L’IMPER ATORE DEL POPOLO
SIGNORE DELLA GUERRA
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LE VENERI DELLA PREISTORIA
ANGKOR
IL CID
- esce il18/09/2020 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €
NERONE
periodicità mensile
LA PESTE AD ATENE
00140
LA GRANDE CAPITALE EGIZIA
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LA RISCOPERTA DI UN’ANTICA CIVILTÀ
N. 140 • OTTOBRE 2020 • 4,95 E
storicang.it
I PIRATI DI TORTUGA
TEBE
IN
A L CO I ED
Speciale Storica
I PRIMI FARAONI
Speciale Storica Archeologia
I SIGNORI DEL NILO
CITTÀ ROMANE D’ORIENTE
L’affascinante civiltà sorta sulle rive del Nilo si rivelò in tutta la sua originalità già durante la formazione dello stato faraonico. L’unificazione del Paese delle Due Terre (l’Alto e il Basso Egitto) fu un lungo e difficile processo durante il quale la magnificenza raggiunta dai primi faraoni dell’Antico regno e del Medio regno attraversò periodi di disgregazione e di invasioni da parte di popolazioni straniere. Un’epoca che copre circa duemila anni di storia, durante la quale i faraoni fecero erigere le impressionanti piramidi dell’antico Egitto che tuttora stimolano la fantasia di studiosi e visitatori. In edicola dal 15 settembre. Prezzo ¤ 9,90.
Pergamo, in Asia Minore, fu uno dei principali centri culturali dell’antichità. Durante il regno della dinastia attalide attirò artisti ed eruditi e divenne promotrice della cultura greca. E questo periodo di grande splendore perdurò anche in epoca romana. Efeso, primo porto dell’Asia Minore, fu la terza città più potente dopo Roma e Alessandria d’Egitto. Importante centro religioso, vi fu eretta una delle sette meraviglie del mondo antico, il tempio di Artemide. Diventata capitale della provincia romana d’Asia, prosperò e giunse a ospitare 250mila abitanti. In edicola dal 18 settembre. Prezzo ¤ 9,90.
UNA REPLICA DEL MONTE MERU. ERETTO DAL SOVRANO KHMER SURYAVARMAN II, IL TEMPIO DI ANGKOR WAT È UNA RIPRODUZIONE DEL MONTE MERU, SACRO ALL’INDUISMO. L’IMMAGINE MOSTRA LE TORRI A FORMA DI FIORE DI LOTO CHE CARATTERIZZANO IL MONUMENTO E LO STAGNO ESTERNO.
22 Tebe, la grande capitale dell’Egitto Durante il Nuovo regno la città accolse la fastosa corte dei faraoni e la potente casta sacerdotale di Amon. DI IRENE CORDÓN
36 Le Veneri della preistoria Queste figure create più di 20mila anni fa sono alcune delle più antiche manifestazioni artistiche della storia. DI MARCOS GARCÍA DÍEZ
50 La peste di Atene Nel 430 a.C. la capitale attica fu devastata da un’epidemia che sterminò un terzo della popolazione. DI CÉSAR SIERRA MARTÍN
62 Nerone, il benamato Cercò sempre di ottenere il favore del popolo offrendo spettacoli di cui spesso era il protagonista. DI JOSIAH OSGOOD
76 Il Cid, signore della guerra Rodrigo Díaz conosceva alla perfezione tutte le strategie di guerra della sua epoca, l’XI secolo. DI DAVID PORRINAS G.
90 I pirati dell’isola di Tortuga Nel seicento un’isola davanti alle coste dell’attuale Haiti diventò un covo di pirati. DI XABIER ARMENDÁRIZ.
104 Angkor, riscoperta di un’antica civiltà Dopo un lungo oblio, la capitale dell’impero khmer è tornata alla ribalta. DI VERÓNICA WALKER VADILLO
8 ATTUALITÀ 10 GRANDI INVENZIONI
L’ascensore a prova d’incidente Ideato da Elisha Otis, conquistò il mercato grazie al suo dispositivo di sicurezza.
12 PERSONAGGI STRAORDINARI Johann Strauss
Fece del valzer la musica da ballo più popolare al mondo.
16 ANIMALI NELLA STORIA
Il pesce gatto, genio protettore degli egizi
18 VITA QUOTIDIANA
Passeggiata alla luce delle lanterne L’avvento dell’illuminazione pubblica.
122 GRANDI SCOPERTE Il console Cesnola e il saccheggio di Cipro
126 LA FOTO DEL MESE 128 LIBRI E MOSTRE
LA VENERE DI WILLENDORF. È LA PIÙ FAMOSA TRA LE VENERI PALEOLITICHE. MUSEO DI SCIENZE NATURALI DI VIENNA. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I PIRATI DI TORTUGA
Pubblicazione periodica mensile - Anno XII - n. 140
TEBE
LA GRANDE CAPITALE EGIZIA
Editore: RBA ITALIA SRL
ANGKOR
LA RISCOPERTA DI UN’ANTICA CIVILTÀ
IL CID
SIGNORE DELLA GUERRA
LA PESTE AD ATENE
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RICARDO RODRIGO
LE VENERI DELLA PREISTORIA
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6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
La più antica Commedia miniata PALATINO 313 Dante Poggiali Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
Tiratura limitata
E’ decorato da 37 miniature di ispirazione giottesca e da preziose iniziali istoriate, realizzate nella bottega di Pacino di Buonaguida nel XIV secolo. Contiene gran parte del Commento AUTOGRAFO di “Jacopo”, figlio di Dante. Quasi ogni chiosa è segnata dalla sigla: “Ja”, Jacopo Alighieri. Noto come “Dante Poggiali” dal nome dell’editore e bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò per utilizzarlo nella sua edizione della Commedia del 1807.
