LA VITA NELL’ULTIMA GLACIAZONE
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LA CITTÀ DELLA LUCE
PARIGI NELLA BELLE ÉPOQUE
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LA MORTE DI RICCARDO CUOR DI LEONE
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ALESSANDRO, DA CONQUISTATORE A DESPOTA
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ELISABETTA I VERSUS FILIPPO II
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periodicità mensile
CACCIATORI DELLA PREISTORIA
N. 118 • DICEMBRE 2018 • 4,95 E
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I TRIONFI DI CESARE
SCACCO AL RE
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EDITORIALE
in un’epoca freddissima i nostri antenati non solo colonizzarono l’Europa, ma produssero anche opere d’arte impressionanti, alcune delle quali sono giunte fino a noi. Il più grande successo dei sapiens è stato senza dubbio l’eccellente capacità di adattarsi all’ambiente naturale. In un mondo in cui le conseguenze del cambiamento climatico stanno alterando sensibilmente le vite degli esseri viventi, e delle persone e delle comunità più povere, avremmo molto da imparare da questi resilienti antenati. Allora le conoscenze dell’ambiente circostante si trasmettevano in modo sistematico di generazione in generazione. Inoltre, attraverso l’arte mobile e quella rupestre – precorritrice dei moderni murales, la cui diffusione avvenne proprio con i sapiens –, i nostri antenati rappresentavano con grande verosimiglianza gli animali con cui vivevano: cavalli, renne, uccelli, bisonti, oltre che figure umane. Insomma, non si limitarono a sopravvivere, ma vissero, e lo fecero con interesse e amore per quello che avevano attorno. A quell’epoca il grande ostacolo che si trovavano davanti era l’abbassamento delle temperature. Oggi lo è l’aumento del quale, tra l’altro, questa volta è responsabile proprio l’attività umana. Oggi come allora è necessario che le persone e le comunità ricorrano a tutte le loro capacità cognitive e sociali per adattarsi e non solo per sopravvivere, bensì per vivere degnamente e nel rispetto di ciò che le circonda. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale
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8 PERSONAGGI STRAORDINARI
Grazia Deledda: scrittrice (quasi) per istinto L’autrice sarda è stata l’unica donna italiana a vincere il premio Nobel per la Letteratura. Lo fece nel 1927.
14 GRANDI INVENZIONI Il termometro
Santorio ideò uno strumento per stabilire la temperatura in qualsiasi parte del corpo.
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16 VITA QUOTIDIANA Le carrozze a noleggio, i taxi del passato Prima dell’era delle automobili, le città europee avevano servizi di carrozze a noleggio con tariffe e fermate fisse.
118 GRANDI ENIGMI
Le mummie di Urbania, una storia oltre la morte Nella cittadina di Urbania c’è una piccola chiesa che nasconde un grande segreto: 18 corpi mummificati che narrano storie di vita e, ovviamente, di morte.
122 GRANDI SCOPERTE
Le meraviglie della Spagna romana: il mosaico di Noheda Nel 2005 gli archeologi hanno portato alla luce uno splendido mosaico figurativo appartenente a una lussuosa villa del IV secolo.
128 LIBRI E MOSTRE 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
98 LA CITTÀ DELLA LUCE: PARIGI NELLA BELLE ÉPOQUE ALLA FINE del
XIX secolo Parigi, una città abituata ai cambiamenti, si lanciò in una corsa verso la modernità che non avrebbe più avuto fine. L’elettricità, i moderni mezzi di trasporto alla portata di tutti e le nuove forme di intrattenimento fecero della capitale francese un emblema dell’”epoca felice” che l’Europa visse prima dello scoppio della Grande guerra. di ainhoa campos posada L’OLIO DI G. FARRAZIN DEL 1892 MOSTRA I PRIMI OMNIBUS CHE CIRCOLAVANO PER LE STRADE DI PARIGI.
40 Alessandro, da conquistatore a despota Nel 331 a.C. Alessandro Magno sconfisse a Gaugamela il sovrano persiano Dario III e gli succedette alla guida del maggior impero dell’epoca. Da quel momento iniziò ad adottare costumi orientali e a comportarsi sempre più come un autocrate, alienandosi le simpatie dei macedoni e provocando crescenti tensioni. DI JUAN PABLO SÁNCHEZ
52 I trionfi di Cesare Ansioso di superare il suo nemico Pompeo e diventare il generale romano di maggior successo, Giulio Cesare celebrò cinque sontuosi trionfi tra il 46 e il 45 a.C. per commemorare le sue vittorie militari. DI ANDREA FREDIANI
68 La morte di Riccardo Cuor di Leone Il 26 marzo del 1199, mentre il re d’Inghilterra controllava l’evolversi dell’assedio di un castello in Aquitania, un balestriere ferì a morte il monarca. DI ENRIQUE MESEGUER
84 Scacco al re: Elisabetta I versus Filippo II La religione e la politica trasformarono la sovrana britannica e il re spagnolo da quasi sposi in rivali, in una lotta senza tregua per la gloria e il potere sul palcoscenico mondiale che sarebbe culminata con la vittoria della regina sul re. DI GILES TREMLETT
22 Cacciatori della Preistoria Per 100mila anni il clima del Vecchio mondo fu molto più freddo di quanto non lo sia oggi. Fu allora che il continente venne popolato dall’Homo sapiens, che riuscì a colonizzare l’Europa partendo dalle caverne in cui abitava, le cui pareti conservano tuttora la testimonianza pittorica di quell’epoca. DI ROSA M. TRISTÁN
RENNA INCISA SU UNA ZANNA DI MAMMUT CIRCA 12.500 ANNI FA.
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ALESSANDRO, DA CONQUISTATORE A DESPOTA LA CITTÀ DELLA LUCE PARIGI NELLA BELLE ÉPOQUE
LA MORTE DI RICCARDO CUOR DI LEONE
CACCIATORI DELLA PREISTORIA LA VITA NELL’ULTIMA GLACIAZONE
RICOSTRUZIONE DI DONNA SAPIENS, CULTURA DEL SOLUTREANO (25 MILA ANNI FA). ELISABETH DAYNES, DAYNES STUDIO, PARIGI. FOTO: S. ENTRESSANGLE / E. DAYNES / SPL / AGE FOTOSTOCK
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Pubblicazione periodica mensile - Anno X - n. 118
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PERSONAGGI STRAORDINARI
Grazia Deledda: scrittrice (quasi) per istinto Scrittrice dal carattere indipendente e fedele alla sua terra, la Sardegna, è stata l’unica donna italiana a vincere il premio Nobel per la Letteratura. Lo fece nel 1927
La strada verso il Nobel 1871 Quinta di sette fratelli, Grazia Deledda nasce a Nuoro. Di madrelingua sarda, impara l’italiano per conto proprio.
1888 Vengono pubblicati i suoi primi testi sulla rivista L’Ultima Moda. Qualche anno dopo scrive un saggio sulle tradizioni sarde.
1900 Grazia sposa il funzionario Palmiro Madesani e si trasferisce con lui a Roma, dove inizia la scalata verso il premio Nobel.
1927 Vince il Nobel per la letteratura dell’anno 1926, non assegnato per mancanza di candidati adatti.
1936 Muore a causa di un cancro al seno. Le si attribuiscono 31 romanzi e circa 300 racconti.
S
ono piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto delle donne sarde, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante». Così scriveva di sé Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, prima e unica donna italiana a vincere il premio Nobel per la letteratura, nel 1927. Era nata a Nuoro il 27 settembre 1871. Quinta di sette fratelli e sorelle, era figlia di Giovanni Antonio Deledda e di Francesca Cambosu. Suo padre, laureato in legge, non esercitava la professione di avvocato. Si dedicava al commercio e all’agricoltura e componeva poemi in lingua sarda. Grazia fu educata dalla madre, casalinga, e frequentò le scuole fino alla quarta elementare. A partire da quel momento continuò la sua istruzione in casa, dove ricevette nozioni di latino, francese e italiano. Fervente appassionata della lettura, divorava libri di ogni tipo e ascoltava con gli occhi sgranati gli amici di famiglia, i pastori e gli agricoltori che frequentavano la sua casa mentre raccontavano storie sui briganti e sulla giustizia, leggende e miti di un tempo quasi scomparso. Come lei stessa scrive in Cosima, libro autobiografico pubblicato incompleto dopo
la sua morte, questa fu per lei la prima vera scuola di letteratura. Da bambina Grazia accompagnava anche spesso il fratello Andrea in lunghe passeggiate a cavallo, alla scoperta della sua terra della quale, a soli tredici anni, iniziò a raccontare tutti i dettagli in una prosa morbida e profonda allo stesso tempo. Nelle parole della stessa scrittrice, quelli furono anni di felicità e scoperte. Presto però, Deledda conobbe anche il dolore. La sorella maggiore, Giovanna, morì di febbre. Il primogenito della famiglia, Santus, divenne un alcolista mentre il suo amatissimo fratello Andrea, poco incline allo studio, iniziò a rubacchiare qui e là, coprendo di vergogna il padre e tutta la famiglia. A soli sedici anni, Grazia raccolse il coraggio per rubare un po’ d’olio dal frantoio di famiglia, rivenderlo e finanziare la spedizione a Roma di alcuni suoi scritti.
La strada verso la fama Con suo grande stupore, nel 1888 i racconti comparvero su L’ultima Moda, una rivista di costume che successivamente pubblicò a puntate il romanzo Memorie di Fernanda. Quando Deledda ricevette l’esemplare della rivista e vide il suo nome stampato in alto, si
Le storie sui briganti e sulla giustizia, le leggende e i miti furono la sua prima scuola di letteratura FRANCOBOLLO COMMEMORATIVO DEL 100° ANNIVERSARIO DELLA SUA NASCITA. ALAMY / ACI
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POETA DELLA SARDEGNA E DELLA NATURA
BRIDGEMAN / ACI
L’ISOLA di Grazia Deledda è racchiusa nella maggior parte delle sue opere. I suoi personaggi ne incarnano le qualità, la natura ne è la protagonista. Come la stessa Deledda scrive in un momento di desolazione, la natura era l’unica amica fedele che le era rimasta. Le sue descrizioni dei paesaggi, dei luoghi che l’hanno resa scrittrice, dei profumi, della luce, della cultura della Sardegna sono un tributo a una terra dura e amara, che per lei fu casa. «Cominciai a scrivere così, quasi per istinto. Come l’uccello comincia a cantare, come la farfalla vola, come la sorgente sgorga».
sentì quasi svenire. Il sentiero di una lunga e proficua carriera era tracciato e lei sapeva di avere tutte le qualità per diventare una grande scrittrice, tutte tranne una: era una donna. I brusii di dissenso del paese e della famiglia nei suoi confronti la frastornavano. Aveva 17 anni quando il prete Virdis, durante un’omelia, puntò pubblicamente il dito contro di lei consigliandole di pregare, piuttosto che «scrivere per i giornali storie scostumate». Nonostante gran parte del suo paese la riprovasse, Grazia fu sempre molto legata alle sue origini. L’amore per la sua
terra, per la cultura e le storie del suo popolo isolano la spinsero a pubblicare, fra il 1893 e il 1895, varie puntate del saggio Tradizioni Popolari di Nuoro in Sardegna. Deledda scrisse di Nuoro e delle sue tradizioni, raccontò «dell’isola nell’isola», come le piaceva definire la sua città, grazie all’appoggio di Angelo de Gubernatis, direttore della Rivista delle tradizioni popolari italiane, dove venne pubblicato il saggio. L’introduzione del libro rimanda a Tolstoj, primo segnale dell’amore di Grazia per la letteratura russa, a cui in futuro verranno accostate le sue opere.
«SE IO CONTO QUALCOSA NELLA LETTERATURA ITALIANA, LO DEVO TUTTO ALLA MIA ISOLA SANTA», SCRISSE GRAZIA DELEDDA.
Segnata dalla morte del padre per una crisi cardiaca, avvenuta nel 1892, e della sorella Vincenza a causa di un aborto quattro anni dopo, Grazia dovette affrontare un ulteriore scoglio. I suoi tentativi letterari, infatti, facevano male a sua madre, la quale veniva aizzata da tutto il paese, che vedeva appunto nella scelta di Grazia di scrivere un comportamento “poco decoroso per una signorina”. Ma forse proprio da quella donna severa che era la madre la scrittrice ereditò la forza e la determinazione che la contraddistinsero durante tutta la sua vita. La giovane era STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MONDADORI / AGE FOTOSTOCK
PERSONAGGI STRAORDINARI
A PASSEGGIO CON LA FAMIGLIA. La scrittrice, suo
marito Palmiro Madesani e i loro figli in vacanza.
decisa a non aspettarsi nulla da nessuno, fuorché da sé stessa. In quell’epoca si innamorò dell’amico di suo fratello Santus, Antonio Pau, «un bellissimo giovane bruno dall’aria un po’beffarda» che lei osservava di nascosto. Era un amore da bambina, che si affievolì con il passare del tempo lasciando spazio a Fortunio. Definito storpio in Cosima
(probabilmente in realtà era guercio), figlio illegittimo di un cancelliere, ma poeta, fu il suo primo amore fisico: con lui la donna scoprì i primi baci rubati, benché il giovane non la attirasse particolarmente. Ma l’amore che la segnò più profondamente fu uno non corrisposto. Nel settembre del 1891 Deledda ricevette
LA LINGUA E L’IDENTITÀ SARDA LA SUA LINGUA MATERNA era il sardo,
represso in quel periodo storico per promuovere l’italiano. Deledda scelse di utilizzare parole sarde coscientemente, per trasmettere la durezza, la caparbietà, il sentimento terroso che è l’identità stessa della sua terra. TARGA IN ONORE DELLA SCRITTRICE A NUORO. ALAMY / ACI
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una lettera in cui il giornalista romano Stanis Manca la informava di volersi recare a Nuoro per intervistarla. Grazia scambiò la cortesia di queste poche righe per un’attrazione, della quale si convinse ancora di più dopo l’intervista. La corrispondenza con il giornalista invece si affievolì fino a sparire, gettando la scrittrice in un baratro di lettere a senso unico in cui lei cercava disperatamente di ridestare l’attenzione di lui. Manca, finalmente, rispose stroncando in malo modo tutte le illusioni della giovane. Per qualche anno Grazia continuò a scrivere in segreto, ma il suo successo era ormai inarrestabile. Riceveva decine di lettere, che aspettava timorosa e palpitante. In una delle missive un’ammiratrice la invitò a trascorrere qualche giorno a Cagliari. Fu proprio durante questo viaggio che la scrittrice conobbe, il 22 ottobre 1899, Palmiro Madesani, un funzionario del ministero delle
IL NOBEL PER LA LETTERATURA
POEMA DI GRAZIA DELEDDA SU UNA PARETE DELLA SUA CITTÀ NATALE. ALAMY / ACI
finanze. L’11 gennaio 1900 la coppia contrasse matrimonio a Nuoro e si trasferì a Roma, dove nacquero due figli: Franz e Santus.
Successo inarrestabile La pubblicazione, nel 1903, di Elias Portolu la confermò come scrittrice di fama internazionale. Cenere, pubblicato come romanzo unico l’anno seguente, venne apprezzato, tra gli altri, da Giovanni Verga e nel 1916 se ne fece un film. Seguirono titoli come L’Edera, Colombi e sparvieri e Canne al vento, che la consacrarono definitivamente. In Canne al vento, la sua opera più conosciuta, i grandi temi da lei trattati convergono tutti: la colpa, il non poter sfuggire al destino, insieme a un altro elemento comune, ovvero l’assenza di personaggi buoni e cattivi. La scrittrice li paragona tutti a delle canne, che a ogni soffio di vento si piegano e sbattono l’una contro l’altra. In quegli
BRUNI ARCHIVE / AGE FOTOSTOCK
DALL’ASSEGNAZIONE del primo premio Nobel per la Letteratura, nel 1901, sono stati conferiti 124 premi. Di questi, solamente 14 sono andati a scrittrici. Grazia Deledda fu la seconda donna della storia a riceverlo, preceduta solo da Selma Ottilia Lovisa Lagerlöf, svedese, insignita del Nobel nel 1909. Dei sei italiani fino a oggi premiati solamente Giosuè Carducci, che ricevette il Nobel nel 1906, precede Deledda.
LA SCRITTRICE DURANTE LA CERIMONIA DI ASSEGNAZIONE DEL PREMIO.
anni il marito lasciò il suo impiego di funzionario pubblico per diventare il suo agente letterario e cavalcare con lei l’onda del successo. Nonostante gli intellettuali dell’epoca la definissero, con sessismo,“la massaia della letteratura”, la sua prosa scorrevole e forte si fece spazio nel panorama internazionale. I suoi personaggi, a volte duri come le donne della sua terra, a volte contorti, piegati, ma non per questo rotti, come gli uomini della sua vita, le valsero nel 1927 il premio Nobel per la letteratura del 1926. L’anno precedente il premio non era stato infatti assegnato per mancanza di candidati che rispondessero ai requisiti. Il riconoscimento le venne conferito il 10 dicembre 1927. Nelle ragioni della scelta la giuria sottolineava «la sua potenza di scrittrice […] che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». Grazia Deledda morì a Roma il 15 o il 16 agosto del 1936 per un cancro al seno. Le
sue spoglie riposano nella chiesa della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene, a Nuoro. Al momento della consegna del Nobel, la scrittrice affermò: «Sono nata in Sardegna, la mia famiglia composta da gente savia ma anche di violenti e di artisti produttivi […] Ma quando cominciai a scrivere, a 13 anni, fui contrariata dai miei. Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti. Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora. Se va per la terza volta, lascialo in pace perché è poeta. Senza vanità, anche a me è capitato così». —Annalisa Palumbo Per saperne di più
TESTI
Canne al vento Grazia Deledda. Garzanti, Milano, 2006. Cosima Grazia Deledda. Ilisso, Nuoro, 2005.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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La Persia dei poeti  � � / Statua di Ferdowsi nella moschea Blu a Tabriz
Ci accompagnerà nel viaggio letterario Anna Vanzan, iranista che ha al suo attivo numerose traduzioni in lingua italiana di opere letterarie persiane. Le conversazioni con la studiosa avverranno in luoghi suggestivi, perennemente legati alla storia letteraria e culturale dell’Iran, che meglio ci faranno capire l’essenza e la peculiarità del popolo persiano. Arricchite da letture di alcuni testi letterari, queste conversazioni ci permetteranno di cogliere la continuità storica e culturale dell’Iran, aprendoci al contempo squarci sulla situazione contemporanea tanto culturale quanto sociale.
Fra le tanti arti coltivate sull’altopiano iranico, la letteratura è senza dubbio quella principale. Nel corso dei secoli, gli iraniani hanno forgiato una letteratura che si è imposta anche nelle aree circostanti diventando il modello da seguire; la poesia, soprattutto, è diventata l’emblema stesso della cultura e della nazione iraniane. Ora in Iran si produce moltissima letteratura di finzione, le cui autrici sono soprattutto donne, in un dinamico rapporto di continuità e rottura col passato che rende la civiltà persiana sempre innovativa e vibrante, e che rappresenta la chiave di lettura per capire la complessa identità dell’Iran.
3 Marzo Milano/Tehran
Ritrovo dei partecipanti a Malpensa dove un nostro rappresentante assisterĂ il gruppo nelle operazioni di imbarco. Partenza con volo di linea diretto Mahan Air per Tehran. Incontro con la guida del tour e trasferimento in hotel.
4 Marzo Tehran/Shiraz
TEHRAN
Kermanshah
KASHAN
Visita di Tehran con uno sguardo anche alla sua contemporaneità : il piccolo ma suggestivo Museo Reza Abbasi, l’immancabile Museo dei Gioielli, e infine il ponte Tabiat, con i suoi 3 livelli attrezzati con panchine e caffè, dove si svolgerà il primo intervento della professoressa Vanzan. Volo per Shiraz.
5 Marzo Shiraz
Dopo la visita delle rovine di Persepolis, edificata da Dario il Grande nel 520 a.c, si dedica il pomeriggio a Shiraz, la culla della cultura persiana. Pausa letteraria davanti alle tombe dei poeti Hafez e Saadi e proseguimento delle visite con la Moschea Nasir Al Molk, l’ Eram Garden, il castello Karim Khan e il Bazar Vakil.
6 Marzo Shiraz-Pasargade-Isfahan km 520
Partenza per il sito archeologico di Pasargade, la prima capitale dell'impero achemenide sotto Ciro il Grande, arrivo a Isfahan nel tardo pomeriggio. Isfahan, una gemma incastonata nel mezzo della Persia, è una delle città piÚ belle del mondo, citata nelle opere dei piÚ famosi viaggiatori. La professoressa Vanzan spiegherà come questa città abbia ispirato poeti e letterati non solo iraniani ma anche indiani, turchi e centrasiatici.
7 Marzo Isfahan
Intera giornata dedicata alle visite: La Piazza dell'Imam e le sue Moschee, il palazzo Reale Ali Qapu, l'antico e suggestivo Bazaar, gli storici ponti Pol-e Shahrestan, Pol-e KhÄ ju e Si-o-se Pol.
8 Marzo Isfahan
Visita del Palazzo Chehel Sotun "Palazzo delle 40 colonne". Sosta ai Minareti oscillanti e alla Moschea del VenerdĂŹ. Infine il quartiere armeno e la cattedrale di Vank.
9 Marzo Isfahan/Kashan/Tehran Km 420
Sosta a Kashan per la visita del Fin's Garden e della casa Tabatatatei. Arrivo in serata a Tehran.
10 MARZO Tehran /Italia
Trasferimento all’aeroporto e volo per l’Italia.
Centro Storico di Antalya
ESFAHAN
Ahvaz
IRAQ
Pasargad SHIRAZ
KUWAIT
Persepolis
COSA INCLUDE?
•Volo da Milano e tasse aeroportuali •Volo domestico Teheran Shiraz •Lettera di autorizzazione per il ritiro del Visto in aeroporto •Esperta guida locale parlante italiano •Pernottamenti in hotel 4 * •Pensione completa •Ingressi per le visite •Assicurazione medico bagaglio •Partecipazione ed interventi letterari della prof.ssa Anna Vanzan
COSA NON INCLUDE?
•Supplemento singola euro 250 •Assicurazione facoltativa annullamento •Voli da altri aeroporti, supplementi su richiesta •Pagamento del Visto in aeroporto •Mance
INFO E PRENOTAZIONI
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GRANDI INVENZIONI
Santorio inventa il termometro clinico
A
gli inizi del XVII secolo Santorio Santorio era uno dei medici più rinomati in Italia. In gioventù aveva esercitato la professione prima in Croazia e poi a Venezia. Tra il 1611 e il 1624 era stato professore all’Università di Padova e successivamente aveva fatto ritorno a Venezia, dove sarebbe morto nel 1636. Durante la sua vita Santorio si dedicò a effettuare misurazioni sistematiche, che gli permisero di divenire uno dei fondatori della medicina sperimentale. Provava su di sé molte delle misure, che si trattasse del peso, degli alimenti ingeriti o degli escrementi.
TERMOMETRO MEDICO AL MERCURIO CON LA SUA SCATOLINA DI LEGNO. 1870 CIRCA.
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14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Ideò diversi strumenti di precisione, come bilance o un congegno per misurare la frequenza del polso. Ma il più famoso di tutti, quello per il quale è passato alla storia, è il termometro. Nello stesso periodo, all’incirca tra il 1592 e il 1603, Galileo Galilei aveva creato un precedente, un tubo di vetro pieno di un liquido sensibile al calore che, a seconda della temperatura, faceva salire o scendere alcune sferette di vetro poste al suo interno. Tuttavia il dispositivo di Galileo, oggi conosciuto come termoscopio, non aveva scale di misura e poteva essere usato solo all’esterno. Santorio fu il primo a sviluppare un termometro con gra-
LBU /A
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NG
Ossessionato dalle misurazioni, il medico italiano Santorio Santorio ideò uno strumento per stabilire la temperatura in qualsiasi parte del corpo
M
1611
GR
A
SANTORIO SANTORIO IN UN’INCISIONE DI GIACOMO PICCINI DEL 1660.
dazione e pure il primo a usarlo per misurare la temperatura corporea: un termometro clinico.
Un «metodo meraviglioso» Santorio parlò del termometro nel suo Commentaria in artem medicinalem Galeni (Commentari sopra l’arte medica di Galeno), pubblicato nel 1612, anche se l’imprimatur è del 1611: «Devo informare di un metodo meraviglioso con il quale, grazie all’aiuto di uno strumento di vetro, posso misurare la temperatura calda o fredda dell’aria, in tutti i luoghi e in tutte le parti del corpo, e con tale precisione che in qualsiasi momento del giorno posso misurare i gradi con un compasso e stabilire il caldo e il freddo». Un’ulteriore testimonianza dell’invenzione si ritrova in una lettera all’amico Galileo del fisico e inventore italiano Giovanni Francesco Sagredo, risalente al 30 giugno 1612: «Il sig. Mula fu al Santo (si trovava alla festa di Sant’Antonio da Padova) e mi riferì aver veduto uno stromento dal sig. Santorio, col quale si misurava il freddo ed il caldo col compasso, e mi comunicò questo essere una gran bolla di vetro con un collo lungo». Più avanti, in un’opera data alle stampe nel 1626, il medico descrisse e illustrò diversi modelli di termometro (il termine “termometro” era comparso per la prima volta nel 1624
TERMOSCOPIO. INCISIONE DELLO STRUMENTO INVENTATO DA GALILEO. GRANGER / ALBUM
LA MISURA DEL CALDO E DEL FREDDO 1592 circa Galileo inventa uno strumento che permette di individuare il cambiamento di temperatura tramite un liquido.
1611 Santorio Santorio elabora il primo strumento che misura con esattezza i cambiamenti di calore del corpo.
1666-1667 John Locke effettua alcune osservazioni sulle viscere a scopo medico.
1707 Vittorio Francesco Stancari crea il termometro ad aria, più preciso nello stabilire la pressione atmosferica.
GRANGER / ALBUM
1714
INCISIONE che illustra la misurazione del calore espirato di Santorio.
in uno scritto del gesuita francese Jean Leurechon). Uno di tali termometri venne utilizzato per stabilire il calore del cuore di un malato misurando quello dell’aria espirata (che allora si credeva provenisse dal cuore). Santorio disegnò pure un termometro da introdurre in bocca, come oggi, e un altro da tenere in mano. Inoltre misurò l’intervallo del cambiamento di temperatura del termometro osservando la distanza che il liquido percorreva nelle dieci oscillazioni di un piccolo pendolo (il pulsilogio). Tale metodo si rivelò eccellente nell’indicazione della febbre. Nel XVIII secolo alcuni inventori perfezionarono lo strumen-
to. Nel 1714, per esempio, il tedesco Daniel Fahrenheit creò un modello di termometro al mercurio ancor più esatto, che più tardi avrebbe incluso nella sua famosa scala. Nello stesso periodo il neerlandese Herman Boerhaave utilizzò lo strumento per misurare la temperatura dei pazienti. L’uso del termometro in medicina si consolidò a metà del XIX secolo, quando il tedesco Carl Wunderlich elaborò una spiegazione scientifica del fenomeno della febbre e il termometro clinico divenne indispensabile per misurarne le fasi. —Justo Hernández
Fahrenheit inventa il moderno termometro a mercurio. Anni dopo mette a punto la sua scala delle temperature.
