono fino alla Tripo26

litania, mentre nel sud l’espansione araba arrivò fino alla Nubia. La conquista del litorale siriano ed egiziano non solo arricchì l’Islam con l’annessione di due dei maggiori mercati dell’epoca, Antiochia e Alessandria, ma fornì anche una flotta ed eccellenti marinai. Gli Arabi non erano propriamente un popolo di naviganti, ma la conquista della Siria e dell’Egitto fu rapida, in parte anche perché le popolazioni locali, stanche del duro dominio avido dei Bizantini, accolsero come liberatori gli uomini del deserto. Bisogna ricordare che Siriani ed Egiziani erano cristiani, ma appartenevano a comunità che il governo di Costantinopoli perseguitava come eretiche, in quanto monofisite. L’Islam, invece, lasciava tranquilli questi gruppi di cristiani, a patto che pagassero un tributo che, tra l’altro, non era nemmeno ingente. Inoltre, esisteva sempre la possibilità di potersi convertire ed entrare così a pieno diritto nella comunità dei fedeli di Allah, nella quale venivano accolti come fratelli i nuovi arrivati, indipendentemente dalla loro etnia. Fu così che in


molti passarono ad alimentare le fila dell’Islamismo e fecero velocemente carriera nell’amministrazione del califfato: soltanto dieci anni dopo la morte di Maometto, l’Islam non era più composto esclusivamente da Arabi. Nel 649, un capo destinato al califfato, il governatore della Siria Muawiya Ibn Abi Sufyan, parente del califfo Othman e futuro fondatore della dinastia dei califfi omayyade, sferrò un attacco a Cipro. Nel 652 ci furono alcune modeste incursioni in Sicilia, isola che apparteneva ancora a quell’area sotto il dominio di Bisanzio. Tre anni più tardi, una grande battaglia navale a Finike, sulle coste della Licia, segnò il culmine della crisi per la talassocrazia bizantina. In questa battaglia venne sconfitto Costante II, che era al comando di una flotta di 500 navi.

La crisi dopo la morte di Maometto Il mondo arabo unificato nell’Islamismo non aveva costituito uno Stato. Maometto, l’Inviato, era il mezzo attraverso il quale Dio impartiva i suoi ordini alla umma, la comunità dei fedeli.

Egli era un capo spirituale e temporale con un forte carisma, ma non era un sovrano. Maometto aveva compiuto nel 632 un ultimo pellegrinaggio d’addio alla Mecca, durante il quale aveva presentato il suo testamento spirituale, che sarebbe stato oggetto di interminabili discussioni tra i musulmani, ma mai menzionò l’organizzazione politica che avrebbe dovuto lasciare alla comunità dopo la sua morte. Pochi mesi dopo, Maometto morì a Medina, tra le braccia della moglie Aisha. Alla sua morte, la tendenza fu quella di mantenere il regime teocratico, anche se mancava una personalità carismatica che fungesse da garante. Sotto questo aspetto, la società tribale araba ricordava quella del mondo ebraico ai tempi dell’Esodo e quella della prima comunità israeliana dopo la conquista della Terra Promessa, e vedeva con orrore qualsiasi istituzione che potesse assomigliare alla monarchia, considerata tipica delle popolazioni pagane e indegna degli uomini liberi. Così, Dio avrebbe seguito guidando il “suo popolo”. Tuttavia, le stesse istituzioni tribali co-

CTESIFONTE. Resti del palazzo reale sasanide (sec. VI) di Ctesifonte, vicino a Baghdad. Antica capitale dell’impero dei Parti, venne conquistata dai musulmani nel 637, quando era capitale dell’impero sasanide.

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LE ORIGINI DELLA NUOVA FEDE

I califfi rashidun, “i ben guidati”, successori di Maometto Alla morte di Maometto, dopo lunghe discussioni, Abu Bakr venne nominato califfo rasul Allah (successore del Profeta di Allah). Sarà il primo dei quattro califfi rashidun. Secondo una tradizione islamica Maometto promise il Paradiso a dieci dei suoi compagni fedeli. Tra i nomi di questi eletti spiccavano quelli dei primi quattro califfi. A dispetto dell’integrità dei rashidun la crescente rivalità tra Alì e gli altri eletti portò allo scisma sciita e kharigita. A destra, Maometto con i suoi successori dell’Islam sciita: Alì, Abu Bakr, Hussein e Hasan. Miniatura persiana del sec. XVI, opera di Kamal al-Din Hussein Gazurgahi (British Library, Londra). Jadiya

(1ª moglie)

Abu Bakr

Fatima

Alì Ibn Abi Talib

(4º califfo e genero di Maometto)

(1o califfo e suocero di Maometto)

MAOMETTO

Aisha

(3ª moglie)

Ruqaya (1ª moglie)

Omar Ibn al Jatab

Othman Ibn Afán

(2º califfo e suocero di Maometto)

Hafsa

(4ª moglie)

(3o califfo e genero di Maometto)

Um Kulzum (2ª moglie)

noscevano l’autorità degli shuyui (sceicchi), gli “anziani”, così come il principio dell’eredità per vincoli genealogici, nel quale ricopriva un ruolo speciale la successione per ramo femminile, molto simile, anche in questo caso, a ciò che succedeva nel mondo ebraico. L’idea generale, infatti, era che la direzione del popolo musulmano dovesse essere assunta da un successore del Profeta, anche senza riconoscere una dinastia reale. Il problema consisteva nel fatto che il Profeta non aveva avuto figli maschi. Tuttavia, la figlia Fatima e la moglie Aisha erano donne energiche e decise, temute e ascoltate. Eppure, ciò era un problema: Fatima, figlia di primo letto, rappresentava gli interessi delle dinastie della Mecca e si era sposata con Alì, cugino di Maometto da parte di padre e uno dei suoi seguaci più fedeli e attivi; la giovane Aisha, invece, aveva l’appoggio dell’influente padre, Abu Bakr. Compagno di Maometto fin dal principio, anch’egli commerciante, Abu Bakr aveva viaggiato in gioventù in Arabia e Medio Oriente, realizzando per sé un’ottima situazione economica 28

e ampliando le sue conoscenze. Inoltre, era stato il primo, tra coloro che facevano parte della famiglia del Profeta, a seguire i suoi insegnamenti e a convincere molti altri compagni a fare lo stesso. Si può affermare che il suo ruolo nella fondazione dell’Islamismo fu decisivo e che il suo diventarne capo fu la continuazione quasi naturale dell’operato di Maometto.

Gli albori del califfato I principali collaboratori di Maometto arrivarono quindi al seguente accordo: il suo successore avrebbe dovuto essere un uomo stimato per la fedeltà agli insegnamenti del Profeta e per la sua devozione religiosa. L’ambiente escatologico in cui viveva immersa la prima comunità musulmana, in attesa della Fine dei Tempi, faceva intendere che il potere del Profeta sul suo popolo avrebbe continuato a esistere dopo la sua morte, per mezzo di un “vicario” (califfo), incaricato di interpretare in maniera corretta la legge trasmessa da Dio e di farla rispettare in rappresentanza di Maometto e in sua memoria.


La scelta cadde su Abu Bakr, suocero del Profeta. Un gruppo, o fazione (shiat), si oppose tuttavia alla scelta: i suoi sostenitori (detti “sciiti”) si pronunciarono a favore dell’elezione del cugino e genero di Maometto, Alì Ibn Abi Talib, che si era sposato con Fatima, figlia del Profeta, dichiarando che l’imam, il capo spirituale della umma, dovesse appartenere al circolo familiare più prossimo a Maometto. D’altra parte, i paladini di Alì sostenevano che egli fosse stato designato successore dallo stesso Maometto. In un tale contesto cominciò a profilarsi un problema immediato: numerosi capi di tribù pensavano che il loro giuramento di fedeltà a Maometto non dovesse avere più validità dopo la morte del Profeta. In altre parole, la umma che Maometto aveva costituito non era destinata a perdurare dopo la sua morte. Scoppiò così la guerra detta della rida, la ribellione, che Abu Bakr riuscì a soffocare con decisione, ma che gli costò numerose concessioni agli altri capi rimasti fedeli. Alla sua morte, avvenuta nel 634, gli successe, dopo un breve califfato, Omar Ibn al

Jatab, secondo califfo dei cosiddetti rashidun (“i ben guidati”), che governò la umma per una decina di anni, dando il via a una grande espansione con la conquista di Damasco nel 638, la sottomissione dell’Egitto nel 642, sottratto prima al dominio dell’impero romano d’Oriente, e l’occupazione della Persia, quando l’impero sasanide venne distrutto e conquistato. In pochi anni, la dar al islam (“terra dell’Islam”) si era ampliata enormemente e, nonostante l’alto numero di conversioni registrate, comprendeva anche ampie comunità dimmi, cioè ebraiche e cristiane, su suolo islamico. L’arabo, “lingua sacra” perché Dio si esprime attraverso questa lingua nello stesso Corano, conobbe grande diffusione, e divenne un’importante lingua di cultura. Gli Arabi, però, erano ormai la limitata aristocrazia di un grande impero musulmano a cui Omar Ibn al Jatab, pur essendo un uomo dalle abitudini semplici e austere, era obbligato a conferire una forma istituzionale. Vicario del Profeta, Omar era al tempo stesso amir al muminin, “principe dei credenti”.

MOSCHEA DI ALÌ, A NAYAF. Nayaf è uno

tra i luoghi più sacri dell’Islamismo sciita e importante luogo di pellegrinaggio. Si trova a 160 km a sud di Baghdad, e oltre a contenere il Meshed Alì (Mausoleo di Alì) ospita anche il cimitero di Wadi as Salam, in cui si trovano i resti di diversi profeti. I fedeli desiderano essere seppelliti lì per risorgere dalla morte il Giorno del Giudizio, insieme al primo imam.

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I

I FONDAMENTI DELL’ISLAM

I fondamenti dell’Islam

Man mano che si diffondeva l’Islamismo, cominciarono a chiarirsi i suoi fondamenti dogmatici e l’insieme delle tradizioni che avrebbero finito per caratterizzarlo nei secoli successivi.

D

al punto di vista musulmano, è improprio, se non addirittura erroneo, sostenere che Maometto fu il fondatore di una nuova religione, dato che egli mai si presentò come tale. Forse Maometto si considerava l’unico restauratore del monoteismo abramide – che era stato in qualche modo alterato dal Giudaismo. Infatti, nell’Islamismo, il figlio di Abramo e della schiava egizia Agar,

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Ismaele, la cui storia appare nella Genesi (16, 21), ha un ruolo centrale, che è invece svolto da Isacco nella narrazione biblica. Allo stesso tempo, l’adozione da parte di Maometto della circoncisione, citata nella Genesi (17, 12-14), assume un significato di rivendicazione del ruolo di popolo prescelto da Dio e contraddistinto dall’alleanza con Lui, rivendicazione valida per se stesso e per i propri seguaci.

La mano di Fatima La jamsa o mano di Fatima era in uso fin dai tempi dei Cartaginesi e divenne poi un talismano onnipresente nel mondo musulmano. Le cinque dita rappresentano i cinque comandamenti fondamentali della legge islamica. Qui sopra, la jamsa in un azulejo ispano-musulmano.


Il santuario più sacro di tutto l’Islam La Kaaba (al ka ‘ba, “il dado” o “il cubo”) è il luogo sacro di pellegrinaggio più importante nel mondo islamico e si trova al centro della Grande Moschea de La Mecca. Al suo interno ospita la Pietra Nera, una reliquia che secondo la tradizione risale ai tempi di Adamo ed Eva. A sinistra, la Kaaba in una litografia del secolo XIX; in alto, piantina della Masyid al Haram (Grande Moschea o Moschea Sacra) de La Mecca in una miniatura del 1600 circa.

L’essenza dell’imam, la “fede” predicata dal Profeta, è molto semplice. Essa si basa su tre principi fondamentali, che sono l’unicità di Allah, la profezia di Maometto e il mistero degli ultimi giorni, che per i cristiani sono i Novissimi. Tutti coloro che possiedono tale credo ed esercitano il bene e la pietà (birr) saranno uomini dell’Islam, l’“abbandono fiducioso” a Dio e alla sua volontà. In realtà, le due parole islam e salam (“pace”) derivano da un termine che presenta una stessa radice consonantica, sim, che viene associata alle idee di pace, salvezza e salute. L’Islamismo, quindi, è l’“intima pace dell’uomo con Dio”, il perfetto e sereno adattamento della pace con il desiderio di Esso, che dà pace e sicurezza (in arabo, salam; in ebraico, shalom) al suo portatore. Muslim, “musulmano” è colui che si concede pienamente al Signore: un abbandono così fiducioso si esprime attraverso

i cinque pilastri su cui si basa l’islam o arkan ad din al islami, la cui adesione caratterizza il credente. Una tale devozione al Signore implica un atteggiamento di intima adesione alla sua volontà (che non deve essere interpretata come puro e semplice fatalismo). In modo smile al fiat voluntas tua del Padrenostro (Matteo 6, 9-13), all’interno della sura (che corrisponde, grossolanamente, a un capitolo) numero 1 del Corano, al Fatiha (“l’apertura”) il versetto 5 così recita: «Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto». Di solito, il musulmano non chiede grazie materiali: sa che la volontà divina è inflessibile, così come assoluto è il potere di Dio (l’Islamismo non ha il concetto teologico cristiano di “potere ordinato”, secondo il quale Dio si sottomette in piena libertà – a eccezione di concessioni sempre possibili – alle leggi che Egli stesso ha stabilito) e confida nella sua misericordia e compassione.

Ogni sura del Corano e ciascuna azione del buon musulmano si devono aprire con l’invocazione che, per le sue prime parole, si chiama basmala, ossia, “nel nome di Allah”: Bismillah, ar Rahmani, ar Rahim («Nel nome di Allah, il Misericordioso, il Compassionevole»).

La umma Privo di qualsiasi cosa che possa assomigliare ai sacramenti cristiani, l’Islamismo non dispone di un clero separato dai fedeli, anche se gli sciiti si avvalgono di gerarchie di mullah, dottori in teologia islamica e personaggi noti per la loro cultura e pietas che, in qualche modo, assomigliano al clero. In realtà, gli imam conducono le preghiere, gli ulemi sono gli interpreti del Corano e della Legge islamica, i mufti consigliano i fedeli e i cadì sono incaricati di giudicare e di far rispettare la legislazione. Ma non esistono sacerdoti. Da qui, il doppio carat31


I FONDAMENTI DELL’ISLAM

nella misura in cui appartengano a una mila (gruppo differenziato) che li rende dimmi (cioè sottomessi all’Islamismo e pertanto oggetto di alcune restrizioni, ma anche di protezioni). Non viene invece ammesso il kafir, il “pagano”, il “politeista” (al plurale, kafirun). Contro i kafirun, il massimo sacrificio del credente, la jihad, diventa guerra giusta e pia (anche se bisogna evitare l’espressione di “guerra santa”) che porta alla loro distruzione o conversione. Un tale impegno, però, è da considerarsi parte della daua, il dovere individuale e collettivo del proselitismo.

Il Corano: il libro sacro

L’ISTITUZIONE DEL CALIFFATO. L’urna di Leyre è una piccola arca in avorio intagliato, del califfato di Cordova (ca. 1005). Nel particolare si vede il califfo omayyade Hisham II, con due servi.

tere dell’Islamismo che, da una prospettiva cristiana, appare paradossale se non contradditorio: il rigore estremo secondo la parola della Legge islamica, e la flessibilità nella pratica. La stessa suddivisione della umma islamica (“comunità”, dall’arabo umm, “madre’) in scuole e “confessioni”, oltre alle numerose e misteriose confraternite mistiche, induce a pensare che forse non si dovrebbe parlare di un solo Islam, ma di vari Islam. La umma musulmana, che nel corso del tempo si è contraddistinta in varie firaq (al singolare firqa) o sette, in particolare in sunnismo, sciismo e kharigismo, concepisce come unitarie e indivisibili le tre dimensioni del din, daula e dunia (religione, potere e mondo) 32

e non prevede forme di peccato – ossia di offesa a Dio – che non siano strettamente personali (in questo modo, non riconosce il “peccato originale” e le sue diverse conseguenze) e che non possano essere espiate su questa terra (è infatti estranea al concetto di castigo eterno). Si presenta, inoltre, come comunità che accoglie un insieme di fedeli che vivono in un territorio considerato come dar al islam, “terra dell’Islam”. In teoria, la guerra, la harb, è possibile soltanto lì dove non esiste l’Islam, né domina la sharìa, la “legge rivelata”, cioè nel dar al harb. Tuttavia, quei non musulmani che sono monoteisti e credono nel vero Dio che si è rivelato loro attraverso una Sacra Scrittura, ossia, gli ebrei e i cristiani – anche se in tempi e luoghi diversi, sono stati considerati tali anche i mandei, i mazdei o zoroastri e i buddisti – sono ahl al Kitab, “gente del Libro” e possono abitare la dar al islam

Fonte primaria dell’Islamismo, in cui teologia e diritto coincidono, il Corano (al Quran: letteralmente, “la declamazione”) è parola dettata direttamente da Dio ed è quindi Sua espressione immediata e innata. Il Profeta non collaborò in alcun modo alla stesura di questo libro sacro e immutabile, ma, in qualità di “inviato”, si rese soltanto responsabile della diffusione dei suoi contenuti tra gli uomini. Il Corano è per i musulmani ciò che per i cristiani è Gesù Cristo, il Verbum Dei, la Parola di Dio. Le altre Scritture Sacre d’origine divina (chiamate semplicemente Kitab, “Libro”), come la Bibbia ebraica e i Vangeli cristiani, non sono ignorate dall’Islam. Sebbene ispirate da Dio, sono tuttavia considerate contaminate dalla malizia o dall’errore degli uomini. Dato che il Corano è al di fuori del principio della corruzione umana, è considerato immutabile. Così, fin verso il secolo X circa si ammise la possibilità della sua esegesi, che però fu in seguito sostituita da forme interpretative basate sulla parafrasi o sull’ermeneutica simbolica. Ancora oggi, tra i musulmani continua a essere controversa la questione di una filologia coranica paragonabile alla filologia biblica. La parola del Corano andò diffondendosi oralmente attraverso le predicazioni del Profeta e venne in seguito trascritta; il califfo Othman poi, morto nel 656, dichiarò la immutabilità del suo testo, e sancì che la stesura del libro sacro, che si identificava con la Parola di Dio trasmessa al Profeta sul monte Hira, fosse l’unico Corano autentico. Consiste di 114 sure o as-suras che, dalla


Al Fatiha, la porta d’entrata alla Rivelazione Al Fatiha significa in arabo colei che apre ed è la prima delle sure o capitoli che suddividono il Corano. È composta da sette ayat o versetti. Maometto la chiamò “madre del Corano” e, secondo la tradizione, si tratta della prima sura completa che gli fu rivelata. Ha più di venti nomi distinti, o epiteti, che la contraddistinguono. Dato che la legge islamica obbliga i fedeli a imparare a memoria almeno una sura, e la prima sura è corta e serve di introduzione alla preghiera, la al Fatiha è quella che di solito i musulmani imparano fin dall’infanzia, in famiglia o a scuola. Va sempre recitata all’inizio di ogni sessione della preghiera e va chiusa con la parola amin (“amen”). Il primo versetto («In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso») serve da apertura a tutte le altre sure del Corano, a eccezione della 9, e nella 27 viene ripetuta due volte. I musulmani usano il primo versetto anche durante molte attività della vita quotidiana, soprattutto prima di cominciare un’azione piacevole o positiva. In questo caso il versetto si riduce alla parola Bismillah, ossia l’invocazione del nome di Dio. La sura completa nei suoi sette versetti viene recitata sempre durante la cerimonia del matrimonio musulmano. Nelle lapidi sepolcrali, inoltre, c’è l’appello al visitatore della tomba, affinché intoni i sette versetti a beneficio del defunto. A sinistra, la sura al Fatiha in un Corano compilato a mano in calligrafia thuluth e stampato in oro, risalente al 1422 (Museo Nazionale, Damasco). In basso, Corano egizio, ricco di decori del periodo mamelucco del secolo XIV (Biblioteca Nazionale, Il Cairo).

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I FONDAMENTI DELL’ISLAM

Il pellegrinaggio a La Mecca L’hayy, il pellegrinaggio, si compie all’inizio del mese lunare di du al haya (mese dell’hayy) e la sua finalità è quella di far visita ai luoghi sacri de La Mecca, proibiti a chi non è musulmano. Prima di entrare nel recinto sacro, i fedeli si purificano con le abluzioni e indossano abiti senza cuciture. All’interno devono compiere sette giri intorno alla Kaaba, baciando a ogni giro la Pietra Nera incastonata in uno degli angoli. Quando questa operazione risulta essere impossibile a causa della moltitudine di gente, il contatto visivo si sostituisce a quello tattile. Si procede quindi al cammino tra Sarfa e Marwa, due luoghi vicini alla Grande Moschea, dove si imita Agar, moglie del profeta Abramo che, secondo la tradizione musulmana, corse su e giù per questi luoghi per procurare l’acqua al figlio, il profeta Ismaele, fino a quando la fonte Zamzam sgorgò ai suoi piedi. I pellegrini si dirigono poi verso la valle Mina, dove trascorrono la notte e completano, quindi, il pellegrinaggio il giorno dopo, sul monte Arafat. Al tramonto di quella giornata, i viaggiatori se ne vanno a Muzdalifa, dove celebrano la festa del sacrificio. A destra, pellegrini intorno alla Kaaba; nella pagina accanto una carovana di pellegrini in un disegno realizzato da Al Wasiti nel sec. XIII per il Maqamat di Al Hariri (Biblioteca Nazionale, Parigi).

II in avanti, sono di lunghezza progressivamente minore, e vanno dai 286 ayat (“segni”, “prodigi”), ovvero versetti, della II, al Baqara, “La Giovenca”, ai 6 della CXIV, an Nas, “Gli uomini”.

La tradizione Per gli sciiti e i kharigiti, il corpus di scritture musulmane termina con il Corano. Senza dubbio esiste, però, anche una sunna o tradizione costituita da un altro tipo di scritture, che sono importanti sia a livello teologico che a livello giuridico, due aspetti che nel mondo musulmano coincidono. Tale tradizione è accettata dalla maggior parte di quei musulmani che vengono, per l’appunto, chiamati sunniti. Tra queste scritture ha particolare importanza la sira , la “vita” del profeta Maometto, una biografia redatta tra i secoli VIII e IX da vari autori, che ricorsero ovviamente a fonti orali. In modo ana34

logo, vennero composte le raccolte di dichiarazioni e avvenimenti di Maometto, che furono trasmesse per mezzo dei cosiddetti hadith, legittimati da testimoni considerati affidabili. D’altra parte, non bisogna dimenticarsi dell’iymaa, il consenso dei giuristi della Legge tradizionale in quanto rappresentanti della comunità. Per ultimo, rimane il qiyas, il “ragionamento analogico”. Tuttavia, bisogna sottolineare che le varie confessioni e le numerose scuole giuridiche presenti nell’Islam attribuiscono un valore variabile alle diverse fonti del Corano. L’Islamismo, religione “per legge” (a differenza del Cristianesimo, che è una religione dogmatico-teologica), si basa sulle azioni e i comportamenti, più che sui principi intimi della fede. Non si richiede ai credenti un’“ortodossia”, bensì una “ortoprassi”. La disciplina legale è ciò che si considera fondamentale; essa trova espressione nella sharia, che re-

gola le azioni esterne, mentre le intenzioni e le scelte interiori possono essere giudicate soltanto da Allah. Inoltre, visto che la stesura del Corano è immutabile e intoccabile e che la sua elaborazione testuale, che di fatto c’è stata, terminò ben presto (per i sunniti, che sono i più indulgenti riguardo questa questione, fu nel X secolo), l’aspetto che in realtà regolamenta la vita delle comunità musulmane e le scelte personali è la fiqh, la giurisprudenza islamica. In altre parole, per tradurre il messaggio divino in legge, e quest’ultima in pratica di vita, è necessaria un’operazione esegetico-ermeneutica. Non si può neanche dimenticare che, insieme alla legge divina che costituisce la base del diritto consuetudinario e privato, i vari regimi musulmani hanno anche sviluppato un kanun, una legge civile pensata per le diverse esigenze mutevoli della vita comunitaria della società in evoluzione.


Il kanun si sviluppò in modo particolare durante l’impero ottomano. Nel secolo XV, il sultano Maometto II fu il primo a codificarne i decreti in un kanuname (codice di leggi), e nel XVI secolo, Solimano I – “il Magnifico” per l’Occidente – fu soprannominato Kanuni per il suo operato in tema legislativo.

Gli arkan dell’Islam Tra i simboli più comuni dell’Islamismo c’è un popolare talismano-amuleto a forma di mano stilizzata, noto con il nome di “mano di Fatima”. Si tratta, in realtà, della jamsa, termine arabo che significa “cinque” e che rimanda ai cinque precetti fondamentali dell’Islamismo, i “pilastri” (in arabo, arkan) che ogni musulmano deve osservare. Anche se appaiono molto semplici, tali precetti costituiscono le basi della ortoprassi musulmana. Il primo pilastro è la shahada, la “testimonianza”, ovvero, la professione di

fede. Si tratta di una formula che contemporaneamente è testimonianza, confessione e preghiera: La ilaha illa llahu, wa Mohamed rasulu llah («Non ci sono altre divinità oltre ad Allah e Maometto è l’inviato di Allah»). Il secondo pilastro è la salat, la preghiera rituale che va recitata cinque volte al giorno, all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e di notte, nei momenti annunciati dall’adhan (la chiamata alla preghiera) e secondo una successione precisa di gesti da realizzare e di formule da recitare con il volto orientato verso la Kaaba. Un altro pilastro è l’hayy, il pellegrinaggio a La Mecca, cioè la visita (umra) ai luoghi sacri de La Mecca (considerati haram, “spazi sacri”) che, come principio, il buon musulmano deve compiere almeno una volta nella vita, in mesi appositamente consacrati e secondo un rituale regolamentato dettagliatamente.

Un altro precetto che i musulmani devono rispettare è il saum, il digiuno, che si segue nel nono mese dell’anno lunare, il ramadan, mese in cui fu rivelato il Corano. Durante questo mese è vietato consumare alimenti e bevande, così come avere rapporti sessuali, dall’alba fino al tramonto. Infine, la zaqat, la “purificazione” o “elemosina legale”, fu in origine un contributo sui beni superflui che ciascuno possedeva, ed era destinata a coprire le spese della comunità e le necessità dei poveri o, comunque, degli indigenti e bisognosi: i deboli, gli insolventi, i viaggiatori con qualche difficoltà, i coinvolti nella jihad e quelli incaricati di raccogliere la stessa elemosina. La zaqat, a cui sono obbligati tutti i musulmani benestanti, in maniera proporzionale alle proprie possibilità, non va confusa con la sadaqa, l’elemosina volontaria, la cui distribuzione viene regolata da norme e 35


I FONDAMENTI DELL’ISLAM

Jihad, guerra santa o impegno spirituale? Dal punto di vista teologico, la vita è per il buon musulmano una jihad che termina con la morte, cui seguirà una punizione o un premio, in base all’esistenza condotta, più o meno consona alla Rivelazione.

garantita da persone qualificate, incaricate della sua raccolta. A coloro che non sono musulmani, ma che vivono nella dar al islam, le “genti del Libro” (ahl al Kitab) non viene richiesta la zaqat, ma devono rispondere, in quanto dimmi, a due tipi di tributo (yizya e jaray) che risultano abbastanza gravosi. Lo status di dimmi si applicava in origine soltanto alla ahl al Kitabi, sia che si trattasse di credenti ebrei, cristiani o sabei (riguardo a questi ultimi si sa ben poco, ma la loro fede fu esplicitamente inclusa nel Corano tra le religioni del monoteismo abramide), ma ben presto si estese anche agli zoroastri, agli induisti, ai sikh, ai buddisti, e ad altri ancora. Secondo alcuni studiosi, le imposte applicate ai dimmi erano una delle principali ragioni delle numerose conversioni all’Islamismo; altri, invece, sostengono che l’ammontare di queste tasse in molte regioni non era superiore al ricavato della zaqat. D’altra parte, i dimmi avevano diritto di rispondere davanti ai propri tribunali, anche se di fatto, in molti casi, sceglievano liberamente di essere giudicati dai tribunali musulmani.

La jihad

In realtà, jihad significa lo sforzo individuale di ciascun fedele per arrivare a essere un buon musulmano; è un impegno spirituale piuttosto che una guerra santa. Il termine ha però anche altre due connotazioni, di impegno politico (predicazione) per diffondere l’Islamismo, e di sacrificio militare, per difendere il territorio musulmano dagli infedeli e annientare l’occupazione straniera (dei non musulmani). Infine, la parola implica inoltre lo sforzo diretto a diffondere la fede nei luoghi definiti come dar el kufr (terra d’infedeli, cioè di non musulmani). Nelle sure, con il termine jihad ci si riferisce allo sforzo sul sentiero di Dio, ovvero verso la difesa e la diffusione dell’Islamismo. Anche le conquiste territoriali intraprese tra i secoli VII e XII si definiscono jihad, dato che furono portate avanti in nome della nuova fede. Le varie correnti dell’Islamismo si trovano d’accordo sull’interpretazione delle disposizioni coraniche riguardanti la jihad, e la sua esistenza in quattro tipologie: per il cuore, per la lingua, per la mano e per la spada, a seconda che si sia alla ricerca della perfezione spirituale, che si predichi, che si lavori o che si combatta per Dio. Per una minoranza sunnita, la jihad è il sesto pilastro dell’Islamismo, ma il Corano non lo esplicita. Per gli sciiti, è una delle dieci pratiche religiose del culto. Il significato che primeggiò durante il periodo delle espansioni islamiche è quello della jihad per spada. Il vocabolo appare nel Corano in 41 occasioni; in 19 casi ha un vago e poco preciso senso di “combattere per Dio” e soltanto in uno la menzione del termine è in un contesto particolarmente violento. In senso militare, “combattere da fedeli fisicamente e con i propri beni”, appare sei volte. In alto, Maometto che predica a Medina in una miniatura (sec. XVI) del Libro delle vestigia superstiti dei secoli passati di Al Biruni (Edinburgh University Library, Edimburgo).

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Ai cinque pilastri bisogna aggiungerne, secondo alcuni, un sesto, che in determinati momenti può trasformarsi in qualcosa di fondamentale: la jihad, lo “sforzo”, tradotto normalmente, ma in maniera erronea, con l’espressione ambigua di “guerra santa”. La jihad è in realtà un impegno particolare, per importanza e intensità, a cui ci si appella ogni qualvolta la umma, la comunità musulmana, si trova in una qualche situazione conflittuale che ne minaccia l’esistenza, la libertà o la sicurezza. La parola deriva da una radice semitica, ghd, che indica l’atto di applicarsi con zelo per raggiungere un obiettivo. Tradotto in modo più appropriato come “sforzo sul sentiero di Allah” (yihad fi sabil Alà) implica l’impegno verso tutti quegli obiettivi che sono graditi ad Allah. La jihad, però, è oggetto di numerosi equivoci tra chi non professa l’Islamismo. In realtà, per spiegare bene la sua natura è molto utile rifarsi a un hadith in cui il Profeta si rivolge ad alcuni compagni che ritornano da una battaglia vittoriosa e li esorta, ora che


hanno ottenuto il successo nella “piccola jihad” contro il nemico esterno, a impegnarsi nella “grande jihad”, la lotta interiore dell’anima contro se stessa. Il senso profondo della jihad è lo stesso che ha, nella tradizione misticoascetica del Cristianesimo, la pugna spiritualis: la lotta contro il nemico interiore, il peccato, le debolezze e le contraddizioni di ognuno di noi. La parola jihad non presenta alcuna affinità con il termine harb, “guerra”, né con qital, “combattimento”.

Feste e tradizioni A differenza di quella ebraica, la vita liturgica musulmana è molto semplice. In effetti, l’assenza, in entrambi i casi, di un clero separato dai credenti e di una vita sacramentale favorisce tale semplicità. La festa più importante per l’Islam è quella dell’iftar, ovvero l’interruzione del digiuno al termine del Ramadan.

Tuttavia, a eccezione del Ramadan, che al di fuori dell’Islam viene percepito come un mese di penitenza quando in realtà è caratterizzato piuttosto da notti di festa, esistono anche altre occasioni solenni che, senza dubbio, si celebrano in maniera molto semplice. Il sacrificio cruento, retaggio dei sacrifici animali che erano frequenti sia nell’Ebraismo precedente la distruzione del tempio, sia nel mondo arabo della yahiliya, consiste nel sacrificio di un agnello o di un montone, lo Aid al Adha o Aid al Kabir, la “grande festa” che si celebra alla fine del pellegrinaggio. L’offerta di un montone o di un agnello è frequente in certi santuari: come nel caso di quello cristiano della Vergine di Saidnaya, in Siria, venerata con devozione dai musulmani, che sono soliti offrirle animali che vengono poi consumati in pasti collettivi in cui la beneficenza riveste un ruolo fondamentale.

IL RAMADAN. Oltre centomila persone

si riuniscono per l’iftar (il pasto), per interrompere il digiuno, proprio al tramonto del sole, nel complesso della moschea del Profeta, a Medina. Esistono, d’altra parte, riti relativi all’hayy, il pellegrinaggio, tra cui si ricorda la processione intorno alla Kaaba (tauaf). I pellegrini devono indossare un indumento bianco, composto da due pezzi di tela senza cuciture, e devono astenersi da qualsiasi azione violenta, oltre che dalle pratiche sessuali. Durante il pellegrinaggio, vige anche un regime di astensione dal cibo, più rigoroso delle abituali indicazioni musulmane di nutrirsi soltanto con alimenti halal, cioè permessi (ai musulmani è infatti proibito mangiare carne di maiale o di altri animali che non siano stati uccisi in maniera rituale, ossia con l’eliminazione totale del sangue). 37


QUSAIR AMRA. Affresco omayyade del castello di Qusair Amra, nell’attuale Giordania, costruito agli inizi del sec. VIII. Il particolare rappresenta il califfo o principe (forse Walid I) durante una battuta di caccia. Nella pagina accanto, pendente in oro abbaside-fatimide, del sec. XI (Collezione privata, Siria).

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DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE Nel 632, alla morte di Maometto, i territori del bacino del Mediterraneo orientale e del sud-est asiatico furono gli scenari del conflitto tra Bisanzio e l’impero dei Persiani. Entrambi erano consapevoli della minaccia dei gruppi nomadi, ma si aspettavano che giungessero da dove erano sempre arrivati, ossia dalle steppe eurasiatiche. Sarebbero stati altri invece, i popoli destinati a cambiare la mappa del mondo: quelli della penisola arabica.

A

nche il nascente Islam sperimentò una sua crisi, tra il 656 e il 661, che cominciò con la morte violenta del califfo al potere, Othman. Nonostante le circostanze del suo assassinio non siano mai state chiarite, i suoi fedeli accusarono Alì, capo dell’opposizione. I sospetti crebbero quando, in un processo poco chiaro, Alì fu scelto per il califfato. I Qurayshiti che appartenevano alla shura insorsero, reclamando l’instaurazione della tradizione e incontrarono il sostegno di Aisha, terza moglie di Maometto. Tuttavia, il fronte dei sostenitori del defunto Othman fu sconfitto nella cosiddetta “battaglia del Cammello” (dicembre 656), vicino a Bassora. I rivali più importanti

di Alì vi trovarono la morte e Aisha fu rispedita a Medina. Alì, però, si trovava nell’obbligo di cercare e perseguitare gli assassini di Othman, cosa a cui non era assolutamente interessato. Si formò, quindi, una nuova corrente d’opposizione, a capo della quale stava un parente del califfo defunto, il potente governatore della Siria, Muawiya. Cominciò così una nuova guerra che si concluse con un patto per celebrare l’arbitraggio, che Alì accettò e che terminò con un’opinione favorevole a Muawiya. Il potere sarebbe dovuto passare a quest’ultimo, ma a quei tempi, le due fazioni erano già profondamente divise per poter giungere a una decisione consensuale. 39


Hussein, nipote di Maometto e martire degli sciiti Morto Alì, Muawiya ne fece abdicare il figlio, Assan, che rinunciò al potere e si ritirò a meditare a Medina, vicino alla tomba del nonno Maometto. Yazid I, figlio di Muawiya, fu proclamato successore del Profeta, ossia califfo. Hussein, figlio minore di Alì che aveva combattuto contro i cristiani e assediato Costantinopoli, si mise a capo della ribellione sciita. Morto Muawiya, Hussein decise di trasferirsi nella città di Kufa, dove migliaia di sostenitori di suo padre Alì si sarebbero uniti alla sua jihad. Ma non ci arrivò mai. Lui stesso, la moglie, il figlio e il nipote, altri bambini, 30 cavalieri e 40 fanti furono circondati da 5.000 guerrieri a cavallo nella pianura di Kerbala. Le truppe di Yazid li uccisero tutti: succedeva il 6 ottobre – muharram – dell’anno 680. La testa di Hussein fu inviata a Damasco affinché egli potesse colpirne la bocca con il bastone del comando. Da quel momento il mese di muharram inizia tra gli sciiti con l’evocazione del martirio del terzo imam e della sua famiglia. L’insurrezione contro i califfi sunniti che usurpano La Mecca si celebra ogni anno. I sunniti, d’altra parte, continuano a considerare come eretici sia gli sciiti che Hussein. Il mese di muharram comincia con una serie di celebrazioni rituali simili a quelle della Pasqua cristiana. Il martirio viene rappresentato nelle moschee. Gli uomini, a torso nudo e dipinto di nero o rosso, manifestano la loro afflizione strappandosi barba e capelli, Il decimo giorno portano in processione un feretro retto da 8 portatori, che sono seguiti da 87 uomini insanguinati che incitano alla guerra contro gli infedeli; passa poi il cavallo dell’imam, senza cavaliere. Una cinquantina di fedeli segna il tempo marziale battendo due legni e gli uomini si infliggono lacerazioni sanguinanti con spine, schegge di vetro e armi bianche. A destra, la moschea dell’imam Hussein a Kerbala, Iraq.

Nel 661, Alì venne ucciso da un vecchio seguace e, in quel momento, i sostenitori della legittimità di Othman fondarono una dinastia, quella degli Omayyadi, mentre i sostenitori di Alì (anche se con numerose diserzioni) crearono la prima scissione in seno all’Islam. In un futuro immediato, infine, si sarebbero anche registrate delle conquiste importanti mentre la perdita dell’unità non sarebbe rimasta affatto senza conseguenze. Le tre decadi di califfato elettivo che sarebbero trascorse tra la morte di Maometto e la frattura tra coloro che verranno chiamati sunniti (i seguaci di Othman) e gli sciiti (seguaci di Alì: il termine deriva da shiatu Alì, “fazione di Alì”) costituirono il periodo di espansione più rapida e più intensa per l’Islam.

Differenze tra shiat e sunna All’inizio, le differenze tra sunniti e sciiti riguardavano le relazioni in ambito politico e di successione dinastica. I sunniti riconoscevano l’eleggibilità nella successione del Profeta tra tutti i membri della sua tribù, ossia, i Qurayshiti, mentre gli sciiti consideravano idonei all’elezione soltanto i di40

scendenti del Profeta, in particolare quelli di Alì e di sua moglie Fatima, unica figlia di Maometto che aveva lasciato come eredi due figli maschi, Hasan e Hussein. Tuttavia, tra una successione di tipo tribale e una ereditaria per diritto divino così come la consideravano i seguaci di Alì, c’erano certamente delle differenze che avrebbero avuto conseguenze drastiche. Il califfo sunnita è un capo temporale, con il compito di difendere l’Islam, ma non ha prerogative in ambito religioso. D’altra parte, l’imam (nome dato ad Alì e ai suoi seguaci) sciita è considerato capo della comunità: in quanto a conoscenze in materia sacra, i suoi insegnamenti hanno un valore decisivo e, su questa base, è considerato infallibile. Tale è l’importanza dell’imanato in ambito sciita che esso è riconosciuto come verità fondamentale dell’Islam, insieme all’unicità di Allah, alla profezia di Maometto e ai fini ultimi. Nello stesso modo in cui il Profeta fu guidato da Dio, così l’imam ha come guida il Profeta. È quindi l’unico interprete delle Scritture, l’autentico continuatore della missione di Maometto.


IL MARTIRIO DI HUSSEIN. Miniatura turca di un manoscritto risalente ai secoli XVI-XVII che mostra l’immagine di un cammelliere mentre dà la notizia della morte di Hussein e che, secondo un verso di Lami’i Çelebi «si trasformò in un mostro nero per aver rubato la cintura al cadavere di Hussein» (British Library, Londra).

L’importanza attribuita a questa figura rendeva difficile la scelta di un solo imam da parte della comunità, questione che avrebbe dato luogo a varie divisioni in seno allo sciismo. In relazione ai sunniti, si osservano inoltre alcune differenze che riguardano il riconoscimento di determinate parti della tradizione delle Scritture, così come alcune sfumature in materia di diritto. A grandi linee, si può affermare che gli sciiti, nonostante debbano considerarsi tradizionalisti per quanto riguarda le Scritture – private di tutte le parti che essi stessi ritenevano essere state aggiunte da Othman – risultano essere invece innovativi sotto alcuni aspetti, nella misura in cui il carattere centrale e l’importanza data alla figura dell’imam permette loro di apportare grandi cambiamenti nel campo dell’interpretazione della tradizione e del suo rinnovamento.

I kharigiti e il settarismo Una fazione del movimento dei seguaci di Alì non aveva accettato l’arbitraggio riguardante l’assassinio di Othman, con l’idea che soltanto lo scontro

armato avrebbe mostrato la volontà divina, e di conseguenza decise di costituire un nuovo gruppo di dissenso, i cui membri assunsero l’appellativo di kharigiti, “gli uscenti”. A un kharigita, Ibn Muljam, è attribuito l’assassinio di Alì e in seguito del figlio Hussein, che morì a Kerbala nel 680. I kharigiti sostenevano che il califfo poteva provenire da qualsiasi comunità musulmana, senza vincoli speciali, tribali o familiari. Il sapere e una condotta personale irreprensibile erano elementi sufficienti. D’altra parte, difendevano la sottomissione della fede alle azioni: ciò significa che qualsiasi peccato grave era un atto di infedeltà nei confronti di Dio e, di conseguenza, il peccatore doveva essere considerato come un apostata. Oggi i kharigiti non esistono praticamente più, ma il periodo dei primi scismi in seno all’Islam portò alla formazione di correnti di carattere settario: poche tra i sunniti, anche se si pensa che questi rappresentassero circa il 90% dei musulmani, ma numerose, invece, tra gli sciiti. Tra le correnti del mondo sciita, bisogna ricordare quella dei kaisaniti, strettamente col41


DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

CALIFFI OMAYYADI Anni 661-680

Muawiya I Anni 680-683

Yazid I Anni 683-684

Yazid II Anni 684-685

Marwan I Anni 685-705

Abd al-Malik Anni 705-715

Walid I Anni 715-717

Solimano I Anni 717-720

Omar II Anni 720-724

Yazid II Anni 724-743

Hisham Ibn Abd al-Malik Anni 743-744

Walid II Anno 744

Yazid III Anno 744

Ibrahim Ibn al Walid Anni 744-750

Marwan II 42

legata agli eventi dell’epoca, dato che sorse in seguito all’assassinio di Hussein, figlio di Alì. Il fratello, Hasan, si rifiutò di assumere la leadership del movimento, cosicché un figlio di Alì, frutto di un’unione con un’altra donna, e non con Fatima (fatto che indeboliva naturalmente il grado di parentela con il Profeta), si mise a capo del gruppo. Negli anni successivi, un personaggio di nome Al Mukhtar assunse il ruolo di leader carismatico: si presentò come profeta, si oppose militarmente ai sunniti e istigò gli schiavi a ribellarsi, insurrezione che fu repressa in maniera cruenta nell’anno 657. Infine, si ricorda anche la setta degli ismaeliti, che acquistò forza soltanto in seguito, durante il secolo VIII, ma che in quei tempi funse da polo di attrazione per numerosi gruppi di dissidenti. In questo caso, quindi, non si può parlare di un gruppo unitario, ma piuttosto di una corrente con spiccate caratteristiche di misticismo, che spesso rifiutava la pratica del culto in luoghi concreti, come le moschee, preferendo riunirsi invece in cellule di tipo iniziatico. Sono ismaeliti i Drusi del Libano, che probabilmente costituiscono oggi il gruppo più compatto di questa corrente. La copiosa frammentazione settaria del mondo sciita impedì certamente ad esso di affermarsi con una maggiore autorevolezza, anche se alcune dinastie che si rafforzarono più avanti nella storia dell’Islam sorsero proprio dalle sette sciite.

L’espansione del califfato omayyade Gli Omayyadi esercitarono un potere soverchiante che portò alla conquista di Siria, Libano, Palestina, Egitto, Irak e Iran. Muawiya considerò la diffusione dell’Islamismo come un’impresa di conquista che vide coinvolti i tre continenti. Gli Omayyadi utilizzarono le strutture organizzative e persino le basiliche erette dall’impero bizantino. Le preghiere collettive del venerdì, per esempio, si svolgevano nella chiesa di San Giovanni Battista, a Damasco. Mentre le letture del Corano introducevano l’arabo, i soldati e i burocrati utilizzavano il farsi e il greco. I califfi si lasciarono sedurre dall’iconografia bizantina e dal protocollo persiano. Abd al-Malik regolamentò l’uso dell’arabo nell’amministrazione e sradicò le icone delle monete coniate nel califfato. Walid I conquistò l’Africa settentrionale aprendosi un varco verso la Penisola Iberica. I territori conquistati vennero regolamentati da un’amministrazione piramidale: la politica era a carico del califfo assistito da un visir e numerosi funzionari; la giustizia era in mano ai qadi. Governatori militari ed emiri regnavano sulle province. L’esercito, esperto nell’ampliare le frontiere, rafforzava le proprie fila con nuovi fedeli afgani, iraniani, egizi, berberi…

La dinastia omayyade Quando i sunniti prevalsero sui seguaci di Alì, fondarono con la dinastia omayyade il califfato ereditario con sede a Damasco (661-750). Benché Othman fosse un califfo eletto, le cose cambiarono con il suo successore Muawiya, precedentemente governatore della Siria e suo parente, e nell’universo maggioritario sunnita cominciò ad acquisire potere una linea dinastica che avrebbe preso il nome di omayyade. Muawiya sosteneva di proseguire l’opera di Abu Bakr e, con una tale premessa, scelse come suo successore uno dei suoi figli, Yazid I, che arrivò al potere nel 680 e lo mantenne per tre anni. Gli successe per breve tempo il figlio Muawiya, che abdicò a favore dello zio di suo padre, Marwan, considerato il membro più influente del clan. Da questo momento in poi e fino alla fine della dinastia omayyade (750), il califfato sarebbe rimasto in mano alla sua stirpe. Con l’ascesa al potere di Marwan, la nuova dinastia mostrò una doppia linea politica, da un lato diretta a continuare l’espansione e, dall’altro, preoccupata di consolidare i territori già conquistati: due linee necessarie ma controverse, anche sotto un punto di vista economico, dato che l’espansione territoriale permetteva di incrementare le entrate attraverso le imposte, mentre l’orga-

nizzazione delle campagne militari significava l’impoverimento delle finanze del califfato. Con gli Omayyadi vennero abbandonate molte usanze nomadi e la corte di Damasco (città dalle tradizioni culturali greche) cominciò ad assomigliare sempre più a quella bizantina che, di fatto, era il modello a cui si ispirava. Nacquero un’arte e una letteratura musulmana molto vicine alle grandi tradizioni eclettiche della cultura bizantina, il che presuppose un certo rilassamento delle questioni relative alla fede. Per esempio, la proibizione di rappresentare esseri animati, che era sempre stata molto rigorosa, fu ampiamente trascurata dalla tradizione iconica omayyade. Infine, se da un lato il nucleo del governo e dell’esercito continuò a essere in gran misura arabo-siriano, sotto la dinastia omayyade crebbe anche il ruolo dei non-arabi in seno all’Islam.

Verso l’Hindu Kush Sotto la dinastia degli Omayyadi, l’Islam si espanse verso Oriente fino all’Hindu Kush, il lago Aral e l’Uzbekistan. Nei primi quindici anni


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Herat Gazni R BA I G I A N Multan Tarso M E S O P O T A M I Kandahar Rages A Efeso Mosul Aleppo Hamadan S I S TA N IRAN Antiochia SINDH S I R I A Bagdad Nah āvand (642) Isfahan Mansura Damasco Tiro Al-Qadisiyya (636) Kerman Yarmuk (636) Bassora Alessandria MAKRAN Daibul Shiraz Gerusalemme Ormuz Aynadayn (634) Fustat Tabuk Al Katif Sohar Mascate EGITTO OMAN HEGIAZ Conia

Siracusa

Tripoli Barca T R I P O L I TA N I A

Medina Capitale del califfato Battaglie decisive

La Mecca

CAZARI Popolazioni

Espansione dell’Islam: Alla morte di Maometto (632) Durante i quattro primi califfi (632-661) Califfato omayyade (662-750)

del secolo VIII, il governatore della Mesopotamia, Al Hayat, sottomise la regione del Khorasan, attraversò il famoso fiume Oxus (l’attuale Amu Daria), occupò Bukhara e giunse nel Belucistan: il potente impero dei Persiani che per anni aveva tenuto in scacco prima i Romani e poi i Bizantini, era scomparso come neve al sole. La battaglia del fiume Talas, sferrata nel 751, consolidò le frontiere tra l’espansione musulmana e la Cina della dinastia Tang attraverso la spartizione dell’area altaica. Agli inizi del secolo VII la Cina aveva esteso il proprio controllo sulle montagne dell’Hindu Kush e del Pamir, mentre gli Arabi, da parte loro, avevano occupato la Transoxiana fino a Taskent e la valle di Fergana. Queste regioni erano un tempo alleate della Cina, a cui chiedevano aiuto contro gli invasori; fino al 747, però, i Cinesi preferirono tenersi lontani da tali questioni. Alcune rotte commerciali erano tuttavia in pericolo e negli anni successivi i Cinesi cominciarono la controffensiva. Sulle rive del fiume Talas, a nord dell’attuale fiume Syr Daria, si scontrarono, tra i mesi di mag-

Peshawar

HA Sanaa Shabwa

Al Hudayda Zabid

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YEMEN Aden

gio e settembre del 751, due imponenti eserciti. Nonostante le fonti storiche siano ben poco precise sull’argomento, è probabile che il contingente arabo fosse numericamente superiore a quello cinese. In entrambi gli eserciti militavano migliaia di uomini appartenenti a varie tribù turche. È anche possibile che i Cinesi giungessero alla battaglia già sfiniti da un’interminabile marcia a cui erano stati costretti per migliaia di chilometri. Dopo un inizio favorevole per i Cinesi, gli Arabi ebbero il sopravvento e in cinque giorni sbaragliarono le forze nemiche. A quanto sembra, sopravvissero soltanto 5.000 Cinesi. Le conseguenze della battaglia furono notevoli, anche se non cambiarono per nulla gli equilibri di potere nella regione. In effetti, gli Arabi riuscirono a consolidare il proprio potere sull’area centroasiatica, ma non proseguirono con le loro conquiste oltre quei confini. Soltanto la progressiva conversione dei Turchi, e non la conquista militare del territorio, avrebbe portato all’espansione dell’Islam fino alle regioni più orientali del continente.

ESPANSIONE CULTURALE. Vassoio

islamico proveniente dall’Irak, decorato nel secolo IX. Il decoro è calligrafico: consiste in un binato, due versi del poeta Mohamed Bashir Ibn al Jariji (British Museum, Londra).

