00133
FUNERALI IMPERIALI A ROMA
NARMER
IL PRIMO FARAONE D’EGITTO
COPERNICO
LA RIVOLUZIONE DEL COSMO
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L’ORIGINE DELLE SPECIE
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periodicità mensile
VITA IN UN MONASTERO MEDIEVALE
N. 133 • MARZO 2020 • 4,95 E
storicang.it
AMAZZONI
LE GUERRIERE DELL’ASIA CENTRALE
DARWIN
EDITORIALE
VI HA CERTAMENTE DEL GRANDIOSO in queste considerazioni sulla vita
e sulle varie facoltà di essa, che furono in origine impresse dal Creatore in poche forme od anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità, si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite forme, vieppiù belle e meravigliose». Con queste parole si chiude L’origine delle specie di Darwin. Pubblicato esattamente centosessant’anni fa, il libro spiegava la straordinaria varietà della vita sulla terra senza ricorrere ad alcun principio che non fosse contenuto nella vita stessa. Secoli prima anche Copernico e Galilei avevano preferito lasciare da parte il soprannaturale nella loro interpretazione della meccanica celeste. Quando svelano i misteri del mondo, gli scienziati sembrano lasciarci soli con esso. Se siamo una delle tante specie che hanno popolato il pianeta, cosa c’è di così unico in noi? E se questo pianeta è uno dei miliardi che compongono la nostra galassia, la Via Lattea, cos’ha di tanto speciale? La scienza sembra mettere in discussione l’idea che la nostra esistenza abbia un significato, ma, in realtà, gliene conferisce uno: viviamo sulla Terra. Possiamo goderci l’azzurro della volta celeste, il fruscio della brezza nel bosco, il sorriso eterno del mare e della neve che volteggia sulle cime. Ma questa bellezza non è infinita né di nostra proprietà. La condividiamo con gli altri esseri che abitano il cielo, le montagne, gli oceani. Questo è il senso – uno dei possibili sensi – della nostra vita: prenderci cura di noi e di loro, di questo mondo e dell’ammaliante diversità che tanto affascinava Darwin. Lasciare tanta vita quanta ne abbiamo trovata, proteggendola per le generazioni future. Perché non esiste un pianeta di riserva.
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8 GRANDI INVENZIONI
Orgoglio grasso
Gädicke e Miethe idearono una miscela di polvere di magnesio che permetteva di scattare fotografie nei luoghi più bui.
Per molto tempo essere grassi era indice di uno status elevato e di una vita di piaceri, anche se i medici già allertavano sui rischi dell’obesità.
10 PERSONAGGI STRAORDINARI
Jane Dieulafoy, l’esploratrice travestita Indossava abiti maschili per superare i limiti imposti dal fatto di essere donna. Fu soldata in guerra, viaggiatrice e archeologa.
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16 DATO STORICO
Riviste di moda, un’invenzione del XVII secolo Durante il regno di Luigi XIV Le Mercure galant pubblicava notizie sulle ultime mode alla corte di Versailles e nell’alta società di Parigi.
18 MAPPA DEL TEMPO
La mappa della colonia britannica dell’India 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
20 VITA QUOTIDIANA
L’arrivo del flash
120 GRANDI SCOPERTE
La tomba della regina Hetepheres a Giza Nel 1925 l’archeologo statunitense George Reisner identificò ai piedi della Grande piramide di Cheope la tomba intatta della madre del faraone.
126 LIBRI E MOSTRE
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40 AMAZZONI, LE GUERRIERE DELL’ASIA CENTRALE SECONDO alcune recenti
scoperte archeologiche di tombe di donne sepolte con armi, le intrepide guerriere delle steppe dell’Asia centrale, che tanto affascinavano i greci, non furono una semplice leggenda. Le loro appassionanti avventure erano note a uomini, donne e bambini già intorno all’ottavo secolo a.C., all’epoca dell’Iliade omerica. DI ADRIENNE MAYOR
QUESTO DIPINTO DECORA IL COSIDETTO “SARCOFAGO DELLE AMAZZONI”. LA SCENA MOSTRA DUE GUERRIERE NOMADI CHE SCONFIGGONO UN GRECO.
26 Narmer, il primo faraone d’Egitto Più di cinquemila anni fa un sovrano dell’Alto Egitto di nome Narmer annetté al proprio regno le città del delta occidentale del Nilo. Questo evento diede origine al primo grande stato territoriale della storia. DI JOSEP CERVELLÓ AUTUORI
56 Funerali imperiali a Roma Nell’antica Roma la morte degli imperatori era accompagnata da un complesso rituale che li preparava a salire in cielo come nuovi dei. DI LUCÍA AVIAL-CHICHARRO
72 La vita di un monaco nel Medioevo
102 Darwin e l’origine delle specie Nel 1859 fu pubblicata a Londra un’opera destinata a rivoluzionare la storia della scienza e che contraddiceva alcuni dei dogmi fondamentali del cristianesimo. DI FRANCISCO PELAYO
Nei monasteri medievali la giornata era scandita da preghiere, pasti e, a seconda degli ordini monastici, lavoro e brevi momenti di svago. Quello stile di vita austero rappresentava uno dei massimi ideali dell’uomo medievale. DI JOSEMI LORENZO ARRIBAS
88 Copernico e la rivoluzione del cosmo L’astronomo che cambiò radicalmente la nostra visione del cosmo, rimuovendo la terra dal centro dell’universo, era un chierico polacco estremamente riservato che elaborò la sua teoria in gran segreto. DI ERNEST KOWALCZYK
NANDÙ SCOPERTO DA DARWIN. LA NUOVA SPECIE PRESE IL NOME DI RHEA DARWINII .
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LE GUERRIERE DELL’ASIA CENTRALE
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FUNERALI IMPERIALI A ROMA NARMER
IL PRIMO FARAONE D’EGITTO
COPERNICO LA RIVOLUZIONE DEL COSMO
VITA IN UN MONASTERO MEDIEVALE MONACI IN PREGHIERA. UN GRUPPO DI MONACI AGOSTINIANI DURANTE LA PREGHIERA. OPERA DEL MAESTRO DI TOLENTINO. SECOLO XIV. FOTO: DEA / SCALA, FIRENZE
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Pubblicazione periodica mensile - Anno XII - n. 133
RICARDO RODRIGO
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GRANDI INVENZIONI
E luce fu: nasce il flash al magnesio
ALAMY / CO
RDON PRES
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1887
I tedeschi Gädicke e Miethe idearono una miscela di polvere di magnesio che provocava un potente lampo e permetteva di scattare fotografie nei luoghi più bui
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ALPHA STOCK / ALAMY / CORDON PRESS
in dagli esordi della fotografia, permessa dai primi dagherrotipi del 1837, ci si pose il problema di scattare immagini in condizioni di luce naturale scarsa. Né le candele né le lampade dell’epoca (a gas, a petrolio o ad arco elettrico) producevano un’illuminazione sufficiente e adeguata. La soluzione sembrò risiedere nel magnesio, un composto chimico la cui combustione provocava un potente lampo istantaneo. Verso il
1860 esisteva già un procedimento per ottenere magnesio allo stato puro, eppure s’ignorava quale fosse la miscela adatta a usarlo come flash. I fotografi provarono diverse formule mescolando nitrati, zolfo, solfuri e perfino polvere da sparo, la quale a volte dava luogo a esplosioni pericolose, perfino mortali. Non solo: si originava spesso una veloce fiammata più o meno luminosa che, se usata in ambiente chiuso, riempiva il locale di fumate tossiche e odori sgradevoli. Alla fine, nel 1887 i tedeschi Gädicke e Miethe trovarono la formula efficace e stabile di una miscela infiammabile di magnesio, divenuta subito popolare con il nome di Blitzlichtpulver (polvere di flash). Il composto conteneva trenta parti di magnesio puro, mescolate a sessanta parti di clorato di potassio – apportava l’ossigeno necessario ad alimentare la fiamma – e a dieci di solfuro di antimonio. Quest’ultimo era il catalizzatore che MINATORE AL LAVORO. È UNA DELLE PRIME FOTOGRAFIE SCATTATE CON IL FLASH.
8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
SCATOLE DI NASTRO DI MAGNESIO USATE COME FLASH FOTOGRAFICO AGLI INIZI DEL XX SECOLO.
accelerava la combustione in modo tale che la fiamma durasse circa un trentesimo di secondo. Aggiungendovi una piccola parte di sali minerali quali sodio, litio o calcio, si poteva far risaltare la scala dei grigi, ovvero il contrasto dei toni sul negativo. Un grammo del composto, che poteva essere preparato a mano senza pericolo, era sufficiente a realizzare un ritratto. Con quattro grammi s’illuminava un teatro intero.
Una formula sicura Nel 1888 Gädicke e Miethe ottennero il brevetto della loro formula in Austria e Germania e pubblicarono una guida pratica per lavorare con la luce di magnesio, guida che ben presto ebbe risonanza sulla stampa specializzata. Nel brevetto della miscela inclusero anche un utensile: una scatola di lamiera con un lato in vetro e un condotto a valvola per far fuoriuscire i gas della combustione. Un simile sistema era molto più sicuro di quelli usati fino ad allora, perché per bruciare le diverse miscele di polvere di magnesio si ricorreva a ogni sorta di contenitore, perfino una semplice padella, con notevoli rischi sia per il fotografo sia per il fotografato. Il composto divenne popolare subito e si applicò a un gran numero di campi. Per esempio nel 1888 il professore tedesco H. Cohn scattò a scopo
WHA / AGE FOTOSTOCK
INCISIONE DI UN BRUCIATORE CON POLVERE DI MAGNESIO CHE ALIMENTAVA LA FIAMMA QUANDO SI STRINGEVA LA PIPA. XIX SECOLO.
FLASH DEL 1888.
Il fotografo spolvera il magnesio puro sulla fiamma soffiando attraverso il tubo, mentre scopre l’obiettivo della macchina fotografica. Lo schermo serve per riflettere la luce. AKG / ALBUM
DALLA POLVERE AI FLASH A LAMPADINE 1860 S’inizia a usare il magnesio come fonte di luce artificiale, anche se la miscela può esplodere ed essere pericolosa.
1888 Johannes Gädicke e Adolf Miethe brevettano una formula di polvere di magnesio sicura ed efficace per fungere da flash.
1891 Si sviluppano i primi flash che usano l’elettricità di pile secche come fonte di combustione.
1925-1929 possibilità era quella di soffiare la polvere di magnesio puro su una fiamma attraverso un tubo o, più facilmente, tramite una pera pneumatica. Si fabbricarono pure delle pistole a cartucce di magnesio con il rischio, però, che le persone in posa confondessero i colpi con degli spari veri. Alla fine dell’ottocento si sarebbe sviluppata la lampadina di flash di magnesio, dalla caratteristica forma a T: veniva azionata elettricamente, e compare in molti film di Hollywood. —Daniel Sánchez Torres
ADOLF MIETHE FOTOGRAFATO ATTORNO AL 1925.
AKG / ALBUM
clinico le prime fotografie della retina e dei nervi ottici. Il 1889 fu l’anno delle prime foto notturne sulla scena del crimine, elemento che aprì nuove opportunità ai giornalisti di cronaca. Grazie all’accessibile costo del magnesio e alla pericolosità relativamente bassa del composto, comparvero presto numerosi dispositivi per il flash. Uno di questi era costituito da nastri di cotone o di cellulosa impregnati di polvere di magnesio puro, che si compravano a rotoli e potevano essere impiegati all’interno di una scatola; a mano a mano si sfilava l’estremità che ardeva e produceva il lampo. Un’altra
I tedeschi Vierkötter e Ostermeier sviluppano flash a lampadine, presto messi in commercio.
PERSONAGGI STRAORDINARI
Jane Dieulafoy, l’esploratrice travestita L’avventuriera francese si vestì con abiti maschili per superare i limiti imposti dal fatto di essere donna. Fu soldata in guerra, viaggiatrice in Persia e archeologa a Susa
Avventure tra due guerre 1851 Jeanne M. nasce a Tolosa il 29 giugno. Nel 1870 sposa Marcel Dieulafoy e prende parte con lui alla guerra franco-prussiana.
1881-1884 Viaggia in Persia con il marito senza sostegno ufficiale e documenta fotograficamente gli antichi monumenti.
1884-1886 Va in missione ufficiale a Susa, nell’attuale Iran, con Marcel. Dirige il recupero dei fregi dei leoni e degli arcieri.
1916 Jane muore il 25 maggio per le malattie contratte in Marocco, dove aveva seguito Marcel allo scoppio della Grande guerra.
N
All’inizio del conflitto Jane mostrò subito il suo carattere indomito e disinvolto: non esitò a indossare l’uniforme dei franchi tiratori dell’esercito francese per stare accanto al marito, che si era arruolato in qualità di capitano del genio militare. Fu questa probabilmente la prima occasione in cui indossò abiti da uomo. La cosa era socialmente malvista e poteva essere fatta solo con una debita autorizzazione. Jane ne fece richiesta e ricevette una risposta positiva. Amava le avventure e i viaggi, considerati all’epoca una prerogativa esclusivamente riservata Dal convento al fronte agli uomini. L’abbigliamento maschiJeanne Paule Henriette Rachel, detta le non solo era più comodo di quello Jane, era nata nel sud della Francia nel femminile, ma le assicurava anche di 1851 da una ricca famiglia borghese di passare più inosservata. Tra il 1873 e il 1878 Marcel e Jane Tolosa, i Magre. Era la più giovane di cinque figli; l’unico fratello maschio, visitarono l’Egitto e il Marocco: gli il maggiore, era scomparso in Spagna. interessi di Marcel non erano quelli di In un certo senso Jane crebbe come il un tipico orientalista. Era stato infatti figlio che tanto mancava ai suoi ge- nominato responsabile dei monunitori. Studiò nel convento dell’As- menti storici di Tolosa dall’architetto sunzione di Auteil, dove diede prova Viollet-le-Duc (grande conoscitore di del suo talento artistico. Lo lasciò nel arte medievale e celebre per i restauri 1869 e conobbe un giovane ingegne- di Notre Dame a Parigi e di Carcassonre tolosano, Marcel, da poco tornato ne) che lo aveva incoraggiato a studiare dall’Algeria. Si sposarono nel maggio le relazioni tra l’arte antica del Vicino del 1870, poco prima dello scoppio Oriente e quella islamica medievale. Furono queste ricerche a portare la della Guerra franco-prussiana. el 1885 due francesi attraversano la Persia per raggiungere Susa. Uno di loro è Marcel Dieulafoy, incaricato dal governo transalpino di effettuare scavi nell’antica capitale dell’impero achemenide. Ad accompagnarlo c’è una persona agile e bassa di statura, con i capelli corti e un fucile a tracolla, che indossa pantaloni, stivali e un caschetto coloniale. La cosa non sarebbe affatto insolita se fosse un uomo. Ma si tratta invece di una donna: sua moglie Jane.
Una notte Jane percorse un centinaio di chilometri sola a cavallo, alla ricerca di un medico che potesse curare Marcel GIORNALE DEGLI SCAVI DI SUSA, EDITO DA HACHETTE. 1888. AKG / ALBUM
ENSBA / RMN-GRAND PALAIS
FAMOSA, ELEGANTE E DETERMINATA
coppia a Susa, città dell’antica Persia, un sito che era stato esplorato dall’inglese Kennett Loftus tra il 1850 e il 1852. Di comune accordo con Jane, Marcel decise di abbandonare il suo lavoro d’ingegnere per intraprendere la carriera archeologica.
In terra persiana Marcel e Jane iniziarono il loro viaggio nel febbraio del 1881. S’imbarcarono a Marsiglia, passarono per la Grecia e per Istanbul e attraversarono il mar Nero su un’imbarcazione russa fino a raggiungere la città di Poti. Di lì in poi
decisero di proseguire a cavallo, senza scorta. Arrivarono a Susa nel gennaio del 1882. Grazie al suo travestimento da uomo Jane poté attraversare regioni dove la presenza di una donna senza velo e a cavallo avrebbe provocato un grave scandalo. Ingannò tutti, dai ladri allo stesso sovrano persiano, lo scià Nasser al-Din, che non le credette quando lei gli confessò di essere una donna. Il primo soggiorno in Persia fece emergere le molteplici sfaccettature della personalità di Jane. In primo luogo la sua ben nota audacia. L’esploratrice dovette affrontare scorpioni,
DOPO ESSERE RIENTRATA dalla Persia nel 1886, Jane Dieulafoy svolse un’intensa attività intellettuale indipendente da quella del marito Marcel come scrittrice, conferenziera e giornalista. Fu tra le promotrici del premio Femina e fece parte della giuria della sua prima edizione. Il prestigioso riconoscimento letterario era nato in risposta alla mancata premiazione della scrittrice Myriam Harry da parte dei giurati del Goncourt in quanto donna. La tipica mise di Jane era costituita da pantaloni maschili, una giacca dal taglio impeccabile e una camicia in percalle bianco. JANE DIEULAFOY SEDUTA NEL SUO STUDIO ALLA FINE DEL XIX SECOLO.
tarantole, zanzare, pidocchi e attacchi di febbre. Una notte percorse un centinaio di chilometri da sola a cavallo per raggiungere Teheran alla ricerca di un medico che potesse curare Marcel. Jane ebbe inoltre modo di praticare la fotografia, un’arte di cui fu tra le pioniere, ritraendo le città e la loro gente, soprattutto le donne. Il suo lavoro in questo campo andò ben oltre l’ambito pittoresco o antropologico: Jane immortalò i monumenti che incontrò sul suo cammino, e furono le sue immagini a illustrare i cinque volumi dedicati all’arte antica persiana che STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
CUMULI DI MATTONI
FREGIO DEGLI ARCIERI (PARTICOLARE) IN MATTONI SMALTATI, PROVENIENTE DAL PALAZZO DI DARIO I A PERSEPOLI. VI SECOLO A.C.
AL MOMENTO DEL RITROVAMENTO
H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS
PULIZIA DEI MATTONI DEL FREGIO DEI LEONI. INCISIONE BASATA SU UNA FOTO DI JANE. LE TOUR DU MONDE, 1887.
Marcel pubblicò tra il 1884 e il 1889. Inoltre la donna si rivelò anche una scrittrice straordinariamente dotata. In Persia tenne un diario di viaggio che uscì con grande successo su Le Tour du Monde, una rivista francese di viaggi. Di fatto fu una delle prime scrittrici a dedicarsi a questo genere, che per altro non fu l’unico di suo interesse.
Infatti successivamente scrisse anche romanzi storici come Parysatis (1890), sull’antica regina persiana Parisatide, da cui lei stessa trasse un libretto poi musicato dal compositore Camille Saint-Saëns e trasformato in un’opera. Dopo il rientro a Parigi, grazie alle sue ricerche Marcel riuscì a ottenere il sostegno di Louis de Ronchaud, di-
AMORE E CAMARADE JANE E MARCEL si amavano, e lei espresse in varie
occasioni il rammarico di non avere avuto figli. Per riferirsi l’uno all’altra usavano il termine francese camarade (compagno/a), che denota un profondo senso di amicizia e solidarietà. Marcel sopravvisse quattro anni alla morte di Jane, rinchiuso in un inconsolabile dolore.
RIM
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L’INGEGNERE E ARCHEOLOGO MARCEL DIEULAFOY, MARITO DI JANE. AU
ROGER VIOLLET / AURIMAGES
i fregi dei leoni e degli arcieri non erano altro che cumuli informi di mattoni. Jane s’incaricò di restaurarli e di contrassegnarli per il loro successivo assemblaggio, al fine di riportare al pieno splendore le imponenti decorazioni del palazzo di Dario I.
12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
rettore dei Musei nazionali. Nel 1884 i Dieulafoy ripartirono per Susa, questa volta a capo di una missione ufficiale sotto il patrocinio del Louvre e del ministero della pubblica istruzione francese. Due nuovi compagni si unirono alla spedizione: Charles Babin, un ingegnere civile responsabile della contabilità, e Frédéric Houssay, un naturalista che si sarebbe incaricato d’inviare al Louvre le 327 scatole di reperti raccolti. Da parte sua lo scià autorizzò gli scavi in cambio di una parte delle opere ritrovate, soprattutto manufatti d’oro e d’argento. Gli esploratori s’insediarono nei pressi delle rovine degli antichi palazzi di Susa e assunsero all’incirca trecento operai. Gli scavi iniziarono nel febbraio del 1885 e terminarono nel 1886, ma dovettero essere interrotti per alcuni mesi a causa delle tensioni con la popolazione locale. Questa era convinta che
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PERSONAGGI STRAORDINARI
RUE DES ARCHIVES / ALBUM
JANE DIEULAFOY nella necropoli reale persiana di Naqsh e-Rostam, tra il 1884 e il 1886, davanti a due altari del fuoco zoroastriani del periodo sasanide.
i cristiani stessero scavando la tomba del profeta Daniele. Jane monitorò i lavori e catalogò gli oggetti rivenuti, tutti risalenti all’epoca del sovrano Dario primo (522-486 a.C.), sotto il quale l’impero persiano si era espanso dal Pakistan alla Grecia. La prima grande scoperta fu un fregio in mattoni smaltati, appartenuto al palazzo reale, che raffigurava dei leoni. Dopo quel ritrovamento Jane assunse la direzione degli scavi nella zona. Qualche settimana più tardi apparvero dei frammenti di colonne che dovevano originariamente raggiungere i ventun metri di altezza ed erano dotate d’imponenti capitelli a forma di testa di toro, anch’essi danneggiati. Un giorno gli operai smisero improvvisamente di scavare e iniziarono ad agitare nervosamente le braccia. Avevano appena scoperto il famoso fregio degli arcieri persiani. Al termine dei lavori, una trentina di muli e più di quaranta cam14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
melli trasportarono quarantacinque Nel 1914, allo scoppio della Prima tonnellate di reperti fino alla nave Sané, guerra mondiale, Marcel si trasferì che li avrebbe recapitati in Francia. in Marocco in qualità di ufficiale del genio militare. Jane lo accompagnò a Gli ultimi anni Rabat, dove diresse gli scavi della moUna volta raggiunta la capitale francese, schea di Hassan, ma si ammalò mentre Jane diresse i lavori di restauro dei fregi si batteva per migliorare le condizioni e la loro collocazione al Louvre. La sua di vita della popolazione locale. Colpita fama e quella di Marcel crebbero con da bronchite, oftalmia e dissenteria, l’inaugurazione delle sale persiane del la donna tornò in Francia nel 1915. museo (le sale Dieulafoy), avvenuta il Morì nel maggio del 1916 nel castello 20 ottobre 1886 alla presenza del presi- di Langlade, all’età di sessantaquattro dente della repubblica Sadi Carnot, che anni, mentrele truppe francesi stavano condecorò Jane con la Legione d’onore combattendo nella sanguinosa battaper il suo contributo agli scavi di Susa. glia di Verdun. Dopo il rientro dalla Persia non in- —Raúl Sánchez Vivó, Arnaud Déroche dossò mai più abiti femminili. Né lei né Marcel fecero ritorno a Susa, e la loro TESTO attenzione si concentrò sulla Spagna, Per sous le voile saperne L’Orient che consideravano una sorta di “altro J. Dieulafoy. Phébus, Parigi, 1990. di più SAGGIO Oriente” e visitarono molte volte tra Jane Dieulafoy, il 1888 e il 1914. Jane scrisse anche une vie d’homme E. et J. Gran-Aymeric. Perrin, una biografia della regina Isabella la Parigi, 1991. Cattolica intitolata Isabelle la Grande.
La più antica Commedia miniata PALATINO 313 Dante Poggiali Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
Il codice contiene gran parte del Commento AUTOGRAFO di “Jacopo”, figlio di Dante. Quasi ogni chiosa è segnata dalla sigla: “Ja”, Jacopo Alighieri. Noto come “Dante Poggiali” dal nome dell’editore e bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò per utilizzarlo nella sua edizione della Commedia del 1807.
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Durante il regno di Luigi XIV Le Mercure galant pubblicava notizie sulle ultime mode alla corte di Versailles e nell’alta società di Parigi
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urante il diciassettesimo secolo in Francia nacquero numerose pubblicazioni periodiche. A scadenza annuale, mensile o settimanale – la stampa quotidiana sarebbe comparsa solo un secolo dopo –, ospitavano contenuti diversi: alcune avevano uno scopo puramente informativo, come le gazzette; altre si occupavano di critica letteraria, e altre ancora cercavano d’intrattenere il lettore, proprio come le attuali riviste. Tra queste ultime, suscitò un particolare
interesse Le Mercure galant, che iniziò a uscire ogni tre mesi nel 1672 e, dopo un’interruzione di tre anni, dal 1677 ebbe una periodicità mensile. Il suo creatore e principale redattore era Jean Donneau de Visé, letterato di una certa fama e con buoni contatti alla corte di Luigi quattordicesimo. Secondo alcuni studiosi, sarebbe stato lui il primo giornalista moderno.
Cosa s’indossa quest’anno Le Mercure galant offriva una cronaca di quanto accadeva alla corte di Luigi quattordicesimo e nelle classi alte di Parigi: battesimi, matrimoni, lutti, nomine a cariche ufficiali, critiche d’arte e di teatro. Per rendere la lettura più amena venivano inclusi poesie, rompicapi o partiture di canzoni. Tuttavia, come ha sottolineato la storica statunitense Joan DeJean nel libro The Essence of Style (L’essenza dello stile), fu una sezione della rivista a destare più interesse delle altre: quella dedicata alla moda. Le pagine di tale sezione furono così gradite alle donne da portare a credere che Le Mercure galant sia stata la prima rivista femminile, o la prima rivista di moda, della storia. FIGURINO PER LA STAGIONE INVERNALE DEL 1678, PUBBLICIZZATO IN LE MERCURE GALANT. IL DISEGNO METTE IN RISALTO OGNI DETTAGLIO: LA GONNA, IL MANTEAU CHE LA COPRE E LA COIFFE IN TESTA. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE
MERCURE GALANT. COPERTINA DEL NUMERO DI OTTOBRE DEL 1678.