1742 Celsius segna come 0 e 100 i gradi di ebollizione e congelamento dell’acqua che, invertiti, daranno luogo alla scala centigrada.
RITRATTO IN VECCHIAIA DI GALILEO. NATIONAL MARITIME MUSEUM, LONDRA. FINE ART / ALBUM
V I TA Q U OT I D I A N A
Cocchiere, si fermi qui cocchiere! Prima dell’era delle auto, le città europee avevano servizi di carrozze a noleggio con tariffe e fermate fisse
I
l primo servizio di carrozze a noleggio di cui si abbia notizia risale al 1654, quando a Londra venne fondata una corporazione di mastri cocchieri, la Fellowship of Master Hackney Coachmen, incaricata di regolare i trasporti pubblici della città. I cocchieri guidavano calessi di uso urbano, che si potevano affittare per i tragitti richiesti e la cui sede si trovava al centro della City. Pochi anni dopo, il celebre matematico, fisico e filosofo Blaise Pascal organizzò un sistema simile a Parigi. Nel 1661 creò con alcuni soci, tra cui il duca di Roannez, un’azienda dedicata al trasporto urbano di persone, grazie alle cosiddette “carrozze da cinque soldi”(carrosses à cinq sols), che dall’anno seguente avrebbero coperto cinque itinerari nel centro di Parigi. Anche se l’impresa pioneristica di Pascal ebbe breve durata, nel
XVIII secolo le carrozze a noleggio divennero una presenza abituale nelle grandi capitali europee. Che Londra e Parigi fossero le città pioniere in tale servizio è facilmente spiegabile, perché l’Inghilterra e la Francia erano piuttosto sviluppate nel settore. In particolare, i mastri inglesi – confluiti nella corporazione Worshipful Company of Coachmakers, del 1677 – migliorarono il tiro, la struttura e la comodità delle vetture, che dotarono di un ingegnoso sistema di sospensione. Nel XIX secolo il modello più usato era il coupé, una carrozza a quattro ruote, coperta, con due posti e trainata da un cavallo. In ogni Paese le carrozze assunsero nomi diversi: a Roma, per esempio, tale vettura era chiamata “carrozza pubblica da piazza” (anche se poi a mano a mano passò a chiamarsi, almeno tra i romani, “botticella”), a Madrid veniva denominata “simón” mentre a Londra era nota come “cab”. La crescita urbana del XIX secolo stimolò l’espansione del servizio COUPÉ O FIACRE DELLA COMPAGNIA DI CARROZZA PARIGINA L’URBAINE, FINE DEL XIX SECOLO.
RMN-GR
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MUSÉE CARNAVALET / BRIDGEMAN / ACI
Vetture a sospensione
PLACE DE CLICHY, la famosa
piazza di Parigi, in un olio del 1896 di E.G. Grandjean. Si scorgono diverse carrozze, una bicicletta e, sulla destra, un omnibus.
di carrozze a noleggio. Un esempio eloquente lo fornisce Parigi. Se a metà del XVIII secolo la capitale francese aveva 200 carrozze, nel 1815 erano quasi 1.400 e nel 1865 superavano le seimila, in gran parte proprietà di una florida azienda, ovvero la Compagnie Impériale des Voitures de Paris. Un simile successo dipendeva dalle esigenze della nuova élite borghese, per la quale le carrozze non erano solo uno strumento di trasporto, ma anche un indice di status. Sebbene i signori vivessero vicino alla sala da ballo, all’opera o al teatro,
l’etichetta imponeva di arrivare in cocchio per partecipare alla cerimonia dell’ostentazione di ricchezza e potere. Non a caso in diversi Paesi, prima dello spettacolo gli attori si auguravano “molta merda”, espressione che in origine faceva riferimento alla grande quantità di escrementi equini che le carrozze degli spettatori lasciavano all’ingresso del teatro. La quantità di sterco era infatti in direttamente proporzionale al successo al botteghino. In ogni città europea le carrozze a noleggio erano sottoposte a una rigida regolamentazione, simile a quella che
L’opzione dell’autobus a cavallo ASSIEME ALLE CARROZZE INDIVIDUALI, nel XIX secolo si svi-
lupparono anche sistemi di trasporto collettivo simili agli attuali autobus. Nel 1825, il francese Stanislas Baudry creò a Nantes il primo servizio che rispondeva a tali caratteristiche, e lo chiamò OMNIBUS, “per tutti” in latino. Erano carrozze ampie, per otto o dieci persone. I clienti potevano pure trasportare bagagli, per i quali pagavano a seconda del peso. Le carrozze potevano essere noleggiate da una famiglia per spostarsi dalle stazioni al proprio domicilio. Le
vetture prestavano servizio tra il centro città e la PERIFERIA e avevano fermate fisse oppure occasionali. In Spagna, invece, le aziende erano obbligate a offrire servizi speciali nei giorni di festa o a Carnevale, oltre che per andare alle corride o ai cimiteri.
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TASSAMETRI E TAXI IL PRIMO TASSAMETRO fu brevet-
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tato dal tedesco Wilhelm Bruhn nel 1891, ma non si diffuse subito a causa della riluttanza dei cocchieri. Quando venne approvato a Parigi, nel 1904, ebbe un rapido successo, come descritto due anni dopo nel Bollettino municipale della città: «Con un simile strumento non è necessario controllare l’orologio quando si sale e scende. Tale formalità preliminare comportava discussioni quotidiane, perché l’orologio del cocchiere e del cliente non coincidevano mai. Ora il pubblico è piacevolmente sorpreso dal vedere l’ora segnata sul quadrante del contatore». Il congegno avrebbe dato il nome ai taxi a motore.. COCCHIERE DI PARIGI IN UNA CARROZZA CON UN TASSAMETRO. INIZI DEL XX SECOLO.
esiste per gli odierni taxi. A Roma e a Madrid, per esempio, venne improntato un registro dei proprietari e degli impiegati dediti al servizio di vetture, così come al controllo dei mezzi, che dovevano esporre il proprio numero di licenza sulla testata o sui fanali: i cocchieri, inoltre, erano obbligati a esibire i prezzi su un cartello all’interno della vettura. Un servizio di qualità non dipendeva unicamente dal tipo di carrozza o dalla selezione
BRIDGEM
condotte – come l’«infedeltà, gli schiamazzi, l’ubriachezza cronica o l’inettitudine nella conduzione della vettura» – erano annotate in una cartella e potevano costituire motivo Selezione del personale di espulsione. E, a quanto pare, c’eraQuello del cocchiere non era un me- no delle buone ragioni per prendere stiere che potesse fare chiunque. delle precauzioni, sia a Madrid sia Secondo uno statuto del comune di in altre città. In un articolo del 1867 si segnala Madrid del 1860, i vetturini dovevano garantire «rettitudine e moralità che gli agenti delle autorità parigine senza macchia, attitudine e intelli- dovevano riportare nelle rimesse i genza nella direzione e conduzione veicoli abbandonati sulla pubblidi carrozze e cavalli, avere almeno ca via «o i cui cocchieri fossero in sei mesi di lavoro svolto nel settore un tale stato di ubriachezza da rie più di 18 anni di età». Le cattive sultare pericolosi». Anche a Roma, appena divenuta capitale del Regno d’Italia, nel 1871 l’amministrazione In ogni città europea le carrozze stabilì nuove tariffe ma, soprattutto, impose rigide regole per i vetturia noleggio erano sottoposte a ni, tra cui l’obbligo di un contegno una rigida regolamentazione cortese e onesto e quello di «essere decentemente vestiti e avere un buon FERMATA DI PASSEGGERI A LONDRA. INCISIONE DEL 1875. orologio in saccoccia per mostrarlo
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delle scuderie; erano importanti pure il carattere e la bravura dei lavoratori, e quindi le autorità imposero alcuni requisiti per accedere al mestiere.
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In fila ad aspettare i passeggeri QUEST’OLIO dello statunitense Frederick Childe Hassam, del 1887, mostra una strada di Parigi, Rue Bonaparte,
BRIDGEMAN / ACI
in un giorno di pioggia. Lungo le mura del seminario di Saint-Sulpice, piene di manifesti, le carrozze aspettano l’arrivo di clienti, mentre tre cocchieri in livrea parlano tra loro. Sebbene si trattasse di un quartiere borghese, in primo piano il pittore ha rappresentato, per contrasto, un umile artigiano con la figlia mentre tirano un carretto.
a richiesta». Un accenno a parte lo meritano le donne: le inglesi e le francesi prima, e (tra le italiane) le milanesi poi, cominciarono a tenere le redini ma, forse in seguito ad alcuni scontri tra vetture, le donne vennero spesso estromesse: a Milano uscì ben presto un’ordinanza che vietava alle signore di guidare carrozze di qualunque specie. Uno dei principali problemi del servizio fu senz’altro quello delle fermate, perché spesso le carrozze sostavano ad attendere i clienti e così facendo alteravano la circolazione. A volte le vetture finivano per scontrarsi. A Madrid le lamentele giunsero a tal punto che si vietò di fermare i simones in strada: bisognava andare alla rimessa, anche se la decisione municipale ebbe vita breve e si dovette cercare altre fermate nel centro della città. Il comune fu talmente severo che le carrozze dovet20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
tero portare dipinto il numero della licenza con il colore corrispondente alla propria fermata. La differenza di colori favorì la divisione di vetture in due categorie. Quelle di prima classe – dai colori rosso, giallo, verde e nero – stazionavano nelle fermate di maggiore richiesta, mentre la seconda classe, dal colore bianco, corrispondeva a vetture disposte nei punti di minore richiesta. Per questa ragione si parlava di carrozze di piazza o di punto, perché fermavano sempre nello stesso punto. Una volta compiuta la corsa, dovevano tornare nello stesso luogo da cui erano partite.
Il problema delle tariffe Le carrozze a noleggio erano soggette a un regime di prezzi pubblici, che venivano fissati dalle autorità. Nel XIX secolo le tariffe dipendevano molto dal tipo di carrozza, che po-
teva essere a uno o due cavalli e per due o più persone. E dipendeva pure dall’ora del giorno, dalla distanza e dalla durata della corsa. In genere i prezzi erano alti e sulla stampa comparivano spesso lamentele al riguardo. Inoltre, in occasioni speciali le tariffe potevano aumentare bruscamente. A Roma, per esempio, venivano raddoppiate alla vigilia e nel giorno di Natale, dalla domenica delle Palme a Pasquetta, e nei giorni di Carnevale. Ma a Carnevale, si sa, ogni prezzo vale! —Javier Leralta Per saperne di più
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CACCIATORI DELLA PREISTORIA L A V I T A N E L L’U L T I M A GLACIAZONE
Per 100mila anni il clima del Vecchio mondo fu sensibilmente più freddo di quanto non lo sia oggi. Fu in quel periodo che il continente venne popolato dalla nostra specie, l’Homo sapiens
UNO SGUARDO LONTANO
S. ENTRESSANGLE-E. DAYNES / SPL / AGE FOTOSTOCK
Bambina sapiens in una ricostruzione facciale compiuta dagli specialisti del laboratorio Daynès di Parigi. È stata rappresentata pure una possibile applicazione di pittura sul volto.
LA SIGNORA DI BRASSEMPOUY
Scoperta in Francia e intagliata nell’avorio di mammut circa 23mila anni fa, è la prima rappresentazione oggi conosciuta di un volto femminile.
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SPL / AGE FOTOSTOCK
RICOSTRUZIONE DELL’INCONTRO TRA NEANDERTHALIANI E SAPIENS. ENTRAMBE LE SPECIE SI INCROCIARONO PRIMA DELLA SCOMPARSA DEI PRIMI, CIRCA 33MILA ANNI FA, E IL CORREDO GENETICO DEI NEANDERTHALIANI È PRESENTE NEL NOSTRO DNA.
l clan si prepara a una nuova, fredda giornata. Fuori dalla grotta cade una pioggia gelida. In un angolo alcuni ragazzi intagliano schegge di pietra con l’aiuto di un adulto. All’ingresso della caverna le braci di un falò disperdono ancora fumo. In lontananza si intravedono brucare dei cervi maestosi. In fondo alla grotta, su una parete, un abile giovane rifinisce i tratti di un cavallo incominciato alcuni giorni prima. Scene come questa dovettero ripetersi migliaia di volte nel continente europeo durante il Paleolitico superiore, tra i 41mila e i 12mila anni fa. Fu un periodo di glaciazioni, ma anche di esplosione creativa, nel quale l’uomo di Neanderthal si estinse e
i membri della nostra specie, l’Homo sapiens, colonizzarono il vasto territorio muovendosi in base ai cambiamenti climatici. Siamo nella Glaciazione di Würm, l’ultima che colpì l’Europa e che noi conosciamo, infatti, come Ultimo periodo glaciale. Ebbe inizio all’incirca 110mila anni fa e raggiunse il suo massimo, la fase più fredda, tra i 25mila e i 19mila anni fa. Allora i sapiens – in Europa conosciuti come Cro-Magnon – erano ormai gli unici abitanti delle terre comprese tra il Portogallo e gli Urali. Erano, però, presenti pure in Africa, Asia e nella lontana Australia, e alcuni studiosi credono che fossero giunti perfino in America. Quando arrivarono in Europa, nel pieno del periodo glaciale, ovvero circa 45mila
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ETTY IM
AGES
C R O N O LO G I A
CENTOMILA ANNI DI FREDDO
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Ha luogo l’ultima delle quattro glaciazioni del Quaternario: quella di Würm, conosciuta come Ultimo periodo glaciale.
Prima grande espansione della specie Homo sapiens dal Vicino Oriente all’Eurasia, dove già vivono i neanderthaliani.
PITTURE NASCOSTE
Nella grotta della Peña de Candamo (Asturie), sopra una grande cascata stalagmitica, è stata trovata una rientranza con rappresentazioni di cavalli, tori selvatici (uri) e cervi. Sono visibili nel cosiddetto muro delle Incisioni, un grande pannello di arte rupestre. PEDRO SAURA
30.000
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25.000-19.000
17.000-10.000
I sapiens dipingono le grotte dell’area cantabrica. Le prime pitture della zona, di circa 40mila anni fa, potrebbero essere neanderthaliane.
Gli ultimi neanderthaliani europei scompaiono a Gibilterra, dove Clive Finlayson ha identificato i loro utensili.
Ultimo massimo glaciale in Europa: la temperatura media è di sette gradi inferiore alla nostra. Migrazioni umane verso il sud del continente.
Magdaleniano. Sviluppo della manifattura ossea (p.es. zagaglie), dell’arte mobile (p.es. propulsori) e dell’arte parietale.
L’EUROPA TRA I 20MILA E I 18MILA ANNI FA, DURANTE L’ULTIMO MASSIMO GLACIALE. SI PUÒ OSSERVARE LA SUPERFICIE RICOPERTA DAI GHIACCI E LA PAZ CONINCORINTO ENPIÙ 365AVANZATA A.C., LINEALA COSTIERA, POSIZIONE RISPETTO A OGGI. CORINTO, ALIADA DE ESPARTA EN LA LIGA DEL PELOPONESO, FIRMÓ LA PAZ CON TEBAS, CAMBIANDO DE BANDO. ARRIBA, TEMPLO DE APOLO EN CORINTO. SIGLO VI A.C.
genetica dei neanderthaliani, ormai isolati gli uni dagli altri. Tuttavia gli studi genetici compiuti nel Centro Europa indicano che lì convissero per circa cinquemila anni ed ebbero anche dei discendenti in comune. A quei tempi il corredo genetico dell’Homo neanderthalensis conteneva circa il dieci percento del DNA di un sapiens, come nel caso dell’Uomo di Oase, in Romania, che visse tra i 42mila e i 37mila anni fa. Quella percentuale, però, si assottigliò con il tempo fino ad assestarsi a un due percento del nostro attuale corredo genetico.
GARY HINCKS / SPL / AGE FOTOSTOCK
Un mondo in movimento
INDUSTRIA MAGDALENIANA
In questo periodo ha uno sviluppo particolare la manifattura dell’avorio e dell’osso. L’ago misura 31 mm di lunghezza. A fianco, un microlito trovato a Isturitz, in Francia, usato per levigare gli aghi. FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS
26 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
anni fa, i Cro-Magnon non erano soli: vi vivevano ancora i neanderthaliani, che scomparvero poco dopo la loro venuta; alcune comunità sopravvissero forse fino a 25mila anni fa a Gibilterra, area che fu la loro ultima dimora secondo il paleoantropologo britannico Clive Finlayson. Una delle grandi domande della preistoria è come ebbe luogo l’incontro tra i neanderthaliani e i sapiens. I secondi giocarono un ruolo nell’estinzione dei primi? Recenti datazioni su 13 siti del nord della Spagna, condotte dal team del Centro nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH) di Joseba Ríos, indicano che le due specie condivisero quella zona per meno di un millennio, un intervallo di tempo che riduce le possibilità di interazione tra i due gruppi. La loro scomparsa non sarebbe quindi legata alla nostra specie, ma alla scarsa diversità
In Europa i sapiens si trovarono davanti un clima gelido. In regioni come l’Andalusia di 40mila anni fa, per esempio, la temperatura media annuale stazionava tra i nove e gli undici gradi, come si apprende dallo studio dei resti di tre mammut lanosi trovati nella torbiera di El Padul (Granada). A mano a mano che, nell’Ultimo massimo glaciale, le terre si coprivano di ghiacci, i popoli migravano cercando rifugio nel sud del continente, più caldo, dal quale non uscirono finché le temperature non risalirono di nuovo. Da lì la ricchezza di ritrovamenti nella Francia meridionale, settentrionale e nella parte orientale della penisola iberica o dell’Italia, soprattutto durante il Solutreano, tra i 25mila e i 17mila anni fa. Le ricerche genetiche hanno permesso di elaborare nuove ipotesi sugli spostamenti dei sapiens in Europa, anche se Carles Lalueza-Fox, esperto di paleogenetica, ha sottolineato che non è semplice studiare la questione perché ci sono meno fossili dei sapiens di quanti non ce ne siano dei neanderthaliani, visto che i primi non inumavano i corpi nelle grotte. Una delle poche eccezioni è una donna trovata nella caverna di El Mirón (Asturie) e conosciuta come “La signora rossa” giacché venne sepolta con il corpo dipinto di ocra rossa, essendo probabilmente un membro importante della comunità. La donna visse all’incirca 19mila anni fa e condivide parte del patrimonio genetico con un fossile ritrovato in Belgio, più vecchio di quasi il doppio. Se ne deduce che i movimenti dei sapiens nell’Ultimo periodo glaciale dovettero essere piuttosto complessi. Uno studio sui campioni di DNA
ADATTARSI ALL’AMBIENTE
Per confezionare gli indumenti con cui ripararsi, i sapiens usavano aghi in osso, avorio o corno, che cominciano a comparire durante il Solutreano, circa 22mila anni fa; raschietti o grattatoi in pietra per pulire il dorso delle pelli; punzoni in osso per perforarle; schegge per tagliarle… Nell’immagine, ricostruzione dell’abbigliamento nel Magdaleniano, circa 15mila anni fa. P. PLAILLY / E. DAYNES /SPL / AGE FOTOSTOCK
CALOTTA CRANICA (PARTE SUPERIORE DI UN CRANIO) SCOPERTA NELLA GROTTA DI GOUGH (CHEDDAR), SCARNIFICATA E USATA COME SCODELLA O COPPA CIRCA 14.700 ANNI FA. NATIONAL HISTORY MUSEUM, LONDRA.
CANNIBALI DELLE CAVERNE
A
CAUSA DELLA MANCANZA di
fossili, non è facile stabilire quanto fosse abituale la pratica del cannibalismo tra i Cro-Magnon. Sappiamo che mangiavano carne umana, e nel sito di Cheddar (Gran Bretagna) sono state rinvenute delle tazze-cranio che confermano tale usanza. Si ignora, però, se avessero una finalità alimentare o rituale. Dopo aver calcolato il valore energetico del corpo umano, il ricercatore James Cole propende per un’ipotesi rituale giacché la nostra carne è di gran lunga meno nutriente di quella di un mammut, di un rinoceronte lanoso o di un cervo, e non vi sarebbe quindi motivo di mangiarla. Ma il biologo José Luis Guil-Guerrero crede che fu il bisogno di acidi grassi omega-3 per il cervello, scarsamente rintracciabili negli altri animali, a spingere gli uomini verso il cannibalismo.
NATURAL HISTORY MUSEUM, LONDON / SPL / AGE FOTOSTOCK
LAVORO IN PIETRA
A destra, punte a foglia di salice del Solutreano, di circa 20mila anni fa. A sinistra, lame della fine del Magdaleniano, di circa 13mila anni fa. RMN-GRAND PALAIS
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di 51 fossili diversi ha svelato che tra i 35mila e i 14mila anni fa si verificarono migrazioni, mescolanze e avvicendamenti di alcuni popoli paleolitici, tutti dalla pelle scura e gli occhi marroni, provenienti dalle attuali Grecia e Turchia, finché giunse un nuovo popolo dal Vicino Oriente, i cui membri erano sì dalla pelle scura ma dagli occhi chiari. A ogni modo, si tratta di gruppi disseminati in un territorio vastissimo, i quali si adattavano a uno specifico luogo per poi sopravvivere o scomparire nel periodo di freddo estremo, come accadde a molti. Ignoriamo quanti Cro-Magnon vissero nel continente durante il Paleolitico superiore. All’inizio formavano dei piccoli clan, che a poco a poco si organizzarono in concentrazioni numerose, dando luogo a sistemi sociali complessi. Lo sostiene Rodrigo de Balbín, responsabile dei lavori a Tito Bustillo: attorno a quella caverna asturiana vennero occupate contemporaneamente altre dodici grotte, e quindi centinaia di individui si dovettero spostare
nel territorio alla ricerca di cibo. Il vasto ambiente di Tito Bustillo era il loro ritrovo. Per proteggersi dal freddo, i sapiens vivevano in anfratti rocciosi e in caverne, dentro i quali ergevano delle capanne in cui mantenere il calore. Nelle stagioni dal clima più mite, in primavera e in estate, si stabilivano in accampamenti all’aperto con tende fatte di pelli, il cui aspetto non differiva molto dalle caratteristiche abitazioni degli indiani nomadi degli Stati Uniti note come tepee, come nel caso dell’accampamento estivo di cacciatori di renne scoperto a Pincevent, nella regione di Parigi. Probabilmente in tali occasioni si scambiavano le donne, elemento che avrebbe favorito la diversità genetica dei gruppi umani e attenuato la rivalità tra gli stessi grazie alle loro unioni. Gli spostamenti erano una dura prova per le donne incinte e i bambini piccoli, e si sommavano a una natalità già bassa: tra un figlio e l’altro trascorrevano in genere due o tre anni. Era il periodo riservato all’allattamento. Poiché la mortalità era molto elevata, forse superiore al trenta percento, la popolazione cresceva lentamente. Tuttavia continuò ad
GROTTA DI TITO BUSTILLO
Tra i 17mila e i 12mila anni fa, nella cosiddetta sala del Pannello principale di questa grotta nelle Asturie, su una grande macchia di pigmento rosso furono dipinti, tra gli altri, 30 cervidi, 13 cavalli, nove renne, cinque capre, quattro bisonti e un uro, un bovide oggi estinto e simile al toro. PEDRO SAURA
IL FAVOLOSO BESTIARIO DI LASCAUX
Nella cosiddetta sala dei Tori della grotta francese sono allineati e sovrapposti diversi animali: bovidi, tra cui uri, cavalli, cervi, e perfino un orso. La pittura si estende per una striscia di 20 metri di lunghezza e risale al Magdaleniano, ovvero a circa 17mila anni fa. La fotografia corrisponde, invece, a una moderna e precisa replica della grotta, perchÊ il sito è chiuso al pubblico al fine di preservare i suoi dipinti. PHILIPPE PSAILA / SPL / AGE FOTOSTOCK
INCIDENTE DI CACCIA? UNA FIGURA CON LA TESTA SIMILE A QUELLA DI UN UCCELLO GIACE A TERRA: FORSE SI TRATTA DI UN UOMO MORTO IN SEGUITO ALL’ATTACCO DI UN BISONTE, SQUARTATO LÌ VICINO CON UNA ZAGAGLIA (SIMILE A UNA PICCOLA LANCIA). SOTTO QUEST’ULTIMO È VISIBILE UN PROPULSORE A FORMA DI UCCELLO.
JAVIER TRUEBA / SPL / AGE FOTOSTOCK
PROPULSORE, UN’ARMA MORTALE
ASF / ALBUM
Dentro vi si incastravano le zagaglie, che poi venivano scagliate spingendo il braccio in avanti. Sotto, propulsore di circa 13mila anni fa.
aumentare grazie all’eccellente capacità di adattamento all’ambiente naturale, che rappresenta il più grande successo dei sapiens.