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LA GRANDE MOSCHEA DEGLI OMAYYADI A DAMASCO

L’

area sacra della moschea di Damasco era consacrata al tempio di Hadad – altro nome per il dio Baal degli Amorrei – fin dal III secolo a.C. In tempi romani, nel peribolo era stato eretto un tempio dedicato a Giove sostituito dal Cristianesimo con la chiesa di San Giovanni Battista. Dal 636 aveva accolto i musulmani che si riunivano nel sahn (“patio”, “cortile”) per pregare verso la parete a sud, in direzione della Mecca. Tra il 706 e il 715, il califfo Walid I fece costruire la Grande Moschea. I mosaici in stile bizantino che la decoravano si sono quasi completamente persi. Il colonnato del portico che circonda il patio, a doppia arcata, usa archi a ferro di cavallo di tipo visigoto e cimase di ordine dorico e corinzio. La sala delle preghiere si divide in tre grandi oratori, che corrispondono alle tre navate della basilica cristiana. Nel patio, una struttura ottagonale rifinita con una cupola, il padiglione del tesoro (a destra), si sostiene su otto colonne ed è decorata con mosaici abbasidi raffiguranti motivi arborei ed edenici.

IL SEPOLCRO DI SAN GIOVANNI BATTISTA San Giovanni Battista, considerato uno dei profeti antecedenti a Maometto, conserva la sepoltura che gli architetti bizantini gli avevano assegnato nella precedente basilica cristiana. Il monumento si trova all’interno della sala delle preghiere della Grande Moschea di Damasco.

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2

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1

LA MOSCHEA-BASILICA La pianta della moschea ricorda quella di una basilica cristiana ed è contrassegnata da elementi di epoca romana, greca e bizantina. Ha quattro porte, una cupola principale e tre minareti, oltre a un grande patio centrale.

1

IL TESORO.

2

LA PORTA GRANDE.

Padiglione ottagonale, risalente all’anno 789, decorato con mosaici e sorto su colonne romane.

Costruita nel luogo in cui si trovava l’entrata principale della basilica bizantina.

3 IL GRAN MIHRAB. Si trova nella sala delle preghiere, la cui vasta e alta crociera mette in risalto il sepolcro di San Giovanni.

FONTANA. La fontana delle abluzioni sorge al centro del sahn, tra la porta del Paradiso e la sala delle preghiere.

4

TRACCE BIZANTINE. Particolare di uno dei pochi mosaici bizantini che si salvarono dalla distruzione. 45


DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

Le conseguenze sull’artigianato e il commercio furono importanti, dato che tra i prigionieri cinesi catturati dagli Arabi molti conoscevano l’arte di filare la seta e di fabbricare la carta, conoscenze che furono in questo modo acquisite anche dal mondo musulmano.

Verso il Maghreb

Qusayr Amra: la vita di un califfo omayyade del secolo VIII Nel mezzo del deserto, a circa 85 km a est di Amman (Giordania), sorge il castello-palazzo di Qusayr Amra, detto il “castello rosso”. È un complesso archeologico fondamentale per conoscere l’arte omayyade e lo stile di vita dei califfi di quella dinastia. Fatto erigere all’inizio del sec. VIII da Walid I, è un’opera di architettura laica – un padiglione di caccia – contemporanea alla Grande Moschea. Rimangono oggi soltanto la sala delle udienze e i bagni. Gli affreschi che rivestono le pareti e i soffitti rappresentano scene floreali, di caccia, mitologiche e di amore. Nell’apodyterium ci sono degli animali – una gazzella, un orso, una scimmia – raffigurati in cerchio. Le pitture alle pareti e ai soffitti del tepidarium sono floreali, con nudi femminili, e un bambino al bagno. Nella volta del calidarium appaiono i segni dello zodiaco dell’emisfero settentrionale. La sala delle udienze rappresenta il califfo seduto sotto a un baldacchino, attorniato da uccelli e musici. Su di una parete ci sono i suoi vassalli: gli imperatori di Bisanzio, Persia ed Etiopia, e il re Roderico, con iscritti i loro nomi. Probabilmente le altre due figure, senza intestazione, sono l’imperatore della Cina e il khan della Turchia. In alto, una scena con donne che si bagnano nel tepidarium.

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Dopo la conquista della Siria e della Persia da parte degli Arabi tra gli anni 633 e 640, e dell’Egitto tra il 643 e il 646, i marinai siriani ed egiziani abbracciarono la nuova fede o, comunque, si misero al servizio dei seguaci del Profeta. E si presuppone che lo abbiano fatto volontariamente dato che erano cristiani e in gran parte monofisiti, e quindi, erano perseguitati e discriminati dall’amministrazione imperiale bizantina. Nell’anno 649, l’allora governatore della Siria, che in seguito sarebbe diventato il califfo Muawiya, attaccò Cipro. Nel 652, ci furono anche alcune modeste incursioni nella Sicilia bizantina. Tre anni dopo, la grande battaglia navale di Finike segnava la crisi della talassocrazia romanoorientale e lo stesso imperatore Costante II, al comando della flotta bizantina, venne sconfitto. L’antica provincia romana dell’Africa, che gli Arabi chiamavano Ifriqiya (che comprendeva la Tripolitania e gli attuali Stati della Tunisia e dell’Algeria) era stata invasa dai musulmani nell’anno 647; fu però soltanto nell’anno 633 che la resistenza bizantina e, soprattutto quella berbera, cominciarono a cedere. Gli Arabi stabilirono una differenziazione tra tre elementi etnico-sociali nell’area che stavano conquistando: i rum, termine che per loro si riferiva principalmente ai Bizantini (proveniente dal greco Rhomaioi), ma che sul litorale africano al nord della Siria non poteva designare altro che popolazioni di origine o di lingua latina; gli afriki, autoctoni cristianizzati e, per ultimi, i berber, dal verbo arabo onomatopeico barbar, che significa non saper parlare, e con il quale si usa contraddistinguere chi non sa parlare arabo, ossia “l’altro”, “lo straniero”. Questi ultimi finirono per accettare l’Islamismo, ma mai si identificarono con gli Arabi. Come questi ultimi, erano riluttanti alla vita di mare, anche se l’introduzione di Siriani ed Egizi permise ben presto ai musulmani dell’Ifriqiya di mettere gli occhi sul Mediterraneo. Nel 665, i musulmani usavano già la base navale di Jalula, che era stata espugnata ai Bizantini. Nell’anno 670, fu fondata la città di Al Qayrawan (Kairouan), che prese il nome dalla parola che in arabo significa campo militare. A partire dall’anno 700 fu organizzato un solido porto musulmano a Tunisi, città in cui si trasferirono un centinaio di famiglie egiziane esperte nell’arte della costru-


LA MINACCIA ARABA.

Il re Egica convocò nell’anno 694 il XVII Concilio di Toledo, durante il quale rivelò l’esistenza di una cospirazione ordita tra Giudei e Arabi per invadere la Penisola Iberica, secondo le notizie riportate dagli esuli bizantini, persi e nordafricani. A sinistra, rappresentazione di una sessione del consiglio nel sapiente manoscritto Notule de primatus nobilitate et dominio ecclesiae toletane del sec. XII (Biblioteca Nazionale, Madrid).

zione navale. In circa cinque anni, tutta l’Africa settentrionale fino al territorio che per gli Arabi era il “lontano Occidente” (al Magrib al Aqsà), l’attuale Marocco, era finito in mano ai conquistatori.

Conquista della Penisola Iberica Nella Spagna visigota la notizia dell’avanzata dei contingenti arabi attraverso le coste dell’Africa settentrionale aveva ormai da tempo destato una certa inquietudine. Durante il Concilio di Toledo dell’anno 694, il re Egica aveva sottolineato tale minaccia. Si diceva che gli Ebrei, esasperati dalle misure vessatorie contro di loro, si erano resi disponibili a dar ciò che si meritavano ai “nuovi barbari” che avanzavano da Oriente. Nel frattempo, imperversava la guerra civile tra Agila e Roderico per la successione dell’ultimo re di Toledo, Witiza. A quanto sembra, Agila, che dopo esser stato sconfitto si era rifugiato in Marocco, chiese aiuto ai Mauri (così chiamati perché provenivano dall’antica Mauretania, ossia dal Maghreb), agli Arabi conquistatori, ma anche ai Berberi arabizzati e islamizzati che con essi vive-

vano, i quali, da quel momento e per molto tempo successivamente, sarebbero stati identificati come i feroci e affascinanti nemici-amici dei cristiani peninsulari: i Mori. D’altra parte, si pensa che in Spagna e in Settimania (Gallia meridionale), così come era avvenuto in gran parte delle regioni un tempo bizantine e poi conquistate dai musulmani, i nuovi venuti non furono accolti negativamente in generale, almeno da una parte della popolazione, che preferiva il nuovo dominio a quello dispotico dei principi cristiani, dato che era meno oppressivo e vessatorio. Fu nel 711, quasi un anno dopo che il corpo degli esploratori musulmani attraversò lo stretto, che una grande flotta musulmana, comandata dal condottiero berbero Tariq Ibn Ziyad, sbarcò presso il promontorio che gli deve il suo nome, Gibilterra. Le forze arabo-berbere contavano su circa 10.000 uomini. Sconfitte le truppe del re visigoto Roderico sulle rive del Guadalete, gli invasori si diressero verso Siviglia, occuparono quindi Cordova e, nel 713, espugnarono Toledo. Aragona venne conquistata l’anno seguente.

LA CUPOLA DELLA ROCCIA (pag. 48-49).

Secondo la tradizione, la roccia situata al centro della cupola di questo tempio sacro per l’Islam è la stessa da cui il Profeta ascese in cielo. Si erge nel piazzale della Moschea di Gerusalemme, che fu fatto costruire alla fine del sec. VII dal califfo Abd al-Malik. 47


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DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

Carlo Martello e la mitizzazione dell’epica cavarellesca cristiana Nel 721, il duca di Aquitania sconfisse a Tolosa l’esercito del valì di al-Andalus, Al-Samh ibn Malik, che uccise durante la persecuzione. Abd al-Rahman, che gli successe, entrò nella Gallia nel 732 con un esercito ancor più numeroso, ma si scontrò con Carlo Martello, che lo sconfisse e uccise a Poitiers, secondo quanto riferisce la leggenda epica. Il genio militare e la fortuna del figlio illegittimo di Pipino di Heristal finirono, presumibilmente, a causa della minaccia che incombeva sull’Europa. Gli storici contemporanei, tuttavia, negano l’importanza che si attribuisce a questa campagna militare e anche alla minaccia saracena nei confronti dell’Europa settentrionale. Il mito di Carlo Martello pare essere nient’altro che uno dei primi e più forti caposaldi creativi della poesia epica medievale e della propaganda cristiana, che lo assursero ad esempio di cristianità nelle crociate e durante la Riconquista o contro l’avanzata ottomana. Un simbolo che appartiene al patrimonio ideologico fondativo francese del Cristianesimo occidentale e della teoria dello scontro tra civiltà. A sinistra, scultura di bronzo di Théodore Gechter (1795-1844), che rappresenta il combattimento tra Carlo Martello e Abd al-Rahman.

Nel 720 caddero anche la Catalogna e la Settimania, cosicché i territori della monarchia visigota al sud e al nord dei Pirenei passarono a essere occupati dai musulmani. La conquista saracena della Penisola Iberica non era tuttavia completa. Tra le montuose terre pirenaiche e la catena cantabrica resistevano ancora alcuni focolai d’opposizione cristiana. Nell’anno 720, il goto Pelayo organizzò nelle Asturie il principato che circa vent’anni dopo si sarebbe trasformato in regno e avrebbe designato come capitale una nuova città, Oviedo, fondata nel 760.

Incursioni nella Gallia Dalla Spagna e dalla Settimania (Gallia meridionale) dalle quali i Franchi dominavano dall’inizio del VI secolo, dove però le istituzioni e le strutture sociali erano fragili, la conquista della Gallia pareva ormai vicina. Dopo aver occupato Narbona nell’anno 718, gli Arabi si presentarono a Tolosa nel 721 e conquistarono Nimes e Carcassonne nel 725. Tutta la Provenza, con il bacino del Rodano, era ormai parte dello scenario delle 50

loro gesta. Autun, in Borgogna, venne incendiata nel 725 (secondo alcune fonti, nel 731). Il papa Gregorio II, che seguiva con trepidazione gli sviluppi relativi alle vicissitudini del popolo franco, “figlio primogenito” della sua Chiesa, incoraggiò Oddone, duca di Aquitania, affinché nell’anno 721 opponesse resistenza ai musulmani di fronte a Tolosa e, a titolo di eulogia, inviò al duca alcuni tessuti che erano stati utilizzati per ricoprire l’altare nella basilica di San Pietro. Ridotti a brandelli, i tessuti in questione vennero inghiottiti dai guerrieri cristiani come rito parasacramentale. Secondo una tradizione molto radicata i musulmani furono intercettati a Poitiers dal maestro di palazzo di Austrasia, Carlo Martello. La battaglia, sferrata nel 732 o 733, è in sé meno importante della risonanza mitica che l’avvenimento scatenò. Per farsi un’idea del contesto in cui fu creata, bisogna ricordare altri episodi probabilmente altrettanto significativi, come per esempio quelli che hanno come protagonista il capo berbero Munuza, che si stabilì a cavallo dei Pirenei orientali, nella Cerdagna, e contrasse matrimonio con una figlia del duca Oddone d’Aquitania, prima di essere sconfitto nel 729 dall’emiro di Cordova, contro cui si era ribellato. Un altro episodio rilevante fu quello con protagonista il Duca di Provenza, Mauronto, che nell’anno 734 aprì ai musulmani le porte di Avignone. La fama di Poitiers oscurò gli anni immediatamente successivi, che mostrano che le incursioni tuttavia continuarono, anche se non in maniera sistematica e definitiva e non portarono ad alcuna particolare conquista territoriale saracena sull’altro versante dei Pirenei. Nel 734, Avignone era occupata e allo stesso modo risultava assaltata Arles, e tutta la Provenza era saccheggiata. Nel 737 si arrivò fino alla Borgogna, dove vennero catturati un alto numero di schiavi che furono condotti ad al-Andalus. In seguito, le incursioni arabe sarebbero giunte dal mare: Marsiglia venne attaccata nell’838 e nell’848, Arles nell’842 e nell’850, mentre la Camargue fu invasa nell’anno 869.

Da Carlo Martello a Roncisvalle Le incursioni arabo-berbere provocarono reazioni diverse nel mondo franco, proprio a partire dalle continue campagne di Carlo Martello contro i musulmani della Gallia meridionale, tra gli anni 736 e 739. Imperavano senza dubbio il doppiogiochismo e i tradimenti, ragione per cui risulta impossibile parlare di vere e proprie spedizioni “dei Franchi contro l’Islam”. Con le loro incursioni, i musulmani formavano parte di una totale lotta per il potere alla quale, decenni più tardi, nella


memoria collettiva alimentata, e forse condizionata, dall’epica, furono attribuite anche motivazioni di natura religiosa. La dinastia costituita dai discendenti di Carlo Martello deve in pratica la sua fama e la sua gloria al “pericolo” rappresentato dai musulmani nella Penisola Iberica. D’altra parte, tra i secoli VIII e IX, il rischio di un’invasione islamica proveniente dai Pirenei era praticamente inesistente. Tuttavia, nell’anno 776, Carlo Magno aveva già tentato di inserirsi nelle lotte tra i piccoli emirati aragonesi, con l’intenzione, perlomeno, di essere riconosciuto come mediatore tra le parti. Tale iniziativa, però, non portò al successo, anche se servì ad alimentare la leggenda, in particolare l’episodio dell’imboscata di Roncisvalle, durante la quale perì un collaboratore e parente di Carlo Magno, il conte Orlando. Tale episodio sarebbe stato lo spunto in seguito per la celebre Chanson de Roland, testo epico fondamentale del Medioevo. I guerrieri franchi furono comunque sconfitti in quella occasione non dai musulmani, bensì dagli uomini

delle montagne basche, che erano ostili all’avanzata di un esercito straniero nelle loro terre. In ogni caso, Carlo Magno riuscì a organizzare immediatamente a sud dei Pirenei un territorio di frontiera, la Marca di Spagna, la cui funzione specifica era quella di costituire una testa di ponte per una possibile espansione verso la Penisola Iberica. Grazie a essa, tutto il versante dei Pirenei passò sotto il controllo franco. Tuttavia, su scala più ampia, bisogna dire che durante la terza decade del secolo VIII l’avanzata dell’Islam parve terminare, dopo che ebbe definito i suoi confini tra l’Oceano Indiano e l’Atlantico, il Caucaso e la penisola arabica.

L’assedio di Costantinopoli

RONCISVALLE.

Nella battaglia di Roncisvalle (Roncevaux), combattuta nell’anno 778 tra la retroguardia dell’esercito di Carlo Magno e l’avanguardia dei Saraceni, trovò la morte Orlando (Roldan o Rolando), eroe della canzone di gesta che porta il suo nome e del celebre poema dell’Ariosto, Orlando furioso. Miniatura del sec. XIV Chroniques de France ou de Saint-Denis (British Library, Londra).

Le decadi di transizione tra i secoli VII e VIII furono molto difficili per l’impero bizantino. La necessità di concentrare tutte le forze nella lotta contro gli Arabi obbligò i basilei successori di Eraclio ad abbandonare la penisola balcanica davanti agli Slavi, non essendo più in grado di difenderla. Nel frattempo, gli Arabi che Costante II 51


DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

Harun al-Rashid, il califfo de Le Mille e una notte Nella sua Storia delle dinastie, Ibn aq Tiqtaqa afferma che il califfo Harun al-Rashid fece pellegrinaggio alla Mecca in quasi tutti gli anni durante il suo regno e che, in quel periodo, servì anche il secondo principio religioso, la jihad. Com’è evidente in molte pagine del libro Le mille e una notte, amava la poesia e detestava le dispute teologiche.

Il califfo fu tuttavia un sostenitore del movimento mutazilista, che intendeva dimostrare le verità religiose attraverso la ragione. La dottrina si opponeva al concetto tradizionale, che attribuiva l’accesso alla verità soltanto alla Rivelazione. Fu un musulmano aristotelico. Sotto il suo califfato, lo Stato raggiunse l’apice dello splendore, per mezzo delle imposte pagate da una buona parte del mondo allora conosciuto. Raccolse a corte più saggi, poeti, giuristi, linguisti, scrittori, professionisti dell’intrattenimento e musici di qualsiasi altra corte dell’epoca. Harun li ricompensava e premiava con generosità regale. Durante il suo regno, scoppiò l’insurrezione di Yahia Ibn Abd Allah al Mahdi, discendente di Alì Ibn Abi Talib che si dichiarava imam e rivendicava il califfato. Harun al-Rashid lo attrasse a corte con parole di pace, poi lo fece arrestare e organizzò un confronto faccia a faccia con uno dei suoi accusatori, in una scena tipica da Le mille e una notte, e finì per farlo giustiziare in maniera cruenta. In alto, scena di un’edizione del sec. XIX de Le mille e una notte.

52

era riuscito a tenere sotto controllo tra il 642 e il 659, avevano ripreso l’offensiva: tra il 674 e il 678 sferrarono un attacco contro la stessa Costantinopoli che, pur essendo ancora la capitale, era particolarmente vulnerabile, data la sua posizione sul mare e la sua vicinanza alla costa meridionale del Mar Nero. Non riuscirono però a espugnarla, ma, al contrario, si videro obbligati a firmare un trattato con il quale garantivano un tributo ai Bizantini. Sarebbero trascorsi alcuni decenni prima che i musulmani organizzassero una nuova offensiva. Tra il 695 e il 717, la tumultuosa fine della dinastia eracliana era stata la causa di oltre un ventennio di instabilità e di guerre civili, durante le quali si assistette all’occupazione del trono imperiale da parte di sei basilei, uno dei quali, Giustiniano II Rinotmeto (685-695 e nuovamente nel 705-711), l’ultimo eracliano, riprese il potere dopo essere stato detronizzato, e diede il via a una feroce repressione contro i suoi avversari. Fu una grande fortuna per l’impero che da un periodo tanto caotico potesse sorgere nel 717 un sovrano energico e competente, Leone III (717-741), che sarebbe stato considerato un eretico, soprattutto in Occidente, a causa della sua lotta iconoclasta. La distruzione delle immagini (denominata “iconoclastia”, termine di origine greca) fu l’inizio di una lunga crisi che proseguì per tutto il secolo VIII e parte del secolo IX. È stata avanzata l’ipotesi che, con tale azione, Leone III stesse avvicinandosi alle tradizioni musulmane, anche se questa constatazione risulta avere scarsa rilevanza, dato che il califfato – in quel momento potenza egemonica – era in realtà molto permissivo proprio nella questione riguardante le immagini. Fu comunque grazie all’imperatore se l’avanzata degli Arabi si arrestò tra il 717 e il 718, quando questi assediarono ancora una volta Costantinopoli con una formidabile flotta. Si trattò per lo più, infatti, di una battaglia marittima. In seguito, i successi di Costantinopoli contro gli Arabi proseguirono con la vittoria nella battaglia di Akroinon nel 740 e con le successive e continue spedizioni di frontiera guidate dal basileus Costantino V (741-775). La penisola anatolica era però ormai persa per Bisanzio e la sua sopravvivenza dipendeva dalle continue guerre di confine.

Gli Abbasidi Gli sciiti e i kharigiti erano un problema per il califfato omayyade, convertitosi ormai in una sorta di impero ereditario. Era nato, inoltre, un forte contrasto tra questa dinastia e una potente famiglia, quella degli Abbasidi, il cui centro di potere era situato in una zona marginale rispetto


CALIFFI ABBASIDI Anni 750-754

Abul-Abbas al Saffah Anni 754-775

Al Mansur Anni 775-785

Al Mahdi Anni 785-786

Al Hadi Anni 786-809

Harun al-Rashid Anni 809-813

Al Amin Anni 813-833

Al Mamun Anni 833-842

al-Mutasim Anni 842-847

Al Wathiq (Al Waziq) Anni 847-861

Al Mutawakkil

ai nuclei di potere omayyade, nel Khorasan. In quest’area, la popolazione locale islamizzata e gli invasori arabi avevano trovato un punto in comune nell’odio verso le politiche fiscali degli omayyadi. D’altra parte, la nascente dinastia e il suo leader, Abu Muslim, attrassero le simpatie degli sciiti, dando il via a una nuova campagna di propaganda nel nome dei discendenti della famiglia del Profeta. Nel 750, però, quando l’ultimo califfo omayyade fu sconfitto e il califfato di Damasco abbattuto, il primo califfo della nuova dinastia non venne scelto dalla linea dinastica approvata dagli sciiti, bensì dalla stirpe degli Abbasidi, e fu Abul-Abbas, detto al Saffah, discendente di uno zio di Maometto. Ciò nonostante, e come per gli sciiti, gli Abbasidi basavano il loro potere sull’idea di una discendenza supportata dalla volontà divina, in cui il califfo era vicario di Dio sulla Terra. I titoli prescelti dai califfi di questa dinastia (Al Mansur, “il vittorioso”, Al Mahdi, “l’atteso”, Al Hadi, “il ben guidato”) ricordano in maniera esplicita quelli assunti dagli imam sciiti.

Diversamente dal passato, gli Abbasidi basavano il califfato nella loro area di riferimento e su di una nuova città fondata nel 762 dal califfo Al Mansur (754-775), Baghdad, sulla riva del Tigri. Il luogo prescelto per la nuova capitale indicava che il centro della nuova dinastia non sarebbe stato l’area del Mediterraneo vicina a Costantinopoli, bensì l’area mesopotamico-persiana: era chiaro il loro programma di “asianizzazione” del califfato, dopo che i califfi di Damasco avevano invece inseguito il modello bizantino. Un membro della famiglia dei califfi omayyadi era comunque riuscito a giungere fino alla Penisola Iberica e a fondare, a Cordova, un emirato (dall’arabo amir, “principe”) che poté imporre la propria egemonia al punto che nel 929 l’emiro Abd al-Rahman (929-961) riuscì ad assumere il titolo di califfo.

CAPITALE ABBASIDE.

Samarra fu la capitale del califfato abbaside dall’anno 836, a scapito di Baghdad, prima capitale, fondata da Al-Mansur nel 762. In alto, il gigantesco minareto, detto Malwiyya, a forma elicoidale, della grande moschea di Samarra che, a metà del secolo IX, era il più grosso centro di preghiera del mondo islamico.

Gli Idrisidi nel Marocco Lo spostamento del potere centrale islamico verso Oriente condusse a un progressivo indebolimento della sfera d’influenza sul Mediterraneo occidentale. Un discendente della famiglia di 53


L’università più antica del mondo Secondo la tradizione, l’Università di Al Qarawiyyin, o al-Karaouine di Fez, cominciò a essere costruita nell’anno 859, sotto il regno della dinastia degli Idrisidi ed è considerata la più antica nel mondo tra quelle ancora oggi funzionanti. Tra i secoli X e XII fu una delle istituzioni formative più importanti del mondo. Dalle sue aule passarono filosofi come Avempace, Averroè, Maimonide, Ibn Khaldun e il geografo Al Idrisi. Sotto la dinastia almoravide, l’università fu unita alla moschea. Accadde durante il secolo XII, noto anche come secolo degli umanisti e dei matematici, tra cui l’ebreo Ibn al Yasmin, che sviluppò la trigonometria, e una nutrita generazione di teologi e scrittori. In quei tempi e con quei professori, la città di Fez offriva l’insegnamento in varie discipline, come la teologia, il diritto, le matematiche, l’astronomia e l’astrologia, la grammatica e la letteratura. Tra i secoli X e XIV, la maggior parte dei saggi e degli studiosi del Maghreb o provenienti da al-Andalus passò per questa università. A sinistra, moneta idriside coniata in Marocco intorno all’anno 840. A destra, patio della moscheauniversità di Fez.

Alì, Idris, che era riuscito a sfuggire alla repressione abbaside, trovò rifugio nei territori dell’attuale Marocco. Qui, tra il 788 e il 791, intraprese un’operazione di unificazione delle tribù berbere e, anche se le popolazioni locali non si unirono in modo esplicito alla shiat, egli fu comunque scelto come loro imam. La logica che portò al successo della dinastia che egli fondò e chiamò “degli Idrisidi” era la stessa che aveva favorito gli Abbasidi all’ascesa al potere: la volontà dei popoli islamizzati (per gli Abbasidi, le genti del Khorasan; in Marocco, i Berberi) di sottrarsi al dominio arabo e di avviare governi locali. Ciò indica anche che l’espansione dell’Islam era basata più sulla conversione che sulla conquista militare araba. La regione marocchina aveva i suoi punti forti nelle città romane, ancora attive da un punto di vista commerciale, come Tangeri e Volubilis. Ma Idris e poi suo figlio postumo, Idris II, nato dall’unione con una concubina berbera, Kanza, diedero vita a una nuova città importante, Fez, che sarebbe diventata la capitale dell’emirato e il punto di riferimento di tutta l’area, attra54

endo popolazioni provenienti dall’Ifriqiya e da al-Andalus, molte delle quali vi si stabilirono. Il tentativo di espansione della dinastia verso oriente e verso il sud si scontrò con la resistenza di nuove alleanze politico-istituzionali che si stavano realizzando a quei tempi. Ciò nonostante, i testimoni dell’epoca lasciarono il segno della prosperità dell’emirato idriside, anche se alla morte di Idris II (828), suo figlio, Muhammad (828-836) optò per mantenere per sé soltanto la regione di Fez e di ripartire tra i sette fratelli il resto del territorio. Il potere della dinastia idriside in Marocco proseguì fino all’anno 922, quando nuove entità politiche – legate alla dinastia dei Fatimidi – prevalsero nella regione.

I Rustamidi Diversa fu la sorte del Maghreb centrale, dove prevalse una dinastia non tanto legata a vicissitudini familiari, quanto all’instaurazione tra i Berberi locali del settarismo kharigita. Il responsabile dell’introduzione del Kharigismo in questa area fu Rustam (Rostem o Rustem), generale per-


LA BIBLIOTECA. Il secondo califfo di Cordova, oltre a costituire

un’enorme biblioteca, organizzò un laboratorio di editoria (copia, miniatura, rilegatura) per manoscritti provenienti da altre capitali. Nell’immagine, un manoscritto proveniente dalla biblioteca di Al Hakam II, conservato oggi presso l’Università di Al Qarawiyyin.

siano che, nella battaglia di al-Qadisiyya (635 o inizio del 636) era stato sconfitto e catturato dagli Arabi. Il figlio, Ibn Rustam, era diventato governatore di Kairouan, regione in cui imperava con forza il Kharigismo, soprattutto nella sua interpretazione ibadita. Gli Ibaditi (ossia, i seguaci di Abd Allah Ibn Ibad) professavano un Kharigismo moderato, che presupponeva, essendo ormai chiusa la Rivelazione, che fosse impossibile per le comunità distinguere con certezza i peccatori e definirli come non credenti, ragione per cui si avvalorava l’accettazione della maggior parte delle comunità islamiche, permettendo anche il matrimonio con i non Ibaditi. Di conseguenza, il credo di questo gruppo particolare di kharigiti era più facilmente accettato da chi non era arabo. Fu precisamente ciò che accadde nel Maghreb centrale invaso e convertito da Ibn Rustum, che fondò la città di Tahert (nell’attuale Algeria) nel 767. La dinastia dei Rustamidi (Rustemidi o Banu Rustum) estese la propria egemonia su di un territorio non ben definito, ma che arrivava fino a

Yabal Nafusa, in Libia, stabilendo una frontiera tra le dinastie occidentali degli Idrisidi di Fez e degli Aghlabidi di Kairouan. Sotto i Rustamidi si instaurò un regime di convivenza pacifica tra le comunità dei musulmani non kharigiti, le varie sette del Kharigismo, i cristiani e gli ebrei. Nel 909, Tahert subì l’attacco e la distruzione da parte di popolazioni kutama delle montagne, ismailiti alleati degli sciiti fatimidi, che massacrarono buona parte della popolazione. I sopravvissuti si rifugiarono a Sedrata, vicino a Ouargla, ma con la distruzione della capitale anche la dinastia dei Rustamidi giunse al suo capitolo finale.

L’emirato aghlabide La dinastia più potente che si stabilì nel Maghreb fu quella degli Aghlabidi di Kairouan, che in teoria dipendeva dagli Abbasidi, ma che di fatto era autonoma e, dagli inizi del secolo IX, si trovava al comando di un territorio che comprendeva la Tunisia e l’Algeria orientale. Si trattava di una regione con un grado di arabizzazione e islamizzazione maggiore rispetto a quello delle aree 55


DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

un centro culturale importante, il principale della regione, favorendo lo sviluppo della scuola giuridica di Malik, la cui influenza si propagò per tutta l’Africa settentrionale e la Spagna. L’elegante architettura delle città, con numerose fortificazioni lungo la costa, era la testimonianza dello splendore della dinastia regnante. L’instaurazione e il mantenimento di un tale potere, tuttavia, rendeva necessaria una politica fiscale molto rigida, e le tensioni tra i vari settori della società fecero sì che il potere aghlabide divenisse fragile e vulnerabile. Avrebbero approfittato di questa fragilità i Fatimidi all’inizio del secolo x.

La politica estera degli emiri

KAIROUAN. Al Haram, la

sala di preghiera della grande moschea di Kairouan. Fondata da Uqba Ibn Nafi nell’anno 670, venne ricostruita nel 703 dopo la sua distruzione per mano dei Berberi nell’anno 690. Molti musulmani considerano Kairouan la quarta città sacra per l’Islam, dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme.

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con cui confinava ad ovest. L’insieme etnico-religioso includeva cristiani latini (mentre il numero di quelli greci diminuiva in tutta l’area) ed ebrei, con potere soprattutto nella capitale, Kairouan. Il resto della popolazione era costituito da Arabi e Berberi, spesso in conflitto tra di loro, e dalla guardia militare degli Aghlabidi, composta soprattutto da sub-sahariani. Da un punto di vista economico, la dinastia regnante favorì l’espansione nel Mediterraneo, fungendo da collegamento tra l’Africa e il mare, con rotte di carovane che, dal Sudan e dalla Nigeria, aprivano la strada a prodotti preziosi e, soprattutto, all’oro, verso i porti tunisini. Allo stesso tempo, restituì anche all’agricoltura l’importanza che aveva precedentemente avuto sotto la dominazione romana, con sistemi di irrigazione e campi magnifici con uliveti e frutteti, oltre a coltivazioni intensive di legumi e cereali. D’altra parte, lo sfruttamento minerario del rame, dell’antimonio, del piombo e del ferro raggiunse livelli sconosciuti anche ai tempi dell’impero romano. Gli Aghlabidi fecero di Kairouan

La tradizione racconta che, nell’anno 652, partì dalla Siria la prima spedizione degli “Agareni” figli di Agar secondo la tradizione biblica, più noti con il controverso e misterioso epiteto di “Saraceni”. Tale spedizione si diresse verso le coste nordoccidentali dei domini dei rumi, cioè dei Rhomaioi, così come si chiamavano in greco, o “Bizantini”, come sono oggi conosciuti. Le coste orientali della Sicilia furono le prime a essere investite dall’ondata di questi nuovi saccheggiatori. Più drammatico fu, nel 699, l’assalto di Siracusa, per mano di pirati provenienti dall’Egitto. Tuttavia, l’azione più decisiva contro il Mediterraneo centro-occidentale fu organizzata dagli emirati maghrebini. Agli inizi del secolo VIII, le incursioni provenienti dall’Africa e dirette contro la Sicilia, il Mar Tirreno e il sud della Penisola Iberica divennero endemiche, proprio mentre gli Arabo-berberi sbarcavano in Spagna e occupavano rapidamente gran parte di quei territori. Le incursioni fornivano soprattutto metalli preziosi e schiavi ed erano appoggiate regolarmente dagli emirati della costa, ai quali apportavano prosperità e i cui mercati si approvvigionavano di buona mercanzia umana. Non bisogna dimenticare d’altronde che la zaqat, “l’elemosina legale”, era periodicamente elargita dai devoti corsari, in base ai propri guadagni. A metà di questo stesso secolo, i saccheggiatori provenienti dalla Tunisia si spinsero sia in Sicilia che in Sardegna. Non sempre accumulavano bottini o prigionieri: spesso si limitavano a esigere la taglia o contributo imposto ai vinti. La reazione del governo bizantino, pur tarda, si manifestò con la costruzione di torri di vedetta sulle coste e con l’istituzione di un servizio di squadre navali che pattugliavano le coste sicule e intercettavano ogni tanto qualche nave pirata. Il basileus, però, confidava più nella diplomazia e, in diverse occasioni, stabilì patti di amicizia con gli emiri arabo-berberi. Gli scambi commerciali, d’altra parte, procedevano allo stesso ritmo delle


azioni di guerra e di pirateria. I papiri in cui i vescovi di Roma scrivevano le bolle contro le attività commerciali dei cristiani con gli “infedeli” erano importate dalla Sicilia musulmana. Bisogna inoltre ricordare che i vari emirati maghrebini operavano in concorrenza reciproca, fino a quando non entravano in aperto conflitto.

La Sicilia araba Non sappiamo se sia una pura leggenda, o se abbia qualche rilevanza storica, la tradizione che attribuisce l’invasione della Sicilia alle discordie tra cristiani. Circola in proposito un’altra leggenda analoga, anch’essa relazionata con la realtà storica, a proposito dell’arrivo dei musulmani in Spagna. E qualcosa di simile si ripete con le incursioni nel basso Tirreno e nell’Adriatico, favorite o persino causate dal fatto che forse i Napoletani – in pratica sudditi di Bisanzio e incalzati da vicino dai principi longobardi di Salerno – chiesero aiuto ai Saraceni. Bisogna prescindere dall’equivoco religioso: la fede non era in assoluto una ragione evidente di

alleanza militare e le differenze d’altra parte non erano neanche un ostacolo ai patti di alleanza. La Penisola Iberica, il sud della Francia e l’Italia presentano delle analogie riguardo a questi eventi. L’interesse dei musulmani per la Sicilia e per le altre isole del Mediterraneo non aveva origine nella jihad, bensì nella ricerca di basi strategiche e commerciali e, nel caso della Sicilia, nella produzione di grano, causa delle ripetute conquiste da parte di vari invasori. La conquista della Sicilia fu una delle principali gesta militari della dinastia aghlabide. La grande invasione dell’isola cominciò nell’anno 827, e partì dall’emirato della Tunisia, ma i musulmani non ne completarono la conquista fino all’inizio del secolo successivo (902): Palermo venne espugnata nell’831, ma Siracusa non cadde fino all’anno 878. Secondo la leggenda, fu una guerra civile scoppiata tra le fazioni governative bizantine la ragione della sua caduta. La risposta “franca” (ossia, euroccidentale, latina) non si fece attendere, e questa volta fu dura. Un toscano, il comes Bonifacio, sbarcò a sua volta in

NAVIGATORI ARABI.

Buona parte delle conquiste arabe attraverso il Mediterraneo ebbe come protagonisti i suoi navigatori. In alto, imbarcazione araba in una miniatura di un esemplare del manoscritto Maqamat, di Al Hariri, sec. XIII (Istituto di Studi Orientali, San Pietroburgo).

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DALLA CRISI ALLA DINASTIA OMAYYADE

La schiavitù nell’Islam medievale La schiavitù, praticata dalla società musulmana medievale su larga scala, ha radici nell’Arabia preislamica, in cui la popolazione di schiavi era formata dai prigionieri delle guerre tribali e delle razzie. L’Islam non sradicò la schiavitù, né Maometto cercò di proibirla, anche se la Rivelazione promette il Paradiso a tutti quei musulmani che liberano i propri schiavi. Un hadiz acconsente a non maltrattare i propri schiavi, e accorda loro alcuni diritti. Fu il secondo califfo, Omar, che introdusse una proibizione per legge: un musulmano non può essere schiavo di un altro musulmano. La norma limita la schiavitù agli infedeli e invita a schiavizzare i non musulmani. In teoria, ebrei e cristiani, in quanto devoti di religioni del Libro (la Bibbia), erano anch’essi esclusi. La maggior parte degli schiavi nei secoli VIII e IX proveniva dalla Persia, dalla Turchia, dal Caucaso, dall’Asia centrale e dall'Africa. Si organizzarono grandi mercati di schiavi nei secoli IX e X. I musulmani li acquistavano sia per garantirsi servizi domestici e sessuali (concubine), che per lo sfruttamento di manodopera. A destra, un mercato di schiavi in una miniatura del Maqamat, manoscritto illuminato del 1237, del poeta Al Hariri (Biblioteca Nazionale, Parigi).

Tunisia per cominciare una campagna che, in seguito e per molto tempo, sarebbe stata celebrata come la prima e autentica “pre-crociata” della cristianità contro l’Islam. La reazione saracena all’azione di Bonifacio non si fece attendere. Nell’829, i Tunisini assalirono il porto di Roma, Centumcellae e, una volta conquistatolo, gli invasori si lanciarono contro le regioni della Tuscia, della Sabina e della Maremma e arrivarono fino a saccheggiare le mura delle basiliche di San Pietro e di San Paolo, ubicate immediatamente al di fuori delle mura della urbe romana. Negli anni 846 e 849 si registrarono due nuove azioni contro Roma, organizzate da Kairouan e da Palermo, anche se con scarsi risultati. Fu in occasione dell’ultimo assalto che il papa Leone IV ordinò di circondare con mura – la città “leonina” – l’area di San Pietro del Vaticano.

Il Mediterraneo spagnolo Nell’anno 838, l’emiro aghlabide della Tunisia, Ziyadat Allah Ibn Abrahim, ordinò l’attacco di Brindisi. Il principe di Benevento, Sicardo, cercò 58

di reagire, ma l’unico risultato della sua azione fu l’arrivo in città delle reliquie di San Bartolomeo, provenienti da Salerno, che si dice fossero originarie dell’India, anche se è possibile che in realtà fossero state vendute ai Salernitani proprio dai pirati saraceni. All’inizio del secolo IX, le incursioni dalla Sicilia erano arrivate via Mar Tirreno meridionale fin verso l’isola di Ponza e Ischia nell’812, senza che da Napoli si osasse opporre resistenza. Si registrarono anche incursioni in Calabria. Nel frattempo, dalle coste iberiche si succedevano le incursioni saracene verso le isole di Sardegna e Corsica. Il litorale della regione Toscana e del Lazio pareva rimanere indenne al flagello, in parte perché nell’anno 780 Carlo Magno, per far fronte al pericolo, aveva organizzato due flotte distinte, la classis Aquitanica e la classis Italica. Le lotte intestine scatenatesi nelle terre longobarde di Benevento e Salerno furono quelle che diedero il via a nuove incursioni. Gli insediamenti saraceni stabiliti nel territorio salernitano – alcuni dei quali si erano forse convertiti al Cristianesimo – dovet-


tero applicarsi seriamente per far pervenire le notizie all’emiro aghlabide che risiedeva a Palermo, conquistata nel frattempo dai musulmani. Taranto venne assaltata e una squadra navale veneziana che era intervenuta su richiesta dei Bizantini per salvaguardare le rotte verso Alessandria, fu completamente annientata. Furono però le discordie tra Bizantini e Longobardi che lasciarono aperta la strada ai musulmani provenienti dalla Sicilia, che poterono stabilirsi in un ampio tratto della costa della Puglia e fondare a Bari un emirato che sarebbe durato circa trent’anni. Si produsse quindi un evento già noto che si sarebbe ripetuto in altre occasioni in tutte le “guerre di frontiera”: eserciti misti, di cristiani longobardi e saraceni, che combattevano contro altri eserciti, anch’essi misti, e Saraceni che si comportavano in parte come banditi e in parte come mercenari.

Insediamenti e pirateria L’obiettivo degli assalitori era di solito il bottino rapido e la cattura di prigionieri, specialmente di giovani, con i quali alimentare il commercio degli schiavi, così come l’imposizione occasionale di tributi e riscatti. Più raramente, l’incursione aveva come oggetto l’insediamento di un “covo” di pirati, che poteva essere considerato come una piccola colonia commerciale e militare. Spesso, però, si trattava di insediamenti veri e propri, che avevano una lunga durata, come successe nelle isole mediterranee di Creta, Malta, in Sicilia e nelle Baleari, che furono tutte conquistate nel corso dei secoli IX e X e conservate per più o meno tempo. La storiografia occidentale è solita qualificare come pirati i creatori di questi insediamenti costieri saraceni che spesso giungevano a controllare vaste aree territoriali, con il corrispondente specchio di mare adiacente. A dir la verità, risulta alquanto etnocentrico considerare queste esperienze come poco più di atti di pirateria e, allo stesso tempo, presentare in modo diverso le attività che svilupparono, alcuni decenni più tardi, le città marinare italiche. Al contrario, si tratta di tipologie operative che presentano considerevoli somiglianze. Non è una semplice casualità il fatto che le loro relazioni fossero caratterizzate da scambi di colpi di mano e di scontri navali, in alternanza a una discreta attività commerciale da buon vicinato. A ogni modo, bisogna segnalare che i rapporti mostrarono un’inversione di tendenza all’inizio del secolo XI. Fino a quel’epoca, gli insediamenti saraceni avevano infatti presentato un’attività e un dinamismo costanti e, a partire da quel momento, passarono decisamente alla difensiva, mentre gli

insediamenti cristiani mostravano una crescita e un potere sempre più grandi. In qualunque caso, uno dei fattori principali che caratterizzò lo sviluppo di queste piccole “repubbliche” popolate di marinai-pirati-commercianti musulmani (bahriyun), fu senza dubbio la razzia e il commercio di schiavi. A tal rispetto, è caratteristico lo sviluppo nel X secolo dell’Almería, sulla costa iberica meridionale, dovuto soprattutto a questa fiorente attività. I saqaliba, o schiavi bianchi, erano un prodotto molto richiesto. Della loro castrazione, operazione specializzata, si occupavano gli ebrei della vicina località di Pechina. Sia per gli Arabi che per i cristiani l’approvvigionamento doveva avvenire al di fuori dei propri confini e pertanto le aree in guerra erano ideali per la facilità con la quale si facevano prigionieri e quindi li si convertiva in schiavi. La situazione era ben diversa nel bacino orientale del Mediterraneo, dove, grazie alla controffensiva portata avanti da Bisanzio, nella seconda metà del X secolo, le isole di Cipro e di Creta finirono sotto il controllo bizantino.

LA CITTADELLA DI ALMERíA. Quando

Abd-al-Rahman II concesse la condizione di madina all’Almería, nell’anno 955, si gettarono le fondamenta della cittadella. Inoltre, furono costruite la moschea principale e le mura di difesa della città. La cittadella era una fortezza militare e, a volte, fungeva da Palazzo del Governo.

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MOSCHEA AL HAKIM, IL CAIRO. Venne

costruita dal califfo fatimida Al Aziz e dal figlio Al Hakim, nel X secolo. Nella pagina accanto, spilla d’argento dorato dell’epoca del califfato (secoli X-XII), appartenente al Tesoro di Garrucha (Instituto Valencia de Don Juan, Madrid). 60


I TRE GRANDI CALIFFATI L’espansione islamica modificò il volto del mondo afroasiatico mediterraneo. In venticinque anni, tra l’ègira e metà del secolo VII, l’impero persiano era stato assorbito e quello bizantino era stato obbligato a rivedere tutta la propria politica territoriale e di difesa, mentre le potenze marittime dell’Islam lo obbligavano ad abbandonare la costa africana e a condividere una talassocrazia fino a quel momento incontestata.

S

i può affermare che, con l’arrivo del X secolo, si aprì un periodo in cui il Maghreb cominciò a partecipare in modo attivo alla politica espansionistica del mondo islamico. Il trasferimento del califfato a Baghdad conferì ai musulmani un’importante autonomia operativa nei territori occidentali. Bisogna ricordare che, giuridicamente, il Maghreb formava parte del vasto impero abbaside, la cui capitale era Baghdad. Da una parte, l’impero era caratterizzato da una forte frammentazione di stampo etnico dovuta all’eterogeneità delle popolazioni sottomesse e, dall’altra, si stava producendo la graduale ascesa di quella che può definirsi come

la contestazione sciita, che sarebbe sfociata in movimenti estremisti, quali quello dei carmati o quello degli ismailiti. Oltre al Maghreb, anche l’Egitto approfittò di tale situazione, anche se le prime dinastie che si affermarono non ebbero lunga vita. La regione, fondamentale per le attività commerciali e l’economia del Mediterraneo, si vide successivamente sottomessa ai Tulunidi (868-905) e agli Ikhsidi (935-969). Un cambiamento rilevante nella sua storia si registrò con l’ascesa della dinastia dei Fatimidi, sciiti ismailiti che si dichiaravano discendenti di Fatima, figlia del profeta. La loro origine risale indirettamente a un missionario, 61


I TRE GRANDI CALIFFATI

Abu Abd Allah al-Shii, nativo di Sanaa nello Yemen, che per sfuggire alla repressione abbaside si era trasferito, tra il 901 e il 903, nel Maghreb. Trovò rifugio tra i Berberi kutama delle montagne, che convertì all’ismailismo, impresa piuttosto facile grazie all’odio che questi ultimi provavano nei confronti dei sunniti, presentati come oppressori dalle dinastie abbaside e aghlabide. È probabile, tuttavia, che ci fossero già stati contatti precedenti durante un pellegrinaggio dei Berberi a La Mecca, il che fa presupporre che l’azione dei missionari ismailiti fosse ben pianificata e non affatto casuale. Fu questa la prima affermazione pubblica degli ismailiti, movimento che fino a quel momento era cresciuto circondato da sospetti e repressioni cruente e che, proprio per questo, aveva sviluppato forme di segretezza che promuovevano la taqiya, cioè il riconoscimento (proibito tra tutti gli altri musulmani) della possibilità di occultare la propria fede in caso di minaccia. Di fatto, gli ismailiti si facevano passare spesso per sunniti.

La Ifriqiya fatimide

TESORO EGIZIO FATIMIDA. Frammento di

una piastra intagliata in cui è rappresentato un musicista seduto e scene di animali. Avorio intagliato e dipinto, del periodo fatimida (secolo XII), proveniente dall’Egitto (Museo del Louvre, Parigi).

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Nel Maghreb, si unì ad Abu Abd Allah al-Shii un altro ismailita, Ubayd Allah, che intraprese la conquista dell’Ifriqiya e della sua città principale, Kairouan, si dichiarò imam con il nome di Al Mahdi (903-934) e fondò tra il 912 e il 921 una nuova capitale chiamata Mahdia dal suo nome. Al Mahdi focalizzò ben presto il suo interesse nelle regioni occidentali, dove avrebbe voluto conquistare i territori sunniti, ma la sua presenza fu richiesta in Ifriqiya per soffocare la rivolta degli stessi Kutama, i suoi primi alleati. Nella repressione perì Abu Abd Allah al-Shii. Il secondo califfo, Al Qaim (934-946), figlio di Al Mahdi, continuò l’opera di consolidamento del potere, iniziata dal padre, e mise in pratica una politica di divisione tra le varie tribù berbere, creando relazioni di forte rivalità. Una nuova e grave crisi scoppiò con la rivolta kharigita che fu condotta da Abu Yazid, la cui forza militare era alimentata da una serie di tribù berbere. Anche se, secondo la tradizione berbera, l’obiettivo immediato della rivolta era il saccheggio e l’incursione nei villaggi e nei campi delle tribù nemiche, questa volta tuttavia, il risultato reale che si voleva raggiungere era l’abbattimento della dinastia fatimide. Soltanto l’ascesa al potere del figlio di Al Qaim, Ismail (946-953) mise fine alla rivolta di Abu Yazid, che fu sconfitto nell’anno 947. Immediatamente dopo, Ismail cominciò un’ampia opera di riappacificazione della regione, per concentrarsi, più tardi, sugli interessi dei Fatimidi nel Mediterraneo, e particolarmente in Sicilia.

La fondazione de Il Cairo e della sua università Su Giawhar as-Siqilli, il visir dell’imam, ricadde la responsabilità di occupare nel 969 l’Egitto, di fondare Il Cairo e impossessarsi della valle del Nilo, preparando così l’arrivo del suo signore, il califfo fatimida Al Muizz, che era in Ifriqiya. As-Siqilli pronunciò anche la prima khutba (“sermone”) nella moschea di Al Azhar, durante la sua inaugurazione nell’anno 972, ma la fondazione dell’università come scuola di teologia islamica e della legge (sharìa) della moschea, toccò al figlio e successore di Al Muizz, Al Aziz, nel 988. La prima capitale dell’Egitto islamico, Fustat, crebbe velocemente fino a diventare una grande città. Il nome prescelto dai Fatimidi fu Al Qahira (la forte, la vittoriosa, la trionfatrice, la conquistatrice,…). La moschea di Al Azhar fu la prima di tante che, a partire da allora, si cominciarono a innalzare a Il Cairo, che passò a essere conosciuta come la “città dai mille minareti”. Al Azhar, nome della moschea, è uno degli attributi di Dio: il più risplendente (o brillante). A destra, patio con portico della moschea di Al Azhar, sede dell’università omonima, la più influente in Egitto e la seconda università più antica del mondo, dopo quella di Al Qarawiyyin, a Fez.

Con la scomparsa di Ismail, il potere passò nelle mani del figlio Al Muizz (953-975), che prima di tutto dovette affrontare un’offensiva bizantina comandata dal basileus Niceforo Foca al largo del Mediterraneo, che si concluse con una nuova tregua. Nonostante l’alto livello di conflittualità interna, il governo dei Fatimidi fu capace di garantire ampia prosperità economica, così come si può dedurre dalla fioritura delle città, con una notevole attività commerciale e una ricca produzione artigianale. Si tratta di città che, dal punto di vista architettonico, mostrano svariate e sorprendenti somiglianze con le capitali abbasidi per quanto riguarda la costruzione di edifici di rappresentanza: prova che il califfato sunnita continuava a essere un modello da imitare anche in quei luoghi che non erano più sotto il suo controllo e che, al contrario, si erano trasformati in avversari politici e religiosi.

Al Muizz e la conquista dell’Egitto Una volta sistemate le questioni interne, Al Muizz poté dedicarsi all’impresa più importante della potenza fatimide: la conquista dell’Egitto.


