Storica National Geographic - dicembre 2019

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XI’AN

SILLA

MAGELLANO

CACCIA ALLE STREGHE

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IL LIBRO DEI MORTI

LA DITTATURA DI SILLA

MAGELLANO

LA SPEDIZIONE CHE CIRCUMNAVIGÒ IL PIANETA

- esce il 22/11/2019 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

aut. mbpa/lo-no/063/a.p./2018 art.

periodicità mensile

LIBRO DEI MORTI

UN ESERCITO PER L’ETERNITÀ

90130

IN VIAGGIO VERSO L’ALDILÀ

9 772035 878008

NATIONAL GEOGRAPHIC

I GUERRIERI DI XI’AN

N. 130 • DICEMBRE 2019 • 4,95 E

NU MERO 130

storicang.it

LA CACCIA ALLE STREGHE IN SCOZIA

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EDITORIALE

LE PIRE FUMANTI e la Santa Inquisizione sono cadute in disuso, ma

l’odio nei confronti delle donne non è passato di moda. Perché, come ha ben espresso Silvia Federici nel suo Calibano e la strega, la “caccia alle streghe” in Europa fu una vera e propria guerra contro le donne, capace di attraversare frontiere e unire nazioni cattoliche e protestanti, portata avanti da Chiesa e Stato per degradarle, demonizzarle e distruggere il loro potere sociale. L’obiettivo? Secondo Federici, tra le altre cose, attaccare la resistenza che le donne stavano opponendo in quel periodo alla diffusione delle relazioni capitaliste attraverso le lotte contadine contro la privatizzazione della terra. A sostenere la tesi anche il fatto che la maggior parte delle accusate erano povere – contadine, lavoratrici salariate – mentre gli accusatori erano membri prestigiosi della comunità, spesso i loro stessi proprietari terrieri. Al tempo stesso, in un momento in cui l’Europa era preoccupata dal calo della popolazione, perseguitare le levatrici, che il Malleus Maleficarum definiva le peggiori tra le donne «dato che aiutano le madri a distruggere il frutto del loro ventre» avrebbe rappresentato un modo per ostacolare i metodi usati dalle donne per controllare la procreazione. Ma non erano solo le levatrici e coloro che evitavano la maternità l’unico target dei cacciatori, che erano principalmente giuristi, magistrati e demonologi: c’erano anche quelle che praticavano la magia, le mendicanti, le libertine, le promiscue e le ribelli. Ovvero tutte coloro che, in un modo o nell’altro, rischiavano di sovvertire l’ordine costituito. Per di più, unendosi con altre donne. Perché, allora come oggi, le donne insieme fanno più paura. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale

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8 ATTUALITÀ 12 GRANDI INVENZIONI

La prima calcolatrice Il dispositivo di Schickard permetteva di effettuare calcoli in modo meccanico, ma non riuscì ad affermarsi.

14 PERSONAGGI STRAORDINARI Il Barone Rosso

Eroe per i tedeschi e incubo per gli Alleati, divenne l’aviatore più temuto della storia.

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22 ANIMALI NELLA STORIA La scimmia

26 EVENTO STORICO

Sulle tracce di Venere 250 anni fa una missione misurò a Tahiti la distanza tra terra e sole.

30 DATO STORICO

Marciapiede reinventato Nel 1762 le autorità londinesi riformarono le strade per creare uno spazio riservato ai pedoni.

32 FOTO DEL MESE

Presenze ultraterrene

34 VITA QUOTIDIANA

Pellegrini a Santiago Un tempo, come oggi, il viaggio terminava con dei rituali nella cattedrale cittadina.

38 MAPPE DEL TEMPO

La Galleria delle carte in Vaticano Dal 1580 delle carte dell’Italia decorano i palazzi Vaticani.

120 GRANDI ENIGMI

Il mito della terra piatta Nel XIX secolo s’iniziò ad affermare che nel Medioevo si credeva alla terra piatta.

124 GRANDI SCOPERTE

Il tesoro della dea gatta Nel 1906 fu trovato un corredo di oggetti d’oro e argento vicino al tempio di Bubasti.

128 LIBRI E MOSTRE

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106 LA CACCIA ALLE STREGHE IN SCOZIA TRA IL CINQUE E IL SEICENTO

la caccia alle streghe imperversò in Europa. In Scozia le persecuzioni nei confronti delle presunte adoratrici di Satana si scatenarono in diverse ondate e con particolare virulenza. Lo stesso re Giacomo VI era convinto che le streghe cospirassero contro di lui. Quasi sempre alle vittime si facevano confessare delitti immaginari tramite la tortura. DI JULIAN GOODARE

TANTALLON. LA FORTIFICAZIONE SI TROVA A POCHI CHILOMETRI DA NORTH BERWICK, DOVE NEL 1590 EBBE LUOGO UNA DELLE PRIME ONDATE REPRESSIVE.

40 In viaggio verso l’aldilà Rappresentato sui papiri o sulle pareti delle tombe, il Libro dei morti, conosciuto anche come Libro per uscire nel giorno, conteneva le istruzioni che il defunto doveva seguire per confessare i suoi peccati, affrontare la pesatura del cuore che giudicava le sue azioni in vita e fare il suo ingresso nell’aldilà. DI ELISA CASTEL

78 La dittatura di Silla Nell’82 a.C., in piena crisi della repubblica romana, Lucio Cornelio Silla fu proclamato dittatore e assunse poteri simili a quelli di un sovrano. Silla attuò una politica del terrore e grazie a un’intensa propaganda riuscì a dotarsi di un’aura quasi divina agli occhi del popolo. Ciononostante, pochi anni dopo sorprese tutti ritirandosi dalla politica. DI ELENA CASTILLO

90 La spedizione di Magellano Sono passati cinquecento anni dalla spedizione che per la prima volta circumnavigò il pianeta. Nel 1519 partì da Siviglia una flotta di cinque navi al comando di Ferdinando Magellano. Il portoghese voleva aprire una nuova rotta per l’arcipelago delle Molucche, o Isole delle Spezie, e con i suoi uomini costeggiò il sud del continente americano per poi attraversare l’oceano Pacifico. DI PABLO EMILIO PÉREZ-MALLAÍNA

58 I guerrieri

di Xi’an

Nel 1974 iniziarono gli scavi della tomba del primo imperatore cinese, Qin Shi Huang, nei pressi di Xi’an. Dal suo mausoleo emerse un esercito di migliaia di figure in terracotta disposto a protezione del sovrano nell’aldilà, la cui realizzazione richiese risorse immense. DI MARCOS MARTINÓN-TORRES

ARCIERE. COME MOLTI DEGLI ALTRI RITROVATI A XI’AN, È INGINOCCHIATO E PRONTO A USARE LA BALESTRA.

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Prossimo numero LA LONDRA DI CHARLES DICKENS LO SCRITTORE visse in

LEBRECHT / ALBUM

prima persona i due volti della Londra della seconda metà dell’ottocento. Quella della miseria, della sporcizia e dello sfruttamento minorile e quella dell’opulenza, dei tribunali e della City. Nelle sue opere Dickens denunciò aspramente la prima: la città dove giunse Oliver Twist era un labirinto di strade insalubri e strapiene di gente, dove abbondava l’alcolismo e i bambini erano spesso le principali vittime.

AGRIPPINA, L’AUGUSTA CHE VOLEVA REGNARE

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

LA BISNIPOTE DEL DIVINO AUGUSTO

non volle attenersi al ruolo secondario che la società romana imponeva alle donne. Però sapeva anche di dover trovare un modo non troppo esplicito per ottenere il potere. Per questo, dopo aver sposato il proprio zio, l’imperatore Claudio, Agrippina minore si propose di conquistare la corona per il figlio Nerone. Però i piani non andarono come si aspettava e il figlio finì per ucciderla.

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La rinascita dopo la peste nera L’epidemia di peste che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1353 causò milioni di morti, portò allo spopolamento di numerose aree e al fanatismo religioso. Chi sopravvisse dovette dedicarsi al difficile compito della ricostruzione, ma riuscì a vedere anche una rapida ripresa economica.

La crociata dei fanciulli Nel 1212 due giovani pastori guidarono i rispettivi movimenti di bambini che speravano di liberare la Terra Santa. Partirono in migliaia, ma vennero ingannati e finirono venduti come schiavi in Africa. Un episodio tra storia e leggenda ancora poco conosciuto.

Cesarione, il “piccolo Cesare” Dopo il soggiorno di Giulio Cesare in Egitto, Cleopatra partorì un bambino che chiamò Cesarione, il “piccolo Cesare”. Potenziale erede di un vasto impero, il giovane principe finì per diventare una tragica vittima della lotta per il potere a Roma.

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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA ILLUSTRATI PER RAGAZZI

Scoprirono il mondo abbattendo il pregiudizio

U Isabel Minhós Martins, Bernardo P. Carvalho

ATLANTE DEI GRANDI ESPLORATORI Donzelli 2019; 135 pp.; 25 ¤

n giorno qualcuno si mosse da un luogo all’altro ed è così che due posti, tra loro distanti, furono collegati. Tracciando i primi sentieri, l’umanità inventava la cartografia. Inizialmente piene di spazi vuoti, equivalenti alle zone sconosciute del globo, le primordiali mappe furono man mano arricchite d’informazioni provenienti dalle esperienze di viaggio di uomini e donne, la cui ragione di vita era quella di «levare ciò che copre, ciò

che nasconde». È con parole semplici ma fortemente inclusive che Isabel Minhós Martins e Bernardo P. Carvalho cercano di trasferire ai più giovani la passione per il viaggio, inteso come propensione alla scoperta e all’incontro con l’altro. Le “guide” scelte dagli autori per l’esperienza conoscitiva, arricchite da grafiche e fumetti, sono uomini più o meno illustri come Giovan da Pian Del Carpine, Marco Polo, Ibn Battuta, Bartolomeu Dias, Charles Darwin,

ma soprattutto donne per le quali le esperienze di viaggio erano malviste, sconsigliate se non addirittura proibite. «Se fossi in te, non ci andrei» dissero alcuni amici alla scrittrice ed etnologa inglese Mary Henrietta Kingsley prima d’intraprendere, alla fine del 1894, un lungo viaggio attraverso Sierra Leone, Nigeria, Guinea Equatoriale e Congo Francese (attuale Gabon). L’incontro con la tribù Fang fu per Mary Henrietta l’occasione per tentare di abbattere, penna su carta, gli imperanti pregiudizi: «Tra me e i Fang è sorta subito una specie di amicizia. Riconosciamo entrambi di appartenere alla stessa famiglia della razza umana con cui è meglio bere insieme che combattere».

STORIA ORIENTALE

STORIE DI GIOCATTOLI MAI DIMENTICATI NEL 1871 il francese Alphonse Pénaud realizzò un

modellino di aereo chiamato Planophore che si librò in un volo di cinquanta metri nel giardino delle Tuileres a Parigi. Non riuscì mai a costruire un vero velivolo ma i suoi modelli furono venduti come giocattoli. Nel 1878 il vescovo evangelista Milton Wright ne portò uno ai figli, che se ne appassionarono così tanto da promettere che un giorno ne avrebbero costruito uno. Il 17 dicembre 1903 il Flyer dei fratelli Wright fu il primo aereo a portare un uomo in volo. Andrea Angiolino racconta le origini di automobiline, altalene, barchette, aquiloni e bambole, giocattoli “eterni”, cioè mai del tutto accantonati. Andrea Angiolino, Alessandro Sanna (disegni)

STORIE DI GIOCATTOLI Gallucci 2019; 163 pp.; 14,90 ¤

Isabella Doniselli Eramo

IL DRAGO IN CINA Luni Editrice 2019; 63 pp.; 17 ¤

cinese, l’ibrida creatura del drago (long) è legata ai miti della nascita del mondo e aiuta il primo essere vivente, Pangu, a scindere dal caos primordiale i principi universali di yin e yang, dando origine a NELLA MITOLOGIA

cielo e terra. Nelle credenze locali, il drago rappresenta un essere benevolo che, con l’arrivo dell’equinozio di primavera, si sveglia dal lungo letargo trascorso sotto terra. Oltre al tuono, il suo risveglio provoca forti scariche di pioggia, benefica per l’agricoltura. Nel tracciare l’evoluzione storica dell’icona del drago in Cina, la sinologa Isabella Doniselli Eramo risale sino alla cultura di Yangshao (circa 5000 a.C.), nella quale alcune decorazioni su terracotta hanno come soggetto «una sorta di serpente con grossa testa e un accenno di zampe e di cresta». Nell’arte della dinastia Han, il drago si fonde poi con la fenice in un unico essere (fenghuang) simbolo di regalità.

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STORIA ECONOMICA

Proteggersi dai rischi del mare

L

andar per mare” per giorni e giorni, con un prezioso carico da difendere dalle tempeste o dalle incursioni di pirati e corsari (tutti fattori in grado di determinare l’affondamento della nave) si trova all’origine del fenomeno assicurativo. La prima polizza conosciuta in Italia, stilata da un notaio genovese il 18 febbraio del 1343 e oggi custodita dall’Archivio di stato di Genova, è espressione di una società in cui il ceto mercantile, spintosi fino all’Estremo Oriente, cercava di proteggere i preziosi carichi e le imbarcazioni dai rischi dell’infido mare. Con la stipula di un contratto assicurativo (polizza), un mercante (l’assicurato) si affidava ad altri mercanti (assicuratori) che si assumevano l’impegno a risarcire dietro un compenso anti-

MANIFESTO di L. Edel per la Cassa mutua cooperativa

italiana per le pensioni, Torino, 1895.

cipato (oggi chiamato “premio”) l’eventuale danno economico. Teologi e canonisti del trecento e quattrocento si divisero sulla moralità di tale contratto: se il tedesco Konrad Sum-

menhart lo considerava moralmente lecito, san Bernardino da Siena arrivò a paragonare l’aleatorietà del contratto assicurativo alla scommessa, quest’ultima condannata dalla Chiesa. La

mostra, curata da Marina Bonomelli e Claudia Di Battista, intende ripercorrere le tappe fondamentali del fenomeno assicurativo dal Medioevo a oggi attraverso quaranta testi antichi, ventisei polizze assicurative stipulate a partire dalla metà del trecento, novantaquattro manifesti di compagnie e centoventi targhe incendio, prodotti tra ottocento e novecento. I materiali, provenienti dalla Fondazione Mansutti di Milano, illustrano anche l’evoluzione della grafica pubblicitaria assicurativa. Tra la cartellonistica in mostra si trova anche un raro manifesto pubblicitario firmato dall’artista Umberto Boccioni. OND’EVITAR TEGOLE IN TESTA! Fino al 15 gennaio 2020 APE Parma Museo www.apeparmamuseo.it

ARCHEOLOGIA

I reperti della regale Napata

I TERRACOTTA

architettonica con immagine dionisiaca.

reperti provenienti dall’area archeologica del Jebel Barkal, uno dei siti più importanti del Sudan, che testimoniano lo sviluppo della città regale di Napata intorno al I secolo d.C., lasciano il Paese africano per la prima volta. Saranno esposti a Roma nel Museo Barracco, che già possiede una ricca collezione di antichità del Vicino Oriente. La mostra,

curata da Emanuele M. Ciampini, intende fare il punto sulla missione archeologica italiana in Sudan iniziata nel 1973 da Sergio Donadoni, e illustrare l’ampia area cerimoniale risalente all’epoca del sovrano meroitico Natakamani (I sec. d.C.). Nel vasto spazio dominato da un palazzo regale e da varie strutture collegate sono stati rinvenuti molti reperti raffigu-

ranti animali come il leone, associato al dio creatore Apedamak, guardiano e protettore della “montagna pura” di Jebel Barkal. IL LEONE E LA MONTAGNA Scavi italiani in Sudan Fino al 19 gennaio 2020 Museo di scultura antica Giovanni Barracco, Roma www.museobarracco.it

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GRANDI SCOPERTE

Il tesoro della dea gatta di Bubasti Nel 1906 fu trovato uno splendido corredo di oggetti d’oro e argento vicino al tempio di Bubasti, scavato da Édouard Naville nel 1887

MAR MEDITERRANEO

BU BA ST I

Tesori di Bubasti

EGITTO

nata in un passaggio del Libro di Ezechiele in cui il profeta biblico formula un vaticinio riguardante l’Egitto: «I giovani di Eliòpoli e di Bubasti cadranno di spada e queste città andranno in schiavitù». Per molto tempo Bubasti fu famosa per le sue feste religiose, come testimonia Erodoto, che visitò l’Egitto a metà del quinto secolo a.C. Lo storico greco menziona la solenne ricorrenza che si celebrava in città in onore della dea gatta Bastet – da cui proviene il nome Bubasti, in egizio Pubastit, “la casa di

1882

MARY EVANS / SCA

LA , FIRE

NZE

L’egittologo svizzero Édouard Naville si reca in Egitto per effettuare degli scavi a Bubasti.

Bastet” –, ricordando che in quest’occasione si consumava più vino che durante tutto il resto dell’anno. Migliaia e migliaia di fedeli della dea si recavano annualmente in pellegrinaggio al tempio cittadino, di cui nei suoi scritti Erodoto offre una descrizione dettagliata.

I primi scavi Benché in epoca bizantina fosse stata sede di una diocesi, Bubasti fu abbandonata sotto il dominio arabo, e la sua stessa posizione geografica cadde nell’oblio. Alla fine del diciottesimo secolo Étienne-Louis Malus, uno dei “saggi” che parteciparono alla spedizione napoleonica in Egitto, notò le rovine di una località chiamata in arabo Tell Basta. Nel suo rapporto, Malus sottolineava la presenza di elaborate sculture, edifici ricoperti di ge-

1887

Naville si stabilisce a Bubasti e inizia i lavori. Scopre i resti del tempio della dea Bastet.

VASO

ARALDO DE LUCA

S

ituata nella parte orientale del delta del Nilo, la città di Bubasti ebbe un ruolo di primo piano nella storia dell’antico Egitto. Capitale del diciottesimo nomo – o provincia, del Basso Egitto – ebbe il suo periodo di maggior splendore nel Terzo periodo intermedio, precisamente sotto il regno della ventiduesima dinastia. Si trattava di una stirpe faraonica originaria della stessa Bubasti e discendente da una delle tribù libiche che avevano pacificamente occupato il delta ai tempi di Ramses terzo (1184-1153 a.C. circa). La città è menzio-

d’argento con bordo e manico d’oro a forma di capra, scoperto durante i primi scavi a Bubasti. Museo egizio, Il Cairo.

roglifici e numerosi blocchi di granito di grandi dimensioni sparsi al suolo, di cui disegnò anche qualche schizzo. Anni dopo, attorno al 1840, giunse a Bubasti l’esploratore inglese sir Gardner Wilkin-

22-09-1906

Durante la costruzione di una ferrovia viene trovato un tesoro di pezzi d’oro e d’argento.

17-10-1906

Pochi giorni dopo, emerge un tesoro ancora più ricco di gioielli e altri oggetti in oro e argento.

BASTET. STATUA DI BRONZO DELLA DEA GATTA. PERIODO TARDO. 124 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GLI SCAVI SULLA STAMPA la rivista londinese The Illustrated London News pubblicò un ampio reportage sull’inizio degli scavi di Édouard Naville a Bubasti e la scoperta del tempio di Bastet: «Alla fine della prima settimana era ormai chiaro che ci trovavamo di fronte all’intero tempio, distrutto, in rovina, ammassato blocco su blocco in un disordine inimmaginabile; sepolto lì, nel luogo stesso dov’era crollato».

BRIDGEMAN / ACI

IL 17 SETTEMBRE 1887

son, che s’interessò alle colonne a forma di loto e di palma del tempio di Bastet e decifrò i nomi di alcuni faraoni incisi sui monumenti. I primi scavi archeologici furono realizzati dall’egittologo svizzero Édouard Naville, che visitò per la prima volta Tell Basta nel 1882 e vi si stabilì cinque anni più tardi per scavare il famoso santuario della dea Bastet descritto da Erodoto e studiarne la cronologia. Oggi sappiamo che fu costruito du-

rante l’Antico regno – sono state trovate infatti delle iscrizioni con il nome del faraone Pepi primo, della sesta dinastia (2200 a.C. circa) – e che fu rifondato in epoche successive. Il vestibolo, la sala ipostila e un’immensa porta di granito furono probabilmente opera di Osorkon secondo, della ventiduesima dinastia (874 a.C. circa). Contemporaneamente fu scoperta una grande necropoli che ospitava centinaia di migliaia di gatti imbalsama-

ti, strettamente connessa al tempio di Bastet. I fedeli che si recavano in pellegrinaggio al santuario onoravano la dea offrendole un esemplare mummificato del suo animale sacro.

Gioielli tra le rovine Alcuni anni più tardi, durante la costruzione di una ferrovia, nei pressi di Tell Basta fu realizzata una scoperta che suscitò scalpore: un grande tesoro di gioielli e recipienti d’oro e d’argento che fu

rinvenuto ad appena centosessanta metri dall’antico tempio di Bastet. Si trattò in realtà di due ritrovamenti distinti. Il primo ebbe luogo il 22 settembre 1906 e fu annunciato da Gaston Maspero, che all’epoca era direttore generale del Servizio reperti archeologici d’Egitto. Tra gli oggetti rinvenuti si trovava una coppa d’oro a forma di fiore di loto aperto, con dei petali incisi sulla superficie e un cartiglio con il nome della regina TauseSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Offerte a Bastet TUTTI QUESTI OGGETTI, rinvenuti sotto il tempio di Bastet a

Bubasti, testimoniano l’abilità degli orafi dell’epoca. Si tratta di doni votivi offerti alla dea felina per ottenerne il favore. Quelli mostrati in questa pagina sono conservati presso il Museo egizio del Cairo e il Metropolitan Museum di New York.

1.

Collo di un recipiente d’oro decorato con la raffigurazione della dea vacca Hathor, affiancata da due felini. XIX dinastia.

2.

Recipiente d’oro a collo alto decorato con tre fasce orizzontali. Sul corpo sono incisi una ghirlanda di fiori di loto e degli uccelli con le ali spiegate.

Bracciali d’oro sbalzato e lapislazzuli con decorazioni a forma di anatra e iscrizioni del cartiglio di Ramses II. 4.

Coppa d’oro con dei petali incisi sulla superficie e all’interno un cartiglio con il nome della regina Tauseret.

5.

3.

Patera d’argento risalente al regno di Ramses II con scene di vita sulle sponde del Nilo: pascolo, raccolta di frutta e papiri.

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VIALE COLONNATO del grande tempio di

1. METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE. 2., 3. E 4. ARALDO DE LUCA. 5. METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

JIM HENDERSON / ALAMY / ACI

Bastet a Bubasti. Il sito si trova nell’attuale città di Zagazig, situata sul delta del Nilo.

ret all’interno. Considerato un simbolo di eterna rinascita, il fiore di loto era spesso usato come modello per la fabbricazione di coppe. In questo caso l’oggetto formava parte delle offerte votive del tempio dedicato alla dea Bastet. C’erano inoltre due vasi d’argento con bordo e manico d’oro a forma di capra, un’incisione con il nome di Atumemtaneb e le rispettive iscrizioni «Per il primo coppiere reale» e «Inviato a tutti i Paesi stranieri». Quel che più sorprende di questi oggetti sono i materiali con cui furono fabbricati. L’oro e l’argento

erano generalmente usati per la produzione di pezzi di piccole dimensioni. Ciononostante a Tell Basta abbondano i vasi, le coppe e le patere d’oro e argento.

Un nuovo tesoro Il secondo ritrovamento si verificò a metà ottobre del 1906 e fu per gli studiosi più importante del primo, in quanto il numero di oggetti scoperti era molto maggiore. Tra i tanti gioielli rinvenuti spiccano due bracciali in oro formati da due semicerchi collegati da un cardine e un fermaglio, con una ricca decorazione a granuli

consistente in una serie di di Berlino e il Metropolitan motivi geometrici. La parte Museum di New York – la superiore dei bracciali è or- collezione continua a genenata con il rilievo delle teste rare controversie tra gli esperdi due anatre dal collo ripie- ti a causa della possibile origato, connesse a un unico gine asiatica di alcuni pezzi, corpo realizzato in lapislaz- chiaramente di stile levanzuli. Le code degli animali tino. Non va dimenticato, sono invece decorate con infatti, che la città di Bubasti piccoli granuli d’oro. Su que- sorgeva in una zona stratesti pezzi è inciso il cartiglio gica che permetteva di concon il nome di Ramses se- trollare le rotte commerciacondo. Probabilmente fu lo li verso le coste orientali del stesso faraone a offrire in Mediterraneo. dono i braccialetti alla dea —Irene Cordón i Solà-Sagalés gatta Bastet. A parte l’interesse intrinPer saperne di più seco del tesoro – oggi riparTESTI Storie tito tra il Museo egizio del Erodoto. BUR, Milano, 2017. Cairo, l’Ägyptisches Museum STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI ENIGMI UN PRESUNTO

“missionario cristiano” si spinge oltre il limite della terra, rappresentata come una superficie piatta ricoperta dalla volta celeste. Incisione del 1888.

La terra piatta e il mito dell’oscuro Medioevo

A

ll’epoca di Colombo la gente pensava che la terra fosse piatta e che l’oceano Atlantico fosse abitato da mostri tanto grandi da divorare una nave intera. Colombo dovette combattere queste credenze, era sicuro che la terra fosse una sfera». Tali parole sono riportate in un libro statunitense per bambini del 1919, ma non corrispondono alla verità. L’intera idea secondo cui nel Medioevo la gente riteneva che la terra fosse piatta, sebbene molto diffusa, è falsa. È un’invenzione nata nel settecento per dimostrare come quello fosse un

periodo buio riscattato dai Lumi. Tuttavia, tale opinione si propagò nel diciannovesimo secolo grazie a un romanziere e a chi prese per ricerca storica il suo lavoro.

I greci lo sapevano La prima nozione scientifica di sfericità della terra si deve ai greci. Nel quarto secolo a.C. Aristotele ridicolizzava l’idea di una terra piatta basandosi su prove empiriche, come il fatto che il firmamento cambiasse e nuove stelle apparissero a mano a mano che l’uomo viaggiava. Nel terzo secolo a.C. Eratostene arrivò persino a misurarne la circonferenza, e i più grandi scrittori cristiani che vennero dopo di

lui partivano da questo dato appurato, cioè che la terra fosse una sfera. Lo conferma anche Dante quando scende nelle profondità dell’inferno ed esce dall’altra parte, dove le stelle sono sconosciute: l’autore della Commedia è consapevole della rotondità della terra, e non commenta il fenomeno perché dà per scontato che il lettore lo sappia. Dall’inizio alla fine del Medioevo la terra era rotonda, non c’erano dubbi: lo dicevano Tolomeo e Aristotele, che erano le autorità per descrivere il mondo naturale, così come Beda il Venerabile, Isidoro di Siviglia e Tommaso d’Aquino, i quali con i loro scritti davano

L’ASSURDO DI LATTANZIO NICCOLÒ COPERNICO scrisse:

COPERNICO. RITRATTO. LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI

«È ben noto, infatti, che Lattanzio, scrittore peraltro famoso, ma scadente matematico, parlò in modo del tutto puerile della forma della terra, deridendo coloro che avevano rivelato che la terra ha forma di globo». Non intendeva che nella sua epoca nessuno credesse alla terra piatta, bensì che chi respingeva la teoria eliocentrica era reazionario come Lattanzio.