Corpo e mente Dai loro ripari, collocati strategicamente, i gruppi partivano per dedicarsi alla caccia e alla raccolta. Se la sorte era loro propizia, tornavano con carne di bisonte, cervo, capra, cavallo, rinoceronte e, a nord dei Pirenei, renna e mammut lanoso. Ogni tipo di carne era il benvenuto, perché non era facile cacciare. Ciononostante, i sapiens erano molto abili nella caccia e nella pesca, e potevano contare su un arsenale diversificato fatto di legno, osso, pietra e corno: zagaglie, ovvero piccole lance, e propulsori per scagliarle, arpioni e ami. Se volevano abbattere animali grandi, usavano trappole e pianificavano per tempo le partite di caccia, ma spesso preferivano la cattura di piccoli animali, che accompagnavano a vegetali, pesce, uova o frutti di mare. Si è scoperto che 21mila anni fa, nelle Asturie, si mangiava il salmone proveniente dal mare del Nord e anche molto cervo. E sulle coste di Malaga si raccoglievano frutti di mare come
vongole, cappelunghe o crostacei. Tutto tornava utile. Il tartaro sui denti di questi sapiens indica che la metà degli alimenti era di origine vegetale: frutta, erba, semi, tuberi, funghi, verdure… almeno finché il raffreddamento si fece più intenso e divenne ancor più difficile raccoglierli. La conoscenza dell’ambiente circostante si trasmetteva di generazione in generazione, e a volte in un modo molto sofisticato: nella grotta di Abauntz, in Navarra, è stata rinvenuta una mappa di circa 13.700 anni fa incisa su una lastra di pietra, con l’indicazione di fiumi, montagne e luoghi dove trovare animali. La tecnologia ci consente di scoprire nuovi dettagli sull’evoluzione della vita quotidiana. In base alla forma e al tipo di utensili lavorati in pietra, il periodo è stato suddiviso in quattro grandi culture: l’Aurignaziano (iniziato circa 38mila anni fa), il Gravettiano (30mila), il Solutreano (25mila) e il Magdaleniano (17mila anni fa circa). Nel tempo gli strumenti divennero sempre più piccoli e maneggevoli. Poiché gli utensili si rovinavano e rompevano con l’uso, la loro produzione richiedeva alla comunità molto
I CAVALLI DI CHAUVET
Scoperta nel 1994, la grotta Chauvet, nel sud-est della Francia, ha permesso di portare alla luce esempi straordinari di un’arte parietale attenta alla verosimiglianza, con magnifiche figure come quella di questi animali, che danno il nome al cosiddetto "fregio dei Cavalli". JAVIER TRUEBA / SPL / AGE FOTOSTOCK
gli animali sono in prospettiva, con figure più precise in primo piano e schematiche sullo sfondo. Assieme alle teste delle cerve appaiono dei semicerchi: potrebbero simbolizzare il bramito dei maschi che sentono le femmine o la loro percezione olfattiva del pericolo. Dei punti circolari più profondi segnano i luoghi dove trovare acqua o pietre di selce.
Stambecco di profilo
Corni di stambecchi in lontananza
Cervi rossi
Stambecchi in fila
Bovidi Figura umana (è stata l’ultima a essere incisa)
1 Rilievo montagnoso di San Gregorio
Punti o luoghi di interesse
FACCIA A (superiore) Incisione su strati sovrapposti
Foro per mettere l’olio Blocco 2 Veniva utilizzato come lucerna
Passaggi e guadi Corsi d’acqua
Sentieri
Incisioni simili Sentieri Terre inondabili, stagni
2 FACCIA B (inferiore)
Punti o luoghi di interesse
Accessi
Blocco 1 Rappresentazione volumetrica
Cerve
Corsi d’acqua Sentieri ILUSTRAZIONE: ADOLFO ARRANZ / EL MUNDO
CAVERNA DI ABAUNTZ
LA MAPPA DI ABAUNTZ Circa 13.700 anni fa alcuni cacciatori nomadi – che forse vivevano nell'odierna Francia e valicarono poi i Pirenei alla ricerca di pelli – potrebbero essere gli autori della prima mappa cartografica dell’Europa occidentale
Ulzama
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Rilievo montagnoso di San Gregorio
Zona di anse e prati inondabili
LE IMMAGINI SCALFITE
INCISIONE SU ROCCIA
I blocchi di pietra 1 e 2, disegnati nella pagina a sinistra, sono stati rinvenuti nel 1993, tuttavia la conferma che uno di questi conteneva una mappa è arrivata solo nel 2009, in seguito alla pubblicazione di un articolo sulla rivista Journal of Human Evolution. La ricerca è stata condotta dall’archeologa Pilar Utrilla, dell’Università di Saragozza. Nell'immagine a destra appaiono in risalto alcuni elementi della mappa: i cervi a e i bovidi b sono sulle pianure, e gli stambecchi in zone di montagna: un branco di quest’ultimi è disposto in fila c, compaiono anse d, zone inondabili E, possibili sentieri tracciati con linee discontinue F.
La mappa venne tracciata su strati sovrapposti, su una marna calcarea (Blocco 1), ed è stata trovata nella grotta, vicino ai resti di un antico falò. Non lontano sono stati rinvenuti i bulini con cui venne intagliata. Questi utensili sono riprodotti qui sotto.
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FOTO: EFE
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L’ENIGMA DELL’ARTE RUPESTRE
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ER MOLTO TEMPO si è creduto che le grotte di arte parietale fossero santuari dal simbolismo magico o religioso. Tuttavia l’archeologo Marco de la Rasilla, dell’università di Oviedo, crede che non abbiamo oggi i loro codici, la loro “stele di Rosetta” per decifrare dei riti che, secondo lui, potrebbero avere un significato più sociale che religioso. Anche Joseba Ríos, del Centro nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH), ha osservato che l’arte era un sistema di linguaggi, con segni codificati per condividere rituali, leggende, storie… e che per questo aveva norme e regole che si ripetevano. Tale linguaggio avrebbe permesso ai sapiens di accumulare e trasmettere una quantità di informazioni sulla comunità e l’ambiente circostante di gran lunga superiore rispetto a quella degli antenati.
LO STREGONE, NOME CON CUI SI CONOSCE LA PITTURA RUPESTRE DELLA GROTTA FRANCESE DI TROIS-FRÈRES, VICINO AI PIRENEI.
BPK / SCALA, FIRENZE
VENERE DI HOHLE FELS
Alta circa sei cm, è intagliata in avorio di mammut. Al posto della testa ha una spilla che permetteva forse di portarla come ciondolo. Urgeschichtliche Museum Blaubeuren, Blaubeuren. J. TRUEBA / SPL / AGE FOTOSTOCK
tempo, e probabilmente c’erano dei“maestri” che intagliavano le pietre più difficili e insegnavano la tecnica ad altri, come dimostra il laboratorio litico trovato a Bergerac (Francia). A quello si aggiungevano le decorazioni del corpo, di cui ignoriamo il significato sociale, e che danno l’idea di una comunità molto organizzata. L’eredità più affascinante di quel periodo si trova nelle grotte: è l’arte rupestre, che si concentra nella zona franco-cantabrica. Anche se alcuni ritrovamenti lasciano intendere che anche i neanderthaliani sapevano dipingere, la diffusione delle pitture avvenne con i Cro-Magnon. In Francia, per esempio, possiamo citare i cavalli della grotta Chauvet (circa 36mila anni fa) e le circa seimila figure rappresentate a Lascaux (17mila anni fa); in Spagna, i bisonti di Altamira (15mila anni fa) e in Italia i bovi della grotta del romito di Papasidero, in provincia di Cosenza (10.500 anni fa) e le circa 140mila figure delle incisioni rupestri della valle Camonica, in provincia di Brescia (le più antiche sono di circa ottomila anni fa), il primo sito patrimonio dell'UNESCO nel
nostro Paese. Nell’arte parietale si impongono le rappresentazioni di animali (bisonti, cervi...) ma ci sono anche figure umane, mani, vulve e altri segni dal significato sconosciuto. Sono ugualmente belli gli oggetti che elaboravano e potevano portare con sé. La scultura più antica proviene dalla Germania: è la Venere di Hohle Fels, intagliata nell’avorio di una zanna di mammut tra i 40mila e i 35mila anni fa. Assieme a questa venne trovato un flauto in osso di grifone, indizio che già allora la musica era importante per la cultura e la coesione sociale. L’Ultimo periodo glaciale obbligò i sapiens a ricorrere a tutte le loro capacità cognitive e sociali. Quando quest'epoca finì, l’Europa era già pronta a una novità che avrebbe cambiato radicalmente la nostra storia: l’arrivo dell’agricoltura. ROSA M. TRISTÁN GIORNALISTA SCIENTIFICA
Per saperne di più
SAGGI
Guida alla preistoria Jean Guilaine. Gremese, Roma, 2004. La vita nella Preistoria De Agostini, Novara, 2014, vari volumi. INTERNET
http://archeologie.culture.fr/lascaux/ en/visit-cave
L’UOMO-LEONE
Questa scultura zoomorfa, la più antica nel suo genere, è in avorio ricavato dalla zanna di un mammut. I primi frammenti, per un insieme di circa trecento, furono rinvenuti nella grotta di Hohlenstein-Stadel nel 1939, e gli ultimi nel 2011. Il restauro si è concluso nel 2013. Risale a un periodo compreso tra i 40mila e i 35mila anni fa, e misura 31,1 cm. Museum Ulm, Ulm. ALAMY / ACI
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GLI UOMINI E GLI ANIMALI Nell’arte mobile, così come in quella rupestre, gli uomini dell’Ultimo periodo glaciale rappresentarono gli animali con cui convivevano, e lo fecero con una verosimiglianza straordinaria. Compaiono con frequenza gli erbivori – cavalli, bisonti, cervi, renne e mammut – ma anche i pesci e gli uccelli, nonché i predatori quali leoni e orsi.
1.
RENNE Una femmina di renna e, dietro di lei, un maschio superano la corrente a nuoto. Vennero incisi su una zanna di mammut circa 12.500 anni fa. L’oggetto, lungo 20,7 cm, è stato scoperto nel rifugio di Montastruc (Francia). 3 cm di altezza; 20, 7 di lunghezza; 2,7 di larghezza.
2.
CAVALLO La testa di questo cavallo che nitrisce proviene da Le Mas-d’Azil (Francia). Venne intagliata nel corno di una renna tra i 14mila e i 13mila anni fa. 5,4 cm di altezza; 2,9 di lunghezza; 1,4 di larghezza.
UCCELLO L’uccello, inciso nell’avorio di mammut circa 31mila anni fa, è forse un’anatra o un cormorano. Proviene dalla grotta di Hohne Fels (Germania). Misure: 1,3 cm di altezza; 4,9 di lunghezza. 3.
1. JAVIER TRUEBA / SPL / AGE FOTOSTOCK. 2. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE. 3. L. HAMON / RMN-GRAND PALAIS. 4. P. PSAILA / SPL / AGE FOTOSTOCK. 5 E 6. JAVIER TRUEBA / SPL / AGE FOTOSTOCK
BISONTE Il bisonte, colto nell’atto di leccarsi, proviene dalla grotta di La Madeleine (Francia), che dà il nome al periodo Magdaleniano. È stato intagliato nel corno di una renna all’incirca 14mila anni fa. 6,9 cm di altezza; 10,4 cm di lunghezza;
LEONI Tre leoni in movimento, incisi 13mila anni fa circa su una costola di uro o di bisonte. Provengono dalla grotta di La Vache (Francia).
BOVIDI Un disco di osso forato da Le-Masd’Azil (Francia), intagliato in una scapola di circa 17mila anni fa, mostra un uro adulto da un lato e un cucciolo di bisonte dall’altro.
3,5 cm di altezza; 16,6 cm di
5,1 cm di diametro;
2,3 cm di larghezza.
lunghezza; 3 cm di larghezza.
1 cm di larghezza.
5.
6.
4.
LA MORTE DI CLITO
Nel corso della sua avanzata in Asia Alessandro iniziò ad assumere costumi orientali e a tollerare sempre meno le critiche. Nell’immagine, il re uccide il suo generale e amico Clito il Nero. Incisione del XIX secolo. AKG / ALBUM
La trasformazione di un sovrano
ALESSANDRO, DA CONQUISTATORE A DESPOTA Nel 331 a.C. Alessandro Magno sconfisse a Gaugamela il sovrano persiano Dario III e gli succedette alla guida del maggior impero dell’epoca. Da allora iniziò ad adottare costumi orientali e a comportarsi sempre più come un autocrate, alienandosi le simpatie dei macedoni e provocando crescenti tensioni
LA GRANDE SVOLTA DI BABILONIA
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OPO AVER sconfitto Dario a Gau-
gamela, Alessandro fu ricevuto a Babilonia con tutti gli onori dal governatore locale Mazeo. Qui la sua politica prese una nuova direzione: il sovrano fece della città la sede del governo in Asia e permise a Mazeo di conservare la carica di satrapo. Quella nomina era necessaria per rafforzare il suo potere, ma andava a beneficiare una nobiltà barbara sconfitta (Mazeo aveva combattuto a Gaugamela nell’esercito persiano). Questo fatto non fu visto di buon occhio dai macedoni della vecchia guardia, capeggiati da Parmenione e Filota. Da quel momento Alessandro iniziò a creare una nutrita corte parallela di satrapi ed eunuchi, e introdusse nell’etichetta di corte alcuni rituali di origine asiatica che finirono per allontanargli i suoi stessi uomini.
ERICH LESSING / ALBUM
IL NUOVO SIGNORE DI BABILONIA
Mazeo consegnò la città ad Alessandro per salvarla dall’assedio. Sopra, l’entrata del re ricostruita da Charles Le Brun. 1665. Louvre.
N
el 330 a.C., nel territorio dell’attuale Afghanistan, si verificò uno degli episodi più oscuri del regno di Alessandro: la condanna a morte del comandante macedone Filota e l’assassinio di suo padre Parmenione, in seguito a una presunta congiura contro la vita del grande conquistatore. È una storia terribile, con molti punti oscuri, che vide Alessandro e alcuni dei suoi uomini di fiducia reagire in modo viscerale e con una crudeltà sproporzionata. Ma il “caso Filota” non fu che il
primo di una serie di conflitti che avrebbero esacerbato le tensioni tra Alessandro e il corpo di soldati macedoni e greci con i quali nel 334 a.C. aveva attaccato il possente impero persiano.
Il nuovo sovrano di Persia I primi tre anni della campagna di Alessandro contro il re persiano Dario III si erano conclusi con una serie di clamorosi trionfi in Asia Minore e Mesopotamia: sul fiume Granico, a Isso e infine a Gaugamela. Dopo
C R O N O LO G I A
UNDICI ANNI DI GUERRA 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Alessandro Magno invade l’impero persiano, che alla fine viene sconfitto in tre epiche battaglie campali: Granico (334 a.C.), Isso (333 a.C.) e Gaugamela (331 a.C.).
330 a.C.
RMN-GRAND PALAIS
334 a.C.
Alessandro giustizia in Drangiana il capo della cavalleria macedone Filota, accusato di una congiura contro di lui, e ne fa assassinare il padre, il generale Parmenione, sospetto di complicità con il figlio.
ALESSANDRO IN UNA SCULTURA IDEALIZZATA. LOUVRE.
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Alessandria Escata (Kokand)
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Impero di Alessandro nel 323 a.C. Percorso di andata verso Oriente (331-324 a.C.) Percorso di ritorno (326-323 a.C.) Città fondate da Alessandro Magno Altre città Principali battaglie Limiti estremi raggiunti dalla spedizione (326 a.C.) Satrapie Villaggi
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CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
quest’ultimo successo Alessandro aveva conquistato Babilonia, Susa e altre capitali dove nel corso dei secoli l’impero achemenide aveva accumulato enormi tesori. In Egitto il conquistatore macedone era stato accolto come un liberatore, aveva fondato la più celebre delle città che portano il suo nome ed era persino stato proclamato figlio del dio Zeus Amon dai sacerdoti del prestigioso tempio nell’oasi di Siwa. Se fino ad allora Alessandro era stato solo il re dei macedoni, dopo la morte di Dario III ascese anche al trono persiano. Con le sue conquiste e le sue imprese memorabi-
328 a.C. Nel corso di un banchetto a Samarcanda Alessandro uccide con un giavellotto Clito il Nero, che oltre ad avere difeso Parmenione gli aveva rimproverato il dispotismo e l’adozione di costumi orientali.
li avrebbe cambiato a tal punto il volto del mondo conosciuto da meritare l’appellativo di “Magno”. Tuttavia, quando si rese conto che nessuno avrebbe potuto mettere in discussione il suo impero, Alessandro si lasciò tentare dal lusso e dalla magnificenza dei sovrani asiatici. D’altro canto il condottiero non aveva intrapreso quell’epica spedizione di migliaia di chilometri da solo. Ad accompagnarlo erano stati i suoi amici d’infanzia, come Tolomeo, Cratero, Clito il Nero e soprattutto il fedele Efestione, di cui sempre si disse che era il suo amante. Ma a rendere veramente
327 a.C. Vengono giustiziati sette paggi con l’accusa di aver complottato per uccidere Alessandro, che aveva offeso uno di loro. Lo storico Callistene, considerato un istigatore della congiura, è incarcerato e forse ucciso.
323 a.C. Alessandro muore a Babilonia in seguito a una malattia sconosciuta. Cinque anni più tardi inizia a circolare la voce che sia stato avvelenato.
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Quando nel 332 a.C. arrivò a Menfi, Alessandro fu dichiarato sovrano della terra del Nilo. Sotto, un cartiglio con il suo nome in scrittura geroglifica. Louvre. ERICH LESSING / ALBUM
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BAGOA SI GENUFLETTE E CHIEDE AD ALESSANDRO IN TRONO DI ACCOGLIERE NABARZANE. MINIATURA DEL XV SECOLO.
ALAMY / ACI
IL SANTUARIO DI ZEUS AMON A SIWA
BAGOA, L’AMANTE PERSIANO DEL CONQUISTATORE
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EL 330 A.C. il giovanissimo eunuco Bagoa conobbe
Alessandro a Zadracarta, in Ircania (nel nord dell’attuale Iran). Era stato inviato dal gran visir Nabarzane, che aveva preso parte all’assassinio del re persiano Dario III, suo signore. In quanto successore dei sovrani achemenidi, Alessandro era intenzionato a vendicare Dario, ma il gran visir Nabarzane riuscì a ottenere il perdono proprio grazie all’intercessione di Bagoa. Il conquistatore macedone fu sedotto dall’inebriante bellezza del giovane eunuco, che divenne il suo amante (come già lo era stato di Dario). Si racconta che una volta Alessandro, entusiasmato da una danza di Bagoa, lo abbracciò e lo baciò davanti a tutti, tra gli applausi e le grida delle truppe. L’indiscutibile influenza esercitata sul sovrano valse a Bagoa l’odio dei nobili macedoni, che disprezzavano l’atteggiamento “effeminato” di Alessandro. La figura di Bagoa ha ispirato un libro molto famoso: Il ragazzo persiano di Mary Renault, pubblicato nel 1972.
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Nel 331 a.C. Alessandro andò a consultare l’oracolo dell’oasi di Siwa, nel Sahara, e si convinse di avere origini divine e di essere destinato a conquistare il mondo.
possibile il trionfo del giovane re furono alcuni esperti generali macedoni, che avevano già servito lealmente alla corte del padre di Alessandro, Filippo II. Uno di loro, il veterano Parmenione, era un nobile che aveva stretti rapporti con la corte e i militari, in quanto diretto sottoposto del re nel comando dell’esercito. Parmenione aveva 65 anni e vari figli, tutti con ruoli importanti. Ma il più in vista era Filota, che svolgeva il prestigioso incarico di comandante in capo degli Eteri, il corpo scelto di cavalleria formato dai membri dell’aristocrazia macedone.
L’obiettivo: Filota Filota era un uomo coraggioso e capace di grande generosità verso i suoi amici; ma era anche considerato arrogante e conduceva uno stile di vita che suscitava invidie e sospetti. Inoltre, già in Egitto aveva manifestato la sua contrarietà alle tendenze autocratiche di Alessandro, quando questi si era recato all’oracolo di Siwa per farsi dichiarare figlio di una divinità.
MICHEL BARET / GETTY IMAGES
sandro ricevette la denuncia di un complotto in cui era coinvolto Limno, uno degli Eteri. La cospirazione venne alla luce per caso, quando questi cercò di convincere il suo amante Nicomaco a unirsi ai congiurati. Il giovane si spaventò e rivelò i particolari del piano a suo fratello Cebalino. Fu a quel punto che Filota fu coinvolto, perché Cebalino lo informò della trama in due occasioni, ma il comandante non ritenne opportuno prendere provvedimenti né riferire la cosa ad Alessandro. Alla fine Cebalino si recò personalmente dal sovrano per denunciare Limno, che secondo Quinto Curzio Rufo si suicidò prima di essere arrestato. Il suo cadavere fu esposto pubblicamente mentre venivano resi noti i motivi del suo gesto. A quel punto Alessandro convocò Filota, chiedendogli perché non l’avesse informato della congiura e insinuando che potesse esserne la mente. Ovviamente Filota respinse ogni accusa e dichiarò di non M
IL NUOVO ERACLE Alessandro credeva di discendere da Achille e dal semidio Eracle. Sotto, il sovrano macedone con sembianze di Eracle su un tetradramma.
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Da quel momento Cratero iniziò a farlo spiare, alla ricerca di qualche prova che permettesse di accusarlo di tradimento nei confronti del re macedone. La testimonianza più importante che riuscì a raccogliere fu quella della cortigiana Antigone, secondo la quale Filota sosteneva che le vittorie di Alessandro erano merito suo e di suo padre Parmenione, e trattava il re come un ragazzino. Inizialmente il sovrano macedone non diede troppo peso a queste accuse, in virtù della fiducia che riponeva in Filota e del prestigio di cui Parmenione godeva tra i macedoni. La situazione degenerò qualche tempo dopo, quando Alessandro si era ormai impossessato di tutta la Persia e nell’opinione dei macedoni aveva ceduto al lusso e alla magnificenza dei sovrani d’Oriente. Nel 330 a.C., mentre l’esercito svernava a Frada (odierna Farah, nell’Afghanistan occidentale), Ales-
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EFESTIONE, IL COMPAGNO PIÙ FEDELE
EFESTIONE INDICA ALESSANDRO DAVANTI ALLA FAMIGLIA DI DARIO, CATTURATA A GAUGAMELA. OLIO DEL XVIII SECOLO.
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MICO D’INFANZIA di Alessan-
dro, Efestione faceva parte del ristretto gruppo che aveva assistito alle lezioni del filosofo Aristotele in compagnia del futuro re. Aveva una relazione molto intima con Alessandro (forse anche di natura sessuale), al punto che questi lo considerava pubblicamente il suo alter ego, e a volte i sudditi persiani confondevano l’uno con l’altro. Dopo la condanna a morte di Filota, Efestione ascese al ruolo di comandante della cavalleria. Alcuni anni più tardi Alessandro lo nominò gran visir in Asia, incaricandolo delle questioni tecniche (rifornimento e comunicazioni). Quando nel 324 a.C. Efestione morì improvvisamente a Ecbatana, il sovrano macedone organizzò in suo onore un magnifico funerale.
PRINT COLLECTOR / GETTY IMAGES
IL MIGLIORE AMICO DEL RE Efestione fu colui che entrò in maggiore intimità con Alessandro. La sua testa bronzea è conservata presso il museo del Prado. IV secolo a.C.
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aver avvisato nessuno perché non aveva dato credito alle parole di Cebalino, convinto che fossero il frutto di una lite tra amanti. Così lo riporta Quinto Curzio Rufo, che mette in bocca a Filota queste parole: «Io, infelice, ho creduto di aver ascoltato un alterco tra un amante e un effeminato, e ho ritenuto sospetta la testimonianza, perché non me l’aveva riferita lui [Nicomaco] in persona, bensì aveva spinto suo fratello a farlo». Dato che gli autori della denuncia insistevano con le accuse, Alessandro decise di convocare l’assemblea dei macedoni. Cratero ribadì pubblicamente che Filota non si era limitato a occultare la congiura, ma ne era il promotore. Tra i mormorii di indignazione, nessuno dubitò più della colpevolezza del comandante. In seguito intervenne Efestione, che sostenne la necessità di sottoporre a tortura il reo prima di giustiziarlo, per fare chiarezza una volta per tutte sull’intera vicenda. Efestione, Cratero e altri militari
(tra cui Ceno, che aveva sposato la sorella dello stesso Filota) si accanirono sul sospetto tutta la notte, fino a che questi non poté sopportare oltre il dolore delle ferite inferte al suo corpo. «Cratero, dimmi: cos’altro vuoi che confessi?», lo supplicò Filota, prima di fornirgli i nomi dei presunti complici. Il giorno successivo il figlio di Parmenione e gli altri sospetti furono lapidati secondo le usanze macedoni. Non ci furono ulteriori processi, ma nelle file dell’esercito si susseguirono le purghe e le degradazioni per mettere in chiaro che non sarebbe stata tollerata nessuna forma di slealtà. Ci furono anche delle promozioni, come quella di Efestione, che da quel momento condivise con Clito il Nero il comando supremo della cavalleria macedone, in precedenza sotto il controllo esclusivo di Filota. Clito era un uomo di fiducia del re – gli aveva salvato la vita nella battaglia del Granico – ed era in buoni rapporti con la vecchia guardia
RENÉ-GABRIEL OJÉDA / RMN-GRAND PALAIS
che aveva servito sotto Filippo; dal canto suo, Efestione fu ricompensato per la sua fedeltà ottenendo il primo incarico militare di un certo rilievo. Da quella posizione poteva anche tenere sott’occhio Clito, che si era dimostrato contrario come Filota alle aspirazioni autocratiche del sovrano.
L’assassinio di Parmenione Per Alessandro la congiura rappresentava un’ottima scusa per liberarsi di Parmenione, con cui aveva delle divergenze politiche sempre più insanabili. Parmenione godeva da sempre di grande influenza a corte e nell’esercito, ma aveva anche un temperamento cauto, frutto di lunghi anni di servizio, che contrastava con la genialità frenetica e lungimirante di Alessandro. Queste circostanze avevano generato frequenti scontri tra i due in merito a questioni tattiche e strategiche. Parmenione era anche totalmente all’oscuro di quanto avvenuto a suo figlio Filota, dato che era rimasto a Ecbatana per svolgere delle operazioni con
le truppe straniere. E così, se l’esecuzione di Filota era stata ammantata di una parvenza di legalità, la fine di Parmenione non fu altro che un omicidio a tradimento dettato da ragioni di pura convenienza politica. Deciso una volta per tutte a ribadire la sua autorità personale, Alessandro inviò un manipolo di uomini a Ecbatana con l’ordine di eliminare Parmenione e soffocare qualsiasi tentativo di ribellione delle sue truppe. Successivamente il sovrano incaricò Clito di andare ad assumere il comando di quei distaccamenti e riportarglieli il più rapidamente possibile, per proseguire la campagna in Battriana e Sogdiana. Prima di riprendere
LA CONDANNA DI FILOTA
Sopra, ricostruzione del giudizio del comandante degli Eteri. Disegno di Pierre-Narcisse Guérin. XIX secolo. Musée des beaux-arts, Valenciennes.
Alessandro approfittò del presunto coinvolgimento di Filota nella congiura per sbarazzarsi di Parmenione
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ESECUZIONE DI FILOTA. MINIATURA DEL LIVRE DES FAITS D’ALEXANDRE LE GRAND, BASATO SULLE STORIE DI ALESSANDRO MAGNO DI QUINTO CURZIO RUFO. XV SECOLO. J. PAUL GETTY MUSEUM, LOS ANGELES.