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AT T UA L I T À
JOSÉ M. GALÁN
GLI ARCHEOLOGI osservano il sarcofago in legno dipinto di bianco, forse lasciato a terra dai tombaroli.
ANTICO EGITTO
È stata ritrovata in una bara antropomorfa e con tutto il suo corredo
T
ra gennaio e febbraio 2020, nel corso dell’ultima campagna di scavi sulla collina di Dra Abu el-Naga (Luxor), i membri del Progetto Djehuty hanno effettuato un’importante scoperta: una bara antropomorfa (cioè di forma umana), risalente al XVI secolo a.C., l’epoca della XVII dinastia. Al suo interno giaceva la mummia di una ragazza di quindici o sedici anni, alta 1,59 m. Il sarcofago, in legno di sicomoro dipinto di bianco, fu intagliato in un unico tronco e misura 1,75 m
8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
di lunghezza per trentatré cm di larghezza. I ricercatori credono che fu abbandonato lì probabilmente da alcuni tombaroli dell’antichità, che però lo posarono con una certa attenzione e non l’aprirono. Una cosa che sembra fosse abituale in quella zona della necropoli: riferisce infatti José Manuel Galán (direttore del Progetto Djehuty) che sono state ritrovate diverse bare collocate al suolo senza alcuna forma di protezione. Un mistero che gli archeologi stanno cercando di risolvere.
il suo corredo funerario: due orecchini, due anelli e quattro collane. Gli orecchini e gli anelli sono stati localizzati grazie a una radiografia della mummia ancora all’interno del sarcofago. Quanto agli anelli, uno è di osso e l’altro di vetro blu con una montatura e un cordoncino avvolto attorno al dito della giovane. Due collane sono interamente di maiolica, la terza ha alcune perle di maiolica e altre di vetro verde, mentre la quarta è composta da 74 pezzi di ametista, corniola e altre pietre semipreziose.
JOSÉ M. GALÁN
La giovane della collina
LA MUMMIA DELLA RAGAZZA aveva ancora tutto
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GRANDI INVENZIONI
L’ascensore a prova d’incidente 1852
AKG / ALBUM
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Tutto cambiò grazie all’inventore statunitense Elisha Graves Otis. Nato nel Vermont nel 1811, Otis lavorò nella manifattura di carrozze e quindi come mastro meccanico in una fabbrica d’assemblaggio di letti. Nel 1852 ricevette l’incarico di allestire un nuovo stabilimento a Yonkers (New York) e fu allora che concepì un ascensore provvisto di un dispositivo automatico di sicurezza: una guida dentata che frenava la cabina in caso di cedimento della fune di sollevamento. Dopo aver intuito le potenzialità della sua invenzione, lasciò la fabbrica e fondò un’azienda di ascensori nella stessa città. Eppure nei primi sette mesi riuscì a installare un solo dispositivo. Ricevette allora un invito per mostrare la sua invenzione in un’importante fiera industriale che si
SO
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Prima cosa, la sicurezza
CE
ASCENSORE OTIS DELLA TORRE EIFFEL, IN UN’INCISIONE DEL 1889.
I primi ascensori per passeggeri spinti da un motore a vapore nacquero in Inghilterra e negli Stati Uniti prima del 1840. Ciononostante questi presentavano un serio problema: per sostenere la cabina si usavano corde di canapa, che spesso si rompevano causando incidenti a volte mortali. Nonostante l’introduzione di corde più resistenti, la sfiducia della gente rimaneva, incoraggiata dalle tragiche notizie dei giornali.
EN
L’
idea di un meccanismo capace di trasportare verticalmente persone o merci è molto remota. Nella Grecia e nella Roma antiche esistevano dispositivi atti a tale funzione: nel Colosseo, per esempio, ne venivano usati per far salire i gladiatori dai sotterranei all’arena. In periodi più recenti non mancano i riferimenti all’uso di montacarichi all’interno di palazzi. Si trattava però di meccanismi piuttosto rudimentali, a base di semplici pulegge o trasmissioni con vite la cui forza motrice era animale.