Nonostante la sua importanza strategica, il Paese si mostrava fragile da un punto di vista militare, probabilmente a causa del continuo avvicendarsi di dinastie. Pur essendo sempre di confessione sunnita, sul suo territorio abbondavano predicatori e missionari sciiti. Al Muizz e le sue truppe entrarono come vincitori a Fustat nell’anno 969 e poco dopo fondarono la capitale, Il Cairo (al Qahira) proclamando un califfato sciita che sopravvisse fino all’anno 1171. Il califfato sunnita di Baghdad, da cui erano dipese almeno formalmente le dinastie precedenti, non fu in grado, né tentò di farlo, di opporre resistenza o di lanciare una controffensiva, data la forza dell’avanzata fatimide. La conquista dell’Egitto si rifletté in maniera positiva nelle altre aree sotto il suo dominio. Con la nuova dinastia, i centri urbani egizi conobbero un forte impulso economico, data la loro ubicazione geografica tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo. Agli inizi del nuovo millennio, Il Cairo era il maggior centro commerciale musulmano dell’epoca. Tutta una rete di vie e passaggi portavano a questo grande mercato. I commercianti,

seguendo itinerari più o meno lunghi, crearono rotte protette dagli assalti delle tribù ribelli, usando come tappe o centri operativi Aden e Fustat. I Fatimidi controllavano con le loro navi anche le rotte tra la Sicilia e il Mediterraneo centrale, con l’Ifriqiya come territorio chiave. Città portuali come Mahdia o Algeri, fondata nel 960, mostrano l’importanza che acquisirono alcune rotte commerciali per mare, nel panorama economico che avevano architettato i musulmani. Nel Maghreb, numerose rotte univano le città costiere con quelle che stavano all’interno, e il mare costituiva il ponte per poter raggiungere le città di al-Andalus, in un unico e vasto circuito dalla Spagna all’Egitto.

La Sicilia fatimide Le vicissitudini fatimide colpirono anche la Sicilia. L’isola, e in particolare l’aristocrazia palermitana, era sempre stata fedele alla dinastia aghlabide, da poco scomparsa. A quel tempo, la Sicilia era anche terra d’immigrazione per i numerosi musulmani sunniti che volevano rimanere fedeli 63


I TRE GRANDI CALIFFATI

La disgregazione politica dell’emirato indipendente di Sicilia Nel 1033, dopo la caduta del califfato di Cordova e in pieno processo di frammentazione in regni di taifas, l’emirato di Sicilia, che dal 965 esisteva come Stato islamico indipendente sull’isola, si vide coinvolto in un processo di disintegrazione simile a quello sperimentato dall’ultimo regno omayyade di alAndalus, a causa di un errore politico dell’emiro Ahmad al Akhal.

L’emiro di Sicilia, Ahmad al Akhal, che aveva annientato i ribelli fatimidi dell’isola, si scontrò con la popolazione siciliana a causa della sua politica di confische. I Siciliani chiesero aiuto al principe di Ifriqiya, Al Muizz Ibn Badis, che aveva rotto i rapporti con i Fatimidi dell’Egitto. Egli inviò il proprio figlio Abd Allah con un esercito. Il sovrano dell’emirato venne sconfitto dalla coalizione afro-siciliana e i ribelli catturarono e decapitarono Ahmad al Akhal, ma non tardarono a insorgere contro Abd Allah Ibn Muizz, che misero in fuga insieme al suo esercito. Nel frattempo, Hasan al Samsam, fratello di Al Akhal, venne eletto governatore, ma la frattura nell’emirato indipendente non si arrestò. I signori di Palermo cacciarono Al Samsam e assunsero il potere. Mazara, Trapani e Marsala caddero nelle mani di un cadì; Enna, Agrigento e Castronovo finirono nelle mani di un altro cadì; Siracusa finì ad un terzo che attaccò Catania e la sottomise… La Sicilia si ritrovò suddivisa in piccoli regni, simili ai regni di taifas di al-Andalus. Ibn al Thumna, signore di Siracusa, che era entrato in guerra con suo cognato Ibn al Hawass, cadì di Castronovo, chiese aiuto ai cristiani franchi di Ruggero, che nel 1060 con quistarono alcune piazzeforti, obbligando i personaggi musulmani più importanti ad abbandonare il paese. Al Muizz Ibn Badis inviò dall’Ifriqiya una nuova spedizione, ma la flotta fu distrutta da una tempesta. Il principe di Ifriqiya morì poco dopo e l’emirato di Sicilia sparì nel 1072. In alto, le cupole di San Giovanni degli Eremiti, antica moschea di Palermo, rivelano l’influenza araba anche se essa fu ricostruita come chiesa nel secolo XII.

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al califfato di Baghdad e che fuggivano dagli eretici Fatimidi. Numerose popolazioni berbere, che si erano insediate nei territori di Agrigento, furono tuttavia assimilate dalla dinastia fatimide. Il tentativo fatimide di impossessarsi dell’isola vide due opposizioni: i primi decenni del X secolo furono caratterizzati in Sicilia dallo scontro endemico tra il sunnismo siciliano e lo sciismo africano. Il conflitto si risolse a favore dei Fatimidi nel 917, con la capitolazione di Palermo dopo un assedio di sei mesi. Venti anni dopo, tuttavia, nel 937, la ribellione sarebbe riuscita ad abbattere il rappresentante fatimida della città. La storiografia ha spesso interpretato l’opposizione tra i territori di Palermo e Agrigento come un litigio dalla matrice etnica tra Arabi e Berberi. In realtà, tale conflitto va interpretato anche alla luce della struttura centralizzata e autoritaria che caratterizzava il potere fatimida, il quale si basava su di una forte pressione fiscale, sul controllo delle rotte transahariane dell’oro e sul ruolo della Sicilia come importante centro di produzione monetaria. La ribellione contro i Fatimidi causò una serie di carestie e sollevazioni popolari che indebolirono la struttura dell’isola. Soltanto nell’anno 948 un nuovo emiro, Abul-Qasim al Hassan, riuscì ad appianare i contrasti interni, inaugurando l’età d’oro del dominio musulmano sull’isola. La fedeltà della dinastia dell’emiro (kalbì) ai Fatimidi nel periodo in cui questi ultimi erano interessati al controllo del traffico commerciale ad est di Il Cairo, la nuova capitale da loro fondata, determinò paradossalmente lo sviluppo di una forma di maggiore autonomia governativa dell’isola. Per i primi quindici anni di dominio, gli emiri kalbiti di Sicilia intrapresero una nuova opera di riordinamento urbano e amministrativo che favorì un più alto livello di vita e una fiorente creatività letteraria e artistica.

Gli Omayyadi in Spagna Durante il secolo X, l’emiro Abd al-Rahman III (929-961) che era stato a capo della dinastia neoomayyade di Cordova durante il suo periodo di massimo splendore e che nel 929 si era attribuito il titolo di califfo, riuscì a espandere il suo potere su una parte del Maghreb occidentale. Cordova si affermò come polo principale della Penisola Iberica nei primi decenni del X secolo. Capeggiata da Abd al-Rahman e dai suoi successori, la dinastia omayyade intraprese una precisa politica di espansione verso il nord della Penisola Iberica e verso l’Africa settentrionale, con campagne militari dirette in Marocco e nell’Algeria occidentale, territorio che sottrasse ai Fatimidi d’Egitto. In breve tempo il califfato aveva an-


nesso Ceuta e Melilla al sistema portuale andaluso, che si estendeva attraverso il Mediterraneo occidentale fino a Tortosa. La stessa Almería, fondata nel 955, era diventata, cinquant’anni dopo, una delle dieci città più importanti di al-Andalus. Era il grande porto omayyade, la base militare della flotta del califfato e il punto di partenza delle numerose spedizioni che si realizzavano attraverso il Mediterraneo occidentale e lungo le stesse coste arabe. Cordova trovò in Almería il suo sbocco al mare e divenne punto di convergenza di interessi politici, militari ed economici che resero la città un centro commerciale di prima qualità e magnificenza nella rete delle attività commerciali iberiche e internazionali. La Penisola Iberica, con le sue comunità urbane in continua espansione, cercava di intensificare le relazioni marittime commerciali con i Paesi che erano sotto il controllo musulmano, dalla Sicilia fino all’Africa settentrionale, e in questo modo tentava di includere in un tale vasto circuito il mondo occidentale, che si interessò sempre più ai preziosi prodotti d’Oriente.

Intorno all’anno 1000, le città della Penisola Iberica, cristiane e musulmane, mantenevano stretti rapporti con il mare. Da Barcellona a Siviglia e persino i centri urbani della costa atlantica ebbero diversi ruoli nel tentativo di risvegliare il commercio occidentale. La coesistenza di due mondi, quello cristiano-latino e quello musulmano, rappresentava una dualità di civiltà che, con la loro progressiva integrazione, avrebbe contribuito in maniera notevole tanto alla trasformazione del commercio quanto al progresso di tutto il bacino del Mediterraneo.

L’apogeo del califfato di Cordova

ABD AL-RAHMAN III.

La corte di Abd al-Rahman, di Dioniso Baixeras. Dipinto nel 1885, questo olio su tela rappresenta il ricevimento, alla corte del califfo, del monaco Giovanni di Gorze, ambasciatore dell’imperatore Ottone I (Paraninfo dell’Università di Barcellona). In basso, dinaro d’oro di Abd al-Rahman III coniato nella zecca di Medina Azahara.

Nel 948 un viaggiatore arabo proveniente dalla Mesopotamia, Ibn Hawqal, visitò la Spagna e, vent’anni più tardi, raccolse i suoi ricordi in un libro, Kitab al-masalik wa-l-mamalik (Libro delle vie e dei regni). Il titolo potrebbe apparire ambizioso, ma il contenuto del libro, che è ancora attuale, ci permette di seguire e immaginare la vita nelle magnifiche città andaluse intorno all’anno 1000. Ciò che maggiormente colpì Ibn Hawqal 65


I TRE GRANDI CALIFFATI

Almanzor: la jihad e la guerra redditizia Alla fine del secolo X, Almanzor diresse numerose spedizioni contro i regni cristiani del nord peninsulare. Gli obiettivi erano due: ottenere l’egemonia nell’al-Andalus e trasformare le popolazioni vassalle in tributari del califfato di Cordova. Nelle sue oltre cinquanta campagne militari, oltre ad aumentare le risorse della sua tesoreria attraverso la tassa di vassallaggio, Almanzor ottenne riscatti per i prigionieri catturati nei territori occupati e per gli allevamenti. Il suo modus operandi era come quello dei Saraceni della diaspora e dei pirati berberi. Nella campagna del 978 attaccò Pamplona, in quella del 981, Calatayud, in quella del 985 occupò e saccheggiò Barcellona e, in seguito, Santiago di Compostela (997) e San Millán de la Cogolla (1002). Nell’estate dello stesso anno intraprese una nuova razzia, ma questa volta i Castigliani lo attesero vicino alle sorgenti del Duero, a Calatañazor. Ed erano talmente tanti che, secondo il cronista della campagna, riempivano i campi come la piaga delle cavallette. All’alba cominciò un combattimento che durò tutto il giorno. Al giungere della notte, Almanzor constatò che le perdite erano troppo numerose e ordinò la ritirata. Era stato ferito, e morì il 10 agosto del 1002. A destra, il castello di Calatañazor e la mappa delle conquiste di Almanzor.

fu la prosperità di quelle terre, fertili per l’abbondanza d’acqua e in gran parte coltivate, poi le grandi città, densamente popolate e governate in nome della giustizia. Le tasse, abbastanza moderate, erano per il viaggiatore un indicatore della buona situazione economica del Paese. Con grande perspicacia, Ibn Hawqal identificò come elemento indicatore di tale benessere l’abbondante circolazione di monete d’oro e d’argento, che venivano coniate nelle zecche locali. Non gli sfuggì neanche la profusione di oggetti di lusso: avori, ceramiche, oreficeria, pelli finemente lavorate, strumenti musicali, tele e carte preziose, che a volte prendevano la via per l’Egitto. Sappiamo che si trattava di tessuti di qualità straordinaria: si racconta che, nel 997, il visir Almanzor, volendo ricompensare i nobili cristiani che lo avevano accompagnato durante il saccheggio di Santiago di Compostela, offrì loro come omaggio 2.285 pezzi di seta di vari colori e disegni. Numerose sono, in aggiunta, le annotazioni che Ibn Hawqal appuntò sui giardini e gli orti, 66

anche se rimase particolarmente affascinato dalle città. Altamente popolate, ricche e curate, venivano spesso paragonate ad altri nuclei urbani molto conosciuti all’epoca. Egli parlava quindi di Cordova, che aveva un’estensione molto simile a quella di Baghdad, una delle città più grandi di quel tempo. Secondo gli autori dell’epoca, l’area di Cordova doveva essere simile a quella di altri grandi agglomerati urbani come Costantinopoli, Palermo o Il Cairo e in ogni caso, nel secolo X, superava comunque gli altri centri europei. Siviglia era l’altro grande nucleo urbano, che era seguito da vicino da Toledo e da altri centri costieri come ad esempio Valencia, Granada, Almería, Malaga e Lisbona. Cordova, quindi, capitale e sede del governo, superava nel X secolo tutte le altre città della penisola: era la regina delle città di al-Andalus e il suo regno era uno splendore degno de Le mille e una notte. Protetta dalle flotte armate costruite nei cantieri navali delle città di Tortosa e Almería, era collegata a Lisbona per mezzo di una fitta rete di vie e di un rapido sistema di corrieri


CALIFFI DI CORDOVA REGNO FRANCO San Cosme Santiago di Compostela León Iria Flavia Astorga Sahagún REGNO

DI LEÓN Porto

Lamego Coimbra

Viseu

Abd al-Rahman III

REGNO DI PA M P L O N A Burgos Carrión

Nájera

Pamplona

Peña Cervera San Millán (1000)

Huesca

961-976

CONTEE C ATA L A N E

Manresa Simancas San Esteban Clunia Osma Zamora de Gormaz Saragozza Lérida Toro Atienza (981) Cuéllar Sepúlveda Rueda (981) Medinaceli Bagni di Salamanca Tortosa Ledesma Alba de Tormes Guadalajara Guarda

Al Hakam II Gerona

976-1009 Barcellona

Hisham II 1009-1010

Muhammad II

Montemayor Coria

Toledo

1010

Valencia

Hisham II

C A L I F FAT O D I C O R D O VA

Mérida

Lisbona

929-961

1010

Alcocer do Sal

Al Mustain

Murcia Cordova

1010-1013

Baza

Hisham II

Elvira

Tangeri

Ceuta

R E G N I D E I B E R B E R I Z E N AT I

Principali campagne e spedizioni (978-1002) Territori conquistati da Almanzor Località attaccata Battaglie

1013-1016

Al Mustain 1016-1018

Alì Ibn Hamud 1018

Abd al-Rahman IV provenienti dal Sudan e appositamente addestrati per svolgere tale compito. Un esercito permanente di 30.000 uomini, che forse raggiunse la cifra di 50.000 soldati sotto Almanzor, completava il quadro difensivo.

Medina Azahara Fino alla prima decade del X secolo, il palazzo del califfo si trovava a Cordova, sulle rive del Guadalquivir. A metà del secolo, tuttavia, si costruì una nuova e sontuosa città-palazzo, Medina Azahara (Madinat al-Zahr), nome che significa ”città del fiore di zagara”, secondo alcune interpretazioni, o “città splendente” secondo altre. Essa in effetti risplendeva per i marmi, i cristalli e i mosaici, essendo questi ultimi opera dei migliori artisti bizantini. Abd al-Rahman III vi trasferì la corte e tutti gli affari del governo. Il complesso era molto più di un palazzo e comprendeva una moschea, dei giardini, le residenze per i funzionari e i dignitari di corte, gli alloggi per i soldati, diversi bagni e i quartieri per i commercianti. La dimora del califfo era am-

plia e lussuosa, popolata di immensi giardini e fontane, e nelle sue sale di rappresentanza, così come succedeva anche a Costantinopoli, non mancavano effetti visivi sorprendenti, pensati per deliziare il visitatore. Se nella città bizantina, però, lo scopo primario era quello di sorprendere lo sguardo e di circondare l’imperatore di un ambiente quasi soprannaturale, a Medina Azahara si percepisce invece una preoccupazione estetica legata al piacere dei sensi, alla raffinatezza e alla vivacità dei giochi di luce e d’acqua, risultanti dall’abilità e dalla creatività degli architetti di al-Andalus con un tocco di ironico divertimento. Il cronista Al Maqqari fu uno dei fortunati che riuscì ad ammirare il fasto della città prima del saccheggio al quale essa fu sottoposta all’inizio dell’XI secolo, in seguito alla disgregazione del califfato, e la descrisse in questo modo: «Un’altra meraviglia di Al Zahara era la sala dei califfi, il cui soffitto, così come per le pareti, era stato costruito con oro e blocchi di marmo di svariati colori, massicci, ma trasparenti».

1018-1021

Al Qasim al Mamun 1021

Yahya al Mutali 1021-1023

Al Qasim al Mamun 1023-1024

Abd al-Rahman V 1024-1025

Muhammad III 1025-1026

Yahya al Mutali 1027-1031

Hisham III

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LA CITTÀPALAZZO DI MEDINA AZAHARA

T

ra i contributi più noti del califfo di Cordova c’erano i conii di nuove monete d’oro e la fondazione di città. Medina Azahara, la “città risplendente”, fu fondata nel decennio del 940 per diffondere lo splendore degli ultimi anni della dinastia omayyade, spodestata dal potere per mano degli Abbasidi di Baghdad. Abd al-Rahman III scelse come sede un’area rurale a cinque chilometri da Cordova, ai piedi della Serra Morena. Medina Azahara è dotata di mura ed è distribuita su tre livelli o terrazze. La più alta è visibile, la mediana non è stata completamente riportata alla luce e quella inferiore è ancora sepolta. L’area fortificata era rettangolare, con una superficie di 1.518x745 metri. Dar al Mulk, il palazzo del califfo, si trovava nella parte più alta del terreno. Si contraddistingue per la decorazione delle pareti e dei mosaici che rivestono il pavimento e per le due sale, con un grande patio, o cortile, circondato da un portico, e un giardino con colonnato. Nel 1010, i Berberi insorti incendiarono la cittàpalazzo e la moschea. A destra, interno del salone di Abd al-Rahman III.

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4 Dar al Mulk

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PISSIDE D’AVORIO DEL PRINCIPE AL MUGHIRA La pisside è un recipiente in avorio con coperchio che si utilizzava come portagioielli o portaprofumi. Questo, rinvenuto a Medina Azahara, è appartenuto al figlio di Abd al-Rahman III, il principe Al Mughira. Nei suoi rilievi, opera del maestro Khalaf nell’anno 968, sono rappresentati cavalieri, un musicista con liuto, falconieri, leoni, palmeti e fiori (Museo del Louvre, Parigi).

PLANIMETRIA DEL PALAZZO

1 Porta nord. Da lì partiva un percorso che collegava Medina Azahara con Cordova. 2 Abitazioni superiori. Per la guardia del palazzo, la difesa e la sicurezza del califfo. 3 Corpo di guardia (caserme). 4 Cortile delle colonne. Vicino alla residenza del califfo. 5 Abitazioni di servizio e altre dipendenze. 6 Area della piscina. Con giardino centrale e stanze ampie. 7 Casa di Yafar. Edificio in tre parti e funzioni diverse. 8 Salone di Abd al-Rahman III. Per ricevimenti ufficiali, a pianta basilicale. 9 Edificio basilicale superiore. Un insieme di stanze e cortili per uso burocratico. ! Grande portico. L’entrata monumentale e di protocollo. # Moschea principale. Orientata a sud-est. $ Giardino alto. Attiguo alla moschea dal lato occidentale, fuori dalle mura. % Padiglione centrale (bagno). Una serie di stanze che terminano in un bagno. & Giardino basso.

LA CERAMICA DEL CALIFFATO OMAYYADE.

Giara con decorazione di carattere vegetale, in color verde e nero, secolo X, proveniente da Medina Azahara (Museo della Ceramica, Cordova). 69


I TRE GRANDI CALIFFATI

LA CITTÀ DI FEZ. Fondata dagli Idrisidi nel secolo VIII, Fez ebbe un’enorme importanza nella politica degli Omayyadi e Fatimidi. In alto, mura di Fez; in basso: scatola intagliata in avorio, del 999, con il nome di Abd al-Rahman Sanchuelo, secondo figlio di Almanzor (Ashmolean Museum, Oxford).

«Nel centro della sala c’era una grande fontana ricoperta da lastre riflettenti; da entrambi i lati si aprivano otto porte con archi in avorio ed ebano, istoriati con oro e pietre preziose di vario tipo e che poggiavano su colonne di marmo e cristallo trasparente. Quando i raggi del sole entravano nella stanza attraverso le porte, l’intensità della luce che si rifletteva sul soffitto e sulle pareti era tale da accecare l’osservatore. Se il califfo desiderava spaventare un qualche cortigiano sedutogli accanto, non doveva fare altro che un segnale ad uno schiavo affinché mettesse in funzione la fontana e, in un istante, lampi di luce attraversavano la stanza: gli ospiti, credendo che la sala si muovesse, ne erano atterriti».

Marocco: tra Omayyadi e Fatimidi Gran parte dell’Africa settentrionale era stata conquistata dall’eresia dei Fatimidi, e la Penisola Iberica si trovava sotto al sunnismo degli Omayyadi, cosicché i territori di frontiera tra i due poteri erano inclini al conflitto. Dall’Egitto, Al Muizz aveva ordinato un’incursione contro 70

Almería. Come risposta, gli Omayyadi avevano attaccato le coste tunisine. Preoccupati dalla rapida espansione sciita, i califfi di Cordova cercarono di istituire una zona di protezione a sud di al-Andalus, che situarono a nord del Marocco. Per portare a termine il piano, era tuttavia necessario assicurare l’appoggio alla sunna da parte delle dinastie tribali berbere dell’area. Durante la seconda metà del X secolo, gli Omayyadi trovarono un ottimo alleato nella tribù degli Zenata marocchini, che si misero a capo del Paese, anche se non senza qualche problema, dato che la pressione militare che proveniva dall’Oriente continuava a essere molto forte. Tra gli anni 970 e 972, gli Zenata subirono diverse sconfitte, negli scontri con la dinastia tunisina degli Ziridi che, in quel momento, governavano il Paese con l’approvazione dei Fatimidi, i quali intanto si erano affermati sull’Egitto. Nel 979, lo ziride Buluggin arrivò anche ad assediare Fez, che rimase sotto il suo controllo fino a quando gli Omayyadi intervennero direttamente e la recuperarono nuovamente.


L’arte e la cultura dei mozarabi Mozarabica è la cultura e l’arte che produssero gli abitanti della penisola di origine ispano-gotica che non si convertirono alla nuova religione, durante i sette secoli di dominio musulmano. Toledo fu il centro di diffusione principale di questa cultura. La letteratura del periodo va di pari passo con la teologia cristiana, il sapere enciclopedico (Isidoro di Siviglia) e i commenti ai testi biblici. Non era tuttavia stata inventata la stampa e scrivere libri significava scrivere a mano i testi in folio i quali poi venivano illustrati o miniati con arte, come ad esempio i Commentari dell’Apocalisse del Beato di Liebana, i salteri e le Bibbie illuminate. Quest’arte della miniatura ebbe una forte ascesa nell’arte romanica che successe a quella mozarabica. La scultura è modesta, piana, ornamentale, con motivi vegetali e geometrici, poco figurativa e applicata all’architettura. Gli scultori intagliavano capitelli che solitamente sostengono gli archi a ferro di cavallo caratteristici dell’architettura mozarabica (capitelli delle chiese di San Miguel de Escalada e San Cebrián de Mazote). Tutte le chiese mozarabiche hanno la porta d’entrata su una fiancata. I tetti sono di tegole e si sostengono su modiglioni. La decorazione è geometrica.

Si può affermare che, a partire da quel momento, i legami tra Marocco e la Penisola Iberica andarono rinforzandosi fino a formare un blocco politico e culturale compatto, creando una situazione che avrebbe avuto conseguenze per la stessa dinastia dei califfi di Cordova. Se, da un lato, un così solido vincolo costituiva una difesa e un ponte essenziale teso verso l’Africa e le sue ricchezze, dall’altro, il passaggio sempre più frequente di tribù berbere attraverso lo Stretto verso la Spagna divenne ben presto un elemento di instabilità sociale. In generale, a partire dal nuovo millennio, sarebbero state altre nuove realtà, sorte in seno all’Islam marocchino e mauritano, a influenzare in modo fondamentale la storia della Penisola Iberica.

Il declino del califfato di Cordova Nonostante la magnificenza raggiunta durante il X secolo, il califfato omayyade non fu esente da problemi. Arabi e Berberi non erano riusciti a fondersi in modo omogeneo: l’altezzosa aristocrazia dei primi si considerava l’unica vera

CODICE EMILIANENSE. Questa opera dell’arte mozarabica ha un’importanza filologica che fu ravvisata solo più tardi, nel secolo XX, visto che è il documento scritto in castigliano più antico che esista. Venne composto nel monastero di San Millán de la Cogolla (Real Academia de la Historia, Madrid).

erede del Profeta e disprezzava i nuovi arrivati dall’Africa. Tuttavia, si assistette ben presto a una moderata ancorché progressiva integrazione tra Arabo-berberi da un lato e discendenti dai Latini, Celti e Germanici dall’altro. La distinzione definitiva era quella che vedeva i musulmani discendenti dai conquistatori, i cristiani indigeni che si erano convertiti in varie epoche alla fede coranica (i mulawadun o muladi) e i cristiani che erano rimasti fedeli alla loro religione, ma che avevano adottato la lingua e le usanze arabe, senza aver comunque dimenticato il latino, o meglio, il volgare che si era sviluppato dal latino (i mustariba, noti come “mozarabi”). Dopo Abd al-Rahman III, il califfato non conobbe nessun altro sovrano di altrettanto valore. Merita, però, una menzione speciale Al Hakam II (961-976) che abbellì e ingrandì la città di Cordova ed ebbe un ministro e collaboratore talmente energico che, in qualche momento, diede persino l’impressione di superarlo e, di fatto, continuò la sua opera. Il ministro era Muhammad Ibn Abi Amir, che per le sue gesta sarebbe

L’ARTE ORAFA MOZARABICA. Risalente

all’anno 1040, questo calice in argento dorato è un capolavoro dell’arte orafa mozarabica (Monastero di Santo Domingo de Silos, Burgos).

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I TRE GRANDI CALIFFATI

I regni di taifas dopo la fine del califfato di Cordova La fitna – la disgregazione – cominciò nel 1009, nel califfato di Hisham II. I ribelli di Cordova uccisero il visir Abd al-Rahman, figlio di Almanzor, e deposero il califfo. Uno dei nipoti di Abd al-Rahman III, Muhammad II, assunse il potere sul regno. Non durò molto, però, e nel 1010 venne assassinato dal suo visir, che restaurò Hisham II sul trono califfale. regno di francia regno di león

regno di aragona

regno di navarra

taifas di saragozza

taifas di badajoz taifas di niebla taifas di siviglia

taifas di taifas di albarracín taifas di toledo alpuente taifas di carmona taifas di cordova taifas di granada taifas di morón

contee catalane

taifas di lérida

taifas di tortosa

taifas di valencia

ta i fa

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taifas di murcia

taifas di silves taifas di almería taifas di taifas di taifas di malaga arcos taifas di ronda algarve Regni di taifas: taifas di taifas di algeciras Andalusi o muladi huelva Bereberi più o meno arabizzati Slavoi emirato ziride Bereberi

Il califfato omayyade di Cordova continuò a esistere fino alla fine del regno e all’omicidio di Hisham III, nel 1031. La frammentazione di al-Andalus precedente alla dissoluzione del califfato si concretizzò con l’indipendenza delle taife (gruppi o fazioni) nei confronti di Cordova. Nel 1031 tutte le coras (province) del califfato dichiararono la loro indipendenza e vennero amministrate da clan arabi o berberi. Ogni regno di taifas si identificò con un clan familiare o dinastico. Gli Aftasidi, Berberi, cominciarono a regnare a Badajoz nel 1022. Gli Amiridi, che erano i discendenti di Almanzor, si impossessarono di Valencia. Agli Ziridi, altro clan berbero, toccò il regno di Granada. Gli Hammaditi, discendenti degli Idrisidi, regnarono ad Algeciras, Ceuta e Malaga. I Tugibidi, provenienti dallo Yemen, regnarono a Saragozza. A Siviglia, gli Abbadidi, Arabi di origine siriana, governarono la taifas locale dal 1023 al 1091. Durante il secolo XI, al-Andalus fu divisa in 34 regni. La conquista di Toledo per mano di Alfonso VI di Castiglia e León nel 1081 allarmò i sovrani delle taife, tanto da indurli a chiedere aiuto al sultano almoravide Yusuf Ibn Tasufin, che sbaragliò i cristiani e conquistò le taife. A sinistra, l’urna andalusa della cattedrale di Palencia, datata 1050 circa, in legno, avorio e smalti (Museo Archeologico Nazionale, Madrid).

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stato ricordato con l’appellativo di Al Mansur (Almanzor), “il Vittorioso”. Di pura origine araba, il wizir o visir fu per tre decenni, dal 978 al 1008, signore di Spagna e del Marocco. Obbligò il regno cristiano di León a riconoscersi vassallo del califfato di Cordova e nel 997 conquistò, dopo averlo assediato e saccheggiato, il santuario di Santiago di Compostela, anche se le reliquie dell’apostolo non furono profanate. I successi di Almanzor, però, nascondevano una debolezza intrinseca. A questo proposito, è molto significativo l’episodio del 985, quando le truppe musulmane saccheggiarono Barcellona, infliggendo ai cristiani un’umiliazione senza uguali fino a quel momento. Un quarto di secolo dopo, nel 1010, truppe catalane giunsero a Cordova in risposta alla chiamata dei musulmani per respingere i contingenti berberi che la minacciavano dall’Africa.

I regni di taifas Che cosa era successo nel frattempo? Alla morte di Almanzor erano scoppiate nella famiglia califfale contrasti dinastici che avevano frazionato la Spagna musulmana in oltre una dozzina di emirati, spesso in conflitto tra di loro: erano quelli che in seguito sarebbero stati noti come regni di taifas (dove “taifas” assume il significato di fazione). I popoli basco-navarresi che avevano resistito di fronte ai Visigoti e ai Franchi, riuscirono a mantenere la loro indipendenza. Fu così che tra il terzo e quarto decennio del secolo IX, Gaglieghi, Cantabri e Asturiani, con l’appoggio di un gruppo di guerrieri visigoti rifugiatisi tra di loro, organizzarono il piccolo principato di Navarra che sarebbe diventato un regno, un secolo circa più tardi. Dalle Asturie, dalla Navarra e dal nord di Aragona, sarebbe partito, non molto tempo dopo, il movimento della Reconquista cristiana. Bisogna però sottolineare che il mondo musulmano e il mondo cristiano, al di fuori degli episodi bellici, non erano tanto contrapposti, ma piuttosto alquanto ben mescolati. Dame dell’aristocrazia cristiana si univano in matrimonio con signori musulmani per saldare legami politici e alleanze strategiche, come era usanza dell’epoca. Entrambi i fronti si servivano indistintamente di soldati cristiani e musulmani. E proprio la debolezza dei regni di taifas indusse i sovrani a ricorrere sempre più frequentemente ai militari cristiani, come nel caso già citato dei Catalani a Cordova, forse per far fronte alle ricorrenti incursioni in al-Andalus da parte dei Mauri (Mori, Maghrebini) e dei Berberi. D’altra parte, i regni cristiani che, dall’inizio dell’XI secolo, si stavano organizzando, furono caratterizzati, così come successe anche sull’altro


versante dei Pirenei, dalla creazione di società in cui la guerra e lo spirito di avventura cavalleresca erano aspetti dominanti e le cui classi aristocratiche avevano come elemento identificativo la propensione all’uso delle armi. Si trattava, allo stesso tempo, di società ancora poco complesse da un punto di vista culturale, e retrograde da un punto di vista economico, almeno se paragonate al mondo arabo e a quello bizantino. È questa mescolanza di elementi che spiega l’espansione europea degli inizi del secolo XI, a scapito soprattutto della Spagna musulmana.

I Berberi ziridi La dinastia degli Ziridi, che era stata sottomessa ai Fatimidi, impose la sua egemonia nell’area tunisina (972-1167). I Fatimidi, per cui il Maghreb era l’avamposto per la riconquista dell’Oriente, si stabilirono in Egitto dopo la spedizione ad Alessandria e fondarono Il Cairo, lasciando l’Ifriqiya in mano a un governatore fedele, Buluggin Ibn Ziri, un berbero della tribù dei Sanhaja. In un primo momento, la politica degli Ziridi si

mantenne fedele alla dinastia fatimida e al sostegno della causa sciita e ismailita. All’interno di questo quadro vanno interpretati i tentativi di espansione verso l’occidente maghrebino che continuava a essere sunnita. Con l’ascesa al potere del figlio di Buluggin, Al Mansur, la politica si fece più autonoma e fu causa di frequenti tensioni con Il Cairo. Nel frattempo, l’arrivo della dinastia degli Ziridi stava avendo ripercussioni anche in Sicilia. A cavallo tra i secoli X e XI, una nuova guerra civile sconvolse tutta l’isola per diversi motivi, primo tra tutti, i conflitti tribali e i presunti favoritismi fiscali. Con un rovesciamento che annunciava la caduta definitiva della dinastia e di tutta l’isola, Ahmad al Akhal si servì dell’aiuto dei Bizantini di Costantino Leone Opo per stroncare i ribelli, a capo dei quali c’era il fratello Abd Allah Abu Hafs, che aveva a sua volta richiesto aiuto agli Ziridi. Gli scontri tra le due fazioni continuarono fino all’assassinio di Abu Hafs durante la Jalsa. I Bizantini seppero approfittare di queste guerre interne che avevano indebolito il potere musul-

LA FINE DELLA SICILIA MUSULMANA. L’assedio di

Siracusa sotto il comando del generale bizantino Giorgio Maniace nel 1038 fu il preludio della fine per il dominio islamico in Sicilia. Miniatura della Cronaca storica dell’autore bizantino del secolo XII Giovanni Scilitze (Biblioteca Nazionale, Madrid).

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I TRE GRANDI CALIFFATI

Le monete degli Stati musulmani Con la dinastia omayyade, si fecero dapprima concessioni all’iconografia, ma il califfo Abd al-Malik la bandì dai conii nell’anno 698. Da quel momento le monete recarono soltanto iscrizioni verbali. I metalli più utilizzati nel conio delle monete erano l’oro (dinar) e l’argento (dirham), oltre al rame (felùs) per quelle di minor valore. Il dinaro pesava tra i 3,85 e i 4,25 grammi, come il denario. Anche se Abd al-Rahman III riprese il conio dei dinari, nell’economia omayyade di al-Andalus il mezzo di pagamento più importante era il dirham. Nel secolo XI, tuttavia, durante il periodo dei regni di taifas, l’argento cominciò a scarseggiare e le monete coniate erano di qualità inferiore. Il dirham (g. 2,90), che valeva un decimo del dinaro d’oro, può essere considerato il discendente musulmano della dracma bizantina. Con Abd al-Rahman III, sul verso delle monete, insieme al nome del califfo, fu introdotto anche il titolo di imam, e la sahada, o professione di fede musulmana, con una scritta sul bordo che identificava la zecca emittente. Prima, durante e dopo il califfato di Cordova, il nome generico di al-Andalus appare sulle monete come nome della zecca, anche se è probabile che esistessero vari laboratori locali, in diverse città, a coniarle con quel nome.

DINARO DEL SECOLO VIII. Risalente al periodo abbaside, ai tempi del valì di Barcellona, Solimano Ibn al Arabi (777-780).

DOPPIA ALMOHADE. Risalente al secolo XIII, era d’oro e pesava il doppio del dinaro (Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, Barcellona).

DIRHAM DEL SECOLO XI. In lega d’argento

DIRHAM DEL SECOLO XIII. Andaluso,

e rame, risale al califfo Al Qasim (Museo del Burgo de Santiuste, Alcalá de Henares).

proveniente dall’Africa settentrionale (Museo Archeologico Nazionale, Madrid).

mano in Sicilia. Nel 1038, comandati dal generale Giorgio Maniace, assediarono Siracusa. La breve reggenza dell’ultimo figlio di Yusuf al Kalbi, Hasan II al Samsam, fu segnata da numerose sollevazioni. Hasan fu deposto nel 1053, con lui terminò la dinastia kalbita e, con essa, l’età dorata della Sicilia musulmana. Cominciò allora quel fenomeno che la storiografia musulmana ricorda con il nome di fitna, o disgregazione, tra i quattro signori locali (qaid) che si erano spartiti l’isola. Per un rovesciamento paradossale, fu proprio il qaid di Siracusa, Ibn al Thumna (il Bettumen delle cronache medievali) la causa dell’uscita della Sicilia dal dar al islam.

Gli Hammaditi Dalla stirpe degli Ziridi nacque una nuova dinastia berbera e sciita che avrebbe avuto un importante ruolo agli inizi del secondo millennio: si tratta degli Hammaditi che devono il nome al fondatore, Hammad (1014-1028), uno dei figli di Buluggin Ibn Ziri, che alla morte del padre rimase inizialmente accanto al fratello Al Mansur. 74

Insieme a lui combatté contro i sunniti del Marocco, a cui strapparono alcuni avamposti. In quelle aree occidentali, e in concreto nella città di Al Qalaa, Hammad finì per instaurare un potere indipendente, rimettendosi formalmente alla necessità di ritornare all’ortodossia abbaside, e quindi sunnita. Il nuovo emirato venne consolidato dal figlio di Hammad, Al Qaid (10281054), che resistette ai tentativi degli Zenata di riprendere Al Qalaa e quello che restava dell’emirato ziride, il cui potere si concentrava ormai intorno a Kairouan. Nell’anno 1041, gli Ziridi, a loro volta, tornarono alla sunna, incendiando pubblicamente gli stendardi e i paramenti della confessione sciita e accettando l’autorità abbaside. Si trattava chiaramente di un atto politico: era preferibile allearsi a un potere lontano per opporsi all’Egitto fatimide. In pratica, le decisioni degli Ziridi e degli Hammaditi fecero sì che il Maghreb ritornasse alla sunna. Ormai soltanto l’Egitto era sciita e l’asse politico-commerciale che era stato creato durante tutto il secolo X stava per crollare. Ben presto gli


Europei avrebbero approfittato della situazione. Gli Hammaditi, da parte loro, davanti all’impossibilità di tentare un’espansione in terraferma, misero in moto una politica marittima che raggiunse il culmine tra la fine del secolo XI e i primi anni del secolo XII, quando la capitale fu trasferita alla città di Bugìa.

Il commercio nel Mediterraneo L’importanza che ricoprì il mondo arabo nel Mediterraneo si riconosce, in primo luogo, dalla diffusione delle monete musulmane, che ben presto cominciarono a essere utilizzate insieme al dinarius bizantino, il celebre hyperpyron, e contribuirono a ridurne l’egemonia. Mediante il mondo musulmano giungevano in Europa apprezzati articoli provenienti dall’Africa, ma soprattutto dal continente asiatico, attraverso la Via delle Spezie e la Via della Seta. Tra i secoli IX e X il commercio arabo-musulmano era meno interessato al mondo europeo occidentale. Oltre alle sue cronache sulla Penisola Iberica, Ibn Hawqal tracciò un ritratto della Palermo

musulmana e si addentrò anche nella Penisola Italica meridionale, a quei tempi sotto i Longobardi e i Bizantini. Visitò Salerno, Melfi e la stessa Napoli, dove afferma di aver apprezzato personalmente la qualità del lino, uno degli articoli di maggior valore che erano importati dalla città. Tra gli scarsi prodotti di esportazione che il mondo “franco” poteva offrire al mondo musulmano, tuttavia, il più ambito era il ferro, soprattutto sotto forma di “spade franche” che, per la loro solidità e bellezza, erano paragonabili soltanto al gauhar, arma bianca yemenita, di cui si diceva fosse tanto bella quanto una tela preziosa. Un altro prodotto che poteva arrivare fino al dar al islam e proveniva dal “paese dei Franchi” o dal mondo bizantino attraverso i fiumi russi e il Mar Nero era il legno, materia prima essenziale per i cantieri navali musulmani.

COMMERCIO E CULTURA.

Il sapere in tutte le sue forme e discipline, dalla geografia alla botanica, fino alla filosofia, era molto presente nella cultura islamica e serviva - come nel caso della geografia - per altre attività come la guerra o il commercio. Planisfero del geografo e cartografo persiano del secolo X, Muhammad al-Farisi al Istakhri (Biblioteca dell’Università, Leida).

I Samanidi In Asia, i califfi abbasidi furono generalmente conosciuti come gli amministratori della morale dell’Islam sunnita, anche se soltanto in alcune 75


Il Sufismo, la forma più mistica e spirituale dell’Islam Il Sufismo è il misticismo islamico, comune ai sunniti e agli sciiti. Come per il cristiano, il musulmano mistico cerca Dio nella propria intimità. E lo può fare in varie maniere, secondo la scuola o il maestro sufi. Per questi asceti musulmani, il rispetto della legge coranica è condizione necessaria per poter affrontare il Grande Compito: l’avvicinamento a Dio. La tradizione sufi rivendica i compagni del Profeta come i primi sufi, ma il termine si diffuse nel secolo IX, con gli Omayyadi. Il movimento sorse dalle critiche verso lo scarso interesse religioso dei califfi, occupati soltanto ad espandere l’impero. Per raggiungere l’estasi (unione mistica con Dio) proponevano un’ascesi il cui primo passo era la rinuncia ai beni materiali. Fu una donna, Rabia al Basri (Bassora, ca. 801-882) a introdurre il concetto di amore assoluto verso Dio. La preghiera che praticava era una lunga conversazione d’amore con Allah, che ricorda quelle di Santa Teresa del Gesù e di San Giovanni della Croce. Gli ortodossi denunciarono influenze pagane (neoplatoniche, gnostiche), ma il Sufismo si estese sia nella sunna che nella shiat. Al Gazali (1058-1111) riuscì ad avvicinare il Sufismo all’ortodossia, allontanandosi dall’esoterismo e scagliandosi contro i filosofi, tra cui Avicenna. Jalal ad Din Muhammad Rumi, più noto come Rumi (1207-1273), seguì i passi del maestro Shams e compose un florilegio mistico consacrato all’amore per Dio. Istituì, soprattutto, l’ordine spirituale e compose la sua opera più importante, il Masnavi, 45.000 versi ricchi di allusioni al Corano e agli hadiz che recitava danzando, con i discepoli che gli ballavano intorno, durante le sessioni di preghiera danzante della confraternita dei dervisci girovaghi, che esistono ancora oggi. A destra, mausoleo del santo sufi Shah Rukn-e-Alam, a Multan, in Pakistan.

fasi e in certe regioni oltre all’autorità morale mostrarono anche potere politico. In realtà, in questa area, il mondo musulmano era oggetto di continui movimenti di frammentazione e di lotte dinastiche che non impedirono affatto l’affermarsi di principati anche molto potenti, che spesso durarono a lungo e garantirono lo sviluppo di una splendida cultura. La Mesopotamia settentrionale si vide dominata nel secolo X dagli Hammaditi di Aleppo e Mossul (890-1003). Il territorio iraniano era governato, invece, dalla dinastia degli Buwayhidi (9321055), che nell’anno 945 si trasferì a Baghdad e che, pur rispettando i titoli dei califfi della famiglia abbaside, dominò per 110 anni la città e tutta l’area compresa tra le regioni dell’attuale Siria meridionale, la Giordania e l’Irak. Tra la Transoxiana, la Corasmia e il Sistan, un’area immensa che si estendeva tra il fiume Syr Daria, il lago Aral e l’Oceano Indiano, cadde progressivamente nelle mani dei Tahiridi, dei Safaridi e in seguito dei Samanidi (819-999). Sotto questi ultimi sorse una letteratura nazionale neopersiana, con Firdusi come massimo 76

rappresentante, e si sviluppò una fiorente civiltà con centro nella sua capitale, Bukhara. Di fatto, l’epoca samanide può essere considerata come l’età dell’oro dell’Islam in Asia centrale. Sotto il controllo della dinastia samanide, le attività commerciali si estesero dalla Cina fino alle aree dell’Europa orientale, compresa la Svezia. Ne sono testimonianza le grandi quantità di monete samanidi d’argento che sono state ritrovate in tali regioni. Anche lo sfruttamento minerario e l’agricoltura conobbero un notevole sviluppo. Per quanto riguarda il governo, i Samanidi riconoscevano in teoria l’autorità abbaside, presentandosi come un emirato, anche se in pratica agivano autonomamente, lasciando il controllo delle regioni più lontane da Bukhara in mano ad alcune dinastie locali. I Samanidi erano consapevoli delle loro potenzialità al punto tale che desiderarono legarsi alla tradizione sasanide inventandosi genealogie che mettevano in relazione la dinastia regnante con la Persia preislamica. Soltanto l’impulso di una nuova etnia islamizzata, quella turca, mise fine a questa felice esperienza. Fu all’interno


LA CONVERSAZIONE MISTICA. I praticanti del Sufismo si raggruppano

in confraternite orientate alla purificazione dell’anima, al raggiungimento della conoscenza e alla realizzazione personale attraverso gli insegnamenti del Corano. In alto, conversazione mistica tra sceicchi sufi in una miniatura induista del secolo XVII (Istituto di Studi Orientali, San Pietroburgo).

di quest’ambiente culturale che nacque il tasauf, il Sufismo. La dottrina della ahl at tasauf, “la gente che persegue il cammino spirituale”, si sviluppò a partire dall’Islam persiano, soprattutto nel nord (Transoxiana). Nel secolo IX, a Baghdad, si concentrò in particolare intorno alla figura di un autentico maestro, Yunaid. Ai suoi insegnamenti si ispirarono vari discepoli, tra cui Al Kalabadi, che si impegnò a dimostrare che il Sufismo non era altro che il punto di arrivo di una serie di pratiche ascetico-mistiche tendenti alla conoscenza esoterica (marifa) di Dio attraverso il riconoscimento dell’ignoranza umana. Da questo momento, il Sufismo si sarebbe esteso a gran parte dell’Islam.

Mahmud di Ghazna e l’India Ancor più a Oriente dell’emirato samanide, ma saldamente collegato a esso, nel passaggio dal X all’XI secolo, si affermò una nuova dinastia, quella degli Ghaznavidi, il cui nome deriva dal loro fondatore, Mahmud di Ghazna (nell’attuale Afghanistan). Nominato governatore di Khorasan dai Samanidi nel 994, in un’epoca di instabilità per la

dinastia, Mahmud si dedicò a fondo alla repressione di varie rivolte locali. Il declino samanita, tuttavia, gli permise ben presto di intraprendere una politica autonoma e, quando nel 999 la dinastia cadde definitivamente, l’ex-governatore si impadronì del Khorasan, di Herat e di Merv. Da queste posizioni sferrò una campagna militare che, all’inizio dell’XI secolo, gli permise di prendere possesso anche della regione di Gandhara. Costretto a rientrare in patria per spegnere alcune rivolte ismailite e combattere contro gli stessi Turchi che avevano distrutto i Samanidi, riprese nel giro di alcuni anni l’avanzata verso Oriente. Nel 1008 sconfisse la confederazione rajput e, nel seguente ventennio, proseguì fino a est dell’Indo, diventando così il primo conquistatore musulmano a farlo. Molte di queste vittoriose campagne avevano come scopo quello di espandere la propria area d’influenza e ottenere bottini, più che di instaurare un dominio stabile. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1030, i domini di Mahmud di Ghazna si estendevano dall’Iran al Pakistan, con l’Afgha77


I TRE GRANDI CALIFFATI

La Via della Seta: monopolio proficuo per Omayyadi e Abbasidi Il nome Via della Seta è di uso recente, ma tale rete di comunicazione che univa la Cina con l’Antiochia, la Turchia e Roma, ovvero le porte di entrata in Europa occidentale, risale al I millennio a.C. Fu per liberarla dagli ostacoli rappresentati dagli Sciiti e dagli Unni che la Cina intraprese una campagna militare su grande scala nel II secolo a.C. I Cinesi trionfarono su Sciiti e Unni e ottennero, oltre agli ottimi cavalli della valle del Fergana, la sicurezza per il passaggio delle loro mercanzie verso il mercato occidentale. Fu durante la campagna della Partia, sulla riva orientale dell’Eufrate, a metà del I secolo a.C., che i Romani scoprirono la seta cinese, che tanto sedusse l’Urbe. Non solo la seta arrivava dall’Oriente: le carovane portavano anche cristallo, profumi, pietre e metalli preziosi, porcellana, spezie, lacca… Con il trionfo degli Omayyadi e degli Abbasidi, i musulmani occuparono il versante occidentale della via e il commercio con l’Occidente fu sottoposto all’intermediazione islamica. Le mille e una notte lo testimoniano con i viaggi di Simbad e la copiosità delle merci nella Baghdad di Harun al-Rashid. Il califfato fece in modo che sia gli Asiatici che gli Europei avessero solo un ruolo marginale in queste attività commerciali. I beduini organizzavano enormi carovane per intraprendere la traversata e comprare a basso prezzo i generi che avrebbero poi venduto in Occidente a prezzi molto più alti. La Via della Seta divenne una miniera d’oro per l’impero islamico. Nei secoli XIII e XIV, le orde cinesi e mongole riportarono il pericolo e l’insicurezza e, a partire dal secolo XV, lo sviluppo della navigazione europea in alto mare spinse verso un fatale declino la rotta terrestre con le sue città più importanti e le culture che si erano sviluppate al suo interno.

Al

EGI

I CARAVANSERRAGLI. La Via della Seta era costellata da numerosi

caravanserragli, luoghi di riposo e rifugio per le enormi carovane costrette ad attraversare deserti e montagne. In alto, un caravanserraglio in una miniatura del Maqamat, del poeta Al Hariri di Bassora, del 1237 (Biblioteca Nazionale, Parigi).

nistan come centro. Anche perdendo progressivamente i vari contrafforti esterni, il regno si mantenne in piedi per oltre centocinquanta anni. Per poter ottenere vittorie così rapide, Mahmud si servì di alleanze locali: per esempio in Persia continuò la tradizione samanide di sostenere le élite locali non arabe. Anche dichiarandosi sottomesso al potere del califfato abbaside, perseguì e ottenne il titolo di sultano. Nonostante in India lo si ricordi come distruttore di templi, Mahmud considerava gli induisti, i buddisti e i giainisti come “genti del Libro” e Buddha come un profeta. Di conseguenza, ai fedeli di tali religioni era garantita la condizione di dimmi o suddito protetto. D’altra parte, Mahmud di Ghazna è stato riconosciuto all’unanimità come mecenate delle arti e delle scienze.