SCIENCE SOURCE / ALBUM

Nel XIX secolo s’iniziò ad affermare che la cristianità medievale avesse idee antiscientifiche come quella della terra piatta

forma alla cristianità. Il primo a sostenere che nel Medioevo si credesse alla terra piatta fu Washington Irving, il quale scrisse una biografia romanzata di Cristoforo Colombo, pubblicata nel 1828. In quest’opera il marinaio genovese voleva presentare il progetto di raggiungere le Indie viaggiando verso ovest ma aveva incontrato l’enorme resistenza della commissione spagnola, che sollevava obiezioni teologiche. «L’idea di fondo di Colombo, cioè la

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PIATTA E QUADRATA

fra l’Europa e l’Asia si frapponesse il continente americano. In nessun momento basarono la loro opposizione al viaggio sulla Bibbia. Drammatizzando in maniera avvincente l’avventura della scoperta dell’America, il libro di Irving aveva avuto un enorme successo e, sebbene mancasse di rigore storico, gli fruttò onori e dottorati nelle università, dove il suo lavoro fu incorporato negli studi su Colombo. Successivamente lo

GETTY IMAGES

forma sferica della terra, era messa a tacere basandosi su passaggi delle Sacre Scritture che sottintendevano che fosse piatta», scrive Irving. In realtà gli spagnoli sapevano bene che era sferica, e ne conoscevano approssimativamente le dimensioni, ma giudicavano le Indie troppo lontane per caricare provviste sufficienti per il viaggio, che non avrebbe avuto tappe intermedie. In effetti, e qui arriva la scoperta (casuale) di Colombo, ignoravano che

LA VISIONE DELLA TERRA di Cosma Indicopleuste si basava su un’interpretazione letterale di alcuni passaggi della Bibbia, come questo dell’Apocalisse: «Vidi quattro angeli che stavano in piedi ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti della terra». Così venne rappresentata la terra nella cartina sotto queste righe.

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GRANDI ENIGMI

CRISTOFORO COLOMBO

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davanti ai membri della commissione di Salamanca nel 1486. Incisione del XX secolo.

stesso Irving aveva cercato di abbassare i toni della polemica e aveva dichiarato che i sostenitori della terra piatta all’interno della com-

missione spagnola erano una minoranza. Tuttavia quel dettaglio presentava un fascino irresistibile.

Tra scienza e religione Erano gli anni in cui il darwinismo stava mettendo sottosopra la rigidità della concezione cristiana della natura, e si sfruttò l’occasione per dimostrare che

nel passato la Chiesa si era clamorosamente sbagliata e che rimaneva un ostacolo al progresso e alla conoscenza. In tale contesto la versione di Irving venne ripresa e ampliata da due autori che ebbero grande risonanza alla fine del diciannovesimo secolo: lo scrittore Andrew Dickson White e il chimico John William Draper. Nel

Lo scopo di Draper e White era dimostrare che la Chiesa negava le evidenze scientifiche WASHINGTON IRVING (1783-1859). RITRATTO.

suo History of the Conflict between Religion and Science (La storia del conflitto fra la religione e la scienza, 1875) Draper dichiarò: «La grande questione della forma terrestre venne decisa da tre navigatori: Colombo, da Gama e Magellano». Nel 1894 White andava oltre sostenendo: «Persino dopo che il viaggio di Colombo aveva rafforzato l’idea della sfericità della terra, la Chiesa era ancora convinta che la terra era un disco piatto». I due rispolverarono dall’oblio antichi testi di cosmologia cristiana che avevano proposto tale visione della

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MAPPA DELLA TERRA disegnata nel 1893 da Orlando Ferguson, uno sviluppatore immobiliare statunitense che cercava di conciliare la presunta teoria biblica della terra piatta e quadrata con la scienza moderna.

terra. Tra questi i testi di Lattanzio, che inorridiva all’idea dell’esistenza degli antipodi deserti perché tutto il mondo doveva essere animato dalla credenza in Dio, e quelli di Cosma Indicopleuste, secondo il quale la terra non solo era piatta, ma aveva la forma rettangolare del tabernacolo di Mosè.

Una storia ghiotta Nella ricostruzione di Draper e White, Lattanzio e Cosma diventarono i pensatori più influenti del loro tempo e le loro idee rappresentative del Medioevo. Lo scopo era semplice: argomentare che

anche allora la Chiesa negava evidenze scientifiche in nome dei dogmi della religione. Tra l’altro, White era anche presidente di un’università, la Cornell, e si assicurò che questa versione fosse inserita nei testi scientifici e si propagasse accademicamente. In realtà, sebbene le teorie di Cosma siano state fonte d’ispirazione per alcune figurazioni cartografiche successive, non furono la referenza principale del Medioevo, come invece Tolomeo o Aristotele. Tra l’altro, Cosma scriveva in greco, una lingua poco conosciuta dagli studiosi me-

dioevali europei, ed era stato tradotto in latino solo nel settecento. S’ignora se più o meno consapevolmente White e Draper ignorarono la contraddizione intrinseca nel più famoso caso di conflitto fra scienza e religione: il processo a Galileo. Lo scienziato pisano era accusato di eresia per aver negato il sistema tolemaico, cioè la visione ufficiale della Chiesa, secondo la quale la terra è, appunto, una sfera circondata dagli altri corpi celesti, sfere anch’essi. La polemica che sconvolse la vita di Galileo non riguardava la forma del

pianeta, bensì la circostanza che fosse il sole a girare attorno alla terra o viceversa. Ormai il danno era fatto. La credenza, o meglio la diceria, che il Medioevo vivesse in una terra piatta era una storia ghiotta, che si radicò nell’immaginario popolare come l’ennesima prova dell’oscurantismo dell’“età di mezzo”. A torto: nel Medioevo la terra era rotonda. —Giorgio Pirazzini Per saperne di più Scienza e religione Bertrand Russell. TEA, Milano, 2014.

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LA CACCIA ALLE

STREGHE

IN SCOZIA

Tra il XVI e il XVII secolo si scatenarono diverse ondate persecutorie contro persone accusate di praticare la stregoneria. Quasi sempre le vittime erano donne a cui si facevano confessare delitti immaginari tramite la tortura

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CASTELLO DI TANTALLON

Quest’imponente fortificazione, eretta verso il 1350, fu il rifugio di Maria Stuarda. Si trova a cinque chilometri sud-est di North Berwick, in Scozia, luogo dove nel 1590 si scatenò una delle prime ondate repressive, in seguito alla quale furono accusate più di cento persone. KEVIN AINSLIE / GETTY IMAGES STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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C R O N O LO G I A

La Scozia vittima di sortilegi 1563

Poco dopo la Riforma protestante, il parlamento scozzese approva la legge contro la stregoneria. Iniziano i processi.

1590-1591

Prima ondata della caccia alle streghe, originata in parte da una presunta cospirazione contro il re Giacomo VI.

1597

Nuovo momento di persecuzione: si parla di un’altra cospirazione contro il re Giacomo VI, che pubblica Daemonologie.

1628-1631

Terza ondata repressiva, in un periodo in cui la caccia alle streghe si estende per tutta Europa, durante la Guerra dei trent’Anni.

1649-1650

Durante il nuovo governo, più religioso, e in un’epoca di rivoluzione e guerra civile, continuano le persecuzioni.

ANNA DI DANIMARCA

Ritratto della moglie di Giacomo VI di Scozia. Marcus Gheeraerts. 1614. Holyroodhouse, Edimburgo.

La stregoneria continua a essere combattuta durante il nuovo governo di Carlo II, dopo la restaurazione della monarchia.

1736

Nove anni dopo l’ultima condanna a morte, il parlamento britannico abolisce la legge contro la stregoneria del 1563. BRIDGEMAN / ACI

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1661-1662

A

lla fine del cinquecento gli scozzesi credevano che il demonio si aggirasse nel loro Paese. A quel tempo era comune sentir parlare del suo potere di causare tempeste, uccidere il bestiame e diffondere malattie mortali. Satana voleva distruggere la società dal suo interno e reclutava quindi degli intermediari, degli agenti diabolici: le streghe. Ben presto le autorità si convinsero di doverle estirpare per il bene del regno. La Scozia non fu l’unica vittima delle ondate d’isteria di massa contro la stregoneria che flagellarono la fine del sedicesimo e la prima metà del diciassettesimo secolo. Da quando nel quattrocento si era imposta l’idea secondo cui le streghe adoravano il diavolo, la caccia si era estesa a macchia d’olio: tra le altre l’Italia, la Svizzera, la Germania e la

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LA CITTÀ DI EDIMBURGO

Le falesie di Salisbury, a Holyrood Park, incorniciano il panorama della città di Edimburgo, sullo sfondo. Da qui si può vedere Dalkeith, dove secondo un viaggiatore inglese dell’epoca «bruciavano tutte le streghe».

Le fasi della repressione

menti di caccia alle streghe: 1590-1591, 1597, 1628-1631, 1649-1650 e 1661-1662. Circa duemilacinquecento streghe vennero uccise e, se confrontiamo questa cifra con quella di circa un milione di persone che costituiva il totale della popolazione, ne risulta un numero cinque volte più alto rispetto alla media europea. La prima di queste ondate cominciò nel 1590, quando Geillis Duncan, una donna di un villaggio a est di Edimburgo, attirò dei sospetti per i suoi presunti poteri curativi. Sottoposta a tortura, rivelò i nomi delle sue “complici”. Successivamente ritrattò, ma ormai la notizia si era diffusa. L’anno seguente una delle accusate, Agnes Sampson, dichiarò che la notte di Ognissanti del 1590, nella chiesa di North Berwick, una cittadina costiera vicina a Edimburgo, si

STREGA VOLANTE

L’incisione qui sotto proviene dalle Cronache di Norimberga, del 1493, e mostra il diavolo e una strega a dorso di un cavallo.

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A quei tempi la Scozia era un regno indipendente. Anche se dal 1603 condivideva il monarca con l’Inghilterra, solo nel 1707 si unì a quest’ultima per costituire il Regno Unito della Gran Bretagna. Nel 1560 il parlamento scozzese adottò il protestantesimo e tre anni più tardi approvò una legge in base alla quale la stregoneria sarebbe stata punita con la pena di morte. Le persecuzioni massicce sarebbero iniziate soltanto alla fine del secolo, ma già da allora si scatenò la repressione. Tra il 1590 e il 1662 in tutta la Scozia si registrarono cinque efferati mo-

GIACOMO VI. RITRATTO ATTRIBUITO A JOHN DE CRITZ IL VECCHIO. DULWICH PICTURE GALLERY, LONDRA.

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Scandinavia videro nascere processi e roghi. L’espansione del protestantesimo dagli inizi del XVI secolo non cambiò la situazione perché i protestanti perseguitarono le streghe con lo stesso fervore dei cattolici. I governanti volevano dimostrare la loro devozione a Dio e pensavano che sommosse e tumulti fossero ispirati dal diavolo. La Scozia è un chiaro esempio di tale fenomeno.

IL RE GIACOMO VI di Scozia salì al trono nel 1567, a poco più di un anno, dopo l’abdicazione della madre Maria I di Scozia. Giacomo fu cresciuto nel protestantesimo e ricevette un’educazione raffinata: imparò il greco, il latino e il francese e studiò i migliori autori dell’antichità e della tradizione cristiana. Ormai adulto, si sentì autorizzato a scrivere trattati su tematiche quali il diritto divino dei re – due opere pubblicate nel 1598 e nel 1599 – e la stregoneria. Inoltre patrocinò una celebre traduzione inglese della Bibbia.

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IL RE SCIENZIATO

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LA SCIENZA DEI DEMONI

Nel 1597 il re scrisse Daemonologie (sotto). Quando Giacomo salì al trono inglese, nel 1603, il libro venne ripubblicato in Inghilterra. BRITISH LIBRARY / ALBUM

a morte non è certo, ne furono sicuramente coinvolte più di un centinaio. Nel 1597 si scatenò un’altra ondata repressiva. Si disse nuovamente che le streghe cospirassero contro Giacomo. Margaret Aitken, la cosiddetta “grande strega di Balwearie”, affermava di possedere un potere speciale per riconoscere altre fattucchiere. Molte di loro furono condannate a morte dopo una segnalazione di Aitken, ma all’improvviso si scoprì che questa era un’impostora, circostanza che mise in cattiva luce i cacciatori di streghe. In parte come risposta a un simile fiasco, lo stesso anno Giacomo VI pubblicò Daemonologie (Demonologia), un trattato sulla stregoneria. Al suo interno il monarca spiegava che il diavolo era a capo degli angeli caduti i quali, divenuti demoni, stringevano patti con la gente e le concedevano dei poteri per praticare magie maligne. Secondo il libro di Giacomo la stregoneria era una cospirazione segreta tra uomini

LOREM IPSUM

erano riunite duecento streghe. Erano giunte volando su setacci e lì avevano incontrato il diavolo, di cui avevano ascoltato i discorsi. Egli le aveva spinte a pianificare la morte del re di Scozia, Giacomo VI. In occasione del matrimonio con la principessa danese Anna, il sovrano avrebbe dovuto compiere un viaggio in mare tra la Scozia e la Danimarca – viaggio che, in effetti, avrebbe poi incontrato parecchi ostacoli metereologici. Sampson disse che alcune streghe erano accorse perfino dalla Danimarca. Dopo aver appreso tali dichiarazioni, il re e i suoi consiglieri si convinsero che il regno era minacciato da una cospirazione di streghe. Per Giacomo la questione aveva un lato lusinghiero perché, a quanto sembrava, il diavolo lo aveva indicato quale suo peggior nemico al mondo. Geillis Duncan e Agnes Sampson furono due tra le donne giustiziate durante il “panico di North Berwick”. Anche se il numero totale di persone condannate 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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HOLYROOD PALACE

L’edificio, fondato come monastero nel XII secolo, fu la residenza ufficiale dei re di Scozia per secoli. Tuttavia, dopo l’incoronazione di Giacomo VI come re d’Inghilterra, avvenuta nel 1603, il palazzo smise di essere la sede della corte.

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FOCOLAI DI STREGONERIA

e diavoli, disposti a tutto il male possibile. L’unica speranza dei fedeli davanti a tale complotto era quella di rivolgersi a Dio e ai poteri divini di sovrani come Giacomo. Più della metà delle cacce alle streghe in Scozia si sviluppò in brevi ondate su scala nazionale. Dopo le due appena descritte, la successiva avvenne nel 1629 e giunse probabilmente in Scozia dalla Germania, Paese che raggiunse l’apice della persecuzione alla fine degli anni venti del seicento, in piena Guerra dei trent’anni. Nel 1629 un inglese diretto a Edimburgo, Christopher Lowther, salì sulle falesie di Salisbury, vicino alla città, e da lì contemplò Dalkeith, «il villaggio dove bruciano tutte le streghe», a quanto disse. In effetti nella cittadina si contarono quattordici casi di stregoneria nel 1628 e diciannove nel 1629. Al di là di questi momenti particolari d’insorgenza del fenomeno, casi individuali si succedevano di continuo. In genere la persecuzione aveva inizio nei concistori della Chiesa di Scozia, cioè le assemblee parrocchiali della comunità pro-

Glasgow Edimburgo

Londra

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GLI STUDI sulla distribuzione geografica della stregoneria indicano che il fenomeno non era legato alle aree più arretrate e remote del Paese come si pensava. Il sud della Scozia, attorno a Edimburgo, la zona più prospera del Paese, fu la regione maggiormente colpita dalle varie ondate repressive che si succedettero nel XVI e nel XVII secolo. Nel nord e nell’ovest, invece, nelle più lontane e isolate regioni montuose delle Highlands, si registrarono molti meno casi di persecuzione. Secondo la storica Christina Larner tra il 1590 e il 1650 sarebbero state uccise circa 4.500 donne.

SCOZIA. DETTAGLIO DI UNA CARTINA DELLE ISOLE BRITANICHE DI GERARDUS MERCATOR.

testante. I loro membri, gli “anziani”, erano perlopiù proprietari terrieri locali, al gradino più basso dell’élite del potere.

Sesso e superstizione I concistori volevano rafforzare la disciplina religiosa dei loro fedeli, soprattutto nelle questioni a sfondo sessuale, e punivano severamente i molti adulteri e fornicatori. Quest’ossessione per i delitti sessuali si estendeva alle streghe, che erano spesso accusate di essersi congiunte carnalmente con il diavolo, crimine conosciuto come fornicazione satanica. I concistori non erano tribunali penali, per cui non potevano processare per stregoneria, mentre potevano arrestare e interrogare i sospettati, ottenere da loro delle confessioni e redigere i rapporti per i tribunali. In tali processi s’interpretavano come pratiche diaboliche anche certe forme di superstizione popolare che erano comuni nella vita delle piccole comunità locali dell’epoca. Per esempio una certa KatheriSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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La persecuzione scozzese narrata per vignette

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il pamphlet Newes from Scotland (Notizie dalla Scozia) del 1591 raccontò al pubblico inglese i principali episodi della caccia alle streghe di North Berwick, avvenuta nei mesi precedenti. Nei testi sono descritti i processi contro Geillis Duncan, Agnes Sampson e John Fian, accusati dalle autorità scozzesi di praticare la stregoneria. Il testo era accompagnato da diverse incisioni in legno che ritraevano scene di confessioni ottenute mediante tortura: 1 Una barca naufraga davanti alle coste scozzesi per colpa del maleficio scagliato dalle streghe. È una probabile allusione al maltempo che incontrarono il re e la regina mentre solcavano il mare del Nord, anche se in realtà nessuna imbarcazione naufragò. 2 A terra alcune streghe si riuniscono attorno a un calderone.

4 Un venditore ambulante s’imbatte in alcune streghe, che lo trasportano per magia in una cantina a Bordeaux. SOPRA, IL RE GIACOMO VI DI SCOZIA (SEDUTO, A DESTRA) SOVRINTENDE ALLA TORTURA DI STREGHE A EDIMBURGO. PARTICOLARE DI UN’INCISIONE IN LEGNO DEL PAMPHLET NEWES FROM SCOTLAND, DEL 1591.

BRIDGEMAN / ACI. COLORE: JOSÉ LUIS RODRÍGUEZ

3 Un altro gruppo ascolta il diavolo mentre John Fian, un maestro di scuola, prende appunti. Conosciuto anche come Cunningham, Fian sarebbe stato uno dei grandi protagonisti del processo alle streghe di North Berwick, durante il quale fu barbaramente torturato.

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LA SCOPERTA   DELLA   STREGONERIA,   DI SCOT Nel quale si dà prova del  fatto che le opinioni comuni su streghe che stringono  patti con Diavoli, Spiriti o  Famigliari, e il loro potere  per uccidere, tormentare  e consumare i corpi di uomini, donne e bambini o  altre creature tramite malattie e altri mezzi, i loro  voli in aria ecc. non sono  altro che visioni e notizie  fantastiche ed errate; in cui  s’individuano anche le pratiche oscene e anticristiane  dei cacciatori di streghe su  persone anziane, malinconiche, ignoranti e superstiziose alle quali strappano  confessioni con paure disumane e torture. [...] LONDRA,  Stampato da Richard Cotes.  1651

Le streghe: credere o non credere? NEL XVI E NEL XVII secolo non tutti cre-

devano che le streghe costituissero una reale minaccia per la società. Nel 1584, nel decennio che precede la prima ondata di caccia alle streghe, Reginald Scot scrisse The Discoverie of Witchcraft (La scoperta della stregoneria). Originario della contea di Kent, nel sud dell’Inghilterra, Scot so-

steneva che molte delle “prove” sulla stregoneria erano mere superstizioni incompatibili con la fede protestante. Riteneva pertanto innocenti tutte le persone accusate di stregoneria. Negava che il diavolo avesse il potere di agire sul mondo fisico e forniva spiegazioni naturali a fenomeni considerati fino ad allora sovrannaturali.

Secondo Scot le presunte streghe erano in realtà donne inoffensive. Nel 1597 Il re Giacomo VI pubblicò il trattato Daemonologie, in parte come risposta a Scot. Malgrado ciò, il testo di Scot continuò ad attrarre anche dopo, e ne sono una prova le successive pubblicazioni nel 1651 (sopra queste righe), nel 1654 e nel 1665.

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IL MARCHIO DEL DIAVOLO

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e donne sospettate di stregoneria erano inquisite da tribunali locali, anche se per il processo alcune venivano mandate a Edimburgo. Prima di questo si raccoglievano le prove. Alcune donne erano trafitte alla ricerca del “marchio del diavolo”, una lesione in teoria prodotta dal contatto con il “maligno” al momento del patto con la strega. Questi marchi potevano essere semplici cicatrici, nei, cisti o macchie sulla pelle. I cacciatori di streghe trafiggevano le donne con degli spilli perché credevano che quelle zone fossero insensibili al dolore: la pratica risultava coercitiva e umiliante, e di solito spingeva alla confessione. La ricerca del “marchio del diavolo” fu un sistema comune a molte culture europee. La praticarono pure i cacciatori di streghe di Salem, nel 1692, nella colonia della baia del Massachusetts.

ne Craigie, residente nelle isole Orcadi, nel nord del Paese, fu condannata nel 1640 per aver detto al vicino Robert Robson, che era malato: «Ho pregato perché ti ammalassi e vedo che la mia richiesta è stata esaudita». Nonostante tali parole, aveva poi acconsentito ad aiutarlo compiendo un rituale per scoprire «se quello che ti danneggia è uno spirito della montagna, della chiesa o delle acque»; aveva da lì capito che si trattava di uno spirito della chiesa. Gli inquisitori di Craigie interpretarono le sue parole come indizi di un patto con il diavolo, anche se lei le aveva pronunciate con intenzioni completamente diverse. Nel diciasettesimo secolo erano frequenti gli scongiuri a fini benevoli. A Prestonpans, vicino Edimburgo, in un momento non specificato d’inizio secolo Isobel Grierson aveva detto a Margaret Donaldson : «Che il fuoco dell’inferno si riversi su di te e che tu possa ardere tra le fiamme». Nelle successive nove settimane la destinataria della maledizione si ammalò. Più o meno nello stesso periodo,

ESAME DI UNA STREGA

Il quadro di T.H. Matteson, del 1853, ricostruisce un esame medico durante la caccia alle streghe di Salem, nel Massachussetts, episodio che ebbe eco in Scozia.

nella contea di Ayrshire, a sud di Glasgow, Patrick Lawrie aveva curato una bambina malata con rituali quali coprirle la faccia e farle sopra il segno della croce. Altri, invece, preferivano rivolgere maledizioni ai conoscenti con cui erano in contrasto. Sia Lawrie sia Grierson furono arsi vivi sul rogo con l’accusa di stregoneria. Anche se in genere le liti si risolvevano con la riconciliazione o il perdono, nessuno poi obiettava se le autorità si mostravano intolleranti nei confronti di tali scongiuri superstiziosi.

Le accusate Nella stragrande maggioranza dei casi erano le donne le più perseguitate. Le maledizioni femminili erano particolarmente temute e, se erano seguite da disgrazie, finivano per confermare la credenza popolare nella stregoneria. Oltre a ciò si registra inoltre la tendenza a enfatizzare i delitti commessi dalle donne e a combattere la loro presunta empietà. È significativo il fatto che, mentre esse erano spesso accusate di fornicare STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Un esaustivo registro di streghe

Il documento fu scritto da diverse persone ed è quindi difficile da decifrare. I nomi sono generalmente scritti in modo non uniforme.

names of the witches 1658 (Nomi di streghe 1658) era una lista accuratamente compilata di 114 persone accusate di stregoneria durante l’ondata repressiva scatenatasi quell’anno. Il manoscritto, appartenente alla Wellcome Library di Londra, è stato recentemente digitalizzato. La lista copre le contee del sud-ovest e del centro della Scozia. I casi sembrano essere stati riuniti perché venissero sottoposti a un tribunale regionale. Il documento si è usurato perché il messo ufficiale lo doveva portare di parrocchia in parrocchia al fine di costituire le giurie locali per gli imminenti processi. In alcuni villaggi il messo raccolse anche prove contro gli accusati. La lista è una delle molte fonti digitalizzate che rendono più facile lo studio della caccia alle streghe in Scozia. La pagina web dell’università di Edimburgo The Survey of Scottish Witchcraft (Lo studio sulla stregoneria scozzese, del quale l’autore di questo articolo è stato direttore) fornisce un ampio database con tutti i nomi finora noti di persone accusate di stregoneria.

con il diavolo, le accuse contro gli uomini non contemplavano in genere l’aspetto sessuale. La stregoneria maschile sembrava quindi una variante più leggera e meno grave rispetto a quella femminile. Facevano eccezione gli stregoni, che venivano considerati capi spirituali delle sette e che erano sempre maschi. Perché anche la stregoneria aveva un’organizzazione patriarcale. Ed erano le dichiarazioni delle stesse accusate ad avvalorare quasi l’esistenza delle streghe e di cospirazioni in grado di far tremare i monarchi. Eppure tali dichiarazioni erano, a conti fatti, il risultato della tortura. Durante le ondate di caccia alle streghe le sospettate venivano interrogate e obbligate a svelare i nomi dei complici, ovvero delle persone che partecipavano con loro

La lista è organizzata per villaggi. In questo (Alloa, nel Clackmannanshire) compaiono cinque nomi, di quattro donne e un uomo: Katherine Black, Elspeth Black, Barbara Erskine, Elizabeth Crockett e James Kirk. La lista conteneva annotazioni successive ai vari processi, tra cui i verdetti. Una donna, Margaret Harvie, venne “purificata”, ovvero assolta. La maggior parte dei processi per stregoneria si concludeva con una condanna a morte, ma non tutti finivano in quel modo.

DIVORATA DALLE FIAMME

Bruciare vive le streghe (sotto) era una pratica comune in Germania e in altre regioni europee, mentre in Scozia le condannate venivano strangolate prima che ne venissero arsi i corpi. AKG / ALBUM

alle riunioni collettive con il diavolo, i sabba. Il più frequente metodo di tortura era la privazione del sonno. Dopo tre giorni senza dormire, non solamente si perde la capacità di controbattere agli interrogatori, ma s’inizia pure a soffrire di allucinazioni. Non è strano quindi che molte confessioni includessero dettagli bizzarri come metamorfosi animali, voli in sella a fascine di paglia e setacci. Per esempio il tribunale che nel 1644 a Lanark giudicò Margaret Watson dichiarò: «Avete confessato la vostra partecipazione a diverse riunioni con il diavolo assieme ad altre streghe; che voi e le altre streghe diseppelliste corpi di persone defunte a cui amputaste membri al fine di realizzare i vostri diabolici piani; che Mallie Paterson cavalcò un gatto,

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VISTA ATTUALE DEL PORTO NEL VILLAGGIO DI PESCATORI DI PITTENWEEM.

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L’ULTIMO LINCIAGGIO

Janet Lockie un gallo, vostra zia Margaret Watson uno spino, che voi stessa cavalcaste un mucchio di paglia e che Jean Lachlan cavalcò un vecchio albero». Non sono queste le confessioni sobrie di un gruppo vero e organizzato, bensì fantasie concepite da persone confuse, angustiate e in preda al panico, che disperatamente cercavano di fornire risposte in grado di soddisfare gli inquirenti.