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Lo statunitense Elisha Otis ideò un ascensore a vapore che conquistò il mercato grazie a un ingegnoso dispositivo automatico di sicurezza
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ELISHA G. OTIS (1811-1861). INVENTORE E IMPRENDITORE NORDAMERICANO.
svolgeva a New York, in un grande edificio chiamato Crystal Palace (a imitazione di quello dell’Esposizione universale di Londra del 1851). In una dimostrazione piena di teatralità, Otis caricò la piattaforma al massimo, salì su di essa, diede l’ordine di alzarla e poi di tagliare la corda che la sosteneva. La folla rimase di sasso e, quasi si trattasse di uno spettacolo di magia, eruppe in applausi appena ammirò entusiasta come la piattaforma scendeva solo di pochi centimetri prima di bloccarsi. Nel frattempo Otis rasserenava gli astanti stupiti al grido di «tutti in salvo, signori, tutti in salvo!».
Muoversi in altezza Il successo della dimostrazione del Crystal Palace diede slancio all’invenzione di Otis e alla ditta che aveva fondato assieme ai due figli, la Otis Elevator Company. In un periodo in cui gli edifici urbani erano sempre più alti, l’ascensore con misure di sicurezza di Otis sarebbe divenuto un elemento fondamentale per le costruzioni sviluppate in altezza. Nel 1857 l’impresa installò il primo ascensore a vapore con freno di sicurezza per uso pubblico in un centro commerciale di cinque piani vicino Broadway. Elisha Graves Otis morì nel 1861, tre mesi dopo che l’Ufficio brevetti statunitense
(1)
(3)
(2)
La fune di sollevamento della cabina (1) era unita a una molla elastica, che rimaneva allungata per la tensione del cavo. Quando questo si rompeva, la molla si curvava verso il basso (2) e spingeva due bielle a forma di L (3), facendole girare leggermente. S’ingranavano così le guide dentate laterali e la caduta della cabina veniva frenata.
REGOLATORE DI UN ASCENSORE OTIS. FINE DEL XIX SECOLO. TORONTO. STEVE RUSSELL / GETTY IMAGES
LA SFIDA DEL TRASPORTO VERTICALE 1835 Viene costruito in Inghilterra un montacarichi industriale, il teagle di William Strutt.
1852 Otis progetta il suo ascensore, che presenta nel 1854 all’Esposizione di New York.
1872 La ditta Otis installa a New York il primo ascensore azionato mediante sistema idraulico.
1880
BETTMANN / GETTY IMAGES
Il tedesco Siemens costruisce il primo ascensore elettrico a ingranaggi.
BREVETTO DELL’ASCENSORE DI OTIS. 1861.
gli aveva concesso il brevetto per il suo “Apparecchio di sollevamento migliorato”. Non riuscì a vedere come il suo ascensore con misure di sicurezza rivoluzionava l’architettura delle metropoli. Nel 1872 la sua ditta installò a New York il primo elevatore idraulico, tecnologia che si sarebbe diffusa ben presto al posto del vapore. Successivamente, per l’esattezza nel 1889, l’azienda Otis montò l’ascensore idraulico che
saliva fino al secondo livello della torre Eiffel. Consisteva in una cabina a due piani, con la singolarità che l’ascesa avveniva su binari inclinati. Un altro elevatore, costruito dall’ingegnere Léon Édoux, collegava il secondo livello della torre al terzo. Era un risultato senza precedenti: si trattava di ascensori capaci di raggiungere i 276 metri d’altezza. ISAAC LÓPEZ CÉSAR UNIVERSITÀ DI LA CORUÑA
SPL / AGE FOTOSTOCK
DIMOSTRAZIONE del meccanismo di sicurezza dell’ascensore Otis.
PERSONAGGI STRAORDINARI
Johann Strauss, l’imperatore del valzer Nella seconda metà del XIX secolo il direttore d’orchestra e compositore Johann Strauss figlio fece del valzer la musica da ballo più popolare al mondo
J
ohann Strauss II fu il principale esponente della musica d’intrattenimento nella Vienna del XIX secolo. Sotto la sua direzione il valzer acquisì una distinzione aristocratica e caratterizzò l’ultimo periodo di splendore di Vienna, facendo da ponte tra due mondi apparentemente inconciliabili: la musica popolare e la musica classica.
Una vita segnata dal Danubio 1825 Johann Strauss II nasce a Vienna. Il padre, anch’egli compositore, cerca d’impedirgli che segua la carriera musicale.
Vienna al ritmo degli Strauss
Fu in questo ambiente che nel 1825 nacque Johann Strauss, primogenito Il business del valzer dell’omonimo compositore. Johann Alla fine del XVIII secolo l’impera- figlio dimostrò un precoce talento tore illuminato Giuseppe II favorì per la musica, ma le sue aspirazioni l’apertura di giardini, saloni, circoli, dovettero scontrarsi con l’opposicaffè e altri luoghi in cui era possibile zione del padre. Studiò la disciplina discutere, scambiare idee politiche e grazie al sostegno della madre e nel leggere la stampa. La nascente bor- 1844 sfidò apertamente la proibighesia esigeva occasioni di svago, e zione paterna: richiese la licenza per l’inaugurazione di sale da ballo e da esibirsi nei locali pubblici, fondò la concerto permise alla musica di di- propria orchestra – praticamente ventare un intrattenimento di massa. senza fondi, assumendo ventiquattro Johann Strauss padre (1804-1849) strumentisti disoccupati – e pree Joseph Lanner (1801-1843) approfit- sentò le proprie opere in un gremito tarono della situazione per diventare Casino Dommayer, il cui proprietario i primi ambasciatori del valzer, una era l’unico a non temere il carattere danza che era nata nel XVIII secolo irascibile di Strauss padre. Il successo fu immenso: «Il vecdai balli rurali tedeschi e austriaci. Descritto dalla stampa come «disgu- chio Strauss piange lacrime di valstoso, indecoroso e privo di eleganza» zer», scrisse un umorista dell’epoca. per il contatto fisico che si stabiliva Nacque una forte rivalità tra padre
