Storica National Geographic - febbraio 2019

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IL REGNO PERDUTO DEGLI INCA

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PAIDEIA

L’EDUCAZIONE NELL’ANTICA GRECIA

- esce il 18/01/2019 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 11,50 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

LE LEGIONI DANUBIANE

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LA ROMA DEL PRIMO GIUBILEO

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UNA CITTÀ DELL’ANTICA SIRIA IN 3D

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I GUARDIANI DELL’IMPERO

periodicità mensile

VILCABAMBA

N. 120 • FEBBRAIO 2019 • 4,95 E

storicang.it

CLEOPATRA

UNA VITA IN LOTTA PER IL POTERE

GERASA



EDITORIALE

alle 10 di mattina del 24 giugno 1572, circa 250 spagnoli accompagnati da quasi 2.500 alleati indigeni entrarono a Vilcabamba. La città era ormai ridotta a un cumulo di macerie fumanti: i suoi stessi abitanti l’avevano incendiata prima di darsi alla fuga. Gli spagnoli facevano arrogantemente il loro ingresso nella capitale di un regno sperduto tra le asperità delle Ande, dove gli eredi degli inca che un tempo avevano governato su un enorme impero resistevano agli invasori ormai da quarant’anni. Ma Martin Hurtado de Arbieto, il capo delle forze di occupazione, non aveva ancora concluso la sua missione. Aveva promesso la mano di una principessa inca prigioniera a chi gli avesse consegnato Tupac Amaru, l’ultimo sovrano della città ribelle. Iniziò così un implacabile inseguimento, che portò alla cattura, uno dopo l’altro, dei fratelli e dei figli del fuggitivo, e alla confisca dei tesori che questi avevano lasciato nella ritirata. Dopo sette giorni di marcia incessante anche Tupac Amaru cadde in mano nemica, tradito da uno dei suoi mentre cercava di far perdere le proprie tracce nelle profondità della selva amazzonica. Il re inca fu giustiziato tre mesi più tardi e gli occupanti installarono una guarnigione militare a Vilcabamba per prevenire nuove rivolte. Ma l’accesso alla città era così impervio che gli spagnoli decisero di abbandonarla e se ne persero le tracce. Trecento anni dopo iniziò la ricerca di quella capitale dimenticata, inghiottita dalla giungla, il sogno che avrebbe portato lo statunitense Hiram Bingham a Machu Picchu. È stata finalmente trovata? Forse. Solo il paziente lavoro degli archeologi potrà rivelarlo negli anni a venire. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale


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8 PERSONAGGI STRAORDINARI

Artemisia Gentileschi, “pittora” tra gli uomini La più famosa tra le pittrici del seicento fu vittima di uno stupro, denunciò l’aggressore e impose nelle principali corti europee le sue doti di artista, attività allora appannaggio degli uomini.

16 VITA QUOTIDIANA

La scuola degli scribi: l’istruzione nell’Antico Egitto

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Secondo la mentalità egizia, studiando si poteva ambire ad arrivare fino ai piedi del faraone.

122 GRANDI SCOPERTE

Timgad, la grande città romana del nord Africa Nel 1765 James Bruce scoprì nel deserto algerino le rovine di Timgad, una delle città romane più importanti della regione.

128 MOSTRE 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


86 COSÌ ERA LA ROMA DEL PRIMO GIUBILEO CONVOCATI da papa

Bonifacio VIII per il giubileo, nel 1300 migliaia di pellegrini giunsero a Roma. La moltitudine che invase la capitale della cristianità ne approfittò per chiedere perdono per i propri peccati e pregare davanti alle preziose reliquie conservate nelle sue numerose chiese. Per raggiungerle, bastava seguire le precorritrici delle odierne guide turistiche. DI GIORGIO PIRAZZINI

LA ROMA MEDIEVALE. AFFRESCO. PALAZZO DUCALE DI MANTOVA. LE MURA CIRCONDANO LE ROVINE DEI MONUMENTI E LE CHIESE CHE FECERO DELLA CITTÀ IL CENTRO DEL CRISTIANESIMO.

20 Cleopatra, una vita in lotta per il potere Alla fine del Periodo tolemaico le sorelle Cleopatra e Arsinoe si contesero il trono egizio. Grazie all’appoggio di Roma alla fine prevalse la prima, che fece assassinare la rivale nel tempio di Efeso. DI VANESSA PUYADAS RUPÉREZ

34 Gerasa, la Siria romana in 3D Fondata nell’odierna Giordania dai successori di Alessandro Magno, Gerasa fu un centro di confluenza della cultura semitica e di quella ellenistica. Dopo la conquista romana divenne una delle principali città della Decapoli. DI EVA TOBALINA ORÁA

70 Le legioni danubiane Sulle rive del Danubio si estendeva una lunga catena di basi legionarie, fortificazioni e torri: formava una potente cinta militare che proteggeva l’impero romano dagli attacchi del mondo germanico. DI BORJA PELEGERO

102 Vilcabamba, il regno perduto degli inca La conquista di Cuzco da parte degli spagnoli non portò alla fine della resistenza inca, che rimase viva per ben quarant’anni nel cuore delle Ande. A partire dal XIX secolo diversi espoloratori sono partiti alla ricerca dell’ultima capitale inca. DI CARMEN MARTÍN RUBIO

54 ‘Paideia’, l’educazione nell’antica Grecia Nell’Ellade dell’Età classica i giovani venivano formati per diventare cittadini e soldati al servizio dello stato. L’obiettivo della paideia era l’eccellenza, soprattutto nel fisico e nello spirito. Oggi si ritiene che l’educazione fosse aperta anche alle donne. DI RAQUEL LÓPEZ MELERO

BAMBOLA IN TERRACOTTA DEL V SEC. A.C. MUSEO BENAKI, ATENE.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

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CLEOPATRA

UNA VITA IN LOTTA PER IL POTERE

GERASA

Pubblicazione periodica mensile - Anno XI - n. 120

LA ROMA DEL PRIMO GIUBILEO PAIDEIA

L’EDUCAZIONE NELL’ANTICA GRECIA

LE LEGIONI DANUBIANE I GUARDIANI DELL’IMPERO

VILCABAMBA IL REGNO PERDUTO DEGLI INCA

VISTA DI MACHU PICCHU, FONDATA NEL 1450 CIRCA DALL’INCA PACHACUTI NELLE ANDE PERUVIANE. FOTO: ALPINEGUIDE / ALAMY / ACI

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Errata corrige

• Storica 117 (novembre 2018): Pagina 70: Il romanzo Notre-Dame de Paris è del 1831, non del 1931 come indicato.

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PERSONAGGI STRAORDINARI

Artemisia Gentileschi, “pittora” tra gli uomini La più famosa tra le pittrici del seicento fu vittima di uno stupro, denunciò l’aggressore e impose nelle principali corti europee le sue doti di artista, attività allora appannaggio degli uomini

Una vita dedicata all’arte 1593 Artemisia Gentileschi nasce a Roma, figlia di Orazio e di Prudenzia Montone. Fin dall’infanzia mostra attitudini artistiche.

1611 Subisce violenza da parte del suo maestro di prospettiva. L’anno dopo il padre denuncia l’uomo per lo stupro della figlia.

1616 Dopo il trasferimento a Firenze, è la prima donna ad essere ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno fondata da Vasari.

1637 Viene invitata presso la corte inglese dove lavora insieme a Orazio Gentileschi, che muore due anni dopo.

1652-1653 Muore a Napoli in ristrettezze. La data indicativa della morte è nota grazie a due epitaffi ironici.

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itroverà l’animo di Cesare nell’anima di una donna!», assicurava a uno dei suoi committenti in una lettera del 1649 Artemisia Gentileschi. Prima di quattro fratelli, era nata a Roma l’8 luglio 1593 da Orazio Gentileschi e da Prudenzia Montone. Il padre era un pittore di origine pisana che si era trasferito a Roma circa venti anni prima. Della madre, invece, non sappiamo nulla se non che morì nel 1605 all’età di trent’anni. Da quel momento Artemisia dovette occuparsi della casa e dei fratelli minori perché il padre non si risposò più. Nella bottega paterna, che era annessa alla casa famigliare, Artemisia scoprì fin dall’infanzia la sua vocazione per l’arte. In un primo momento Orazio aveva insistito affinché la figlia prendesse i voti, ma alla fine aveva accettato il sogno di Artemisia di diventare una “pittora”, come lei stessa si definiva. A quel tempo, però, per una donna era impensabile seguire un percorso di formazione presso la bottega di qualche maestro, senza contare che il genitore consentiva alla figlia di uscire al massimo per andare in chiesa. La sua formazione pertanto avvenne nello studio paterno. Artemisia, infatti, trascorreva quasi tutto il tempo in casa, dove le era consentito esercitarsi nel dipingere, spesso sotto lo sguardo della dirimpettaia Tuzia, che aveva il compito di sorvegliarla quando il padre o i fratelli non c’erano. Per fortuna, la casa era frequentata assiduamente da altri pittori, amici e colleghi del padre. Tra

questi vi era Pietro Rinaldi, che le fece da padrino al battesimo. All’inizio del 1611 Orazio fu incaricato di affrescare una loggetta del palazzo del cardinale Scipione Borghese a Monte Cavallo. Il mecenate gli affiancò il trentenne Agostino Tassi detto“lo Smargiasso”, che dopo alcuni soggiorni in Liguria e in Toscana, dove forse era stato anche in galera, si era da poco trasferito a Roma. Tra i due nacque subito un’amicizia, per cui Orazio, che era quasi sempre fuori casa e non poteva più seguire lo studio della figlia, chiese al collega di tenere delle lezioni di prospettiva ad Artemisia, ormai diciottenne. Agostino iniziò dunque a frequentare i Gentileschi finendo per infatuarsi della ragazza.

La violenza di Agostino Tassi Un giorno, l’uomo allontanò Tuzia da casa e, come gli stessi atti del processo confermano, violentò Artemisia. Successivamente, per quietarla, le prospettò il matrimonio riparatore. Per quasi un anno la ragazza aspettò le nozze acconsentendo ad avere rapporti con lui. Arrivati però a marzo del 1612, improvvisamente Orazio denunciò Tassi alle autorità. Probabilmente i Gentileschi avevano compreso che il matrimonio non sarebbe mai avvenuto, o forse avevano scoperto che Tassi in passato era stato arrestato più volte per vari crimini (era stato addirittura accusato di aver ucciso la prima moglie e di aver avuto una relazione con la cognata). Iniziò quindi il processo. All’epoca la violenza sessuale non era considerata un reato contro la donna,


SIMBOLO FEMMINISTA LA FIGURA di Artemisia è lega-

BRIDGEMAN / ACI

ta ad Anna Banti, pseudonimo della studiosa Lucia Lopresti, che nel 1947 scrisse il romanzo Artemisia, incentrato principalmente sulla vicenda della violenza sessuale. Secondo l’autrice, «Artemisia fu una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e una parità di spirito tra i due sessi». Da quel momento la sua fama come icona femminista crebbe notevolmente. A Berlino nel 1989 fu aperto l’Artemisia Hotel, riservato a una clientela femminile. Anche un cratere sul pianeta Venere porta il suo nome.

ma contro l’onore familiare (l’ordinamento rimase tale fino al 1996). Inoltre per avere giustizia la vittima era tenuta a dimostrare di aver sempre avuto una condotta casta e integerrima. Per tutta la durata del processo Artemisia ribadì sia la violenza sia l’inganno della promessa nuziale, mentre Agostino l’accusò di essere una donna di malaffare e assicurò di non aver mai avuto rapporti con lei. Ad aggravare le cose ci si misero anche altri testimoni, che affermarono che la pittrice si intratteneva con altri uomini ed era «fin troppo libera». Ad esempio, ci fu chi affermò che era so-

lita affacciarsi alle finestre di casa, cosa non consona a una donna “perbene”. Artemisia, che già veniva guardata con diffidenza perché si occupava di pittura, da quel momento venne considerata una donna licenziosa e piena di amanti. Come se non bastasse, per verificare che la sua deposizione fosse attendibile, fu costretta a sottoporsi a visite ginecologiche da parte di due levatrici, nonché, come era previsto, alla tortura dei cosiddetti “sibilli”. Questa tecnica consisteva nel porre delle cordicelle tra le dita delle mani congiunte e nell’azionare successivamente un bastone

AUTORITRATTO COME ALLEGORIA DELLA PITTURA. 1638-39. ROYAL COLLECTION TRUST, LONDRA.

che, girando, stringeva le falangi fino a stritolarle. Ovviamente si trattava di una pratica non solo dolorosa, ma pericolosissima soprattutto per un artista, dato che si rischiava di compromettere la funzionalità delle dita. Mentre veniva torturata, si rivolse allo Smargiasso gridando: «Questo è l’anello che tu mi dai, e queste sono le promesse!». Il processo terminò nel mese di settembre: Tassi venne ritenuto colpevole. La sentenza prevedeva cinque anni di lavori forzati o l’esilio. Tassi scelse quest’ultimo, anche se, forse grazie ad amicizie influenti, riuscì a rientrare a STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’eroina biblica Giuditta: simbolo di vendetta? Secondo alcuni studiosi, la pittrice avrebbe in seguito tentato di superare il dramma della violenza grazie all’arte, rappresentando spesso donne forti che si oppongono agli uomini. Per esempio, l’opera Giuditta che decapita Oloferne, (tema che rappresentò più volte) è stata letta come il tentativo di trasfigurare e vendicare lo stupro rappresentando l’eroina (con cui Artemisia si sarebbe identificata) mentre uccide il brutale condottiero assiro. Tuttavia, considerare la sua arte solo come una “terapia”

significherebbe limitarne il grande estro creativo. Inoltre, il tema della Giuditta era molto diffuso nell’arte fin dal quattrocento e la stessa Artemisia lo aveva rappresentato anche prima della violenza subita. Nel dipinto l’artista inserì anche il dettaglio del sangue che schizza dal collo di Oloferne fino a macchiare il petto di Giuditta, rappresentata con un atteggiamento molto determinato. Il quadro risente molto dell’influenza di Caravaggio, tanto che è stato detto che con quest’opera il caravaggismo fa il suo ingresso a Firenze.

GIUDITTA E OLOFERNE. 1620 CIRCA. IL DIPINTO È UNA REPLICA DI UN’OPERA PRECEDENTE CONSERVATA AL MUSEO DI CAPODIMONTE (NAPOLI). GALLERIE DEGLI UFFIZI, FIRENZE.

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PERSONAGGI STRAORDINARI

UNA SUSANNA OPPRESSA

BRIDGEMAN / ACI

REALIZZATO NEL 1610, il dipinto è stato per lungo tempo attribuito al padre, perché sembrava impensabile che un’opera di tale livello fosse stata realizzata dalla pittrice, allora appena diciassettenne. Il soggetto è tratto dalla Bibbia, precisamente dal Libro di Daniele, dove si racconta della casta Susanna insidiata da due uomini che la minacciano nel tentativo di approfittarsi di lei. Secondo una dubbia interpretazione dell’opera, la tela sarebbe stata realizzata dopo il 1610 e con una connotazione autobiografica: Susanna rappresenterebbe la stessa pittrice oppressa dal padre (l’uomo più anziano) e da Agostino. SUSANNA E I VECCHIONI. CASTELLO WEISSENSTEIN, POMMERSFELDEN.

Roma dopo qualche tempo, riallacciando addirittura i rapporti con Orazio. Il 29 novembre 1612, circa un mese dopo la fine del processo, Artemisia sposò il fiorentino Pierantonio Stiattesi, un pittore mediocre con cui ebbe quattro figli. Furono nozze volute dal padre e celebrate per mettere a tacere lo scandalo. Artemisia ne approfittò per lasciare Roma e affrontare in modo indipendente il resto della vita.

BRIDGEMAN / ACI

Una nuova vita La coppia si trasferì a Firenze preceduta da una lettera di Orazio indirizzata alla granduchessa di Toscana Cristina Lorena nel tentativo di introdurre la figlia presso la corte medicea. Orazio non esitò a elogiare Artemisia: «Mi ritrovo una figlia femmina con altri tre maschi e questa femmina, avendola drizzata nella professione di pittura, in tre anni si è talmente appraticata che posso dire che oggi non ci sia pari a lei». Più che la

lettera del padre, però, è probabile che le fosse d’aiuto l’influenza dello zio, fratellastro del padre, Aurelio Lomi, pittore molto apprezzato alla corte di Firenze. A ogni modo, in poco tempo Artemisia riuscì a entrare nella cerchia del granduca Cosimo II. Questi anni furono fondamentali per il suo futuro: imparò a scrivere (fino ad allora sapeva solo leggere) e iniziò a frequentare nobili e intellettuali come Galileo Galilei, con cui intrattenne una corrispondenza epistolare, e Michelangelo il Giovane, bisnipote del Buonarroti, che il 24 agosto 1615 le commissionò l’Allegoria dell’inclinazione per la volta della casa di famiglia. Artemisia dipinse un nudo di donna così realistico (secondo alcuni si tratterebbe di un autoritratto) che più tardi l’uomo fu costretto a farlo coprire con dei panneggi. Nel giro di pochissimo tempo la sua fama crebbe a dismisura, tanto che in una lettera del segretario di Cosimo II

viene definita «un’artista ormai molto conosciuta a Firenze». Il 19 luglio 1616 fu la prima donna a essere ammessa nell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze fondata da Giorgio Vasari nel 1563. Vi rimase iscritta fino al 1620, quando chiese al granduca il permesso di trascorrere del tempo a Roma per sistemare alcune questioni familiari. Il marito Pierantonio guardava di buon occhio l’ascesa di Artemisia che, in pratica, provvedeva al sostentamento della famiglia nonché a saldare i numerosi debiti da lui contratti. Il vero amore di Artemisia però non fu di certo il marito, bensì il nobile fiorentino Francesco Maria Maringhi. La forte passione tra i due è testimoniata da un ricco carteggio rinvenuto qualche anno fa. In esso, curiosamente compaiono anche diverse lettere dello Stiattesi a Maringhi in cui lo informa di vari fatti di vita quotidiana al posto della moglie, dimostrando di accettare la relazione STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

GIAELE E SIERA

SCALA, FIRENZE

Anche in questo caso si tratta di un tema biblico e ritrae il momento in cui Giaele sta per uccidere con un picchetto da tenda il generale cananeo sconfitto dal popolo d’Israele. 1620. Szépmú´vészeti Múzeum, Budapest.

tra i due. Non si sa per quale ragione il marito non solo non seguì Artemisia quando questa rientrò a Roma, ma a un certo punto addirittura scomparve dalla sua vita. Il rapporto con Maringhi, invece, seppur tra alti e bassi (pare che nel frattempo ebbe anche relazione con il musicista inglese Nicholas Lanier), l’accompagnò per molti anni. A Roma le

chiacchiere sul suo conto sembravano apparentemente dimenticate. I salotti si contendevano la sua presenza e fu anche invitata a far parte dell’Accademia dei Desiosi, prestigiosa istituzione che raccoglieva i più importati intellettuali romani. Qualche tempo dopo Orazio si trasferì in Inghilterra, mentre la figlia intraprese un viaggio nel nord Italia.

ARTISTA OMAGGIATA ALL’APICE della sua carriera, Artemisia fu omag-

giata da artisti e intellettuali. Per esempio, il pittore Pierre Dumonstier nel 1625 realizzò un disegno della sua mano nell’atto di dipingere, mentre poeti le dedicavano versi, come Antonino Collurafi, che le riservò un madrigale in cui paragona la sua arte alle meraviglie di Roma. LA MANO DESTRA DI ARTEMISIA CHE IMPUGNA UN PENNELLO. THE TRUSTEES OF THE BRITISH MUSEUM / RMN-GRAND PALAIS

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Poi, intorno al 1630, decise di andare a Napoli, che agli inizi del XVII secolo era una delle città più grandi di Europa, meta di mercanti e pittori in cerca di committenze. Qui ricevette nuovi importanti incarichi, tra cui quelli di Filippo IV di Spagna. Nel 1637 Carlo I di Inghilterra la invitò presso la sua corte. Giuntavi l’anno dopo, si ricongiunse con il padre, che stava lavorando alla decorazione del soffitto della Queen’s House a Greenwich. I due probabilmente ripresero a collaborare fino alla morte dell’uomo, avvenuta nel 1639. Negli anni londinesi Artemisia dipinse una delle sue opere più famose, l’Autoritratto in veste di Pittura. Tornata a Napoli, vi rimase fino alla morte, avvenuta tra il 1652 e il 1653. Dopo aver dato in sposa una delle figlie iniziò a trovarsi in difficoltà economiche e accettò di lavorare per don Antonio Ruffo, un collezionista di Messina che le aveva commissionato alcune opere.


LE ALTRE ARTEMISIA VI FURONO altre donne che intra-

presero la carriera di artista tra il XVI e il XVII secolo. Tra le più note vi è la nobildonna cremonese Sofonisba Anguissola, che lavorò presso la corte spagnola di Filippo II. Anche le sue sorelle si dedicarono all’arte. La pittrice è citata nelle Vite di Vasari insieme ad altre due donne: Properzia de’ Rossi e Plautilla Nelli. Una famosa ritrattista fu poi la bolognese Lavinia Fontana. Si racconta che quando il marito la chiese in sposa, ella pose come condizione il diritto di continuare a dipingere. In Olanda invece fu molto attiva la pittrice Judith Leyster, che a 24 anni era già membro della corporazione dei pittori della sua città, Haarlem.

I problemi economici, però, non diminuirono e a volte fu anche costretta a svendere le sue opere. Trascorse gli ultimi anni senza tentare nuove sperimentazioni artistiche e assillata dalla necessità di fronte alle spese. Artemisia non si liberò mai del tutto della fama di donna licenziosa. L’opinione pubblica non le aveva mai perdonato il suo essere libera ed emancipata. Alla sua morte, per esempio, due contemporanei – Giovan Francesco Loredano e Pietro Michele – le dedicarono epitaffi oltraggiosi. Uno di questi

SCALA, FIRENZE

SOFONISBA ANGUISSOLA. AUTORITRATTO, 1556. MUZEUM ZAMEK, LANCUT.

recitava: «Col dipinger la faccia a questo, e a quello / nel mondo m’acquistai merto infinito / nell’intagliar le corna a mio marito / lasciai il pennello e presi lo scalpello». Dopo la sua morte, la sua figura venne rapidamente dimenticata. Il Baglione, per esempio, in Le vite de’ pittori, scultori et architetti (1642) ne fece solo un breve cenno in calce alla biografia del padre, mentre altri biografi successivi neppure la nominarono. La riscoperta della sua figura sarebbe arrivata solo nel 1916, grazie allo storico dell’arte Roberto Longhi, che inquadrò

il suo personaggio nell’ambito del caravaggismo. Successivamente, però, le sue vicende private hanno spesso rischiato di prevalere sulla conoscenza dell’attività di pittrice, la cui qualità può essere paragonata a quella di Caravaggio. —Alessandra Pagano Per saperne di più SAGGI

Artemisia Gentileschi Tiziana Agnati. Giunti, Firenze, 2016. ROMANZI

Artemisia Alexandra Lapierre. Mondadori, Milano, 2000.

RBA, editore di questa rivista, propone la nuova collana grandi donne: Da Maria Montessori a Indira Gandhi, da Frida Khalo a Rita Levi Montalcini, da Simone de Beauvoir a Audrey Hepburn, le storie delle donne che hanno segnato con la loro vita quella di tutti noi. In edicola dal 18 gennaio al prezzo lancio di 2,99 ¤.