Le vie d’Oriente Sotto la dinastia abbaside, il potere dei musulmani si estese dai confini della Cina fino all’Oceano Atlantico. Si trattava di un mondo disomogeneo e con numerosi contrasti interni, in cui 78

le differenze sociali e la formazione di dinastie locali minavano la solidità dello Stato. Le rivendicazioni del titolo di califfo da parte di varie famiglie e i disordini in Iran, in Afghanistan e Irak, ormai in declino, così come la pressione da parte di tribù turche, furono tutti elementi di instabilità che contribuirono alla deviazione del traffico commerciale dagli itinerari tradizionali. Un tale cambiamento permise l’ascesa in prima linea dell’Egitto, che sotto i Fatimidi ottenne il monopolio delle rotte commerciali verso Oriente, a cui si collegavano quelle transahariane. Questo movimento economico, che andò espandendosi come una grande ondata, giunse anche nell’area occidentale dell’Islam che si apriva al Mediterraneo. La costa di Fars e le città disseminate lungo le nuove rotte si trasformarono in centri di transito per i beni di consumo provenienti da terre lontane, dalla Cina fino al cuore dell’Africa. Anche il commercio via terra era fiorente. L’antica Via della Seta univa le fertili pianure cinesi dello Yangtze (“Fiume Azzurro”) e dello Huangho (“Fiume Giallo”), protette dalla Grande


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Via della Seta Rotte secondarie Rotte di commercio marittimo Città principali

Deserto del Taklaman

Turfan Karashar Miran

Tabriz AZERBAIGIAN KHORASAN Mossul Khotan Balkh Kabul Damghan SIRIA Hamadan Damasco TIBET AFGHANISTAN Peshawar Tiro Lahore Bagdad Gaza IRAN Multan Bassora Himalay a Eilat Ormuz MAKRAN Benares Daibul

Antiochia

Aleppo

Deserto del Gobi

Suzhou

Dunhuang

Ganzhou Lanzhou

OP ES M

Il Cairo

EGITTO

KUSH

Mascate

HIYAZ

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Surat

Septagram

INDIA

YEMEN Al Hudayda

Manjarur

Aden Muziris

Luoyang

Chang’an (Xi’an)

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Alessandria

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Nankin SHAANXI

CINA

Kaifeng

Hangzhou

SHU HAN GUANGXI

Quanzhou

Guangzhou

BAGAN

Thaton

ANNAM

Chaban

SIAM

Ramesvara INSULINDIA

Muraglia, con le grandi città arabo-iraniane (Shiraz, Isfahan, la stessa Baghdad), attraverso il deserto del Gobi e le oasi del Turkestan e sfiorando l’Himalaya. Tra la Cina e la Persia, dove si erano creati dei piccoli regni, vassalli dei vari imperi del momento, i prodotti passavano di carovana in carovana. L’organizzazione mercantile prevedeva che ciascun convoglio realizzasse percorsi brevi, da oasi a oasi, per poi consegnare il proprio carico ad altri convogli dello stesso tipo. In definitiva, gli uomini non realizzavano grandi viaggi, ma i prodotti, e con essi le idee e i culti, seguivano itinerari lunghi in un tempo relativamente breve. A ogni modo, si era soliti trasportare gli articoli pesanti e di poco pregio via mare: non risultava proficuo farlo via terra, a dorso di cammello o mulo. La Via della Seta, invece, oltre alla stessa seta, serviva per il trasporto di molte altre mercanzie di valore. I prodotti più richiesti erano l’oro e l’argento di Sumatra, della Malesia e della Corea, il sandalo, il bambù, la pianta della canfora, da cui si estraeva una pregiata essenza, aromi come l’in-

censo e il muschio e pietre preziose, come zaffiri e rubini provenienti dallo Sri Lanka o dall’India. Il mercato più ricco era forse quello delle spezie: pepe, chiodi di garofano, cannella, noce moscata. Alcuni di questi prodotti venivano utilizzati nell’alimentazione, insieme ad altri di minor valore e a più basso costo, che erano comunque esportati in grandi quantità (ad esempio, zucchero di canna, riso, cereali). I Romani conoscevano già la Via dell’Incenso, che dall’estremità della penisola arabica conduceva le spezie preziose provenienti dal mare dell’India o dalla Cina fino al Mediterraneo. Avevano anche allacciato rapporti commerciali con l’Estremo Oriente, attraverso intermediari. D’altra parte, Alessandro Magno era arrivato fino in India e della sua grande impresa erano rimaste tracce nella cultura occidentale. Per questioni pratiche, tuttavia, i Romani si erano concentrati soprattutto sul mondo mediterraneo, che conoscevano meglio. I loro viaggiatori ed enciclopedisti (Pomponio Mela, Plinio il Vecchio o Caio Giulio Solino) si erano assunti l’incarico di col79


I TRE GRANDI CALIFFATI

STRUMENTI DI NAVIGAZIONE. Gli Arabi,

abituati a navigare per l’Oceano Indiano, avevano conoscenze più ampie sull’arte della navigazione rispetto agli Europei. Nella foto, astrolabio planisferico in bronzo, fabbricato dall’astrolabista di Toledo Abu Ishaq Ibrahim ibn Yahya an-Naqqash nell’anno 1067 (Museo Archeologico Nazionale, Madrid).

mare le lacune riguardanti il continente asiatico attraverso tutta una serie di dati che in parte corrispondevano alla realtà, spesso interpretata male, e in parte a rielaborazioni mediate dalla leggenda. Se gli Europei avevano scarse conoscenze dell’Asia, gli Arabi, invece, conoscevano molto bene i popoli asiatici, abituati com’erano a viaggiare in questo continente e a fare affari con le sue popolazioni. I mercanti del Golfo Persico avevano scambiato merci con la Cina fin dal secolo IX, mentre le imbarcazioni giavanesi arrivavano fino alle coste della penisola arabica favorite dai venti detti “monsoni”. La flotta allestita dai Fatimidi nel Mar Rosso proteggeva il traffico mercantile e, nelle città della costa, si concentrava una grande comunità di commercianti musulmani, ebrei, cristiani e induisti, che gestivano un enorme movimento di importazione e di riesportazione. Una tale frenetica attività commerciale si svolgeva nel Mediterraneo, sostenuta dal risveglio economico della Siria e Palestina, in particolare di Aleppo, Tiro e dei centri costieri del Maghreb. È anche vero che, alla fine del IX secolo, una rivolta ordita dalla setta sciita dei Carmati e scoppiata nel Bahrein, sulla costa araba del Golfo Persico, stava danneggiando il commercio da e per Bassora e, di conseguenza, colpiva l’economia del califfato abbaside, spostando verso il Corno d’Africa e il Mar Rosso il flusso delle mercanzie che, dall’Estremo Oriente, si dirigevano verso l’Egitto, il Mediterraneo e Bisanzio.

Lingua e cultura comuni?

LA CULTURA ISLAMICA (pag. 81). Un maestro con

alunni nel Siyer-i Nebi, biografia epica turcoottomana, scritta verso il 1388 e ampiamente miniata successivamente, nel 1596, con 814 miniature, opera del famoso calligrafo Lutfi Abdullah (Palazzo del Topkapi, Istanbul). 80

A partire dall’VIII secolo, l’Islam era ormai riuscito a costituire un tessuto culturale continuo dall’Africa fino all’India, anche se non proprio omogeneo, ed era afflitto da tensioni che portavano alla frammentazione politica e religiosa. Si può dire che l’arabo fosse diventata la lingua commerciale e culturale del mondo. La letteratura filosofico-scientifica araba aveva saputo ereditare le grandi tradizioni greca, siriana, egizia e persiana e creare una nuova cultura, allo stesso modo in cui l’arte musulmana era il risultato, con diverse varianti locali, di una eccezionale capacità di sintesi. Nel secolo VIII, gli Arabi appresero dalla Cina l’uso della carta, mentre nel X secolo in Europa si preferiva, alla coltivazione del papiro, la più costosa pergamena, la pelle ovina trattata. L’uso della carta diede un grande impulso alla cultura scritta, favorita dal fatto che, nell’Islam, era necessario conoscere l’arabo e la sua scrittura per poter leggere il Corano (che, in principio, non doveva essere tradotto in altre lingue). L’arabo come lingua unificatrice e le tecni-

che collegate alla redazione e alla diffusione dei libri furono un veicolo formidabile e un fattore d’impulso della cultura principale. L’incremento demografico urbano che l’Islam registrò dall’Egitto fino alla Penisola Iberica, compresi il Maghreb e al-Andalus, favorì l’ampliamento di vecchi insediamenti e la fondazione di nuovi. L’attrazione esercitata sul territorio finì per plasmarsi in un numero crescente di abitanti nelle aree urbane. La ricerca di spazi per le attività produttive artigianali e commerciali, con la crescita di domanda, stimolava l’attività agricola nei territori circostanti. Da queste premesse sorsero città come Baghdad e Alessandria d’Egitto, dove si assistette alla formazione di un’autentica borghesia mercantile, ricca e produttiva, l’unica dell’epoca che si lanciò verso un commercio marittimo a livello internazionale. Bisogna ricordare che la cultura islamica era originariamente nomade, ma comprendeva due grandi città carovaniere, La Mecca e Medina, cosicché riuscì ad adattarsi alla stanzialità e ai modelli della vita urbana. Le nuove esigenze, soprattutto agricole, contribuirono allo sviluppo di una straordinaria abilità nel settore dell’ingegneria idraulica. Si può dire che, tra i secoli VIII e XIII, il mondo musulmano fosse costituito principalmente da città.

La circolazione della cultura Agli albori del II millennio della nostra era, il mondo islamico si presentava alquanto frazionato da un punto di vista politico, e tale caratteristica influì, senza alcun dubbio, sul declino progressivo del suo potere. Il suo grande ruolo di mediazione, tuttavia, e quello di rielaborazione originale e di sintesi da un punto di vista scientifico e culturale fu straordinario. «Cercate la scienza là dove si trova, fino in Cina.» Fu questa la raccomandazione del Profeta ai suoi fedeli, secondo un noto hadiz. Tra i secoli VII e XVI l’Islam sviluppò una civiltà straordinariamente flessibile e multiforme, in parte grazie alla sua grandissima capacità di sintesi e assimilazione delle culture con cui entrò in contatto, dall’Arabia fino alle colonne d’Ercole, fino al bacino dell’Indo e oltre, e dal Caucaso fino al Corno d’Africa. Così facendo, ebbe contatti con le civiltà che lo circondavano, tra le quali spiccavano quella mediterraneo-latina, che con l’Islam contrasse così un enorme debito di riconoscenza. In effetti, grazie alla cultura musulmana e anche ebraica, le popolazioni latine del Mediterraneo poterono recuperare i legami con il patrimonio filosofico e scientifico ellenistico, che avevano perso in gran parte, essendosi allontanata nel secolo V la pars Orientis dalla pars


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I TRE GRANDI CALIFFATI

Abu Alì Ibn Sina: Avicenna, il saggio dell’Islam

Il medico, filosofo e scienziato Avicenna (Bukhara, 980 - Hamadan, 1037) proseguì l’opera di fondazione della filosofia che era stata iniziata da Al-Farabi. Entrambi si dedicarono alla formulazione di una metafisica che servisse da collegamento tra la filosofia di tradizione grecolatina e la teologia musulmana, motivo per cui furono entrambi sospettati di eterodossia. Abu Alì Ibn Sina, Avicenna, fu uno studioso dotato a tal punto che, all’età di diciotto anni, aveva già assimilato alla perfezione tutte le opere di cui disponeva il centro culturale di Bukhara. Per una serie di circostanze familiari e politiche, tuttavia, poté solo in parte dedicarsi agli studi, vedendosi costretto ad accettare impegnativi incarichi pubblici e a esercitare, per vivere, la professione di medico. Il corpus degli scritti di Avicenna è immenso (si parla di oltre 130 opere) e in gran parte è andato perduto. In numerose occasioni, Avicenna era costretto a scrivere in situazioni scomode, spesso durante i viaggi e senza i testi di riferimento necessari. I libri che si conservano oggi costituiscono soltanto un campione delle sue conoscenze, ma sono sufficienti per riconoscere in lui uno dei più insigni pensatori di tutti i tempi. Fedele ai principi pedagogico-culturali islamici, Avicenna basava il suo pensiero sulla teologia e, a partire da lì, le sue conoscenze si allargavano alla matematica, alla geometria, alle scienze naturali, alla musica o all’astronomia. In alto, ritratto del filosofo in una miniatura del secolo XIII (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Firenze).

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Occidentis dell’impero e poiché si era spaccata l’unione mediterranea, come conseguenza della rapida avanzata della potenza talassocratica musulmana. Inoltre, grazie alla mediazione musulmana, giunsero in Europa numerosi tesori della cultura persiana, indiana e cinese, fino ad allora sconosciuti nel mondo mediterraneo. A questo proposito, non bisogna restringere il pensiero ai califfati di Baghdad, Cordova e Il Cairo, prestigiosi centri per lo studio e la ricerca, con le loro madrasse e biblioteche immense, ma bisogna tener presente che esistevano anche numerosi principati musulmani che, pur rispettando l’autorità del califfato, vivevano in maniera autonoma ed erano a loro volta promotori di centri di cultura, da Bukhara e Samarcanda fino a Kairouan e Marrakesh. Una delle personalità di maggior rilievo del mondo culturale musulmano di questa epoca fu il medico e filosofo Abu Alì al Husayn Ibn Sina, conosciuto in Occidente come Avicenna. Autore di oltre un centinaio di opere, esercitò una grande influenza sulla cultura europea successiva. La letteratura musulmana del periodo aveva principalmente un carattere scientifico: i numerosi trattati di storia, geografia, astronomia, medicina e architettura ne sono esempi importanti. I geografi arabi dei secoli X e XI conoscevano bene la Terra e viaggiavano dalla Cina fino al circolo polare e all’Africa equatoriale, riportando le proprie osservazioni in testi che sono ancora dei classici nella storia delle esplorazioni. Altri protagonisti importanti della cultura scientifica musulmana, che rielaborarono il sapere greco antico aggiungendo contributi diversi, di Persiani, Indiani e Cinesi, e che costituiscono la base della scienza moderna, furono tra gli altri, Geber (Jabir Ibn Hayyan), ritenuto il fondatore dell’alchimia araba e la principale fonte di quella europea; il matematico e geografo Al-Khuwarizmi, da cui l’Occidente acquisì la parola “algoritmo”, con il significato di operazione aritmetica, e il filosofo, matematico e medico Al-Farabi, la cui filosofia costituisce la prima formulazione organica del pensiero arabo. Intorno a questa comunità scientifica di grande valore era presente anche tutta una costellazione di poeti e romanzieri, spesso di carattere popolare, che resero la civiltà musulmana la più colta e avanzata del mondo euroasiatico e mediterraneo dell’epoca. Agli inizi del nuovo millennio sembrava che anche l’Europa occidentale fosse giunta a un punto in cui poteva approfittare di tutto questo vasto patrimonio di conoscenze. L’influenza esercitata da Gerberto d’Aurillac, in seguito Papa Silvestro II, su Fulberto, vescovo di Chartres,


nel ventennio compreso tra il 1008 e il 1028, fu di grande importanza per lo sviluppo successivo della scuola chartreuse, che diede vita alla fondamentale traduzione della versione araba del Planispherium di Tolomeo, realizzata da Ermanno il Dalmata.

Il contributo islamico Attraverso questa unità mediterranea fu possibile per l’Occidente europeo cominciare ad estrapolare conoscenze dal patrimonio culturale perso con la decadenza dei secoli dell’Alto Medioevo. Fu l’inizio di un processo che sarebbe culminato nei secoli XII e XIII, ma che ha origine nel secolo X e i cui epicentri furono le città della Penisola Iberica in cui i contatti tra musulmani, ebrei e cristiani erano frequenti, oltre a quelli con le città commerciali (soprattutto italiche) che si affacciavano sul mare. In arabo vennero tradotti i tesori del sapere degli antichi Greci. Tali opere erano disponibili anche in versioni in greco che, però, a quell’epoca, erano meno accessibili agli occi-

dentali d’ambito bizantino che, per esempio, agli studiosi d’arabo in ambito iberico. Le versioni in arabo, con varie differenze, divennero le preferite, sia per l’ottima qualità delle note che gli studiosi e i traduttori arabi vi inserivano, sia per l’abbondanza di nuovi studi da loro stessi intrapresi. Inoltre, era ormai evidente che, attraverso l’arabo, l’Occidente poteva accedere – forse in maniera indiretta, di riflesso – al sapere e a certe tecnologie proprie di civiltà e Paesi lontani, dalla Persia all’India e la stessa Cina. Nel campo della diffusione scientifica, trasmessa nel mondo musulmano attraverso la lingua del libro sacro, la Penisola Iberica aveva fatto un passo avanti grazie a Gerberto d’Aurillac, che da giovane viaggiò in Catalogna e, tra il 967 e il 970, apprese nozioni di aritmetica e di astronomia arabe e forse anche greche, grazie ai suoi rapporti stretti con il vescovato di Vic e con il monastero di Ripoll. In seguito venne nominato direttore della scuola episcopale di Reims e poi abate di Bobbio, in Italia, tutte esperienze che gli permisero di diffondere le sue conoscenze.

IL NILO NELLA GEOGRAFIA ISLAMICA.

Il corso del Nilo in una cartina dell’Africa realizzata dal matematico e geografo arabo Al-Khuwarizmi (780850), che rettificò le teorie di Tolomeo con la sua opera Kitab surat al-ard (Libro della forma della Terra).

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CORDOVA, LA CITTÀ DEI CALIFFI

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Cordova, la città dei califfi Trasformata in sede amministrativa di al-Andalus dal valì Al Samih Ibn Malik nel 721, alternò il potere e lo splendore di essere capitale con la rovina delle guerre civili.

U

bicata sulle rive dell’ultimo tratto navigabile del Guadalquivir, dotata di un buon ponte risalente al periodo romano e attorniata da una fertile pianura irrigata dai numerosi corsi d’acqua che discendono dalla Sierra Morena, Cordova fu, fin dalla sua origine, crocevia di itinerari, viaggiatori e trasporti tra due mari e due continenti. Ma non fu scelta come capitale di al-Andalus dai musulmani soltanto per questa ragione, lo fecero anche perché godeva di una buona produzione agricola e zootecnica, era situata su di un promontorio che ne facilitava la difesa e, nelle sue vicinanze, sorgevano vasti boschi, giacimenti di rame e miniere di ferro in grado di supplire alle necessità logistiche del nuovo Stato e delle sue forze armate. Prima dei musulmani, i Visigoti e i Bizantini avevano seguito la tradizione romana: Cordova aveva continuato a essere la capitale della provincia betica, anche se il centro urbano fu trasferito verso il sud, vicino al fiume Betis. In questa nuova area costruirono la basilica di San Vicente, a capo della diocesi. Durante il secolo VI, con l’occupazione bizantina venne edificato il palazzo dei governatori. Era questa la Qurtuba, che nell’anno 711 trovarono Tariq Ibn Ziyad e i musulmani siriani, berberi e maghrebini che lo accompagnavano nella conquista della città, dopo la sconfitta degli eserciti cristiani di don Rodrigo nella decisiva battaglia di Guadalete. Cinque anni dopo, Al Hurr, valì di alAndalus (716-719), procedette al censimento fiscale dei cristiani di Cordova e all’istituzione del cimitero reale (musulmano) e Al Samh Ibn Malik, che gli succedette (719-721), coniò dinari epigrafici (senza rappresentazioni iconografiche) nella zecca sivigliana, ma stabilì l’ammi-

LA SALA DELLA PREGHIERA. Uno degli aspetti

più impressionanti della moschea è il “bosco” di colonne della grande sala della preghiera.

Gli effetti della Reconquista cristiana Nel secolo VIII, il secondo dell’ègira, sotto il regno di Abd al-Rahman I, l’amministrazione del califfo espropriò ai cristiani, e poi abbatté, la basilica di San Vicente, eretta dai Visigoti, per poi costruirvi sopra una grande moschea. Gli architetti dovettero cambiare l’orientamento assiale dell’edificio, che sarebbe poi stato ampliato nei secoli IX e X, diventando in questo modo il maggior luogo islamico di preghiera di al-Andalus. La Reconquista cristiana arrivò a Cordova nell’anno 1236 con l’esercito di Ferdinando III di Castiglia che non appena mise piede nella grande moschea, decise di trasformarla in cattedrale. La prima metamorfosi importante fu inaugurata nel 1371. Nel 1489, tuttavia, con i re cattolici che cacciarono gli ultimi musulmani dalla Penisola Iberica, si costruì una chiesa gotica al centro della grande moschea, si demolì il muro della qibla e si armonizzò l’architettura del monumento.

SCUDO DELLA CATTEDRALE DI CORDOVA.

Sono evidenti i minareti circondati dalle torri castigliane, simbolo dell’estetica della Reconquista.

nistrazione centrale di al-Andalus nella capitale cordobese. La prima epopea di Qurtuba, la capitale islamica, non più sulle rive del Betis, bensì del Guadalquivir, fu la sua conquista per mano di Abd al-Rahman I. Come finale di una campagna militare durata un solo anno contro gli Abbasidi siriani e berberi, e la famiglia del valì Yusuf al Fihri, il 14 marzo 756, Abd al-Rahman, che la notte precedente aveva attraversato il fiume con il suo piccolo esercito omayyade, sconfisse il valì abbaside e lo stesso pomeriggio prese possesso del palazzo del governatore. Era diventato Abd al-Rahman I, il primo emiro indipendente che avrebbe governato nel nuovo emirato dalla sua capitale per trentadue anni, fino alla sua morte, che avvenne nell’anno 788.

Frutti della pace interiore La pace relativa che godette Cordova in quei trent’anni, la trasformò nella seconda città più grande d’Europa, dopo Costantinopoli, e in un modello di organizzazione urbanistica di città islamica. Il nucleo centrale della città islamica è la medina, che consta di tre elementi essenziali: una moschea, una fortezza-palazzo e un suq o mercato; tre spazi distinti per trattare con Dio, con l’emiro e con i propri simili. Il centro della medina monopolizza le comunicazioni e la vita sociale dei musulmani. Le case si aprono soltanto ai membri della famiglia. Le strade radiali, le più importanti, che partono dalle porte delle mura, conducevano al mercato e al luogo più sacro della città, la moschea. Non erano strade ampie, ma di una larghezza appena sufficiente perché due muli carichi di merci potessero percorrerle in senso alternato. Nelle città più popolate del secolo IX, come Baghdad o Cordova, i mercati quasi sempre si espandevano attraverso un’intricata trama di stradine anguste, che erano occupate da negozi e laboratori d’artigia85


CORDOVA, LA CITTÀ DEI CALIFFI

CUPOLA DELLA FACCIATA DEL MIHRAB.

A pianta ottagonale, è una gigantesca corona di marmo, stucchi e mosaici in stile bizantino. nato che fiancheggiavano o circondavano la moschea principale. I quartieri residenziali si estendevano tra la piazza del mercato e le mura. Siccome non crescevano secondo un piano urbanistico prestabilito, le nuove abitazioni si aggregavano a quelle delle famiglie, dei clan o degli uffici dei costruttori, e si accedeva ad esse attraverso passaggi stretti con curve. La grande differenza tra l’urbanizzazione musulmana e quella cristiana del Medioevo è l’assenza, nella prima, di un elemento centrale e decisivo per la pianificazione urbanistica: l’incrocio degli assi stradali orientati in direzione nord-sud ed est-ovest, con una piazza nel mezzo; uno spazio onnipresente che nella città medievale cristiana era destinato a ospitare – come nella città 86

islamica – i tre centri del potere: Dio, il sovrano e l’economia; ossia l’insieme formato dalla chiesa principale o cattedrale, il palazzo amministrativo o palazzo del governo e il mercato. Nella città araba medievale, tuttavia, era il mercato che affiancava una moschea, oppure la circondava, con le abitazioni che lì intorno crescevano a grappolo come tende beduine, in accordo con l’estensione dei vari clan, delle famiglie e delle corporazioni che abitavano il quartiere. Le abitazioni, e la vita privata che si svolgeva al loro interno, restavano sempre lontane dal rumore della folla. La luce e l’aria che le case ricevevano provenivano esclusivamente dai cortili interni, che le dimore più grandi ampliavano con un giardino, sempre circondato da alte mura. Le case arabe e mozarabiche, per gli estranei, erano misteri ermetici. Chi le abitava guardava all’esterno soltanto attraverso strette bifore a transenna, con

graticci sporgenti; praticabili soltanto in arrampicata, proprio così come fanno i personaggi de Le mille e una notte a Baghdad, Il Cairo o a Bassora.

L’apogeo di Cordova I governi di Abd al-Rahman II (822-852) e Abd al-Rahman III (912-961), il quarto emiro indipendente e primo califfo omayyade, fecero di al-Andalus un grande Stato del Mediterraneo. Il primo riorganizzò l’amministrazione secondo i modelli abbasidi, consolidò la Cancelleria, creò la zecca di Cordova e diede impulso alle arti e all’industria. Sotto il suo lungo regno e, come conseguenza della sua politica, Cordova raggiunse livelli di sviluppo e di magnificenza che furono superati soltanto con Abd al-Rahman III. La città si trasformò sotto la spinta dello sviluppo urbanistico. Oltre ad ampliare la grande moschea principale, i ventuno quartieri che circondavano la


Abd al-Rahman III, califfo diplomatico Nel 950, Ottone I, imperatore del Sacro Romano Impero, ricevette degli emissari del califfo che gli trasmisero un messaggio incitandolo a convertirsi all’Islamismo. Ottone I rispose all’insolenza inviando una lettera offensiva tramite il priore Giovanni di Gorze. Abd al-Rahman III, venuto a conoscenza del contenuto oltraggiante della missiva e per evitare di decapitare l’ambasciatore, rimandò il colloquio e inviò una nuova missione conciliatrice. Nel 959, ricevette Giovanni di Gorze con il quale mantenne lunghe conversazioni erudite per molti giorni. A destra, ambasciata di Giovanni di Gorze davanti ad Abd al-Rahman III, olio di José M. Rodríguez Losada; in basso, dirham di Abd al-Rahman III.

medina con sette porte si riempirono di chiese cristiane, sinagoghe e nuove moschee, bagni pubblici o hammam, piazze del mercato… Il ponte romano sul Guadalquivir, che sorgeva dalla Bab al Qantara (la “porta del ponte”) fu riprogettato e ricostruito per trasformarsi in una delle meraviglie di al-Andalus. Testimonianze del gusto e dell’ossessione che i beduini avevano per l’acqua sono visibili nei rivestimenti delle pareti con azulejo (az zulaiy) multicolori provenienti dalla Siria, che la contengono e la riflettono: venivano impiegati nei rivestimenti delle imboccature dei pozzi, delle fontane e delle vasche. E anche nella proliferazione di pozzi artesiani, di elevatori, di ruote idrauliche a pale e secchi, di fontane pubbliche e locali per bagni hammam. Ogni quartiere aveva le sue antiche terme romane a due turni, per il pubblico femminile e per quello maschile. Questi luoghi di purificazione,

di abluzione, salubri per i musulmani, erano per i riconquistatori cristiani dei luoghi di tentazione dei demoni della lussuria, della concupiscenza, della mollezza… Nel rapporto con il proprio corpo, e più in concreto nell’igiene personale, è radicata una delle differenze principali tra la cultura musulmana e quella cristiana di quei secoli. La riconquista di Cordova cacciò i musulmani e distrusse tutti gli hammam della città, per ordine di Ferdinando III di Castiglia, soprannominato il Santo. Durante il suo regno, i buoni cristiani non sarebbero mai stati tentati dai lascivi bagni della tradizione musulmana. La distribuzione dei quartieri e dei sobborghi era realizzata in funzione delle comunità religiose (ghetti ebrei e mozarabici), oltre che delle funzioni corporative (panettieri, profumieri, vasai, muratori, droghieri, conciatori, falconieri, fabbri, armaioli, scrivani…). I mer-

cati erano numerosi e consistevano nella realtà in alcuni rioni mercantili a distribuzione labirintica, raggruppati per corporazione o attività. Comprendevano inoltre delle logge, che erano come delle gallerie commerciali, delle aree chiuse pensate per i venditori di gioielli, di tele raffinate e di oggetti di lusso, la cui esposizione e vendita avveniva intorno a dei cortili. Oltre ad un cospicuo numero di moschee rionali (il geografo e storiografo Al Maqqari ne menziona circa 4.000) la città aveva anche due oratori all’aperto (al musala) per ospitare la preghiera collettiva, generalmente indirizzata ad Allah perché facesse piovere, e una sorta di stadio enorme, noto come la musara, destinato alle corse dei cavalli, a vari esercizi equestri, all’esecuzione dei ribelli e alle parate militari. I cimiteri erano al di fuori delle mura cittadine, secondo i dettami delle norme di urbanizzazione romana e musulmana. 87


CORDOVA, LA CITTÀ DEI CALIFFI

Cordova contava su infrastrutture da grande metropoli, sia per prevenire attacchi militari dall’esterno che per organizzare e armare grandi eserciti. Infatti, oltre a solide mura di difesa che proteggevano la medina e al fosso che le precedeva – circondava la città per 21 km seguendo le mura dall’esterno e proteggendo anche la periferia – i Cordovesi disponevano inoltre di acquedotti che portavano l’acqua in città dalla montagna. La Cordova delle periferie crebbe fino a contare venti sobborghi, molti dei quali erano occupati da aziende agricole e latifondi situati all’esterno della città, in pianure fertili sulle rive del fiume o nei primi pendii dei monti. In accordo con le usanze orientali, il califfo aveva la residenza al di fuori della medina, anche se aveva sempre a disposizione un al qasr o alcazar (“palazzo reale”), dove poter alloggiare in un ambiente contornato di giardini. L’area ospitava poi le caserme, le scuderie e la cancelleria. Prima che cominciasse il disastro della fitna, il grande movimento di disgregazione delle genti musulmane che avrebbe segnato la fine del califfato, Almanzor, il grande e potentissimo visir, disponeva di laboratori per la fusione di metalli e per la forgiatura e di officine da fabbro, in cui gli artigiani potevano trasformare in spade e storte il ferro che proveniva dalla Sierra Morena. La civiltà islamica medievale fu soprattutto urbana. Era questa la differenza più eclatante con la società cristiana europea, per lo più rurale. Le città più popolate della Spagna cristiana erano Burgos, con 10.000 abitanti, Palencia, con 7.000, Segovia, con 6.000 e Salamanca con 4.000… quando Cordova contava invece circa 300.000 persone. Di fatto, era, con Costantinopoli, Baghdad e Il Cairo, una delle quattro città più grandi di tutto il mondo. Curioso è che i fondatori di queste grandi urbe fossero beduini provenienti dal deserto in cui non esistevano città. Si videro perciò obbligati a impadronirsi delle tradizioni dei Persiani, dei Romani, di Bizantini, Greci o Normanni, in tema di costruzione ed edificazione. Non ebbero il minimo problema nell’appoggiare l’arco rialzato su colonne di ordine ionico, dorico o corinzio che recuperavano dalle rovine dei templi e dagli edifici devastati. 88

La moschea, mescolanza di stili Il tempio originale era dedicato al dio Giano (Ianus). I Visigoti lo abbatterono per costruirvi, nell’anno 584, la basilica di San Vicente. Due secoli dopo, Abd al-Rahman I vi fece costruire la moschea che, dopo tre ampliamenti successivi, divenne la “Grande Moschea”, in grado di accogliere 12.000 fedeli; Almanzor aggiunse superficie alla sala delle orazioni, estendendola verso est (nel 987), lungo tutto l’edificio con otto file supplementari che quasi ne raddoppiarono la capacità, ma eliminarono la centralità del mihrab. Dopo la Reconquista cristiana del 1236, si demolirono soltanto alcune file di colonne e si divise l’area di Almanzor in due metà. La distruzione giunse nel secolo XV con una decisione dell’assemblea della città, che volle costruire al centro della moschea una cattedrale. Per ottenere lo spazio necessario, si dovette eliminare il “palmeto” di colonne, per poi erigervi un tempio a croce latina; per fortuna, allo splendore dell’antica moschea furono risparmiate distruzioni successive.

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2 1 UNA COMPLESSA STORIA ARCHITETTONICA. Sopra, le differenti

fasi costruttive della moschea-cattedrale di Cordova: la prima moschea costruita per Abd al-Rahman I nell'anno 786 (in grigio); il grande ampliamento di Abd al-Rahman II, tra gli anni 833 e 855 (in azzurro); la fase di Abd al-Rahman III, con il nuovo minareto e l’ampliamento del patio (in verde); la fase di Al Hakam II, nel X secolo (in rosso) e quella di Almanzor, alla fine dello stesso secolo (in arancione). Al centro si eleva la cattedrale cristiana, la cui costruzione, già alla sua epoca, generò una grande controversia. L’opera, che implicò la distruzione della parte centrale della moschea, fu iniziata nel XVI secolo.

1 TORRE DEL MINARETO. Abd al-Rahman III rinforzò la facciata della sala della preghiera con un altro ordine di archi, ampliò il patio e fece erigere un nuovo minareto a pianta quadrata, con due file di scale, sostituito in seguito dalla torre del campanile della cattedrale, che ora lo circonda e che fu costruito su progetto di Hermán Ruiz, tra il 1593 e il 1653.


2 PATIO DE LOS NARANJOS (Cortile degli aranci).

Il primo edificio che si costruì nel 786, sotto Abd al-Rahman I, comprendeva un chiostro quadrato, il patio de los naranjos, circondato da un portico che conduceva alle sale delle orazioni, 11 navate rettangolari con 12 file ciascuna. Ogni navata era separata da colonne di marmo provenienti da edifici romani o visigoti.

3 CATTEDRALE. Nel 1236 si ricoprì il portico che dava sulle sale per la preghiera nel patio degli aranci, si lasciò soltanto un’entrata, la porta delle palme, e si abbatterono alcune file di colonne per far posto alla cappella reale, decorata con stucchi mudejar. Nel secolo XV si demolì una parte dell’edificio per far posto alla cattedrale gotico-rinascimentale.

4 MIHRAB. Abd al-Rahman II introdusse alcune navate laterali per le orazioni femminili, ampliò lo spazio per la preghiera e costruì il mihrab (848), una grande cupola sostenuta da un incrocio di archi a tutto sesto. L’aspetto attuale del mihrab si deve al notevole ampliamento della moschea per ordine del califfo Al Hakam II nel secolo X.

5 PORTA DI SANTO STEFANO. La porta di Santo Stefano, sul lato occidentale, era l’accesso alle sale di preghiera della prima moschea di Abd alRahman I. Nell’intradosso, un’iscrizione che loda Dio e l’emiro ci informa che l’edificio e la porta furono terminati nell’855. I cunei dell’arco cieco, a ferro di cavallo, alternano mattoni e pietre; il coronamento è una cornice in pietra.

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ALCAZAR REALE DI SIVIGLIA. Il Patio de

las Doncellas (Cortile delle Fanciulle), una stanza del palazzo mudejar costruita nel secolo XV. Nella pagina seguente, lama di ascia ottomana risalente al secolo XVI con incisi versi sulla vita del Profeta (Museo d’Arte Turca e Islamica, Istanbul). 90


IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE Nel corso dell’XI secolo, l’Europa occidentale mostrò chiari segni di una ripresa economica, che presto si trasformarono in progetti di espansione per terra e per mare. Dalla Penisola Iberica alla Sicilia fino alla Terra Santa si delinea il secolo della controffensiva cristiana. In particolare nella Penisola Iberica cominciò la lunga fase definita come la Reconquista che durò fino alla fine del XV secolo.

I

l pericolo rappresentato dall’emirato di Bari preoccupava l’imperatore Luigi II che si lasciò convincere a partecipare ad una grande campagna militare il cui obiettivo era quello di liberare il sud dell’Italia da quella minaccia. Tuttavia risultava molto difficile mantenere uniti vassalli italici, principi longobardi e le città costiere sempre indecise tra la lealtà ai Franchi o ai Bizantini. Dopo una sfortunata campagna militare portata a termine nell’867, si ripresero con gran violenza gli scontri. Nell’869, mentre l’imperatore ritornava ai suoi accampamenti di Benevento per trascorrere l’inverno, i Saraceni di Bari riuscirono ad assaltare e saccheggiare il santuario dell’ar-

cangelo san Michele sul monte Gargano. L’aggravarsi della situazione adriatica metteva in pericolo le postazioni dell’emiro di Bari. Non appena salito al trono, nell’867, il basileus di Costantinopoli, Basilio il Macedone, cominciò a preoccuparsi per la situazione presente a nord dell’Adriatico, dove i Saraceni che erano partiti da Taranto avevano già conquistato vari centri della Dalmazia e assediato Ragusa. Una flotta veneziana era uscita vittoriosa da quelle incursioni, sorprendendo i Saraceni durante il viaggio di rientro da quell’inutile assedio. In ogni caso, l’imperatore bizantino aveva motivi sufficienti per preoccuparsi della situazione nel Tirreno, data la 91


IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

A P RO V E N Z

Genova

Venezia

Ravenna

Ma r c

CROAZIA

ad i Pisa

ana

Spoleto

CORSICA Roma

DALMAZIA

Du c a t o d i Spoleto Ancona

Pr i n c i pato d i B e n e ve n t o

i C a l ab ria

C o n t e a d i Ca p u a Benevento Ducato di Gaeta Th Gaeta Bari em D u c a t o d i Na p o l i Napoli ad i Lo Salerno n g o Brindisi malf i SARDEGNA ba d i A Amalfi P r i n c i p ato rd ato Sa l e rno ia i c d u D

Reggio

em

Messina

Palermo

Th

Principati longobardi Ducati di Campania Themata bizantini Giudicati sardi indipendenti Emirato di Sicilia Limite della zona di influenza germanico-bizantina Patrimonio di San Pietro Dominio reale Dominio nominale

ad

Cagliari

persistente complicità esistente tra i Napoletani e i musulmani di Palermo, Bari e Taranto (ottimi compratori, tra l’altro, di prodotti e vettovaglie della regione Campania). Una nuova offensiva tramata tra Bizantini, Dalmato-veneziani, Franchi e Longobardi nell’anno 870 era sul punto di fallire nuovamente, in parte a causa delle complesse rivalità tra cristiani. Tuttavia, nel frattempo, i Saraceni avevano occupato Madrid e saccheggiato Ravenna. Luigi II riuscì comunque a conquistare Bari. Alcuni nuclei dispersi di Saraceni continuarono a resistere, per esempio, nella località di Mattinata, nel Gargano. Inoltre l’alleanza tra Luigi II e Adelchi di Benevento non durò molto tempo, anche perché non c’era fiducia reciproca tra i due e il secondo temeva che il primo volesse imporre la sua volontà nel sud d’Italia. Il precedente emiro di Bari, ospite del principe di Benevento, luogo in cui era rispettato e venerato, allacciava le sue relazioni, seminando astutamente la sfiducia tra i cristiani. Una controffensiva musulmana colpì in pieno Salerno, mentre Luigi II, catturato e più tardi libe92

Verona

sc To

Rispetto alla Penisola Iberica, dove gli Omayyadi di Cordova istituirono uno Stato che significò vari anni di splendore e di dominio politico e culturale arabo (un dominio che non sparì completamente fino al secolo XV, con la conquista di Granada e la fine dei Nasridi), in Italia l’influenza musulmana fu molto meno importante e si può riassumere nell’esistenza dell'emirato di Sicilia, un’isola che fu costante motivo di dispute tra gli Arabi (i cui primi attacchi risalgono al secolo VII), i Bizantini e i Longobardi, ai quali occorre aggiungere i pirati, le cui incursioni si prolungarono - questa volta per mano dei Turchi - fino al secolo XV. L’altro centro di potere arabo nella Penisola Italica, che durò fino alla sua riconquista da parte degli eserciti bizantino-longobardi, fu l’emirato di Bari, sede di uno Stato Islamico di breve durata (847-871). Nella pagina seguente l’assedio arabo di Messina nell’843, in una miniatura della Cronaca storica, dell’autore bizantino del secolo XII, Giovanni Scilitze (Biblioteca Nazionale, Madrid).

ca

r

Nel corso dei vari secoli i territori della Penisola Italica furono lo scenario di un conflitto causato dalla brama espansionistica dei governanti musulmani dell’Africa settentrionale, attratti dalla ricchezza delle terre mediterranee nordoccidentali.

Regno d’Italia unito al Sacro Impero Germanico Marca di Verona (ducato di Baviera fino al 976) Territori veneziani

Marca di Verona

Milano d i L om ba Pavia rdia M a a c r r a i ttim M a Ma

L’Italia nell’anno 1000 e l’emirato di Sicilia

SICILIA Siracusa

MALTA

Attacchi via mare: Musulmani Normanni Espansione marittima di: Genovesi e Pisani Veneziani

rato dal principe Adelchi, ritornava sfinito al suo regno. Tuttavia, la campagna militare contro Palermo era piuttosto importante: Luigi II si fece convincere a intervenire nuovamente e un esercito italo-franco-longobardo riuscì nell’872 a vincere i musulmani e a liberare Salerno.

Le ultime incursioni Un duro colpo per la pirateria dei Saraceni fu l’elezione di papa Giovanni X nel 913, che decise di proteggere il patrimonio di San Pietro dalle loro incursioni, che trovavano sostegno non solo in un insediamento musulmano lungo la riva del fiume Garigliano (situato tra le regioni del Lazio e della Campania), ma anche in centri fondati a Sabina e Sutri. Nel 915 il papa fece appello al re d’Italia, Berengario, offrendogli la corona imperiale in cambio di aiuto contro i Saraceni. Di fatto, uno sforzo congiunto franco-italico, appoggiato anche dai Longobardi e dalle città del sud continentale che restavano sottomesse, più o meno formalmente, a Bisanzio, portò, nell’autunno del 916, a dominare la piazzaforte musul-


mana più temuta di tutto il basso Tirreno, dopo tre lunghi mesi di assedio e di scontri. La realtà era che la situazione mediterranea risentiva di una certa crisi che aveva interessato anche l’Islam afro-siciliano attraverso lo scontro tra i Fatimidi del Maghreb e l’emiro sunnita di Palermo, Ibn Qurhub. Quest’ultimo era colui che, per mantenere la sua autorità e allo stesso tempo riprendersi dalle spese sostenute per questioni politiche, organizzò grandi battute di pirateria allo scopo di saccheggiare la Calabria. D’altro canto, il governo bizantino, che doveva risolvere all’interno della sua area balcanica il problema delle incursioni bulgare, intavolò con Ibn Qurhub trattative diplomatiche aventi come scopo la cessazione degli assalti saraceni in Puglia e Calabria, fatto che indignò gli avversari siciliano-musulmani dell’emiro di Palermo, che si ribellarono e lo consegnarono ai Fatimidi, i quali ripresero le incursioni nel Mediterraneo peninsulare. Gli attacchi alla regione della Campania ricominciarono verso l’anno 916, vicino alla foce del fiume Sele, con la conseguente distruzione dell’abi-

tato di Paestum, a sud di Napoli, e culminarono nel luglio del 925 con il terribile massacro di Oria, vicino a Otranto, nella regione della Puglia. Testimone d’eccezione di questa azione fu un ragazzo giudeo, Shabbetai Donnolo, che più tardi, ormai medico e filosofo, attraverso i suoi resoconti avrebbe dato testimonianza di quella mattanza, in cui morirono circa 6.000 persone e ne furono catturate altre 10.000.

L’intervento bizantino Le incursioni in Calabria cessarono poiché il governo patrizio bizantino di questa regione accettò di pagare un pesante tributo che rimase in vigore per lungo tempo; il suo mancato pagamento scatenò, in alcune occasioni, una serie di rappresaglie. Durante una di queste, tra il 928 e il 929, furono saccheggiate le città di Otranto e di Tiriolo, vicino a Catanzaro, e nel 950 la regione fu nuovamente attaccata per la stessa ragione. Nella seconda metà del secolo X si assistette a un tentativo di conquista del centro di Reggio, che tuttavia fallì, come fallì allo stesso modo quello delle 93


IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

CRONOLOGIA DELL’EMIRATO DI SICILIA Anni 652-700

Il califfo Othman saccheggia l'isola. Nel 700, gli Arabi di Ifriqiya occupano Pantelleria. Le truppe del califfo prendono Cartagine. Anni 827-836

Eufemio da Messina, ammiraglio della flotta bizantina, consegna Siracusa all’emiro di Ifriqiya, che occupa Mazara e Palermo. Anni 836-909

Il governo siciliano con capitale Palermo, parte dell’emirato sunnita di Kairouan, occupa tutta l’isola; si estingue insieme all'emirato nel 910. Anni 909-948

La Sicilia è governata dagli sciiti fatimidi in costante lotta con i Berberi. Nel 937 trionfa una ribellione berbera ad Agrigento, ma alcuni anni dopo viene soffocata. Anni 948-964

Almanzor colloca a capo dell’emirato di Sicilia il fatimide Yusuf al Kalbi. Si costituisce un emirato indipendente che sviluppa infrastrutture per la produzione agricola e zootecnica. Anni 964-1044

Disputa dinastica tra i musulmani che termina con l’espulsione dei Fatimidi e la divisione della Sicilia tra quattro cadì.

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guarnigioni cristiane che si trovavano in Sicilia, a Taormina e a Rometta. Dall’altra parte i Fatimidi Maghrebini guardavano già con interesse crescente anche verso il nord d’Italia, dove le città longobarde crescevano di importanza e ricchezza. Fu così che Genova, tra gli anni 934 e 935, fu assediata e saccheggiata due volte di fila. Nel 976 sembrò prodursi un cambiamento di atteggiamento quando i Bizantini, appoggiati da una flotta pisana, sbarcarono di sorpresa a Messina. La controffensiva dell’emiro di Palermo colpì Reggio, Taranto, Otranto, Oria e Gallipoli. La grande violenza di questa campagna militare provocò la risposta dell’imperatore romano-germanico Ottone II, spronato dalla moglie, la principessa bizantina Teofano. Pareva come se il sovrano sassone volesse riprendere, nel sud della Penisola, i piani di egemonia degli imperatori franchi del secolo IX. Nel 981 occupò Salerno e nella primavera del 982 arrivò a Taranto. Questo indusse il governo di Costantinopoli a chiedere aiuto ai Saraceni di Sicilia e d’Africa. I sogni di conquista di Ottone si frantumarono sul campo di battaglia di Capo Colonna il 15 luglio di quello stesso anno: il sovrano riuscì alla fine a fuggire, evitando la cattura. Pare che avesse giurato di vendicarsi, ma morì nel 983. Il potere bizantino poté in tal modo mettere di nuovo radici in Puglia e in Calabria. Malgrado ciò, ripresero le incursioni saracene. Nel 986 fu saccheggiata Gerace, nel 987 la zona di Cassano allo Ionio, e nel 988, Cosenza, quasi tutta la Calabria e la Terra di Bari. Nel 991 venne devastata la zona prossima a Taranto, in difesa della quale morirono molti abitanti di Bari. Nel 994 fu assediata Matera, che dovette capitolare per fame e, nel 1002, venne devastata la Campania tra le città di Benevento, Capua e Napoli. Nel 1003 fu il turno dell’interno salentino, e nel 1004 fu assediata Bari, salvata poi da una flotta veneziana condotta dal duca Pietro Orseolo.

L’offensiva nel Mediterraneo Il complesso fronte di lotte cristiano-musulmane nell’area del Mediterraneo si spostò in modo progressivo verso il quadrante nordoccidentale, dove attivo protagonista era l’emiro di Denia e delle Baleari, il cui nome onorifico musulmano era Al Muyahid, “il combattente della jihad”. Nel 1005, mentre i Pisani si stavano occupando di aiutare i cristiani di Calabria nella loro battaglia contro i musulmani, Al Muyahid assaltò Pisa e incendiò parte della città. Scoppiò immediatamente una guerra tra Pisani, Genovesi e l’emiro arabo-ispanico, che regnava anche sulle coste della Corsica e della Sardegna.

Nel 1016, anno fatidico per Salerno e per tutto il sud della Penisola Italica, l’emiro Al Muyahid sferrava un assalto contro la città di Luni, nella regione della Garfagnana (che attualmente fa parte della provincia di Lucca, negli Appennini), la distruggeva e obbligava i suoi abitanti a fuggire verso le Alpi Apuane. Tuttavia, la risposta congiunta dei Genovesi e dei Pisani non si fece attendere: essi sconfissero le truppe d’assalto e obbligarono il loro capo a ritirarsi presso il suo rifugio in Sardegna. Nel 1063, Pisa assaltò da sola il porto di Palermo, e nel 1087, quello di Mahdia, ma questa volta insieme ai Genovesi e agli Amalfitani. Si iniziò quindi la controffensiva congiunta delle città dell’Alto Tirreno, Pisa e Genova, che nel corso di quasi tre secoli si contenderanno l’egemonia del Mediterraneo centro-occidentale e più tardi, dopo la prima crociata, anche il litorale del Levante. Termina in questa stessa epoca il “ciclo della fortuna” dell’enclave saracena di Frassineto, da dove i musulmani avevano ostacolato per più di un secolo i pellegrini che si dirigevano


a Santiago di Compostela attraverso la Languedoc, o che attraversavano i passi alpini. Nel 972 alcuni banditi saraceni catturarono sulle Alpi niente meno che l’abate Maiolo di Cluny, fatto che provocò l’indignata reazione del conte Arduino di Torino e della nobiltà provenzale, che ebbe come risultato l’attacco e la distruzione dell’enclave pirata. Tuttavia, la fama dei “Saraceni nelle Alpi” è rimasta tale nel folclore piemontese fino a tempi recenti. Quello che è certo è che gli attacchi sulla costa occitana continuarono: nel 1003 gli uomini di Al Muyahid attaccarono le isole Lerins e i monaci che le abitavano furono ridotti in schiavitù e trasferiti a Denia.

I Normanni in Sicilia Racconta una leggenda che l’arrivo dei Normanni nel sud della Penisola Italica fu preceduto dalla presenza, nel 1016, in una Salerno assediata dai Saraceni di Sicilia, di una quarantina di cavalieri normanni che ritornavano da un pellegrinaggio alla Terra Santa e che rimasero affascinati dall’ospitalità dei cittadini e dalla prospettiva di

combattere contro gli infedeli. Tuttavia, la verità è che, introducendosi come mercenari nel complesso scenario politico della regione, i Normanni, comandati dalla famiglia degli Altavilla e dal suo leader Roberto Guiscardo, si impadronirono in pochi decenni di tutta la regione. Tra il 1061 e il 1094, il fratello minore di Roberto, Ruggero, che fu chiamato più tardi “il Gran Conte” portò a termine la conquista della Sicilia. I territori del sud italico rimasero successivamente uniti in un regno, a partire dal 1130, che fu governato da suo figlio, Ruggero II. La conquista normanna della Sicilia fu possibile grazie alla delegittimazione del potere dell’emiro di Palermo, all’instaurazione di tutta una serie disorganizzata di piccoli centri di potere e all’invito diretto al normanno da parte di uno di quei signori, Ibn al Thumna, che controllava la zona compresa tra Catania, Noto e Siracusa. Nel 1063, la vittoria di Cerami, ottenuta, secondo la leggenda, grazie all’apparizione di san Giorgio armato che accorse in aiuto dei Normanni, infuse coraggio ed entusiasmo.

IL LIBRO DI RUGGERO.

Il Kitab Rugiar o Tabula Rogeriana, una delle prime mappe della storia, è opera del geografo arabo Muhammad al-Idrisi (11001165), che la realizzò nel 1154 per il re normanno Ruggero II di Sicilia. In questa mappa il nord corrisponde alla parte inferiore dell'immagine.

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LA CAPPELLA PALATINA DEL PALAZZO DEI NORMANNI

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l palazzo dei Normanni a Palermo, che fu successivamente piazzaforte cartaginese, fortezza dell’impero romano, alcázar degli emiri arabi e infine, nel secolo XII, la residenza del re normanno, è stato, come indica il nome della piazza dell’Indipendenza in cui si trova, sede del governo autonomo siciliano. I Bizantini vi si stabilirono per tre secoli, fino all’invasione musulmana che insediò l’emirato sunnita nell’831 e il fatimide nel 917. I Normanni lo occuparono nel 1072 e l’edificio ottenne il suo nome attuale. La cappella palatina del piano terra fu commissionata nel 1132 dal re Ruggero II. I lavori durarono dodici anni, però la decorazione richiese maggior tempo. La cappella è costituita da tre navate con absidi e sei archi a sesto acuto appoggiati a colonne corinzie recuperate. Una mescolanza di influenze romaniche, sicule, bizantine e arabe diede origine a una scuola di mosaico incaricata di produrre nuovi capolavori nelle cattedrali di Cefalù e Monreale.

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1 LA TORRE PISANA Oltre alla cappella, anche questa torre, che accoglie la sala del Tesoro, è parte della costruzione attribuita ai Normanni.

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ARCANGELI.

Nell’unghia dell’arco del preabside centrale, gli arcangeli Gabriele e Michele sono in coppia insieme ad altre immagini che circondano gli apostoli di fianco a Cristo.