L’era dello scetticismo Sfortunatamente per le accusate, le confessioni alla fine confermavano che il diavolo e i suoi agenti compivano razzie in giro per il mondo. Quanto più le streghe ammettevano di giungere ai sabba volando, tanto più i loro cacciatori si mostravano decisi a liberare la patria da simili abomini. Ciononostante, nell’ultimo terzo del diciasettesimo secolo in Scozia lo spettro della stregoneria iniziò a svanire. Le denunce e i processi proseguirono, però i giudici e gli avvocati mettevano sempre più in dubbio la ve-

NEL 1705, nel piccolo villaggio di pescatori di Pittenweem ebbe luogo l’ultimo e documentato episodio di caccia alle streghe. L’anno prima un fabbro apprendista soffrì di convulsioni e accusò sei donne e un uomo. Almeno quattro di loro furono arrestati e torturati. Alla fine l’uomo morì e le donne dovettero essere liberate, ma la folla ne linciò una.

ridicità dei presunti patti con il diavolo. Da un lato a fine seicento il pluralismo religioso era diventato più accettato. Dall’altro, si erano affermate nuove idee scientifiche che facevano sembrare per lo meno discutibile qualunque certezza dogmatica rispetto alla stregoneria. Dopo il 1662 non vi furono più azioni repressive di ampia portata. L’ultima condanna a morte ebbe luogo nel 1727, e nove anni più tardi il parlamento britannico abolì la legge sulla stregoneria del 1563, che aveva giustificato la persecuzione di migliaia di persone, torturate e giustiziate in nome della lotta contro il demonio. JULIAN GOODARE PROFESSORE DI STORIA PRESSO THE UNIVERSITY OF EDINBURGH

Per saperne di più

SAGGI

Streghe Mona Chollet. UTET, Milano, 2019. Calibano e la strega Silvia Federici. Mimesis, Sesto San Giovanni, 2015. TESTI

La chimera Sebastiano Vassalli. BUR, Milano, 2015.

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MACBETH E LE STREGHE acbeth, la celebre tragedia di William Shakespeare, presenta tre figure fantastiche che svolgono un ruolo fondamentale nella trama: le streghe annunciano al nobile scozzese Macbeth «sarai re», dopodiché questi elimina il re Duncan e sale al trono. Pur di rimanervi, compie altri assassini. Distrutto dall’ambizione, Macbeth perderà la moglie, gli amici, la reputazione e la corona, e verrà alla fine ucciso. SHAKESPEARE scrisse la tragedia nel 1606, tre

anni dopo l’ascesa di Giacomo al trono d’Inghilterra. A volte si è detto che il dettaglio delle streghe potesse essere stato ispirato dagli eventi scozzesi degli anni novanta del XVI secolo e che Shakespeare avesse potuto leggere il trattato sulle streghe del re Giacomo. Non esistono, però, prove di tali congetture. IN OGNI CASO, nella fonte storica cui fece ricor-

LE TRE STREGHE UNISCONO LE MANI. INCISIONE DI RICHARD WESTALL. XIX SECOLO.

MUSÉE D’ORSAY / BRIDGEMAN / ACI

BRIDGEMAN / ACI

so Shakespeare, le “streghe” appaiono come esseri immaginari, weird sisters o “sorelle del fato” (nel dialetto scozzese weird significa “fato”), una sorta di personificazione del destino al pari delle moire greche.

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LE SORELLE DEL FATO COMUNICANO LA FUNESTA PROFEZIA A MACBETH. OLIO DI THEODORE CHASSERIAU DEL 1855 ISPIRATO ALL’OPERA DI SHAKESPEARE.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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cinquecen to anni dalla spedizione che circumnavigò il pianeta

MAGELLANO Nel 1519 partì da Siviglia una flotta di cinque navi al comando di Ferdinando Magellano. Il capitano portoghese voleva aprire una nuova rotta per le Molucche, o Isole delle Spezie, e con i suoi uomini costeggiò il sud del continente americano per poi attraversare l’oceano Pacifico

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LO STRETTO DI MAGELLANO

Le tre navi che componevano in quella fase la flotta di Magellano impiegarono poco piĂš di un mese per attraversare lo stretto tra gli oceani Atlantico e Pacifico. AKG / ALBUM

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ella primavera del 1518 il portoghese Ferdinando Magellano giunse a un accordo con il re spagnolo Carlo primo (il futuro imperatore Carlo quinto) per guidare una spedizione commerciale diretta all’altro capo del mondo. L’obiettivo del viaggio alle Molucche, un arcipelago allora chiamato “Isola delle Spezie” e appartenente all’Indonesia, era quello di procurarsi appunto le spezie – cannella, chiodi di garofano o noce moscata– che si raccoglievano in quei luoghi e che, vendute sui mercati europei, avrebbero consentito guadagni stupefacenti. Da circa vent’anni i portoghesi controllavano una rotta marittima che passava per il sud del continente africano. La rotta alternativa di Magellano si basava, in realtà, sulla stessa idea che aveva guidato Cristoforo Colombo nel 1492: giungere in Oriente navigando verso Occidente. Per questo intendeva dirigersi verso il sud dell’America fino a raggiungere lo stretto che metteva in comunicazione l’oceano Atlantico con quel vasto mare che separava l’America dall’Asia. Sempre che, ovviamente, questo passaggio esistesse, giacché fino ad allora tutti i navigatori partiti alla sua ricerca avevano fallito nel proprio intento. Nelle condizioni dell’accordo il sovrano ordinava a Magellano di «armare cinque navi con l’equipaggio e le provvigioni e altre cose necessarie per il suddetto viaggio». I preparativi si protrassero per più di un anno. La prima incombenza fu quella di reclutare gli uomini. I dati circa

l’equipaggio variano a seconda delle fonti, ma una cifra ragionevole si aggirerebbe sui duecentocinquanta, di cui circa novanta stranieri, ovvero più di un terzo del totale. Non era inusuale: nelle flotte spagnole del sedicesimo secolo era frequente avere almeno un venti per cento di marinai stranieri. Tra i più numerosi figuravano gli italiani, una trentina, e i portoghesi, una ventina. Tra gli spagnoli, gli andalusi erano in maggioranza, con una cifra di cinquantaquattro uomini, cioè poco più di un quinto dell’equipaggio.

Dal mozzo al capitano L’equipaggio era organizzato secondo una gerarchia tipica della marineria dell’epoca. I più giovani, tra i dieci e i diciassette anni, erano gli apprendisti, deputati a svolgere tutti i compiti di pulizia a bordo dei velieri. Ne conosciamo due: Juanillo e Vasquito. Erano i figli di due piloti della spedizione, Juan López Caraballo (o Carballo) e Vasco Gallego. Accanto a loro c’erano i mozzi, marinai giovani, tra i diciassette e i venticinque anni approssimativamente. Avevano diverse mansioni, tra cui quella di salire

C R O N O LO G I A

IN ROTTA VERSO L’ASIA A

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Dopo poco più di un anno di preparativi, salpa da Siviglia la flotta di cinque navi al comando di Ferdinando Magellano.

Per sventare un ammutinamento Magellano dà l’ordine di decapitare Gaspar de Quesada, capitano della Concepción.

CARLO V SU UNA MONETA DISEGNATA DA DÜRER. MUSEO ARQUEOLÓGICO NACIONAL, MADRID.

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SIVIGLIA E L’OLTREMARE

Alla fine del 1517 Magellano giunse a Siviglia e presentò alla Casa de Contratación la sua proposta di viaggio nelle cosiddette “Isole delle Spezie”. Sotto queste righe, la Torre del Oro di Siviglia. TONO BALAGUER / AGE FOTOSTOCK

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Le tre navi restanti escono dallo stretto oggi noto come “di Magellano” e intraprendono la traversata dell’oceano Pacifico.

Ferdinando Magellano muore insieme ad altri sei uomini in uno scontro con i nativi dell’isola filippina di Mactan.

Al comando di Elcano, la spedizione giunge alle isole Molucche. I membri sono ricevuti dal sultano di Tidore, Mansur.

La nave Victoria, unica rimasta, giunge a Siviglia. Pigafetta racconta che la Victoria spara tutta l’artiglieria per celebrarlo.

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L’

ITALIANO ANTONIO DE BARESA, o semplicemente Gi-

novés, fu il mozzo più tristemente famoso della spedizione intorno al mondo. Nel novembre 1519, mentre le navi attraversavano l’equatore, il capitano della Victoria comunicò a Magellano che il suo nostromo, il siciliano Antonio Salomón, era stato sorpreso a commettere con il giovane mozzo Antonio de Baresa quello che allora era chiamato “peccato nefando”. Magellano ordinò di arrestarlo e, con un giudizio sommario, Salomón fu condannato a morte per strangolamento. La sentenza venne subito eseguita. Quanto al mozzo, si suicidò pochi mesi dopo lanciandosi in mare. Venne aperta un’inchiesta, e si pensò che all’origine del suicidio potesse esserci proprio lo scandalo. Probabilmente lo aveva sopraffatto la vergogna, o aveva ricevuto pressioni. GIOVANE MARINAIO DEL XVI SECOLO. DETTAGLIO DI UNA LITOGRAFIA CONTEMPORANEA.

BRIDGEMAN / ACI

IL PIANO DELLO SCOPRITORE

Magellano usò delle mappe del portoghese Serrão, che situavano le Molucche nella zona riservata alla Spagna dopo il trattato di Tordesillas. Incisione.

AL

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sull’alberatura e raccogliere o stendere le vele. Svolgevano anche i lavori più pesanti, che richiedevano un maggiore sforzo fisico. Il grosso dell’equipaggio era costituito dai marinai, uomini sopra i venticinque anni addetti a compiti che richiedevano più conoscenze: posizionare la canna del timone, per esempio, o effettuare manovre più complesse con la strumentazione di bordo. Dalla loro prontezza e precisione dipendeva la sicurezza di tutti. Ginés de Mafra fu un ottimo esempio di marinaio esperto, che avrebbe ricoperto anche la carica di pilota e lasciato uno dei resoconti più emozionanti della spedizione verso le Molucche. Un altro racconto importante fu scritto da un italiano, Antonio Pigafetta, giovane vicentino che salì a bordo come assistente di Magellano. Alcuni marinai si conquistavano la fiducia

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dei loro capi e assumevano ruoli intermedi. Tra questi c’era il nostromo, che dirigeva le manovre e manteneva la disciplina a bordo; il connestabile, addetto alla conservazione delle armi; il calafato e il mastro d’ascia, che si occupavano di riparare la nave. Una figura molto importante – e con una pessima fama – era il dispensiere, che aveva la chiave degli scarsi alimenti a bordo ed era spesso accusato di rubacchiare e dare cibo di cattiva qualità. Il dispensiere Juan Ortiz, imbarcato sulla nave San Antonio, dovette arrendersi e consegnare la chiave della dispensa durante la rivolta che avrebbe avuto luogo nelle terre della Patagonia, quando gli ammutinati, morti di freddo e stanchi dei razionamenti, gli puntarono un pugnale alla gola.

L’autorità a bordo Su ogni imbarcazione la triade direttiva era formata da pilota, nostromo capo o vicecomandante, e capitano. I piloti erano spesso persone dalla notevole preparazione intellettuale, specialmente quelli che superavano gli esami della Casa de Contratación per divenire piloti della Rotta delle Indie. Nella spedizione di Magellano risaltarono due piloti con una buona formazione teorica: Esteban Gómez sulla nave San Antonio, e Andrés de San Martín sulla nave Trinidad. Altri due piloti, invece, Juan Rodríguez Mafra e Vasco Gallego, erano analfabeti e compensavano la scarsa formazione con un’esperienza decennale. Il nostromo capo invece era l’uomo di fiducia che presiedeva all’esecuzione delle singole manovre. Il più famoso della spedizione era senz’altro Juan Sebastián Elcano, un marinaio basco che dovette vendere la propria barca per arruolarsi a bordo dei velieri di Magellano. All’inizio si trovava sulla nave Concepción e stava per essere impiccato durante la ribellione nelle terre della Patagonia. Alla fine venne perdonato e rimase in un discretissimo secondo piano che lasciò soltanto quando Magellano morì in uno scontro con alcuni filippini. Quindi assunse il comando della nave Victoria e guidò il viaggio di ritorno. Nelle rotte commerciali i nostromi capo esercitavano il comando su tutta la flotta, ma l’armata delle Molucche era una spedizione reale, e per questo ogni imbarcazione

1. ORONOZ / ALBUM; 2. E 3.. AGE FOTOSTOCK. 4. E 5. ORONOZ / ALBUM

Sesso “contro natura” a bordo dellaVictoria

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QUADRANTE IN OTTONE FABBRICATO A NAPOLI NEL 1553. MUSEO GALILEO, FIRENZE.

2.

3.

1. BUSSOLA AZIMUTALE DEL XVI SECOLO. MUSEO ARQUEOLÓGICO NACIONAL, MADRID.

MAPPA DELLE MOLUCCHE DI NUÑO GARCÍA DE TORENO. 1522. BIBLIOTECA REALE, TORINO.

ASTROLABIO NAUTICO DEL 1571. MUSEO NAVAL, MADRID.

OROLOGIO A SABBIA DEL XVI SECOLO. MUSEO NAVAL, MADRID.

BUSSOLE E MAPPE

5.

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Nella spedizione Magellano portò con sé i seguenti strumenti cosmografici: • 50 bussole (1) • 21 quadranti in legno (2) • 24 carte nautiche – 6 di Ruy Faleiro e 18 di Nuño García de Toreno (3) • 7 astrolabi – 1 di legno e 6 di metallo (4) • 18 orologi a sabbia, o clessidre (5)

4.

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l’obiettivo di discutere del caso, Magellano richiese la presenza degli altri capitani sulla sua nave; Juan de Cartagena gli rinfacciò di non essere stato interpellato prima. Alquanto infastidito perché la sua autorità era stata messa in discussione davanti a tutti, Magellano si scagliò contro Cartagena gridando: «Siete in arresto!». Il capitano della San Antonio finì in modo infamante, con i piedi imprigionati al ceppo. I disaccordi sarebbero giunti al culmine quando la spedizione cercò di passare l’inverno australe nel porto di San Julián, in Patagonia, dove il freddo e la scarsezza di viveri spinsero Juan de Cartagena e i principali capitani spagnoli, tra cui il nostromo Elcano, a ribellarsi contro Magellano. Quando il capitano generale riuscì a soffocare la rivolta, diversi degli ammutinati vennero uccisi, però Magellano non ebbe il coraggio di far giustiziare Cartagena e lo lasciò su una landa deserta. Di lui non se ne seppe più nulla.

Le cinque navi

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

LA FINE DELLA RIVOLTA

Magellano condannò a morte 40 marinai che si erano ammutinati nel porto di San Julián, ma commutò la pena perché aveva bisogno di tutti gli uomini per portare avanti la spedizione.

era guidata da un capitano. I capitani erano hidalgos, ovvero uomini di origini nobili, e alcuni di loro sapevano ben poco dell’arte marinara, cosa che causava spesso problemi. Sin dall’inizio ci furono tensioni su chi avrebbe ottenuto il comando supremo della flotta. Il 26 luglio 1519, appena due settimane prima della partenza, il re designò un hidalgo castigliano, Juan de Cartagena, come “persona congiunta” al capitano generale Magellano, il che comportava una pericolosissima divisione del potere durante un viaggio così lungo e complesso. E difatti tra i due sorsero presto dei contrasti. Magellano decideva e cambiava rotta senza consultarsi con Cartagena, che protestava in modo sempre più violento. Il conflitto scoppiò nel novembre 1519, in seguito a un caso di sodomia tra il nostromo capo Antonio Salamón, o Salomón, e il mozzo Antonio de Baresa. Con

Le cinque navi della flotta erano la Trinidad – che faceva da nave capitana ed era comandata da Magellano –, la San Antonio, la Concepción, la Victoria e la Santiago. Erano tutti velieri di poco più di venti metri di lunghezza, costruiti sicuramente nel Cantabrico. Solo una delle navi completò il periplo del pianeta: la Santiago naufragò lungo la costa argentina, la San Antonio disertò e tornò in Spagna mentre la flotta s’infilava nello stretto che avrebbe preso il nome di Magellano, e la Concepción venne data alle fiamme nelle Filippine per mancanza di equipaggio in grado di farla navigare. Quando la Victoria, al comando di Juan Sebastián de Elcano, e la Trinidad, guidata da Gonzalo Gómez de Espinosa, stavano per tornare in Spagna cariche di spezie, venne scoperta una falla nella Trinidad e l’imbarcazione non poté più solcare i mari. Oltrepassando Timor e il capo di Buona Speranza, la Victoria, al comando di Elcano, avrebbe impiegato quasi dieci mesi per il viaggio di ritorno dalle Molucche. La flottiglia era preparata ad affrontare nemici noti e ignoti ed era dotata di circa settanta pezzi di artiglieria leggera come falconetti, colubrine e passamuri, la mag-

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TERRE DELLA PATAGONIA

«Si pensa che in tutto il mondo non vi sia stretto più bello di questo», scrisse Pigafetta sul passaggio tra l’Atlantico e il Pacifico. Fiordo davanti alla cordigliera Darwin, nella Patagonia cilena. ALAMY / ACI

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La battaglia sull’isola di Mactan

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ULL’ISOLA DI MACTAN un capo locale chiese aiuto a

Magellano contro un altro capo rivale. Il capitano portoghese decise di mandare 60 uomini «armati con corazza e celata» a bordo di tre barche, e lui andò con loro. Le scialuppe dovettero tenersi a distanza a causa degli scogli. Ne saltarono giù 49 uomini, che una volta in spiaggia s’imbatterono in 1500 indigeni. Questi gli tirarono pietre, frecce e lance, soprattutto sulle cosce, lasciate scoperte. Magellano ordinò d’incendiare le capanne dei nativi, che s’infuriarono ancor di più. «Gli furon tirate tante lanciate, dardi e pietre, che non poteva resistere e l’arteglieria che era nelle barche non poteva aiutar li nostri, perché era troppo lontana». Per questo gli uomini si ritirarono. Colpito da una freccia avvelenata, Magellano venne accerchiato e ucciso. LA BATTAGLIA DELL’ISOLA DI MACTAN, NELLE FILIPPINE. INCISIONE TEDESCA. 1603.

GRANGER / ALBUM

J.S. ELCANO. XVI SECOLO. MUSEO MARÍTIMO, SIVIGLIA.

gioranza dei quali poteva aprire il fuoco dal parapetto. Questi pezzi sparavano sfere di piombo, per la cui fabbricazione si caricavano a bordo delle lastre di metallo con gli stampi; in alternativa, potevano scagliare anche chiodi e semplici pietre. Oltre ai cannoni, venivano preparati pure lance, spade, balestre e archibugi per armare due compagnie, ognuna di circa cento uomini. Magellano e i suoi compagni di viaggio si avvalsero di quest’armamento nei loro rapporti con i popoli indigeni, a volte come semplice mezzo intimidatorio, anche se non sempre con efficacia. Quando il capo dell’isola di Mactan si rifiutò d’inginocchiarsi in onore del re di

Spagna, Magellano mandò tre barche con sessanta uomini armati. Tuttavia l’azione delle balestre e degli archibugi non riuscì a piegare la resistenza dei nativi nello scontro che avvenne sulla spiaggia, e i cannoni delle navi colpirono a vuoto perché troppo lontani. Gli europei dovettero ritirarsi, lasciando sull’isola sette uomini senza vita, tra cui lo stesso Magellano. Qualche giorno dopo i cannoni dei velieri si rivelarono poco efficaci nel salvare gli uomini che erano caduti in un agguato degli antichi alleati dell’isola di Cebu.

La sfida della sopravvivenza In una spedizione del genere la chiave della sopravvivenza risiedeva negli approvvigionamenti. La base dell’alimentazione era la galletta, un tipo di pane dei marinai cotto diverse volte per una più lunga conservazione, e chiamato pure “biscotto” (dal latino bis coctus). Il vino era di vitale importanza, perché sostituiva l’acqua quando questa diveniva imbevibile. Per preparare i tipici pasti dei marinai si caricavano diversi legumi come lenticchie, ceci e fave, che venivano cucinati con pesce salato o lardo. Inoltre si tenevano nella stiva olio e aceto. In previsione di ostacoli – temporali o attacchi di nemici – che non consentissero di accendere il fuoco, si stipava a bordo un migliaio di formaggi, e in quei casi il pasto si riduceva a pane, formaggio e vino. La flotta trasportava anche mucche e maiali come riserva viva di latte e carne. La sfida maggiore della spedizione che attraversò il Pacifico fu proprio questa. Così Pigafetta descrisse la situazione: «Per tre mesi e venti giorni non toccammo cibo fresco. Mangiavamo a manciate il biscotto, che non si poteva più dire tale essendo solo polvere pullulante di vermi. Questi avevano mangiato il buono e ciò che rimaneva puzzava fortemente di urina di topi. Bevevamo acqua gialla, ormai putrida da tempo, e mangiavamo le pelli di bue che stanno sopra l’antenna maggiore». I marinai litigavano perfino per i ratti, che vendevano tra di loro come una prelibatezza. «Ad alcuni crebbero le gengive tanto sopra li denti che, non potendo masticare, se ne morivan miserabilmente». Questi ultimi erano i sintomi dello scorbuto, che durante la traversata del Pacifico costò la vita a diciannove marinai e a due indigeni

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LE MOLUCCHE

«E alli sei di novembre [del 1521] discoprirono quattro isole alte verso levante […] Il pilotto che era restato disse che queste quattro isole erano le Molucche» (Pigafetta). Nell’immagine, le isole Tidore e Ternate. FADIL / GETTY IMAGES

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CABO DESEADO

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RÍO DE LA PLATA

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SIVIGLIA

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CAPO DI BUONA SPERANZA 20-V-1522

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VI AGGIO DEL L A VICTOR I A

Questa mappa del cartografo tedesco Heinrich Scherer, del 1701, rappresenta la rotta della Victoria. La barca compare sotto a sinistra, mentre a destra si possono vedere i 18 marinai che tornarono a Siviglia: si dirigono in una chiesa a compiere un voto per essere sopravvissuti. MARIANNE 6-III-1521

MOLUCCHE 6-XI-1521

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Le chincaglierie, monete universali

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ER BARATTARLE con la gente del luogo, la spedizione

delle Molucche portava con sé una discreta provvista di chincaglierie: pettinini, ami, forbici, specchietti e coltelli tedeschi “dei peggiori”, e anche 20mila sonagli e collanine in vetro. Per esempio, quando si avvicinarono all’isola filippina di Samal ricevettero la visita di un gruppo d’indigeni, e Magellano «fece dar loro da bevere e da mangiare, donandogli berrette rosse, specchi, pettini, sonagli e altre cose simili». In cambio i nativi offrirono pesce, due noci di cocco, fichi e anche vino di palma.

LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI

SCENA DI BARATTO

Un marinaio della spedizione di Magellano offre una collanina a un indigeno delle Filippine in cambio di cibo e bevande. Illustrazione del XX secolo.

che gli europei avevano portato con sé, e ne lasciò infiacchiti altri venticinque o trenta. Non stupisce la felicità dei marinai al termine della traversata del Pacifico. Ginés de Mafra racconta: «Mentre navigava quest’armata, il giorno 17 marzo 1521 uno che stava sull’albero di gabbia e si chiamava Navarro disse a gran voce: “Terra! Terra!” Con quest’improvvisa parola tutti si rallegrarono tanto che quello che dava meno segnali di allegria sembrava comunque il più folle».

Missione commerciale Per intessere relazioni nei paesi che avrebbero visitato, le imbarcazioni caricarono merci di ogni tipo. Tra queste spiccavano i tessuti: scampoli di panni a poco prezzo dai colori brillanti (rosso, giallo o di tonalità argentata), tele di maggior qualità come il velluto, e anche duecento berretti colorati, un complemento

tipico dei marinai dell’epoca. La spedizione trasportava inoltre diverse libbre della spezia locale spagnola, lo zafferano, nonché dieci quintali d’avorio e contenitori di mercurio. I prodotti sarebbero stati barattati con merci locali. Per esempio, narra Pigafetta, quando gli europei giunsero nella ricca isola del Borneo offrirono al re «una vesta di velluto verde alla turchesca, una catedra coperta di velluto pavonazzo, cinque braccia di panno rosso, una berretta rossa, un vaso di vetro col suo coperchio, cinque quinterni di carta, un calamaro dorato». Durante un’udienza nel palazzo del sultano questi gli diede broccati e tele d’oro e di seta. Le spezie delle Molucche, l’obiettivo dell’intero viaggio, vennero acquisite sempre tramite baratto. Pigafetta racconta che sull’isola di Gilolo poterono acquistare un bahar di chiodi di garofano (equivalente a circa 184 chili) in cambio di qualsiasi tra questi gruppi di articoli: dieci braccia di panno rosso assai buono, quindici braccia di panno non tanto buono, quindici manarette, cioè delle asce, trentacinque bicchieri di vino. Quando l’8 settembre 1522 la Victoria attraccò nel molo di Siviglia erano trascorsi tre anni e un mese dalla partenza. Gli uomini avevano percorso una distanza che equivaleva circa a due giri del mondo in linea retta. Il chiodo di garofano che portavano nella stiva servì a ripagarsi delle spese di tutta l’impresa, e ne rimase perfino un piccolo beneficio. In Spagna tornarono soltanto diciotto dei salpati, assieme a tre indigeni delle Molucche. Della nave Trinidad, catturata in quelle isole dai portoghesi, poterono rientrare nella penisola iberica soltanto quattro sopravvissuti. Un vecchio detto marinaro riassume perfettamente lo spirito che animò l’equipaggio di quella lunghissima epopea: «Chi non s’avventura non ha ventura». PABLO EMILIO PÉREZ-MALLAÍNA DOCENTE DI STORIA DELL’AMERICA. UNIVERSITÀ DI SIVIGLIA

Per saperne di più

SAGGI

Magellano Stefan Zweig. BUR, Milano, 2012. Magellano e l’Oceano che non c’era Luca Novelli. Editoriale Scienza, Trieste, 2019. TESTI

Magellano Gianluca Barbera. Castelvecchi, Roma, 2018. INTERNET

www.rutaelcano.com La prima circumnavigazione del mondo

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FINALMENTE A CASA

I marinai che hanno completato il giro del mondo scendono dalla Victoria con le candele in mano come voto di grazia ricevuta. Olio di Elías Salaverría Inchaurrandieta. 1919. Museo Naval, Madrid. BRIDGEMAN / ACI

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LA NAVE VICTORIA Sebbene i documenti del XVI secolo chiamino naó, “nave”, qualsiasi imbarcazione adatta alla navigazione oceanica, la Victoria e le altre quattro barche di Magellano erano velieri tipici della zona cantabrica. La Victoria era la quarta per dimensioni, e avrebbe poi compiuto due viaggi per le Americhe. Coffa Albero di mezzana

Albero di maestra

Albero di trinchetto

Cassero di prua Timone

SCHEDA TECNICA Equipaggio: 45 uomini

Dislocamento: 100 tonnellate

Dimensioni:

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6,7 m Larghezza

26 m Lunghezza

Opera morta Una delle caratteristiche del veliero era la sua vasta opera morta, ovvero la parte dello scafo che rimaneva al di sopra del piano di galleggiamento.

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Cassero di poppa

Coperte Aveva quattro coperte, con circa 120 m2 di superficie utile.

Ancora

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Zavorra

Botti di acqua e di vino

SOL 90 / ALBUM

Artiglieria La nave trasportava 10 falconetti in ferro battuto.

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LA DITTATURA DI

SILLA Nell’82 a.C., in piena crisi della repubblica romana, Lucio Cornelio Silla fu proclamato dittatore e assunse poteri simili a quelli di un sovrano, dotandosi di un’aura quasi divina agli occhi del popolo grazie a un’intensa propaganda

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L’UOMO FORTE DI ROMA

Busto di Silla. Staatliche Antikensammlungen, Monaco di Baviera. Alla pagina precedente, aureo coniato dal dittatore che vi appare a bordo di una quadriga incoronato dalla Vittoria. BUSTO: J. REMMER / RMN-GRAND PALAIS MONETA: DEA / ALBUM

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Z

AMBIZIONI SCONFINATE

GALLIA GALLIA NARBONENSE NARBONENSE

Vercellae Vercellae (102(102 a.C.)a.C.)

Aquae Aquae Sextiae Sextiae (Genova) (Genova)

Genua Genua (102(102 a.C.)a.C.)