1844 Nel suo debutto come compositore e direttore d’orchestra in un locale di Vienna ottiene un grande successo.
1848 Allo scoppio dei moti rivoluzionari, Strauss figlio sostiene gli insorti mentre il padre si schiera con l’imperatore.
1867 Strauss II compone Sul bel Danubio blu, il più famoso valzer della storia, che lo consacra a livello internazionale.
LOREM IPSUM
1899 Muore di polmonite a Vienna. Una grande folla assiste al suo funerale.
tra i danzatori, il valzer iniziò ben presto a spopolare nei circoli viennesi. Con grande intuito commerciale i due girarono la città con la loro orchestra e divennero elementi imprescindibili delle sale da ballo, almeno finché la crescente popolarità del primo non portò a uno scontro tra di loro.
Johann Strauss padre era fortemente contrario alle aspirazioni musicali del figlio COPERTINA DI UNA PARTITURA DI SUL BEL DANUBIO BLU. AKG / ALBUM
12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IL MUSICISTA E I SUOI AMMIRATORI JOHANN STRAUSS aveva
una personalità trascinante. Offriva i suoi servizi ai locali più lussuosi e conosciuti di Vienna, usando il suo potere di persuasione per convincere i proprietari e assicurarsi così un vasto pubblico. Le numerose commissioni e tournée che fece accrebbero la sua fama e gli diedero un ampio ritorno economico. Strauss aveva una presenza travolgente, che accendeva spesso passioni: ne è la prova il fatto che durante il suo tour statunitense vennero messe in vendita alcune ciocche dei suoi ricci tagliate appositamente dalla moglie. JOHANN STRAUSS FIGLIO INTORNO AL 1887, IN UN RITRATTO DI AUGUST EISENMENGER. KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, VIENNA. DEA / ALBUM
e figlio, a cui la stampa diede ampia diffusione per la delizia del morboso pubblico viennese. Johann II iniziò un’attività frenetica componendo una moltitudine di polke, valzer e galop e dirigendo un’orchestra con varie succursali per soddisfare il numero crescente di commissioni. Le tensioni tra padre e figlio si esacerbarono durante le rivoluzioni del 1848: mentre il primo, reazionario, scrisse la famosa Marcia di Radetzky per celebrare la vittoria dell’esercito imperiale sui ribelli italiani, il secondo si schierò dalla parte degli insorti
e compose la Marcia della rivoluzione e Canzoni di Libertà. La disputa tra i due si concluse bruscamente nel 1849, quando Strauss padre morì di scarlattina. Dopo la repressione dei moti rivoluzionari, Strauss figlio cercò d’ingraziarsi la corte imperiale viennese. Nel 1851 iniziò a esibirsi nel palazzo di Hofburg e nel 1854 fu incaricato dall’imperatore Francesco Giuseppe di comporre la musica per il suo matrimonio con la futura imperatrice Elisabetta di Baviera, la famosa Sissi. Strauss scrisse anche diverse opere in
onore del monarca, come la Marcia di giubilo per la salvezza dell’imperatore (1853), per celebrare il fatto che fosse sopravvissuto a un attentato.
Un’impresa di famiglia L’eccessivo stress di quel periodo portò Strauss a un crollo psicofisico. Fu temporaneamente sostituito alla direzione d’orchestra dai fratelli Josef ed Eduard, che abbandonarono le rispettive carriere d’ingegnere e diplomatico per mettere il loro talento musicale al servizio della “ditta” di famiglia. Cominciò così una collaborazione STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
IL MIGLIOR VALZER DELLA STORIA SUL BEL DANUBIO BLU è un esem-
pio di come i valzer di Strauss fossero pensati per guidare l’ascoltatore (o i ballerini) in una sorta di viaggio musicale. L’opera inizia con una lenta introduzione in cui gli ottoni preannunciano il bellissimo tema principale, un abile metodo per far crescere l’aspettativa del pubblico. Costruito in forma ascendente, il tema crea una tensione continua difficile da ignorare. Strauss bilancia la ripetizione dei motivi principali con nuove sezioni per evitare la monotonia e realizza un’orcheLOREM IPSUM EST.sono Leatiusam strazione in cui presenti fugitem solenimi, cumqui tutte le famiglie di strumenti. aspiendae. Ut laborep errore
che sarebbe proseguita per decenni e in cui non mancarono i momenti di tensione. Nel 1862 Johann sposò la cantante Henriette Treffz. La relazione si rivelò molto positiva per la creatività del compositore, il che non si può dire dei due matrimoni successivi. Il sostegno incondizionato e l’eccellente fiuto
GRANGER / ALBUM
volesci derore BALLO NELoptatemos PALAZZO IMPERIALE DI VIENNA. nes sint ressunt 1900 CIRCA. ACQUERELLOmaios DI WILHELM GAUSE.