BNF
Le riviste di moda, invenzione del seicento Ogni mese Le Mercure galant forniva informazioni sugli ultimi modelli indossati a Parigi, e su chi li aveva sfoggiati o disegnati. Nelle pagine della rivista si accompagnavano i lettori e le lettrici verso la modernità, descrivendo le mode nelle diverse stagioni, nonché le tendenze in tema di acconciature, modelli e società. Il pubblico poteva così conoscere i vestiti sul mercato. Per esempio, nel 1673 si annunciava che dalla Cina erano giunti dei fantastici collant, «dipinti a mano con le immagini più incantevoli che si possano immaginare» e al contempo si avvertiva: «Le donne che indossino queste calze disegnate dovrebbero decidersi a esporre le loro gambe, perché altrimenti sarebbe inutile portarle». Venivano anche mostrati i modelli a seconda della stagione. Oltre a ciò, si davano consigli sui luoghi in cui comprare le ultime novità – le moderne boutique dalle vistose vetrine – e sulle occasioni in cui sfoggiarle, dai café alle passeggiate.
Il ruolo sociale delle donne Alla fine del seicento, per le dame dell’alta società francese divenne fondamentale comparire su Le Mercure galant e seguire le proposte lì descritte. Ma il giornale era importante anche per i commercianti e per le couturières – donne che non erano sarte, bensì
«DAMA DI QUALITÀ» CHE LEGGE LE MERCURE GALANT SU UN DIVANETTO. ILLUSTRAZIONE COMPARSA SULLA STESSA RIVISTA NELL’APRILE 1688.
INDOVINELLO DEL MESE SU OGNI NUMERO di Le Mercure
galant si pubblicavano enigmi che i lettori e le lettrici dovevano risolvere. Qui sotto proponiamo quello relativo al mal di testa: perché Vulcano fende il cranio di Giove «affinché ne escano i caldi vapori che salgono nel capo»? Lo indovinò solo una persona.
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disegnatrici, riconosciute come corporazione dal 1675 – che trovarono nella rivista il modo per diffondere i propri prodotti e al tempo stesso farsi conoscere. Non va dimenticato il ruolo che le donne ebbero nella rivista, e l’influenza che queste esercitarono sulla società in generale, e sulle signore in particolare. Le dame più abbienti, ma anche le lavoratrici, trovarono nella moda un proprio spazio, che si rifletté nelle pagine della testata e che permise di creare un mezzo di espressione femminile, poi propagatosi rapidamente in Europa. Difatti la rivista contribuì in modo
significativo a diffondere nell’intero continente lo stile francese, per via del prestigio che aveva a quei tempi tutto ciò che proveniva da quel Paese. Anche se Le Mercure galant era una rivista letta soprattutto da donne, veniva apprezzata anche dagli uomini, per cui non è del tutto corretto considerarla una rivista solo femminile. È però fuor di dubbio che il giornale francese aprì la strada ad altre pubblicazioni prettamente femminili, a cominciare dall’inglese The Ladies’ Mercury (1693). A ogni modo, le riviste femminili e di moda si sarebbero consolidate alla fine del diciottesimo
secolo, quando si stabilì una chiara relazione tra moda, donne e stampa, incentivata dall’industrializzazione e dai cambiamenti sociali. Sarebbero allora sorte testate come Galerie des modes et costumes français (1778), Cabinets des modes (1785-1793) o l’inglese Gallery of Fashion (1794-1803). In Italia sarebbero nati Il giornale delle dame e delle mode di Francia (1786) a Milano, La donna elegante ed erudita, fondata nello stesso anno a Venezia, e il Corriere delle dame, fondato e diretto dal 1804 da Carolina Lattanzi. —Ana María Velasco STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MAPPA DEL TEMPO
1870
La mappa trigonometrica dell’India Per 68 anni il governo britannico portò avanti l’ambizioso progetto di misurare esaustivamente la propria colonia
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uesta cartina in cui l’India appare ricoperta da un’estesa e intricata maglia di triangoli è frutto di uno dei progetti scientifici più ambiziosi dell’ottocento, il Great Trigonometrical Survey. Promosso dall’impero britannico, dà prova di come il potere inglese sulla colonia venisse consolidato tramite il rigoroso controllo delle dimensioni e delle caratteristiche del suo territorio. Fu l’ingegnere militare William Lambton a intraprendere la titanica iniziativa voluta dalla East Indian Company e dall’agenzia ufficiale Survey of India: nel 1802 avviò il progetto di rilevamento grazie al metodo trigonometrico e i suoi successori lo portarono a termine nel 1870. Lambton tracciò un triangolo con una base di 12,1 chilometri di longitudine; i lati di questo sarebbero poi stati la base per nuovi triangoli, in modo tale che le catene di triangoli potessero coprire l’intero territorio. Gli studiosi si avvalsero di enormi teodoliti, strumenti di misurazione topografica
costituiti da un cannocchiale girevole che permetteva di calcolare il valore degli angoli orizzontali e verticali. Una serie di microscopi collegati al teodolite consentiva inoltre di leggere i gradi degli angoli con una precisione sino ad allora inimmaginabile. Tra le numerose conquiste della spedizione si annoverano la delimitazione e la misurazione delle grandi montagne dell’Himalaya: il K2, il Kangchenjunga e il monte Everest, così chiamato in onore di George Everest, successore di Lambton alla guida del progetto. La cartina qui a fianco reca la firma di Henry James, allora direttore dell’Ordnance Survey, l’ente pubblico britannico deputato alla cartografia. È molto semplice per facilitare la lettura delle reti triangolari, e inediti codici grafici consentono d’interpretare correttamente i dati. Per esempio, stelle e croci indicano i luoghi individuati tramite l’osservazione astronomica, mentre una linea di puntini designa le campagne di rilevamenti. —Joan Carles Oliver Torelló
A mano a mano che procedeva il progetto, i responsabili si prefissero di misurare l’arco del meridiano che attraversava l’India da nord a sud, da Mussoorie 1 a capo Comorin 2 (78oE). In tal modo poterono indicare la longitudine esatta di un grado di meridiano e confermare che la terra è leggermente schiacciata ai poli.
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IL GRANDE ARCO MERIDIONALE
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V I TA Q U OT I D I A N A
Quando il grasso era sinonimo di successo Per molto tempo essere grassi era indice di uno status elevato e di una vita di piaceri, anche se i medici già allertavano sui rischi dell’obesità
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a rappresentazione della grassezza si è evoluta in linea con i cambiamenti sociali e culturali, ma non è mai stata stigmatizzata con tanta violenza come oggi: recentemente infatti le abitudini di vita delle società sviluppate del mondo occidentale hanno dichiarato l’obesità una patologia altamente pericolosa e un difetto estetico. Ora che è diventata un grave problema di salute pubblica a livello mondiale (che colpisce soprattutto i poveri nei Paesi ricchi e i ricchi nei Paesi poveri), vale la pena ricordare che non è sempre stata vista sotto una luce così negativa. Ci sono state epoche in cui essere grassi era considerato un motivo di orgoglio. Nel Medioevo, quando lo spettro della fame minacciava la stragrande maggioranza della società, le corporature abbondanti erano un segno inconfondibile di ricchezza e sensualità, mentre la magrezza era
considerata patologica e repulsiva. I sontuosi banchetti delle corti di principi e cavalieri non solo soddisfacevano le esigenze delle gola, ma erano anche una manifestazione di potere. Chi disponeva di cibo in abbondanza dominava gli altri. Ecco perché ci furono molti casi di re celebri per la loro grassezza, come il francese Luigi sesto detto il Grosso, il normanno Guglielmo il Conquistatore e l’inglese Enrico ottavo. L’esagerata obesità di quest’ultimo assunse le caratteristiche di un’impressionante maestosità nel famoso ritratto di Hans Holbein.
Bere, mangiare e dormire La letteratura contribuì a trasmettere l’idea che la felicità consistesse nel mangiare fino alla nausea e avere un ventre prominente, come spesso capitava agli ecclesiastici: «Il peso e la grassezza ne deformano i corpi […] né può sentire amore chi soltanto brama di bere, mangiare e dormire», recitava
SANCIO IL GOLOSO NEL DON CHISCIOTTE di Cervantes, Sancio Pan-
za, governatore dell’isola Barattaria, fece imprigionare il medico che voleva impedirgli di rimpinzarsi di succulenti manicaretti. Don Chisciotte invece poteva imporsi prolungati periodi di digiuno fino a dimenticarsi di mangiare. SANCIO PANZA DOPO LE NOZZE DI CAMACHO. GUSTAVE DORÉ. DEA / ALBUM
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uno dei Carmina Burana, componimenti poetici scritti tra l’undicesimo e il tredicesimo secolo. Più tardi, nel 1534, il Gargantua di Rabelais riabilitò umoristicamente il fascino delle abbuffate, mentre Shakespeare portò in scena il personaggio di Falstaff, antieroe buffone, pingue e alcolizzato che incarnava una visione profondamente edonistica della vita. Anche i contadini aspiravano a esibire una forma rotonda, come il protagonista di un racconto dell’italiano Giovanni Francesco Straparola (1553), di cui si dice: «Era venuto sí robicondo e grasso, che le sue carni non altrimenti parevano ch’un lardo vergelato di porco». Questo paesano fa credere a un vicino di casa invidioso della sua grassezza che il suo segreto stia nel farsi «cavare i testicoli».
La rivoluzione calorica Anche nelle donne un aspetto paffuto veniva visto con favore. In un famoso poema allegorico francese del tredicesimo secolo, il Roman de la Rose, le belle donne erano di un’esuberante carnalità. Invece la magrezza era associata all’avarizia e alla tristezza, entrambe rappresentate tramite figure «orribili e itteriche, sporche e brutte, così gracili e macilente che sembravano esser morte di fame, come se avessero vissuto di solo pan bagnato». Il Ménagier de Paris, una sorta di trattato popolare sulla vita domestica del quattordicesimo seco-
RITRATTO DI UN UOMO, di Jacob
Jordaens. XVII secolo. Musée du Louvre, Parigi.
Questione di peso I L P I Ù A N T I CO P R E C E D E N T E
dell’attuale abitudine di pesarsi per vedere se si è ingrassati risale a un medico italiano dei primi del XVII secolo, SARTO RIO . Il suo metodo può sembrare un po’ strano, dato che il medico non si limitava a salire ogni giorno sulla bilancia, ma pesava quotidianamente anche il cibo che ingeriva e le proprie deiezioni. Ciò che interessava a Sartorio non era il peso totale, ma l’equivalenza tra quanto assunto e quanto evacuato. Tuttavia, quando nel 1725 qualcuno cercò d’installare a Parigi una B I L A N C I A per le persone, le autorità si opposero: «Non è chiaro quale possa essere l’utilità di uno strumento per pesare la gente». BRIDGEMAN / ACI
lo, accostava con manifesta misoginia «le belle schiene e le robuste gambe» dei cavalli e delle fanciulle. Nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo il grasso era ancora visto come indice di uno status elevato. Ad esempio il moralista francese Jean de La Bruyère inserì nella sua opera I caratteri i ritratti di due personaggi opposti. Uno, Gitone, «ha una pelle fresca, il viso pieno e le guance abbondanti, lo sguardo deciso e sicuro,
le spalle larghe, il ventre prominente e un’andatura ferma e determinata». L’altro, Fedone, «ha gli occhi infossati, la carnagione avvizzita, il corpo smilzo e lo sguardo arido». Il primo è ricco, il secondo è povero. In parte tali idee erano influenzate dall’alimentazione delle classi superiori, che si basava in gran parte sulla carne. Nel suo trattato sulla nobiltà pubblicato nel 1606 Florentin Le Thierrat affermava: «Noi mangiamo più quaglie e carni delicate
di loro [quelli che non appartengono all’aristocrazia] e questo ci conferisce un’intelligenza e una sensibilità più acute». Ma in quel periodo si diffusero anche i condimenti ad alto contenuto calorico, come lo zucchero, finendo per sostituire gradualmente le spezie che avevano dominato nel Medioevo. Lo storico dell’alimentazione Jean-Louis Flandrin osservò: «Gli uomini del sedicesimo, diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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SULL’ORLO DELL’OBESITÀ PER DIPINGERE LE TRE GRAZIE
Rubens utilizzò come modelle la sua seconda moglie, Helène Fourment, e forse le sorelle di questa, di cui riprodusse la fisionomia con estremo realismo. Al punto che, in uno studio recente, un medico specializzato in endocrinologia e diabete è stato in grado di misurare l’indice di massa corporea delle tre, che sarebbe compreso tra 26 e 29, un tasso oggi considerato prossimo all’obesità (il tasso normale va da 18,5 a 24,99). Il dipinto rivelerebbe anche segni di altri problemi, come l’iperlordosi (eccessiva curvatura della colonna vertebrale). di Pieter Paul Rubens. 1636-1639 circa. Museo del Prado, Madrid.
Maiden Queen lo scrittore inglese John Dryden mette in bocca a una nobildonna queste parole: «Sono decisa a ingrassare e a sembrare giovane fino a quarant’anni, poi alla comparsa della prima ruga sparirò dal mondo…».
quaranta giorni di digiuno e astinenza sessuale che seguivano il carnevale e in cui grasso e magro si scontravano in una paradossale lotta tra la gioia di vivere e la tristezza della penitenza. Nell’immaginario collettivo dell’epoca mangiare abbondantemente, in L’opinione della Chiesa particolare molta carne, era fonte di Eppure il grasso non era sempre ben energia fisica e di piacere, ma anche visto. Già dal quinto e sesto secolo, motivo di peccato. È significativo a questo proposito ai tempi di sant’Agostino e di papa Gregorio primo, la Chiesa condanna- il fatto che nel cinquecento cattolici e va la gola considerandola un peccato protestanti si rinfacciassero reciprocapitale. Esercitava inoltre il suo con- camente le voraci abitudini alimentari: trollo sulla dieta della popolazione, per esempio i primi ritenevano che soprattutto durante la Quaresima, i Lutero, da ragazzo snello qual era, fosse diventato un uomo grosso e gonfio, mentre il riformatore tedesco rivolgeva ai religiosi cattolici critiche di que«Monaci, non siete altro che dei sto tipo: «Monaci, non siete altro che fannulloni panciuti, degli otri dei fannulloni panciuti, degli otri pieni pieni di vino», dichiarò Lutero di vino; Dio ci è testimone, siete la più terribile delle piaghe». Anche la meMONACI IN UNA CARICATURA TEDESCA PROTESTANTE. INCISIONE DEL 1609. dicina dell’epoca metteva in guardia
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secolo avevano la tendenza a lodare le donne con corpi “succulenti”, con fianchi larghi e seni abbondanti. Sarebbe sorprendente se questo non avesse nulla a che vedere con il fatto che dal sedicesimo secolo in avanti lo zucchero, il burro e le salse grasse sostituirono i condimenti acidi e speziati nella dieta dell’élite sociale». Di fatto il sovrappeso femminile – simbolo di salute, benessere e attrattiva sessuale – fu esaltato in numerosi quadri, come quelli del famoso pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. In The
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LE TRE GRAZIE. Dipinto a olio
NATURA MORTA
ALBUM
LOREMUSDS
e Sacra famiglia. Olio di Pieter Aertsen. XVI secolo. Fondazione Banco Santander.
dai rischi di una grassezza smodata, che i medici attribuivano all’eccesso di acqua, flemma o gas. Per porvi rimedio consigliava di espellere questi “cattivi umori” con salassi, spurghi e sostanze astringenti come l’aceto. Un medico francese del diciassettesimo secolo, Guy Patin, diceva dei parigini: «Di solito fanno poco esercizio fisico, bevono e mangiano molto, e tendono a diventare molto corpulenti». A suo dire erano pertanto a rischio di morte improvvisa per ictus. Come la maggior parte dei medici del suo tempo, Patin credeva che il grasso in eccesso surriscaldasse il sangue e questo, una volta raggiunto il cervello, potesse causare ictus e altre patologie mortali. La soluzione più drastica raccomandata si basava su abbondanti e frequenti salassi per alleviare la pressione, ma si consigliava anche di perdere peso tramite la dieta e il movimento. Si diceva per esempio che la
regina Caterina de’Medici mangiasse molto ma poi cercasse di rimediare al senso di appesantimento tramite una buona dose di esercizio fisico. Un’altra soluzione proposta era trasferirsi in una regione calda, dove le alte temperature avrebbero facilitato l’espulsione degli umori. Ma il calore non era l’unico fattore a influire sul peso. Si riteneva infatti che l’umidità potesse penetrare nel corpo e renderlo grasso. La marchesa de Sévigné diceva: «Con l’aria che c’è da queste parti, basta respirare per ingrassare».
Obesità e bellezza In ogni caso i canoni di bellezza dell’epoca non cessarono mai di lodare i profili slanciati ed eleganti, pur rinnegando l’estrema magrezza. La moda prediligeva gli abiti aderenti, soprattutto per le donne, con la diffusione di guaine, corsetti e reggiseni che restringevano la vita. Istintivamente
si ricercava il giusto equilibrio tra gli eccessi di gracilità e pinguedine. Ciononostante, se si era costretti a scegliere, tra le due era da preferirsi la corpulenza. Questo è ciò che consigliava il dottor Jean Liébault in un trattato del 1572 dedicato alle ricette per ridurre gli eccessi di grasso: «Non si deve pensare che i corpi troppo magri o troppo grassi siano belli […] Se una donna è adiposa su tutto il corpo […] sarà bene aiutarla con ogni rimedio a perder peso […] Per dimagrire intendo ridurre la corpulenza a un livello moderato, che si distanzi dagli eccessi; a essere sinceri, l’obesità è più consona alla bellezza rispetto alla magrezza». —Antonio Fernández Luzón Per saperne di più
La strana storia dell’obesità S.L. Gilman. Il Mulino, Bologna, 2011.
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NARMER, L’UNIFICATORE
In questa scena della tavoletta che porta il suo nome, il re ha sul capo la corona rossa del Basso Egitto, territorio di cui ha appena completato l’annessione. Museo egizio, Il Cairo. Nella pagina seguente, testa di mazza di Narmer. Ashmolean Museum, Oxford. SCALA, FIRENZE
NARMER
IL PRIMO FARAONE D’EGITTO 26 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
NARMER
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Più di cinquemila anni fa un sovrano dell’Alto Egitto di nome Narmer annetté al suo regno le città del delta occidentale del Nilo. Questo evento diede origine al primo grande stato territoriale della storia, di cui Narmer divenne il primo sovrano ID
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armer fu il primo re a governare l’intero Paese del Nilo. I suoi immediati predecessori, appartenenti alla cosiddetta “dinastia zero”, avevano scelto come capitale Abido, situata nella zona meridionale, da cui potevano controllare la stretta e rigogliosa valle fluviale che costituiva l’Alto Egitto. Successivamente si erano espansi verso nord, dando inizio a un processo di unificazione
LEONE PROVENIENTE DA IERACOMPOLI, LUOGO DI NASCITA DI NARMER. RAPPRESENTA LA FORZA REGALE. 2250 A.C. CIRCA. ASHMOLEAN MUSEUM, OXFORD. WERNER FORMAN / ACI
l’universo era il risultato dello scontro tra due forze opposte, equivalenti e necessarie: l’ordine e il caos, intesi come gli aspetti statici e dinamici che governavano la natura e il mondo. Concepire lo stato in senso dualistico, come unione delle due terre, Alto e Basso Egitto, era un modo per dare al nuovo ordine politico un riconoscimento divino, per dotarlo insomma di un senso superiore.
Una testimonianza cruenta Il cambiamento avvenuto durante il regno di Narmer si riflette anche nelle rappresentazioni artistiche, soprattutto in alcuni oggetti di grande significato storico: le tavolette. I re dell’Alto Egitto della fine del Periodo predinastico fecero costruire delle lastre, fatte di una particolare roccia sedimentaria grigia chiamata grovacca, sulle quali fu scolpito un complesso repertorio d’immagini. Queste opere erano destinate ai corredi delle tombe dei sovrani o dei cortigiani, oppure venivano donate ai templi come offerte a carattere votivo. Narmer fece realizzare l’ultima di queste lastre, passata alla storia come tavoletta di Narmer, e la consacrò al tempio del dio falco Horus a Ieracompoli, la città di cui probabilmente era originaria la sua stirpe. Della tavoletta è particolarmente significativo il fatto che vi appaiano per l’ultima volta due serie iconografiche caratteristiche del periodo precedente: i motivi elamiti e le rappresentazioni del sovrano come re-fiera. Alla fine del Periodo predinastico, infatti, gli artigiani egizi avevano adottato alcune immagini provenienti dalla lontana Elam, una
CARTOGRAFI A: EOSGIS.COM
che sarebbe stato pacifico e concordato in alcuni casi, violento in altri. Non si conoscono nei dettagli le fasi di tale sviluppo, ma si sa che intorno al 3100 a.C. Narmer completò l’opera di accorpamento, probabilmente annettendo al suo regno le terre occidentali del delta. Il suo governo segnò un prima e un dopo nella storia dell’antico Egitto, cosa già evidente agli occhi dei suoi contemporanei, che infatti lo considerarono il primo sovrano della prima dinastia. Con Narmer inizia il Periodo dinastico e la monarchia faraonica acquisisce le sue caratteristiche storiche. Le nozioni di Alto Egitto (la valle, a sud) e Basso Egitto (il delta, a nord) esistevano già prima, come si può dedurre dalla presenza dei segni geroglifici che le designano nelle iscrizioni di alcuni vasi di ceramica risalenti a prima di Narmer. Ciononostante fu questo re che, una volta completata l’annessione, concepì il nuovo stato non solamente come l’unione di due regioni distinte, ma anche come il riflesso in terra del principio dualistico che governava l’universo. Secondo le più radicate credenze locali, infatti,
M e d i t e r r a n e o
M a r
BUTO
MERIMDE
Saqqara MENFI
Bubasti Eliopoli MAADI
Giza
EL-OMARI
yyum Tarkan al-Fa EL-GERZA Lago di Meride Haraga
el-Beda
C R O N O LO G I A
L’unione delle due terre 3600 a.C. circa
Nell’Egitto meridionale inizia il processo sociale e politico che porterà alla comparsa delle prime entità statali nella valle del Nilo.
Ni lo
Meidum
3350 a.C. circa
I primi stati emersi nell’Egitto meridionale si uniscono nel regno dell’Alto Egitto, con capitale Abido. Matmar
Mostagedda
3300 a.C. circa
Inizia il Tardo predinastico. Il regno dell’Alto Egitto si espande verso nord e intraprende l’unificazione di tutto il territorio egizio.
EL-BADARI
el-Hammamiya
Naga ed-Deir Mahasna TINI ABIDO
3150 a.C. circa
Hu
Uadi Gasus
EL-AMRA
NAQADA (OMBOS) Ermonti
Nell’Alto Egitto regna la “dinastia zero”, formata dagli immediati predecessori di Narmer.
3100 a.C. circa IERACOMPOLI (NEKHEN)
Nilo
el-Kab (Nekheb)
Elefantina
Prima cateratta
Narmer completa il processo di unificazione, fonda il nuovo stato e diventa il primo sovrano della I dinastia.
2850 a.C. circa
Si conclude la I dinastia. È formata da otto re, il primo dei quali è Narmer, come indicato dalle liste reali dell’epoca.
IL PAESE DEL NILO. QUESTA MAPPA MOSTRA L’EGITTO DALLA FOCE FINO ALLA PRIMA CATERATTA. DOPO UNA PRIMA FUSIONE CULTURALE, I SOVRANI DELL’ALTO EGITTO REALIZZARONO L’UNIFICAZIONE POLITICA TRAMITE LA CONQUISTA DEL DELTA. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Le teste di mazza dei primi re
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TESTA DI MAZZA DI NARMER. RAFFIGURA IL RE IN TRONO CHE RICEVE IL BOTTINO E I PRIGIONIERI. ASHMOLEAN MUSEUM. OXFORD.