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La Persia dei poeti  � � / Statua di Ferdowsi nella mosche Blu a Tabriz

Ci accompagnerà nel viaggio letterario Anna Vanzan, iranista che ha al suo attivo numerose traduzioni in lingua italiana di opere letterarie persiane. Le conversazioni con la studiosa avverranno in luoghi suggestivi, perennemente legati alla storia letteraria e culturale dell’Iran, che meglio ci faranno capire l’essenza e la peculiarità del popolo persiano. Arricchite da letture di alcuni testi letterari, queste conversazioni ci permetteranno di cogliere la continuità storica e culturale dell’Iran, aprendoci al contempo squarci sulla situazione contemporanea tanto culturale quanto sociale.

Fra le tanti arti coltivate sull’altopiano iranico, la letteratura è senza dubbio quella principale. Nel corso dei secoli, gli iraniani hanno forgiato una letteratura che si è imposta anche nelle aree circostanti diventando il modello da seguire; la poesia, soprattutto, è diventata l’emblema stesso della cultura e della nazione iraniane. Ora in Iran si produce moltissima letteratura di finzione, le cui autrici sono soprattutto donne, in un dinamico rapporto di continuitĂ e rottura col passato che rende la civiltĂ persiana sempre innovativa e vibrante, e che rappresenta la chiave di lettura per capire la complessa identitĂ dell’Iran.


Gorgan

3 Marzo Milano/Tehran

Ritrovo dei partecipanti a Malpensa dove un nostro rappresentante assisterĂ il gruppo nelle operazioni di imbarco. Partenza con volo di linea diretto Mahan Air per Tehran. Incontro con la guida del tour e trasferimento in hotel.

4 Marzo Tehran/Shiraz

TEHRAN

Kermanshah

KASHAN

Visita di Tehran con uno sguardo anche alla sua contemporaneitĂ : il piccolo ma suggestivo Museo Reza Abbasi, l’immancabile Museo dei Gioielli, e infine il ponte Tabiat, con i suoi 3 livelli attrezzati con panchine e caffè, dove si svolgerĂ il primo intervento della professoressa Vanzan. Volo per Shiraz.

5 Marzo Shiraz

Dopo la visita delle rovine di Persepolis, edificata da Dario il Grande nel 520 a.c, si dedica il pomeriggio a Shiraz, la culla della cultura persiana. Pausa letteraria davanti alle tombe dei poeti Hafez e Saadi e proseguimento delle visite con la Moschea Nasir Al Molk, l’ Eram Garden, il castello Karim Khan e il Bazar Vakil.

6 Marzo Shiraz-Pasargade-Isfahan km 520

Partenza per il sito archeologico di Pasargade, la prima capitale dell'impero achemenide sotto Ciro il Grande, arrivo a Isfahan nel tardo pomeriggio. Isfahan, una gemma incastonata nel mezzo della Persia, è una delle città piÚ belle del mondo, citata nelle opere dei piÚ famosi viaggiatori. La professoressa Vanzan spiegherà come questa città abbia ispirato poeti e letterati non solo iraniani ma anche indiani, turchi e centrasiatici.

7 Marzo Isfahan

Intera giornata dedicata alle visite: La Piazza dell'Imam e le sue Moschee, il palazzo Reale Ali Qapu, l'antico e suggestivo Bazaar, gli storici ponti Pol-e Shahrestan, Pol-e KhÄ ju e Si-o-se Pol.

8 Marzo Isfahan

Visita del Palazzo Chehel Sotun "Palazzo delle 40 colonne". Sosta ai Minareti oscillanti e alla Moschea del VenerdĂŹ. Infine il quartiere armeno e la cattedrale di Vank.

9 Marzo Isfahan/Kashan/Tehran Km 420

Sosta a Kashan per la visita del Fin's Garden e della casa Tabatatatei. Arrivo in serata a Tehran.

10 MARZO Tehran /Italia

Trasferimento all’aeroporto e volo per l’Italia.

Centro Storico di Antalya

ESFAHAN

Ahvaz

IRAQ

Pasargad SHIRAZ

KUWAIT

Persepolis

COSA INCLUDE?

•Volo da Milano e tasse aeroportuali •Volo domestico Teheran Shiraz •Lettera di autorizzazione per il ritiro del Visto in aeroporto •Esperta guida locale parlante italiano •Pernottamenti in hotel 4 * •Pensione completa •Ingressi per le visite •Assicurazione medico bagaglio •Partecipazione ed interventi letterari della prof.ssa Anna Vanzan

COSA NON INCLUDE?

•Supplemento singola euro 250 •Assicurazione facoltativa annullamento •Voli da altri aeroporti, supplementi su richiesta •Pagamento del Visto in aeroporto •Mance

INFO E PRENOTAZIONI

dal tuo consulente viaggi di fiducia o su

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IL RILIEVO mostra

V I TA Q U OT I D I A N A

quattro scribi che scrivono su tavolette. Hanno un calamo nella mano destra che usano per scrivere sulle palette che tengono nella sinistra. XVII dinastia, Nuovo regno. Museo archeologico nazionale, Firenze.

La scuola degli scribi: l’istruzione nell’antico Egitto «Sii un artista della parola, sicché tu sia potente. La lingua è la spada dell’uomo», insegnamento per Merikara, X dinastia

A

ma gli scritti più di tua madre» recita un vecchio adagio dell’età dei faraoni. In una società così capillarmente burocratizzata come l’antico Egitto, con funzionari in ogni dove che controllavano l’operato dei sottoposti, l’alfabetizzazione doveva essere certamente molto diffusa. Il faraone in primis sapeva leggere e scrivere e questo, nel mondo antico, non era scontato. Allora come oggi i genitori cercavano di invogliare i figli ad andare a scuola facendogli capire che, studiando, avrebbero potuto ambire alle professioni migliori. In un testo letterario chiamato La satira dei mestieri si legge di un padre che, accompagnando il figlio a scuola, passa in rassegna una serie di professioni. Di tutte

trova sempre il lato tragicomico, e alla fine l’unica che elogia è quella dello scriba concludendo che non esiste al mondo professione migliore. Secondo la mentalità egizia, studiando si poteva ambire ad arrivare fino ai piedi del faraone. Certo, per farlo ci volevano i mezzi e non tutti li possedevano ma, almeno in linea teorica, ciò era possibile. Le classi sociali egizie infatti non si fondavano sulla condizione di nascita, ma sul lavoro e sulla carriera intrapresi.

La scuola e la carriera

UN DONO DIVINO

BRIDGEMAN / ACI

SPL / AGE FOTOSTOCK

Le scuole si trovavano nelle vicinanze del palazzo del re e presso i templi nelle cosiddette“Case della Vita”, istituzioni preposte all’istruzione dei giovani scribi con tanto di grandi biblioteche. Il percorso scolastico iniziava tra i cinque e i sei anni, ne durava una decina e alla fine si otteneva l’ambitissimo era un titolo necessario per poter fare titolo di “scriba”. Pur essendo il gra- carriera in qualsiasi ramo dell’amdino più basso dell’amministrazione, ministrazione statale. L’alternativa alla scuola era l’istruzione a casa con precettori privati, come è testimoniato da una stele della XII dinastia dove è menzionato, accanto ai nomi di tutta la famiglia, anche quello di un “maestro THOT, dio patrono degli scribi, donò la scrittura agli uodi scrittura”, forse un tutore privato. mini. Gli antichi egizi, infatti, definivano i geroglifici medu Nella maggioranza dei casi è probaneter ovvero “parole del dio”. Rappresentato sotto forbile che le ragazze adottassero questo ma di uccello ibis oppure di babbuino, il dio Thot aveva tipo di istruzione, anche se siamo a una controparte femminile: la dea Seshat, ”signora degli conoscenza di parecchie nobildonne scritti”, che indossava un copricapo a forma di stella. e principesse che frequentarono la UNA DELLE RAPPRESENTAZIONI DEL DIO THOT. MUSÉE DU LOUVRE. scuola presso il tempio o il palazzo del re. Conosciamo pure il nome di molte


donne scriba, come la principessa Idut dell’Antico regno, la quale si fece rappresentare nella sua tomba di Saqqara su una barca di papiro provvista di tutto il materiale del mestiere: paletta per l’inchiostro nero e rosso e sottili giunchi per scrivere. Frequentare la scuola del palazzo reale voleva dire entrare in contatto con l’élite del Paese e con i figli del faraone e questo dava la possibilità di fare carriera. Questa scuola era frequentata anche dai figli di sovrani stranieri vassalli dell’Egitto che, prelevati forzatamente dai loro Paesi d’origine, venivano istruiti e indottrinati in tali

Una lingua, tante scritture CON I SUOI OLTRE quattro

millenni di storia, l’egizio è una delle lingue storiche più antiche oggi conosciute. Nel corso del tempo si è evoluto usando di volta in volta il tipo di scrittura più adatto ai diversi ambiti e necessità della vita. GEROGLIFICO. La caratteristica principale è che è figurativo, rappresenta quindi esseri o oggetti ben riconoscibili. IERATICO. Il “corsivo” del geroglifico. A ogni segno geroglifico ne corrisponde uno in ieratico e la grammatica è la stessa. DEMOTICO. Scrittura entrata in uso nel VII a.C., è una

forma ancora più corsiva dello ieratico e ha perso completamente il carattere figurativo. COPTO. La scrittura dei cristiani in Egitto. Utilizza le lettere dell’alfabeto greco integrate da alcuni segni demotici. A differenza delle fasi precedenti delle scritture egizie, include anche le vocali.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

STRUMENTI PER SCRIVERE di fiume, che potevano avere la punta morbida e sfilacciata oppure dura e appuntita, venivano intrise nel colore: il rosso (ocra rossa) utilizzato per le parti importanti del testo e il nero (ricavato dal carbone di legna) per il resto. Il geroglifico che indica lo scriba, “sesh”, rappresenta una paletta di legno rettangolare con due cavità per i colori e, legato a questa, un porta-pennini e un contenitore per i pigmenti. I colori, mischiati a gomme vegetali, assumevano una forma solida e per poterli utilizzare si bagnava il pennino nell’acqua per poi passarlo sul colore, come si fa con gli acquerelli. PALETTA IN LEGNO USATA DAGLI SCRIBI, CON DUE BUCHI. LE PALETTE EGIZIE CON PIÙ BUCHI, INVECE, VENIVANO USATE DAI PITTORI PER I DIVERSI COLORI. LOUVRE.

istituzioni. Si sperava che, una volta riportati in patria, questi giovani principi così “egittizzati” provassero un senso di fedeltà incondizionata verso il faraone.

Esercizi scolastici Gli studenti andavano a scuola tutte le mattine da soli o accompagnati dai genitori e si portavano la merenda da casa, un po’di pane e una brocca di birra (ovviamente a bassa gra-

SCALA, FIRENZE

AGE FOTOSTOCK

SOTTILI CANNE

LIBRO DEI MORTI DI MAIHERPERI DA TEBE, ARTE EGIZIA DEL NUOVO REGNO.

dazione alcolica). Una volta arrivati si sedevano a terra in una stanza o in un cortile colonnato e aspettavano il maestro. «Sii uno scriba» si legge in un papiro «“presente”dirai ogni volta che ti chiamano. Guardati dal dire“uffa!”». Che facessero anche l’appello? Sembrerebbe proprio di sì. I giovani allievi dovevano imparare due grafie: il geroglifico e lo ieratico (geroglifico corsivo), una miriade di segni e di regole da imprimere nella mente. Per prima cosa iniziavano a

Per scrivere i ragazzi non usavano il papiro, troppo caro, ma gli ostraka OSTRAKA SU PIETRA CALCAREA. DISEGNO DI UNA FAVOLA. XIX DINASTIA. BRIDGEMAN / ACI

scrivere parole intere, non segni isolati come si fa ora per imparare i geroglifici. Dopodiché passavano a scrivere frasi compiute sotto dettatura o ricopiandole direttamente da papiri. I testi letterari utilizzati dal maestro erano scelti con cura e venivano riuniti in antologie chiamate dagli studiosi “Miscellanee scolastiche”. Queste raccolte contengono brani di vario genere: esempi di lettere, insegnamenti morali, storie edificanti, inni al faraone e agli dèi. Pezzi selezionati con cura che svolgevano una duplice funzione: oltre a essere un utile esercizio per imparare a scrivere, inculcavano nella mente dei giovani scribi i principi fondamentali su cui si basava la loro società. Nel Nuovo regno, una volta acquisita la padronanza della lingua madre, i giovani venivano introdotti all’alfabeto


Il pozzo delle meraviglie NELLA CITTÀ DI DEIR EL MEDINA, dove nel Nuovo regno abitavano gli artisti che decorarono le tombe della

UWE SKRZYPCZAK / AGE FOTOSTOCK

Valle dei Re e delle Regine, si trova un enorme pozzo, profondo oltre 50 metri e largo più di 35. Scavato nel tentativo, non riuscito, di raggiungere la falda freatica, fu poi colmato con materiali di scarto del villaggio. Tra questi migliaia di ostraka, anche scolastici, importantissimi per gli studiosi.

cuneiforme dell’accadico, lingua franca per la diplomazia di allora. Anche la geografia, la cartografia, le mappe catastali, la matematica e la geometria erano considerate fondamentali per la formazione dei futuri funzionari. Per scrivere i ragazzi non usavano il papiro, troppo caro, ma gli ostraka (singolare ostrakon) parola greca che vuol dire “coccio”: sottili frammenti calcarei o pezzi di vasi sulla cui superficie si poteva scrivere. Questi ostraka scolastici, redatti dagli studenti con grafie talora precise, altre volte incerte, sono pieni di correzioni o integrazioni fatte dai maestri. Tali “quaderni” scolastici sono una miniera inesauribile di informazioni sull’antica letteratura egizia che, di solito, era scritta su papiro, supporto ben più fragile. Grazie a questi, gli studiosi sono riusciti a

recuperare testi antichi sconosciuti, a volte unendo insieme come in un puzzle vari ostraka; altre volte se ne sono serviti per integrare lacune in testi letterari già conosciuti. L’egittologo Sergio Donadoni scrisse: «La letteratura egizia è un deserto su cui si ergono rovine»; beh grazie a questi scolari e ai loro “quaderni” il deserto è certamente meno arido.

Una dura disciplina Nella scuola degli scribi la disciplina era rigida poiché doveva preparare gli alunni all’austerità del servizio nell’amministrazione statale. Le qualità richieste erano carattere, ambizione e sottomissione al superiore. L’educazione dello scolaro veniva paragonata all’ammaestramento delle scimmie, dei cavalli, dei tori e dei cani

che, alla fine, volenti o nolenti, si piegano al giogo. Ma la gioventù è ribelle per natura e i maestri erano più volte costretti a rimproverare duramente gli studenti: «Mi è stato detto che hai abbandonato la scrittura e che vai a spasso tra i piaceri, che hai voltato la schiena ai geroglifici! Non concedere il tuo cuore ai piaceri, altrimenti sarai un fallimento». Sembra di sentire le ramanzine di oggi: il tempo è passato ma a quanto pare i rimproveri non sono cambiati poi tanto. —Barbara Faenza Per saperne di più

SAGGI

L’uomo egiziano (A cura di) Sergio Donadoni. Laterza, Roma-Bari, 2003. Scuola e cultura nell’Egitto del Nuovo Regno (A cura di) Sergio Pernigotti. Paideia, Brescia, 2005.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CLEOPATRA UNA VITA IN LOTTA PER IL POTERE Alla fine del Periodo tolemaico le sorelle Cleopatra e Arsinoe si contesero il trono egizio. Grazie all’appoggio di Roma prevalse la prima, che fece assassinare la rivale nel tempio di Efeso


LA REGINA CLEOPATRA

Cleopatra VII riuscì a conquistare il trono d’Egitto eliminando i suoi fratelli e rivali. In questa pagina, studio preparatorio per l’olio Cleopatra prova il veleno sui condannati a morte. Alexandre Cabanel. 1887. Musée royal des Beaux-Arts, Anversa. BRIDGEMAN / ACI


LO SPLENDORE DI ALESSANDRIA

Questo disegno mostra la strada principale della cittĂ , la cosiddetta via Canopica, che attraversava Alessandria da est a ovest. La grande arteria di 30 metri di larghezza, su cui si affacciavano i principali edifici cittadini, era lunga sei chilometri.

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leopatra è universalmente conosciuta come “la regina d’Egitto”. Ma ottenere e conservare quel titolo si rivelò un’impresa complessa, che la costrinse a spargere il sangue dei suoi familiari. La vita di Cleopatra fu una lotta costante e spietata per il potere, e sua sorella Arsinoe fu da sempre la sua peggior nemica. Il faraone Tolomeo XII morì nel 51 a.C. lasciando quattro figli: le due sorelle e due maschi che, secondo le consuetudini della dinastia, furono chiamati come il padre, Tolomeo XIII e XIV. Tutti e quattro i discendenti crebbero insieme nel palazzo reale di Alessandria, dove furono scrupolosamente educati alla cultura greca, senza che tra loro si sviluppasse però alcun legame affettivo. Fin da piccoli si guardavano con reciproco sospetto, vedendo nei fratelli dei rivali nella lotta per il potere e perfino dei potenziali assassini. I quasi trecento anni di storia della dinastia tolemaica gli avevano insegnato che il nemico più pericoloso era quello con cui si condivideva la casa. A confermarlo c’era quanto accaduto a un’altra sorella di Cleopatra, Berenice, giustiziata dal padre nel 51 a.C. per aver tentato di usurpare il trono d’Egitto. Alla corte tolemaica vigeva la legge della giungla e solo il più forte sarebbe riuscito a sopravvivere. Tolomeo aveva designato suoi eredi Cleopatra e il maggiore dei maschi. I due avrebbero dovuto regnare insieme come fratelli e sposi. Quando salirono al trono, Cleopatra VII aveva 18 anni e Tolomeo XIII solo dieci, ragion per

C R O N O LO G I A

CRONACA DI UN ODIO REGALE

cui la reggenza fu affidata al suo tutore, un eunuco di nome Potino, e al generale Achilla, capo dell’esercito. Tra Cleopatra e Tolomeo iniziarono ben presto i dissidi e varie vicissitudini costrinsero la regina ad abbandonare il Paese. Uno dei due troni rimase quindi vacante e Arsinoe pensò di poterlo occupare. Ma l’ambiziosa Cleopatra non si diede per vinta e dall’esilio riuscì a mettere insieme un esercito per provare a riconquistare il potere. Quando ormai l’inizio della guerra sembrava imminente, arrivò in Egitto una figura che avrebbe cambiato per sempre il destino suo e dei suoi fratelli: Giulio Cesare. Era il 48 a.C.

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MONETA DI CLEOPATRA

Rovescio di una moneta coniata durante il regno di Cleopatra VII. La lettera greca pi accanto all’aquila indica il valore della moneta: 80 dracme di bronzo. British Museum, Londra.

Entra in scena l’imperatore Cesare era arrivato in Egitto per dare la caccia a Pompeo, ma dopo la morte del rivale decise di prolungare la permanenza per riportare l’ordine nel Paese. Infatti, prima di morire Tolomeo XII aveva incaricato i consoli romani di farsi garanti del rispetto delle sue ultime volontà. Cesare avviò quindi una mediazione tra i due fratelli e riuscì a ottenere che Tolomeo XIII e Cleopatra si riconciliassero e tornassero a governare in-

47 a.C.

46 a.C.

44 a.C.

41 a.C.

Con l’aiuto di Giulio Cesare, Cleopatra sconfigge il fratello Tolomeo XIII.

Dopo la disfatta contro Cleopatra, Arsinoe viene portata a Roma ed esibita nel trionfo di Cesare.

Cleopatra fa assassinare Tolomeo XIV e designa come coreggente suo figlio Cesarione.

Esiliata a Efeso, Arsinoe viene uccisa nel tempio di Artemide per ordine di Cleopatra.

SFINGE RAFFIGURANTE TOLOMEO XII, PADRE DI CLEOPATRA VII.

PRISMA / ALBUM

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

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Marsa Matruh ALESSANDRIA Naucrati

Oasi di Siwa

Oasi di Areg

L’Egitto dei Tolomei

al-Fayyum

Oasi di Bahariya

Gerusalemme

Gaza

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TOLOMEO XIII CON UNA CORONA HEMHEM. PARTICOLARE DI UN RILIEVO DEL TEMPIO DI KÔM OMBO.

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CLEOPATRA VII. BUSTO DELLA REGINA EGIZIA CON ACCONCIATURA ELLENISTICA. STAATLICHE MUSEEN, BERLINO.

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Il territorio controllato dalla monarchia tolemaica si mantenne più o meno stabile dall’inizio della dinastia, registrando qualche piccola perdita nel corso dei secoli. Durante il regno di Cleopatra, Marco Antonio cedette all’Egitto Creta, Cipro e le città della Fenicia.

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BRIDGEMAN / ACI

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BERENICE IV

TOLOMEO XIII

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TOLOMEO XIV

ALESSANDRO HELIOS E CLEOPATRA SELENE. STATUA IN PIETRA CALCAREA RAFFIGURANTE I FIGLI DI CLEOPATRA E MARCO ANTONIO.

DA MARCO ANTONIO

ALESSANDRO HELIOS

TOLOMEO CESARE. STATUA IN GRANITO DEL FIGLIO DI CESARE E CLEOPATRA, ULTIMO RE D’EGITTO.

CLEOPATRA SELENE

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TOLOMEO XV CESARIONE

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AKG / ALBUM

DA GIULIO CESARE

CLEOPATRA VII

TOLOMEO FILADELFO


QUANDO CESARE incendiò la flotta egizia, il fuoco si propagò ad alcuni

edifici del porto – i magazzini del grano e le banchine –, come illustra l’incisione qui sopra. Cesare fu spesso accusato di essere anche il responsabile della distruzione della celebre biblioteca cittadina. Ma secondo la testimonianza di autori come Cassio Dione, a bruciare furono solo i volumi che si trovavano nei magazzini e non tutta la struttura con il suo contenuto.

CLEOPATRA SU UNA LAMPADA

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LOREJM IPSIUD

Al centro di questa lucerna è raffigurata la regina egizia. Musée d’Archéologie Méditerranéenne, Marsiglia.

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poteva contare su 20mila effettivi e l’appoggio del popolo. Di fronte a questa enorme sproporzione di uomini, Cesare inviò innanzitutto una richiesta urgente di rinforzi a Roma. Quando poi ad Alessandria iniziarono gli scontri, trattenne con sé all’interno del palazzo reale i quattro fratelli, per evitare che si mettessero alla testa dell’esercito e legittimassero così l’insurrezione. Nelle settimane successive i romani furono impegnati nei preparativi bellici e dovettero far fronte alle ripetute schermaglie che si susseguivano per le strade di Alessandria. Arsinoe capì che era arrivato il suo momento. Approfittando del fatto che tutti gli sguardi erano puntati su Tolomeo XIII, visto che Cleopatra aveva ormai dimostrato ampiamente la sua fedeltà a Cesare, Arsinoe fuggì dal palazzo insieme al suo ministro, l’eunuco

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La situazione non tardò a cambiare. La presenza di Cesare non era vista di buon grado dai sudditi egizi, che lo consideravano alla stregua di un invasore. Infastiditi dal sostegno che questi forniva a Cleopatra, i consiglieri di Tolomeo XIII decisero di approfittare del crescente malcontento popolare. Achilla organizzò le truppe egizie, le condusse ad Alessandria e si sollevò contro il console romano. Cesare aveva a disposizione solo due legioni, per un totale di quattromila soldati, mentre il potente esercito egizio

L’INCENDIO DI ALESSANDRIA

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CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

La guerra di Alessandria

AKG / ALBUM

sieme. Tale soluzione fu un duro colpo per le aspirazioni di Arsinoe, che aveva appoggiato il fratello nella speranza che questi la nominasse regina. Cleopatra aveva messo a segno un punto, ma la partita era appena agli inizi. Arsinoe infatti aveva perso l’Egitto, ma non era rimasta proprio a mani vuote. Nel tentativo di ingraziarsi i suoi ospiti, Cesare aveva restituito all’Egitto il controllo di Cipro, che i romani avevano annesso nel 58 a.C. Arsinoe e il fratello Tolomeo XIV furono nominati sovrani dell’isola, anche se si trattava di una carica puramente onorifica e i due rimasero ad Alessandria privi di qualunque potere effettivo. Ma Arsinoe aveva almeno ottenuto l’agognato titolo di regina. Questo successo non fece che accrescere le sue aspirazioni. Ormai non era più disposta ad accontentarsi: il vero obiettivo era il trono d’Egitto, in cui si concentravano il potere assoluto e il controllo delle immense ricchezze del Paese. Dal canto suo, Cleopatra non era disposta a lasciare che si ripetesse un episodio come quello della sua espulsione dal regno. Per questa ragione strinse un’alleanza politica – che ben presto divenne anche una relazione amorosa – con Giulio Cesare, che dopo la morte di Pompeo era diventato il nuovo uomo forte di Roma. Il loro rapporto dovette preoccupare non poco Arsinoe, che vedeva la sorella ricevere l’appoggio del potente esercito romano e il suo obiettivo allontanarsi sempre di più. Non restava altro che ritirarsi in secondo piano in attesa di qualche mutamento del panorama politico.