per gli affari di Jetty, com’era affettuosamente conosciuta, offrirono al marito numerose opportunità. Jetty si occupava delle questioni amministrative di Johann e al contempo ne rivedeva le partiture. Il successo mondiale di Strauss arrivò nel 1867 con la prima di Sul bel Danubio blu. Nel corso del tempo i
IL TERZETTO STRAUSS CIASCUNO DEI FRATELLI Strauss aveva notevoli
capacità musicali, anche se Johann era il più dotato di tutti. Ai concerti all’aperto Johann, Josef ed Eduard facevano un curioso gioco con il pubblico: suonavano un pezzo e gli spettatori dovevano indovinare chi dei tre l’aveva composto.
CARICATURA DEI FRATELLI APPARSA NEL 1869. AKG / ALBUM
14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
valzer degli Strauss erano aumentati di complessità, passando dall’iniziale semplicità e leggerezza a una struttura sinfonica più complessa. Johann rese i suoi valzer molto più di una semplice musica da ballo; ne curò la linea melodica e creò sezioni cariche di contrasti, fino a diventarne il più indiscusso esponente. Ma Sul bel Danubio blu aveva qualcosa di differente. La versione originale era stata commissionata a Strauss da un coro maschile, che doveva eseguirla durante l’intervallo di un concerto parodistico destinato a raccogliere fondi per un monumento al compositore Schubert. Il testo ironizzava sulla situazione di Vienna dopo la sconfitta subita dagli austriaci
L’ORCHESTRA di Strauss si esibì
DUNCAN 1890 / GETTY IMAGES
a Boston davanti a 100mila spettatori in occasione del Giubileo mondiale della pace.
contro la Prussia l’anno precedente. L’evento aveva lasciato una città devastata, in cui la carestia veniva nascosta sotto i balli e le feste in maschera. Dopo il debutto viennese Strauss diresse Sul bel Danubio blu a Parigi per l’Esposizione universale, in una versione che ricevette un’accoglienza entusiasta e lo consacrò a livello internazionale. In breve tempo la partitura del valzer vendette un milione di copie. Nel 1872 eseguì il brano in una ventina di affollatissimi concerti negli Stati Uniti. Al Giubileo mondiale della pace, un festival che si tenne a Boston per celebrare la fine della Guerra franco-prussiana, diresse Sul bel Danubio blu davanti a 100mila persone. Dotato di una bacchetta luminosa, Strauss coordinò decine di vicedirettori, che a loro volta guidavano una gigantesca orchestra composta da migliaia di cantanti e strumentisti. L’inizio dell’opera fu annunciato da un colpo
di cannone a salve. Dirigere quella massa enorme si rivelò un’impresa ardua, e il compositore cercò di far sì che i musicisti finissero almeno tutti insieme, risultato che ottenne con non poche difficoltà.
nite, sopraggiunta nel 1899. Migliaia di viennesi assistettero al funerale del musicista. La bara fu fatta sfilare davanti all’Opera di corte di Vienna e alle sale in cui si era svolta la sua straordinaria carriera. Purtroppo gran parte dell’eredità Il declino viennese degli Strauss andò perduta quando Incoraggiato dalla moglie, Johann de- Eduard, forse geloso del maggior tacise di dedicarsi all’operetta, un gene- lento di Josef e Johann, bruciò l’intero re teatrale e musicale simile all’opera archivio musicale della famiglia, mie caratterizzato da una trama farsesca. gliaia di manoscritti e opere inedite Nel 1874 scrisse Il pipistrello, la cui sue e dei fratelli. ouverture è costituita da uno dei suoi VERÓNICA MAYNÉS MUSICOLOGA E CRITICA MUSICALE valzer più riusciti. L’operetta (che fu censurata) è una critica sarcastica SAGGI alla superficialità viennese, ai vizi di Per Strauss, una dinastia saperne Gli un’epoca il cui splendore è evocato a tempo di valzer di più Roberto Iovino. Camunia, con delicata nostalgia nel lirismo di Firenze, 1998. Johann Strauss alcune melodie che contrastano con Otto Brusatti. Bonechi, l’allegra giocosità di altre. Johann Firenze, 1999. Strauss figlio dimostrò una prolifica FILM Vienna di Strauss creatività continuando a comporre e Alfred Hitchcock. 1934. a dirigere fino alla morte per polmoSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ANIMALI NELLA STORIA
Il pesce gatto, genio protettore degli egizi Tra i molti pesci del Nilo gli antichi egizi rimasero particolarmente affascinati dal pesce gatto, che divenne simbolo di potere e di fertilità
L’
attenzione degli antichi egizi venne richiamata da un pesce d’acqua dolce, dalle abitudini prevalentemente notturne, che viveva sul fondo limaccioso del Nilo. E non c’è da stupirsene, dato che l’aspetto del pesce gatto è davvero insolito. Quest’animale, che appartiene all’ordine dei siluriformi, può raggiungere più di 1,20 metri di lunghezza ed è dotato di appendici carnose o barbigli che, simili ai baffi di un gatto, spuntano dalla testa e hanno la funzione d’individuare la posizione e il movimento delle prede.