Narbo Narbo (Narbona) (Narbona)

Massilia Massilia (Marsiglia) (Marsiglia)

Augusta Emerita Augusta Emerita (Mérida) (Mérida)

Corduba Corduba (Cordova) (Cordova)

Emporiae Emporiae (Empúries) (Empúries) CORSICA CORSICA Tarraco Tarraco (Tarragona) (Tarragona)

Saturnia Satu Roma Roma P

SARDEGNA SARDEGNA

Sacripon Sacri C

Carthago Nova Carthago Nova (Cartagena) (Cartagena) Carthago Carthago (Cartagine) (Cartagine) Cirta Cirta (Costantina) (Costantina)

DOMINI ROMANI INTORNO AL 105 A.C. Province romane Federati o alleati di Roma Acquisizioni romane (105-79 a.C.) Domini di Mitridate VI Alleati di Mitridate VI Territori sotto influenza romana

AKG / ALBUM

UN TRIBUTO AFRICANO?

Questo rilievo faceva forse parte del monumento donato a Roma da Bocco I che mostra la sottomissione di Giugurta a Silla. Musei capitolini, Roma.

N

ell’82 a.C. a Roma fu nominato dittatore Lucio Cornelio Silla, discendente di una famiglia patrizia decaduta e, secondo Cicerone, «maestro di […] lussuria, avarizia e crudeltà». Plutarco, autore della più completa biografia su di lui, lo definì anche malvagio e dissoluto, due caratteristiche che gli storici antichi attribuivano sistematicamente a chi aspirava al potere assoluto e metteva a repentaglio la repubblica. Ma, a sorpresa, dopo appena tre anni Silla rinunciò alla carica di dittatore e a tutti

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ES AG

LA SETE DI POTERE

Sotto il comando di Gaio Mario, Silla partecipa alla guerra contro il re numida Giugurta e riesce a catturarlo. Nel 104-101 a.C. interviene in modo decisivo nel conflitto contro gli invasori cimbri e teutoni.

A A A FA RFI CR I C

gli onori che comportava. Le condizioni perché Silla assumesse la dittatura si erano create nei sei anni precedenti. Nell’88 a.C. Mitridate sesto, re del Ponto, aveva invaso la provincia d’Asia, uccidendo ottantamila cittadini romani e provocando il sollevamento di varie città prima fedeli a Roma. I più importanti generali romani di quel periodo erano Gaio Mario, che aveva circa settant’anni, e Silla, di vent’anni più giovane. L’ambizione e i trionfi di quest’ultimo avevano attirato su di lui l’invidia di Mario, portando a una serie di disaccordi che erano

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Porta Porta Collina Collina

(88 (88 a.C.)a.C.)

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Area di scontri bellici durante la guerra tra Mario e Silla (87-81 a.C.) Invasioni di cimbri e teutoni Battaglie principali

107-105 a.C.

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IT IT A A Chiusi Chiusi

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Alla fine del II secolo a.C. Mario e Silla combatterono insieme contro alcuni potenti nemici di Roma, come il numida Giugurta (che fu tradito dal suocero, Bocco I di Mauritania, su istigazione di Silla) e gli invasori cimbri e teutoni. Nel 96 a.C. Silla assunse l’incarico di governatore della Cilicia (Anatolia), dove il re Ariobarzane I, alleato di Roma, era stato deposto dai sovrani Tigrane d’Armenia e Mitridate VI del Ponto. La lotta per guidare la guerra contro quest’ultimo portò allo scontro tra Mario e Silla.

Arausio Arausio

(105(105 a.C.)a.C.)

Silla ha un ruolo determinante nella Guerra sociale contro gli alleati di Roma che richiedevano la cittadinanza romana e i relativi benefici. Sconfigge i sanniti e ottiene la capitolazione di Pompei.

GAIO MARIO. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.

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Trapezus Trapezus (Trebisonda) (Trebisonda)

Eraclea Eraclea PONTO Pontica Pontica PONTO Brindisium Brindisium (Brindisi) (Brindisi)

(88 (88 a.C.)a.C.)

Sacriponto SacripontoNolaNola Capua Capua Tauromenium Tauromenium (Taormina) (Taormina)

Dioscurias Dioscurias (Sukhumi) (Sukhumi)

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Thessalonice Thessalonice (Salonicco) (Salonicco)

Metimna Metimna Tigranocerta Tigranocerta FRIGIA FRIGIA Pergamum Pergamum Orcomeno Orcomeno (Pergamo) (Pergamo) CAPPADOCIA CAPPADOCIA (85 (85 a.C.)a.C.)

Cheronea Cheronea (86 (86 a.C.)a.C.) Atene Atene

SICILIA SICILIASiracusae Siracusae

(Siracusa) (Siracusa)

Thapsus Thapsus (Tapso) (Tapso)

A RAMREM NEI AN I A GALAZIA GALAZIA

Bizantium BizantiumBITINIA BITINIA (Bisanzio) (Bisanzio)

ACAIA ACAIA

(86 (86 a.C.)a.C.)

ASIA ASIA PISIDIA PISIDIA

Ephesus Ephesus (Efeso) (Efeso)

Antiochia Antiochia

Epidaurus Epidaurus LICIA LICIA (Epidauro) (Epidauro) Rhodus Rhodus Astipalaea Astipalaea(Rodi) (Rodi) (Stampalia) (Stampalia)

REGNO REGNO SELEUCIDE SELEUCIDE CIPRO CIPRO

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Damascus Damascus (Damasco) (Damasco)

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Cirene Cirene (Shahat) (Shahat)

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Alexandria Alexandria (Alessandria) (Alessandria)

EGITTO EGITTO

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

poi sfociati in un’aperta ostilità. Sullo sfondo, il duro scontro politico che a Roma vedeva opporsi due fazioni: optimates e populares. La prima, che aveva il suo leader in Silla, difendeva l’antico sistema aristocratico incentrato sul potere del senato, strumento nelle mani di un’oligarchia privilegiata; la seconda, guidata da Mario, si opponeva invece al predominio della nobiltà senatoria.

Nemico pubblico Entrambi i contendenti sapevano che la conquista del potere dipendeva dalla vittoria su Mitridate in Oriente e dalla capacità di ga-

rantirsi la fedeltà dell’esercito lì impiegato. Per questo motivo, quando il senato conferì il comando (imperium) delle legioni a Silla (allora console, magistrato supremo della repubblica romana), Mario convinse il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo a far approvare una legge che revocava a Silla l’autorità militare, dichiarandolo allo stesso tempo nemico pubblico di Roma. La notizia del tradimento di Mario raggiunse Silla nell’Italia meridionale, mentre era in procinto di salpare per l’Oriente. Tornato immediatamente a Roma con le sue sei legioni più

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Silla abdica e lascia Roma per stabilirsi in Campania, dove scrive le sue memorie e conduce una vita di piaceri. Muore nel maggio del 78 a.C.

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Torna in Italia dopo aver costretto Mitridate a firmare la pace di Dardano. I suoi sostenitori sconfiggono i consoli Carbone e Mario il Giovane (figlio di Gaio Mario). Viene nominato dittatore nell’82 a.C., dopo la vittoria di Porta Collina.

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Riceve l’incarico di condurre la guerra contro Mitridate VI del Ponto. Mario cerca di sottrargli il comando, ma è costretto a fuggire quando Silla marcia su Roma. Nell’86 a.C. Silla sconfigge le truppe di Mitridate ad Atene, Cheronea e Orcomeno.

79 a.C. -GRA

83 a.C.

Sotto, Mitridate VI rappresentato come Eracle. Indossa la leontè, la caratteristica pelle di leone di questo eroe. Musée du Louvre.

RMN

88 a.C.

IL GRANDE NEMICO ORIENTALE

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IL TEMPIO DI GIOVE

IL GIOIELLO DI SILLA A ROMA

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illa trasformò il foro e il colle sacro di Roma, il Campidoglio. Essendo aumentato il numero dei senatori, si era reso necessario ampliare la superficie della Curia Hostilia, il luogo dove si riunivano. Oltre a rifare la pavimentazione del foro, Silla progettò la costruzione di un grande edificio, che finalmente venne eretto il 78 a.C. Questo si trovava all’estremità occidentale della piazza, il Tabularium, che ospitava gli archivi pubblici di stato e contemporaneamente fungeva da struttura di collegamento tra l’Arx e il Campidoglio. Su quest’ultimo si trovavano i resti del tempio etrusco di Giove Ottimo Massimo. Risalente a oltre 400 anni prima, il tempio era stato distrutto da un incendio il 6 luglio dell’83 a.C., durante la guerra civile, dopo essere stato colpito da un fulmi-

ne. Per qualcuno era stato il segno che gli dei avevano abbandonato i romani. L’evento permise a Silla di operare un restauro radicale: sostituì l’antico edificio in tufo ricoperto di stucco con un tempio in marmo bianco dotato di una triplice fila di colonne, tra cui spiccavano quelle del tempio di Zeus Olimpio di Atene, demolito quando Silla aveva conquistato la città durante la guerra contro Mitridate.

H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS. COLORE: SANTI PÉREZ

IL PIÙ GRANDE TEMPIO ROMANO

Sopra, la mole del tempio di Giove svetta sul Campidoglio. Musée d’Orsay, Parigi.

fedeli, decise di varcare con l’esercito il sacro perimetro della città (pomerium) commettendo così un grave sacrilegio. Ciò contribuì a forgiare la sua reputazione di uomo empio e senza scrupoli. Silla mise in fuga Mario e i suoi seguaci, e il senato recuperò il suo ruolo dominante.

Vittorie e prodigi Dopo questo successo Silla si recò in Grecia. Nel marzo dell’86 a.C. ottenne la sua prima grande vittoria ad Atene, governata dal tiranno Aristione, alleato di Mitridate. Silla saccheggiò la città senza pietà e ne fece vendere gli abitanti come schiavi. Le suc-

Silla annunciò alle sue truppe che Apollo li avrebbe protetti

AURIMAGES

LEGIONARIO ROMANO DEL I SECOLO A.C. (MODELLINO).

cessive vittorie al Pireo (il porto di Atene), Cheronea (dove morirono centomila nemici) e Orcomeno costrinsero Mitridate a cercare la pace, che fu firmata nell’85 a.C. Durante la sua permanenza in Grecia Silla depredò i tesori dei santuari di Esculapio a Epidauro, Zeus a Olimpia e Apollo a Delfi, senza porsi alcun tipo di problema di ordine religioso. Secondo Plutarco, quelle azioni gli servivano «per corrompere e chiamare sotto di sé quelli che militavano sotto altri e per mostrarsi generoso con chi già era ai suoi ordini». Salvò dal saccheggio solo un’immagine dorata di Apollo Pizio che portava sempre con sé in battaglia, ritenendo che il dio lo avrebbe protetto e non l’avrebbe mai abbandonato. La religione tradizionale e le superstizioni più arcaiche diedero a Silla la possibilità di crearsi un’immagine pubblica tinta di un alone misterioso e divino. A questo scopo mise in giro racconti di sogni prodigiosi e vaticini di maghi di origine orientale che si diffusero rapidamente tra i suoi seguaci. Si narra, ad esempio, che l’imminente vittoria

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TEATRO DEL SANTUARIO

di Asclepio a Epidauro. Silla saccheggiò i tesori dedicati al dio greco della medicina e conservati presso il santuario. OLIMPIO FANTUZ / FOTOTECA 9X12

timo anno di guerra civile, essendo morti entrambi i consoli, Silla fu nominato dictator rei publicae constituendae causa, cioè dittatore per l’attuazione di un nuovo ordinamento statale. Aveva il potere di condannare a morte senza processo i cittadini, fondare colonie, costruire o distruggere spazi ed edifici pubblici, confiscare e distribuire proprietà pubbliche e private, presentare o emendare leggi. Erano passati centoventi anni dall’ultima volta che qualcuno aveva assunto tale carica. La dittatura era una magistratura straordinaria (a cui si faceva ricorso solo in situazioni di eccezionale gravità), che conferiva poteri simili a quelli regali, ma per una durata limitata di sei mesi. L’incarico ricevuto da Silla invece non prevedeva vincoli temporali. Il dittatore inoltre

IL DIO CHE PASSÒ DALLA GRECIA A ROMA

Sotto, Eracle e Apollo si contendono il tripode sacro del santuario di Delfi. Lastra in terracotta del tempio di Apollo Palatino eretto a Roma da Augusto.

ALBUM

nello scontro con Mitridate fu annunciata da svariati presagi, come trombe che squillavano nel bel mezzo di un cielo terso o insegne che ardevano senza causa apparente; o che, prima del suo rientro a Roma, gli ambasciatori del potente re parto gli avessero predetto che «divina sarebbe stata la sua vita e la sua fama». Il processo di mitizzazione della vita di Silla s’intensificò dopo il suo ritorno in Italia nell’83 a.C. e durante i due anni di guerra civile che videro nuovamente lo scontro tra populares e optimates. I primi si trovavano riuniti attorno al figlio di Mario; i secondi erano guidati da Silla e Pompeo, allora un giovane comandante. Durante la battaglia finale di Porta Collina, che vide imporsi gli optimates, Silla mostrò alle sue truppe la statuetta di Apollo Pizio e annunciò che il dio supremo degli oracoli aveva lasciato la Grecia per venire a Roma a farsi onorare e per proteggere lui e la sua famiglia. Il popolo cominciò a vedere Silla come un essere dotato di un’aura soprannaturale e toccato dalla grazia degli dei. Durante l’ul-

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CRIMINI LEGALI Nella sua biografia di Silla, Plutarco parla delle proscrizioni: «Contro chi avesse accolto e salvato un proscritto, decretò, per una tale compassione, la pena di morte […] Chi l’avesse ucciso avrebbe ricevuto un premio di due talenti [circa 65 kg di argento], quand’anche fosse il servo a uccidere il padrone o il figlio a uccidere il padre». (Silla, 31:4).

LA TRIBUNA DEI ROSTRI, NEL FORO, DOVE VENIVANO ESPOSTE LE TESTE DEI GIUSTIZIATI.

QUINTO AURELIO LEGGE IL SUO NOME NELLA LISTA DEI PROSCRITTI MENTRE I SUOI ASSASSINI SI AVVICINANO. INCISIONE DI AUGUSTYN MIRYS (1742-1810).

SINISTRA: BRIDGEMAN / ACI. SOPRA: ALAMY / ACI

non rispettò mai la norma secondo cui la condanna a morte di un cittadino poteva essere sospesa da un giudizio popolare. E nemmeno si sottopose all’obbligo di rendere conto del suo operato una volta lasciata la magistratura. Tra le sue molteplici attribuzioni, controllava anche la zecca di Roma. Ciò gli permetteva di scegliere gli emblemi e le immagini da imprimere sulle monete, che costituivano il supporto più efficace per la diffusione di un’ideologia politica.

La dittatura del terrore I sette mesi iniziali della dittatura furono i più tragici. Una delle prime misure emanate fu quella di stabilire delle liste di proscrizione in cui vennero inseriti tutti gli avversari politici che avevano partecipato al precedente governo di Gaio Mario e del suo luogotenente Cornelio Cinna o che l’avevano sostenuto. Chi compariva nelle liste era considerato nemico dello sta84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PROPAGANDA PER TUTTE LE TASCHE Il controllo della zecca romana permetteva a Silla di coniare monete in onore dello stato e di sé stesso. In quest’aureo sillano, Roma indossa un elmo alato.

to e condannato a morte. Qualsiasi cittadino poteva eseguire la sentenza, ricevendone in cambio una sostanziosa ricompensa. Le denunce e gli omicidi indiscriminati si moltiplicarono. Secondo le fonti furono assassinati quaranta senatori, circa milleseicento cavalieri e quasi quattromila plebei, senza contare il massacro dei seimila prigionieri sanniti – alleati dei populares – che erano stati giustiziati al termine dello scontro di Porta Collina. Così scrisse Plutarco: «Non c’era tempio dedicato a un dio che non fosse contaminato da uccisioni, né rifugio per gli ospiti né casa paterna che potessero dirsi sicuri: i mariti erano trucidati davanti alle mogli, i figli accanto alle madri. Tuttavia quelli che venivano uccisi per odio e per rabbia non erano che una piccola parte rispetto a quelli che venivano uccisi per le loro ricchezze». Di fatto, la persecuzione dei populares aveva soprattutto una finalità DEA

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L A P E RS E C U Z I O NE D E I RI C C HI

La base economica delle proscrizioni era evidente a tutti: «Gli uccisori erano pronti a dire cose come: “A quest’uomo ha dato la morte la sua grande casa; a quello i suoi begli orti; a quest’altro le sue lussuose terme”. Quinto Aurelio, un personaggio tranquillo e inoffensivo, che non si riteneva partecipe di quelle calamità se non in quanto sentiva compassione per le sventure degli altri, un giorno si recò al foro e trovò il suo nome nella lista dei proscritti: “Povero me”, disse. “Il mio podere di Albano mi perseguita”. E dopo qualche istante fu ucciso da uno che lo seguiva» (Plutarco, Vita di Silla, 31: 5-6). L A S P A RT I Z I O NE D E L B O T T I NO

«Dal suo scanno in tribunale, Silla dirigeva le vendite dei beni confiscati in modo così arrogante e dispotico che i suoi donativi erano ancora più ripugnanti delle confische stesse: belle donne, musicisti, istrioni e i più miserabili dei liberti si videro assegnare le terre delle popolazioni e i tributi delle città» (Plutarco, Vita di Silla, 33: 2).

economica, in quanto le proprietà private dei proscritti passavano all’erario e potevano essere acquistate a prezzi irrisori da Silla e dai suoi più stretti sostenitori. Uomini come Marco Licinio Crasso (futuro triumviro con Pompeo e Giulio Cesare) accumularono un enorme patrimonio proprio grazie all’esproprio dei beni dei condannati. L’orrore e la violenza si diffusero oltre le mura di Roma. Le città della penisola italica che durante la guerra avevano sostenuto i populares furono punite con dure rappresaglie e confische di terre su cui Silla, per prevenire possibili rivolte contro di lui, fece insediare come agricoltori centoventimila dei suoi veterani. Ma il controllo militare e la politica del terrore nei confronti della popolazione civile non erano sufficienti a dare stabilità al regime. Era indispensabile sorvegliare anche tutti gli organi amministrativi, legislativi e giudiziari. Per poter manovrare più agevolmente il senato, lo incrementò di trecento nuovi membri scelti tra i suoi più fedeli sostenitori. I tribuni della plebe, da sempre vicini

alla fazione dei populares, furono privati del potere di veto sulle proposte dei magistrati. Allo stesso tempo Silla ridusse l’importanza di questi ultimi, stabilendo che l’esercizio di una magistratura impediva l’ascesa nella carriera politica romana, che culminava con il consolato. Infine, i cavalieri o equites (un ordine inferiore a quello senatoriale e spesso su posizioni opposte) si videro privati della possibilità di esercitare il potere giudiziario nei tribunali. Silla riformò anche le istituzioni religiose. Si riservò il ruolo di augur, che gli conferiva il diritto di ricevere e interpretare gli auspici divini, cioè di comunicare direttamente con gli dei: in questo modo tutte le

Chiunque poteva giustiziare le persone elencate nelle liste di proscrizione decise da Silla

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SILLA MORENTE FA UCCIDERE IL PRETORE GRANIO. INCISIONE DI LODOVICO POGLIAGHI TRATTA DALLA STORIA DI ROMA DI FRANCESCO BERTOLINI. 1890.

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IL MASSACRO COME POLITICA DI STATO Per rafforzare il proprio potere Silla non esitò a ricorrere a gesti di estrema crudeltà. Il suo rivale Mario non si era comportato diversamente e gli aveva fatto portare a tavola la testa di un avversario (il padre di Marco Antonio). In Vita di Silla Plutarco offre vari esempi della spietatezza del dittatore, come quelli qui riportati. Questo futuro cospiratore contro la repubblica uccise suo fratello e poi chiese a Silla di proscriverlo a posteriori. Silla acconsentì. Per ricambiare il favore, Catilina uccise Marco Mario, dei populares, e presentò la testa a Silla nel foro.

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L’ASSASSINIO DI LUCREZIO OFELLA

SCALA, FIRENZE. COLORE: SANTI PÉREZ

Questo sostenitore di Silla aspirava al consolato, ma il dittatore era contrario. Quando Ofella si presentò al foro richiedendo la carica, Silla ordinò a un centurione di ucciderlo, «mentre lui sedeva sulla sua tribuna nel tempio di Castore e Polluce e osservava quel crimine dall’alto».

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3

L ’ U L T I MA E S E C U Z I O NE

Il giorno prima di morire, Silla venne a sapere che Granio, magistrato di Pozzuoli, si rifiutava di saldare un debito con l’erario pubblico sperando che la richiesta di pagamento si estinguesse con la morte del dittatore. Silla, furioso, lo fece portare al suo cospetto e ordinò ai suoi servi di strangolarlo. Ma quell’azione gli fu fatale: «L’agitazione e la convulsione gli fecero scoppiare l’ascesso e vomitò una grande quantità di sangue. Essendogli venute meno le forze, morì dopo una notte di agonia».

I SOLDATI SI RECANO A CASA DI UN PROSCRITTO PER UCCIDERLO. INCISIONE DI LODOVICO POGLIAGHI TRATTA DALLA STORIA DI ROMA DI FRANCESCO BERTOLINI. 1890. QUI ACCANTO, COPIA DI UNA DAGA ROMANA.

SOPRA: GARY OMBLER / DK IMAGESI. SOTTO: LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

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IL CRIMINE DI LUCIO CATILINA

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L’ULTIMO SALUTO AL DITTATORE

L’IMPONENTE FUNERALE DI SILLA

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ell’estate del 78 a.C. venne letto in pubblico il testamento di Silla in cui si richiedeva un funus publicum, un funerale a spese dello stato, e si stabiliva la concessione di uno spazio in Campo Marzio per l’erezione del tumulo. I suoi più fedeli sostenitori esigevano che i funerali non si celebrassero nel buio della notte, com’era tradizione, ma in pieno giorno, in modo che tutta Roma potesse contemplare i maestosi simboli di gloria che ornavano le strade della città. Poiché Silla era morto in Campania, il suo corpo fu condotto a Roma, a più di duecento chilometri di distanza. Lo storico Appiano racconta che il cadavere venne trasportato su un letto lavorato in oro, seguito da una folla di trombettieri, cavalieri e uomini armati. Ad aprire il corteo erano i

portatori delle insegne del dittatore, seguiti dai suoi veterani. A Roma la processione raggiunse dimensioni davvero notevoli. Questa era adornata da duemila corone d’oro preparate per l’occasione, dono delle città, delle sue legioni e dei suoi amici personali. La cerimonia si concluse con la cremazione del corpo di Silla al cospetto dell’esercito che circondava la pira funeraria.

DEA / SCALA, FIRENZE

LA CERIMONIA DEL TRIONFO

Questo vaso d’argento del tesoro di Boscoreale rappresenta un corteo trionfale dell’imperatore Tiberio che seguì lo stesso cerimoniale di quello celebrato da Silla cent’anni prima.

sue azioni potevano ricevere qualche forma di avallo divino. Per sottolineare come la sua vita fosse sempre stata accompagnata dal favore dei numi, il dittatore si fece dare due soprannomi. Uno era il latino Felix, che indicava non solo chi aveva goduto di una vita felice, prospera ed estranea alla sofferenza, tipica degli dei, ma anche la fertilità dei campi e la ricchezza che ne derivava. L’altro era il greco Epafrodito, che voleva suggerire che fosse caro ad Afrodite, madre di Enea, l’eroe troiano al quale venivano fatte risalire le origini mitiche di Roma.

Popolo sottomesso

RMN

-GRA

Silla fu sempre consapevole della necessità di soggiogare il popolo. Per controllarlo era sufficiente generare paura e rispetto verso l’ignoto tramite narrazioni sugli dei e l’aldilà. Nella propaganda sillana giocarono un ruolo particolare le impressionan-

ti manifestazioni a cui il popolo partecipava in massa, caratterizzate da un forte impatto emotivo sul pubblico. A dare fama e gloria eterna al dittatore furono due eventi indimenticabili nella storia della repubblica: il trionfo per la vittoria su Mitridate e il primo funerale pubblico celebrato in pieno giorno. Durante la processione trionfale del 27 e 28 gennaio dell’81 a.C. Silla si presentò con le sembianze di Giove, principale divinità romana. Secondo le consuetudini, il generale vittorioso avanzava su un carro trainato da cavalli bianchi, con il volto dipinto di minio e indossando un mantello color porpora e la toga picta (con ricami in oro), mentre uno schiavo gli reggeva sul capo una corona d’oro. La celebrazione del trionfo rendeva il popolo partecipe della vittoria, permettendogli di vedere il bottino e i prigionieri più illustri. Durante la processione sfilavano anche le insegne con le immagini dei luoghi conquistati e dei momenti più drammatici delle battaglie, accompagnate da una musica stridente e dalle

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grida scherzose che si levavano al di sopra del brusio del pubblico per pungolare l’orgoglio patrio della gente. Il secondo evento che vide Silla protagonista fu il suo stesso corteo funebre. La processione ricordò molto quella trionfale per la forma e l’esposizione dei simboli, e fu capace di provocare tra i partecipanti ammirazione, paura e dolore al tempo stesso. Nel 79 a.C. Pompeo, alleato di Silla nella lotta contro i populares, celebrò un nuovo trionfo a Roma. Le sue legioni lo avevano soprannominato Magnus,“il grande”, come Alessandro di Macedonia, e lo avevano acclamato imperator. Nello stesso anno Marco Emilio Lepido fu nominato console contro la volontà del dittatore, ormai consapevole che la sua influenza iniziava a vacillare. Tra lo stupore generale, Silla abdicò improvvisamente e lasciò Roma. Si ritirò nella sua villa di Cuma, vicino a Napoli, dove visse in un lusso di stile orientale, dedicandosi alla scrittura delle sue memorie e ai piaceri mondani. «Qui trascorreva le giornate con attrici di mimo, citaristi e teatranti, e tutti insieme

tracannavano sdraiati sui letti», racconta Plutarco. Il quale racconta che i suoi amici intimi dell’epoca erano «Roscio il commediante; Sorice il capo di mimi, e Metrobio, che nelle rappresentazioni faceva il ruolo della donna, e del quale […] confessava di essere sempre stato invaghito». Pochi mesi dopo, nel maggio del 78 a.C., Silla morì di una malattia che gli ricoprì il corpo di ferite infette e suppuranti. È sempre Plutarco a riferire che gli era stata trasmessa da uno dei suoi tanti amanti. Lo storico greco racconta anche che fu lui stesso a scrivere l’epitaffio per il proprio monumento funebre: «Nessun amico mi ha reso servigio, nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagati in pieno».

GODERSI LA VITA

Silla trascorse il suo ultimo anno e mezzo circondato di ogni piacere nella sua villa in Campania, una residenza nel tipico stile dell’oligarchia romana, come questa di Castellammare di Stabia.

ELENA CASTILLO FILOLOGA

Per saperne di più

TESTI

Vite parallele. Lisandro e Silla Plutarco. BUR, Milano, 2001. SAGGI

Silla Giovanni Brizzi. Il Mulino, Bologna, 2018.