CLEOPATRA E IL FIGLIO CESARIONE

Dopo l’assassinio del fratello Tolomeo XIV nel 44 a.C., Cleopatra VII designò suo coreggente il figlio avuto da Cesare, che assunse il nome di Tolomeo XV (noto come Tolomeo Cesare o Cesarione). Per rendere pubblica questa decisione, Cleopatra si fece ritrarre con Cesarione sulla parete di fondo del tempio tolemaico di Dendera, dedicato alla dea Hathor. KENNETH GARRETT



CLEOPATRA E GIULIO CESARE

In questo dipinto a olio dell’artista Pietro da Cortona, Cesare offre a Cleopatra il trono d’Egitto dopo la vittoria su Tolomeo XIII. 1637. Musée de Beaux-Arts, Lione.


Ganimede, e si unì ai ribelli. L’esercito l’accolse a braccia aperte e la proclamò regina d’Egitto. Grazie alla sua pazienza e alla sua abilità aveva finalmente ottenuto il tanto agognato potere. Per impossessarsi del trono non le restava che eliminare Cleopatra. Ma prima era necessario sconfiggere chi la proteggeva, ovvero Cesare e le legioni romane. La strada si rivelò più ardua del previsto. Il primo ostacolo che Arsinoe dovette affrontare fu Achilla, con cui si ritrovava in costante disaccordo. La regina di Cipro decise di risolvere il problema nel classico stile di famiglia: fece uccidere il generale e affidò il comando delle truppe al fedele Ganimede.

ARSINOE, TROFEO DI GUERRA WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

Ganimede ottenne qualche piccolo successo iniziale, riuscendo a tagliare i rifornimenti d’acqua potabile ai romani, ma ben presto emersero i suoi limiti strategici, che costarono all’esercito una serie di sconfitte. Il suo modo tirannico di esercitare il potere provocò un forte malcontento tra i ribelli, che supplicarono Cesare di liberare Tolomeo, promettendo in cambio di consegnargli Arsinoe e Ganimede. Il console romano acconsentì sperando che il giovane re avrebbe pacificato i suoi sudditi, ma la situazione non migliorò. Nei mesi seguenti proseguirono gli scontri per terra e per mare, senza che nessuna delle due parti si avvicinasse alla vittoria definitiva. La prospettiva cambiò radicalmente quando giunsero in Egitto i rinforzi attesi da Cesare, guidati dal re Mitridate I di Pergamo. Il console fece uscire le truppe romane da Alessandria per andare incontro agli alleati, mentre Tolomeo XIII, dal canto suo, cercò di impedirglielo. Alla fine Cesare e Mitridate riuscirono a ricongiungersi e lanciarono un attacco contro l’accampamento del sovrano egizio. Di fronte alla devastante offensiva romana, il re e i suoi uomini cercarono di fuggire lungo il Nilo su delle imbarcazioni, molte delle quali però si rovesciarono a causa del numero eccessivo di soldati a bordo. Il giovane faraone morì annegato, e con lui si

NEL TRIONFO per celebrare la vittoria di Cesare in Egitto furono esibiti effigi e dipinti che illustravano i principali avvenimenti bellici. La stessa Arsinoe fu costretta a sfilare tra i prigionieri, come mostra questa incisione del 1888. I romani applaudirono le ricostruzioni delle morti di Achilla e Potino, ma si sdegnarono alla vista della nobile egizia incatenata e umiliata. Cesare decise così di liberarla al termine della processione.

inabissarono le speranze e le aspirazioni di Arsinoe, che fu fatta prigioniera. Cesare rientrò vittorioso ad Alessandria, dove affidò il trono a Cleopatra e all’altro fratello, Tolomeo XIV. Ma nella pratica fu la regina ad accaparrarsi tutto il potere. Il console lasciò l’Egitto portando con sé Arsinoe per evitare una nuova ribellione contro la sorella, e la fece sfilare come prigioniera nel trionfo celebratosi a Roma nel 46 a.C. La vista della giovane sovrana egizia in catene commosse profondamente i romani, che non nascosero la propria indignazione nel vederla esibita come una schiava di guerra. In risposta a queste proteste, Cesare decise di liberarla. Arsinoe si rifugiò a Efeso, sperando che la lontananza la proteggesse dalla sorella. Con la morte di Cesare nel 44 a.C.,

IL RE CON LE DIVINITÀ

Questa stele mostra Cesarione davanti agli dèi: a sinistra, con Geb e Sobek, e a destra con Iside e Min. British Museum, Londra.

AKG / ALBUM

JOSSE / SCALA, FIRENZE

Da regina a schiava


BPK / SCALA, FIRENZE


La liberazione di Arsinoe

L’

antichità è stata una delle principali fonti d’ispirazione per Tintoretto. Sulle sue tele si ritrovano personaggi come Venere o Ercole. Tintoretto dedicò un dipinto anche alla sorella di Cleopatra, intitolato La liberazione di Arsinoe, in cui dimostra tutta la sua abilità nel trattamento della luce. La scena rappresenta il momento in cui Arsinoe, approfittando della disattenzione dei romani, fugge dal palazzo reale di Alessandria per unirsi all’esercito egizio. Tintoretto trasferisce l’azione nella Venezia del suo tempo (il XVI secolo), un espediente comune ai pittori dell’epoca e che spiega i numerosi anacronismi del dipinto. Con la catena simbolo della prigionia ancora sulla gamba, Arsinoe si lascia andare tra le braccia del suo soccorritore, forse Ganimede, che l’attende sulla gondola per condurla verso la libertà e l’ambito trono egizio.


L’esiliata più famosa di Efeso

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opo essere stata liberata da Giulio Cesare nel 46 a.C., Arsinoe sapeva che tornare in Egitto avrebbe significato una morte sicura per mano di Cleopatra. Per questo decise di cercare rifugio in un luogo lontano dal regno della sorella. La scelta cadde su Efeso, nell’attuale Turchia, dove chiese asilo presso il tempio della dea Artemide. Qui condusse una vita tranquilla, priva dei lussi della corte egizia, ma senza mai dimenticare le sue origini regali né, probabilmente, le sue aspirazioni al trono. Il tempio originale di Artemide era considerato una delle sette meraviglie del mondo antico, ma fu distrutto da un certo Erostrato, che lo diede alle fiamme nella speranza di passare alla storia. Secondo Plutarco, l’incendio avvenne nello stesso giorno della nascita di Alessandro Magno, il 20 o 21 luglio del 356 a.C. In seguito gli efesini ricostruirono il tempio, ma quando Arsinoe vi si rifugiò era ormai lontana l’epoca in cui era stato uno dei santuari più famosi del Mediterraneo.


MANUEL COHEN / AURIMAGES

Cleopatra aveva perso il suo grande protettore e gli egizi tornarono a temere di ritrovarsi sottomessi ai romani. Per scoraggiare questa eventualità e rafforzare il suo ruolo, Cleopatra doveva rinnovare il suo legame con Roma. L’occasione si presentò nel 41 a.C., quando Marco Antonio la convocò per un incontro a Tarso. In quel momento iniziò non solo una delle vicende amorose più celebri della storia, ma anche una solida alleanza politica molto proficua per entrambe le parti. La posizione strategica e le ricchezze dell’Egitto potevano permettere ad Antonio di attuare il suo progetto di riorganizzazione dell’Oriente, mentre Cleopatra puntava a conservare l’autonomia del Paese e ampliare i territori sotto il suo controllo.

LA TOMBA DI ARSINOE?

ILLUSTRAZIONI: ÁDÁM NEMETH

La vendetta va servita fredda Nel corso delle trattative, Cleopatra chiese la testa di Arsinoe. Dopo tanti anni non l’aveva ancora perdonata. E ben sapeva che, finché la sorella fosse rimasta in vita, non avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Marco Antonio si affrettò a soddisfare le richieste della sua nuova alleata e amante. I suoi emissari andarono a caccia di Arsinoe e la trovarono a Efeso, la città dell’Asia Minore dove si era rifugiata dopo essere stata liberata da Cesare. Conduceva una vita tranquilla, come supplice nel tempio di Artemide, ma non aveva rinunciato alla sua dignità regale, e il sacerdote del luogo continuava a riservarle il trattamento dedicato ai sovrani. Sebbene avesse accettato la vittoria della sorella, Arsinoe sperava ancora che l’instabilità della situazione politica egizia le offrisse un’ultima opportunità di recuperare quel ruolo che riteneva spettarle. Ma le sue illusioni svanirono di colpo quando vide arrivare gli uomini di Marco Antonio incaricati di portare a termine la vendetta di Cleopatra. I mercenari non mostrarono la stessa pietà che i romani avevano provato guardandola sfilare in catene. Non esitarono neppure di fronte alla sacralità di un luogo come il tempio di Artemide. Strapparono Arsinoe ai protettori della dea e la

IN UNA TOMBA scoperta a Efeso nel 1926, conosciuta come l’Ottagono,

furono riesumate delle ossa che secondo l’archeologa austriaca Hilke Thur sarebbero di Arsinoe. Anche se molti ricercatori accolgono questa ipotesi con scetticismo, il metodo del carbonio-14 ha permesso di datare i resti tra il 200 e il 20 a.C. Le analisi forensi hanno confermato che appartenevano a una giovane donna in buona salute.

uccisero a sangue freddo. Dall’altra parte del Mediterraneo, Cleopatra brindò a questo crimine brutale mentre assaporava i piaceri della vita tra le braccia del suo potente amato. Con la morte di Arsinoe, non le restavano più fratelli vivi. Finalmente poteva godersi il trono in tutta tranquillità. VANESSA PUYADAS RUPÉREZ CENTRO STUDI SUL VICINO ORIENTE E LA TARDA ANTICHITÀ DELL’UNIVERSITÀ DI MURCIA

Per saperne di più

L’OTTAGONO DI EFESO

Nel monumento che potrebbe ospitare le spoglie di Arsinoe furono incise le lettere inviate agli efesini da alcuni imperatori del IV secolo: Valente, Valentiniano e Graziano.

TESTI

Vite parallele Plutarco. UTET, Torino, 2005. La guerra civile Caio Giulio Cesare. Garzanti, Milano, 2004. SAGGI

Cleopatra. La regina che ingannò se stessa Antonio Spinosa. Mondadori, Milano, 2003. ROMANZO

Il segreto di Cleopatra Emily Holleman. Newton Compton, Roma, 2016. Cleopatra la divina Valery Esperian. Fanucci, Roma, 2018.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L A SIRIA ROM A N A IN

3D

G ER A S A Fondata nell’odierna Giordania dai successori di Alessandro Magno, Gerasa fu un centro di confluenza della cultura semitica e di quella ellenistica. Dopo la conquista romana divenne una delle principali città della Decapoli


IL GRANDE FORO OVALE

Costruito nel I secolo d.C., il foro collegava il tempio di Zeus con il viale piĂš importante di Gerasa. Sulle colonne attorno alla piazza erano appese delle iscrizioni con i nomi dei benefattori della cittĂ . KITTI BOONNITROD / GETTY IMAGES


AS F /A

LB UM

L’IMPERATORE ADRIANO

Adriano visitò Gerasa nel corso dei suoi viaggi per l’impero. Sopra, dritto di un aureo con l’effigie dell’imperatore. MAN, Madrid.

tera regione era interessata da profonde trasformazioni. L’attività carovaniera si espanse grazie all’addomesticamento del cammello, e i nabatei cominciarono a spostarsi sempre più verso nord. Una delle loro capitali, Petra, sorgeva lungo la via Regia. Inoltre, alla fine del IV secolo a.C. il Vicino Oriente entrò a far parte dell’impero del re macedone Alessandro Magno e dopo la sua morte, avvenuta nel 323 a.C., fu spartito tra i suoi generali.

L’origine mitica di Gerasa La Transgiordania divenne un territorio conteso tra l’Egitto tolemaico e l’impero seleucide, entrambi governati da discendenti dell’aristocrazia macedone. Per duecento anni la cultura greca si diffuse nella regione, mescolandosi con le tradizioni semitiche e la lingua aramaica e favorendo così lo sviluppo di un’epoca di splendore: l’ellenismo. Gli antichi regni ammoniti e moabiti cedettero il posto a un gruppo di prospere città-stato a carattere commerciale e di cultura ellenistica, una formula che meglio si adattava all’aspra geografia della zona e al crescente flusso di carovane. Una di queste città era Gerasa. I suoi abitanti amavano raccontare una storia curiosa sull’origine del nome. Affermavano con orgoglio che il toponimo Gerasa era dovuto al fatto che la città era stata fondata dai veterani (gerontes) delle campagne di Alessandro. Dopo aver combattuto contro i persiani, questi soldati coraggiosi sarebbero stati ricompensati con degli appezzamenti di terra sulle colline che separano la valle del Giordano dal deserto. Questa storia è sicura-

C R O N O LO G I A

334 a.C.

102-78 a.C. ca. 63 a.C.

106 d.C.

129 d.C.

GRECI, EBREI E ROMANI

La tradizione attribuisce la fondazione di Gerasa a Perdicca, generale di Alessandro.

Il re di Giudea Alessandro Ianneo conquista Gerasa sconfiggendo il tiranno Teodoro di Filadelfia.

Traiano annette il regno nabateo, la cui capitale era Petra, e avvia a Gerasa un grande programma edilizio.

L’imperatore Adriano visita la città. Gerasa raggiunge il suo massimo splendore.

36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Pompeo assoggetta la regione e Gerasa viene inglobata nella provincia romana di Siria.

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

I

n Giordania c’è una strada che ha più di quattromila anni. Se ne parla nell’Antico testamento, ma la sua esistenza può essere fatta risalire all’Età del bronzo. Si chiama via Regia, non perché la sua realizzazione sia attribuita a qualche monarca specifico, ma per la sua età e importanza. Questo cammino collegava il golfo di Aqaba, nel mar Rosso, con Damasco, in Siria, attraversando da sud a nord la regione della Transgiordania. Si trattava di un’area di limitato interesse: le terre a est della valle del Giordano e del mar Morto non erano altro che una successione di altopiani boscosi seguiti da un immenso deserto. Nessun grande impero era mai sorto in quella zona. Con un’orografia accidentata e una limitata disponibilità di acqua dolce, la Transgiordania non aveva molto da offrire all’agricoltura. Ma nonostante la povertà di risorse, la regione era molto ambita per la sua posizione, in quanto si trovava al centro di un crocevia straordinario. A oriente si estendeva la Mesopotamia, a sud-ovest la valle del Nilo e a sud la penisola araba, attraversata dalle carovane dei nabatei (i signori del deserto) cariche d’incenso dello Yemen, perle del mar Rosso e spezie dell’India. Uno dei modi migliori per percorrere questo aspro territorio era seguire l’antica via Regia. Intorno al IX secolo a.C. la Transgiordania era abitata da alcune popolazioni tribali dedite all’allevamento, come gli ammoniti e i moabiti, spesso citati nella Bibbia. Ma l’in-


G AL AZIA Konya

LICIA E PA N FILIA

Melitene

CESAREA

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Apamea TARSO

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SIRIA

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CESAREA MARITTIMA

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Gaza

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Nicopoli

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SIRIA

Provincia romana

TARSO

Capitale della provincia

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Altri insediamenti

Nilo

Accampamenti dei legionari Confine provinciale Strada romana

EGITTO

Petra

Menfi

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Babilonia

Rotta marittima


TEMPIO DI ARTEMIDE

I MOSAICI DI GERASA

In città sono stati ritrovati numerosi pavimenti a mosaico, come questo raffigurante lo storico greco Tucidide. III secolo.

I LEONI DI ZEUS

Il tempio di Giove, a Gerasa, era decorato con dei rilievi di leoni feroci come quello dell’immagine. II secolo.

DEA / GETTY IMAGES

38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

mente un falso, che come tanti miti fondativi mirava ad accrescere il prestigio della località. Sembra che il nome originale della città non fosse Gerasa (toponimo semitico), ma Antiochia ad Chrysorrhoam (“Antiochia sul fiume d’oro”), che rimanderebbe la sua fondazione a qualche re seleucide, forse Antioco IV (che regnò dal 175 al 164 a.C.). La nascita della città si inserì probabilmente in un contesto di dispute territoriali con l’Egitto, e vide la fusione tra i coloni greci e la popolazione di un insediamento locale abitato fin dal Neolitico. Questa prima Gerasa, cinta di mura e situata su una collina vicino a un corso d’acqua, cominciò rapidamente a svilupparsi. Come il resto delle nuove città-stato della Transgiordania, Gerasa era un’entità politica indipendente, gelosa della sua autonomia. Probabilmente aveva stretti rapporti con altre località della regione, come Filadelfia (l’attuale Amman, così chiamata dal nome del re egizio Tolomeo Filadelfo), che affidò al tempio di Zeus di Gerasa la custodia del proprio tesoro comunale. Era anche un importante centro commerciale e aveva una popolazione multietnica: coloni greci, autoctoni aramei e mercanti nabatei si mescolavano a commercianti di origine più esotica – persiani,

parti e indiani. Queste aree di provenienza appartenevano alla sfera ellenistica: molte erano state fondate da Alessandro (o per lo meno si vantavano di ciò) o da uno dei suoi successori; il greco e l’aramaico erano usati come lingue comuni, e i monumenti erano costruiti secondo canoni greci. La benestante gioventù locale frequentava probabilmente il ginnasio e l’efebeion, due istituzioni destinate all’educazione fisica e morale dei ragazzi, mentre i genitori facevano sfoggio della loro ricchezza nelle prime file del teatro. Ma un esame più attento rivela la sopravvivenza di costumi più arcaici. Nelle iscrizioni i nomi greci si alternano a quelli semitici. Per l’orrore dei più ellenizzati la circoncisione rimase una pratica comune, e sotto i pomposi riti dedicati alle divinità ellenistiche sopravviveva il culto degli antichi dèi semitici.

Nasce la Decapoli L’impero seleucide scomparve nel I secolo a.C. e i territori della Transgiordania finirono nelle mani della repubblica romana. A portare a termine la conquista fu Pompeo, che riorganizzò politicamente l’intera regione e nel 63 a.C. raggruppò le città dell’area più settentrionale della via Regia in una lega dipendente dalla provincia di Siria e amministrata da un prefetto romano. La coalizione fu denominata Decapoli (“dieci città”). Curiosamente, Plinio il Vecchio riferisce nel suo Naturalis Historia che, a dispetto del nome, c’erano opinioni discordanti in merito a quali e quante città facessero effettivamente parte della lega. Plinio stabilì che la Decapoli iniziava a Damasco e terminava a Filadelfia, e ne facevano parte località come Scitopoli (a ovest del Giordano), Gadara, Ippo, Dio, Pella, Canata, Rafana e, naturalmente, Gerasa. EVA TOBALINA ORAÁ UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DELLA RIOJA

Per saperne di più

SAGGI

Giordania passato e presente. Petra, Gerasa, Amman Emanuela Borgia. Vision, Roma, 2006. Giordania. Matthew Teller. Feltrinelli, Milano, 2013.

STEVE DAVEY / AGE FOTOSTOCK

BPK / SCALA, FIRENZE

A destra, i resti del tempio dedicato ad Artemide a Gerasa. Costruito su una collina, dominava la città insieme al tempio di Giove, situato a sud.



SPECIALE / GERASA

RICOSTRUZIONE DI GERASA NEL II SECOLO D.C., EPOCA DEL SUO MASSIMO SPLENDORE.

Teatro meridionale

Foro ovale Tempio di Zeus

Porta meridionale

Ippodromo

Arco di Adriano


Tempio di Artemide

Corso d’acqua

U N A CIT TÀ COSMO P O LITA sa. La città visibile oggi fu in gran parte costruita in Età altoimperiale (fine del I secolo a.C. – II secolo d.C.). L’enclave era molto prospera: aveva miniere di ferro e un enorme potenziale agricolo. Si estendeva su due colline, tra le quali scorreva un fiume (oggi poco più di un ruscello), ed era circondata da un territorio fertile, ricoperto di ulivi, alberi da frutto e colture di ogni tipo. Gerasa era situata in un punto chiave della via Regia, lungo il tratto che collegava Petra con Damasco. Questo carattere carovaniero si ritrova nell’assetto urbano dell’insediamento: l’ingresso principale era costituito dalla porta meridionale, che conduceva direttamente a una grande piazza e al cardo maximus. Questo impressionante viale, lungo 800 metri e fiancheggiato da 500 colonne, attraversava l’intera città da nord a sud e fu modificato in varie occasioni. La sua costruzione risale al I secolo d.C., la stessa epoca in cui fu creato il foro ovale. Vi transitavano presumibilmente veicoli di ogni tipo, che potevano invertire la direzione all’altezza dei due tetrapili, delle specie di rotatorie monumentali che connettevano il cardo con i decumani (le strade che attraversavano la città da est a ovest).

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ILLUSTRAZIONE 3D: JOSEP RAMON CASALS

L’INCORPORAZIONE nei domini romani inaugurò il periodo di maggior splendore di Gera-


SPECIALE / GERASA

AJ WILHELM / GETTY IMAGES

La parte superiore era rettangolare, suddivisa in due piani e inframezzata da pilastri.

ISCRIZIONE PROVENIENTE DALL’ARCO DI ADRIANO CON IL NOME DELL’IMPERATORE.

L’A RCO DI A D R I A N O si trovavano in una pericolosa zona di confine tra il regno nabateo a sud e il gigantesco impero parto a est. La città di Gerasa era protetta da una cinta muraria di quasi 3,5 chilometri di lunghezza, con 101 torri e cinque porte, e ospitava un importante presidio militare. Nel 106 d.C. l’imperatore Traiano conquistò il regno nabateo e un decennio più tardi inflisse una sonora sconfitta all’impero parto. Al termine delle operazioni militari Traiano riorganizzò il territorio, riunendo il regno nabateo e la Decapoli nella provincia romana d’Arabia. La via Regia, che costituiva la spina dorsale della nuova provincia, venne selciata e assunse il nome di via Traiana Nova. Parallelamente fu intrapresa la costruzione di una rete stradale che collegava le città della Decapoli. I lavori si protrassero a lungo, ed erano ancora in corso quando l’imperatore Adriano visitò la città e vi trascorse parte dell’inverno 129-130, facendo di Gerasa il centro dell’impero per alcuni mesi. Adriano volle commemorare il suo soggiorno erigendo un enorme arco trionfale davanti all’accesso meridionale della città. Il monumento fu costruito fuori dalle mura, vicino all’ippodromo, e probabilmente segnava il limite di un progetto di espansione esterna della località.

LE CITTÀ DELLA DECAPOLI

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42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


Sopra il timpano che sormontava l’arco centrale fu collocata un’iscrizione per commemorare la visita imperiale.

Quattro nicchie con frontoni triangolari adornavano la facciata. Ospitavano statue di Adriano.