CROCIERA. Il suo coronamento è una cupola la cui campana ha otto lucernari. Gli arcangeli dei pennacchi servono da sostegno a un Cristo Pantocratore, inserito in un cerchio di angeli in piedi.

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LE NAVATE.

Quella centrale presenta a un’estremità l’abside del Cristo Pantocratore e all’altra il trono reale. A sinistra è rappresentata la vita di san Pietro, a destra quella di san Paolo.


1 RUGGERO II, RE DI SICILIA

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Il soldato di fortuna normanno, della casa degli Altavilla, strinse un patto con il papa Anacleto II in cui si dichiarava suo vassallo, ricevendo, in cambio, il titolo di Duca di Puglia, Calabria e Sicilia. In seguito, con i suoi Normanni, cacciò via i Bizantini e i musulmani. Con quell’accordo dalla legittimità dubbiosa, si guadagnò un regno consacrato da un papa che risultò un antipapa, circostanza che poteva far pensare che in realtà il regno di Sicilia fosse un antiregno. Forse per questa ragione, il vescovo di Palermo, scegliendo le scene dei mosaici, cercò di soddisfare sia le esigenze della propaganda religiosa, che gli onori dovuti a un sovrano. Di fronte al Cristo Pantocratore, quindi, il re aveva Mosè che riceve le Tavole dei Comandamenti, alle spalle del suo trono. In alto, l’incoronazione di Ruggero II, particolare di un mosaico bizantino del secolo XII nella cupola della Chiesa Martorana di Palermo.

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SAN PAOLO.

Cunei, intradossi e unghie, come nel resto della navata a destra, sono riccamente decorati con immagini e mosaici sulla vita dell’apostolo san Paolo.

MOSAICI. Sei colonne di marmo Il Pantocratore dell’abside e capitelli corinzi su entrambi i lati della navata centrale, affiancato da centrale la separano dalle due angeli, presenta l’immagine della Vergine laterali. Le tre arcate sono Maria, accompagnata da completamente ricoperte da mosaici. due coppie di santi. CRISTO BENEDICENTE.

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L’INFLUENZA ARABA. Particolare del soffitto in legno della navata centrale, decorato con elementi mozarabici, tipici dell’architettura islamica. 97


Santiago Matamoros, l’apostolo paladino della Reconquista Le gesta ispaniche dell’apostolo Santiago durante la Reconquista contraddicono il testo degli Atti degli Apostoli che lo presenta decapitato per mano di Erode Agrippa nell’anno 44. Oltre a ignorare il testo canonico, la leggenda lo descrive come testimone dell’apparizione della Vergine del Pilar a Saragozza, nel mezzo di un coro di angeli. Il culto per l’apostolo Santiago nacque tra i secoli IX e XI e si basa su due leggende successive e in contraddizione. La prima narra del suo apostolato nella Penisola Iberica e la seconda dell’arrivo in Galizia delle sue reliquie, sulle quali si costruì la chiesa a lui consacrata. Né il vescovo san Martino di Braga del regno svevo di Galizia, né l’ampolloso storiografo Isidoro di Siviglia menzionano la prima, che appare invece documentata nella traduzione latina del Breviarium Apostolorum. L’originale bizantino del breviario, scritto in greco, non menziona predicazioni né tantomeno la presenza di Santiago in Spagna. Il traduttore lo allegò al testo latino che in seguito il Beato di Liebana introdusse nel suo Commentario dell’Apocalisse. La tradizione della presenza delle reliquie dell’apostolo in Galizia ha più parvenza di realtà: non si sa come i resti del santo siano giunti a Compostela e come siano rimasti sepolti in un luogo scoperto verso l’813 dall’eremita Pelayo. La chiesa del pellegrinaggio che fu costruita a Santiago di Compostela era attiva già nell’874; i pellegrini giungevano sulla tomba dell’apostolo, diventata simbolo di una nazione cristiana in guerra contro i Mori in Europa. Il trasferimento dei resti in Galizia da Gerusalemme è alla base di un altro ciclo mitologico religioso, il cui culmine è la militanza dell’apostolo nella cavalleria di Ramiro I delle Asturie nella mitica battaglia di Clavijo. A destra, resti del castello di Clavijo.

Fino al 1071 però, anno in cui Guiscardo, che stava lottando contro i Bizantini in Puglia, venne a conoscenza della resistenza musulmana e contribuì fornendo nuove truppe provenienti dal continente, non fu possibile sconfiggere i Saraceni. Palermo, assediata nell’agosto del 1071, cadde nel gennaio dell’anno seguente: l’entrata dei vincitori avvenne senza ulteriori danni e la grande moschea fu trasformata in un tempio dedicato alla Vergine Maria. Al momento della conquista, l’isola era abitata per la quasi totalità da Arabo-berberi e da indigeni arabizzati e islamizzati. Solo a Palermo e in alcune aree ristrette del nord-est vivevano comunità greco-cristiane di una certa importanza. Nel corso della campagna militare, Ruggero, che suo fratello aveva nominato conte di Sicilia, aveva garantito a tutti libertà di culto e ammise molti musulmani nel suo esercito. Tuttavia, allo stesso tempo, si attivò per ripopolare l’isola con i cristiano-latini e, quando si sentì più sicuro, cambiò l’atteggiamento nei confronti dei musulmani, adottando una politica più severa nei loro 98

confronti. Ciò nonostante, i funzionari arabi continuarono a lavorare per tutto il periodo del regno normanno e anche dopo nel diuán, l’ufficio incaricato dell’organizzazione tributaria.

L’assalto a Santiago di Compostela Quando tra il 996 e il 997 Almanzor (Al Mansur, 977-1002) sferrò l’attacco alla città di Santiago di Compostela, realizzò un gesto di grande intelligenza e di straordinario valore simbolico anche se, con ogni probabilità, gli effetti ottenuti sarebbero stati contrari a quelli desiderati. Il visir si rendeva conto dell’impatto di un nuovo fenomeno, che proprio in quegli anni stava acquisendo sempre più forza. Ogni giorno affluivano alla città di Compostela a visitare la tomba del santo apostolo un numero sempre crescente di pellegrini provenienti dalle regioni situate sull’altro versante dei Pirenei. Ciò che Almanzor non poté comprendere era che il culto aveva già messo radici in tutta Europa. La notizia della profanazione del santuario, invece di seminare paura e sconcerto, o di dar


SANTIAGO MATAMOROS. Olio su tavola della scuola di Paolo di San Leocadio, pittore di Reggio Emilia, che nel 1472 entrò alla corte del cardinale Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI. Su questo pannello è rappresentata l’apparizione dell’apostolo Santiago a capo della cavalleria dell’esercito cristiano nella battaglia di Clavijo, combattuta nell’anno 844.

luogo a indifferenza o addirittura oblio, fu, al contrario, fonte di indignazione e di rinnovato fervore. La causa dell’apostolo Santiago si convertì nella causa di tutta la cristianità: all’aspetto del pellegrinaggio si associò quello della difesa della tomba sacra minacciata dai “pagani”. Il pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo e la sua riconquista furono, in un certo senso, due aspetti di uno stesso fenomeno storico. Il pellegrinaggio verso il Cammino di Santiago che, almeno in un primo tempo, passava per uno stretto territorio, non sempre distante da quella terra di nessuno che separava i cristiani dai musulmani, cominciò molto presto ad assumere anche un ruolo bellico. Si raccontava che durante la battaglia di Clavijo, nell’anno 844, l’apostolo fosse apparso ai cristiani, agghindato con una veste lucente e in sella a un bianco destriero, e che li avesse guidati all’assalto contro i nemici (come avrebbe fatto san Giorgio a Cerami, Sicilia). Da allora in poi, l’apostolo avrebbe ricevuto il titolo di Matamoros (uccisore di Saraceni). A dire il vero non sappiamo con certezza in quale momento questo ruolo militare

dell’apostolo Santiago si sia sovrapposto alla sua immagine di pellegrino e taumaturgo. A questo riguardo, le rappresentazioni iconografiche sono piuttosto recenti, la leggenda non fu narrata per iscritto fino al secolo XIII e non si conservano annotazioni anteriori alla battaglia. Le visioni di questo tipo formavano parte di una sacralizzazione del conflitto contro i Saraceni che può essere facilmente relazionata con la propaganda ecclesiastica, ma che, tuttavia, scaturì da un entusiasmo generalizzato, da una sensibilità collettiva esaltata e dalla propensione al combattimento e al martirio.

SPADA DEL CID. Detta

Tizona, risalente al secolo XI; secondo il Poema del Mio Cid appartenne al re del Marocco e Rodrigo Díaz de Vivar la vinse a Valenza. (Museo dell’Esercito, Toledo).

L’assedio di Barbastro Dopo la caduta del califfato di Cordova, la Spagna musulmana rimase divisa tra i distinti regni di taifas. Per un certo tempo la situazione si mantenne in un equilibrio instabile, dato che anche i regni cristiani, nel nord della Penisola, erano colpiti da eterne rivalità e ostilità. In ogni caso, il panorama cambiò in modo significativo verso il 1055, quando Ferdinando I, 99


IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

questi potevano solo scegliere tra la carriera ecclesiastica e l’avventura militare. Questo aiuta a comprendere l’affluenza di cavalieri provenienti da qualsiasi parte del mondo cristiano occidentale, e in particolare dalla Francia, e la loro partecipazione a quelle guerre ingaggiate contro i musulmani nella Penisola Iberica, che si definiscono nel loro complesso con il termine Reconquista. La conquista di Barbastro è considerata, anche nel campo del diritto ecclesiastico, il modello e l’antecedente della prima crociata. Dopo la sconfitta, gli emirati di Saragozza, Badajoz, Toledo e Siviglia furono obbligati a pagare un tributo come riconoscimento del vassallaggio a Ferdinando di Castiglia, che, con una orgogliosa cavalcata realizzata in segno di dimostrazione, arrivò fino a Valencia. Tuttavia il re morì a León nel 1065, poco dopo aver avuto l’occasione di venerare, nella nuova cattedrale fondata per lui, le reliquie di Sant’Isidoro di Siviglia, che gli erano state consegnate dai musulmani.

Toledo e il Cid Campeador

FERDINANDO I. Il re Ferdinando I di Castiglia e León in un’immagine del manoscritto cartulario Libro de las estampas, del secolo XII (Archivio della Cattedrale di León).

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proclamato re di Castiglia e León, si trovò in condizione di scatenare una solida offensiva che finì per sottomettere tutta la valle del basso Duero. Nel frattempo, il fronte aragonese correva il pericolo di cedere, dopo la morte di Ramiro I, primo re di Aragona, durante l’assedio della fortezza saracena di Graus, a Huesca. Siccome il principe Sancho era ancora minorenne, il papa Alessandro II si vide obbligato a prendere l’iniziativa che condusse alla conquista della fortezza di Barbastro, grazie a una spedizione che fece affidamento sull’intervento di numerosi cavalieri francesi e che suscitò una forte ondata di entusiasmo militare e fervore religioso. Di fatto, al pellegrinaggio verso Santiago parteciparono diversi aristocratici, la cui intenzione forse era di ascoltare e difendere con le armi il viandante indifeso. È anche possibile che in questa alta classe sociale, il pellegrinaggio fosse inoltre l’espressione di una certa inquietudine sociale. In gran parte dell’Europa non erano previste assegnazioni di quote ereditarie per i figli non primogeniti della nobiltà, ragion per cui

La morte di Ferdinando I di Castiglia nel dicembre 1065 diede luogo a un nuovo periodo di tregua in questo processo storico di lunga durata e di sviluppo incostante, che è conosciuto con il nome di Reconquista. I tre figli e le due figlie del sovrano si contesero e si ripartirono l’eredità, fino a che uno di loro, Alfonso VI, riuscì a riunire nuovamente i regni di Castiglia (in mano a Sancho III) e León sotto la sua corona e infliggere nuove sconfitte ai musulmani, avvalendosi della collaborazione di una figura che molto presto sarebbe diventata leggendaria: Rodrigo Díaz de Vivar, il Cid Campeador (campi ductor). Sono proprio le complesse vicissitudini del Cid, scomodo e indisciplinato, alleato di un sovrano dal comportamento versatile, che danno un’idea concreta di quello che in realtà dovette essere la Reconquista, guerra tra musulmani e cristiani caratterizzata da momenti di entusiasmo e a volte da feroce fervore religioso, sebbene in alternanza con fasi di Realpolitik. Nell’anno 1081, Rodrigo Díaz de Vivar fu mandato in esilio dal re Alfonso VI, tra l’altro, per non aver voluto rispettare certe garanzie che il sovrano aveva concesso ai musulmani, dopodiché il Cid mise le sue truppe al servizio del re della taifas di Saragozza, Al Mutaman, e contro il re di Lerida che, a sua volta, contava sull’appoggio del re Sancho di Aragona e di quello di Berenguer, Ramon II, conte di Barcellona. Queste alleanze trasversali, tra mori e cristiani contro avversari essi stessi moro-cristiani, erano normali all’epoca. Lo stesso Alfonso VI portò a termine la sua miglior impresa, il 6 maggio del 1085, in sostegno


del sovrano musulmano di Badajoz contro il toledano Al Qadir, al quale venne promessa, come ricompensa, la città di Valencia. Malgrado ciò, l’assassinio di Al Qadir a sua volta indusse il Cid ad assediare la città che non aveva voluto riceverlo, desideroso di vendicare l’amico saraceno, ma allo stesso tempo deciso a giocare le sue carte nella Reconquista e adirato contro Alfonso VI, che accusò di non aver mantenuto la parola. Dopo un assedio di venti mesi, Valencia cadde, il 15 giugno del 1094 e il Cid, riconciliato con Alfonso VI, la mantenne come sua signoria fino al 1099, anno della sua morte.

Gli Almoravidi Il re Alfonso VI sopravvisse un decennio al suo buon vassallo. Testimonianza dei profondi vincoli che lo univano alle terre sull’altro versante dei Pirenei è il fatto che si fosse sposato tre volte con nobildonne francesi, che avesse dato in moglie una delle sue figlie a un gentiluomo originario della Borgogna e l’altra a uno della Lorena, i quali avevano raggiunto la Penisola per combattere

contro i musulmani. Suo genero, Enrico, nativo della Borgogna, sposato con l’infanta Teresa, fu dal 1094 il primo signore di una contea castigliana fondata tra il Miño e il Duero, nucleo del futuro Portogallo. Con i suoi vicini musulmani, Alfonso VI riuscì a essere più imparziale di quanto lo fosse stato con alleati e vassalli. Obbligò i cristiani di Toledo a restituire ai Saraceni la moschea della città, che era stata loro portata via dopo l’occupazione del 1085, e intervenne in varie occasioni con lo scopo di obbligare alcuni dei suoi seguaci – che avevano commesso atti violenti contro Saraceni sottoposti alla sua autorità – a porre riparo alle loro azioni con onore. Dopo la presa di Toledo, però, le cose non furono facili. Il re cavalcò fino a Tarifa, nell’estremo sud della Penisola, di fronte all’Africa, e continuò la sua cavalcata nel mare, sfidando l’ignoto gigante che aveva di fronte: l’Islam maghrebino. Purtroppo, però, questa sfida non gli avrebbe portato niente di buono. Il regnante musulmano di Siviglia, il colto e brillante Al Mutamid, un cadì (giudice che amministra la sharia) a capo di una repubblica di tipo

IL GIURAMENTO DI ÁLVAR FAÑEZ MINAYA.

Il nobile Álvar Fañez fu uno dei più importanti capitani al servizio del re Alfonso VI di León, Castiglia e Galizia, sia durante la conquista delle taife del nord della Penisola, che nella ripopolazione dei territori conquistati ai musulmani e nella resistenza di fronte all’espansione almoravide. Il pittore del secolo XIX Jenaro Pérez Villaamil ricrea la scena del vassallaggio (Alcázar Reale, Siviglia).

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IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

L’unitarismo almoravide e il “peccato” dei regni di taifas “Emiro dei musulmani” era il titolo di cui godeva Yusuf Ibn Tashfin quando stabilì la nuova capitale a Marrakesh nel 1070. Il titolo gli venne riconosciuto dal califfo abbaside di Baghdad. I dottori della legge malikita vegliavano sull’unità del califfato; avevano una conoscenza talmente profonda della legge coranica che gli Almoravidi li consultavano quotidianamente, e accumularono pertanto un enorme potere. A un gruppo di questi zelanti dottori della jihad si deve l’idea di assalire la Penisola Iberica dalla costa marocchina. Nell’al-Andalus, le notizie riguardanti i successi politico-militari degli Almoravidi in Africa crearono terrore negli Edriti malaghegni e negli Zanhaghi granatini, oltre che al re di Siviglia. Nonostante tutti questi timori e pur essendo un grande poeta, Al Mutamid, signore di Siviglia, continuava a distruggere le taife di Malaga, Granada e altre vicine, senza che ciò portasse nulla alla causa dell’Islamismo. I malikidi non potevano perdonare che si ledesse l’unità del califfato. In realtà, i guardiani più ortodossi non poterono tollerare la perdita di Toledo nel 1085. Attribuivano tutta la responsabilità ai regni di taifas, che “peccavano” nel peggiore dei modi: distruggendo l’unità dell’Islam per avidità. Per gli Almoravidi, la conquista della Penisola, la sottomissione e l’abolizione delle taife significavano ristabilire l’unità del califfato e mettere un freno all’avanzata cristiana dal nord. Per trent’anni raggiunsero questi obiettivi con facilità. A sinistra, minbar, pulpito almoravide in ebano, legno di cedro e avorio, proveniente dalla moschea di Cordova.

aristocratico composta da nobili, sentiva che la fortuna di al-Andalus stava venendo meno. Tuttavia, sull’altra sponda delle colonne d’Ercole, si era rafforzata la rigorosa confraternita dei murabitun o Morabiti (termine da cui deriva “Almoravidi”) “uomini dei ribat”, austeri abitanti dei monasteri-fortezze, che si erano stabiliti lontano, al di là del deserto, sulle sponde dei fiumi Senegal e Niger, e che si erano impadroniti del Marocco e dell’Algeria, sfavorendo le dinastie che si erano create durante il secolo X. Vero è che questi tenebrosi fanatici non riscuotevano la simpatia di Al Mutamid, a cui non piaceva per nulla dover trattare con il loro capo Yusuf Ibn Tashfin. Eppure, sembra che a coloro che gli chiedevano la ragione di una scelta così triste, egli rispondesse: «Preferisco finire col diventare cammelliere in Africa che guardiano di porci in Castiglia». Fu così che l’emiro almoravide attraversò il mare e si dice che, quando il re Alfonso VI volle riprendere le negoziazioni, gli abbia risposto: «Non ho altre missive se non le spade e le lance, né altro ambasciatore che il mio folto esercito». La battaglia, 102

alla quale parteciparono unite le taife di Granada e Badajoz, avvenne sulle sponde del fiume Guadiana, a Zallaqa (ora Sagrajas), il giorno 23 ottobre del 1086, e si concluse con una grande sconfitta per i cristiani. Lo stesso re Alfonso VI si salvò con molta difficoltà, insieme a qualche centinaio di cavalieri, rifugiandosi a Coria. Le teste decapitate degli sconfitti furono ammucchiate ed esposte in macabre pile trionfanti.

Al-Andalus sotto gli Almoravidi Il prezzo che pagò per quella vittoria la popolazione dell’al-Andalus fu alquanto notevole. Yusuf obbligò tutti i re delle taife a sottomettersi alla sua autorità. Coloro che cercarono di resistere, alleandosi logicamente con i Castigliani, furono sottomessi con la forza. Toledo continuava a rimanere sotto il dominio dei cristiani, ma a sud del Tago non rimaneva più niente dei tentativi di conquista degli anni anteriori. Nelle città musulmane la popolazione, per un eccesso di pietas religiosa alimentata dall’entusiasmo della vittoria, appoggiava il potere degli Almoravidi. Gli anziani emiri dell’al-Andalus, considerati come persone corrotte e libertine dai nuovi regnanti, dovettero ritirarsi in esilio. Qualcuno morì prigioniero in Africa, come il cadì e poeta di Siviglia Al Mutamid. Malgrado ciò e nonostante le barbarie commesse dai mistici guardiani dei ribat, occorre notare che gli anni di dominio degli Almoravidi, le cui dominazioni si estendevano dal Tago fino al Sahara, furono un periodo di tranquillità e relativa prosperità. Le poche grandi battaglie che si ingaggiarono furono sanguinarie, e la repressione iniziale fu dura. I nuovi sovrani tuttavia, scrupolosamente rispettosi delle regole del Corano, esercitavano una pressione fiscale leggera sui muslimín e sui dimíes. Promossero lo sviluppo urbano, con la creazione di nuove capitali quali, ad esempio, Marrakesh (nata su desiderio di Yusuf nel 1062) e l’organizzazione della complessa struttura di Fez, nel periodo in cui le attività commerciali e artigianali, che stavano crescendo nei centri di Tlemecen o Sijilmasa in Africa, e Almería in Spagna, venivano protette. Quest’ultima città arrivò ad avere 800 botteghe artigianali nelle quali si tesseva la seta, 900 locande per i viaggiatori e magazzini per i prodotti (jan e fúnduq), numerosi laboratori dove si lavoravano i metalli e un porto in cui approdavano navi provenienti dal mondo islamico mediterraneo. Le monete d’oro coniate nelle zecche degli Almoravidi (che in Occidente erano chiamate “maravedi”) erano apprezzate e ricercate ovunque. Non bisogna nemmeno pensare che il misticismo delle confraternite dei ribat avesse soffocato


la vita intellettuale. Al contrario, come solitamente accade nel mondo islamico, il dibattito teologico e giuridico continuava a essere molto vivace. La biblioteca e le madrasse di Cordova conobbero infatti uno sviluppo straordinario, che superò il già alto livello raggiunto all’epoca dei califfi e fu la base di uno sviluppo culturale di cui beneficiò senza dubbio anche l’Occidente, a partire dal secolo successivo.

Il movimento almohade Nel frattempo si compiva il destino di Rodrigo Díaz de Vivar. Come narra il Poema del Mio Cid, il grande guerriero morì a Valencia il 10 luglio del 1099, esattamente cinque giorni prima che i pellegrini franchi armati, i crociati, entrassero a Gerusalemme. Secondo la leggenda, vinse la sua ultima battaglia quando ormai era morto, uscendo dalla porta della città di Valencia assediata e galoppando contro i musulmani in ritirata. Il suo fedele cavallo Babieca portava in sella il suo signore imbalsamato, che si manteneva eretto sulla sella per mezzo di un palo di legno legato

alla spalla. Yusuf non esitò a combattere contro la città che tuttavia oppose resistenza per lungo tempo. Il re di Castiglia cercò invano di difenderla, però all’inizio di maggio del 1102 dovette abbandonarla. La sposa del Cid, doña Jimena, si ritirò con i resti mortali del suo sposo al fine di dargli degna sepoltura nella sua terra natale, Burgos. Alfonso VI tentò disperatamente di riprendere in mano la situazione ed evitare la sconfitta. Nell’anno 1108 però, durante una nuova battaglia ingaggiata a Uclés, tra Toledo e Cuenca, fu nuovamente sconfitto e perse il suo unico erede, don Sancho, a cui voleva bene in modo particolare, in quanto era il frutto del suo amore per una bella rifugiata saracena, Zaida, la nuora del cadì di Siviglia. Ciò nonostante, il potere degli Almohadi incominciò velocemente a venir meno, sia a causa della ripresa militare dei re cristiani di Spagna (soprattutto del regno di Aragona), sia per il sorgere di una nuova corrente mistico-teologica che si sviluppò nel Maghreb, dall’inizio del secondo quarto del secolo XII.

I RIBAT ALMORAVIDI.

I ribat erano fortezzemonasteri, abitate da monaci guerrieri, i Morabiti, dediti alla preghiera e alla jihad. In alto, il ribat di Monastir, a Tunisi.

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IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

Averroè e Maimonide, vittime dell’intolleranza degli al-Muwahhidun Averroè (Cordova, 1126 – Marrakesh, 1198), medico, filosofo e giurista malikita, e il saggio ebreo Maimonide (Cordova, 1135 – Fustal, 1204) subirono il radicalismo ortodosso degli Almohadi. Averroè, accusato di eresia, fu mandato in esilio e le sue opere furono proibite; Maimonide, per non apostatare l’Ebraismo, dovette andarsene ad Almería, a Fez e infine in Egitto, per mettersi in salvo dai predicatori almohadi. Averroè, grande interprete musulmano dell’opera di Aristotele, cercò di conciliare la logica aristotelica con il dogma. Propone, però, l’eternità dell’universo materiale, che comporta negare la creazione per mano di Dio nel tempo. Postula l’esistenza di un’unica intelligenza agente (Dio) a cui può elevarsi l’intelligenza umana individuale (anima). L’eternità a cui gli esseri umani possono ambire consiste nella fusione con l’intelligenza unica. L’anima umana non è immortale, e l’eternità è attributo della materia. Tali tesi, criticate anche da Tommaso d’Aquino, discepolo cristiano di Aristotele, lo resero un eretico agli occhi degli al -Muwahhidun. L’averroismo cristiano dei secoli XIII e XIV fece della dottrina dell’intelligenza attiva unica una forma di affermazione dell’immortalità dell’anima e interpretò la teoria dell’eternità della materia come affermazione dell’impossibilità di dimostrare la tesi della creatio ex nihilo (creazione dal niente). Maimonide, da parte sua, influì sia sugli ebrei che sui cristiani. Come Averroè, tentò di conciliare la fede nella rivelazione con la verità razionale della filosofia. Soprattutto dimostrò che non ci sono contraddizioni tra il discorso religioso e quello della ragione, nonostante le apparenti incompatibilità, introducendo l’interpretazione simbolica e allegorica dei testi della Torah. A sinistra, monumento a Maimonide a Cordova, opera dello scultore di origine valenciana, Amadeo Ruiz Olmos (1964).

SIMBOLO DELLA RAGIONE.

Maimonide è rappresentato con un libro in mano poiché la sua riflessione teologica, del tutto intellettuale, si concentrava sulla dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio con argomenti mediati dalla dottrina aristotelica. Individuava due classi di intelligenza, quella passiva o materiale, inseparabile dall’esistenza corporea, e quella attiva, acquisita e separata dalla vita organica, propria degli esseri umani.

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Gli al-Muwahhidun (conosciuti come “Almohadi”) i “fedeli della unità divina”, erano nati in seno al Marocco berbero come movimento politico-religioso di carattere rigorosamente rigido, grazie al mahdi Muhammad Ibn Turmat, che si era opposto alle concessioni verso l’antropomorfismo letterario del Corano, in qualche modo accettate dai teologi almoravidi. Alla sua morte, avvenuta nell’anno 1130, gli succedette Abdalmunin, che tra il 1130 e il 1169 si proclamò califfo, istituì come capitale Marrakesh e impose il suo potere sugli Almohadi d’Africa.

Gli Almohadi nell’al-Andalus Come prova del loro ruolo di veri protettori della fede, gli Almohadi espulsero i Normanni di Sicilia da alcune città dell’Ifriqiya che avevano occupato. A causa dell’insistenza dell’emiro di Valencia e Murcia, che si considerava sempre più minacciato dagli Aragonesi e dai Castigliani, un’armata almohade sbarcò nel 1162 nella Penisola Iberica, dove il crollo degli Almoravidi aveva causato un’ulteriore frammentazione della corrente islamica locale. Questi Almohadi occuparono Siviglia, mentre i Castigliani riuscirono ad approfittare della situazione per impadronirsi della ricca Almería e i Portoghesi invece si mossero per impossessarsi di Lisbona. Il nuovo califfo almohade Abu Yaqub Yusuf (1163-1184) vinse la resistenza locale, non senza difficoltà, e diede inizio a una jihad contro il regno di Castiglia, mentre intraprendeva un ambizioso progetto urbanistico nella sua nuova capitale, Siviglia. Suo figlio Abu Yusuf Yaqub al-Mansur (1184-1199) sconfisse clamorosamente il re di Castiglia Alfonso VIII durante la battaglia di Alarcos, il giorno 19 luglio del 1195. Il potere almohade risultò essere molto più duro e restrittivo di quello almoravide: furono perseguitati e obbligati all’espatrio o all’esilio anche due filosofi, l’ebreo Mosheh ben Maimon (Maimonide) e il musulmano Ibn Rushd (Averroè). Maimonide morì in Egitto, luogo nel quale, nel 1172, aveva assunto il ruolo di nagid, cioè capo della comunità ebrea locale e, più tardi, di medico del sultano Saladino e dei suoi successori, fino a quando morì nel 1204. Tuttavia, la fase di intolleranza almohade terminò presto: la dinastia berbera permise l’introduzione in Marocco di culti simili ai santorali cristiani, mentre una rinnovata libertà nella ricerca e nello studio dava luogo alla fioritura di filosofi come Ibn Tufail (Abentofail) e, dopo le prime diffidenze, anche di seguaci di Averroè. L’economia conobbe nello stesso tempo forte impulso sotto la nuova dinastia, molto attenta allo sviluppo agricolo, che fu possibile grazie a un importante lavoro di migliorìa dei sistemi di irriga-


BATTAGLIA DEI BASSOPIANI DI TOLOSA.

In questo scontro decisivo, a Jaén, nella Sierra Morena, si batterono il 16 luglio del 1212 gli eserciti cristiano e musulmano. Il primo, al comando di Alfonso VIII di Castiglia; il secondo, comandato dal califfo almohade Muhammad al-Nasir. A sinistra, lo stendardo dei Bassopiani di Tolosa, pezzo almohade del XIII secolo che faceva parte del bottino che i cristiani sottrassero ai musulmani dopo la vittoria. Lo stendardo è conservato al Monastero de Las Huelgas di Burgos.

zione, senza naturalmente dimenticarsi delle attività commerciali, grazie alle quali si crearono alleanze con le città italiane del Mediterraneo occidentale, un segno, questo, della duttilità caratteristica della dinastia almohade.

I Bassopiani di Tolosa Il 19 giugno del 1195, il califfo almohade Abu Yusuf Yaqub sconfisse il re Alfonso VIII nella grande battaglia campale di Alarcos. Erano passati solo otto anni dalla sconfitta di Hattin e dalla conquista musulmana di Gerusalemme e il nuovo pontefice Innocenzo III era deciso a mantenere sotto controllo la situazione almeno nella Penisola Iberica, soprattutto con l’aiuto del vescovo di Toledo, Rodrigo Jimenéz de Rada. I cavalieri di Aquitania che avevano fatto voto di intraprendere il viaggio come crociati verso la Terra Santa furono autorizzati a cambiare il loro voto per una spedizione verso le terre iberiche. La presa da parte degli Almohadi del castello di Salvaterra, nel 1210, spinse il papa a una nuova crociata, esaltata pubblicamente anche in Francia. Parteciparono alla

campagna militare i re Alfonso VIII di Castiglia e Pietro II d’Aragona, gli ordini di cavalleria di Santiago, di Alcantara e di Calatrava, fondati in Spagna con lo scopo di lottare contro i musulmani e, in un secondo momento, Sancho II di Navarra. Le forze in campo erano schiaccianti e il 16 luglio 1212 la spedizione si concluse con una grande vittoria nei Bassopiani di Tolosa, proprio ai piedi della Sierra Morena, tra la Castiglia e l’Andalusia. La vittoria apriva ai cristiani le porte del sud, nella ricca e splendida regione dell’Andalusia, e proclamava la caduta della capitale del califfato almohade, Cordova, che di fatto fu conquistata nel 1236 dal re Ferdinando III il Santo (12171252). Ebbero lo stesso destino anche Jaén nel 1246 e a seguire Siviglia nel 1248. Nel 1260 si poteva affermare che buona parte della Reconquista fosse stata realizzata. Nel frattempo, il regno del Portogallo (riconosciuto dal papa nel 1179) aveva il proposito di colonizzare il sud-est della Penisola Iberica, la zona dell’Algarve, e per questo entrò in conflitto con la Castiglia. Da parte sua, il regno castigliano si im105


IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

I BENIMERIDI. Porta fortificata e mura della necropoli benemerida di Chella, vicino all’odierna Rabat. L’iscrizione cufica della porta ci informa che la sua costruzione terminò nel 1339, durante il regno di Abu al-Hasan Ibn Othman.

L’ALHAMBRA (pag. 107). Stanza del

salone degli Ambasciatori nell’Alhambra, la cui costruzione cominciò nella seconda metà del secolo XIII, con la dinastia dei Nasridi di al-Andalus. 106

padronì dell’area a sud del Guadalquivir, fatta eccezione per il piccolo, seppure fiorente, emirato di Granada, che continuò a rimanere musulmano fino all’anno 1492. I lunghi anni di lotta contro i musulmani marcarono profondamente le peculiarità culturali della Castiglia, lasciando un’impronta di austera religiosità combattiva.

Gli ultimi Almohadi L’avanzata cristiana fu possibile grazie alle difficoltà che dovettero affrontare gli ultimi Almohadi dell’altra sponda del Mediterraneo, con un Maghreb scosso da continue rivolte. Alì, l’emiro della tribù sanhaja dei Banu Ghaniya, si era impossessato dell’antica capitale hammadita, Bugìa, porto chiave per il traffico commerciale nel Mediterraneo. Obbligato ad abbandonare la costa per la controffensiva almohade, Alì continuò a sferrare attacchi e controffensive dall’interno e si alleò con altre tribù, ottenendo il riconoscimento del califfato abbaside. Ciò nonostante, nell’anno 1187, Abu Yusuf conseguì la vittoria, anche se nel frat-

tempo in Marocco erano in aumento i conflitti tra Arabi, Beduini e Berberi. Questi ultimi, che in altra occasione erano stati i dominatori unici dello scenario politico, si trovavano ora invece minacciati da nuove tribù arabe. Il successore di Abu Yusuf Yaqub al-Mansur, suo figlio Muhammad al-Nasir (1199-1213), riuscì a ottenere una serie di vittorie e nel 1205 riprese le ribelli Ifriqiya e Tripolitania, respingendo i tentativi di avanzata cristiana in Spagna, almeno fino al 1210. In definitiva, sarebbe un errore giudicare il suo regno unicamente alla luce della sua sconfitta nei Bassopiani di Tolosa. Una volta sfuggito al massacro della battaglia, Muhammad al-Nasir si rifugiò a Marrakesh, temendo probabilmente una nuova avanzata e preferendo riorganizzare la resistenza da un luogo più sicuro. Eppure non sembra che nel campo cristiano la battaglia fosse stata percepita come avvenimento cruciale. Agli ordini del vescovo Rodrigo Jiménez de Rada, i Castigliani si dedicarono soprattutto a rinforzare le difese e a costruire fortificazioni lungo la strada che portava a Toledo, piuttosto che iniziare a penetrare nel territorio nemico. Fu proprio durante il regno del successore di Muhammad, suo figlio Abu Yaqub II al Mustansir, che le tendenze centrifughe, ormai presenti non solo nel Maghreb, ma anche nell’al-Andalus, si manifestarono in modo continuo e la dinastia andò perdendo poco a poco il suo regno, a volte a causa anche di dispute tra la stessa discendenza almohade. Gli ultimi esponenti dell’emirato trovarono rifugio nelle montagne dell’Atlante, ma nel 1276, alla fine di un assedio che durò sette anni, furono sterminati. Fu come un segno del destino, che questa dinastia dovesse trovare la sua fine proprio nei territori dove era nata.

I Nasridi nell’al-Andalus In quel periodo il Marocco si trovava sotto una nuova dinastia, la Benimeride o Merinide. L’emiro benimeride Abu Yusuf si era immediatamente prodigato a rinforzare, nel limite del possibile, le guarnigioni nei territori rimanenti dell’al-Andalus. Dalla parte dei Castigliani, ci fu chi pensò che fosse possibile organizzare una crociata per conquistare il Maghreb. Alfonso X (1252-1284), succeduto al padre Federico III il Santo al trono di Castiglia, cercò anche di allearsi con gli Inglesi e i Danesi, le cui navi avrebbero potuto attaccare il Maghreb dalle coste atlantiche. Eppure, dopo aver compiuto qualche tentativo in terra marocchina, preferì consolidare le sue conquiste, espellere dalla zona della Murcia i musulmani che si erano dimostrati riluttanti, e accettare che l’ultima grande città dell’al-Andalus, Granada, fosse al momento inespugnabile.


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IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

SULTANI NASRIDI 1238-1272 Muhammad I Ibn Yusuf 1273-1302 Muhammad II al Faqih 1302-1309 Muhammad III 1309-1314 Nasir 1314-1325 Ismail I 1325-1333 Muhammad IV 1333-1354 Yusuf I 1354-1359, 1362-1391 Muhammad V 1359-1360 Ismail II 1360-1362 Muhammad VI 1391-1392 Yusuf II 1392-1408 Muhammad VII 1408-1417 Yusuf III 1417-1419, 1427-1429 Muhammad VIII 1419-1427, 14301431, 1432-1445, 1448-1453 Muhammad IX 1432 Yusuf IV 1445-1446, 1462 Yusuf V 1446-1448 Muhammad X 1453-1454 Muhammad XI 1454-1464 Said 1464-1482, 1483-1485 Muley Hacen 1485-1486 Lo Zagal 1482-1483, 1486-1492 Boabdil

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La frontiera che si situava tra la Spagna cristiana e la Spagna musulmana era una terra difficile da controllare. Tra il 1271 e il 1273, vari nobili cristiani preferirono rendere omaggio feudale al sultano maghrebino, invece di sottomettersi ad Alfonso X. Nel frattempo, ciò che restava di al-Andalus era passato a una nuova dinastia, quella degli emiri nasridi, che dovevano il loro nome al proprio fondatore, Muhammad I ibn Yusuf al-Ahmar (più conosciuto come al-Ahmar, “il Rosso”, per via della sua barba rossa). I Nasridi avevano eletto come nuova capitale Granada e, nonostante disponessero di un territorio ridotto rispetto a quello dei loro predecessori, non si mostrarono propensi a sottomettersi al sultano benimeride, la cui intenzione era di presentarsi a loro come l’unica speranza possibile di fronte ai cristiani. Al contrario, nel 1279, l’emiro Muhammad II firmò con la Repubblica di Genova un trattato vantaggioso, in termini commerciali, per la colonia posseduta a Granada, dimostrando con una totale gratitudine la sua intenzione di assumere un ruolo internazionale autonomo. I Nasridi devono la lunga sopravvivenza della loro dinastia principalmente alla propria abilità diplomatica, ma anche alla capacità di svolgere un ruolo concreto nei conflitti tra Castigliani e Aragonesi. Dal punto di vista culturale, l’era dei Nasridi comportò decisamente un maggior splendore rispetto all’epoca precedente. Nella seconda metà del secolo XIII iniziarono i lavori per la costruzione della città palatina dell’Alhambra, che continueranno nel secolo successivo e avranno il loro culmine in una delle più belle espressioni dell’architettura musulmana, sintesi superba dell’arte del giardino islamico.

Giardini e palazzi La cultura islamica utilizzò, nella progettazione di giardini, tecniche svariate e nozioni di agricoltura, idraulica e botanica, ma anche di matematica e geometria, non solo per la disposizione dei canali, dei sentieri e delle aree destinate alla coltivazione degli alberi, fiori e piante, ma anche, e non di minor importanza, per la scelta dei fiori. Per questa ragione, Al Biruni, il grande filosofo, geografo, astronomo e matematico iraniano che visse tra il X e XI secolo, nella sua opera Cronologia delle nazioni antiche insegnava a valorizzare la struttura geometrica e il contrasto cromatico come aspetti dell’ordine cosmico. Fu soprattutto nell’al-Andalus, in Spagna, sotto il dominio musulmano, che si applicò la tecnica del sistema di irrigazione con l’utilizzo dei canali di scorrimento dell’acqua, chiamati in arabo saquiya (da cui deriva il termine acequia,

La formazione del regno nasride di Granada Muhammad Ibn Nasr, Al Ahmar, salì al trono nel 1238. Alcuni anni dopo, le conquiste del sovrano castigliano Ferdinando III lo obbligarono a sottomettersi alla sovranità di Siviglia, ma anche così, continuò ad espandere i suoi confini. Oltre alla diplomazia, furono di aiuto a Granada anche le montagne, che le facevano da scudo protettivo, in più, la città svolgeva una funzione intermediatrice tra l’Europa e l’Africa settentrionale, che le portò prosperità commerciale e la presenza di numerosi esuli fuggiti dalle taife conquistate dai cristiani, che lì erano accorsi con le loro attività e beni. Al Ahmar incluse soldati stranieri nel suo esercito, costituito da due corpi, uno permanente e professionale, l’altro, temporale e di mercenari. Gli emigrati del Maghreb diedero luogo a un terzo esercito regolare. Anche per la flotta bellica, che si dedicava alle razzie lungo le coste della corona di Aragona, erano soliti impiegare Almogavari, professionisti della pirateria terrestre e marittima. I Nasridi, così come gli Omayyadi di Cordova, avevano una guardia personale formata esclusivamente da cristiani profughi e prigionieri convertiti all’Islam. A destra, i primi dieci re nasridi nella volta centrale della sala dei Re dell’Alhambra, del secolo xv.

“canale”). Tra il X e l’XI secolo visse e lavorò a Cordova il medico agronomo e botanico Ibn Yulyul, che utilizzò le informazioni contenute nel trattato di botanica di Dioscoride, che era stato tradotto dal greco all’arabo a Baghdad. In questo modo si rinnovò la botanica medica e si crearono autentici “orti botanici” a Toledo, Almería e Siviglia. All’epoca degli Almoravidi, tra i secoli XI e XII, si idearono a Siviglia i giardini dell’Alcazar. Disgraziatamente si sa poco di Ibn al-Awwam, nativo di Siviglia, che scrisse un voluminoso trattato, il Kitab al Filaha (Libro dell’agricoltura), nel quale si parlava, tra le altre cose, dell’utilizzo dell’astrolabio per gestire i terreni e tracciare i canali di irrigazione. Nel corso del secolo XIII, gli emiri nasridi costruirono, per governare la capitale Granada, la al Qalat al Hamra (“la fortezza rossa”) che divenne famosa con il nome ispanizzato di “Alhambra”. Si innalzava intorno a un nucleo primitivo, il palazzo, nel patio del quale si trovava la fontana dei Leoni – che rappresentavano le dodici tribù di Israele e celebrava il re e profeta Salomone – e il patio de los Arrayanes (cortile dei


Mirti) o dell’Alberca (dall’arabo albirkah, “bacino d’acqua”), luoghi che erano già stati oggetto di elogi, nella prima metà del secolo XI, da parte del poeta ebreo Ibn Gabirol. Sembra che la costruzione del primo nucleo dell’Alhambra si debba a un visir ebreo dell’emiro arabo Badis. In un secondo tempo si sarebbe aggiunto a esso il “giardino dell’Architetto”, el yanat al arif, piccolo palazzo che fu ispanizzato con il nome Generalife.

La crociata aragonese Nella Penisola Iberica la Reconquista avanzava, non solo all’interno, ma anche sulla costa mediterranea, dove il protagonista era il regno di Aragona, unito dal 1137 alla contea di Catalogna, le cui origini risalgono alle campagne militari di Carlo Magno nella Penisola Iberica e che coincideva con lo storico territorio della Catalogna, confinante con l’estremo orientale dei Pirenei e con il mare. La Catalogna aveva portato in dono alla rigida unione aragonese, vicina in molti sensi a quella castigliana, rinforzi freschi e rinnovati dalle città costiere.

La cultura e la lingua catalana erano molto vicine a quelle occitane, corrispondenti all’area francese del sud della Loira. La Catalogna costituiva quindi un’entità differente, sia con riferimento al mondo ispano-cristiano, dominato dalla lingua castigliana, sia con riferimento al mondo francese, sull’altro versante dei Pirenei. D’altro canto, Barcellona, città abitata da commercianti e mercanti, era uno dei porti più attivi di tutto il bacino del Mediterraneo. L’economia catalana poggiava le sue basi nel mare e nel traffico commerciale, e fu questo orientamento che prevalse per tutto il secolo XIII, mentre il regno di Aragona si espandeva lungo la costa orientale della Penisola Iberica, occupando, a discapito dei musulmani, le belle e ricche città di Valencia e Murcia. Tra gli anni 1229 e 1235 furono conquistate anche le Baleari, il primo elemento del futuro “impero mediterraneo” aragonese, che a partire dal 1302 avrebbe incluso anche la Sicilia e, dal 1328, la Sardegna.

ARTE NASRIDE. Il “vaso

delle gazzelle” è un capolavoro dell’arte nasride (Museo dell’Alhambra, Granada).


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LA CONQUISTA DI MAIORCA. Il regno delle

Baleari, sorto per mano di Jaime II di Maiorca, secondo figlio di re Jaime I il Conquistatore, fu il primo passo verso la formazione del futuro “impero mediterraneo” aragonese. In alto, particolare dell’affresco proveniente dal palazzo Aguilar di Barcellona che mostra l’accampamento di Jaime prima di attaccare Palma di Maiorca, nel 1229 (Museo dell’Arte della Catalogna, Barcellona).

Dopo tali imprese espansionistiche non risulta difficile indovinare una certa tensione sociale e politica. Aragona, terra di feudatari guerrieri e di pastori, si trovava coinvolta nella guerra contro i musulmani e di conseguenza, nella sua affermazione all’interno della Penisola Iberica, in rapporto ma anche in competizione con la strategia politica del vicino regno di Castiglia. Al contrario, la classe mercantile armatoriale catalana era chiaramente interessata alle politiche marittime e, pertanto, vedeva nella conquista delle isole del Mediterraneo occidentale e nelle relazioni con le altre potenze marittime della sua stessa area (tra cui Genova, Pisa e i musulmani del Maghreb) la linea che doveva seguire nei confronti della futura presenza aragonese nello scenario dell’Europa mediterranea.

I Merinidi in Marocco In Marocco si stava imponendo una nuova dinastia che trovava le sue origini in un gruppo di tribù zenata, i Banus Marin, popolo berbero originario dell’Algeria che nel secolo XI era emi110

grato verso ovest, per poi stabilirsi a sud, vicino all’area sahariana, dove l’autorità almohade giungeva in modo alterno. Questo gruppo, con la partecipazione alla battaglia e alla vittoria di Alarcos, aveva iniziato a introdursi nella vita politica. Il suo capo, Marin, morì in quei luoghi e più tardi suo figlio Abdalhaq, a capo dei Merinidi, tra il 1195 e il 1217, seppe presentarsi, a se stesso e al suo popolo, come combattente per la fede. A differenza di tante altre tribù però, i Merinidi, dopo la sconfitta nei Bassopiani di Tolosa, non approfittarono della situazione per impadronirsi degli stessi territori. Ciò nonostante, continuarono a sottomettere i beduini arabi della regione, preparando in questo modo la futura egemonia. L’inizio della conquista del potere politico ebbe luogo nel 1248, con la conquista di Fez, e dieci anni più tardi, il quarto figlio di Abdalhaq, Abu Yusuf Yaqub, creò un emirato e allo stesso tempo si occupò di respingere le incursioni intraprese dai Castigliani in Marocco. Nel 1269, i Merinidi presero possesso di Marrakesh e si


presentarono come baluardi della fede contro l’avanzata cristiana, realizzando prima nel 1275 e poi più tardi, nel 1277, varie incursioni nel territorio castigliano. Nel 1278 Malaga decise di sottrarsi al potere dei Nasridi e di mettersi a disposizione dei Merinidi. Evidentemente, questo atto provocò la rottura tra entrambe le dinastie islamiche e gli Andalusi cercarono un’alleanza con i Castigliani contro il Marocco. D’altra parte, per una decina d’anni dal 1280, i Merinidi si videro obbligati a soffocare varie rivolte nel sud, fino a quando si arrivò a un periodo di pace con il regno di Castiglia, che permise alla dinastia marocchina di concentrare i suoi sforzi nella stabilizzazione della regione e di arrivare al suo apogeo nella prima metà del secolo successivo.

Zayyanidi e Hafsidi nel Maghreb Dal ramo zenata della città algerina di Tlemecen ebbe origine una delle altre dinastie che si ripartirono il regno degli Almohadi, quella degli Zayyanidi o Banu Abdaluad, chiamati così per il nome del loro fondatore Yaghmurasan Ibn Zayyan, che governò la dinastia dal 1235 al 1238, con una continuità di potere poco abituale in quell’epoca. Tale continuità permise alla dinastia di svilupparsi a est dell’Algeria, in un’area un tempo prospera per le civiltà latina e berbera, ma all’epoca trasformata, per la prevalenza di nomadi, in un’area semidesertica, con un’economia basata più sul saccheggio che sul commercio. Gli Zayyanidi respinsero gli attacchi delle dinastie vicine e delle tribù arabe, sempre pronte ad insorgere e riuscirono a rimanere al potere fino all’arrivo dei Turchi nel secolo XVI. Di maggior interesse fu la dinastia berbera nordafricana degli Hafsidi che, nel secolo XIII, si presentarono come legittimi successori degli Almohadi, data la vicinanza tra il loro fondatore eponimo, Ibn Abu Hafs e Ibn Tumart. Nel 1250, in un momento in cui Baghdad e il califfato ortodosso erano impegnati in battaglia per fronteggiare l’avanzata mongola e anche in Egitto la situazione politica era confusa, gli Hafsidi ottennero che lo sharif o l’illustre signore della Mecca (il guardiano dei luoghi sacri, appartenente a una famiglia discendente dal profeta Maometto), Abu Numai, conferisse loro il titolo di califfato. Le dinastie del mondo islamico che circondavano gli Hafsidi si videro obbligate a prenderne atto e a riconoscere il nuovo califfo. Gli Hafsidi basavano il loro potere soprattutto sulla forte posizione economica, ottenuta grazie al fatto che sulla costa dell’Ifriqiya continuavano ad avere scali mercantili fondamentali per il commercio nel Mediterraneo occidentale.

Per trarre vantaggio dalle loro potenzialità, continuarono con la stessa politica degli Almohadi che avevano stipulato accordi con Genova e Pisa, mentre i porti dell’Ifriqiya firmarono trattati con la Sicilia dell’imperatore Federico II. Gli Hafsidi continuarono con questa tradizione, trasformandosi in una pedina importante nel gioco politico dei traffici commerciali. Per questa ragione, la crociata di san Luigi in Tunisia, che fu un vero fallimento, significò un momento di indebolimento delle relazioni. Tra i secoli XIII e XIV questa tendenza positiva si vide interrotta a causa dell’aumento dei conflitti interni, causati spesso da rivolte arabe, ma anche dall’accentuata pressione militare aragonese nell’ambito del progetto di dominio del Mediterraneo occidentale. Gli Hafsidi riuscirono a riprendersi dalla difficile situazione nel secolo XV, approfittando del declino dei vicini Merinidi.

TLEMECEN. Fu la capitale

degli Zayyanidi, che strinsero numerosi patti e alleanze con i Nasridi di Granada. I Merinidi la misero sotto assedio per otto anni. In alto, vestigia della moschea merinide di Al Mansura, nei pressi di Tlemecen.

La Penisola Iberica, crogiolo di culture Dal punto di vista della “qualità della vita” la Reconquista cristiana non comportò l’inizio di un’epoca positiva per la Spagna. I musulmani, in 111


IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

L’accoglienza del patrimonio culturale dell’Islam in Europa I contributi di scienza, filosofia e letteratura arabe furono fondamentali per il rinascimento culturale dell’Occidente cristiano. Man mano che le condizioni di vita in Europa andavano migliorando, crebbe anche la capacità di accogliere un tale patrimonio culturale, insieme alla curiosità per la religione islamica e il modo di vita dei musulmani.