BRIDGEMAN / ACI
LTRE ALLE TAVOLETTE di roccia grovacca a forma di scudo, i re dell’Alto Egitto della fine del Predinastico fecero costruire delle teste di mazza in pietra calcarea a forma di pera, scolpite con immagini simboleggianti l’ideologia del potere e delle élite. Narmer donò la tavoletta e la mazza che portano il suo nome al tempio di Horus a Ieracompoli (Nekhen), la città da cui probabilmente proveniva la sua stirpe e che era il centro di culto del dio falco. Se la tavoletta è espressione del dominio faraonico e del carattere dualistico del regno, sulla testa di mazza è rappresentata per la prima volta nella forma che diventerà tradizionale la festa giubilare (HebSed), la grande cerimonia di ringiovanimento del faraone e di rinnovo del suo potere con cui, a partire da allora, molti sovrani egizi celebreranno il raggiungimento dei 30 anni di regno.
civiltà sviluppatasi al di là della Mesopotamia. Tra queste c’era la rosetta – che nella tavoletta di Narmer è usata per indicare il “portatore di sandali” del re – e i serpopardi, dei felini con lunghissimi colli ricurvi e spesso intrecciati a formare un cerchio, visibili sulla parte frontale della tavoletta. Il carattere importato di questi temi, estranei al mondo del Nilo, fu probabilmente ciò che ne motivò l’abbandono. Per quanto riguarda il re-fiera, nelle tavolette votive del periodo dell’unificazione il monarca viene quasi sempre rappresentato come un animale aggressivo: un leone, un toro, un falco o uno scorpione che annienta i nemici e ne distrugge le fortezze. Nella tavoletta di Narmer, invece, il re COLTELLO DI GEBEL EL-ARAK. SU QUESTO LATO È VISIBILE UN MOTIVO ORIENTALE: UN UOMO BARBUTO CHE LOTTA CON DUE LEONI. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. ERICH LESSING / ALBUM
è raffigurato due volte con sembianze di animale – un toro e un falco – e due volte come essere umano: in una è in processione con la corona rossa del Basso Egitto sul capo, nell’altra è intento a compiere il rituale massacro del nemico con indosso la corona bianca dell’Alto Egitto. Dopo Narmer, più nessun faraone verrà rappresentato con aspetto animalesco, anche se si conserveranno delle reminiscenze di quell’originario carattere ferino, come la coda di toro indossata dai sovrani in occasione di alcune cerimonie che costituisce un simbolo di potere e divinità maschili. Nella tavoletta di Narmer per la prima volta compaiono anche due motivi iconografici che diventeranno poi tradizionali. Il primo è quello della sottomissione dei nemici, visibile in grandi dimensioni sul retro della lastra: il re, vestito con i suoi indumenti rituali, scalzo e con la corona bianca dell’Alto Egitto sul capo, brandisce una mazza con il braccio destro alzato, mentre con la mano sinistra afferra i capelli di un nemico inginocchiato e sconfitto. L’immagine simboleggia il trionfo dell’ordine sul caos. Il tema in sé non è nuovo – era infatti già apparso nell’arte della fine del Periodo predinastico –, ma con Narmer riceve la sua forma canonica, che rimarrà invariata fino alla fine della monarchia faraonica: tremila anni più tardi il re Tolomeo dodicesimo sarà ancora rappresentato in questo modo sul pilone del tempio di Edfu.
Re delle due terre Ma la novità più importante della tavoletta di Narmer è indubbiamente l’uso delle due corone da parte del re: quella bianca dell’Alto Egitto sul retro e quella rossa del Basso Egitto sulla parte frontale. È la prima volta che un sovrano viene rappresentato sullo stesso oggetto con entrambe le corone. Il fatto che sulla lastra compaiano insieme i simboli dei due Paesi indica che la nuova concezione dualistica dello stato era già in fase d’instaurazione. Un’altra grande innovazione del regno di Narmer è relativa alla visione che la regalità e le élite faraoniche avevano del passato e potrebbe essere definita “memoria monarchica”. La più antica testimonianza di
LA FORZA DEL FARAONE
Sul retro della tavoletta un nemico viene afferrato per i capelli da un Narmer colossale, mentre nella parte inferiore altri due avversari si danno alla fuga. Il portatore di sandali è in attesa dietro il re con un recipiente per le libagioni in mano. Il dio falco Horus si posa su alcuni papiri simbolo del Basso Egitto recentemente annesso. In alto, due teste di vacca rappresentano la dea Bat, in seguito associata alla grande Hathor. Museo egizio, Il Cairo. BPK / SCALA, FIRENZE STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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TEMPIO FUNERARIO DI ABIDO
Il faraone Seti I, della XIX dinastia, eresse un grande tempio funerario ad Abido in una delle cui stanze fece scrivere un elenco dei 76 faraoni più importanti che lo avevano preceduto. Il primo di tutti è Menes. KENNETH GARRETT
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ETICHETTE IN OSSO O AVORIO CON ISCRIZIONI GEROGLIFICHE SCOPERTE DENTRO LA TOMBA DEL RE QA’A, NELLA NECROPOLI DI ABIDO. OGNUNA DI ESSE FA RIFERIMENTO AGLI EVENTI DI UNO SPECIFICO ANNO DEL SUO REGNO.
pongono. Sono in assoluto i primi elenchi di questo genere ed entrambi si aprono con Narmer. Ciò indica che fu lui l’iniziatore assoluto della tradizione delle liste reali e quindi di un nuovo modo di concepire il passato in chiave monarchica.
Narmer o Menes?
KENNETH GARRETT
questo cambiamento proviene dal cimitero reale di Abido, la città dove furono sepolti gli ultimi sovrani del Periodo predinastico e la maggior parte dei faraoni delle prime due dinastie, tra cui lo stesso Narmer. Alla fine del secolo scorso l’Istituto archeologico tedesco del Cairo ha riesumato due sigilli cilindrici con le più antiche liste reali finora documentate. Una risale a metà della prima dinastia e contiene i nomi dei primi cinque sovrani, mentre l’altra è della fine della stessa dinastia e riporta i nomi di tutti gli otto re che la comIMPRONTA DI SIGILLO CILINDRICO TROVATA AD ABIDO CON ALCUNI GEROGLIFICI CHE COSTITUISCONO LA PIÙ ANTICA LISTA DI FARAONI. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO. JOSEP CERVELLÓ AUTUORI 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Può sembrare strano che nelle liste reali successive il primo re della prima dinastia si chiami Menes. È il caso del papiro reale di Torino e della lista del tempio di Seti primo ad Abido – che risalgono all’epoca del Nuovo regno, millecinquecento anni più tardi –, così come della Storia dell’Egitto del sacerdote Manetone, vissuto nel terzo secolo a.C. Scrive quest’ultimo: «Dopo gli spiriti dei morti e dei semidei, la prima casa reale ebbe otto re, il primo dei quali, Menes di Tinis, regnò per sessantadue anni. Fu catturato da un ippopotamo e morì. Suo figlio Athotis regnò cinquantasette anni e costruì il palazzo di Menfi». Chi è questo Menes? È un’invenzione delle liste tardive o corrisponde a un re storico? Dopo il ritrovamento delle impronte di sigilli di Abido questo problema può considerarsi risolto. Sia le liste di tali sigilli sia le successive concordano sul fatto che i re della prima dinastia furono otto in totale, e tutta la documentazione disponibile conferma quel numero. Pertanto è logico concludere che il Narmer delle liste dei sigilli è il Menes di quelle successive. Se gli appellativi non coincidono è perché le liste dei sigilli riportano il nome di Horus dei sovrani, mentre in quelle più tarde compare il loro nome d’incoronazione. Il nome di Horus è sempre preceduto dal segno geroglifico del falco, simbolo di tale divinità con cui vengono identificati i re già dalla fine del Predinastico e che rappresenta il potere cosmico e politico. In alcuni casi tale nome è scritto all’interno del serekht, il rettangolo in cui è raffigurato il palazzo reale con un falco posato sopra. Invece è unicamente a partire da metà della prima dinastia che il nome d’incoronazione del re comincia a essere chiaramente identificato da un segno distintivo specifico (una canna e un’ape, simboli rispettivamente dell’Alto e del Basso Egitto). Soltanto in
IL RE VITTORIOSO
Nella parte superiore del recto della tavoletta di Narmer si può leggere il nome di Horus del re tra due teste di vacca della dea Bat. Sotto, Narmer in processione con la corona rossa del Basso Egitto osserva i corpi decapitati dei nemici. Nella zona inferiore, due serpopardi intrecciano i colli in quella che è l’ultima rappresentazione di questo motivo orientale. Sotto, il re con sembianze di toro carica le mura di una città. Museo egizio, Il Cairo. SCALA, FIRENZE STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Etichette per datare le offerte
A
L REGNO DI NARMER risalgono i due più antichi
ETICHETTA ANNALISTICA SCOPERTA NELLA TOMBA DEL RE DJET AD ABIDO. I DINASTIA.
W. FORMAN / GTRES
esempi conosciuti di annalistica egizia. Si tratta di due etichette quadrate, di pochi centimetri per lato, con un foro in un angolo che consente di legarle alle offerte funerarie. Le brevi iscrizioni incise su di esse riportano gli eventi di un particolare anno di regno del sovrano, permettendo così di datare le offerte. Sono state scoperte etichette di tutti i re della I dinastia. Il prototipo è rappresentato da quelle rivenute dall’egittologo tedesco Günter Dreyer nella tomba U-j del cimitero reale di Abido: misurano da uno a quattro centimetri di larghezza e da uno a tre millimetri di spessore, e hanno un piccolo foro in un angolo. Queste etichette costituiranno la base degli annali reali che già a partire dall’Antico regno saranno compilati sotto i vari faraoni.
quel periodo s’instaura il protocollo faraonico tradizionale, con i suoi titoli e le sue denominazioni. Pertanto non è sempre facile riconoscere nell’appellativo Menes un nome regale, dato che nelle poche iscrizioni in cui appare insieme al nome di Narmer non è accompagnato da nessun segno distintivo. Ma come detto in precedenza l’identità di Narmer-Menes sembra oggi definitivamente confermata dal confronto tra le liste reali antiche e quelle recentemente scoperte nel cimitero reale di Abido. Vanno dunque attribuite a Narmer una serie di azioni che alcuSEREKHT CON IL NOME DI NARMER. IL DIO HORUS SI POSA SUL SEGNO DELLA “FACCIATA DEL PALAZZO”, AL CUI INTERNO SI TROVANO UN PESCE GATTO (NAR) E UNO SCALPELLO (MER), CHE COMPONGONO IL NOME DEL RE. ALAMY / ACI 36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ni autori classici, tra cui il greco Erodoto, ascrivevano a Menes, come ad esempio la fondazione di Menfi e la costruzione del tempio di Ptah, la principale divinità della città. Molto probabilmente, una volta completata l’unificazione dell’Alto e del Basso Egitto intorno al 3100 a.C., Narmer decise di trasferire la capitale a Menfi, che era situata proprio al centro delle “due terre” (la valle e il delta), per mettere in risalto la nuova concezione dualistica dello stato. Menfi sarebbe rimasta la capitale per tutto il corso del terzo millennio a.C. Tuttavia Narmer non si fece seppellire lì, bensì ad Abido, nel cimitero ancestrale dei suoi predecessori in cui sarebbero stati sepolti anche i suoi immediati successori. La sua piccola tomba, composta da due camere sotterranee, segue una tradizione di architettura funeraria predinastica che si conclude con lui. A partire dal successivo faraone le tombe cominceranno progressivamente a monumentalizzarsi, in un processo che culminerà nei grandiosi complessi piramidali eretti dai sovrani dell’Antico regno. In definitiva tutto sembra indicare che il governo di Narmer segnò una cesura nella storia dell’Egitto, evidente anche agli occhi dei suoi contemporanei. Con questo sovrano si manifestarono per l’ultima volta alcune tradizioni culturali caratteristiche del periodo precedente, il Predinastico, quali l’architettura funeraria, le tavolette votive e la rappresentazione del re come fiera. Sotto Narmer furono introdotte anche nuove tradizioni destinate a perpetuarsi nei successivi tremila anni, come la concezione dualistica del Paese simboleggiata dalle due corone regali o il massacro rituale dei nemici rappresentato nell’immagine del sovrano che brandisce la mazza di fronte a un prigioniero. JOSEP CERVELLÓ AUTUORI UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
Per saperne di più
SAGGI
Sovrani predinastici egizi Natale Barca. Ananke, Torino, 2006. La nascita dello Stato nell’antico Egitto: la dinastia «zero» Silvia Vinci. La Mandragora, Imola, 2002. INTERNET
The Narmer catalog narmer.org
TOMBE REALI DI ABIDO
A partire da Narmer i faraoni delle prime due dinastie egizie furono sepolti nella necropoli ancestrale di Umm el-Qa’ab, ad Abido. Nell’immagine, camere sotterranee della tomba di Khasekhemui, l’ultimo re della II dinastia. KENNETH GARRETT STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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TAVOLETTE VOTIVE Dal 4400 a.C. circa gli egizi iniziarono a usare delle lastre di pietra per mescolare i pigmenti impiegati per il trucco. Intorno al 3400-3100 a.C. queste tavolette diventarono importanti oggetti votivi e sarebbero state decorate con immagini relative alla monarchia e incise a rilievo su uno o entrambi i lati. Qui ne sono visibili tre esempi ben conservati, precedenti la tavoletta di Narmer.
FOTO: ALBUM
LA TAVOLETTA DEI CACCIATORI. È SPEZZATA IN TRE FRAMMENTI: DUE SONO CONSERVATI AL BRITISH MUSEUM E L’ALTRO AL LOUVRE.
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1 TAVOLETTA DEI CACCIATORI Conosciuta anche come tavoletta della caccia ai leoni, risale al 3300 a.C. circa. Raffigura degli uomini barbuti e armati, vestiti con un gonnellino e una coda di toro; due leoni feriti da frecce e un uomo che lega una gazzella per le corna, oltre ad animali di vario tipo. I cosmetici si collocavano nel cerchio centrale.
2 TAVOLETTA DEL TORO Nella parte superiore di entrambi i lati di questa tavoletta è rappresentato un monarca con sembianze di toro selvaggio che incorna un uomo vestito con un semplice perizoma. Nel lato qui visibile, sotto il toro sono raffigurate le mura di una città con un leone al loro interno che forse rappresenta il nome della località.
3 TAVOLETTA DEI DUE CANI Come nel caso della tavoletta di Narmer, su un lato della lastra sono visibili due serpopardi che ne circondano il centro con i loro lunghi colli (mentre leccano il corpo di una gazzella). Di uno dei cani da cui prende il nome la tavoletta si è conservata solo la testa, nella parte superiore. Sotto i serpopardi ci sono diverse gazzelle, una delle quali è inseguita dal secondo cane.
TAVOLETTA DEL TORO. 26,50 X 14,50. 33003100 A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
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TAVOLETTA DEI DUE CANI. 42,5 X 22 CM. 3300-3100 A.C. ASHMOLEAN MUSEUM, OXFORD.
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STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L E G U E R R I E R E D E L L’A S I A C E N T R A L E
AMAZZONI Secondo alcune recenti scoperte archeologiche, le intrepide donne guerriere delle steppe dell’Asia centrale che tanto affascinavano i greci non furono una semplice leggenda
AMAZZONE IN BATTAGLIA
DEA / ALBUM
L’antichità classica rappresentò il tema della lotta tra i greci e le leggendarie guerriere in vari dipinti e rilievi, come nel caso di questo sarcofago del II secolo d.C. Musée du Louvre, Parigi.
N
ella mitologia greca le amazzoni erano feroci guerriere che vivevano nei territori attorno al mar Nero. In diversi racconti i più importanti eroi greci sono impegnati a dimostrare il loro coraggio affrontando le formidabili regine di questa tribù. Teseo, il leggendario fondatore di Atene, combatte contro l’amazzone Antiope e la sconfigge. La nona fatica di Eracle (Ercole per i romani) consiste nel rubare la cintura della regina Ippolita. Inoltre, durante la guerra di Troia l’eroe greco Achille e l’audace guerriera Pentesilea si scontrano in un corpo a corpo sul campo di battaglia.
AKG / ALBUM
Uguali agli uomini
GLI SCITI A CACCIA
Questo pettine d’oro scita è sormontato da una scena di guerrieri che cacciano un animale. Nel mondo scita le donne combattevano accanto agli uomini. Ermitage, San Pietroburgo.
C R O N O LO G I A
DONNE ALLA GUERRA 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Definite dai greci “uguali agli uomini”, le amazzoni erano considerate capaci di dimostrare in guerra un coraggio e un’abilità pari a quelli maschili. Nelle rappresentazioni artistiche e letterarie ne veniva evidenziata la bellezza e l’audacia, ma si sottolineava anche il fatto che fossero armate e pericolose. Già all’epoca dell’Iliade omerica (intorno all’ottavo secolo a.C.), le loro appassionanti avventure erano note a uomini, donne e bambini. Le amazzoni erano tradizionalmente raffigurate a cavallo, vestite con pantaloni e stivali, intente a scagliare frecce, brandire asce da guerra, lanciare giavellotti, battersi e morire eroicamente. Erano un tema ricorrente nella decorazione della ceramica domestica e nella statuaria pubblica. Gli edifici e i templi erano spesso adornati con vivaci scene di battaglia che avevano per
protagoniste le indomite guerriere. Ma si
trattava semplicemente di figure di fantasia? I ritrovamenti archeologici di tombe di donne sepolte con armi costituiscono una prova del fatto che le storie sulle amazzoni s’ispiravano alle nomadi dell’Eurasia. Le guerriere dei miti greci si dedicavano alla caccia e
1200 a.C. circa
700 a.C. circa
V secolo a.C.
Epoca in cui sarebbe avvenuta la Guerra di Troia. In Posthomerica (IV-III secolo a.C.), Quinto Smirneo racconta della battaglia tra Achille e Pentesilea.
Secondo Erodoto, le amazzoni si stabilirono in territorio scita dopo essere state sconfitte dagli ateniesi nella battaglia del fiume Termodonte.
Risalgono a questo periodo alcune tombe di donne sepolte con armi scoperte a Pokrovka, nella Russia meridionale, negli anni ’90 del novecento.
ALAMY / CORDON PRESS
all’attività bellica e avevano il controllo della propria vita sessuale. Queste stesse caratteristiche sono state osservate tra le popolazioni che abitavano la Scizia, nome con cui il mondo ellenico denominava il vasto territorio che si estende tra l’Ucraina e la Mongolia attuali. Gli sciti erano nomadi che andavano
OVIDIO E GLI SCITI
Quest’olio di Delacroix raffigura il poeta latino tra gli abitanti delle steppe. MET, New York.
IV secolo a.C.
I secolo d.C.
Nello stato ideale del filosofo Platone, maschi e femmine ricevono la stessa educazione, che include le arti belliche.
Lo storico greco Plutarco scrive Sulle virtù delle donne, testo in cui menziona casi di eroismo femminile.
a cavallo e cacciavano con l’arco. Entrarono in contatto con i greci nel settimo secolo a.C., quando questi iniziarono a fondare colonie intorno al mar Nero. Proprio nel periodo in cui s’intensificò il rapporto tra queste due culture, le descrizioni e le rappresentazioni artistiche e letterarie delle amazzoni si arricchirono di dettagli più realistici, che rispecchiavano gli usi, i costumi, le armi e i cavalli delle popolazioni nomadi della steppa. Intorno al 450 a.C. Erodoto e altri autori riportarono che le donne scite combattevano accanto agli uomini, a cavallo, proprio come le leggendarie amazzoni. Vari storici greci e romani dell’antichità riferirono che Ciro di Persia, Alessandro Magno e il generale romano Pompeo si erano imbattuti in STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL PAESE DELLE AMAZZONI
In quest’immagine si può vedere l’altopiano dell’Ukok e, sullo sfondo, il Tavan Bogd Uul, appartenente alla catena degli Altaj. Queste terre inospitali furono descritte da Erodoto nelle sue Storie. Nel libro IV l’autore parla dei fiumi che attraversano la regione, di cui descrive così i pascoli: «Fra tutte le erbe di nostra conoscenza, il foraggio che cresce nella Scizia è quello che più bile fa produrre al bestiame; lo si può vedere chiaramente quando si sventrano gli animali».
ANTON PETRUS / GETTY IMAGES
ALAMY / CORDON PRESS
FATICHE DI ERCOLE. SARCOFAGO ROMANO DEL III SECOLO D.C.
EL MENÚ
DEL DÍA LA SFIDA DELLE Medalla GUERRIERE BARBARE conmemora¡ Eiffel.
1875. Museo de Orsay, París. come coraggiose, degne avversarie dei principali Xeriaeroine sunt estem guerrieri maschi. eostiuntis di beaSecondo alcune versioni della leggenda, volectatio. per esempio,Tur Antiope si batte fieramente contro Teseo alitioche endustia prima questinon riesca a rapirla e a portarla con sé verfero dis le amazzoni invadono la Grecia adrae Atene. Quando
NEI MITI GRECI le amazzoni sono spesso rappresentate
nel tentativo di liberare la donna, gli ateniesi devono schierare i loro migliori uomini per respingerle. Una delle leggendarie imprese che è costretto ad affrontare Ercole consiste nel rubare la cintura della regina Ippolita. Un’altra sovrana, Pentesilea, combatte a fianco dei troiani e tiene testa allo stesso Achille prima di soccombere per mano sua. Achille ne piangerà la morte e concederà ai nemici di seppellirla con tutti gli onori. 46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
gruppi di donne guerriere nei territori orientali. Le tombe scite rivelano un alto livello di parità tra i generi, cosa che dovette sconcertare i greci, le cui mogli e figlie trascorrevano la vita a casa, dedicandosi alla tessitura e alla cura degli altri. Queste donne nomadi invece conducevano una dura esistenza accanto agli uomini in un territorio inospitale. Le tribù vivevano in costante movimento, in cerca di pascoli e cacciagione, saccheggiando città straniere e combattendo contro le popolazioni ostili. Tutti i membri della comunità, maschi e femmine, giovani e vecchi, partecipavano alla difesa del gruppo per assicurarne la sopravvivenza. Era una questione di logica e di necessità che s’insegnasse a cavalcare, tirare con l’arco, cacciare e combattere sia
LES FRÈRES CHUZEVILLE / RMN-GRAND PALAIS
ai ragazzi sia alle ragazze. Questo stile di vita favoriva l’uguaglianza, perché una donna armata di arco sul dorso di un cavallo veloce poteva essere altrettanto letale di un uomo.
Una vita nomade Lo stile di vita egualitario degli sciti era molto diverso da quello sedentario e agricolo dei greci. Il fatto che le donne potessero essere messe sullo stesso piano degli uomini suscitava nel mondo ellenico sentimenti contrastanti. L’idea era tanto stimolante quanto minacciosa e ispirò un gran numero di storie avvincenti di guerriere barbare che si battevano “con il coraggio e l’abilità dei maschi”. Nei loro miti incentrati sull’audacia delle amazzoni, i greci creavano pro-
babilmente uno spazio protetto all’interno del quale esplorare l’idea dell’uguaglianza di genere, un’utopia nella loro società patriarcale in cui gli uomini dominavano e controllavano le donne.
Il ritrovamento di centinaia di tombe contenenti scheletri femminili con cicatrici di guerra, sepolti con armi, conferma l’esistenza di guerriere. Eppure alcuni esperti continuano ad aggrapparsi all’idea ormai obsoleta che le amazzoni non siano altro che figure
LA DONNA, IN CASA
Una donna greca si accinge a tessere nel gineceo, il luogo della casa destinato alle donne. Scena di un portagioie (pyxis) del V secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi.
IL MODO DI VITA DEI NOMADI FAVORIVA L’UGUAGLIANZA, PERCHE UNA DONNA ARMATA DI ARCO A DORSO DI UN CAVALLO POTEVA ESSERE ALTRETTANTO LETALE DI UN UOMO STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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AMAZZONE FERITA, UN TIPO DI SCULTURA MOLTO POPOLARE IN GRECIA. VATICANO.
immaginarie, create al puro scopo di essere sottomesse dagli eroi greci. Altri insistono sul fatto che tali leggende sono una dimostrazione dell’odio e della paura dei greci nei confronti delle donne e un tentativo di giustificare il dominio maschile su di loro. Secondo questa teoria le amazzoni non potevano mai assurgere a uno status realmente eroico ed erano immancabilmente destinate alla sconfitta. Nei racconti mitologici infatti vengono sempre sconfitte dagli eroi maschili. Detto in altre parole, il pubblico greco voleva solo ascoltare storie che celebrassero i propri trionfi. C’era un unico motivo per cui le guerriere erano sempre presentate come dotate di un coraggio e un’abilità pari a quelli degli uomini: l’eroe in cerca di gloria doveva battersi con avversari del suo livello; non c’era niente di onorevole nello sbaragliare un nemico più debole. Ecco perché le pitture raffiguranti le battaglie contro le amazzoni che decorano le ceramiche greche sono cariche di tensione. Le guerriere lottano sempre fino alla morte, riuscendo in alcuni casi anche a uccidere i loro oppositori maschili.
SCALA, FIRENZE
Testimonianze archeologiche
EL MENÚ
DEL DÍA LE AMAZZONI, Medalla OGGETTO conmemora¡ Eiffel. DI CULTO
1875. Museo de Orsay, París. nomadi, amanti della guerra e feroci avversarie dei Xeria sunt estem greci. Ponevano eostiuntis di beale proprie condizioni alle relazioni volectatio. Tur sessuali e tenevano testa agli uomini in quanto ad alitio e endustia non abilità coraggio. L’idea di donne forti e indipendenti rae verfero dis suscitava emozioni contrastanti nel mondo ellenico
LE AMAZZONI DEI MITI erano arciere e cavallerizze
– paura, rispetto e desiderio –, che trovarono espressione nelle moltissime rappresentazioni di queste temibili virago. Le loro gesta possono ancora essere ammirate nelle pitture di oltre mille vasi giunti fino ai nostri giorni. Le immagini di amazzoni erano molto in voga anche su gioielli, figurine, statue e sculture. In alcune tombe di bambine sono state trovate persino delle bambole di guerriere con gli arti mobili. 48 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Alla fine l’archeologia è riuscita a dimostrare che le amazzoni non furono una pura invenzione di fantasia e che alcune concezioni relative al mito delle amazzoni sono false. Per esempio l’idea secondo la quale si asportassero il seno destro per poter tirare meglio con l’arco. Questa leggenda iniziò a circolare già nel 490 a.C., quando lo storico Ellanico di Lesbo si convinse che l’etimologia del termine fosse il greco mazos, che significa “seno”, preceduto da una“a”con valore privativo. Ma in realtà questa teoria era messa in dubbio già dai suoi contemporanei, e non fu mai accettata né dai pittori né dagli artigiani dell’antichità. Nelle opere greche e romane infatti le guerriere hanno sempre entrambi i seni, che di fatto non rappresentano alcun inconveniente per il tiro con l’arco. Un’altra
credenza persistente già diffusa tra gli antichi è che le amazzoni fossero una tribù di cacciatrici di uomini, donne autoritarie che schiavizzavano e mutilavano i maschi e
SCALA, FIRENZE
uccidevano o ripudiavano i bambini. Forse quest’idea nacque proprio dal fatto che i greci opprimevano le loro compagne: pertanto ritenevano logico che se queste avessero raggiunto una parità di forza e indipendenza avrebbero necessariamente cercato di assoggettarli. Eppure Omero si riferiva alle amazzoni con un termine che significa “uguali agli uomini”, e molti poeti greci le definivano “amanti degli uomini”. Alcuni esperti moderni suggeriscono che si trattasse di donne che avevano rinunciato alla maternità per dedicarsi all’attività bellica. Ma quest’ipotesi è confutata dall’esistenza di documenti di epoca greca dove si elencano varie generazioni di amazzoni, tutte con un lignaggio matrilineare. Inoltre vari
storici di quel periodo menzionano il fatto che le guerriere allattavano i figli con latte di giumenta, il che già di per sé smentisce una presunta mancanza di prole, contraddetta anche dal ritrovamento di scheletri infantili nelle tombe di donne sepolte con le loro armi.
