Storica National Geographic - aprile 2019

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IN ORIGINE FU IL PEGNO

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IL SANTO SEPOLCRO

SENENMUT

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IL GRANDE MINISTRO DI HATSHEPSUT

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LA MUSICA DELLA RIVOLUZIONE

772035 878008

ARISTOTELE E IL MISTERO DELLA VITA BEETHOVEN

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periodicità mensile

LA NASCITA DELLA BANCA

N. 122 • APRILE 2019 • 4,95 E

storicang.it

LA VILLA DEI PAPIRI

LA BIBLIOTECA NASCOSTA DI ERCOLANO



EDITORIALE

suono, chiacchiere, un dolce sguardo che affascina, | il canto di Santippe – il fuoco che appena si accende | ti brucerà, mio cuore; di dove venga e come e quando | io non lo so, ma sappi che ne sarai consumato». Dal suo ritiro dorato nella cosiddetta villa dei Papiri, a Ercolano, il filosofo epicureo di origine siriana Filodemo di Gadara scriveva nel I secolo a.C. poesie come questa. Si era ritirato in quell’imponente palazzo arroccato su una collina e affacciato sul mare per dedicarsi alla scrittura e allo studio perché, in accordo agli insegnamenti di Epicuro, riteneva che la cultura, sebbene non indispensabile, contribuisse ad arricchire la vita e a renderla più felice. I dotti epicurei cercavano perciò di allontanarsi dalla turbolenta Roma per ritagliarsi un’oasi di pace in quella villa ancora in gran parte da svelare: un edificio dalle particolari forme architettoniche che per dimensioni aveva pochi eguali (basti pensare che il suo grande peristilio aveva quasi le stesse dimensioni del foro di una città, mentre la sua piscina superava per capacità tutte le vasche dei frigidaria delle terme pompeiane). Non solo: quei pensatori vi hanno anche lasciato l’unica biblioteca dell’antichità giunta intatta fino a noi, con la più grande collezione di papiri greci – e di sculture antiche – mai rinvenuta all’interno di un unico edificio in tutto il mondo romano. Sepolta per secoli sotto uno spesso strato di magma in seguito alla terribile eruzione del Vesuvio dell’anno 79 d.C., Ercolano e la sua villa sono tornati pian piano a risplendere grazie a un intenso lavoro di recupero iniziato nel XVIII secolo. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale


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8 PERSONAGGI STRAORDINARI

22 VITA QUOTIDIANA

Viaggiò per l’Europa presentandosi come legittima erede al trono della Russia, ma morì in prigione per volere di Caterina la Grande.

Nel corso del XIX secolo la scherma cessò di essere un’attività riservata solo agli uomini.

Elizaveta Tarakanova

14 LA FOTO DEL MESE

Una realtà imbarazzante Un’istantanea dello sfruttamento del lavoro minorile a inizio del novecento nella cittadina di Cherryville, nel North Carolina.

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16 EVENTO STORICO

Migranti stagionali Fin dal Medioevo la carenza di risorse spinse migliaia di individui a migrare dalle Alpi alla ricerca di un futuro migliore.

20 OPERA D’ARTE Vertunno

L’imperatore Rodolfo II è ritratto nella più famosa delle “teste composte” di Arcimboldi nelle vesti di Vertunno, il dio etrusco e romano delle stagioni. 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Scherma femminile

26 ANIMALI NELLA STORIA I mammut

I neanderthaliani e i sapiens li consideravano prede invitanti ma pericolose.

120 GRANDI ENIGMI Ius primae noctis

Dal XIX secolo gli storici iniziarono a mettere in dubbio la sua esistenza.

124 GRANDI SCOPERTE

Barche di Marsala Negli anni settanta Honor Frost scoprì la prima nave da guerra dell’antichità.

128 LIBRI

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42 IL SANTO SEPOLCRO NEL IV SECOLO, negli

anni di espansione della Chiesa cristiana promossa sotto il patrocinio di Costantino, l’imperatore fece costruire una splendida basilica al di fuori delle mura dell’antica città di Gerusalemme. Il luogo scelto era esattamente quello in cui, secondo la tradizione, era stato crocifisso e sepolto Gesù. Nel corso del tempo, dalle invasioni sasanide e araba all’epoca delle crociate e fino ai giorni nostri, la chiesa ha cambiato faccia molte volte. DI CAYETANA H. JOHNSON PELLEGRINI RACCOLTI ATTORNO ALL’EDICOLA CHE CONTERREBBE LA TOMBA DI GESÙ DURANTE LA PASQUA DEL 2016.

28 Il grande ministro di Hatshepsut Di umili origini, Senenmut fece carriera alla corte egizia fino a diventare l’uomo di fiducia della regina Hatshepsut. Prima di morire si costruì due monumenti funebri, ma la sua mummia non è mai stata trovata. DI TITO VIVAS

62 Aristotele e il mistero della vita Filosofo dalla curiosità illimitata, Aristotele dedicò varie opere all’anatomia umana. Riteneva che tutti gli organi si articolassero attorno al cuore, da cui emanava anche il calore necessario ad animare il corpo. DI JORDI CRESPO SAUMELL

74 La villa dei Papiri Nel 1750 nella città romana di Ercolano venne scoperta una fastosa residenza che era rimasta sepolta in seguito all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Al suo interno ospitava magnifiche opere d’arte e una grande biblioteca di quasi duemila testi filosofici. DI CARLOS GARCÍA GUAL

102 La musica della rivoluzione Tra il 1802 e il 1804 Beethoven decise di comporre un’opera che rispecchiasse la grandezza della sua epoca. Inizialmente pensò di dedicarla a Napoleone Bonaparte, ma alla fine la chiamò Sinfonia eroica. DI STEFANO RUSSOMANNO

92 La nascita della banca All’inizio del secondo millennio l’aumento della produzione agricola, lo sviluppo dell’artigianato e il decollo del commercio marittimo moltiplicarono gli scambi suscitando un maggior bisogno di moneta e stimolando la diffusione del credito. A trarne vantaggio furono innanzitutto i centri urbani italiani. DI FRANCO FRANCESCHI

CASSAFORTE IN FERRO FORGIATO PROVENIENTE DA NORIMBERGA. 1540 CIRCA.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

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LA VILLA DEI PAPIRI LA BIBLIOTECA NASCOSTA DI ERCOLANO

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IL GRANDE MINISTRO DI HATSHEPSUT

LA NASCITA DELLA BANCA IN ORIGINE FU IL PEGNO

LA FIGURA A SINISTRA NEL QUADRO INTITOLATO GLI USURAI RAPPRESENTA L’AVIDITÀ DEI BANCHIERI. FOTO: SCALA, FIRENZE (FOTO RITOCCATA)

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Pubblicazione periodica mensile - Anno XI - n. 122

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Errata corrige

• Storica 121 (marzo 2019): Pagina 117: La stazione Keleti di Budapest non è altro che la stazione di Budapest Est.

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INTERNATIONAL PUBLISHING

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PERSONAGGI STRAORDINARI

La falsa principessa che voleva diventare zarina Elizaveta Tarakanova viaggiò per tutta l’Europa presentandosi come legittima erede al trono della Russia, ma morì in prigione per volere di Caterina la Grande

Un’intrusa alla corte di Caterina 1762 La zarina Elisabetta I muore a gennaio. Le succede al trono il nipote, Pietro III, sposato con la futura Caterina II.

1762 Nel mese di luglio Caterina II sale al potere dopo aver guidato un colpo di stato contro il marito, che morirà poco dopo.

1773 Giunge a Francoforte una giovane che asserisce di essere la principessa Tarakanova, figlia della zarina Elisabetta I.

1774 Dietro ordine di Caterina, il conte Orlov inganna Tarakanova, l’arresta a Livorno e la porta a San Pietroburgo.

1775 La principessa muore. Rivendicherà fino all’ultimo di essere la figlia della precedente zarina.

N

el 1772, una misteriosa donna che si faceva chiamare principessa Vladimirskaja conquistò i salotti parigini dichiarando di essere la nipote di un conte russo. Come suo unico biglietto da visita presentava dei bellissimi occhi blu, una pelle diafana e una folta chioma bionda che, a dispetto dell’uso allora in voga delle parrucche incipriate, le cadeva giù sulle spalle. Faceva sfoggio di una cultura raffinata, di modi estremamente sofisticati e di un’evidente ambizione. La giovane era accompagnata da un certo barone Embs, che diceva di essere un suo parente, e dal barone di Schenk. La sua casa iniziò presto a essere frequentata da diversi uomini, francesi e stranieri. Due di essi, il conte di Rochefort-Valcourt e il conte polacco Oginski, la corteggiarono insistentemente. Poco dopo la giovane e i suoi accompagnatori sparirono da Parigi. Si erano trasferiti a Francoforte, dove s’installarono in un lussuoso appartamento. La giovane assicurava ora di c h i a m a rs i

Elizaveta Alekseevna Tarakanova. Raccontava di essere nata a San Pietroburgo nel 1753 e di essere stata condotta da lì nella capitale della Persia, Esfahan, dov’era cresciuta nel palazzo di un nobile del luogo. Era stato il tutore a rivelarle che era figlia della precedente zarina della Russia, Elisabetta I, e del suo favorito, il conte Aleksej Razumovskij.

Ambizioni imperiali Per comprendere le pretese di Tarakanova bisogna considerare le circostanze politiche in cui versava la Russia. Dopo la morte della zarina Elisabetta I nel gennaio 1762, era salito al trono il nipote Pietro III, un giovane chiaramente incapace di governare. La moglie dello zar era la principessa tedesca Sofia von AnhaltZerbst, che la zarina Elisabetta, conscia delle scarse capacità del futuro regnante, aveva formato perché le succedesse e si occupasse del governo. L’arbitrarietà che dimostrava Pietro III nell’amministrazione dell’impero non tardò a suscitare un diffuso malcontento tra le alte sfere della corte e si concluse con un colpo di stato orchestrato proprio da Sofia von Anhalt-Zerbst, sua moglie, che nel 1762, salì al trono

Si diceva che Tarakanova assomigliasse enormemente alla sua presunta madre ELISABETTA I DI RUSSIA. HERMITAGE, SAN PIETROBURGO.

FINE ART IMAGES / ALBUM

8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


LE ULTIME ORE DELLA PRINCIPESSA il pittore russo Konstantin Flavickij (1830-1866) dipinse il suo celebre olio La principessa Tarakanova, attualmente conservato nella Galleria Tret’jakov di Mosca. Sebbene ufficialmente la principessa morì di tubercolosi, una leggenda che divenne popolare anni dopo la sua morte racconta che la donna fosse in realtà deceduta durante una delle regolari e numerose esondazioni della Neva. L’opera immortala gli ultimi istanti di vita della Tarakanova, che appare accasciata sopra un lettuccio, terrorizzata (o rassegnata?) mentre le fredde acque della Neva penetrano implacabilmente nella cella dov’è stata rinchiusa. NEL 1864

LA PRINCIPESSA TARAKANOVA. OLIO DI KONSTANTIN FLAVICKIJ, GOSUDARSTVENNAJA TRET’JAKOVSKAJA GALEREJA, MOSCA. BRIDGEMAN / ACI

con il nome di Caterina II. In seguito a questi gravi eventi, lo zar fu rinchiuso nel palazzo di Ropša, dove morì pochi mesi dopo. Diverse voci insinuavano che fosse stata la stessa zarina a istigare l’assassinio del marito. Durante i primi anni di governo, Caterina dovette affrontare l’opposizione di una parte della nobiltà russa più conservatrice sia a causa delle riforme politiche da lei avviate sia dei sospetti circa il suo coinvolgimento nella morte del marito, che ne avrebbero decretato l’illegittimità.

Per questo non pochi avevano riposto le speranze in un’erede“legittima”come la principessa Tarakanova. C’era, infine, un’ulteriore fazione interessata a minare il potere dell’imperatrice: la nobiltà polacca, che si opponeva all’ingerenza russa nella politica interna del suo Paese. Sin dalla sua ascesa al trono, Caterina aveva esercitato una pressione sempre crescente sulla Polonia, che era divenuta una sorta di protettorato russo. Nel 1772 aveva sottratto al Paese vicino estesi territori a est. Ovviamente

molti nobili polacchi insorsero. Coloro che avevano lottato contro la Russia scelsero l’esilio. Alcuni pensarono di giocare la carta della misteriosa principessa Tarakanova. Tra questi il principe Radziwiłł, a capo dell’opposizione, che aveva conosciuto Tarakanova in Germania e che decise di appoggiarla. Nel maggio del 1774 la principessa Tarakanova si trasferì a Venezia e fissò lì il suo quartier generale. La Serenissima era un ottimo posto da cui iniziare la conquista dell’impero STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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VISTA AEREA della fortezza dei

SS. Pietro e Paolo, sull’isola delle Lepri, dove morì Tarakanova.

russo partendo dal meridione. Sebbene la città avesse già cominciato il suo processo di decadenza, era ancora un centro cosmopolita disposto ad accoglierla con tutti gli onori. E così Elisaveta divenne una presenza imprescindibile nei circoli aristocratici della città veneta, che subito l’accettarono quale pretendente al

trono russo. E, in un clima tanto favorevole, la principessa Tarakanova non si accorse della trappola mortale che l’attendeva. Caterina la Grande poteva contare su un’eccellente rete di spie ed era al corrente di ogni movimento di Elizaveta. Determinata a eliminare la

CATERINA LA GRANDE CONTINUÒ la politica di europeizzazione che aveva

iniziato Pietro il Grande. Estese le frontiere della Russia annettendo al Paese la Crimea e parte della Polonia e trasformò l’amministrazione dello stato. La sua legge sulla servitù della gleba peggiorò le già miserevoli condizioni dei contadini. CATERINA II. SCHLOSS AMBRAS, INNSBRUCK. ERICH LESSING / ALBUM

10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

possibile rivale, Caterina la Grande mise in moto un piano machiavellico per circuire e attirare Tarakanova in Russia, dove avrebbe potuto reprimere ogni sua rivendicazione. La zarina scelse di ricorrere perciò ad Aleksej Orlov, fratello di uno dei suoi vecchi amanti, il conte Grigorij. Orlov si prese del tempo. Fece girare a Venezia la voce che era caduto in disgrazia presso la zarina. Impietositasi, Tarakanova non tardò a mettersi in contatto con lui per dimostrargli il suo sostegno e ricordargli che, vista la situazione, ormai erano entrambi nemici di Caterina. Gli assicurò pure che, se si fosse schierato dalla sua parte, una volta al potere lo avrebbe colmato di onori in virtù della sua esperienza nel governo e del suo talento politico. Orlov non avrebbe mai immaginato con quale facilità la preda sarebbe ca-

W. BUSS / GETTY IMAGES

PERSONAGGI STRAORDINARI


Armenia tra Miti e Leggende /

Un percorso denso e sorprendente attraverso miti, leggende, poesie, canti e storie armene che comincerĂ dai "piedi" del monte Ararat ove secondo il Libro della Genesi si posò l’Arca di Noè. Un tempo terra pagana, l'Armenia è diventata il confine orientale del mondo cristiano. Un viaggio in cui si svelano le affinitĂ culturali degli armeni con l’Occidente, un'esperienza che rende piĂš vicino questo paese sconosciuto e misterioso.

COSA INCLUDE?

L’autrice del libro "Viaggio in Armenia attraverso miti e leggende" traccerà il percorso culturale del viaggio. Strada facendo, sulle stupende catene montuose del Caucaso, Anush Gasparyan presenterà con grande entusiasmo il peculiare panorama del silenzioso mondo armeno. Numerose le occasioni di incontro con la gente del luogo, allietate dal suono indimenticabile del duduk e dalle danze popolari. Non mancheranno gli interventi letterari e gli stupendi canti spirituali dell’epoca antica.

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PERSONAGGI STRAORDINARI

RUSSIA, L’IMPERO DEI FALSI ZAR NELLA STORIA RUSSA compaiono diversi esempi di pretendenti al trono che d’improvviso si ergevano a sfidare gli zar. Nella stessa epoca della principessa Tarakanova, Pugačëv, capo di una grande rivolta dei cosacchi e dei contadini, si fece passare per Pietro III, lo zar assassinato dalla moglie Caterina la Grande.

duta nella trappola. Le propose subito di conoscerlo di persona e la invitò a Livorno, dov’era ancorata la flotta russa. Dopo l’incontro, Aleksej le disse di essere rimasto colpito dalla sua persona e le offrì il suo incondizionato appoggio. Non solo: fingendo un’improvvisa passione, le chiese di sposarlo. Elizaveta accettò, forse perché irretita dai modi seducenti del conte oppure perché lo considerava veramente un valido alleato. Le nozze vennero fissate da lì a poche settimane. Con il pretesto che la cerimonia dovesse essere legittima in vista di un futuro da regnanti, Orlov chiese di poterla celebrare a bordo del vascello di cui era capitano, ovvero in territorio russo. La Tarakanova accettò, e fu quello il suo grande errore. Il giorno previsto per le nozze Elizaveta, vestita di tutto punto, salì sulla scialuppa che l’avrebbe condotta 12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

PUGAČËV DURANTE LA RIVOLTA CHE GUIDÒ IN RUSSIA NEL BIENNIO 1773-1774. TELA DI MICHAIL I. AVILOV, XX SECOLO.

all’imbarcazione. Non appena mise piede sul ponte della barca non fu ricevuta, come immaginava da un fidanzato innamorato, bensì da un plotone di soldati agli ordini dello stesso Orlov, che l’arrestò in nome di sua maestà imperiale Caterina II.

Tarakanova morì nella sua cella alla fine del 1775. Il suo boia sarebbe stato la tubercolosi, contratta a causa del freddo e dell’umidità della prigione. Altri invece preferiscono credere alla leggenda secondo la quale la principessa morì annegata in una delle frequenti piene della Neva durante Prigioniera della zarina il disgelo, che inondavano copiosaLa nave partì subito alla volta di San mente le celle della fortezza. Pietroburgo, dove Elizaveta TarakaIn ogni caso, la tragica morte della nova venne reclusa in una lugubre principessa pose fine alle sue ambicella della sinistra fortezza dei SS. zioni e la trasformò in un simbolo del Pietro e Paolo. Qui fu sottoposta a dissenso e della resistenza contro la numerosi interrogatori ma, nemmeno grande zarina Caterina II. sotto tortura, si contraddisse mai o —María Pilar Queralt del Hierro negò di essere la figlia della zarina Elisabetta e del conte Razumovskij. SAGGI Per L’imperatrice capì che niente o nessuLa grande Caterina saperne Carolly Erickson. Mondadori, no avrebbe fatto desistere Tarakanova Milano, 2017. di più dal suo proposito di contenderle il Caterina di Russia Isabel de Madariaga. Mondadori, trono e ordinò di rinchiudere la riMilano, 2011. vale a vita. Ufficialmente Elizaveta


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LA FOTO DEL MESE


UNA REALTÀ IMBARAZZANTE DUE BAMBINI che avranno meno di dieci anni lavorano alla filatura del cotone nella Cherryville Manufacturing Company: hanno il compito di sostituire le bobine di filato piene con quelle vuote. La foto, del 1908, appartiene alla serie che Lewis Hine scattò quell’anno a Cherryville, una cittadina industriale del North Carolina. In quanto fotografo del National child labor committee, Hine documentò le dure condizioni lavorative dei bambini nelle industrie tessili e conserviere, nelle miniere e nei campi. I suoi reportage avrebbero permesso di cambiare la legislazione sul lavoro negli Stati Uniti, dove all’inizio del 900 circa un bambino su sei con meno di dieci anni svolgeva un lavoro remunerato.


BRIDGEMAN / ACI

IL VENDITORE AMBULANTE.

Hieronymus Bosch (1500 circa). Museum Boymans van Beuningen, Rotterdam.

Migranti stagionali nell’Europa del seicento Fin dal Medioevo la carenza di risorse spinse migliaia di individui a migrare dalle Alpi verso le campagne e le città di tutta Europa alla ricerca di un futuro migliore

È

opinione comune che, nel passato, le popolazioni fossero perlopiù sedentarie e che l’immobilismo geografico, connaturato alla condizione umana, si sia spezzato solamente con le grandi migrazioni del XIX secolo. In realtà possiamo dire che, da sempre, gli spostamenti di popolazioni, di fuggiaschi e di lavoratori siano stati più la norma che l’eccezione. Poco co-

16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

nosciuti erano gli spostamenti che, fin dal Medioevo, conducevano centinaia di migliaia di individui provenientidella catena alpina verso le campagne e le città di tutta Europa. Si trattava di migrazioni stagionali in cui erano coinvolti prevalentemente gli uomini. Ogni vallata e ogni villaggio avevano trovato una risposta originale alla carenza di risorse e avevano sviluppato delle migrazioni di mestiere, di solito temporanee, basate su attività molto

diverse tra loro, come potevano essere la produzione artigianale o i lavori di carattere servile.

I commercianti ambulanti In questa moltitudine di migrazioni, c’era quella dei commercianti ambulanti. Da molte regioni alpine, come ad esempio il Delfinato, il Comasco, il Friuli, quasi tutti gli uomini, dai ragazzini agli adulti quasi anziani, partivano ogni anno dai loro villaggi verso


tutta Europa: operavano per alcuni mesi come commercianti ambulanti porta a porta, e successivamente tornavano alle loro case e ai loro villaggi, dove si rifornivano di merci da vendere l’anno successivo. Colporteurs, Hausierer o Krämer, così erano chiamati in francese e in tedesco. Viaggiavano con una cassetta sulle spalle che costituiva tutto il loro negozio e tutta la loro ricchezza. Trasportavano spezie, medicinali o tessuti. In genere prodotti che pesavano poco, ma che valevano molto. Le testimonianze iconografiche e letterarie danno vivida testimonianza di questi ragazzi e di questi uomini, del loro aspetto e dei loro comportamenti, che sembrano essere rimasti cristallizzati per secoli. Il Venditore ambulante di Hieronymus Bosch che, in abiti da mendico e con la cassetta sulle spalle si aiuta con un bastone nel suo incedere, rappresenta un venditore ambulante straordinariamente simile ai viandanti descritti nelle raffigurazioni pittoriche dei paesaggisti dell’ottocento, o nelle fotografie degli ultimi mercanti ambulanti del principio del novecento. Molti di questi uomini, stranieri in terra straniera, vivevano spesso ai margini della società, e non di rado venivano confusi con i mendicanti e

DEA / GETTY IMAGES

EVENTO STORICO

UN PERSONAGGIO LETTERARIO SIMPLICIUS SIMPLICISSIMUS (1668), il personaggio creato da Hans Jakob C. Grimmelshausen, narra la sua esperienza di piccolo commerciante ambulante e di come, con astuti raggiri, riusciva a spacciare ai contadini alsaziani più creduloni un medicinale “miracoloso” che egli stesso aveva preparato. I commercianti vengono descritti come maneggioni ai quali non mancava la malizia e come piazzisti spregiudicati.

gli sbandati. I prodotti che vendevano, però, come il cremor tartaro, la theriaca o il mithridato (nomi che oggi ci dicono poco) erano composti medicinali molto conosciuti sia tra i ricchi sia tra i poveri, e spesso costituivano l’unica illusione di poter guarire da malattie di cui non si comprendevano cause né modalità di trasmissione. I metodi di vendita, diremmo oggi, non erano tra i più ortodossi. Non a caso “furbi”, “scaltri”, “imbroglioni” sono gli aggettivi che accompagnano un po’ ovunque la presenza di questi mercanti girovaghi. Come spesso accade, molte di queste testimonianze

erano frutto di pregiudizio, ma mettono bene in evidenza i sentimenti di ostilità che commercianti e negozianti stabili nutrivano nei confronti di questi merciai, che erano visti come concorrenti sleali. Le argomentazioni sollevate contro di loro si assomigliano un po’ tutte. Si sosteneva che togliessero il lavoro ai cittadini, che la qualità delle loro merci fosse scadente e che, dato che i rifornimenti erano già assicurati dai mercanti locali, gli stranieri fossero superflui. Pertanto, a causa dei periodici divieti posti ai loro commerci, gli Hausierer dovevano limitare molto

I commercianti e negozianti stabili erano ostili nei confronti dei venditori ambulanti, che ritenevano concorrenti sleali CASSETTA PORTATA A SPALLA DAGLI AMBULANTI E USATA PER LA VENDITA PORTA A PORTA. MUSEO CARNICO DELLE ARTI POPOLARI “MICHELE GORTANI”, TOLMEZZO STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PRINT COLLECTOR / GETTY IMAGES

EVENTO STORICO

VISTA DI UN MERCATO

Hendrik van Steenwijck il Vecchio. (1550-1603).

spesso la loro attività alle campagne. Secondo i regolamenti delle corporazioni delle città bavaresi, ad esempio, i venditori stranieri potevano trafficare in città solo nei giorni di mercato per non entrare in concorrenza con i negozianti locali. Nel contado, invece, i merciai stranieri venivano accolti

meglio proprio perché vendevano beni ritenuti necessari ma difficili da reperire. Tra la fine del cinquecento e la prima metà del seicento sempre più spesso durante i loro viaggi gli Hausierer italiani entrarono in contatto con la Riforma protestante, che importarono nelle terre d’origine sfi-

MIGRANTI ALPINI SPECIALI le forze armate vaticane, in origine era formata da migranti alpini. Nel Rinascimento e per buona parte dell’Età moderna il nerbo degli eserciti di mezza Europa era costituito da soldati svizzeri, mercenari che guadagnavano soldi grazie a lucrosi contratti stipulati dai loro capitani con principi e sovrani. DUE GUARDIE CONTROLLANO L’ENTRATA AL VATICANO. ROMA, 1900.

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BRIDGEMAN / ACI

LA GUARDIA SVIZZERA, che ancora oggi costituisce

dando l’Inquisizione. I merciai, uomini sempre in viaggio e a contatto con i ceti popolari, persone che spesso sapevano leggere e scrivere – e che, oltre a frequentare fiere e mercati, bettole e osterie, seguivano anche le funzioni religiose – appresero che ci si poteva avvicinare alla Bibbia senza la mediazione di un sacerdote e in una lingua che non fosse il latino. Con i loro periodici ritorni gli ambulanti cominciarono a diffondere queste idee nelle regioni di fede cattolica. Alcuni di loro, durante le peregrinazioni, non osservavano più le proibizioni alimentari della Quaresima o del venerdì. In alcuni casi scattarono perfino i processi dell’Inquisizione. Come


IL VENDITORE DI OCCHIALI

FINE ART / AGE FOTOSTOCK

Anonimo. Museo statale d’arte, Tula, Russia.

quello che vide coinvolto nel 1608 Giovanni di Gaspare Nodale, del piccolo villaggio di Noiariis, in Carnia, e altri 75 Krämer suoi conterranei. In questo, così come nella maggior parte dei casi, le condanne furono miti, i peccati vennero emendati con delle lievi penitenze e, in generale, la situazione si quietò. Quello che non poteva fermarsi, naturalmente, era il flusso dei denari e la trama degli affari,che dovevano fare i conti anche con quanto accadeva nel mondo.