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PRONTI PER LA BATTAGLIA

Nella fossa 1 di Xi’an sono schierati migliaia di soldati, ufficiali e carri da combattimento. Questo esercito era destinato a proteggere per l’eternità la tomba di Qin Shi Huang, primo imperatore della Cina. OLEKSIY MAKSYMENKO / ALAMY / CORDON PRESS

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I GUERRIERI DI

X I’ A N

Il primo imperatore cinese si fece costruire un monumentale mausoleo, custodito da un esercito composto da migliaia di soldati in terracotta

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UN ARCIERE IN GINOCCHIO

Nella sezione nord della fossa 2 sono stati trovati 332 arcieri, di cui 160 inginocchiati e disposti in 4 colonne, pronti a utilizzare le balestre. ALAMY / CORDON PRESS

C R O N O LO G I A

LA BREVE DINASTIA DEI QIN

carri dello stesso materiale ma ornati d’oro, d’argento e di pigmenti dai colori vivaci. Sicuramente c’è ancora molto da scoprire. Nell’immaginario popolare l’esercito di terracotta costituisce la vera icona di questo luogo rinvenuto, accidentalmente, quarantacinque anni fa, una manifestazione indiscutibile della potenza militare, della ricchezza e delle conquiste artistiche dell’emergente impero Qin. Situati in tre fosse a est della tomba reale, i guerrieri di terracotta furono probabilmente collocati lì per custodire e proteggere il sovrano dai suoi svariati nemici nell’aldilà. Anche se sono già stati recuperati circa duemila guerrieri, si stima che il numero totale possa raggiungere le ottomila unità. Più di cento carri e cinquecento cavalli completano quest’esercito in formazione da battaglia.

Una città funeraria Ci sono diversi aspetti del mausoleo di Qin Shi Huang che permettono di comprenderne meglio l’importanza. Uno di questi è l’eccezionale connubio di dimensioni e raffinatezza. Il mausoleo è una necropoli senza precedenti. Per costruire la camera sepolcrale fu necessario modificare il corso di vari fiumi, scavare a più di trenta metri di profondità e organizzare il sepolcro prima di ricoprirlo con una collina piramidale alta oltre cinquanta metri. Si è calcolato che solo per svuotare la fossa principale dell’esercito fu necessario estrarre l’equivalente di oltre cinquemila camion di terra. Ogni guerriero è alto circa 1,80 metri e pesa sui

221 a.C.

215 a.C.

213 a.C.

210 a.C.

206 a.C.

Dopo aver sconfitto altri regni rivali, Qin Shi Huang diventa il primo imperatore della Cina.

Si unificano le mura difensive degli antichi regni settentrionali: nasce la Grande Muraglia.

Il sovrano ordina un rogo di testi classici. L’anno successivo fa giustiziare 460 intellettuali.

L’imperatore muore e viene sepolto nel suo grandioso mausoleo nella città di Xi’an.

Dopo il trionfo della sua rivolta contro i Qin, Liu Bang fonda la nuova dinastia Han.

GRANGER / AURIMAGES

I

l primo imperatore della Cina, Qin Shi Huang, è uno dei personaggi più famosi e controversi della storia del Paese. Tra le sue azioni più importanti si annoverano la prima unificazione della Cina, la spietata persecuzione d’intellettuali e oppositori e l’abolizione del feudalesimo. A lui si devono anche la standardizzazione dei precetti filosofici, della scrittura, delle unità di peso e di misura e dei sistemi monetari e giuridici fino ad allora in vigore nella frammentaria Cina. L’enorme mausoleo che si fece costruire a Xi’an, famoso in tutto il mondo per i suoi impressionanti guerrieri di terracotta, costituisce ancora oggi una rappresentazione materiale del suo mondo, ma anche una fonte inesauribile d’informazioni sul potente sistema politico e simbolico che organizzò intorno alla sua personalità. Attualmente il sito è patrimonio dell’umanità e attira ogni anno milioni di visitatori, oltre a ispirare mostre, documentari e altri prodotti culturali in tutto il pianeta. Il complesso funerario che circonda il mausoleo si estende su una superficie di oltre sessanta chilometri quadrati. Intorno all’imponente collina artificiale che tuttora ospita la tomba inviolata dell’imperatore, quarant’anni di ricerche archeologiche hanno portato alla luce un gran numero di strutture costruite per ospitare al meglio la vita del sovrano nell’aldilà. Ci sono numerose fosse con stalle, servitori, acrobati e musicisti; canali con delicati uccelli in bronzo e

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PERSECUZIONE DEL CONFUCIANESIMO

Qin Shi Huang prese misure drastiche per sopprimere l’opposizione alle sue politiche, come il rogo di opere classiche del confucianesimo e l’esecuzione di saggi e intellettuali. Incisione del XVIII secolo.

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AKG / ALBUM

Trovato nella fossa 2, è in ginocchio e con le mani fa il gesto di reggere le briglie di un cavallo.

duecento chili. Tuttavia le caratteristiche più affascinanti delle statue emergono solo al microscopio, quando se ne osservano le acconciature, i tratti facciali personalizzati, il sottile strato di lacca che le ricopre e i tanti vivaci pigmenti con cui erano state colorate. Mai prima d’allora un tale universo di risorse materiali, umane, tecniche e artistiche era stato investito in un edificio funerario. L’impresa è ancora più sorprendente quando se ne considera il contesto. Anche ipotizzando che Qin Shi Huang avesse ordinato la costruzione del mausoleo prima di unificare la Cina e proclamarsi imperatore nel 221 a.C., i suoi ufficiali e i suoi artigiani avrebbero avuto solo pochi anni per completare l’opera prima della sua morte, avvenuta nel 210 a.C. Durante la maggior parte del suo mandato, la Cina non era che un mosaico di ecosistemi, culture e gruppi etnici, molti dei quali in guerra tra loro, con lingue, strutture politiche e credenze religiose diverse. L’idea di un potere politico autoritario e centralizzato che emanava ordini tramite i suoi funzionari da una capitale remota era estranea all’epoca: comunicarla

L’agognata immortalità L’organizzazione del mausoleo dimostra di avere alla base un progetto meticoloso, incentrato sulla tomba del sovrano e a forma di palazzo sotterraneo. Sia il disegno sia i materiali utilizzati rivelano la volontà del giovane statista di circondarsi di tutto il necessario per mantenere il controllo universale nell’aldilà. D’altra parte, il mausoleo svolse ancor prima della sua morte una funzione di propaganda: doveva imporsi come strumento rappresentativo di supremazia di un nuovo reggente capace di mobilitare gli strumenti, le persone e le conoscenze necessarie per creare qualcosa di dimensioni e splendore senza precedenti. I riflessi di questa ostentazione raggiunsero probabilmente i confini della Cina Qin, contribuendo all’aura mistica del sovrano. E alla fine fu proprio il mausoleo, ancor più delle imprese compiute in vita, ad assicurare all’imperatore l’immortalità. MARCOS MARTINÓN-TORRES UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE

Per saperne di più

SAGGI

Una grande scoperta archeologica del XX secolo Zhang Zhongli. Edizioni della Cina Popolare, Pechino, 1997. I guerrieri di terracotta Maurice M. Cotterell. Corbaccio, Milano, 2004.

QUESTO ARTICOLO SI BASA SULLE RICERCHE CONDOTTE DALL’AUTORE INSIEME A NUMEROSI COLLEGHI IN UN PROGETTO DI COLLABORAZIONE TRA IL MUSEO DEL PRIMO IMPERATORE E L’ISTITUTO DI ARCHEOLOGIA DEL UNIVERSITY COLLEGE DI LONDRA.

SOPRA: NATIONAL GEOGRAPHIC / BRIDGEMAN / ACI; SOTTO: ROBERT BURCH / ALAMY / CORDON PRESS

STALLIERE

HERITAGE / SCALA, FIRENZE

QIN SHI HUANG RITRATTO IMMAGINARIO DEL PRIMO IMPERATORE CINESE. MUSEO NAZIONALE DEL PALAZZO, TAIPEI.

e metterla in atto fu una sfida politica e logistica di proporzioni straordinarie. Il primo imperatore voleva essere immortale e governare per sempre. Non si considerava il semplice sovrano di una terra immensa, ma piuttosto un reggente universale che aveva saputo unificare non solo l’impero, ma anche il mondo degli spiriti. Fonti scritte riferiscono che Qin Shi Huang richiese a numerosi alchimisti di elaborare pozioni per prolungargli l’esistenza e che inviò emissari nelle mitiche isole degli immortali, oltre il mar Cinese orientale, alla ricerca dell’elisir della vita eterna. Paradossalmente, se da un lato era ossessionato dall’idea di evitare la morte, dall’altro decise di erigere una grandiosa tomba, forse proprio perché rassegnato all’impossibilità di realizzare le sue ambizioni.

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CONSERVARE IL COLORE: UNA SFIDA CONTRO IL TEMPO

I soldati sono stati dipinti in colori sgargianti (immagine sotto). Ma quando vengono portati alla luce dopo secoli sotto terra, i pigmenti tendono a staccarsi a causa del cambiamento di umiditĂ relativa. Per evitare questo inconveniente, gli archeologi stanno sperimentando nuovi metodi di stabilizzazione della lacca utilizzata come base per la pittura.

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8 GUERRIERI DI XIAN

L’EREDITÀ IMPERIALE

QIN

9

Concepiti come un esercito immortale e invincibile, i guerrieri di terracotta di Qin Shi Huang sono una preziosa testimonianza dell’evoluzione della strategia militare cinese durante le prime epoche imperiali. I soldati sono distribuiti in tre fosse. Altre due, contenenti statue di acrobati e funzionari, offrono una visione dell’organizzazione amministrativa dello stato e dei divertimenti dell’élite nonché di come tutto questo venisse trasferito alla vita ultraterrena. UNA MAPPA DELLA CINA ALL’EPOCA DELLA DINASTIA QIN (221-206 A.C.), DURANTE LA QUALE VENNERO COSTRUITE STRADE E FU INIZIATA LA GRANDE MURAGLIA. XIONGNU Liaodong

He an g

Hu Wei He

Xi’an

XIANYANG

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Jiaodong

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DEPOSITI DI LÖSS Beidi Henei

Longxi

SICHUAN

CHAOXIANZU

Shang Taiyuan Hengshan

Qinghai Hu

QIANG

Guangyang

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YUEZHI

Yuyang

Yanmen

Langye Donghai

1 Fossa principale

Jiujiang Kuaiji

Hengshan

MAR CINESE ORIENTALE

Changsha

Qianzhong

MAR GIALLO

DONGYUE Minzhong

NANYUE Xiang

Xi Jian

Hainan

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g

Formosa Nanhai

CARTOGRAFIA: GRADUALMAP

Jiuyuan

o fossa 1. Qui tre file di fanteria leggera guidano la formazione e coprono i fianchi. Sul retro sono schierati i soldati di fanteria pesante.

2 Fossa 2 Questa fossa ospita una formazione tattica specifica, composta da arcieri, carri e cavalieri schierati in un cosiddetto “spiegamento concentrico”.

OCEA NO PACIFICO

MAR CINESE MERIDIONALE

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2 3 1

7

4 6

5

RICOSTRUZIONE DI COME DOVEVA APPARIRE IL COMPLESSO FUNERARIO DI QIN SHI HUANG QUANDO L’IMPERATORE VI FU SEPOLTO.

ILLUSTRAZIONE: 4D NEWS

3 Fossa dell’alto

comando o fossa 3. I soldati qui schierati sono forse una guardia scelta posizionata a difesa di un ufficiale di alto rango.

4 Tumulo

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funerario Qui riposa l’imperatore. La tomba venne ricoperta di terra, alberi ed erba affinché sembrasse una collina.

5 Fossa dei

funzionari Con una superficie di 410 m2, contiene otto figure di alti funzionari e quattro carri. Qui sono stati trovati i resti di 20 cavalli.

6 Fossa degli

acrobati Di 700 m2, ospitava undici statue di acrobati vestiti solo con un gonnellino. Sono le uniche figure in movimento.

7 Prima

muraglia Questo recinto dalla forma rettangolare aveva un perimetro di 3.870 m, e un’altezza di circa 30 m

8 Seconda

muraglia Il secondo recinto o muro esterno misurava 6.318 m di perimetro e aveva la stessa altezza del precedente.

9 Edifici

rituali All’interno del primo recinto e vicino al tumulo si trovano diversi edifici e sale destinati a rituali.

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GUERRIERI PRODOTTI IN SERIE COME FU POSSIBILE riunire la quantità di

materie prime, conoscenze tecniche e forza lavoro necessarie a realizzare quest’opera unica e colossale? Dietro l’esercito di terracotta ci fu un vero e proprio sistema di produzione di massa altamente standardizzato, che richiese una gestione logistica raffinata ed efficiente. Studi d’ingegneria inversa hanno dimostrato che la manodopera fu organizzata in numerose cellule di produzione relativamente piccole, che operavano in parallelo. Non esisteva, ad esempio, un unico laboratorio di produzione e assemblaggio di guerrieri che modellasse decine di teste, busti e gambe identici, ma vari gruppi di artigiani, ognuno agli ordini di un maestro, che realizzavano guerrieri completi uno alla volta. Le armi non provenivano da una sola armeria, ma da diversi laboratori, ognuno con i propri metalli e utensili. L’idea di un’organizzazione logistica decentralizzata è paradossale se si pensa che il primo imperatore sarebbe passato alla storia per i suoi sforzi di unificare le strutture di potere. Un sistema organizzativo costituito da cellule versatili richiede grandi investimenti, ma facilita la gestione degli imprevisti: in caso di guasti o nuove necessità, può essere attivata un’altra cellula per rispondere all’emergenza. FUNZIONARIO DI ALTO RANGO, CON COPRICAPO A CALOTTA PIATTA, FAZZOLETTO AL COLLO E ABITI SGARGIANTI.

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L’IM PASTO DELL’ARGILLA

Il processo di fabbricazione dei guerrieri di terracotta richiese l’intervento di migliaia di operai. La materia prima delle statue era l’argilla, che veniva battuta e appiattita per facilitarne la lavorazione.

2

LAV OR O A CATENA

Una volta raggiunta la consistenza adeguata, l’argilla veniva modellata e preparata per essere inserita negli stampi.

ILLUSTRAZIONI: WILLIAM BORREGO

GUERRIERI DI XIAN

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STAMPI PER PEZZI MASSICCI

Le braccia, le mani, le gambe e i piedi venivano realizzati con l’aiuto di stampi, per conferire stabilità al corpo.

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IL BUSTO

Per costruire il busto, si faceva una spirale che veniva poi montata sulle gambe e quindi caratterizzata con gli elementi propri di ogni categoria di soldato.

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L’ASSEMBLAGGIO

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LA FASE DI LACCATUR A

Una volta cotti, i pezzi erano lasciati raffreddare e assemblati tra loro. Il risultato era un guerriero completo, che veniva poi dotato di un’arma di bronzo: una balestra, un arco, una lancia, una spada.

Prima di applicare la vernice, la figura veniva ricoperta con uno strato protettivo di lacca.

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L A TE S T A

Era realizzata tramite due stampi che si univano lungo la linea delle orecchie. Poi veniva personalizzata con l’aggiunta dei vari elementi del viso: naso, orecchie, sopracciglia, baffi, capelli e infine il copricapo, che variava in funzione del rango.

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6

L A CO T T URA

Tutti i pezzi erano cotti separatamente in grandi forni. Forse si usarono a questo scopo le grotte di Löss (dei depositi di sedimenti argillosi) che costituiscono il paesaggio caratteristico della zona.

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L’APPLICAZIONE DEL COLOR E

Infine, si procedeva a dipingere la figura. La lacca era visibile solo sulle calzature, le armature e i copricapi.

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MIGLIAIA DI SOLDATI SCHIERATI

La fossa 1 è la più grande e importante del mausoleo di Qin Shi Huang e sembra contenere la maggior parte dell’esercito imperiale. Oggi sono state ricostruite quasi duemila statue di guerrieri che si ergono ordinatamente schierate lungo nove corridoi. Per renderle ancora più imponenti, le figure furono realizzate di dimensioni leggermente superiori a quelle reali. MASSIMILIANO DE SANTIS / FOTOTECA 9X12

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GUERRIERI DI XIAN

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2

1 1. E 2. DAVID DAVIS / ALAMY / CORDON PRESS; 3. DEA / SCALA, FIRENZE; 4. FOTOTRAV / GETTY IMAGES

SONO RITR AT TI DI PER SON E VERE ? SI È SPESSO ipotizzato che le

migliaia di statue fossero veri e propri ritratti di autentici soldati dell’esercito di Qin Shi Huang, che avrebbero posato uno alla volta di fronte agli scultori. Altri ricercatori sostengono invece che c’era un numero limitato di stampi di teste, busti, braccia, mani e gambe, che venivano combinati in forma modulare per ricreare un’impressione di diversità.

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Quel che è certo è che non sono ancora stati trovati due soldati identici. Inoltre la distribuzione delle stature è sorprendentemente simile a quella di alcuni eserciti documentati. Detto questo, è improbabile che le statue siano ritratti. La cosa più plausibile è che siano semplicemente delle figure realistiche, ma non ispirate a individui specifici. Per quanto siano affascinanti, è importan-

DIVERSE CATEGORIE

Nelle fosse viene minuziosamente ricostruita la composizione dell’esercito cinese all’epoca di Qin Shi Huang. I guerrieri si differenziano per gli abiti e i copricapi. Sopra, un soldato con i capelli raccolti a crocchia 1, un membro della fanteria pesante 2 e un cavaliere con un cappello assicurato sotto il mento tramite due cinghie 3. Sulla destra, un generale 4, con un copricapo molto più elaborato.

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3

te ricordare che queste sculture non sono opere d’arte create per i vivi, ma guerrieri per l’aldilà. L’esperienza visiva del pubblico contemporaneo che può osservare le lunghissime file di soldati è un privilegio che forse non ebbe neppure l’imperatore stesso. Le statue furono collocate in alcuni corridoi che vennero successivamente coperti con lunghe travi di legno, sigillati con stuoie di canna e sepolti sotto tonnellate di terra. Sicuramente molti avevano sentito parlare di questo esercito sotterraneo, ma sicuramente erano in pochi a essere riusciti a vederlo.

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PRONTI A COM BAT TERE N EL L’AL DIL À GLI ARCHEOLOGI hanno ritrovato più di quarantamila frecce di bronzo per archi e balestre, oltre a decine di spade, lance, alabarde e altre armi di cui i guerrieri erano dotati a seconda del grado e del ruolo. A differenza dei soldati che le indossano, queste armi sono vere e letali, e il loro studio permette di scoprire le conoscenze tecniche degli armaioli Qin. Per le armi da taglio furono utilizzate leghe particolarmente dure e resistenti, ottenute calibrando con precisione le proporzioni di rame e stagno. I segni microscopici che si possono osservare su di esse dimostrano che furono levigate con una mola, la più antica testimonianza al mondo dell’uso di questa tecnica. Alcuni generali hanno

ARALDO DE LUCA

GUERRIERI DI XIAN

3

QUESTA CAMPANA DI BRONZO FACEVA PARTE DI UNO STRUMENTO MUSICALE CON UNA STRUTTURA IN LEGNO A CUI ERANO APPESE VARIE CAMPANE DI DIMENSIONI DIVERSE.

spade bimetalliche, con un’asta all’interno dalla lama che ne aumentava la resistenza prevenendo la rottura durante il combattimento. Sulle lance e sulle alabarde sono incisi l’anno e il laboratorio di produzione, così come l’artigiano responsabile, il che facilitava i controlli di qualità. Gli studi metrici e morfologici dei grilletti e delle frecce delle balestre hanno rilevato uno straordinario grado di standardizzazione della fabbricazione: le armi erano prodotte con una tale accuratezza che le differenze tra l’una e l’altra possono essere apprezzate solo attraverso l’uso di strumenti di precisione millimetrica.

O. LOUIS MAZZATENTA / NGS

ARAL

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DO D

E LU

ELM O

ARMATUR A

Come l’armatura, l’elmo era costituito da numerose placche di pietra calcarea unite tra loro da fili di rame e proteggeva l’intera testa.

Questo esemplare in pietra trovato nella fossa delle armature rispecchia fedelmente i modelli originali di cuoio e metallo in uso all’epoca. Un’armatura completa era composta da circa 600 placche, del peso di circa 29 grammi ciascuna.

CA

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Questo scudo in miniatura è stato trovato su uno dei carri di bronzo ed è un esempio delle armi difensive dell’epoca. Non sono invece stati rinvenuti gli scudi dei guerrieri, forse perché erano fatti di materiale organico e pertanto non si sono conservati.

Le tre punte di lancia a forma conica (shu) erano utilizzate soprattutto nelle cerimonie. Quella qui sopra è un’ascia-daga (ge), che in epoca Qin si combinava con una lancia (mao) come quella in alto, per formare un’arma letale. A sinistra, una pi, una delle lame più taglienti e penetranti.

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O. LOUIS MAZZATENTA / NGS

FR ECCE E L A NCE

ARALDO DE LUCA

SCUDO

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74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CARRO DI BRONZO

Venti metri a ovest del tumulo funerario del primo imperatore furono ritrovati due magnifici carri di bronzo a grandezza naturale, trainati da quattro cavalli ciascuno. Lo spiccato realismo permette di conoscere il funzionamento e le caratteristiche dei carri dell’antica Cina. PANORAMA MEDIA / AGE FOTOSTOCK

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UNO DEGLI ASPETTI più sorprendenti delle armi in bronzo è il loro eccellente stato di conservazione: molte spade sono ancora dorate e affilate dopo duemila anni sotto terra. Fu forse utilizzato qualche trattamento pionieristico contro la corrosione? Fino a poco tempo fa una delle teorie più accreditate sosteneva che i bronzi fossero stati cromati, come avviene con i moderni rubinetti e tubi di scappamento. L’ipotesi sembrava plausibile, perché le analisi scientifiche avevano individuato la presenza di cromo sulla superficie di alcune delle lame. Secondo questa teoria, gli armaioli del periodo Qin avrebbero usato una tecnica avanzata per garantire l’eterna durata delle armi di questo esercito immortale. Ciononostante uno studio recente pubblicato sulla rivista Scientific Reports ha dimostrato che il cromo non proveniva dal bronzo, ma dalla lacca usata per verniciare le impugnature, le guaine e altre parti in legno.

NATIONAL GEOGRAPHIC / ALAMY / ACI

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La sua presenza sui bronzi è quindi fortuita, frutto di qualche contaminazione accidentale e non di una tecnologia d’avanguardia. In realtà il segreto della straordinaria durata delle armi va ricercato nel terreno che le ospita. Come si è potuto verificare, il suolo della città di Xi’an, che per secoli ha ricoperto queste armi, ha un pH che facilita la conservazione dei metalli. La sua grana particolarmente fine, inoltre, impedisce la filtrazione dell’acqua e dell’aria. Insomma, la chiave del perfetto stato in cui sono state ritrovate le armi di Xi’an è una serie di fortunate coincidenze geochimiche e non un trattamento anticorrosivo.

Una fitta schiera di lancieri, disposti ai lati della fossa, aveva il compito di proteggere il gruppo.

FRECCE SEPOLTE

Questa immagine mostra la fase di ritrovamento di numerose punte di freccia perfettamente conservate nella fossa 1 del mausoleo di Qin Shi Huang.

ILLUSTRAZIONE : 4D NEWS. FOTO: ALAMY / CORDON PRESS

GUERRIERI DI XIAN

L’INALTERABILE LUCENTEZZA DEL BRONZO DI XI ’AN

L’esercito forniva i vestiti ai corpi d’élite, il che spiegherebbe l’uniformità del loro abbigliamento.

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GUERRIERI DI XIAN

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L A FOSSA D ELL’A LTO COM A N DO LA FOSSA 3 è l’unica a essere stata completamente scavata. Ospitava statue che rappresentavano l’alto comando dell’esercito di Qin Shi Huang. La fossa è a forma di U, occupa una superficie di 520 metri quadrati ed è composta da due lunghi corridoi laterali e uno più stretto centrale. All’interno si trovano 68 guerrieri, disposti su entrambi i lati, che proteggono un carro trainato da quattro cavalli, forse riservato al comandante in capo dell’intero esercito. Oltre ai soldati ci sono diversi ufficiali di alto rango e una schiera di 24 lancieri disposti a difesa del gruppo. Sono stati ritrovati anche i resti di un cervo, probabilmente un sacrificio propiziatorio.

Gli ufficiali di alto rango avevano ai loro ordini gran parte dell’esercito, composto da contadini, detenuti e corpi d’élite.

Un ufficiale guida un carro trainato da quattro cavalli che sembra attendere l’arrivo di un alto comando, o addirittura dell’imperatore.

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GIUDIZIO DAVANTI AGLI DEI

In questo papiro appartenente a una certa Taysnakht vediamo la sala dove si svolge il giudizio della defunta davanti agli dei. Periodo tolemaico. III-I secolo a.C. Museo egizio, Torino. Sotto, l’occhio uadjet, uno degli amuleti più potenti che potevano essere posti su una mummia. British Museum, Londra. FOTO: SCALA, FIRENZE

IL LIBRO DEI MORTI

IN VIAGGIO VERSO L’ALDILÀ SNG130_040-057_LIBRO DE LOS MUERTOS NUEVO_T.ee_indd.indd 40

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Rappresentato sui papiri o sulle pareti delle tombe, il Libro dei morti, o Libro per uscire nel giorno, conteneva le istruzioni che il defunto doveva seguire per confessare i suoi peccati, affrontare la pesatura del cuore e fare il suo ingresso nell’aldilĂ

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di fronte a un tribunale composto da quarantadue divinità di essere esente da peccati imperdonabili. Tali peccati permettono di ricostruire il codice di condotta ideale dell’Egitto faraonico. La confessione negativa è contenuta all’interno del Libro dei Morti, titolo oggi utilizzato per riferirsi a quella raccolta che gli egizi chiamavano Libro per uscire nel giorno, le cui formule erano riportate sui papiri, sugli oggetti del corredo funebre e sulle pareti delle tombe. Tutte le versioni conservate sono diverse tra loro, dato che ogni persona era libera di scegliere i passaggi che riteneva più appropriati.

Il defunto si confessa

DEA / ALBUM

AMULETO FUNEBRE

Questo amuleto è una combinazione di tre elementi: l’ankh, simbolo di vita; il pilastro djed, simbolo di stabilità; e lo scettro uas, simbolo di potere e forza. British Museum, Londra. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

N

el Nuovo regno (secondo millennio a.C.) i corpi dei defunti venivano sottoposti a un processo di mummificazione che mirava a renderli incorruttibili. Tale processo consisteva nella rimozione di tutti gli organi interni a esclusione del cuore, che si riteneva essere la sede delle azioni buone e cattive compiute in vita da ciascun individuo e doveva quindi essere giudicato nell’aldilà. A questo scopo sarebbe stato collocato sulla bilancia di una specifica sala del mondo dei morti. Tuttavia, prima della pesatura del cuore, c’era un’altra prova da affrontare, la cosiddetta “confessione negativa” o “dichiarazione d’innocenza”. Il defunto doveva affermare

ARALDO DE LUCA

ANUBI, DIO DELL’IMBALSAMAZIONE, PREPARA LA MUMMIA DI AMENNAKHT IN UN DIPINTO DELLA TOMBA DI QUESTO PERSONAGGIO A DEIR EL-MEDINA. XIX DINASTIA.

Uno dei capitoli che non mancava in nessuna copia del Libro per uscire nel giorno era proprio quello in cui il defunto dichiarava di non aver commesso cattive azioni in vita. Molte di queste azioni possono risultare familiari, perché rievocano le prescrizioni bibliche contenute nei libri dell’Esodo e del Deuteronomio: non imprecare, non agire con violenza, non essere causa della sofferenza altrui, non essere avido, non rubare, non uccidere, non commettere adulterio, non mentire e via dicendo. Ciononostante, mentre nella Bibbia è la divinità a imporre direttamente questi precetti, nel Libro per uscire nel giorno è lo stesso defunto che – nella sua confessione negativa fatta di fronte alle varie divinità – dichiara di non aver compiuto atti contrari alla propria concezione morale, che riguardano gli dei, il culto o i suoi simili. L’essere privo di tali macchie era una condizione necessaria per non essere condannati a una seconda morte, un’eventualità che gli egizi temevano più di ogni altra cosa al mondo e cercavano di evitare attraverso formule magiche volte a occultare e a scongiurare i

C R O N O LO G I A

UN LIBRO SACRO

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2321-2306 a.C.