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1 IL GRANDE ARCO

2 LE COLONNE

3 NICCHIE LATERALI

Era lungo circa 37,5 m e largo 9,3. La parte centrale era costituita da un’arcata a volta di circa 10,8 m di altezza e 5,7 m di larghezza, fiancheggiata su entrambi i lati da due archi più piccoli, alti quasi cinque metri ciascuno.

Le colonne centrali poggiavano su un piedistallo di stile attico che a sua volta era sostenuto da una base decorata con foglie d’acanto. In mezzo a ogni coppia di colonne si aprivano due archi più piccoli.

Le strutture laterali erano formate da quattro colonne con capitelli corinzi, alte tre quarti dell’elemento centrale e poggiate su piedistalli. Gli archi della parte inferiore avevano una volta chiusa da un muro cieco. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ILLUSTRAZIONE 3D: JOSEP RAMON CASALS

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L’ARCO DELL’IMPERATORE ADRIANO

Il monumento si trova alla periferia di Gerasa, a 460 metri dalla porta meridionale della città, nei pressi dell’ippodromo. Fu eretto per ringraziare Adriano della prosperità di cui Gerasa godette durante il suo regno. WALTER BIBIKOW / AGE FOTOSTOCK


IVAN VDOVIN / AGE FOTOSTOCK

SPECIALE / GERASA

UNA GIOVANE FLAUTISTA IN UN RILIEVO DEL TEATRO MERIDIONALE DI GERASA.

I L TE ATRO M ER I DIO N A LE A GERASA c’erano due teatri. Quello meridiona-

le è forse il più bello di tutta la Siria. Entrambi gli edifici erano molto frequentati dai visitatori in occasione delle feste religiose ed erano un simbolo dello splendore della città. Il teatro era uno dei principali svaghi del mondo ellenistico, non solamente per gli spettacoli che offriva, ma anche perché rappresentava un’occasione per mettersi in mostra. Il teatro meridionale sorgeva nei pressi del tempio di Zeus. L’altro, di dimensioni inferiori, era situato nella parte settentrionale della città. Con una capacità di cinquemila spettatori, il teatro meridionale fu costruito alla fine del I secolo d.C., durante il regno dell’imperatore Domiziano, e fu poi decorato e ristrutturato dai suoi successori, Traiano e Adriano. La tribuna, dove gli spettatori sedevano in base al loro status sociale, era uno dei luoghi prediletti dai cittadini per sfoggiare potere e ricchezza. Non sorprende che una parte importante del costo del teatro di Gerasa fosse stata sostenuta da privati, che si assicuravano così i posti migliori e un ingresso esclusivo, attraverso le porte (vomitoria) che si aprivano accanto al palcoscenico. La plebe dal canto suo doveva accedere al complesso salendo sulla terrazza del tempio di Zeus e percorrendo il passaggio che collegava il teatro alla cinta muraria.

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1 L’ORCHESTRA

2 IL PROSCENIO

3 LA SKENÉ

I romani modificarono l’impianto dei teatri greci riducendo le dimensioni dell’orchestra e trasformandola da circolare a semicircolare. Questa presenta un lieve restringimento alle estremità che le conferisce una forma a ferro di cavallo.

Costituiva il centro dei teatri romani ed era il luogo dove si esibivano gli artisti. Sotto di esso si trovava l’iposcenio, in cui venivano custoditi i meccanismi e le attrezzature di scena da utilizzare durante gli spettacoli.

La struttura monumentale dietro il proscenio era chiamata skené (in greco) o scaenae frons (in latino). A Gerasa era in pietra calcarea rosa e bianca ed era decorata con colonne di tipo corinzio. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ILLUSTRAZIONE 3D: JOSEP RAMON CASALS

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IL TEATRO MERIDIONALE

Fu costruito durante il regno di Domiziano (81-96 d.C.) su una struttura di epoca precedente. Aveva una capacitĂ di circa cinquemila spettatori e i livelli inferiori erano contrassegnati con lettere greche che indicavano i posti riservati. JOCHEN SCHLENKER / AGE FOTOSTOCK



SPECIALE / GERASA

Arco di Adriano Ippodromo

ALAMY / ACI

Porta meridionale

RILIEVI CON DECORAZIONI VEGETALI PROVENIENTI DAGLI ARCHITRAVI DEL FORO OVALE.

I L FO RO OVA LE L’INGRESSO DI GERASA era un complesso spettacolare formato dal foro ovale, dal tempio di Zeus e dal teatro meridionale. Questo gruppo di edifici accuratamente collegati tra loro ben esemplifica un’arte in cui le città ellenistiche eccellevano: costruire prospettive monumentali. Ai piedi della collina si trovava l’enorme foro ovale costruito nel I secolo d.C., probabilmente il centro della vita economica e civica di Gerasa. Aveva una disposizione accuratamente studiata. La sua forma ellittica non solo sfruttava al meglio l’avvallamento tra due collinette, ma collegava visivamente l’asse del tempio di Zeus con quello del cardo maximus. Le sue dimensioni imponenti e la magnifica pavimentazione realizzata con pietre disposte in forma concentrica gli conferivano un aspetto solenne, per quanto vi si svolgessero anche le normali attività quotidiane. Il foro era dominato dal grande tempio di Zeus, che era stato fatto erigere da Marco Aurelio (161-180). La sua struttura a due terrazze lo rendeva visibile da ogni punto della città e rievocava l’aspetto degli antichi templi semitici.

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Teatro meridionale

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1

Una scalinata conduceva alla prima terrazza del recinto sacro (temenos), dove veniva custodita la roccia che simboleggiava la creazione del mondo. La piazza era circondata da un portico con colonne ioniche sotto il quale si sviluppava un doppio marciapiede.

1 STATUA CENTRALE

2 PORTA E CARDO MAXIMUS

3 IL TEMPIO DI ZEUS

Un sontuoso tetrapilo del III secolo costituiva l’accesso al cardo maximus, la grande arteria che partiva dal foro ovale per attraversare la città da nord a sud.

Sorgeva su una collina di 12 m che dominava il foro. L’edificio era situato su un podio di circa 41 m di lunghezza per 28 m di larghezza e rivolto a est.

ILLUSTRAZIONE 3D: JOSEP RAMON CASALS

Al centro del foro ovale c’era un podio con una statua, probabilmente dell’imperatore Adriano, anche se questo particolare non ha finora trovato conferma.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ALAMY / ACI

SPECIALE / GERASA

CAPITELLO CORINZIO APPARTENENTE A UNA DELLE UNDICI COLONNE ANCORA IN PIEDI DEL TEMPIO DI ARTEMIDE.

I L TEM PIO DI A RTEM I D E LA COSTRUZIONE del tempio di Artemide iniziò

nel 150 d.C., sotto il regno di Antonino Pio. La dea della caccia era la patrona di Gerasa e gli abitanti della città vollero onorarla dedicandole uno dei santuari più imponenti del Vicino Oriente. L’ingresso principale del complesso si trovava sul cardo maximus; un portico sorretto da quattro enormi colonne corinzie fiancheggiava l’accesso alla scalinata che conduceva in cima alla collina. La prima terrazza ospitava un altare per i sacrifici; la seconda, il tempio e il suo recinto sacro, il temenos. Chi lasciava il trambusto della strada per affrontare la fatica della salita era ricompensato dalla silenziosa contemplazione di un edificio delicato ed elegante, circondato da colonne corinzie e rivestito di marmo. Il santuario è anche una testimonianza dell’inizio della decadenza di Gerasa, che andò di pari passo con quella dell’impero romano. Il progetto era così ambizioso che non poté essere portato a termine. Accanto al tempio si possono ancora vedere i dispositivi idraulici utilizzati per tagliare le pietre durante la fase di costruzione. In epoca bizantina sorse nell’area un laboratorio di ceramica; con l’arrivo dei musulmani le mura del temenos divennero le mura di una fortezza. Quando all’inizio del XII secolo il re crociato Baldovino II di Gerusalemme conquistò Gerasa, questa era ormai ridotta a una cittadella in rovina.

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52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


1 PIANTA ESASTILA

Statua raffigurante Artemide con un arco.

Il tempio aveva sei colonne sulla fronte e sul lato posteriore, e undici sui fianchi. Tutte le colonne erano decorate con foglie d’acanto, secondo lo stile corinzio. È probabile che fossero bicolori, anche se non è rimasta traccia di un’eventuale policromia.

2

2 DECORAZIONE PERDUTA Non ci sono resti della decorazione del timpano del frontone. Probabilmente raffigurava delle amazzoni intente a rendere omaggio ad Artemide, la dea della caccia corrispondente alla romana Diana.

3 AREA PORTICATA Il perimetro rettangolare del tempio era circondato da un’ampia zona porticata con colonne corinzie. Sotto il portico c’era un gruppo di stanze e dipendenze legate al culto.

1

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4 IL TEMPIO FORTEZZA

5 IL RECINTO SACRO

6 L’ALTARE

Il tempio sorgeva su un podio alto 4,5 m, lungo 40 m e largo 22,5 m. Questa piattaforma accentuava il senso di sicurezza di cui i costruttori avevano voluto dotare il santuario, una sorta di guardiano della città.

La grande terrazza su cui fu eretto il tempio dedicato ad Artemide è il temenos, lo spazio sacro dove si celebravano le principali cerimonie religiose. Misurava 161 metri di lunghezza per 121 metri di larghezza.

Giusto di fronte al tempio di Artemide si trovava un altare rialzato su un podio. Era il secondo del complesso, dato che sulla prima terrazza ce n’era uno desinato ai sacrifici. Le offerte alla dea potevano essere deposte su entrambi gli altari. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ILLUSTRAZIONE 3D: JOSEP RAMON CASALS

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LETTERE E MUSICA

La decorazione di questa kylix attica a figure rosse mostra vari aspetti dell’educazione greca: un maestro insegna a un ragazzo a suonare uno strumento simile a una lira, un altro mostra un papiro a un giovane in piedi davanti a lui. Fine VI - inizio V secolo a.C. Staatliche Museen, Berlino. In basso a destra, una tavoletta di cera con delle cifre. British Museum, Londra.

PAIDEIA L’EDUCAZIONE NELL’ANTICA GRECIA


J. LAURENTIUS / BPK / RMN-GRAN PALAIS

Nell’Ellade dell’Età classica i giovani venivano formati per diventare cittadini e soldati al servizio dello stato. Oggi si ritiene che il sistema educativo fosse aperto anche alle donne BRITISH LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI


G

agli organi politici democratici e un servizio militare praticamente permanente. L’obiettivo ideale della paideia era conseguire l’aretè, un’eccellenza pubblicamente riconosciuta sotto vari aspetti, soprattutto la forma fisica e il perfezionamento dello spirito. In termini competitivi, l’aretè cui mirava la paideia rappresentava il fondamento della leadership. Tuttavia l’importanza dell’istruzione nella vita politica delle città greche non va sopravvalutata. Non era per esempio necessario essere in grado di leggere e scrivere per avere diritto a partecipare all’assemblea, essere eletti nel consiglio, esercitare una magistratura o essere membri di una giuria popolare. Secondo il principio cardine della democrazia ateniese le cariche statali erano estratte a sorte tra i cittadini e in alcuni casi erano retribuite, una misura volta a incentivarne l’esercizio. Per la redazione e la lettura dei documenti si poteva pur sempre fare affidamento sui segretari, che erano dei servitori pubblici, cioè dei lavoratori permanenti. E per proporre l’esilio di un concittadino bastava farsi aiutare a scriverne il nome sull’ostrakon da qualche

conoscente alfabetizzato. Inoltre molte persone erano costrette a far lavorare i propri figli fin da piccoli e non erano in grado di sostenere i costi degli studi. Anche se non esistono dati sulla scolarizzazione nella Grecia antica, è molto probabile che la paideia lasciasse fuori la maggior parte dei cittadini. Il livello economico era forse ancor più importante del genere nel determinare l’accesso all’istruzione.

I primi anni Fino ai sette anni circa la prole veniva educata nell’ambiente domestico, sotto la responsabilità delle donne di casa, di qualche servo e del nonno paterno, ormai libero da ogni altro dovere civico. Il capofamiglia era il padre, un cittadino maggiore di 30 anni che di fatto partecipava poco alla vita familiare. Di solito era fuori a lavorare, a occuparsi di questioni pubbliche o a prestare servizio in qualche campagna militare. In un modello omosociale in cui le donne stavano con le donne e gli uomini con gli uomini, questi ultimi trascorrevano anche il tempo libero all’esterno della casa o nell’andron, la parte dell’abitazione loro riservata. Se le femmine crescevano all’ombra della madre, ai maschi mancava invece la figura paterna. L’istituto della pederastia aveva lo scopo di supplire alla funzione iniziatica del padre nei confronti dei figli. L’adolescente si legava a un uomo adulto che gli faceva da mentore e protettore e lo introduceva

BAMBOLA SNODABILE IN TERRACOTTA. V SECOLO A.C. MUSEO BENAKI, ATENE. 56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SANDRA RACCANELLO / FOTOTECA 9X12

BRIDGEMAN / ACI

li antichi greci definivano paideia il lungo processo di formazione dei futuri cittadini, che prevedeva l’apprendimento di determinate conoscenze e l’acquisizione di specifiche attitudini. Il principio di base era che senza educazione non potesse esserci cultura, e che la cultura fosse fondamentale per un esercizio della cittadinanza che prevedeva la partecipazione


C R O N O LO G I A

FORMARE FUTURI CITTADINI Forse IX secolo a.C. Fin dalla sua nascita, Sparta si occupa di educare i bambini come futuri soldati e cittadini.

VIII secolo a.C. Omero compone l’Iliade e l’Odissea, due poemi che successivamente diventano la base dell’educazione greca.

VII secolo a.C. Con Le opere e i giorni Esiodo inaugura un tipo di poesia mirato più all’istruzione che all’intrattenimento.

VI secolo a.C. I presocratici introducono la matematica nella formazione, che per loro deve procedere per gradi.

VI-V secolo a.C. I sofisti insegnano materie che non si studiano a scuola: fisica, astronomia, medicina, oratoria e altre.

IV secolo a.C. Platone promuove un metodo d’insegnamento pensato per formare i nuovi governanti tramite metodi filosofici. IL PARTENONE

L’Acropoli di Atene è dominata dal grande tempio dedicato alla dea Atena. Ai suoi piedi sorge l’odeo di Erode Attico, uno spazio dedicato agli spettacoli musicali.


OMERO RECITA I SUOI VERSI. OLIO DI PAUL JOURDY. XIX SECOLO. ÉCOLE NATIONALE SUPÉRIEURE DES BEAUX-ARTS.

nell’ambiente civile e militare, all’interno di una relazione di amante e amato. Va comunque detto che nella democrazia ateniese la pederastia non era sempre ben vista, in quanto considerata un fenomeno di origine aristocratica. Sebbene l’educazione fosse principalmente rivolta alla formazione del cittadino, non era organizzata né finanziata dalla polis (tranne che a Sparta). Non esistevano programmi scolastici né libri di testo, anche se le attività svolte erano oggetto di ispezioni. Non c’erano esami, ma ci si misurava in continue competizioni. Lo spirito agonistico e la lotta per il primato costituivano l’asse portante di un sistema educativo che comunque era improntato a una certa

durezza. Una delle più antiche testimonianze relative alla scuola greca è una coppa attica della fine del VI secolo a.C. conservata a Monaco di Baviera. Qui appare il didaskalos (maestro), un termine che indicava anche il direttore di un coro di canto e danza, come quello rappresentato su un altro celebre reperto, un vaso unguentario spartano. Forse proprio nell’insegnamento del canto e della danza è possibile ritrovare l’origine delle scuole, in virtù del valore formativo generalmente riconosciuto a queste attività.

L’educazione dei ragazzi In ogni caso, l’istruzione elementare coniugava l’apprendimento delle lettere (grammata), lo studio di diverse varietà musicali e la pratica sportiva. Una tavoletta votiva ritrovata a Corinto mostra dei fanciulli che suonano la lira e il flauto durante un rito, e alcune testimonianze del politico ateniese Alcibiade indicano che a scuola si praticava la lotta. A ciò si aggiungeva l’iniziazione alla matematica, che si divideva in due rami: l’aritmetica, ovvero lo studio dei numeri, e la geometria, che si occupava delle relazioni spaziali.

UN PEDAGOGO ACCOMPAGNA A SCUOLA IL SUO ALLIEVO. II SECOLO A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. 58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ERICH LESSING / ALBUM

ERICH LESSING / ALBUM

BEAUX-ARTS DE PARIS / RMN-GRAND PALAIS


PEDERASTIA

L’ERASTES, MAESTRO E AMANTE Nell’antica Grecia le relazioni omosessuali avevano una funzione educativa e di integrazione sociale. Ecco perché dovevano attenersi a regole molto specifiche che nessuno poteva violare.

L’erastes, l’amante, doveva essere un uomo adulto di più di 30 anni, cittadino a pieno titolo. Sceglieva il suo amato, l’eromenos, al di fuori della propria cerchia familiare, tra i giovani (meirakia) di almeno 15 anni impegnati nel percorso educativo. Il rapporto poteva durare solo fino a quando il giovane raggiungeva l’età adulta, occasione che veniva celebrata dall’erastes con un dono simbolico, come per esempio l’equipaggiamento militare. I genitori del ragazzo vedevano favorevolmente il fatto che l’erastes fosse un personaggio prestigioso e dotato di buoni contatti che sarebbero potuti tornare utili alla successiva carriera del figlio. AMANTE E AMATO

Un adulto con la barba, come richiesto dalle convenzioni iconografiche, bacia un giovane imberbe. 480 a.C. Musée du Louvre, Parigi.


UN GRUPPO DI RAGAZZE SPARTANE PRATICA ATTIVITÀ SPORTIVA CON COMPAGNI DI SESSO OPPOSTO. EDGAR DEGAS. XIX SECOLO. NATIONAL GALLERY, LONDRA.

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Il bambino veniva accompagnato a scuola da uno dei servi di casa, di solito un anziano non più in grado di svolgere lavori fisici pesanti, che lo attendeva fino all’ora del ritorno. Si trattava del paidagogos, responsabile di garantire l’integrità del ragazzo e di controllare che svolgesse i compiti. Il pedagogo insegnava anche le buone maniere: camminare

ALESSANDRO

VASSARI / AL

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SAFFO. LA SCULTURA IN MARMO DI GIOVANNI DUPRÈ RAPPRESENTA LA FAMOSA POETA GRECA. 1857-1861. GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA, ROMA.

per strada tenendo gli occhi bassi, indossare correttamente il mantello, sedersi senza incrociare le gambe e senza appoggiare il mento sulla mano, rimanere in silenzio, mangiare in maniera controllata durante i pasti. Nelle rappresentazioni dell’epoca il pedagogo è di solito raffigurato con i tratti e l’abbigliamento dei servi di origine straniera, e impugna il caratteristico bastone che gli permette di esercitare la sua autorità tramite la minaccia o la concreta punizione fisica. A 18 anni l’adolescente diventava ephebos (giovane) e riceveva l’addestramento militare necessario a diventare hoplites (soldato). Questa formazione durava 36 mesi, fino al compimento dei 21 anni, che segnavano l’ingresso nell’età adulta. L’istruzione veniva completata dallo studio di retorica, letteratura, musica e geometria. Chi poteva permetterselo prendeva anche lezioni dai sofisti, molto più costosi degli insegnanti tradizionali. Nell’Atene classica l’efebia era un’istituzione strettamente regolata che prevedeva obblighi specifici, come la partecipazione a determinati riti religiosi. Costituiva la fase d’integrazione nella cittadinanza con la quale si concludeva

HERVÉ LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS

THE NATIONAL GALLERY, LONDRES / RMN-GRAND PALAIS


COLTIVARE LA MENTE

La scena di questo vaso attico mostra il cantore Lino intento a leggere un papiro al giovane Museo, che è in piedi davanti a lui con una tavoletta di cera in mano. 440-435 a.C. Louvre, Parigi.

POESIA DIDATTICA

OMERO, IL MAESTRO DELLA GRECIA Molti greci imparavano a memoria i 28mila esametri che compongono l’Iliade e l’Odissea, perché durante tutta l’antichità i poemi omerici erano considerati i testi base della paideia.

La Guerra di Troia era uno scenario molto remoto per l’età classica, come potrebbe essere oggi il Medioevo. Ma quel conflitto leggendario fungeva da modello per idealizzare l’attitudine a sacrificarsi in favore della comunità.

Omero mostrò ai greci come raggiungere la kalokagathia, quell’ideale di bellezza fisica e morale che avrebbe rappresentato il valore assoluto nel successivo sviluppo della cultura ellenica.

UN ANZIANO PEDAGOGO REGGE UN SACCHETTO DI ASTRAGALI, DEI DADI RICAVATI DA PICCOLE OSSA ANIMALI. FIGURINA IN TERRACOTTA. LOUVRE, PARIGI. H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS


RAGAZZE IMPARANO A BALLARE. LA MUSICA ERA UNA PARTE SIGNIFICATIVA DELL’EDUCAZIONE DI ENTRAMBI I SESSI. V SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM.

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una paideia ben riuscita e riforniva di nuova linfa il corpo e l’anima della città.

Il ruolo delle donne Non è del tutto chiaro in che misura l’educazione e l’esercizio della cultura fossero aperti anche alle donne, in quanto non c’è molta documentazione a riguardo. All’epoca non era normale trattare la condizione femminile, né per gli uomini né per le stesse donne, e i pochi testi elaborati sono stati accolti con scarso interesse nelle epoche successive, finendo per andare perduti. Una felice eccezione è l’opera di Saffo, poeta nata a Lesbo nel VII secolo a.C. Si sono conservati appena seicento dei circa diecimila versi lirici UNA DONNA SI LAVA I CAPELLI. da lei composti, IV SECOLO A.C. che suscitarono MUSEO STORICOARCHEOLOGICO, grande ammiraLECCE. zione tra i suoi contemporanei. Saffo era forse sposata e dirigeva una scuola che si occuDEA / ALBUM

pava di educare le adolescenti e prepararle al matrimonio. Ciò avveniva tramite l’insegnamento di poesia, musica e danza in un ambiente esclusivamente femminile, analogamente a quanto avveniva con la pederastia maschile. Un altro caso è quello di Aspasia di Mileto. La bella e colta compagna di Pericle apparteneva probabilmente a uno specifico gruppo di donne, le etère, che frequentavano gli uomini nei simposi dell’élite culturale ateniese. Nel dialogo platonico Menesseno, Socrate esalta le abilità retoriche di Aspasia definendole superiori a quelle di Pericle e le attribuisce la composizione di un importante discorso del compagno. È vero che le etère non erano costrette nel limitato ruolo sociale che veniva riservato alle spose legittime, le uniche i cui figli potevano godere della piena cittadinanza. Ma lo è anche il fatto che il campo di azione delle mogli era meno ristretto di quello che si ritiene abitualmente. Nell’Economico di Senofonte, una sorta di trattato sull’amministrazione della casa scritto nel IV secolo a.C., un ricco cittadino si vanta del fatto di poter delegare alla sua giovane sposa la gestione della sfera domestica, in virtù delle grandi doti da lei dimostrate.

WERNER FORMAN / GTRES

BRITISH MUSEUM / RMN-GRAND PALAIS


FILOSOFE

LA SAPIENZA DELLE DONNE Che in Grecia le donne non fossero totalmente escluse dall’educazione è dimostrato dall’esistenza di un buon numero di filosofe. Per esempio, si conoscono i nomi di due allieve che nel IV secolo frequentarono l’accademia platonica di Atene: Arete di Cirene, figlia del filosofo Aristippo, e Assiotea di Fliunte.

Quest’ultima sarebbe stata così colpita dalla lettura della Repubblica di Platone da trasferirsi ad Atene per diventare sua discepola. Nelle Vite dei filosofi Diogene Laerzio racconta che Assiotea doveva travestirsi da uomo per poter assistere alle lezioni del maestro. Altre filosofe di spicco furono le pitagoriche Teano di Crotone ed Esara di Lucania, la cinica Ipparchia di Tracia e le epicuree Leonzia e Temista di Lampsaco.