Figure autentiche Nel corso delle mie ricerche ho scoperto che le guerriere delle vaste steppe dell’Asia centrale influenzarono anche altre cultu-
AMAZZONE SCONFITTA
Un guerriero greco afferra un’amazzone per i capelli in battaglia. La donna ha ancora lo scudo, ma l’ascia giace ai suoi piedi. Museo archeologico nazionale, Atene.
L’IDEA CHE LE AMAZZONI RINUNCIASSERO ALLA MATERNITÀ È STATA SMENTITA DALLA SCOPERTA DI SCHELETRI INFANTILI IN TOMBE DI DONNE SEPOLTE CON LE PROPRIE ARMI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
AMAZZONE VESTITA ALLA MANIERA SCITA E ARMATA DI ARCO E FRECCE. BRITISH MUSEUM.
EL MENÚ
DEL DÍA TOMBE FEMMINILI Medalla CON ARMI conmemora¡ Eiffel. DA GUERRA
1875. Museo de Orsay, París. inXeria una tomba davano sempre per scontato che sunt estem appartenessero eostiuntis di beaa un uomo. Ma oggi grazie ai test volectatio. Tur del DNA effettuati in alcuni sepolcri della Scizia sono alitio endustia non stati identificati più di 300 scheletri femminili con rae verfero dis sepolti con faretre piene di frecce, cicatrici di guerra, QUANDO GLI ARCHEOLOGI trovavano delle armi
asce, lance e cavalli: una prova definitiva dell’esistenza di donne guerriere nelle zone dove, secondo i greci, vivevano le amazzoni. I figli di queste tribù nomadi apprendevano a cavalcare e a tirare con l’arco fin da piccoli. Uomini e donne vestivano allo stesso modo, con tuniche e pantaloni, e imparavano a usare le stesse armi. Tutte queste usanze contribuivano alla creazione di uno stile di vita egualitario. 50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
re antiche entrate in contatto con i nomadi sciti. Racconti e testimonianze storiche di donne simili alle amazzoni apparvero in Egitto, Persia, Caucaso, India e Cina. Il mito della giovane eroina cinese Hua Mulan affonda le sue radici nelle popolazioni nomadi eurasiatiche.
Nell’antica Grecia storici come Erodoto, Strabone e altri non solo non mettevano in dubbio l’esistenza di guerriere, ma le identificavano proprio con le nomadi scite. Curiosamente anche il filosofo Platone scrisse di queste feroci combattenti sospese tra mito e realtà; le abitanti della Scizia compaiono nella sua opera intitolata Leggi, un dialogo incentrato su come educare i cittadini per prepararli alla pace e alla guerra. Nello sta-
BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
to ideale proposto da Platone, i bambini e le bambine dovevano apprendere il tiro con l’arco, l’equitazione e l’uso del giavellotto e della fionda a partire dai sei anni di età. È interessante notare che non si tratta delle classiche discipline cui venivano addestrati gli opliti, i guerrieri greci tradizionali. In realtà queste attività rispecchiano accuratamente l’educazione degli arcieri nomadi sciti. Ai tempi di Platone, nel quarto secolo a.C., la Scizia era già nota per la presenza di guerriere che combattevano a cavallo al fianco degli uomini. Platone proponeva dunque che maschi e femmine della sua repubblica ideale adottassero uno stile di vita scita, precisando che sarebbero stati degli insegnanti stranieri ad addestrare i giovani a cavalcare
e a tirare con l’arco in grandi spazi all’aperto appositamente creati a questo scopo.
Secondo Platone, le bambine dovevano ricevere la stessa formazione dei bambini nell’atletica, nell’equitazione e nell’uso delle armi. Questo avrebbe garantito che in caso di emergenze le donne greche sarebbero state in grado di usare archi e frecce «come le amazzoni» e di battersi al fianco degli uomini in un eventuale conflitto contro dei nemici esterni. L’approccio del filosofo ateniese, molto
CAVALIERE SCITA
Tra i popoli nomadi sapevano cavalcare sia gli uomini sia le donne. Statuetta in bronzo proveniente dalla Campania. 510-490 a.C. British Museum.
PLATONE PROPONE CHE A PARTIRE DAI SEI ANNI DI ETÀ BAMBINI E BAMBINE VADANO DAI MAESTRI DI EQUITAZIONE, D’ARCO, DI GIAVELLOTTO E DI FIONDA STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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DEA / ALBUM
DONNA GRECA SEDUTA TRA ARMI E SCUDI. COPIA ROMANA DI UN ORIGINALE GRECO. MUSEI CAPITOLINI, ROMA.
LE CORAGGIOSE SALVATRICI DI ARGO SI SONO tramandati esempi di coraggio delle donne greche paragonabili alla presunta audacia delle amazzoni. Nel trattato Sulle virtù delle donne Plutarco racconta di Telesilla, la poeta che guidò le abitanti di Argo nello scontro con gli spartani. Dopo aver sconfitto gli argivi nella battaglia di Sepeia, il re Cleomene di Sparta si diresse verso Argo con l’obiettivo di conquistare la città. Qui rimanevano solo persone anziane, donne e bambini. Telesilla ordinò a tutte le cittadine di armarsi e difendere la patria. Quando Cleomene attaccò, si trovò di fronte a un esercito interamente femminile. Ritenendo disonorevole combattere con delle donne, gli spartani decisero di ritirarsi. Così Argo venne salvata.
distante dalla tradizionale visione greca dei ruoli di genere, non era giustificato solo da vecchie leggende sulle mitologiche guerriere. Platone sostiene: «Vi è un numero immenso di donne che vivono nel Ponto […] alle quali non viene soltanto ordinato […] di prendere confidenza con i cavalli, ma anche con l’uso degli archi e delle altre armi, allo stesso modo dei maschi». E poco dopo aggiunge: «Il sesso femminile presso di noi deve prendere parte all’educazione e a tutto il resto come il sesso maschile». Uomini e donne avevano insomma un medesimo dovere di coltivare le abilità belliche per perseguire «un obiettivo comune». Platone sosteneva che questo tipo di cooperazione reciproca e d’istruzione egualitaria fossero essenziali per il successo della società. Il filosofo riteneva «insensato» che gli stati si discostassero dalla sua proposta, perché così facendo avrebbero sviluppato solo metà del loro potenziale. Seguendo le sue indicazioni, invece, avrebbero potuto «raddoppiare i loro risultati» a parità di costi e di sforzi. Il filosofo ateniese paragonava questo approccio inclusivo ed equo alle abilità dei famosi arcieri sciti, capaci di tendere la corda dell’arco con entrambe le mani. Il fatto di essere ambidestri è cruciale quando si combatte con un arco o una lancia, afferma Platone, per poi aggiungere che tutti i bambini e le bambine dovrebbero imparare a usare entrambe le mani allo stesso modo.
Il fascino delle amazzoni Secondo il filosofo l’esempio delle donne scite dimostra che è possibile e vantaggioso per uno stato concedere alle donne lo stesso livello di educazione e lo stesso stile di vita degli uomini, e che una società che si rifiutasse di farlo commetterebbe un errore. Il mondo ellenico elaborava racconti im-
maginari a partire da eventi reali. In questo modo diede vita a quell’universo mitologico popolato da amazzoni che tanto continua ad affascinarci. Anche gli uomini greci erano attratti da queste figure femminili apparentemente così diverse dalle loro madri, zie, sorelle, mogli e figlie. L’idea di un’effettiva parità tra uomo e donna probabilmente li
SCALA, FIRENZE
turbava, ma era anche una prospettiva che amavano esplorare nei loro miti, nell’arte, nel teatro e nella filosofia. Non va dimenticato che proprio nell’antica Atene nacquero gli ideali democratici ed egualitari, e che varie opere teatrali molto popolari di quel periodo avevano per protagoniste donne forti e indipendenti. L’infinità di leggende fiorite attorno alle amazzoni offrì all’epoca classica la possibilità d’immaginare l’uguaglianza tra uomini e donne. Perché l’attrazione di queste figure continua a essere così forte? Al centro della maggior parte delle storie che ruotano attorno a queste protagoniste sembra esserci l’eterna lotta per l’armonia e l’equilibrio tra uomini e donne. Per i greci come per altre culture,
i miti in cui comparivano queste guerriere di cui oggi esistono testimonianze storiche erano un immenso serbatoio di racconti avvincenti su personaggi maschili e femminili uguali tra loro. Tali storie continuano a suggerire che è possibile impostare relazioni di genere paritarie. Se è accaduto nel passato, non dovrebbe essere impossibile oggi. ADRIENNE MAYOR UNIVERSITÀ DI STANFORD
Per saperne di più
SAGGI
Amazzoni. Vita e leggende delle donne guerriere nel mondo antico Adrienne Mayor. Venexia, Roma, 2017.
SCONTRO MORTALE
Questo dipinto decora il cosiddetto “sarcofago delle amazzoni”. La scena mostra due guerriere nomadi che sconfiggono un greco. Arte etrusca. IV secolo a.C. Museo archeologico, Firenze.
Amazzoni: mito e storia delle donne guerriere Vanna De Angelis. Piemme, Alessandria, 2000.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MITI SULLE AMAZZONI Le amazzoni furono protagoniste di una moltitudine di storie epiche legate agli eroi greci. Tra le più famose ci sono il rapimento di Antiope da parte di Teseo e lo scontro tra Achille e la regina Pentesilea.
PENTESILEA E ACHILLE Nel suo Posthomerica, Quinto Smirneo narra la morte della regina delle amazzoni Pentesilea, alleata dei troiani. A dorso del suo veloce cavallo, dono della moglie del dio del vento, Pentesilea affrontò l’eroe greco Achille, che la trafisse con la sua lancia. Quando vide il corpo della donna giacere senza vita, Achille ne fu così colpito che concesse ai troiani di onorarla con dei funerali degni di un eroe. ANTIOPE E TESEO Secondo una versione del mito, Teseo fece rotta fino alla terra delle amazzoni in compagnia del suo amico Piritoo. Le guerriere li accolsero offrendogli dei doni. Ma quando la regina Antiope salì a bordo della nave greca, Teseo ordinò ai suoi uomini di salpare e la rapì. Le amazzoni decisero in seguito di attaccare Atene per liberarla, ma Antiope, che nel frattempo aveva sposato Teseo, si batté a fianco del marito e venne uccisa da una freccia scagliata dalle sue ex compagne.
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LA REGINA ANTIOPE VIENE RAPITA DA TESEO E PIRITOO. V SECOLO A.C. MUSÉE DU LOUVRE.
PENTESILEA CADE COLPITA DA ACHILLE. RIPRODUZIONE DI UNA COPPA ATTICA. V SECOLO A.C.
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L’ADDIO ALL’IMPERATORE ROMA ONOR A I SUOI CESARI
UN SOFISTICATO FUNERALE ROMANO
Processione funeraria composta da musicisti, prefiche e portantini che reggono sulle spalle una lettiga funebre. I secolo a.C. Museo Nazionale d’Abruzzo, L’Aquila. Sotto, maschera funeraria romana in argento e bronzo. Secoli I-II d.C. Museum Het Valkhof Nijmegen, Nimega (Paesi Bassi).
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Nell’antica Roma la morte era accompagnata da un complesso rituale per assicurare al defunto il viaggio nell’aldilà. Nel caso degli imperatori, una cerimonia li preparava a salire in cielo come nuovi dei
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IL RITUALE FUNERARIO ROMANO
CONCLAMATIO
Allo scopo di sincerarsi dell’avvenuta morte, si gridava il nome del defunto più volte, dal momento del decesso fino a quello della sepoltura.
Quando un cittadino illustre moriva, i rituali per favorire il suo viaggio nell’aldilà duravano diversi giorni. Fino al I secolo a.C. il defunto era trasportato nel proprio sepolcro di notte, alla luce delle fiaccole (funales candelæ), e così si continuò a fare per i bambini. L’usanza venne reintrodotta con il Codex Theodosianus. ULTIMO BACIO
La persona più vicina al defunto ne raccoglieva l’ultimo respiro in un recipiente o tra le labbra e gli toglieva gli anelli per evitare che venissero rubati.
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ell’antica Roma i riti funebri avevano lo scopo di garantire al defunto un posto adeguato nell’aldilà. Si credeva infatti che, se questi fossero stati realizzati per bene, dopo la sepoltura l’anima del defunto avrebbe trovato il giusto riposo e non sarebbe tornata sulla terra a tormentare amici e familiari. Non appena la persona spirava, il parente più prossimo la baciava per raccoglierne l’ultimo respiro e le chiudeva gli occhi per sempre. Le donne di casa invocavano più volte il suo nome, in segno di lutto, e anche per avere la conferma dell’avvenuta morte. Il corpo veniva quindi sollevato dal letto e depositato a terra, dov’era lavato nonché cosparso di unguenti e di sostanze profumate così da rallentare il processo di decomposizione. Dopo che era stato vestito con una toga bianca, il morto veniva disteso sul letto funebre ed esposto fino a sette giorni nell’atrio domestico, dove giungevano a onorarne la memoria i clientes e i familiari. Trascorso tale periodo, il letto funebre con il cadavere veniva trasportato al luogo della sepoltura con una processione a cui prendevano parte parenti e vicini, e in cui alcuni attori sfilavano indossando maschere 58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
44 a.C. Il funerale di Giulio Cesare anticipa le caratteristiche dei funerali imperiali.
14 d.C. Il cadavere di Augusto deve essere trasportato a Roma da Nola.
79 d.C. Al funerale di Vespasiano un mimo imita la sua proverbiale avarizia.
139 d.C. Adriano viene sepolto nel suo mausoleo, l’attuale Castel Sant’Angelo.
193 d.C. Dopo l’assassinio di Pertinace, Settimio Severo fa un funerale in sua assenza.
di cera degli avi del morto. Il cadavere veniva perciò collocato in una bara o lasciato sulla lettiga del corteo funebre, e quindi cremato e sepolto in un tumulo.
La morte come spettacolo Se una simile pratica funeraria era più o meno comune a tutti i cittadini romani, alcuni personaggi considerati benefattori e salvatori della patria si guadagnavano il diritto straordinario di esequie pubbliche (funera publica). Il funerale veniva annunciato da un banditore; il cadavere era esposto su un letto d’oro o d’avorio e, al centro del foro, gli veniva dedicata una lode pubblica. Ancor più fastosi erano i funerali celebrati in onore degli imperatori morti (funera imperatorum) giacché comportavano una serie di cerimonie che costituivano un vero e proprio spettacolo. Questo insieme di riti rispondeva a un’organizzazione ben precisa, anche se cambiava da un funerale all’altro perché l’imperatore defunto poteva aver lasciato delle disposizioni testamentarie, note come mandata de funere suo, su come dovessero svolgersi le sue esequie. Il funerale imperiale aveva un carattere pubblico e propagandistico e, per certi aspetti, ricordava la
INFOGRAFIA (DELL’INTERO PEZZO): ALMUDENA CUESTA. FONTI: HARRIET I. FLOWER E JAVIER MARTÍNEZ PÉREZ
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ESPOSIZIONE DEL DEFUNTO
L’esibizione del cadavere nell’atrio di casa durava fino ai sette giorni, a seconda dello status del defunto. Le spoglie riposavano assieme alle maschere dei suoi avi, le imagines maiorum, modellate in cera e colorate, che in casa occupavano un posto di rilievo.
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LAVARE E PROFUMARE
I pollinctores, schiavi addetti a tale mansione, erano incaricati di preparare il cadavere all’esposizione pubblica.
Con il passare del tempo i ritratti del volto del defunto si realizzarono con materiali più resistenti della cera, come il marmo o il bronzo. Gli armadi che contenevano le imagines maiorum rimanevano aperti perché queste partecipassero alla veglia come ulteriori membri della famiglia. Dei rotoli (tituli) indicavano il nome di ogni antenato, le cariche da lui ricoperte e le gesta realizzate.
PURIFICAZIONE DELLA CASA
La casa del defunto doveva essere purificata con acqua e fuoco (suffitio). La famiglia inoltre mangiava sulla tomba e immolava una scrofa in onore a Cerere.
L’alloro era simbolo di protezione, gloria e risurrezione
IMMAGINI DI CERA PER IMPERATORI ASSENTI
LA VIA SACRA
Le processioni funerarie imperiali partivano dal Campidoglio e attraversavano Roma lungo la via Sacra, la principale arteria della città.
NEL CASO IN CUI il corpo dell’imperatore non fosse presente al funerale
– essendo già stato cremato fuori Roma o sepolto in un altro luogo –, si celebrava il cosiddetto funus imaginarium. Tale cerimonia era identica alle altre esequie, ma il corpo del defunto veniva sostituito da una rappresentazione in cera, detta imago o effigies. Il funus imaginarium terminava sempre come un funerale convenzionale, con la cremazione del defunto, anche se ad ardere era il simulacro in cera. Quando Settimio Severo divenne imperatore, dedicò un funus imaginarium al suo predecessore Pertinace, che era stato assassinato, e al funerale vennero esposte immagini di cera del defunto con vesti trionfali e le ferite che ne avevano provocato la morte. DREW FULTON
MASCHERA MORTUARIA
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CARRO FUNERARIO ROMANO. INCISIONE DI G.G. HILL PER SCHOOL CLASSICS. 1903.
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e il suo feretro. Se un imperatore moriva lontano da Roma, il corteo veniva organizzato in modo diverso: il corpo veniva prima portato in processione solenne sino alle porte della città, e da qui era condotto al Palatino perché venisse esposto all’interno del palazzo imperiale. Così avvenne nel caso di Augusto, morto a Nola, il quale dovette essere trasportato a Roma per la celebrazione del suo funerale.
Musici, prefiche e attori Un elemento fondamentale del corteo funebre, come di qualsiasi altra cerimonia religiosa nel mondo romano, era la musica. Situati alla testa del corteo, i musicisti annunciavano il loro passaggio con gli strumenti a fiato ed erano seguiti da un coro di prefiche, o preficæ, che intonavano canti funebri conosciuti come næniæ. Durante i funerali imperiali il seguito musicale s’ingrandiva e vi partecipavano musicisti che suonavano strumenti a fiato più potenti e in metallo (longæ tubæ e cornua). Oltre a queste figure, nel corteo c’erano anche numerosi attori o mimi. In genere la loro funzione era quella di rappresentare il defunto e i suoi avi più importanti; per
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pompa triumphalis, la processione con cui si celebravano le grandi vittorie militari. Come nei trionfi, durante i funerali romani si sfoggiavano in pubblico tutti i simboli del potere appartenuti alla persona defunta. La plebe era invitata a partecipare alla cerimonia tramite l’annuncio dei banditori e, nel giorno prestabilito, gremiva i due lati della via Sacra per assistere alla processione; questa scendeva dal palazzo imperiale, sul Palatino, fino ai rostri del Foro, la tribuna dalla quale si tenevano le arringhe. Lì il figlio o l’erede dell’imperatore declamava l’elogio funebre (laudatio funebris), un discorso in cui metteva in evidenza le buone azioni e le virtù del defunto. Dopo di ciò il corteo riprendeva il cammino sino al Campo Marzio, dove veniva elevata la pira, o rogus, in cui sarebbero arsi il corpo dell’imperatore
Negli atri delle loro case i patrizi conservavano maschere che rappresentavano gli antenati, come si può vedere nella riproduzione a sinistra.
LA PROCESSIONE FUNEBRE I cortei organizzati alla morte di ogni imperatore erano molto complessi e cambiavano di volta in volta, a seconda delle circostanze e delle volontà dal defunto. Sotto queste righe compare il corteo realizzato in onore di Giulio Cesare, molto simile a quello degli imperatori veri e propri.
CADAVERE. Sulla lettiga o lectica
veniva collocata una cassa di legno (capulus o feretrum) con il corpo di Cesare, sopra il quale giaceva la maschera in cera del dictator.
PARENTI. Si trovavano subito dopo la lettiga imperiale. Dietro di loro sfilavano i rappresentanti di tutte le classi sociali.
MAGISTRATI. Portavano
sulle spalle la lettiga funebre di Cesare. Nel caso di Augusto erano i senatori a reggerla, mentre Tiberio proibì che si facesse in occasione del suo funerale.In altri casi la lettiga si trovava su un carro.
ATTORE. Un mimo coperto
da una maschera precedeva il corpo di Cesare, imitando la gestualità del condottiero. Così avvenne pure in altri funerali imperiali, come in quello di Vespasiano.
L’ordine della processione era regolato dal designator, il responsabile delle onoranze, il quale assumeva aiutanti e attori per interpretare i diversi personaggi.
VETERANI DI CESARE.
Soldati ritratti con le loro armi.
RAPPRESENTANTI
di diverse classi sociali.
FAMIGLIA E AMICI
LETTIGA FUNEBRE
trasportata dai magistrati.
PROCESSIONE
LE EFFIGI
Ogni littore portava dei fasces, simbolo del potere di Roma.
Fasces lictorii romani: fascio di 30 bastoni intrecciati da cui spuntava la lama di una scure.
Stampi di gesso per le parti visibili: il volto e le mani. Un fantoccio realizzato in diversi materiali riproduce il corpo del defunto. legno
paglia
LE MASCHERE
DEGLI AVI
corda
Si ignora se le maschere venissero allacciate alla testa con dei nastri, tenute con le mani o legate a un bastoncino.
LIT TORI
C ARRO TRIONFALE
Come spettava alla carica di dictator – nel caso di Cesare –, e a quella di imperatore – a partire da Augusto –, il corpo del defunto era preceduto da un gruppo di lictores, guardie incaricate di aprire la strada alle massime autorità dello stato romano.
Le fonti indicano che al funerale di Augusto un personaggio su un carro trionfale portava una maschera dell’imperatore morto.
SIMBOLI COMMEMORATIVI
delle vittorie militari di Cesare.
LIBERTI
Schiavi liberati nel testamento di Cesare sfilano con il pileo, il berretto da uomo libero.
CORO DELLE PREFICHE
che intonavano le neniæ (composizioni poetiche cantate durante le esequie) e tenevano in mano dei lacrimatoi.
PORTATORI DI FIACCOLE
Anche se era giorno, venivano accese in ricordo dell’antica usanza del funerale notturno.
MUSICISTI
Aprivano il corteo suonando le tibiæ (un tipo di flauto), corni e altri strumenti.
APOTEOSI DI CLAUDIO
Il cammeo di onice alla destra rappresenta l’apoteosi o deificazione di Claudio. Cabinet des Medailles. Bibliothèque Nationale, Parigi. LODE AL GIOVANE MARCELLO
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MASCHERA FUNERARIA IN TERRACOTTA PROVENIENTE DA UNA TOMBA ROMANA DEL VICINO ORIENTE.
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mila sesterzi e gettate il mio corpo nel Tevere”». Con tali parole richiamava la proverbiale avarizia dell’imperatore.
Dimostrazione di potere Se la presenza di musicisti, attori e prefiche era abituale nei funerali di qualsiasi nobile romano, al corteo dell’imperatore partecipavano tutte le personalità dello stato, dai senatori agli equites – i membri dell’ordine equestre –, dai sacerdoti ai littori. Era comune che pure gli eredi degli imperatori camminassero dietro il letto funebre, come accadde per Tiberio, Settimio Severo e Giuliano l’Apostata. Venivano inoltre esposti i diversi simboli del potere dell’imperatore, come rappresentazioni iconografiche delle province o titoli delle leggi promulgate. L’esercito manteneva un ruolo di spicco perché, prima di ogni altra cosa, l’imperatore era il capo supremo delle truppe romane, che esibivano il lutto con diverse azioni quali gettare i propri simboli nella pira funeraria dell’imperatore, attorno alla quale la cavalleria svolgeva una corsa (decursio equitum). Era l’ultimo omaggio al generale di Roma. La popolazione partecipava al lutto per tutta la durata del funerale imperiale. Innan-
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questo ne riproducevano i gesti caratteristici e portavano insegne o abiti della carica che il morto, o i suoi antenati, avevano ricoperto. Si poteva ricorrere anche a copie dei ritratti o a maschere funerarie in cera conservate dalla famiglia. Con un simile rituale si cercava di mantenere viva la memoria del morto e dei suoi familiari, evitando che la plebe dimenticasse le gesta gloriose da questi compiute in vita. Durante il funerale di Vespasiano un mimo, coperto da una maschera con i tratti dell’imperatore, cercava di evocarne il comportamento. Secondo Svetonio, il mimo parlava nelle veci dell’imperatore e «chiese agli intendenti quanto costassero il funerale e il corteo funebre; nel sentire che il costo era stato di dieci milioni di sesterzi, esclamò: “Date a me cento-
L’incisione a sinistra rappresenta il momento in cui Augusto declama la lode in onore del nipote e genero Marcello. Hermann Vogel. 1880.