1540 a.C. circa

I testi funebri appaiono per la prima volta in alcune incisioni della piramide di Unis, ultimo faraone della V dinastia, a Saqqara.

Durante il Nuovo regno inizia a prendere forma il Libro per uscire nel giorno, i cui testi sono riportati su bende e sarcofagi.

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IL FARAONE DAVANTI AGLI DEI

Su questo pilastro della camera funeraria della tomba di Seti I, nella Valle dei Re, è visibile il faraone in compagnia di varie divinità: a sinistra la Signora dell’occidente e a destra il dio con la testa di canide, Anubi.

1464 a.C. circa

1292-1191 a.C.

1076-655 a.C.

655-30 a.C.

Durante il regno di Thutmose III, il testo si arricchisce di nuovi capitoli, come quello relativo alla pesatura del cuore.

Nella XIX dinastia le immagini del Libro per uscire nel giorno cominciano ad acquisire maggiore importanza rispetto ai testi.

A partire dal Terzo periodo intermedio si diffondono degli esemplari più piccoli del Libro per uscire nel giorno, scritti in ieratico.

Durante il Periodo tardo e fino alla fine di quello tolemaico le formule vengono ordinate e numerate.

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AMULETI PER VIAGGIARE NELL’ALDILÀ

G

LI EGIZI coltivavano la speranza di condurre un’esistenza felice e pacifica nell’oltretomba. A questo scopo, oltre ai testi funerari, gli imbalsamatori inserivano tra le bende di lino della mummia un gran numero di amuleti destinati a proteggere e aiutare il defunto nel difficile percorso verso l’aldilà. Ne esistevano di diversi tipi: divinità avvoltoio, scarabei del cuore (questi ultimi probabilmente erano i più importanti, in quanto dovevano deporre a favore del defunto), occhi uadjet, divinità cobra, anelli d’oro, scettri di vario tipo, nodi tiet, pilastri djed, simboli ankh… Per comprendere l’importanza di questi oggetti è sufficiente ricordare che tra le bende della mummia di Tutankhamon gli archeologi hanno ritrovato più di cento amuleti protettivi.

PRISMA / ALBUM

Questo frammento di un papiro del Libro per uscire nel giorno indica come devono essere disposti gli amuleti funerari sulla mummia del defunto. 305303 a.C. British Museum, Londra.

loro comportamenti immorali. Dopo questa dichiarazione negativa, il defunto doveva avvalorare ulteriormente la propria rettitudine affermando che il suo spirito aveva vissuto in terra nutrendosi della verità: «Ha donato pane all’affamato, acqua all’assetato, vestiti all’ignudo e una imbarcazione a chi ne era privo […] Salvatelo, quindi! Proteggetelo, dunque!». Curiosamente, anche queste opere di misericordia trovano corrispondenze con quanto previsto dalla tradizione cristiana. Al termine della prova, le grandi divinità assieme al sovrano dell’aldilà, Osiride, dichiaravano il defunto “giusto di voce”, cioè un uomo dal cuore puro e privo di malvagità. A quel punto, nella sala delle due Maat (che deve il nome alla dea

della giustizia, della verità e dell’ordine) si svolgeva il rito più importante, descritto nel capitolo 125 del Libro per uscire nel giorno. La cerimonia si apriva alla presenza di Osiride. Nella stanza si trovava una bilancia con due piatti. Su uno veniva collocato il cuore del defunto; sull’altro, come contrappeso, la piuma che rappresentava la stessa Maat. Affinché il defunto fosse considerato giusto e degno della vita oltre la morte, il suo cuore non doveva pesare più della piuma. Se invece la bilancia s’inclinava dal lato dell’organo, ciò significava che era gravato dal peso dei peccati commessi. Il cuore del defunto veniva allora dato in pasto alla mostruosa dea Ammit, ed egli non solo era privato di ogni speranza di vita ultraterrena, ma veniva letteralmente cancellato per l’eternità, come

Se il cuore del defunto era più pesante della piuma della dea Maat veniva divorato dalla terribile Ammit e il suo proprietario scompariva per sempre SCARABEO DEL CUORE DI UN CERTO HAT, CON UN’INCISIONE DEL CAPITOLO 30 DEL LIBRO DEI MORTI.

ARALDO DE LUCA

AMULETI PROTETTIVI

SCALA, FIRENZE

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AMMIT, LA DIVORATRICE DI ANIME

La dea Ammit, l’essere mostruoso che divora il cuore dei defunti giudicati colpevoli nel giudizio di Osiride. Particolare del letto funebre dedicato ad Ammit e trovato nella tomba di Tutankhamon. Museo egizio, Il Cairo.

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BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Erano usati per conservare le viscere mummificate del defunto. I coperchi dei vasi qui sopra hanno le sembianze dei figli del dio Horus. British Museum, Londra.

se non fosse mai esistito. Ammit era una dea terribile, come dimostrava il suo aspetto: aveva la testa di coccodrillo, le zampe anteriori di leone e quelle posteriori d’ippopotamo, tutti animali che gli egizi temevano per la loro evidente aggressività.

Il cuore rivelatore Colui che aveva il compito di soprintendere all’operazione di pesatura era Anubi, la divinità psicopompa, incaricata cioè di guidare le anime dei defunti. Questo dio dalle sembianze di canide era definito «colui che si trova nel luogo dell’imbalsamazione», in quanto era considerato guardiano e protettore delle tombe. Dato che per effettuare la confessione negativa senza

errori erano necessarie conoscenze approfondite, al di sopra della rappresentazione del defunto compariva a volte un babbuino, simbolo di Thot, dio della sapienza. Ma in alcuni casi tale divinità poteva assumere un aspetto differente, anche all’interno dello stesso papiro, ed essere raffigurata come un uomo con testa di ibis. Questo uccello trampoliere era un’altra forma animale con cui il dio si manifestava quando svolgeva il ruolo di scriba divino, incaricato di registrare l’esito della prova. Per questo motivo aveva in mano gli strumenti della scrittura: un calamo, o penna, e una paletta da scriba con due inchiostri, uno rosso e uno nero. Nel delicato momento della pesatura, bisognava assicurarsi che il cuore non tradisse il peccatore. A tal fine si scriveva sulla tomba

Il dio Thot, in forma di uomo con testa di ibis, era incaricato di trascrivere l’esito del giudizio IL DIO THOT CON SEMBIANZE DI IBIS ACCANTO ALLA PIUMA DELLA DEA MAAT. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.

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I VASI CANOPI

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IL VIAGGIO NOTTURNO DI RA

Questo rilievo dipinto della tomba di Seti I raffigura il dio Ra, con la testa di ariete e il disco solare sulle corna, durante il viaggio che compie ogni notte attraverso l’aldilà. La barca sacra è protetta dal serpente Mehen.

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SARCOFAGO DEL PRINCIPE RAMSES

Questo monumentale sarcofago di granito grigio scoperto a Medinet Habu apparteneva a Ramses, figlio di Ramses II e di sua moglie Isinofret. È decorato con scene relative al viaggio del defunto nell’aldilà. Museo egizio, Il Cairo. ARALDO DE LUCA 48 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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bei del cuore, degli amuleti che si collocavano sul petto della mummia.Ma nella sala del giudizio c’erano anche altri importanti elementi, che variano da un papiro all’al tro. In alcuni esemplari, accanto alla bilancia compare Shai – un dio considerato in grado di determinare il destino – e a volte un mattone su cui è raffigurato un volto con i tratti del defunto. Si trattava di uno dei due mattoni sui quali le donne egizie si accovacciavano durante il parto e che erano connessi alla sacra nutrice Renenutet, una divinità femminile dalle sembianze di serpente legata alla nascita, alla cura dei bambini e all’alimentazione. Va ricordato che per gli egizi la morte e l’accesso all’aldilà erano una forma di rinascita; per avere successo richiedevano quindi le cure appropriate e la benevolenza degli dei, proprio come per la nascita. Per lo stesso motivo, un’altra dea che compare abitualmente sui papiri oppure nei dipinti delle tombe, molto spesso in compagnia di Renenutet, è Meskhenet, a cui le donne egizie si raccomandavano in occasione del parto. UNA NUTRICE DIVINA

In alto, la dea Renenutet, la sacra nutrice con aspetto di serpente connessa alla nascita. Pittura della tomba di Ramses III.

l’incantesimo 30B del Libro per uscire nel giorno, intitolato “Formula per evitare che il cuore di un uomo si opponga a lui nel regno dei morti”, che aveva lo scopo di alleggerire il cuore e far sì che celasse al tribunale i peccati commessi in vita. Un passaggio di questa formula recita: «O cuore mio, madre mia! O cuore mio per il quale esisto sulla terra! Non sorgere contro di me a testimonio! Non creare opposizione contro di me tra i giudici! Non essere contro di me innanzi agli dei! Non essere pesante contro di me innanzi al grande Dio Signore dell’Amenti!». Quest’espressione rituale di scongiuro veniva incisa anche sul lato inferiore dei cosiddetti scara-

Il ba, tra due mondi Il defunto poteva essere rappresentato nella scena in due modi: vestito con un abito di lino bianco, simbolo di purezza, in atteggiamento di rispetto, oppure con le sembianze di un uccello dalla testa umana, cioè con la forma del suo ba, uno degli elementi immateriali che componevano l’anima delle persone. L’uccello ba poteva volare dopo la morte. Mentre il cadavere rimaneva all’interno della tomba, il ba si nutriva delle offerte di cibo e bevande depositate in onore del defunto – o delle rappresentazioni di tali offerte dipinte sulle pareti . Da queste dipendeva la sussistenza dell’individuo dopo la morte. Grazie al suo ba, il defunto era in grado di attraversare la cosiddetta stele “a falsa porta” e tornare a visitare in volo la terra dove aveva vissuto. Al calar

Il ba del defunto poteva attraversare la stele a falsa porta e volare verso la terra dove aveva vissuto. Di notte tornava a riposare nella mummia UCCELLO BA. FIGURA CHE RAPPRESENTA IL BA DEL DEFUNTO. PERIODO TOLEMAICO.

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

AKG / ALBUM

QUINTLOX / ALBUM

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IL GIOCO DEL SENET

Questa scena del Papiro di Ani mostra lo stesso Ani che gioca con sua moglie al popolare gioco da tavolo. Davanti a loro ci sono i rispettivi ba, con un cono di profumo in testa. British Museum.

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Questa statua, di dimensioni un po’ più grandi di quelle naturali e realizzata in legno, bronzo e resina nera, fu ritrovata nel 1922 insieme a un’altra molto simile, posta a guardia dell’ingresso della camera funeraria del faraone Tutankhamon, nella Valle dei Re. La statua ha il fazzoletto nemes in testa e l’ureo reale sulla fronte, e rappresenta il ka o respiro vitale del faraone, che poteva ospitare nel caso in cui la mummia fosse andata distrutta per qualche motivo.

STATUA DEL KA DI TUTANKHAMON


UCA DE L LDO ARA

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AL LAVORO AL POSTO DEL DEFUNTO

GLI USHABTI ERANO DELLE STATUETTE FUNEBRI CHE NELL’ALDILÀ SVOLGEVANO LE FACCENDE QUOTIDIANE PER IL DEFUNTO. VENIVANO CONSERVATI IN SCATOLE DIPINTE COME QUESTA. BRITISH MUSEUM.

N

EL MEDIO REGNO (III-II millen-

nio a.C.) s’iniziarono a inserire nel corredo funebre alcune statuette a forma di mummia che rappresentavano il defunto con degli attrezzi agricoli in mano. Ciò è dovuto al fatto che Osiride poteva chiedere ai morti di lavorare; da qui il nome di shauabti o ushabti, “risponditori”, con il quale venivano chiamate. Su di essi è inciso un testo con il capitolo VI del Libro dei morti, intitolato “Formula per far sì che gli ushabti compiano i lavori nella Necropoli”, che recita: «O ushabti [nome del defunto]! Se sono chiamato a compiere qualsiasi lavoro che dev’essere fatto nella Necropoli, [sappi] che il fardello ricadrà su di te […] Prendi tu il mio posto per arare i campi, riempire con acqua i canali e trasportare sabbia dall’ovest all’est».

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Questa statuetta rappresenta un sacerdote di Hathor che regge una bandiera della sua dea, la Signora dell’occidente. Museo egizio, Torino. SCALA

della notte rientrava all’interno del corpo mummificato per riposare. La credenza è espressa nella formula settantadue: «Se conosce questo testo sulla terra o se sarà trascritta sul suo sarcofago questa formula, egli potrà uscire al giorno in tutte le forme volute e potrà penetrare nella sua dimora senza essere respinto».

La felice eternità Nelle rappresentazioni erano raffigurate anche alcune delle più importanti divinità egizie, sedute sui loro troni e davanti a una grande tavola di offerte. Nel papiro dello scriba Ani e di sua moglie Tutu, sacerdotessa di Amon, vissuti ai tempi della diciannovesima dinastia, si trovano prima gli dei creatori del mondo e del cosmo secondo la tradizione della città di Eliopoli, quindi le divinità della cerchia di Osiride (sua moglie e sorella Iside; il loro figlio Horus e l’altra sorella Nefti). Inoltre c’è Hathor, una dea legata alla fertilità e chiamata Signora dell’occidente, ovvero il luogo in cui sorgono le necropo-

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li, in quanto è il punto cardinale dove il sole tramonta o muore. A chiudere la fila c’erano due divinità che incarnavano rispettivamente la parola divina capace di rendere reale ciò che si pronuncia (Hu) e la percezione o comprensione (Sia). Il capitolo centodieci del Libro per uscire nel giorno spiega in cosa consisterà il destino del defunto al termine di tutti questi passaggi: «Entrare e uscire nella Necropoli e […] giungere ai campi Iaru […] essere nei campi Hotep e nel Gran possedimento, favorito dalle brezze […] prendere ivi possesso ed essere un Glorificato, poter arare e mietere, mangiare e bere e compiere tutte le cose che si fanno in terra». ELISA CASTEL EGITTOLOGA

Per saperne di più

TESTI

Libro dei morti degli antichi egizi B. De Rachewiltz (a cura di). Edizioni Mediterranee, Roma, 1992. SAGGI

Peremheru. Il Libro dei Morti nell’Antico Egitto Peis Luca, Rolle Alessandro. LiberFaber, Monaco, 2014. Simboli dell’antico Egitto C. Desroches Noblecourt, D. Elouard. Lindau, Torino, 2016.

ARALDO DE LUCA

SACERDOTE DI HATHOR

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TOMBA DI SENNEDJEM

Questo artigiano, che aveva il titolo di Servitore del luogo della verità, è rappresentato con la moglie su una parete della sua tomba, nella necropoli di Deir el-Medina, mentre è intento ad arare i campi nell’aldilà dopo aver superato il giudizio degli dei.

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IL GIUDIZIO DAVANTI AGLI

ERICH LESSING / ALBUM

Questo papiro conservato al British Museum illustra la psicostasia o cerimonia della

IL DEFUNTO

LA BILANCIA

DAVANTI AGLI DEI

In qualità di guida delle anime il dio con la testa di canide Anubi prende per mano Hunefer, vestito di lino bianco, e lo accompagna alla sala delle due Maat, dove sarà giudicato per le sue azioni in vita.

Anubi controlla l’ago della bilancia per pesare il cuore collocato su uno dei due piatti. Sull’altro c’è la piuma di Maat. Ammit attende vigile il risultato, che viene registrato da Thot, con la testa di ibis.

Il defunto Hunefer è inginocchiato di fronte a una tavola di offerte, alla presenza di quattordici divinità guidate da Ra Horakhti, il sole dell’alba, che presiedono e controllano il giudizio.

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I

a

DEI, L’ULTIMA PROVA

pesatura del cuore dello scriba Hunefer, vissuto durante la XIX dinastia

GIUSTO DI VOCE

IL DIO DELL’OLTRETOMBA

ISIDE E NEFTI

Dopo aver superato il giudizio, Hunefer viene dichiarato “giusto di voce”, ottenendo così il diritto alla vita eterna. Il dio Horus lo conduce alla presenza del padre Osiride, signore dell’oltretomba.

Osiride è seduto in trono, in forma di mummia. Ha in mano il bastone e il flagello, simboli di potere. Davanti a lui, i quattro figli di Horus emergono da un loto per proteggere le viscere del defunto.

Dietro al trono di Osiride sono visibili le due sorelle, le dee Iside (che è anche sua moglie) e Nefti. Entrambe sorreggono il braccio di Osiride con una mano, alzando l’altra in segno di adorazione.

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MAPPE DEL TEMPO

La Galleria delle carte in Vaticano Dal 1580 papa Gregorio XIII fece decorare un lungo corridoio dei palazzi Vaticani con una serie di carte dell’Italia

SCALA, FIRENZE

voleva che il Vaticano prendesse parte alla rivoluzione cartografica fiorita nel Rinascimento. Sulle tele, di tre metri per quattro, oltre alla carta della regione è inclusa la pianta della città più importante della zona rappresentata. Alla fine della sala si trovano due mappe generali della penisola italiana: Italia Antiqua, con le denominazioni geografiche usate nell’antichità classica, e Italia Nova, con i toponimi moderni. Tutte le carte sono finemente disegnate e combinano i progressi cartografici dell’epoca con splendidi dettagli decorativi e colori che, dopo l’ultimo restauro, condotto tra il 2012 e il 2016, spiccano per ricchezza e fulgore.

L’Italia antica Come le altre carte, quella dell’Italia Antiqua è incorniciata da un orlo con classici motivi geometrici. Raffigura la regione compresa tra il lago Lemano a nord-ovest, la Sicilia a sud e le coste dell’Albania a est. Una targa ovale commemorativa occupa l’angolo superiore destro, mentre in quello inferiore sinistro compare una legenda rettangolare. Entrambe sono riccamente decorate con figure divine e umane. Sulla legenda appaiono VISTA DELLA GALLERIA DELLE CARTE, VATICANO.

SCALA, FIRENZE

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ei Musei Vaticani, lungo l’itinerario che conduce alla Cappella Sistina, a un certo punto del percorso ci si trova davanti a un impressionante corridoio di centoventi metri di lunghezza per sei di larghezza. Costruito dall’architetto Ottaviano Mascherino alla fine degli anni settanta del sedicesimo secolo, è conosciuto come“Galleria della carte geografiche”perché dal 1581 papa Gregorio tredicesimo ne fece decorare le pareti con delle mappe. Gli incaricati dell’impresa erano, tra gli altri, Girolamo Muziano, Cesare Nebbia, Mattia e Paolo Bril e Giovanni Antonio Vanosino da Varese. Il frate matematico, cosmografo e cartografo Ignazio Danti coordinò la realizzazione di quaranta mappe che rappresentano dettagliate cartine topografiche a grande scala delle diverse regioni e province d’Italia. Con questo imponente progetto il papa

le coordinate (latitudine e longitudine) di numerose città e di alcuni elementi geografici, e si fornisce una breve spiegazione della storia del territorio e dei suoi abitanti. Nella parte inferiore della legenda è inserita una scala grafica. Tra la penisola italiana e le isole di Corsica e Sardegna è visibile una rosa

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dei venti, dalla quale s’irradiano delle rette verso il resto del Mediterraneo. Nell’opera spiccano in particolare i vividi colori: il verde del paesaggio e il blu di mare, fiumi e laghi. La ricchezza cromatica è amplificata dalle grandi dimensioni della mappa. L’orografia è rappresentata con l’antico metodo “a

mucchi di talpa”, tecnica che consiste nel disegnare il profilo delle montagne viste dall’alto per dare una sensazione di rilievo. Il metodo, abituale all’epoca e in uso nella cartografia fino al diciasettesimo secolo, è qui realizzato con maestria grazie a un’ombreggiatura delicata e precisa dei monti e al ricorso

a differenti tonalità di verde. L’insieme produce un particolare effetto realistico: si ha quasi l’impressione di contemplare il territorio dall’alto mentre si è in volo, con le montagne illuminate da occidente. —Manuel Morato Moreno STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

Santiago: il pellegrino raggiunge la meta Un tempo, come oggi, il viaggio a Santiago di Compostela terminava con una serie di rituali nella cattedrale cittadina propria avventura dagli esiti incerti. E infatti in molti – tra questi i sacerdoti catalani Geribert e Bofill nel 1023, e Ramón Guillén nel 1057 – dettavano testamento prima di partire, disponendo la suddivisione dei beni nel caso in cui non fossero più tornati a casa.

Un duro viaggio Tra i pellegrini che arrivarono a Compostela prima del diciassettesimo secolo, Münzer non doveva essere l’unico a pensare tali cose sulla città e sui suoi abitanti: allora Santiago era un villaggio di casupole in legno e stradine sporche di fango. Durante il Barocco, invece, i visitatori entravano in una città che aveva sperimentato una grande trasformazione urbanistica, e il cui risultato fu il complesso monumentale giunto ai nostri giorni. A partire dal 1501 i pellegrini potevano riprendersi dalla fatica e dai problemi di salute dovuti alle lunghe camminate, piene di privazioni, presso

LE RELIQUIE SANTE TRA LE “santissime” reliquie di teste, gambe, piedi o mani custodite nell’apposita cappella, quella che più attirava l’attenzione era la testa decapitata dell’apostolo Giacomo il Maggiore, Santiago in spagnolo, conservata in uno contenitore costellato di pietre preziose, uno dei più grandi tesori della meta. CONTENITORE PER LA TESTA DELL’APOSTOLO GIACOMO. ORONOZ / ALBUM

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SFGP / ALBUM

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iamo arrivati a Compostela, che è circondata da grandi colline […] La città non è grande, ma antica sì, e ha un buon sistema di mura fortificate con diverse torri. La regione è davvero gradevole, e gli orti della città sono pieni di aranci, limoni, meli, peschi, ciliegi e altri alberi da frutta. Ma la gente di qui è sporca (hanno maiali, che vendono a poco prezzo) e pigra; non si cura troppo di lavorare la terra e vive soprattutto di quello che guadagna dai pellegrinaggi». In tal modo Hieronymus Münzer, originario di Norimberga, descrisse il suo ingresso a Santiago il 13 dicembre 1494. Forse sul suo giudizio pesarono le difficoltà del cammino, ben note nei territori tedeschi e cantate in melodie e motteggi come questo: «Chi vuole esser disgraziato / forza si faccia e venga con me / per i cammini di Santiago!». Perché senz’altro il cammino per Compostela costituiva una vera e

l’Hospital Real, fondato dai Re Cattolici e costruito nello stile plateresco da Enrique Egas. Per tre giorni l’ospedale offriva cure, riparo e assistenza a ogni pellegrino che avesse dimostrato di possedere la “compostela”, il certificato che ancora viene accordato a chi dimostra di aver svolto il pellegrinaggio nei termini stabiliti. Divenuto un hotel di lusso dal 1954, l’Hospital Real lasciava di stucco i visitatori: il teologo Bartolomé de Medina lo definì perfino «una delle più grandi cose nel mondo». Dopo aver soddisfatto i bisogni fisici più impellenti, i pellegrini si affrettavano a compiere una serie di rituali

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PELLEGRINAGGIO

a Santiago di Compostela. Incisione del XVIII secolo, opera dell’artista olandese Pieter van der Aa.

all’interno della cattedrale di Santiago; senza di questi non poteva considerarsi pienamente coronato il pellegrinaggio. Oltre a lavare il corpo era fondamentale purificare l’anima per ottenere la gran perdonanza, l’indulgenza plenaria di tutti i peccati. A tale scopo erano attivi nel tempio i confessori lenguajeros, una confraternita di preti poliglotti fondata nel quindicesimo secolo con sede nella cappella della Corticela, la più grande e antica della cattedrale, ancora oggi punto di riferimento per gli stranieri residenti a Compostela. Dopo la confessione si doveva ascoltare la messa e fare la comunione.

I riti di purificazione dell’anima e del corpo purificava l’anima del pellegrino, ma aveva un effetto opposto sulle sue vesti e sul suo corpo. La loro pulizia diveniva oggetto di diversi rituali associati simbolicamente all’arrivo a Santiago. Il viaggiatore poteva bruciare i capi usati nel

IL CAMMINO GIACOBEO

cammino ai piedi della CRUZ DE LOS HARAPOS (in galiziano cruz dos farrapos, croce degli stracci), oggi situata sul tetto del tempio. Nel Medioevo, prima di entrare nella cattedrale, il pellegrino poteva lavarsi nella grande FUENTE DEL PARAÍSO (oggi scomparsa), che si trovava vicino alla facciata

della Azabachería. Qui poteva rifornirsi anche di croci, rosari e altri AMULETI non sempre ortodossi (come le figas contro il malocchio) realizzati in giaietto, un mineraloide non originario di Compostela ma che, grazie a tale tradizione, è divenuto il simbolo della città.

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V I TA Q U OT I D I A N A

IL VOLO DEL BOTAFUMEIRO

ALAMY / CORDON PRESS

LA PIÙ ESAUSTIVA descrizione del complesso procedimento che permetteva al botafumeiro di “volare” lungo le navate della cattedrale la dobbiamo al prelato di corte Diego de Guzmán, che giunse a Santiago da Valladolid nell’anno santo del 1610 per compiere un voto del re Filippo III. De Guzmán annota sul suo diario che il botafumeiro, «anticaglia di quella Chiesa che è rallegrata dai giorni solenni» era strapieno di braci e, nel suo tragitto per la crociera, dava «colpi sulle alte volte», probabilmente per un errore di valutazione in uno dei vari restauri alla quale era sottoposta la struttura di sostegno. IL VOLO DEL BOTAFUMEIRO, SPINTO DAI TIRABOLEIROS, IN UN’IMMAGINE ATTUALE.

I pellegrini più scrupolosi si sottoponevano a ulteriori prove per verificare il loro stato di grazia; ad esempio passavano per un’apertura in una grande pietra collocata vicino alla cupola della cappella maggiore. Un’altra prova consisteva nel far rintoccare una certa campana. Secondo la tradizione, questa aveva suonato da sola quando, nella cittadina di Santo Domingo de la Calzada, l’apostolo Santiago (Giacomo) era intervenuto per salvare un

pellegrino. Questi, scambiato per un ladro, stava per essere impiccato ingiustamente.

pre l’atmosfera che si respirava nella cattedrale spronava al raccoglimento. Feijo sottolineò pure come la cattedrale fosse sia un luogo di culto sia Luoghi imprescindibili l’anticamera di affari o divertimenti, Racconti sui rituali vengono anche aggiungendo: «Nella chiesa c’è sempre dal napoletano Nicola Albani, un vero un vociare di gente che, secondo noi, e proprio esperto del cammino, per non è opportuno». Dopo aver visitato la tomba dell’ametà truffatore e per metà devoto, che giunse a Santiago nel novembre postolo e aver abbracciato la sua sta1743. La figura di Albani non doveva tua che presiede l’altare maggiore, era essere una rarità, se nell’opera Teatro il momento di ammirare il volo del crítico universal padre Benito Jeroni- botafumeiro, il gigantesco incensiere mo Feijoo segnalava: «Erano in molti i della cattedrale compostellana spinto furfanti con la mantella da pellegrino». dalle abili mosse dei tiraboleiros. UsaE in effetti, per dirla tutta, non sem- to in funzione più aromatizzante che liturgica, ben presto divenne un’attrazione che, dopo secoli, continua a destare meraviglia. Per ottenere la Il tempio risuonava di tanto ambita indulgenza si doveva continue grida e ispirava tutto inoltre attraversare la porta Santa, o fuorché raccoglimento del Perdono, senza dimenticarsi di dare una testata alla fronte del santo SCENA DELLA VITA DI SAN GIACOMO. PARTICOLARE DEL RETABLO DELLA CATTEDRALE. dos croques, il presunto autoritratto ORONOZ / ALBUM

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FACCIATA

XURXO LOBATO / GETTY IMAGES

dell’obradoiro della cattedrale di Santiago, davanti all’omonima piazza.

di Maestro Matteo inginocchiato ai piedi del portico della Gloria, la sua opera principale: a quanto pareva, lo scultore avrebbe così trasmesso la sua intelligenza e il suo ingegno.