Da ambulanti a sedentari Il tracollo demografico di larghe parti dell’Europa centrale provocato dalla Guerra dei trent’anni (1618-1648) ebbe, tra le sue conseguenze, la nascita di nuovi flussi migratori verso regioni tedesche come la Svevia e la Baviera, che aprirono la strada anche alla pene-

trazione e alla stabilizzazione di molti piccoli commercianti. Anche per questo, dalla seconda metà del XVII secolo alcune famiglie di ambulanti erano riuscite ad accumulare sufficienti risorse per aprire un negozio e trasformarsi in commercianti stabili. La nascita di queste attività si accompagnò a una maggiore integrazione degli emigranti nelle popolazioni di accoglienza. Alcuni di essi entrarono a far parte dei patriziati urbani e cominciarono a presentarsi non più con il nome originale, ma con la sua traduzione: ad Augusta, la città dei Fugger, i banchieri degli Asburgo, i Da Pozzo divennero Brunner; a Edenburg (oggi Sopron, in Ungheria), i De Corte si fecero chiamare Hofer, e così via. Tuttavia queste famiglie che discendevano dai piccoli commercianti ambulanti non avevano praticamente

più contatti con quelle montagne e quei territori dai quali provenivano e di cui, ormai, non comprendevano nemmeno più la lingua. Sebbene sempre più esigue, però, queste migrazioni riuscirono a sopravvivere fino alla fine dell’ottocento, o addirittura agli inizi del novecento, quando oramai le ragioni dietro alla loro nascita e alla loro fortuna erano scomparse da tempo. —Alessio Fornasin Per saperne di più

TESTI

L’avventuroso Simplicissimus Hans J. Grimmelshausen. Mondadori, Milano, 1997. SAGGI

Ambulanti, artigiani e mercanti. L’emigrazione dalla Carnia in età moderna A. Fornasin. Cierre, Caselle di Sommacampagna (VR), 1998. ROMANZI

Storia di Tönle Mario Rigoni Stern. Einaudi, Torino, 1978.

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O P E R A D ’A R T E

giuseppe arcimboldi

(159 0)

Vertunno, ritratto vegetale di Rodolfo II La più famosa delle “teste composte” di Giuseppe Arcimboldi è un ritratto dell’imperatore Rodolfo II nelle vesti di Vertunno, il dio etrusco e romano delle stagioni

N

FOTO: ALBUM

el 1590, a Praga, Rodolfo II d’Asburgo, sovrano del Sacro romano impero, attendeva impaziente l’arrivo dell’ultimo quadro di Giuseppe Arcimboldi (o Arcimboldo, 1527-1593). L’artista italiano, ritiratosi a Milano nel 1587, aveva prestato servizio alla corte imperiale per venticinque anni come pittore di camera,“regista” delle feste cortigiane e mercante d’arte. Alla corte umanista e scientifica degli Asburgo, Arcimboldi aveva realizzato una serie di ritratti antropomorfi composti da ortaggi, frutta, fiori, animali e altri oggetti. Le“teste composte”divennero presto famose per l’originalità, il senso

RODOLFO II RITRATTO DA MARTINO ROTA. KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, VIENNA.

dello humour e il simbolismo, e furono ammirate in molte corti europee, nonché copiate da diversi artisti a lui contemporanei.

L’ultima opera Rodolfo II in veste di Vertunno, l’ultimo incarico che Arcimboldo realizzò per l’imperatore, costituisce il culmine delle “teste composte”. È una glorificazione dello stesso Rodolfo II, che compare nei panni di Vertunno, dio della mitologia etrusca e romana associato al divenire e alla floridezza della natura durante il passaggio delle quattro stagioni. Il ritratto immortala il processo di metamorfosi, quando frutta e vegetali si trasformano in un volto umano e viceversa: tramite tale mutamento dinamico e surreale, Rodolfo sembra avere una doppia identità: imperatore e dio. La frutta e i vegetali del ritratto simboleggiano la pace, la stabilità e la prosperità della nuova età dell’oro che Rodolfo II aveva riportato nel Sacro romano impero. Alla fine della Guerra dei trent’anni (1618-1648) l’esercito svedese conquistò Praga e ne saccheggiò i tesori artistici. Il Vertunno di Arcimboldi venne portato in Svezia. Oggi è esposto al castello di Skokloster, che lo ricevette in dono – pare – dalla regina Cristina. —Mónica Ann WalkerVadillo

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POESIA DI PROPERZIO

La frutta e le verdure ricordano una poesia dedicata al dio che Sesto Aurelio Properzio incluse nelle sue Elegie (I secolo a.C.). Qui si menzionano le spighe di grano (nelle orecchie), i grappoli di uva (i capelli), le more e le ciliegie (occhi e bocca).

FRUTTA E VERDURA

Tra la frutta e la verdura che compaiono nel ritratto vi sono pere, mele, ciliegie, uva, grano, carciofi, mais, cipolle, piselli, cavoli, castagne, fichi, more, prugne, melograni, zucche e olive.

POESIA DI COMANINI

Il poeta Comanini descrisse così l’opera di Arcimboldo: «Mira il pomo e la pesca / che tondi e rossi e vivi / fan l’una guancia e l’altra; / pon mente insieme agli occhi / de’ quai l’uno è ciregia, / l’altro vermiglia gelsa / […] E dentro alme sembianze / e regia imago ascondo».

PITTURA PER RIDERE

Nella stessa poesia Comanini allude alla reazione che provocava il quadro: «Qual tu sii, che me guardi / strana e difforme imago, / e ’l riso hai su le labbra, / che lampeggia per gli occhi / e tutto ’l volto imprime / di novella allegrezza, / al veder novo monstro».


V I TA Q U OT I D I A N A

In guardia! Nasce la scherma femminile

A

gli inizi del XIX secolo il ruolo della donna socialmente accettato si riduceva a quello di moglie, madre e accompagnatrice del marito nelle occasioni mondane. Tutto ciò si rifletteva nelle limitazioni imposte alla sua educazione intellettuale e alla sua formazione fisica, piena di restrizioni. Tuttavia un’evoluzione della medicina favorì la pratica dello sport femminile: i progressi nell’anatomia e nella fisiologia associarono l’igiene e l’attività fisica alla salute e a un corretto sviluppo del corpo, e tali idee penetrarono nella società permettendo alle donne l’ingresso nell’universo della scherma.

Il corpo delle donne Per gli uomini un corpo perfetto doveva essere prestante e muscoloso, e per coltivarlo praticavano quindi gli sport d’impatto quali

la lotta, il culturismo e quelli relativi al coraggio militare. Al contrario, il corpo femminile doveva essere morbido e modellato in modo da risultare bello, ma al contempo forte per poter sopportare il parto. Solo pochi esercizi fisici erano considerati adatti alle donne: inoltre, non appena queste raggiungevano l’adolescenza, tali esercizi venivano soppressi per una questione morale, poiché si credeva che potessero risvegliare la sessualità. Per le donne lo sport si limitava allora a passeggiate e balli, dove potevano esibire la propria femminilità e, perciò, trovare marito. Tuttavia, nelle palestre svizzere prese piede un movimento di parità sessuale che si affermò in Francia ed ebbe eco in altri paesi d’Europa. All’inizio l’obiettivo era quello di formare un corpo femminile pronto per la maternità. Il medico e chirurgo francese Clément Joseph Tissot incoraggiava le donne a praticare lo sport per migliorare la salute e la forza del corpo, mentre

LE ARMI PER IL SUO peso e il collegamento alla guerra, la

sciabola era considerata virile, anche se nell’Europa dell’est la brandivano pure le donne. La spada era l’arma abituale, usata da molte schermitrici. Il fioretto, molto leggero, utile per gli allenamenti, era appropriato per donne e bambini. ANNUNCIO DI UN CONCORSO. ESPOSIZIONE UNIVERSALE, PARIGI. 1900. BRIDGEMAN / ACI

ULLSTEIN BILD / GETTY IMAGES

Lungo il corso del XIX secolo la scherma cessa di essere un’attività riservata solo agli uomini

DUE GIOVANI schermitrici mentre si allenano. 1900 ca. Nel XX secolo si sarebbe imposta la divisa bianca.

Pablo Clausolles, medico ortopedico spagnolo, sottolineava i miglioramenti legati agli sport che coinvolgevano forza e movimento, come equitazione, scherma o nuoto. La scherma già godeva di buona fama: diffusa in tutta Europa come sport per gli uomini, le si riconosceva la facoltà di rendere attivo tutto il corpo e favorire la concentrazione mentale. La sfida consistette nell’introdurre la disciplina nel percorso formativo di donne e bambine. Contrariamente a quanto possa sembrare, la scherma aveva già una sua tradizione nell’educazione femminile; in alcune epoche,


V I TA Q U OT I D I A N A

La sfida nei salotti In tale contesto storico crebbe la spagnola Teresa Castellanos de Mesa, che poteva già contare su una certa libertà in seno alla propria famiglia. Imparò la scherma dal padre Manuel e dal fratello Cándido, maestro di chiara fama,

L’ABBIGLIAMENTO si modificò nel passaggio al XX secolo. Per

muoversi meglio, la gonna a sellino si trasformò in una giacca con gonnellino, posta sopra i pantaloni, in genere di alpaca ricoperta da tessuti vistosi come seta e satin. A volte si ricorreva ai bloomer, pantaloni usati dalle francesi per andare in bicicletta. La giacca si abbottonava sul lato lontano dall’arma per evitare che vi entrasse la lama; poteva essere in olona leggera o lino, rinforzata in pelle in parti come il seno e copriva il collo per proteggere la gola. Da indumenti colora-

ti si passò al nero o al bianco perché così era più semplice individuare il tocco. I guanti satinati da donna vennero sostituiti con guanti imbottiti, che coprivano l’avambraccio senza limitare i movimenti. FIORETTO DA SCHERMA DEL XVIII SECOLO. MUSÉE DE L’ARMÉE, PARIGI.

MUSÉE DE L’ARMÉE / RMN-GRAND PALAIS

come il Rinascimento o il XVII secolo, fu insegnata e praticata dalle nobildonne o trasmessa dai genitori alle figlie. Nella storia di Francia, Spagna e Inghilterra fecero la loro comparsa donne che sapevano maneggiare la spada, come la cantante d’opera e spadaccina francese Julie d’Aubigny.

Pantaloni sotto la gonna e guanti imbottiti


V I TA Q U OT I D I A N A

LE NUOVE SPORTIVE

ESIBIZIONE di scherma all’Oxford Town Hall, nella città di Oxford, il 13 gennaio 1902.

si chiuse senza donne schermitrici alle olimpiadi. Tuttavia le donne non tardarono a incrociare di nuovo le spade, con schermitrici come la britannica May “Toupie” Lowther. A quei tempi la scherma era una pratica ricercata per gli spettacoli sportivi. La prima italiana a vincere le olimpiadi di scherma fu Irene Camber. Lo fece nel 1952. MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK

IL XIX SECOLO

che condivisero con lei la loro perizia e non ne frenarono il talento. Sin da giovane mostrò un’abilità particolare per questo sport, e nella sala d’armi del padre realizzava esibizioni che impressionavano i compagni e gli ospiti. Fece il suo debutto pubblico nel 1834, a diciassette anni, alla Fontana de Oro, una locanda madrilena molto famosa. A quei tempi era abituale che alcune locande avessero uno spazio per ogni tipo di spettacoli a pagamento, che a volte includevano combattimenti di scherma, all’epoca molto di moda. L’esibizione di Teresa causò furore nel pubblico e sulla stampa, e di lì a

BRIDGEMAN / ACI

MAY “TOUPIE” LOWTHER. FOTO DEL 1898 PER IL SETTIMANALE THE SKETCH.

poco la giovane andò a Parigi a studiare con i maestri più celebri del momento. Nella capitale parigina entrò in contatto con Phokion Heinrich Clias, un “ginnasiarca”svizzero che aveva messo a punto degli esercizi specifici per le donne, e con il maestro Russel, il più noto di Parigi che, vista l’abilità di Teresa con la spada, la prese come allieva in un ambiente in cui non era frequente insegnare scherma professionale alle donne. Teresa si fece notare in duelli patrocinati dai re di

Nel 1841 Teresa Castellanos de Mesa aprì a Parigi la sua prima accademia di scherma ATTRICE SCHERMITRICE A RIPOSO. XILOGRAFIA DEL 1880. BRIDGEMAN / ACI

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Francia; riscontrò un tale successo che nel 1841 aprì a Parigi la sua prima accademia di scherma, e ottenne una pensione da insegnante grazie a lord Henry Seymour, maestro dei maestri. Castellanos de Mesa visse durante il regno di Isabella II, che considerava una protettrice delle scienze e delle arti – una buona opportunità di tornare in Spagna e insegnare lì. Pensava che, essendo una donna, avrebbe potuto convincere le altre ragazze a praticare lo sport assieme a lei. Quando tornò a Madrid nel 1847 partecipò a un’esibizione molto apprezzata nella Fonda (locanda) Peninsulares dove, l’anno dopo, fondò la propria accademia di scherma. Teresa vi introdusse le conoscenze di Clias: si presentava come «insegnante di scherma e fondatrice in Spagna degli esercizi calistenici o ginnastico-ortopedici per bambine». Nel 1847 venne nominata


Duelli femminili ALCUNE DONNE risolsero con le armi le loro controversie. Tra i duelli più famosi risulta quello che nel 1892 vide contrapposte le nobili Pauline von Metternich e Anastasia Kielmannsegg a causa della decorazione floreale per un ballo. Consigliate dalla dottoressa testimone, per evitare che il tessuto degli abiti si introducesse in una ferita e s’infettasse, si scontrarono a torso nudo, dettaglio che suscitò molto scalpore.

direttrice didattica della scuola femminile Real Colegio de Ntra. Sra. de Loreto a Madrid. A 47 anni era ancora in splendida forma e continuava a esibirsi in pubblico. Teresa fu un caso esemplare (e quasi unico) di maestra nell’Europa dell’epoca. Tra il 1850 e il 1880 la pratica della scherma femminile si diffuse soprattutto in Francia e in Inghilterra. La Francia era un paese con una lunga tradizione schermistica e legò lo sport all’eleganza, ragion per cui le donne ne vennero attratte; in Inghilterra figli e figlie della famiglia reale cominciarono a praticarla e la loro passione si trasmise a tutta la società. Inoltre, in certi paesi alcuni imprenditori di palestre intravidero buoni guadagni negli allenamenti per le donne. Molte volte le insegnanti erano loro mogli o parenti, che impartivano lezioni a “signorine perbene” o ad attrici pagate per esibirsi. Ciononostante

BRIDGEMAN / ACI

IL DUELLO. OLIO DI ÉMILE-ANTOINE BAYARD CHE RICOSTRUISCE LO SCONTRO TRA VON METTERNICH E KIELMANNSEGG.

le critiche continuarono. Per esempio, nel 1863 il medico aragonese Eduardo Bertrán biasimò gli esercizi che trasformavano le donne in «robuste ginnaste, infaticabili nuotatrici, agili cavallerizze e perfino maestre di armi». Per mettere a tacere le critiche si sostenevano i benefici dell’esercizio fisico per la salute delle donne e per il loro ruolo di educatrici dei figli.

Allontanate dalla scherma Alla fine del secolo s’imposero in Europa tendenze politiche conservatrici, che ebbero conseguenze anche sull’attività fisica femminile. Le palestre si moltiplicarono e presero il posto delle antiche sale d’armi; in molti possedevano accademie di scherma, ma i maestri erano ormai uomini. Le donne potevano battersi unicamente con altre donne. Non avevano spazi propri, e potevano allenarsi solo nei salotti dei nobili o in

orari in cui nelle palestre non c’erano gli uomini; soltanto qualche hotel di lusso mantenne comunque delle sale riservate alle signore. Quando, nel 1887, venne fondata in Spagna la Escuela central de profesores y profesoras de gimnástica, dal programma venne soppressa la scherma per le bambine. Rimasero alcune maestre per “signorine”, che in genere erano figlie di militari. Non c’è da stupirsi, quindi, se alla prima edizione delle olimpiadi moderne, nel 1896, le donne non presero parte alla disciplina. Lo avrebbero fatto solo tre decenni più tardi. —Elena Gómez Ruiz Per saperne di più

SAGGI

Storia e storie della scherma Gabriele Fredianelli. Odoya, Bologna, 2018. Storia della scherma William G. Gaugler. Nomos, Busto Arsizio, 2008.

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ANIMALI NELLA STORIA

C

hi li aveva visti caricare in gruppo, doveva considerarli delle specie di spaventosi mostri delle nevi. Per altri, erano solo delle prede giganti che potevano garantire vari mesi di sopravvivenza. Il loro fascino perdura a tal punto che c’è chi sogna ancora di riportarli in vita. Sono i mammut, i grandi elefanti che convissero con varie specie umane prima di scomparire definitivamente 3.800 anni fa. Questi enormi erbivori di origine africana colonizzarono il continente eurasiatico per circa quattro milioni di anni. I loro antenati erano elefanti adattatisi al freddo dell’Epoca gla-

ciale, come avrebbero fatto più tardi gli esseri umani primitivi, anch’essi provenienti dall’Africa. L’antico rapporto tra ominidi e mammut è testimoniato dai resti fossili rinvenuti dal paleontologo spagnolo Bienvenido Martínez-Navarro a Orce. Un milione e mezzo di anni fa i pachidermi si recavano a morire in questa sorta di cimitero. E lì, gli umani li attendevano per cibarsene, una strategia già adottata dai loro antenati africani con gli elefanti. Date le dimensioni dei mammut, che potevano raggiungere le otto tonnellate di peso e superare i cinque metri di altezza, cacciarli doveva essere piuttosto complicato. Era molto più sicuro banchettare con le carni di esemplari morti, di cuccioli o d’individui deboli o malati.

Cimiteri di mammut Nel Paleolitico medio i mammut sarebbero diventati una risorsa alimentare comune per i pre-neandertaliani e i neandertaliani. Lo testimoniano alcuni siti scoperti sempre in Spagna, lungo il corso medio e inferiore dei fiumi Manzanarre e Jarama, e nelle vicinanze di Torralba e Ambrona (Soria). A Madrid, la collina di San Isidro ospitava una tale quantità di ossa di elefante che nel XIX secolo si arrivò a ipotizzare che appartenessero MATHIAS DIETZE / ALAMY / ACI

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LA CACCIA AL MAMMUT, UNA RICOSTRUZIONE DELLA LOTTA TRA GLI UMANI E QUESTI ANIMALI PREISTORICI.

TO C FO TO S GE /A SPL

Per migliaia di anni i mammut convissero sui gelidi territori europei con neandertaliani e sapiens, che li consideravano delle prede invitanti ma pericolose

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Il mammut, re degli animali dell’Era glaciale OSSO DI MAMMUT RITROVATO NEL 1864 . VI È INCISA UN’IMMAGINE DELL’ANIMALE. ABRI DE LA MADELEINE.

agli esemplari con cui Annibale aveva varcato le Alpi. Il rapporto tra ominidi e pachidermi era così profondo che alcuni ricercatori parlano di“etno-elefantologia”. Joaquín Panera, archeologo del Centro nacional de investigación sobre la evolución humana e codirettore dei siti di Torralba e Ambrona, sottolinea che gli elefanti hanno consapevolezza di sé stessi, possiedono una memoria eccezionale, elaborano mappe mentali complesse, hanno un grande controllo del territorio e sono anche in grado di trovare fonti d’acqua in caso di siccità. È molto probabile che fin dai tempi remoti gli esseri umani avessero capito che seguendo questi grossi mammiferi avrebbero potuto scoprire luoghi nuovi e interessanti. Nonostante quest’apparente alleanza, gli ominidi cacciavano i mammut per nutrirsene. I neandertaliani erano grandi consumatori di mammut e rinoceronti lanosi, che infatti rappresentavano l’80 per cento della loro dieta. In Siberia è stata ritrovata una punta musteriana (di 40mila anni fa circa) conficcata in una vertebra di mammut e alcuni resti fossili con ferite mortali, tutte esplicite testimonianze di attività venatoria. Non si sa con certezza a quali strategie di caccia ricorressero gli umani. Alcuni anni fa, sull’isola di Jersey (oggi al largo della costa normanna, ma durante il Paleolitico unita al continente),


RAFFIGURAZIONE di un mammut lanoso insieme ad alcuni stambecchi sulle pareti della grotta francese di Rouffignac. GRANGER / ALBUM

sono state ritrovate grandi quantità di ossa di mammut che hanno indotto i ricercatori a ipotizzare che gli ominidi accerchiassero i pachidermi per poi obbligarli a retrocedere fino a farli precipitare da qualche scogliera. Sebbene questa tesi abbia avuto molti sostenitori, nuovi studi suggeriscono che in realtà le ossa potrebbero essersi accumulate per cause naturali. Con l’avvento dell’Homo sapiens la caccia ai mammut si diffuse ulteriormente, ma le testimonianze relative alle tecniche impiegate continuano a scarseggiare. Il declino di questi pachidermi iniziò circa 21mila anni fa. La sopravvivenza della specie, già messa a repenta-

glio da un basso tasso di riproduzione (il periodo di gestazione raggiungeva i 22 mesi), ricevette probabilmente il colpo definitivo dallo scontro con gli umani, dall’aumento delle temperature o da qualche malattia; o forse da una combinazione di tutti questi fattori. I mammut sono stati immortalati in numerose opere d’arte preistoriche che dimostrano i forti legami che intercorrevano tra gli umani e questi animali. Si conservano molte statuette e ornamenti realizzati con l’avorio delle zanne di mammut, come per esempio la scultura dell’uomo-leone di Ulm, risalente a 40mila anni fa, e varie pitture parietali, come quelle del-

la grotta francese di Rouffignac su cui furono disegnati oltre un centinaio di mammut. Nel Paleolitico superiore le grandi ossa dei preistorici pachidermi furono utilizzate anche per costruire delle specie di capanne, di cui sono stati rinvenuti alcuni esemplari in Russia, Ucraina e Polonia. Negli ultimi anni la scoperta di resti ben conservati di DNA di mammut nella tundra siberiana ha fatto nascere l’idea di clonarli ricorrendo ai loro parenti più stretti, gli elefanti asiatici. Ma la resurrezione di questi giganti è al momento solo una semplice chimera. —Rosa M. Tristán STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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In questa statua-cubo, l’uomo di fiducia della regina Hatshepsut avvolge tra le braccia la figlia della sovrana, la principessa Neferura. Museo egizio, Il Cairo. Nella pagina accanto, rilievo della cappella Rossa di Hatshepsut a Karnak, in cui la regina esegue una corsa rituale in occasione del suo giubileo reale.

SINISTRA: ARALDO DE LUCA. DESTRA: DAGLI ORTI / AURIMAGES

SENENMUT E NEFERURA


I L G R A N D E M I N I S T R O D I H AT S H E P S U T

SENENMUT Di umili origini, Senenmut fece carriera alla corte egizia fino a diventare l’uomo di fiducia della regina Hatshepsut. Prima di morire si costruĂŹ due monumenti funebri, ma la sua mummia non è mai stata trovata


IL TEMPIO DI ERMONTI COME APPARIVA A METÀ DELL’OTTOCENTO. QUI, DA UN’UMILE FAMIGLIA, NACQUE SENENMUT.

alte cariche dello stato poteva essere spiegata solo con un’ambizione smisurata e con il subdolo tentativo di sedurre e manipolare una regina ben più giovane di lui. Quest’ipotesi si basa su un unico, labile indizio: un graffito umoristico trovato in una tomba incompiuta di Deir el-Bahari, dove un personaggio anonimo è intento a sodomizzare un re, o forse una regina, e in cui qualcuno ha voluto riconoscere i due protagonisti di questa storia. In ogni caso, le testimonianze della prossimità politica tra Senenmut e Hatshepsut non mancano, come una statua in cui il ministro abbraccia il cartiglio con il nome della regina o altre sculture che lo rappresentano come tutore e custode della principessa Neferura.

QUINTLOX / ALBUM

Un saggio alla corte della regina

GLI OBELISCHI DI HATSHEPSUT

Sotto, frammento di un rilievo raffigurante la regina Hatshepsut con la doppia corona sul capo, intenta a presentare ad Amon due obelischi gemelli: gli stessi che si possono ancora vedere nel tempio del dio a Karnak. Museo di Luxor. ERICH LESSING / ALBUM

S

e si volesse riassumere in una frase la brillante epopea di Senenmut, basterebbe dire che arrivò a essere il personaggio più influente dell’Egitto della sua epoca. Nato in un’umile famiglia di Ermonti, cittadina a sud di Tebe, risalì la scala gerarchica della corte egizia durante il regno di Thutmose II, fratellastro e marito di Hatshepsut, fino a diventare intendente e consigliere della regina e di sua figlia, la principessa Neferura. Il legame tra la sovrana egizia e il suo ministro era così stretto che presto nacquero maldicenze su una loro possibile relazione. L’ascesa di un uomo di umili origini alle più

Forse proprio in virtù della loro reciproca intimità, quando Hatshepsut assunse il titolo di faraone, Senenmut divenne il principale consigliere della nuova sovrana. Tutti i titoli che riuscì ad accumulare nella sua scalata a corte sono elencati nelle iscrizioni incise sulle statue che lo rappresentano, così come sulle stele e sulle cappelle che lui stesso fece costruire. Sebbene sia ricordato soprattutto come direttore dei lavori reali, la carica più alta che ricoprì fu quella di responsabile della casa di Amon – cioè il grande tempio di Amon a Tebe, capitale egizia –, un titolo che gli permetteva di amministrare la ricchezza accumulata dall’influente clero di questa divinità. Ciononostante, la vera figura di Senenmut si perde tra le ombre. Infatti non fu solo un uomo di stato e un fedele sacerdote. Non si limitò a svolgere l’attività di consigliere politico o a dimostrare la sua eccellenza in architettura. Incarnò anche un’antica figura non del tutto compresa dagli storici: quella del saggio universale.