Nel secolo XII, i tempi erano abbastanza maturi perché una delle personalità con maggiore autorità della Chiesa dell’epoca, Pietro il Venerabile, abate di Cluny, diventasse il protagonista di una straordinaria iniziativa che ebbe come centro Toledo, recuperata circa un mezzo secolo prima alla cristianità e, come garante, lo stesso arcivescovo della città, Raimondo di Toledo. L’“imperatore” Alfonso VII di Castiglia sostenne l’esperimento dell’abate di Cluny che, da un lato, lavorava con zelo per ottenere una maggiore e migliore conoscenza dell’Islam, mentre dall’altro difendeva con forza gli ideali della Reconquista. Dall’iniziativa di Pietro il Venerabile scaturì un lavoro d’équipe che, con la consulenza di musulmani ed ebrei, intraprese una prima traduzione del Corano che porta il nome dell’inglese Robert di Ketton. Tale traduzione, ottenuta, a quanto pare, da un serie di versioni dall’arabo all’ebraico e al castigliano, e in seguito al latino, risultava abbastanza confusa, incompleta e con varie lacune, ma fu comunque un’opera importante e fondamentale per i quattro secoli a venire. Non si deve pensare, naturalmente, a un lavoro di un gruppo omogeneo e strutturato di traduttori: si trattò piuttosto di una costellazione di personaggi che operavano sulla base di una rete di relazioni. Lo sforzo del gruppo, coordinato da Pietro il Venerabile, non si limitò al Corano. In un’attività così proficua, si possono individuare tre nuclei fondamentali: uno spagnolo, uno inglese e un terzo, italo-meridionale, pur mantenendo la Penisola Iberica un ruolo centrale e fondamentale. I testi islamici redatti in latino da traduttori come Giovanni di Siviglia, Domenico Gundisalvo, Ermanno il Dalmata, Platone di Tivoli e Gerardo da Cremona, così come le opere islamologiche riviste sulla base di un interesse rinnovato, furono, per molto tempo, i migliori strumenti che l’Europa medievale ebbe per conoscere l’Islam. Nell’immagine, una miniatura del Libro de los juegos (Libro dei giochi) commissionato da Alfonso X, re di Castiglia, nel 1238 (Biblioteca del Monastero di El Escorial, Madrid).

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quasi cinque secoli di dominio in terra iberica, avevano convertito quelle terre aride in splendidi giardini. Avevano canalizzato le acque mediante innovative opere di irrigazione e fatto prosperare rigogliose coltivazioni di cereali, canna da zucchero e agrumi. Nelle popolose città vivevano in pace e in armonia le comunità cristiane mozarabiche che utilizzavano correttamente l’arabo nelle loro liturgie, così come le comunità ebree, e si sviluppò anche una classe urbana composta da commercianti e artigiani. Durante la progressiva riconquista della Penisola, tra i secoli XI e XV, le fasi di guerra si alternarono con lunghi periodi di pace. Sia nei regni cristiani che negli emirati musulmani si respirava un clima di distensione e di tolleranza tra le comunità cristiane, musulmane ed ebree, che vivevano in pace tra di loro in uno spirito di serena e fattiva collaborazione. D’altro canto le guerre della Reconquista non parlano solo la lingua dello scontro militare. Tra “i combattenti di frontiera”, ovvero i cavalieri cristiani, e i ghazi o “guerrieri della fede” musulmani, c’erano figure di mediazione. Si trattava, forse, di eroi nati dall’unione tra gli esponenti delle due culture “rivali” e legati, quindi, a entrambe, come narra il poema Digenis Acritas, che raccontò proprio di una condizione di questo tipo nell’Anatolia, dove si combattevano tra loro musulmani e Bizantini. Uno di questi eroi mediatori fu Rodrigo Díaz de Vivar, il Cid Campeador. Non era inusuale nella Spagna della Reconquista assistere a scontri tra alleanze miste cristiane e musulmane, che lottavano accanitamente tra di loro. Non c’è errore peggiore che interpretare le crociate e le guerre iberiche medievali come “guerre di religione”. Tuttavia, i sovrani di Castiglia, appoggiati da un’aristocrazia feudale di cavalieri, il cui interesse economico era legato all’economia pastorale, non avevano nessun interesse a migliorare il livello della vita. Non vollero rinnovare l’agricoltura, né l’artigianato e neanche il commercio, attività che, al contrario, addirittura cercarono di ostacolare, perseguitando i musulmani e gli ebrei che si dedicavano ad esse. In questo modo il regno di Castiglia si indirizzò verso un cammino che lo trasformò in una terra desolata, abitata soltanto da pastori e poveri agricoltori, con una classe nobile senza mezzi e caratterizzata da uno stile di vita ispirato solamente ai valori della guerra e a una religiosità sentita soprattutto come lotta agli “infedeli”.

La conquista di Granada La presenza musulmana in Spagna si concluse alla fine del secolo xv. La dinastia nasride conobbe tra il XIV e il XV secolo una lunga serie di insurrezioni,


colpi di Stato e iniziative insidiose. Nel 1481, alla fine di una delle abituali tregue con i CastiglianiAragonesi, l’emiro di Granada, Abul-Hassan Alì o Muley Hacen, aprì una nuova fase di ostilità. I musulmani conquistarono Zahara e i cristiani, Alhama: cominciarono così le campagne militari che diventeranno note più tardi con l’appellativo di “guerra di Granada”. I Nasridi erano però divisi: da una parte, l’emiro Abul-Hassan e suo fratello lo Zagal; dall’altra il ribelle Abu Abd Allah Muhammad Ibn Alì (il Boabdil delle cronache cristiane), figlio maggiore di Abul-Hassan. Sconfitto e catturato dalle truppe del re Ferdinando durante la battaglia di Martín González, a Lucena, Boabdil fu da lui liberato e riprese la guerra dinastica tra suo zio, lo Zagal, che nel frattempo aveva sostituito AbulHassan. Iniziò quindi una fase di conflitto sia feroce che complessa: i musulmani combattevano tra di loro, disputandosi la splendida capitale, mentre lo Zagal, nel frattempo, controllava i cristiani. A quel tempo, però, la situazione della Spagna cristiana era profondamente cambiata grazie al matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella

la Cattolica, che aveva unito le due corone e privato i musulmani della possibilità di allearsi con gli uni o con gli altri. Dopo la caduta dell’ultima roccaforte, lo Zagal depose le armi. Boabdil, invece, non volle arrendersi. Sotto Granada, Catalani e Aragonesi riunirono un enorme esercito che qualcuno affermò essere stato composto da 80.000 uomini. Isabella, Federico e Gonzalo Fernandez di Cordova, il Gran Capitano, dirigevano le operazioni d’assedio dalla città. Eppure, più che con la forza delle armi, i musulmani furono sconfitti a causa della carenza di cibo e per via dei numerosi intrighi. La resa di Granada, che fu negoziata nel novembre dell’anno precedente da Gonzalo Fernandez di Cordova, direttamente in arabo – poiché era una lingua che egli conosceva – ebbe luogo il giorno 2 gennaio dell’anno 1492, nonostante i regnanti, Ferdinando e Isabella, decisero di aspettare fino all’Epifania per attraversare le mura della città. In tutta Europa si celebrarono festeggiamenti, cerimonie di giubilo, spettacoli e processioni per festeggiare l’evento.

L’ULTIMO RE NASRIDE.

Il retablo maggiore della cappella reale della cattedrale di Granada (secolo XVI) ricrea il momento in cui Boabdil abbandona l’Alhambra; in basso, impugnatura della spada di Boabdil (Museo dell’Esercito, Madrid).


LO SPLENDORE NASRIDE DELL’ALHAMBRA

Lo splendore nasride dell’Alhambra In piena retrocessione dell’Islam, il regno nasride, impegnato a conservare intatti i suoi possedimenti territoriali, eresse con l’Alhambra di Granada una splendente opera d’arte.

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ell’anno 1232, quando i Castigliani avanzavano senza tregua in tutta l’Andalusia e gli Almohadi, ormai in declino, si stavano ritirando, un fedele dalla barba folta, simile a quasi tutti gli altri, si presentò alla moschea della cittadella di Granada per la preghiera di mezzogiorno. Era un venerdì, la aljama (“comunità dei fedeli”) riunita in quel luogo riconobbe subito il 114

nuovo arrivato dalla barba fulva. Era Muhammad Ibn Nasr, meglio conosciuto come al-Ahmar, “il Rosso”. E lo invitarono a guidare la preghiera vespertina: lo avevano appena nominato imam, predicatore della fede, guida della preghiera collettiva, incaricato della jutba (“sermone”). Questo titolo presupponeva, di fatto, che venisse riconosciuto come sovrano del regno. Al-Ahmar salì

Dimora dei re I Nasridi fecero dell’Alhambra, ubicata in un luogo privilegiato, un grandioso gioiello che comprende palazzi, giardini, torri e giochi d’acqua. In alto, un sovrano nasride in un particolare dei dipinti della volta della Sala dei Re, del secolo xv.


al minbar, guardò l’assemblea e intonò la formula di saluto, la Fatiha. L’Alhambra (al Qalat al Hamra, “la fortezza rossa”), complesso palaziale andaluso, costruito sotto i regni del primo sovrano di Granada e dei suoi successori, prende il nome dalla versione femminile del nome del suo costruttore. E anche la collina su cui sorge ha la stessa denominazione: la Asabica o la Sabika (da as Sabika, “collina rossa”). Il suo splendore fu opera della dinastia nasride, tra i secoli XIII e XV. Il complesso architettonico prevede tre gruppi o classi funzionali di edifici: militari, palatini e civili; in altre parole, una fortezza, un insieme di palazzi destinati al governo del regno, la residenza del sultano e della corte, e infine una città dotata di mura, con i suoi tre elementi fondamentali: la moschea, il suk e l’agglomerato di case. I Nasridi cominciarono a costruire la cittadella sul colle dove pare fosse sorta la romana Iliberis, scomparsa prima dell’ègira.

Gli scavi archeologici hanno messo in evidenza che fin dall’antichità la posizione è sempre stata sfruttata per costruirvi cinta murarie e altri edifici difensivi. Sulla Sabika non c’è alcun tratto di terreno libero da vestigia di muraglie, castelli o abitazioni. Inoltre, nella costruzione dei primi edifici – la cittadella, le mura e le torri difensive – furono utilizzati materiali di antichi edifici romani, come si può vedere in un’epigrafe incisa su di una pietra squadrata, che risale ai tempi dell’imperatore romano Marco Aurelio. La cittadella, la zona militare o di difesa, è precedente all’ascesa nasride, dato che le prime opere furono edificate con l’avvento del califfato (Abd al-Rahman III e al-Hakam II) nel X secolo, ma vennero ampliate nell’epoca della taifas di Granada o regno degli Ziridi (1019-1090). A quel tempo si costruirono la Grande Torre della Vela (cioè, della Veglia), la prima

CITTÀ PALATINA. Quella che fu una fortezza

nasride fu convertita in corte cristiana nel 1492, quando i re cattolici conquistarono Granada. della fortezza, e la cosiddetta Porta del Vino, chiamata così in seguito, che collegava la fortezza con il resto della cittadella. Il rivellino per l’artiglieria fu invece costruito all’epoca del fondatore dinastico, al-Ahmar Muhammad II, che terminò l’opera e fece aprire una porta con una via d’accesso alle mura per la cavalleria, a destra della Porta delle Armi.

Palazzi perduti Il complesso palaziale dell’Alhambra si erge al centro del colle, a est della fortezza dalla quale è separato da quella che oggi viene chiamata Plaza de los Aljibes (Piazza delle Cisterne). Esistono ancora due palazzi, che appaiono così come sono stati costruiti: il Palazzo dei Leoni e la Torre di Comares. 115


LO SPLENDORE NASRIDE DELL’ALHAMBRA

Un paesaggio urbano perfettamente inserito nella natura Il giardino di Daraxa o degli aranci è un hortus conclusus, un giardino recintato, simbolo e rappresentazione dell’Eden. È un trapezoide con due lati appoggiati al palazzo di Carlo V e altri due, chiusi da una galleria di archi, da una fontana al centro, siepi, cipressi e aranci. Il laghetto del Palazzo del Partal riflette nelle sue acque il padiglione omonimo e una coppia di leoni in marmo. Il Patio de Comares, quello dei Mirti o della Vasca erano il centro delle attività amministrative del regno, circondati da innumerevoli aiuole, siepi, alberi e specchi d’acqua. Il primo giardino racchiude una vasca rettangolare al centro, con l’acqua che scorre su di una superficie in marmo, circondata da aranci e mirti. Quello dei Leoni, invece, nonostante sia delimitato da un cortile attorniato da portici che conducono a grandi sale, non ha più il giardino. E la sua fontana è una metafora dell’Albero della Vita. Ha anche archi, capitelli, volte, fregi e decori mozarabici. La luce si riflette nell’acqua per evidenziare i particolari degli arabeschi del portico. Quasi ovunque, l’acqua amplifica l’armonia dei colori e delle forme.

SALA DELLE STANZE DEL BAGNO REALE.

Appartiene alla torre di Comares ed è l’accesso al Bagno Reale, che ha altre tre sale.

!

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4 6 3

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PATIO DE LOS ARRAYANES (Cortile dei Mirti).

Situato nella Torre di Comares, è circondato dagli uffici del sultano, la sala del trono e da quella delle udienze.

MIRADOR DE LINDARAJA (Belvedere di Lindaraja).

È l’altro nome del balcone di Daraxa, con finestre basse, per osservare il giardino sedendosi a terra.

GENERALIFE. Il Patio de la Acequia è il più importante del Generalife. La piscina che lo attraversa irrigava i giardini e forniva l’acqua all’Alhambra.

1 PUERTA DE LAS

2 ALCAZABA (Cittadella).

3 TORRE DI COMARES

4 PATIO DE LOS

5 PALAZZO DI

GRANADAS (Porta delle Melagrane). Il bosco che

Era la fortezza che difendeva la città, la cui torre de la Vela, la torre di controllo più alta di tutta la regione, aveva una campana capace di allertare tutto il regno. È l’edificio più antico di tutto il complesso architettonico dell’Alhambra.

(Torre delle vetrate colorate).

ARRAYANES (Cortile dei Mirti). Gli furono dati vari

CARLO V. Quando Carlo V

circonda l'Alhambra permette di accedere alla Puerta de las Granadas alla fine di un percorso tra alberi, fontane, laghetti e cascate. Dietro alla porta iniziano tre strade.

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Il torrione, alto 45 m., situato alla fine del Patio de los Arrayanes, ha la sala più ampia e più alta di tutto il complesso. La sua costruzione risale al regno di Yusuf I. La sala era usata per le udienze private.

nomi e l’attuale deriva dai mirti presenti sui lati, che si riflettono nello specchio d’acqua della vasca assiale. I lati minori sono incorniciati da portici con capitelli.

visitò l’Alhambra nel 1526 incaricò l’architetto Pedro Machuca di costruire un palazzo rinascimentale. Il palazzo, tuttavia, fu terminato solo nel XX secolo.

6 PATIO DE LA LINDARAJA (Cortile di Lindaraja). Prende

7 PATIO DE LOS LEONES

il nome dal balcone aperto sulla facciata del palazzo dei Leoni. Si tratta di un hortus conclusus, un chiostro con gallerie di portici di colonne, siepi, aiuole e la fontana della vita al centro.

Costruito alla fine del secolo XIV, affascina per il contrasto tra gli incroci di acque del cortile e le arcate che lo circondano. È un capolavoro di armonia visiva e di proporzioni.

8 TORRE DE LAS DAMAS

9 PALACIO DEL PARTAL

(Torre delle Dame). È il

ALTO NELLA MEDINA (Partal Alto). Fu il primo

(Cortile dei Leoni).

più lussuoso tra gli edifici sorti intorno al palazzo reale nasride. È composto da un portico, una sala a pianta quadrata e una scalinata d’accesso a un balcone aperto sulla valle del Darro.

palazzo costruito da Muhammad I, fondatore della dinastia nasride. Il palazzo grande, detto di Ismail, con i suoi giardini, fu opera di Muhammad II e Muhammad III.

! PALACIO DE LOS

# GENERALIFE.

ABENCERRAJES (Palazzo degli Abenserragi). Oggi in

Residenza estiva del sultano, è contornata dal Patio de la Acequia real, dal giardino e dall’orto. Grandi alberi le fanno ombra e la proteggono dalla calura estiva. La fece costruire Muhammad II sul colle del Sole.

rovina, fa parte del Secano o Alhambra Alta, che era uno dei quartieri aristocratici. Oggi è oggetto di studio degli archeologi, poiché di integro è rimasta soltanto la torre.

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LO SPLENDORE NASRIDE DELL’ALHAMBRA

PATIO DEL LOS LEONES (Cortile dei leoni).

Uno degli spazi più famosi dell’Alhambra, per la sua simmetria perfetta e i dodici leoni della fontana. Esistevano altri palazzi, oggi scomparsi, come quello degli Abencerrajes, o che sono parzialmente in rovina, come quello “de los Infantes” (dei Principi, oggi Parador Nazionale di Granada), o quello di Ismail I, detto del Partal. Comares era la sede del potere esecutivo. Vi erano la sala del trono, la residenza del sultano, i bagni e il “patio de los Arrayanes”, nel cui complesso risiedevano gli uffici amministrativi. Vi si accedeva per due strade che cominciavano dalla “Puerta de las Armas” (Porta delle Armi) e da quella de la Justicia (della Giustizia). Il palazzo del governo fu costruito secondo una concezione architettonica romana: gli spazi amministrativi suddivisi intorno ad un grande cortile con laghetti e depositi d’acqua che ricordano la implu118

via delle case avìte di Roma. Altrettanto si può dire dei bagni, simili alle terme romane, che furono costruiti durante il regno di Ismail I e poi rinnovati con Yusuf I perché assomigliassero completamente a quelli romani. Più austeri delle terme di Caracalla, i bagni dell’Alhambra erano distribuiti su tre sale o ambienti: spogliatoio e rilassamento, massaggio e bagno con acqua fredda, tiepida e calda, e hammam, o bagno di vapore. Il palazzo dei Leoni, a differenza di quello classico di Comares, è un’opera dell’architettura barocca nasride. La pianta rettangolare è distribuita intorno a un cortile con portico di oltre un centinaio di colonne in marmo, e la famosa fontana sostenuta nel centro da dodici leoni. Nel terzo blocco, quello della medina, detta anche Secano, il gioiello principale era il Palazzo del Partal, opera di Muhammad II e del suo successore, Muhammad III. Fu edificato secondo il modello della resi-

denza palatina di Abd–al-Rahman III, Medina Azahara, con aiuole a terrazze e un grande giardino incastonato con specchi d’acqua. L’opera subì numerose distruzioni parziali durante il secolo XVI, quando fu decisa la costruzione del palazzo di Carlo V, edificio rinascimentale destinato a essere sede imperiale, che a causa di problemi finanziari non fu possibile terminare prima del secolo XX. La medina aveva altri palazzi favolosi, come quello degli Abencerrajes, che le truppe napoleoniche fecero saltare prima di cominciare la ritirata dalla Spagna, nell’anno 1812. Hanno resistito invece all’usura del tempo e alle distruzioni delle guerre – almeno in parte – alcuni eleganti gioielli palatini di questo complesso, come la “Torre de los Picos” (Torre delle Punte), la Torre del Cadì e quella de “las Infantes” (delle Principesse), che fece costruire il sultano nasride Muhammad VII alla fine del secolo XIV.


Un obiettivo artistico e decorativo comune: la lode ad Allah e al sultano, guida per i fedeli I poeti della corte nasride furono segretari di Stato e visir. I testi prodotti dalle loro penne, la cui grafia decora pareti e oggetti dell’Alhambra, includono lodi a Dio e alla magnificenza e grandezza del sultano di Granada.

PATIO DE LOS ARRAYANES (Cortile dei Mirti). Le lastre di gesso sul piedistallo, con epigrafi poetiche di lode a Dio e al sultano, contrastano con i colori metallici degli azulejo riccamente decorati. La calligrafia come arte decorativa nel suo splendore: versetti del Corano, poemi e il motto «Solo Dio è vincitore».

L’ARCO ANDALUSÌ. Uno degli elementi tipici dell’architettura di al-Andalus è l’arco a ferro di cavallo polilobato. Si tratta di una creazione locale che si originò da due modelli ispanici: l’arco romano a tutto sesto, il cui spazio interno è una semicirconferenza, e l’arco visigoto rialzato e a sesto acuto.

LA STELLA A DODICI PUNTE. Mosaico di arabeschi del Palazzo del Partal. La stella a dodici punte, che si ottiene intrecciando due stelle di David a sei punte, simboleggia, così come i dodici leoni della fontana del cortile omonimo, i dodici principi figli di Ismail, da cui discendono gli Arabi.

MUQARNA DI ARABESCHI. L’autarique o arabesco è un ornamento d’origine egizia e greco-romana che riproduce forme di frutti, foglie, fiori o animali, sempre con disegno complesso e curvilineo. La sala dei Mozarabi dell’Alhambra presenta la collezione più ricca e spettacolare mai conosciuta.

CAPITELLO MOZARABO. Il mozarabo è un elemento decorativo di origine maghrebina che assomiglia alla celletta di un favo di api. Quando la superficie decorata è una volta, pende come stalattiti (convesse). Quelli del capitello nella foto, invece, sono buchi simili a cellette di vespe (concavi).

LA PORTA DELLA SALA DEL TRONO. La Torre di Comares comprende la sala del trono, l’abitazione del sultano, i bagni e il cortile dei Mirti. Vi si accedeva per due percorsi. La porta della Sala Reale o degli Ambasciatori è sostenuta da cardini di metallo smaltato e decorato con stelle arabescate a otto punte.

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SAMARCANDA. Nella

sfarzosa capitale asiatica di Tamerlano si trova la necropoli di Shah-i-Zinda, (“il re vivente”) che ospita i mausolei dei Timuridi. Nella pagina accanto, una scena di caccia in un particolare di un candeliere d’argento del secolo XIII (Museo dell’Arte Islamica, Il Cairo).

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DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE A partire dall’XI secolo l’Islam si rinnovava man mano che l’Anatolia e il Vicino Oriente ricevevano nuove ondate di migrazioni e conquiste dall’Asia centrale: Turchi, Mongoli e Turanico-Turkmeni. Questi flussi furono accompagnati da un movimento inverso di conversione da parte di coloro che erano appena arrivati e che, dalla Persia, si propagò verso l’Asia Centrale, il subcontinente indiano e perfino verso il sud-est Asiatico.

N

el corso del secolo XI, la dar al islam si arricchì di un nuovo grande popolo proveniente dall’Asia Centrale, man mano che alcune tribù turche accettavano il Corano. Di origine etnica e linguistica molto distinta sia dai semiti arabi, sia dagli indoeuropei persiani, i Turchi, appartenenti a un ramo dei popoli uralo-altaici affini ai Mongoli, parlavano una lingua della grande famiglia ugro-finnica. Originari dell’Asia nord orientale, dopo una lunga serie di migrazioni, nel X secolo occuparono un’estesa regione asiatica che, dalle frontiere dell’India e della Persia, arrivava fino ai confini della Cina. La loro struttura politica e sociale si

configurava come una grande confederazione di tribù, comandate dai khagan (letteralmente “signori dei popoli”), nome che è rimasto oggi nella forma contratta di khan. Durante il secolo XI, una tribù di origine turcomanna o turkmena – appartenente quindi a un ramo specifico dell’etnia turca – che noi conosciamo come selgiuchide per il nome di uno dei suoi khan, chiamato Salgiuq, giunse nella steppa dell’Asia centrale dopo essersi convertita alcuni decenni prima all’Islam, venendo così a rinforzare, con la sua giovane fede e il suo potere militare (i Turchi erano eccellenti cavallerizzi e arcieri) l’instabile potere del califfo abbaside di Baghdad. 121


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

SULTANI DELL’IMPERO SELGIUCHIDE 1037-1063

Toghril 1063-1072

Alp Arslan 1072-1092

Malik Shah I 1092-1094

Mahmud I 1094-1105

Barkiaruq 1105

Malik Shah II 1105-1118

Mohamed I 1118-1153

Mahmud II

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In quanto uralo-altaici i Turchi appartenevano a una stessa famiglia etnolinguistica, origine di una serie di popoli che, dal IV secolo, si erano diffusi dall’Occidente all’Oriente: Unni, Avari, Bulgari e Magiari (o Ungheresi). Le successive ondate di migrazioni-invasioni, iniziate fin dall’antichità, si prolungarono fino ai secoli XIV e XV, con la progressiva ascesa dei Mongoli o Tartari di Gengis Khan e dei Turkmeni di Tamerlano. Attualmente si tende ad associare queste successive ondate migratorie di popoli, che si trasferirono da Oriente a Occidente, con alcuni fenomeni climatici e socio-demografici, che si svilupparono nell’arco di un lungo periodo che sarebbe durato per circa un millennio.

La fondazione dell’impero selgiuchide I Turchi Selgiuchidi si convertirono all’Islam velocemente, così come velocemente assimilarono anche la cultura, le abitudini e la lingua iraniana, poiché di fatto la lingua persiana fu per loro sempre più familiare di quanto potesse essere l’arabo. L’impero politico-militare da essi fondato si estendeva dall’Anatolia fino alla Persia centrale. Al comando dello stesso c’era il khan, che già all’epoca aveva assunto il titolo di “sultano” (termine derivato da una parola araba che indicava l’esercizio del potere) e che risiedeva a Baghdad e affiancava il califfo, in una specie di diarchia. Ai suoi ordini c’era una folta rete di capi militari (agha) e di governatori (beg e atabeg) che si presentavano come custodi dell’Islam sunnita, soprattutto in opposizione al califfato sciita rivale de Il Cairo, ma che in molti altri luoghi sfidavano, di nascosto oppure apertamente, gli emiri (principi), i wali (funzionari giuridico-amministrativi del califfo) e gli sceicchi (anziani e capi di tribù) arabi e arabo-persiani, che a malapena potevano sopportare i nuovi arrivati. I Turchi acquisirono un’improvvisa notorietà anche in Europa dopo che, nel 1071, sconfissero clamorosamente l’esercito bizantino nella battaglia di Manzicerta; successivamente fondarono in Anatolia il sultanato chiamato “di Rum” (dal nome arabo con il quale si designava la “Nuova Roma”, Costantinopoli) che aveva come capitale la città di Konya o Iconio. I Selgiuchidi si insediarono nel centro e nel sud della penisola anatolica, mentre più a nord, verso la costa meridionale del Mar Nero, si stabilì una federazione tribale simile a quelle che, per il nome del capo che le guidava (Danishmend, “il Saggio”) prese il nome di danishmendida. La penisola dell’Anatolia fu quasi completamente islamizzata, a causa dell’invasione turca, che proseguì per tutto il secolo XI. I nuovi arrivati, musulmani che si erano appena convertiti all’Islam, tende-

L’espansione della dinastia selgiuchide Antenati diretti degli attuali abitanti della Turchia, Azerbaigian e Turkmenistan, i Selgiuchidi arrivarono in Anatolia dall’Asia centrale alla fine del secolo X, devastando al loro passaggio l’impero bizantino e il califfato abbaside. Salgiuq, esiliato dal Turkestan, dopo aver attraversato il fiume Iaxartes a capo di una numerosa tribù, si accampò nei pressi di Samarcanda, dove si convertì all’Islam. Il nipote Toghrul Beg aveva quarantacinque anni quando fu proclamato sultano a Nishapur. Mahmud, il sultano di Ghazna, conquistatore dell’Indostan, guardiano della fede islamica in Oriente e grande protettore degli Abbasidi, nel giro di trent’anni di guerra era riuscito a ottenere un vasto impero, che si estendeva dal delta dell’Indo fino alle rive del Mar Caspio e dalla Transoxiana fino a Ishfahan. I Selgiuchidi, sotto il controllo di Mahmud, si trasformarono in un esercito conquistatore quando egli morì e il figlio Masud gli succedette al trono. Dopo alcune liti, il sultano abbaside organizzò la battaglia nel 1037, ma perse davanti a quell’esercito di cavalieri-pastori al comando di Toghril, che poteva così unire sotto il suo scettro i regni d’Oriente e d’Occidente.

vano, a differenza degli Arabi, a diffondere la dottrina dell’Islam anche utilizzando mezzi violenti, ricorrendo frequentemente alla conversione forzata e alle campagne di terrore.

Il “movimento crociato” Nel frattempo, già verso la fine del X secolo, il miglioramento delle condizioni climatiche e un rinnovato impulso demografico determinarono lo sviluppo, tra l’Europa e il Mediterraneo settentrionale, di una serie di reazioni socio-economiche a catena che, a loro volta, furono accompagnate da un vertiginoso movimento di ripresa ed espansione politica. Tra le principali conseguenze di questa rete di cause concomitanti, occorre menzionare la rottura dei vecchi equilibri nella gestione dei possedimenti di terre, le ampie campagne di risanamento e di deforestazione dei territori, la creazione di un’economia monetaria che implicò la nascita di nuovi mercati e la crescita di centri urbani, in modo particolare delle città marittime come Venezia, Genova e Pisa e, più tardi, Marsiglia e Barcellona. Questi fenomeni furono


Costantinopoli

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La Mecca

accompagnati da una rinnovata mobilità di genti, che determinò lo sviluppo di viaggi di natura religiosa (pellegrinaggi), nonché l’apertura di nuovi orizzonti commerciali. Allo stesso tempo, si manifestò una certa inquietudine tra i ceti militari, che sentivano la minaccia dell’impoverimento causato dalla nuova economia monetaria e il desiderio di arruolarsi in eserciti mercenari o di scoprire nuove terre da conquistare. Questo portò all’organizzazione di imprese militari per le quali la Chiesa latina, separata da quella greca a causa di uno scisma che ebbe luogo nel 1054, trovò subito una giustificazione religiosa per poterle indirizzare verso i territori dell’impero bizantino o verso territori europei nei quali, tra l’VIII e il X secolo, si era stabilita la civiltà musulmana. Ciò avvenne nella Penisola Iberica e nelle isole del Mediterraneo, e in modo particolare in Sicilia. Una tale situazione complessa portò alla nascita di spedizioni che la storiografia occidentale chiamò col nome di “crociate”. Il termine “crociata”, pur divenendo parte del lessico della lin-

OMAN

Sultanato di Rum (1018-1302) Impero selgiuchide (1037-1157) Khanato di Kara-Khythai (1124-1218) Sultanato ghaznavide (980-1030) ARABI Popoli nomadi

gua occidentale piuttosto tardi, vi è rimasta per lungo tempo, così come è rimasta nei testi scolastici l’abitudine di contare fino a sei, sette, otto o nove il numero delle crociate. Occorre tuttavia convenire che le spedizioni belliche fomentate e legittimate dalla Chiesa, che ebbero come obiettivo iniziale la conquista – e più tardi il mantenimento dei territori o la loro riconquista – di Gerusalemme e dei luoghi santi cristiani e successivamente, in generale, mirarono a opporsi all’espansione dell’Islam, si prolungarono nel tempo, arrivando fino al secolo XVIII. Di fatto, tali spedizioni non si concentrarono solo nell’area siriano-palestinese, ma si estesero anche verso altre regioni, come per esempio verso la Penisola Iberica e con nuovi scopi, non necessariamente dirigendosi contro i musulmani. Non è quindi corretto parlare delle “crociate” come un concetto isolato, ma è più adeguato considerarle all’interno di un complesso e articolato “movimento crociato”, che determinò la

ARTE SELGIUCHIDE.

Urna selgiuchide in ottone sbalzato, risalente ai secoli XII-XIII (Museo d’Arte Turca e Islamica, Istanbul).

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DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

Fortezze arabe e combattenti islamici La conquista di Gerusalemme da parte dei cristiani e la fondazione degli Stati latini d’Oriente sulla costa mediterranea aggravò la frammentazione del mondo islamico, poiché alla polarizzazione dei califfati sunnita e sciita si aggiunse anche la gestione conflittuale dei governatori militari selgiuchidi. Naym al-Din Ayyub, padre di Saladino, e suo fratello Shirkuh appartenevano a una famiglia di guerrieri curdi al servizio dei Turchi ed entrambi fecero carriera militare con i Selgiuchidi. Saladino nacque tra le alte mura dell’alcazar di Tikrit lo stesso giorno del 1138 in cui il visir di Baghdad cacciò in esilio i figli di Ayyub, perché Shirkuh, irato, aveva ucciso un cadì. Entrambi i fratelli aiutarono l’atabeg Imad ad-din Zenghi a eliminare i suoi rivali e a creare un ampio principato che abbracciava l’intera Mesopotamia e la Siria settentrionale. La città di Aleppo, suo punto-chiave militare, era governata da Shirkuh nel 1152, anno in cui accolse nella fortezza il cugino adolescente, Saladino, che completò la sua formazione militare e religiosa alla corte del principe Nur al-Din. Trent’anni dopo, Saladino, l’“unificatore della fede”, mise sotto assedio, e poi conquistò, quella stessa fortezza in nome dell’unità dell’Islam. A destra, scarpata e mura della città di Aleppo.

creazione di nuove formazioni politico-istituzionali e che generò allo stesso tempo una cultura giuridica e letteraria specifica.

Il problema dei “Franchi” L’Islam del secolo XI non aveva familiarizzato con il mondo latino ed euro-occidentale. I musulmani, pertanto, presero in prestito la parola greca con la quale la cultura bizantina si riferiva agli europei d’Occidente (frankos, dal latino franci) e che si trasformò nell’arabo ifranj. Tra il 1097 e il 1098 un numeroso ed eterogeneo esercito di ifranj, il cui nucleo era formato da temibili cavalieri con pesanti armature, che viaggiavano accompagnati da una moltitudine di pellegrini, fece la sua apparizione nella penisola dell’Anatolia, l’attraversò e successivamente, seguendo la costa siriana, il 15 luglio 1099 arrivò a Gerusalemme e la occupò dopo un sanguinoso assalto. Laggiù, con l’appoggio dei marinai delle città costiere italiane (genovesi, pisani e veneziani), quei cavalieri, tra i quali si annoveravano alcuni nobili signori che avevano già partecipato 124

a spedizioni intraprese contro i musulmani nella Penisola Iberica e in Sicilia, si avventurarono in una serie di campagne militari con le quali, in pochi decenni, riuscirono a conquistare un’ampia zona che corrisponde, a grandi linee, agli attuali Stati di Israele e del Libano e a parte della Siria e della Giordania. Si trattava delle conseguenze di quanto in Occidente venne definito come la prima crociata. Per governare questa regione da loro sottomessa, che presto fu popolata da coloni provenienti dall’Europa e inserita nell’ambito delle istituzioni della Chiesa di Roma, si diede vita al regno franco di Gerusalemme, organizzato come una monarchia feudale, con alcuni principati vassalli, come la contea di Edessa, il principato di Antiochia, il principato di Tripoli e le contee di Jaffa e Ascalona di Transgiordania. Il regno durò per un paio secoli, in parte grazie al singolare contributo di un gruppo di guerrieri che accettarono di rimanere in quelle regioni che, per i cristiani, costituivano la Terra Santa, impegnandosi a difenderla e costituendo veri e propri ordini re-


GUERRIERI ISLAMICI. Esercizio militare nella miniatura di un

manoscritto illuminato mamelucco del 1371 (British Library, Londra).

ligiosi cavallereschi (cavalieri di San Giovanni, templari, cavalieri di San Lazzaro e, in seguito, cavalieri teutonici dell’ordine di Santa Maria di Gerusalemme). Ancora oggi si continua a discutere se questi ordini, che più tardi furono estesi anche all’Europa, abbiano trovato la loro primitiva ispirazione da una istituzione religiosa-militare di origine musulmana: il ribat.

La dinastia degli Zengidi Gli ifranjstabilitisi nel Vicino Oriente riuscirono a conquistare progressivamente tutta la costa più orientale del Mediterraneo, dal Golfo di Alessandretta fino all’Istmo di Suez, mentre si organizzavano spedizioni dirette verso l’interno, allo scopo di sottomettere i principali centri della Galilea, della Samaria e della Giudea. Verso la fine del primo quarto del secolo XII, rimaneva occupata dai Franchi tutta quell’estesa regione compresa tra la catena del Tauro e il Sinai e tra la costa del Mediterraneo e il Giordano, con un’enclave situata a ovest, nei pressi della fortezza di Krak; tuttavia, le strade continuavano a essere malsi-

cure e le incursioni musulmane di tipo guerrigliero continuavano a essere endemiche. In questo periodo, il vicino mondo musulmano cominciava a riprendersi dalla sorpresa degli attacchi e a riorganizzarsi. Il contrattacco partì dalle città siriano-mesopotamiche del nord, cioè da Aleppo e Mossul, governate da una dinastia di atabeg (in turco, “padre dei capi”, una carica assimilabile a quella di governatore generale), fondata da Imad ad-din Zenghi, in nome del califfo di Baghdad, e dal suo consigliere-protettore turco-selgiuchide, il sultano. La caduta definitiva in mano turca, nel 1146, della città armena di Edessa (oggi Urfa, in Turchia), che dal 1097 era stata la capitale di una contea crociata, rappresentò un primo segnale d’allarme. A quanto sembra Zenghi aveva l’ambizione di unificare sotto il suo potere tutti gli emirati della regione che era compresa tra il Mediterraneo orientale e l’Eufrate, rappresentando quindi in questo modo una reale minaccia per i suoi rivali musulmani anche perché il sunnita, intransigente come tutti i Turchi, guardava con ostilità il califfato sciita de Il Cairo. 125


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

L’Islam e le crociate: la falsa teoria dello scontro di civiltà Nell’Europa cristiana, ormai nelle ultime fasi del Medioevo, cominciarono a prendere piede alcune teorie che tendevano a considerare lo scontro tra crociati e musulmani come un periodo di conflitti lunghi e ininterrotti tra l’Occidente e l’Oriente del mondo.

Al fine di demolire il crescente potere dell’atabeg, si organizzò in Europa una grande spedizione (più tardi divenuta famosa come seconda crociata), che partì nel 1147 sotto il comando di Luigi VII di Francia e di Corrado III di Germania. Tuttavia, la spedizione fallì anche perché i suoi comandanti – che non conoscevano la situazione del Vicino Oriente – si lanciarono sulla città di Damasco, il cui emiro arabo era l’unico avversario reale di Zenghi e avrebbe potuto essere per loro un valido alleato. Il fallimento di quella spedizione provocò in Europa una lunga successione di recriminazioni e rivalità che impedirono, per più di quaranta anni, l’invio di aiuti occidentali ai re crociati di Gerusalemme.

La fine del califfato dei Fatimidi

La tesi sul conflitto tra Oriente e Occidente sarebbe stata ripresa nella seconda metà del XX secolo da sociologi e politologi, in particolare angloamericani, che hanno proposto la teoria geopolitica dello scontro di civiltà. In realtà, prima di tutto, bisogna precisare che né le crociate, né le diverse forme di jihad, incoraggiate e giustificate indubbiamente da un profondo spirito religioso, sono definibili come “guerre sante”, né avevano come scopo la conversione o la distruzione del nemico. In secondo luogo, gli scontri furono episodi più o meno cruenti e prolungati, ma mai si configurarono come guerre continuative, mentre invece furono profonde e continue le relazioni economico-commerciali, quelle diplomatiche e anche culturali tra i due mondi. Infine, non è per niente sicuro che i musulmani giudicassero in modo negativo e tragico il movimento delle crociate, tanto che, in generale, la cultura musulmana non ne era probabilmente neanche consapevole. I Paesi musulmani del Vicino Oriente e dell’area mediterranea interpretarono ogni spedizione come una sorta di “invasione barbarica”, senza mai pensare, però, che dietro ad esse ci fosse l’intenzione di introdurre una nuova “visione del mondo”. In alto, crociato e guerriero musulmano in combattimento, mosaico del XII secolo (Museo Camillo Leone, Vercelli); a sinistra, sigillo del re Riccardo I (British Museum, Londra).

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L’atabeg di Aleppo e Mossul agiva già come un principe in buona misura indipendente sebbene, dal punto di vista strettamente formale, rimanesse agli ordini del sultano selgiuchide che, da Baghdad, governava come capo politico-militare (a sua volta suddito del califfo sunnita della famiglia arabo-persiana degli Abbasidi che però, in pratica, non esercitava alcun controllo). Alla morte dell’atabeg, i suoi domini furono divisi tra i figli e il regno perse parte del suo potere. Tuttavia, Nur al-Din (per gli occidentali Norandino) il figlio di Zenghi che rimase principe di Mossul, era un fermo difensore della jihad che doveva liberare la dar al islam dalla presenza degli ifranj del Regno di Gerusalemme. Il nuovo principe attribuiva la causa della loro mancata espulsione alle divisioni esistenti in seno all’Islam e, in particolar modo, alla permanenza in Egitto di un califfato eretico, quello della dinastia sciita dei Fatimidi, così chiamati perché facevano risalire l’origine della loro nobiltà e del loro stesso nome gentilizio a Fatima, figlia prediletta del Profeta e sposa dell’imam Alì. In quei giorni, l’Egitto era scenario di gravi disordini e stava per cadere in mano ad Amalrico, re crociato di Gerusalemme, che confidava nell’appoggio di Manuele Comneno, imperatore bizantino di Costantinopoli. Per questa ragione, nel 1168 Norandino inviò nel Paese del Nilo un potente esercito comandato dal generale curdo Shirkuh (il Kurdistan era, di fatto, la regione storica dove si trovava Mossul). Shirkuh cedette il comando delle truppe al suo giovane e intraprendente cugino, Yusuf Ibn Ayyub, che nella storia musulmana era conosciuto come Al Malik an Nasir Salah al-Din (“Sovrano vittorioso, integrità della fede”) e nella storia occidentale come Saladino (1138-1193). Il califfo egizio Al Adid nominò Saladino visir, ma nel 1171 fu da lui deposto, e finì così il periodo dei califfi sciiti e l’Egitto


ritornò all’ortodossia sunnita. Il Paese rimase sotto il governo di Saladino, che si liberò di tutti gli obblighi nei confronti degli atabeg turco-siriani, arrivando persino ad assumere il titolo di sultano, e diede inizio ad una dinastia che, dal nome della sua famiglia, fu chiamata Ayyubita.

Il sultanato di Saladino Saladino non tardò a svincolarsi dalla dinastia zengide e a fondare un sultanato che venne diviso in due ampi e differenti territori, Egitto e Siria, con Damasco quale capitale, sottomessa anch’essa al suo volere. In questo modo, poteva fare pressioni sul regno crociato di Gerusalemme, da nord e da sud-ovest. Tuttavia, non attaccò gli ifranj immediatamente, ma al contrario, mantenne con molti di loro relazioni di amicizia per un certo periodo. Dopo la morte del re Baldovino IV (il “re lebbroso”) non ebbe dubbi a iniziare le ostilità, anche perché gli atti di violenza e di saccheggio perpetrati dall’audace ma violento cavaliere di Transgiordania, Rinaldo di Chatillon, richiedevano una risposta

urgente ed esemplare. Di fatto furono le provocazioni di Rinaldo che condussero Saladino alla guerra contro il Regno di Gerusalemme; l’esercito di Rinaldo fu comunque sconfitto da quello di Saladino nel mese di luglio del 1187 nella battaglia di Hattin, in Galilea. Poche settimane più tardi, in ottobre, Saladino entrava pacificamente a Gerusalemme, che era stata abbandonata dai crociati. Così, il Regno di Gerusalemme trasferì la sua capitale ad Acri e, durante tutto il secolo XIII, fino al 1291, Saladino rimase il dominatore della costa. Dopo la conquista musulmana di Gerusalemme si organizzò in Europa una nuova spedizione (che nella tradizione diverrà celebre come terza crociata), capeggiata dai più prestigiosi sovrani dell’epoca: l’imperatore Federico I, il re di Francia Filippo II Augusto e il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Federico I morì mentre si dirigeva verso la Terra Santa, il re di Francia ritornò velocemente in Europa e Saladino firmò con il re d’Inghilterra un accordo di pace nel quale si riconosceva che Gerusalemme sarebbe ritornata ai musulmani e che i “Franchi” sarebbero rimasti sul litorale.

RESTI DELLA FORTEZZA DI AL-GUNDI. Situata nella

penisola del Sinai, fu costruita su ordine di Saladino, per proteggere la regione dalle incursioni dei crociati e rendere sicuro il cammino del pellegrinaggio a La Mecca.

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SALADINO, LA LEGGENDA DEL CAVALIERE SARACENO

S

hirkuh, lo zio di Saladino, morì improvvisamente, dopo essere stato per due mesi visir del califfo fatimide de Il Cairo, Al Adid, il quale nominò dunque visir Saladino, nel 1169. Pur essendo dello stesso sangue di Shirkuh, Saladino non aveva ancora compiuto azioni militari: il califfo pensava quindi che fosse un mite. Saladino conciliò la sua carica fatimide con quella di generale dell’atabeg sunnita di Mossul, Norandino, e di vassallo del califfo abbaside. Riunì velocemente la sua famiglia a Il Cairo per un consiglio di governo informale e fece un controllo delle principali fonti di ricchezza. Nel settembre del 1171 era sovrano di fatto e volle pronunciare la jutba nella moschea maggiore al posto del califfo abbaside. Al Adid, alquanto malato, non sopravvisse a quest’ultimo dispiacere. A destra, la città de Il Cairo in un’incisione del secolo XIX.

Costantinopoli

Palermo

Aleppo Harran Mossul Baghdad MAR MEDITERRANEO Homs DamascoE ufr ate Alessandria Gerusalemme Il Cairo

Gabes Tripoli

FEZZAN

EGITTO

Ni

lo

KUSH Avanzata di Saladino Possedimenti di Saladino nel 1193

Medina

Qasr Ibrim

La Mecca

IL FLAGELLO DEI CROCIATI

128

1138

1171

1174

1183

1187

Saladino nasce a Tikrit, nell'odierno Iraq, dove è governatore suo padre Ayyub, da una famiglia di origine curda.

Dopo la morte di Al Adid, l'ultimo califfo fatimide, Saladino domina a pieni poteri l'Egitto e conquista l’Arabia e il Libano.

Alla morte di Norandino, Saladino occupa Damasco per garantire il territorio al suo erede, un bambino ancora piccolo.

La conquista di Aleppo, seguita da quella di Mossul nel 1185, conferiscono a Saladino il controllo totale su Siria e Mesopotamia.

Saladino sconfigge i crociati nella battaglia di Hattin e, a seguire, conquista Gerusalemme, dopo un breve assedio.


IL CONQUISTATORE. Mano a mano che le province

selgiuchide cadevano nelle sue mani, Saladino le aggiudicava ai membri della sua famiglia. Quando intraprese la campagna di Siria, suo fratello Al Adil lo sostituì a capo del sultanato. Sopra, Saladino in un olio su tavola del secolo XVI (Galleria degli Uffizi, Firenze).

1191

1192

1193

Gli eserciti della terza crociata liberano Tiro dall'assedio di Saladino e riconquistano la città di San Giovanni d’Acri.

Riccardo Cuor di Leone non riesce a riconquistare Gerusalemme; firma la pace con Saladino e ritorna in Inghilterra.

Saladino muore nel suo palazzo di Damasco a cinquantacinque anni. Il suo mausoleo è situato nella grande moschea di Damasco.

SIMBOLO DELLA VITTORIA. Dopo la vittoria con

gli Zengidi nel 1175, Saladino si proclamò re e ordinò di coniare a Il Cairo una moneta con il suo nome, Al Malik an Nasir Salah al-Din (“Sovrano vittorioso, Integrità della fede”). In alto, dirham di rame del 1190 con effigie e nome di Saladino. 129


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

LA MOSCHEA DI AL HAKIM. Nel secolo XI

le fu dato il nome dell’iman e califfo fatimide Al Hakim, padre spirituale della setta sciita dei drusi, ed è oggi uno dei centri religiosi più importanti della capitale egizia.

Saladino autorizzava i suoi avversari a visitare liberamente il Santo Sepolcro e gli altri luoghi santi della cristianità e si impegnò a trattare i prigionieri e i pellegrini con umanità e generosità. Per tutto questo fu meritevole, nel mondo cristiano, di un’aura di lealtà cavalleresca, della quale danno testimonianza anche Dante e Boccaccio nelle loro opere, mentre nel secolo XVIII, G. E. Lessing, scrittore e filosofo tedesco, rappresentò Saladino come un modello di ciò che è considerata una delle virtù più occidentali: la tolleranza religiosa. Il grande sultano morì nel 1193, lasciando disposizioni che il sultanato fosse diviso tra i suoi tre figli. Da allora, due dinastie ayyubidi, ostili tra loro, regnarono rispettivamente a Damasco e a Il Cairo.

Gli sciiti ismailiti L’obbedienza formale ai califfi abbasidi nell’Islam del periodo compreso tra i secoli VII e XIII (cioè nel periodo di vita del califfato), riguardava solamente i musulmani sunniti. Tale obbedienza non era invece riconosciuta né dagli sciiti né dai 130

kharigiti, i quali comunque, durante tutto il Medioevo, con l’eccezione dell’esperienza del califfato dei Fatimidi d’Egitto sconfitto da Saladino, non rappresentarono nessun tipo di entità istituzionale di rilievo. Un’unica eccezione, sebbene sicuramente sui generis, fu quella della fidáiya, i cui adepti venivano chiamati fidaiyín (“coloro che danno la propria vita come riscatto”), una setta nata nell’ambito del mondo sciita. Gli sciiti di fatto si dividono in due grandi famiglie. La maggiore, quella dei Duodecimani, riconosce una serie di dodici imam legittimi che si succederanno prima della fine dei tempi, l’ultimo dei quali sarà colui che viene chiamato “imam occulto”. Esiste poi un gruppo minoritario, chiamato Settimani, che riconosce come valida solo una serie di sette imam, che si interruppe nell’ VIII secolo. All’interno di questo gruppo c’è una fazione che riconosce come settimo e ultimo imam, Ismail, figlio di Yafar al Sadiq. Questa fazione ha dato origine a numerose sette, tra le quali la più famosa è quella dei


Il Vecchio della Montagna e la leggenda degli assassini La setta sciita di Hasan Ibn Sabbah – detto anche il “Vecchio della montagna” – nota come “degli assassini” o hashishiyya, riuscì a farsi concedere delle fortezze dal califfo fatimide, che venivano usate come centri di formazione per missionari islamici e sicari. Gli iniziati studiavano tecniche omicide, matematica e scienze umane. Assassinare Saladino era il principale obiettivo della setta, che lo accusava di tradimento nei confronti del califfo fatimide. Lo stesso governo militare di Aleppo, inoltre, assoldò gli Assassini, affinché uccidessero il sultano. Gli uomini di Hasan Ibn Sabbah ci provarono due volte, e la seconda volta riuscirono a ferirlo lievemente. Saladino assediò Masiaf, la fortezza principale, e negoziò in segreto con Hasan Ibn Sabbah, che abbandonò il progetto di omicidio nel 1176. La leggenda riferisce che il Vecchio premiava i sicari bravi con una “breve” visita in Paradiso: faceva ingerire loro dell’hashish, poi li sedava e li trasportava in un delizioso giardino segreto della fortezza di Alamut, dove si svegliavano tra fiori, giochi d’acqua, belle donne, cibi raffinati… La visita si concludeva con un nuovo sonnifero. A destra, fortezza in rovina nei pressi della località di Semnan, nel nord dell’Iran, uno dei tanti monasterifortezza della setta degli Assassini.

Druidi, che fu fondata nell’XI secolo dal califfo fatimide Al Hakim, la quale ancora oggi esiste tra il Libano, la Siria e lo Stato di Israele. Alla fine dell’XI secolo venne fondata in Persia un’altra setta sciita, originata dai seguaci di Nizar Ibn al Mustansir, erede al trono del califfato de Il Cairo, trono tuttavia occupato dal fratello. I Nizariti, chiamati così in quanto seguaci di Nizar, si stabilirono principalmente in Iran, ma anche in Siria e Libano. I suoi seguaci si trovano attualmente in Pakistan, nella valle del fiume Humza, un affluente del fiume Indo, e riconoscono l’autorità dell’Aga Khan.