1
LA LAPIDAZIONE DI FILOTA
Quando Filota fu accusato di tradimento, Alessandro ordinò che fosse condotto davanti all’assemblea generale dell’esercito. I membri di quest’organismo invidiavano le ricchezze e la posizione di Filota, che in alcune occasioni li aveva anche disprezzati e insultati pubblicamente. Non sorprende quindi che al termine dell’assemblea «le guardie iniziarono a gridare che volevano fare a pezzi il traditore con le loro mani», secondo quanto riportato da Quinto
Curzio Rufo nelle Storie di Alessandro Magno. Quindi Filota fu torturato dai compagni del re macedone perché confessasse. Curzio Rufo riferisce: «Finché Filota aveva negato il delitto, torturarlo era parsa una crudeltà; dopo la sua confessione non suscitò neanche la compassione degli amici». Una volta che ebbe dichiarato la sua colpevolezza, fu condotto davanti all’assemblea insieme ad altri accusati; poi tutti «vennero lapidati a un segnale convenuto, secondo il costume macedone».
LA MORTE DI FILOTA E PARMENIONE
L’ACCOLTELLAMENTO DI PARMENIONE
Alessandro doveva chiudere i conti anche con Parmenione, prima che questi venisse a sapere del destino del figlio. Il sovrano inviò a Ecbatana una lettera con l’ordine di ucciderlo, del cui trasporto incaricò Polidamante. Dato che questi era un amico del generale, Alessandro tenne in ostaggio i suoi fratelli e le famiglie dei due arabi che dovevano accompagnarlo. Il gruppo partì in direzione di Ecbatana in sella a dei veloci cammelli e percorse oltre mille chilometri in undici giorni. Giunto a destinazione Polidamante consegnò gli ordini del re agli ufficiali di Parmenione – Cleandro, Sitalce e Menida –, quindi andò con loro a cercare l’amico, che era nel giardino della sua abitazione e lo accolse con gioia. A quel punto gli ufficiali diedero al generale una falsa lettera del figlio Filota e lo pugnalarono a morte mentre era intento a leggere. Successivamente inviarono la sua testa ad Alessandro.
IMMAGINI: QUINTLOX / ALBUM
ASSASSINIO DI PARMENIONE. MINIATURA DEL LIVRE DES FAITS D’ALEXANDRE LE GRAND. XV SECOLO. J. PAUL GETTY MUSEUM, LOS ANGELES.
AKG / ALBUM
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Dopo la condanna a morte di Filota in quanto presunto organizzatore di una congiura, Alessandro doveva sbarazzarsi immediatamente del padre di questi, Parmenione, che custodiva nella remota Ecbatana l’immenso tesoro sottratto ai sovrani persiani. Parmenione era anche l’ultimo maschio della famiglia, dato che i due fratelli di Filota erano morti durante la campagna: Ettore era affogato nel Nilo mentre Nicanore era deceduto in seguito a una malattia.
ALESSANDRO CON LE SEMBIANZE DI UNO DEI DIOSCURI (I GEMELLI CASTORE E POLLUCE). SCULTURA ROMANA DEL I SECOLO A.C. PROVENIENTE DALL’ANTICA CITTADINA DI CIRENE (ODIERNA SHAHAT, IN LIBIA).
DEA / AGE FOTOSTOCK
IL RITUALE DELLA PROSKYNESIS A PERSEPOLI. IL SOVRANO SEDUTO IN TRONO È DARIO IL GRANDE.
LA CONGIURA DEI PAGGI
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UE ANNI E MEZZO dopo le morti di Filota e Parmenione,
avvenute nel 330 a.C., fu sventata la cosiddetta “congiura dei paggi”. Questa cospirazione dei servitori del sovrano fu provocata probabilmente dall’umiliazione inflitta da Alessandro a uno dei suoi giovani servitori, frustato per aver commesso un errore durante una battuta di caccia. Il ragazzo cercò dei complici per uccidere Alessandro, ma la trama fu portata alla luce da una denuncia. Lo storico Callistene, che era parente di Aristotele ed era la persona responsabile dell’educazione dei paggi, venne accusato di essere tra gli organizzatori della congiura. Callistene aveva spesso preso posizione contro le tendenze dispotiche di Alessandro e l’imposizione della proskynesis, il gesto che i persiani tributavano al sovrano (i nobili chinavano il capo verso il re inviandogli un bacio con le mani a giumella, mentre il popolo si inginocchiava fino a toccare il suolo con la testa). I paggi furono uccisi; di Callistene si ignora invece se fu giustiziato oppure morì in prigione.
50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
l’avanzata, alla fine del 330 a.C., Alessandro decise di cambiare nome alla città di Frada, ribattezzandola Proftasia (in greco, “anticipazione”), perché lì aveva “anticipato” la congiura di Filota.
Il prezzo del potere La folgorante campagna svoltasi tra il 334 e il 331 a.C. e culminata con la conquista di Babilonia, Susa e Persepoli aveva convinto Alessandro di essere imbattibile. Il conquistatore è stato descritto da alcuni storici come una sorta di re-filosofo, che mirava a promuovere l’ellenizzazione dell’Asia attraverso la fondazione di nuove colonie. Senza il controllo di Parmenione e degli altri esponenti della vecchia guardia, la condotta del sovrano iniziò a somigliare sempre più a quella degli autocrati orientali che aveva rovesciato. Anche i banchetti, che in Grecia erano lo specchio di una civiltà raffinata (nonché teatro di conversazioni politiche e filosofiche), presso la corte alessandrina degeneravano spesso in risse
PRISMA BILDAGENTUR / GETTY IMAGES
e discussioni offensive, in cui l’eccessivo consumo di vino faceva prevalere la passione sulla ragione. Fu proprio nel corso di un convivio tenutosi a Samarcanda nel 328 a.C. che Alessandro, in preda all’ebbrezza, uccise Clito il Nero trapassandolo con una spada, perché questi gli rimproverava senza riserve il suo atteggiamento e le recenti politiche orientalizzanti. Si racconta, però che all’indomani, resosi conto dell’accaduto, Alessandro si pentì del suo gesto e pianse l’amico assassinato. A partire da quel momento il minimo sospetto di opposizione interna o esterna provocò ondate di repressioni e massacri indiscriminati. All’inizio del 327 a.C. fu sventato un altro complotto per uccidere il sovrano macedone, che vide coinvolti diversi servitori del re e forse anche il cronista ufficiale di corte Callistene, parente del filosofo Aristotele (che era stato il maestro di Alessandro). Callistene si era in precedenza rifiutato di salutare Alessandro con la proskynesis, un gesto di riverenza di
tradizione persiana che i greci e i macedoni consideravano non solo umiliante per un uomo libero, ma anche fuori luogo, in quanto equivaleva a riconoscere ai sovrani una natura divina. Anche in questo caso il re non esitò a spargere il sangue dei suoi uomini. Alessandro fu un immenso condottiero, ma aveva quell’incapacità di sopportare il dissenso tipica di chi accumula su di sé un potere eccessivo. E il potere del signore dell’Asia era ormai pressoché totale.
LE ROVINE DI UN GRANDE PALAZZO
Sopra, l’Apadana, la sala delle udienze di Persepoli. È uno dei complessi della capitale achemenide incendiati da Alessandro nel 330 a.C.
JUAN PABLO SÁNCHEZ STORICO
Per saperne di più
TESTI
Storie di Alessandro Magno Quinto Curzio Rufo. BUR, Milano, 2005. L’anabasi di Alessandro Flavio Arriano. BUR, Milano, 1994. Vita di Alessandro. Plutarco, Edizioni Studio Tesi, Roma, 1999. SAGGI
Alessandro Magno Piero Citati. Adelphi, Milano 2004. ROMANZI
Aléxandros. La trilogia Valerio Massimo Manfredi. Mondadori, Milano, 2016.
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Roma accoglie il suo nuovo padrone
I TRIONFI DI
CESARE
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© HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II, 2018 / BRIDGEMAN / ACI
Ansioso di superare il suo nemico Pompeo e diventare il generale romano di maggior successo, Giulio Cesare celebrò cinque sontuosi trionfi tra il 46 e il 45 a.C. per commemorare le sue vittorie militari
L’UOMO PIÙ POTENTE DI ROMA
CRÉDITO DE LAS DOS FOTOS
Giulio Cesare percorre le strade di Roma sul suo carro trionfale con una corona d’alloro in testa. Questo è l’ultimo di una serie di nove oli dipinti da Andrea Mantegna tra il 1485 e il 1505, dedicati al trionfo di Cesare per celebrare le vittorie nelle Gallie. Hampton Court Palace, Londra. A sinistra, aureo di Cesare sul cui retro sono raffigurate le armi sottratte ai galli. Musei capitolini, Roma.
SONGQUAN DENG / GETTY IMAGES
LA VIA SACRA A ROMA
Le processioni si svolgevano lungo questa strada che arrivava al Campidoglio. In alto, il tratto che passa accanto al tempio di Vespasiano e Tito (di epoca posteriore), al tempio di Saturno e alla casa delle Vestali.
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l 28 settembre del 61 a.C. una gigantografia del mondo varcava la porta Triumphalis. I romani, che attendevano trepidanti lo spettacolo, sapevano bene cosa significava: il generale trionfatore che stava per oltrepassare a sua volta la porta, Gneo Pompeo Magno, era giovane, ma già al suo terzo trionfo e, dopo la Spagna e l’Africa, ne celebrava uno sull’Asia; agli occhi dei contemporanei, era come se avesse conquistato tutti e tre i continenti conosciuti, ovvero il mondo intero. E il suo nuovo trionfo, ovvero la cerimonia in cui i
51 a.C. C R O N O LO G I A
VINCITORE DI MILLE BATTAGLIE
48 a.C.
Dopo essere arrivato in Egitto Cesare appoggia Cleopatra nello scontro con i fratelli e contribuisce a rafforzarne il potere. Le loro truppe sconfiggono Arsinoe e Tolomeo XIII nella Battaglia del Nilo.
Dopo la vittoria ad Alesia e la resa dei conti con Vercingetorige, Cesare impone il dominio romano sulle Gallie. Vercingetorige viene portato a Roma come prigioniero. SC
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generali vittoriosi sfilavano per le vie della città esibendo i bottini e i prigionieri catturati nelle proprie campagne, era il più fastoso della storia dell’Urbe. Pompeo si vantava infatti di aver conquistato 1538 città e di aver soggiogato 12.178 persone. Aveva inoltre fondato 39 città dando loro il suo nome e seguito le orme di Alessandro Magno fino al mare d’Azov. E del condottiero macedone, adesso, il trionfatore indossava il mantello, mentre procedeva su un cocchio tempestato di pietre preziose. Erano cifre, le sue, che andavano ben oltre i re-
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CESARE SCRIVE I COMMENTARII. GIORGIO VASARI. ENZ
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Il re Farnace del Ponto invade il territorio romano. In giugno Cesare lascia l’Egitto con una legione e sconfigge il sovrano nella Battaglia di Zela. Farnace fugge, ma viene ucciso da uno dei suoi ufficiali.
Le truppe cesariane e i resti dell’esercito pompeiano sostenuto dal re Giuba di Mauritania si scontrano nella Battaglia di Tapso, nell’odierna Tunisia. Sconfitti da Cesare, i suoi nemici si suicidano.
Cesare celebra a Roma quattro trionfi. Scoppia una rivolta nella Spagna romana, guidata dai figli di Pompeo. Nel 45 a.C. il generale festeggia la sua vittoria su di loro con un altro trionfo. UM
settembre-46 a.C.
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aprile-46 a.C.
Ritratto di Pompeo nella sua maturità. Per molto tempo fu il generale più famoso di Roma.
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47 a.C.
GNEO POMPEO MAGNO
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te; nella mano destra doveva tenere uno scettro d’avorio, mentre il suo viso era dipinto di rosso minio quale rappresentazione di Giove Ottimo Massimo. E, a scanso di equivoci, uno schiavo accanto a lui, incaricato di tenergli una corona d’oro sulla testa, aveva anche il compito di ricordargli che non era un dio ma solo un uomo, sebbene in quel momento impersonasse il padre degli dei. Il corteo si apriva al suono delle trombe, che introduceva i cartelloni con le raffigurazioni delle imprese del trionfatore e poi il bottino, le spoglie di guerra e i prigionieri, cui seguivano magistrati e senatori, in processione davanti
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quisiti minimi che un generale doveva rispettare per richiedere al senato un trionfo. Innanzitutto, era una questione di morti: perché si potesse inoltrare la richiesta, la guerra doveva aver fatto almeno cinquemila vittime tra i nemici. Ed era la sola occasione in cui un esercito era autorizzato a entrare in città. Le regole della celebrazione, codificate da secoli, prevedevano che il trionfatore entrasse dalla porta Triumphalis in Campo Marzio e procedesse fino al Campidoglio, su un cocchio trainato da quattro cavalli, indossando una corona d’alloro, una tunica di porpora bordata d’oro e una toga tempestata di stelle dora-
L’IMPERATORE TIBERIO SU UN CARRO TRIONFALE. PARTICOLARE DELLA DECORAZIONE A RILIEVO DI UNA COPPA DEL TESORO DI BOSCOREALE. MUSÉE DU LOUVRE.
HERVÉ LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS
LA RESA DI VERCINGETORIGE
UN’OVAZIONE DI SERIE B
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ER CHI VINCEVA in guerra senza raggiungere i requisiti
minimi del trionfo, era prevista l’ovatio, senza quadriga né scettro né soldati, con una corona di mirto al posto dell’alloro, indosso la toga praetexta dei magistrati (con una striscia viola anziché una veste totalmente viola con stelle dorate com’era la toga picta, che si usava normalmente nei trionfi) e una pecora sacrificata in luogo del toro. Di un tale trionfo “blando” dovette accontentarsi, per esempio, il terzo membro del triumvirato costituito con Cesare e Pompeo, ovvero Marco Licinio Crasso dopo aver sconfitto nel 71 a.C. Spartaco: temibile e capace di infliggere numerose sconfitte ai romani, ma era pur sempre un esercito costituito da schiavi. L’uomo più ricco di Roma non la prese bene, e probabilmente la sua frustrazione per questo fatto fu alla base della decisione di procurarsi allori più prestigiosi attaccando l’impero partico. Questa scelta tuttavia gli valse solo la morte sua e di suo figlio nella Battaglia di Carre del 53 a.C., considerata uno dei maggiori disastri militari della storia di Roma. Poco prima del suo assassinio, Cesare aveva annunciato che sarebbe partito per l’Oriente per vendicare la morte di Crasso e rafforzare i confini sull’Eufrate.
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L’olio di Henri-Paul Motte ricostruisce il momento in cui il condottiero gallico si reca all’accampamento di Cesare per presentare la resa. Vercingetorige fu costretto a sfilare durante il successivo corteo trionfale a Roma. Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay.
al vincitore. Alle spalle della quadriga, infine, procedevano i soldati, autorizzati, per l’occasione, a fare battute irriverenti nei confronti del loro comandante. La cerimonia si chiudeva con il sacrificio rituale del condottiero di fronte al tempio di Giove Capitolino, utilizzando come vittime i tori con le corna dorate che avevano sfilato nel corteo. Seguiva solitamente qualche giorno di feste, banchetti, giochi nel circo. In epoca imperiale, Traiano si sarebbe lasciato prendere decisamente la mano, concedendo a Roma 123 giorni di festa durante i quali avrebbero combattuto 10mila gladiatori e sarebbero stati uccisi 11mila animali.
Superare Pompeo a ogni costo Ma dopo il fastoso trionfo celebrato da Pompeo nel 61 a.C., cosa avrebbe dovuto fare colui che lo aveva sconfitto in battaglia a Farsalo per far dimenticare le cifre, il bottino e lo sfarzo ostentati dal conquistatore dell’Oriente? Fu la domanda che dovette porsi Giulio Cesare nel 46 a.C., all’indomani della vittoria sugli ultimi pompeiani che avevano scelto l’A-
GIULIO CESARE. STATUA DI NICOLAS COUSTOU. XVIII SECOLO. LOUVRE.
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Era stata una lotta durissima, durante la quale il dittatore aveva dovuto affrontare una tenace guerriglia per oltre sei mesi, prima di riuscire a costringere il nemico a una battaglia campale, dove il suo genio aveva finito invariabilmente per prevalere. E la vittoria a Tapso gli aveva permesso di spazzare via grossi calibri dell’opposizione come il suocero di Pompeo, Metello Scipione, e Catone Uticense, che avevano preferito suicidarsi piuttosto che usufruire della proverbiale clementia cesaris. Si trattava, dunque, di una guerra civile, e sarebbe stato inaudito celebrare un trionfo per la vittoria in un conflitto del genere: nulla avrebbe potuto irritare di più i romani, che Cesare intendeva invece stupire e compiacere. Eppure il dittatore aveva bisogno di un quarto trionfo per superare Pompeo. Ma
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frica come loro estrema roccaforte. Anche lui, in un certo senso, aveva trionfato su tre continenti; aveva combattuto per quasi un decennio in Gallia, stroncando ad Alesia la grande ribellione condotta da Vercingetorige e sgominando gli ultimi irriducibili a Uxellodunum, dove aveva fatto tagliare la mano destra a tutti i difensori. Si era trovato invischiato nelle lotte di potere tra fratelli in Egitto, dove aveva preso le parti di Cleopatra, sconfiggendo in condizioni pur critiche e con pochi mezzi i suoi avversari e rendendo saldo il trono della regina. Infine, aveva liquidato in un batter d’occhio la pratica relativa a Farnace, re del Ponto, umiliandolo in una battaglia a Zela, dopo che suo padre Mitridate VI Eupatore aveva tenuto in scacco i romani per decenni. Ma con tre trionfi avrebbe solo eguagliato Pompeo, e lui voleva essergli superiore. Voleva essere superiore a tutti, Cesare. C’era, in effetti, una quarta guerra che lo aveva visto prevalere, ed era proprio l’ultima: quella combattuta in Africa contro i suoi avversari politici sopravvissuti alla disfatta di Farsalo.
FIRENZE
PHOTO JOSSE / SCALA, FIRENZE
L’ARCO DI ORANGE
In questa località francese sorge l’arco trionfale eretto in epoca augustea (I secolo d.C.). Fu costruito per commemorare le numerose vittorie del generale Germanico e poi venne successivamente dedicato all’imperatore Tiberio. LUIGI VACCARELLA / FOTOTECA 9X12
LE SPOGLIE DEL NEMICO SCONFITTO
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L TRIONFO PIÙ APPREZZATO era quello che poteva essere nobilitato dalle spolia opima, l’equipaggiamento del capo nemico ucciso dal vincitore. Accadde solo tre volte nella storia di Roma, e su due di esse è lecito esprimere dubbi. La tradizione assegna infatti la prima impresa del genere a Romolo: il primo re di Roma avrebbe sfidato e ucciso in singolar tenzone il re dei ceninensi Acrone, ricavando poi da una quercia un trofeo su cui appendere le armi del nemico, che avrebbe portato sulla spalla destra in processione fin sul Campidoglio. Poi toccò ad Aulo Aurelio Cosso, che nel 437 a.C. avrebbe sopraffatto il re di Veio Tolumnio nella battaglia di Fidene. Più credibile appare l’impresa del console Marco Claudio Marcello, che nel 222 a.C. uccise, nella Battaglia di Clastidium, il re dei galli insubri Viridomaro.
RAPPRESENTAZIONE DEI TROFEI DEI GALLI SCONFITTI SULL’ARCO ERETTO IN ETÀ AUGUSTEA NELLA CITTADINA DI ORANGE.
PRISMA / ALBUM
l’escamotage per aggirare la legge, la morale e il buon gusto c’era. A fianco dei pompeiani, infatti, si era schierato il re numida Giuba, che aveva portato in dote agli anticesariani schiere di cavalieri leggeri, celeberrimi per la loro dinamicità in battaglia e come esploratori. Anche lui era morto, scegliendo di battersi in un duello all’ultimo sangue con un altro celebre pompeiano, Marco Petreio. Alla fine erano rimasti uccisi entrambi. Ma la caduta del suo regno poteva giustificare il quarto trionfo che Cesare cercava. Era una chiara forzatura, ma ormai il condottiero era diventato il padrone di Roma e il senato non aveva la forza di negargli più nulla. Anche perché i suoi soldati erano già dentro l’Urbe, a dispetto di tutte le disposizioni che ne vietavano l’accesso: «Non abbiate timore dei soldati», sostenne davanti ai padri coscritti, «considerateli nient’altro che una guardia del corpo del mio impero, che allo stesso tempo è anche il vostro». Cassio Dione racconta: «Dopo AK G 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
UNA FRASE PER LA STORIA «Veni, vidi, vici» (Venni, vidi, vinsi). La celebre frase, qui raffigurata sul retro di un sesterzio di bronzo, fu pronunciata da Cesare dopo la vittoria su Farnace a Zela, nel 47 a.C.
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di ciò Cesare diede una splendida festa, come si addiceva a tante e così importanti vittorie, e celebrò i trionfi della Gallia, dell’Egitto, di Farnace, di Giuba con quattro spettacoli, che ebbero luogo in quattro giorni distinti». Fu un vero e proprio tour de force, che però non iniziò sotto i migliori auspici. Nel primo giorno l’asse del cocchio trionfale si spezzò proprio davanti al tempio della Fortuna, e il condottiero dovette proseguire su un altro carro. Nel corteo il dittatore non mancò di esibire quello che era stato il suo più valoroso avversario, il capo arverno Vercingetorige, che poco dopo sarebbe finito strangolato appena sotto le pendici del Campidoglio, nel carcere Mamertino. Poi Cesare salì in ginocchio la scalinata del Campidoglio, dove lo attendeva un altro cocchio eretto in suo onore davanti alla statua di Giove e un’immagine del mondo con una scritta,“semidio”, che in seguito fece rimuovere. Il giorno seguente spettò al trionfo egiziano. Cesare vi esibì un’altra delle “sue prede”più preziose, la sorella minore
PAOLO ROMITI / ALAMY / ACI
di Cleopatra, la ventiduenne Arsinoe, la cui vista mosse a compassione i romani. Con lei il dittatore fu più clemente, risparmiandole la vita ed esiliandola a Efeso, dove dopo la morte del suo vincitore sarebbe stata fatta uccidere da sicari di Marco Antonio per ordine di Cleopatra. Poi toccò al trionfo pontico: in mancanza del re, morto in combattimento dopo la sconfitta, campeggiava un cartello con la proverbiale scritta “Veni, vidi, vici”, a significare la rapidità con cui il dittatore aveva concluso la campagna. A chiudere le cerimonie venne il trionfo africano, il più imbarazzante in quanto «si trattava di guerre civili di nessun decoro per lui e motivo di vergogna e malaugurio per i romani», scrive Appiano. Cesare vi esibì il figlio del sovrano, Giuba II, che poi sarebbe diventato un apprezzato scrittore di lingua greca, nonché re di Numidia per volere di Augusto grazie al matrimonio con Cleopatra Selene, figlia di Antonio e Cleopatra. I romani storsero il naso nel vedere i cartelloni raffiguranti i protagonisti sconfitti; il trionfatore ebbe tuttavia il
buon senso di non ritrarre Pompeo (che dopo la disfatta di Farsalo era fuggito in Egitto ed era stato assassinato per ordine del re Tolomeo XIII), ancora molto amato dai cittadini. Ai soldati fu concessa più libertà di parola del solito, ed essi ne approfittarono con offese e insinuazioni“da caserma”. Tornò d’attualità l’antica diceria secondo cui Cesare, da giovanetto, era stato l’amante del re di Bitinia Nicomede: «Cesare ha piegato i galli, ma Nicomede ha piegato Cesare», era il motto che circolava tra le file dei legionari incolonnati dietro il suo cocchio, e in seguito il dittatore pretese di poter giurare per smentire una volta per tutte quelle voci. Poi si udivano anche grida di questo te-
IL FORO BOARIO
Questo antico mercato del bestiame in cui sorgevano i templi di Ercole vincitore (circolare) e di Portuno (sullo sfondo) era uno dei luoghi attraverso cui transitava il corteo trionfale prima di raggiungere il Campidoglio.
Durante il trionfo i legionari facevano battute allusive sulla relazione tra Cesare e il re di Bitinia Nicomede
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IL SONTUOSO TRIONFO
Questa serie di pannelli di Andrea Mantegna ricostruisce uno dei trionfi
Trombettieri e portatori di stendardi e dipinti delle città conquistate sfilano per la capitale.
Un carro con una statua e, sullo sfondo, macchine da guerra, scudi e il modellino di una città conquistata.
Alcuni giovani conducono dei buoi e una ventina di elefanti con delle torce sul dorso per illuminare la processione.
Un ricco bottino d’oro e d’argento e una bella armatura vengono esposti al popolo.
GALLICO DI GIULIO CESARE celebrati da Cesare nel 46 a.C.
BRIDGEMAN / ACI
Numerosi trofei sottratti al nemico occupano il centro della scena. Alcuni portatori reggono dei recipienti colmi d’oro.
Un uomo porta un grande vaso pieno di monete. Alle sue spalle sfila un toro adornato a scopo sacrificale.
Un gruppo di prigionieri sfila nella parata trionfale. Sullo sfondo, dei reclusi dietro le sbarre.
Musici e vessilliferi. Alcuni emblemi rappresentano i sovrani e i condottieri sconfitti da Cesare.
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TEMPIO ROMANO DI CORDUBA (ODIERNA CORDOVA). DOPO LA VITTORIA A MUNDA, CESARE CONQUISTÒ CORDUBA ABBANDONATA DA SESTO POMPEO.
L’ULTIMO TRIONFO DI GIULIO CESARE
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L PASSO FALSO fatale di Cesare arrivò subito dopo la sua ultima guerra. I reduci dell’opposizione pompeiana si erano infatti rifugiati in Spagna, dove erano confluiti anche i figli di Pompeo Magno e l’antico luogotenente di Cesare, Tito Labieno. Il dittatore li sconfisse a Munda nel 45 a.C. e poi decise di celebrare un altro trionfo, senza neppure avere, stavolta, la scusa di aver combattuto un alleato straniero. E poiché era sempre molto prodigo verso i propri subalterni, lo fece celebrare anche ai suoi luogotenenti Quinto Fabio e Quinto Pedio, il che era altrettanto inaudito. Alla fine, quindi, si tennero tre distinti trionfi, uno sproposito per una guerra civile, e per economizzare, le raffigurazioni furono in legno e non in avorio, un espediente che gli procurò derisione. Ma non solo: Cesare offrì anche un grande banchetto, «come se fosse capitata una grande fortuna comune a tutti», scrive Cassio Dione. I festeggiamenti andarono avanti per ben cinquanta giorni, indisponendo i conservatori ma anche i cittadini, che avevano patito perdite nella guerra civile. Il senato proclamò Cesare “liberatore” e dispose che fosse costruito un tempio della Libertà a spese dello stato. Il dittatore non si separò più dalla veste trionfale né dalla corona d’alloro che, tra parentesi, nascondeva la sua calvizie.