STELE FUNERARIA

Nell’antica Grecia i figli erano considerati una risorsa indispensabile per il futuro della città, resa ancora più importante dall’alta mortalità infantile. Stele funeraria di una madre con il figlio.


LE DONNE: COLTE E SPORTIVE Le scene rappresentate su molti vasi di ceramica illustrano la vita quotidiana delle donne dell’antica Grecia, smentendo l’idea comune secondo cui alcune attività fossero appannaggio esclusivo degli uomini.

DOPO LO SPORT Nell’immagine di quest’idria alcune donne nude si lavano alla fontana di un ginnasio, probabilmente dopo qualche esercizio fisico. Due di loro impugnano uno strigile, lo strumento usato dagli atleti per detergersi la pelle.

1. ILLUSTRAZIONI: 1. IDRIA DEL V SECOLO A.C. CONSERVATA PRESSO IL MUSEUM OF FINE ARTS DI BOSTON / ACI. 2. KYLIX. 460-450 A.C. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK. MMA / RMN-GRAND PALAIS. 3. LEKYTHOS DEL V SECOLO A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS.


A STUDIARE Una figura femminile (forse una pedagoga) accompagna a scuola una ragazza che regge con una cordicella una tavoletta di legno ricoperta di cera.

LA LETTRICE Una donna legge attentamente un papiro che ha estratto dal baule aperto davanti a sÊ. La scena dimostra che l’alfabetizzazione non era riservata agli uomini. 2.

3.


OSTRAKA CON I NOMI DEI CONDANNATI ALL’ESILIO. V SECOLO A.C. MUSEO DELL’AGORÀ ANTICA, ATENE. AKG / ALBUM

Un’educazione analoga? Sembra chiaro che le ragazze di un certo livello economico, destinate al matrimonio legittimo e al controllo della famiglia, ricevevano un’istruzione di base simile a quella dei ragazzi. Meno noto è cosa avvenisse al di fuori della sfera domestica. Le donne greche infatti uscivano spesso di casa per svolgere varie attività, ma sempre accompagnate da altre donne, a meno che non fossero an66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ziane. Questo consente di ipotizzare che il motivo decorativo di una famosa kylix del Metropolitan Museum di New York rappresenti una scuola femminile e che la donna raffigurata al centro sia un’adolescente accompagnata a lezione da una pedagoga. Per quanto riguarda la pratica sportiva, su alcuni vasi di ceramica sono raffigurate delle ragazze intente a lavarsi nella fontana di un ginnasio e a detergersi il corpo con uno strigile. La composizione e gli elementi di tali scene corrispondono punto per punto alle rappresentazioni maschili. Si tratta sicuramente di ambienti omosociali femminili, ma non è possibile dedurre che fossero riservati alle etère. La conclusione più ovvia è che esistessero delle palestre destinate alle donne in generale. È risaputo d’altronde che in città come Sparta l’esercizio fisico era considerato molto salutare per affrontare la maternità. RAQUEL LÓPEZ MELERO DOCENTE ORDINARIA DI STORIA ANTICA. UNIVERSITÀ NAZIONALE DI EDUCAZIONE A DISTANZA (MADRID)

Per saperne di più

TESTI

Liriche e frammenti Saffo. Feltrinelli, Milano, 2015. SAGGI

Paideia. La formazione dell’uomo greco Werner Jaeger, Bompiani. Milano, 2003. Donne e società nella Grecia antica Nadine Bernard. Carocci, Roma, 2011.

PETER EASTLAND / AGE FOTOSTOCK

Ci sono anche svariate testimonianze di donne che amministravano il patrimonio familiare, un’attività che richiedeva come minimo di saper leggere e scrivere. Fortunatamente le decorazioni della ceramica attica a figure rosse riportano numerosi esempi di vita quotidiana femminile all’interno e all’esterno dell’oikos (la casa). Su un piccolo vaso per la conservazione di oli profumati e unguenti (lèkythos) è rappresentata una moglie che esamina un papiro estratto dal baule davanti a lei, presumibilmente per controllare la contabilità domestica. Alcune brocche utilizzate per il trasporto dell’acqua (idrie) raffigurano gruppi di donne nel gineceo – la parte della casa a loro riservata – intente a leggere o a recitare poesie con l’accompagnamento di vari strumenti.


FELICITÀ E POTERE

PLATONE E L’EDUCAZIONE CIVICA Platone concepì una nuova paideia, un sistema educativo uguale per entrambi i sessi che doveva essere imposto dallo stato, secondo l’esempio di Sparta. Si trattava di una formazione permanente, perché durava tutta la vita, ed era strutturata per gradi. Si cominciava con la musica e la ginnastica, per proseguire con la matematica e la retorica. Il processo culminava con l’apprendimento della dialettica.

Platone riteneva che colui il quale fosse stato in grado di arrivare all’ultimo livello avrebbe potuto contemplare l’idea del bene, che implicava la conoscenza della verità e la trasformazione della propria anima. Queste persone avrebbero raggiunto la felicità e sarebbero conseguentemente state le uniche legittimate a governare. LA PALESTRA DI OLIMPIA

Le poleis possedevano una palestra, il ginnasio, nel quale i giovani praticavano varie discipline, in particolare la lotta.


STUDIO ED ESERCIZIO FISICO Nell’antica Grecia i due pilastri attorno a cui si strutturava la formazione dei giovani erano la mente e il corpo. Mantenere sano il proprio fisico era considerato un aspetto fondamentale per conservare una mente attenta e in grado di servire gli interessi della polis.

SPORT OLIMPICI In questa scena alcuni giovani nudi praticano differenti attivitĂ sportive. Alle estremitĂ del vaso due allenatori controllano i progressi degli atleti: tre di questi impugnano un giavellotto mentre un altro si appresta a lanciare un disco.

RECITARE LA LEZIONE Questo frammento di un krater illustra una scena di ambito educativo. I ragazzi in piedi recitano la lezione a due insegnanti seduti su delle sedie pieghevoli. Uno di loro guarda un baule aperto, forse in procinto di prendere un papiro.

CULTO DEL CORPO Questo vaso mostra alcuni dei tanti esercizi fisici che i giovani praticavano in palestra per ottenere un corpo armonioso. Al centro della scena, due ragazzi lottano, mentre altri attorno a loro lanciano il disco o corrono.


ILLUSTRAZIONI: 1. KYLIX. 480 A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. S. MARÉCHALLE / RMN-GRAND PALAIS. 2. FRAMMENTO DI UN KRATER. 500-490 A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. T. QUERREC / RMN-GRAND PALAIS. 3. KYLIX. 510 A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. RMN-GRAND PALAIS.

1.

2.

3.


UNA CONQUISTA SANGUINOSA

In questa pagina, un soldato romano tiene tra i denti la testa di un guerriero nemico; nella pagina seguente, alcuni legionari si preparano a combattere. Rilievi della colonna Traiana, alzata in ricordo delle guerre daciche, nel 113 d.C. Le copie dei rilievi originali sono conservate a Roma, nel Museo della civiltĂ romana. SINISTRA: WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE. DESTRA: AKG / ALBUM


I GUARDIANI DI ROMA

LE LEGIONI DANUBIANE Sulle rive del Danubio si estendeva una lunga catena di basi legionarie, fortificazioni e torri: formava una potente cinta militare che proteggeva l’impero romano dagli attacchi del mondo germanico


C R O N O LO G I A

Vicino al mondo barbaro 6 d.C.

Durante la guerra contro i marcomanni, Tiberio innalza a centro strategico Carnuntum, che diventerà la principale roccaforte della frontiera danubiana.

86-89 d.C.

Domiziano attacca i daci, che gli infliggono due gravi sconfitte. L’imperatore si vede costretto a comprare la pace a Decebalo, il re dei daci.

101-102 d.C.

Traiano invade la Dacia, nell’attuale Romania. Le legioni vincono i daci. Decebalo si arrende e firma un trattato di pace con Roma.

105-106 d.C.

LE PORTE DI FERRO

Ignorando le condizioni del trattato, Decebalo attacca il territorio romano. Inizia una nuova guerra. Traiano occupa la Dacia e l’annette all’impero.

167-175 d.C.

Prima guerra marcomannica. Sotto Marco Aurelio, quadi, marcomanni e altri superano la frontiera danubiana, saccheggiano la Pannonia e la Mesia e assediano Aquileia.

177-180 d.C.

Seconda guerra marcomannica, contro marcomanni e sarmati. Nel 180 d.C., durante le operazioni al fronte, Marco Aurelio muore di peste a Vindobona (Vienna). SESTERZIO DI TRAIANO, L’IMPERATORE CHE CONQUISTÒ LA DACIA, L’UNICA PROVINCIA ROMANA SITUATA OLTRE IL DANUBIO. DEA / ALBUM

72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

È conosciuto con tale nome un tratto del Danubio che scorre attraverso un’angusta gola (sopra) e che segna la frontiera tra la Serbia (a sud) e la Romania.

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l primo imperatore di Roma, Ottaviano Augusto, portò a termine un piano di conquiste per riorganizzare le frontiere dello stato. Fu allora che le legioni romane si stabilirono lungo il Danubio. Per più di quattro secoli il fiume divenne la principale frontiera settentrionale dell’impero. I popoli al di là delle sue sponde, che i romani chiamavano spregiativamente, e senza distinzioni di sorta, “barbari”, erano la principale ragione di una simile frontiera fortificata. Il territorio imperiale li attraeva infatti irresistibilmente, poiché conteneva quelle favolose ricchezze (oro, argento, beni di lusso…) di cui potevano ottenere solo una piccola parte servendo nelle unità ausiliarie dell’esercito, commerciando, ricevendo dalla diplomazia di Roma i regali destinati a capi e a nobili, o emigrando all’interno dell’impero. Ma se ciò non avveniva, potevano rischiare la sorte e guadagnarsele con la forza. La frontiera fortificata serviva quin-


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TAVOLA PEUTINGERIANA. COPIA DELL’ORIGINALE, CONSERVATA PRESSO LA BIBLIOTECA NAZIONALE AUSTRIACA. ÖSTERREICHISCHE NATIONALBIBLIOTHEK, VIENNA.

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CARTINA ROMANA

di a proteggere l’impero dalle incursioni e a controllare il flusso di persone e merci. In caso di attacco, le torri e i forti permettevano di scoprire per tempo la minaccia e di tenerla a bada in attesa di rinforzi, affinché il nemico potesse essere affrontato e vinto nella modalità preferita dall’esercito romano: lo scontro in campo aperto. Eredi di una tradizione militare particolarmente aggressiva che risaliva al periodo repubblicano, durante le guerre i romani ricorrevano spesso a operazioni offensive contro i barbari. Erano operazioni nelle quali l’esercito dava sfoggio di una terribile violenza: i legionari uccidevano, stupravano e rendevano schiavi in maniera indiscriminata, e non con il fine ultimo di eliminare i barbari, bensì con quello di costringerli a firmare un trattato di pace.

Lo spiegamento dell’esercito L’esercito di terra romano era composto dalle legioni, che potevano contare su circa cinquemila soldati, e dalle truppe ausiliarie, divise

LA CARTA DI PEUTINGER, o Tavola peutingeriana (copia del XII-XIII sec. di una una carta romana del IV sec.), segnala montagne, mari, fiumi, città e strade. In questo particolare: parte della penisola italica 1, il mar Adriatico 2 e i domini balcanici dell’impero, con il Danubio 3 come frontiera. Lungo le sue sponde, tra le basi spiccano Singidunum (Belgrado) 4 o Viminacium (Kostolac) 5.

in diversi tipi di unità (coorti e ali) di fanteria, cavalleria e miste, ognuna delle quali riuniva tra i cinquecento e i mille uomini. Alle truppe si aggiungevano i distaccamenti di origine barbara, costituiti da circa duecento uomini, che si armavano e combattevano secondo gli usi dei propri popoli e non nello stile romano. Le forze sul Danubio potevano inoltre avvalersi dell’appoggio di due flotte: una pattugliava il fiume dalla fonte sino alle cateratte delle Porte di Ferro (nell’attuale Serbia), e l’altra controllava il tratto finale sino al mare. Nei primi decenni della presenza romana a settentrione, ovvero fino alla metà del I secolo d.C., il punto caldo della frontiera si trovava lungo l’altro grande fiume, il Reno. Dal governo di

DOPO LA BATTAGLIA

I legionari assistono i compagni feriti dopo una battaglia contro i daci. Copia dei rilievi della colonna Traiana. DEA / SCALA, FIRENZE


XXXXXXXXX LA CITTÀ DELLA XXXXXX VITTORIA XXX

Vista dall’alto Nequassi re vend della aec fortificazione eatios esaddw di Adamclisi, evenda nella regione quidit di Dobrugia, etus qui in Romania. quidunt Traiano faces ea la volorem costruì nel punto in oluptiu cui ottenne ntiunti una grande diciminvittoria explaborrum, sui daci nel 102 d.C. Il ut volorem nome in latino, oluptiu Civitas ntiunti Tropaensium, dicimin allude al trofeo che explaborrum, l’imperatore vi eresse ut quoper oluptiu celebrare ntiunti il trionfo dicimin militare. explaborrum, ut volorem oluptiu ntiunti

Domiziano, però, i problemi si spostarono lungo il Danubio, dove sarmati e daci mettevano in pericolo i confini. Domiziano firmò la pace con il regno dacico, ma pochi anni più tardi Traiano decise di distruggerlo per estirparne la minaccia alla radice. Dopo ben due guerre, nel 106 d.C. incluse parte del loro territorio all’impero, creando la prima e unica provincia romana a nord del Danubio: la Dacia. In seguito all’annessione, quindi, un tratto considerevole del fiume non svolse più il ruolo di frontiera, e il confine fu spostato a nord della nuova provincia. Si cominciò a rendere stabile il limes: allora e durante il governo di Traiano le fortezze, prima edificate in legno e fango, divennero di pietra. Cinquant’anni più tardi, agli inizi del governo 74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AKG / ALBUM

INGEGNERI MILITARI

Traiano osserva la costruzione di un ponte durante le sue campagne in Dacia. Copia della colonna Traiana. Museo della civiltà romana.

di Marco Aurelio, i popoli germanici provenienti dal corso mediano del Danubio si spinsero a minacciare persino la parte settentrionale della penisola italica, e tra il 167 e il 180 d.C. l’imperatore intraprese una serie di campagne punitive passate ai posteri con il nome di Guerre marcomanniche. Tutti questi conflitti resero necessario un ingente schieramento di truppe romane lungo la frontiera. Augusto aveva posizionato sul Danubio solo cinque legioni e destinato non meno di otto al fronte del Reno, a quel tempo più problematico; Marco Aurelio, invece, si concentrò sul Danubio con nove legioni. Se a queste aggiungiamo le due dispiegate in Dacia, oltre al gran numero di unità ausiliarie della zona (che corrispondevano alla metà di quelle dell’esercito romano), possiamo far-


ERICH LESSING / ALBUM

TORRE DI AVVISTAMENTO RAPPRESENTATA SULLA COLONNA TRAIANA.

ci un’idea di quanto fosse divenuta importante la frontiera danubiana. La guarnigione del Reno era ormai costituita solamente da cinque legioni, e il Danubio era divenuto l’epicentro delle battaglie.

Le difese Le truppe occupavano un’ampia rete di fortificazioni, o castri, che servivano da alloggio per i soldati e da punti di difesa. La maggior parte presentava una pianta rettangolare, a volte quadrata, con gli angoli smussati. I centri più grandi erano le basi legionarie di Lauriacum (in Austria), Aquincum (in Ungheria) e Novae (in Bulgaria), di circa 20 ettari di superficie. Al loro interno queste comprendevano anche il quartier generale, la casa del comandante, le baracche, i granai, le stalle, i magazzini, un ospedale, le terme e le latrine. Le fortezze, invece, accoglievano una coorte – o due, in casi eccezionali – e riproducevano in piccolo la pianta delle basi legionarie. La superficie poteva variare tra

SULLA COLONNA DI TRAIANO appare una delle torri di avvistamento che l’imperatore fece costruire lungo il Danubio. Possiamo notare le onde dell’acqua; la torre, protetta da una palizzata e con un camminamento che la circonda al piano superiore; la legna impilata con cura, preparata per essere accesa al fine di mandare segnali alle postazioni vicine, e due pagliai con il cibo per gli animali.

uno e quattro ettari. Nelle fortezze erano presenti gli stessi edifici delle basi, anche se spesso mancavano l’ospedale e le terme. Vi erano poi i fortini, ancora più piccoli, probabilmente occupati dalle unità dei numeri e dai distaccamenti delle coorti. Venivano infine le torri, i cui occupanti non vi risiedevano in modo permanente e che avevano la sola funzione di vigilanza. A differenza delle barriere artificiali, come il vallo di Adriano in Britannia, nel quale le fortificazioni venivano erette a distanze fisse, sulle frontiere fluviali i castri risultavano disposti in modo irregolare, a seconda delle caratteristiche del terreno e, soprattutto, di quelle del fiume. Con i suoi 2.800 e più chilometri di lunghezza, il Danubio presenta una gran varietà di paesaggi, tra cui am-

LEGIONARIO ALLA FRONTIERA

Rilievo del trofeo di Traiano ad Adamclisi. Qui i daci vinsero i romani nel 92 d.C., e Traiano li sconfisse nel 102. Istanbul Arkeoloji Müzesi.

DEA / GETTY IMAGES

CALIN STAN / GETTY IMAGES

TORRE DI AVVISTAMENTO


TESTA DI MEDUSA IN BRONZO DORATO, PROVENIENTE DAL TEMPIO DI ESCULAPIO DI COLONIA ULPIA TRAIANA. SARMIZEGETUSA, CAPITALE DELLA DACIA ROMANA.

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dopo le guerre portate avanti da marco aurelio, il limes danubiano rimase la frontiera dell’impero, e i vari governanti lo rafforzarono con nuove fortificazioni. Tuttavia la situazione cambiò drasticamente con la sconfitta di Adrianopoli (378 d.C.), in cui buona parte dell’esercito dislocato nella metà orientale dell’impero fu annientata dai visigoti. Da quel momento le orde barbariche sarebbero penetrate nel territorio, obbedendo ai romani o attaccandoli. Per riorganizzare le legioni decimate, le truppe abbandonarono man mano il limes e vennero sostituite dai mercenari

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la storia del limes

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barbari, i foederati. A partire dal secondo decennio del V secolo d.C., il consolidarsi del potente regno unno sottrasse al controllo imperiale un vasto settore della frontiera. I romani non riuscirono a riprenderselo nemmeno dopo la morte di Attila, nel 453 d.C. Dalla metà del secolo il Danubio non fu più la frontiera settentrionale di Roma. Sulla colonna Antonina conservata nei Musei vaticani possiamo ammirare le immagini che riproducono il limes danubiano. RHEG RHEG IUM IUM Re ggi o Ca l a bri a

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LE PATTUGLIE DEL DANUBIO

ILLUSTRAZIONE: GIUSEPPE RAVA / OSPREY PUBLISHING

forse impiegate solo come navi ammiraglie. Per i trasporti comuni si usavano l’oneraria e l’actuaria. Sulle imbarcazioni lavoravano sia i marinai (nautae) sia i rematori (remiges) e l’equivalente romano della fanteria di marina: i milites classiarii.

TRAIANO S’IMBARCA A BRINDISI IN DIREZIONE DELLA DACIA. COPIA DELLA COLONNA TRAIANA. MUZEUL NAT,IONAL DE ISTORIE A ROMÂNIEI, BUCAREST.

DEA / ALBUM

le due flotte romane del Danubio svolgevano lungo il fiume le stesse funzioni delle legioni di terra: pattugliavano le sponde per controllare i movimenti di persone e beni e assicuravano la riscossione di tributi; inoltre trasportavano truppe e parte delle forniture di cui avevano bisogno. Potevano contare su diversi tipi di navi. Tra quelle da guerra vi era la liburna, una galera leggera che i romani avevano copiato dai pirati illirici. Aveva una lunghezza tra i 25 e i 30 m e circa 60 remi; si usava pure in una versione ridotta, di 20 m di lunghezza e 50 remi, adatta all’uso fluviale. Le grandi triremi, di 40 m di lunghezza e 120 remi, non erano frequenti e venivano

LIBURNA DEL II SECOLO D.C. LA RICOSTRUZIONE DI QUESTA PICCOLA E AGILE BARCA SI BASA SULLA DESCRIZIONE DELLO STORICO J.S. MORRISON, CON DETTAGLI ISPIRATI ALLA COLONNA TRAIANA.

78 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


LA «SEÑORA DE LOS DI FORO ROMANO LIBROS».SESHAT, AQUILEIA, NELL’ATTUALE COMPAÑERA DE THOT, PROVINCIA DI UDINE. INSCRIBE EN UNA RAMA TEMPLO DE LUXOR.

BALLOMAR CONTRO L’IMPERO

N TARGA / AGE FOTOSTOCK

el 168 d.C. un esercito di quadi e marcomanni, guidati dal re Ballomar, invase l’Italia settentrionale. Un’ondata di terrore scosse la penisola italica, dove da due secoli non entrava un’armata barbara. Gli invasori saccheggiarono la piccola città di Opitergium e, lì vicino, annientarono le truppe appena sopraggiunte. Quindi marciarono contro Aquileia, che resistette grazie alle mura. L’imperatore Marco Aurelio accorse in suo aiuto con un esercito riunito in tutta fretta, composto pure da gladiatori, mentre le legioni della Mesia scesero da nord per bloccare il passaggio ai barbari, che fuggirono ma furono intercettati e sconfitti sulle Alpi. I sopravvissuti guadarono il Danubio in ordine sparso: la crisi era passata.

i castri erano pochi, e per lo più situati alle due estremità della gola. Lo spazio tra le basi legionarie e i forti ausiliari era disseminato di torri e fortini. Ciononostante, lungo il Danubio e il Reno sono documentate meno costruzioni di quante ve ne fossero in altre frontiere fortificate, come ad esempio il vallo di Adriano. Sebbene una parte sia ormai andata perduta, si ritiene che i punti di sorveglianza fossero comunque ridotti perché la larghezza del fiume – mezzo chilometro in buona parte del suo percorso – costituiva di per sé un ostacolo per qualsiasi nemico.

In pace e in guerra La frontiera si trovava continuamente in pericolo, e lo possiamo intuire pure dalle opere degli storici romani, i quali davano DACE RAPPRESENTATO IN UNA SCULTURA ROMANA IN MARMO DEL II SECOLO D.C. MUSEO NAZIONALE ROMANO, ROMA.

DEA / ALBUM

pie valli, zone di montagna, gole anguste e un esteso delta. In generale, le basi legionarie erano collocate in luoghi strategici, così da controllare i principali punti di guado del fiume e le vie che mettevano in comunicazione l’impero con il “mondo barbaro”. Le basi e i forti venivano spesso costruiti là dove il Danubio incontrava i suoi affluenti, che divennero rotte di accesso al territorio romano perché le navi vi potevano attraccare con maggior facilità. In molti tratti del fiume i forti distavano tra i trenta e i quaranta chilometri, ma nella vasta pianura ungherese lo spazio si riduceva a venti chilometri. Nell’ansa del Danubio, a nord dell’attuale Budapest, davanti cioè al territorio dei sarmati, gli accampamenti erano ancor più ravvicinati, a soli otto o nove chilometri l’uno dall’altro. Altri tratti del fiume, invece, erano sorvegliati in modo sommario, come nella zona delle Porte di Ferro, dove per 130 chilometri il fiume scorre tra montagne scoscese. Essendo inaccessibile,


IL PONTE SUL GRANDE FIUME

Sulla destra della foto compare la città rumena di Drobeta-Turnu Severin. In primo piano possiamo apprezzare le fondamenta del forte che, su questa sponda del Danubio, proteggeva l’accesso al ponte, lungo più di un chilometro. Traiano lo fece costruire durante le guerre daciche. Davanti al forte, sul fiume, una struttura quadrata di cemento protegge i resti di un pilone. NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE / ALAMY / ACI



SEMPRE OCCUPATI

Questi legionari, protetti dalle armature nell’eventualità di un attacco a sorpresa, mietono il grano per consumarlo nelle terre dei daci durante l’offensiva dell’anno 106 d.C. Copia della colonna Traiana. Museo della civiltà romana, Roma.