Il pesce gatto è un cacciatore vorace, aggressivo e forte. Può nuotare in luoghi con carenza d’ossigeno e, se necessario, spostarsi in superficie per respirare. È perfino in grado di spingersi fuori dall’acqua per trovare un ambiente più adatto alla vita. Emette scariche elettriche di notevole potenza, sia per catturare le prede sia per difendersi dalle minacce, rappresentate per esempio dagli esseri umani. Alcuni esemplari di tale siluriforme, come il Malapterurus electricus e lo Schilbe mystus, producono scosse comprese tra i duecento e i quattrocento volt grazie a un muscolo
DISEGNO DELLA PARTE SUPERIORE DEL RECTO DELLA PALETTA DI NARMER. AL CENTRO COMPARE IL SEREKHT, MOTIVO A «FACCIATA DI PALAZZO», CON IL «NOME DELL’HORO D’ORO» DEL FARAONE: UN PESCE GATTO (N’R) E UNO SCALPELLO (MR), CHE SIGNIFICA «IL GRANDE SILURO». ALAMY / ACI
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BRIDG
CIONDOLO IN ORO A FORMA DI PESCE. MEDIO REGNO. XII DINASTIA. NATIONAL MUSEUM OF SCOTLAND, EDIMBURGO.
MASTABA DI KAGEMNI, A SAQQARA. IL BASSORILIEVO MOSTRA ALCUNI PESCATORI SU BARCHE DI PAPIRO. SOTTO UNA DI QUESTE NUOTA UN PESCE GATTO.
pettorale che circonda quasi tutto il corpo. Le scariche possono stordire le prede e causano un dolore lancinante nelle persone che le ricevono.
Pesce con superpoteri Proprio in virtù di queste caratteristiche gli egizi credevano che il pesce gatto avesse dei “poteri” superiori rispetto agli altri pesci e l’inclusero nel panteon dei geni divini. L’animale godeva di una posizione privilegiata sin dai periodi più remoti della storia del Paese del Nilo. Già Narmer, il faraone che intorno al 3100 a.C. unificò il nord e il sud del Paese e fondò la cosiddetta I dinastia, scelse l’animale per rappresentare il proprio nome. Nella tradizione archeologica il pesce gatto è spesso equiparato al siluro, a lui molto simile, e infatti si trova nelle indicazioni del serekht l’espressione «il grande [mr] siluro [n’r]». Il pesce è rappresentato nella parte superiore della sua famosa tavoletta cerimoniale. Gli egizi non sceglievano a caso il proprio titolo onorifico e in genere preferivano associarsi ad animali dalle qualità straordinarie; non è quindi bizzarro che il re ambisse a possedere le doti di tale pesce, che ne avrebbero accresciuto il potere e la forza. Il pesce gatto torna spesso nelle raffigurazioni egizie, e in particolar modo nelle mastaba dell’Antico re-
EMAN
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gno presenti nella necropoli di Saqqara. Qui lo si può distinguere dagli altri pesci senza difficoltà. In certe occasioni lo vediamo nuotare sotto le fragili imbarcazioni in papiro e in altre compare in scene di pesca: non è improbabile che fosse una fonte di sostentamento, e la sua carne doveva essere pregiata, forse per via del sapore dolciastro. A Saqqara, nella mastaba del visir Kagemni, risalente alla V dinastia, troviamo un quadretto di pesca in cui alcuni uomini cercano di catturare dei pesci su semplici scafi in papiro. Uno di loro ha in mano una lenza con amo
che un pesce gatto è in procinto di mordere. Nella mastaba di Irukaptah – un portatore di libagioni nonché capo dei macellai alla fine della V dinastia – e in quella di Mereruka – giudice capo e visir sotto il regno di Teti I, durante la VI dinastia – i pesci gatto sono invece catturati con una rete. Certi esemplari di quest’animale, come il Synodontis batensoda, vennero associati alla maternità, all’infanzia e alla fertilità. Per tale ragione la loro immagine era riprodotta per decorare flaconi di cosmetici o ciondoli per le adolescenti. È forse un gioiello simile a essere menzionato in un racconto in
cui il re Snefru esce in barca assieme ad alcune giovani. Una di loro perde il ciondolo a forma di pesce gatto, ma un mago fa sì che l’acqua si divida in due e lei possa recuperare l’amuleto dal letto del fiume. In un’altra narrazione, Storia dei due fratelli, il pesce gatto è di nuovo vincolato alla fertilità, anche se in modo diverso. Accusato di stupro dalla cognata, un giovane decide di dimostrare la propria innocenza al fratello maggiore evirandosi e scagliando il pene nell’acqua, dove viene mangiato da un pesce gatto. ELISA CASTEL EGITTOLOGA
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Passeggiata alla luce delle lanterne Dalla fine del XVII secolo l’illuminazione pubblica permise di muoversi per le città in maggiore sicurezza
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er secoli di notte le città europee mostravano un aspetto sinistro. Al venir meno la luce del sole ogni strada sprofondava nell’oscurità più totale, attenuata appena dal balenio delle stelle e dal bagliore della luna. Le persone preferivano chiudersi in casa, anche se a volte non potevano fare a meno di uscire per andare a lavorare oppure per recarsi a messa, a teatro, a un ballo o a una cena da amici. E d’inverno il crepuscolo coglieva spesso i cittadini fuori dalle proprie abitazioni. Il problema non era unicamente la mancanza di luce, bensì quello della sicurezza, perché le tenebre erano alleate dei criminali. «Appena le ombre placide del crepuscolo / fanno serrare le botteghe a doppia mandata / i ladri s’impadroniscono della città» scriveva Nicolas Boileau nel 1666 riferendosi a Parigi. Nella capitale francese una ronda notturna, che poteva
arrivare a quaranta uomini armati, percorreva le strade provvista di torce. Eppure non riusciva a coprire l’intera metropoli, che nel XVII secolo aveva superato i 500mila abitanti.