C R O N O LO G I A

UN UOMO DIETRO LE QUINTE

1490 a.C. Alla morte di Thutmose II, assume la reggenza sua moglie Hatshepsut, perché il legittimo erede è ancora un bambino.


KARNAK, IL TEMPIO DI AMON

Senenmut ricopriva una delle più alte cariche dell’amministrazione del santuario tebano. Fu lui a organizzare il trasferimento e la posa dei due grandi obelischi del tempio di Karnak. JANE SWEENEY / AWL IMAGES

1483 a.C.

1479 a.C.

1468 a.C. circa

1468 a.C.

Hatshepsut si proclama sovrana. Senenmut inizia a costruire il tempio funerario della regina a Deir el-Bahari.

Hatshepsut fa costruire la cappella Rossa nel tempio di Karnak. Senenmut diventa l’uomo forte del Paese.

Senenmut muore verso la fine del regno della sovrana. Esistono due tombe, ma la sua mummia non è mai stata trovata.

La regina Hatshepsut muore poco dopo la conclusione del suo tempio funerario. Le succede Thutmose III.


Su questo piccolo recipiente appare un cartiglio con il nome di Thutmose II, marito e fratellastro di Hatshepsut e padre di Thutmose III. Staatliches Museum Ägyptischer Kunst, Monaco di Baviera.

DEA /A LB

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Rientrano in questa categoria una serie di personaggi della cultura egizia – strateghi, diplomatici, filosofi, matematici, sacerdoti, amministratori, architetti o astronomi – che s’ispirarono alla figura di Imhotep (l’architetto del faraone Djoser, autore della piramide a gradoni di Saqqara, la prima in Egitto) e raggiunsero l’eccellenza in ambito politico, militare, tecnico e intellettuale. Questi predecessori di Senenmut riuscirono a distinguersi in tutti i campi del sapere, come più tardi avrebbe fatto anche lui stesso. L’accesso alle più alte cariche e responsabilità statali avveniva in tre fasi. Per prima cosa gli aspiranti si mettevano in evidenza grazie alle loro capacità intellettuali; quindi davano prova di possedere grandi competenze di calcolo, organizzazione e leadership; infine, dimostravano le proprie abilità nella direzione di grandi opere. Dato che svolgevano questi compiti nella segretezza e nel mistero propri dei servitori degli dei, la loro devozione e il loro impegno finirono per mettere in ombra le rispettive

Un mistero che perdura Le due tombe di Senenmut sono state catalogate rispettivamente come TT71 e TT353. La prima è a Gurna, una necropoli in cui furono sepolti nobili e cortigiani del Nuovo regno. La seconda tomba si trova in una depressione naturale vicino al tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahari, un edificio noto anche come Djeser-Djeseru (santo fra i santi) e progettato dallo stesso Senenmut. A prima vista può sembrare sorprendente l’esistenza di due tombe, ma a quei tempi era normale che alcuni personaggi disponessero di un monumento funebre riservato al culto e un altro alla sepoltura. Quando l’egittolo-

FOTO: METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

VASO DI MAIOLICA

DEA / SCALA, FIRENZE

UNA DELLE ISCRIZIONI TROVATE NELLA TOMBA TT71, SITUATA A GURNA. ANCHE SE ALCUNI TESTI SONO STATI CANCELLATI, NELLA COLONNA DI DESTRA SI PUÒ LEGGERE: «GENERATO DA RAMOSE, NATO DA HATNOFER». SI TRATTA DEI GENITORI DI SENENMUT.

esistenze personali: infatti non si conoscono i nomi delle mogli o dei discendenti di nessuno di loro. È così che nacque la figura del saggio enigmatico, che raggiunge la gloria partendo dal nulla: una specie di uomo del Rinascimento ante litteram dalla conoscenza enciclopedica, il cui lascito per i posteri rimaneva strettamente limitato alle opere da lui costruite. Rispetto a questa lista di personaggi, ciò che mancò a Senenmut fu un riconoscimento pubblico. La ragione per cui non lo ricevette fu probabilmente la natura inappropriata della sovrana cui aveva prestato i suoi servizi. Infatti, dopo essere stata reggente di Thutmose III, Hatshepsut aveva usurpato il trono a lui riservato. Così l’operato di Senenmut fu considerato dai suoi successori contrario alla maat, la giustizia universale. Per questo motivo gli fu negato il diritto a essere ricordato con lodi quasi divine, com’era stato invece concesso a Imhotep e come sarebbe avvenuto in seguito con il grande architetto Amenofi, figlio di Hapu. Nonostante il ruolo centrale svolto nell’Egitto del suo tempo, la biografia di Senenmut si riduce dunque ad alcuni titoli ed epiteti criptici incisi sulle pareti dei monumenti da lui stesso eretti. Alcuni di essi furono costruiti a maggior gloria di Hatshepsut e raggiunsero un tale livello di magnificenza da rendere eterna e immortale la figura della regina, nonostante le contestazioni di cui sarebbe stata oggetto. Altri edifici, invece, erano destinati al puro diletto spirituale di Senenmut, come le sue due enigmatiche tombe.


GLI OGGETTI DELLA TT353

LE TOMBE DI SENENMUT La TT353 era una tomba o un monumento funerario complementare alla TT71? A prescindere dalle caratteristiche specifiche dei due edifici, nella TT353 sono stati ritrovati dei depositi di fondazione costituiti da oggetti che, di solito, erano caratteristici di templi o edifici religiosi, per quanto a volte fossero presenti anche in tombe private. I depositi di fondazione servivano a invocare la protezione degli dèi sull’edificio. Tra il 1926 e il 1927 l’egittologo Herbert Winlock scoprì nella TT353 almeno cinque depositi di fondazione. Questa pagina illustra alcuni degli oggetti rinvenuti. 1. Amuleto in ebano che rappresenta un nodo tiet.

3. Coperchio del vaso canopo rinvenuto nel pozzo della camera C. Il resto del recipiente, che conteneva le viscere mummificate del defunto, non è stato trovato. 2. Strumenti A destra, stampo per mattoni. Sotto, una zappa.

4. Ciotola in ceramica con tracce di frutta.

5. Pietra rotonda recante un’iscrizione.


TUTTO IL CIELO IN UNA TOMBA

RICOSTRUZIONE FACSIMILE DEL SOFFITTO ASTRONOMICO SCOPERTO NELLA TOMBA TT353, A DEIR EL-BAHARI.

I

L SOFFITTO ASTRONOMICO della tom-

ba di Senenmut TT353 era una novità per l’epoca. Anche se alcuni elementi appaiono già nel sarcofago di Ini (XI dinastia), si tratta della più antica raffigurazione completa della volta celeste secondo lo schema egizio. È divisa in due sezioni da un testo geroglifico. Nella prima si possono vedere le costellazioni boreali: Meskhetiu (l’Orsa Maggiore), Reret Ueret o Nekht (rispettivamente l’Ippopotamo e il Gigante, costellazioni rispetto alle quali gli esperti non sono accordo sull’identificazione con le costellazioni attuali). Nella seconda sezione si trovano invece le stelle del sud, guidate da Sah (Orione) e Sopdet (Sirio), nonché i pianeti conosciuti all’epoca e una lista dei decani, ovvero gli astri usati per contare il trascorrere delle ore notturne.

METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

OSTRAKON CON TESTA DI TORO

Questo frammento di pietra calcarea, su cui un anonimo artista dipinse la testa di un toro, fu rinvenuto nella tomba TT71 durante gli scavi effettuati tra il 1935 e il 1936. Metropolitan Museum, New York. METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

go del Metropolitan Museum di New York Herbert Winlock studiò i due siti, stabilì che la TT71 era una cappella di culto, mentre la TT353 era la tomba vera e propria. Ciononostante oggi quest’ipotesi non convince più gli archeologi.

Una tomba vuota La TT71 ha una facciata esterna lunga quasi 30 metri che dà su una sala con otto colonne e da cui parte un corridoio di circa 26 metri di lunghezza. Sebbene la decorazione sia molto deteriorata, è stato possibile leggere alcuni testi. Tra gli elementi più significativi c’è una stele a falsa porta sulla quale sono incisi alcuni titoli di Senenmut e la tipica scena del defunto in compagnia dei genitori davanti a una tavola per le offerte. Il deplorevole stato di conservazione della TT71 non ha impedito che a

partire dal XIX secolo venisse studiata e documentata. Fu visitata anche dal pioniere dell’egittologia Karl Richard Lepsius, che prelevò dalla tomba la stele della falsa porta, oggi esposta al Museo egizio di Berlino. Più tardi Winlock individuò nelle vicinanze i resti del sarcofago di Senenmut, frammentato in centinaia di pezzi, e la tomba dei suoi genitori, Ramose e Hatnofer. Il sarcofago fu ricostruito e presentato al Metropolitan Museum di New York. Sia la forma ovale sia la quarzite di cui è composto erano elementi tradizionalmente riservati ai sovrani. Ma nella tomba non c’erano tracce della mummia del consigliere della regina.

Un monumento funerario L’altra sepoltura di Senenmut, la TT353, ha delle dimensioni e una struttura che fanno pensare alla tomba di un alto dignitario o di un personaggio vincolato alla nobiltà. Presenta però delle anomalie rispetto alla tipologia standard, perché si tratta di un complesso sotterraneo ed è privo della cappella di culto propria dei sepolcri egizi,


Questa stele, che permetteva all’anima del defunto di entrare e uscire dall’aldilà, fu trovata nella tomba TT71. Vi sono incisi i nomi di Senenmut, che appare seduto a un tavolo di offerte con i suoi genitori. Fu portata a Berlino dall’egittologo tedesco Richard Lepsius ed è attualmente esposta al Neues Museum.

BRIDGEMAN / ACI

LA FALSA PORTA DI SENENMUT


ALLINEATO CON LE STELLE

LA PAZ CON CORINTO EN 365 A.C., CORINTO, ALIADA DE ESPARTA EN LA LIGA DEL PELOPONESO, FIRMÓ LA PAZ CON TEBAS, CAMBIANDO DE BANDO. ARRIBA, TEMPLO DE APOLO EN CORINTO. SIGLO VI A.C.

A

CAPPELLA DI HATHOR A DEIR ELBAHARI. È DECORATA CON RILIEVI COME QUESTO, CHE RAFFIGURANO LA DEA CON SEMBIANZE DI VACCA.

LCUNI EGITTOLOGI, tra cui l’autore di questo articolo, sostengono che Senenmut tentò di creare un collegamento tra la tomba TT353 e la cappella di Hathor nel tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahari. Secondo l’astrofisico spagnolo Juan Belmonte, il corridoio di accesso alla TT353 potrebbe essere allineato con Aldebaran, la stella più luminosa della costellazione del Toro. Questo dato permetterebbe di collegare il complesso religioso della sovrana con l’antico culto imperante a Deir el-Bahari e incentrato su Hathor, divinità con sembianze di vacca protettrice dei faraoni. Nel Museo egizio del Cairo, per esempio, c’è una statua di Hathor che allatta il faraone Amenofi II bambino. Il faraone è raffigurato in piedi tra le zampe anteriori della divinità, intento a succhiare il latte.

INTERFOTO / AGE FOTOSTOCK

SIGNORA DELLE DUE TERRE

Vaso di alabastro recante un’iscrizione con il nome di Hatshepsut: «Possa vivere per sempre la buona dea Maatkara, signora delle due terre! Amata da Amon, che è a DjeserDjeseru». QUINTLOX / ALBUM

cui accedevano i parenti del defunto per portare le offerte necessarie alla sopravvivenza nell’aldilà. La tomba inoltre non ha una camera funeraria vera e propria, ma solo un piccolo pozzo. Ciò spinse Herbert Winlock a ipotizzare che i due edifici fossero complementari, cioè che la TT71 svolgesse la funzione di cappella, mentre la TT353 rappresentasse la sepoltura vera e propria. Quest’ultima è composta da tre camere, denominate A, B e C, disposte longitudinalmente e unite da alcune scale e una serie di corridoi, il primo dei quali conduce all’interno del monumento e termina nella camera A. Questa è l’unica a presentare incisioni e pitture; tra le altre vanta uno dei primi soffitti astronomici del quale si abbia notizia. Le altre due stanze sono incompiute. Quando la tomba fu scoperta, le camere A e B erano stipate di detriti provenienti dallo scavo della C. Se ne può dedurre che la costruzione dell’edificio si svolse in due fasi e che il piano originale prevedeva solo la camera A. Ecco perché questa è l’unica a essere stata decorata. Alla fine del primo corridoio c’è

un’immagine di Senenmut su cui compare il suo nome e il titolo di Responsabile della casa di Amon. Sono molti gli elementi sorprendenti di questo insolito edificio. Innanzitutto la profondità, che supera i 96 metri. Se la costruzione si svolse in almeno due fasi e la prima prevedeva solo la camera A, il progetto originale non doveva superare i 62 metri. Fu probabilmente la geologia a determinare un aumento della profondità: infatti la composizione del primo strato di terreno è molto friabile, per cui fu possibile iniziare la costruzione della camera solo una volta raggiunta una solida base di pietra calcarea. Ma ci sono anche delle specifiche ragioni architettoniche che permettono di collegare questo ipogeo con il tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahari. Infatti, la TT353 si espande nel sottosuolo in direzione di una parte importante del Djeser-Djeseru, una cappella scavata nella roccia e dedicata a Hathor, divinità con sembianze di vacca. Allo stesso tempo la TT353 è allineata con alcuni astri della costellazione del Toro. Per questo motivo c’è chi ha ipotizzato che questo strano monumento costituisca


TEMPIO DI DEIR EL-BAHARI

L’architetto Senenmut costruì il tempio funerario della sua sovrana Hatshepsut nel teatro roccioso di Deir el-Bahari. L’edificio, che si mimetizza perfettamente con il paesaggio circostante, è composto da una serie di terrazze colonnate unite da lunghe rampe. BERTRAND RIEGER / AGE FOTOSTOCK


L’ENTRATA DELLA TOMBA TT353

JOANA KRUSE / ALAMY / ACI

si apre sulla montagna di deir el-bahari ed è allineata con il tempio funerario della regina Hatshepsut.

IL VOLTO DI SENENMUT

Quest’ostrakon con un ritratto è stato trovato nella tomba TT71 di Gurna, accanto a un cumulo di detriti. La somiglianza con altre immagini induce a pensare che si tratti di Senenmut. MET, New York. SCALA, FIRENZE

un dispositivo architettonico e astronomico legato al tempio funerario che Senenmut stesso eresse per la regina; un dispositivo la cui vera funzione è ancora ignota. Di fatto, il misterioso collegamento tra la TT353 e la cappella dedicata al culto della dea Hathor – alla quale Hatshepsut veniva associata – ha portato chi scrive a supporre che nel sottosuolo di Deir el-Bahari esista un edificio non ancora scoperto, che potrebbe aiutare a comprendere l’enigmatica funzione rituale svolta dalla seconda tomba di Senenmut. In ogni caso, non è chiaro dove sia stato sepolto veramente il ministro della regina. Non sono stati trovati indizi certi di una camera funeraria né nella TT353 né nella TT71, e non si sa nemmeno se la sua salma sia stata effettivamente deposta in una di queste tombe. Tra le due, è comunque più probabile che si trattasse della TT71, dato che era quest’ultima a ospitare il

sarcofago e a essere inoltre collegata al vicino sepolcro dei genitori. Senenmut viene menzionato per l’ultima volta nell’anno 16 del regno di Thutmose III e Hatshepsut. Molte delle statue e dei rilievi del consigliere reale sono incompiuti e frammentati a causa della damnatio memoriae di cui fu oggetto la regina, probabilmente in epoca ramesside, e che inevitabilmente finì per coinvolgere anche il suo ministro. Alcuni egittologi hanno voluto vedere in questa persecuzione dell’eredità di Senenmut un ammonimento che le dinastie successive hanno rivolto ai potenziali usurpatori delle loro prerogative regali. TITO VIVAS EGITTOLOGO. RICERCATORE DELL’ISTITUTO DI STUDI DEL VICINO ORIENTE ANTICO (UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA)

Per saperne di più

SAGGI

Le regine dell’antico Egitto Rosanna Pirelli. White Star, Milano, 2008. LIBRI PER RAGAZZI

Hatshepsut. La figlia del sole Laurie Elie, Alessandra Grimaldi, Forough Raihani. L’Asino d’oro, Roma, 2016.


LA SOVRANA D’EGITTO

Questa statua in granito rappresenta la regina Hatshepsut con gli attributi della regalità: una falsa barba e il copricapo nemes, privo dell’ureo reale, che forse fu intenzionalmente distrutto. Metropolitan Museum, New York. METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE


2

STATUA DI SENENMUT IN SCISTO VERDE. 41 X 15,2 X 30,5 CM. KIMBELL ART MUSEUM, FORT WORTH.

Delle tante statue di Senenmut che probabilmente furono scolpite se ne sono conservate solo una ventina. Molte sono incompiute o hanno parte delle iscrizioni cancellate, forse a causa della damnatio memoriae cui fu sottoposta Hatshepsut e che si estese ai suoi uomini di fiducia.

L’IMMAGINE DI UN UOMO POTENTE SENENMUT CON UNA CORDA DA AGRIMENSORE. STATUETTA DI 20 CM DI ALTEZZA IN QUARZITE. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.

1


1. DEA / SCALA, FIRENZE. 2. KIMBELL MUSEUM / SCALA, FIRENZE. 3. ARALDO DE LUCA

Questa statua venne scoperta da Legrain nel 1907 nel nascondiglio del tempio di Karnak. Raffigura Senenmut con la principessa Neferura in braccio. La piccola ha la caratteristica pettinatura dei bambini egizi.

3 SENENMUT E LA PRINCIPESSA NEFERURA

L’alto funzionario è in ginocchio, intento a offrire la statua di un serpente, simbolo della dea Maat. Il disco solare sulla testa del rettile (il dio Ra) e le due braccia che lo sorreggono alla base (il ka) formano un crittogramma del nome di Hatshepsut: Maatkare.

2 SENENMUT INGINOCCHIATO

Questa figura rappresenta Senenmut che regge uno degli strumenti della sua professione di architetto: una corda da agrimensore su cui appare una testa umana, forse un’immagine della principessa Neferura.

1 SENENMUT ARCHITETTO

3 SENENMUT E NEFERURA. STATUA IN GRANITO NERO DI 60 CM DI ALTEZZA. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.


IL SANTO SEPOLCRO

LA GRANDE BASILICA DI GERUSALEMME Nel IV secolo l’imperatore Costantino fece costruire a Gerusalemme una splendida basilica nell’area in cui, secondo la tradizione, erano avvenute la crocifissione, la sepoltura e la resurrezione di Gesù


FEDELI A GERUSALEMME

Un folto gruppo di pellegrini circonda l’edicola contenente la tomba di Gesù, nella rotonda della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme, durante la celebrazione della Pasqua del 2016. THOMAS COEX / GETTY IMAGES


cristiana. Ogni epoca ha impresso il suo segno sull’architettura della basilica e l’organizzazione degli spazi di culto è uno specchio della lotta in seno alla cristianità tra cattolici, ortodossi, armeni, copti, siriani ed etiopi.

Basilica di Costantino

COMPIANTO E SEPOLTURA DI CRISTO. OLIO DI ROGIER VAN DER WEYDEN. XV SECOLO. GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE. SCALA, FIRENZE

COSTANTINO E SANT’ELENA

Particolare di un messale greco dell’XI secolo in cui appaiono l’imperatore Costantino e sua madre, sant’Elena, cui viene attribuita la scoperta della croce di Cristo durante una visita a Gerusalemme. Biblioteca Palatina, Parma. DAGLI ORTI / AURIMAGES

C

hi arriva a Gerusalemme alla ricerca del più importante santuario della cristianità si aspetta di trovare un edificio dai limiti ben definiti. Tuttavia la basilica del Santo Sepolcro sembra piuttosto una sovrapposizione di strutture differenti, dall’aspetto caotico e oscuro e affollata di pellegrini e visitatori di ogni tipo. A differenza di altri templi che hanno mantenuto la forma originaria datagli dai loro creatori, il Santo Sepolcro ha visto succedersi una serie d’interventi e ricostruzioni, che costituiscono una testimonianza della tumultuosa storia di Gerusalemme in era

L’origine del Santo Sepolcro risale agli inizi del IV secolo, ovvero gli anni di espansione della Chiesa cristiana sotto il patrocinio dell’imperatore Costantino. Approfittando della celebrazione del concilio di Nicea, il vescovo di Gerusalemme Macario chiese all’imperatore di ordinare gli scavi della tomba di Gesù, che secondo la tradizione si trovava al di fuori delle mura dell’antica città. Questo costrinse a demolire due antichi templi romani che sorgevano sopra la presunta ubicazione del sepolcro, i santuari di Giove Capitolino e di Venere. Secondo quanto riferisce il biografo di Costantino, Eusebio di Cesarea, si trattò di un’operazione estremamente delicata: le tecniche costruttive romane erano molto raffinate e lo smantellamento di un tempio saldato al suolo mediante un podio non era un compito facile. Poco dopo venne finalmente annunciato il ritrovamento del sepolcro di Cristo, scavato nella roccia proprio sotto il basamento del santuario di Venere. Quasi contemporaneamente fu proclamata l’identificazione del Golgota, la collinetta rocciosa a forma di cranio (da cui il nome ebraico e il corrispettivo latino, Calvario) dove Gesù Cristo era stato crocifisso. Informato della scoperta, Costantino ordinò a Macario di erigere su quei luoghi una basilica, senza badare a spese. Il nuovo edificio avrebbe dovuto superare in magnificenza «i più bei monumenti di ogni città». I lavori iniziarono nel 326 e la chiesa fu consacrata il 17 settembre 335, anche se sarebbe stata terminata solo mezzo secolo più tardi.

C R O N O LO G I A

NELLA CITTÀ SANTA

135 Adriano costruisce un tempio di Venere a Gerusalemme, diventata nel frattempo colonia Aelia Capitolina. L’altare della dea sorge sopra la tomba di Cristo.


VEDUTA AEREA DI GERUSALEMME

335

614

1009

1114 470 A.C.

Costantino termina i lavori del Santo Sepolcro. Alla chiesa si accede da est, tramite dei monumentali propilei.

Il sasanide Cosroe II danneggia il Santo Sepolcro. Lo restaura Modesto, abate del monastero di San Teodosio.

Al-Hakim distrugge il Santo Sepolcro. Nel 1048 Costantino Monomaco lo ricostruisce aggiungendovi delle piccole cappelle.

I crociati restaurano Bis. Valicer udaciestil facio, Santo Sepolcro scavano confertium quiecri strum latem cripta di Sant’Elena. quod cavo, Pala nonfes Nel 1149 avviene l’ultima egervid co hos fuissil trasformazione della chiesa. tandiurnic oportud.

DUBY TAL / ALBATROSS / ALAMY / ACI

In questa prospettiva aerea della città vecchia di Gerusalemme si apprezza, in primo piano, la chiesa del Santo Sepolcro. Sullo sfondo, la spianata delle moschee dove sorge la Cupola della roccia, con il suo inconfondibile profilo dorato.


tempio di venere (ii secolo). Costruito dall’imperatore Adriano sull’antica cava del Golgota. LA PAZ CON CORINTO EN 365 A.C., CORINTO, ALIADA DE ESPARTA EN LA LIGA DEL PELOPONESO, FIRMÓ LA PAZ CON TEBAS, CAMBIANDO DE BANDO. ARRIBA, TEMPLO DE APOLO EN CORINTO. SIGLO VI A.C.

43 metri

TOMBA DI CRISTO

cava del golgota (i secolo). Area alla periferia di Gerusalemme dove secondo la tradizione fu crocifisso e sepolto Gesù di Nazareth. GOLGOTA/CALVARIO

Questo mosaico rappresenta l’edicola con la tomba di Cristo all’interno della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Risale al 500 d.C. WHA / AURIMAGES

Il complesso era costituito da una serie di spazi che si estendevano da est a ovest formando una sorta di via processionale. Vi si accedeva tramite l’antico cardo maximus, uno dei due assi principali della Gerusalemme romana. L’atrio d’ingresso venne costruito riutilizzando parte del temenos del tempio di Venere, ovvero il grande recinto sacro costruito ai tempi di Adriano. Costituiva un primo spazio di meditazione che permetteva ai fedeli di lasciarsi alle spalle il trambusto delle strade cittadine. Quindi si entrava nella basilica propriamente detta, una tipologia di edificio a forma rettangolare caratteristica dell’architettura civile romana, che i cristiani adottarono per i loro edifici religiosi. Sebbene questa prima chiesa sia andata completamente distrutta nell’XI secolo, alcuni ritrovamenti permettono di ricostruirne l’aspetto originale. Dietro una parete dell’attuale

cappella di Sant’Elena sono state individuate delle mura di alcune decine di metri di lunghezza e quasi tre metri di spessore, che probabilmente appartenevano alla basilica costantiniana. Per la costruzione di questo edificio furono riutilizzati i blocchi di pietra del santuario di Venere, provenienti a loro volta dal secondo tempio di Gerusalemme, ricostruito da Erode il Grande alla fine del I secolo a.C. In virtù della loro alta qualità, questi blocchi furono impiegati per le strutture portanti, ma non per le fondazioni minori.

Un interno sontuoso Si ritiene che le dimensioni della basilica del Santo Sepolcro fossero relativamente modeste: secondo un’ipotesi sarebbero state 38 metri di lunghezza per 46 di larghezza, solo un terzo della basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, per citare un esempio. Ma le testimonianze dell’epoca ne decantano la sontuosa decorazione interna. Eusebio di Cesarea, che la visitò poco dopo la dedicazione, riferisce: «L’interno era

ATLANTIDE PHOTOTRAVEL / GETTY IMAGES

IL SANTO SEPOLCRO


INGRESSO AL SANTO SEPOLCRO

La chiesa si apre su un ampio cortile. Accanto a essa sorge una torre campanaria che attualmente raggiunge metà della sua altezza originaria. Sotto una finestra della facciata si trova la cosiddetta “scala inamovibile”, lì da metà ottocento.