La setta del Vecchio della Montagna Alla fine del secolo XI, un filosofo e riformatore persiano, Hasan Ibn Sabbah, ismailita, seguace di Nizar, si impossessò dell’inaccessibile fortezza di Alamut, nel massiccio dell’Elburz, ragion per cui divenne famoso con il soprannome in arabo di sheij al yabal (“Vecchio della Montagna”). Hasan Ibn Sabbah era seguace di una dottrina esoterica secondo la quale il Corano doveva essere inter-

pretato seguendo il suo significato occulto, il batin. La setta da lui fondata difendeva un Islam epurato da numerose pratiche di devozione a cui si sommava una filosofia di tipo iniziatico, ricca di elementi presi dallo gnosticismo neoplatonico e probabilmente, dal mazdaismo. Il territorio della setta, composto da una successione di monasterifortezze che, dal sud del Caspio, si estendevano fino alla Siria e al Libano, era estremamente difficile da conquistare. Da questo territorio, il Vecchio manteneva complesse relazioni con le differenti dinastie musulmane e con i propri principi crociati, servendosi abitualmente dell’assassinio terroristico, perpetrato dai suoi seguaci come strumento di intimidazione, o almeno così si diceva. Circolava inoltre voce che i membri della setta combattessero sotto gli effetti di una pianta che aveva effetti psicoattivi, la Cannabis indica, chiamata in arabo hashish, “erba secca“, e con la prospettiva di morire dopo aver perpetrato il delitto che era stato loro ordinato, così da poter entrare subito in Paradiso. Di fatto, il Vecchio aveva organizzato dei veri giardini di delizie, nei quali i 131


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

La ciotola di Ibn al Zayn, gioiello dell’arte mamelucca Nota anche come Battezzatoio di San Luigi, questa ciotola, che risale al sultanato mamelucco de Il Cairo, viene considerata un gioiello dell’arte islamica. Si tratta di un recipiente con decorazioni a incisione, intarsiate in argento, oro e lacca nera; secondo l’iscrizione a sbalzo, fu realizzata in Egitto o in Siria nel laboratorio dell’incisore Muhammad Ibn al Zayn e risale all’inizio del secolo XIV. Il pezzo entrò a far parte della collezione dei gioielli della corona francese in data incerta, anche se molto tempo dopo il regno di Luigi IX (12261270), sovrano da cui poi prese il nome, quasi sicuramente poiché egli morì a Tunisi durante l’ottava crociata e, assegnandogli quel nome, veniva risolto il mistero del passaggio dell’oggetto. Dapprima appartenuto al tesoro della Sainte-Chapelle de Vincennes, venne trasferito al Museo del Louvre dopo la Rivoluzione Francese, nel 1793. Servì, effettivamente, come catino battesimale, ma a partire dal regno di Luigi XIII (1610-1643). Il principale interesse artistico sta nella decorazione, che occupa i due terzi della superficie esterna. Due bordi con animali in movimento ne incorniciano un terzo, più ampio, che mostra una processione di dignitari di corte. Sulla fascia più larga, si nota la firma, incisa sulla superficie in argento, dell’artigiano incisore, Ibn al Zayn, il cui nome appare anche in altri pezzi conservati al Museo del Louvre.

suoi fedeli potevano godere di un’anticipazione dei piaceri del Paradiso. Ovviamente, tutto ciò era avvolto in una persistente leggenda che sopravvisse alla setta, conosciuta come hashishiyya, “gente dell’hashish” o, più semplicemente, come “setta degli assassini”. Questa leggenda venne narrata alla fine del secolo XIII dal viaggiatore veneziano Marco Polo. Tra i principali personaggi che ostentarono il titolo di Vecchio della Montagna, il più famoso fu il siriano Rashid al-Din Sinan che, a quanto sembra, mantenne delle relazioni con l’imperatore Federico I e con il re di Francia Luigi VII. L’ultimo Vecchio della Montagna persiano fu Rukin alDin, assassinato nel 1257 dai Mongoli di Hulagu Khan, fratello di Kublai Khan e fondatore dell’Ilkhanato o Khanato territoriale di Persia.

I sultanati ayyubidi Alcuni amici intimi di Saladino, che risiedeva principalmente a Il Cairo ma che volle essere sepolto a Damasco, si erano stabiliti, prima ancora della sua morte, a nord dei principati indipen132

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denti: a Damasco, ad Aleppo e in una regione del sud della penisola anatolica, conosciuta con il nome di Diyarbakir. Mantennero la loro indipendenza fino alla conquista dei Mongoli, che avvenne nell’anno 1260, sebbene un ramo dei seguaci di Saladino, che si era stabilito nello Yemen, riuscì a resistere soltanto fino al 1229. Gli Ayyubidi di Diyarbakir furono invece un’eccezione, in quanto non si piegarono fino alla seconda metà del secolo XV , periodo in cui furono conquistati dalle truppe di un principato turco dell’Anatolia, conosciuto come l’“Orda della Pecora Bianca” (Aq Qoyunlu). In ogni caso, il ramo più solido e importante della dinastia ayyubide ereditò dallo stesso Saladino il sultanato d’Egitto, con capitale a Il Cairo. Il rappresentante più famoso di questo ramo è senza dubbio Al Kamil, nipote di Saladino, conosciuto per aver ricevuto nel 1220, nel suo campo militare di Damietta, la visita di San Francesco d’Assisi, che era arrivato fin laggiù con i crociati che assediavano la città. Al Kamil è anche noto per aver stipulato nel 1229 una tregua con l’impe-


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1 LA DECORAZIONE. È composta da motivi vegetali che abbondano in tutto lo spazio disponibile (con particolari umoristici come il coniglietto al centro dell’immagine) e da una serie di dignitari di corte o emiri in processione che si dirigono verso quattro nobili a cavallo iscritti in medaglioni circolari.

2 I BLASONI. I dignitari portano incisi sugli stivali distinti blasoni che li identificano in base alla carica o alla funzione presso la corte. L’unico che non indossa stivali o blasoni (forse per il suo basso rango) è l’uomo che appare prostrato davanti a uno dei quattro cavalieri.

3 I CORTIGIANI. Le figure svolgono

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varie attività di corte: sono portatori di armi (mazze, spade, asce o archi), o di oggetti per altre attività, come il portatore dei pali da polo, il coppiere o l’incaricato del guardaroba del sultano.

4 ARABI O MAMELUCCHI. Oltre ai simboli del rango o della carica, i personaggi si distinguono anche per altri particolari: alcuni hanno la testa coperta da un ampio velo e altri da un turbante, differenziando così gli Arabi (veli) dai Mamelucchi (turbanti).

ratore Federico II di Hohenstaufen. In base a questa tregua, Gerusalemme venne riconosciuta come “città aperta”, smilitarizzata, in cui potevano liberamente recarsi in pellegrinaggio ebrei, cristiani e musulmani. Questo regime speciale per la Città Santa sarebbe terminato nel 1244, anno in cui, a causa di un movimento di popoli provocato dalla conquista mongola, la Siria e la Palestina ricevettero un massiccia migrazione di nomadi provenienti dalla Corasmia. In quel periodo, il governo del sultanato de Il Cairo riuscì, con un notevole sforzo, a ristabilire la sua sovranità su tutta la zona che, tuttavia, si trovò persistentemente colpita dalle confuse lotte tra il sultanato ayyubide, gli sceicchi musulmani locali, i Mongoli e gli ifranj.

I Mamelucchi Negli ultimi tempi la dinastia ayyubide d’Egitto aveva vissuto nel suo palazzo de Il Cairo praticamente prigioniera degli onnipotenti primi ministri (i visir) e dei membri di alcune truppe mercenarie di umili origini (conosciuti come Mamelucchi,

dall’arabo mamluk, schiavo) costituite principalmente da Turchi, Slavi e Curdi. Date le loro origini i Mamelucchi si distinguevano facilmente dal resto della popolazione afroaraba, che abitava i territori che si estendevano tra il Mar Rosso, il Nilo e il deserto africano: avevano la pelle chiara e spesso i capelli biondi o rossi ed occhi azzurri o verdi. Nonostante l’Islam non fosse, per sua stessa natura, sensibile alle differenze di origine etnica, il chiaro contrasto esistente fra questi servi-signori “bianchi” e la gente del luogo, profondamente caratterizzata dalla presenza di Nubiani e Sudanesi, dalla pelle scura e i tratti africani, avrebbe avuto effetti persistenti nella storia e nella politica del Paese. I Mamelucchi erano organizzati in federazioni familiari sorrette dagli anziani e, lavorando alle dipendenze dei sultani ayyubidi, avevano finito per trasformarsi in veri schiavi. Nel 1250, con un colpo di mano, rovesciarono l’ultimo sultano ayyubide e imposero al suo posto una sultana, Shajar al Durr, fondatrice della dinastia bahri, che rimarrà al potere fino all’ultimo decennio del

EVENTI DEL SULTANATO MAMELUCCO 1250-1277

Shajar al Durr. I generali bahri del sultano ayyubide Al Salih Ayyub incoronano la sua vedova, Shajar al Durr, dopo aver rovesciato il figlio di Al Salih Ayyub. Sayf al-Din Qutuz riesce a respingere l’invasione mongola nella battaglia di Ain Jalut, aiutato dal generale Baybars, suo successore al sultanato. 1291

Sconfitta dei cristiani. Il sultano Al Ashraf Khalil li sconfigge ad Acri e mette fine alla presenza degli ifranj nella regione, consolidando così il sultanato. 1310-1340

La pace con i mongoli. Nel 1323, durante il sultanato di An Nasir, si firma la pace; i Mamelucchi conquistano l’Anatolia e la Cilicia armena. 1390

Fine del periodo bahri. La dinastia buride consolida il trono con Barquq, dopo un’effimera restaurazione bahri di meno di un anno. 1516-1517

Fine del sultanato. La capitale, Il Cairo, cade davanti agli Ottomani di Selim I. L’anno seguente, l’Egitto è annesso all’impero ottomano.

133


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

I Mamelucchi, da schiavi a mercenari e grandi sultani Schiavi divenuti mercenari, provenienti dalle steppe d’Asia, i Mamelucchi si fecero carico del comando degli eserciti dei califfi egizi prima di diventare loro stessi sultani ed emiri, senza rivendicare altri diritti che la forza militare e la trasformazione de Il Cairo nella capitale del mondo islamico.

SULTANATO DI RUM

Smirne

Angora Konya

SULTANATI OTTOMANI

REGNO DELLA PICCOLA ARMENIA

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Elbistan CIA Tarso C I L IAyas Edessa Adalia Antiochia Aleppo I SIRIA M E S O P O TA M Famagosta Hama Homs REGNI Tripoli IMPERO LATINI Sidone Beirut Damasco MONGOLO Tiro Gerusalemme T I Damieta Gaza ES PA L Alessandria El Mansurá Al Fayum Il Cairo Eilat

C I R E AICA N

Qusair

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E G I TTO K U SH

TRIBÙ ARABE

Medina Territori mamelucchi 1250 1250-1263 1263-1291 1291-1382 A partire dal 1382

Aydhab La Mecca

L’impero islamico aveva bisogno di soldati, e quelle popolazioni di pastori nomadi dell’Asia centrale fecero al caso. Gli adulti che si arruolavano negli eserciti del califfato erano mercenari, ma i bambini e i ragazzi, venduti dai genitori, erano tecnicamente e giuridicamente degli schiavi. Fino al IX secolo, la quantità di Turchi negli eserciti arabi non cessò di aumentare. Dall’800, erano così tanti in Persia e tanto apprezzati che il califfo abbaside Harun al-Rashid diede alla luce con una schiava turca il suo successore al trono: alMutasim. In seguito, egli venne deposto da alcuni mamelucchi capeggiati dal figlio al-Mutawakkil (861) e il mamelucco Ahmad Ibn Tulun si proclamò emiro indipendente d’Egitto (868-884). Con il sultano mamelucco, l’Egitto recuperò splendore e parte del potere perso a causa delle numerose guerre e invasioni straniere dei Selgiuchidi e degli Europei. Il generale mercenario mamelucco Aibak al-Turkmani fondò la dinastia bahri; gli successe Sayf al-Din Qutuz, che debellò i Mongoli ad Ain Jalut (1260). Era il primo militare che riusciva a imporsi sull’esercito di Gengis Khan. Baybars I (1260-1277) collegò l’Egitto al commercio asiatico ed europeo. Al-Ashraf Khalil annientò il regno cristiano di Acri nel 1291 e Ibn Qalawun (1299-1309) difese le frontiere africane e resistette agli assalti dei Mongoli del 1299 e del 1303. A sinistra, lampada da moschea in cristallo, dorata e smaltata, risalente al secolo XIV, proveniente dall’Egitto (Museo dell’Arte islamica, Il Cairo).

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secolo XIV, secolo in cui il potere passerà nelle mani dei Buridi, dinastia che a sua volta regnò fino alla conquista ottomana avvenuta tra il 1517 e il 1518. Tuttavia, i sultani ottomani che domineranno, almeno formalmente, l’Egitto dalla loro capitale Istanbul fino al 1918, non poterono fare a meno dell’organizzazione familiare-corporativa dei Mamelucchi che, di fatto, continuarono a governare il Paese. Furono infine sconfitti da Napoleone Bonaparte nel 1799, nella battaglia delle Piramidi e, nel 1811, sterminati da Muhammad Alì, governatore praticamente indipendente, seppur rappresentante dei sultani di Istanbul.

Il sultanato mamelucco Tra la metà del XIII secolo e l’inizio del XVI, i Mamelucchi d’Egitto svilupparono una politica a tratti molto saggia ed energica. Nella seconda metà del secolo XIII resistettero alla conquista mongola e nell’anno 1337 si impadronirono del porto di Ayas, sulla costa anatolica della Cilicia, punto di convergenza delle carovane provenienti dal Golfo Persico e di quelle che arrivavano dal Mar Nero meridionale, mantenendo buone relazioni diplomatiche e commerciali, soprattutto con il regno di Napoleone e con la Repubblica di Venezia. I Mamelucchi esercitarono anche una rilevante egemonia economica nell’isola di Cipro, a quel tempo importante centro agricolo (zucchero), commerciale, minerario e manifatturiero (rame e sale), formalmente dipendente dalla dinastia francese dei Lusignano, ma che, alla fine del XV secolo, cadde nelle mani di Venezia. L’isola di Cipro costituiva una posizione strategica del movimento crociato, anche se l’occupazione mamelucca del porto di Ayas in Cilicia ridimensionò notevolmente la sua importanza. Di fatto, l’isola era a quel tempo governata dall’instabile famiglia dei Lusignano, che si sentiva minacciata dalle continue pressioni dei Genovesi. La sua debolezza era diventata così manifesta che, nel 1426, una spedizione egizia – con la probabile connivenza di Genova – la saccheggiò e prese il re come ostaggio, obbligandolo a riconoscere la sovranità del sultano mamelucco. Nonostante questi successi, il sultanato d’Egitto dovette fronteggiare una progressiva decadenza economica che, nella seconda metà del secolo XV, si concluse con un vero crollo. Il commercio di spezie tra l’Oceano Indiano e i porti del Nilo, attraverso la grande via di comunicazione fluviale, comunque continuava ancora. Tuttavia, l’intraprendenza portoghese aveva già posto le basi per la circumnavigazione dell’Africa, con la nascita in Algarve della scuola di cartografia e navigazione di Sagres, da parte dell’infante Enrico, noto infatti come “il Navigante”. Con ciò, i porti


di Alessandria e Damietta si vedevano privati di quello che rimaneva del loro semi-monopolio sul commercio delle spezie che dal Medio Oriente si estendeva fino al Mediterraneo. L’oro sudanese continuava a fluire verso l’Egitto e il bilancio commerciale del Paese era in positivo. Le esportazioni di prodotti egiziani erano tuttavia sempre più scarse, mentre, al contrario, si assisteva ad una invasione di prodotti provenienti dall’Europa e dall’Estremo Oriente. A quanto pare, l’ostentato lusso nel quale viveva la classe dirigente mamelucca, insieme alle ingenti spese militari, non furono affatto causa di poca importanza per il collasso economico del sultanato.

I conquistatori mongoli Tra i secoli XII e XIV apparvero sullo scenario asiatico nuovi popoli destinati ad entrare, dopo una titubanza iniziale, nel mondo musulmano: si tratta di quei popoli che si è soliti definire con il nome collettivo di “Mongoli” o “Tartari”. La spinta delle popolazioni nomadi dell’Asia verso Oriente e verso Occidente fu, durante i secoli e in

maniera ricorrente, un importante motore per lo sviluppo di circostanze non sempre strettamente legate all’epicentro di questi movimenti iniziali. Un tale fenomeno era già avvenuto, con risultati che sono ben noti, all’inizio del primo millennio dell’era cristiana. Tuttavia, sarà durante il XII secolo che si produrrà l’autentico risveglio dei popoli mongoli, pastori nomadi che abitavano nell’attuale Mongolia orientale, nel sud-est della Manciuria. Gli Arabi li chiamavano tatar, termine da cui i Latini fecero derivare il vocabolo “tartaro” che evocava l’inferno pagano, il Tartaro. Era, senza dubbio, un eloquente gioco di parole. Il mondo della steppa era di nuovo scenario di agitazioni e, ai suoi confini, i grandi imperi cominciavano a sentirsi nuovamente in pericolo. Nell’attuale Russia meridionale si era stabilito un popolo di origine turco-mongola, i Cazari, che, nel corso del X secolo, mentre gli Slavi dei principati di Kiev e Novgorod si convertivano al Cristianesimo sotto l’influenza di Bisanzio, avevano scelto di convertirsi in massa al Giudaismo. Poco dopo, la loro pacifica presenza aprì la strada alla

LA FINE DEI MAMELUCCHI. Per quasi

tre anni, i sultani mamelucchi dominarono un ampio territorio tra il Mediterraneo e il Mar Rosso. In alto, khanqa (sede di un ordine religioso) del sultano Barsbay (1422-1428) nella Città dei Morti de Il Cairo.

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DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

Il mito del Prete Gianni, il successore dei Re Magi Il Prete Gianni, o Giovanni il Presbitero, fu un re e sacerdote leggendario, sovrano di un regno situato in Abissinia, Etiopia o nelle frontiere cino-mongole. Il primo che lo menzionò in alcuni scritti fu Ottone di Frisinga, un vescovo cronista. Frisinga affermò di essere venuto a sapere che il prete discendeva dai Re Magi e che era sovrano di un regno situato al di là della Persia e dell'Armenia, che disponeva di un grosso esercito e che il suo scettro era costituito da uno smeraldo tagliato in un unico pezzo. Nel corso del Medioevo, imperatori, re e papi ricevettero missive scritte a mano dallo stesso Prete Gianni. Numerosi furono anche i viaggiatori (come Marco Polo) che riportarono notizie di questo sovrano. In basso, il Prete Gianni sul trono dell'Etiopia, in una mappa dell'Africa dell'atlante di Diogo Homem per la regina Maria I d'Inghilterra, del 1588 (British Library, Londra).

penetrazione di un altro gruppo etnico affine, i Peceneghi, che crearono non pochi problemi sia ai principi russi che all’imperatore di Bisanzio, fino a quando non furono da lui sconfitti nel 1122. Nel frattempo, in pieno deserto asiatico, a sud del lago Baikal, si era creato un nuovo “impero” nomade, il khanato di Kara-Khythai. Per difendersi da queste tribù, i governatori cinesi della dinastia Song chiesero aiuto ad altri popoli turco-mongoli, i Jurchen, che si erano stabiliti tra la Mongolia e la Manciuria, ma che ben presto avrebbero occupato tutta la Cina settentrionale.

Gengis Khan Come era accaduto nel V secolo nell’impero romano d’Occidente, in quel momento l’impero cinese cominciava a dare segni di debolezza davanti alle minacce dei “barbari”. Tuttavia, il vastissimo territorio che era compreso tra i fiumi siberiani e la Grande Muraglia cinese era abitato da tribù nomadi che erano in perenne guerra tra loro. Una tale situazione non costituì una minaccia importante fino a che non incontrarono un khan (capo) 136

che riuscì a riunirle. Queste tribù condividevano una stessa lingua comune, appartenente alla famiglia uralo-altaica e praticavano culti sciamanici basati su esperienze di estasi e sulla divinazione. In alcune aree, tuttavia, era penetrato il Buddismo, il Taoismo e lo stesso Cristianesimo nestoriano. Di fatto, già in pieno XII secolo, giunsero in Europa notizie delle vittorie di un misterioso principe cristiano d’Asia – dietro le quali si nascondeva la realtà storica di alcune bellicose tribù mongole cristiane – che diedero adito al mito del Prete Gianni, chiamato a trasferirsi alla fine del Medioevo dall’Asia centrale all’Etiopia. Era il primo quarto del secolo quando i Mongoli trovarono nella figura di un khan, di nome Temujin, l’incarnazione del loro unificatore e organizzatore che, insieme ad Alessandro Magno, fu considerato come il più grande conquistatore di tutti i tempi. Si sa poco della sua nascita, che avvenne nel terzo quarto del XII secolo. Figlio del capo di una tribù stanziata lungo l’alto corso del fiume Orhon a est del lago Baikal, visse la sua infanzia e la sua prima gioventù circondato, secondo la leggenda, da permanenti lotte e vendette che interessavano le differenti tribù. La sua scalata al potere iniziò quando si mise a servizio del khan dei Keraiti, una tribù turco-mongola cristiana nestoriana. Temujin si sposò con la figlia del capo keraita e, grazie a questo matrimonio, pose le basi per una successiva estensione dei suoi domini, sconfiggendo le tribù vicine e annettendole alla sua. Nell’anno 1206, tutta la regione del Gobi era in suo potere. Nel gran kuriltai (la grande assemblea tribale) convocato alle sorgenti del fiume Onon, fu nominato gran khan, o khan supremo di tutti i Mongoli, i quali ottennero in questo modo una specie di unità nazionale. Durante questa assemblea, ricevette anche il nome di Gengis Khan, “Signore Universale”. Gengis Khan era un conquistatore e un organizzatore di popoli, ma non un riformatore di istituzioni. Le sue “leggi” trovavano origine dalle antiche tradizioni e dalle necessità delle genti mongole, che erano abituate all’allevamento di cavalli, cammelli e capre. Così come mobili erano le tribù che comandava, sempre in cerca di nuovi pascoli, espandendosi o ritirandosi in continuazione a seconda dei luoghi e delle circostanze, allo stesso modo Gengis Khan diede al suo impero un’organizzazione di tipo politico-militare molto mobile, senza trascurare, tuttavia, la creazione di una struttura necessariamente più gerarchizzata. L’ulus rappresentava il nucleo dell’impero, cioè l’unità completa che era costituita da una tribù e da tutti i suoi averi. Con l’impero, questo concetto si trasferì all’insieme delle terre conquistate, che si


convertirono nell’ulus della famiglia imperiale. Ognuno dei khan manteneva una grande autonomia, nonostante essi fossero sempre obbligati a portare rispetto e fedeltà al gran khan, che esercitava il controllo sulle terre mediante un sistema di governatori e di corrieri, molto veloce, altamente efficace e ben organizzato.

La conquista dei Mongoli La genialità di Gengis Khan però si manifestò in tutta la sua forma in ambito militare. Prima di unificare i popoli mongoli, nel 1211, diede inizio alla campagna di conquista della Cina. Nel frattempo, tra il 1219 e il 1220, i Mongoli sottomisero l’impero iraniano-persiano di Corasmia (tra il lago Baikal e l’Iran orientale). Con questa campagna militare furono conquistate sia Bukhara che Samarcanda, le culle dell’Islam centroasiatico, dopodiché il conquistatore si diresse verso il nord, verso le steppe russe, conquistando il regno che era conosciuto come la Grande Bulgaria e deportando i suoi abitanti. Quando Gengis Khan morì, nel 1227, il suo

impero si estendeva dalla Siberia fino al Kashmir e fino al Tibet e dal Mar Caspio fino al Mare del Giappone. Dopo la morte di Gengis Khan, come accadeva quando scompariva qualsiasi khan supremo, i capi della tribù vennero chiamati per riunirsi nel kuriltai, che fu convocato nella capitale, Karakorum, nel cuore della vecchia Mongolia, per eleggere un nuovo sovrano in seno alla famiglia imperiale. Il successore di Gengis Khan fu suo figlio, Ogodei, sotto il cui potere i Mongoli ripresero immediatamente i loro piani di espansione. Se il nuovo gran khan Ogodei completò la sottomissione della Cina settentrionale e della Persia musulmana, il nipote di Gengis Khan, Batu Khan, si lanciò subito verso l’Europa. Nella primavera del 1241, la cavalleria di Batu Khan, dopo essersi impadronita del territorio compreso tra il Volga e il Mar Nero, che sarebbe diventato più tardi il nucleo del regno dell’Orda d’Oro, entrò con forza in Polonia, Boemia e Ungheria. Le migliori forze della cavalleria cristiana non resistettero all’impeto dei Mongoli. Eppure

GENGIS KHAN. Il leader

mongolo unificò le tribù nomadi della sua etnia nelle steppe dell’Asia settentrionale e creò un impero che si estendeva fino alla Cina e alla Corea. In alto, miniatura persiana della Storia dei Mongoli, che mostra il gran khan nell’atto di ricevere gli omaggi dagli altri khan (Biblioteca Nazionale, Parigi).

137


Nóvgorod 1238

Mosca Bólgar Kazan’

La grande espansione dell’impero mongolo di Gengis Khan

Kiev

1236

Nuova Sarai

1224

Roma Caffa

1223 MA

Costantinopoli

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Trebisonda R

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Damasco

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1221

1258

Ishfahan

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Medina La Mecca

anche dai khan dell’Orda d’Oro di Kara-Khythai (i cui domini si estendevano tra il lago di Aral, il Tibet e la Cina) e dalla Persia (nel 1258 Baghdad era stata conquistata dal khan Hulagu). Al di là del terrore che i Mongoli incutevano, la loro apparizione in uno scenario geopolitico aveva rinvigorito le illusioni escatologiche relazionate con quel misterioso popolo cristiano d’Oriente che in Europa era noto fin dall’antichità e che si era cristallizzato nel mito del Prete Gianni. Di fatto, i papi del secolo XII inviarono ai Mongoli numerosi missionari – diplomatici – predicatori, che lasciarono anche memorie scritte dei loro viaggi. Dopo molte incertezze, i diversi khanati che componevano l’“impero federale” mongolo decisero di convertirsi all’Islam. Quando, nel 1834, i Cinesi espulsero gli imperatori mongoli della dinastia Yuan, che verrà sostituita dalla dinastia nazionale dei Ming, l’impero federale mongolo rimase definitivamente diviso nei khanati dell’Orda d’Oro (Russia meridionale), del Kara-Khythai (Asia centrale), del Chagatai, uzbeco-turkestana - turkestana e

Ker

Orm SI

R

In questa occasione fu eletto per il trono del gran khan Guyuk (1246-1248), il quale, però, non riuscì a riprendere la campagna militare contro l’Europa. Dopo il suo regno, i Mongoli cambiarono obiettivi e politica: non orientarono più le loro forze verso l’Europa e contro il Mediterraneo, ma verso la Cina, territorio nel quale, nel 1279, la dinastia Song aveva perso il potere, dando avvio a quel periodo che nella storia cinese viene definito come quello “della dinastia straniera”, quella degli Yuan. Il gran khan risiedeva a Cambaluc (Pechino): era però riconosciuto come autorità suprema

O LF

L’impero federale mongolo

Shiraz

GO

IMPERO MAMELUCCO Nucleo originario dell’impero mongolo intorno all’anno 1206 Domini della dinastia dei Song del Sud Campagne militari di Gengis Khan (1206-1227) Campagne militari dei suoi successori Confini dell’impero di Gengis Khan MONGOLI Tribù mongole intorno all’anno 1220 TUNGUSI Altre popolazioni

CO

CALIFFATO ABASSIDE

Il Cairo

Batu si trovò obbligato a ritirarsi dai territori conquistati in Europa, in parte poiché le sue vittorie gli avevano portato ingenti perdite e la sua spedizione minacciava di convertirsi in un’avanzata esasperata e senza prospettive, senza rifornimenti e senza un appoggio logistico, e in parte perché la morte di Ogodei aveva obbligato i capi mongoli a riunirsi nuovamente a Karakorum, per una nuova convocazione del kuriltai.

138

5

Venezia

L’impero mongolo o turco-mongolo, il più esteso secondo la storiografia, fu fondato all’inizio del secolo XIII da Gengis Khan e dai suoi discendenti – figli e nipoti – con i loro rispettivi eserciti. Al culmine della sua espansione, alla fine del secolo XIII, arrivò ad avere una superficie di trentatré milioni di chilometri quadrati. Si estendeva dalla Siberia fino all’India e dalla penisola dell’Anatolia, nel Mediterraneo, fino alle coste dell’Oceano Pacifico. Temujin (“la miglior spada”) era il nome del capo militare che si proclamò capo supremo con il titolo di Gengis Khan e unì sotto il suo comando numerose nazioni mongole che fino a quel momento avevano combattuto tra di loro. Gengis Khan era il bisnonno di Kublai Khan e figlio di un capo del clan dei Borjigin, ma non si conosce il suo anno di nascita, che si suppone anteriore al 1168. Intorno al 1190, divenuto khan (re), cominciò a conquistare territori nelle steppe siberiane, Tartaria e Mongolia. Nel 1205 conquistò l’impero tangut (Xi Xia), poi attaccò la Manciuria e, tra il 1211 e il 1215, invase l’impero jin e raggiunse la capitale, Cambaluc (la “città del khan”, Pechino), che occupò e saccheggiò. Nel settembre del 1219 attaccò l’impero corasmio e conquistò l’Asia centrale, la Persia e l’Afghanistan. Nel 1224 rientrò in Mongolia e morì nel 1227, ma il suo impero si estese e durò fino al 1368. A sinistra, medaglia d’argento dorato (secoli XIII-XV), parte dei finimenti di un cavallo mongolo (Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo).

PRINCIPATI RUSSI

Esztergom

C

O


KIRGHISI OIRATI NAIMANI

azan’

1

07

Chang’an IMPERO (Xi’an) DEI SONG

6 IMPERO

DEL SUD

DEGLI XI XIA

Quanzhou (Zaiton)

Chengdú

Guangzhou (Canton) 1285-1288

Lhasa

Peshawar

Tunnan

TIBETANI

Lahore 1297-1327

Delhi Patna

SULTANATO DI DELHI

Ormuz

REGNO JIN. Nel 1215, le truppe di Gengis espugnarono Pechino, prima di conquistare il nord della Cina, in mano ai Jin.

2

28 7

Kabul

1281

12

12 77 -1

iraz

Kaifeng

Balj

Kandahar Kerman

Cambaluc (Pechino)

Ningxia

Kashgar Hotan

IMPERO Bukhara CORASMIO

Bagan

Dong Do (Hanoi)

1257-1258

ANNAM IMPERO KHMER

O

Bharuch

OCEANO INDIANO

Calcutta

1283

3 IMPERO DI KARA KHYTHAI. L’esercito del gran khan sbaragliò nel 1218 il khanato del Kara-Khythai, in mano alla dinastia Liao dal 1211. IMPERO CORASMIO. Dopo Bukhara (1219) e Samarcanda (1220), Gengis Khan conquistò nel 1221 lo snodo principale della Via della Seta.

4

PRINCIPATI RUSSI. Nel 1223, i Mongoli ottennero una vittoria schiacciante sulla coalizione di condottieri cumani e russi della regione di Kiev.

5

STATI INDIANI Deogiri

1 POPOLI NOMADI. Prima di essere eletto, Gengis Khan definì il potere militare delle grandi tribù delle steppe.

COREA

1215

27 12

Taskent Samarcanda Kokand

Herat

Karakorum

8

1 12

3KARA-KHYTHAI REGNO DI

Otrar

1221

1273-1274 e 1281

KERAITI

Beshbalik

1219

GIAPPONE

Xanadù

2

Gulja

Merv

TARTARI MERKIT

IA OL NG IMPERO O M JIN

1236

4

MONGOLI

BURIATI

TUNGUSI

Angkor

Warangal

G olfo di Bengala

Kodungallur

della Persia (che corrispondeva al cosiddetto ilkhanato, cioè al khanato territoriale). Tutti erano in lotta tra di loro, sebbene agissero sotto uno stesso credo, quello musulmano sunnita.

Il sultanato di Delhi Intorno al secolo XIII, mentre incominciavano le campagne militari di Gengis Khan, si metteva anche in moto l’islamizzazione del subcontinente indiano settentrionale. Dopo l’VIII secolo e, successivamente, durante il secolo XI, si registrarono in forma occasionale alcuni tentativi di invasione e di espansione da parte del potere musulmano su iniziativa dei sultani ghaznavidi che dominavano nei territori che erano compresi tra l’Afghanistan e la Corasmia. Tra l’XI e il XIII secolo alla dinastia ghaznavide succedette quella guride, che aveva preso il comando dei territori della pianura indo-gangetica, arrivando a espandersi fino al Golfo del Bengala e stabilendo il suo centro operativo prima a Lahore, città fondata dai Ghaznavidi nell’anno 1010, e più tardi a Delhi, per mezzo di una famiglia di

REGNO DEGLI XI XIA. Gengis Khan muore nel 1227 dopo la conquista e la distruzione dell’impero tangut (Xi Xia).

6

suoi vassalli che si faceva chiamare mamluk (mamelucchi), ossia, “schiavi”. Nella nuova capitale si succedettero varie dinastie, con un’organizzazione che riproduceva il modello tribale adottato dai Selgiuchidi in Anatolia e che, dal 1229, furono legittimate dal califfato abbaside. Di fatto, dopo il regno dei “re schiavi”, ascese al potere la dinastia dei Khilji (1290-1320) e successivamente quella dei Tughlak (1320-1414), che ampliarono notevolmente i loro domini territoriali, ma che tuttavia non furono poi in grado di mantenerne l’unità e di evitare la disgregazione di alcuni piccoli sultanati indipendenti in Bengala, Guyarat e in altre regioni. Verso la metà del secolo XIV, fu inoltre conquistato il Kashmir, e ci furono tentativi di penetrazione musulmana anche nel territorio del Tibet dove, d’altra parte, erano ormai evidenti tracce di presenza islamica fin dal secolo X. Verso la fine del XIII secolo furono organizzate alcune spedizioni missionarie islamiche nel sud, intorno alla zona del Decan, che tuttavia non portarono a risultati duraturi.

LA CAPITALE DEI TUGHLAK (pag. 140-141). Entrata

alla cittadella fortificata di Daulatabad, diventata capitale del sultanato di Delhi con il secondo sultano della dinastia, Muhammad Ibn Tugluq (1325-1351). 139


140


141


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

Nei territori islamici, fu comunque fondata una capitale meridionale, Devagiri, che, nel 1327, venne ribattezzata, da parte di un membro della dinastia dei Tughlak, Daulatabad.

Verso il sud-est asiatico

I grandi viaggi dell’esploratore Ibn Battuta Abu Abd Allah Ibn Battuta è il più celebre tra i viaggiatori musulmani del Medioevo. In ventidue anni di viaggi, attraverso i tre continenti conosciuti, percorse 120.000 km e riportò le sue esperienze di viaggio in racconti di grande interesse. Raggiunse La Mecca via terra da Tangeri, ma una volta nel sultanato mamelucco de Il Cairo, anziché seguire la rotta abituale, risalì il Nilo. Giunto sulla terraferma, vicino al Mar Rosso, lo sorprese una guerra civile. In seguito, il sultano di Delhi gli offrì l’incarico di ambasciatore in Cina, ma egli, invece di dirigersi direttamente in Cina, visitò le Maldive, dove soggiornò per nove mesi. Durante una di queste tappe si sposò ed ebbe dei figli, ma continuò il suo cammino verso lo Sri Lanka e la Cina. Nel viaggio di ritorno, di tappa alla Mecca, seppe che suo padre era morto di peste nera e quando infine arrivò a Tangeri, venne a sapere che anche sua madre era morta. All'epoca aveva già quarantacinque anni e il suo rihla (viaggio) in Oriente era durato un quarto di secolo. Un sultano merinide incaricò il teologo e letterato della corte nasride Ibn Juzzayy di scrivere sotto dettatura di Ibn Battuta tutte le peripezie del suo rihla. In alto, un viaggiatore arabo in una miniatura del 1237 del Maqamat di Al-Hariri con dipinti di Al Wasiti (Biblioteca Nazionale, Parigi).

142

I commercianti musulmani furono molto attivi nei territori costieri dell’Oceano Indiano, già a partire dai secoli VII e VIII. Nella seconda metà del secolo XIV, il celebre viaggiatore Ibn Battuta registrò proprio in quel periodo la presenza, nella zona del Coromandel, di un sultano islamico che regnava su popoli di stirpe dravidica. Si hanno anche notizie di spedizioni commerciali e militari musulmane nella regione del Malabar, già dal secolo VIII. A quel periodo risalgono quindi le prime tracce della presenza musulmana in quella che oggi si chiama comunità mappila. Dopo la conquista di Baghdad da parte dei Mongoli nel 1258, folti gruppi di commercianti musulmani si sparpagliarono nei porti indiani, malesi e cinesi. Una sospensione temporanea del traffico commerciale lungo la Via della Seta ebbe come ripercussione l’aumento di volume e di importanza del traffico di spezie nei circuiti marittimi orientali, tra la Cina, la Malacca e il Corno d’Africa. Tutto ciò determinò un’ondata di conversioni religiose, sebbene non tali da introdurre un cambio profondo nella struttura linguistica e sociale degli autoctoni che, tuttavia, assorbirono progressivamente vari influssi culturali, soprattutto di origine persiana. Furono queste le radici dell’Islam dell’Asia sudorientale e degli arcipelaghi della zona, specialmente di quello indonesiano, caratterizzato, fino a tempi recenti, da un sincretismo che i giuristi musulmani avrebbero considerato intollerabile se presente altrove. Dalla seconda metà del IX secolo, alcuni commercianti arabi musulmani che risiedevano in Cina si stabilirono nella punta occidentale della penisola di Malacca. È ben documentata sin dal secolo XV la presenza musulmana anche in Cambogia e nella zona orientale dell’isola di Giava. Tra il XII e il XIII secolo, l’Islam si insediò inoltre nell’area settentrionale di Sumatra. In seguito, a partire dal XV secolo, aumentò la presenza islamica non solo a Giava e a Sumatra, ma anche nel Borneo e nelle Molucche.

Migrazioni turche: gli Ottomani La frammentazione quasi simultanea, dal XIV secolo, dell’impero bizantino, dell’ilkhanato tartaro della Persia e del khanato fratello, ma anche rivale, dell’Orda d’Oro, svincolò numerosi gruppi di Mongoli turchi che si insediarono nella penisola dell’Anatolia, dando luogo alla creazione di sultanati ghazi (“guerrieri”), spinti da un forte


sentimento mistico di jihad. Da questo complesso individualismo sorgeranno realtà di una certa importanza, come il sultanato degli Aydinidi e le due confederazioni turcomanne degli Ak Koyunlu (della Pecora Bianca), sunniti, e quelle dei Kara Koyunlu (della Pecora Nera), sciiti che, tra il XIV e il XV secolo, si contesero la zona compresa tra l’Anatolia orientale e la Persia occidentale. Nel frattempo, le coste dell’Anatolia si riempirono di corsari turchi, tra i quali c’erano alcuni membri di tribù provenienti dall’Asia Centrale. Intanto avanzavano in Anatolia i veri nuovi protagonisti della storia dell’Islam nel Mediterraneo: una tribù turca, quella degli Ottomani, che nella terza decade del XII secolo, spinta dall’Asia centrale fino a ovest, dall’espansione dei Mongoli, si era posta al servizio del sultano selgiuchide di Konya (Iconio), che assegnò a coloro che si erano integrati nella nuova tribù un piccolo territorio, non lontano da Costantinopoli. Verso la fine del XIII secolo, il loro khan Osman, o Othman (1291-1326), approfittò della crisi del sultanato di Konya, attanagliato tra i Mongoli della Persia e i

Mamelucchi d’Egitto. Il suo successore, Orhan, spogliò gradualmente l’impero della regione di Bitinia, occupando le città di Bursa (l’antica Prusa), Iznik (l’antica Nicea), Nicomedia e per ultima anche Gallipoli, sulla costa europea dei Dardanelli, con cui si assicurava il controllo degli stretti e l’accesso alla penisola balcanica. Orhan avanzò nei Balcani, impossessandosi nel 1361 di Adrianopoli (ora Edirne), in cui il suo successore, Murad I, stabilì la nuova capitale, facendo chiaramente intendere di volersi dirigere in futuro verso la pianura del Danubio e il litorale adriatico. Alla corte del sultano nasceva, nel frattempo, un fiorente centro culturale. In questo centro si promuoveva la creazione di opere letterarie in turco, soprattutto di carattere epico e, in tal modo, la lingua turca si trasformò, dopo l’arabo e il persiano, in quel terzo elemento di un fenomeno che in seguito verrà definito come il “treppiedi linguistico” islamico. Dal punto di vista militare invece, la nuova potenza si stava organizzando intorno al corpo della “nuova milizia” (yeniçeri): i terribili e leggendari Giannizzeri.

ARTE TIMURIDE.

A Samarcanda, la città natale di Tamerlano, si trova il mausoleo di Gur-e Amir, dove riposano i resti del conquistatore, dei suoi figli e di due nipoti. L’edificio riveste una grande importanza architettonica in quanto precursore del grande mausoleo di Humayun a Delhi e del Taj Mahal ad Agra.

143


DALL’EGITTO ALL’ASIA CENTRALE

Dopo i sultanati di Ohran (1326-1359) e Murad I (1359-1389), il successore di quest’ultimo, Bayezid (1380-1402), sconfisse i Serbi nella battaglia del Kosovo nel giugno del 1389. Nel frattempo, gli Ottomani avevano quasi terminato di espugnare la Valacchia, la Bulgaria, la Macedonia e la Tessaglia, conquistando nel 1394 Salonicco e sconfiggendo due anni più tardi, nel 1396, nella battaglia di Nicopoli, un impressionante esercito crociato.

La conquista di Costantinopoli Arrivati a questo punto si produsse un miracolo, o qualcosa che venne definito tale. Un principe turano di Transoxiana, Timur, conosciuto in Occidente come Tamerlano, approfittando della disgregazione dell’impero mongolo, sembrò concretizzare il sogno di far resuscitare l’antico potere di Gengis Khan. Dalla sua terra natia, Samarcanda, intraprese nell’ultimo decennio del secolo una serie di campagne militari, durante le quali si impadronì della Persia e della Georgia, occupando i grandi centri commerciali di Tabriz e Tiflis (l’attuale Tbilisi). Successivamente sferrò un attacco 144

alla Mesopotamia ed entrò a Baghdad nel 1392, arrivò fino alla Siria e sconfisse il sultano di Aleppo. Nel 1395 ottenne la vittoria in una battaglia contro il sultano dell’Orda d’Oro e, dirigendosi verso Oriente, condusse le truppe fino all’Indo, distruggendo Delhi nel 1398. Di ritorno in Siria, raggiunse Damasco, continuò la sua avanzata verso il nord e vinse contro gli Ottomani nel 1402 nella battaglia di Ankara. Malgrado ciò, nell’anno 1405, rientrato a Samarcanda mentre si stava preparando per attaccare la Cina, morì improvvisamente e il suo impero si divise in svariati territori in lotta tra loro. Il fallimento del sogno imperiale di Tamerlano permise agli Ottomani di riorganizzare il loro sultanato tra i Balcani e l’Anatolia. In questo modo, nel 1453, il sultano ottomano Maometto II conquistò Costantinopoli, ponendo così fine all’impero bizantino. L’impresa, che fu chiamata “timuride” dai successori di Tamerlano, non si arrestò dopo la morte del grande conquistatore. Alcuni missionari erano già arrivati a Xinjiang, nel Turkestan orientale, dove le regioni di Tarim, di Turfan e di Kashgar


divennero lo scenario di una profonda islamizzazione. Una posteriore diffusione dell’Islam in India, specialmente nelle regioni nordoccidentali, fu dovuta anche all’azione dei successori di Tamerlano che, dall’Afghanistan, intrapresero la conquista di quei territori, arrivando a fondare quello che poi sarebbe diventato l’impero mongolo.

L’espansione in Africa Lo studio della storia dell’espansione musulmana nel continente africano a sud dell’Egitto, Sudan, Ifriqiya e del Maghreb è difficoltoso a causa della carenza di fonti anteriori ai secoli XV e XVI. Sappiamo che dai secoli VII e VIII ci furono tentativi di penetrazione sia commerciali che militari, che partivano dal sud della penisola arabica, dallo Yemen, in direzione della Somalia ed Eritrea, e dal Maghreb e Marocco, seguendo le strade dell’oro, dell’avorio e degli schiavi, fino all’Etiopia. Le fonti arabe narrano di un sultanato che regnò nella regione del lago Ciad, in Kanem-Bornu, dopo la conversione delle popolazioni locali e sotto l’influenza dei colonizzatori provenienti dal nord. Si narra

anche di una dinastia “bianca” che pare abbia mantenuto il potere tra i secoli XI e XIII e fosse originaria del Fezzan (regione della Libia), ma la documentazione non lo attesta sufficientemente. Nel versante orientale del continente si formarono comunità musulmane, soprattutto costiere e insulari, più numerose tra il Corno d’Africa e il Madagascar, così come a Zanzibar, per motivi commerciali e grazie al contributo, storicamente poco probabile, di commercianti persiani, gli shirazi, che diffusero i loro centri lungo le coste africane del Sudan e della Tanzania. Sicuramente esisteva una lingua locale, di matrice araba, lo swahili, che si era sviluppata dal secolo XIV, quando cominciarono a crearsi confederazioni di città o di tribù tra Aden e la costa somala. Nel secolo XV, un vero sultanato apparso a Mogadiscio rappresentava un chiaro pericolo per la vicina Etiopia, di religione cristiana. La diffusione dell’arabo e dello swahili in quasi tutto il continente è una prova dell’influenza esercitata, anche se più difficoltosa fu la fondazione di istituzioni pubbliche musulmane vere e proprie.

LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI.

La conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453, che implicò la fine dell’impero bizantino, significò anche la fine di una serie di assedi che erano iniziati diversi secoli prima. In alto, dettaglio di un affresco della chiesamonastero di Moldovita in Romania, che rappresenta l’assedio della città da parte degli Avari e degli Slavi nell’anno 626.

145


146


APPENDICI Origine ed espansione dell’Islam Cronologia comparata: Islam, Europa, Altre civiltà Elenchi dinastici Bibliografia Indice analitico Immagini

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148 150 152 154 155 159

NELLA PAGINA ACCANTO. Minareto e resti della moschea di Quwwat-ul-Islam, a Delhi, costruita da Qutb-al-din Aybak,

primo sultano di Delhi (1206 e 1210), fondatore della dinastia dei Mamelucchi.