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nore: «Se ti comporterai bene, sarai punito, se ti comporterai male, sarai re», facendo riferimento alla sua spregiudicatezza, che gli aveva consentito di raggiungere una posizione sempre più somigliante a quella di un sovrano. Cesare sapeva essere generoso anche col popolo, e al termine dei cortei trionfali largheggiò con un banchetto da 22mila triclini e ampie distribuzioni di grano e olio. A ogni cittadino diede 400 sesterzi, 100 in più di quanto aveva promesso, e ai soldati una gratifica straordinaria di 20.000 sesterzi; ma quando si rese conto che il numero di coloro cui spettava il grano gratuito era cresciuto a dismisura, fece rivedere i requisiti minimi abbattendolo della metà. E mentre la plebe si abbandonava alle libagioni, il dittatore entrò nel foro che portava il suo nome coi calzari ai piedi e incoronato da ghirlande di fiori, poi si trasferì a casa seguito da un corteo di gente comune e accompagnato da elefanti che portavano fiaccole. A Roma fiorirono ovunque giochi e spettacoli e per la prima volta al circo gli spettatori poterono fruire di un velo di lino che riparava
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le tribune dal sole. Cesare aveva anche fatto costruire un apposito teatro per la caccia alle fiere e le lotte dei gladiatori – il primo anfiteatro della storia di Roma – dove si vide la prima giraffa sul suolo europeo, che i contemporanei chiamavano “cammellopardo”. Tra i tanti combattenti di ogni ceto ed etnia che si esibirono nella nuova costruzione e nel Circo Massimo, dai prigionieri di guerra agli equestri, dagli schiavi ai figli di senatori, vi furono anche elefanti, che si scontrarono in una battaglia con venti animali per parte. Le strutture all’interno dell’arena furono addirittura smantellate per far posto agli accampamenti dei singoli schieramenti, che raggiunsero in certe occasioni il migliaio di uomini ciascuno. Ancor più sorprendente fu la battaglia navale tra una flotta di Tiro e una egiziana, che il dittatore allestì in un bacino artificiale ricavato nel Campo Marzio, offrendo agli spettatori la prima naumachia della storia di Roma. Ma all’ombra di questo profluvio di festeggiamenti e di gioia si agitava il malcontento: per il regime monocratico che il dittatore aveva
istituito, per le enormi spese sostenute, per lo spropositato ammontare di onori di cui il senato lo ricopriva, per il gran numero di uomini uccisi negli spettacoli, perché i soldati non erano mai contenti, e avrebbero voluto per sé il denaro sperperato nelle celebrazioni. Qualcuno venne anche giustiziato per sedare i disordini. Il dittatore danzava su un filo sottile, e ben presto nuovi passi falsi gli avrebbero tolto il sostegno anche dei suoi più stretti collaboratori, nonché degli uomini che aveva graziato nella guerra civile e addirittura gratificato delle cariche più importanti. Poco più di un anno lo separava dalle idi di marzo.
LE IDI DI MARZO
Divenuto dittatore a vita, Cesare si attirò l’odio di un gruppo di senatori che nel 44 a.C. lo assassinò all’interno della curia. Olio di V. Camuccini. XIX secolo. Museo nazionale di Capodimonte, Napoli.
ANDREA FREDIANI STORICO E SCRITTORE
Per saperne di più
TESTI
La guerra civile Cesare, Garzanti, Milano, 2008. SAGGI
Le grandi battaglie di Giulio Cesare Andrea Frediani. Newton Compton, Roma, 2015. Giulio Cesare. Il dittatore democratico Luciano Canfora. Laterza, Roma-Bari, 2006.
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IL TRIONFO EGIZIO DI CESARE Tra il 21 settembre e il 2 ottobre del 46 a.C. Cesare celebrò quattro trionfi. Queste pagine ricostruiscono il trionfo egizio e in particolare il momento finale, quando la processione giunse in Campidoglio davanti al tempio di Giove. Durante la sfilata furono esibite alcune giraffe, che i cittadini romani vedevano per la prima volta.
il percorso del vincitore
Secondo le ricostruzioni effettuate dagli studiosi contemporanei, la processione trionfale partiva dalla porta Triumphalis, nelle mura serviane, proseguiva per il vicus iugarius fino al vicus tuscus e quindi arrivava al foro boario, dove c’era la statua adornata di Ercole vincitore. Poi il corteo si spostava al Circo Massimo e continuava in direzione del monte Palatino fino a raggiungere la via Sacra, la lunga arteria che attraversava il foro romano. Infine la processione saliva per il clivus capitolinus, la strada pavimentata che conduceva al tempio di Giove Ottimo Massimo, dove si svolgevano i riti conclusivi e i sacrifici degli animali che avevano partecipato al trionfo.
1 ARSINOE IV Durante la processione la sorella di Cleopatra fu costretta a sfilare in catene come trofeo, suscitando la compassione del pubblico.
TESTA DELLA REGINA CLEOPATRA VII CON UN’ELABORATA ACCONCIATURA ELLENISTICA. BRITISH MUSEUM, LONDRA.
2 GIRAFFE ED ELEFANTI Cesare portò in parata una quarantina di elefanti e qualche giraffa. Sconosciute ai romani, queste ultime suscitarono grande sorpresa. 3 RAPPRESENTAZIONE DI ALESSANDRIA Nei trionfi sfilavano ricostruzioni dei luoghi conquistati e dei nemici sottomessi. Quest’immagine del faro di Alessandria commemorava la vittoria in Egitto. 4 GIULIO CESARE Il disegno raffigura il vincitore in cima alla scalinata del tempio di Giove. Sembra che Cesare avesse salito i gradini in ginocchio per offrire la sua corona d’alloro al dio.
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TESTA: BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE. RICOSTRUZIONE: DORLING KINDERSLEY / GETTY IMAGES. MAPPA: MB CREATIVITAT
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RICCARDO CUOR DI LEONE Il 26 marzo del 1199, mentre il re d’Inghilterra controllava l’evolversi dell’assedio a un castello dell’Aquitania, un balestriere ferì a morte il monarca troppo fiducioso
Riccardo in una vetrata del comune di Rochdale, 1867-1871. Nella pagina precedente, il re a cavallo su un controbollo, un sigillo che veniva applicato per riscontro a un documento già bollato, così da rendere più difficili le contraffazioni.
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VERSO L’ETERNITÀ
GIOVANNI SENZATERRA
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u re d’Inghilterra per dieci anni, eppure non ne trascorse più di uno nel Paese noto per le sue piogge. Difatti Riccardo non parlava inglese, bensì francese e la langue d’oc dei territori appartenuti alla madre Eleonora, duchessa d’Aquitania; territori che, in teoria, avrebbe dovuto governare. Sembrava quello il suo destino, ma la morte dei due fratelli maggiori e del padre, Enrico II, contro il quale Riccardo si era ormai stancato di combattere, lo portò al trono inglese nel 1189 e lo fece inoltre divenire signore di tutti i possedimenti continentali della sua famiglia, i Plantageneti: Bretagna, Normandia, Poitou... Nell’insieme, i suoi domini rico-
LA VITA DI UN RE GUERRIERO
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privano circa la metà dell’attuale Francia ed erano di gran lunga più estesi di quelli del sovrano francese di allora, Filippo Augusto, di cui Riccardo era però vassallo. Il monarca inglese si assentò dal suo regno tra il 1190 e il 1194, prima per combattere nelle crociate e poi perché prigioniero dell’imperatore tedesco, che lo arrestò al ritorno dalla Terra Santa e pretese un lauto riscatto per liberarlo. In quella parentesi, il re francese si alleò con il frustrato fratello minore di Riccardo, Giovanni Senzaterra, i cui territori – come suggerisce il nomignolo – erano piuttosto esigui. Giovanni voleva appropriarsi del trono inglese, e Filippo Augusto delle terre continentali di Riccar-
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Fratello di Riccardo, cercò di strappargli il trono quando questi partì per le crociate. Miniatura delle Cronache dell’Inghilterra di Peter Langtoft, XIV secolo.
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RICCARDO NASCE a Oxford.
MUORE ENRICO II, antagonista
RICCARDO parte per la Terza
È figlio di Eleonora, duchessa d’Aquitania, e di Enrico II Plantageneto, duca di Normandia e conte d’Angiò, che dal 1154 occupava il trono d’Inghilterra.
di Riccardo. Il figlio sale su un trono che non gli spetta e che ha potuto ereditare dopo la morte dei fratelli maggiori Enrico il Giovane (1183) e Guglielmo (1186).
crociata con Filippo Augusto. Il re inglese torna nel 1192, ma è fatto prigioniero nei territori del Sacro romano impero, il cui sovrano, Enrico VI, lo libera nel 1194.
1199 IL 6 APRILE Riccardo muore in seguito all’infezione di una ferita ricevuta durante l’assedio del castello di Châlus-Chabrol. Il fratello Giovanni Senzaterra diviene re d’Inghilterra.
CASTELLO DI DÜRNSTEIN
Il duca d’Austria Leopoldo V catturò Riccardo a Vienna, nel 1192, e lo tenne prigioniero due mesi prima di consegnarlo all’imperatore Enrico VI.
IL TESORO DELLA DISCORDIA
RICCHEZZE NASCOSTE
Tra i secoli III e V, rivolte e invasioni spinsero a nascondere dei ricchi tesori. Aureo dell’usurpatore gallo-romano Postumo. III secolo.
RICCARDO MORÌ DURANTE IL CONFLITTO contro un suo vassallo, il
CATTEDRALE DI WINCHESTER
ERICH LESSING / ALBUM
do, incapacitato a difendersi. Tuttavia Riccardo poté contare sull’inestimabile aiuto della madre Eleonora, che per ottenere la libertà del figlio prediletto riuscì a rimediare una somma probabilmente di 150mila marchi. E così Riccardo attraversò il canale della Manica nel marzo del 1194, si riprese il trono e, a maggio, salpò di nuovo per tornare sul continente.
L’ultima campagna Una volta in Francia, si dedicò all’attività che più gli stava a cuore: la guerra. Avrebbe combattuto contro Filippo Augusto e i volubili vassalli francesi, che avevano approfittato della sua assenza
Qui il 17 aprile del 1194 Riccardo venne incoronato per la seconda volta re d’Inghilterra. Era tornato nel suo regno da un mese, ormai libero dalla prigionia.
per ribellarsi. Il trovatore Bertran de Born, legato ai Plantageneti e amante della guerra come Riccardo, gongolava. E quando Cuor di Leone sbarcò in Francia scrisse: «Molto mi piace la lieta stagione di primavera / […] Ed altresì mi piace quando vedo /che il signore è il primo all’assalto, /a cavallo, armato, senza tema, / che ai suoi infonde ardire / così, con gagliardo valore. / […] E quando sarà entrato nella mischia /ogni uomo d’alto sangue /non pensi che a mozzare teste e braccia: / meglio morto che vivo e sconfitto!». Riccardo combatté, dilapidò, distrusse e imprigionò finché il re di Francia, prossimo alla sconfitta, chiese una tregua tramite la mediazione del legato pontificio. Il 13 gennaio del 1199 i due monarchi, che nove anni prima erano partiti insieme per le crociate, si ritrovarono faccia a faccia: Riccardo, in piedi su una nave ancorata lungo la Senna,
Nel 1194 Riccardo rimase solo due mesi in Inghilterra, poi tornò a combattere in Francia SARCOFAGO DI RICCARDO, NELL’ABBAZIA DI FONTEVRAUD.
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visconte di Limoges. Secondo alcune fonti, il visconte aveva trovato un importante tesoro romano che non voleva consegnare al re, e da lì scaturì lo scontro. La storia del tesoro mostra un Riccardo mosso dall’avidità: così lo descrissero esaurientemente i cronisti francesi, che ne approfittarono per gettare ombra sul nemico del re di Francia, e pure quelli inglesi, perlopiù – al pari dei francesi – membri di una Chiesa a cui Riccardo, per la prima volta, aveva imposto di pagare dei tributi. Il tesoro esisteva davvero? Non è da escludersi e, se così fosse, il re non ne uscirebbe certo sotto una luce positiva. In ogni caso, che si tratti di realtà storica o di maldicenze, quel che è certo è che lo scontro gli costò la vita.
CATTEDRALE DI CANTERBURY
Nel 1170 quattro cavalieri di Enrico II, il padre di Riccardo, uccisero qui Tommaso Becket, consigliere del sovrano e arcivescovo di Canterbury, che si era opposto al re quando questi aveva provato a imporre il suo controllo sulla Chiesa inglese. Riccardo, invece, mantenne uno stretto legame con un altro arcivescovo della diocesi, Hubert Walter, che lo accompagnò alle crociate, dette il suo contributo per riunire la somma per il riscatto e si oppose al tentativo di Giovanni Senzaterra di impossessarsi del trono mentre il fratello era prigioniero dell’imperatore Enrico VI.
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CO N N ACH T
QUESTA TORRE È UNO DEI POCHI RESTI DEL CASTELLO DI CHÂLUS-CHABROL, DOVE IL RE INGLESE RICEVETTE UNA FERITA MORTALE.
ebbe così modo di parlare con Filippo Augusto, che era a riva, a dorso di cavallo. Si accordarono per una tregua di cinque anni, che avrebbe permesso a Riccardo di punire i vassalli traditori dell’Aquitania, come Aimar, visconte di Limoges, schieratosi con il re francese. Per vendicarsi, Riccardo attaccò i suoi possedimenti, tra cui figurava il castello di Châlus-Chabrol.
L’uomo con la padella Il miglior resoconto di quanto successe nella piccola fortezza lo dobbiamo a Raoul, monaco di Coggeshall, nell’Essex. Con ogni probabilità, la sua dettagliata cronaca riproduce la testimonianza di qualcuno vicino al re, forse Pierre Millon, abate di Pin, nei pressi di Poitiers, nonché elemosiniere di Riccardo. Raoul riferisce che il sovrano
attaccò Aimar durante la Quaresima, scelta che non depone certo a favore del re perché era quello un periodo sacro. Riccardo voleva castigare il visconte di Limoges per la sua codardia, anche se sotto poteva nascondersi un’altra ragione: secondo Raoul, «alcuni dicono che aveva trovato un tesoro di incalcolabile valore nelle terre del visconte» e quest’ultimo non aveva voluto consegnarlo al signore, risvegliando «l’astio del re nei suoi confronti». Il castello di Châlus-Chabrol era difeso da una piccola ma coraggiosa guarnigione, che non si arrese nei tre giorni in cui il sovrano la attaccò con furia: mentre i suoi balestrieri impedivano che qualcuno si affacciasse dai merli, gli zappatori erodevano le mura per farle sprofondare. E proprio lì, il 26 marzo, dopo la cena, il re si avvicinò alla torre, forse per controllare lo
Riccardo assaltò il vassallo Aimar di Limoges a causa della sua alleanza con Filippo Augusto FILIPPO II AUGUSTO CON LE INSEGNE REALI DI FRANCIA SUL SUO SIGILLO.
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Le Mans
Angers Nantes
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Tours
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Blois
TURENNA
Fontevraud
POSSEDIMENTI DI RICCARDO Normandia, Angiò e Maine
Poitiers
POITOU
Possedimenti del fondatore della dinastia dei Plantageneti, Goffredo V di Angiò, nonno paterno di Riccardo.
Saint Savin
La Rochelle
LA MARCHE
Ducato d’Aquitania
Possedimento di Eleonora d’Aquitania, madre di Riccardo.
Saintes
Regno d’Inghilterra
BORBONESE
ClermontFerrand
Limoges Angoulême
Enrico II, padre di Riccardo, ereditò il regno da Stefano I, discendente di Guglielmo il Conquistatore.
Châlus-Chabrol A LV E R N I A
A Q U I TA N I A
VA L AY
Périgueux
Irlanda
Conquistata in parte da Enrico II.
Burdeaux
Ducato di Bretagna
PERIGORD
Gar onn
Sotto la giurisdizione di Enrico II dopo le nozze del figlio Goffredo con Costanza di Bretagna.
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Beynac
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Conques
Cahors
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POSSEDIMENTI DI FILIPPO AUGUSTO
Agen
Regno di Francia
Per i loro territori sul suolo francese i Plantageneti risultavano vassalli del re di Francia.
QUERCY
Dax Bayonne
TOLOSA
Aire Tarbes Oloron
N AVA R R A
Tolosa
Nimes
Albi
Moissac
GUASCO GN A
Viviers
Mende
Montpellier
Béziers Carcassonne Narbona
Comminges
FOIX
LE SVENTURE DI RICCARDO
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proverbiale, salutò e perfino si congratulò con il tiratore. Quando poi giunse alla tenda provò a estrarsi da solo il quadrello e tirò l’asta, ma ruppe il legno. La punta di ferro rimase nel corpo.
Il fallimento della medicina Venne subito chiamato un cerusico che, alla luce vacillante delle lanterne, incise la carne del monarca, allora obeso, finché riuscì ad arrivare alla punta di ferro e a estirparla in modo secco. Ne seguì una grave infezione. La carne attorno alla ferita si gonfiò e si annerì, il che non lasciava presagire nulla di buono. Forse il quadrello era avvelenato, affermò un altro cronista, Matteo di Parigi. Per evitare che i nemici di Riccardo venissero a sapere del suo stato, solo quattro nobili ebbero accesso alla stanza dove riposava. Ma Riccardo capì che avrebbe presto
Il re cercò di coprirsi quando il balestriere tirò lo strale, ma fu troppo tardi MORTE DI RICCARDO. MINIATURA DI UN MANOSCRITTO FRANCESE.
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stato dell’assedio e scagliare qualche dardo contro i difensori: era senza armatura, con un solo elmo di ferro, e preceduto da un uomo provvisto di scudo. Successe l’impensabile. Secondo Raoul di Coggeshall «per tutto il giorno, prima della cena, un uomo armato era rimasto tra i merli della torre e aveva subito le frecce senza esserne ferito, perché si proteggeva con una padella. Ebbene, quell’uomo, che aveva osservato con attenzione gli aggressori, ricomparve all’improvviso. Tese la balestra, scagliò rapidamente dei quadrelli [particolare tipo di freccia per balestra, N.d.a.] verso il re, che lo guardava e applaudiva». Riccardo si chinò in avanti per proteggersi dietro lo scudo, ma non fu abbastanza veloce e il quadrello si conficcò nella spalla sinistra, vicino al collo. Riccardo, che aveva un coraggio
La miniatura a fianco, del XIII secolo, mostra due scene della vita di Riccardo: a sinistra, la prigionia in Germania; a destra, la ferita mortale davanti al castello di Châlus-Chabrol.
CHÂTEAU-GAILLARD
Riccardo concepì questa fortezza vicino alla Senna, tra Rouen, il cuore dei suoi domini normanni, e Parigi, la capitale di Filippo Augusto.
LA FINE DI UN REGNO
Nella miniatura del XV secolo, la badessa di Fontevraud accoglie il feretro con le spoglie di Riccardo. Sulla tela che copre la bara sono raffigurate le sue armi. LE VESTIGIA DEL CORAGGIO
BNF / RMN-GRAND PALAIS
Il cuore del leone La vita di Riccardo si spense il 6 aprile del 1199. A quanto racconta Matteo di Parigi, Riccardo «volle che il corpo fosse inumato a Fontevraud, ai piedi del padre, che aveva tradito; lasciò alla chiesa di Rouen il suo cuore indomito, poi ordinò che le sue viscere fossero sepolte nella chiesa del castello (di
HENRI HEUZÉ / RMN-GRAND PALAIS
Châlus-Chabrol)». Affermò, infatti: «È il mio regalo per gli abitanti del Poitou». Il re riuscì a spiegare ad alcuni dei suoi uomini più leali il motivo di tale decisione: «Al padre affidava il corpo per la ragione spiegata; agli abitanti di Rouen il cuore, perché avevano dimostrato una fedeltà incomparabile; agli abitanti del Poitou, per la loro avversione, donava... il ricettacolo delle sue feci». Morto senza eredi, Riccardo lasciò il regno inglese a Giovanni Senzaterra, che tanto gliel’aveva invidiato; tre quarti delle sue fortune al nuovo imperatore di Germania Ottone IV, suo nipote, e ordinò infine che l’altro quarto venisse distribuito tra i poveri. La madre, Eleonora d’Aquitania, morì a Fontevraud cinque anni più tardi, e fu sepolta tra il marito e Riccardo, il figlio prediletto e modello esemplare della cavalleria. ENRIQUE MESEGUER STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Riccardo Cuor di Leone Régine Pernoud. Fabbri, Milano, 2003. Riccardo Cuor di Leone Jean Flori. Einaudi, Torino, 2002. ROMANZO
Ivanhoe Walter Scott. BUR, Milano, 2004.
RICCARDO SPILA / FOTOTECA 9X12
reso l’anima a Dio e fece chiamare la madre Eleonora la quale, dalla morte di Enrico II, risiedeva a circa 240 chilometri, nell’abbazia di Fontevraud, dove pure si trovava la tomba del padre di Riccardo. Nel frattempo questi si confessò, prese la comunione e perdonò il balestriere che lo aveva ferito, lasciandolo in libertà. Gli inglesi avevano da poco espugnato il castello. L’uomo si chiamava Pierre Basile e, secondo il cronista Bernardo Iterio, era uno dei cavalieri che proteggevano la fortezza.
Sotto, a sinistra, fotografia della custodia in cui, nella cattedrale di Rouen, fu deposto il cuore imbalsamato del re, poi esaminato dai ricercatori forensi nel 2013.
IL PANTEON DI FONTEVRAUD
La tomba di Riccardo è in primo piano, a destra; dietro riposa il padre, Enrico II, e al fianco di questi la moglie, Eleonora d’Aquitania. Assieme alla tomba di Riccardo si trova quella di Isabella d’Angoulême, moglie di Giovanni Senzaterra.
LA GRANDE FORTEZZA DI RICCARDO n piena guerra contro Filippo Augusto, il re di Francia, Riccardo fece costruire lungo un’ansa della Senna uno dei più bei castelli d’Europa, con lo scopo di proteggere la Normandia e il vicino capoluogo, Rouen (a una trentina di chilometri in linea retta), dagli attacchi francesi. Edificato tra il 1196 e il 1198, Château-Gaillard era quasi inespugnabile. Posto vicino a un dirupo di circa novanta metri di altezza sul fiume, aveva un barbacane invalicabile, separato dalle altre fortificazioni tramite un fossato, che costituiva il primo ostacolo per chi avesse voluto attaccare la fortezza. Il malcapitato avrebbe successivamente trovato davanti a sé due cinte murarie concentriche, all’interno delle quali si alzava la mole del dongione, o mastio. Le mura, alla cui base la roccia era stata lavorata con zelo, erano concepite per eliminare gli angoli morti, in modo che dalle feritoie gli arcieri potessero colpire chiunque; e disponevano pure di caditoie, aperture sporgenti da cui si poteva scagliare ogni sorta di materiale. Circa quattro anni dopo la morte di Riccardo i francesi espugnarono il castello al termine di un assedio di otto mesi. Dopo aver minato e affondato parte del barbacane, occuparono la fortezza principale entrando da una finestrella sul muro che non era protetta e che corrispondeva alla zona delle latrine.
RICOSTRUZIONE DI CHÂTEAU-GAILLARD VERSO IL 1200. LA SUA DEMOLIZIONE INIZIÒ NEL 1598, QUANDO IL CASTELLO NON AVEVA PIÙ ALCUNA FUNZIONE MILITARE ED ERA DIVENUTO UN RIFUGIO PER I FUORILEGGE, MA VENNE INTERROTTA NEL 1611.
ILLUSTRAZIONE 3D: FLORENT PEY / AKG / ALBUM
Elisabetta I versus Filippo II
SCACCO AL RE La religione e la politica trasformarono la sovrana britannica e il re spagnolo da quasi sposi in rivali, in una lotta senza tregua per la gloria e il potere sul palcoscenico mondiale che sarebbe culminata con la vittoria della regina sul re
ELISABETTA IN TRIONFO
Il ritratto dell’Armata, del 1588, rappresenta la regina Elisabetta I vittoriosa sulla Spagna. Alle sue spalle è raffigurata la disfatta delle navi spagnole, mentre la mano che indica il Nuovo mondo sul globo rivela le ambizioni imperiali dell’Inghilterra. Nella pagina accanto, cammeo in onice di Filippo II di Spagna. 1550. QUADRO: WOBURN ABBEY, UK / BRIDGEMAN / ACI. CAMMEO: DEA / ALBUM
C R O N O LO G I A
Il regno della regina vergine 7 settembre 1533
Nasce Elisabetta, seconda figlia legittima sopravvissuta di Enrico VIII. Circa due anni più tardi viene giustiziata la madre, la protestante Anna Bolena.
1553
Alla morte del re protestante Edoardo VI, sale al trono la sorellastra di Elisabetta, Maria I, intenzionata a riportare l’Inghilterra alla fede cattolica.
1554
Maria I sposa Filippo di Spagna. Elisabetta è accusata di aver partecipato a una congiura protestante, ma Filippo la fa liberare.
1558
Elisabetta diventa regina e rifiuta l’offerta di matrimonio di Filippo II, che vede in lei un’alleata contro il loro nemico comune, la Francia.
1580
Il Papa dichiara che uccidere Elisabetta non sarebbe un peccato. La regina autorizza gli attacchi corsari alle navi spagnole.
1588
La repressione spagnola della rivolta protestante in Olanda provoca il deterioramento dei rapporti tra Elisabetta e Filippo.
24 marzo 1603
Elisabetta muore a Richmond sei anni dopo Filippo. La pace tra i due Paesi verrà firmata l’anno seguente. ORONOZ / ALBUM
86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
PRONTA PER IL POTERE
Sotto, Elisabetta a 13 anni in un ritratto di William Scrots. Fu dipinto nel 1546, alcuni mesi prima della morte di Enrico VIII. Windsor.
N
ell’estate del 1588 l’Inghilterra si preparava ad affrontare il suo nemico più potente e pericoloso, l’impero spagnolo. L’immensa armata navale di Filippo II si dirigeva verso le coste britanniche con il suo carico di soldati pronto a invadere il Paese. In previsione dell’attacco, la regina Elisabetta I pronunciò un discorso di fronte alle sue truppe di stanza a Tilbury Fort. I resoconti dell’epoca la descrivono come una specie di dea della guerra. In sella al suo cavallo, con i capelli ornati di piume e un’armatura sopra l’abito bianco, motivò i suoi soldati con un discorso infuocato: «So di avere il corpo debole e delicato di una donna; ma ho il cuore e lo stomaco di un sovrano, e per di più di un sovrano d’Inghilterra, e penso con disprezzo al fatto che […] il re di Spagna, o qualsiasi altro principe d’Europa, osi invadere i confini del mio regno». La sconfitta finale degli spagnoli avrebbe consolidato il suo ruolo di leader carismatica di una potenza
BONHAMS, LONDON / BRIDGEMAN / ACI
SORTE APPESA A UN FILO LA FUTURA REGINA
Elisabetta I (a destra) e la sorellastra Maria con il marito Filippo di Spagna (all’estrema sinistra) accompagnano Enrico VIII in questa allegoria seicentesca della dinastia Tudor.