Rotonda

Triportico

Basilica

Atrio

Cardo maximus

La prima basilica la basilica del santo sepolcro sorse nel cuore di Aelia Capitolina, la nuova città romana che Adriano fece costruire sulle macerie dell’antica Gerusalemme nel 135 d.C., dopo aver schiacciato la rivolta ebraica di Bar Kokhba. Un nuovo viale, il cardo maximus, attraversava la città da nord a sud, permettendo l’urbanizzazione di un’area che in precedenza era situata al di fuori delle mura e dove sorgevano due templi dedicati a Giove e Venere. Costantino fece demolire questi due santuari per portare alla luce la tomba di Gesù e costruire una splendida basilica in suo onore.

la chiesa del santo sepolcro nel iv secolo

rotonda

Edicola

Livello del suolo della tomba originale

triportico


e mura nd co e S Gesù cura un paralitico. Porta Giovanni 5: 2-9 del Pesce Stagno del Passero

N/A EMA RIDG H/B ALOG GE B

Piscina delle Torri

Prime mura

Porta di Damasco

Palazzo di Erode

Pretorio

Agorà Superiore

Roccia del Calvario

Peripati

ni o

po i Co Porta d Scalinata Palazzo (Arco di di Erode Robinson)

Porta di Susa

TEMPIO

Atrio dei Gentili

eale Stoà R l fe Scalinata

Antipa

3 C I T T À

A L T A C I T T À

Stagno del Serpente

2

Giardino del Getsemani

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BA L A

Porta del Processo Porta di Warren

Casa del B A S S A Sommo Sacerdote QUARTIERE ESSENO Gesù risorto appare due volte Cenacolo ai discepoli. (ubicazione Giovanni 20: 19-29 tradizionale) Prime di mura Piscina Siloam

1

basilica o martyrium

Altare

Fortezza Antonia

Gesù insegna nel tempio. Giovanni 8: 2

5

4

Stagno di Israele

Porta delle Pecore

mo di Salo

Go Chiesa del lgo Santo Sepolcro XII secolo d.C.

Via Dolorosa XIV secolo d.C.

Tempio

250

0 metri

Mura moderne (costruite nel XVI secolo d.C.)

ta

L’inaugurazione della basilica costantiniana di Gerusalemme coincise con l’inizio dei pellegrinaggi cristiani nella città santa. Per consentire ai fedeli di vivere un’autentica esperienza religiosa, fu allestito un percorso tra i punti delle principali scene della vita di Gesù. Come scrisse Paolino di Nola (355-431), «Il motivo principale che attira i credenti a Gerusalemme è vedere e toccare i luoghi dove è presente il corpo di Cristo». Tra questi c’erano il cenacolo 1, il giardino del Getsemani 2 dove Gesù fu tradito da Giuda, il palazzo di Erode 3 dove fu processato, il Golgota 4 dove fu crocifisso e il Santo Sepolcro 5.

e mura Second

CI

I LUOGHI SANTI

Piscina probatica (piscina di Betzaeta)

O

Città dentro le mura all’epoca di Gesù

Città di David

Sorgente di Gihon

Tunnel di Ezechia

Porta delle Acque


EDDIE GERALD / ALAMY / ACI

DISEGNO DI UNA BARCA

Un pellegrino disegnò su una grande lastra di pietra della basilica originale del IV secolo un’imbarcazione mercantile. Sotto pose quest’iscrizione: Domine, ivimus («Signore, andiamo»). ZEV RADOVAN / BRIDGEMAN / ACI

50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

rivestito di lastre di marmo policromo»; mentre il soffitto «a cassettoni intagliati, che si estendeva come un vasto oceano per tutta la basilica […] era rivestito d’oro splendente, faceva brillare l’intero tempio in uno scintillio di luci». Due gallerie laterali conducevano alla terza area del Santo Sepolcro, il cosiddetto triportico, un cortile di circa 28 metri di lunghezza per 40 di larghezza, circondato da colonne su tre lati, in cui si trovava il Golgota. La roccia che aveva ospitato la croce era decorata con pietre preziose e ricoperta da un ciborio (una sorta di baldacchino) a scopo protettivo. Infine, si arrivava all’edificio che sorgeva sul luogo dove Cristo era risorto e dava senso a tutto il complesso: la rotonda dell’Anastasi (“resurrezione”

Sasanidi e arabi Nel 614 i persiani assunsero per un breve periodo il controllo della Palestina, occupando Gerusalemme. La basilica del Santo Sepolcro fu saccheggiata e data alle fiamme, ma non completamente distrutta. Nell’incendio bruciarono gli interni e le parti lignee, tra cui i soffitti e le coperture, ma la struttura rimase sostanzialmente intatta. Qualche anno più tardi, sotto il patriarca Modesto, iniziò l’opera di restauro, che tuttavia non poté restituire al complesso il suo splendore originario. Nel 628 le forze dell’impero bizantino riuscirono a espellere i persiani e a recuperare il controllo del territorio, ma solo momentaneamente, perché dieci anni più tardi furono gli arabi a invadere la Terra Santa. Sotto il dominio musulmano, i cristiani di Gerusalemme godettero di una relativa tolleranza religiosa, e il Santo Sepolcro rimase aperto al culto e alla moltitudine di pellegrini provenienti da tutta la cristianità. La situazione cambiò radicalmente nel 1009, quando il califfo fatimide al-Hakim, per rappresaglia contro alcune azioni dell’imperatore bizantino, ordinò la

EFESENKO / ALAMY / ACI

CAPPELLA DI SAN VARDAN E DEI MARTIRI ARMENI, NELLA CAVA DEL I SECOLO ACCANTO ALLA CAPPELLA DI SANT’ELENA E SOTTO LA CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO.

in greco). Anch’essa fu in seguito distrutta dai musulmani, ma i resti delle mura di fondazione permettono di ricostruirne le dimensioni e la struttura. Era di forma circolare, secondo la tradizione del mausoleo romano, con un diametro di 36,50 metri, e vi si accedeva tramite un portico colonnato. Il cilindro inferiore poggiava su una base ottagonale e quello superiore aveva otto finestre, il cui scopo era alleggerire il peso della volta che copriva la zona di sepoltura sottostante. Alla sommità della cupola c’era un oculo attraverso il quale penetrava la luce, proprio come nel Pantheon di Roma. Riferisce una testimonianza del 530: «La tomba, che ha la forma di un cono, è ricoperta d’argento; davanti a essa è posto un altare, sotto i raggi dorati del sole». Al centro della rotonda, nel presunto luogo di ritrovamento del sepolcro di Cristo, fu costruito un piccolo edificio in marmo, l’edicola, che si componeva di due stanze: un atrio a uso devozionale e la camera funeraria vera e propria, dove secondo la tradizione avrebbe riposato il corpo di Gesù.


CAPPELLA DI SANT’ELENA

Al livello inferiore della chiesa del Santo Sepolcro si trova la cappella di Sant’Elena, appartenente alla comunità religiosa armena. La cappella attuale fu eretta nel XII secolo su un edificio precedente.


CUPOLA DELLA ROTONDA

È la parte centrale e più importante della chiesa del Santo Sepolcro. La cupola copre l’edicola (nell’immagine), dove la tradizione colloca la tomba di Cristo e il luogo della sua resurrezione. FRED FROESE / GETTY IMAGES



LA PREGHIERA DEL CALIFFO OMAR

A

L SUO ARRIVO a Gerusalemme nel 638, il califfo Omar si dimostrò tollerante con i cristiani. Quest’interpretazione storica si basa su un famoso aneddoto menzionato per la prima volta dal patriarca di Alessandria, Eutichio, nel X secolo. Si racconta che il califfo Omar fu invitato dal patriarca Sofronio a visitare la chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Quando giunse l’ora della preghiera musulmana, il patriarca propose al califfo di pregare all’interno della chiesa. Tuttavia Omar rispose dicendo che preferiva farlo all’esterno, perché temeva che i suoi gelosi seguaci o le generazioni future potessero trarne un pretesto per trasformare la chiesa in una moschea. In ricordo dell’episodio fu quindi eretta una moschea all’esterno del complesso del Santo Sepolcro, che si è conservata fino a oggi.

MINARETO DELLA MOSCHEA DI OMAR, DAVANTI ALLA CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME. L’EDIFICIO ODIERNO È OTTOMANO E FU ERETTO NEL XIX SECOLO.

VALENTIN SAMA-ROJO / ALAMY / ACI

Questa magnifica corona d’oro, pietre preziose e smalto apparteneva all’imperatore bizantino Costantino IX Monomaco, che nell’XI secolo ricostruì la rotonda con la relativa cupola. Magyar Nemzeti Múzeum, Budapest. ERICH LESSING / ALBUM

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completa demolizione della basilica «fino a cancellarne ogni traccia e sradicarne le fondamenta». L’ordine fu eseguito: il santuario venne raso al suolo e della rotonda rimase in piedi solamente una parte delle mura di fondazione. La comunità cristiana di Gerusalemme non si rassegnò alla perdita e già nel 1012 intraprese un primo tentativo di rifacimento della chiesa su piccola scala. Alla morte di al-Hakim, il suo successore siglò un accordo con Bisanzio in base al quale il governo di Costantinopoli otteneva il diritto di ricostruire il Santo Sepolcro. Salito al trono nel 1042, Costantino IX Monomaco stanziò i fondi necessari a portare a termine l’intervento, che durò sei anni. Le dimensioni del complesso furono notevolmente ridotte: non vennero ricostruiti né la basi-

lica né l’atrio orientale, ma solo la rotonda con la relativa cupola. Per realizzare il progetto gli ingegneri dell’imperatore ricorsero ad alcuni elementi trovati tra i resti della precedente chiesa costantiniana, come le colonne visibili ancora oggi, che sorprendono per l’aspetto sproporzionatamente corto e allargato. Sul lato est della rotonda, Costantino fece aprire una nuova abside, mentre nella crociera settentrionale (l’area delle attuali cappelle francescane) venne collocato un imponente pavimento in marmo bianco e nero, del quale oggi si può apprezzare una copia, che andava a sostituire lo scomparso basamento dell’edicola.

La chiesa delle crociate La successiva grande trasformazione del Santo Sepolcro fu il risultato delle crociate. Il 15 luglio 1099 le truppe cristiane guidate da Goffredo di Buglione entrarono a Gerusalemme e uccisero numerosi abitanti della città – musulmani, ebrei e cristiani orientali –, molti dei quali avevano inutilmente cercato di rifugiarsi nella basili-

MORITZ WOLF / AGE FOTOSTOCK

CORONA IMPERIALE


IL CATHOLICON

In questa parte della chiesa del Santo Sepolcro, sopra la navata eretta dai crociati, si trova una cupola decorata con mosaici tra i quali spicca la figura del Cristo Pantocratore.


oggi L’edicola fu ricostruita dopo l’incendio del 1808, secondo un modello bizantino.

xvi secolo Nel 1555 il francescano Bonifacio di Ragusa la rifece completamente, e tra il 1596 e il 1618 i copti aggiunsero sul retro una loro cappella.

xi secolo I crociati modificarono completamente questa struttura decidendo di sostituirla con un vestibolo chiuso, la cappella dell’Angelo.

iv secolo All’epoca di Costantino era costituita da un portico sorretto da colonne che si apriva sulla camera funeraria.

Sul presunto luogo della tomba di Gesù, al centro della rotonda, fu costruito uno degli elementi del Santo Sepolcro che venne modificato più spesso: l’edicola.

Le metamorfosi dell’edicola

6 Restauro del 2016.

5 Restauro del 1810.

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Porta

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L’ULTIMO RESTAURO Tra il 2016 e il 2017 le tre principali confessioni cristiane che custodiscono la basilica hanno incaricato l’Università tecnica di Atene del suo restauro. L’intervento si è rivelato molto complesso, dato che dal XVI secolo non era stato toccato più nulla. Le lastre di marmo che ricoprono l’edicola sono state smontate, ripulite, quindi rimesse al loro posto e fissate con dei bulloni. La parte più emozionante dell’intero processo è stata il ritrovamento della lastra funeraria in pietra di Gerusalemme su cui, secondo la tradizione, aveva riposato il corpo di Gesù e che era ancora in perfette condizioni.

4 Opera in pietra intermedia.

3 Resti della tomba originale.

2 Lastra inferiore di marmo, antecedente al 1009.

1 Lastra superiore di marmo, successiva al 1020.

RESTI DELLA TOMBA Gli archeologi hanno scoperto che la chiesa del Santo Sepolcro sorge sopra un cimitero ebraico dell’epoca di Gesù. Secondo la tradizione, Giuseppe d’Arimatea, membro di spicco del sinedrio, avrebbe comprato qui la tomba di famiglia in cui più tardi seppellì Gesù. L’edicola della chiesa del Santo Sepolcro sarebbe stata eretta su questo sito.


Cappella copta

Roccia sacra

Scala interna

Porta

Sacerdote greco ortodosso

cappella dell’angelo L’altare contiene una parte della pietra che sarebbe stata rimossa da un angelo per aprire il sepolcro di GesÚ.


riuniva al suo interno l’antico triportico e la rotonda dell’Anastasi. I due spazi furono messi in comunicazione tramite la rimozione dell’abside orientale della rotonda e la sua sostituzione con un grande arco di collegamento. A sud venne collocata la nuova facciata, il cui portale costituisce ancor oggi l’accesso principale della chiesa. I lavori furono coordinati dal maestro Jourdain, l’architetto dei crociati.

Romanico e gotico

GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS

IL SIGILLO DEI RE CROCIATI

In questo sigillo del regno crociato di Gerusalemme sono rappresentati tre dei monumenti più importanti della città: a sinistra, il Santo Sepolcro; al centro, la cittadella; a destra, la Cupola della roccia.

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58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ca. Il clero greco, che fino ad allora aveva controllato il Santo Sepolcro, si vide improvvisamente spodestato dai cattolici. I nuovi signori di Gerusalemme realizzarono numerosi interventi architettonici nel santuario. Fu decisa la costruzione della cappella sotterranea di sant’Elena, che si ricollegava a una tradizione in via di consolidamento proprio in quel periodo: durante un viaggio a Gerusalemme, la madre di Costantino avrebbe ritrovato il lignum crucis, un frammento della croce di Gesù. Venne costruito anche un monastero per i frati agostiniani incaricati del culto quotidiano di rito occidentale. Nella rotonda, i crociati sostituirono l’edicola e innalzarono un campanile accanto alla facciata del transetto sud. Ciononostante il cambiamento più significativo fu la costruzione di una grande struttura a pianta cruciforme che

CAYETANA H. JOHNSON UNIVERSITÀ ECCLESIASTICA SAN DAMASO (UESD)

Per saperne di più

SAGGI

Il Santo Sepolcro a Gerusalemme Renata Salvarani. Libreria Editrice Vaticana, Roma, 2012. La fortuna del Santo Sepolcro nel Medioevo Renata Salvarani. Jaca Book, Rimini, 2008. INTERNET

The Holy Sepulchre www.360tr.com (visita virtuale) Uno sguardo esclusivo sul Santo Sepolcro www.terrasanta.net/tsx/lang/it/p10335/ Uno-sguardo-esclusivo-sul-Santo-Sepolcro

ATLANTIDE PHOTOTRAVEL / GETTY IMAGES

GOFFREDO DI BUGLIONE RICEVE IL TITOLO DI DIFENSORE DEL SANTO SEPOLCRO. OLIO DI FEDERICO DE MADRAZO. XIX SECOLO. SALA DELLE CROCIATE, VERSAILLES.

Il risultato finale era una classica espressione dello stile francese medievale. Alcuni elementi della basilica, come i conci sporgenti che decorano gli archi della facciata, rappresentano una fase di transizione tra romanico e gotico. La chiesa fu ufficialmente consacrata il 15 luglio 1149, in concomitanza con i cinquant’anni dall’arrivo dei crociati a Gerusalemme, anche se secondo varie fonti in quell’anno in realtà non era ancora stata terminata. Sotto i successivi governanti musulmani – gli ayyubidi, i mamelucchi e, dal 1517 fino alla Prima guerra mondiale, i turchi ottomani – la basilica fu sottoposta a continui lavori di restauro. Nel 1808 un incendio costrinse a ricostruire gran parte della struttura dell’edificio, che nel 1927 fu nuovamente danneggiata da un terremoto. A partire dagli anni sessanta sono state realizzate diverse ristrutturazioni. L’ultima risale al 2016 e si è concentrata sull’edicola: gli specialisti hanno rimosso la copertura in marmo del XIX secolo, consolidato la struttura del periodo crociato e riparato le crepe del sepolcro di Cristo scavato nella roccia: un viaggio a ritroso nella storia fino alle origini stesse del Santo Sepolcro.


LA PIETRA DELL’UNZIONE

I pellegrini che visitano la chiesa del Santo Sepolcro posano le mani su questa lastra di pietra dove, secondo la tradizione, riposava il corpo di GesĂš avvolto in un sudario prima della sepoltura.


LA CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO

NAVATE E CAPPELLE Cappelle

2 Catholicon

9 Sant’Elena

3 Rotonda

Franchi

4 Convento francescano

Invenzione della Vera Croce San Vardan

Oggi il Santo Sepolcro è composto da numerose cappelle e spazi sacri il cui controllo è ripartito tra le varie comunità cristiane presenti sin dal Medioevo.

Livello stimato della roccia originaria

1 Atrio

Luoghi simbolici

Crocifissione

5 Sepolcro

Chiodi della Croce

6 Golgota o Calvario

Angelo

7 Pietra dell’unzione 8 Santa prigione

Edicola

42,7 metri

Camera funeraria

Cappella copta

Roccia sacra


4 8 Maria Maddalena San Longino

3

Siriaca

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Sorteggio della veste di Gesù Santa prigione

5 7

Greche

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RICOSTRUZIONI DELL’ARTICOLO: FERNANDO G. BAPTISTA, NGM; MATTHEW W. CHWASTYK, NGM; ADRIENNE TONG; LAWSON PARKER; VICTORIA SGARRO. ILLUSTRAZIONI: FERNANDO G. BAPTISTA, NGM; ROCÍO ESPÍN FONTI: MARTIN BIDDLE, UNIVERSITÀ DI OXFORD; JODI MAGNESS, UNIVERSITÀ DELLA CAROLINA DEL NORD A CHAPEL HILL; PADRE ATHANASIUS MACORA; PADRE EUGENIO ALLIATA, STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM; ERIC H. CLINE, UNIVERSITÀ GEORGE WASHINGTON; BELÉN BRAVO DE RUEDA. UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE AD ANTONIA MOROPOULOU, UNIVERSITÀ TECNICA NAZIONALE DI ATENE; BARRY J. BEITZEL, SCUOLA DI TEOLOGIA EVANGELICA DELLA TRINITÀ.

Golgota Calvario Cappella di Sant’Elena Cappella del Calvario Cappella di Adamo

4,8 m

Roccia del Golgota o Calvario Cava originaria

Cappella dell’invenzione della Vera Croce


IL FILOSOFO DI STAGIRA

ERICH LESSING / ALBUM

Nato in questa cittadina della penisola calcidica (odierna Olympiada), Aristotele si interessò a tutti i campi del sapere, compresa l’anatomia. Ritratto di Giusto di Gand. 1475 circa. Louvre, Parigi. Nella pagina accanto, diagramma dello studioso Christoph Scheiner sul concetto aristotelico di luogo naturale, in un’edizione del 1614 della sua opera Disquisitiones mathematicae.

62 HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC


ARISTOTELE E I L M I S T E R O DE L L A V I T A

SPL / AGE FOTOSTOCK

Filosofo dalla curiosità illimitata, Aristotele dedicò varie opere all’anatomia umana. Riteneva che tutti gli organi si articolassero attorno al cuore, da cui emanava anche il calore necessario ad animare il corpo

HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL TRATTATO SULLA FISICA

Copertina dell’VIII libro della Fisica. Corrisponde all’edizione pubblicata a Venezia nel 1546. British Library, Londra.

AKG / ALBUM

COPPIA DI CAPRE. ILLUSTRAZIONE DI IBN BAKHTISHU PER UN TRATTATO SUGLI ANIMALI D’ISPIRAZIONE ARISTOTELICA. XIII SECOLO. BRITISH LIBRARY, LONDRA.

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oche figure incarnano l’aspirazione alla conoscenza universale più di Aristotele. Nei suoi insegnamenti e nei suoi scritti il grande filosofo greco del IV secolo a.C. si occupò praticamente di tutte le branche del sapere e diede contributi essenziali a un gran numero di discipline. Nell’ambito della storia del pensiero, Aristotele va ricordato non solo come filosofo nell’accezione odierna, ma anche come logico, matematico, storico, psicologo, chimico e naturalista. Eppure, se si esplora il Corpus Aristotelicum, ovvero l’insieme delle opere tradizionalmente attribuite a lui, ci si rende conto che

il volume degli scritti dedicati a tematiche biologiche supera di gran lunga la somma di tutti gli altri argomenti affrontati. È per questo che Aristotele si è guadagnato la meritata fama di scrupoloso osservatore della natura. All’interno delle sue ricerche dimostrò un particolare interesse per il corpo umano e le sue funzioni. In questo campo ebbe delle intuizioni veramente sorprendenti che gli permisero di far luce su alcune questioni fisiologiche fondamentali.

La concezione del corpo Aristotele concepiva il corpo come un composto naturale, il risultato di un’aggregazione per fasi successive di quei principi costi-

SPL / AGE FOTOSTOCK

C R O N O LO G I A

UNA VITA DEDICATA AL SAPERE

367 a.C.

347 a.C.

Aristotele si reca ad Atene per studiare all’Accademia di Platone. Resta nella capitale dell’Attica fino alla morte del maestro.

Quando il nipote di Platone, Speusippo, assume la direzione dell’Accademia, Aristotele lascia Atene e viaggia per l’Asia Minore.


TEMPIO DI EFESTO

347-342 a.C.

335 a.C.

323 a.C.

322 a.C.

Si stabilisce ad Asso, dove insegna con il discepolo Teofrasto e si sposa. Filippo di Macedonia lo invita alla sua corte.

Dopo l’ascesa al trono del figlio di Filippo, Alessandro, Aristotele rientra ad Atene e fonda una scuola sua: il Liceo.

Dopo la morte di Alessandro Magno, ad Atene scoppia una rivolta antimacedone. Aristotele va in esilio per timore di rappresaglie.

Il filosofo muore a Calcide, capitale dell’Eubea. Nel suo testamento cita la sua compagna (forse una concubina), Erpilide.

FRANCK GUIZIOU / GTRES

Negli ultimi anni della sua vita Aristotele tornò ad Atene e fondò il Liceo, dove insegnò fino all’esilio del 323 a.C. Nell’immagine, il tempio di Efesto, che si affaccia sull’agorà ateniese.


Il mistero dei sogni ARISTOTELE COMPOSE un breve trattato per spiegare perché le persone sognano quando dormono. Secondo la sua teoria, i sogni sono il prodotto degli impulsi provenienti dagli organi sensoriali, che possono perdurare anche dopo la scomparsa dello stimolo originale e creare immagini mentali così vivide che i sognatori non riescono a distinguerle dalla realtà. PER IL FONDATORE del Liceo, il sonno e la

veglia non potevano coesistere. Infatti, Aristotele considerava il sonno come una privazione della veglia. Tale convinzione sembra essere contraddetta da quello che i biologi hanno definito “sonno uniemisferico a onde lente”: secondo le più recenti osservazioni di alcune specie mammifere, tra cui anche i delfini, il sonno e la veglia possono effettivamente avvenire simultaneamente.

IL DIO DIONISIO SCOPRE ARIANNA ADDORMENTATA SULL’ISOLA DI NAXOS. AFFRESCO POMPEIANO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI. ORONOZ / ALBUM

tutivi che Empedocle aveva in precedenza identificato con aria, fuoco, terra e acqua. Riteneva che tramite un processo di miscelazione e combinazione tali elementi di base originassero le parti più semplici degli esseri viventi, che poi si sarebbero combinate a loro volta per generare strutture sempre più complesse, come i tessuti e gli organi. Era proprio il sistema degli organi a costituire l’organismo propriamente detto. Il filosofo di Stagira non condivideva invece la classica teoria greca dei quattro umori fondamentali del corpo umano: bile nera, bile gialla, flemma e sangue. Per il pensatore greco, il corpo non era costituito da fluidi, che secondo lui erano un semplice residuo che si produceva in seguito a un processo patologico.

Come avrebbero in seguito sostenuto anche Dessippo e gli stoici, Aristotele affermava che il cuore era l’organo incaricato d’immagazzinare e distribuire al corpo il calore naturale, ovvero quel principio che, insieme al pneuma (soffio vitale), caratterizzava tutti gli esseri viventi, dal concepimento fino alla morte. E attribuiva al cuore un chiaro primato: grazie alla sua posizione centrale, svolgeva le principali funzioni fisiologiche e psicologiche. Secondo lui, il cuore era la prima parte del corpo a formarsi: era l’origine del movimento e anche il luogo dove venivano raccolte e organizzate le informazioni provenienti dai sensi.

L’importanza del cuore Aristotele aveva una visione cardiocentrica del corpo, in contrapposizione a quella dominante della sua epoca, che vedeva il cervello governare tutte le funzioni vitali. La fisiologia aristotelica può essere perfettamente equiparata a una sorta di termodinamica applicata alla biologia. Per lui, i costituenti ultimi della realtà erano le quat-

FINE ART IMAGES / ALBUM

AKG / ALBUM

IL FILOSOFO TEOFRASTO DI ERESO Botanico, fisico e filosofo, Teofrasto fu discepolo di Aristotele e gli succedette alla direzione del Liceo. Statua di Teofrasto nell’Orto botanico di Palermo. 1789.


AL CENTRO DEL CORPO

Questo disegno rappresenta la visione aristotelica dell’anatomia umana, incentrata sul cuore. De corpore et anima, manoscritto medico del 1497. John Rylands University Library, Manchester. HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ORONOZ / ALBUM

In questo particolare del celebre affresco di Raffaello, La scuola di Atene, l’anziano Platone indica il cielo e il giovane Aristotele la terra. Musei Vaticani.

tro qualità elementari: caldo, freddo, secco e umido. Il calore era la causa della formazione e dello sviluppo generale del corpo e della maggior parte dei processi fisiologici. Il cervello era un organo freddo e inerte per natura, la cui funzione principale si riduceva a temperare l’eccesso di calore prodotto dal cuore, specialmente dopo i pasti. Nello scritto intitolato Il sonno e i sogni il filosofo afferma che il motivo per cui ci si assopisce durante la digestione è la necessità di regolare il calore corporeo, dato che una temperatura eccessiva potrebbe avere effetti letali. Per lo stagirita quest’equilibrio termico, fondamentale per la sopravvivenza e per

Grazie ad Aristotele, Erasistrato provò l’esistenza della trachea e dell’esofago EPIGLOTTIDE. DISEGNO ANATOMICO. 1826. BIBLIOTECA BRITANNICA. BRITISH LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI

il corretto funzionamento dell’organismo, dev’essere ripristinato quotidianamente, ed è questa la ragione dell’esistenza del sonno. Aristotele era convinto del fatto che negli animali sanguigni – ovvero i vertebrati, tra cui l’essere umano stesso – la termoregolazione avvenisse anche tramite la respirazione.