Candele in mano Per farsi luce chi usciva di notte portava con sé delle lanterne, comprate in negozi specializzati o fabbricate artigianalmente foderando una candela con un cono di carta. Nelle strade buie i ricchi avevano un servitore che li precedeva con la lucerna o con un candeliere detto flambeau, dotato di candele fatte di cera, e non dell’abituale sego. La necessità di spostarsi con una fonte di luce fece sì che a metà del XVII secolo nascesse un nuovo mestiere, quello del porta-lanterna, che si sarebbe mantenuto nel XVIII e nel XIX secolo. I porta-lanterna si disponevano agli angoli delle strade maestre o all’uscita di teatri e sale da ballo e si offrivano ad accompagnare i
GUIDE NOTTURNE IN INGHILTERRA i porta-lanterna esistettero
fino al XIX secolo. Erano chiamati link-boys o link-men, per il tipo di torcia che portavano (in inglese, link). Non godevano di buona fama, giacché si sospettava che molti fossero complici dei ladri. LINK-MAN CHE ACCOMPAGNA UNA COPPIA. XIX SECOLO. BRIDGEMAN / ACI
PWB IMAGES / ALAMY / ACI. COLOR: SANTI PÉREZ
cittadini in cambio di una modesta retribuzione. Nel XVIII secolo il cronista Louis-Sébastien Mercier raccontava che i porta-lanterna conducevano gli abitanti «a casa loro, nelle stanze stesse, perfino al settimo piano». Tuttavia l’illuminazione individuale non era sufficiente. Come testimoniava un autore anonimo in una lettera al re nel 1662, «la maggior parte dei borghesi e degli uomini d’affari non ha i mezzi per mantenere dei servitori giusto per farsi dare la luce […] e non si azzarda perciò a girare in strada». Diveniva urgente un sistema pubblico che fornisse ai viandanti una certa sensazione di sicurezza. Dal XVI secolo, e anche prima, le autorità di molte città europee cercarono di obbligare gli abitanti a disporre delle fonti di luce sulle facciate delle case e a mantenerle accese dall’imbrunire fino
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INCISIONE di Nicolas Guérard figlio, intitolata Ha suonato la campanella, porta giù la lanterna. Fine del XVII secolo.
alla mezzanotte. Si ebbero riscontri diversi da zona a zona, tuttavia fu in questo modo che la Parigi del 1667 si dotò del primo sistema d’illuminazione pubblica in Europa.
Il re Sole fa luce Gabriel Nicolas de La Reynie, luogotenente di Luigi XIV a Parigi, promulgò un’ordinanza in cui affermava: «La maggioranza dei furti è commessa con il favore delle tenebre in quartieri e strade in cui mancano le lanterne»; quindi imponeva ai proprietari delle abitazioni di collocare fanali a secchio laddove ancora non ve ne fossero. Furono così installati nelle novecento strade della città 2.700 lumi, cifra che cinquant’anni più tardi sarebbe raddoppiata. Le luci dovevano essere accese tra ottobre e marzo, dalle sei del pomeriggio circa e fino a mezzanotte.
Luci per vivere e lavorare di notte L’INCISIONE sopra
queste righe mostra come alla fine del XVII secolo ogni notte venissero accese le lanterne che illuminavano le strade di Parigi. Ne erano incaricati alcuni abitanti del quartiere, che vi si dedicavano in un periodo limitato, da ottobre a marzo. All’ora stabilita un uomo faceva suonare la campanella. Un altro cittadino, nell’immagine qui sopra una donna, inseriva nel fanale una candela che precedentemente il figlio aveva preso da un sacco. Terminata l’operazione, un terzo vicino (in fondo a destra) azionava una puleggia per sollevare il lume, che rimaneva sospeso in mezzo alla strada. Alla sinistra dell’inci-
sione si vedono una locanda ben illuminata, un cuoco che prepara il cibo da asporto e una coppia di clienti che regge un tegame fumante di carne stufata. L’immagine cercava di trasmettere l’idea di una città con strade pulite e sicure in virtù di un’illuminazione efficiente. Grazie a ciò le attività produttive potevano rimanere aperte anche a notte avanzata. Per l’Europa di allora si trattava di un evento eccezionale.