Pregare davanti alle reliquie Il rituale proseguiva con la visita alla cappella del Rey de Francia, fondata nel 1447 da Luigi undicesimo quando era ancora principe: egli stesso aveva predisposto una rendita per il mantenimento della cappella a lui dedicata. In questo luogo, ricorda il sarto Manier, bisognava pregare davanti alle reliquie di san Fruttuoso, che nel dodicesimo secolo l’arcivescovo Gelmírez aveva portato da Braga assieme ad altre spoglie sacre, tra cui quelle di san Silvestro e di santa Susanna, conservate nella cappella delle reliquie. Non si poteva neppure fare a meno di toccare il bordone di Giacomo, che venne poi protetto all’interno di una

colonnina di piombo e bronzo dopo che alcuni avevano provato a staccarvi delle schegge. Ne fu testimone il nobile boemo Leo di Rozmital, che portò a termine il pellegrinaggio nel 1466. Il rituale giacobeo si concludeva con una sosta alla fonte dove, secondo la tradizione, si fermarono a bere i tori ammansiti che da Padrón a Compostela trainarono il carro con il corpo di Giacomo perché fosse sepolto in quello che allora era solo un bosco selvatico. La fonte aveva la fama di essere miracolosa, e pare che lì il beato Franco da Siena avesse recuperato la vista dopo essersi asperso gli occhi con l’acqua. Ancora oggi la fonte si trova alla fine della popolare Rúa do Franco, la famosa strada dei vini nel centro storico della città. L’austriaco Christoph Gunzinger, pellegrino nel 1655, racconta che muniti di sufficiente acqua, e anche di un po’ di vino, sia in corpo sia nelle zucche che fungevano da borracce, i

fedeli più agguerriti si recavano alla fine del mondo: Finis Terræ, il capo di Finisterre. Una volta lì s’inchinavano davanti al Cristo da barba dourada e visitavano l’eremo di san Guglielmo. Stando alla leggenda, quest’ultimo fu abitato dal duca Guglielmo decimo, padre di Eleonora d’Aquitania, probabilmente morto davanti all’altare di Santiago il venerdì santo del 1137. Osservare uno dei tramonti più belli in Occidente era senz’altro la conclusione migliore di un cammino disseminato di echi pagani opportunamente cristianizzati. —Xosé A. Neira Cruz Per saperne di più

GUIDE

Cammino di Santiago for dummies Simone Ruscetta. Hoepli, Milano, 2019. I cammini di Santiago Fabrizio Ardito. Touring club italiano, Milano, 2018.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA FOTO DEL MESE SNG130_032-033_Foto Del Mes_T_E.indd 32

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realizzata nel Regno Unito intorno al 1920, contiene un particolare insolito: oltre al figlio e alla moglie del defunto, è presente uno spirito. L’immagine fu ottenuta grazie alla tecnica della doppia esposizione, anche se i più ingenui pensarono all’apparizione di un fantasma provocata dalla materializzazione dell’ectoplasma, una sorta di energia psichica. Immagini di questo tipo costituirono un fiorente sottogenere fotografico all’inizio del XX secolo, momento di auge dello spiritismo – la credenza nella possibilità di comunicare con i morti, di cui il britannico William Hope, autore della foto, fu uno dei massimi rappresentanti.

QUESTA FOTO di una camera ardente,

PRESENZE ULTRATERRENE


DATO S TO R I CO

Il marciapiede, una reinvenzione del XVIII secolo Nel 1762 le autorità londinesi intrapresero una riforma delle strade per creare uno spazio riservato ai pedoni, separato dal traffico e dalla sporcizia

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amminare sul marciapiede è un fatto così comune al giorno d’oggi che ci si dimentica che anch’esso, come ogni altra cosa, ha la sua storia. Le rovine di Pompei testimoniano come già nell’antichità ci fossero strade con spazi pedonali rialzati, separati dal resto del traffico da un cordolo rinforzato con conci. Nelle città europee di epoca medievale e moderna, invece, le vie erano strade sterrate su cui animali e persone transitavano insieme. L’ideale romantico della passeggiata sui marciapiedi risale alle riforme urbanistiche del diciannovesimo secolo, in particolare a quella di Parigi sotto Napoleone terzo (1852-

1870). Ma a Londra negli anni sessanta del settecento era già stato inventato – o reinventato – il modello della via con marciapiede grazie al Paving and Lighting Act.

Strade sporche e buie Nel settecento Londra era un centro manifatturiero e la culla della rivoluzione industriale. I suoi quasi seicentomila abitanti ne facevano la città più popolosa d’Europa. L’attività mercantile alimentava il movimento di centinaia di carri e carrozze, così come gli spostamenti di commercianti e operai di ogni tipo – senza dimenticare la moltitudine di animali da tiro presenti sulle strade. Si formavano di continuo capannelli intorno a venditori ambulanti, manifestazioni politiche, esecuzioni, incendi o dispute tra vicini di casa. Gli ingorghi erano comuni. Nel 1749, ad esempio, se ne formò uno sul London Bridge che richiese tre ore di tempo affinché si ristabilisse una circolazione normale. Va poi ricordato che le strade erano pavimentate con ciottoli inadatti al traffico su ruote, e le buche e i tratti di terra battuta erano abituali. A passarsela peggio erano i pedoni, che dovevano serpeggiare tra le DUE PEDONI CAMMINANO SU UNA STRADA INGLESE SEPARATA DALLA CARREGGIATA DA UNA COLONNINA. INCISIONE DELLA FINE DEL XVIII SECOLO.

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LAMPIONE INGLESE. INCISIONE DEL XVIII SECOLO. BRIDGEMAN / ACI

pozzanghere e i cumuli di deiezioni animali e umane che venivano gettati sulle strade. Nei giorni di pioggia, che erano circa un centinaio l’anno, l’acqua mescolava tra loro questi elementi trasformandoli in una fanghiglia scivolosa praticamente impossibile da drenare. Nel 1765 un visitatore francese osservava che le strade della capitale britannica erano costantemente ricoperte di sporcizia e lastricate in modo tale che risultava un’impresa «trovare un punto su cui posare il piede». La mancanza di uno spazio pedonale delimitato faceva sì che persone e carri condividessero lo stesso piano stradale. Le uniche separazioni occasionali si trovavano di fronte a edifici importanti, ed erano costituite da una serie di paletti di legno a cui era possibile legare gli animali. I banchi dei venditori posti in mezzo alla strada rappresentavano un ulteriore ostacolo per i viandanti. Nel 1754 l’economista Joseph Massie e il gentiluomo John Spranger insorsero contro questa situazione richiedendo una riforma urbana che permettesse di camminare per strada con un minimo di comodità e igiene. Era necessario creare, affermavano, una rete di «nuove e magnifiche strade» pulite, lastricate e illuminate. Nel 1762 il parlamento britannico accolse la proposta e approvò una legge di

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LA PIAZZA di Hanover, a Londra, vista da una delle strade adiacenti intorno al 1775. Il marciapiede separa ormai il traffico su ruote dai pedoni. Acquerello di James Miller. Birmingham Museum and Art Gallery. BRIDGEMAN / ACI

pavimentazione e illuminazione per il distretto di Westminster, che nel 1766 fu estesa a tutta Londra.

Al riparo dagli schizzi Le quarantadue pagine e i novantadue articoli della normativa introducevano a Londra – e nell’Europa moderna – le vie con i marciapiedi oggigiorno così familiari. Per la prima volta i pedoni londinesi potevano camminare su una piattaforma ampia e ben pavimentata. Il rialzo permetteva alla gente di procedere al di sopra delle carrozze e del fango delle strade. Fu ordinato ai negozi di

rimuovere le loro merci dalla carreggiata e furono eliminati i paletti che ostacolavano il transito. Le lampade private vennero sostituite da un sistema comunale di lampioni a olio, precursore dell’illuminazione a gas. Per facilitare l’orientamento dei pedoni, si collocarono cartelli con il nome delle vie e il numero degli edifici. Il marciapiede divenne così un bene pubblico, protetto e regolamentato da leggi specifiche. Anche se le nuove disposizioni non furono applicate allo stesso modo o con la stessa rapidità in tutte le strade di Londra, ad appena quattro anni di

distanza la capitale britannica era già considerata «la città meglio pavimentata e illuminata d’Europa». Dopo aver visitato l’Inghilterra nel 1782, il tedesco Karl Philipp Moritz espresse la sua sorpresa di fronte alla possibilità di camminare tranquillamente sui marciapiedi londinesi: «Uno straniero apprezza i marciapiedi di pietre larghe che si estendono su entrambi i lati della strada: questi lo riparano dal temibile traffico di carri e carrozze e lo fanno sentire al sicuro, come se si trovasse nella sua stanza». —Manuel Saga STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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FORT VENUS, punto d’osservazione del transito di Venere a Tahiti. Disegno incluso nel resoconto di viaggio dell’assistente di Joseph Banks, Sydney Parkinson.

James Cook sulle tracce del transito di Venere Duecentocinquanta anni fa una missione scientifica giunse a Tahiti per osservare un raro fenomeno astronomico e misurare la distanza tra la terra e il sole

I

l 3 giugno 1769 il cielo di Tahiti eralimpido e sereno, e il sole colmava l’aria di caldo tropicale. A un’estremità della baia di Matavai un gruppo di britannici incrociava le dita perché il tempo non mutasse. Avevano attraversato metà del pianeta per osservare il sole e non potevano augurarsi condizioni meteorologiche migliori. In realtà i britannici avevano raggiunto Tahiti per studiare il passaggio del pianeta Venere davanti al sole, un moto conosciuto scientificamente come transito. Agli inizi del diciot-

tesimo secolo l’astronomo Edmund Halley aveva dimostrato che tramite la misurazione esatta dell’inizio e della fine del transito di Venere si sarebbe potuta individuare con notevole precisione la parallasse del sole, ovvero l’angolo con cui l’astro è visibile dalla terra; tale circostanza avrebbe permesso di calcolare la distanza tra la terra e il sole, nota come unità astronomica. Tuttavia, la misurazione non era certo un compito facile. Era infatti necessario che il fenomeno venisse registrato da diversi punti d’osservazione,

il più possibile lontani tra di loro, e a tal fine si sarebbero dovute coordinare più persone in tutto il pianeta. Non solo: il transito di Venere si verifica molto raramente, con intervalli di 8-121,58-105,5 anni. Dopo quello del 1639 bisognò attendere il 1761 perché ne avvenisse un altro. In quell’anno nel mondo si misero in viaggio diverse spedizioni. Si calcola che si dedicarono a un simile obiettivo duecento astronomi, purtroppo però in molti casi le cattive condizioni atmosferiche inficiarono il rigore dei

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EVENTO STORICO

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IN ATTESA DI VENERE

dati. Anche la Guerra dei sette anni (1756-1763), che ebbe luogo non solo in Europa, ma pure nelle colonie, rese ostica la raccolta dei dati. A ogni modo l’esperienza fece sì che otto anni dopo gli studiosi fossero più preparati. Il giorno per il quale era previsto il transito successivo, il 3 giugno 1769, astronomi di vari Paesi sfidarono ogni rischio pur di effettuare i rilevamenti. Per esempio i l f ra n ces e Jean-Baptiste Chappe d’Auteroche, che nel 1761

IL TRANSITO DI VENERE del 1769 destò grandi aspettative. Circolarono opuscoli informativi come quello che appare sopra queste righe, e diversi monarchi europei s’interessarono alla vicenda. A Londra Giorgio III d’Inghilterra fece costruire appositamente un osservatorio e la zarina Caterina II invitò vari astronomi a osservare il fenomeno da San Pietroburgo.

aveva osservato il transito dalla Siberia, nel 1769 si recò nella Bassa California, dove morì di tifo subito dopo aver portato a termine il lavoro. In totale ci furono settantasei punti d’osservazione in tutto il pianeta, anche se non tutti riuscirono a fornire i dati a causa del maltempo.

Verso l’isola di Citera Una delle istituzioni maggiormente coinvolte in questa missione fu la Royal Society di Londra. Nel 1767 al suo interno venne creato un Comitato per il transito di Venere, composto dai più importanti astronomi britannici. Il comitato decise d’inviare tre missioni:

Tahiti fu scelta per la posizione e per il carattere ospitale dei suoi abitanti QUADRANTE USATO DA COOK NELLE SUE OSSERVAZIONI A TAHITI.

una all’estremo nord della Norvegia, un’altra nella baia di Hudson, in Canada, e una terza nei mari del Sud. Proprio allora tornava in Inghilterra il capitano Samuel Wallis, il quale fece rapporto su un’isola del Pacifico che aveva chiamato Isola di re Giorgio. Alcuni mesi dopo il francese Bougainville giunse in quel luogo, che denominò Nuova Citera. Entrambi i navigatori avevano notato la cordialità degli indigeni, elemento fondamentale per poter effettuare le misurazioni senza problemi. Per questo la Royal Society decise che la terza missione si sarebbe diretta a Tahiti. A bordo dell’Endeavour, un robusto vascello mercantile, salpò un equipaggio di novanta uomini, ai quali si aggiunsero diversi scienziati. Tra questi si trovava Joseph Banks, un gentiluomo benestante esperto di piante, il botanico Daniel Solander e l’astronomo Charles Green. Al comando c’era il capitano James Cook, un esperto marinaio che aveva dato prova di ec-

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La misura del transito Il 3 giugno 1769, dopo l’alba, ebbe inizio a Tahiti il transito di Venere, che durò in totale circa sei ore. Alla destra di queste righe compare l’ingresso del disco di Venere nella circonferenza solare come fu osservato da Cook e dall’astronomo Charles Green. La sfida consisteva nel determinare con la maggior precisione possibile il momento in cui il disco di Venere avrebbe toccato la circonferenza solare, ma quando Cook e Green confrontarono le informazioni notarono una differenza di 17 secondi. «I nostri dati differivano molto più di quanto potessimo aspettarci» indicò Cook. TELESCOPIO RIFLETTORE (SOPRA) SIMILE A QUELLO USATO DA COOK A TAHITI. SINISTRA: BRIDGEMAN / ACI. DESTRA: SPL / AGE FOTOSTOCK

cezionali doti da cartografo e che possedeva inoltre notevoli conoscenze astronomiche. Il 13 aprile, dopo più di otto mesi di viaggio e circa sette settimane prima del transito, l’Endeavour calò l’ancora a Tahiti. In quell’intervallo di tempo gli europei ebbero modo di entrare in contatto con gli abitanti delle isole e si resero presto conto che questi avevano

una concezione tutta particolare della proprietà privata. Sul suo diario Cook raccontò come la curiosità dei nativi sembrava inesauribile ed era «difficile evitare che salissero sulla barca, mentre era ancora più complicato far sì che non rubassero tutto quello che era a loro portata». Non rubavano per fini di lu-

DONNE PER CHIODI L’EQUIPAGGIO di Cook comprò le donne locali a poco prezzo per ottenerne favori sessuali. La moneta di scambio furono chiodi di ferro. Le donne indigene erano affascinate da questo metallo, che non era presente nelle isole. UNA LOCALE TAHITIANA ACCOGLIE JAMES COOK. BRIDGEMAN / ACI

cro, bensì quasi fosse una monelleria; e anche se spesso restituivano quanto avevano preso, l’abitudine divenne in poco tempo spiacevole. La prima volta che i britannici scesero a terra, per esempio, si ritrovarono circondati da una folla di curiosi taitiani e, al ritorno sul vascello, il botanico Solander e il medico Monkhouse si accorsero di non avere più con sé un cannocchiale e una scatolina di rapè (tabacco da fiuto). Per effettuare le misurazioni gli europei decisero allora di costruire un accampamento. Fort Venus era difeso da una palizzata in legno e al centro vi venne montata una tenda con gli strumenti scientifici. Cionono-

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EVENTO STORICO

L’osservatorio.

Cook montò una tenda in cui dispose la strumentazione necessaria per effettuare i rilevamenti, come l’orologio astronomico che si può vedere nell’incisione.

TRANSITO DI VENERE L’8 GIUGNO 2004 OSSERVATO DA WANDELBURG (GERMANIA).

FOTO: SPL / AGE FOTOSTOCK

stante il 2 maggio mancava a rapporto il quadrante di bronzo, fondamentale per la missione. Venne recuperato di lì a poche ore, ma Cook raddoppiò la guardia al forte per proteggere meglio i preziosi utensili.

Altre esplorazioni Finalmente giunse il giorno prestabilito. Temendo qualche ostacolo meteorologico, il metodico Cook mandò in altri punti dell’arcipelago due gruppi con i telescopi. Uno si diresse nella vicina isola di Moorea. Joseph Banks raccontò che, dopo aver disposto gli strumenti su un’altura, aspettarono sulla spiaggia l’arrivo del re dell’isola, Tarroa, e del suo seguito. Europei e indigeni si scambiarono dei regali in una cerimonia formale: Banks offrì un turbante di tela indiana, che srotolò a terra; in cambio ricevette un maiale, un cane, pane e alcuni frutti. Una

volta eseguita la misurazione, Banks tornò a Fort Venus assieme a Tarroa, alla sorella e ad altri capi dell’isola di Moorea e «gli mostrammo il pianeta sopra il Sole e gli facemmo capire che eravamo venuti per quello scopo». Le osservazioni si svolsero in condizioni meteorologiche ideali, eppure ciò non evitò che si ripresentasse un problema già riscontrato dagli astronomi nel 1761. Difatti Cook, Solander e Green, ognuno con il proprio telescopio, riconobbero una specie di «atmosfera od ombra oscura attorno al corpo del pianeta» che «si mosse alquanto durante i momenti di contatto» con il perimetro del sole. Il cosiddetto“effetto della goccia nera”si verifica quando Venere penetra dentro il disco solare e i bordi di entrambi gli astri si sfumano alla vista dell’osservatore. L’effetto, rilevato pure dagli altri astronomi sparsi per il mondo, inficiò in parte l’accura-

tezza dei calcoli. Obbedendo ad alcune istruzioni segrete che aveva tenuto per sé, Cook portò avanti la spedizione verso luoghi ancora inesplorati, fino alla Nuova Zelanda e all’est dell’Australia. L’Endeavour fece ritorno in Inghilterra nel 1771. Le osservazioni di Cook e dei suoi compagni di viaggio sul transito di Venere, unite a quelle di altri astronomi, fornirono interessanti risultati. Gli scienziati calcolarono che la distanza tra la terra e il sole era di 150.839.256 chilometri. Si sbagliarono di poco, di un misero 0,8 percento, rispetto al valore reale: 149.597.871 chilometri. —Jordi Canal-Soler Per saperne di più

SAGGI

Giornali di bordo nei viaggi d’esplorazione James Cook. TEA, Milano, 3 vv., 2007-2009.

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ANIMALI NELLA STORIA

Esibite negli zoo privati di re e principi e durante le fiere, le scimmie erano il simbolo dell’uomo che, peccando, diventa ridicolo e spregevole

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al dodicesimo secolo l’apertura delle rotte commerciali con il Vicino Oriente fece sì che giungessero nell’Europa cristiana numerosi animali esotici. Tra questi alcune specie di scimmie: la bertuccia di Gibilterra, facilmente riconoscibile perché senza coda; il babbuino originario dell’Egitto; i cercopitechi africani con la coda e, infine, i macachi e i colobi dell’India. L’interesse per le scimmie risale all’antichità classica e l’attrazione per i primati nel Medioevo è testimoniata sia dalla letteratura e dall’arte sia dal

UN UOMO INTERAGISCE CON UNA SCIMMIA INCATENATA. RILIEVO DELLA CATTEDRALE DI BAYEUX. XII SECOLO.

rinvenimento di resti ossei in diversi siti archeologici. Le scimmie venivano spesso esposte nei precursori degli zoo moderni, le ménageries, o collezioni di animali in cattività, che re e principi facevano costruire nelle loro tenute per ostentare ricchezza e dimostrare le ottime relazioni con gli altri regni: gli animali venivano scambiati come regali diplomatici. Alfonso sesto (1040 circa-1109), per esempio, omaggiò il re della taifa di Albarracín con una bertuccia di Gibilterra. Le scimmie erano inoltre animali da compagnia. Alcuni autori del dodice-

M. URTADO / RMN-GRAND PALAIS

Risa e peccato: la scimmia nel Medioevo SCIMMIA IN CATENE. ARAZZO LA DAMA E L’UNICORNO. XV SECOLO. MUSEO CLUNY, PARIGI.

simo secolo ricordano che, malgrado l’estrema bruttezza di questi primati, numerosi nobili e alcuni membri del clero possedevano delle scimmie addomesticate, che venivano spesso tenute legate per il collo o la vita tramite un guinzaglio o una corda; a volte erano incatenate a una parete, a pesanti blocchi di pietra o a palle da carcerati. Tutto ciò per impedire gli eccessi come quello della famosa scimmia che nel 1288 distrusse un documento dell’avo del suo padrone, il duca di Borgogna, e con quello il sigillo di ceralacca. Le scimmie da compagnia ispirarono pure qualche malevolo sospetto: si raccontava che un conte ligure dell’undicesimo secolo possedesse una scimmia maschio, Maimo, in tale intimità con la moglie da mantenere con lei rapporti carnali.

Scimmie da fiera

UIG / ALBUM

Le scimmie giocavano un ruolo particolare anche in alcuni numeri degli spettacoli itineranti che offrivano i giullari. Tali scimmie ammaestrate – le cosiddette “scimmie da fiera” – erano capaci d’ imitare, anche se in modo grottesco, azioni umane come montare a cavallo, ballare, camminare su una fune o partecipare a finte battaglie contro altri animali. E questo porta a un’ulteriore forma di passatempo di cui le scimmie erano protagoniste con frequenza: la lotta tra animali. Per

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ALINARI / RMN-GRAND PALAIS

UNA SCIMMIA raccoglie le pere e due dame attendono i frutti. Codice del XIV secolo. Biblioteca nazionale d’Austria, Vienna.

l’occasione veniva attrezzata una sorta di stadio: contro la scimmia, legata a un palo centrale, venivano aizzati dei cani feroci. A volte la povera bestiola aveva un’arma a disposizione, ma i cani finivano comunque per dilaniarla tra le risate degli spettatori. Un monaco inglese del dodicesimo secolo, William Fitz Stephen, ci ha lasciato una testimonianza sugli spettacoli invernali di Londra: «Nella fossa di Westminster tenevano una scimmia, una grande attrice, che si batté con un segugio. Il primate ricevette un palo, ma nessuna

scimmia, se non le più grandi, ha la benché minima speranza di sopravvivere contro un cane da combattimento».

Monito per i peccatori Entrata a far parte gradualmente della quotidianità europea dal dodicesimo secolo in poi, la scimmia cominciò a essere percepita in modo diverso. Se fino ad allora incuteva timore perché considerata l’incarnazione del demonio, ora invece era vista quale specchio meschino e deformato dell’uomo. Per questo divenne il monito contro diver-

si peccati, dall’usura fino alla lussuria. Nell’arte si utilizzavano tali animali per simboleggiare finanche i dannati all’inferno. In un trattato scritto verso il 1147 e intitolato Cosmographia, il filosofo francese Bernardo Silvestre sosteneva infatti che, se gli uomini rifiutano la salvezza di Dio e si abbandonano ai peccati della carne, «scendono al livello delle scimmie, umane nella forma, ma ridicole e spregevoli in ogni loro azione». —Monica Anna Walker Vadillo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

Il Barone Rosso, padrone dei cieli Eroe per i tedeschi e incubo per gli Alleati, Manfred von Richthofen divenne l’aviatore più temuto della storia grazie alle ottanta vittorie riportate nella Prima guerra mondiale

Una vita dedicata all’esercito 1892 Manfred von Richthofen nasce in Slesia. Dopo il diploma di cadetto, entra nel primo reggimento di Ulani nel 1912.

1915 Insoddisfatto dei compiti di ricognizione che gli sono assegnati durante la guerra, decide di arruolarsi nelle forze aeree.

1916 Entra nella squadriglia di Boelcke dopo aver superato l’esame da pilota. Il 17 settembre ottiene la sua prima vittoria ufficiale.

1917 Divenuto una leggenda, assume il comando del principale squadrone tedesco. A luglio è gravemente ferito.

1918 Muore per un colpo di artiglieria nemica il 21 aprile, dopo essere penetrato in territorio alleato. DAGLI ORTI / AURIMAGES

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anfred Freiherr (“barone”) von Richthofen nacque il 2 maggio 1892 a Breslau (l’attuale Breslavia, in Polonia), in seno a un aristocratico casato tedesco. Seguendo la tradizione militare della famiglia, nel 1912 entrò come cadetto nel primo reggimento di Ulani (cavalieri). All’inizio della Grande guerra partecipò ad alcune azioni di ricognizione; poi, nel 1915, fu mandato a Verdun. Lo stallo del fronte e la guerra di trincea misero fine alle sue missioni a cavallo. Insoddisfatto della mancanza di azione, in primavera si arruolò nelle neonate forze aeree come osservatore, un incarico molto simile a quello che aveva precedentemente svolto a terra. Dopo alcuni mesi di operazioni di ricognizione sul fronte orientale, tornò in Francia, dove effettuò il suo primo combattimento aereo contro un paio di velivoli nemici. Uno riuscì a fuggire, ma Richthofen abbatté l’altro, anche se la vittoria non gli venne mai accreditata ufficialmente. Poco dopo conobbe Oswald Boelcke, all’epoca il più grande asso dell’aviazione tedesca, che fece

una profonda impressione su di lui, in quanto rappresentava tutto ciò che avrebbe voluto diventare. Convinto che pilotare un caccia monoposto fosse l’esperienza più simile a quella della cavalleria in cui era stato cresciuto fin da bambino, Manfred riuscì a convincere Boelcke a dargli lezioni di volo. Fu così in grado di sostenere l’esame da pilota, che superò al secondo tentativo. Alla fine di dicembre 1915 ottenne finalmente l’ambito titolo.

Agli ordini del suo idolo Le prime missioni di Richthofen come pilota non avevano nulla a che fare con le battaglie aeree che avevano innalzato alla categoria di idoli nazionali alcuni aviatori come Max Inmelmann o lo stesso Boelcke. Si trattava semplicemente di attaccare le linee nemiche sul fronte orientale a bordo di un biposto. Ma durante una visita d’ispezione in Russia, Manfred rivide Boelcke, che lo invitò a unirsi alla Jasta 2. Le squadriglie di caccia o Jagdgstaffel (da cui l’abbreviazione Jasta) erano state create da Boelcke per distruggere i caccia nemici e assumere il controllo del nuovo fronte aereo. La Jasta 1 fu costituita il 23 agosto 1916; una settimana più tardi nacque la Jasta 2 – capitana-

Oswald Boelcke rappresentava tutto ciò che Richthofen voleva diventare MOTORE DEL TRIPLANO DEL BARONE ROSSO. IMPERIAL WAR MUSEUM, LONDRA.