Il ruolo dei polmoni Di fatto, Aristotele è stato il primo a riconoscere ai polmoni un ruolo di primo piano nel sistema respiratorio, anche se gli attribuiva una funzione di raffreddamento e non ne riconosceva la cruciale attività di scambio di gas con l’atmosfera. Platone – e come lui molti altri prima di Aristotele – era invece convinto che i polmoni non avessero nulla a che fare con la respirazione e che fossero connessi al processo digestivo dei liquidi, che da lì defluivano nella vescica. Tale opinione era ampiamente diffusa nell’antichità, ed è presente anche in alcuni trattati del Corpus Hippocraticum, l’insieme di testi attribuiti

RENÉ MATTES / GTRES

MAESTRO E DISCEPOLO


TEATRO DI ASSO

Nel 347 a.C. Aristotele si stabilì ad Asso, nell’attuale Turchia. Qui scrisse la Politica e sposò Pizia, che probabilmente lo aiutò in alcune ricerche di biologia. Nella foto, il teatro della città.


Successi ed errori NELL’OPERA di Aristotele, le accurate osservazioni empiriche del mondo naturale si accompagnano ad alcuni evidenti errori. Ad esempio, l’analisi della placenta degli equidi permise al filosofo di smentire il fatto che i feti dei mammiferi si alimentassero succhiando una specie di protuberanza presente nel ventre della femmina durante la gestazione. TUTTAVIA LO STUDIOSO sbagliò ad affermare che il cuore aveva tre cavità nei grandi animali e solo due nei piccoli; e sostenne anche erroneamente che le donne avessero meno denti degli uomini e che i sordi fossero incapaci di apprendere. Bertrand Russell ironizzò che Aristotele avrebbe potuto contare i denti della moglie. Per assolvere il maestro da ogni responsabilità, questi errori furono in seguito attribuiti ai copisti che nel I secolo a.C. trascrissero le opere del maestro. ALBUM

Nel suo ampio trattato di zoologia intitolato Storia degli animali, Aristotele espose anche le conclusioni dei suoi studi sulla placenta dei cavalli. Vaso con figure nere. British Museum.

al padre della medicina, Ippocrate. Le osservazioni di Aristotele sull’epiglottide – una sorta di valvola cartilaginea che quando si mangia o si beve impedisce al cibo di finire accidentalmente nella trachea – permisero di scartare definitivamente l’ipotesi che i liquidi andassero nei polmoni, un’idea che era stata suggerita dalla consistenza spugnosa di questi organi. Le sue analisi furono successivamente sviluppate da Erasistrato di Ceo, che dimostrò l’esistenza della trachea e dell’esofago, due canali sovrapposti che terminano rispettivamente nei polmoni e nello stomaco pur avendo entrambi origine nella parte posteriore della cavità orale.

Si ritiene che assieme ai suoi discepoli abbia sezionato circa cinquanta specie animali RILIEVO VOTIVO CHE RAPPRESENTA UNA GAMBA. BRITISH MUSEUM. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Aristotele studiò con particolare attenzione il processo digestivo, di cui elaborò una dettagliata spiegazione.

Il laboratorio di Aristotele Secondo lo studioso, il calore naturale del corpo agiva sullo stomaco, permettendo a quest’organo di effettuare una sorta di cottura del cibo ingerito. I fluidi derivanti venivano distribuiti all’intestino tramite una rete di piccoli vasi sottili. Successivamente, tramite un processo simile all’evaporazione, tali fluidi venivano filtrati dai pori intestinali, trasformandosi in una specie di siero. Questo liquido risaliva il corpo per venire nuovamente sottoposto a cottura nel fegato, nella milza, nei reni e infine nel cuore, dove diventava sangue. Anche sotto questo aspetto il cuore era al centro dei processi vitali. Gli studiosi si sono spesso chiesti in base a quali ricerche lo stagirita avesse elaborato le sue teorie biologiche, soprattutto quelle relative al corpo umano. Si è ipotizzato che lui e i suoi discepoli, in particolare Teofrasto di Ereso, avessero sezionato o vivisezionato

DAVE PORTER / AGE FOTOSTOCK

STUDI SUI CAVALLI


L’ASCLEPEION DI COS

Situato sull’isola di Cos, è uno dei più importanti templi eretti in onore di Esculapio, dio greco della medicina. Qui sorgeva anche un famoso ospedale, dove studiò Ippocrate e in cui si praticava una terapia basata sul sonno detta “incubazione”.


UN MEDICO IN QUESTO RILIEVO DEL I SECOLO D.C. UN MEDICO ESAMINA UN BAMBINO. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.

secolo d.C., Celio Aureliano, cita letteralmente un frammento di una presunta opera medica di Aristotele denominata Sui rimedi. Allo stesso modo, è probabile che la parte finale del testo di Aristotele intitolato Sulla respirazione contenga estratti da un altro suo scritto medico, anch’esso perduto, Sulla salute e la malattia. Inoltre, nel libro X della Storia degli animali, egli analizza nei minimi dettagli le cause dell’infertilità umana, anche se gli esperti non sono certi che si tratti di un’opera autentica. Nei suoi scritti, Aristotele cita poi altri medici greci come Siennesi di Cipro, Diogene d’Apollonia, Polibo, Leofane o Erodico di Selimbria, quasi sempre per criticarne le dottrine, delle quali evidentemente era a conoscenza.

Illustri ammiratori

ESCULAPIO, IL DIO DELLA MEDICINA I templi dedicati a Esculapio erano delle specie di ospedali dove si effettuavano pratiche curative. Sotto, moneta con l’immagine del dio. Staatliche Münzsammlung, Monaco di Baviera.

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fino a cinquanta diverse specie di animali. Lo scopo sarebbe stato quello di studiare con maggiore precisione i principali processi fisiologici e applicarne alla specie umana le conoscenze ricavate. Sembra invece improbabile che sezionassero cadaveri umani, dato che le prime operazioni di questo tipo vennero effettuate ad Alessandria dopo la morte del filosofo di Stagira, da medici come Prassagora di Cos (fine del IV secolo a.C.) o Erofilo di Calcedonia (335-280 a.C.). Tuttavia c’è un altro modo in cui Aristotele avrebbe potuto acquisire conoscenze dirette sulla fisiologia umana, ovvero con la pratica della medicina. Va ricordato infatti che il fondatore del Liceo apparteneva alla stirpe degli Asclepiadi, la famiglia di coloro che anticamente avevano l’esclusiva della pratica dell’arte medica. Anche se il Corpus Aristotelicum non contiene alcuna opera di medicina, lo studioso avrebbe composto alcuni trattati in seguito perduti. Un medico del V

JORDI CRESPO SAUMELL UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

Per saperne di più

TESTI

Le parti degli animali Aristotele (A cura di A. Carbone). BUR, Milano, 2002. Opere biologiche Aristotele. UTET, Torino, 1999. Il sonno e i sogni Aristotele. Marsilio editore, Padova, 2003. SAGGI

Aristotele e il cervello Tullio Manzoni. Carocci, Roma, 2007.

ORONOZ / ALBUM

BRIDGEMAN / ACI

È difficile credere che Aristotele non si dedicasse alla scienza medica, tanto più che la maggior parte dei filosofi presocratici la praticavano oppure si occupavano di temi legati in qualche modo alla medicina. La cosa certa è che l’opera di Aristotele è intrisa di curiosità per quella che un tempo era considerata scienza, pur con quegli errori che sono parte fondamentale di ogni progresso conoscitivo. Non stupiscono quindi le parole scritte da Charles Darwin in una lettera inviata il 22 febbraio 1882 a William Ogle, il traduttore inglese del trattato di Aristotele Sulle parti degli animali: «Non avevo la più remota idea di quanto straordinario fosse quest’uomo (Aristotele). Anche se i due studiosi che più hanno influito su di me, in senso molto diverso, sono stati Linneo e Cuvier, essi non sono altro che semplici apprendisti accanto al vecchio Aristotele».


DIAGRAMMA ANATOMICO

Durante il Medioevo gli arabi contribuirono a mantenere in vita le dottrine aristoteliche. Disegno anatomico tratto da un’opera del XIII secolo di Tasrih-i Mansuri. British Library, Londra.

HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

73


L A VILL A DEI PAPIR I LA BIBLIOTECA NASCOSTA DI ERCOLANO Nel 1750, nella città romana di Ercolano venne scoperta una fastosa residenza che era rimasta sepolta in seguito all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Al suo interno ospitava magnifiche opere d’arte e una grande biblioteca di quasi duemila testi filosofici


PAESAGGIO ARCHITETTONICO

La villa dei Papiri di Ercolano era decorata da numerosi affreschi, come quello dell’immagine, che sembrerebbe riprodurre un tempio circondato da alberi e rocce. Il tono giallastro è dovuto all’alterazione dei colori in seguito all’eruzione. A sinistra, uno dei papiri scoperti nella biblioteca della villa. Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli (Officina dei papiri ercolanesi). AFFRESCO: PRISMA / ALBUM. PAPIRO: SPL / AGE FOTOSTOCK


UNA CITTÀ DELLA COSTA

Ubicata su un promontorio vicino al mare, ai piedi del Vesuvio, nel 79 d.C. Ercolano poteva contare su circa quattromila abitanti e si estendeva su una superficie di 20 ettari. Ne risultano scavati solo sei. Ercolano

1 Magazzini portuali 2 Zona sacra 3 Terme fuori città 4 Palestra 5 Casa di Nettuno

e Anfitrite 6 Terme centrali 7 Curia augustea 8 Teatro 9 Villa dei Papiri

CARTINA DEL MONTE VESUVIO

La mappa sopra queste righe mostra l’ubicazione del Vesuvio e i paesi colpiti dall’eruzione nell’anno 79 d.C.

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a terribile eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 79 d.C., sommerse di pomici e lapilli la splendida città di Pompei e, con le sue colate di lava, segnò la fine di altri centri come Oplontis, Stabia ed Ercolano, situati lungo la vicina zona costiera. Pompei fu quindi coperta dalla pioggia di materiale infuocato espulso dal vulcano mentre Ercolano, più vicina alle falde del Vesuvio, venne sepolta da uno spesso strato di magma. Questa piccola e prospera città di commercianti, persone facoltose e ricchi villeggianti ri-

ILLUSTRAZIONE 3D: KATATEXILUX

ADOC-PHOTOS / ALBUM

Pompei

mase sepolta sotto quel fango, che si sarebbe poi solidificato sopra le case e le centinaia di abitanti arsi vivi. E così, nascosta da uno strato di melma spessa circa venti metri, la bella Ercolano venne praticamente dimenticata sino a quando, moltissimi secoli dopo, ovvero a metà del XVIII secolo, cominciò a tornare alla luce. Anche Pompei fu riscoperta più o meno nello stesso periodo grazie agli scavi archeologici iniziati e patrocinati dall’allora re di Napoli, il futuro Carlo III di Spagna, e diretti dall’ingegnere militare aragonese Roque Joaquín de Alcubierre. Gli

1738

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RECUPERATA DALL’OBLIO

Grazie all’appoggio di Carlo di Borbone, s’iniziano ad analizzare le rovine di Ercolano tramite tunnel scavati nella dura crosta di lava, spessa fino a 20 metri, che ricopre il sito.

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C R O N O LO G I A

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76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Viene scoperta la villa dei Papiri, che dev’essere esplorata tramite tunnel. I lavori di scavo portano alla luce statue, mosaici, affreschi e, successivamente, una gran quantità di papiri carbonizzati.

EFFIGIE DI GIULIO CESARE SU UN DENARIO D’ARGENTO.


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scavi proseguirono per decenni e solo alla fine del XX secolo gli archeologi riuscirono a ottenere informazioni soddisfacenti.

Un palazzo maestoso Tra le ville signorili della città, la più spettacolare e lussuosa era quella che conosciamo oggi come villa dei Papiri. Questa fu edificata nel I secolo a.C. dal facoltoso e potente patrizio romano Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Gaio Giulio Cesare nonché avversario politico di Cicerone. Si trattava di un imponente palazzo di tre piani che si ergeva su una collina prospicien-

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te il mare. Misurava all’incirca 250 metri di lunghezza e ospitava un magnifico patio centrale con un grande stagno, o piscina, lungo più di sessanta metri e circondato da un elegante peristilio, un giro ininterrotto di colonne. Un raffinato giardino in leggera pendenza si affacciava sul Tirreno e conduceva al porticciolo, permettendo di godere dall’alto di una spettacolare vista sulla costa. L’insieme architettonico era decorato con lusso da numerose pitture, mosaici e marmi, statue, mobili ricercati e una meravigliosa biblioteca, l’unica dell’antichità classica giunta intatta fino ai nostri giorni.

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1761

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Gli scavatori raggiungono la parte residenziale della villa e scoprono i papiri. In un secondo peristilio si scopre anche una collezione di statue che rappresentano sileni, satiri, amorini e busti.

La scoperta di una sacca di gas tossico nella zona orientale della villa obbliga a sospendere gli scavi, che saranno ripresi in modo sistematico solo due secoli più tardi, nel 1996.

Antonio De Simone scopre una parte sconosciuta nel settore orientale della villa: ne deduce quindi che la casa si estendesse su tre livelli.

CARLO III, IL RE ARCHEOLOGO

Prima di salire sul trono spagnolo, Carlo di Borbone patrocinò gli scavi a Pompei e a Ercolano. Ritratto di Anton Raphael Mengs. 1761. Museo del Prado, Madrid.

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DEA / SCALA, FIRENZE

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Dal 1750 al 1764, sempre sotto il patrocinio di Carlo di Borbone, l’ingegnere militare Karl Weber, subentrato ad Alcubierre, diresse in modo esemplare gli scavi di Ercolano. Fu lui a disegnare la pianta del magnifico edificio, con un’attenzione al dettaglio ancora oggi ammirevole. Purtroppo l’esplorazione del complesso risultò molto difficile e rischiosa a causa dello spesso strato di fango, e fu possibile grazie a un sistema di tunnel e pozzi che perforavano la lava pietrificata dura e compatta. Sin da subito, però, i ritrovamenti si mostrarono in tutto il loro splendore: circa cento sculture di bronzo e marmo, molte delle quali busti di filosofi e personaggi illustri e, soprattutto, i resti di una grande biblioteca, che accoglieva pressoché 1.800 rotoli di papiro, neri e carbonizzati. Si tratta senza dubbio della più grande collezione di papiri greci e di sculture antiche mai rinvenuta all’interno di un unico edificio in tutto il mondo romano. Gli scavi della villa sono poi ripresi in campagne più

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FRAMMENTI DI AFFRESCHI SULLE PARETI Alcuni anatidi e due antilopi – una di queste con le zampe legate – sono i protagonisti dell’affresco scoperto durante gli scavi della villa. Museo archeologico nazionale, Napoli.

ORONOZ / ALBUM

VISITATORI PASSEGGIANO TRA LE ROVINE DI POMPEI. XIX SECOLO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.

recenti, come quelle degli anni 1996-1998 e 2007-2009, che hanno permesso di recuperare un maggior numero di mosaici e sculture e hanno confermato la singolare bellezza e la ricchezza spettacolare della villa dei Papiri.

I papiri carbonizzati Nel XVIII secolo la scoperta dell’estesa collezione fu una notizia sensazionale, accolta con interesse e speranza dai neoclassici illuminati dell’Europa intera. Non pochi s’illusero di trovare alcuni dei capolavori ormai perduti dell’antichità e speravano che forse, tra quelle centinaia di papiri carbonizzati e anneriti, si nascondessero i testi di poeti e scrittori famosi. Sfortunatamente una parte dei papiri si deteriorò a causa di alcuni esperimenti, ma alla fine si riuscì a decifrarli grazie a una mirabile tecnica, seppur lenta e limitata dai numerosi buchi presenti nei testi. Verso il 1750 una macchina ideata a tale scopo dall’abate Antonio Piaggio permise di srotolare delicatamente una parte dei papiri e facilitarne così la lettura.


LE ROVINE DI ERCOLANO

Ecco come appaiono oggi le rovine di Ercolano. Fotografia scattata dalla strada in discesa che porta al sito archeologico.

PRIMI SCAVI

UNA VILLA INTERRATA

MOSAICO PAVIMENTALE A FORMA ESAGONALE CHE DECORA UNA DELLE STANZE DELLA VILLA DEI PAPIRI.

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ERIC VANDEVILLE / GETTY IMAGES

opo il suo ritrovamento, i primi esploratori penetrarono all’interno dei tunnel scavati nello strato di lava che copriva completamente la villa dei Papiri e, quasi al buio, alla sola luce delle torce, riuscirono a raggiungere un vasto giardino con una grandiosa piscina al centro, dove trovarono una magnifica collezione di statue in bronzo e marmo nonché pavimenti di mosaici. In un rapporto destinato al re Carlo, l’ingegnere Alcubierre racconta che, per estrarre il mosaico rinvenuto nel grande belvedere del giardino, realizzò prima un disegno dello stesso, poi estrasse le tessere, che vennero numerate, e le assemblò all’esterno su alcune lastre di pietra in base allo schizzo da lui effettuato.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UNA VILLA  CON VISTA   SUL MARE Questa villa imponente si ergeva tra le falde del Vesuvio e il mare, a soli 100 metri dalle mura occidentali di Ercolano. I circa 250 metri della sua facciata correvano in parallelo al litorale, dov’era allestito un porticciolo privato.

5


1 INGRESSO

3 LA BIBLIOTECA

5 IL GRANDE PERISTILIO

L’ingresso principale si affacciava sul mare, con un grande portico da cui si accedeva a un atrio senza colonne. L’impluvium centrale era stato trasformato in un ninfeo abbellito da statue di Cupido.

Dal lato orientale del peristilio si giungeva alle stanze private e a piccole latrine. In questa zona fu rinvenuta una biblioteca con papiri collocati su una grande libreria e scaffali di legno.

Questo spazio disponeva di un’immensa piscina centrale e accoglieva un’autentica galleria d’arte: cinque statue che raffiguravano probabilmente delle Danaidi, un fauno ebbro, dei corridori e altri personaggi.

2 IL PICCOLO PERISTILIO

4 I L TA B L I N U M Il tablinum, o tablino, collegava i due peristili della villa. Qui furono trovati otto busti in bronzo collocati su due file. Inoltre a terra, in ordine sparso, si trovavano altri papiri e tavolette di cera.

6 LA TERRAZZA INFERIORE

Dall’atrio si accedeva a un giardino quadrato, con 10 colonne per lato e una fonte a forma di conchiglia in ogni angolo. Al centro, una piscina lunga e stretta attorno alla quale si trovavano delle statue.

All’estremità sudorientale si apriva una terrazza che costituiva il primo livello della residenza. Sulla terrazza v’erano un grande salone monumentale, che serviva da ingresso secondario, e una piscina panoramica.

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ILLUSTRAZIONE 3D: KATATEXILUX

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CASA DI NETTUNO E ANFITRITE

È un’altra delle case rinvenute a Ercolano. Risale al I secolo d.C. ed è relativamente modesta: occupa una superficie di circa 200 metri quadrati. Degno di nota è il suo triclinio, o sala da pranzo, estiva, sul cui lato settentrionale si apre un ninfeo con un mosaico in pasta di vetro. Sulla parete occidentale è visibile un altro mosaico che rappresenta il dio marino Nettuno e la sposa Anfitrite. DEA / ALBUM



IL DIO PAN CON UNA CAPRA Questa scultura di marmo, rinvenuta nella villa dei Papiri, rappresenta il dio Pan mentre si accoppia con una capretta. Pan era il dio delle greggi e dei pastori e aveva una vorace pulsione sessuale. Museo archeologico nazionale, Napoli. ARALDO DE LUCA

Con delusione di certi classicisti, ci si accorse ben presto che nei papiri non era contenuta nessuna opera classica degna di nota o ascrivibile ad autori celebri. I testi erano redatti in greco e nella prosa di epoca ellenistica, e i rotoli facevano parte di una biblioteca specializzata in temi filosofici: contenevano testi di morale, retorica, musica, poetica, religione e storia della filosofia. Per la maggior parte i loro autori appartenevano alla scuola epicurea – una dottrina fondata sulla ricerca dell’equilibrio interiore, raggiungibile attraverso la conoscenza di sé, e l’atarassia, una condotta di vita lontana da ogni turbamento. Risultò pure che provenivano perlopiù dal fondo del filosofo Filodemo di Gadara (110-35 a.C. circa). Costui era già conosciuto come filosofo epicureo e come poeta. Cicerone lo nomina diverse volte quale amico intimo di Lucio Calpurnio Pisone e, inoltre, alcune sue poesie erotiche sono raccolte nella nota Antologia palatina. I testi trovati confermavano perciò che Filodemo, nato in Siria e istruito in Grecia, dot-

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ERICH LESSING / ALBUM

PITTURA DELLA CASA DI LUCIO CECILIO GIOCONDO, A POMPEI: MOSTRA UN CILINDRO CON PAPIRI ARROTOLATI.

to filosofo della scuola del Giardino – così veniva chiamata l’accademia di Epicuro –, si stabilì nei dintorni della villa appartenente alla famiglia dei Pisoni, sotto la protezione del potente amico Lucio. E in quel piacevole ritiro il filosofo esiliato compose alcuni scritti e poesie, per lasciarli poi nella propria biblioteca, sicuramente portata da Atene.

Filodemo l’epicureo La presenza di libri greci in una città in cui si parlava latino potrà forse sembrare strana. Tuttavia, dobbiamo ricordare che i romani istruiti, e con una certa cultura, conoscevano bene il greco, allora parlato fluidamente nell’Italia meridionale. Inoltre, il greco continuava a essere la lingua di riferimento della filosofia. A Ercolano sono stati comunque rinvenuti diversi papiri in latino: forse doveva esistere un’altra biblioteca, latina, che non è giunta fino a noi. Sui papiri sono copiati testi dello stesso Epicuro, tra cui i frammenti dell’importante trattato Sulla natura, una lunga opera in 37


L’ARCHEOLOGIA MODERNA

ALLA RICERCA DELLA BIBLIOTECA

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li scavi nella villa dei Papiri furono ripresi negli anni novanta del XX secolo sotto la direzione dell’archeologo di Sant’Anastasia (Napoli) Antonio De Simone e permisero di disseppellire una parte sconosciuta del settore occidentale e crebbe la speranza di poter trovare la biblioteca principale della villa, da cui nel XVIII secolo erano stati forse estratti i rotoli di papiro rinvenuti all’interno di alcuni cilindri. Gli scavi hanno portato alla luce una sezione importante della facciata, il terzo livello inferiore e un ampio salone monumentale, situato all’estremo sudorientale, dove probabilmente si accedeva via mare. Nel salone è stata trovata anche una serie di lastre di marmo incise con delle scene mitologiche che dovevano rivestire i lussuosi mobili della villa.

volumi purtroppo andata perduta, al pari di tante altre del maestro. Vi compaiono pure notevoli frammenti di alcuni libri che fanno parte del fondo più antico della collezione e che erano utilizzati da Filodemo per lo studio e l’esegesi. Sui papiri figurano anche testi di autori epicurei che prima conoscevamo solo di nome: Metrodoro, Demetrio Lacone, Colote e Zenone Sidonio, che era stato il maestro di Filodemo ad Atene. Ma, come già detto, la maggior parte dei papiri contiene scritti di Filodemo di Gadara. Si tratta di una trentina di opere dell’erudito filosofo, amico e protetto di Lucio Calpurnio Pisone. I temi sono i più diversi, come suggeriscono i titoli: Contro i sofisti, Su Epicuro, Il buon re secondo Omero, Sulla pietà, Sulla morte, Sugli dèi, Sui vizi e le contrapposte virtù, Sulla conversazione, Sulla libertà di parola, Sulla musica, Sulla ricchezza, Sui componimenti poetici o Poetica, Sulla gratitudine, Sulla provvidenza, Su segni e apparenze, Retorica, Epistole… Ottimo conoscitore degli scritti di Epicuro, che cita con frequenza, esegeta e abile

polemista avverso ad Aristotele e agli stoici, Filodemo spicca per le sue conoscenze vaste e variegate. Non scrisse solo sui soliti temi di filosofia, etica e logica, polemiche con le altre scuole filosofiche, ma pure su retorica, poetica, musica, e commentò i testi di Omero. Le sue opere testimoniano un’enorme cultura e un autentico interesse per la poesia e l’eloquenza. Filodemo si distaccava così in modo netto da Epicuro, che più volte aveva manifestato la sua opposizione a ogni insegnamento, perché considerava che questo non fosse necessario per fare della filosofia né importante per la conquista della felicità – e per questo era stato criticato duramente da Cicerone e poi da Plutarco. Filodemo credeva invece che la cultura, per quanto non necessaria, contribuisse ad arricchire la vita e a renderla più completa e felice. E, con il suo ampio bagaglio culturale, fu il primo a battersi contro la propaganda antiepicurea. A livello di critica, sono molto interessanti le sue idee e i testi su poetica e musica,

RESTAURATORI DELLA VILLA

Un’archeologa pulisce uno dei frammenti di affresco provenienti dalla villa dei Papiri. Solo un 25 per cento della villa è stato scavato, giacché si è preferito mettere in salvo i resti già scoperti prima di procedere con nuove operazioni.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PAPIRO ARROTOLATO E CARBONIZZATO PROVENIENTE DALLA VILLA DEI PAPIRI. SPL / AGE FOTOSTOCK

TECNICHE   PER LEGGERE   I PAPIRI  BRUCIATI

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L’INVENZIONE DI PIAGGIO

Il papiro era legato alla macchina da nastri di seta 1. Si faceva poi forza sul suo peso per srotolarlo 2 3.