LA RIVOLTA di Wyatt del 1554 – l’anno in cui Maria I sposò l’impopolare Filippo di Spagna – mirava a spodestare la regina per sostituirla con la protestante Elisabetta. Repressa la congiura, Maria fece rinchiudere la sorellastra nell´a torre di Londra. La sorte di Elisabetta era appesa a un filo, ma dagli interrogatori non emersero prove di colpevolezza. Dopo un paio di mesi fu messa agli arresti domiciliari.
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mondiale capace di tenere testa a Filippo II. Eppure un tempo il sovrano iberico aveva fatto parte della famiglia di Elisabetta ed era stato un suo timido alleato. All’inizio la loro relazione era stata pacifica, addirittura calorosa, ma ben presto i due regnanti si erano ritrovati sui lati opposti di uno scontro fra imperi e fedi che sarebbe durato fino alla loro morte.
Una sovrana improbabile La futura regina Elisabetta I venne alla luce in una situazione complessa, che forse contribuì a plasmarne fin da subito il carattere. Il padre Enrico VIII aveva rotto con la chiesa cattolica per divorziare dalla prima moglie, Caterina d’Aragona, e sposare Anna Bolena, da cui sarebbe nata Elisabetta. Il re inglese sperava in una discendenza maschile e non accolse con gioia quella figlia. Anna Bolena cadde presto in disgrazia e fu giustiziata, mentre Enrico iniziava a cercarsi una nuova compagna che potesse dargli un figlio. E alla fine la trovò. Con la nascita di Edoardo, Elisabetta I divenne terza in linea di successione dopo il
nuovo fratellastro e la sorellastra maggiore Maria, figlia cattolica del primo matrimonio di Enrico. Nel 1547 il sovrano morì ed Edoardo gli succedette, a soli nove anni. Ma il suo regno fu bruscamente spezzato da una malattia incurabile. Maria prese il suo posto nel 1553, per la gioia dei suoi sudditi cattolici e fra lo sgomento dei protestanti. Nonostante gli sconvolgimenti religiosi del regno di Enrico, Maria era rimasta devota alla fede romana e ora cercava un marito con cui dare all’Inghilterra un successore cattolico. Lo individuò nel principe Filippo di Spagna, figlio ventisettenne di Carlo V ed erede dell’impero spagnolo. Se i due futuri coniugi avessero avuto un discendente maschio, la protestante Elisabetta non sarebbe mai salita al trono. La notizia delle nozze tra Maria e Filippo provocò un forte malcontento. Nel marzo del 1554 alcuni protestanti inglesi congiurarono per rovesciare Maria e mettere sul trono Elisabetta, ma la rivolta fu schiacciata, i cospiratori vennero giustiziati ed Elisabetta fu rinchiusa nella torre di Londra. Due mesi più
PRINCIPESSA ELISABETTA NELLA TORRE
Particolare dell’olio omonimo di Robert Alexander Hillingford, XIX secolo. Collezione privata.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL PRINCIPE FILIPPO DI SPAGNA A 22 ANNI, IN UN’OPERA DELLA BOTTEGA DI TIZIANO. 1549. MUSEO DEL PRADO, MADRID.
HATFIELD HOUSE
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La principessa Elisabetta si trovava in questa residenza quando le fu annunciata la morte della sorellastra Maria e la sua ascesa al trono. «Ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi», dichiarò citando i Salmi.
SVILUPPI SORPRENDENTI
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LISABETTA D’INGHILTERRA e Filippo di Spagna ebbero una relazione complessa. I rispettivi inizi non lasciavano supporre che un giorno si sarebbero scontrati ad armi pari. Nato nel 1527, Filippo era destinato a ereditare un impero che andava dall’Europa al Nuovo mondo; Elisabetta venne alla luce sei anni più tardi ed era una principessa indesiderata e priva di potere. Filippo crebbe sotto la guida del padre Carlo V e ottenne la sua prima vittoria militare contro la Francia all’età di 15 anni. La gioventù di Elisabetta fu segnata dagli sconvolgimenti religiosi dei regni dei suoi fratellastri. Ma contro ogni aspettativa la regina finì per governare a lungo, conquistandosi una gloriosa reputazione. Filippo invece passò alla storia per il suo carattere ossessivo e sospettoso, e per aver avvelenato l’impero con il suo odio verso il protestantesimo. Oggi però gli studiosi tendono a rimettere in discussione tanto l’immagine della “buona regina Bess” quanto la figura controversa di Filippo. Più intelligente e aperto di quanto comunemente riconosciuto, il re spagnolo fu un mecenate capace di mettere insieme una delle più grandi collezioni reali di sempre, in cui figurano a titolo di esempio vari capolavori di Tiziano ed El Greco.
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tardi, dopo aver proclamato la sua innocenza, fu messa agli arresti domiciliari a Woodstock Palace, un centinaio di chilometri a nord della capitale. Quattro mesi dopo, il promesso sposo di Maria si presentò in Inghilterra per le nozze, con una flotta di 180 navi e un seguito di diecimila soldati spagnoli. Pur essendo un fervente cattolico romano, Filippo era contrario all’idea di processare Elisabetta, perché temeva di suscitare le ire dei protestanti. Il suo intervento salvò la futura regina, ma questa mossa gli si sarebbe rivoltata contro.
Tutto in famiglia Sei anni più vecchio di Elisabetta, Filippo aveva sposato Maria a malincuore. Era solito riferirsi alla moglie come “mia zia”, non solo perché lei aveva 11 anni più di lui, ma anche perché era la figlia della sua prozia, Caterina d’Aragona. Per molti aspetti avrebbe forse preferito sposare Elisabetta, ma all’epoca i matrimoni reali erano guidati soprattutto da ragioni strategiche. Il padre di Filippo, Carlo V, era l’uomo più potente d’Europa e governava
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MARIA LA SANGUINARIA Il dipinto di Antonio Moro ritrae Maria I nel 1554, anno del suo matrimonio con il principe Filippo. Le esecuzioni di massa di protestanti continuarono fino alla sua morte nel 1558. Prado.
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un impero che comprendeva la Spagna, l’Olanda, il sud Italia e il Nuovo mondo. Il sovrano voleva avvicinarsi all’Inghilterra, anche perché i suoi due nemici storici – Francia e Scozia – erano in procinto di stringere un’alleanza matrimoniale tra loro. Nel 1554 Carlo conferì a Filippo il governo dei regni di Napoli e Sicilia, nel tentativo di rafforzare la posizione del figlio. Molti dei sudditi di Maria non apprezzavano la separazione tra Chiesa inglese e romana voluta da Enrico VIII dopo che il papa si era rifiutato di riconoscere il suo divorzio. Durante il regno di Edoardo VI il Paese si era ulteriormente allontanato dal cattolicesimo imboccando la via di una riforma in senso protestante. Maria pensava che Filippo, in qualità di re consorte, avrebbe potuto aiutare a invertire la rotta. La regina si guadagnò il soprannome di Maria la Sanguinaria a causa delle persecuzioni degli eretici e dei roghi su cui bruciarono centinaia di protestanti. La sovrana adorava il marito, ma non riuscì ad avere da lui
quell’erede che forse le avrebbe permesso di restaurare il cattolicesimo in Inghilterra. I brutali atteggiamenti di Maria non giovarono alla popolarità del consorte, contro cui furono orditi vari complotti. Filippo non trascorreva molto tempo in Inghilterra, preferendo i territori paterni in Olanda. Fu lì che nel 1558 lo raggiunse la notizia della morte della moglie. La sua reazione fu pragmatica com’era stata anni prima la decisione di sposarla. Mentre il re francese ne approfittò per attaccare immediatamente Elisabetta, definendola una “bastarda” inadatta al governo, Filippo sostenne il suo diritto di successione al trono. Entro la fine dell’anno la figlia di Enrico VIII e Anna Bolena era la nuova regina d’Inghilterra. I due giovani sovrani avevano molti punti in comune. Colti e intelligenti, in questa fase della loro vita amavano vestirsi in modo semplice, come richiesto tanto dall’etica protestante quanto da quella cattolica. Condividevano le stesse passioni: la caccia, specie con i falconi, e i cavalSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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QUESTA ALLEGORIA POLITICA MOSTRA COME LA RIVOLTA DEI PAESI BASSI ALTERÒ GLI EQUILIBRI DI POTERE A FAVORE DI ELISABETTA. 1590.
GRANGER / ALBUM
L’ABDICAZIONE dell’imperatore
LA RIBELLIONE CHE MINACCIÒ IL RE
L
A RIVOLTA DEI PAESI BASSI trascinò Filippo in una lunga guerra che avrebbe esaurito le finanze spagnole e garantito a Elisabetta un alleato protestante nel mare del Nord. L’immagine qui sopra mostra Filippo in groppa a una mucca che rappresenta i ricchi olandesi, le cui risorse vengono munte dallo spietato comandante del re. Nonostante gli sforzi degli spagnoli per mantenere la mucca sotto il loro controllo, questa si lascia condurre via docilmente da Elisabetta, sulla destra. I problemi nei Paesi Bassi spagnoli erano iniziati con l’avvento al trono della regina inglese, verso il 1560. L’aristocrazia locale, in prevalenza cattolica, si opponeva all’ingerenza di Filippo nel governo, mentre l’ala dura dei calvinisti protestanti fremeva di fronte alle misure repressive dell’Inquisizione. Nel 1567 Filippo mandò il duca d’Alba a schiacciare la resistenza nobiliare. Il lungo regno di terrore di Alba scatenò una rivolta generale. I numerosi profughi protestanti della regione si radicalizzarono, dando vita a un gruppo di corsari che abbordava le navi spagnole. La rivolta olandese fu rinvigorita dalla sconfitta inferta da Elisabetta a Filippo nel 1588. L’indipendenza dei Paesi Bassi era ormai solo questione di tempo.
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Carlo V in favore del figlio Filippo (inginocchiato) nel 1556. Opera di Louis Gallait. 1841. Musée des beaux- arts, Tournai, Belgio.
li. Ma fu comunque per ragioni strategiche che Filippo chiese a Elisabetta di sposarlo, dichiarando che si sarebbe fatto carico degli affari dell’“amata sorella” con la stessa cura che dedicava ai suoi. Le nozze tra l’erede al trono francese, Francesco, e la regina cattolica di Scozia, Maria Stuarda, rappresentavano una minaccia sia per la Spagna sia per l’Inghilterra. Sembrava prudente contrapporvi un’alleanza anglo-iberica. Ma Filippo insisteva perché Elisabetta abbandonasse la sua fede: un passo troppo lungo per la giovane regina, che esitò e alla fine lo respinse, facendone il primo di una lunga serie di pretendenti rifiutati. Rimasero in buoni rapporti, che si sarebbero però deteriorati negli anni successivi. Sia Filippo sia Elisabetta credevano che i sovrani regnassero per volere divino. Tuttavia Dio poteva essere venerato in forme differenti. Il rapporto tra protestanti e cattolici era degenerato in conflitto ormai in tutta Europa. Quando nel 1570 il papa scomunicò Elisabetta, Filippo inizialmente non appoggiò la sua decisione. Ma col tempo l’istinto religioso ebbe
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la meglio su altre considerazioni di ordine politico. Era da sempre un fervente cattolico e aveva la convinzione messianica che il mondo dovesse essere purificato dall’eresia prima dell’avvento finale.
Cambio di fronte Nel 1556 Carlo V abdicò e divise il suo impero, assegnando al figlio la Spagna, i territori americani e i Paesi Bassi. La Spagna era la potenza egemone a livello europeo e proprio per questo aveva anche molti nemici. I principali erano i protestanti, la Francia e gli ottomani. Filippo cercò di gestire in modo accorto queste minacce. Le navi provenienti dal Nuovo mondo cariche di oro e argento gli permisero nell’immediato di sovvenzionare i suoi eserciti. Ma sul lungo periodo il sovrano cominciò a ritrovarsi a corto di fondi. Per far fronte alle ristrettezze finanziarie, negli anni sessanta del ’500 impose nuove tasse
I PIACERI DI CORTE Filippo ed Elisabetta condividevano la passione per l’arte venatoria. Sotto, la regina a caccia con i falconi. 1575.
agli olandesi, già esasperati dagli editti religiosi e dalle leggi contro i protestanti con cui il governo spagnolo cercava di riportare i Paesi Bassi alla fede cattolica. Scoppiò una rivolta, e Filippo si ritrovò incastrato in una lunga guerra. In un primo momento Elisabetta si mantenne in disparte, riluttante a immischiarsi nelle vicende di un altro Paese. Nel 1571 Filippo inflisse una sonora sconfitta all’impero ottomano nella battaglia navale di Lepanto. Nello stesso anno cambiò la sua posizione in merito all’Inghilterra protestante. Diede ordine al suo miglior generale, il duca d’Alba, di preparare un’invasione dell’isola britannica con un esercito di soli seimila uomini. Quando il duca gli disse che era una follia, Filippo ribatté che quella era la volontà divina. Era già stato capace una volta di riportare l’Inghilterra al cattolicesimo, grazie al suo primo matrimonio, e ora lo avrebbe fatto di nuovo. Iniziò a sostenere l’ascesa al trono inglese di Maria Stuarda, dichiarando che Elisabetta non era STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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FRANCIS DRAKE, IL NAVIGATORE E CORSARO PREFERITO DA ELISABETTA I, IN UN RITRATTO DI SAMUEL LANE. XIX SECOLO.
IL LUPO DI MARE PIÙ AMATO
E
LISABETTA SI RESE conto che la pirateria era utile per colpire Filippo senza arrivare a uno scontro frontale. Riportò quindi in vita l’antica usanza di rilasciare lettere di corsa, ovvero dei permessi reali che autorizzavano i capitani ad assalire bastimenti nemici in mare. Il più famoso corsaro fu Francis Drake, che con il bottino dei galeoni spagnoli accumulò ingenti ricchezze per sé, il suo equipaggio e naturalmente per la stessa regina, suscitando al contempo le ire di Filippo. Con l’accelerarsi dei preparativi per la spedizione dell’armata spagnola, il ruolo di Drake divenne più apertamente conflittuale. Nel 1587 guidò un’incursione nel porto di Cadice, dove distrusse navi e rifornimenti destinati all’invasione dell’Inghilterra. Le audaci imprese di Drake – che lui stesso definiva «bruciare la barba al re di Spagna» – ritardarono di un anno l’attacco dell’armata. DISPACCIO INVIATO DA FRANCIS DRAKE A ELISABETTA DA CADICE, NEL QUALE IL CORSARO DESCRIVE L’ASSALTO ALLA CITTÀ. 1587.
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altro che una tiranna usurpatrice, mentre la «vera e legittima erede» era appunto la regina di Scozia, il cui marito era morto nel 1560 mettendo fine all’alleanza franco-scozzese. L’invasione alla fine non ci fu, ma tra Spagna e Inghilterra era ormai inimicizia aperta.
La sfida della regina Elisabetta controllava saldamente il regno. Il suo linguaggio colorito, il suo spirito pungente e il piacere con cui si mostrava al popolo – spesso ammantata di simboli di potere – facevano di lei una figura allo stesso tempo popolare e riverita. Si vantava della sua ascendenza puramente inglese e si guadagnò l’affettuoso soprannome di “buona regina Bess”. Seppe mettere uno contro l’altro i nobili britannici e gli alleati stranieri, lusingandoli con la speranza di un matri-
FINE ART / ALBUM
monio e seducendoli con la sua padronanza delle lingue, la sua profonda cultura e la sua capacità di comporre sonetti. Ma sullo scacchiere internazionale non poteva competere con Filippo II, nel cui regno vivevano circa 50 milioni di persone. Nello stesso periodo la popolazione totale dell’Inghilterra non raggiungeva i quattro milioni. Anche se con Elisabetta la potenza navale del Paese era cresciuta, la marina era ancora fortemente dipendente da navi mercantili e private per la difesa delle coste. Le principali esplorazioni britanniche dell’epoca, come le spedizioni di Martin Frobisher in Groenlandia e Canada e la circumnavigazione del globo di Francis Drake (1577-1580), erano state dei notevoli successi, ma non rappresentavano una minaccia per la Spagna. Filippo II aveva un’arma in più, perché poteva contare sui porti delle Americhe. Negli anni ottanta del ’500 fallirono i tentativi di Humphrey Gilbert e Walter Raleigh di fondare colonie inglesi rispettivamente a Terranova e sull’isola di Roanoke (Carolina del Nord). Nono-
stante quest’evidente inferiorità, la regina trovò altri modi per mettere in difficoltà la Spagna. Uno dei più riusciti fu la pirateria, che le permise di arricchirsi colpendo allo stesso tempo il trasporto dei tesori americani verso la penisola iberica. Molti dei più grandi corsari dell’epoca erano inglesi, temprati lupi di mare come William Hawkins e lo stesso Drake. Elisabetta finanziò le loro scorribande, incoraggiandoli a saccheggiare gli avamposti spagnoli nei Caraibi e ad assaltare le flotte provenienti dal Nuovo mondo. Nel 1585 Elisabetta iniziò a sostenere attivamente gli oppositori di Filippo nei Paesi Bassi. Le azioni di disturbo contro il re di Spagna si trasformarono in un’aggressione su larga scala dopo che la regina scoprì l’ennesimo complotto contro di lei. Elisabetta prima sostenne economicamente i ribelli grazie al bottino dei corsari, poi nel 1585 ordinò a Drake di raggiungere le coste della Galizia e mettere a ferro e fuoco la regione. Per dieci giorni fu un susseguirsi di devastazioni, rapimenti, saccheggi e profa-
UNA SOVRANA AMATA
Dopo il regno repressivo di Maria, l’ascesa al trono di Elisabetta fu accolta molto favorevolmente. Questo dipinto anonimo raffigura la regina su una portantina. Castello di Sherborne, Dorset, Inghilterra.
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IN ALTO MARE
L’opera di Nicholas Hilliard che raffigura l’umiliante sconfitta dell’armata spagnola nella Manica fu dipinta nel 1588, subito dopo la memorabile battaglia. Sala della Società dei farmacisti, Londra.
nazioni di chiese. Due anni più tardi Drake avrebbe ripetuto l’impresa a Cadice. L’aggressione inglese suscitò una veemente reazione da parte spagnola. Una quindicina di giorni dopo la spedizione di Drake, Filippo decise di contrattaccare, ma con maggiore forza. Coniugando il suo amore per le azioni audaci alla sua ossessiva pianificazione dei dettagli, riprese in mano l’idea di invadere l’Inghilterra. Il sovrano supervisionò personalmente l’organizzazione di una campagna senza precedenti: 130 navi partirono alla volta delle coste britanniche con 30mila uomini a bordo. L’obiettivo era restituire il regno britannico al cattolicesimo.
L’attacco dell’Armata Nel maggio del 1588 la Grande y Felicísima Armada (in seguito sarcasticamente definita “invincibile” dai suoi avversari) salpò da Lisbona, che da sette anni era entrata a far parte dei domini di Filippo II insieme al resto del territorio portoghese. Si trattava della più grande flotta militare mai vista in acque 94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
europee. Il piano d’attacco era ben congegnato, ma aveva una debolezza di fondo. Infatti, se il sovrano spagnolo si era preoccupato di stabilire regole chiare per prevenire l’ubriachezza, il gioco d’azzardo e la sodomia tra i membri dell’equipaggio, non aveva prestato altrettanta attenzione a come coordinare tra loro i due eserciti di diversa provenienza. L’Armata apparve al largo delle coste inglesi il 30 luglio, con uno schieramento a forma di mezzaluna disposto su un fronte di tre miglia di larghezza. Gli inglesi avevano preparato dei falò sulle colline circostanti per segnalare l’arrivo dei nemici. Quando videro le colonne di fumo alzarsi lungo la costa, le piccole e agili imbarcazioni capitanate da Francis Drake cominciarono ad attaccare la massiccia flotta spagnola. Il 6 agosto l’Armata ormeggiò al largo del porto francese di Calais. Avrebbe dovuto imbarcare l’esercito che si trovava a Dunkerque, a soli 40 chilometri di distanza, ma dei problemi di comunicazione ritardarono le operazioni. Nelle successive 36 ore avven-
Regno di Scozia
Glasgow
Irlanda
Dublino
Galway
Wexford Cork
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nero due fatti determinanti. Innanzitutto la flotta fu attaccata da otto navi incendiarie inglesi, cariche di pece ardente e zolfo. Inoltre, quando i capitani spagnoli levarono le ancore per evitare i vascelli nemici infuocati, furono sorpresi da una violenta tempesta. Per mettersi in salvo avevano un’unica possibilità: una lunga e pericolosa rotta che circumnavigava la Scozia e l’Irlanda. Ma le burrasche non dettero tregua all’Armata, che al rientro in Spagna aveva perso più di metà delle navi e dei rispettivi equipaggi. La speciale medaglia voluta da Elisabetta per commemorare la vittoria recitava: Flavit Jehovah et Dissipati Sunt (“Dio soffiò e quelli si dispersero”). Di fronte a quello che uno storico dell’epoca definì «il più grande disastro che ha colpito il Paese in 600 anni», la Spagna entrò in lutto. L’impero di Filippo II era ancora enorme, ma niente sarebbe stato più come prima. Nel decennio successivo gli scontri navali tra i due regni proseguirono. Nel 1596 Cadice dovette soffrire un secondo attacco. Nel frattempo le guerre ininterrotte
Mare d’Irlanda
Galles
30 LUGLIO 1588 AVVISTAMENTO DELL’ARMATA. SEGUONO DIECI GIORNI DI SCONTRI CON LE NAVI INGLESI (INDICATI DA ).
Mare del Nord
Edimburgo
Regno d’Inghilterra Palazzo di Woodstock
Oxford Bristol Southampton
Ca
9 AGOSTO GLI ATTACCHI INGLESI SPEZZANO LO SCHIERAMENTO SPAGNOLO. L’ARMATA NON RIESCE A CARICARE LE TRUPPE DI STANZA NEI PAESI BASSI ED È COSTRETTA A SPOSTARSI VERSO NORD.
Torre di Londra
Londra
Tilbury
di Palazzo di Palazzo Richmond Greenwich
della nale
prosciugarono le finanze spagnole, che furono schiacciate dal peso dei debiti. Quando il re si spense nel 1598, la Spagna stava negoziando la pace con molti dei suoi avversari. Prima di morire nel 1603, Elisabetta fu omaggiata con l’appellativo di Gloriana. Di lei si diceva che avesse rinunciato agli uomini per sposare il suo Paese. La rivalità tra britannici e iberici non sopravvisse alla morte dei due sovrani: nel 1604 il re Giacomo I – figlio della regina di Scozia Maria Stuarda, che un tempo era stata nemica di entrambi – firmò il trattato di pace che pose fine a più di 15 anni di conflitto.
Man
ica
Paesi Bassi spagnoli Dunkirk Calais
Regno di Francia
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
Oceano Atlantico
FINE SETTEMBRE L’ARMATA RITORNA VERSO LA SPAGNA. RIENTRANO SOLO 60 DELLE 130 NAVI SALPATE. 1587.
DA AGOSTO A SETTEMBRE UNA SERIE DI FORTI TEMPESTE PROVOCA IL NAUFRAGIO DI VARIE IMBARCAZIONI DELL’ARMATA INTENTE A CIRCUMNAVIGARE SCOZIA E IRLANDA. CON LE SCORTE ORMAI IN ESAURIMENTO, LA FLOTTA SPAGNOLA DEVE AFFRONTARE ANCHE LO SPETTRO DELLA FAME.
SFERZATA DAL VENTO PROTESTANTE
L’invasione dell’Inghilterra finì letteralmente a pezzi. Sferzata dal “vento protestante”, l’armata spagnola fu costretta a procedere verso nord (come indicato nella mappa qui sopra). Molte imbarcazioni naufragarono sulle rocciose coste scozzesi e irlandesi.
GILES TREMLETT AUTORE DI ISABELLA OF CASTILE (BLOOMSBURY, 2017).
Per saperne di più
SAGGI
Elisabetta I. Una donna alle origini del mondo moderno Richard Newbury. Claudiana, Torino, 2011. Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna Geoffrey Parker. Il Mulino, Bologna, 2005. La disfatta dell’Invincibile Armada Antonio Martelli. Il Mulino, Bologna, 2008.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I TESORI DELLA REGINA I quarant’anni di regno di Elisabetta furono tra i periodi più gloriosi della storia inglese e coincisero con un’epoca di febbrile attività letteraria che vide per esempio le prime opere teatrali di Shakespeare. I raffinati oggetti della regina sopravvissuti fino ai nostri giorni ben testimoniano la ricchezza culturale dell’epoca. orpharion. Si ritiene che questa specie di liuto sia stato costruito nel 1580 apposta per la regina. Helmingham Hall, Suffolk. MARK FIENNES / BRIDGEMAN / ACI
monete d’oro. L’effigie di Elisabetta compare su entrambe queste rare monete d’oro. A sinistra, la regina fluttua sopra una nave, a ricordare la potenza marittima del suo regno.
virginale. Questo virginale (un tipo di clavicembalo) reca l’emblema di Anna Bolena e probabilmente appartenne a Elisabetta. 1570. Victoria and Albert Museum, Londra.
veste battesimale. La neonata Elisabetta potrebbe aver indossato questa veste di seta nel 1533, in occasione del suo battesimo. Castello di Sudeley, Gloucestershire.
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MARK FIENNES / BRIDGEMAN / ACI
ricamo. Questo tessuto raffigurante la storia di Diana e Atteone fu probabilmente realizzato dalla stessa Elisabetta. Parham House, West Sussex. MARK FIENNES / BRIDGEMAN / ACI
guanti. Questo paio di guanti con frange fu offerto a Elisabetta nel 1566, in occasione della visita all’Università di Oxford. Ashmolean Museum, Oxford. BRIDGEMAN/ACI
carrozza. Poco prima di morire, Elisabetta fece costruire una versione a grandezza naturale di questo modello per lo zar russo Boris Godunov. Palazzo dell’armeria, Cremlino, Mosca. SSPL / GETTY IMAGES
anello con medaglione. Si dice che questo anello fu sfilato dal dito della defunta regina nel 1603 e mostrato a Giacomo VI di Scozia per provarne la morte. Chequers Court, Buckinghamshire.
pesi. Due dei pesi standard introdotti da Elisabetta nel 1582 e utilizzati nel Regno Unito come unità di misura di riferimento fino al 1824. Science Museum, Londra.