82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

UN LARE DANZANTE

I lari erano divinità minori romane. Questo proviene da Sucidava, l’attuale Corabia, in Romania. Bronzo datato II-III sec. Muzeul Nat‚ional de Istorie a României, Bucarest.

piccolo lembo di terra tra i dieci e i venti chilometri di lunghezza. I romani, in ogni caso, non ignoravano il barbaricum, ovvero il cosiddetto “mondo barbaro”: la prima strategia di difesa era sempre costituita dalla diplomazia, e i romani s’immischiavano non poco nella politica interna dei gruppi germanici, all’interno dei quali spesso si formavano fazioni favorevoli o contrarie a Roma.

Lavori di ogni sorta

DEA / ALBUM

molta più enfasi agli scontri che alla vita quotidiana nei castri. Tuttavia, la realtà fu ben più complessa, e i periodi di pace si alternarono a quelli di guerra. Una recluta che avesse cominciato i suoi ventiquattro anni di servizio nel 30 d.C. avrebbe probabilmente dovuto affrontare le minacce dei briganti e qualche isolata incursione dei barbari; colui che, invece, li avesse cominciati nell’85 d.C. avrebbe potuto partecipare alle guerre di Domiziano e far fronte ai numerosi attacchi provenienti dal territorio germanico. A ogni modo, il Danubio non fu mai una frontiera chiusa. Ai barbari non era certo impedito l’accesso al territorio imperiale, ma piuttosto regolato e ridotto, poiché non potevano entrarvi a loro piacimento, armati o in gruppi numerosi. E l’esercito svolgeva proprio una di queste funzioni: controllare gli spostamenti. Le unità romane pattugliavano le due sponde del Danubio, anche se è probabile che nella parte settentrionale del fiume si limitassero a sorvegliare un

Al di là delle attività volte a controllare e a difendere, i soldati erano assillati da problemi ben più banali, e i loro sforzi andavano a soddisfare per lo più tali necessità. Difatti, malgrado una parte degli approvvigionamenti arrivasse da altre province, le varie


TIBERIU-CALIN GABOR / ALAMY / ACI AKG / ALBUM

SARMIZEGETUSA

unità dovevano provvedere da sole al sostentamento, coltivando i cereali e facendo pascolare le bestie. Alcuni soldati viaggiavano, a volte in zone molto lontane dalla base, per procacciarsi prodotti come vesti o cavalli. I legionari dovevano svolgere compiti non necessariamente legati alle questioni militari. Poiché l’impero non disponeva di forze di polizia, il mantenimento dell’ordine pubblico e la scorta ricadevano sui soldati stessi, che si occupavano pure di crimini, omicidi inclusi. Aiutavano inoltre nelle miniere o lavoravano a progetti civili come ponti, strade o acquedotti.

DURANTE LA CAMPAGNA del 105-106 d.C. contro i daci, le legioni di Traiano ne presero la capitale, Sarmizegetusa. Al suo posto venne fondata la colonia Ulpia Traiana Sarmizegetusa, i cui primi abitanti erano veterani delle guerre daciche. Tale sito, potentemente fortificato, divenne il centro della Dacia, l’unica provincia romana oltre il Danubio.

tendeva al raccolto, un altro esplorava e un terzo risultava “in spedizione”), due erano in viaggio nelle lontane Gallie per procurarsi vesti e cereali, un altro ancora si trovava sui monti Haemus alla ricerca di bestiame; infine, un ultimo gruppo era distaccato nelle miniere della Dardania. Il papiro egizio fornisce anche notizie delle perdite subite: il fatto che in quei tempi di pace fossero morti due soldati, uno in uno scontro con i banditi e un altro «in combattimento» (con i barbari, probabilmente), dimostra come la violenza fosse sempre presente lungo il Danubio.

La fotografia del riquadro superiore mostra il frammento di una strada costruita nell’antica capitale del regno dacico, Sarmizegetusa.

BORJA PELEGERO STORICO E ARCHEOLOGO

Il papiro egizio È per merito di un papiro rinvenuto in Egitto che conosciamo oggi l’ampio ventaglio di attività cui si dedicavano i soldati di un’unità ausiliare distaccata sul Danubio agli inizi del II secolo d.C. Oltre a prestare servizio nella base, sorvegliavano altri due forti e scortavano funzionari imperiali. Tre gruppi si trovavano a nord del Danubio (uno sovrin-

L’IMPRONTA DEI DACI

Per saperne di più

SAGGI

Barbari Alessandro Barbero. Laterza, Roma-Bari, 2006. Barbari Peter S. Wells. Lindau, Torino, 2017. ROMANZI

Danubio Rosso Alessandro Defilippi. Mondadori, Milano, 2016. Dalle steppe asiatiche al limes danubiano: i Sarmati e Roma Alessandro Alberghina. De Ferrari editore, Genova, 2017.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CARNUNTUM: DA FORTEZZA A Petronell, a 42 km a est di Vienna, si trova Carnuntum, il centro difensivo i resti di carnuntum, oggi conservato sotto campi e vigneti, sono studiati dal 2012 dal Ludwig Boltzmann Institute for Archaeological Prospection and Virtual Archaeology (LBIArchPro) in collaborazione con altre istituzioni. Grazie a metodi non invasivi come il georadar e la fotografia aerea, si sono scoperti spazi come il ludus, o scuola dei gladiatori, posto vicino a uno dei due anfiteatri della città, e le tracce di uno dei più antichi accampamenti romani della zona.

Strada che univa Carnuntum a Vindobona (Vienna).

Città di Carnuntum

Ludus (scuola dei gladiatori). Disposto due metri sotto il livello del mare, occupava un’area di 11mila m2.

LA NASCITA DI UNA CITTÀ DI FRONTIERA La presenza romana nella zona iniziò con la costruzione di una base provvisoria che non è ancora stata localizzata. Risaliva ai tempi di Tiberio, verso il 6 d.C. All’epoca dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.) fu, invece, eretta una base legionaria permanente. In pochi anni, e come spesso accadeva in questi casi, vi crebbe attorno un insediamento urbano: la canaba, abitata da chi si occupava dei bisogni dei soldati (artigiani, commercianti, prostitute...), dalle loro famiglie e dai veterani, ma amministrata dall’esercito. Con Domiziano (81-96 d.C.) fu eretto un forte ausiliario per

accogliere un’ala della cavalleria. Era questa una pratica comune, che permetteva di avere a disposizione non solo le truppe legionarie, ma anche un piccolo esercito di circa 5mila fanti e seicento cavalieri, capaci di far fronte alla maggior parte dei problemi sulla frontiera. Quindi, verso la fine del I secolo d.C., fu fondata la città di Carnuntum, che divenne presto la capitale della nuova provincia, la Pannonia superiore. Durante le Guerre marcomanniche, l’imperatore Marco Aurelio vi risiedé per tre anni (172-175 d.C.), e fu lì che scrisse parte dei famosi Pensieri.


ILLUSTRAZIONI: 7REASONS / IKANT / LBI ARCHPRO

LEGIONARIA A CITTÀ romano più importante sul limes del Danubio superiore

Base legionaria permanente

Forte ausiliario

FOTOS: DEA / ALBUM

Canaba (insediamento civile all’esterno della fortezza legionaria).

UN ANTICO ACCAMPAMENTO Al di fuori della città romana, sotto l’insediamento urbano che sorse lungo la strada per Vienna, sono stati rinvenuti i resti di uno dei più antichi accampamenti romani della zona di Carnuntum. Si trovava sulle sponde del Danubio e occupava una superficie di 57.600 m2, l’equivalente di sei campi da calcio. L’immagine a sinistra è una sua ricostruzione.


LA ROMA MEDIEVALE

Questo affresco del palazzo Ducale di Mantova rappresenta Roma nel Medioevo. Le mura circondano le rovine degli antichi monumenti e le chiese che avrebbero fatto della cittĂ il centro del cristianesimo. SCALA, FIRENZE

L A C I T TĂ€ S A N TA N E L P R I M O G I U B I L E O

LA ROMA DEI Nel 1300 pellegrini da tutta Europa accorsero a Roma per approfittare


PELLEGRINI dell’indulgenza plenaria concessa dal pontefice Bonifacio VIII


IL PAPA BONIFACIO VIII

SCALA, FIRENZE

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tupefacente doveva apparire Roma a un pellegrino del nord Europa che la raggiungesse arrivando dalla via Flaminia o dalla via Francigena in occasione del primo giubileo della storia, indetto da papa Bonifacio VIII nel 1300. La vista dai colli romani si apriva su un fiume di viaggiatori che, incolonnati, convergevano verso una città gigantesca circondata da un’alta cerchia di mura, piantata al centro di una campagna arida e di pascoli secchi. Dentro spiccavano alberi e foreste frammentate da palazzi e monumenti ricoperti di vegetazione, con un affascinante skyline di centinaia di torri costruite fra il XII e il XIII secolo dalle famiglie più ricche.

I pellegrini e le pellegrine (almeno un terzo erano donne) erano chiamati “romei” e per la maggior parte viaggiavano a piedi, i più ricchi a cavallo e le famiglie su carri carichi di bagagli. Entravano in città dalla porta Pinciana in un turbinio di genti e lingue diverse, come descrivono i cronisti e come testimoniato dalle monete straniere lasciate in offerta nei luoghi sacri. Già attraversando il Pincio si rendevano conto che Roma, benché desolata e decaduta, era ancora così imponente da mettere soggezione. I giardini dell’età classica si erano trasformati in pascoli e vigne di proprietà di poche famiglie che avevano costruito le proprie residenze usando come fondamen-

1300 I GIUBILEI A ROMA

88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Dal balcone del palazzo del Laterano il pontefice benedice i pellegrini durante il primo giubileo di Roma. Affresco della basilica di San Giovanni in Laterano, Roma.

BONIFACIO VIII indice il primo anno santo. I pellegrini devono visitare varie basiliche nel corso di 15 o 30 giorni. Si stabilisce la celebrazione dei giubilei ogni cento anni.

1350 NEL 1343 CLEMENTE VI

convoca il secondo anno santo. La bolla viene resa pubblica solo nel 1349, e indice il giubileo per l’anno 1350. La cadenza diventa di 50 anni.

1389 URBANO VI proclama

il terzo giubileo per il 1390, dieci anni prima del previsto. Viene stabilita una nuova cadenza di 33 anni, l’età in cui morì Cristo.


LA TORRE DELLE MILIZIE

Dietro i mercati di Traiano sorge quest’antica torre, costruita agli inizi del XIII secolo e poi acquisita dalla potente famiglia Caetani, cui apparteneva papa Bonifacio VIII. Nel 1348 un forte terremoto provocò il crollo dell’ultimo piano e le conferì una leggera pendenza. ANNA SERRANO / FOTOTECA 9X12

1423 MARTINO V, la cui elezione

al soglio pontificio nel 1417 pose fine allo Scisma d’occidente, riporta il papato a Roma e convoca il primo giubileo della Chiesa riunita.


IL GIUBILEO, UN ANNO PER IL PERDONO DEI PECCATI SIGILLO DI PAPA BONIFACIO VIII

Diritto e rovescio del sigillo papale di Bonifacio VIII, che fu pontefice dal 1295 al 1303. Centre Historique des Archives Nationales, Parigi. IL PRIMO GIUBILEO

BRIDGEMAN / ACI

ta gli edifici romani, com’era in uso da secoli. Un esempio: il mausoleo di Augusto trasformato in un forte di difesa nel XII secolo dalla famiglia Colonna.

Da San Pietro agli alberghi Era sufficiente seguire la fiumana per arrivare a San Pietro e, forse, ci si sarebbe potuti imbattere in Dante che in un passo dell’Inferno avrebbe impresso un particolare di quei giorni. Nel descrivere la processione di due schiere di peccatori la paragonava alla moltitudine che durante il giubileo percorreva il ponte di castel Sant’Angelo, e che aveva costretto le autorità a stabilire un doppio senso di marcia per evitare gli imbottigliamenti. Davanti ai pellegrini si stagliava appunto castel Sant’Angelo che da diversi secoli appariva come un gigantesco dongione fortificato; in origine era il mausoleo dell’imperatore LE CATENE DI SAN PIETRO ESPOSTE NELLA CHIESA DI SAN PIETRO IN VINCOLI. ALAMY / ACI

Questo acquerello del XVII secolo riproduce l’affresco della basilica lateranense in cui Bonifacio VIII benedice la folla dopo aver aperto il giubileo.

Adriano, ora invece apparteneva alla famiglia degli Orsini. Infine, ecco la basilica di San Pietro, pressoché la stessa di quasi mille anni prima, costruita dall’imperatore Costantino, e che verrà smantellata per fare posto a quella attuale, consacrata nel 1626. Era una basilica di età classica, a cinque navate, con un ampio quadriportico sulla facciata. I pellegrini si mettevano in fila per ammirarne le reliquie, in particolare la Veronica, il telo che, secondo la tradizione, portava impresso il volto di Gesù dopo che una donna glielo aveva asciugato, sanguinante, mentre saliva al Calvario (della Sindone conservata a Torino si comincerà a parlare solo qualche decennio dopo). Arrivare a Roma significava trovarsi faccia a faccia con il Redentore. Ad aspettare fuori erano radunati gli albergatori, che cercavano di accalappiare i pellegrini. Infatti, finita la visita sacra, occorreva trovare presto un riparo per la notte perché le tenebre nascondevano

SCALA, FIRENZE

ORONOZ / ALBUM

LA SERA DEL PRIMO GENNAIO 1300 una folla immensa invase la basilica di San Pietro dopo che era girata la voce che una “perdonanza” straordinaria sarebbe stata concessa prima della mezzanotte. Il moto popolare crebbe nella convinzione che l’indulgenza sarebbe durata per tutti i giorni di quel primo anno del secolo, provocando così affluenze record anche nelle settimane successive. Bonifacio VIII assecondò gli eventi e il 22 febbraio del 1300 promulgò l’apertura del primo anno santo, il primo giubileo, tra l’altro retrodatando l’inizio al 24 dicembre 1299: concedeva l’indulgenza plenaria a tutti i romani che avessero visitato la basilica di San Pietro o di San Paolo per trenta giorni - o ai pellegrini per quindici giorni. La notizia dilagò nel mondo cristiano in poche settimane.



Sant’Agnese Fuori le Mura

Colli di Roma Rovine romane

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

PORTA DEL POPOLO PORTA SALARIA

PORTA PINCIANA

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TERME DI DIOCLEZIANO

San Silvestro in Capite San Lorenzo in Lucina

QUIRINALE

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VIMINALE

CAPITOLINO

Via Aurelia

San Pietro in Vincoli

PORTA SAN PANCRAZIO

Santa Cecilia in Trastevere

PALATINO Santa Maria in Cosmedin

Santi Giovanni e Paolo

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San Lorenzo Fuori le Mura

PORTA TIBURTINA

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Castel Sant’Angelo (Mausoleo di Adriano) San Pietro

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Chiese PALATINO

TERME DI TRAIANO

San Clemente Quattro Santi Coronati San Giovanni in Laterano

PORTA ASINARIA

AVENTINO

PORTA SAN PAOLO

TERME DI CARACALLA

PORTA LATINA

PORTA DI SAN SEBASTIANO

CHIESE, BASILICHE E RELIQUIE: L’ITINERARIO DI UN PELLEGRINO A ROMA San Paolo Fuori le Mura

el 1300 papa Bonifacio VIII proclamò il primo giubileo e offrì l’indulgenza plenaria a tutti coloro che si recavano in pellegrinaggio a Roma e visitavano almeno la basilica di San Pietro e quella di San Paolo Fuori le Mura. Questo provocò un massiccio afflusso di pellegrini desiderosi di ottenere la remissione dei peccati. Molte delle oltre 900 chiese di Roma – alcune delle quali sono indicate sulla mappa qui sopra – custodiscono al loro interno preziose reliquie, che i pel-

legrini andavano a venerare. Dopo aver pregato davanti alla tomba di san Pietro nell’omonima basilica, ci si recava a San Paolo Fuori le Mura, per rendere omaggio alla catena che legò l’apostolo Paolo durante il suo domicilio coatto a Roma. Ma il devoto poteva trovare molti altri cimeli di santi e martiri in vari edifici religiosi della città. In San Giovanni in Laterano, ad esempio, si trovano ancor oggi alcuni degli oggetti più preziosi, come i reliquiari con le teste dei santi Pietro e Paolo, i resti della scala santa,

ia Via App

verso San Paolo Fuori le Mura

l’ombelico santo e un pezzo di legno del tavolo dell’ultima cena. A Santa Maria Maggiore ci sono le reliquie della sacra culla e della mangiatoia. A San Silvestro in Capite si trova un frammento della testa di san Giovanni Battista. A San Pietro in Vincoli si possono venerare le catene di san Pietro e a Santa Maria in Cosmedin si conserva un reliquiario San Sebastiano Fuori le Mura con il cranio di san Valentino. Alcune di queste chiese sono veri e propri gioielli artistici, come quelle di Santa Maria e Santa Cecilia in Trastevere, le cui absidi sono decorate con splendidi mosaici d’ispirazione bizantina del XII e XIII secolo. Tutto ciò ha contribuito nei secoli a consolidare l’immagine di Roma come Nuova Gerusalemme e principale centro di pellegrinaggio della cristianità dopo la perdita della Terra Santa.


IN PREGHIERA DAVANTI ALLE RELIQUIE

Un folto gruppo di pellegrini, alcuni dei quali malati, venerano la tomba di san Sebastiano a Roma. Olio di Josse Lieferinxe. XV secolo. SCALA, FIRENZE


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DA TEATRO A CASTELLO ille anni dopo la fine dell’epoca classica, Roma aveva radicalmente modificato il suo aspetto, ma le vestigia del suo passato glorioso erano ancora ben visibili, come testimonia questa ricostruzione di un quartiere romano intorno al 1300. La zona corrisponde a un’area dell’antico Campo Marzio, dove un tempo sorgeva il teatro di Balbo. Nel corso dei secoli, sulle tribune erano sorte delle abitazioni private 1. Dietro la scena c’era un complesso quadrangolare 2 che in precedenza accoglieva il criptoportico dove

il pubblico si riuniva nelle pause tra gli spettacoli. Dal IX secolo il teatro e il portico furono trasformati in una fortezza, il castrum aureum, che ospitava le residenze di importanti famiglie, un convento e una chiesa. All’estrema destra dell’illustrazione si scorge il profilo rettangolare 3 di un altro reperto dell’antica Roma: il tempio delle Ninfe, circondato da un portico. Al centro passa via delle Botteghe Oscure 4, che prende il nome dai negozi e dai laboratori scarsamente illuminati che sorgevano sotto gli archi del teatro di Balbo.


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© 2001 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI ROMA. REALIZZAZIONE EDITORIALE DI ELECTA, MILANO. ELEMOND EDITORI ASSOCIATI. SUPERVISIONE SCIENTIFICA: MIRELLA SERLORENZI, DANIELE MANACORDA. ILLUSTRAZIONE: INKLINK


ANNUNCIAZIONE. MOSAICO DI PIETRO CAVALLINI. XIII SECOLO. SANTA MARIA IN TRASTEVERE, ROMA.

SCALA, FIRENZE

pericoli e briganti. Alberghi, rifugi e anche B&B del tempo erano sorti dovunque, «i romani tutti si eran fatti albergatori» scrisse Matteo Villani per il successivo giubileo del 1350. Ci sono giunti molti nomi di alberghi che offrivano vitto e alloggio in grandi camerate: nella zona di campo dei Fiori c’era solo l’imbarazzo della scelta: la locanda della Campana o della Corona, l’osteria del Cavallo o del Leone, e tante altre. Molte dovevano essere gestite da donne le quali, nelle classi più agiate ma anche nelle famiglie più modeste di mercanti, sapevano leggere e fare di conto, qualità indispensabili per portare avanti gli affari della famiglia quando gli uomini si assentavano per lavoro o guerra. I pellegrini più poveri dovevano accontentarsi invece di letti improvvisati nelle povere e sudicie case dei privati, in un viavai turbinoso sfruttato da approfittatori,

di cui Buccio di Ranallo dirà: «Se mostravano angeli, et poi erano cani». Al mattino i pellegrini potevano cominciare, rinfrancati, la visita di quella Roma straordinaria di cui avevano sentito tanto parlare. Usciti dalla locanda si veniva travolti dagli odori e dai rumori della città: versi di animali, crepitii di carri, scalpiccio di cavalli, rintocchi di campane, urla dei mercanti che rivaleggiavano con quelle dei banditori del comune. I maiali, spazzini onnivori delle città medievali, erano dappertutto. Era facile perdersi; le dritte e levigate strade della Roma classica, senza manutenzione da secoli, erano diventate vicoli e sentieri dalle pietre sconnesse e la vegetazione cresceva indisturbata nell’abbandono. Le rovine classiche erano spesso inglobate nelle costruzioni medievali: lo stadio di Domiziano era già piazza Navona, il teatro di Pompeo era la base per case abusive, il teatro di Marcello era diventato una fortezza. A est, attorno a Santa Maria Maggiore, si era formato un piccolo agglomerato urbano circondato da vigne e orti che arrivavano fino alle mura settentrionali, scavalcando le

CRISTO CROCIFISSO. XIII SECOLO. PROVENIENTE DALLA CHIESA DI SAN TOMMASO AI CENCI, ROMA.

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CHIESE E FABBRICHE uesta ricostruzione è un ingrandimento di una parte specifica del castrum aureum, il complesso fortificato sorto nel Medioevo sulle rovine dell’antico teatro di Balbo e del suo criptoportico. Si può vedere la via che separava il teatro vero e proprio dallo spazio porticato quadrangolare. Qui fu costruita la chiesa di Santa Maria Dominae Rosae 1, forse fondata da una

signora di nome Rosa, della quale non si hanno ulteriori informazioni. Successivamente la chiesa andò in rovina e fu ricostruita nel XVI secolo con il nome di Santa Caterina dei Funari, in riferimento ai fabbricanti di funi che nel Medioevo si concentravano nella zona. La chiesa aveva un campanile e un convento annesso. L’area ospitava anche delle calcare 2 , ovvero dei

forni da calce, che erano ancora alimentati con materiali da costruzione dell’antica Roma, dato che la calce si ottiene dalla cottura a temperatura elevata della pietra calcarea. Oggi la Crypta Balbi (parte del Museo nazionale romano) permette di ammirare l’evoluzione di questo complesso nel corso dei secoli. © 2001 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI ROMA. REALIZZAZIONE EDITORIALE DI ELECTA, MILANO. ELEMOND EDITORI ASSOCIATI. SUPERVISIONE SCIENTIFICA: MIRELLA SERLORENZI, DANIELE MANACORDA. ILLUSTRAZIONE: INKLINK


LE MIGLIORI GUIDE TURISTICHE DELL’EPOCA ROMA, UN MICROCOSMO

COME SCEGLIERE cosa visitare e dove avventurarsi in città dipendeva dal

In questa miniatura del libro Très riches heures du Duc de Berry sono visibili le principali attrazioni della Roma del XV secolo. Musée Condé, Chantilly.

tipo di Mirabilia Urbis che si aveva con sé. Erano simili a guide turistiche e contenevano la lista dei luoghi sacri e dei monumenti della Roma classica, possibilmente in chiave cristiana, ma anche le informazioni sulle strade, i mercati dove comprare stoffe, pellicce, vasellami, dove fermarsi per le soste e le migliori osterie. Davano anche la lista delle numerose reliquie di Roma: esempi notevoli erano i legni della mangiatoia che aveva accolto la nascita di Cristo o le catene di Pietro usate durante la sua prigionia romana, ma c’erano anche le spine della corona, il legno della croce del buon ladrone, l’iscrizione posta sopra la testa di Gesù, il dito di san Tommaso e tante altre.