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Paderni decise di tagliarne alcuni a metà in senso longitudinale e sfilare via via i vari strati. L’esito dell’operazione non fu dei migliori. Nel 1753 l’abate Antonio Piaggio, un bibliotecario del Vaticano, giunse al Museo di Portici e realizzò una macchina speciale: i fogli di papiro erano appoggiati ad alcuni nastri che venivano a mano a ma-

3 ALAMY / ACI

dopo il ritrovamento dei papiri, il re di Napoli – il futuro Carlo III di Spagna – ordinò di trasportarli al Museo reale di Portici, vicino Napoli. Poiché la scoperta suscitò numerose aspettative presso i letterati, il monarca insistette con il direttore del museo, Camillo Paderni, affinché li srotolasse e mostrasse il loro contenuto ai visitatori.


SPL / AGE FOTOSTOCK

no tirati, mentre Piaggio stesso li staccava aiutandosi con uno strumento da incisore. Il processo richiedeva molto tempo – per il primo papiro furono necessari quattro anni –, ma Antonio Piaggio riuscì a srotolare una cinquantina di esemplari. La trascrizione posteriore dimostrò che nessuno di questi era un capolavoro della letteratura classica.

STUDIO SCIENTIFICO

Una ricercatrice della Biblioteca nazionale di Napoli analizza dei frammenti carbonizzati alla luce di un microscopio.

PAPIRO MUSICALE, OPERA DI FILODEMO DI GADARA, RITROVATO NELLA VILLA DEI PAPIRI.

INTERFOTO / AGE FOTOSTOCK

Poiché la maggior parte dei rotoli non può essere srotolata senza che venga sciupata o vada distrutta, gli specialisti hanno riposto le proprie speranze in alcune tecniche di radiografia che hanno già permesso di decifrare manoscritti rinvenuti in simili condizioni. Sebbene le analisi con tomografia computerizzata (raggi X) non abbiano ancora avuto successo, nel 2015 si è concluso uno studio che proponeva l’uso di un acceleratore di particelle, o sincrotone, per localizzare la presenza di metallo nell’inchiostro antico. L’analisi ha però permesso di svelare una sola parola, di cinque lettere.

E. BRUN

UN ACCELERATORE DI PARTICELLE PER LEGGERE I PAPIRI DI ERCOLANO


EPICURO, IL FILOSOFO DEL PIACERE Filodemo di Gadara, l’autore di molte opere ritrovate nella villa dei Papiri, era un seguace dell’epicureismo, filosofia che sosteneva l’edonismo e nata grazie al filosofo greco Epicuro. Ermitage, San Pietroburgo. DAGLI ORTI / AURIMAGES

composti a partire dall’analisi di grandi poeti come Orazio e Virgilio. Innovatore fu pure il suo ampio studio sulla realtà delle scuole filosofiche, la sua Storia dei filosofi in dieci libri, opera perduta cui attinse Diogene Laerzio nel III secolo d.C. Una tale proposta culturale incontrava senz’altro i gusti del pubblico romano colto e benestante, interessato a formarsi nella raffinata paideia, l’educazione ellenistica. Non solo: Filodemo fu pure un poeta originale e apprezzato. L’Antologia palatina ospita all’incirca trenta dei suoi epigrammi, soprattutto erotici, in cui l’autore racconta le avventure, le tresche con frivole etère o i banchetti in compagnia degli amici. In uno dei componimenti, invita Pisone a una cena frugale e amichevole innaffiata dal vino, nella sua modesta dimora: una festa veloce, insomma, in onore di Epicuro. Nelle loro opere sia Cicerone sia Orazio nominano Filodemo, descrivendolo come dotto scrittore e poeta, buon conversatore ed erudito, sempre ai margini dei disordini politici del suo tempo. Fu, infatti, un intellettuale greco che seppe convivere in armonia con i sofisticati e raffinati patrizi romani – gli trasmise la sua vasta cultura, ovvero la filosofia e la letteratura – e preferì ritirarsi nel suo rifugio

ILLUSTRAZIONE 3D: KATATEXILUX

BRIDGEMAN / ACI

ORAZIO LEGGE DAVANTI AL CIRCOLO DI MECENATE NEL GIARDINO DELLA VILLA DI QUEST’ULTIMO. FËDOR ANDREEVIČ BRONNIKOV, 1863. ŠADRINSKIJ KRAEVEDČESKIJ MUZEJ, ŠADRINSK.

dorato a studiare, leggere, discorrere di libri con raffinati sodali, nonché abbandonarsi ad amori leggeri, senza pensieri né turbamenti, proprio come consigliava Epicuro. Mise saggiamente in pratica quel famoso consiglio epicureo, «vivi nascosto» (lathe biosas), e lo fece nell’idilliaca cornice della Campania.

Un paradiso per i filosofi Filodemo non fu l’unico filosofo epicureo a stabilirsi nella dolce campagna italiana. Vicino al golfo di Napoli, e rispettivamente a Cuma e a Posillipo, si erano trasferiti pure Pompilio Andronico, anch’egli originario della Siria, e Sirone, amico di Filodemo nonché per un certo tempo maestro del giovane Virgilio; in quei luoghi meravigliosi godettero certamente della protezione amichevole di altri patrizi romani. Mentre Roma, rumorosa quanto monumentale, era il turbolento centro della repubblica, dilaniata da contrasti e guerre civili, in quell’armoniosa zona costiera si poteva


trovare un conforto gradevole e raffinato: lo sapevano fin troppo bene i ricchi patrizi e i dotti epicurei. Lontano dalla tumultuosa Urbe, si poteva vivere piacevolmente e intessere amicizie, conversare di filosofia tra libri, statue e giardini e godere di panorami meravigliosi sul mar Tirreno.

La villa e il Giardino Concludendo, è degno di nota il fatto che le massime autorità epicuree a Roma nel I secolo a.C. facessero da contraltare all’ostilità che molti romani provavano per quella scuola edonista. I romani, infatti, apprezzavano di più il severo stoicismo, che presentava la virtù quale fine supremo, propugnava il compimento dei doveri civici e la fede nella provvidenza divina; proprio per questo, trovavano spesso scandalosi gli insegnamenti del materialista Epicuro, che credeva nel piacere, seppure inteso come assenza di dolore, quale base per la felicità, elogiava più l’amicizia della giustizia, invitava a ritirarsi dalla vita mondana, negava

l’immortalità dell’anima e che gli dèi potessero occuparsi degli uomini. Nonostante ciò, l’epicureismo romano visse il suo periodo di splendore nel I secolo a.C. Possiamo trovarne la testimonianza più indicativa nella villa dei Papiri che, grazie anche alla sua straordinaria biblioteca, emulava in modo sublime il Giardino di Epicuro ad Atene, polo di relazioni e di filosofia. Per quanto possa sembrare un tragico paradosso, con la sua eruzione il Vesuvio permise di preservare il meglio di quel mondo ormai relegato all’oblio. CARLOS GARCÍA GUAL PROFESSORE ORDINARIO DI FILOSOFIA GRECA PRESSO L’UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID

Per saperne di più

UN GRANDE GIARDINO CON PISCINA

Al centro del grande peristilio campeggiava un immenso stagno di 66 metri di lunghezza e 7 di larghezza attorno a cui erano esposte diverse sculture in bronzo. Lo spazio misurava 100 m x 37 ed era circondato da un portico di 70 colonne.

SAGGI

La villa dei papiri Michela Ascione. Ennepilibri, Imperia, 2007. La villa dei Papiri a Ercolano Stefania Adamo Muscettola. Electa, Napoli, 2000. La villa dei Papiri Valeria Moesch. Electa, Napoli, 2009.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UN MUSEO   SOTTO   LA LAVA Nel grande peristilio della villa dei Papiri, gli esploratori del XVIII secolo scoprirono una magnifica collezione di statue in bronzo e di marmo. Eccone alcune. In un secondo giardino, molto più piccolo, furono rinvenuti delle statuette in bronzo e busti di filosofi. Tutte le opere sono esposte al Museo archeologico nazionale di Napoli.

DANZATRICE Sembra che questa giovane stia sistemando la tunica con una spilla. La statua fa parte del gruppo di cinque “danzatrici” trovate nel grande peristilio.

CORRIDORE O LOTTATORE Statua in bronzo trovata assieme a un’altra gemella nel grande peristilio. Sono copie di originali greci. IV-III secolo a.C.


DANZATRICE Gli scopritori e alcuni classicisti, tra cui Winckelmann, chiamarono “danzatrici” una serie di statue femminili che rappresentano forse le danaidi, le figlie del re Danao di Argo.

FAUNO EBBRO Questa statua di bronzo fu ritrovata nel lato occidentale della piscina. Il fauno è disteso su una pelle di leone e ha appena svuotato un otre di vino.

FOTO: ARALDO DE LUCA

RE Busto in bronzo che ritrae Tolomeo Apione, ultimo monarca greco della Cirenaica vissuto tra il II e il I secolo a.C.


IN ORIGINE FU IL PEGNO

LA NASCITA DELLA BANCA

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All’inizio del secondo millennio l’aumento della produzione agricola, lo sviluppo dell’artigianato e il decollo del commercio marittimo suscitarono un maggior bisogno di moneta e stimolarono la diffusione del credito. A trarne vantaggio furono innanzitutto i centri urbani italiani


GLI USURAI

Marinus van Reymerswaele (Scuola) rappresenta l’avidità attraverso il personaggio alla destra del dipinto (1540). Museo Stibbert, Firenze. DENARO IN SALVO

SCALA, FIRENZE

Cassaforte in ferro forgiato proveniente da Norimberga. 1540 circa.


SCALA, FIRENZE

Effetti del buon governo nella città e nella campagna. Ambrogio Lorenzetti, 1338 circa. Sala dei Nove, Palazzo Pubblico di Siena.

I

l banco, il panno verde ingombro di monete e sacchetti di denaro, uomini dalle mani adunche che utilizzano una bilancia o scrivono cifre su un libro inforcando gli occhiali: sono questi gli elementi consueti della rappresentazione dei professionisti del denaro nell’arte europea del tardo Medioevo. Una rappresentazione poco benevola, così come poco lusinghiera è spesso anche oggi la reputazione delle banche. E tuttavia la moneta e il credito rappresentano, e hanno rappresentato in passato, mezzi fondamentali per il funzionamento del sistema economico. L’attività creditizia, ovvero l’an-

C R O N O LO G I A

STORIA DI UNA GRANDE ASCESA

ticipazione di denaro a qualcuno che s’impegna a restituirlo secondo tempi e modi concordati, è in effetti una pratica assai antica, ma i suoi strumenti, le sue tecniche e il suo stesso gergo risalgono in gran parte ai secoli finali del Medioevo. L’identificazione fra operazioni di prestito e banca per noi è naturale, ma non è del tutto corretta, perché gli istituti bancari fanno anche altro: accettano in deposito somme di cui garantiscono la salvaguardia, utilizzano il risparmio raccolto per sostenere gli investimenti, assicurano il cambio delle monete e l’invio di valuta su lunghe distanze. In passato queste

Fine X11 secolo

1225

Appare a Genova il cosiddetto instrumentum ex causa cambii, un atto notarile che rappresenta la prima forma conosciuta di cambiale.

Il sovrano di Francia Luigi VIII concede agli uomini d’affari della città piemontese di Asti il diritto di svolgere la loro attività di prestito a Parigi.

LA SCARSELLA, SIMBOLO DI TUTTI COLORO CHE TRAFFICAVANO CON IL DENARO.

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SIENA AL CENTRO DEGLI EVENTI


1250-1270 Massimo sviluppo della “Gran Tavola” dei Bonsignori di Siena, probabilmente la più importante compagnia bancaria operante nell’Europa del XIII secolo.

anche operatori di religione ebraica, cui le persecuzioni consigliavano di mantenere la ricchezza in forma liquida. Effettuando prestiti diretti innanzitutto a sostenere i consumi (spesso su pegno), e chiedendo interessi molto elevati, questi uomini si guadagnarono facilmente la triste e infamante etichetta di usurai.

Il boom economico All’inizio del secondo millennio della nostra era il continente europeo sperimentò un movimento di crescita della popolazione e delle attività economiche sempre più

1343-1346 Falliscono le grandi compagnie fiorentine, tra cui quelle degli Acciaiuoli, dei Peruzzi e dei Bardi. Il settore uscirà dalla crisi decisamente trasformato.

1397 Giovanni di Bicci, padre di Cosimo il Vecchio, fonda il cosiddetto “banco” Medici. L’azienda vivrà fino al 1494, anno della cacciata della famiglia da Firenze.

BRIDGEMAN / ACI

funzioni si svilupparono separatamente e solo gradualmente vennero a convergere in un unico tipo di impresa, anche a causa della varietà dei soggetti che si dedicavano al commercio del denaro. A differenza di quanto avveniva nei più progrediti imperi bizantino e musulmano, dove l’economia era poco dinamica e la domanda e l’offerta di moneta erano basse, nell’Occidente alto-medievale a dominare la scena erano soprattutto i prestatori. Ovvero tutti coloro che potevano disporre di risorse adeguate: proprietari terrieri, mercanti, membri della Chiesa cattolica (tra i quali i monaci-guerrieri dell’ordine templare), ma

IL SETTORE BANCARIO

La miniatura della Scuola veneto-bolognese rappresenta la professione bancaria. Seminario patriarcale, Venezia. XV secolo.


UN PECCATO DA AGGIRARE

L’ACCUSA DI USURA SECONDO LA CHIESA

N

el Medioevo, sulla base della teologia morale cristiana, il prestito di denaro a interesse era considerato illecito dalla Chiesa, bollato come “usura” e vietato dalle leggi degli stati. L’usura, infatti, era ritenuta una forma di cupidigia, un affronto alla giustizia nonché un furto del tempo – che appartiene solo a Dio – perché lucra sull’intervallo tra il mutuo e il suo rimborso. Con l’obiettivo di aggirare le norme antiusurarie, i prestatori escogitarono sistemi come quello di dissimulare il prestito all’interno del cambio fra monete, dove la differenza di valore corrispondeva all’interesse da pagare. Tuttavia restava la paura del castigo divino, che spesso induceva l’usuraio a restituire, in punto di

morte, almeno parte del denaro che aveva ricevuto illecitamente. Ciononostante dalla fine del XIII secolo, grazie soprattutto all’azione svolta dagli ordini mendicanti, anche la Chiesa attenuò la condanna assoluta giungendo perfino a definire un “giusto” (e quindi lecito) tasso d’interesse, motivato con il rischio che il prestatore si accollava anticipando ad altri il suo denaro.

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PUNIZIONE DEGLI AVARI

Il bassorilievo dell’XI secolo si trova nella facciata della chiesa di Santa Maria a Fornovo di Taro, in provincia di Parma.

96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

deciso. L’aumento della produzione agricola, lo sviluppo dell’artigianato, il decollo del commercio marittimo (innanzitutto di quello mediterraneo), moltiplicarono gli scambi suscitando un maggiore bisogno di moneta e stimolando la diffusione del credito. A trarne vantaggio furono innanzitutto i centri urbani italiani. Inizialmente Venezia e i porti dell’Italia meridionale che, rispetto ad altre aree della Penisola, avevano mantenuto contatti più stretti con Bisanzio e il mondo islamico. Successivamente le repubbliche marinare (Genova e Pisa su tutte) e le città interne del centro-nord (Roma, Siena, Firenze, Piacenza, Asti). In queste realtà, che coniavano proprie monete e in cui operava un agguerrito ceto mercantile, le pratiche creditizie assunsero forme differenziate e complesse. Non c’è da stupirsi se uno specialista dell’argomento, lo storico Jean-François Bergier, ha affermato: «La banca fu italiana per nascita e tale rimase sino alla fine del XV secolo». Anche se non cessò mai del tutto l’attività dei prestatori occasionali, in queste realtà il

credito al consumo divenne sempre più appannaggio degli ebrei. Per quanto oggetto di riprovazione popolare, in realtà essi erano ricercati per la funzione che svolgevano e la loro attività era regolarizzata dalle autorità municipali attraverso specifici accordi, le cosiddette “condotte”.

Solo un foglio di carta e una penna Tuttavia i banchi ebraici non rappresentavano certo il livello più elevato del commercio di denaro. Di ben altro spessore e raggio, per esempio, erano le attività di un gruppo assai caratteristico di uomini d’affari italiani, i “lombardi”, che a dispetto del nome con cui erano conosciuti provenivano soprattutto dalle città piemontesi (Asti, Chieri, Alba, Cuneo) e solo marginalmente dai centri della Lombardia e della Toscana. A partire dal XII secolo questi mercanti-prestatori invasero l’Europa transalpina, dalla Provenza alle Fiandre, dalla Renania alla Borgogna, da Londra a Parigi, dove ancora oggi ne resta il ricordo rispettivamen-


BRITISH LIBRARY / SCALA, FIRENZE

te nella “Lombard street” e nella “rue des Lombards”. Oltre al traffico delle merci più varie, comprese le sempre appetite spezie, praticavano le operazioni di cambio monetario e quelle creditizie. Erano organizzati in piccole società che pagavano ai governi locali una tassa annua di esercizio. Per i loro prestiti – concessi al massimo per pochi mesi – chiedevano normalmente un tasso di interesse di 2 denari per lira a settimana, un po’ più del 40 per cento annuo: un valore che appare oggi insostenibile, ma che allora era piuttosto comune. Capaci di rendersi indispensabili al funzionamento dell’economia delle regioni in cui si erano stanziati, i “lombardi” venivano al tempo stesso ammirati per la loro superiorità economica e disprezzati per la loro spregiudicatezza. Come si legge in una protesta fiamminga della fine del duecento, «i lombardi non portano nemmeno un ducato, ma solo un foglio di carta in una mano e una penna nell’altra, e così tosano bene gli abitanti e gli fanno pagare dazio persino sul loro denaro».

Possiamo considerarli banchieri? Non proprio. Per quanto il prestito tendesse con il tempo a prevalere sulle attività commerciali, le loro aziende, le casane, si presentavano principalmente come banchi di pegno. Non era così per un’altra categoria di uomini abituata a maneggiare il denaro: i cambiatori o cambiavalute (campsores, cambiatores). Come mostrano alcuni documenti genovesi del tardo XII secolo, essi non si limitavano a cambiare le monete o fare prestiti approfittando della liquidità di cui disponevano, ma incrementavano la quantità di denaro a loro disposizione accettando depositi, per i quali offrivano un interesse o una partecipazione agli utili. Proprio la capacità

LA STRADA DEI LOMBARDI

Vista di Cornhill e Lombard Street, nel cuore finanziario di Londra. Illustrazione anonima del 1810 circa.

I “lombardi” venivano ammirati per la loro superiorità economica e disprezzati per la loro spregiudicatezza STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL GRANDE CROLLO

UNA WALL STREET DEL TRECENTO

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algrado si sforzassero di creare attorno a sé un clima di fiducia, le grandi compagnie correvano pericoli gravi. Già a partire dalla fine del duecento si verificarono crisi e fallimenti, ma il crac più spettacolare si verificò negli anni quaranta del XIV secolo. Le ragioni furono varie: una struttura organizzativa di questi colossi inadeguata al sempre più ampio giro d’affari; le incertezze della politica, con il deteriorarsi delle relazioni fra Firenze e il sovrano angioino di Napoli, uno dei clienti più importanti dei mercanti-banchieri; un livello di esposizione creditizia eccessivo, che divenne fatale quando il re inglese Edoardo III non fu più in grado di restituire le enormi somme ottenute per finanziare la Guerra dei cent’anni. Quando, nel

1343, quest’ultima notizia si diffuse in Europa, il panico spinse i titolari dei depositi a una drammatica corsa al prelievo in tutte le filiali. Travolte da una vera e propria crisi di liquidità fallirono le compagnie dei Bardi e dei Peruzzi e, insieme a loro, numerosi gruppi più piccoli, con conseguenze drammatiche per i risparmiatori e negative per l’intera economia fiorentina.

SCALA, FIRENZE

IL SIMBOLO DI FAMIGLIA

Affresco di Giotto (Giotto di Bondone 1266-1336). Cappella Peruzzi, Firenze. Le pere sono l’elemento caratteristico dello stemma della famiglia fiorentina.

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di svolgere contemporaneamente funzioni diverse connota queste aziende come prime, timide incarnazioni della banca.

Merchant-bankers del duecento Il duecento, secolo del massimo slancio dell’economia europea, fu testimone di una crescita di scala dell’attività “bancaria” che ne determinò anche un mutamento qualitativo. Gli artefici di queste evoluzioni, tuttavia, non furono i cambiatori, ma i mercanti. In particolare coloro che più erano impegnati nei traffici sulle lunghe distanze e che frequentavano le grandi fiere internazionali, prime fra tutte quelle della Champagne. Questi raduni permanenti rappresentavano allora il tramite fondamentale degli scambi fra i prodotti dell’Europa continentale (in gran parte panni di lana fiamminghi) e i beni di provenienza mediterranea commerciati dagli italiani. Ma erano anche – e sempre più dalla metà del XIII secolo – vere e proprie clearing houses, aree di compensazione di debiti e crediti pendenti tra uomini d’affari di Paesi diversi. È qui che si costruirono le for-

tune dei mercanti di città come Roma, Siena, Lucca, Pistoia, Firenze, Bologna, Piacenza e Milano. Essi agivano preferibilmente tramite un nuovo tipo d’imprese, le compagnie, associazioni di durata pluriennale, rinnovabili, spesso formate da soci inizialmente legati da vincoli di parentela e poi aperte alla partecipazione di esterni. Il finanziamento di questi organismi avveniva tramite le quote di capitale immesse da ciascun socio (il corpo), cui poteva però aggiungersi il denaro che gli stessi membri, secondo una formula creditizia innovativa, prestavano alla compagnia ricevendone un interesse (il sovraccorpo) o anche i depositi, sempre remunerati, effettuati da altri e documentati da apposite ricevute. Si trattava di aziende polivalenti, interessate certamente alle operazioni creditizie e finanziarie, ma pronte a investire non appena si presentassero opportunità di guadagno, anche nel settore commerciale e in quello manifatturiero, nelle assicurazioni e nella produzione agricola. In sostanza la banca cresceva all’interno di una struttura ampia e non specializzata,


SCALA, FIRENZE

creata da mercanti-imprenditori che erano anche mercanti-banchieri. E questo pure nei casi eclatanti dei piacentini Scotti o dei senesi Bonsignori, che avevano interessi in tutta Europa e clienti del calibro della Santa Sede (il più appetibile di tutti per il suo vastissimo apparato finanziario) e che potrebbero essere in qualche misura accostati ai merchant-bankers dei nostri tempi.

Le “super-compagnie” fiorentine I decenni a cavallo fra XIII e XIV secolo furono l’età d’oro delle compagnie mercantili-bancarie fiorentine. Capaci di affiancare e poi di sostituire i senesi nelle grazie dei papi e forti dell’alleanza con la dinastia angioina che si era insediata nel Mezzogiorno d’Italia, fornivano a entrambe le corti i beni di lusso di cui erano appassionate consumatrici. Ovvero i prestiti che richiedevano con grande frequenza, oltre ai servizi essenziali come l’esazione dei tributi (per esempio la decima dovuta dagli enti ecclesiastici alla Chiesa di Roma). A favore dei mercanti fiorentini giocò anche la con-

giuntura economica. I fallimenti di rivali quali i Bonsignori di Siena e i Ricciardi di Lucca, infatti, gli aprirono ulteriori spazi di attività, soprattutto in Inghilterra. Qui i Frescobaldi si legarono sempre più strettamente ai sovrani, ai quali anticipavano grosse somme di denaro in cambio di privilegi, come l’appalto delle miniere del Devon, la riscossione dei diritti regi in Irlanda o l’esazione delle rendite di gran parte dei possedimenti inglesi in Francia. Dal 1300 essi ottennero addirittura la direzione dell’Exchange, l’ufficio centrale del cambio, incarico che li mise nelle condizioni di controllare l’intera politica monetaria del Regno. Intanto le società fiorentine divenivano sempre più grandi. Quelle dei Bardi, dei Pe-

FIRENZE COM’ERA

Copia della mappa conosciuta come Carta della Catena: mostra la città di Firenze come si presentava intorno al 1470.

I mercanti di città come Roma, Siena, Lucca o Pistoia costruirono le loro fortune nelle fiere internazionali STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UN’AZIENDA POLIVALENTE

I MEDICI? NON SOLO GRANDI BANCHIERI

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l di là dei luoghi comuni che descrivono i Medici come banchieri e il loro banco come una banca, l’azienda fondata nel 1397 da Giovanni di Bicci, il padre di Cosimo il Vecchio, pur avendo un’indubbia specializzazione nel campo delle operazioni creditizie e finanziarie era in realtà un sistema d’imprese. Vi trovavano spazio anche la produzione di tessuti di lana e di seta e il commercio di una disparata gamma di articoli: dalle pellicce agli agrumi, dai gioielli alle spezie, dai libri ai cavalli. L’attività di questa specie di holding company, che aveva il suo epicentro a Firenze e le filiali nelle principali città italiane ed europee (verso il 1455 a Milano, Roma, Pisa, Venezia, Ginevra, Bruges, Londra e Avignone), frut-

tava ai membri della famiglia Medici una media di 10.000 fiorini l’anno, ovvero l’equivalente del capitale investito inizialmente nella creazione del banco – e rappresentava la fonte di una ricchezza che fu decisiva per acquisire e mantenere il potere politico a Firenze. Grazie al denaro, infatti, i Medici poterono più facilmente piegare gli oppositori e guadagnare nuovi seguaci.

SCALA, FIRENZE

IL FONDATORE DEL “BANCO”

ARCHIVIO DI STATO DI PRATO

Ritratto di Giovanni di Bicci de’Medici. Bottega del Bronzino (Agnolo di Cosimo Tori). 1559-1569 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze.

ruzzi e degli Acciaiuoli erano vere e proprie super-companies in grado, grazie a una disponibilità di capitali ingentissima, di aprire filiali nei luoghi più strategici dell’attività economica. Avvalendosi di un piccolo esercito di dipendenti (dai garzoni e gli apprendisti fino ai fattori e ai direttori delle succursali), e grazie a un continuo flusso d’informazioni scambiate per lettera tra le diverse sedi, riuscivano a fare commercio di tutto ciò che poteva essere scambiato. Nel 1318, in uno dei periodi più prosperi della sua storia, la compagnia dei Bardi chiuse il proprio bilancio annuale con un giro d’affari di 873.638 fiorini, un valore pari a 3.089 chi-

logrammi d’oro. L’epoca dei grandi affari non durò per sempre. Fin dalla fine del duecento la storia delle compagnie mercantili-bancarie fu punteggiata di crisi e fallimenti e la tendenza negativa si acuì nei decenni successivi.