TOMBE DENTRO LE MURA, UN PRIVILEGIO IMPERIALE
LA PIRA ARDE
L’olio di Domenichino rappresenta un rogus o pira, attorno al quale si svolgono dei giochi funerari. 1635 circa. Museo del Prado, Madrid.
NEL MONDO ROMANO le tombe erano in genere poste fuori dalla città, vicino alle grandi vie d’ingresso alla stessa, perché i morti erano considerati impuri. Tuttavia, nel caso di personaggi illustri o degli imperatori, era consentito collocarle dentro l’urbs in segno di omaggio, anche se ciò comportava una rottura con la tradizione. È il caso di Traiano, che decise di far riporre l’urna con le sue ceneri nella colonna Traiana, all’interno del foro da lui fatto costruire. Un altro esempio è quello di Domiziano, che fece erigere il suo mausoleo sul Quirinale. Pur non avendo ricevuto il permesso del senato, il tirannico Domiziano impose la propria volontà.
zitutto ci si toglieva i soliti indumenti. Gli uomini di alto rango indossavano una toga nera, la praetexta pulla, mentre le donne, in epoca imperiale, portavano vestiti bianchi. Inoltre, così come i soldati lanciavano sulla pira le decorazioni, la plebe vi gettava profumi, oli e altri oggetti che ardevano assieme al cadavere dell’imperatore. I rituali descritti servivano a ostentare il lutto ed erano ovviamente codificati. A volte, però, le dimostrazioni di dolore erano autentiche. Svetonio e Tacito raccontano che, dopo il suicidio di Otone, alcuni soldati baciarono il cadavere e si tolsero la vita davanti alla sua pira funeraria. Una volta che il corteo era giunto al Campo Marzio, il letto funerario veniva deposto sulla pira. La qualità del materiale e la forma variavano a seconda della ricchezza del BOCCETTA DI PROFUMO A FORMA DI COLOMBA USATA NEI FUNERALI. II SECOLO. MUSEO DEL TERRITORIO BIELLESE, BIELLA.
L’incisione a sinistra, del XVI secolo, riproduce il basamento della colonna Traiana. Una porta conduceva all’interno, e qui furono deposte le ceneri di Traiano.
defunto, ragion per cui non stupisce che la lettiga dell’imperatore fosse più sofisticata e complessa rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino. Era riccamente adornata con oro, avorio, ghirlande e fiori. Non aveva pareti, in modo che chiunque potesse vedere la maschera di cera collocata sul volto. Quando nei funerali imperiali mancava il cadavere dell’imperatore, perché era morto in terra straniera e non era stato possibile trasportarlo a Roma per tempo, il corpo veniva sostituito nella pira da un manichino di cera, sdraiato sul feretro come se stesse dormendo. E così successe, tra gli altri, per Marco Aurelio. La pira era composta da legno di cipresso, e su di essa si spargevano dei pezzi di arbusti d’incenso per attenuare l’odore di carne bruciata. Secondo Plinio, vicino al rogus erano disposte pitture che rappresentavano momenti memorabili della vita del defunto, oggetti preziosi e, a volte, strutture monumentali composte da diversi piani a gradoni. Cassio Dione descrive in questo modo la pira dell’imperatore Pertinace, che morì assassinato nel 193 d.C.: «Lì era stata eretta una pira a forma di D E A / A L B UM
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IL SEPOLCRO DI TRAIANO
CASTEL SANT’ANGELO
Venne eretto da Adriano verso il 135 d.C. per conservare le ceneri sue e degli altri membri della famiglia. Fu completato da Antonino Pio nel 139 d.C. IL VOLO DELL’AQUILA
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torre che aveva tre piani ed era ornata con oro e avorio, e una serie di statue; e sopra di questa avevano disposto un carro guidato dallo stesso Pertinace. Dentro la pira si collocarono le offerte funerarie e il sarcofago; e allora Severo e i familiari di Pertinace baciarono la sua effigie». Mentre la pira ardeva si faceva l’ultima conclamatio, o invocazione del morto. In molti casi il senato avrebbe decretato nei giorni seguenti la divinizzazione dell’imperatore morto; per questo, mentre la pira ardeva, veniva liberata un’aquila che volava in alto, simboleggiando l’elevazione dell’aURNA FUNERARIA DI MARMO. DETTAGLIO CON BASSORILIEVI DI ARMI. METROPOLITAN MUSEUM OF ART, NEW YORK.
Un’aquila si alza in volo mentre la pira arde in quest’acquaforte realizzata da G. Mochetti a partire da un’incisione di B. Pinelli. XIX secolo.
nima dell’imperatore verso la dimora degli dei. Cassio Dione ne offre una descrizione, sempre a proposito del funerale di Pertinace: «Allora i consoli diedero fuoco alla struttura e, fatto questo, un’aquila volò dalla pira verso il cielo. In questo modo Pertinace fu reso immortale». Spenta la pira, si raccoglievano le ossa calcinate per inumarle, e il resto delle ceneri veniva conservato in un’urna. Si consacrava la tomba in cui era deposta l’urna con il sacrificio di una scrofa, atto che dava inizio a tre giorni di festeggiamenti e banchetti in onore dell’imperatore. Aveva così termine il funerale che, si sperava, aveva ben impresso nella mente del popolo il ricordo del sovrano defunto e allo stesso tempo la grandezza della dignità imperiale. LUCÍA AVIAL-CHICHARRO STORICA E ARCHEOLOGA
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SAGGI
La morte nell’antica Roma Jean Prieur. ECIG, Genova, 1991. La “memoria mascherata” Massimo Blasi. Quasar, Roma, 2010. Imago mortis Chiara de Filippis Cappai. Loffredo, Napoli, 1997. Imperatori Barry S. Strauss. Laterza, Roma-Bari, 2019.
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Per saperne di più
L’ULTIMA DIMORA DI AUGUSTO Nel 28 a.C. l’imperatore Augusto iniziò a Roma la costruzione del proprio mausoleo. Il monumento s’ispirava alle grandi tombe di epoca ellenistica e fu concepito per esaltare sia l’imperatore sia il suo governo.
TRA I DUE MURI
esterni si alzava il tumulo di terra. Su di questo crescevano degli alberi descritti dallo storico greco Strabone.
LA STRUTTURA
Era formata da cinque muri concentrici, con un diametro massimo di 87 metri, che si alzavano progressivamente verso il centro del monumento. Dalla porta d’ingresso si passava per un lungo corridoio sino alla camera sepolcrale, al cui centro si trovava la tomba dell’imperatore.
L’IMPERATORE
Coronava il monumento una statua di Augusto, che si ergeva sopra un pilastro centrale, alto 42 metri. Dentro il pilastro si trovava la stanza quadrata con le sue ceneri.
ILLUSTRAZIONE: VALOR-LLIMÓS ARQUITECTURA. FOTO: SCALA, FIRENZE
MAUSOLEO DI AUGUSTO A destra un’immagine del mausoleo oggi. Il costante saccheggio di materiali costruttivi, avvenuto nel corso dei secoli, e il reimpiego dell’edificio come vigneto, giardino, fortezza medievale e perfino arena dei tori (nel XVIII secolo), rendono piuttosto difficile l’esatta ricostruzione del monumento, che è oggetto di restauro conservativo.
BASAMENTO ESTERNO
GLI OBELISCHI
Era ricoperto in travertino e raggiungeva i 12 metri di altezza. Altri due cilindri collegati da 14 muri radiali formavano il tamburo interno, tre volte più alto del primo basamento.
La porta d’ingresso era affiancata da due obelischi e da pilastri dove era inciso il testamento di Augusto. Il testamento si è conservato grazie a una copia iscritta nel tempio dedicato all’imperatore ad Ancyra, l’attuale Ankara, in Turchia.
UN GIORNO NELLA VITA DI Consacrati interamente alla preghiera, i monaci del Medioevo dividevano
MONACI IN PREGHIERA
Questo dettaglio della decorazione presente nel Cappellone della basilica di San Nicola, a Tolentino (Macerata), mostra un gruppo di monaci agostiniani durante la preghiera. Opera del Maestro di Tolentino. Secolo XIV. DEA / SCALA, FIRENZE
UN MONASTERO MEDIEVALE le giornate tra i canti nel coro, il lavoro e le discussioni nella sala capitolare
C R O N O LO G I A
Monaci e frati del Medioevo 540 Benedetto da Norcia fonda l’abbazia di Montecassino, in Italia. Nasce l’ordine benedettino, che prospererà nel Medioevo.
909 circa A Cluny, nella regione francese della Borgogna, viene fondata un’abbazia in cui si sviluppa la riforma dell’ordine benedettino.
1059-1063 In due sinodi celebrati a Roma viene fondato l’ordine dei canonici regolari di Sant’Agostino, che si basa su testi attribuiti ad Agostino d’Ippona.
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1115 Bernardo di Chiaravalle fonda l’abbazia di Clairvaux (Chiaravalle), nucleo dell’ordine cistercense, nato in seguito alla scissione dai benedettini.
1274 Il concilio di Lione approva quattro ordini mendicanti sorti nel XIII secolo: domenicano, francescano, agostiniano e carmelitano.
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URNA DI SAN MILLÁN
Conserva i resti di sant’Emiliano, un eremita del VI secolo, il quale a San Millán de la Cogolla fondò un cenobio che nell’XI secolo sarebbe divenuto un monastero benedettino.
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er i frati medievali i monasteri non erano soltanto un luogo religioso, dove trovare la salvezza per l’aldilà, ma anche un mondo autonomo, un universo in cui vivere lontano da tutto e tutti. I primi gruppi cristiani che decisero di condurre una vita in comune, e ai margini della società, sorsero nella parte orientale dell’impero romano durante il quarto secolo. Tale modo di concepire il cristianesimo non tardò a diffondersi nell’Europa occidentale, dove nel 480 circa nacque colui che è considerato il padre del monachesimo europeo: Benedetto da Norcia. L’ordine benedettino avrebbe dato origine a due altre grandi comunità, i cluniacensi e i cistercensi, e avrebbe esercitato una grande influenza sugli altri ordini medievali: quello certosino, quello dei mendicanti (francescani e domenicani), di san Girolamo, della santa croce (o dei crocigeri, che seguivano la regola di sant’Agostino) e perfino sugli ordini militari (templari, ospitalieri, di Calatrava, di Santiago…). Come si può evincere dalla
SAINT-MARTIN DU CANIGOU
Fondata su richiesta del conte Goffredo della Cerdanya agli inizi del XI secolo, nel suo periodo di massimo splendore, il XII e il XIII secolo, l’abbazia ospitò 24 monaci.
struttura degli edifici eretti tra il decimo e l’undicesimo secolo dall’ordine benedettino di Cluny, i monasteri erano in genere autosufficienti e funzionavano come cittadine. Il loro centro di gravità era la chiesa monastica, dove si amministrava la “parola” e dove una serie d’immagini alle pareti doveva condurre all’estasi nonché educare chi vi aveva accesso.
Piccoli universi
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Attorno alla chiesa vennero creati degli enormi complessi architettonici formati da numerosi fabbricati, uniti tra loro da chiostri o cortili, campi da coltivare ed edifici ausiliari agricoli e zootecnici. Circondato da un’area che lo isolava dall’esterno, l’insieme doveva essere piuttosto grande perché accoglieva un numero rilevante di persone, a volte perfino trecento: i monaci o le monache, i frati conversi – così erano chiamati i religiosi che non avevano ancora preso i voti e si occupavano dei lavori più umili – e
SAN BENEDETTO L’abate Desiderio dona simbolicamente a san Benedetto, fondatore dell’Ordine dei benedettini, le proprietà dell’abbazia di Montecassino. 1070 circa. Biblioteca Apostolica Vaticana.
un ampio gruppo di servitori, cioè amministratori, lavandaie, stallieri, agricoltori o artigiani di diverso genere. Era proprio questa folla di lavoratori a rendere possibile l’attività principale del monastero, quella religiosa. Perché lo stile di vita monastico (del clero regolare, ovvero che rispondeva a una regola) si caratterizzava per la totale consacrazione alla preghiera. O almeno questo è quanto propugnava il monachesimo, in opposizione al suo storico rivale nel compito di salvare le anime, il clero secolare, che viveva nel secolo (ovvero nella società), fuori dal monastero. In realtà, i monasteri medievali coltivavano importanti interessi materiali come il resto della Chiesa cattolica. Ricevevano rendite, decime e diritti sullo sfruttamento agricolo e industriale, e spesso esercitavano il potere giuridico sulle genti del circondario, fino a poter addirittura prendere decisioni in merito alla pena capitale. I monaci cercavano di mettere in pratica una STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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VIVERE IN UN MONASTERO La ricostruzione di un convento medievale ideale mostra i diversi luoghi in cui si svolgeva la vita quotidiana dei monaci.
CHIESA
CHIOSTRO
CANTINA DISPENSA (MAGAZZINO)
MILLE SPAZI IN UNO
Anche se ogni monastero era diverso dagli altri, si tendeva a mantenere una struttura di base. Il complesso di edifici si articolava attorno al chiostro, uno spazio aperto al cui centro di solito erano posti un pozzo o una fonte. La chiesa veniva eretta su uno dei lati del chiostro, con l’abside rivolta verso est. In questa ricostruzione il dormitorio dei monaci si trova a est, e nell’ala opposta compaiono i locali legati alle attività economiche, come la cantina o i magazzini.
ILLUSTRAZIONE: LOÏC DERRIEN / AURIMAGES
ORTO
DORMITORIO DEI MONACI
SALA DEL CAPITOLO
SALA DEI MONACI
CALEFACTORIUM
REFETTORIO DEI MONACI CUCINA
ORTO OFFICINALE
STANZA DEI CONVERSI
2h
Le funzioni del giorno e della notte 4h
I monaci medievali contribuirono a fissare la cosiddetta “liturgia delle ore”, l’insieme di preghiere proprie delle diverse comunità religiose. Qui mostriamo la distribuzione delle funzioni in un giorno in cui il sole sorge alle sei e tramonta alle diciotto.
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FUNZIONE DEL MATTUTINO NEL CORO DEL MONASTERO. MINIATURA DELLE CANTIGAS DE SANTA MARÍA .
6h
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9h OROLOGIO DI PAOLO UCCELLO. XV SECOLO. CATTEDRALE DI FIRENZE.
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MONACI CANTORI
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a regola di san Benedetto prevedeva che nell’arco di una settimana, durante le sette sedute giornaliere di preghiera corrispondenti alle ore monastiche, venissero recitati i 150 salmi della Bibbia, ovvero il Salterio. Secondo le norme, i testi venivano cantati, come pure le antifone e i responsori, brevi testi
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5 12h
CANTO GREGORIANO
che servivano da introduzione o conclusione di ogni salmo. Per questo gli ordini monastici giocarono un ruolo fondamentale nella configurazione del canto gregoriano, tipico della liturgia della messa o delle altre funzioni. Il nome proviene dal papa Gregorio I (590-604): nel Medioevo si credeva che fosse stato lui a trascrivere per la prima volta, sotto dettatura divina, i canti della Chiesa, anche se oggi sappia-
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mo che la riunificazione di un repertorio unitario avvenne dopo, ai tempi di Carlo Magno. Durante il papato di Gregorio VII (1073-1085) s’impose in tutta Europa il cosiddetto canto franco-romano; ciò provocò la scomparsa degli inni tipici delle chiese e delle liturgie regionali (come quella mozarabica in Spagna). Il canto gregoriano unificò le melodie al pari dell’arte romanica, che fuse le restanti arti.
tra le massime aspirazioni del cristianesimo delle origini, quel «pregate incessantemente» raccomandato da san Paolo. Poiché era quasi impossibile poter pregare senza interruzioni, i monaci concentrarono la preghiera in momenti precisi della giornata, come del resto era già stato stabilito nelle prime comunità cristiane. Seguivano quindi una suddivisione oraria ereditata dall’antichità, secondo la quale il giorno era frazionato in ventiquattro ore uguali, a loro volta raggruppate in due metà, le ore del giorno e quelle della notte. Le prime venivano computate dall’alba al tramonto, e si susseguivano così dalla prima (l’alba) alla dodicesima (il crepuscolo), con l’ora sesta a mezzogiorno. Oltre a ciò, gli antichi suddividevano ancora la giornata in scaglioni di tre ore. S’impose perciò anche l’abitudine di pregare appunto ogni tre: all’ora prima, alla terza, alla sesta, alla nona e ai vespri (il crepuscolo). Nel sesto secolo san Benedetto da Norcia trasformò quelle ore in “ore canoniche”e le fissò come le conosciamo oggi nella sua regola. Le ore canoniche rispondevano a una ben precisa gerarchia in base
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21h
MATTUTINO 1
SESTA 5
Durante questo lungo ufficio notturno, chiamato anche veglia, si cantavano dodici salmi.
L’ufficio di mezzogiorno consisteva nel canto di tre salmi e di altri inni e preghiere.
LODI 2
NONA 6
Il nome si deve al fatto che si cantavano tre salmi con la parola laudate (“lodate”).
Come nelle altre ore minori, nella nona si cantavano di solito tre salmi.
PRIMA 3
VESPRI 7
Dopo l’alba si cantavano l’inno Iam lucis orto sidere e quattro salmi.
Durante i vespri s’intonavano quattro salmi e il canto del Magnificat.
TERZA 4
COMPIETA 8
Nel rito benedettino, durante quest’ufficio si cantavano i primi tre salmi graduali.
Il nome deriva dal latino completorium, perché completava la liturgia delle ore.
7 18h
6 7 15h
alla loro importanza. Quelle comprese tra la prima e la nona (alba e pomeriggio), entrambe incluse, costituivano le“ore minori”, chiamate anche diurne. Le altre erano le “maggiori” o notturne, considerate le più importanti: i vespri, la compieta, il mattutino e le lodi. Le otto ore canoniche in cui all’interno del monastero si pregava erano concepite come una progressione dal buio verso la luce, in una fin troppo chiara metafora della salvezza attraverso la grazia divina. Il ciclo iniziava con i vespri (al tramonto); seguiva con la compieta e il mattutino (durante la notte), le lodi (in genere recitate all’alba) e poi si ricominciava con il ciclo delle ore diurne già menzionato.
CANTO DI MONACI Questa pagina di un codice del monastero di Guadalupe contiene il responsorio Quem vidistis pastores, che si cantava nel mattutino di Natale.
La giornata ha inizio Possiamo sapere oggi come si svolgevano le giornate nei monasteri benedettini tra l’undicesimo e il tredicesimo secolo grazie a diverse fonti, tra cui le cosiddette Consuetudines, che descrivevano in modo dettagliato gli obblighi giornalieri di chi
entrava in un monastero. I monaci si coricavano in un dormitorio comune, su brande disposte le une accanto alle altre. Tra le due e le tre della notte, a seconda della stagione, un monaco – che nel frattempo era rimasto vigile o aveva caricato un orologio meccanico che funzionava a mo’ di sveglia – faceva suonare la campana che convocava alla prima funzione della giornata. Allora tutti si dirigevano subito nel coro della chiesa per celebrare il mattutino, oggi ufficio delle letture, il rito religioso più lungo ed elaborato. Non si poteva mai mancare alle funzioni, a cominciare proprio da quella che aveva luogo a notte fonda, il mattutino, e molti monaci temevano di non riuscire a svegliarsi. Nell’undicesimo secolo il monaco Rodolfo il Glabro raccontava che una notte un confratello era stato visitato dal diavolo, il quale l’aveva tentato consigliandogli di rimanere a letto. Così avrebbe affermato il demonio: «E tu, perché con tanto scrupolo, appena senti il suono della campana, subito bal-
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LA CLAUSURA FEMMINILE
STANCHE DI PREGARE
L
o sviluppo delle comunità monastiche femminili, avvenuto a partire dall’XI secolo, suscitò numerosi dibattiti sulle norme a cui si dovessero attenere le monache, come il voto di clausura. Diversamente dalla clausura assoluta, che si diffuse in epoche successive, durante il Medioevo le monache entravano e uscivano dal convento
con una relativa libertà, anche se non potevano lavorare all’esterno. In tale contesto si può intendere un episodio come quello vissuto alla fine del XIII secolo nel monastero di Santo Domingo de Zamora, la cui eco giunse persino a Roma. Alcune monache avevano abbandonato le preghiere in comune e si allontanavano dal monastero, motteggiando chi vi rimaneva a cantare. Una di esse fuggì persino con un domenicano, ed entrambi si fece-
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ro vedere nei villaggi vicini mentre vendevano frumento per finanziare la propria scappatella. Si diceva che un domenicano «dedit pelizco in tibia», ovvero diede un pizzicotto sulle gambe di una monaca proprio nel bel mezzo del ponte sul Duero. In molte insultarono la badessa quando le richiamò all’ordine e l’aggredirono. Tali comportamenti vennero esagerati dalla mentalità popolare, avida di storie morbose tra i membri del clero.
zi dal letto e rompi la dolce quiete del sonno, quando potresti indulgere al riposo sino al terzo squillo?». Un altro problema era quello di rimanere lucidi durante la funzione del mattutino o nella seguente, le lodi. Secondo le abitudini di Cluny, un monaco si aggirava per la cantoria durante la celebrazione e in mano teneva una lanterna per sincerarsi che fossero tutti svegli: se notava che qualcuno stava sonnecchiando, gli si avvicinava e muoveva la candela, destandolo. In certi periodi dell’anno i monaci officiavano le lodi e dopo tornavano al dormitorio a riposare un po’ fino alle campane dell’alba. Malgrado ciò, nei monasteri s’impose la tendenza di distanziare i riti notturni per non interrompere eccessivamente il necessario sonno. Dopo essersi alzati, all’alba i monaci celebravano la prima. Gli uffici diurni erano più brevi degli altri e non c’era l’obbligo di recarsi al coro, perché si potevano adempiere individualmente, interrompendo il lavoro che si stava svolgendo in quell’istante. Tra la prima e la terza i monaci potevano approfittare della
MONACI INTENTI A MANGIARE. SCENA DELLA VITA DI SAN BENEDETTO. AFFRESCO DELL’ABBAZIA DI MONTE OLIVETO MAGGIORE, IN TOSCANA.
DEA / SCALA, FIRENZE
pausa per indossare le calzature giornaliere, lavarsi le mani e il volto – il bagno integrale era riservato alle occasioni speciali, non più di tre volte all’anno, così come la tonsura – e adempiere a svariati compiti prima della preghiera successiva, la terza. Subito dopo si celebrava la messa mattutina.
Tempo di dibattito Dopo la messa tutti i monaci si riunivano nella sala capitolare, o del capitolo. Appoggiati agli scranni, ovvero delle sedute attaccate alle pareti, e sotto la presidenza dell’abate o del priore, i monaci ascoltavano la lettura di una lezione o di un capitolo della regola, affrontavano le questioni economiche che li riguardavano ed esaminavano le eventuali mancanze nell’osservanza della disciplina. Non sempre vi regnava la serenità monastica, o almeno è quanto affermava un cistercense a proposito dei rivali cluniacensi, che secondo lui approfittavano della
BRIDGEMAN / ACI
COMPITI MONASTICI Sotto queste righe un monaco lavora nella cantina del monastero. Illustrazione di un codice del XVI secolo proveniente dall’antica abbazia di Saint-Germaindes-Prés.
LOREM IPSUM
L’abbazia si trova a Veroli (Frosinone). Fu edificata in stile gotico cistercense nel 1203 e consacrata nel 1217, al posto di un precedente monastero benedettino.
RAIMUND KUTTER / AGE FOTOSTOCK
CASAMARI
sessione «per dedicarsi alle distrazioni e al chiacchiericcio. Si siedono – rimangono talmente tanto nella sala del capitolo che non potrebbero starsene in piedi – e tutti parlano con tutti di qualsiasi cosa. Le dicerie volano in un senso e poi nell’altro, e poiché ognuno parla con il proprio vicino, si genera un incredibile baccano come tra gli avventori di una taverna o in mezzo a un tugurio pieno di ubriachi. A volte iniziano a gridare nella sala del capitolo, uno si avventa contro quello che gli ha rivolto una parola scortese; dallo scontro verbale si passa alle minacce e agli insulti, finché è necessario battere sul tavolo per riconvocare l’assemblea dei monaci a un altro capitolo». Successivamente al capitolo, e fino all’ora sesta (mezzogiorno), i monaci si dedicavano al lavoro in conformità al famoso motto benedettino ora et labora (prega e lavora). In genere i compiti manuali più duri o quelli di routine erano svolti dai STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MARTIROLOGIO DI USUARDO. A metà del IX secolo un monaco dell’abbazia parigina di Saint-Germain-des-Prés
di nome Usuardo compose un martirologio o raccolta delle vite dei santi martiri. Nel 1400 circa se ne fece una versione miniata a uso di qualche aristocratico. È conservata nel Museo diocesano di Girona, in Spagna, e ne possiamo ammirare qui alcune pagine. I martirologi venivano letti nel refettorio a scopo edificante. © M. MOLEIRO EDITOR (WWW.MOLEIRO.COM), MARTIROLOGIO DE USUARDO
EREMITI NELLA CAMPAGNA
L’italiano Perinetto di Maffeo da Benevento realizzò delle scene di vita eremitica per la cappella Caracciolo del Sole nella chiesa di San Giovanni a Carbonara, a Napoli. L’immagine appartiene a tale insieme di affreschi.