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PARIGI
belle
UNA CITTÀ BEN SERVITA
Quest’olio dell’artista G. Farrazin, risalente al 1892, mostra i primi omnibus trainati da cavalli e pieni di passeggeri che circolavano per le strade di Parigi. JOSSE / SCALA, FIRENZE
NELLA
époque Alla fine del XIX secolo Parigi si lanciò in una corsa verso la modernità che non avrebbe più avuto fine. L’elettricità, i moderni mezzi di trasporto e le nuove forme di intrattenimento fecero della capitale francese un emblema dell’epoca felice che l’Europa visse prima del 1914
LA METRO DI PARIGI
L’
Nel 1900 apre al pubblico la metropolitana, che rivoluziona i trasporti pubblici. Nell’immagine, l’attuale ingresso della metro di pont Neuf, davanti al centro commerciale La Samaritaine, inaugurato nel 1869.
odore di fumo che impregnava le strade fu la prima cosa a colpire Sarah Bernhardt quando tornò a Parigi, nel 1871. La città delle luci faceva il suo ingresso nella Belle Époque immersa nell’oscurità: centinaia di edifici erano in rovina a causa dei bombardamenti dell’esercito prussiano, che l’aveva assediata per oltre quattro mesi, e per le strade si ergevano ancora le barricate della rivolta di nuovo le barricate, com’era successo nel 1848. Le classi popolari furono quindi costrette a spostarsi nelle periferie, perché non potevano più permettersi gli affitti dei rinnovati palazzi del centro. Quando lo scrittore Victor Hugo tornò da un esilio di circa vent’anni, nel 1870, notò con rammarico come la sua amata Parigi medievale fosse scomparsa. Ma le più grandi innovazioni erano di lì da venire perché, una volta rappacificato il Paese dopo la guerra con la Prussia e la Comune, la città proseguì l’opera di Haussmann. Il progresso stava rivoluzionando il mondo intero.
La Ville Lumière Il primo passo fu l’elettricità. Sebbene Parigi fosse già famosa per le migliaia di lampioni a gas che ne illuminavano le strade, dal 1878 ebbe ancor più motivi per chiamarsi la Ville Lumière, la Città della Luce. L’installazione dei lampioni elettrici sull’avenue de l’Opéra venne accolta con grande entusiasmo: i parigini rimasero impressionati dalla bellezza delle nuove luminarie e chiesero che venissero estese ad altri viali. L’Esposizione
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della Comune. In pochi potevano immaginare che questa Parigi mutilata sarebbe divenuta la prospera città che, nel 1914, avrebbe destato l’ammirazione di tutto il mondo. In quel periodo Parigi avrebbe brillato più che mai grazie al progresso nella tecnologia e ai vertiginosi mutamenti sociali, destinati a trasformarla in modo radicale. La città era abituata ai cambiamenti. L’ambizioso piano urbanistico del barone Haussmann l’aveva totalmente modificata durante il Secondo impero (1852-1870); aveva demolito gli antichi quartieri dalle stradine strette e dai palazzi sovraffollati per sostituirli con ampi viali che facevano penetrare la luce e favorivano la circolazione di persone e vetture. Nel suo anelito di abbellire e rendere pulita Parigi, Haussmann aveva predisposto pure una rete fognaria, l’illuminazione con fanali a gas e la creazione di spazi verdi; tra i suoi obiettivi c’era quello di evitare che si alzassero
C R O N O LO G I A
ANNI DI PROGRESSO E NOVITÀ
1871
1884
Il 28 maggio l’esercito francese sconfigge la Comune di Parigi e lascia la città semidistrutta. Si impone la legge marziale.
Ha termine l’ultima epidemia di colera di Parigi. Di lì in poi le misure igieniche ridurranno l’impatto di questa e di altre malattie.
ORECCHINO IN ORO, OPERA DEL FAMOSO ORAFO RENÉ LALIQUE. MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS, PARIGI. GETTY IMAGES
1894
1 897
1906
1913
Ha luogo la prima corsa di auto, organizzata da Le Petit Journal, da Parigi a Rouen. Il vincitore impiega sei ore per percorrere 126 km.
Dopo vari anni di lotte femministe, la Scuola superiore di belle arti ammette le prime donne nelle aule.
Si inaugura la prima linea di autobus a motore, che copre il tragitto tra Montmartre e SaintGermain-des-Prés.
Viene inaugurato il Théâtre des Champs-Élysées. La prima della Sagra della primavera di Stravinskij suscita molto scalpore.
il suo nome – e, in effetti, da allora si chiamano ancora così, poubelle. Tutto questo portò a un generale miglioramento per la vita degli abitanti, sebbene il progresso avesse toccato prima i settori privilegiati e, solo in un secondo momento, il resto della popolazione. Non allungò quindi solo l’aspettativa di vita dei parigini, fino ad allora sotto la media francese, ma ridusse notevolmente la differenza tra i residenti delle zone alte e quelli dei quartieri più poveri. E così durante la Belle Époque Parigi passò da 1,8 a 2,8 milioni di abitanti. Questa incredibile crescita demografica era dovuta pure al fatto che la città diveniva sempre più attraente agli occhi dei migranti, i quali arrivavano a frotte da ogni angolo del Paese. E ciò non sarebbe stato possibile senza una rete più estesa ed efficace di mezzi pubblici.
NEL 1907 A PARIGI VENNE CONCESSA LA PRIMA LICENZA DI TAXI A UNA DONNA, MADAME DECOURCELLE, CHE COMPARE IN QUESTA FOTO.
LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO
AKG / ALBUM
universale del 1881 sfolgorò anche grazie all’illuminazione elettrica dei maestosi boulevard, illuminazione che a mano a mano si sarebbe diffusa nel resto del centro urbano. Nel 1910 le insegne al neon conferivano una nuova nota di luce e colore alle notti parigine. Ma non era cambiato soltanto lo sfavillio della città; anche l’odore ormai era diverso. I palazzi venivano ora collegati al sempre più ampio sistema di tubature, e il prefetto della Senna, Eugène Poubelle, prescrisse che fossero collocati dei secchi della spazzatura davanti a ogni edificio. Poubelle poteva ritenersi orgoglioso per aver contribuito a migliorare l’igiene di Parigi, anche se poi gli inviperiti cittadini si vendicarono battezzando i cassonetti con LAMPIONE DI PARIGI IN UN’INCISIONE DI JULES GRANDJOUAN PUBBLICATA SU L’ASSIETTE AU BEURRE, RIVISTA SATIRICA FONDATA NEL 1901.
Nei secoli precedenti le classi umili vivevano il più vicino possibile al luogo del lavoro, di norma raggiungibile a piedi. Nel corso dell’ottocento, però, l’avviamento di una rete di omnibus e tram trainati da cavalli aveva permesso di risiedere anche in posti più lontani. A mano a mano che la città si ingrandiva e si popolava, cresceva la necessità di migliorare e intensificare i trasporti. Fu il progresso a permettere di venire incontro a un simile bisogno. L’elettricità che serviva per illuminare le strade venne impiegata per i mezzi di trasporto: il primo tram elettrico fu inaugurato nel 1898. I taxi cominciarono a girare per Parigi nel 1905, e dai 417 del 1906 si arrivò ai 7mila del 1914; la classe lavoratrice dovette accontentarsi degli omnibus a motore, che iniziarono a circolare nel 1906. Parte dei parigini accolse con trepidazione questi nuovi mezzi di trasporto: erano veloci ed evitavano i fastidiosi e maleodoranti mucchi di sterco dei cavalli. Ciononostante, era pure preoccupata per gli effetti sulle persone dell’«alta velocità delle macchine», e temeva di essere investita o di fare incidenti. Al crepuscolo della Belle Époque, Parigi era comunque una città su ruote: l’omnibus a cavallo completò la sua ultima corsa nel 1913, lo stesso anno in cui il servizio di nettezza urbana cominciò a usare gli autofurgoni. Ma ci fu un mezzo, in particolare, che suscitò
GRANGER COLLECTION / AGE FOTOSTOCK
Trasporti per tutti
L’ESPOSIZIONE UNIVERSALE
In questa immagine colorizzata, scattata davanti a un padiglione dell’Esposizione universale del 1900, si può intuire la grande aspettativa che causò l’evento.
Un boulevard agli inizi del secolo
ROGER VIOLLET / AURIMAGES
QUEST’IMMAGINE del boulevard Edgar-Quinet, scattata agli inizi del XX secolo, mostra quanto fossero gremite le strade dell’epoca, tra passanti e carri trainati da cavalli. A terra sono visibili i binari dei tram a trazione animale, veicoli che per un certo periodo condivisero le strade con i nuovi tram a trazione elettrica, introdotti a partire dal 1900. Sulla destra compaiono un lampione elettrico e l’ingresso della metro Edgar Quinet, inaugurata il 24 aprile del 1906. Anche se molte persone criticarono la cosiddetta «esistenza a zig-zag», ovvero il dover correre da un treno a un autobus, e biasimarono la scomodità della metro – alcune linee ricevettero il soprannome di “scatole di sardine” – di sicuro era meglio che camminare per ore o traslocare per arrivare al lavoro in un tempo ragionevole.
T
RA IL 19 E IL 22 LUGLIO DEL 1894 in Francia ci fu una prova insolita, indetta dal rotocalco Le Petit Journal: una corsa di automobili tra Parigi e Rouen, per un totale di 126 chilometri. L’evento ricevette all’inizio una risposta entusiasta, e al giornale giunsero 102 richieste di iscrizione, anche se alla fine si presentarono all’appello solo 32 vetture. Dopo le eliminatorie dei giorni precedenti, la domenica 22 furono ventuno le macchine alla linea di partenza. La corsa includeva diverse fermate programmate: una nella località di Mantes-la-Jolie, affinché i partecipanti potessero concedersi una colazione in tutta tranquillità.
PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS
CORSA DI AUTOMOBILI
Nel 1894 il fotografo Henri Lemoine scattò questa foto di uno dei veicoli che partecipò alla corsa di automobili tra Parigi e Rouen. H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS
illusione, paura e perplessità: la metropolitana, le métro. Doveva essere alimentata dall’elettricità, a cui si guardava ancora con diffidenza, o dal vapore, che avrebbe potuto asfissiare i passeggeri? Parigi sarebbe rimasta la stessa? I parigini paventavano i possibili danni causati dai lavori, tanto più se parte della metro fosse passata in superficie. Alla fine si optò per una metropolitana elettrica e soprattutto sotterranea, che venne
INSEGNA CHE INDICA LA STAZIONE DELLA METRO MONTPARNASSE-BIENVENÜE. MUSÉE D’ORSAY. 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
aperta al pubblico il 19 luglio del 1900. Nonostante il disagio dei cantieri, l’entusiasmo e le attese per l’apertura della metropolitana furono immensi. Migliaia di persone parteciparono alla cerimonia di inaugurazione, convinte di proiettarsi nel futuro; il giornale Le Radical salutò la metro «come agente del progresso morale». Tuttavia il terribile incidente del 1903 infranse molte di quelle illusioni: un incendio portò alla morte di 84 persone. Il giornale conservatore La Croix affermò che si era trattato di un castigo divino per l’impertinente arroganza della città. Ma con il tempo la paura scemò e la metropolitana divenne la vera protagonista della vita quotidiana: nel 1914 trasportava 500 milioni di passeggeri all’anno. La metro non accompagnava i parigini solo al lavoro, perché ormai Parigi era una città che non dormiva mai. Dopo la giornata lavorativa, infatti, arrivava il momento di divertirsi, che si prolungava per tutta la notte. L’aumento dei salari e la stabilizzazione degli orari permisero ai dipendenti di guadagnare più denaro e di avere più tempo per spenderlo. Gli imprenditori accorsero in massa a soddisfare tale domanda.
Un’ampia offerta di divertimenti Le nuove forme di intrattenimento erano all’insegna del progresso, e specialmente il cinema riuscì a sedurre l’immaginario dei contemporanei. Nel 1895 i fratelli Lumière ne approfittarono e cominciarono a far pagare il biglietto d’ingresso alle loro proiezioni nel Grand Café. L’emozione iniziale, però, si sgonfiò ben presto: non appena la gente si fu abituata alle immagini in movimento, si annoiò di vedere sempre gli stessi filmati brevi e ordinari. Ci pensarono persone come Georges Méliès a raccontare delle storie: nasceva così il cinema come lo conosciamo oggi. La possibilità di ottenerne sostanziosi guadagni era più che evidente per alcuni, tra cui Léon Gaumont, che nel 1911 aprì al pubblico un enorme cinema da circa cinquemila poltrone a prezzi accessibili e trasformò la settima arte in uno svago alla portata di tutti. Come nel cinema, altri risultati del progresso segnarono l’ozio e l’intrattenimento. La febbre per le macchine – sia nei saloni automobilistici alle Tuileries sia nelle strade
ROGER VIOLLET / AURIMAGES
Al via il primo rally della storia
IL TRIONFO DEL CINEMA
Il Gaumont Palace, costruito come un ippodromo per l’Esposizione universale del 1900, fu una delle sale cinematografiche più importanti di Parigi sino alla sua chiusura, nel 1972. Scatto alla prima del film Quo Vadis nel 1912. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L
a Belle Époque fu testimone del boom di attrici famose, che comparivano spesso sui mezzi di informazione. Ne è un esempio la grande attrice francese Sarah Bernhardt che, grazie al suo stile naturale, lontano dalle vecchie consuetudini del teatro francese, trionfò non solo in patria, ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti. Tra le italiane, invece, si ricordano Irma Gramatica, Lyda Borelli ed Eleonora Duse, le quali non furono solo delle grandi attrici di fama mondiale, ma fondarono anche compagnie proprie. Un altro esempio di donna di successo fu Loïe Fuller, artista poliedrica ma anche scrittrice e produttrice. Fuller suscitò molta impressione con la sua danza serpentina, in cui utilizzava tessuti vaporosi e luci colorate. La Belle Otero è forse la più famosa tra le vedette di cabaret dell’epoca. Di origine galiziana, divenne la star di Folies Bergère. Insieme ad altre due attrici, Liane de Pougy ed Émilienne d’Alençon, erano soprannominate “Le tre Grazie”. Le donne trionfarono anche nell’opera, come la soprano Lina Cavalieri, che venne descritta quale «donna più bella del mondo». Pure la contessa Anna de Noailles, aristocratica di origine rumena, ebbe un ruolo fondamentale nella vita letteraria fin de siècle. Noailles ebbe un grande successo con le sue poesie piene di allusioni erotiche, e venne ritratta da molti artisti dell’epoca.
1. LINA CAVALIERI. FOTOGRAFIA SCATTATA NELLO STUDIO REUTLINGER. MUSÉE D’ORSAY, PARIGI.
MUSE DELLA BELLE ÉPOQUE 2. SARAH BERNHARDT NEI PANNI DI MELISANDA IN LA PRINCIPESSA LONTANA DI ROSTAND.
5. LA CONTESSA DE NOAILLES. OLIO DI IGNACIO ZULOAGA, 1913. MUSEO DE BELLAS ARTES, BILBAO.
3. LOÏE FULLER. FOTOGRAFIA DELLA BALLERINA STATUNITENSE SCATTATA DA ISAIAH WEST TABER. MUSEÉ D’ORSAY, PARIGI.
1. PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS 2. PVDE / BRIDGEMAN / ACI 3 E 4. H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS 5. AKG / ALBUM
4. LA BELLE OTERO. FOTOGRAFIA SCATTATA NELLO STUDIO REUTLINGER. MUSÉE D’ORSAY, PARIGI.
offerta poteva forse disorientare e, infatti, parte della popolazione preferiva passare il tempo libero nei parchi urbani o facendo delle gite in campagna. Se molti parigini approfittavano dei momenti di ozio per uscire dalla città, sempre più stranieri giungevano a visitarla. Le esposizioni universali divennero la principale attrazione di Parigi: 23 milioni di persone parteciparono a quella del 1889, in cui venne aperta al pubblico la torre Eiffel, e 48 milioni a quella del 1900. Per far fronte a un turismo di tale mole, tra un’esposizione e l’altra furono ampliati hotel come il Ritz e le stazioni dei treni. Parigi allargava la sua fama come meta turistica.
COLONNA MORRIS CON ANNUNCI DI SPETTACOLI NEGLI ANNI OTTANTA DELL’OTTOCENTO. PARIGI È STATA LA PRIMA CITTÀ A UTILIZZARE TALI COLONNE. OLIO DI JEAN BÉRAUD. WALTERS ART MUSEUM, BALTIMORA. BRIDGEMAN / ACI
che si dipartivano dalla città – era paragonabile soltanto a quella per la bicicletta. Lo stesso anno del primo Tour de France, il 1903, venne inaugurato il Velodromo d’Inverno per ospitare uno sport che aveva già molti sostenitori. Anche le partite di tennis e di calcio riempivano gli stadi. Non solo. La Belle Époque fu anche l’età d’oro del cabaret, con l’apertura del Le Chat Noir nel 1881 e del Moulin Rouge nel 1889. Louise Weber, nota come La Goulue (“La Golosa”) e Jane Avril, ballerine di can can di questo noto locale, divennero molto famose dentro e fuori Parigi. Cabaret e taverne traboccavano sempre di clienti; e chi preferiva un intrattenimento più “culturale” si recava nei musei: quello delle cere, inaugurato nel 1882, era uno dei favoriti dai parigini. Tanta BRIDGEMAN / ACI
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PUBBLICITÀ DI CORSETTI E LINGERIE FEMMINILE DEL CENTRO COMMERCIALE LE BON MARCHÉ. 1900 CIRCA.
Se, da un lato, aumentavano gli spettacoli, dall’altro crescevano i consumi. I centri commerciali, che brillavano di luce propria, si imposero come le principali attrazioni e i turisti, in genere di classe agiata, non potevano certo rinunciare a una visita alle Galeries Lafayette. Ma nel 1895 Georges Dufayel fondò in uno dei quartieri poveri i Grands Magasins Dufayel, rivolti a un pubblico modesto: il suo motto era «vendere a poco per vendere di più». Grazie a strategie come la vendita a rate e gli annunci che invitavano i lavoratori a consumare, i Grands Magasins Dufayel diventarono uno dei luoghi più frequentati della città. Anche lì ci si poteva divertire: si poteva camminare tra i vasti locali, assistere a concerti, vedere film nel cinema interno e persino, il martedì e il sabato, farsi delle radiografie – tecnologia all’epoca affascinante. E, ovviamente, comprare oggetti che imitavano il lusso, un tempo prerogativa delle classi borghesi. Il miglioramento delle condizioni di vita per i meno privilegiati si irradiava in molti settori, tra cui l’istruzione. Nel 1882 una legge rese obbligatoria la scuola primaria, e l’analfabetismo si ridusse enormemente: a Parigi la percentuale di persone analfabete era minore del 20 percento nei quartieri più poveri. La maggior parte dei parigini sapeva quindi leggere, dettaglio fondamentale per lo straordinario sviluppo della stampa. Questa, va detto, non migliorava solo il li-
MICHAEL NITZSCHKE / AGE FOTOSTOCK
La febbre del consumo
LE GALERIES LAFAYETTE
Questo grande centro commerciale venne inaugurato nel parigino boulevard Haussmann dai cugini Théophile Bader e Alphonse Kahn nel 1893. Nell’immagine, l’impressionante cupola dell’edificio.
COLAZIONI SOFISTICATE
Uno dei modi più piacevoli per passare il tempo consisteva nel frequentare una delle tante pasticcerie che, negli anni della Belle Époque, vennero aperte a Parigi. Nell’immagine, la pasticceria Gloppe, nell’avenue des Champs-Élysées. Olio di Jean Béraud, 1889. Musée Carnavalet, Parigi. AGENCE BULLOZ / RMN-GRAND PALAIS
Libertà, ma con restrizioni EBBENE PARIGI fosse
percorsa da un’ondata di libertà per le donne, le resistenze al cambiamento furono notevoli. Una normativa parigina proibiva alle donne di indossare i pantaloni se non montavano in bicicletta e, nonostante gli sforzi della femminista Marie-Rose Astié de Valsayre, il divieto non venne abrogato. La famosa giornalista, critica teatrale, scrittrice e attrice passata alla storia come Colette, poi, scandalizzava la società vestendo abiti maschili e fumando. Il maggiore ostacolo al cambiamento risiedeva, però, nella mentalità: le donne che si azzardavano a turbare il costume nei luoghi pubblici erano spesso vittime di insulti e aggressioni.
Tolleranza limitata
SIDONIEGABRIELLE COLETTE CON ABITI MASCHILI. FOTOGRAFIA DEL 1907.
GILARDI / AGE FOTOSTOCK
vello culturale dei lettori; in realtà serviva pure per diffondere notizie false e generare paure collettive. Per vendere di più, i giornali farcivano le pagine di notizie che i parigini leggevano con morbosità; erano talmente tante che la gente iniziò a ritenere Parigi una città violenta e pericolosa, sensazione accresciuta dal fatto che la polizia era ancor più efficiente nel risolvere i crimini: nel 1902 aveva, infatti, adottato la tecnica delle impronte digitali. La stampa alimentava anche l’impressione che la società francese stesse degenerando, e perciò i resoconti di delitti e scandali convinsero molti che le tecIL CONTE ROBERT DE MONTESQUIOU. RITRATTO DI GIOVANNI BOLDINI, 1897 CIRCA. LEBRECHT / ALBUM
Le persone omosessuali approfittarono della maggiore libertà che offriva la Belle Époque. Le vaste zone verdi e i numerosi locali notturni divennero luoghi di corteggiamento, e le autorità potevano ben poco contro quella che la società considerava un’aberrazione. Quando il proprietario di un caffè su rue Monge, in pieno centro, denunciò alla polizia che i suoi clienti avevano trasformato il locale in un ritrovo di omosessuali, la polizia rispose che, se aveva i documenti in regola, non avrebbe potuto fare niente per chiuderlo. Ma in pubblico la società si dimostrò ben poco tollerante. Nel 1907 le attrici Sidonie-Gabrielle Colette, in arte Colette, e Mathilde de Morny scandalizzarono a tal punto gli spettatori del Moulin Rouge con una scena lesbica che la polizia dovette intervenire per placare gli animi. L’opera Sogno d’Egitto fu messa al bando, e le donne, che erano amanti, non poterono più vivere assieme. Spaventati o emozionati, i parigini avevano ormai capito che il cambiamento sarebbe divenuto una regola. La città semidistrutta del 1871 aveva poco in comune con quella che nel 1914 brulicava di vita, con le sue strade piene di vetture, i suoi cinema, i parchi e i centri commerciali pieni di gente, le sue sale da esposizione e i musei che ospitavano l’arte del nuovo secolo. In pochi potevano prevedere che le tenebre sarebbero presto tornate su Parigi. AINHOA CAMPOS POSADA STORICA E AUTRICE DI BREVE STORIA DELLA BELLE ÉPOQUE
Per saperne di più
SAGGI
Il Novecento a Parigi Maria Iannace. Murghantia, Benevento, 1996. Montmartre & Montparnasse Dan Franck. Garzanti, Milano, 2004.
FINE ART / ALBUM
S
nologie e i nuovi comportamenti distruggevano la società tradizionale. L’anonimato di una grande città, l’affievolirsi di punti di riferimento come, per esempio, il parroco, e l’allargamento dell’istruzione permisero alle nuove generazioni di sentirsi più libere: a Parigi presero forza movimenti come il femminismo e uscirono allo scoperto comportamenti che stridevano con le norme sociali, come l’omosessualità.
DIVERTIMENTI NOTTURNI
Questo manifesto, dipinto da Louis Anquetin, immortala una notte di divertimento nel club musicale Le Mirliton, di proprietĂ del famoso attore e cantante Aristide Bruant, divenuto noto nel cabaret Le Chat Noir.
Parigi 1910: la grande inondazione
SELVA / LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO
SI DICE che ogni cento anni Parigi sia vittima di una grande inondazione. Quella del XX secolo ebbe luogo nel 1910, alla fine della Belle Époque. Il 21 gennaio le acque della Senna raggiunsero un’altezza record di 8,62 metri, e lo straripamento fu inarrestabile. Alcune conquiste del progresso contribuirono ad aggravare la situazione: l’acqua scese per la rete fognaria e attraverso i tunnel della metro appena costruiti. Si inondarono pure le stazioni elettriche e tutta la città – la Città della Luce – rimase al buio per diversi giorni. In mancanza di tram, si dovette ricorrere a barche e cavalli. Fortunatamente, la piena non causò la morte di persone, anche se lo stato di emergenza permase per quasi due mesi. Nell’immagine, rue de Lyon durante l’inondazione, vista da place de la Bastille.
GRANDI ENIGMI
Le mummie di Urbania: una storia oltre la morte A Urbania c’è una piccola chiesa che nasconde un grande segreto: 18 corpi mummificati che narrano storie di vita e, ovviamente, di morte così in onore di Papa Urbano VIII, dovette allinearsi alle indicazioni dell’imperatore. Iniziò così una lunga operazione di trasferimento di tutti i corpi inumati in fosse comuni, chiese e cappelle private situate all’interno delle mura della città. All’epoca a occuparsi gratuitamente del trasporto dei defunti era la Confraternita della buona morte, un gruppo di devoti a san Giovanni Decollato che era stato fondato nel 1567 dal sacerdote Giulio Timotei. Oltre al trasporto dei corpi, la confraternita offriva diversi altri servizi, come l’assistenza ai malati e ai condannati o la compilazione dei registri di morte. Uno dei cimiteri che andava “trasferito” era
quello del convento di San Francesco, che si trovava in un piccolo appezzamento di terra nei pressi del centro storico, vicino a quella che allora era la cappella Cola.
L’incredibile scoperta Un giorno, durante la riesumazione di alcuni corpi da una fossa comune del piccolo cimitero, i confratelli furono colpiti da un’incredibile scoperta: all’interno della fossa c’erano diversi cadaveri che apparivano in perfetto stato di conservazione. La pelle era praticamente intatta, così come i tendini, i vasi sanguigni e in alcuni casi gli organi interni e perfino i genitali. Stando ai registri di morte, i corpi ap-
LA CAPPELLA COLA UN NOME CONQUISTATO SUL CAMPO. Edi-
MICHELE E MATTEO DINI
ficata nel quattordicesimo secolo, la chiesa originariamente era la “cappella Cola”. Quando nel 1833 venne costruita la cripta nella quale tuttora sono esposte le mummie, i paesani cominciarono a chiamarla “chiesa dei Morti”.