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ARISTOCRATICO TIMIDO E ATTRAENTE MANFRED von Richthofen era considerato molto attraente, anche se con la sua statura di 1,71 m non aveva certo il fisico imponente di suo fratello minore Lothar, che misurava più di 1,80 m. Abituato fin da piccolo alla pratica degli sport tipici della nobiltà, Manfred era un ottimo cavaliere. Quando iniziò a volare era in perfetta forma fisica e godette sempre di buona salute. Il suo carattere schivo non gli impedì di diventare molto popolare, soprattutto in virtù del suo successo con le donne, dovuto probabilmente al connubio tra il suo aspetto gradevole e il fascino che circondava i piloti. MANFRED VON RICHTHOFEN, IL BARONE ROSSO, IN UNA FOTO A COLORI DEL 1917. SUL PETTO È VISIBILE LA CROCE POUR LE MÉRITE. BRIDGEMAN / ACI

ta proprio da Boelcke e addestrata a combattere in gruppo secondo delle regole che lui stesso aveva formulato – e seminò il panico tra gli Alleati. Inizialmente Manfred si limitava a ricevere istruzioni e consigli dall’esperto Boelcke; poi, il 17 settembre, al comando di un Albatros D.I e con solo due giorni di volo su quel modello, ottenne la sua prima vittoria riconosciuta: Richthofen entrò nella scia di un F.E.2b britannico e con delle raffiche di mitragliatrice uccise l’osservatore e ferì mortalmente il pilota, che riuscì comunque a eseguire un atterraggio di

fortuna su un prato. Il tedesco atterrò accanto a lui e, commosso, eresse sul posto una lapide in suo onore, quindi decollò nuovamente e fece ritorno alla base di Bertincourt, dove disse semplicemente a Boelcke: «Un inglese abbattuto». Manfred aveva già ottenuto sei vittorie quando, il 28 ottobre di quello stesso anno, il comandante della Jasta 2 morì. Boelcke perse il controllo del proprio aereo nel corso di un combattimento ravvicinato, fu accidentalmente investito da un altro Albatros e si schiantò. La squadriglia

fu ribattezzata Jasta Boelcke in onore del capo caduto in battaglia. Il 23 novembre Richthofen vinse uno dei suoi scontri più importanti. Fu un combattimento con l’asso britannico Lanoe G. Hawker, che aveva al suo attivo sette trionfi ed era stato decorato con la Victoria Cross. I caccia di Richthofen e Hawker iniziarono una vertiginosa discesa da tremilacinquecento metri di altitudine nel tentativo di prendere la scia dell’avversario, considerata la posizione d’attacco più favorevole. A poche centinaia di metri da terra, il tedesco riuscì finalmente a STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

LE OTTO REGOLE FONDAMENTALI

SCIENCE SOURCE / ALBUM

RICHTHOFEN si atteneva ai dettami di Boelcke: 1. Garantirsi una posizione migliore prima di attaccare. 2. Portare a termine un attacco cominciato. 3. Aprire il fuoco solo a distanza ravvicinata, e solo quando l’avversario è sotto tiro. 4. Cercare di tenere d’occhio l’avversario. 5. Attaccare da dietro. 6. Non aggirare l’attacco. 7. Quando si è sulle linee nemiche, ricordarsi sempre la rotta per la ritirata. 8. Agli Squadroni: attaccare in gruppo. Nei combattimenti individuali, non concentrarsi in molti su un solo avversario. MANFRED VON RICHTHOFEN NELLA CABINA DI UN CACCIA, IN DATA INDETERMINATA.

mettersi alle spalle di Hawker e colpì con una raffica di mitra il suo aereo, che si schiantò dietro le linee tedesche. Dopo aver abbattuto sedici nemici in meno di quattro mesi, nel gennaio del 1917 ricevette la prestigiosa decorazione tedesca Pour le Mérite e assunse il comando della Jasta 11. Poco dopo decise di dipingere il suo

Albatros D.III quasi interamente di rosso, in modo che i suoi piloti potessero riconoscerlo facilmente. L’aprile di quell’anno suggellò la superiorità aerea dei tedeschi sugli Alleati e fu ribattezzato dagli inglesi “aprile di sangue”: gli inglesi persero circa 150 velivoli, di cui quarantaquattro solo il quarto giorno. Nell’intero mese

LA CONSACRAZIONE IL 4 GENNAIO 1917 Manfred von Richtho-

fen ottenne la sua sedicesima vittoria aerea. Otto giorni più tardi ricevette la massima onorificenza militare del suo Paese: l’ordine Pour le Mérite. Il 14 dello stesso mese assunse il comando della Jasta 11. MEDAGLIA POUR LE MÉRITE, DETTA ANCHE BLAUER MAX.

PETER NEWARK / BRIDGEMAN / ACI

Richthofen fece ventun vittime, lasciandosi definitivamente alle spalle le quaranta vittorie del suo mentore, Boelcke, e diventando il più grande asso tedesco. Questo ritmo frenetico si arrestò solo a maggio: Manfred usufruì di un permesso durante il quale fu accolto come eroe in numerose località, ebbe diversi incontri con il Kaiser e dettò la sua biografia, che divenne un immediato successo editoriale. Tornato in servizio, a fine giugno ottenne la sua cinquantatreesima vittoria al comando di un nuovo modello di Albatros, il D.V., anch’esso di colore scarlatto, motivo per cui gli alleati lo ribattezzarono il “Diavolo Rosso”. Il 24 giugno 1917 l’esercito tedesco raggruppò le Jasta 4, 6, 10 e 11 nel Jagdgeschwader 1, uno squadrone di oltre cinquanta aerei agli ordini di Richthofen che aveva la missione di «raggiungere e mantenere la superiorità aerea»

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IL TRIPLANO Fokker Dr.I del

JOSÉ ANTONIO PENAS / SPL / AGE FOTOSTOCK

Barone Rosso. Nell’illustrazione si può apprezzare la struttura mista dell’apparecchio, che coniugava acciaio e legno.

nei settori critici del fronte. Il 6 luglio, durante una delle prime missioni di questa nuova unità, Richthofen affrontò due piloti inglesi e fu colpito alla testa da un proiettile che lo lasciò momentaneamente cieco e semicosciente. Con grande sforzo riuscì a riprendere il controllo dell’aereo, atterrò e uscì dal velivolo un attimo prima di perdere definitivamente i sensi.

Ferito ma non abbattuto La più plausibile delle ipotesi sull’origine del proiettile vuole che sia stato sparato da un aereo tedesco che volava perpendicolarmente a quello di Richthofen; uno dei tanti casi di “fuoco amico”, che spesso risultava altrettanto se non più pericoloso di quello nemico. Si rese necessario un delicato intervento al cranio per rimuovere le schegge del proiettile, e la ferita fu lasciata aperta per favorirne la progressiva cicatrizzazione. Il 16

agosto, pur non ancora in perfette condizioni, Richthofen fece ritorno al fronte e abbatté un Nieuport. In quel periodo iniziò a rientrare completamente esausto da ogni missione e bisognoso di lunghe ore di riposo. Il 28 agosto 1917 il Jagdgeschwader 1 ricevette il primo triplano Fokker Dr.I. L’incarico di valutare il nuovo aereo fu assegnato a Richthofen e al suo luogotenente Werner Voss, un pilota eccezionale che avrebbe raggiunto le quarantotto vittorie riconosciute. Con questo triplano di prova il Barone Rosso abbatté due avversari. La prima vittoria (che fu anche la prima con il nuovo velivolo) fu contro un biposto britannico R.E.8, che probabilmente scambiò l’aereo tedesco per un triplano alleato e gli permise di avvicinarsi a soli cinquanta metri di distanza. Furono sufficienti una ventina di colpi per uccidere l’osservatore e ferire il pilota, che riuscì fortunosamente a

effettuare un atterraggio forzato. Due giorni più tardi Richthofen abbatté un Sopwith Pup, uno dei migliori caccia alleati, al termine di una lunga battaglia in cui danneggiò il motore dell’aereo britannico, obbligando anche in quel caso il pilota a un atterraggio di fortuna. In seguito il Barone fu costretto a prendersi un permesso per rientrare in Germania, sia per motivi politici – era ormai un eroe e una figura mediatica – sia per ragioni di salute. Tornato in servizio in ottobre, si mise ai comandi della versione definitiva del triplano, con cui avrebbe ottenuto diciassette vittorie. A poco a poco recuperò le sue abilità precedenti, al punto che il marzo del 1918 divenne il secondo mese più fruttuoso della sua carriera: solo il 27 ottenne tre vittorie. Quando si scatenò la Kaiserschlacht, l’offensiva tedesca di primavera sul fronte occidentale, lo squadrone del Barone Rosso svolse un ruolo importante. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

SEPOLTURA DEL BARONE

I coloratissimi velivoli della sua unità, soprannominata dagli avversari il “circo volante”, eseguivano manovre spettacolari e dagli esiti letali, attenendosi alle regole dettate da Boelcke e riuscendo spesso a conquistare una posizione di vantaggio da cui attaccare l’avversario. Oltre a dedicarsi ad allungare la sua lista di trionfi,

BRIDGEMAN / ACI

Gli Alleati organizzarono per il loro nemico un funerale militare con tutti gli onori.

Richthofen seguiva con attenzione la formazione dei suoi uomini. Da quando aveva ripreso servizio non perdeva occasione di offrire consigli e discutere le missioni con loro. A volte li aiutava ad abbattere gli aerei nemici, per permettergli di acquisire esperienza e fiducia in sé stessi, anche se ciò andava a scapito del computo

delle proprie vittorie. Il 24 marzo, nel pieno dell’offensiva tedesca, il Barone Rosso fu coinvolto in una durissima battaglia contro alcuni SE5A, i velocissimi e manovrabili caccia inglesi, abbattendone uno. Nel corso della settimana seguente distrusse altri sette aerei. Il 20 aprile ottenne le sue ultime due vittorie nell’incredibile tempo di cinque minuti.

L’ultimo volo

FUNERALE DI STATO LA NOTIZIA DELLA MORTE di Richthofen fu diffusa il 23 aprile tramite una nota della Reuters. In assenza del corpo, la famiglia organizzò una cerimonia a Berlino il 2 maggio – il giorno in cui avrebbe compiuto 26 anni. Vi parteciparono diversi membri del suo squadrone e numerose personalità tedesche. IL NECROLOGIO DEL BARONE ROSSO PUBBLICATO DALLA FAMIGLIA. AKG / ALBUM

Il 21 aprile il Barone Rosso era in volo sul suo triplano quando s’imbatté in una formazione di biplani alleati. Riuscì a mettersi nella scia di un aereo nemico, ma le sue mitragliatrici s’incepparono ripetutamente, costringendolo a prolungare l’inseguimento. Ben presto si ritrovò a sorvolare le trincee avversarie, dov’e-

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PERSONAGGI STRAORDINARI

IL CIRCO VOLANTE

PETER NEWARK / BRIDGEMAN / ACI

L’UNITÀ diretta da Richthofen fu soprannominata “circo volante” per i colori vivaci con cui i suoi membri dipingevano i velivoli, imitando il loro capo. C’erano aerei «rosso vivo» o «viola prugna», uno «giallo con la coda nera», un altro «mezzo blu, mezzo giallo», come dichiarava un membro della Jasta 11, e tutti erano capaci di manovre spettacolari. Un giornalista tedesco paragonò i velivoli a terra a dei «giganteschi insetti dai colori sgargianti, una sorta di sciame di farfalle con le ali spiegate, in attesa di alzarsi in volo […] I diversi segni sulla fusoliera sono chiaramente visibili in cielo e permettono ai piloti di riconoscersi facilmente tra loro». L’ULTIMO VOLO DEL CAPITANO BARONE VON RICHTHOFEN. LITOGRAFIA, 1920.

rano dislocate alcune unità australiane che spararono numerosi colpi di artiglieria. Uno di questi risultò fatale: gli attraversò il torace e raggiunse la spina dorsale dopo avergli perforato l’aorta. Richthofen riuscì a eseguire un atterraggio forzato. L’impatto al suolo proiettò il suo corpo in avanti, contro le mitragliatrici dell’aereo, causandogli diverse fratture al volto. Ma a quel punto era già morto a causa di una grave emorragia interna. Il suo corpo fu raccolto dai soldati australiani e sepolto con tutti gli onori militari a Bertangles, una piccola cittadina nel dipartimento della Somme. Aveva venticinque anni e ottanta vittorie omologate al suo attivo. La propaganda alleata attribuì inizialmente la sua morte a un pilota britannico, Roy Brown, che avrebbe abbattuto il Fokker rosso di Manfred mentre questi era impegnato nell’inseguimento di un altro aereo della squadriglia nemica.

Ma in realtà a mettere fine alla leggenda del Barone Rosso fu un colpo fortuito sparato da terra. La sua morte suscitò una forte commozione in Germania.

Nasce una leggenda Manfred von Richthofen è considerato il pilota più temibile della storia, ma è ricordato anche per il modo nobile di comportarsi con i nemici. Non sono mancati i detrattori che l’hanno accusato di essere un aviatore mediocre e narcisista, che cercava facili vittorie e veniva incensato dalla propaganda tedesca. Ma anche se probabilmente ci furono piloti più abili di lui, come Voss o suo fratello Lothar von Richthofen, Manfred era dotato di qualità eccellenti. Le sue azioni erano guidate da un profondo senso del dovere, aspetto caratteristico della nobiltà tedesca, anche se i metodi da lui utilizzati non differivano da quelli degli altri assi. Non si accaniva mai sui nemici che ab-

bandonavano il combattimento o che erano costretti a un atterraggio forzato. La sua tattica consisteva nell’entrare nella scia dell’avversario con il sole alle spalle, avvicinarsi a meno di cinquanta metri e abbatterlo con le mitragliatrici di bordo, non sempre affidabili: una manovra pericolosa, che costò la vita a molti piloti. Richthofen si atteneva ai dettami di Boelcke, le otto regole fondamentali dei combattimenti aerei. E di fatto perse la vita proprio applicando con eccessivo scrupolo la seconda: «Portare sempre a termine un attacco che si ha cominciato». —Juan Vázquez García Per saperne di più

SAGGI

Il barone rosso. La vita e le imprese di Manfred von Richthofen Peter Kilduff. Mondadori, Milano, 2003. Il “circo volante” Richthofen Greg van Wyngarden. LEG, Gorizia, 2014.

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GRANDI INVENZIONI

La prima macchina calcolatrice 1623

L’astronomo tedesco Wilhelm Schickard inventò un dispositivo che permetteva di effettuare calcoli aritmetici in modo meccanico e quasi istantaneo, tramite un sistema d’ingranaggi. Ma il suo apparecchio non riuscì ad affermarsi

I

l primo dispositivo meccanico per il calcolo ebbe origine dal lavoro noioso e ripetitivo degli astronomi, che dovevano compilare interminabili tabelle con le posizioni dei differenti corpi celesti. Chi si dedicava a lavori di questo tipo era abituato a usare strumenti come l’astrolabio, un congegno che poteva svolgere varie funzioni quali determinare la longitudine e la latitudine degli astri oppure l’ora locale. Per facilitare l’esecuzione delle operazioni aritmetiche c’erano anche gli abachi e i “bastoncini di Nepero”, la cui invenzione è attribuita al matematico scozzese Giovanni Nepero intorno all’inizio del diciasettesimo secolo. Ma tutti questi sistemi richiedevano comunque delle conoscenze matematiche

GRANGER / AURIMAGES

di base e un continuo intervento da parte della persona che li utilizzava. Infatti nessuno di essi era dotato di un meccanismo capace di eseguire i calcoli in modo automatico. Nel 1623 Wilhelm Schickard, professore di lingua ebraica e poi di astronomia all’Università di Tubinga (Germania), concepì per la prima volta uno strumento di questo tipo. Schickard era anche un esperto meccanico e incisore, abilità che gli permisero d’ideare il cosiddetto orologio calcolante (Rechenuhr). Di questo progetto si è saputo solo nel ventesimo secolo, quando ricercatori che lavoravano a un archivio delle opere di Giovanni Keplero ritrovarono casualmente all’interno delle Tavole rudolfine (il catalogo astronomico pubblicato dallo studioso tedesco nel 1627) una lettera di Schickard con uno schizzo della macchina. Sulla base di queste indicazioni si è tentato di ricostruirne il funzionamento. Schickard e Keplero avevano molti interessi in comune, soprattutto in relazione alle tecniche di calcolo. Probabilmente fu questo uno degli argomenti di cui parlarono quando s’incontrarono in Germania. Schickard si concentrò sul progetto del suo orologio calcolante e nel 1623 scrisse una lettera a Keplero in cui affermava: «Ciò che tu hai fatto per mezzo del calcolo, io l’ho tentato con la meccanica. Ho concepito una SCHIZZO DELLA CALCOLATRICE DI SCHICKARD REALIZZATO DALL’AUTORE STESSO E SCOPERTO NEL XX SECOLO.

macchina composta da una serie di undici ruote dentate complete e sei incomplete. Una volta immessi dei numeri, esegue in modo istantaneo e automatico operazioni quali addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione». Nel 1624 Schickard rivelava all’astronomo tedesco nuovi dettagli della sua invenzione e gli inviava dei disegni, dei quali si è conservato solo quello menzionato in precedenza.

Ruote e ingranaggi Secondo tali indicazioni, l’orologio calcolante era suddiviso in due parti. Quella superiore funzionava in modo analogo ai bastoncini di Nepero e poteva eseguire moltiplicazioni, divisioni e radici tramite un sistema di asticelle che si muovevano orizzontalmente. La parte inferiore ospitava un sistema completamente meccanizzato per effettuare addizioni e sottrazioni. Va tenuto presente che il sistema di Nepero aveva un limite: moltiplicando ad esempio un numero di una cifra per uno di tre cifre, si ottenevano come risultato tre numeri distinti (uno per le centinaia, uno per le decine e uno per le unità) che andavano poi sommati con i metodi tradizionali. Il modello di Schickard permetteva di eseguire questo passaggio in modo meccanico. Sostanzialmente l’orologio calcolante era dotato di un sistema di ruote e ingranaggi che permetteva di registrare il riporto nelle operazioni di addizione. Quando la prima ruota,

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AC I

Y/ AM

AL

WILHELM SCHICKARD. RITRATTO DEL PROFESSORE NEL 1632. UNIVERSITÀ DI TUBINGA.

MACCHINE PER SOMMARE E SOTTRARRE 1617 Giovanni Nepero propone un metodo di calcolo basato su dei regoli che riportano i primi nove multipli di un numero.

1623

ALAMY / ACI

Schickard crea una macchina capace di eseguire meccanicamente calcoli aritmetici. L’invenzione viene distrutta da un incendio.

RIPRODUZIONE della calcolatrice di Schickard basata sui suoi appunti e disegni.

colatrice di cui si sia conservato l’esemplare originale. Ne furono creati vari prototipi ma lo strumento non riuscì mai a superare la fase di prova in quanto presentava una serie d’inconvenienti che nella pratica lo rendevano poco funzionale. I tentativi di Pascal contribuirono comunque in modo essenziale ai successivi progressi tecnologici e nel 1851 Thomas de Colmar riuscì a costruire la prima calcolatrice comodamente utilizzabile nella vita di tutti i giorni.

Blaise Pascal presenta la sua Pascalina, un prototipo di calcolatrice che non avrà mai grande utilità pratica.

1960 Grazie agli schizzi ritrovati tra le carte di Keplero viene costruita una replica della macchina calcolatrice di Schickard. I BASTONCINI DI NEPERO (SOTTO). SCATOLA CON IL METODO IDEATO DAL MATEMATICO SCOZZESE, 1700 CIRCA.

Y IMA

L’orologio calcolante di Wilhelm Schickard archeocomputing.wordpress.com/ tag/wilhelm-schickard/

GETT

Per saperne di più

GES

—Víctor Guijarro Mora

SPL /

che aveva dieci denti, eseguiva un giro completo e tornava al punto di partenza, la seconda ruota (che corrispondeva alle decine) faceva uno scatto in avanti. Lo stesso avveniva con le centinaia, le migliaia, ecc. Secondo quanto emerso dalla corrispondenza con Keplero, Schickard costruì un prototipo della macchina, che andò però distrutto in un incendio. Nel 1960 ne sono state realizzate delle ricostruzioni elaborate sulla base degli schizzi del suo creatore. Una ventina di anni dopo l’invenzione dell’orologio calcolante, il filosofo e matematico Blaise Pascal progettò e supervisionò la produzione della sua Pascalina (1642), che costituisce la prima macchina cal-

1642

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AT T UA L I T À

UNIVERSITÄT TÜBINGEN, ESCIENCE CENTER

UN GRUPPO di archeologi scava tra le rovine di un palazzo mitanni rimasto in bella vista sotto la diga di Mosul.

VICINO ORIENTE

La siccità nel Kurdistan iracheno ha permesso di trovare un’antica costruzione

N

el 2010 un periodo di siccità nel Kurdistan iracheno ha fatto sì che le acque della diga di Mosul si ritirassero, mostrando delle antiche rovine. La mancanza di mezzi e le difficoltà negli scavi allora riscontrate hanno ritardato i lavori fino al 2018, quando una siccità ancor più grave ha lasciato in bella vista i resti della costruzione. Archeologi curdi e tedeschi dell’Università di Tubinga hanno iniziato a occuparsi della zona e sono giunti alla conclusione che si tratta di

un complesso di circa tremila quattrocento anni fa, appartenuto all’impero mitanni, un popolo che dominò gran parte della Mesopotamia e della Siria tra il quindicesimo e il quattordicesimo secolo a.C. L’edificio aveva mura in mattoni crudi il cui spessore arrivava a due metri. Al suo interno compaiono almeno otto locali, che sono stati parzialmente scavati. Secondo gli archeologi è un ritrovamento che consentirà di approfondire quanto finora noto su questa civiltà ancora poco studiata.

resti di pitture murali in vivide tonalità di rosso e azzurro, come si può vedere sopra queste righe. Gli archeologi credono che sia un ritrovamento sorprendente poiché non è abituale che i pigmenti si conservino così a lungo, tanto più dopo essere rimasti tanti anni sotto l’acqua. Un’altra scoperta importante è quella di dieci tavolette in cuneiforme, una delle quali sembra confermare che qui si trovasse l’antica città di Zakhiku, citata in una fonte del 1800 a.C. circa.

UNIVERSITÄT TÜBINGEN, ESCIENCE CENTER

Un palazzo sotto le acque

SU ALCUNE pareti del palazzo si conservano i

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AT T UA L I T À

Zona della mappa

Isole Orkney

Regno Unito

Irlanda

Skara Brae Cuween Hill

Kirkwall

Mar del Nord

ALLA FINE dell’Età della pietra le isole Orcadi videro il fiorire di un’importante civiltà che costruì tumuli funerari di varie camere, tra cui la tomba di Cuween Hill e altri complessi come Skara Brae e la “Tomba delle aquile”. DOUGH HOUGHTON/ALAMY

Tomba delle aquile Scozia

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10 mi 10 km

NG MAPS

I TRATTI DEL CANE CHE VIVEVA SULLE ISOLE ORCADI INTORNO AL 2500 A.C. SONO STATI RICOSTRUITI GRAZIE A MODERNE TECNOLOGIE FORENSI. HISTORIC ENVIRONMENT SCOTLAND

PREISTORIA

La vita dei cani scozzesi nell’Età della pietra La tecnologia ha rivelato l’aspetto dei cani del Neolitico che 4.500 anni fa vivevano nelle isole Orcadi, a nord della Scozia

U

n gruppo di ricercatori ha ricostruito in Scozia la testa di un cane di 4.500 anni fa, un animale che probabilmente svolgeva un ruolo importante nelle comunità locali dell’Età della pietra. Il risultato è stato

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ottenuto applicando le più moderne tecnologie forensi ai resti canini rinvenuti più di un secolo fa in una tomba neolitica dell’arcipelago delle Orcadi. In questo modo è stato possibile creare un’immagine realistica dell’animale che verosimil-

mente faceva compagnia agli isolani dell’Atlantico settentrionale intorno al 2500 a.C. L’intervento, considerato la prima ricostruzione facciale canina forense, è un progetto congiunto di Historic Environment Scotland (HES) e del Museo nazionale scoz-

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AQUILE E CERVI

zese, e ha richiesto più di un anno di lavoro. I resti provenivano da una tomba venuta alla luce nel 1901 a Cuween Hill, sull’isola di Mainland (la più grande delle Orcadi). Nel sito, datato tra il 3000 e il 2400 a.C., sono state ritrovate le ossa di ventiquattro cani e cinque scheletri umani. I cani non furono probabilmente i primi “ospiti” di quella tomba. La datazione al radiocarbonio dei resti degli animali indica infatti che sarebbero vissuti circa cinquecento anni dopo la costruzione del primo tumulo. La testa del ca-

PARETI INTERNE DELLA CAMERA FUNERARIA IN MURATURA A SECCO.

OSSA DI AQUILA DI MARE EUROPEA RITROVATE NELLA “TOMBA DELLE AQUILE”, A SOUTH RONALDSAY (ORCADI). RISALGONO ATTORNO AL 2400 A.C.

SOPRA E SOTTO: DAVID LYONS/ALAMY

SOPRA E SOTTO : DAVID LYONS/ALAMY

ne, della taglia approssimativa di un grande pastore scozzese, è stata ricostruita grazie a tecniche di tomografia computerizzata e modellazione. Sebbene all’epoca i cani fossero già addomesticati in Europa da migliaia di anni, la ricostruzione mostra che quello di Cuween conservava ancora dei tratti del lupo.

Totem canino Dal momento della loro scoperta quegli scheletri non hanno smesso di sconcertare gli esperti. «Così come avviene oggi, i cani avevano chiaramente un

ruolo di primo piano nelle Orcadi del Neolitico; infatti erano addestrati e impiegati come animali domestici e da guardia, e forse venivano usati dagli agricoltori per vigilare le pecore», spiega Steve Farrar, direttore di HES. Il fatto che i resti siano stati rinvenuti in una tomba indica che quegli animali non avevano un mero ruolo pratico. «Il ritrovamento di Cuween Hill», prosegue Farrar, «suggerisce che i cani avessero un significato speciale per gli agricoltori della zona che usarono le tombe circa 4.500 anni fa. Probabilmente erano con-

siderati una sorta di simbolo o di totem. Forse gli isolani ritenevano di essere “il popolo dei cani”». Nel corso dell’Età della pietra il ventoso arcipelago delle Orcadi ospitò una civiltà di notevole importanza. La presenza di cani a Cuween non è un fatto isolato; resti di animali sono stati trovati anche in altri siti delle isole circostanti. Gli esperti di Historic Environment Scotland sottolineano che probabilmente la cultura neolitica locale riteneva che l’aldilà non fosse un destino riservato esclusivamente agli umani. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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RAYCOOPERMAN/GETTY IMAGES

L’INGRESSO DELLA TOMBA DI CUWEEN HILL.

CUWEEN HILL non è l’unico sito delle isole Orcadi dove sono stati trovati resti di animali. Sull’isola di Rousay c’è un tumulo funerario contenente le carcasse di 36 cervi depositati accanto a ossa umane. Su un’altra isola, South Ronaldsay, si può vedere il tumulo di Isbister, meglio conosciuto come “Tomba delle aquile”. Fu scoperto negli anni ’50 del secolo scorso da un agricoltore che si stupì di trovarvi dentro una trentina di teschi e molta ossa umane. L’esplorazione del sito ha rivelato che insieme a questi resti c’erano anche le ossa di circa 14 aquile di mare europee. Gli uccelli risalivano allo stesso periodo dei cani di Cuween Hill e, come i loro omologhi canini, assumevano probabilmente un certo significato simbolico per la comunità locale.

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