Crisi e trasformazione Le guerre, le carestie e le epidemie, particolarmente forti in vaste aree del continente europeo soprattutto fra la metà del trecento e la metà del quattrocento, ridussero la popolazione e i consumi e provocarono una contrazione dei traffici che impose una ristrutturazione dell’intero settore. Molte imprese limitarono le loro dimensioni e trasformarono la precedente struttura unitaria in un“sistema di aziende”, in modo da limitare il contagio determinato da eventuali crisi settoriali. D’altra parte le difficoltà sorte nel commercio LETTERA DI CAMBIO. BRUGES-BARCELLONA. 2 SETTEMBRE 1398. PRATO, ARCHIVIO DI STATO. DATINI, BUSTA 1145/1.

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Scritture come monete Il Medioevo occidentale non conosceva la cartamoneta, che secondo il Milione di Marco Polo era invece comune in Cina. Gli uomini d’affari italiani crearono la “moneta scritturale”, un insieme di strumenti che potenziava la circolazione del denaro e riduceva costi e rischi del suo trasferimento. Tali erano gli ordini di pagamento o mandati all’incasso, poi perfezionatisi nell’assegno bancario, gli impegni di pagamento sul modello della cambiale e, soprattutto, la lettera di cambio, una semplice scrittura privata contenente l’ordine di pagare una certa somma a una scadenza e in un luogo determinati. Grazie alla fiducia riposta in singoli e aziende, il documento scritto poté in molti casi sostituire il metallo.

JACOB FUGGER NEL SUO UFFICIO CON IL CONTABILE MATTÄUS SCHWARZ. AUTORE ANONIMO. 1517. HERZOG-ANTONULRICH MUSEUM, BRAUNSCHWEIG.

ULLSTEIN BILD / GETTY IMAGES

dei beni spinsero i mercanti-imprenditori a privilegiare sempre più le operazioni creditizie, o addirittura a creare aziende che nascevano con l’obiettivo principale, sebbene non esclusivo, di dedicarsi al commercio del denaro. Ciò implicò un significativo affinamento delle tecniche e una diversificazione delle pratiche. Le compagnie maggiori, per esempio, cominciarono a utilizzare una parte dei propri capitali per finanziare la nascita di altre imprese, o per sostenere i loro bisogni di liquidità attraverso il cosiddetto “credito di esercizio”. Concessero inoltre ai loro clienti la possibilità di aprire conti correnti. A differenza di quanto avviene oggi, questi depositi non avevano costi né generavano interessi, ma i correntisti avevano la possibilità di ottenere credito anche in mancanza di fondi sul conto (scoperto di conto corrente), di trasferire denaro ad altri (giroconto) e di utilizzare ordini di pagamento (assegni bancari) che i beneficiari potevano a loro volta girare a terze persone (girata). Nel corso dei secoli XIII e XIV gli uomini d’affari italiani avevano messo a punto stru-

menti in grado di rinnovare profondamente il mercato del credito. Avevano inoltre creato un nuovo tipo di azienda, i cui profitti dipendevano sempre più dalla differenza fra i tassi d’interesse accordati ai depositanti e quelli pagati dai beneficianti di un prestito. Malgrado la comparsa di grandi mercanti-banchieri come i veneziani Corner e Soranzo, i milanesi Borromei, i fiorentini Medici o i genovesi Centurione, il secolo successivo sarebbe stato più che altro un’epoca di diffusione dei progressi tecnici e organizzativi già conseguiti. Almeno per la storia della banca il Medioevo è stato senz’altro più creativo del Rinascimento. FRANCO FRANCESCHI STORICO MEDIEVALE. PROFESSORE ASSOCIATO ALL’UNIVERSITÀ DI SIENA

Per saperne di più

SAGGI

La banca e il credito nel Medioevo L. Palermo. Bruno Mondadori, Milano, 2008. Lo sterco del diavolo. Il denaro nel Medioevo J. Le Goff. Laterza, Roma-Bari, 2010. Dalle lacrime di Sybille: storia degli uomini che inventarono la banca A. Feniello. Laterza, Roma-Bari, 2015.

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LA MUSICA DELLA RIVOLUZIONE

BEETHOVEN Tra il 1802 e il 1804 Beethoven decise di comporre un’opera che rispecchiasse la grandezza della sua epoca. Pensò di dedicarla a Napoleone Bonaparte, ma alla fine la chiamò Sinfonia eroica


GENIO DEL ROMANTICISMO

In quest’olio di Joseph Stieler, Beethoven compone la sua Missa Solemnis. Beethoven-Haus, Bonn. A sinistra, la firma del musicista tedesco. FIRMA: BPK / SCALA, FIRENZE. RITRATTO: BRIDGEMAN / ACI


e mise in crisi equilibri e forme di potere consolidati ormai da secoli, così la Sinfonia n. 3 segnò un momento di rottura nella storia dell’arte musicale. Dopo quest’opera, la musica sarebbe stata pensata in nuove forme, si sarebbe mossa su orizzonti più ampi e si sarebbe relazionata con la storia in altri termini. Per comprendere la portata dell’innovativa composizione, basta citare un semplice dato numerico. Il primo movimento della Sinfonia n. 2, scritto solo un anno prima, era di 360 misure; l’Allegro iniziale della Sinfonia n. 3, di 691. Quasi il doppio. Fino alla Sinfonia n. 9 (1824) Beethoven non avrebbe intrapreso nessun progetto così ampio e ambizioso come la Terza.

GRANGER / AURIMAGES

Tradimento della repubblica

PRIMA PAGINA DELLA SINFONIA N. 3 DI BEETHOVEN, DA CUI È STATA CANCELLATA LA DEDICA A BONAPARTE.

L’IMPERATORE REPUBBLICANO

Dopo il colpo di stato, Napoleone accumulò sempre più potere, fino a proclamarsi imperatore. Busto di Bonaparte quando era primo console. Accademia di San Luca, Roma.

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ue accordi secchi come colpi di cannone. Poi una melodia calda e raffinata, che dai violoncelli si riversa sulle trombe e i clarinetti in un crescendo di grande intensità fino a esplodere maestosamente in tutta l’orchestra. Comincia così la Sinfonia n. 3 di Beethoven. Fu composta a Vienna attorno al 1803 e inizialmente s’intitolava Sinfonia Bonaparte. In quel periodo Napoleone aveva appena iniziato la guerra contro le potenze dell’Ancien Régime che avrebbe devastato l’Europa per oltre un decennio. Ma Beethoven non considerava quel generale straniero un invasore, bensì un liberatore. Come Napoleone ribaltò lo scacchiere politico europeo

Eppure, quando l’opera fu data alle stampe nel 1806, l’autore cancellò il nome di Bonaparte dal frontespizio, per sostituirlo con un titolo più generico: Sinfonia eroica, composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo. Sovvenire? Nel 1806 Napoleone aveva appena sbaragliato l’esercito prussiano e la Russia era stata costretta a intervenire nel conflitto per frenare l’avanzata dell’esercito francese. Nessuno degli avversari del generale còrso aveva idea di come fermarlo, ma Beethoven parlava ormai di lui al passato. Celebrava la memoria di un grand’uomo senza nemmeno nominarlo, quasi che si trattasse di un defunto. Era come se il Bonaparte cui aveva pensato di dedicare la sua Sinfonia n. 3 fosse diventato un’altra persona. Il punto d’inflessione in questa relazione di amore (all’inizio) e odio (in seguito) fu la decisione di Napoleone di autoproclamarsi imperatore nel 1804. Un gesto che il repubblicanesimo del compositore considerava un tradimento a quegli ideali della Rivoluzione

C R O N O LO G I A

BOMBE, GUERRA E MUSICA AK

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/A

LB

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1770

1792

Nasce a Bonn Ludwig van Beethoven. In gioventù si appassiona ai nuovi ideali repubblicani che erano giunti in città.

Beethoven si trasferisce a Vienna, dove diventa allievo di Joseph Haydn. Vivrà nella capitale fino alla morte, avvenuta all’età di 56 anni.


UNA CITTÀ ILLUMINATA

1804

1805

1809

1813

Dopo essersi battuto contro i poteri assolutistici in difesa dei valori repubblicani, Napoleone si proclama imperatore.

Il 7 aprile Beethoven presenta la Terza sinfonia, un’opera innovativa che all’epoca non viene compresa.

A maggio i francesi bombardano Vienna. Durante l’occupazione della città il compositore vive le miserie della guerra.

Beethoven compone La vittoria di Wellington. L’anno successivo Napoleone viene sconfitto e costretto all’esilio.

STEFAN ZIESE / AGE FOTOSTOCK

L’ambiente culturale di Bonn, città natale di Beethoven, era permeato dalle idee illuministe provenienti dalla Francia. Nella foto, monumento a Beethoven sulla Münsterplatz.


RITRATTO DI ANTONIE BRENTANO CON DUE DEI SUOI FIGLI NEL 181O. OPERA DI NIKOLAUS LAUER. BEETHOVEN-HAUS, BONN.

CHI FU L’“AMATA IMMORTALE”

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io angelo, mio tutto, mio io…». Pochi temi hanno fatto scorrere così tanti fiumi d’inchiostro come la misteriosa identità dell’amata alla quale Beethoven scrisse tre lettere nel luglio del 1812. L’enigma che circonda l’identità della destinataria di questa confessione d’amore ha dato adito a speculazioni e dibattiti di ogni tipo. Già nell’ottocento, in base ad alcune indicazioni indirette più o meno convincenti, furono proposte diverse possibili candidate. In passato si sono ventilati i nomi di Therese Brunsvick e Giulietta Guicciardi, ma le preferenze degli studiosi attuali vanno ad altre tre donne: la contessa Josephine Brunsvick, Antonie Brentano, moglie di Franz Brentano, e la sorellastra di quest’ultimo, Bettina. Le lettere non furono mai spedite e furono trovate a casa sua dopo la morte.

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Christian Gottlob Neefe (1748-1798) si stabilì a Bonn, dove prese Beethoven sotto la sua tutela. Qui appare in un’incisione della Beethoven-Haus di Bonn.

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francese che Napoleone aveva inizialmente dato l’impressione di voler difendere. Le idee di Beethoven si erano formate in gran parte a Bonn, sua città natale, dove aveva vissuto fino ai 22 anni. Per molto tempo non è stata dedicata un’attenzione adeguata a questa tappa della sua vita, che fu invece cruciale per la maturazione della sua personalità umana e artistica. Capitale dell’elettorato di Colonia – che all’epoca era uno stato indipendente – Bonn non era certo Vienna, ma le sue dimensioni ridotte e il carattere più decentrato ne facevano una città aperta alla circolazione delle nuove idee. Anche le relazioni personali erano più libere, meno marcate dal protocollo o dall’appartenenza a circoli sociali chiusi. L’ambiente intellettuale poteva giovarsi delle novità che arrivavano da fuori, come la filosofia di Kant o la poesia di Schiller e di Goethe. Erano insomma anni di grande fermento culturale. In assenza di una figura paterna solida – il

padre era un tenore dedito più all’alcol che alla musica –, a giocare un ruolo centrale nell’educazione del compositore fu Christian Gottlob Neefe. Organista di corte del principe elettore Massimiliano Federico e direttore musicale della corte dal 1782, Neefe si fece carico della formazione artistica del giovane Ludwig. Con le sue lezioni di piano e di composizione, il professore instillò nel pupillo l’amore per la musica dei Bach (Johann Sebastian e Carl Philipp Emanuel) e ne orientò l’incipiente carriera musicale. Neefe era una persona di vasta cultura e un grande conoscitore della letteratura e della filosofia della sua epoca. Ciò gli permise di trasmettere a Beethoven gli ideali illuministi e massonici, che erano alla base del suo credo personale.

L’ambiente illuminato di Bonn L’università, dove Beethoven s’iscrisse nel 1789, era un altro canale di diffusione delle idee dell’Illuminismo, cui il nuovo sovrano della città guardava con simpatia. Diventato principe elettore di Colonia nel 1784, Massimiliano Francesco d’Asburgo-Lorena

SCHMID REINHARD / FOTOTECA 9X12

PIÙ DI UN SEMPLICE INSEGNANTE


IN COMPAGNIA DEL GRANDE ELETTORE

Nel 1791 il compositore soggiornò presso il castello di Johannisburg (nella foto) con Massimiliano Francesco, durante un viaggio fluviale lungo il Reno e il Meno.


dell’universalismo, così come la convinzione che il cosmo obbedisca a leggi razionali e che la vita sia un viaggio i cui inevitabili ostacoli culminano pur sempre nella felicità dell’individuo. Fu proprio in questo periodo che conobbe l’ode di Schiller Inno alla gioia, che avrebbe utilizzato nella Sinfonia n. 9, con il famoso coro che canta: «Gioia, bella scintilla divina, / figlia degli Elisi […] tutti gli uomini diventano fratelli / dove posa la tua ala soave».

CONTATTI CON L‘ARISTOCRAZIA

Beethoven aveva buoni rapporti con l’aristocrazia. Sopra, il palazzo del principe Lobkowitz, dove fu eseguita per la prima volta, in privato, la Terza sinfonia. Sotto, un diapason del compositore. British Library, Londra.

BRITISH

LIBRARY

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FIRENZE

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offriva il suo appoggio ad artisti e letterati, e sosteneva un modello di monarchia illuminata simile a quella esercitata da suo fratello, l’imperatore Giuseppe II. Alla morte della madre, nel 1787, Beethoven si vide costretto a mantenere i fratelli minori lavorando come strumentista nell’orchestra locale e dando lezioni private di musica. In quel periodo il compositore fece anche il suo ingresso nell’ambiente dell’alta società, come testimoniano gli stretti rapporti che intrattenne con la famiglia von Breuning o con il conte Walsegg. Tutte queste esperienze contribuirono a orientare in modo deciso il suo pensiero, consolidando in lui una serie di valori etici che lo avrebbero accompagnato per il resto della vita. Tra questi spiccano la fede negli ideali di uguaglianza, libertà e fraternità, i valori del repubblicanesimo e

Non sorprende, quindi, che Ludwig accogliesse con entusiasmo le notizie che dal 1789 giungevano dalla Francia – la rivolta popolare contro Luigi XVI, il successivo rovesciamento della monarchia e la creazione della repubblica nel 1792. Per quell’anno si era ormai trasferito a Vienna, la città dove avrebbe vissuto fino alla morte, avvenuta nel 1827. Qui seguì con interesse i successi delle campagne militari del giovane generale Bonaparte, prima in Italia (1796-1797) e poi in Egitto e Palestina (1798-1799). Proclamato primo console della repubblica francese, nel 1800 Napoleone inflisse una decisiva sconfitta all’esercito austriaco in Italia. Beethoven vide in lui il paladino degli ideali della Rivoluzione, che grazie al suo esercito si diffondevano oltre i confini francesi e rovesciavano il vecchio ordine incarnato dall’assolutismo, caratterizzato da una visione gerarchica della società, da valori arcaici e da ingiustizie. Il compositore era affascinato dalle grandi figure storiche e mitologiche, personalità eroiche che avevano saputo trascendere il proprio destino nel tentativo di compiere una missione più elevata. Lo aveva dimostrato nel 1801 componendo il balletto Le creature di Prometeo, incentrato sul titano che aveva sfidato il decreto divino di Giove con l’obiettivo di regalare il fuoco agli uomini ed era stato punito con un terribile supplizio. E riutilizzò alcuni materiali di questo ballet nella Sinfonia n. 3, dimostrando così di vedere in Napoleone una specie di Prometeo contemporaneo, capace di mettere in discussione l’ordine costituito (l’Europa dell’Ancien Régime) per offrire ai suoi contemporanei il fuoco della nuova civiltà incarnata dai valori illuministi e rivoluzionari.

BRIDGEMAN / ACI

ALAMY / ACI

Storia di un disincanto


UN GIOVANE GENIO

Questo ritratto mostra Beethoven a 33 anni. Indossa un abito elegante e ha i capelli tagliati secondo la moda francese dell’epoca. Con la mano sinistra regge una lira, mentre con la destra scandisce il tempo. Opera di Joseph Willibrord Mähler, 1804. Wien Museum, Vienna.



LA CAPITALE DELL’IMPERO

A 22 anni Beethoven si stabilì a Vienna, dove rimase fino alla morte, all’età di 56 anni. La capitale austriaca rappresentava il vecchio ordine contro cui si batteva Napoleone. Nell’immagine, la Lobkowitzplatz ritratta da Bernardo Bellotto intorno al 1760. ERICH LESSING / ALBUM


RITRATTO MUSICALE DI UN EROE

I CONQUISTATORE. IL GENERALE BONAPARTE ATTORNO AL 1796, DOPO LA VITTORIA NELLA BATTAGLIA DEL PONTE DI ARCOLE. CASTELLO DI ARENBERG.

musicologi hanno interpretato la struttura della Terza sinfonia come la storia del viaggio esistenziale di un eroe. Nella sua recente biografia di Beethoven, il compositore e scrittore statunitense Jan Swafford parla della fine del primo movimento come della «più vivida rappresentazione dell’eroe come leader. La musica cresce in un’onda ascendente […] fino a un tutti, fortissimo. L’effetto è quello di una folla di persone che si radunano dietro il capo e procedono verso una qualche vittoria finale, pronti a grandi imprese». Secondo lo stesso Swafford, il movimento successivo – una marcia funebre – potrebbe rappresentare la sepoltura dei morti in battaglia, tra lutto e commemorazioni, o forse il funerale dell’eroe che si è sacrificato e rinascerà nei movimenti successivi.

«IL SOVVENIRE DI UN GRAND’UOMO»

Copertina della Sinfonia n. 3, Eroica, con il titolo definitivo, da cui Bonaparte è stato espunto. L’opera è dedicata al principe Lobkowitz, mecenate del compositore. Gesellschaft der Musikfreunde, Vienna.

Tuttavia nel 1804 la sua ammirazione per Napoleone subì un duro colpo. Quando il compositore apprese che Bonaparte si era autoproclamato imperatore, tradendo così gli ideali della repubblica e allineandosi di fatto con la condotta dei suoi avversari, la delusione fu totale. Napoleone si era tolto la maschera, rivelandosi un comune despota il cui unico movente era la sete di potere. La sinfonia si trasformò in un’esaltazione della figura dell’eroe, ormai avulsa da qualsiasi riferimento storico e personale.

Ode ai vincitori

DEA / ALBUM

Ciononostante, Beethoven non era un rivoluzionario convinto e mantenne un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’assolutismo. È paradossale, ad esempio, che la sua avveniristica Sinfonia n. 3 sia stata presentata per la prima volta in forma privata all’interno del palazzo aristocratico del principe Lobkowitz. Nella sua vita quotidiana a Vienna, Beethoven aveva con-

tinuamente a che fare con conti, principi, duchi e arciduchi, alcuni dei quali erano tra i suoi più importanti mecenati. Erano i nobili a garantirgli uno stipendio, a commissionargli le opere o ad assumerlo come insegnante di musica per i loro rampolli. Se è vero che lui li trattava da pari a pari, a volte con eccessiva audacia, il buon senso gli imponeva un certo rispetto delle gerarchie stabilite. D’altra parte, è significativo che nel 1814 componesse una cantata, Der glorreiche Augenblick (Il momento glorioso) e la dedicasse «ai sovrani e agli statisti europei» riuniti nel Congresso di Vienna per ristabilire l’ordine politico precedente alla Rivoluzione francese e alle avventure napoleoniche. Un anno prima aveva composto La vittoria di Wellington per celebrare l’esito della battaglia di Vitoria, che aveva costretto l’esercito francese a ritirarsi dalla Spagna. Si tratta di un’opera descrittiva ed effettista (ci sono anche degli spari di cannone), in cui l’uso degli inni God save the King e Rule Britannia rappresenta un’evidente strizzata d’occhio al pubblico inglese, cui la composizione era destinata. Fu uno dei pezzi che gli die-

ALAMY / ACI

DANIEL STEINER / RMN-GRAND PALAIS


PRIMA UFFICIALE

Interno del Theater an der Wien, dove il 7 aprile 1805 fu ufficialmente presentata la Sinfonia n. 3. Il teatro avrebbe ospitato anche la prima assoluta della Sinfonia n. 6.


VIENNA SOTTO LE BOMBE. BOMBARDAMENTO FRANCESE SULLA CAPITALE AUSTRIACA DELL’11 MAGGIO 1809. HEERESGESCHICHTLICHES MUSEUM, VIENNA.

ALLA CONQUISTA DI VIENNA NEL 1809, quando Napoleone era al culmine del potere, Austria e Gran Bretagna si allearono nella cosiddetta “quinta coalizione” e dichiararono guerra alla Francia. Ne seguì una ripetizione degli eventi del 1805: mentre le truppe francesi si avvicinavano a Vienna, l’imperatore austriaco e la sua corte abbandonavano la città,

lasciando all’arciduca Massimiliano il compito di difenderla. Un bombardamento notturno – che non causò danni materiali ma seminò il panico tra la popolazione – fu sufficiente a spezzare la resistenza cittadina. Il 13 maggio Vienna cadde nelle mani dei francesi, che la occuparono per diversi mesi.

In quel periodo Beethoven non lasciò mai la capitale. Come altri viennesi, la notte del bombardamento cercò rifugio in uno scantinato, in casa di suo fratello Karl, tappandosi le orecchie con dei cuscini. Quel conflitto lo stava devastando. «Non vedo che scompiglio attorno a me! Nient’altro che tamburi, cannoni e miseria uma-


ERICH LESSING / ALBUM

na di ogni specie». Fu inoltre costretto a sottostare alle imposizioni economiche dell’occupante, cui dovette versare un terzo dell’affitto a titolo di requisizione. Ma il compositore non sembrava risentito nei confronti del suo eroe, nonostante avesse conquistato la sua città adottiva. A riferirlo è un francese

appassionato di musica tedesca, il barone di Trémont, che andò a trovarlo a casa sua. Gli aprì la porta lo stesso Beethoven, che all’epoca non disponeva di servitù. Superata la diffidenza iniziale, il compositore simpatizzò con l’ospite, che avrebbe ricevuto in altre occasioni. Mescolando francese e tedesco, i due conversarono di varie

questioni artistiche e letterarie, ma anche dell’imperatore francese. «Beethoven era profondamente preoccupato da Napoleone», scrisse più tardi Trémont, «e ne discutemmo a lungo. Nonostante il suo malumore, mi resi conto che ammirava sinceramente l’imperatore e la sua ascesa a partire da origini modeste».


«FANTASIA AUDACE E SELVAGGIA»

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INTERNO DEL THEATER AN DER WIEN NEL 1805 DURANTE LA PRIMA DELL’UNICA OPERA DI BEETHOVEN, FIDELIO.

a Sinfonia n. 3 suscitò grande emozione tra i primi ascoltatori. Ammiratori e detrattori riconobbero che si trattava di qualcosa d’inedito. Il critico della rivista Allgemeine Musikalische Zeitung la definì «una fantasia audace, selvaggia e di grande respiro», con passaggi «di luminosa bellezza». Le maggiori riserve riguardavano la durata dell’opera e in particolare del primo movimento. Un paio d’anni più tardi una recensione sulla stessa rivista definiva il primo movimento «impressionante, potente e sublime». C’era una sensazione generalizzata di trovarsi di fronte a una creazione che segnava un prima e un dopo nella storia della musica. Nel 1918 il musicologo Paul Bekker scrisse che la sinfonia fu espressione «del grande movimento democratico che dalla Rivoluzione francese condusse alle guerre di liberazione tedesche».

ERICH LESSING / ALBUM

BRIDGEMAN / ACI

Beethoven aveva una particolare predilezione per il piano, per cui compose 32 sonate. Qui sotto, un piano di sua proprietà. Kunsthistorisches Museum, Vienna.

de maggior successo in vita. La stessa cosa avvenne con altri lavori oggi considerati “minori”, come il Settimino (un’opera per sette strumentisti composta tra il 1799 e il 1800) o gli arrangiamenti di canzoni popolari con i quali la sua musica entrava nelle case degli appassionati. Il titanico e rivoluzionario Beethoven della Sinfonia n. 3 o n. 5 ricevette invece una serie di valutazioni contrastanti, mentre le sonate e i quartetti dell’ultimo periodo furono oggetto di un’incomprensione pressoché unanime da parte dei suoi contemporanei, e dovettero attendere fino al XX secolo per venire stabilmente incorporati nel repertorio del compositore ed essere riconosciuti in tutta la loro genialità. I valori che Beethoven aveva coltivato fin dai tempi di Bonn rima-

sero a livello di tensione interiore, simboli di un’utopia forse irrealizzabile nel mondo. Come avevano dimostrato l’esperienza della Rivoluzione francese e la parabola di Napoleone, il tentativo di attuarli implicava fin da subito la loro più completa deformazione. Beethoven trasferì quella rivoluzione politica cui tanto aspirava su un piano puramente sonoro. La partitura divenne il vero campo di battaglia in cui il vecchio e il nuovo ordine si scontrarono alla ricerca di orizzonti insoliti e innovativi. La musica del grande compositore tedesco si trasformò in una rivoluzione permanente capace di mantenersi viva fino ai nostri giorni. STEFANO RUSSOMANNO CRITICO MUSICALE

Per saperne di più

TESTI

Il testamento di Heiligenstadt Ludwig van Beethoven. Pizzicato, Horgen, 1992. Autobiografia di un genio Michele Porzio (a cura di). Piano B, Prato, 2018. SAGGI

Beethoven: Sinfonia Eroica. Una guida Fabrizio Della Seta. Carocci, Roma, 2004.

RAINER MIRAU / AGE FOTOSTOCK

LO STRUMENTO PREFERITO


UN RIFUGIO NEL VERDE

Grande amante della natura, il compositore adorava passeggiare nei boschi di Helenental, nei dintorni di Vienna.


DAGLI ORTI / AURIMAGES

ntorno al 1798 Beethoven iniziò a notare che stava perdendo l’udito. Consultò diversi medici, l’ultimo dei quali gli consigliò, nel 1802, di stabilirsi per alcuni mesi in una tranquilla cittadina nei pressi di Vienna, Heiligenstadt. Qui compose diverse opere e iniziò a scrivere la Sinfonia n. 3. Ma in ottobre si rese conto che la cura non funzionava e che il progresso della sordità era inarrestabile. Tormentato da un costante ronzio alle orecchie e dalle conseguenze professionali e umane di questo male, scrisse un documento commovente in forma di testamento personale, in cui confessava di aver pensato al suicidio, ma di avere alla fine deciso di andare avanti per servire l’ideale della sua arte. In un certo senso, presentava sé stesso come un eroe che soffre e rinasce, proprio come il protagonista della sinfonia che concluderà poco dopo.