UNO SCOMODO PRECETTO
LAVORARE MENO
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econdo la regola di san Benedetto, i monaci dovevano dedicare alcuni momenti del giorno al lavoro manuale. Ciononostante, la presenza dei servitori e la necessità di un’attività puramente religiosa fecero sì che nella pratica il lavoro manuale svolto dai monaci si riducesse di molto o divenisse quasi
un rituale. Ciò è quanto si evince per esempio da un testo del monaco tedesco Ulrico (Uldarico o Ulderico) sull’abbazia di Cluny e risalente alla fine dell’XI secolo: «Altro lavoro non si faceva che sradicare le erbe cattive nell’orto e impastare il pane, cose che nemmeno si facevano tutti i giorni. Per supplire alle fatiche manuali erano stati aggiunti dei salmi a tutte le ore canoniche». In questo e altri passi il testo
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di Ulrico dimostra come il precetto del lavoro manuale fosse divenuto una formalità che si compiva quasi di fronte alle gallerie che si trovavano intorno al chiostro. In presenza di un simile lassismo dell’ordine di Cluny, la riforma cistercense cercò di ristabilire il lavoro manuale come un elemento essenziale della vita monastica; ciononostante la riforma non riuscì a cambiare le abitudini del resto dei benedettini.
servitori laici, mentre i monaci si dedicavano alle faccende comunitarie che gli spettavano, e che in genere ruotavano. Per esempio c’erano i portinari, deputati a vigilare sulle porte del monastero, i cantori – che insegnavano la musica e dirigevano il canto nelle funzioni – i cellerari o amministratori della dispensa, gli infermieri, i refettoristi – che organizzavano il refettorio, ovvero la mensa – e altre figure ancora come il ciamberlano, che si occupava del guardaroba dei frati. Altri adempivano a compiti intellettuali, come la scrittura o la copiatura dei libri nello scriptorium.
Il momento dei pasti Dopo l’ufficio della sesta, a mezzogiorno veniva celebrata la seconda messa del giorno. In seguito i monaci si riunivano nel refettorio per il pasto principale della giornata: non potevano nutrirsi soltanto spiritualmente, ma anche fisicamente! I pasti della comunità religiosa erano due. Il quarantunesimo capitolo della regola di san Benedetto stabiliva che dalla Pasqua alla Pentecoste i mo-
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naci avrebbero mangiato a mezzogiorno (ora sesta) e cenato al tramonto (ora dei vespri); dalla Pentecoste sino alla fine dell’estate, invece, il mercoledì e il venerdì non si sarebbe aperta bocca fino al pomeriggio (ora nona) e il resto dei giorni si sarebbe mangiato a mezzogiorno; da metà settembre all’inizio della Quaresima lo si sarebbe fatto nel pomeriggio. Infine durante la Quaresima si sarebbe digiunato, interrompendo tale osservanza a cena, che avrebbe avuto luogo all’imbrunire. Ogni giorno i monaci potevano bere solo una quantità moderata di vino, per di più annacquato, mentre le monache non potevano assumerlo perché, per un pregiudizio misogino, la bevanda era accostata a donne dalle infime passioni. Tuttavia, neppure agli uomini – lo conferma agli inizi del dodicesimo secolo il monaco e filosofo Pietro Abelardo – era permesso il consumo di vino puro, unito al miele o insaporito con spezie come la cannella. Questo vino veniva lasciato ai malati. Dopo la colazione i monaci potevano riposare, soprattutto in estate, prima della nona, alla
quale seguiva un nuovo intervallo di tempo dedicato al lavoro; oppure potevano tornare nella cella, uno spazio che non veniva usato per dormire – abbiamo già visto che c’era un dormitorio comune – bensì per dedicarsi a quegli obblighi particolari che richiedevano raccoglimento, o anche alla lettura . Al tramonto veniva svolta la funzione dei vespri, più lunga delle precedenti. La giornata terminava, ormai di notte, con la compieta. Dopodiché i monaci si dirigevano al dormitorio per riposare alcune ore prima che la campana li svegliasse nel pieno della notte per una nuova giornata di preghiera, lavoro e studio.
GREGORIO MAGNO
In questo rilievo il papa è intento a scrivere. Sotto, alcuni monaci copiano delle opere. Copertina in avorio. IX secolo.
JOSEMI LORENZO ARRIBAS STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Storia del cristianesimo Emanuela Prinzivalli (a cura di). 2 voll. Carocci, Roma, 2015. TESTI
La Regola San Benedetto. San Paolo edizioni, Cinisello Balsamo, 2015. Il nome della rosa Umberto Eco. Bompiani, Milano, 2019.
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COLUI CHE SVEGLIAVA I MONACI Nel XII secolo i documenti parlano di monaci a cui era raccomandato di regolare gli orologi ad acqua. Si crede che già allora esistessero sistemi che permettevano di programmare l’ora in cui sarebbe suonata la campana per svegliare i monaci e realizzare il primo ufficio del giorno. a pratica degli uffici notturni costringeva i monaci a porsi il problema di una sveglia in piena notte. La Regola del maestro, del VI secolo, includeva la mansione dei vigigalli, svolta da due monaci (nel caso in cui uno dei due si fosse addormentato) che avrebbero vegliato per tutta la notte. Per sapere il momento esatto in cui si sarebbe dovuta svegliare tutta la comunità, si osservavano le stelle o si usavano gli orologi ad acqua.
l’ora (in riferimento al contrappeso che cascava in seguito allo scorrere dell’acqua), lui si alzava, osservava il cielo per verificare che l’ora fosse corretta e poi svegliava gli altri monaci con la campana. Sembra perfino che in un secondo momento alcuni orologi fos-
Orologi regolabili Davanti a metodi abbastanza precari, al fine di rispettare scrupolosamente l’orario delle preghiere i monaci dell’XI e del XII secolo ricorsero a un orologio ad acqua più evoluto, con un meccanismo di allarme. Sebbene non se ne conservino esemplari, numerosi documenti monastici alludono all’esistenza di orologi regolati in modo tale da suonare all’ora desiderata. Per esempio, verso l’anno 1100 risulta che il sacrestano del monastero tedesco di Garsten o di Göttweig dovesse regolare l’orologio prima di andare a dormire; quando “cadeva”
SINISTRA: BRIDGEMAN / ACI. DESTRA: GRANGER / ALBUM
sero collegati direttamente alla campana. Agli inizi del XIII secolo un monaco premostratense di Colonia era specializzato nel regolare e preparare gli orologi dei monasteri nella zona. Nel 1268 la regola dell’abbazia belga di Villers assegnava al sacrestano questo compito: «Regolerai con cura l’orologio dopo la compieta [l’ultimo ufficio della giornata] e allora potrai andare a dormire tranquillamente». Come ha indicato lo storico David S. Landes in Storia del tempo. L’orologio e la nascita del mondo moderno, dalla fine del XIII secolo i monaci medievali prepararono il terreno per la comparsa dei primi orologi meccanici (non più orologi ad acqua).
OROLOGIO AD ACQUA
MINIATURA DA HOROLOGIUM SAPIENTAE (L’OROLOGIO DELLA SAGGEZZA), DI HEINRICH SUSO.
Questa miniatura di una Bibbia francese illustrata del 1285 circa mostra un meccanismo che è stato interpretato come un orologio ad acqua meccanico. Anche se non è chiaro come funzionasse, sono visibili una ruota da cui cade un getto di acqua sopra un recipiente e, sopra di questa, un carillon di cinque campane.
NICCOLÒ COPERNICO La r iv oluzi o ne d el c osm o
CULTURE CLUB / GETTY IMAGES
L’astronomo che cambiò radicalmente la nostra visione del cosmo, rimuovendo la terra dal centro dell’universo, era un chierico polacco estremamente riservato che elaborò la sua teoria in gran segreto
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NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE / ALAMY / ACI
LO SCIENZIATO E LA SUA OPERA
Niccolò Copernico elabora la teoria eliocentrica in una litografia di JeanLeon Huens. A sinistra, copertina di un’edizione del 1566 della Narratio prima, sintesi delle sue ricerche. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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C R O N O LO G I A
Un saggio errante e riservato 1473
Niccolò Copernico nasce a Torún, una prospera cittadina mercantile che pochi anni prima era stata annessa al regno di Polonia.
1491-1503
Inizia a studiare legge e medicina a Cracovia, Bologna e Padova, ma i suoi interessi personali lo portano verso il campo dell’astronomia.
1503
Consegue il dottorato in diritto canonico all’Università di Ferrara e torna in Polonia per entrare a servizio dello zio, vescovo di Varmia.
1508 circa
Svolge vari lavori per la diocesi di Varmia e scrive il Commentariolus, la prima versione della sua teoria. Dopodiché va a Frombork.
1539
Conosce G.J. Retico, che lo incoraggia a pubblicare la teoria eliocentrica sviluppata nel corso dei decenni.
1543
Esce a Norimberga la prima edizione di Sulle rivoluzioni. Copernico muore poche settimane dopo, il 24 maggio. UNO DEI VOLUMI CHE COMPONGONO IL CAPOLAVORO DI COPERNICO, SULLE RIVOLUZIONI DELLE SFERE CELESTI, PUBBLICATO A BASILEA NEL 1566. BRIDGEMAN / ACI
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CROCEVIA DI STRADE
Veduta di Torún, sulle rive della Vistola, dove nacque Copernico. La cittadina era un crocevia di rotte commerciali che favorirono il fiorire della borghesia locale.
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ei ritratti di Niccolò Copernico si può vedere un uomo di mezza età, ben rasato, con i capelli scuri e ondulati, il naso pronunciato e leggermente aquilino, e uno sguardo acuto e deciso. È un profilo che non spiccherebbe in una galleria di ritratti rinascimentali quello dell’autore della teoria rivoluzionaria che scosse il sapere dei suoi contemporanei fin nelle più intime fondamenta. Ma chi fu realmente il personaggio capace di trasformare l’idea dell’universo condivisa dalla sua epoca? Copernico nacque il 19 febbraio 1473 da una famiglia borghese di Torún, in Polonia. Suo padre era un mercante appena arrivato da Cracovia, capitale del regno, mentre sua madre apparteneva a un facoltoso casato locale. Torún era uno dei principali centri urbani del nord del Paese, al quale apparteneva dal 1466. Situata sulle rive della Vistola, la cittadina si trovava al centro di un crocevia commerciale che contribuiva alla prosperità
ROYAL ASTRONOMICAL SOCIETY / SPL / AGE FOTOSTOCK
ORBITE DI MERCURIO, DI VENERE E DEL SOLE IN UN SISTEMA GEOCENTRICO. DISEGNO DEL XVIII SECOLO.
SEMPLIFICAZIONE GENIALE IL SISTEMA geocentrico tolemaico ipotizzava che le stelle compissero strani movimenti di avanzamento e retrocessione mentre orbitavano intorno alla terra, la quale era situata al centro dell’universo. Copernico dimostrò che si trattava di una falsa impressione ottica. Se la terra girava intorno al sole e ruotava sul suo asse, le orbite dei pianeti erano perfettamente regolari. KRIVINIS / GETTY IMAGES
dei suoi abitanti. Non si sa molto dell’educazione giovanile di Copernico. Studiò probabilmente presso la scuola parrocchiale della cattedrale di San Giovanni insieme al fratello minore Andrea, e poi in un istituto secondario della vicina Chelmno. All’età di dieci anni perse il padre. Da quel momento la figura maschile più importante della sua vita sarebbe stata lo zio materno, Lucas Watzenrode, che nel 1489 divenne vescovo di Varmia.
Una città cosmopolita Nel 1491 s’iscrisse all’Accademia di Cracovia. Era l’unica università in Polonia e una delle poche in quella zona del continente. Fondata nel 1364, era diventata famosa nella seconda metà del quindicesimo secolo come importante centro di studi matematici e astronomici, grazie a una serie di professori d’eccezione come Giovanni di Glogovia, che aveva calcolato la posizione geo-
L’UMANISTA ITALIANO
Filippo Buonaccorsi (qui sotto, alla sua scrivania) si stabilì a Cracovia a metà del XV secolo, dove contribuì alla diffusione delle idee umanistiche. MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK
grafica di Cracovia, o Alberto Brudzewski. Quello si rivelò presto un ambiente propizio al fiorire di una nuova corrente culturale che era arrivata in Polonia dall’Europa meridionale: il Rinascimento. Cracovia era una città cosmopolita, affollata di visitatori provenienti da ogni angolo del continente: mercanti, artigiani e intellettuali. Il precettore dei figli del monarca era l’umanista italiano Filippo Buonaccorsi, già membro dell’Accademia romana, dov’era conosciuto con il soprannome di Callimachus. I suoi corsi universitari erano frequentati dagli esponenti di spicco dell’Umanesimo e le sue stamperie pubblicarono alcuni tra i primi libri. Il fervore intellettuale della città affascinò sicuramente il giovane Niccolò, che però non riuscì a terminare lì i suoi studi. Nel 1495, grazie alla protezione dello zio vescovo, fu nominato canonico del municipio STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’ASTRONOMIA ANTICA
Tolomeo formulò la spiegazione del cosmo che sarebbe rimasta in vigore fino all’Età moderna. Musée du Louvre, Parigi.
di Frombork, sede del vescovado di Varmia. Ciononostante Lucas Watzenrode, consapevole del talento del nipote, decise di mandarlo a studiare legge a Bologna. Il viaggio in Italia, culla della cultura rinascimentale e luogo dove la modernità era in costante dialogo con il mondo classico, rappresentava la realizzazione dei sogni di ogni intellettuale dell’epoca. Ma per il futuro astronomo significava anche qualcos’altro: un titolo conseguito in una delle più antiche e prestigiose università europee era infatti il lasciapassare per una rapida ascesa nelle gerarchie ecclesiastiche e, di conseguenza, nella corte reale. Invece di dedicarsi allo studio del diritto, in Italia il giovane continuò a coltivare il suo interesse per le scienze. Ben presto entrò in contatto con il famoso astronomo ferrarese Domenico Novara, che accompagnò nelle sue attività di osservazione in veste di assistente BRIDGEMAN / ACI
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più che di discepolo. Nel 1500 Copernico andò a Roma per partecipare alle celebrazioni dell’anno giubilare e anche per familiarizzare con il diritto canonico presso l’amministrazione pontificia. Nella città eterna tenne una o forse più lezioni di astronomia, anche se probabilmente non si trattò di conferenze ufficiali ma di discorsi privati, tipici dell’ambiente rinascimentale. Forse presentò i risultati delle sue osservazioni a una ristretta cerchia di luminari e conoscenti. In ogni caso furono eventi isolati: Copernico non espresse mai più pubblicamente le sue opinioni astronomiche.
Tra Polonia e Italia Il suo soggiorno a Bologna non si concluse con il conseguimento del titolo di studio, come ci si attendeva da lui. In ogni caso, al suo rientro in Polonia ottenne dal municipio di Frombork il permesso di tornare in Italia. S’impegnò a studiare medicina, una scienza molto più empirica e che meglio si adattava al suo vero interesse: l’osservazione della
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COPERNICO SULLA TORRE DI FROMBORK. OLIO DI JAN MATEJKO. 1873.
LA CASA DELL’ASTRONOMO FROMBORK non era un luogo ideale per l’osservazione del cosmo: Copernico si lamentava spesso dei «vapori nebbiosi della Vistola». La leggenda vuole che svolgesse le sue osservazioni da una torre; in realtà aveva una casa fuori dalle mura nel cui giardino aveva fatto costruire il cosiddetto pavimentum, una superficie perfettamente piana e stabile su cui collocare i suoi strumenti. ROSSHELEN / GETTY IMAGES
natura. Così nel 1501 Niccolò fu nuovamente in Italia, e per la precisione a Padova, allora considerata la mecca delle scienze naturali. Qui per due anni apprese le arti mediche. Alla fine di questo periodo e dopo un decennio complessivo di studi in tre diversi centri, era ormai trentenne e aveva bisogno di un titolo ufficiale. Lo ottenne sorprendentemente in una quarta università, quella di Ferrara, dove l’ultimo giorno di maggio del 1503 superò l’esame di dottorato, non in medicina bensì in diritto canonico. A quel punto poté finalmente rientrare a Varmia. Non solo aveva assolto i suoi obblighi, ma aveva anche accumulato una vasta conoscenza generale e un grande bagaglio di esperienza. Tornato in Polonia, trascorse i primi anni al fianco dello zio come suo segretario e medico personale nel castello di Lidzbark Warmiński, residenza del vescovo, e accompagnandolo nei suoi viaggi per il Paese. Nel 1509, in occasione di un soggiorno a Cracovia, pubblicò una traduzione latina delle epistole dello storico bizantino Teofilatto Si-
ALL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
Il palazzo dell’Archiginnasio era la sede dell’Università di Bologna quando Copernico vi studiò. Oggi ospita la biblioteca comunale. Nell’immagine, il chiostro.
mocatta che, sebbene rivela qualche carenza nella padronanza del greco, è comunque un esempio dei suoi vasti orizzonti intellettuali.
Al servizio della cattedrale Intorno al 1510 zio e nipote iniziarono ad allontanarsi. L’anziano Watzenrode, che sarebbe morto due anni più tardi, non condivideva la passione scientifica di Niccolò e la sua apparente mancanza di ambizione a posizioni più importanti. L’astronomo lasciò Lidzbark Warmiński e si trasferì a Frombork. Qui fu nominato prima cancelliere e poi amministratore dei beni della cattedrale. Durante la Guerra polacco-teutonica del 1519-1521 guidò la difesa del castello di Olsztyn. In tutti quegli anni ebbe modo di dimostrare la sua dedizione al consiglio municipale. L’organo ne riconobbe le capacità e lo nominò amministratore temporaneo della diocesi in seguito alla morte di uno dei vescovi, a metà degli anni venti del cinquecento. Ciononostante Copernico non cercò mai di seguire le orme dello zio. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MISURARE IL COSMO
IDG
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Sfera armillare I vari anelli mostrano il percorso apparente compiuto dal sole in un anno (eclittica), gli equinozi, i solstizi e lo zodiaco. XVI secolo. Pinacoteca ambrosiana, Milano.
PAGINA DEL LIBRO DI COPERNICO SULLE RIVOLUZIONI DELLE SFERE CELESTI CON UN DIAGRAMMA DEL SUO SISTEMA COSMOLOGICO. FORUM / ALBUM
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Gran regola I suoi bracci inclinati consentono di misurare l’altezza di un astro sull’orizzonte. Nell’immagine, copia dello strumento usato da Copernico a Frombork.
Quadrante Se lo si punta verso il sole si può calcolare l’altezza dell’astro in gradi, indicati nel semicerchio. Quadrante del 1784. Osservatorio astronomico di Brera, Milano.
BRIDGEMAN / ACI
BR
nelle sue osservazioni Niccolò Copernico utilizzò tre strumenti inventati dagli antichi greci e già usati dall’astronomo alessandrino Tolomeo nel II secolo a.C. per elaborare il suo sistema cosmologico geocentrico. Due di essi erano relativamente semplici e permettevano di conoscere l’altezza angolare del sole e degli altri corpi celesti: il quadrante e la gran regola (triquetrum). Il terzo, la sfera armillare, era più complesso e serviva a mostrare il movimento apparente della volta celeste intorno alla terra durante l’anno nonché a stabilire la latitudine e la longitudine dei pianeti e delle stelle.
IL CAMBIAVALUTE E SUA MOGLIE. MARINUS VAN REYMERSWAELE. MUSEO DEL PRADO, MADRID.
UN GENIO ANCHE IN ECONOMIA
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opernico non s’interessava solo di astronomia e medicina, ma anche di economia, anche se il suo contributo in questo campo è certo meno noto. Nel 1528 pubblicò un trattato sul conio delle monete in cui esprimeva preoccupazione per la perdita di valore dei soldi in uso allora in Polonia. Le monete “buone”, con un più alto contenuto d’oro o d’argento, tendevano a sparire gradualmente dalla circolazione (perché potevano essere riconvertite in metallo), mentre le monete “cattive”, con un minor contenuto di metalli preziosi, venivano lasciate sul mercato. Questa tendenza osservata da Copernico fu descritta indipendentemente dall’inglese Thomas Gresham decenni più tardi, ed è oggi conosciuta proprio come legge di Gresham.
Al contrario, notte dopo notte studiava il firmamento. Al suo soggiorno a Olsztyn risale una tavola astronomica per osservare il movimento del sole, i cui resti è ancora possibile scorgere su una delle pareti del chiostro del castello. A Frombork fece costruire il pavimentum, una superficie perfettamente livellata dove collocò tutti gli strumenti astronomici che lui stesso si era costruito. Fino alla morte avrebbe scrupolosamente annotato i risultati delle sue osservazioni costruendo un modello dell’universo sempre più elaborato.
L’uomo dietro lo scienziato Della sua vita privata non ci sono molte notizie. Il vescovo di Chelmno, Tiedemann Giese, che era un suo caro amico, lo descriveva come una persona poco socievole e sempre immersa nei suoi pensieri. Ma nel 1538 apparve nella vita dell’astronomo polacco un personaggio enigmatico, Anna Schilling, la sua governante. La presunta intimità tra i due fu oggetto di continue maldicenze, al
punto che il vescovo di Varmia, Giovanni Dantisco, impose a Copernico di sostituirla. Anna Schilling fu costretta ad andarsene da Frombork e lo studioso si ritrovò nuovamente solo con i suoi obblighi e le sue passioni scientifiche. Nel 1539 conobbe la persona che si sarebbe rivelata più importante per la sua futura fama: Georg Joachim Retico. Da una trentina d’anni circolavano per tutta Europa alcune copie manoscritte di un breve trattato di Copernico, in cui venivano esposti (ma senz’ancora prove matematiche a sostegno) i principi generali della teoria eliocentrica, secondo la quale il sole era al centro dell’universo e la terra gli ruotava intorno. Il testo, intitolato Commentariolus, divenne ben presto molto popolare tra gli astronomi. «Tutte le sfere ruotano intorno al sole come
LA POSIZIONE DELLE STELLE
Sotto, pagine del libro II di Sulle rivoluzioni delle sfere celesti con le tavole astronomiche delle osservazioni copernicane. SOCIETY PICTURE LIBRARY / GETTY IMAGES
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CRACOVIA
Nel periodo in cui Copernico vi studiò, Cracovia era una città cosmopolita in cui fiorivano le idee umanistiche, e la sua accademia rappresentava un importante centro di studi astronomici. Nell’immagine, la basilica di Santa Maria, sulla piazza centrale. TICHR / GETTY IMAGES
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KEPLERO, IL SUCCESSORE
Le leggi di Giovanni Keplero (1571-1630) descrivono il movimento dei pianeti attorno al sole. E. LESSING / ALBUM
al loro punto centrale […] Qualunque moto appaia nel firmamento, non deriva da un qualche moto dello stesso, bensì dal moto della terra», scriveva Copernico. Retico voleva conoscere personalmente l’autore di questa interessante teoria e imparare da lui. Fu con enorme sorpresa che si rese conto che Copernico aveva scritto un’opera molto più elaborata rispetto al Commentariolus, piena di osservazioni, calcoli e modelli geometrici. Spinto dall’entusiasmo e sostenuto dagli amici dell’astronomo, tra cui il già citato Tiedemann Giese, Retico riuscì a convincere Copernico a dargli il permesso di scrivere e pubblicare la Narratio prima. Questa esposizione semplificata delle ricerche dello studioso polacco apparve a Dan-
zica nel 1540. Nel 1543, grazie all’impegno personale di Retico, uscì a Norimberga la versione completa di Sulle rivoluzioni delle sfere celesti. In quel momento Copernico era già sul punto di morte a causa dell’ictus che l’aveva colpito qualche mese prima. Sarebbe deceduto il 24 maggio.
Un’opera sconvolgente Sulle rivoluzioni demoliva la teoria tolemaica che aveva dominato per millecinquecento anni e secondo la quale il punto centrale del cosmo, attorno a cui si svolgevano le rotazioni delle sfere celesti, era la terra. Tuttavia gli errori del geocentrismo erano sempre più evidenti. Ispirato da alcuni autori antichi che già avevano ipotizzato che la terra non fosse immobile e forte delle sue osservazioni, Copernico offrì un solido supporto matematico all’idea che il centro dell’universo fosse il sole e i pianeti ruotassero intorno a esso in orbite circolari. Non solo la terra non era l’ombelico dell’universo, ma compiva tre diversi movimenti:
LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI
UN “SANTO” DELLA SCIENZA SEDE PROTETTA
Il complesso della cattedrale di Frombork, situato su una collina e circondato dalle mura che comprendevano la torre in cui, secondo la leggenda, visse Copernico.
PROSTRATO SUL LETTO di morte, Copernico sembrava avere ormai già perso i sensi quando gli misero tra le mani una copia del suo trattato astronomico fresco di stampa. Secondo una leggenda che sembra ispirata alle biografie dei santi, riprese coscienza giusto in tempo per vedere il libro, e poi spirò.
MACIEKL / GETTY IMAGES
girava intorno al sole, ruotava sul suo asse ed era soggetta a un moto di declinazione angolare. L’astronomo suffragava e illustrava le sue tesi con un copioso ricorso a calcoli e disegni. Nella prefazione di Sulle rivoluzioni, indirizzata a papa Paolo terzo, il suo autore scriveva: «E se tuttavia ci saranno dei ciarlatani i quali, pur ignorando tutte le scienze matematiche, pretendano di formulare giudizi sbrigativi su di esse in virtù di qualche brano della Sacra Scrittura di cui abbiano malamente stravolto il senso per i loro scopi, e osino attaccare e schernire questa mia opera, io non me ne curerò affatto […] La Matematica è scritta per i matematici, i quali si renderanno conto che pure queste mie fatiche, se non mi sbaglio, saranno di qualche vantaggio anche alla comunità ecclesiastica, di cui la Vostra Santità ha il principato». Niccolò Copernico aveva ragione sia in merito al movimento della terra sia alle reazioni che ci sarebbero state alla sua opera. Sulle rivoluzioni fu attaccato dai meno
esperti, ma sedusse matematici e astronomi. Galileo Galilei, convinto sostenitore dell’eliocentrismo, disse di non conoscere nessuno che dopo avere letto il testo dell’astronomo polacco osasse ancora difendere la teoria geocentrica. Proprio per aver difeso le tesi copernicane, proibite nel 1616 dalla Chiesa, lo scienziato italiano dovette affrontare un processo per eresia di fronte al tribunale dell’Inquisizione. Fu condannato e costretto a ripudiare pubblicamente l’eliocentrismo. Ciononostante subito dopo l’abiura guardò verso terra ed esclamò: «E pur si muove».