SANTA MARIA IN COSMEDIN

rovine delle terme di Diocleziano e il vecchio castro militare, abbandonato da secoli. A ovest invece, a Trastevere gli artigiani si erano riuniti per confraternite da cui poi le vie prenderanno il nome odierno, come via dei Vascellari per i vasellai. Andando verso sud il brusio cresceva fino a diventare un frastuono di voci, urla e colpi di utensili: venivano dal mercato del Portico di Ottavia, uno spaccato della vita quotidiana e dei mestieri della Roma del 1300. Qui i pellegrini potevano rifornirsi di ogni cosa: c’erano i ferrari, lavoratori del ferro battuto, i calzolai, i sellai, i tornitori, i macellai ma anche i fabbricanti di oggetti di uso quotidiano come bottiglie, pettini e bauli. E poi i giubbonari e i farsettai che vendevano vestiti già confezionati e, SCALA, FIRENZE

98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ovviamente, ai lati delle strade anche i mercanti di reliquie. I souvenir sacri andavano dalle immagini sante ai memorabilia, come l’olio che bruciava sull’altare di Pietro, o pezzi di ossa trafugate dalle tombe dei santi. Per ultimi, i cambiavalute, attirati da tanti forestieri bisognosi di moneta locale. Attorno ai mercati non mancava il chiasso dei bambini, i figli dei mercanti, dei compratori o piccoli vagabondi che cercavano di rubare un pezzo di pane. Giocavano legando le zampette di un passerotto da tenere al guinzaglio oppure con giocattoli familiari anche ai giorni nostri, come fischietti a forma d’uccello, tegami e brocche in miniatura, minuscoli salvadanai, soldatini di cavalieri. E poi c’era la guerra con spade di legno, il nascondino o anche il gioco della palla servendosi di una mazza, una specie di hockey sull’erba. Dietro al Campidoglio, i pellegrini attraversavano un bosco che nascondeva il cuore della Roma classica: i Fori e il colle del Palatino, la residenza degli imperatori, ma in uno stato di completo abbandono, usati da anni come cava per prelevare il materiale di costruzione e le decorazioni per le ville dei nobili. Nel XIV

DISTINTIVO DEL PELLEGRINO, CON LA CROCE E LE EFFIGI DEI SANTI PIETRO E PAOLO. BRITISH MUSEUM.

MAUI01 / GETTY IMAGES

FINE ART / ALBUM

Una spettacolare torre di sette piani affianca questa chiesa romana di origine paleocristiana ricostruita nel XII secolo.



I PELLEGRINI ARRIVANO A ROMA. CRONICHE DI GIOVANNI SERCAMBI. XIV SECOLO. ARCHIVIO DI STATO, LUCCA.

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

Torri e luoghi sacri La Roma classica lasciava spazio a quella medievale dietro il mercato di Traiano dove svettava la torre delle Milizie, un esempio dell’incastellamento cominciato nel X secolo. Bonifacio VIII comprò la torre, alta circa 50 metri e rivestita di laterizio, dalla famiglia Annibaldi l’anno seguente, nel 1301. Come molte altre torri anche questa stava perdendo la connotazione militare a favore di quella simbolica di centro di potere attorno alla quale si disponevano gli edifici abitati dai membri della famiglia. Queste aree si allargarono fino a inglobare persino piazzette e vie. I pellegrini proseguivano in direzione dell’Aventino e del Celio per raggiungere il Laterano, la residenza ufficiale del papa, dove erano conservati dei reperti eccezionali: le teste di Pietro e Paolo, la tavola su cui Gesù aveva 100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

consumato l’ultima cena e la scala santa che aveva salito per comparire dinanzi a Ponzio Pilato, trasportata intera da Gerusalemme. Quella del 1300 era una Roma al confine fra due epoche, che attraversava un momento di crescita economica anche aiutata dal crescente turismo, che la stava trascinando fuori da un periodo difficile di guerre interne. Nonostante fosse una città abitata ininterrottamente da duemila anni, l’agglomerato urbano poteva contare ancora su una popolazione molto meno numerosa di quella di Firenze e Bologna. Era ricca di monumenti in rovina sulle cui fondamenta sorgevano chiese, borghi pericolanti e roccheforti di famiglie nobili in continua guerra fra di loro. Un terreno perfetto per la Roma dei papi che la porteranno presto nel Rinascimento facendole ritrovare prestigio, popolazione e centralità nell’Europa che si stava disegnando. GIORGIO PIRAZZINI STORICO

Per saperne di più

SAGGI

Al cuore del primo Giubileo Federico Canaccini. Lateran University Press, Roma 2016. Roma medievale (A cura di) A. Vauchez. Laterza, Roma-Bari, 2015

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

secolo questi luoghi erano conosciuti come Campo Vaccino, ossia luogo per il pascolo delle vacche, oppure come Calcarium, dove si trovavano i materiali per fare la calce, vale a dire il marmo macinato in polvere. Passeggiando per le stesse strade qualche decennio dopo, Petrarca notava che quella città «così grande [sembrava] deserta per la vastità».


SANTA MARIA IN TRASTEVERE

Navata centrale della basilica, nel quartiere di Trastevere. L’abside ospita alcuni splendidi mosaici del XII secolo, con scene dell’incoronazione di Maria, e altri del XIII secolo con scene della vita di Maria, opera di Pietro Cavallini.


NELLA VALLE SACRA

Vista del canyon dell’Urubamba dalla cittadella inca di Machu Picchu, a 600 metri di altezza dal fiume. GÜNTHER BAYERL / LOOKPHOTOS / GTRES


VILCABAMBA IL REGNO PERDUTO DEGLI INCA La conquista di Cuzco da parte degli spagnoli non portò alla fine della resistenza inca, che rimase viva per ben quarant’anni nel cuore delle Ande


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Costruito a Cuzco sul tempio inca del Sole, il Coricancha. Le sue fondamenta sono visibili sul muro curvo in primo piano.

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UN IMPERO SMISURATO

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in dai tempi antichi, nei territori andini vivevano diverse etnie. Alcune di queste erano molto potenti, ma non riuscirono a evitare che, nella seconda parte del XIII secolo, si stabilissero sul loro territorio gli inca, un popolo proveniente da Taipicala, nell’odierna Bolivia, e che in una delle valli fondassero un nuovo insediamento: Q’osqo, “l’Ombelico”. Il nome sarà poi trasformato in Cuzco o Cusco: lì Manco Capac proclamò re sé stesso e i suoi discendenti, stabilì le prime leggi di governo e si dichiarò rappresentante del dio Sole sulla terra. Erano gli inizi del Tahuantinsuyo: questo il nome, in lingua quechua antica, del

ULTIMI INCA RIBELLI

104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

territorio governato dagli inca. A partire del nono monarca, Pachacúti Yupanqui, e del figlio Túpac Yupanqui, gli inca ebbero nell’America meridionale un ruolo simile a quello che ebbe Roma in Europa, sia per la grande espansione sia per l’unità culturale che imposero alle regioni sottomesse. Il loro regno, o impero, si estendeva dal fiume Ancasmayo, in Colombia, al fiume Bío-Bío, in Cile, e comprendeva le attuali repubbliche di Ecuador, Perù, Cile, nonché i territori dell’Argentina nord-occidentale. Gli inca riuscirono a sorvegliare e a garantire l’ordine grazie al controllo di un esercito potentissimo, severo e disciplinato. Tuttavia nel 1534 furono sufficienti 168 uomini stranieri per

1532 ATAHUALPA, l’ultimo imperato-

re inca e i suoi vengono sconfitti da Francisco Pizarro. Nel 1529 il territorio aveva preso il nome di Nuova Castiglia, e poi di vicereame del Perù.

1536 GLI INCA si ribellano, assedia-

no per più di un anno Cuzco e Ciudad de los Reyes (Lima). Non riuscendo a vincere gli spagnoli, nel 1537 si ritirano a Vilcabamba e fondano un altro regno.

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1572 IL VICERÉ TOLEDO manda

un esercito che fa prigioniero Túpac Amaru. L’inca è giustiziato a Cuzco, e da allora le tracce del regno ribelle si perdono tra le brume di Vilcabamba.

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I sovrani inca governarono un impero che si estendeva lungo i 4.000 km delle Ande, e che poteva contare su circa 12 milioni di abitanti.


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1911 INIZIANO le prime spedizioni

per trovare la capitale ribelle, Vilcabamba la Vieja o la Grande. Si studiano i resti di Espíritu Pampa. Nel 2016 Lugargrande è proposta come sua possibile ubicazione.

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I GRANDI SOVRANI

Quest’albero genealogico del XVIII secolo mostra gli inca dal primo re, Manco Capac, fino a Atahualpa, vinto dagli spagnoli. IL FONDATORE DELL’IMPERO

Manco Capac in un manoscritto della Storia generale del Perù, opera di Martín de Murúa. 1616. The J. Paul Getty Museum, Los Angeles. CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE

FRANCISCO PIZARRO, CONQUISTATORE DEL PERÙ, IN UN’INCISIONE OLANDESE DEL 1673. AKG / ALBUM

inca si aggiunse poi un altro fattore decisivo: appena videro quegli uomini stranieri in sella ad animali sconosciuti li scambiarono per viracocha, gli dei bianchi con la barba. La resistenza fu perciò quasi nulla quando, il 16 novembre 1532, Atahualpa venne fatto prigioniero dallo spagnolo Francisco Pizarro e dai soldati che lo accompagnavano.

Nasce la resistenza Una volta superato lo sconcerto iniziale, gli abitanti andini cominciarono a ribellarsi agli invasori. Poiché la situazione stava diventando particolarmente tesa, l’astuto Francisco Pizarro, che governava in nome dell’imperatore Carlo V, nominò sovrano Túpac Huallpa o Toparpa, un principe di Cuzco figlio di Huayna Cápac, perché facesse da intermediario tra lui e i molti popoli del Tahuantinsuyo. Pensò che questi si sarebbero rabboniti, ma non fu così. Ben presto, poi, il nuovo sovrano fece avvelenare il generale di Atahualpa, Chalcochima. Morti e saccheggi generarono un forte clima d’insicurezza nella Nuova Castiglia, come venne chiamato il Tahuantinsuyo, e nel 1533 Pizarro provò a placare gli animi eleggendo re un altro fratello del defunto Atahualpa. Il

PAUL GETTY MUSEUM / BRIDGEMAN / ACI

abbattere il grande stato e prendere il possesso, con una scarsa resistenza, dei suoi estesi territori. Nel crollo del popolo inca giocò un ruolo fondamentale lo scontro per il trono, che dal 1527 vide contrapposti Huáscar e Atahualpa, i due figli del grande monarca Huayna Cápac. Tale lotta aveva fatto parecchie vittime, tra cui membri delle panaca, o famiglie reali, governatori delle città e perfino lo stesso Huáscar, l’erede designato. Il popolo era quindi rimasto orfano del suo re e alla mercé del vincitore Atahualpa, che era considerato uno straniero. Difatti, aveva trascorso buona parte della sua vita a Quito, al nord del Tahauntinsuyo. Alla confusione che regnava tra gli



SAN FR ANCISCO DEL Y ESO KIMBIRI

Espíritu Pampa

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UN REGNO TRA LE NUVOLE Nella Storia generale del Perù, Martín de Murúa descrive la città di Vilcabamba. Lì «aveva casa l’inca. Il palazzo tutto era dipinto con una gran varietà di pitture, ed era davvero notevole». La residenza era splendida «cosicché in quelle lande lontane […] quasi non sentivano gli inca nostalgia dei regali, della grandezza e della sontuosità di Cuzco», perché gli indigeni gli portavano quanto volevano «per la loro gioia e il loro godimento, e ci rimanevano quindi con piacere».

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LA FORTEZZA INCA DI SACSAYHUAMÁN DIFENDEVA CUZCO. QUI I RIBELLI ASSEDIARONO GLI SPAGNOLI NEL 1536. FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK

FLAUTISTA. FIGURA INCA IN ARGENTO PROVENIENTE DAL PERÙ. SECOLI XIII-XVI. GRANGER / ALBUM

ma non fece ritorno. Attaccò e uccise gli spagnoli residenti negli avamposti vicini e poi convocò 200mila indigeni per schierarli vicino a Cuzco. Correva l’anno 1536. L’assedio durò tredici o quattordici mesi. Le truppe di Manco stavano per annientare gli invasori, che però ebbero la meglio. La ribellione inca non andò a buon fine neppure quando, nello stesso periodo, il generale Quiso Yupanqui cinse d’assedio Ciudad de los Reyes, l’attuale capitale del Perù, Lima.

Il regno della selva Manco Capac II non si diede per vinto. Riunì i sudditi e gli comunicò che aveva deciso di intraprendere una nuova guerra dalla selva di Vilcabamba. Si trattava di una zona dall’orografia molto complessa situata a 175 chilometri da Cuzco e colonizzata dai suoi avi sin dal regno del decimo sovrano Túpac Yupanqui. Manco partì quindi verso Vilcabamba in compagnia di un nutrito seguito, si stabilì nella città di Vitcos e iniziò un’attività di guerriglia: l’esercito di fedeli attaccava i passanti e distruggeva le case dei contadini. Gli spagnoli erano determinati a eliminare i focolai di rivolta. Nel 1539 Gonzalo Pizarro, altro fratello di Francisco, attaccò

ALEX ROBINSON / AWL IMAGES

principe prese il nome di Manco Capac II e nei primi tempi lottò a favore degli spagnoli contro le armate di Quito. Tuttavia, dopo aver assunto il potere cambiò opinione, ma scelse comunque di nascondere il suo obiettivo: restaurare il regno degli avi. Nel frattempo gli stranieri avevano fondato diverse città in stile spagnolo, in cui le classi indigene ricoprivano un ruolo importante perché lavoravano per loro; Manco Capac II intuiva quindi che sarebbe stato molto difficile cacciare gli invasori, anche perché il suo potere come inca non era effettivo, bensì fittizio, e dipendente da Francisco Pizarro. Un giorno si allontanò da Cuzco con il pretesto di portare una statua in oro massiccio a Hernando Pizarro, fratello del più noto Francisco,


CHOQUEQUIRAO

Nel XIX secolo Antonio Raimondi, un geografo italiano naturalizzato peruviano, esplorò questo territorio andino e pensò che si trattasse di Vilcabamba la Grande. Oggi si tende a scartare tale ipotesi.



MACHU PICCHU

Nel 1909 lo statunitense Hiram Bingham III giunse per la prima volta in PerĂš, determinato a trovare Vilcabamba. Nel 1911, durante una nuova spedizione, raggiunse Machu Picchu. SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12


L’ASSASSINIO DI MANCO CAPAC II MANCO CAPAC II, il primo inca di Vilcabamba, aveva qui accolto sette

UOMINI D’ACCIAIO

A destra, elmo usato dai soldati spagnoli. La superiorità degli armamenti fu decisiva per la conquista del Perù. IL CENTRO DEL POTERE

ORONOZ / ALBUM

spagnoli appartenenti alla fazione di Diego de Almagro; i sette avevano già assassinato Francisco Pizarro ed erano fuggiti temendo una possibile vendetta. Manco si fidava talmente di loro che gli affidò delle donne perché li servissero, e condivideva con loro la tavola e i momenti di svago. Un giorno arrivò da Cuzco un meticcio con un messaggio per i sette ospiti, con ogni probabilità una promessa di perdono se avessero ucciso Manco. Una servitrice sentì quanto stavano tramando e lo riferì ai capi inca, che denunciarono il complotto. Manco non gli diede retta e, ingannato dal meticcio, mandò i suoi uomini a Cuzco, credendola indifesa. Mentre giocavano al lancio del ferro di cavallo, gli spagnoli accoltellarono Manco con le armi che nascondevano negli stivali e provarono a uccidere pure Titu Cusi che, a soli 10 anni, dovette assistere alla morte del padre. Gli assassini furono presi e uccisi (alcuni, arsi vivi).

ALBUM

Vitcos, sterminò molti uomini di Manco e, anche se questi riuscì a scappare, ne fece prigioniero il figlio, il piccolo Titu Cusi Yupanqui. Da allora il sovrano inca non si sentì più al sicuro e, assieme alla sua gente, si diresse verso Quito. Tuttavia, giunto a Huamanga, l’attuale Ayacucho, si rese conto che gli spagnoli erano ovunque e tornò nella zona di Vilcabamba, dove fondò alcune città, tra cui Vilcabamba stessa, che designò capitale del regno. Manco Capac II governò fino al 1544, quando fu assassinato da alcuni spagnoli e un meticcio cui aveva dato asilo.

Nella plaza de Armas di Cuzco furono giustiziati Atahualpa – nel 1533, morto per garrota – e Túpac Amaru – decapitato nel 1572.

Lasciò tre figli: due legittimi, Sayri Túpac e Túpac Amaru, e uno illegittimo, Titu Cusi Yupanqui. Sin da subito il successore, Sayri Túpac, iniziò a lottare contro gli spagnoli, ma il viceré Andrés Hurtado de Mendoza si adoperò perché abbandonasse la selva, si trasferisse nella Valle Sacra degli Inca e a Vilcabamba tornasse la pace. Pace che non durò molto, perché Titu Cusi Yupanqui si proclamò nuovo sovrano e riprese la guerra. Gli spagnoli avviarono nuove trattative e nel 1568 ottennero che i missionari potessero recarsi nella zona a predicare il Vangelo.

LAMINA D’ORO SBALZATO. ARTE INCA. MUSEO DE AMÉRICA, MADRID. ORONOZ / ALBUM

114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Molti abitanti di Vilcabamba furono battezzati, tra cui lo stesso Titu Cusi Yupanqui, che nel 1570 scrisse al re Filippo II un documento in cui giustificava la ribellione del suo popolo e reclamava diritti in quanto discendente del Tahuantinsuyo. Titu Cusi Yupanqui si ammalò d’improvviso, per spegnersi poi nell’arco di sole ventiquattr’ore. Alcuni cronisti raccontano che morì per una polmonite; altri che fu avvelenato dai suoi capitani, contrari all’idea di abbandonare la selva e cadere in mano agli spagnoli. Gli successe sul trono Túpac Amaru, l’erede

FRANCK GUIZIOU / GTRES

La fine di Vilcabamba



GLI INIZI DI UN’ESPLORAZIONE

ALLA RICERCA DI VILCABAMBA LA VIEJA A METÀ DEL XIX SECOLO nacque l’interesse per

NGS / AURIMAGES

la capitale perduta degli inca. Dopo la visita a Choquequirao del francese conte di Sartigni, l’italiano Antonio Raimondi pensò che le rovine di

BINGHAM ORGANIZZÒ CINQUE SPEDIZIONI IN PERÙ: NEL 1909, 1911, 1912, 1914 E 1915. NELLA FOTOGRAFIA, ECCOLO VICINO A UN PETROGLIFO NELLA VALLE DE MAJES, 1912.

BINGHAM E I MEMBRI DELLA SPEDIZIONE DEL 1911, CON IL PROFILO DEL NEVADO COROPUNA SULLO SFONDO. NGS / AURIMAGES

quella città corrispondessero a Vilcabamba la Vieja. Nel 1911 lo statunitense Hiram Bingham III intraprese nuove ricerche nella stessa zona. Arrivò a Rosaspata e ipotizzò che corrispondesse a Vitcos, altra città inca ribelle. Visitò pure Espíritu Pampa e affermò che le sue rovine non appartenevano alla capitale di Vilcabamba, ma si convinse di averla trovata non molto lontano, a Machu Picchu. Nel 1943 il nativo di Cuzco Luis Ángel Aragón tornò a interessarsi ai resti di Espíritu Pampa, e circa vent’anni dopo gli esploratori Antonio Santander Caselli e Gustavo Alencastre credettero che potessero appartenere a Vilcabamba. Inoltre gli esploratori Gene Savoy e John Hemming pubblicarono alcuni lavori che fecero conoscere l’importanza di Espíritu Pampa; dopo due spedizioni del 1976, pure il professor Edmundo Guillén pensò che si trattasse della capitale dell’impero inca. Infine l’architetto Vincent R. Lee, dopo ulteriori spedizioni, effettuò dei prospetti topografici e ricostruì i resti archeologici.

BINGHAM FOTOGRAFATO SULLE ROVINE DI MACHU PICCHU DURANTE LA SPEDIZIONE DEL 1911.


Medía 37,5 m de largo por 9,3 de ancho. La parte central estaba formada por un gran arco abovedado de 10,8 m de alto y 5,7 de ancho, y a cada lado se abría un arco abovedado de 5 metros de altura cada uno.

BETTMANN / GETTY IMAGES

1 EL GRAN ARCO

GENE SAVOY (1927-2007) L’esploratore e archeologo dilettante statunitense Douglas Eugene Gene Savoy scoprì più di quaranta siti incaici e preincaici in Perù, dove effettuò la sua prima spedizione nel 1957. Savoy visitò Espíritu Pampa e si convinse che le sue rovine corrispondevano a Vilcabamba la Vieja. Tuttavia si è poi scoperto che la strada per la città seguiva il corso del fiume Pampaconas, diretto verso ovest, mentre Espíritu Pampa si trova vicino a un altro fiume, il Concebidaioc, che scorre verso nordovest. Inoltre, accedere a Espíritu Pampa è facile, mentre le cronache affermano che 2 LAS COLUMNAS 3 NICHOS LATERALES Vilcabamba si trovava Las columnas centrales descansaban Las estructuras laterales estaban in un luogo quasi sobre una base que seguía el diseño formadas por cuatro columnas con inaccessibile. ático y sobre un soporte decorado capiteles corintios, adosadas en tres con hojas de SAVOY acanto. Cada una de cuartos y apoyadas sobre pedestales. SULLE ROVINE GRAN PAJATÉN, los UNO dos las columnasDIflanqueaba Los arcos de la parte inferior ceñían una DEI PIÙ IMPORTANTI SITI pequeños arcos abovedados. bóveda formada por un muro ciego. ARCHEOLOGICI DEL PERÙ.

ILUSTRACIÓN 3D: JOSEP RAMON CASALS

ALAMY / ACI

HIRAM BINGHAM III (1875-1956) Nativo delle Hawaii, figlio di missionari e laureato all’Università di Yale, Bingham arrivò a Machu Picchu il 24 luglio 1911, durante le ricerche di Vilcabamba la Vieja. Avrebbe proposto diverse spiegazioni per l’insediamento: sia che fosse la capitale originale degli inca sia che fosse un rifugio delle mamacunas, le vergini del Sole, dopo la morte di Túpac Amaru nel 1572.


L’ESECUZIONE DI TÚPAC AMARU A sinistra, Túpac Amaru in catene, in un quadro del XVIII secolo. Lo imprigionò il capitano Martín de Loyola a circa 240 km da Vilcabamba. DECAPITAZIONE DELL’INCA

ORONOZ / ALBUM

IL 21 SETTEMBRE 1572 Túpac Amaru, l’ultimo inca di Vilcabamba, entrò a Cuzco. Gli spagnoli lo avevano fatto prigioniero il mese prima, e ora lo portavano legato con una catena d’oro. Lo seguivano la famiglia e i capitani, e infine le mummie di Manco Capac e Titu Cusi, il primo e il terzo sovrano di Vilcabamba. Tra i tesori che gli avevano sottratto vi era una figura d’oro, il Punchao, nella quale era conservata la polvere dei cuori dei re inca. Il prigioniero si convertì al cattolicesimo per evitare di essere arso vivo. Salì sul patibolo indossando sul capo la mascapaicha, la corona che simboleggiava il potere reale. Fu decapitato, e dopo di lui morirono i comandanti. La testa rimase esposta nella plaza de Armas per il pubblico dileggio ma, poiché la gente vi si inchinava davanti, il viceré Toledo la fece rinchiudere nella cripta della chiesa di Santo Domingo, dove era stato sepolto il corpo.