AKG / ALBUM

LA VITTORIA SULLA SORDITÀ

LA LETTERA NOTA COME TESTAMENTO DI HEILIGENSTADT, SCRITTA DA BEETHOVEN IN QUESTA LOCALITÀ NEL 1802.


IL TESTAMENTO DI HEILIGENSTADT Oh uomini, che mi reputate astioso, scontroso o misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire così ai vostri occhi […] da sei anni sono vittima di un grave male […] Come potevo confessare la debolezza di un senso che dovrei possedere molto più degli altri […]? Tale esperienza mi ha portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. Solo la mia arte mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo il bisogno di comporre […] Divinità, tu vedi dall’alto il fondo della mia anima, sai che amo l’umanità e desidero fare il bene. O uomini, se mai un giorno leggerete

questo scritto, pensate al torto che mi avete fatto […] Addio, non dimenticatemi del tutto, dopo la mia morte». Il documento fu redatto il 6 ottobre del 1802. Nello scritto Beethoven svela la sua sordità. Una seconda parte del testamento venne redatta alcuni giorni dopo, il 10 ottobre 1802. La missiva era indirizzata ai fratelli Carl e Johann. Al posto del nome di quest’ultimo compare uno spazio vuoto: («ai miei fratelli Carl e… Beethoven»).

CORNETTO ACUSTICO COSTRUITO DALL’INVENTORE JOHANN MÄZEL PER BEETHOVEN. NON SI SA SE QUESTI LO UTILIZZÒ. GRANGER / AURIMAGES

VISTA DI HEILIGENSTADT AGLI INIZI DEL XIX SECOLO. ACQUERELLO DI JOHANN TOBIAS RAULINO. WIEN MUSEUM, VIENNA.


GRANDI ENIGMI

Lo ius primae noctis: la leggenda oscura del feudalesimo

N

on appena un articolo, un romanzo, un film o una serie tornano a parlare dello ius primae noctis, sui social network si solleva un gran polverone. Ma cos’è lo ius primae noctis? È il diritto che, secondo alcuni, avrebbe sancito ancora una volta la superiorità dei nobili sui loro sudditi. E, per quanto nella storia dell’umanità gli abusi di tale classe non siano certo mancati, non vuol dire che un simile diritto sia esistito davvero. La locuzione latina ius primae noctis, chiamata droit de cuissage in Francia e derecho de pernada in Spa-

gna, si riferisce al “diritto” secondo cui, in virtù di una legge o di un costume che lo rendevano lecito, un signore feudale poteva violentare una donna appena sposata nella sua prima notte di nozze. Ne conseguiva che né gli sposi, né i parenti gli opponevano resistenza.

Deboli prove Durante il Medioevo sono attestati numerosi esempi di violenza sessuale da parte dei signori feudali, eppure le testimonianze diventano meno chiare se ci riferiamo a diritti o costumi che legittimavano un simile abuso durante la notte nuziale. Difatti, molti dei documenti addotti quali prove dello ius

primae noctis si riferiscono in realtà ad altro, come per esempio ai tributi che i contadini pagavano ai signori per ottenere il permesso di sposarsi. Parecchie delle voci giunte sino a noi rispondono, infatti, alla volontà di screditare i signori feudali. È questo anche il caso della prima testimonianza attestata, presente nell’abbazia di Mont-Saint-Michel e datata al 1247. Si tratta di un componimento in versi che racconta, a mo’ di lamentela, la dura vita del contadino e le numerose pretese signorili a cui questi doveva sottostare, tra le quali il pagamento di un tributo perché il signore lo autorizzasse a far sposare

UNA STORIA ITALIANA A MELISSA, borgo in provincia di Crotone, lo ius primae noctis è legato al conte Francesco Campitelli, vissuto nel XVII secolo. Si racconta che era solito rapire le novelle spose appena uscite dalla chiesa, finché un giorno non fu ucciso dal fidanzato di una di loro. Con la sua morte, terminava una serie di abusi sulle melissesi che il conte avrebbe perpetrato. CONTADINO. STATUA DI BENEDETTO ANTELAMI. XIII SECOLO. BATTISTERO DI PARMA. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

FINE ART / ALBUM

Dal XIX secolo gli storici mettono in dubbio l’esistenza di un simile diritto esercitato dai signori medievali

le figlie; in caso contrario, le ragazze sarebbero state stuprate proprio dal signore. Potrebbe sembrare una denuncia della barbarie e della tirannia dei feudatari laici, ma non è altro che una satira. Gli autori, i monaci dell’abbazia, la utilizzarono come strumento politico al fine di attirare nelle proprie terre i contadini provenienti da altri feudi. In pratica volevano far intendere ai sudditi che i monaci erano più giusti e gli sarebbe quindi


LE DROIT DU SEIGNEUR. In quest’olio il pittore russo

convenuto spostarsi nei loro possedimenti. Nemmeno in Italia sono del tutto affidabili le prove a favore dell’esistenza dello ius primae noctis, perché alcune testimonianze sono legate principalmente a leggende e tradizioni. È, per esempio, il caso del terribile Oberto di Badalucco, conte di Ventimiglia che, intorno al XIII secolo, aveva imposto lo ius primae noctis a tutte le fanciulle del posto. Una ragazza e il suo promesso sposo, per

sposarsi di nascosto, fuggirono e fondarono il borgo di Montalto Ligure. A Fiuggi, invece, si racconta la storia del “pozzo delle Vergini” in cui un signorotto locale faceva gettare le donne che si presentavano “impure” quando costui esercitava lo ius primae noctis. Nella Spagna medievale, invece, la prova più decisiva – ma solo in apparenza – circa la veridicità storica dello ius primae noctis si trova all’interno della Sentencia

VESCOVO CALUNNIATO IN MEMORIAL de diversas hazañas (Memoriale di diverse gesta), l’autore del XV secolo Diego de Valera scrive di un arcivescovo di Santiago di Compostela: «Mentre una promessa sposa stava per celebrare le nozze con il marito, lui la mandò a prendere e la tenne con sé per una notte». Tuttavia, sembra che si trattasse di un’accusa falsa inventata dai suoi nemici.

DUE AMANTI A LETTO. MINIATURA MEDIEVALE. 1400. ÖSTERREICHISCHE NATIONALBIBLIOTHEK, VIENNA.

AKG / ALBUM

Vasilij Polenov rappresenta una giovane sposa portata dalla famiglia in casa del signore per passarvi la notte di nozze. XIX secolo. Gosudarstvennaja Tret’jakovskaja Galereja, Mosca.

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GRANDI ENIGMI

Mozart contro lo ius primae noctis L’OPERA DI MOZART Le nozze di Figa-

SUSANNA E FIGARO IN UNA SCENA DI LE NOZZE DI FIGARO DI MOZART. INCISIONE DEL 1868.

arbitral de Guadalupe del 1486, con cui i signori feudali e i contadini catalani, detti in quell’occasione de remensa (di riscatto), firmarono la pace dopo un lungo

contendere. Nella Sentencia si sanciva l’abolizione delle «cattive usanze» imposte dai signori ai contadini, tra cui quella che permetteva al signore «nella prima notte che il contadino prendeva moglie, di dormire con questa». Anche se il testo sembra non lasciare adito a dubbi, la realtà è ben più complessa. Quando anni prima, nel Proyecto de Con-

cordia del 1462, i contadini de remensa chiesero che tali “cattive usanze” fossero abolite («pretendono alcuni signori che, appena il contadino si ammoglia, il signore debba dormire con la sposa la prima notte»), i signori feudali risposero che una simile pretesa non gli risultava e che, se davvero fosse stata vera, si sarebbero accordati per abolirla. Potremmo sup-

Nell’Encyclopédie si afferma che lo ius primae noctis «rimase vigente in Francia e in Scozia» a lungo COPERTINA DELL’ENCYCLOPÉDIE DI DIDEROT. 1751. BIBLIOTHÈQUE MUNICIPALE D’AMIENS. BRIDGEMAN / ACI

porre che i feudatari fossero cinici e negassero pratiche delle quali erano certamente a conoscenza. Tuttavia, potrebbe pure trattarsi di un ulteriore esempio di rivendicazioni contadine contro diritti signorili mai esistiti, com’era successo nello stesso periodo in Francia. È piuttosto strano che nella corona d’Aragona, dotata di archivi ben forniti e documentati, non siano state rinvenute prove al riguardo. Più probabilmente alcuni contadini credettero alle voci in circolazione e temettero che l’abuso di certi vassalli potesse divenire una consuetudine generalizzata.

DEA / ALBUM

ro, con libretto di Lorenzo Da Ponte basato sull’omonima commedia di Beaumarchais, racconta come un nobile, il conte d’Almaviva, decida di sedurre la servetta, Susanna, poco prima del matrimonio. Il suo promesso, Figaro, si ribella perché lo considera un abuso feudale. Nel primo atto Susanna racconta a Figaro che il conte le ha offerto la dote in cambio dei suoi favori. susanna: Ei la destina (la dote) / Per ottener da me certe mezz’ore / Che il diritto feudale... figaro: Come! Ne’ feudi suoi / Non l’ha il Conte abolito? susanna: Ebben, ora è pentito; e par che tenti / Riscattarlo da me.


ABBAZIA di Mont-Saint-Michel.

ARTHIT SOMSAKUL / GETTY IMAGES

Un testo redatto dai monaci denuncia in chiave satirica lo ius primae noctis.

In mancanza di evidenti prove documentali, possiamo solo affermare che lo ius primae noctis fu un mito, almeno nella forma d’istituzione o pratica sociale, anche se riuscì a radicarsi nell’immaginario al pari delle leggende urbane dei nostri tempi.

Un mito duraturo La storia dello ius primae noctis cominciò a circolare nell’occidente europeo almeno dal XIII secolo, brandita come arma politica contro i signori feudali. Nei secoli XVI e XVII vi ricorsero invece i giuristi per screditare, a beneficio della

corona, i nobili proprietari terrieri. Ad esempio, nel 1665 il vescovo francese Fléchier riportò le lamentele dei contadini provenienti dalla regione dell’Alvernia, e nelle sue memorie riferì le voci circa il droit de cuissage: «C’è un diritto molto comune in Alvernia, chiamato diritto di nozze […] Nelle sue origini, concedeva al signore il potere […] di giacere con la moglie […]». Tuttavia, Fléchier non apportò alcuna prova al riguardo. Durante l’Illuminismo, nel XVIII secolo, lo ius primae noctis divenne un luogo comune nella denuncia di feudalesimo e tirannia. Per

esempio, nell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert un articolo è dedicato proprio a «quel diritto che i signori si arrogarono prima e durante l’epoca delle crociate, diritto di giacere nella prima notte con le donne appena maritate, le loro vassalle plebee […] Nel secolo scorso alcuni fecero pagare ai sudditi la rinuncia a quello strano diritto, che per molto tempo rimase in voga in quasi tutte le province della Francia e della Scozia». Nel XIX secolo il dibattito sulla realtà di tale pratica divenne più acceso: gli eruditi anticlericali cercavano documenti che ne confer-

massero l’esistenza, e coloro che erano a favore del clero sostenevano che si trattasse di un’invenzione. Senz’ombra di dubbio, se il mito si è mantenuto così a lungo fino a oggi, è perché siamo soliti pensare al Medioevo come a un’epoca spietata, oscura e deprecabile. Tuttavia non lo fu più di tante altre. —Ana E. Ortega Baún Per saperne di più Luce del Medioevo Régine Pernoud. Gribaudi, Milano, 2002. Medioevo. Un secolare pregiudizio Régine Pernoud. Bompiani, Milano, 2005.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Le barche di Marsala, vestigia del potere di Cartagine Agli inizi degli anni settanta l’archeologa Honor Frost portò per la prima volta alla luce una nave da guerra dell’antichità MAR ADRIATICO

RO M A

I TA L I A MAR MEDITERRANEO

T R A PA N I

Marsala

SICILIA

ologia subacquea, venne scelta come responsabile per portare a termine lo studio dei resti. I risultati degli scavi giunsero circa un anno dopo l’inizio del progetto. Vicino alla costa, tra i due e i quattro metri di profondità, iniziò a comparire il relitto di una nave. Le particolari caratteristiche del fondale marino avevano preservato i materiali organici. Il legno di pino conservava ancora la forma e il caratteristico color giallo. I resti della barca scoperti dagli archeologi corrispon-

1969

Diego Boninni recupera dei resti di legno mentre draga la sabbia per la fabbricazione del vetro vicino Marsala.

1970

devano alla poppa, ad alcune corbe (le “costole” di un’imbarcazione) e a parte della chiglia, ed evidenziavano un sistema di costruzione tipicamente fenicio: il legno dello scafo era assemblato tramite delle fenditure (mortase) con un piccolo pezzo di legno (tenone). Lo scafo e la chiglia venivano fabbricati per primi e dopo vi si aggiungeva il corbame per rinforzare la struttura. Ma non solo: in alcuni elementi di unione comparivano dipinti dei tipici caratteri fenici.

CARLO MORUCCHIO / AGE FOTOSTOCK

N

el 1969 il capitano Diego Boninni stava effettuando delle operazioni di dragaggio della sabbia per la fabbricazione del vetro a punta Scario, vicino Marsala, sulla costa orientale della Sicilia, quando dal mare recuperò dei legni fradici, dall’aspetto secolare. Boninni informò le autorità, e una successiva ispezione archeologica confermò che appartenevano a una nave naufragata nell’antichità. Ma in quale epoca? E di che tipo di barca si trattava? Due anni più tardi, nel 1971, la britannica Honor Frost, pioniera dell’arche-

Due barche gemelle Gli archeologi rinvennero pure una gran quantità di pietre di zavorra su un fondo che proteggeva il legno composto da piante e rami, ancora verdi grazie all’eccellente conservazione della clorofilla. Questo permise a

L’archeologa britannica Honor Frost viene nominata responsabile per lo studio sul relitto.

1971

LA PRIMA delle navi ritrovate a Marsala e il suo carico sono esposti al Museo archeologico regionale Lilibeo a Marsala, Sicilia.

Frost di dedurre che la barca non portava un carico e aveva bisogno di quella zavorra in più per navigare con tranquillità: non poteva quindi essere una nave mercantile. I resti del Marsala I, come

Gli scavi di Honor Frost portano alla luce i resti di una nave da guerra punica del III secolo a.C.

1973

Vicino alla Marsala I compaiono i resti di un’altra barca. Frost li associa alla Prima guerra punica.

L’ARCHEOLOGA HONOR FROST PORTA IN SUPERFICIE UN’ANFORA NEL 1972. HONOR FROST ARCHIVE / HARTLEY LIBRARY / UNIVERSITY OF SOUTHAMPTON


PIONIERA DELL’ARCHEOLOGIA HONOR FROST (sotto, in una foto del 1971) se-

che veniva accompagnata dal vino delle anfore e da alcuni frutti. Tuttavia la cosa più sorprendente fu il reperimento della cannabis. Frost pensò che tale sostanza avrebbe permesso di alleviare gli sforzi dell’equipaggio o sarebbe forse servita per vincere la paura durante una determinata battaglia. Comparvero inoltre frammenti di una vertebra, un femore e un radio umani, presumibilmente appartenenti

HONOR FROST ARCHIVE / HARTLEY LIBRARY / UNIVERSITY OF SOUTHAMPTON

venne denominato il relitto, dovevano perciò corrispondere a una nave da guerra, la prima dell’antichità documentata dall’archeologia. Il ritrovamento apportò ulteriori informazioni, molto importanti, sulla vita dell’equipaggio. I resti di cibo trovati – in pratica ossa di bue, capra, pecora e maiale – dimostravano che la dieta dei marinai era ricca di proteine, opportuna per degli uomini che dovevano compiere un enorme sforzo fisico; dieta

gnò uno spartiacque nello sviluppo dell’archeologia subacquea. Fu una delle prime donne a immergersi con uno scafandro autonomo e nel 1960 applicò per la prima volta la metodologia archeologica per studiare una barca dell’Età del bronzo sulla costa turca.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

LO STUDIO dettagliato dei resti delle navi puniche scoperte a Marsala permise di capire che il tipo di nave era una galera della Guerra punica, probabilmente una liburna. Nell’immagine, ricostruzione ideale del relitto di Marsala.

ILLUSTRAZIONE: MICHAEL LEEK / HARTLEY LIBRARY / UNIVERSITY OF SOUTHAMPTON

a qualche membro dell’equipaggio, oltre alle ossa di un cane, forse la mascotte di bordo. Nel 1973, a 40 metri dai resti del Marsala I, com-

parve una seconda nave con enormi somiglianze e le stesse lettere fenicie dipinte. Conservava metà della prua intatta, proprio ciò che mancava nella prima barca. Ancor più fortunato fu il ritrovamento dei resti di un rostro in legno. Ora l’équipe di Honor Frost non aveva più dubbi: erano entrambe navi da guerra, molto probabilmente

un tipo di galera conosciuta come “liburna”.

Il segreto del rostro Nell’antichità il rostro era un elemento fondamentale nelle battaglie navali. Di solito si speronavano le imbarcazioni nemiche con la massima potenza, affinché il rostro penetrasse nel corbame e poi la barca affondasse o non potesse più

Honor Frost suggerì che la cannabis trovata nelle imbarcazioni potesse alleviare lo sforzo dei rematori RESTI DI PIANTE E FOGLIE CHE PROTEGGEVANO IL FONDO DELL’IMBARCAZIONE. HONOR FROST ARCHIVE / HARTLEY LIBRARY / UNIVERSITY OF SOUTHAMPTON

attaccare. Un’altra operazione consisteva invece nel mettere fuori uso la fila di remi su uno dei fianchi. Ciononostante, le fonti scritte antiche non chiariscono come venissero costruiti questi elementi offensivi. Si credeva che i rostri fossero prolungamenti della chiglia e che, in tal modo, tutta la struttura della nave attaccante assorbisse la forza dell’impatto. Grazie ai dati forniti dal Marsala II, l’équipe di Honor Frost capì che, in realtà, il rostro non faceva parte della chiglia, ma vi era fissato con dei chiodi di ferro. La soluzione era molto più efficace,


DALLA CITTÀ di Trapani si

MAEKFOTO / ALAMY / ACI

possono vedere le isole Egadi, scenario della battaglia del 241 a.C. tra romani e cartaginesi.

giacché in tal modo questo si sarebbe potuto staccare dal resto dell’imbarcazione senza farla affondare assieme alla nave nemica. Dopo quattro anni d’interventi, gli archeologi Honor Frost e Lucien Basch stabilirono che i due relitti erano galere puniche. Calcolarono che la lunghezza “fuori tutto” (ovvero la lunghezza massima dello scafo) era di 35 metri e la larghezza di circa 4,80 metri. Fonti antiche sottolineano la velocità con la quale si riuscivano a costruire le navi. Frost e i suoi collaboratori ne scoprirono la ragione: le lettere dipinte sugli scafi

indicavano che erano state disegnate e montate in forma standardizzata, quasi in una catena di montaggio.

Vittime della guerra Un’altra incognita riguardava il sistema di propulsione. Poiché non si era riuscita a documentare l’esistenza di un albero maestro per le vele, si pensò che fossero barche a remi. In particolare, ci sarebbero stati 17 remi su ogni lato, per un totale di 68 rematori. Poiché tale sistema di propulsione non permetteva la navigazione in mare aperto, s’ipotizzò che le barche svolgessero una funzione di

vigilanza costiera. I risultati dei test effettuati con il carbonio-14, uniti allo studio delle ceramiche presenti a bordo, permisero di collocare le navi attorno alla metà del III secolo a.C. Dati alla mano, Honor Frost provò a collegare i due relitti a una delle battaglie navali più decisive dell’antichità: quella che ebbe luogo il 10 marzo 241 a.C. nelle isole Egadi, un piccolo arcipelago davanti alla costa della Sicilia, tra Trapani e Marsala. La battaglia mise fine alla Prima guerra punica (264-241 a.C.) in cui Cartagine, fino ad allora una dominatrice dei mari, si vide sconfitta sul proprio

terreno da Roma, una potenza terribilmente forte e in espansione. Dopo il recupero della nave e in seguito a un non facile processo di conservazione, è oggi possibile ammirare una di queste imponenti navi da guerra, la Marsala I, nel Museo archeologico regionale Lilibeo di Marsala, in Sicilia. —Carles Aguilar Per saperne di più La nave punica di Marsala Maurizio Vento. Editoriale Siciliana Informazioni, Trapani, 2000. Alla scoperta delle navi antiche Angelina De Laurenzi. Electa, Milano, 2006.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L I B R I A CURA DI MATTEO DALENA STORIA DELLA CARTOGRAFIA

Le prime rudimentali mappe terrestri

Q John Noble Wilford

(traduzione di Gianna Lonza)

I SIGNORI DELLE MAPPE Garzanti, 2018; 478 pp., 30 ¤

uella di cartografare l’esistente è un’usanza comune a genti diverse e tra loro lontane nel corso della storia. Prima che gli europei toccassero le sponde del Pacifico agli inizi dell’Età moderna, gli indigeni delle isole Marshall costruivano carte nautiche rudimentali utilizzando bastoncini legati l’un l’altro con fili di tessuto a indicare la direzione dei venti e il tipo di onde. E le isole erano rappresentate da

conchiglie e coralli. Nel Messico precolombiano erano le sequenze di orme a determinare il tracciato delle strade sulle carte. Dal canto suo, il conquistatore spagnolo Hernán Cortés attraversò l’America centrale seguendo una mappa rozzamente disegnata su carta di cotonina che gli era stata data da un cacique (capo indigeno). Secondo il giornalista statunitense John Noble Wilford, non importava in che modo o su quale supporto, l’importante era «tracciare uno

schizzo per comunicare il senso del “dove”». Tuttavia, ancor prima di disegnare la terra era necessario conoscerne le dimensioni. La prima misurazione scientifica conosciuta del pianeta fu quella di Eratostene (276 a.C.-196 a.C.). Lo scienziato greco arrivò a calcolare che la distanza tra Alessandria e Siene (oggi Assuan, in Egitto) era un cinquantesimo rispetto alla circonferenza terrestre (circa 46mila chilometri). Ciò valse a Eratostene la fama di “padre della geodesia” (la scienza della misurazione terrestre) o, con parole dell’autore John N. Wilford «di quei faticosi e pazienti calcoli che rappresentano il quadro di riferimento di ogni buona carta geografica».

MEDIOEVO ITALIANO

Paolo Grillo

LA FALSA INIMICIZIA. GUELFI E GHIBELLINI NELL’ITALIA DEL DUECENTO Salerno editrice, 2018; 168 pp., 14 ¤ IL LINGUAGGIO corrente ha

assunto i termini “guelfi” e “ghibellini” per definire posizioni opposte su questioni anche banali. La loro origine rimanderebbe alla contesa per la successione al trono 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

di Enrico V, morto nel 1125: da una parte si trovavano gli Hohenstaufen, signori di Waibling (da cui il termine “ghibellini”) e di Svevia; dall’altra i Welfen (“guelfi”) duchi di Baviera. Dalla metà del XIII secolo i cronisti fiorentini scelsero tali termini per designare i sostenitori rispettivamente dell’impero e della Chiesa. Secondo lo storico Paolo Grillo, le due fazioni non erano però nettamente definibili e neppure esisteva tra loro un perenne stato d’inimicizia. Non erano rari, infatti, atteggiamenti amichevoli fra centri urbani ideologicamente antagonisti o, al contrario, conflitti fra comuni che aderivano allo stesso fronte.

ADDESTRATE AI DOVERI TRA LE VETTE DI CARNIA IL RUOLO ASSEGNATO alle donne dalla dittatura fascista

era inequivocabile: madri e fattrici. A loro spettava la riproduzione del maschio, cioè mettere al mondo potenziali braccia da lavoro o da guerra per il regime. Le colonie temporanee femminili addestravano le giovani al governo della casa e della numerosa prole. Il ritrovamento del diario della direttrice della colonia di Pierabech, nelle Alpi Carniche, comprensivo di un ricettario di cucina e di vecchie foto, ha permesso a Martina Tommasi, collaboratrice di Storica, di documentare le abitudini quotidiane in uno di questi luoghi montani dove si “forgiavano” donne in linea con gli scopi fissati dal regime. Martina Tommasi

PIERABECH. RICETTE DALLA COLONIA Luoghi editrice/Battello stampatore, 2018; 110 pp., 15 ¤


IN ED ICO LA

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petra e palmira Le città leggendarie ricostruite in 3D

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nella roccia del deserto sono la principale testimonianza di Petra, capitale della civiltà nabatea, costruita sul percorso delle rotte carovaniere che collegavano Oriente e Occidente. Palmira, costruita in pieno deserto siriano, tra il I e il III secolo d.C. divenne un’oasi di prosperità grazie al commercio

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Prossimo numero GLI ULTIMI ANNI DI LEONARDO

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CORAGGIO E SENSO DELL’ONORE: I VICHINGHI LE LEGGENDE sugli antichi popoli

scandinavi sono poco conosciute, al contrario di quelle sulle divinità nordiche come Odino o Thor. I vichinghi però, umani spesso imparentati con gli dei, sono i protagonisti indiscussi delle saghe nordiche. L’Islanda antecedente al IX secolo, non ancora colonizzata, è spesso lo scenario delle avventure di vichinghi come Sigurðr, o Sigfrido, Bósi e Ragnarr Loðbrók che grazie all’aiuto di oggetti magici e creature fantastiche compiono imprese leggendarie con coraggio e onore. PHOTOAISA

Iside, la dea di una dinastia Considerata una delle divinità più importanti del pantheon egizio, la dea moglie di Osiride si guadagnò fedeli in tutto il Mediterraneo.

La prima città della storia Çatal Hüyük sorse novemila anni fa su un altopiano turco e fu la dimora di una delle prime società sedentarie, dedita all’agricoltura e alla pastorizia.

Il regicidio di Filippo II Il re che aveva trasformato la Macedonia del IV secolo a. C. nella potenza egemone della Grecia, venne ucciso da una guardia del corpo durante le nozze della figlia.

Un mago della finanza Marco Licinio Crasso divenne l’uomo più ricco di Roma ma fu anche il responsabile di una delle più cocenti sconfitte della storia dell’impero.




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