147


APPENDICI

ORIGINE ED ESPANSIONE DELL’ISLAM

Poitiers

OCEANO AT L A N T I C O

Venezia Genova Marsiglia

Narbona

Balc Ravenna

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D an ub io

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León Corsica

Roma Costantinopoli

Saragozza

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148

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Sotto sovranità abbaside Sotto controllo diretto nell’anno 900 Massima espansione del califfato abbaside Califfato di Cordova verso l’anno 1000 Dinastia buwayhide Dinastia samanide Sotto controllo fatimide Sotto sovranità fatimide Iman zaiditi Vie principali di pellegrinaggio Impero bizantino Z I R I D I Dinastie musulmane

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149


CRONOLOGÍA COMPARADA

CRONOLOGIA COMPARATA ISLAM 570-632

632-661

661-750

• Nascita di Muhammad Ibn Abd Allah (Maometto) a La Mecca • Inizio della predicazione a La Mecca • Esilio (ègira) di Maometto e dei suoi seguaci della Mecca a Medina • Inizio dell’era islamica • Scontri tra i seguaci di Maometto e le tribù della Mecca • Maometto conquista La Mecca • Conquista della penisola arabica • Morte di Maometto

Nomina del successore di Abu Bakr •e inizio del califfato

• Fine del califfato elettivo e nascita della dinastia omayyade • Capitale del califfato a Damasco • Espansione verso Oriente, fino all’Hindu Kush, il lago Aral, Kabul e l’Uzbekistan • Gli Arabi sconfiggono i Cinesi sulle rive del fiume Talas • Conquista dell’Ifriqiya • Invasione della Penisola Iberica • Incursioni in Gallia e nascita del mito della battaglia di Poitiers • Assedio fallito di Costantinopoli

Conquista araba della Siria, •di Gerusalemme, Egitto e Persia navale contro • Vittoria Bisanzio organizzazione •deiPrima territori sottomessi Assassinio del califfo •Othman

• Assassinio di Alì, genero di Maometto • Crisi politica e scissione tra sunniti e sciiti

14-

EUROPA 570-632

632-661

661-750

• Conquista longobarda dell’Italia • Consolidamento dei Visigoti in Spagna

• Editto longobardo di Rotario in Italia Lex Visigothorum di Recesvindo •in Spagna

• Regni anglo e sassone in Britannia Consolidamento della dinastia •franca degli Arnulfidi-pipinidi

• Papato di san Gregorio Magno • Regno di Dagoberto I

• Contrazione demografica e diffusione dell’economia curtense • Perdita dell’egemonia da parte delle grandi città • Crescente importanza delle relazioni di vassallaggio

Fatti culturali:

• Nascita del monachesimo benedettino • San Colombano fonda i monasteri di Luxeuil e Bobbio • Tesoro di Sutton Hoo

(in seguito, Carolingi)

• Scontri tra Franchi e Longobardi in Italia arabo-berbera •delConquista regno dei Visigoti Martello sconfigge •gliCarlo Arabi a Poitiers

Fatti culturali:

Fatti culturali:

• “Grecizzazione” e declino del latino a Bisanzio

• Muore Beda il Venerabile

ALTRE CIVILTÀ 570-632

632-661

661-750

Africa: Fine dell’impero dello •Zimbabwe

Africa: Inizio dell’islamizzazione del •Sudan: compresenza tra il Cristianesimo

• Africa: Impero del Ghana • Decadenza del regno di Axum • America: Decadenza della civiltà nazca • Crescita della civiltà maya in Guatemala Asia: Massima espansione dell’impero •cinese

• Apogeo del regno di Axum America: Declino della civiltà •di Nazca Asia: La dinastia Tang unifica •la Cina Conflitti a causa •dell’introduzione del buddismo in Giappone

150

etiope e la diffusione dell’Islam

Antico impero dei Maya •in America: Guatemala

• Asia: Impero Harsha in India La Sogdiana sotto la protezione •della Cina dei Tang

• Inizio dell’epoca nara in Giappone


750-1000

1000-1291

1291-1492

• Consolidamento della dinastia abbaside • Trasferimento della capitale a Baghdad • Creazione di un emirato e, in seguito, di un califfato omayyade a Cordova • Disgregazione dell’unità politica dell’Islam e nascita di dinastie indipendenti • Pirateria ed espansione per il Mediterraneo • Consolidamento dei Fatimidi sciiti in Egitto

• Declino del califfato di Cordova Nascita del regno latino •di Gerusalemme

• Caduta di Acri, ultima piazzaforte cristiana in Palestina • Ascesa e crisi del sultanato mamelucco • Avanzata dell’Islam verso il sud-est asiatico • I Portoghesi conquistano Ceuta • Conquista ottomana dei Balcani • Conquista ottomana di Costantinopoli • Conquista di Granada per mano dei Re Cattolici

750-1000

1000-1291

1291-1492

• Incoronazione di Carlo Magno e nascita del Sacro romano impero germanico • I Danesi invadono l’Inghilterra • Trattato di Verdun e divisione dell’impero carolingio • Incoronazione di Ottone I di Sassonia • Dinastia dei Capetingi in Francia

• Scisma tra la Chiesa di Oriente e Roma gregoriana e nascita •delRiforma papato moderno

• Costituzione del parlamento inglese in due camere e controllo sul potere del sovrano • Consolidamento della corona aragonese nel Mediterraneo • Guerra dei Cento Anni • Trasferimento del papato ad Avignone e gran scisma d’Occidente • Sviluppo dello Stato della Chiesa • Scoperta del Nuovo Mondo

Fatti culturali:

• Costruzione della cappella palatina di Aquisgrana • Fondazione di Cluny

Riconquista sunnita dell’ Egitto con •la dinastia ayyubida Nascita dell’impero mongolo •e conversione all’Islam nella Penisola • Consolidamento Iberica di Almoravidi e Almohadi Importanti riconquiste •cristiane in Spagna e in Italia meridionale di Baghdad •daConquista parte dei Mongoli e fine del califfato abbaside

• Le crociate della dinastia • Consolidamento di Svevia con Federico I

e Federico II Federico I Barbarossa •imperatore Fatti culturali: Vengono fondati gli •ordini cistercense e

templare

Fatti culturali:

• Invenzione dei caratteri tipografici e nascita della stampa

750-1000

1000-1291

1291-1492

Guerre tra Toltechi e Maya •edAmerica: emigrazione di questi ultimi nello

Africa: Nascita dei regni •di Kanem, Darfur e Kordofàn

Africa: Consolidamento del regno di •Mali; distruzione di Timbuctù; relazioni

Asia: Fine della dinastia Tang e •disgregazione dell’impero in regni

• America: Espansione inca Asia: La dinastia Song •ristabilisce l’unità in Cina;

Consolidamento azteco •conAmerica: capitale a Tenochtitlàn

Yucatan, dove nasce il nuovo impero maya

• Primi libri stampati in Cina Crescita nel sud-est asiatico dell’impero •khmer fino alla prima metà del secolo XV

• Sultanato mamelucco a Delhi

del periodo heian in Giappone, •conInizio capitale a Kyoto

• Frammentazione politica e affermazione del potere

conquista di Kublai Khan

degli Shogun in Giappone

diplomatiche tra l’Europa e l’Etiopia; prima colonizzazione portoghese

Asia: Consolidamento della dinastia •autoctona dei Ming, trasferimento della capitale a Beijing e costruzione della Città Proibita

• Guerre civili in Giappone

151


APPENDICI

ELENCHI DINASTICI CALIFFI OMAYYADI DI DAMASCO Muawiya Ibn Abi Sufyan Muawiya Ibn Yazid I Muawiya Ibn Yazid II Marwan I (Marwan Ibn al Hakam) Abd al-Malik Ibn Marwan Walid I (Al Walid Ibn Abd al-Malik) Solimano I (Sulaiman Ibn Abd al-Malik) Omar II Ibn Abd al-Aziz Yazid II Ibn Abd al-Malik Hisham Ibn Abd al-Malik Walid II (Al Walid Ibn Yazid) Yazid III Ibn al Walid Ibrahim Ibn al Walid Marwan II al Himar

661-680 680-683 683-684 684-685 685-705 705-715 715-717 717-720 720-724 724-743 743-744 744 744 744-750

EMIRI OMAYYADI DI CORDOVA Abd al-Rahman I (Abd al-Rahman Ibn Muawiya) Hisham I Ibn Abd al-Rahman Al Hakam I (Al Hakam I Ibn Hisham) Abd al-Rahman II (Abd al-Rahman Ibn al Hakam) Muhammad I Ibn Abd al-Rahman Al Mundir Ibn Muhammad Abd Allah Ibn Muhammad Abd al-Rahman III (Abd al-Rahman Ibn Muhammad)

756-788 788-796 796-822 822-852 852-886 886-888 888-912 912-929

CALIFFI OMAYYADI DI CORDOVA Abd al-Rahman III (Abd al-Rahman Ibn Muhammad) 929-961 Al Hakam II Ibn Abd al-Rahman 961-976 Hisham II Ibn al Hakam 976-1009 Muhammad II al Mahdi 1009-1010 Hisham II (2° califfato) 1009-1010 Al Mustain (Sulayman ibn al-Mustain) 1010 Hisham II (3° califfato) 1010-1013 Al Mustain(2˚califfato) 1013-1016 Alì Ibn Hamud (hammudide) 1016- 1018 Abd al-Rahman IV (Abd al-Rahman Ibn Muhammad) 1018 Al Qasim al Mamun (hammudide) 1018-1021 Yahya al Mutali (hammudide) 1021-1023 Al Qasim al Mamun (hammudide, 2˚califfato) 1021-1023 Abd al-Rahman V (Abd al-Rahman Ibn Hisham) 1023-1024 Muhammad III Ibn Abd al-Rahman 1024-1025 Yahya al Mutali (hammudide, 2˚califfato) 1025-1026 Hisham III Ibn Muhammad 1027-1031

CALIFFI ABBASIDI Abul-Abbas al Saffah al-Mansur al-Mahdi 152

750-754 754-775 775-785

al-Hadi al-Rashid al-Amin al-Mamun al-Mutasim al-Wathiq al-Mutawakkil al-Muntasir al-Mustain al-Mutazz al-Muhtad al-Mutamid al-Mutadid al-Muktafi al-Muqtadir al-Qahir al-Radi al-Muttaq al-Mustakfi al-Muti al-Tai al-Qadir al-Qaim al-Muqtad al-Mustazhir al-Mustarshid al-Rashid al-Muqtafi al-Mustanjid al-Mustadi al-Nasir al-Zahir al-Mustansir al-Mustasim

785-786 786-809 809-813 813-833 833-842 842-847 847-861 861-862 862-866 866-869 869-870 870-892 892-902 902-908 908-932 932-934 934-940 940-944 944-946 946-974 974-991 991-1031 1031-1075 1075-1094 1094-1118 1118-1135 1135-1136 1136-1160 1160-1170 1170-1180 1180-1225 1225-1226 1226-1242 1242-1258

CALIFFI ABBASIDI D’EGITTO al-Mustansir al-Hakim I al-Mustakfi I al-Wathiq I al-Hakim II al-Mutadid I al-Mutawakkil I al-Wathiq II al-Mutasim al-Mutawakkil I al-Mustain al-Mutadid II al-Mustakfi II al-Qaim al-Mustanjid al-Mutawakkil II al-Mustamsik al-Mutawakkil III

1261-1262 1262-1302 1302-1340 1340-1341 1341-1352 1352-1362 1362-1383 1383-1386 1386-1389 1389-1406 1406-1414 1414-1441 1441-1451 1451-1455 1455-1479 1479-1497 1497-1508 1508-1517


EMIRI ALMORAVIDI Abu Bakr Ibn Omar Yusuf Ibn Tashfin Alì Ibn Yusuf Ibn Tashfin Tashfin Ibn Alì Ibrahim Ibn Tashfin Ishaq Ibn Alì

SULTANI NASRIDI 1055-1061 1061-1106 1106-1143 1143-1145 1145-1145 1145-1147

CALIFFI ALMOHADI Muhammad Ibn Tumart Abd al-Mumin Abu Yaqub Yusuf Abu Yusuf Yaqub al-Mansur Muhammad al-Nasir Abu Yaqub II al-Mustansir Abd al-Wahid al-Makhlu Abu Muhammad al-Adil Abu al-Ala Idris al-Mamun Yahya al-Mutasim Abu Muhammad Abd al-Wahid al-Rashid Abu al-Hasan al-Said al-Mutadid Abu Hafs Umar al-Murtada Abu al-Ulà al-Wathiq Idris

?-1130 1145–1163 1163–1184 1184–1199 1199–1213 1213–1223 1223 1223–1227 1227–1233 1227–1229 1233–1242 1242–1248 1248–1266 1266-1269

CALIFFI FATIMIDI Al Mahdi (Abu Muhammad Abdullah) 909-934 Al Qaim (Abulqaim Muhammad) 934-946 Ismail al Mansur (Abu Tahir Ismail al Mansur binasri-llah) 946-953 Al Muizz (Abu Tamim Maad al Muizz) 953-975 Al Aziz (Abu Mansur Nizar al Aziz bi Allah) 975-996 Al Hakim (Abu Alì al Mansur al Hakim) 996-1021 Abu Hassan Alì al Zahir li Izaz Din Allah 1021-1036 Abu Tamim Maad al Mustansir bi-llah 1036-1094 Al Mustali bi-llah 1094-1101 Al Amir bi Ahkam Allah 1101-1130 Abd al-Mahid al Hafiz 1130-1149 Al Zafir 1149-1154 Al Faiz 1154-1160 Al Adid 1160-1171

SULTANI AYYUBIDI D’EGITTO Saladino (An Nasir Salah ad Din Yusuf Ibn Ayyub) 1171-1193 Al Aziz 1193-1198 Al Mansur 1198-1200 Al Adil I 1200-1218 Al Kamil 1218-1238 Al Adil II 1238-1240 Al Salih Ayyub 1240-1249 Turanshah 1249-1250 Al Ashraf II 1250-1254

Muhammad I Ibn Nasr Muhammad II al Faqih Muhammad III Nasir Ismail I Muhammad IV Yusuf I Muhammad V Ismail II Muhammad VI Muhammad V (2˚ regno) Yusuf II Muhammad VII Yusuf III Muhammad VIII Muhammad IX Muhammad VIII (2˚ regno) Muhammad IX (2˚ regno) Yusuf IV Muhammad IX (3˚ regno) Yusuf V Muhammad X Muhammad IX (4˚ regno) Muhammad XI Said Yusuf V (2˚ regno) Abu al-Hassan Alì “Muley Hacen” Muhammad XII, “Boabdil” Abu al-Hassan Alì “Muley Hacen” (2˚ regno) Muhammad XIII, “lo Zagal” Muhammad XII, “Boabdil” (2˚ regno)

1238-1272 1273-1302 1302-1309 1309-1314 1314-1325 1325-1333 1333-1354 1354-1359 1359-1360 1360-1362 1362-1391 1391-1392 1392-1408 1408-1417 1417-1419 1419-1427 1427-1429 1430-1431 1432 1432-1445 1445-1446 1446-1448 1448-1453 1453-1454 1454-1464 1462 1464-1482 1482-1483 1483-1485 1485-1486 1486-1492

ATABEG ZENGIDI Imad ad-din Zenghi I

1127-1146

di Mossul Sayf al-Din Ghazi I Qutb al-Din Mawdud Sayf al-Din Ghazi II Izz al-Din Masud I Nur al-Din Arslan Shah I Izz al-Din Masud II Nur al-Din Arslan Shah II Nasir al-Din Mahmud Badr al-Din Lulu

1146-1149 1149-1170 1170-1180 1180-1193 1193-1211 1211-1218 1218-1219 1219-1234 1234-1259

di Aleppo Imad al-Din Zenghi I Nur al-Din Mahmud al-Malik al-Salih Ismail Imad al-Din Zenghi II

1128-1146 1146-1174 1174-1181 1181-1183 153


APPENDICI

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INDICE ANALITICO A

Abbadidi 72 Abbasidi 44, 52-55, 62, 68, 75, 78, 85, 86, 122, 126, 130 Abd Allah Abu Hafs 73 Abd Allah Ibn Ibad 55 Abd Allah Ibn Muizz 52, 55, 58, 61, 62, 64, 108 Abd Allah (padre di Maometto) 18 Abd al-Malik 42, 47, 74 Abd al-Rahman Ibn Abd Allah al Gafiqi 50 Abd al-Rahman Ibn Rustum 55 Abd al-Rahman I 85, 88, 89 Abd al-Rahman II 59, 86, 88, 89 Abd al-Rahman III 53, 64, 65, 67-69, 71, 72, 74, 86-88, 115, 118 Abd al-Rahman IV 67 Abd al-Rahman V 67 Abd al-Rahman Sanchuelo 70, 72 Abdalhaq 110 Abdalmunin 104 Abissinia 136 Abramo 16, 17, 19, 30, 34 Abu Abd Allah al-Shii 62 Abu Abd Allah Ibn Battuta 142 Abu al-Hasan Ibn Othman 106 Abu Bakr al Sidiq 20-22, 25, 26, 28, 29, 42 Abu Muslim 53 Abu Numai 111 Abu Talib 18, 20, 22 Abu Yaqub II al Mustansir 106 Abu Yaqub Yusuf 104 Abu Yazid 62 Abu Yusuf Yaqub al-Mansur 104, 105, 106 Abu Yusuf Yaqub Ibn Abdalhaq 106, 110 Abul-Abbas al Saffah 53 Abul-Qasim al Hassan 64 Acri 127, 129, 133, 134 Adelchi di Benevento 92 Aden 63, 145 golfo 14 Adriano, Publio Elio (imp.) 21 Adrianopoli (Edirne) 143 Afgani 42 Afghanistan 24, 77, 78, 138, 139, 145 Africa 14, 24, 42, 46, 47, 56, 58, 64, 65, 70-72, 74, 75, 78, 80, 82, 83, 92, 94, 101, 102, 104, 108, 134, 136, 142, 145 Aftasidi 72 Agar (moglie di Abramo) 30, 34, 56 Agareni vedi Saraceni Agila II 47 Aghlabidi 55-59, 62, 63, 94 Agra 143 Taj Mahal 143 Agrigento 64, 94 Ahmad al Akhal 64, 73 Ahmad Ibn Tulun 134 Ain Jalut, battaglia di 133, 134 Aisha (moglie di Maometto) 21, 22, 27, 28, 39 Akroinon, battaglia di 52

Aksum 15 Al Adid (califfo d’Egitto) 126, 128 Al Adil I (Safedino) 129 Al Amin 53 Al Aziz 60, 62 Al Biruni 36, 108 Cronologia delle nazioni antiche 108 Libro delle vestigia superstiti dei secoli passati 36 Al Farabi 82 Al Gazali (Algazael) 76 Al Hadi 53 Al Hakam II 55, 67, 71, 88, 89, 115 Al Hakim 60, 130, 131 Al Hariri 34, 57, 58, 78, 142 Maqamat 34, 57, 58, 78, 142 Al Hayat 42 Al Hira 15 Al Hurad 18 Al Idrisi 54, 95 Al Kalabadi 77 Al Kamil Muhammad al Malik 132 Al Khwarizmi 82, 83 Kitab surat al-ar 83 Al Lat 17, 18 Al Madina vedi Medina Al Mahdi (califfo abbaside) 53 Al Mamun 53 Al Maqqari 67, 87 Al Manat 17, 18 Al Muguira 69 Al Muizz 62, 63, 70 Al Muizz Aibak 134 Al Muizz Ibn Badis 64 Al Mukhtar 42 Al Mustain 67 Al Mutaman 100 Al Mutamid 102 Al Muyahid al Amiri al Muwafaq 94, 95 Al Qadir 101 Al Qaid Ibn Hammad 74 Al Qaim 62 Al Qalaa 74 Al Qasim al Mamun 67, 74 Al Qasu 21 Al Qairauan vedi Kairouan Al Salih Ayyub 133 Al Uza 17, 18 Al Wasiti 34, 142 Al-Andalus 50, 54, 63-67, 70, 72, 74, 80, 85, 86, 87, 102, 104, 106, 108, 119 Al-Ashraf Khalil 134 Al-Hurr ibn Abd al-Rahman alThaqafi 85 Al-Mansur (califfo abbaside) 53 Al-Mansur Ibn Buluggin 73, 74 Al-Mutasim 53, 134 Al-Mutawakkil 53, 134 Al-Qadisiyya, battaglia di 55 Al-Samh ibn Malik 50, 85 Al-W thiq (Al Waziq) 53 Alamut, fortezza di 131 Alarcos, battaglia di 104, 105, 110 Alcazaba 59 moschea maggiore 59 Alessandria 20, 26, 59, 73, 80, 135 Alessandro II (papa) 100

Alessandro VI 99 Alessandro Magno 24, 79, 136 Aleppo 76, 80, 124-126, 128, 131, 132, 144 Alfonso VI di Castiglia e León 72, 100-103 Alfonso VII di Castiglia e León 112 Alfonso VIII di Castiglia 104, 105 Alfonso X il Saggio 106, 108, 112 Libro de los juegos 112 Algarve 105, 134 Algeciras 72 Alhama di Granada 113 Alì 17, 18, 23, 26, 28, 31, 36, 40, 76, 87, 119 Alì Ibn Abi Tarib 20, 22, 25, 26, 28, 29, 39-42, 52, 53, 126 Alì Ibn Hamud 67 Almanzor (Muhammad Ibn Abi Amir Al-Mansur) 66, 67, 70-72, 88, 94, 98 Almería 59, 65, 66, 70, 102, 104, 108 Almogavari 108 Almohadi 104-106, 111, 114 Almoravidi 54, 72, 101-104, 108 Alp Arslan 122 Alvar Fañez 101 Amalrico I di Gerusalemme 126 Amman 46 Amina (madre di Maometto) 18 Amiridi 72 Amorrei 44 Anacleto II (papa) 97 An Nasir Ibn Qalawn 133, 134 Anastasio III il Bibliotecario 20 Cronografia tripartita 20 Ankara, battaglia di 144 Antiochia 24, 26 Ak Koyunlu (Turcomanni della Pecora Bianca) 143 Aquitania 50 Arabia 13-17, 19, 28, 58, 80, 128 Arabia Felix 14, 15, 17 vedi anche Medina; vedi anche Yemen Arabo-berberi 47, 50, 56, 71, 98 Aragona 50, 72, 100, 103, 105, 108-110, 113 Aragonesi 51, 104, 108, 113 Ardashir I 24 Arduino il Calvo 95 Algeri 63 Algeria 46, 55, 64, 102, 110, 111 Ariosto, Ludovico 51 Orlando furioso 51 Aristotele 104 Arles 50 Armenia 24, 136 Arsacidi 15 Ascalona 124 Asia centrale 58, 76, 121, 122, 134, 136, 138, 143 Astarte 18 Asturi 72 Asturie 50, 72, 98 Austrasia 50 Autun 50 Avari 24, 122, 145 Avempace 54 Averroè 54, 104

Avicenna 76, 82 Avignone 50 Ayas 134 Aydin, sultanato di 143 Ayyubidi 127, 130, 132, 133 Azerbaigian

B

Baal 44 Baalbek 14 Badajoz 72, 100-102 Badis Ibn Habus 109 Baghdad 18, 27, 29, 53, 61, 63, 66, 68, 76-80, 82, 85, 86, 88, 102, 108, 111, 121, 122, 124- 126, 138, 142, 144 Bahira 18, 20 Bahiridi 133, 134 Balcani 24, 143, 144 Balduino IV di Gerusalemme 127 Baleari, isole 59, 94, 109, 110 Baybars I 133, 134 Banu Abdaluad 111 Banu Ganiya 106 Banu Hashim (Hashemiti) 18 Barbastro 99, 100 Barcellona 65, 66, 72, 74, 100, 109, 110, 123 Bahrein 80 Bari 59, 91, 92, 94 Barkiaruq 122 Barquq 133 Barsbay 135 Bartolomeo l’Apostolo 58 Basilio I il Macedone 91 Bassopiani di Tolosa, battaglia dei 105, 106, 110 Bassora 39, 76, 78, 80, 86 Batu Khan 137, 138 Bayezid I 144 Beato di Liebana 71, 98 Commentari dell’Apocalisse 71, 98 Beduini 14-17, 22, 23, 78, 86-88, 106, 110 Belucistan43 Benevento 58, 91, 92, 94 Berberi 24, 42, 46, 47, 50, 54, 56, 62, 64, 68, 70-73, 85, 98, 106, 110 Berengario II d’Italia 92 Berenguer Ramon II 100 Betica 85 Bibbia 17, 18, 32, 58 Bitinia 143 Bisanzio 15, 24, 25, 27, 39, 46, 52, 57, 59, 80, 92, 136 Bizantini 15, 16, 24, 43-47, 52, 56, 59, 67, 73, 85, 88, 91, 92, 94, 96-98, 112 Boabdil (Abu Abd Allah Muhammad Ibn Alì) 108, 113 Bobbio 83 Boccaccio, Giovanni 130 Bohemia 137 Borgogna 50, 101 Borjigin 138 Borneo 142 Bosra 14, 18 Breviarium Apostolorum 98 Buddha 78 155


APPENDICI

Buddismo 136 buddista 32, 36, 78 Bugia 75, 106 Bukhara 43, 76, 82, 137, 139 Bulgari 122 Bulgaria 137, 144 Buluggin Ibn Ziri 70, 73, 74 Burgos 71, 88, 103 Bursa 143 Buridi 133, 134 Buwayhidi 76

C

Capo Colonna, battaglia di (o battaglia di Stilo) 94 Cairo, Il (Al Qaira) 60 Calabria 58, 93, 94, 97 Calatañazor, castello di 66 Calatayud 66 Camargue 50 Cambaluc (Pechino) 138 Cambogia 142 Cammello, battaglia del 39 Campania 92-94 Cantabri 72 Capua 94 Caracalla, Marco Aurelio Antonino (imp.) 24, 118 Carcassonne 50 Carlo Magno 51, 58, 109 Carlo Martello 50, 51 Carlo V 116-118 Carmati 61, 80 Cartagine 24 Cartaginesi30 Cassano allo Ionio 94 Castiglia 72, 85, 87, 100-106, 110-112 Castigliani 66, 102, 104, 106, 108, 110, 111, 114 Castronovo 64 Catalani 72, 113 Catalogna 50, 74, 83, 109, 110 Catania 64, 95 Catanzaro 93 Caucaso 51, 58, 80 Cazari 135 Cefalù 96 Celti 71 Centumcellae (Civitavecchia) 58 Cerami 98, 99 Ceuta 65, 72 Ceylon (Sri Lanka) 79, 142 Chagatai, khanato di 139 Chella 106 Cilicia 133, 134 Cina 43, 46, 76, 78-80, 82, 83, 121, 136-139, 142, 144 Grande Muraglia 78 Cipro 27, 46, 59, 134 Circassiani 133 Città dei Morti 135 moschea Al Hakim 60, 130 moschea di Al Azhar 62 Clavijo, battaglia di 98, 99 Codice Emilianense 71 Concilio di Toledo (694) 47 Corrado III di Germania 126 Costante II Pogonato (imp.) 27, 46, 51 Costantino Leone Opo 73 Costantino V Copronimo (imp.) 52 Costantinopoli 24, 26, 40, 51-53, 66, 67, 85, 88, 91, 94, 122, 126, 143-145 156

Costanzo I (imp.) 20 Corano 12, 18, 19, 21, 29, 31-36, 42, 76, 77, 80, 104, 112, 121, 131 Corasmia 76, 133, 137, 139 Cordova (Qurtuba) 32, 47, 50, 53, 55, 64-72, 74, 82, 85-88, 92, 99, 102-105, 108 basilica di San Vicente 85, 88 califfato 32, 64-66, 71, 72, 74, 99 moschea 85-89, 102 Corea 79, 137 Coria 102 Coromandel 142 Corsica 58, 94 Cosenza 94 Cosroe II 24, 25 Creta 59 Cristiani 15, 16, 20, 26, 31, 32, 36, 40, 46, 47, 50, 55, 57-59, 64, 66, 71, 72, 80, 83, 85, 87, 92, 94, 98-105, 108, 112, 113, 123, 124, 133 Ctesifonte 24, 26, 27 palazzo reale 27 Corno d’Africa 80, 142, 145 Cuenca 103 Curdi 124, 133

D

Damasco 15, 22, 29, 33, 40, 42, 44, 53, 126-130, 132, 144 Grande moschea 44, 129 Chiesa di San Giovanni Battista 42, 44 Damieta 132, 135 Danesi 106 Danishmend Gazi 122 Danishmendidi 122 Dante Alighieri 20, 130 Divina commedia 20 Daulatabad (Devagiri) 139, 142 Decan 139 Delhi 139, 144 mausoleo di Humayun 143 sultanato 139 Denia 94, 95 Diogo Homem 136 Dioscoride Anazarbeo, Pedanio 108 Diyarbakir 132 Drusi 42, 130, 131

E

Edessa (Urfa) 124, 125 Edomiti 16 Egica 47 Egitto 16, 26, 29, 42, 46, 56, 61-64, 66, 70, 73, 74, 78, 80, 104, 111, 126-128, 130, 132-135, 143, 145 Egizi 26, 42, 46, 63, 134 Enna 64 Enrico di Borgogna 101 Eraclio (imp.) 24, 25, 51 Ermanno il Dalmata 83, 112 Erode I il Grande 20 Erode Agrippa 98

F

Fatima al Masuma 18, 22, 28-30, 35, 40, 42, 61, 126 Fatimidi 38, 54, 60, 62-64, 73, 74, 94, 96, 126, 128, 130, 131 Federico I Barbarossa 127, 132 Federico II Hohenstaufen 111, 133 Ferdinando il Cattolico 113

Ferdinando I di Castiglia e León 100 Ferdinando III il Santo 85, 87, 105, 106, 108 Fez 54, 55, 62, 70, 102, 104, 110 Fezzan 145 Filippo II Augusto 127 Finike, battaglia di 27, 46 Firdusi 76 Francesco d’Assisi 132 Francia 50, 57, 100, 105, 126, 127, 132 Franchi 50, 51, 64, 72, 75, 91, 92, 94, 103, 124, 125, 127 Frassineto 94 Fulberto di Chartres 82 Fustat 62, 63, 104

G

Gaglieghi 72 Galilea 125, 127 Galizia 98, 101 Gallia 47, 50 Gallipoli 94, 143 Gandhara 77 Garfagnana 94 Garrucha, Tesoro di 60 Ghassanidi (Banu Ghasan) 14, 15 Ghaznavidi 77, 139 Geber (Jabir Ibn Hayyan) 82 Gengis Khan 122, 134, 136-139, 144 Genova 94, 108, 110, 111, 123, 134 Genovesi 94, 124, 134 Georgia 144 Gerace 94 Gerardo da Cremona 112 Gerberto d’Aurillac vedi Silvestro II (papa) Gerusalemme 14, 19, 21, 22, 24, 26, 29, 47, 56, 98, 103, 105, 123-129, 133 Cupola della Roccia 19, 47 piazzale della Moschea 47 tempio 21, 37 Giainisti 78 Giannizzeri 143 Giano 88 Giava 142 Giawhar as-Siqilli 62 Gioacchino di Fiore 20 Giordania 38, 46, 76, 124 Giorgio Sincello 20 Giovanni Battista 42, 44 Giovanni di Gorze 65, 87 Giovanni di Siviglia 112 Giovanni il Presbitero vedi Prete Gianni Giovanni X (papa) 92 Giove 44 Giudaismo 13, 16, 22, 30, 37, 104, 136 Giudea 125 Giudei 16, 18, 21, 32, 47, 55, 56, 58, 59, 80, 83, 104, 112, 133 Giustiniano I il Grande (imp.) 24, 52 Giustiniano II Rinotmeto (imp.) 52 Gnosticismo 131 Gonzalo Fernandez da Cordova 113 Granada 66, 72, 92, 102, 105, 106, 108, 109, 111-115, 118, 119 Alcazaba 115, 117 Alhambra 106, 108, 109, 113-119 Alhambra Alta 117

Belvedere di Lindaraja o di Daraxa 117 Cattedrale 113 Cortile dei leoni 115-118 Generalife 109, 117 Giardino di Daraxa o degli aranci 116 palazzo degli Abenserragi 117, 118 palazzo del Partal 116, 118,119 palazzo di Carlo V 116-118 palazzo di Comares 108, 115-119 palazzo di Ismail 117, 118 patio de la Acequia 117 patio de la Lindaraja patio de los Arrayanes 108, 116-119 plaza de los Aljibes 115 porta del Vino 115 porta della Giustizia 118 porta delle Armi 115, 118 torre della Vela 115, 117 torre de las Damas 117 torre de las Infantas 118 torre de los Picos 118 torre del Cadì 118 torre di Comares 117 Graus 100 Greci 56, 83, 88 Gregorio II (papa) 50 Guadalete, battaglia di 85 guerra di Granada 113 Guiberto di Nogent 20 Dei gesta per Francos 20 Gundi, fortezza di Qalat al- 127 Gundisalvo, Domenico 112 Guride, dinastia 139 Guyarat 139 Guyuk, khan 138

H

Hadad 44 Hafsa (moglie di Maometto) 28 Hafsidi 111 Hamadan 82 Hammad Ibn Buluggin 74 Hammaditi 72, 74, 76 hanafita, scuola 23 hanbalita, scuola 23 Harun al-Rashid 52, 53, 78, 134 Hasan Ibn Alì 28, 40, 42 Hasan Ibn Sabbah (Vecchio della Montagna) 131 Hasan II al Samsam 64, 74 Hatra 18 Hattin, battaglia di 105, 127, 128 Hegiaz 14 Herat 77 Hindu Kush 42, 43 Hisham Ibn Abd al-Malik 42 Hisham II 32, 67, 72 Hisham III 67, 72 Hubal 18 Hulagu Khan 132, 138 Hunain Ibn Ishaq 20 Hussein Ibn Alì 28, 40-42

I

Ibaditi 55 Iblis 17 Ibn Abu Hafs 111 Ibn al-Awwam 108 Kitab al Filaha (Libro dell’agricoltura) 108 Ibn al Hawass 64 Ibn al Thumna 64, 74, 95


Ibn al Yasmin 54 Ibn al Zayn 132 Ibn aq Tiqtaqa 52 Storia delle dinastie 52 Ibn Battuta vedi Abu Abd Allah Ibn Battuta Ibn Gabirol 108 Ibn Hawqal 65, 66, 75 Libro delle vie e dei regni 65 Ibn Juzzayy 142 Ibn Khaldun 54 Ibn Muljam 41 Ibn Qurhub 93 Ibn Tufail (Abentofail) 104 Ibn Tumart 111 Ibn Yulyul 108 Ibrahim Ibn al Walid 42 Idris I 53, 54 Idris II 54 Idrisidi 53-55, 70, 72 Ifriqiya 46, 54, 62-64, 73, 94, 104, 106, 111, 145 Ikshididi 61 Ildeberto di Tours 20 Iliberis 115 Imad ad-din Zenghi 124-126 Impero bizantino 14, 26, 42, 51, 122, 123, 142, 144, 145 Impero cinese 136 Impero corasmio 138 Impero jin 138 Impero mogol 145 Impero mongolo 138, 144 Impero ottomano 35, 133 Impero parto 15, 23, 27 Impero persiano 15, 39, 43, 61 Impero romano 20, 56, 96 Impero romano d’Occidente 136 Impero romano d’Oriente 15, 24, 29 Impero sasanide 24-27, 29 Impero selgiuchide 122 Impero tangut (Xi Xia) 138, 139 Inanna 18 India 14, 58, 77-80, 83, 121, 138, 145 Indostan 122 induisti 36, 78, 80 Inglesi 106 Innocenzo III (papa) 20, 105 Irak 15, 16, 18, 24, 40, 42, 43, 76, 78, 128 Iran 22, 24, 42, 77, 78, 131, 137 Iraniani 42 Isacco 30 Isabella la Cattolica 113 Ischia 58 Ishtar 18 Isidoro di Siviglia 71, 98, 100 Ismail 30, 34, 119 Ismail al Mansur 62 Ismail I di Granada 108, 118 Ismail II di Granada 108 ismailiti 42, 55, 61, 62, 77, 130 Ismailismo 62 Israele 23, 108, 124, 131 Italia 24, 57, 64, 83, 91, 92 Iznik 143

J

Jabir Ibn Hayyan vedi Geber (Jabir Ibn Hayyan) Jadiya (moglie di Maometto) 18,20, 28 Jaén 105 Jaffa 124

Jaime I il Conquistatore 109, 110 Jaime II di Maiorca 109, 110 Jalula 46 Jimena Díaz 103 Jin, dinastia 138, 139 Jurchen 136

K

Kaaba vedi Mecca, La: Kaaba Kahzrag 19 Kairouan (Al Qayrawan) 46, 55, 56, 58, 62, 74, 82, 94 Grande moschea 56 Kaisaniti 41 Kalbiti 64, 74, 94 Kanem-Bornu, sultanato di 145 Kanza (madre di Idris II) 54 Kara Koyunlu (Turcomanni della Pecora Nera) 143 Kara-Khythai, khanato di 136, 138, 139 Karakorum 137, 138 Kashgar 144 Kashmir 137, 139 Keraiti 136 Kerbala moschea dell’imam Hussein 40 Kharigiti, 28, 32, 34, 41, 52, 54, 55, 62, 130 Kharigismo 22, 32, 54, 55 Khilji, dinastia 139 Khorasan 43, 53, 54, 77, 139 Khorasmia vedi Corasmia Kiev 136, 139 Konya (Iconio) 122, 143 Kosovo, battaglia di 144 Krak di los Caballeros 125 Kublai Khan 138 Kufa 40 Kurdistan 126 Kutama 55, 62

L

Lahore 139 Lakhmiti (Banu Lakhm) 14, 15 Lami’i Çelebi 41 Languedoc 95 Latini46, 56, 71, 80, 98, 124, 135 Lazio 58, 92 Leone III l’Isauro (imp.) 52 Leone IV (papa) 58 León, regno di 72 Lerida 100 Lerins, isole di 95 Lessing, Gotthold Ephraim 130 Levante 94 Leyre, monastero di urna di Leyre 32 Liao, dinastia 139 Libano 42, 124, 131 Libia 55, 128, 145 Lisbona 66, 104 Longobardi 24, 57, 59, 91, 92 Lorena 101 Lucca 94 Lucena 113 Luigi II il Giovane 91, 92 Luigi VII di Francia 126 Luigi IX di Francia 111 Lusignano, dinastia dei 134 Lutfi Abdullah 80 Siyer-i Nebi 80

M

Macedonia 144 Machuca, Pedro 117

Madagascar 145 Madain Saleh (Al Hiyr) 16 Madinat az Zahra vedi Medina Azahara Magiari 122 Maghreb 46, 47, 54, 55, 61-64, 73, 74, 80, 93, 103, 106, 108, 110,111, 145 Maghrebini 56, 57, 72, 85, 94 Mahdia 62, 63, 94 Mahmud di Ghazna 77, 78, 122 Mahmud I (sultano selgiuchide) 122 Mahmud II (sultano selgiuchide) 122 Maimonide 54, 104 Maiolo di Cluny 95 Maiorca 110 Malabar 142 Malacca 142 Malaga 66, 72, 102, 111 Malesia 79 Maldive, isole 142 Malik Ibn Anas 56 Malikiti 102, 104 malikita, scuola 23, 102, 104 Malik Shah I 122 Malik Shah II 122 Malta 59, 92 Mamelucchi 133-135, 143 Manciuria 135, 136, 138 Maniace, Giorgio 73 Manuele I Comneno (imp.) 126 Manzicerta, battaglia di 122 Maometto 12-15, 18-23, 25-37, 39, 40, 42, 44, 46, 47, 53, 58, 71, 76, 80, 90, 111, 126 Maometto II il Conquistatore 35, 144 Marca di Spagna 51 Marco Aurelio Antonino (imp.) 115 Marco Polo 132, 136 Maremma 58 Maria d’Inghilterra 136 Marocco 47, 53, 54, 64, 70, 72, 74, 99, 102, 104, 106, 110, 111, 145 Marrakesh 82, 102, 104, 106, 110 Marsala 64 Marsiglia 50, 122 Martín González, battaglia di 113 Martino di Braga 98 Marwa 34 Marwan I 42 Marwan II 42 Masiaf, fortezza di 131 Masud di Ghazna 122 Masyid al Haram 31 Masyid an Nabaui 15 Matera 94 Mattinata 92 Mauretania 47 Mauri 47, 72 Maurizio I (imp.) 24 Mauronto (duca di Provenza) 50 Mazara 64, 94 mazdeismo 24, 131 Mecca, La 13-23, 27, 28, 31, 34, 35, 40, 44, 52, 56, 62, 80, 111, 127, 142 Kaaba 12-14, 17, 18, 20-23, 31, 34, 35, 37 Pietra Nera 17, 22, 31, 34 Meccani 14, 20, 22

Medina 13-16, 19-22, 27, 36, 37, 39, 40, 56, 65, 67-69, 80, 118 Medina Azahara 65, 67-69, 118 Dar al Mulk 68 Medio Oriente 28, 135 Melfi 75 Melilla 65 Merinidi o Benimeridi (Banu Marin) 106, 108, 110, 111, 142 Merv 77 Mesopotamia 7, 13, 42, 65, 76, 124, 144, 147 Messina 92, 94 Mille e una notte, Le 52, 66, 78, 86 Ming, dinastia 138 Moabiti 16 Mogadiscio 145 Mohamed Bashir Ibn al Jariji 43 Molucche 142 Mongoli 121, 122, 132-139, 142, 143 Mongolia 135-138 Monofisismo 15, 24 Monreale 96 Morabiti (Almoravidi) 102, 103 Mosè 19, 22, 97 Mossul 76, 125, 126, 128 Mozarabi 71, 86, 112 Muawiya Ibn Abi Sufyan 22, 25-27, 39, 40, 42, 46 Muawiya II 42 Muhammad al-Farisi al Istakhri 75 Muhammad al-Nasir 105, 106 Muhammad Ibn Idris 54 Muhammad Ibn Nasr (Al Ahmar) 108, 114, 115, 117 Muhammad Ibn Tugluq 139 Muhammad II al Faqih 108 Muhammad II al Mahdi 67, 72 Muhammad II di Granada 108, 115, 117, 118 Muhammad III (califfo omayyade) 67 Muhammad III di Granada 108, 117, 118 Muhammad IV di Granada 108 Muhammad V di Granada 108 Muhammad VI di Granada 108, 118 Muhammad VII di Granada 108, 118 Muhammad VIII di Granada 108 Muhammad IX di Granada 108 Muhammad X di Granada 108 Muhammad XI di Granada 108 Muhammad XII di Granada vedi Boabdil (Abu Abd Allah Muhammad Ibn Alì) Muhammad XIII di Granada vedi Zagal, lo Muley Hacen (Abul-Hassan Alì ) 108, 113 Multan 76 Munuza (Othman Ibn Neza) 50 Murad I 143, 144 Murcia 104, 106, 109 Musulmani 13, 18, 20, 22, 23, 26, 27, 32-37, 41, 44, 46, 47, 50-52, 55-59, 61-64, 71, 72, 74-76, 78, 80, 82, 83, 85, 87, 92-95, 97-103, 105, 106, 109-113, 122-126, 130, 133, 142 Mutazilismo 19, 52 Muzdalifa 34 157


APPENDICI

N Nabatei 16, 18 Nadir (Banu Nadir) 19 Napoleone Bonaparte 134 Napoletani 57, 92 Napoli 58, 75, 93, 94, 134 Narbona 50 Nasir (sultano nasride) 108 Nasridi 92, 106, 108, 111, 113-115 Navarra 72, 105 Nayaf 29 cimitero di Wadi as Salam 29 mausoleo di Alì 29 moschea di Alì 29 Naym al-Din Ayyub 124, 128 Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (imp.) 20 Niceforo di Constantinopoli 20 Niceforo II Foca (imp.) 62 Nicomedia 143 Nicopoli, battaglia di 144 Niger 102 Nimes 50 Ninive, battaglia di 25 Nishapur 122 Nizar Ibn al Mustansir 131 Nizariti (tribù beduina) 14 Normanni 88, 94-98, 104 Noto 95 Novgorod 135 Nubia 26 Nur al-Din (Norandino) 124, 126, 128 Norandino vedi Nur al-Din (Norandino)

O

Oddone Il Grande 50 Ogodei 137, 138 Omar Ibn al Jatab 22, 24, 25, 26, 28, 29, 58 Omar II 42 Omayyadi 27, 32, 38-40, 42, 44, 46, 52, 53, 64, 65, 68-72, 74, 76, 78, 85, 86, 92, 108 Orda d’Oro, khanato della 137, 138, 142, 144 Orhan I 143, 144 Oria 93, 94 Orlando 51 Chanson de Roland 51 Osman Khan 143 Othman Ibn Affan 20, 22, 24-28, 32, 39-42, 94 Otranto 93, 94 Ottomani 133, 134, 142-144 Ottone di Frisinga 136 Ottone I il Grande 65, 87 Ottone II il Sanguinario 94 Ouargla 55 Oviedo 50

P

Paestum 93 Pakistan 24, 76, 77, 131 Palencia 72, 88 cattedrale 72 Palermo 57-59, 64, 66, 75, 92-98 chiesa di San Giovanni degli Eremiti 64 chiesa Martorana 97 palazzo dei Normanni 96 Palestina 16, 19, 24, 26, 42, 80, 133 Palma di Maiorca 110 Palmira 14, 15 Pamir 43 158

Pamplona 66 Pantelleria 94 Parti 23, 24 Partia 78 Peceneghi 136 Pechina 59 Pelayo, don 50 Pelayo (eremita) 98 Pérez Villaamil, Jenaro 101 Persia 14, 23, 29, 46, 58, 76, 78, 79, 83, 121, 122, 131, 132, 134, 136-139, 142-144 Petra 14-16 Pietro il Venerabile 20, 112 Pietro II d’Aragona 105 Pietro II Orseolo 94 Pipino II di Heristal 50 Piramidi, battaglia delle 134 Pisa 94, 110, 111, 123 Pisani 94, 124 Platone di Tivoli 112 Plinio il Vecchio 79 Poema del Mio Cid 99, 103 Poitiers, battaglia di (732) 50 Polonia 137 Pomponio Mela 79 Ponza, isola di 58 Portogallo 101, 105 Portoghesi 104 Prete Gianni 136, 138 Provenza 50 Puglia 59, 93, 94, 97, 98

Q

Qanuqa 19 Al Qarawiyyin (al-Karaouine) Università di 54, 55, 62 Qaysiti 14 Qorn 22 mausoleo di Fatima al Masuma 22 Qurayshiti 14, 18, 19, 22, 25, 39, 40 Qusair Amra, castello di 38, 46

R

Rabat 106 Rabia al Basri 76 Ragusa 91 Raimondo di Toledo 112 rajput, confederazione 77 Ramiro I di Aragona 100 Ramiro I delle Asturie 98 Rashid al-Din Sinan 132 Ravenna 24, 92 re cattolici 85 Reconquista 50, 72, 85, 91, 98-101, 105, 109, 111, 112 Reggio Calabria 93, 94 Reggio Emilia 99 Reims 83 Riccardo I Cuor di Leone 20, 126, 127, 129 Rinaldo di Chatillon 127 Robert di Ketton 112 Roberto Guiscardo 95, 98 Roderico, re 46, 47, 85 Rodrigo Díaz de Vivar (El Cid) 99-101, 103, 112 Rodrigo Jiménez de Rada 105, 106 Rodríguez Losada, José M. 87 Roma 23, 56-58, 78, 118, 122, 124 basilica di San Pietro 50, 58 Rhomaioi vedi Bizantini Romani 14, 17, 23, 43, 44, 78, 79, 88, 89, 115 Romania 145 monastero di Moldovita 145

Rometta 94 Roncisvalle, battaglia di 50, 51 Ruiz, Hermán 88 Ruiz Olmos, Amadeo 104 Rukin al-Din 132 Ruggero I di Sicilia 64, 95, 98 Ruggero II di Sicilia 64, 95-97 Rumi (Jalal ad Din Muhammad Rumi) 76 Masnavi 76 Ruqaya (figlia di Maometto) 28 Rustam 54, 55 Rustamidi (Banu Rustum) 54, 55

S

Sabina 58, 92 Sacro Romano Impero Germanico 87 Safaridi 76 Said (sultano nasride) 108 Saladino 20, 104, 124, 126-132 Salamanca 88 Salerno 57, 58, 75, 92, 94, 95 Salgiuq 121, 122 Salomone 108 Salonicco 144 Salvaterra, castello di 105 Samanidi 75-78 Samarcanda 43, 82, 120, 122, 137, 139, 143, 144 mausoleo di Gur e-Amir 143 necropoli di Shah-i-Zinda 120 Samaria 125 Samarra 53 grande moschea 53 San Cebrián de Mazote 71 San Giovanni della Croce 76 San Leocadio, Paolo di 99 San Miguel de Escalada 71 San Millán della Cogolla 66, 71 Sancho Alfónsez 103 Sancho I di Aragona 100 Sancho III di Castiglia 100 Sancho II di Navarra 105 Sanhaja 73, 106 Santa Teresa del Gesù 76 Santiago di Compostela 66, 72, 95, 98, 100 Santiago, apostolo 98, 99 Sapore I 24 Sapore II 24 Saraceni 50, 58, 100, 103 Saragozza 72, 98, 100 Sardegna 56, 58, 94, 109 Sarfa 34 Sasanidi 14, 24, 76 Sayf al-Din Qutuz 133, 134 Sciafiita, scuola 23 Sciiti 22, 28, 29, 32, 40-42, 61, 63, 64, 70, 73, 74, 80, 122, 124126, 130, 131 Sciiti Fatimidi 55 Sciiti Ismailiti 61, 130 Scilitze, Giovanni 73, 92 Cronaca storica 73, 92 Sedrata 55 Segovia 88 Selim I 133 Selgiuchidi 121, 122, 124, 129, 134, 139 Semnan 131 Settimania 47, 50 Siviglia 47, 65, 66, 71, 72, 98, 100, 102-105, 108, 112 Alcazar Reale 90, 108 Shabbetai Donnolo 93

Shah Rukn-e-Alam, mausoleo di 76 Shajar al Durr, 133, 134 Shams di Tabriz 76 Shiraz 79 Shirkuh (Asad al-Din Shirkuh) 124, 126, 128 Siberia 137, 138 Sicardo di Benevento 58 Sicilia 27, 46, 56-59, 62-65, 73, 74, 91, 92, 94, 95, 97-99, 104, 109, 111, 123, 124 Sierra Morena 68, 85, 88, 105 Siffin, battaglia di 22, 26 Sijilmasa 102 sikh 36 Silvestro II (papa) 82, 83 Siracusa 56, 57, 64, 73, 74, 94, 95 Siria 13, 15, 16, 19, 24, 26, 27, 37-39, 42, 46, 56, 62, 76, 80, 87, 124, 127-129, 131-133, 144 Sistan 76 Solimano Ibn al Arabi 74 Solimano I il Magnifico 35, 42 Solino, Caio Giulio 79 Somalia 145 Song, dinastia 136, 138 Stilo, battaglia di vedi Capo Colonna, battaglia di (o battaglia di Stilo) Sudan 56, 67, 145 sud-est asiatico 14, 121, 142 sufi 76, 77 Sufismo 76, 77 Sumatra 79, 142 Sunniti 22, 23, 32, 34, 36, 40-42, 62-64, 70, 73-76, 93, 94, 96, 122, 124-128, 130, 139, 143 Sutri 92 Svezia 76

T

Tabriz 144 Tabula Rogeriana (Kitab Rugiar) 95 Tahert (Tiaret) 55 Tahiridi 76 Talas, battaglia del fiume 43 Tamerlano 120, 122, 143-145 Tang, dinastia 43 Tanzania 145 Taoismo 136 Taormina 94 Taqif 18 Taranto 59, 91, 92, 94 Tarifa 101 Tarim 144 Tariq Ibn Ziyad 47, 85 Tartari vedi Mongoli Tartaria 138 Taskent 43 Temujin vedi Gengis Khan Teofane il Confessore 20 Cronografia 20 Teofano 94 Teresa di León 101 Tessaglia 144 Tibet 137-139 Tiflis (Tbilisi) 144 Tigri 54, 142 Tikrit 124, 128 Timuridi 120, 144 Tiriolo 93 Tiro 80, 129 Tlemecen 102, 111 moschea di Al Mansura 111


Toghrul Beg 122 Toledo 47, 99-103, 105, 106, 108, 112 Tolomeo 83 Planispherium 83 Tolosa 50 Tommaso d’ Aquino 104 Torah 104 Tortosa 65, 66 Toscana 58 Transgiordania 124, 127 Transoxiana 43, 76, 77, 122, 144 Trapani 64 Tripoli 124 Tripolitania 26, 46, 106 Tughlak, dinastia dei 139 Tugibidi 72 Tunisi 46, 55-58, 62, 103, 111, 132 ribat di Monastir 103 Turchi 43, 77, 78, 92, 111, 121, 122, 124, 125, 133, 134, 143 Turchia 24, 46, 58, 78, 122, 125 Turfan 144 Turkestan 79, 122, 144 Turkmeni 121, 122 Turkmenistan 122 Tuscia Romana 58

U

Ubayd Allah al Mahdi 62 Uclés 103 Um Kulzum (figlia di Maometto) 28 Ungheria 137 Unni 24, 78, 122 Uqba Ibn Nafi 56 Uzbekistan 42

V

Valacchia 144 Valencia 60, 66, 72, 99-101, 103, 104, 109 Valeriano, Publio Licinio (imp.) 24 Vecchio della Montagna, il 131, 132 Venezia 122, 134 Veneziani 92, 124 Via dell’Incenso 14, 79 Via della Seta 14, 75, 78, 79, 139, 142 Via delle Spezie 14, 75 Vic 83 Vicino Oriente 15, 121, 125, 126, 147

Visigoti 72, 85, 88, 89 Volubilis 54

Xinjiang 144

Yunaid al Baghdadi 77 Yusuf al Fihri 85 Yusuf al Kalbi 74, 94 Yusuf Ibn Tashfin 72, 102, 103 Yusuf I di Granada 108, 117 Yusuf II di Granada 108 Yusuf III di Granada 108 Yusuf IV di Granada 108 Yusuf V di Granada 108

Y

Z

W

Walid I 38, 42, 44, 46 Walid II 42 Witiza 47

X

Yabal Nafusa 55 Yafar al Sadiq 130 Yaghmurasan Ibn Zayyan 111 Yahia Ibn Abd Allah Mahdi 52 Yahtrib vedi Medina Yahya al Mutali 67 Yazdegerd III 24 Yazid I 40, 42 Yazid II 42 Yazid III 42 Yemen 14, 15, 17, 18, 72, 132, 145 Yemeniti 14, 15, 25 Yerash (Gerasa) 14 Yuan, dinastia 138

Zagal, lo 108, 113 Zahara de la Sierra 113 Zaida (concubina di Alfonso VI) 103 Zalaca (Sagrajas), battaglia di 102 Zamzam, fonte di 34 Zanzibar 145 Zayyanidi 110, 111 Zenata 70, 74, 110, 111 Zengidi 125, 129 Ziridi 70, 72-74, 115 Ziyadat Allah Ibn Abrahim 58 Zoroastrismo 24, 36

IMMAGINI Fotografe: Aci Online: 46; Age FotoStock: copertina, 4-5, 8-9, 16-17, 19a, 25, 29, 34-35, 40-41, 44-45, 45, 46, 48-49, 53, 56, 59, 60, 66, 68-69, 81, 84, 94-95, 97b, 107, 111, 118, 124-125, 130, 135, 140-141, 143; Aisa: 2, 12, 52, 71a, 71b, 72, 90, 105, 106, 110, 114-115, 117c, 121, 137, 142; Album: 24, 74bi, 83, 98-99; Album/akg-images: quarta di copertina, 6, 10, 13, 15, 17, 18, 23, 26-27, 28, 30-31, 31, 33a, 33b, 36, 39, 41, 57, 58, 75, 78, 91, 125, 129b, 136, 144-145; Album/ Oronoz: 22, 30, 32, 35, 38, 47, 55, 61, 65a, 65b, 68, 69a, 69b, 73, 74ai, 74bd, 80, 85, 87i, 87d, 88-89, 93, 99a, 99b, 100, 101, 104, 109a, 109b, 112, 113a, 113b, 114; Bridgeman/

Index: 20, 62, 74ad, 77, 126b; Corbis: 37, 44, 54-55, 63, 70a, 96-97, 103, 117i, 117d, 119ad, 119bd, 119bc, 119bi, 120, 127, 128-129, 146; Getty Images: 21, 64, 76-77; Gtres/ Hemis.fr: 86, 89ci, 119ac, 119ai; iStockphoto: 88, 89i, 89cd, 89d, 116; Erich Lessing/Album: 50, 51, 102, 129a, 134; Prisma: 82; James Stanfield/NGS: 131; The Art Archive: 70b, 96, 97a, 123, 126a, 132, 132-133, 138. Disegni: Fernando Aznar: 116-117. Cartografia: Víctor Hurtado (documentazione), Merche Hernández, Eosgis. 159


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