L’AUTORE E LA SUA OPERA
Un Copernico moribondo riceve nel suo letto una copia di Sulle rivoluzioni. Illustrazione di Josep Planella tratta dal libro La ciencia y sus hombres, pubblicato nel 1876.
ERNEST KOWALCZYK ISTITUTO POLACCO DI CULTURA (MADRID)
Per saperne di più
TESTO
La struttura del cosmo Niccolò Copernico. Olschki, Firenze, 2009. SAGGIO
Il segreto di Copernico. La storia del libro proibito che cambiò l’universo Dava Sobel. Rizzoli, Milano, 2012. ROMANZO
La musica segreta John Banville. Guanda, Milano, 2016.
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UN MONDO DI CERCHI E SFERE a teoria eliocentrica di Copernico si basava non solo su osservazioni e calcoli matematici, ma anche su idee filosofiche che di scientifico avevano ben poco. Il modello circolare dell’universo, ad esempio, poggiava sulla convinzione che il cerchio fosse la forma più perfetta di tutte. Sarebbe stato Keplero nel 1609 a dimostrare che le orbite dei pianeti non erano circolari ma ellittiche. La posizione centrale assegnata al sole rimandava alla credenza di alcuni seguaci del filosofo e matematico greco Pitagora in un fuoco posto al centro dell’intero universo (ma i pitagorici ritenevano che anche il sole orbitasse intorno a tale fuoco). Copernico accettò inoltre l’esistenza delle sfere, otto cupole concentriche situate intorno al sole, alle quali erano fissate le stelle come sostenuto dalla cosmologia medievale. Pensava quindi che l’universo fosse finito, in opposizione alla teoria dell’universo infinito che si sarebbe imposta di lì a breve. Credeva però che fosse molto più grande di quanto ritenuto nel Medioevo. UNIVERSO CHIUSO. QUESTO DISEGNO MOSTRA LE OTTO SFERE CELESTI CHE CIRCONDANO IL SOLE NEL MODELLO COPERNICANO.
MODELLO COPERNICANO NELL’HARMONIA MACROCOSMICA DI ANDREAS CELLARIUS. 1660.
DA SINISTRA A DESTRA: G. DUPRAT / CIEL ET ESPACE PHOTOS / CONTATTO; VICTORIA AND ALBERT MUSEUM / RMN-GRAND PALAIS
DARWIN L’ORIGINE
DELLE
SPECIE
«È senz’altro il mio capolavoro», scrisse Charles Darwin nella sua autobiografia. Alludeva a On the Origin of Species (L’origine delle specie), il libro che aveva scritto quasi trent’anni prima e che rivoluzionò la visione dell’uomo e della natura
L’AUTORE E LA SUA OPERA
A sinistra, fotografia colorizzata di Darwin del 1879. Sopra, esemplare della prima edizione di L’origine delle specie, del 1859. Il grafico che compare sullo sfondo di questa pagina costituisce l’unica illustrazione del libro e mostrava la diversificazione della vita a partire da un antenato comune. DARWIN E SFONDO: SPL / AGE FOTOSTOCK. LIBRO: BRIDGEMAN / ACI
NATURALISTA A BORDO
Durante il viaggio attorno al pianeta, Darwin mostra una specie di corallo a Robert Fitzroy, il capitano del Beagle. VITE IN PERICOLO
U
na delle opere scientifiche che maggior impatto ebbe sul mondo occidentale è On the Origin of Species, ovvero L’origine delle specie. In realtà il titolo che gli aveva dato Darwin, qui tradotto per intero, era molto più lungo: L’origine delle specie ad opera della selezione naturale, ossia il mantenimento delle razze avvantaggiate nella lotta per la vita. Tale titolo era piuttosto esemplificativo poiché menziona sia il concetto di selezione naturale, alla base della teoria darwiniana dell’evoluzione, sia il meccanismo attraverso il quale avviene una simile selezione: la lotta la vita, per la sopravvivenza, che chiama in causa ogni organismo vivente.
TRENT’ANNI DI LAVORO
104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Il libro, pubblicato nel 1859, cercava di risolvere un problema scientifico all’epoca molto sentito, cioè l’origine delle specie. Come avrebbe poi ammesso lo stesso Darwin, anche altri autori prima di lui avevano parlato della la possibilità che le specie si trasformassero, ma nessuno di loro era riuscito a esporre le proprie idee e i propri argomenti all’interno di una teoria così coerente e convincente come quella formulata dal naturalista inglese, scienziato metodico con un’indubbia capacità d’osservazione e di sintesi. Tra il 1831 e il 1836 Darwin aveva viaggiato come naturalista a bordo del Beagle, un brigantino britannico impegnato in una missione cartografica. La traversata lungo il pianeta
1837
1842
IN SEGUITO AL viaggio sul
DARWIN compila un primo sche-
veliero Beagle, Charles Darwin inizia a scrivere dei quaderni sui quali registra le sue osservazioni sulla “trasmutazione” delle specie.
ma della sua teoria, che nel 1844 trasformerà in un abbozzo dove riassume gli aspetti essenziali del suo pensiero. Nel 1858 inizia la redazione definitiva.
BRIDGEMAN / ACI
BRIDGEMAN / ACI
Quest’olio di Vincent Alexander Booth raffigura una delle violente tempeste che impedirono al Beagle di doppiare capo Horn nel 1832.
1859 IL 24 NOVEMBRE viene pub-
blicata la prima edizione di L’origine delle specie. Rilegato in tela verde, il libro di 502 pagine costa 15 scellini, più dello stipendio settimanale di un operaio.
1872 DARWIN dà alle stampe la sesta
edizione, l’ultima da lui corretta. È anche la più economica, perché vuole renderla più accessibile. La maggior parte delle edizioni attuali si basa su di essa.
UN EVOLUZIONISTA IN FAMIGLIA Il nonno di Charles fu un precursore dell’evoluzionismo. Olio di Joseph Wright of Derby. 1792-1793. LO STUDIO DI DOWN HOUSE
Charles Darwin scrisse la sua più famosa opera in questo studio della sua casa di Down. Il lavoro lo tenne impegnato per molto tempo.
alcune idee formulate dal nonno Erasmus e poi si concentrò soprattutto sullo studio di animali addomesticati e di piante coltivate. Con grande pazienza raccolse il maggior numero possibile di analisi e d’informazioni sulla selezione artificiale di vegetali e animali, scrivendo e parlando con allevatori di bestiame, agricoltori, giardinieri... In tal modo poté disporre di dati sugli organismi “manipolati” dall’essere umano. Pensava infatti che, se avesse indagato sulla selezione volta a ottenere razze più utili per l’uomo, avrebbe capito il processo grazie al quale nuovi esseri viventi comparivano nel mondo naturale.
La lotta per la sopravvivenza Fu la lettura di un libro del sociologo inglese Thomas Malthus, An Essay of the Principle of the Population as it affects the future Improvement of Society (Saggio sul principio della popolazione), a fornirgli la chiave per applicare alla natura il principio di selezione che avveniva nell’addomesticamento degli animali. E la chiave era una dinamica
RAPACE CHE DIVORA IL TOPO CACCIATO. JOHN GOULD. 1862-1873. ALAMY / ACI
ENGLISH HERITAGE / AGE FOTOSTOCK
era stata lo spunto per diverse riflessioni: Darwin aveva avuto modo di conoscere l’immensa ricchezza naturale della terra e l’incredibile diversità degli esseri che la popolavano. Non solo: i fossili che aveva trovato nell’America meridionale e le formazioni geologiche che aveva potuto studiare in quei luoghi lo avevano spinto a credere che né il mondo né le specie rimanessero invariati. Quando tornò in Inghilterra, all’età di ventisette anni, cercò di mettere per iscritto il suo pensiero sulla trasmutazione delle specie. In realtà, cominciò a lavorare in tale direzione solo dalla metà del 1837, quando inaugurò il primo di una serie di quaderni. Qui cercò di raccogliere le prove che gli consentissero di esaminare e di ragionare sulla questione dell’origine delle specie. Il giovane iniziò le proprie riflessioni a partire da
ERASMUS DARWIN
BRIDGEMAN / ACI
CHARLES DARWIN sentiva una grande ammirazione per il nonno paterno Erasmus. Medico, poeta, filosofo della natura, abolizionista della tratta di schiavi, Erasmus Darwin (1731-1802) fu molto attivo nella società del tempo. Fondò la Lunar Society, i cui membri si riunivano nelle notti di luna piena per discutere di problemi scientifici e filosofici. Alla fine del XVIII secolo pubblicò Zoonomia, opera letta dal nipote, nella quale espresse alcune tesi sulla possibilità di cambiamenti e perfezionamenti nel mondo organico. La grande somiglianza nella struttura di alcuni organismi e nei cambiamenti che subivano lo spinse a sostenere che animali e vegetali potessero essersi sviluppati da uno stesso tipo di «filamento vivo».
PIETRE MILIARI NEL CAMMINO DI DARWIN
FRONTESPIZIO DI SAGGIO SUL PRINCIPIO DELLA POPOLAZIONE IN UN’EDIZIONE DEL 1906. MALTHUS LO PUBBLICÒ PER LA PRIMA VOLTA NEL 1798 IN FORMA ANONIMA. ALAMY / ACI
La formulazione della teoria dell’evoluzione venne preceduta da molteplici esperienze, letture e indagini portate avanti per un quarto di secolo. Qui citiamo le più importanti.
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3 2 LA GEOLOGIA DI LYELL Nel 1831 il capitano del Beagle, Fitzroy, regalò a Darwin il primo volume dei Principles of Geology (Principi di geologia) di Charles Lyell, la cui lettura gli fu decisiva: secondo Lyell, la superficie della terra va incontro a continui e numerosi cambiamenti su periodi molto lunghi. Darwin avrebbe applicato tale gradualismo alla sua teoria dell’evoluzione: le specie si trasformano in altre a causa di lenti cambiamenti. AGLI INIZI DEL XIX SECOLO LA GEOLOGIA ERA UNA SCIENZA ALL’AVANGUARDIA. GEOLOGI AMATORIALI VERSO IL 1830. INCISIONE. SPL / AGE FOTOSTOCK
1 IL VIAGGIO DEL BEAGLE Il soggiorno in America meridionale, avvenuto tra il 1832 e il 1835, fornì a Darwin molti spunti sulle trasformazioni delle specie. I fossili che trovò in Argentina appartenevano a specie estinte ma, secondo Darwin, rispondevano al modello anatomico di specie ancora vive nella pampa; e la scoperta di una seconda specie di nandù lo portò a meditare sulle ragioni della sua comparsa.
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ROBERT CHAMBERS, GIORNALISTA SCOZZESE, ERA IL VERO AUTORE DI VESTIGIA DELLA STORIA NATURALE DELLA CREAZIONE. UIG / ALBUM
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CIRRIPEDE APPARTENENTE ALLA COLLEZIONE DI DARWIN. NATURAL HISTORY MUSEUM, LONDRA.
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NANDÙ SCOPERTO DA DARWIN. IL TASSONOMISTA JOHN GOULD, AUTORE DI QUESTO DISEGNO, DIEDE ALLA NUOVA SPECIE IL NOME DI RHEA DARWINII (OGGI PTEROCNEMIA PENNATA). SPL / AGE FOTOSTOCK
5 CIRRIPEDI E COLOMBE Per sostenere in modo solido la sua teoria dell’evoluzione Darwin si concentrò sull’allevamento di colombe al fine di studiare la trasmissione dei caratteri ereditari e dedicò otto anni, dal 1846 al 1854, allo studio dei cirripedi sia vivi sia fossili. Ciò gli permise di capire come una stessa specie si fosse differenziata nel corso del tempo; il lavoro gli valse la medaglia della Royal Society di Londra.
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LA LETTURA DI CHAMBERS Nel 1844 venne pubblicato in modo anonimo Vestiges of the Natural History of Creation (Vestigia della storia naturale della creazione), che scandalizzò per le sue tesi evoluzionistiche: tutti gli esseri viventi provengono da alcuni nuclei di aggregazione di materia animata; ma la sua base scientifica era molto debole. Quell’anno Darwin aveva finito la sua prima stesura sull’evoluzione e dedicò 15 anni della sua vita a cercare l’appoggio scientifico affinché la sua teoria non fosse messa in discussione com’era successo con il libro di Chambers.
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ESEMPLARI DI CERVI VOLANTI APPARTENENTI ALLA COLLEZIONE DI A.R. WALLACE. NATURAL HISTORY MUSEUM, LONDRA. ALAMY / ACI
LA LETTERA DI WALLACE Nel giugno 1858 Darwin ricevette un manoscritto del naturalista Alfred Russel Wallace inviato dall’isola Ternate, nell’attuale Indonesia. Wallace vi esponeva la stessa teoria sulla quale stava lavorando Darwin. Poco dopo Lyell e Hooker, amici del secondo, fecero conoscere contemporaneamente le teorie di entrambi, e Darwin dedicò tredici mesi a ridurre il lungo manoscritto che aveva redatto e che pubblicò nel 1859.
L’ISOLA DI DAPHNE MAJOR, NELL’ARCIPELAGO DELLE GALAPAGOS, VISITATO DA DARWIN NEL 1835 DURANTE IL VIAGGIO A BORDO DEL BEAGLE. SPL / AGE FOTOSTOCK
FONDO: SPL / AGE FOTOSTOCK
3 LE IDEE DI MALTHUS Nel settembre 1838 Darwin lesse il Saggio sul principio della popolazione di Thomas Malthus, il quale spiegava che l’esistenza umana è segnata da carestie, malattie e guerre che mantengono l’equilibrio tra la popolazione e gli alimenti di cui questa dispone. Tale lotta per l’esistenza fu un concetto chiave per la teoria della selezione naturale di Darwin.
UN’INSOLITA RICHIESTA A EMMA CHARLES DARWIN sposò la cugina Emma Wedgwood nel gennaio 1839.
Emma, sua cugina e moglie, ritratta da George Richmond nel 1840, l’anno dopo il matrimonio. VISIONI MALTHUSIANE
Quest’incisione del XIX secolo mostra una Londra occupata da spaventose folle di gente.
quindi le conclusioni di Malthus all’interno della sua indagine. Se applicato al regno vegetale e animale, il pensiero malthusiano si traduceva nella seguente osservazione: in natura nascono più individui di quanti siano in grado di sopravvivere, ed è perciò inevitabile la lotta per la sopravvivenza. In simili circostanze tendono a conservarsi le variazioni favorevoli, corrispondenti agli individui più sani e maggiormente idonei, destinati quindi a sopravvivere; i meno portati ad adattarsi, invece, tendono a estinguersi. Il risultato è la formazione di una nuova specie.
L’antecedente del libro Nel 1842 Darwin scrisse un brevissimo riassunto delle sue tesi in un testo di appena trentacinque pagine, che due anni più tardi ampliò a circa duecento. Si trattava di un saggio che raccoglieva l’elaborazione delle idee evoluzionistiche e anticipava L’origine delle specie, il libro in cui avrebbe esposto la sua famosa teoria dell’evoluzione. Venne pubblicato il 24 novembre 1859 in un’edizione sobria, senza troppe pretese e, sebbene il loro prezzo ALBERO GENEALOGICO UMORISTICO DI POLLY, IL TERRIER DI DARWIN, DISEGNATO DA THOMAS HENRY HUXLEY, CHE MISE TRA I SUOI ANTENATI UN PORCELLINO E UN GATTO. BRITISH LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
WHA / AURIMAGES
che si sviluppava durante la lotta per la sopravvivenza. Difatti nel suo libro Malthus sosteneva che, se non si fossero prese misure adeguate, la popolazione umana sarebbe cresciuta molto più rapidamente rispetto alle risorse alimentari allora disponibili. Ne sarebbero derivate epidemie e carestie, che avrebbero decimato la fascia più denutrita della popolazione. Tale dottrina portò Darwin a concepire l’idea di una dura competizione tra le specie in un contesto di materie prime scarse. Inserì
LA MOGLIE DI DARWIN
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Sincera devota della Chiesa anglicana, Emma temeva che la scienza portasse il marito allo scetticismo e che forse ciò gli avrebbero impedito di ritrovarsi nell’aldilà. Charles l’amava e non voleva ferirla, e così nel 1844, quando finì di rielaborare il suo saggio del 1842 sulla teoria dell’evoluzione, scrisse a Emma una lettera in cui le diceva che aveva terminato l’abbozzo della sua teoria sulle specie e che, se fosse morto all’improvviso, avrebbe dovuto far arrivare il manoscritto ad altri scienziati (ne citava alcuni, tra i quali Lyell) perché lo controllassero e stampassero. Darwin capiva quanto fossero esplosive le sue idee e non voleva che la moglie Emma patisse da sola il sicuro rifiuto sociale che ne sarebbe venuto.
DARWINISMO E RAZZISMO IDEE ABERRANTI
QUANDO S’INIZIARONO AD APPLICARE al contesto sociale concetti
SOSTENITORI DI DARWIN
A sinistra, seduto, l’inglese Joseph Dalton Hooker; accanto a lui, a terra, lo statunitense Asa Gray. Erano entrambi celebri botanici.
parte dell’élite e giocavano un ruolo nella valutazione delle nuove proposte scientifiche. Si dimostrò particolarmente abile anche nella corrispondenza con i potenziali lettori: mandò omaggi agli amici, a naturalisti stranieri, a persone che potessero rivelarsi influenti, e anche a eventuali detrattori, dei quali cercava di anticipare il rifiuto. Nei suoi scambi con le persone a lui contrarie diede prova di pazienza e di diplomazia, e si premurò di non ferire le sensibilità religiose e culturali più radicate. Giornali e riviste pubblicarono numerose recensioni del libro, che divenne un fenomeno editoriale e destò un enorme interesse in tutto il mondo occidentale. Negli anni seguenti sarebbe stato tradotto nella maggior parte dei Paesi europei. In Italia uscì nel 1864 per i tipi di Zanichelli Modena.
Gli amici di Darwin Il circolo di scienziati amici di Darwin si rivelò fondamentale per la diffusione dell’opera. I più importanti furono il biologo inglese Thomas Henry Huxley, il geologo scozzese Charles Lyell e due botanici, l’inglese Joseph Dalton Hooker e lo statunitense Asa Gray.
PAGINA MANOSCRITTA DI L’ORIGINE DELLE SPECIE. NATURAL HISTORY MUSEUM. LONDRA. ALAMY / ACI
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non fosse certo contenuto, i 1.250 esemplari andarono a ruba quello stesso giorno. Nel gennaio 1860 comparve una seconda edizione di tremila esemplari, e nell’aprile 1861 uscì la terza, rivista e corretta, che includeva la biografia di alcuni autori che avevano già anticipato parte della teoria evoluzionista. Solo nel 1872 vide la luce la sesta edizione, la definitiva, con un nuovo capitolo dedicato alle obiezioni fin lì ricevute. Sin dall’inizio Darwin s’impegnò in prima persona per promuovere il libro inviando copie e lettere. Pur di essere tenuto in considerazione, non esitò a muoversi, persuadere e, in un certo senso, esercitare pressione sul pubblico. Mentre cercava l’approvazione delle proprie idee nelle riviste, ottenne tra gli studiosi e gli intellettuali l’appoggio di amici e alleati, che facevano
Persone affette da nanismo in una foto del 1912, pubblicata all’interno di uno studio su darwinismo ed eugenetica.
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come la «selezione naturale» e la «lotta per la sopravvivenza», termini che Darwin aveva ristretto all’area della biologia, si arrivò al darwinismo sociale. Questa era una corrente di pensiero che cercava un’analogia tra la natura e la società: ne conseguì che l’idea di evoluzione, prima limitata al mondo naturale, venisse distorta e richiamasse a nozioni come la «sopravvivenza del più abile» per giustificare e legittimare politiche militaristiche e razziste. Una simile strumentalizzazione di concetti biologici, usati in modo forzato nelle questioni sociali, portò all’accusa che il darwinismo fosse il germe della Prima guerra mondiale e portasse al decadimento della morale.
THOMAS HENRY HUXLEY
John Collier ritrasse con un cranio in mano il biologo che sosteneva la parentela tra i primati e l’uomo. 1883.
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LA COMPARSA DI PESCI E UCCELLI
sti si mostravano inclini ad accogliere le tesi darwiniane, gli scienziati più anziani facevano fatica ad accettarle, perché queste mettevano in dubbio il racconto biblico sulla creazione del mondo. Difatti allora la Genesi costituiva ancora il modello per spiegare l’origine della vita, delle specie e dell’umanità. Secondo questo libro della Bibbia, in quanto figlie di Dio tutte le specie sono fisse e immutabili, e non sono cambiate dalla loro creazione. E tale assunto è inconfutabile nel caso della specie umana, che Dio ha provvisto di un’anima.
Il dibattito di Oxford Il 30 giugno 1860 ebbe luogo a Oxford un celebre dibattito sulla mutabilità delle specie. Anche se Darwin non vi prese parte per ragioni di salute, la disputa esemplificò il conflitto tra i sostenitori e i detrattori dell’evoluzione. Lo scontro più eclatante avvenne tra Samuel Wilberforce, vescovo anglicano e rappresentante delle posizioni conservatrici, e Huxley, noto per la veemenza con cui difendeva le posizioni evoluzioniste. Oltre ai rappresentanti della stampa vi partecipò un folto pubblico, attirato da quello che prometteva
SAMUEL WILBERFORCE, VESCOVO DI OXFORD E DIFENSORE DEL CREAZIONISMO, VERSO IL 1865. AKG / ALBUM
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Occupavano tutti ruoli rilevanti nella vita intellettuale anglosassone, dirigevano riviste scientifiche e insieme agirono come un gruppo coeso. Dimostrarono inoltre una particolare abilità nel convincere i lettori riguardo alle tesi contenute nella teoria di Darwin. Ognuno di loro intervenne in un settore ben preciso. Huxley stabilì le basi scientifiche delle relazioni tra uomini e scimmie, mentre Hooker diffuse le opinioni di Darwin dalla sua solida posizione istituzionale nel campo della botanica. Lyell invece si occupò della storia geologica dell’umanità, e con i colleghi francesi sostenne che il genere umano aveva avuto origine in tempi antichissimi. Asa Gray, infine, fu la porta d’ingresso di Darwin nell’America anglosassone. La diffusione della teoria evoluzionistica divise la società dell’epoca. Se le nuove generazioni di naturali-
Secondo la Genesi (1:20-23) comparvero per opera di Dio nel quarto giorno della creazione. Isaak van Oosten ricostruì l’episodio in quest’olio su rame. XVII secolo.
UN’IDEA DIVENUTA POPOLARE
«L’uomo non è altro che un verme». Caricatura comparsa sulla rivista Punch il 6 dicembre 1882.
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NEL TEMPIO DELLA SCIENZA
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piti di cattedrali e chiesette rurali, e pure in pamphlet, conferenze e libri. Le critiche alle tesi di Darwin riguardavano soprattutto la parentela genealogica tra uomini e primati, e ciò gli valse una dura campagna di discredito in cui non mancarono le prese in giro e le caricature. Tuttavia, questo clima di tensione fece sì che storici, filologi e archeologi decidessero di studiare la Bibbia in modo più scrupoloso. L’analisi di monumenti, iscrizioni, tavolette e altri reperti avrebbe messo in luce la scarsa originalità dei testi biblici, nonché una sospetta somiglianza con altre narrazioni di gran lunga anteriori provenienti dalle civiltà del Vicino Oriente. Il libro di Darwin non costituì quindi solo una sfida ai valori tradizionali del suo tempo; fu anche una delle pietre miliari per l’evoluzione del pensiero occidentale. FRANCISCO PELAYO STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Charles Darwin. Antologia di testi Pietro Corsi (a cura di). Carocci, Roma, 2019. Darwin. L’evoluzione di una vita Janet Brown. Hoepli, Milano, 2018. LIBRI PER RAGAZZI
Charles Darwin Dan Green. Gallucci, Roma, 2018.
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di essere uno spettacolo del quale si sarebbe potuto parlare a lungo. Vi accorsero centinaia di persone, e fu perciò necessario adibire a tale scopo una sala più grande di quella prevista. Il culmine della teatralità si raggiunse alla fine dell’arringa di Wilberforce: ritto come un attore, il vescovo si rivolse a Huxley e gli chiese se discendesse dalla scimmia da parte di nonno o da parte di nonna. Davanti a un pubblico in fibrillazione, Huxley rispose con sarcasmo: «Preferisco discendere da una scimmia che da un uomo di cultura che ha prostituito il sapere e l’eloquenza al servizio del pregiudizio e della falsità». A questo scambio dialettico seguì il clamore della folla, in mezzo alla quale si trovava perfino Robert Fitzroy, il capitano del Beagle, che agitò un’enorme Bibbia mentre gridava che nel libro sacro era contenuta ogni risposta. La confusione, l’affollamento, il vociare provocarono lo svenimento di una delle molte donne presenti, lady Brewster: probabilmente all’origine di tale incidente vi furono gli spintoni e l’ambiente claustrofobico ma, chissà, forse anche il pensiero di avere una scimmia tra i propri antenati. La teoria evoluzionistica sarebbe stata diffamata ampliamente nei sermoni impartiti dai pul-
Il nuovo Museo di storia naturale dell’Università di Oxford accolse il dibattito tra Huxley e Wilberforce nel 1860.