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MICHELE E MATTEO DINI
N
el 1804 in un’Europa quasi completamente dominata dall’impero di Napoleone venne promulgato l’Editto di Saint-Cloud, il decreto che per motivi igienico-sanitari e di uguaglianza sociale stabiliva nuove regole per la sepoltura dei morti: le tombe andavano trasferite al di fuori delle mura della città, in luoghi ventilati e soleggiati, e i defunti dovevano essere seppelliti singolarmente e con lapidi tutte uguali. Quando due anni più tardi l’editto venne esteso all’Italia, anche la piccola città di Urbania (circa 60 chilometri a sud di Pesaro), chiamata
partenevano a persone decedute tra il XVI e il XVIII secolo e a quel punto, dopo oltre duecento anni, sarebbero dovuti essere ridotti a un mucchio di ossa. Il rinvenimento attirò in particolare l’attenzione del priore della confraternita Vincenzo Piccini, che di lavoro faceva il chimico ed era il farmacista della città. In quegli anni le conoscenze biologiche erano ancora molto limitate e Piccini si convinse che qualcuno doveva
LE MUMMIE della chiesa
dei Morti sono esposte in teche di legno e vetro, al riparo dagli agenti esterni e dal continuo viavai di turisti.
aver prodotto un unguento in grado di essiccare i corpi e impedirne la decomposizione. Decise quindi di studiare a fondo le salme per provare a ricreare la fantomatica “pozione” che, una volta giunto il momento, sarebbe dovuta essere applicata su di lui e sui suoi familiari secondo le sue precise indicazioni. L’interpretazione del priore sulle cause della mummificazione si rivelò sbagliata e il tentativo non andò a buon fine: oggi nella chiesa
dei Morti si trovano esposti diciotto corpi, di cui quindici sono ben conservati mentre tre, quelli della famiglia Piccini, sono poco più che scheletri. La mummificazione dei quindici corpi era in realtà avvenuta in maniera del tutto naturale. Tuttavia l’errore di Piccini trova conforto nel fatto che le reali cause del fenomeno sono rimaste a lungo misteriose e tutt’oggi sono ancora oggetto di discussione. Per moltissimi anni si è ritenuto che
il responsabile della mummificazione fosse un fungo, Hipha bombicina pers., una muffa idrovora che sarebbe stata in grado di disidratare rapidamente i corpi ed evitarne la decomposizione. La teoria della muffa, spesso associata anche ad altri casi di mummie naturali è stata però smentita dai più recenti studi dei paleopatologi Arthur Aufderheide, dell’Università del Minnesota, e Gino Fornaciari dell’Università di Pisa, secondo i quali la causa della
mummificazione risiede in una particolare combinazione di fattori climatici e ambientali. Il pH elevato dovuto alla natura calcarea del terreno di sepoltura, insieme all’effetto assorbente dell’involucro di tela all’interno del quale i morti erano stati avvolti (all’epoca dei decessi le bare venivano usate soltanto per il trasporto), avrebbero impedito la decomposizione e favorito la disidratazione dei corpi. Normalmente quando la mummificazione è realizSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI ENIGMI
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SULLA CIMA del
bastone priorale campeggia il teschio con le due tibie incrociate, il simbolo della Confraternita della buona morte.
Le storie di vita e di morte 1 IL CORPO DEL PRIORE. Il corpo di Vincenzo Piccini è oggi esposto nella vetrina centrale con indosso i paramenti della Confraternita della buona morte: un abito talare di lino bianco, una mantellina nera e il bastone priorale. La colorazione più bianca indica che probabilmente all’epoca della morte il corpo è stato trattato con la calce, una pratica comune nei periodi di epidemia. 2 LA FAMIGLIA PICCINI. A sinistra Maddalena Gatti, morta nel 1936, e a destra Guido Piccini, rispettivamente moglie e figlio di Vincenzo Piccini. Insieme a quello del priore, questi sono i corpi peggio conser-
vati, non essendo stati sottoposti alle condizioni naturali di mummificazione del terreno dietro alla chiesa. I discendenti della famiglia Piccini ancora oggi gestiscono una farmacia nel centro di Urbania. 3 L’UOMO SEPOLTO VIVO. Il ventre schiacciato, i residui di terra trovati nei polmoni e il cosiddetto “riso sardonico”, che rivela una prolungata contrazione dei muscoli facciali, fanno pensare a una fine terribile: l’uomo fu sepolto vivo. Diverse macchie scure sulla pelle testimoniano la scarsità di ossigeno che il malcapitato si è trovato ad affrontare sotto terra.
4 SEBASTIANO MACCI. Letterato e co-fondatore della Confraternita della buona morte. Il suo è uno dei corpi meglio conservati. Nell’avambraccio sinistro in particolare sono perfettamente visibili diversi incredibili dettagli: le linee della pelle, le unghie, i tendini e la muscolatura. 5 LA DONNA MORTA DI PARTO mo-
stra i segni del disperato tentativo di salvare il bambino. Nel basso ventre si distinguono chiaramente due tagli a croce, testimonianza di una pratica medica all’epoca ancora agli albori. A quel tempo il parto cesareo significava morte certa per la madre.
Chiesa dei Morti
VISTA della cittadina
FOTO: MICHELE E MATTEO DINI
MICHELE E MATTEO DINI
medievale di Urbania. Deve il suo nome a Papa Urbano VIII, che nel 1636 la elevò al grado di città con relativa diocesi.
zata artificialmente il corpo viene trattato e svuotato di tutte le parti molli interne. Invece nel caso di Urbania questa incredibile combinazione di elementi naturali ha restituito dei corpi intatti. Nel corso degli anni diversi istituti hanno analizzato le mummie (lo studio più consistente è quello realizzato da National Geographic Channel nel 2002 in occasione delle riprese del programma “The mummy road show”). Le indagini strumentali, insieme ai controlli sui registri di morte e all’osservazione diretta sui corpi, offrono una dettagliata descrizione di come quelle di-
ciotto persone siano vissute e di come siano morte. Alcuni corpi portano i segni di malattie, come il ragazzo affetto dalla sindrome di Down o il canonico Muscinelli, uomo di chiesa la cui corporatura abbondante è visibile anche a quattrocento anni dalla morte. Altri testimoniano una morte violenta: c’è un uomo ucciso per impiccagione che è ancora oggi nella stessa postura contratta del giorno della sua esecuzione, e un altro che venne ucciso durante una festa. Nel cuore della vittima, oggi conservato a parte, si vede tuttora chiaramente il foro a se-
zione quadrata dello stiletto che lo uccise. La vicenda più terribile però è senza dubbio quella dell’uomo sepolto vivo, con il ventre schiacciato, la pelle d’oca e tutti i muscoli del corpo in tensione.
Le mummie oggi Tutte queste storie sono sopravvissute alla morte grazie alla mummificazione e grazie all’interesse di Vincenzo Piccini, che dopo la scoperta dei corpi fece edificare una cripta dietro all’altare della cappella Cola. In alto al centro della cripta c’è un lampadario fatto di teste di femori, tibie e teschi assemblati in-
sieme con fil di ferro opera, a quanto sembra, di un medico militare austriaco detenuto nel convento vicino alla chiesa durante la Prima guerra mondiale. Oggi il museo è aperto al pubblico e sono quasi 14mila le persone che ogni anno, grazie ai racconti di Giovanni Maestrini, custode e guida della chiesa, rivivono le storie delle mummie di Urbania. —Francesco Martinelli Per saperne di più Vivere il morire Sergio Messina. Effatà Editrice, Cantalupa, Torino, 2000.
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UN RAGAZZO suona
GRANDI SCOPERTE
un organo azionato da alcuni bambini tramite un mantice. Accanto a loro, i membri di una pantomima. Mosaico della sala tricora, villa romana di Noheda.
Le meraviglie della Spagna romana: il mosaico di Noheda Nel 2005 gli archeologi hanno portato alla luce uno splendido mosaico figurativo appartenente a una lussuosa villa del IV secolo
I
sottolineando la presenza di tessere di mosaico.
Scoperta di una villa
Noheda CU E NCA
MAR MEDITERRANEO
nel 1893 all’interno del Boletín de la Real Academia de la Historia spagnola. Il documento di J. Santa María riferiva della scoperta di scorie ceramiche, marmi e «tracce di mosaici superiori composti da vetri colorati» in una zona chiamata Cuesta de los Herreros, oltre che di «un muro lungo 80-100 metri che potrebbe rappresentare il perimetro di un insediamento significativo». Qualche anno più tardi, esattamente nel 1897, anche Francisco Coello parlava delle rovine romane di Noheda,
1893
Prima descrizione della villa romana di Noheda, in cui si menziona la presenza di mosaici.
Nel XX secolo la località fu studiata da diversi autori. Nel 1966 Julio Larrañaga analizzò il sito e, basandosi sulla vicinanza della via 31 dell’Itinerarium Antonini – un registro delle comunicazioni viarie dell’impero romano –, identificò erroneamente le vestigia romane con la mansio (la stazione di posta ufficiale) di Urbiaca. A partire dalla fine degli anni settanta diversi archeologi esaminarono i resti in superficie, che insieme alle ceramiche e alle monete ritrovate nella zona permisero di identificare l’insediamento con una villa tardo-romana, databile tra il III e il V secolo. A metà degli anni ottanta, nel corso di alcuni lavo-
2005 Vent’anni dopo il ritrovamento del primo frammento musivo, iniziano gli scavi del sito.
2008
ASF / ALBUM
S PA G N A
mosaici della villa romana di Noheda rappresentano una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni. Il sito del ritrovamento si trova 18 chilometri a nord della cittadina spagnola di Cuenca, in una frazione del comune di Villar de Domingo García. La presenza di resti romani nella zona era nota da tempo. Il cartografo rinascimentale spagnolo Alonso de la Santa Cruz, nella sua mappa del 1554 intitolata Atlas de El Escorial, documentava il nome che aveva allora l’attuale località di Villar de Domingo García: il “Villar de la Villa”. Il luogo venne descritto per la prima volta, in maniera concisa, nella relazione di J. Santa María, pubblicata
ri all’interno di una tenuta agricola privata, il responsabile della proprietà ritrovò casualmente alcuni frammenti di mosaico – i volti di due figure identificate con
I lavori portano alla luce tutto il mosaico del triclinio, che viene sottoposto a pulitura e consolidamento.
2017
A luglio il mosaico con la scena del re Enomao viene esposto al pubblico nell’ambito di una serie di incontri.
PARTE ANTERIORE DI UNA SCULTURA DI UN GIOVANE IDENTIFICABILE CON UNO DEI DIOSCURI (CASTORE E POLLUCE). NOHEDA. MIGUEL ÁNGEL VALERO
PIÙ CHE MOSAICI
tuati gli scavi dell’enorme triclinio (sala da pranzo) con absidi su tre lati, di 290 metri quadrati di superficie. La stanza è pavimentata con un mosaico costituito da sei pannelli figurativi realizzati in gran parte in opus vermiculatum, una delle tipologie di mosaico più complesse, caratterizzata dall’utilizzo di tessere molto piccole che, disposte in maniera asimmetrica, seguono il contorno delle immagini.
MIGUEL ÁNGEL VALERO
il principe troiano Paride e la sua amante Elena –, ma i reperti furono in seguito interrati. La prima campagna archeologica vera e propria è stata condotta solo una ventina di anni più tardi, alla fine del 2005, allo scopo di portarli nuovamente alla luce. Nel 2008 è iniziata una nuova tappa della ricerca, mirata allo studio integrale del sito e del mosaico. In quell’anno sono stati effet-
NELLA VILLA DI NOHEDA sono stati ritrovati numerosi reperti archeologici: ceramiche, mosaici in vetro (alcuni ricoperti da foglia d’oro), opere in marmo di varia provenienza, tegole, mattoni e ciottoli, oltre a vari frammenti di sculture di ottima fattura.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
I mosaici del triclinio di Noheda
1
LA SALA tricora è l’ambiente della villa ro-
mana di Noheda con la maggior presenza di mosaici. Si estende su una superficie di ben 290,64 metri quadri alla quale si accedeva tramite uno spazio porticato e aveva probabilmente la funzione di triclinio – la sala da pranzo in cui il facoltoso proprietario organizzava sontuosi banchetti. Le tre esedre, o absidi, conservano una decorazione musiva geometrica e floreale, mentre il resto della stanza (231 metri quadri) è caratterizzato da splendidi mosaici figurativi quasi tutti a tema mitologico, come il corteo del dio del vino Dioniso, qui rappresentato come un giovane di straordinaria bellezza e accompagnato dalla moglie Arianna. Ci sono inoltre alcune scene della vita del principe Paride, della sfida di Pelope per conquistare la mano di Ippodamia, figlia del re Enomao, e una raffigurazione dei membri di una pantomima (una compagnia teatrale composta da vari musicisti, attori e danzatori) in procinto di mettere in scena un’opera.
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A FOTO: ASF / ALBUM
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1 PUGILI E TROMBA d e
QUI SOPRA, TRICLINIO TRICORO DELLA VILLA ROMANA DI NOHEDA. NELL’IMMAGINE SI POSSONO VEDERE I VARI PANNELLI IN CUI È SUDDIVISO E LA POSIZIONE DELLE SCENE DESCRITTE IN QUESTA PAGINA.
Sotto una scena di musicisti e attori sontuosamente abbigliati, compaiono dei pugili e un suonatore di tromba incorniciati da alcune colonne.
2 PELOPE E IPPODAMIA
Ippodamia abbraccia l’amato Pelope, che indossa un copricapo frigio ed è appena sceso dalla quadriga con cui ha sconfitto il re Enomao.
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3 IL RE ENOMAO
Il re di Olimpia è seduto sul trono e circondato da alcuni personaggi, tra cui il suo auriga Mirtilo, vestito di bianco. Questi lo tradirà aiutando Pelope a vincere la gara.
4 PANTOMIMI
In questa scena compaiono quattro attori, due dei quali interpretano personaggi femminili, intenti a mettere in scena un’opera teatrale.
3
5 CORTEO DIONISIACO
Il corteo di Dioniso è aperto da due satiri con delle torce, seguiti da un gruppo di centauri. Tutti indossano pelli di leopardo, un animale associato al dio.
6 VITA DEL TROIANO PARIDE
La scena illustra il giudizio di Paride in merito alla bellezza delle dee Atena, Era e Afrodite. Dall’altra parte, Paride ed Elena s’imbarcano sulla nave diretta a Troia.
GRANDI SCOPERTE
Il processo di restauro dei mosaici della villa romana DOPO AVER PORTATO ALLA LUCE i mosaici del-
MIGUEL ÁNGEL VALERO. MOSAICI: ARTELÁN
la villa romana di Noheda (sotto), i restauratori hanno adottato varie misure per garantirne la conservazione. Le concrezioni calcaree sono state rimosse prima che si indurissero e richiedessero una pulitura con sostanze chimiche. Le tessere di determinate aree del pavimento sono state consolidate, mentre i bordi esterni e le lacune del mosaico sono stati livellati e sigillati per evitare che si staccassero.
Le tessere utilizzate per quest’opera, infatti, misurano circa 1,5 mm e sono di una gamma cromatica molto varia e alcune persino dorate. La loro ricchezza iconografica, la composizione complessa e il carattere unitario, insieme al buono
stato di conservazione, accentuano l’eccezionalità di questo ritrovamento. Il primo pannello (ovvero quello corrispondente alla lettera A) rappresenta la gara tra il re Enomao e Pelope, il pretendente di sua figlia Ippodamia. Sopra questa scena principale ce n’è un’altra di dimensioni inferiori, che raffigura un circo. Nel pannello
B appaiono una compagnia teatrale e altri personaggi minori impegnati in competizioni di vario tipo. Nel C fanno da protagonisti il giudizio di Paride e il rapimento di Elena, e nel D uno spettacolare corteo dionisiaco. Dal canto suo, il pannello E è molto simile al B, ma presenta qualche piccola differenza nella posizione e
Il ritrovamento di alcune monete nella villa di Noheda ha permesso di datarla tra il III e il V secolo RECTO DI UNA MONETA DI TEODOSIO I, CONIATA AD ANTIOCHIA TRA IL 392 E IL 395. MIGUEL ÁNGEL VALERO
nel dinamismo delle figure. Infine il pannello F è caratterizzato da motivi marini.
Fama mondiale Data l’eccezionale qualità dell’opera, i lavori di esumazione, pulitura e consolidamento del pavimento sono stati affidati a una squadra di archeologi e restauratori. L’intervento si è concluso nel 2009 con la rimozione degli ultimi centimetri di terra – un’operazione che è stata eseguita in un’unica fase per evitare la formazione di una crosta di carbonato di calcio sul mosaico. Nel 2010 hanno iniziato a circo-
lare le prime pubblicazioni dedicate ai vari aspetti della villa e in particolare ai mosaici. L’importanza del sito archeologico è stata messa in evidenza grazie a vari incontri spagnoli e internazionali, tanto specialistici quanto divulgativi, che hanno permesso di far conoscere a livello mondiale le meraviglie della villa. Questa risonanza ha spinto molti ricercatori a interessarsi al mosaico di Noheda. Katherine Dunbabin, una delle maggiori esperte in questo ambito, ha dichiarato: «È l’opera musiva dell’impero romano più
notevole che abbia mai visto». Il lavoro coordinato dei vari soggetti coinvolti ha permesso di procedere alla tutela del sito archeologico, che nel 2012 è stato dichiarato dallo stato spagnolo “bene di interesse nazionale”. È già stato reso disponibile un edificio in cui saranno esposti al pubblico i mosaici una volta conclusi gli interventi di restauro.
Un’opera unica Il pavimento figurativo di Noheda è eccezionale sotto vari punti di vista: non solo è il più grande della Spagna romana, ma rappresenta an-
che un unicum in tutto l’im- allo stesso tempo i contepero per la grande profusio- nuti trasversali. Ciononone iconografica e la strut- stante a tutt’oggi gli scavi di tura variegata e complessa. Noheda non sono conclusi. Gode inoltre di un ottimo Gli esperti ritengono che sia stato di conservazione. stato portato alla luce solo il La sua composizione è di dieci per cento del sito e che particolare interesse, per- la maggior parte dei tesori ché presenta una peculiare di questa villa romana resti combinazione di tematiche ancora da scoprire. mitologiche, rappresenta—Miguel Ángel Valero Tévar zioni ludiche e allusioni a generi letterari e teatrali. Per saperne di più Le varie scene del mosaico sono articolate tra loro La villa romana de Noheda: la sala triclinar y sus mosaicos con un chiaro stile narratiMiguel Ángel Valero. Tesis doctoral, Universidad de vo, che permette di seguire Castilla-La Mancha, 2015. la sequenza dei differenMosaico romano de Noheda José Luis Lledó Sandoval. ti episodi di un mito o di Visión Libros, Madrid, 2010. un’allegoria e di coglierne STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA MEDIOEVO ITALIANO
Le risorse delle donne contro la miseria
B Maria Paola Zanoboni
POVERTÀ FEMMINILE NEL MEDIOEVO Jouvence, 2018; 96 pp.; 10 ¤
rutta bestia la povertà. Soprattutto per una bracciante del XV secolo costretta a percorrere decine di chilometri nelle campagne di Arezzo per farsi ingaggiare come mietitrice a giornata, portando con sé il proprio neonato che non era stata in grado di affidare a una balia. Quando la fame, la stanchezza o la malattia non ne ostacolavano o bloccavano il percorso, le mietitrici migranti in cerca di lavoro imprendevano una competizione che sfociava
spesso in feroci scontri a colpi di falce e bastone per la difesa di una possibilità: trovare un impiego e strappare così un giorno in più a una vita grama. Sono esistenze marginali, ai limiti della sopravvivenza quelle scovate dalla storica Maria Paola Zanoboni, ma non per questo di personaggi passivi innanzi agli eventi. Nelle pagine del libro emergono storie di balie costrette ad attendere la morte dei propri figli per poter vendere ad altre
il prezioso latte; di ragazze fuggite da «un consorte tristo e laido» e finite a vendere il proprio corpo in un lupanare; di vedove spinte dalla mancanza di alimenti ad abbandonare i propri figli per cercare lavoro come domestiche. Braccianti, balie, filatrici, vedove, prostitute, inferme, donne sole fanno parte di un cosmo fortemente precario e instabile ma sono allo stesso tempo capaci di mettere in atto soluzioni ingegnose per integrare il proprio reddito e, grazie all’aiuto di reti di solidarietà femminile, «reagire ai colpi del destino». In parole dell’autrice, di «rivendicare tenacemente i propri diritti fino a ricorrere alle vie legali per ottenere quanto loro dovuto».
STORIA CONTEMPORANEA
ALLE ORIGINI DELLA GUERRA FREDDA NEL 1947 il dipartimento di stato guidato da George C.
Marshall, sotto la presidenza di Harry Truman, cominciò a trasformare l’Europa in una grande zona cuscinetto o, come la definisce lo storico Benn Steil in «una nuova architettura economica e di sicurezza adatta a un’Europa divisa in due mondi: uno capitalista e uno comunista». Il piano Marshall, programma finalizzato alla ripresa europea dopo la Seconda guerra mondiale, è considerato da Steil l’incipit della Guerra fredda. Il deterioramento delle relazioni Usa-Urss fu, infatti, la conseguenza della volontà di Stalin di contrastare non solo il Piano ma anche l’Unione europea e la Nato, che ne furono diretta emanazione. Benn Steil
IL PIANO MARSHALL. ALLE ORIGINI DELLA GUERRA FREDDA Donzelli, 2018; pp. X-550; 32,30 ¤
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Fondazione Nilde Iotti
L’ITALIA DELLE DONNE Donzelli, 2018; VI-348 pp.; 30 ¤ LA RINASCITA democratica
dell’Italia dopo la dittatura e la guerra fu opera di “padri” ma anche di “madri costituenti”. Con il decreto n.74 del 10 marzo del 1946, le donne parteciparono per la prima volta alle elezioni amministrative con la possibilità di
essere elette. Alle politiche del 2 giugno dello stesso anno in 21 vennero elette nell’Assemblea Costituente. Tra loro Nilde Iotti, reggiana, molto attiva già nei Gruppi di difesa della donna durante la Resistenza e, dopo la guerra, nell’UDI (Unione Donne Italiane). Nel 1944 un Comitato pro-voto, istituito proprio su iniziativa dell’UDI, aveva presentato al governo una mozione al fine di rivendicare «il diritto delle donne italiane di partecipare alle prossime elezioni amministrative su un piano di assoluta parità con gli uomini». I saggi del volume promosso dalla Fondazione Nilde Iotti intendono tracciare le fasi cruciali di quel “risveglio femminile” scaturito dalla lotta di Liberazione.
ARTE MODERNA
Devozione e paura: gli ex-voto messicani
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na donna dalle sembianze spettrali conosciuta come la Llorona si aggira alla ricerca di un figlio scomparso. Insieme al Chupacabras, animale leggendario dalle sembianze di coyote la cui abitudine è quella di succhiare il sangue di capre o altri animali, popola alcune delle leggende che si raccontano in Messico nel Día de Los Muertos (Giorno dei Morti). Sono immagini semplici, ironiche o perturbanti che toccano l’immaginazione e fanno riflettere. Dipinte su materiali poveri e facilmente reperibili come la latta di teglie, bidoni e taniche, questi e altri personaggi diventano protagonisti di retablos (ex-voto) contemporanei. Sono circa trecento quelli provenienti da una collezione privata ed esposti in un percorso tra storia, tradizione, superstizione e leggenda
CON QUESTO UMILE RETABLITO rendo infinite grazie alla buona Vergine di Juquilita per proteggermi ogni 2 di novembre, dato che quella notte la mia cantina si riempie delle anime dei defunti del paese che vengono belli contenti a celebrare il loro giorno con tanta musica e mezcal.
curato da Roberta Riccio della Fondazione Per Grazie Ricevute. I retablos ritornano anche in alcuni dipinti di Frida Kahlo; simboleggiano grazie chieste e ricevute ma,
come spiega Riccio, ciò che li rende inestimabili è che attingono spesso al dolore e alla paura, alle speranze e alla fede di tante donne e uomini nel corso della storia.
BUENA SUERTE MILAGROS DE MÉXICO Folklore e tradizione negli exvoto messicani contemporanei Casa del Manzoni, Milano Fino al 29 marzo 2019
ARTE MODERNA
La forma dell’acqua COURTESY BILL GATES / ©BGC3
A
LEONARDO DA VINCI
Studies on the reflection of the Sun’s rays from the Earth to the Moon. Codex Leicester.
partire dalla dimostrazione delle forze che determinano la forma in una goccia di rugiada, nel Codice Leicester Leonardo cerca di comprendere la natura dell’acqua e come sfruttarne l’energia o controllarne i potenziali effetti rovinosi. Il Codice contiene inoltre riflessioni innovative sulla costituzione della luna e sulla natura della sua
luminosità, nonché sulla storia della terra e delle sue trasformazioni. Passato nelle mani dell’allievo Francesco Melzi e poi del filosofo e alchimista Giovanni della Porta, dal 1717 il manoscritto fu di proprietà dei Coke, conti di Leicester. Nel 1980 venne acquistato dal collezionista statunitense A. Hammer e nel 1994 Bill Gates lo comprò per oltre 30 milioni di dol-
lari. In occasione delle celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Leonardo, Gates lo ha concesso in prestito agli Uffizi, dove un codescope permette di scorrerne le pagine su schermi digitali. L’ACQUA MICROSCOPIO DELLA NATURA Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci. A cura di Paolo Galluzzi. Gallerie degli Uffizi, Firenze. Fino al 20 gennaio 2019
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero I ROMANI, TURISTI DELL’ANTICHITÀ
BRIDGEMAN / ACI
QUANDO si recavano in Grecia o in Egitto per motivi commerciali, familiari, religiosi o militari che fossero, gli antichi romani non perdevano occasione di visitare i monumenti più celebri. I più facoltosi di questi turisti dell’antichità possedevano anche delle ville marittime, specialmente in Campania, centro turistico privilegiato. Qui trascorrevano i mesi estivi con gli amici.
IL DUOMO DI FIRENZE GIOIELLO DEL RINASCIMENTO SIMBOLO del potere di Firenze, la
cattedrale di Santa Maria del Fiore stupì il mondo con la sua gigantesca cupola. La costruzione della chiesa prese avvio nel 1296 e durò ben 175 anni. Fu solo nel 1420 che il già prestigioso maestro orafo fiorentino Filippo Brunelleschi vinse il concorso per la realizzazione della cupola che gli avrebbe dato la fama. SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12
Nella tomba di Tutankhamon Dopo aver scoperto la tomba intatta del faraone nel 1922, Howard Carter dedicò i dieci anni successivi ad analizzarne e classificarne meticolosamente il corredo.
Jules Verne, scrittore visionario Nei suoi popolarissimi romanzi di avventure, Jules Verne raccontò i due grandi sogni del XIX secolo: l’esplorazione del mondo e il progresso tecnologico.
Salomone e la regina di Saba Successore di David al trono d’Israele, Salomone ricevette la visita della regina di Saba. È la Bibbia a raccontarci quest’incontro tra storia e leggenda.
La Battaglia di Hastings Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia invase l’Inghilterra, rovesciò la dinastia sassone che governava il Paese e stabilì una solida monarchia.
LA VERA STORIA DELLE ORIGINI DI ROMA Uno sguardo dai ponti di Giulio Caporali