IL RE INCATENATO

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CERAMICA INCA A FORMA DI SERPENTE, RITROVATA NELLA ZONA DI LIMA. SECOLI XIII-XVI. GRANGER / ALBUM

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dove, in seguito a un processo, fu decapitato nella plaza de Armas. Il viceré ordinò poi di fondare un governatorato e di stabilire a Vilcabamba una nuova capitale: San Francisco de la Victoria. Tuttavia, poiché gli autoctoni credevano che fosse un luogo insalubre e che si trovasse troppo lontano dalla zona delle miniere, la spostarono in un altro posto, dove esiste ancora oggi con il nome di Vilcabamba la Nueva, che dopo l’indipendenza del Perù venne annessa alla provincia di La Convención. A quell’epoca il regno degli inca ribelli era giù caduto nell’oblio perché, con il passare del tempo, la selva si era impadronita delle strade e delle città che gli ultimi signori del Tahuantinsuyo avevano fatto costruire nel cuore delle Ande. MARÍA DEL CARMEN MARTÍN RUBIO CURATRICE DI SOMMA E NARRAZIONE DEGLI INCA, DI JUAN DE BETANZOS DIRETTRICE SCIENTIFICA DELLA SPEDIZIONE “JUAN DE BETANZOS-VILCABAMBA 97”

Per saperne di più

SAGGI E GUIDE

La fine degli incas John Hemming. BUR, Milano, 2016. L’impero inca Michael E. Moseley. Newton&Compton, Roma, 2006. Il cammino inca Richard Danbury. FBE, Trezzano sul Naviglio, 2006.

MUSÉE DU QUAI BRANLY / JACQUES CHIRAC / RMN-GRAND PALAIS

legittimo, che Titu Cusi Yupanqui aveva tenuto rinchiuso nella casa delle Vergini del Sole, una sorta di comunità monastica per le donne consacrate alla divinità. A quei tempi il viceré del Perù era Francisco de Toledo, cui Filippo II aveva intimato di porre fine all’insurrezione. Il viceré mandò un messaggero a Vilcabamba al fine d’intavolare trattative, ma i guerrieri inca lo uccisero prima che potesse parlare. Quando Toledo lo seppe, armò un esercito di 250 uomini e alla fine del maggio 1572 lo inviò nella selva al comando di Martín Hurtado de Arbieto. Il 24 giugno uno dei suoi capitani, Martín García Óñez de Loyola, prese possesso della capitale e catturò Túpac Amaru che, vedendosi accerchiato, diede l’ordine d’incendiare la città. Il sovrano inca fu portato a Cuzco

Il boia di Túpac Amaru fu un indio cañari, che gli tagliò la testa in un sol colpo. Miniatura del Codice Murúa. XVII secolo. Musée du quai Branly, Parigi.



LE MONTAGNE DEGLI INCA

Panoramica della cordigliera di Vilcabamba, con vette che superano i 6.000 metri di altezza. GÜNTHER BAYERL / LOOKPHOTOS / GTRES

COPERTINA DI UN’EDIZIONE DEL 1880 DI SOMMA E NARRAZIONE DEGLI INCA, LA CRONACA DI JUAN DE BETANZOS CHE HA ISPIRATO LA SPEDIZIONE “JUAN DE BETANZOS-VILCABAMBA 97”. ORONOZ / ALBUM

SPEDIZIONE “JUAN DE BETANZOS-VILCABAMBA 97”

LE ULTIME SCOPERTE (TESTO DI M. DEL CARMEN MARTÍN RUBIO)

IL MIO INTERESSE PER IL REGNO DI VILCABAMBA

è sorto nel 1987, quando ho scoperto le memorie di Juan de Betanzos, Somma e narrazione degli inca. Poiché diversi capitoli raccolgono dati interessanti e nuovi, ho deciso di lavorarvi e ho pure curato il documento di Titu Cusi Yupanqui in un libro dal titolo All’incontro di due mondi: gli inca di Vilcabamba. Ho inoltre studiato un documento del viceré Francisco de Toledo in cui questi indicava le strade per arrivare dai ribelli, e altri dati forniti dai cronisti Calancha e Murúa che mi hanno spinto a studiare la geografia del regno perduto. Da quei rapporti s’intuisce che Espíritu Pampa non poteva essere la capi-

tale di Vilcabamba, perché non possedeva le caratteristiche descritte nelle cronache. Tali stimoli, alimentati dall’entusiasmo del giornalista e storico Santiago del Valle, mi hanno spinto a preparare la spedizione “Juan de Betanzos-Vilcabamba 97”, in omaggio al cronista che fu pure mediatore tra gli inca ribelli e la monarchia spagnola. Dopo aver camminato diversi giorni per territori impervi, abbiamo trovato Pampaconas, una delle grandi città dell’agglomerato urbano di Vilcabamba – allora non catalogata dall’Istituto nazionale di cultura del Perú –, e quindi la fortezza di Rangalla. L’anno dopo Santiago del Valle ha organizzato un’altra spedizione,


GORDON WILTSIE / GETTY IMAGES

rovine rinvenute nel 2015 dai fratelli Miguel e Rafael Gutiérrez Garitano presso Camballa, vicino Vilcabamba la Nueva. Lì, assieme a canali d’irrigazione e ai resti di case, è stata scoperta una piattaforma da cerimonia dedicata al culto degli Apu, i monti sacri che fornivano l’acqua necessaria per fertilizzare i campi. Tali vestigia appartengono senz’altro all’enigmatica società inca. Poiché Santiago del Valle crede che i ritrovamenti di Lugargrande possano guidare alla città di Vilcabamba, li sta studiando all’interno di un programma finanziato dal ministero della cultura del Perù. Se tale ipotesi verrà confermata, sarà finalmente aperta al pubblico l’ultima roccaforte india, che testimonia un momento magnifico e glorioso del mondo andino.

FRANCISCO DE TOLEDO, IL VICERÉ CHE ORDINÒ DI GIUSTIZIARE TÚPAC AMARU NEL 1572. ILLUSTRAZIONE DELLA NUOVA CRONACA E BUON GOVERNO, DI GUAMÁN POMA DE AYALA. ORONOZ / ALBUM

ILUSTRACIÓN 3D: JOSEP RAMON CASALS

CAMELIDE, SICURAMENTE UN LAMA. FIGURA INCA IN ARGENTO DI 5,1 CM DI ALTEZZA. 1400-1553.

ALBUM

e presso Lambras ha scoperto diversi recinti nonché una coltivazione agricola. Il successivo ritrovamento, nell’Archivio delle Indie di Siviglia, dell’Atto della Presa di Vilcabamba redatto dal cronista Sarmiento de Gamboa nel giugno 1572, ha consentito di scoprire che Vilcabamba si trovava in un posto chiamato Patibamba, vicino Marcanay. In successive esplorazioni, svolte assieme agli archeologi del ministero della cultura del Perù, Del Valle ha trovato a Lugargrande – a 80 km da Machu Picchu – strade, grandi camminamenti, terrazzamenti e resti di mura e recinti bruciati che potevano essere appartenuti alla capitale. Un’altra testimonianza del territorio ribelle sono le


GRANDI SCOPERTE

Timgad, la grande città romana del nord Africa Nel 1765 James Bruce scoprì nel deserto algerino le rovine di Timgad, una delle città romane più importanti della regione

Timgad

TUNISIA

MAROCCO ALG E RIA

MAL I

esploratori quali Thomas Shaw, e che erano incontaminate. James Bruce si rese conto di non possedere gli strumenti necessari per il tipo di spedizione che sperava di portare a termine; scrisse quindi in Italia affinché gli mandassero una camera oscura e dei giovani esperti di architettura e disegno. Alla spedizione si unì perciò un apprendista disegnatore, il fiorentino Luigi Balugani, e nell’agosto 1765 i due partirono da Algeri alla volta di un territorio sconosciuto:

1765

Il viaggiatore e scrittore scozzese James Bruce e il disegnatore Luigi Balugani arrivano a Timgad.

1774

la costa berbera, un insieme di regioni tradizionalmente popolate dagli amazigh (noti come berberi, termine che deriva da “barbari”). I viaggiatori ignoravano che lungo il percorso avrebbero scoperto alcuni dei gioielli archeologici più impressionanti dell’Africa settentrionale. VISTA GENERALE delle

Una città misteriosa «Una piccola città piena di edifici eleganti». Con tali parole James Bruce descrisse quanto osservò al suo arrivo a Timgad nella mattina del 12 dicembre 1765. Bruce e Balugani furono i primi europei a visitare quel luogo misterioso, situato ai confini settentrionali del massiccio montuoso dell’Aurès. Ma Bruce non sapeva che sotto i suoi piedi, sepolta dal tempo, giaceva una delle città romane più importanti

Al ritorno in Inghilterra, Bruce pubblica i testi e i disegni su Timgad e sulle altre rovine.

1875

IVAN VDOVIN / AGE FOTOSTOCK

F

ino alla seconda metà del XVIII secolo le conoscenze sul passato romano dell’Algeria erano quasi inesistenti. Solo grazie all’Illuminismo e alla moda dei viaggi culturali da parte degli intellettuali europei venne portata alla luce la ricchezza della civiltà classica nel Maghreb. Uno dei protagonisti di tale riscoperta fu James Bruce, nativo di Kinnaird, viaggiatore e scopritore scozzese che giunse in Algeria come console britannico nel marzo 1763, dopo aver trascorso sei mesi a studiare il mondo classico in Italia. Tra i suoi nuovi compiti figurava quello di esaminare le antiche rovine romane in Algeria, di cui avevano già dato notizia precedenti

rovine della città romana di Timgad, in Algeria. Sullo sfondo è visibile l’arco monumentale eretto in omaggio all’imperatore Traiano.

del nord dell’Africa: l’antica Thamugadi, un magnifico esempio di urbanistica romana. L’aveva fondata l’imperatore Traiano nel 100 d.C. per accogliere i veterani della Legio III Augusta, i

Il console Robert Lamber Playfair visita Timgad e descrive con precisione i suoi monumenti.

1881

Il Service des Monuments Historiques parigino scava a Timgad fino al 1960.

JAMES BRUCE NATIVO DI KINNAIRD. RITRATTO DI POMPEO GIROLAMO BATONI. 1762. NATIONAL GALLERY OF SCOTLAND, EDIMBURGO. BRIDGEMAN / ACI


UN GIORNO A TIMGAD NEL SUO Travels in the footsteps of Bruce in

quali avrebbero così potuto controllare la frontiera con gli amazigh e il territorio della Numidia. Per prima cosa Bruce e Balugani disegnarono i resti di un arco trionfale e passarono poi la notte nei dintorni del luogo. L’arco era una porta monumentale, dedicata a Traiano, che permetteva l’accesso alla città dalla sua parte occidentale. Il giorno dopo i due viaggiatori tornarono a Timgad per disegnare un tempio co-

rinzio, e Bruce annotò sul suo diario: «L’arco si trova a nord-est (del tempio). Le rovine dell’anfiteatro, a nord-ovest. Tra le rovine dell’arco e quelle dell’anfiteatro abbiamo trovato un tempio di cui rimane un solo lato. Ne ho copiate due iscrizioni». Deciso a preservare il passato, Bruce riprodusse un busto di Faustina, la moglie dell’imperatore Antonino Pio, e seppellì il disegno nel luogo dove aveva trovato un’iscrizione e i resti

Algeria and Tunis (“Viaggi sulle orme di Bruce in Algeria e a Tunisi”), Playfair dedica un capitolo alla visita di Timgad. Era accompagnato da un capo tribale amazigh, Si Bou-Dhiaf, che gli offrì un’ospitalità degna del suo nome (“padre degli invitati”). Originario di una stirpe di alto lignaggio, Bou-Dhiaf si vantava di discendere dai romani. A Timgad Playfair e la sua guida si accamparono proprio in mezzo alle rovine, «il che ci permise di approfittare di ogni minuto per esaminare il sito». THE UNIVERSITY OF ST. ANDREWS, SCOTLAND / BRIDGEMAN / ACI

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Biblioteca, offerta alla città forse nel III secolo da Marco Giulio Quinziano Flavio Rogaziano. Terme settentrionali, situate nei dintorni della città.

Porta nord, costruita verso il 100 d.C. Da lì iniziava il cardo massimo, la strada che portava al foro.

Tempio del Genio della colonia, eretto da Marco Aurelio nel 169 d.C.

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Terme orientali

Arco di Traiano


TIMGAD, IL GIOIELLO DEL DESERTO GLI SCAVI DI TIMGAD hanno portato alla luce la sua pianta quadrata, il cui lato era lungo 355 metri. Man mano Timgad si espanse in modo variabile: se il centro urbano rimase caratterizzato da isolati regolari con case simili, nell’area periferica vennero costruite ville lussuose, templi e un campidoglio. Sorsero pure numerosi mercati, negozi, vie porticate, un teatro e delle latrine monumentali. Fino a oggi sono stati rinvenuti più di dodici complessi termali a uso pubblico. ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

Teatro in grado di accogliere cinquemila spettatori.

Terme meridionali, erette fuori le mura.

Foro

Campidoglio

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

IL TEATRO ROMANO

GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS

di Timgad osservato dal lato occidentale. Fotografia scattata nel 1893. Bibliothèque de l’Institut de France, Parigi.

di un elegante pavimento in marmo. Le sue annotazioni e i suoi disegni dimostrano come a quei tempi la città fosse quasi sepolta. Dopo aver visitato le rovine, i due proseguirono il proprio cammino attraverso le terre algerine. Al ri-

torno in Inghilterra nel 1774, Bruce presentò al re Giorgio III due dei tre volumi (uno lo tenne con sé perché incompleto) con i disegni di Timgad e delle altre rovine scoperte durante il viaggio. Tuttavia, i resti dell’abitato sarebbero presto caduti di nuovo nell’oblio. Fu necessario attendere più di un secolo perché nuove spedizioni ravvivassero

l’interesse scientifico per la città di Timgad.

La riscoperta Nel 1875 il console generale britannico d’Algeria, Robert Lambert Playfair, decise di seguire le orme di James Bruce. All’arrivo a Timgad si rese conto dell’importanza della città, di cui scoprì nuove vestigia. E così descrisse con dovizia di par-

Timgad venne fondata da Traiano perché vi s’insediassero i veterani della Legio III Augusta BUSTO DI MINERVA CHE DECORAVA LA PARTE SUPERIORE DI UN CARRO. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS

ticolari come l’anfiteatro scoperto da Bruce fosse in realtà un teatro, e il vicino tempio, il foro. Nell’ultimo quarto del XIX secolo vennero rinvenute a Timgad numerose iscrizioni e sculture, e diversi europei si spinsero nelle terre algerine con l’obiettivo di raggiungere l’antica città. Sebbene la Gran Bretagna potesse vantarsi di aver scoperto l’antica Thamugadi, la storia del sito archeologico ebbe una svolta inattesa per merito della Francia. Difatti, in seguito alla meticolosa e accurata descrizione delle rovine da parte del professore Émile Masqueray,


il Service des Monuments Historiques parigino iniziò a interessarsi alle rovine di Timgad e decise di finanziare gli scavi di quanto ancora giaceva sotto le sabbie del deserto. Le operazioni iniziarono in modo sistematico nel 1881, e fino al 1960 hanno permesso di portare definitivamente alla luce quei segreti sepolti per secoli: la città era talmente ben conservata che ha ricevuto il nome di “Pompei dell’Africa”.

Un’oasi strategica Nell’antichità Timgad divenne una sorta di oasi urbana nel bel mezzo di una zona arida, attraendo ben

presto le comunità vicine. Il suo periodo di splendore risale agli anni compresi tra il 125 e il 225 d.C., quando ospitava una popolazione di più di 15mila abitanti. Ai primi del novecento è stata persino scoperta una biblioteca monumentale che probabilmente accoglieva fino a tremila manoscritti. Verso la fine del III secolo e durante il IV, la città continuò a svolgere un ruolo essenziale nella zona della frontiera meridionale dell’impero. L’archeologia ha confermato l’eterogeneità religiosa delle sue genti: sono state trovate testimonianze sia del tradizionale

DEA / ALBUM

MOSAICO che rappresenta il dio Nettuno su una quadriga trainata da cavalli marini. Archeological Museum, Batna.

paganesimo romano sia della presenza di nuove sette cristiane, tra cui il donatismo. E in effetti a Timgad risiedeva il vescovo donatista Ottato, con cui si scontrò sant’Agostino a causa delle note divergenze teologiche. La crisi generale delle frontiere romane, sopraggiunta alla fine del IV secolo, colse in pieno Timgad. Dopo il suo saccheggio a opera dei vandali nel V secolo, la città andò in rovina, e in tale stato la trovarono i bizantini quando si addentrarono nella regione. Timgad tornò a popolarsi come centro cristiano, e tra il 539 e il 540 venne costruito un bastione

difensivo fuori dalla città, ma un successivo saccheggio da parte degli amazigh finì per annientare per sempre la perla romana, poi ricoperta dalle sabbie del Sahara. Prima di tale eclissi, Timgad era stata ricca, gaudente e vivace. Ne dà testimonianza l’iscrizione che un suo abitante aveva inciso su una delle lastre del foro per i futuri visitatori: «Cacciare, andare alle terme, giocare, ridere. Questa sì che è vita!». —Rubén Montoya Per saperne di più Timgad (World Heritage List) whc.unesco.org/en/list/194/

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA MANIFATTURE

ARTE BAROCCA

Due donne al timone del ducato

T MARIA GIOVANNA BATTISTA DI SAVOIA NEMOURS.

Palazzo Madama, Torino. MADAME REALI: CULTURA E POTERE DA PARIGI A TORINO

Cristina di Francia e Giovanna Battista di Savoia Nemours (1619-1724) Palazzo Madama, Torino fino al 6 maggio 2019 www.palazzomadamatorino.it

ra XVII e XVIII secolo, nella corte sabauda due dame reali vivono tra lussi e mondanità, sfruttando la reggenza dei figli per esercitare il potere. Cristina, figlia del re di Francia Enrico IV, arriva da Parigi a Torino nel 1619. Ha 13 anni ed è la sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia. Rimasta vedova nel 1637 assume la reggenza del figlio Carlo Emanuele. Cristina ama le feste e i balletti e con lei s’impone il “vestire alla francese”: è un trionfo di guanti profumati e abiti ricamati, pizzi d’argento e oro, ma soprattutto del

merletto. Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, proveniente dalla corte di Luigi XIV, assume la reggenza del figlio Vittorio Amedeo II fino al 1684. Affronta le carestie del periodo 1677-1680 istituendo un monte di prestito e l’ospedale di San Giovanni Battista. Per la sua residenza di Palazzo Madama, invita l’architetto messinese Filippo Juvarra a realizzare il grande scalone d’onore, capolavoro del Barocco europeo. Con oltre 120 opere, la mostra ricostruisce la biografia delle due dame reali tra potere, mode e devozione religiosa.

STORIA ROMANA

IL GRANDE ANNIBALE TORNA IN ITALIA NEL 218 A.C. Annibale varcò

le Alpi e invase la penisola dando avvio alla Seconda guerra punica. Sul fiume Trebbia l’esercito romano, guidato dai consoli Publio Cornelio Scipione e Sempronio Longo, fu sconfitto e costretto a riparare a Piacenza. Qui nel 217 a.C. ci furono due battaglie, la prima fatale per Roma, la seconda con centinaia di perdite su entrambi i fronti. Duemila anni dopo Palazzo Farnese dedica una mostra 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

CAFFETTIERA Manifattura Du Paquier, Vienna. 1725 ca. Porcellana dipinta in policromia e argentata.

I FRAGILI TESORI DEL MARCHESE di Sesto Fiorentino furono all’avanguardia del gusto europeo settecentesco. Nel 1737 il marchese Carlo Ginori chiamò al suo servizio il pittore austriaco Wendelin Anreiter de Ziernfeld. L’artista, specializzato in porcellane, fu ingaggiato per 600 fiorini all’anno per sei anni, più casa e vitto per lui, sua moglie e i loro 13 figli. La produzione che ne scaturì è il nucleo centrale della mostra, a testimonianza dell’energia imprenditoriale di Ginori e della magnificenza della porcellana durante il granducato di Toscana sotto la dinastia lorenese. LE PORCELLANE

HANNIBAL PASSANT LES ALPES, 1881, Benedict

Masson. Musée des Beaux-Arts de Chambery, Francia.

di reperti storici e artistici all’uomo che sfidò Roma e all’importanza strategica della città di Piacenza, limes dell’Italia romana.

ANNIBALE. UN MITO MEDITERRANEO Palazzo Farnese di Piacenza Fino al 17 marzo 2019 www.annibalepiacenza.it

LE VIE DELLA PORCELLANA TRA VIENNA E FIRENZE Tesoro dei Granduchi di Palazzo Pitti Fino al 10 marzo 2019 www.uffizi.it


IN ED ICO LA

Speciale Storica. Archeologia

I TEMPLI DELL’ANTICO EGITTO Ricostruzioni in 3D di Abu Simbel, Luxor e Karnak

IL NUOVO REGNO fu l’epoca di maggior espansione dell’Egitto faraonico. I grandi sovrani

delle dinastie XVIII e XIX lo trasformarono in una potenza internazionale. La sua principale divinità, Ammone, il cui centro di culto si trovava a Tebe, fu onorata con magnificenza, come attesta il continuo ampliamento dei templi di Luxor e Karnak. Con l’esaltazione di Ammone e delle altre divinità, i faraoni accrescevano la loro stessa figura, come Ramesse II rese evidente soprattutto ad Abu Simbel. In edicola dal 29 dicembre. Prezzo 9,90¤


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ANNI

ALLA SCOPERTA DEI TESORI DELL’ANTICHITÀ STORICA NATIONAL

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GEOGRAPHIC compie 10 anni. Vogliamo festeggiare l’evento con un numero speciale, che includerà una galleria dei monumenti più spettacolari del nostro passato. Rigorose ricostruzioni in 3D riveleranno com’erano originariamente luoghi come la biblioteca di Celso a Efeso, il palazzo di Persepoli, i templi di Borobudur a Giava o le città maya nell’epoca del loro massimo splendore.

Traffico di mummie egizie

L’ORIENT EXPRESS, TRENO DI LUSSO

A lungo usate per ottenere medicinali, nel settecento le mummie iniziarono a suscitare la morbosa curiosità degli europei. In seguito divennero oggetto di studio.

DAL 1883 Parigi e Istanbul vennero collegate da un treno leggendario dal nome suggestivo: l’Orient Express. Durante la Belle Époque, i suoi lussuosi vagoni, che s’ispiravano ai migliori hotel del mondo, fecero da sfondo a serate eleganti a base di cene prelibate, amori clandestini e ogni sorta d’intrighi diplomatici. Al suo fascino non resistettero le teste coronate né artiste come Mata Hari e Marlene Dietrich.

Il sumero decifrato La prima lingua scritta della storia era rimasta nel dimenticatoio per quattromila anni, fino a che Henry Rawlinson iniziò l’impresa titanica di decifrarla.

I pirati del Mediterraneo Esistono testimonianze scritte di atti di pirateria nel Mediterraneo di oltre tremila anni fa, ma fu in epoca greca e latina che il fenomeno esplose.

Catari, la nascita di un’eresia Intorno al 1160, nel sud della Francia si formarono gruppi di donne e uomini “buoni” che decisero di vivere in sintonia con gli insegnamenti del Vangelo. BRIDGEMAN / ACI

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