L’EREDITÀ DI UN’IDEA
Le intuizioni di Darwin sull’evoluzione furono sorprendenti, se consideriamo pure quanto poco si sapesse allora dei geni e del loro ruolo nell’ereditarietà. Ci volle quasi un secolo perché la genetica e la teoria evolutiva s’incontrassero. Il resto è storia. LE SCOPERTE DEI FOSSILI CONTRIBUIRONO A PROMUOVERE L’INTERESSE DELLE PERSONE PER L’EVOLUZIONE.
JOHN VAN WHYE, CURATORE DI THE COMPLETE WORK OF CHARLES DARWIN ONLINE.
PEABODY MUSEUM OF NATURAL HISTORY, UNIVERSITÀ DI YALE.
1859 Darwin pubblica
1871 Darwin pubblica The
L’origine delle specie. Ne nasce un vivace dibattito sul ruolo della selezione naturale nell’evoluzione, perché questa minaccerebbe la religione, la morale e le tradizioni sociali.
Descent of Man (L’origine dell’uomo), in cui dimostra che facoltà umane come la morale e l’intelligenza hanno potuto evolversi per selezione naturale dagli antenati primati.
1882 Muore Darwin. L’evoluzione
1906 CIRCA Misurazioni
è accettata, ma non l’idea che l’uomo discenda dalla scimmia. Alcune teorie di Darwin sono messe in discussione, come quella della dinamica con cui avviene il cambiamento. Altri scienziati credono che l’evoluzione sia mossa da forze interne e dall’ereditarietà di caratteri acquisiti in età adulta.
della disintegrazione radioattiva svelano che la terra ha migliaia di milioni di anni, e ridimensionano l’idea secondo cui le specie non hanno avuto il tempo per evolversi tramite selezione naturale.
WELLCOME LIBRARY, LONDRA.
1892 August Weismann ipotizza che a trasmettere i caratteri ereditari sia una sostanza presente nei cromosomi del nucleo 1865 CIRCA Gregor Mendel, della cellula, che chiama «plasma germinale». un monaco moravo, dimostra che certi “fattori” (si sarebbero Più avanti questo poi chiamati “geni”) nella pianta plasma sarà identificato come la base materiale del pisello non si trasmettono alle generazioni seguenti, bensì del gene. vengono ereditati in modo 1900 CIRCA indipendente gli uni dagli altri. Si riscoprono gli esperimenti I suoi esperimenti passano di Mendel sulle piante di inosservati. pisello, che sembrano confermare che le specie nascono per trasformazioni repentine o «mutazioni» da una generazione alla seguente, il che rende irrilevante il ruolo della selezione naturale e dell’adattamento.
1910-1915 Mentre
1920-1930 I progressi nella
studiano la riproduzione dei moscerini della frutta, Thomas Hunt Morgan e i suoi colleghi arrivano a intuire l’esistenza dei geni, li collegano all’ereditarietà e li collocano nei cromosomi.
genetica dimostrano che le mutazioni non possono trasformare le specie, ma apportano la materia prima per le variazioni, sulle quali agisce la selezione naturale. I genetisti Ronald Fisher, J.B.S. Haldane e Sewall Wright sviluppano modelli che mostrano come le piccole mutazioni favorevoli possano estendersi a un’intera popolazione.
CROMOSOMI DEL MOSCERINO DELLA FRUTTA. STEPHEN W. SCHAEFFER
1953 La scoperta della struttura a doppia elica del DNA (R. Franklin, J. Watson, F. Crick, M. Wilkins) sbroglia il mistero della trasmissione dell’informazione genetica da una generazione all’altra.
Gli studi di Rosemary e Peter Grant sui fringuelli delle Galapagos dimostrano che la selezione naturale può causare cambiamenti evolutivi in periodi brevi e non solo nel corso di migliaia di anni, come credeva Darwin. Lo stesso fenomeno è poi osservato in altri organismi.
1930-1950 Dopo aver seguito
OGGI I biologi continuano ad ampliare la visione originale di Darwin. La variazione tra specie è considerata, in parte, quale la somma di meccanismi che controllano l’attivazione o la disattivazione dei geni durante lo sviluppo dell’organismo.
1970-1980 Niles Elderedge e Stephen Jay Gould sfidano il concetto di evoluzione graduale sostenuto dalla sintesi moderna e sostengono invece che le specie rimangono statiche per lunghi periodi di tempo e che sono poi sostituite rapidamente da specie imparentate, evolutesi in modo isolato. La pubblicazione di The selfish gene (Il gene egoista) di Richard Dawkins e Sociobiology (Sociobiologia) di E.O. Wilson scatena un dibattito sui meccanismi del cambiamento evolutivo e sul grado in cui i geni determinano il comportamento. 1975-OGGI
LA SINTESI MODERNA linee d’indagine a volte opposte, i paleontologi, i genetisti di popolazioni e i biologi si sono messi d’accordo su una sintesi moderna del darwinismo. Si considera che l’evoluzione sia spinta dalla selezione naturale e da altri meccanismi occasionali, con la comparsa di nuove specie in seguito all’accumulo graduale di mutazioni in popolazioni isolate.
BRIDGEMAN / ACI
1960-1980 La serie di scoperte di fossili a opera dei coniugi Leakey, di Donald Johanson e di altri scienziati nella Great Rift Valley, in Africa orientale, culmina nel 1974 con il ritrovamento dello scheletro parziale di un ominide di 3,2 milioni di anni fa in Etiopia. Noto come Lucy, lo scheletro contribuisce a definire la specie Australopithecus afarensis, che Johanson e i colleghi ritengono sia alla base della stirpe umana.
FOSSILE DI LUCY, COMPLETO AL 40 % (COLORE SCURO).
FRINGUELLI DELLE GALAPAGOS OSSERVATI DA DARWIN.
ILLUSTRAZIONE DI GREG HARLIN.
MARY EVANS PICTURE LIBRARY.
2003 Si completa il sequenziamento del genoma umano. La sua stretta somiglianza con quello dello scimpanzè evidenzia ancora di più l’ascendenza da un antenato comune.
1977 Carl Woese “ridisegna” l’albero della vita. Classifica gli organismi in base alle loro somiglianze genetiche, e non fisiche, e così definisce un nuovo dominio di esseri viventi, dividendo i procarioti in batteri e archeobatteri. EUCARIOTI ARCHEOBATTERI
BATTERI MOSCERINO DELLA FRUTTA, DNA ED EMBRIONE. ILLUSTRAZIONI DI JOHN BURGOYNE
JUAN VELASCO E AMANDA HOBBS, NG. FONTI: PETER J. BOWLER, QUEEN’S UNIVERSITY, BELFAST; JANE MAIENSCHEIN E MANFRED D. LAUBICHLER, ARIZONA STATE UNIVERSITY.
GRANDI SCOPERTE
La tomba della regina Hetepheres a Giza
A
ll’inizio del ventesimo secolo i monumenti egizi si trovavano sotto la duplice minaccia della distruzione e dell’oblio, in parte anche a causa dei metodi con cui si svolgevano le attività di ricerca dei reperti antichi. La piana di Giza era una delle zone più sensibili. Se l’esplorazione di una determinata area non portava in tempi rapidi a scoperte rilevanti, veniva semplicemente abbandonata. I “cacciatori di tesori” aspiravano a rinvenire papiri, mummie o qualche sarcofago da vendere a turisti e collezionisti disposti a offrire in cambio cifre considerevoli. Era or-
MAR MEDITERRANEO
EG IT TO
mai imprescindibile adottare delle misure per contrastare il fenomeno. Gaston Maspero, direttore generale del Servizio reperti archeologici egiziano, avrebbe ricordato così la sua frustrazione di quel periodo: «Era disgustoso osservare la velocità a cui la situazione stava degenerando e la scarsa attenzione dedicata al tema della conservazione». Per cercare di porre un freno al degrado, Maspero invitò a lavorare a Giza degli egittologi di fama internazionale. Fu così che un’éq-
2-2-1925
Il fotografo della spedizione di Reisner a Giza posa il suo treppiede su uno strato di malta. ALAMY / ACI
Tomba di Hetepheres
G I ZA
2-1926
uipe statunitense guidata dall’eminente archeologo George Reisner iniziò il suo intervento nella zona. Professore di egittologia presso l’Università di Harvard e curatore del dipartimento di antichità egizie del Museum of Fine Arts di Boston, Reisner era un archeologo esperto e aveva una metodologia di lavoro precisa e scrupolosa. Le sue precedenti missioni si erano svolte nell’antica Nubia (Sudan) e in Palestina. Inoltre aveva grandi doti organizzative che ne facevano il candidato perfetto a condurre gli scavi destinati a liberare, ripulire ed esplorare un’ampia parte della necropoli di Menfi.
Sotto la malta Dopo vari anni di lavoro a Giza, Reisner fece una delle scoperte più importanti della sua carriera. In realtà
Una volta nella camera funeraria, gli archeologi iniziano a ripulire e classificare i reperti.
14-4-1926
Uno degli oggetti rinvenuti nel sepolcro porta il nome della sua proprietaria: la regina Hetepheres.
LA CAMERA FUNERARIA DI HETEPHERES E GLI OGGETTI IN ESSA CONTENUTI. DISEGNO DI GEORGE REISNER.
MUSTAPHA ABU EL-HAMD / MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON
Nel 1925 George Reisner identificò ai piedi della Grande piramide di Cheope la tomba intatta della madre del faraone
L’INTERNO della tomba
della regina Hetepheres a Giza al momento in cui fu esplorata da Reisner nel 1926. In basso a destra, particolare del sarcofago e della struttura del baldacchino.
il ritrovamento si deve al fotografo della sua équipe, che il 2 febbraio 1925, durante i lavori di pulizia e di scavo della zona orientale della Grande piramide di Cheope notò che il trep-
3-3-1927
Reisner scoperchia il sarcofago, ma all’interno non c’è traccia della mummia della regina.
DENTRO LA TOMBA REISNER descrisse così la camera sepolcrale
no a un pozzo. A circa sette metri e mezzo di profondità c’era un piccolo loculo tappato da una lastra di pietra dove l’équipe trovò i resti di un sacrificio: frammenti di ceramica, un teschio di bue, due caraffe da birra e i resti di tre zampe di bovino avvolti in una stuoia. Furono rinvenuti anche due blocchi di basalto nero identici a quelli del pavimento del tempio funerario della Grande piramide e un sigillo di creta con il nome di
ALAMY / ACI
piede della sua macchina fotografica poggiava su uno strato bianco di malta. Nella zona non c’era alcun segno di qualche costruzione sotterranea; eppure la presenza di quel materiale non poteva essere un semplice caso. Reisner fece ripulire immediatamente l’area circostante e rimuovere la malta che nascondeva una struttura rettangolare di blocchi di pietra calcarea, oltre i quali apparve un’apertura con dodici scalini che conduceva-
e il suo contenuto (sotto): «C’erano una ventina di pali e di travi di un baldacchino rivestiti d’oro, in parte posati sul sarcofago e in parte gettati a terra. Sempre sul sarcofago erano sparsi vari frammenti d’oro con incrostazioni di maiolica, mentre al suolo c’era una grande quantità di mobili anch’essi dorati».
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
121
GRANDI SCOPERTE
Un sepolcro ben arredato Nella tomba della madre del faraone Cheope gli archeologi trovarono lussuosi mobili funerari in legno, come sedie, letti e un baldacchino rimovibile. Il meticoloso restauro a cui sono stati sottoposti permette oggi di ammirarli in tutto il loro splendore presso il Museo egizio del Cairo.
122 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Baldacchino. Composto da 25 pezzi diversi, è stato trovato smontato. Le diverse parti erano sparse sul sarcofago.
MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON / SCALA, FIRENZE
ALAMY / ACI
Ricostruzione della seconda sedia in legno dorato con intarsi in maiolica ed elaborate decorazioni. I braccioli hanno la forma di un falco posato su una colonna papiriforme.
Cassa. In legno dorato, conteneva probabilmente le tende di lino usate per coprire il baldacchino.
GRANDI SCOPERTE
Sedia in legno rivestita con lamine d’oro. I braccioli contengono tre fiori di papiro e i piedi sono a forma di artigli di leone.
Letto. Le quattro gambe in legno dorato a forma di zampa di leone sono fissate alla struttura tramite delle strisce di cuoio.
Poggiatesta in oro e argento trovato all’interno di una cassa dorata.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
SET DI BRACCIALETTI
DEA / ALBUM
Realizzati in argento e decorati con motivi a farfalla e intarsi di corniola, turchese e lapislazzuli. Nell’immagine sono all’interno di una ricostruzione della cassa in cui erano originariamente contenuti. Museo egizio, Il Cairo.
Cheope. L’équipe guidata da Reisner continuò a scavare il pozzo, la cui forma irregolare tendeva a restringersi complicando la discesa degli archeologi. Furono necessarie settimane di lavoro perché potessero farsi strada verso il basso per ventisei metri, fino a raggiungere una parete di macerie, sabbia e massi di pietra calcarea che costituiva la parte superiore
del soffitto di una stanza. Gli uomini di Reisner rimossero un blocco che impediva l’accesso, e alla fioca luce delle candele intravidero una camera sepolcrale intatta, senza decorazioni murali sulle pareti, ma con un sarcofago in alabastro e un ricco corredo funebre accuratamente conservato. Le iscrizioni permisero ben presto di ricostruire che si trattava della tomba di Hetepheres prima, regina d’Egitto durante la quarta dinastia (2550 a.C.
circa), moglie del faraone Snefru e madre di Cheope, il costruttore della Grande piramide.
Nella camera funeraria All’interno della tomba – uno spazio ridotto di 5,20 per 2,70 metri – il caldo era soffocante. Molti degli oggetti si trovavano in uno stato di conservazione disastroso. Sul pavimento della camera era depositato uno strato di polvere grigiastra spesso più di dieci centimetri, risultato della decomposizione di resti organici. Tutt’intorno
FALCO D’ORO TROVATO NELLA TOMBA. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO. SCALA, FIRENZE
c’erano svariati manufatti in legno – una portantina, un baldacchino, un letto, un poggiatesta, delle casse e altri mobili –, la maggior parte dei quali era così deteriorata che era praticamente impossibile recuperarla. Ma le lamine e le decorazioni in oro e pietre semipreziose sparse al suolo erano perfettamente conservate. Questo permise al restauratore capo del Servizio reperti archeologici, Hag Ahmed Youssef Mustafa, di riparare e in alcuni casi ricostruire gli oggetti, che ora si trovano al Museo egizio del Cairo. All’interno della tomba furono rin-
ALAMY / ACI
TRA LE piccole tombe piramidali delle regine situate ai piedi della Grande piramide di Cheope s’intravede anche quella di sua madre Hetepheres.
venuti vasi di alabastro, di ceramica e di pietra, oggetti personali e bocce di profumo. Furono scoperti anche i resti organici decomposti di una cassa in legno, una specie di forziere che aveva contenuto venti braccialetti d’argento decorati con farfalle e intarsi di corniola, turchesi e lapislazzuli.
Sarcofago vuoto Non restava che aprire il sarcofago in alabastro di Hetepheres. Reisner lo fece il 3 marzo 1927 di fronte a un gruppo di visitatori illustri. I martinetti entrarono in azione, lentamente il coperchio si staccò dal cor-
po principale del sepolcro e scivolò da un lato. Stavano per contemplare la mummia di quattromila cinquecento anni di una grande regina dell’antico Egitto. Si avvicinarono per osservare meglio l’interno. I loro volti non riuscirono a nascondere la delusione quando si resero conto che il sarcofago era vuoto. Ma restava ancora da scoprire cosa c’era all’interno del loculo situato sulla parete occidentale della camera sepolcrale. Una volta rimossi i blocchi vi trovarono all’interno uno scrigno cubico in alabastro suddiviso in quattro
scomparti, ognuno dei quali tura dei resti di Hetepheres conteneva un involucro di dopo che una prima tomba lino. Mentre li srotolava- era stata probabilmente sacno, i membri dell’équipe si cheggiata. Molte altre teorie resero conto che dovevano alternative sono state proessere i canopi che avevano poste da egittologi di precustodito gli organi interni stigio, nessuna delle quali mummificati della regina ha però ricevuto conferme Hetepheres. attendibili. A tutt’oggi nesReisner aveva trovato il suno sa ancora cosa sia realsepolcro intatto con il cor- mente accaduto e la tomba redo funebre della madre di della regina Hetepheres a Cheope e i quattro canopi, Giza mantiene inviolato il ma il corpo della regina non suo alone di mistero. era all’interno del sarcofa—Irene Cordón i Solà-Sagalés go. Che cosa era successo? Fu lo stesso Reisner a sugPer saperne di più gerire una delle principali INTERNET ipotesi: quello scoperto dalla GIZA 3 D sua squadra doveva essere il 3ds.com/stories/giza-3d luogo della seconda sepolSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA ROMANZO STORICO
L’architetta Plautilla in un mondo senza donne
L Melania Mazzucco
L’ARCHITETTRICE Einaudi, 2019; pp. 568; ¤ 22
a maggior parte dei campi del sapere sono stati esclusivo appannaggio maschile. Anche quello delle arti, e in particolare dell’architettura, era un cosmo elitario e misogino, nel quale le presenze femminili si contavano sulla punta delle dita e, il più delle volte, i nomi delle donne erano soggetti alla damnatio memoriae. La scrittrice Melania Mazzucco cerca di sottrarre all’oblio gli itinerari professionali e di vita di Plautilla Bricci,
un’artista seicentesca che rappresenta uno dei tanti esempi di donna in grado di farsi valere «in un mondo senza donne», come lo definì lo storico David Noble, che affrontò la questione della progressiva marginalizzazione femminile dai centri nevralgici del sapere. Mazzucco s’imbatte così in Plautilla, una donna che grazie a passione e talento riesce a oltrepassare gli steccati tra i generi e «diventare architetto, invece… Trasformare un disegno in
STORIA MODERNA
Sulle note del “mulatto” che allietò l’Europa
I Luca Quinti
IL MOZART NERO Diastema, 2019; pp. 280; ¤ 20
126 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
l giorno di Natale del 1745 sull’isola di Guadalupa, nell’arcipelago delle Antille, la schiava Nanon, che era rimasta incinta del padrone Georges Bologne, diede alla luce un figlio maschio. Il bambino fu chiamato Joseph Bologne de Saint-Georges. Nella gerarchia sociale della colonia il “mulatto” (nato da un uomo bianco e da una donna nera “pura”) non occupava i livelli più bassi al pari dei “neri”. Ciononostante «un bianco poteva insultarlo,
violarne la proprietà privata, abusare della moglie e della figlia, senza che il mulatto potesse pensare di ottenere giustizia». Così Luca Quinti tratteggia le umili, tormentate e controverse origini del ragazzo che, trasferitosi a Parigi nel 1758, cominciò a frequentare un’accademia di scherma, e successivamente divenne membro del corpo di guardia del re. Joseph Bologne si appassionò alla musica sin da giovanissimo in Guadalupa ascoltando i canti di lavoro
pietra, un pensiero in qualcosa di solido, perenne. Tirar su una casa. Scegliere le tegole del tetto e il mattonato del pavimento. Immaginare facciate, cornicioni, architravi, logge, scale, frontoni, prospettive, giardini», come scrive l’autrice. Educata alla pittura dal padre Giovanni Bricci, che aveva previsto per lei una “vita virginale”, Plautilla fatica a emergere negli ambienti della Roma barocca monopolizzati da Bernini e Lorenzo da Cortona. L’incontro con l’abate Elpidio Benedetti l’avrebbe portata a progettare e costruire nel 1663 una “villa delle delizie” sul colle del Gianicolo che, secondo i documenti, contribuì essa stessa, col proprio pennello, a decorare.
nelle piantagioni. Sarebbe stata proprio la musica a regalargli le soddisfazioni più grandi come compositore e nelle vesti di direttore d’orchestra dell’Opera di Parigi. Primo compositore di ascendenza africana a lavorare in Europa, nella capitale francese “il mulatto” era conosciuto anche come «un giovane americano il quale, al fianco delle più alte qualità morali, possedeva doti incredibili per ogni sorta di esercizio fisico così come lo straordinario talento per la musica». Quella di Joseph Bologne fu una vita avventurosa, costellata da arresti e duelli, e viene oggi rievocata da Luca Quinti in un romanzo storico che ha alle spalle una solida ricerca documentale.
Finalmente. Ogni mese Storica National Geographic a portata di clic.
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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA ARTI GRAFICHE
STORIA SOCIALE
Antiche scarpe per ogni occasione
L PIEDI INCROCIATI CON KREPÍDES.
Metà del II secolo a.C. Terracotta di colore grigio per l’esposizione al fuoco e con minime tracce di colore. Museo archeologico nazionale Gaio Cilnio Mecenate, Arezzo.
AI PIEDI DEGLI DEI Palazzo Pitti, Firenze Fino al 19 aprile 2020 uffizi.it
e calzature hanno sempre rivelato l’appartenenza sociale di chi le portava. Gli antichi greci e romani avevano scarpe ideali per ogni occasione: i calcei romani, ad esempio, erano stivaletti bassi e spesso vivacemente colorati, ed erano usati indistintamente da uomini e donne, patrizi, senatori, imperatori e persino dèi, come ricordano molte rappresentazioni artistiche dell’epoca. Le cortigiane greche invece preferivano i sandali che, secondo alcune fonti, recavano sotto la suola alcuni chiodini disposti in modo da formare un’impronta
con la scritta “seguimi”. C’erano poi i soldati romani, che per affrontare le lunghe marce calzavano robuste caligae chiodate. La mostra curata da Lorenza Camin, Caterina Chiarelli e Fabrizio Paolucci si propone d’indagare attraverso ottanta opere i molteplici ruoli che la scarpa ha rivestito in Occidente sin dai tempi antichi. Gli esemplari esposti includono calzature usate tra il quinto secolo a.C. e il quarto d.C. provenienti dal forte romano di Vindolanda, nel nord dell’Inghilterra, oltre a rappresentazioni di calzature su rilievi e vasi dipinti.
STORIA E COSTUME
L’ELEGANZA SEICENTESCA IN RAFFINATI ORNAMENTI UN INEDITO gruppo di di-
segni per ricami e merletti della prima metà del seicento consente di documentare lo stile raffinato della moda e dell’arredo dell’epoca. Al centro dell’esposizione fiorentina stanno centodue carte a inchiostro e tre a grafite e sanguigna, attribuibili soprattutto al disegnatore Giovanni Alfonso Samarco da Bari. Molti di questi disegni erano arabeschi di 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
GIOVANNI ALFONSO SAMARCO, Disegno, Firenze.
Museo di Palazzo Davanzati.
origine islamica, ma anche soggetti del mondo animale e vegetale ricavati da codici miniati, florilegi e bestiari, destinati alla decorazione d’indumenti religiosi e civili e biancheria da usare in casa.
BELLEZZA E NOBILI ORNAMENTI NELLA MODA E NELL’ARREDO DEL SEICENTO Museo di Palazzo Davanzati, Firenze Fino al 13 aprile 2020 bargellomusei. beniculturali.it
JULES CHÉRET
Le Punch Grassot, 1896.
IL COLORE NEI MANIFESTI seconda metà dell’ottocento che il cartellone pubblicitario cerca di far leva sulle emozioni e di conquistare il ricordo di quel «passante frettoloso e distratto in un contesto urbano sempre più affollato e rumoroso». A dirlo è Manlio Brusatin, ispiratore di una mostra che si propone di esplorare il significato del colore nei manifesti pubblicitari raccolti dal celebre collezionista Nando Salce. I cartelloni a colore nacquero nel 1837 grazie a Godefroy Engelmann, che depositò il brevetto per la stampa in cromolitografia. Tuttavia il manifesto illustrato e colorato avrebbe fatto la propria comparsa solo alla fine degli anni sessanta dell’ottocento. È DALLA
COLORE COME ILLUSIONE Museo nazionale Collezione Salce, Treviso Fino al 19 aprile 2020 collezionesalce. beniculturali.it
IN ED ICO LA
Speciale Storica I Grandi filosofi
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Prossimo numero LE TERME NELL’ANTICA ROMA
BRIDGEMAN / ACI
DUEMILA ANNI FA i romani costruirono edifici termali in ogni angolo dei loro domini. Inizialmente erano semplici bagni. Poi gli imperatori fecero a gara per trasformarli in grandi e lussuosi complessi dedicati al culto del corpo. Aver trasformato una necessità igienica in piacere dei sensi costituisce una delle prove più tangibili del successo della civiltà romana. Quello spirito è stato recuperato negli odierni SPA e Hammam.
SCALA, FIRENZE
RAFFAELLO, UN GENIO DEL RINASCIMENTO RAFFAELLO SANZIO iniziò la sua carriera giovanissimo. Nel 1508 si trasferì a Roma, dove lavorò per il papa alle stanze Vaticane e poté studiare le antichità classiche. Morì nel 1520 a soli trentasette anni. ln un epitaffio il letterato Pietro Bembo affermò: «La natura, finché visse, temette di essere vinta e, quando morì, temette di morire con lui».
130 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Le incognite sulla vita del Buddha Recenti scavi in quello che fu probabilmente il suo luogo di nascita, Lumbini, in Nepal, hanno dissipato l’incertezza in merito all’epoca in cui visse il Buddha.
La città dei templi Ad Agrigento, una delle città più ricche del tempo, nel quinto secolo a.C. venne eretto un insieme di templi dorici che costituisce l’apogeo dell’architettura ellenica.
I vichinghi nel Mediterraneo Nel nono secolo i temibili guerrieri scandinavi saccheggiarono le città delle aree del Mediterraneo e catturarono gli abitanti per venderli come schiavi.
L’esercito dei faraoni Nel corso della sua storia millenaria l’Egitto affrontò con il suo poderoso esercito i nemici esterni, sia per difendersi sia per espandere i propri confini.
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