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L’OLANDA INVENTA I FANALI
UNIVERSITÉ DE BORDEAUX. BABORDNUM.FR
nche se i lumi installati a Parigi nel 1667 suggestionarono molti, si può affermare che il futuro dell’illuminazione pubblica iniziò quasi contemporaneamente in un’altra città: Amsterdam. Lì il pittore Jan van der Heyden mise a punto un fanale a olio dotato di riflettori che riverberavano la luce. Nel 1669 la metropoli neerlandese creò una rete di lanterne in strade e spazi aperti per garantire la sicurezza ai viandanti. C’era il rischio dei ladri, ma pure di cadere nei canali. Berlino adottò il sistema nel 1682, e l’anno seguente Anthony Vernatty introdusse a Londra un fanale simile, chiamato “lampada convessa”. FANALE A OLIO CON RIFLETTORE. PROGETTO DELL’ARCHITETTO PIERRE PATTE. AMSTERDAM, 1766.
Stando alle opinioni dei contemporanei, fu una trasformazione spettacolare. In un rapporto a La Reynie, il poeta e musico Dassoucy si rallegrava della pace e della tranquillità che finalmente regnavano in strada: «A Parigi tutti sono al sicuro. Il galoppino, come il fabbricante di tessuti, non teme più i banditi […] Non si sente più gridare“Al ladro!”[…] Il numero di assassini, di avvelenatori, di donne sulla pubblica via e di blasfemi diminuisce, e le strade sono meno
sporche». Ma c’era pure chi trovava svantaggiosi tali cambiamenti. Tra questi figurava l’abate Terrasson, secondo il quale «prima ognuno, per paura di essere assassinato, tornava presto a casa. Aumentava perciò il profitto nello studio. Ora tutti passano la notte fuori e nessuno lavora». I forestieri che visitavano Parigi sottolineavano la differenza con il proprio luogo d’origine. Un viaggiatore italiano sosteneva che «l’invento d’illuminare Parigi di notte con un’infinità di luci merita che i più lontani popoli vengano
«Ora tutti sono al sicuro a Parigi» dichiarò un poeta quando nella città vennero installati i fanali MEDAGLIA DEL 1669 CHE RICORDA L’ILLUMINAZIONE DI LA REYNIE. FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS
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ad ammirare quel che i greci e i romani mai pensarono per l’amministrazione dei loro stati. Queste luci, chiuse in fanali di vetro sospesi nell’aria e a distanza uguale, presentano un ordine lodevole e rischiarano l’intera notte». Nel 1698 il medico e geologo inglese Martin Lister lo ritenne un evento straordinario, giacché «le strade sono rischiarate tutto l’inverno e perfino con la luna piena! […] Le lanterne sono appese in mezzo alla strada a un’altezza di venti piedi [sei metri circa] e a una distanza di venti passi l’una dall’altra». L’esaltazione iniziale e lo stupore degli stranieri non nascondevano certo i limiti dell’illuminazione con semplici lanterne: la luce era fioca e c’era il rischio che il vento spegnesse la fiamma; inoltre ogni ora bisognava tagliare lo stoppino e sulle strade più lunghe i fuochi erano scarsi. Oltre a
BRASSAI / RMN-GRAND PALAIS
PONT-NEUF di Parigi illuminato con fanali elettrici. Fotografia di Brassaï. Fonds Gilberte Brassaï, Parigi.
tutto ciò, un successore di La Reynie decise che bisognava risparmiare e ordinò di spegnere i fanali nelle notti di luna. Fu criticato da molti perché, se le nubi coprivano l’astro, allora il buio tornava totale.
Luci che accecavano Per rimediare a simili disagi nella metà del XVIII secolo le autorità promossero un nuovo tipo d’illuminazione tramite lampade a olio provviste di riflettori, come quelle adottate nei Paesi Bassi e in Inghilterra dalla fine del secolo precedente. Nel 1766 venne indetto un concorso pubblico: lo vinse un inventore borgognone, Bourgeois de Châteaublanc, con un modello di fanale, o riverbero, da lui progettato vent’anni prima. Châteaublanc s’impegnò a installare 2.400 riverberi (meno rispetto alle precedenti lanter-
ne, ma più efficaci) e a occuparsi della loro manutenzione. Il cambiamento fu di nuovo accolto con un’esplosione d’entusiasmo. Diveniva realtà quanto aveva sognato pochi anni prima il poeta Adrien-Joseph Le Valois d’Orville, quando scriveva :«Globi brillanti, nuovi astri, / che Parigi tutta ammira nelle tenebre; / scacciate via i funebri orrori / con il chiarore delle vostre lanterne». Alcuni si lamentavano però che la luce era troppo intensa e accecava viandanti e cocchieri. A tali obiezioni Châteaublanc rispondeva che non capiva perché bisognasse guardare i fanali invece della strada. Grazie alla maggiore potenza, i riverberi poterono essere collocati più in alto e furono perciò al sicuro da atti vandalici da parte dei nottambuli. Il giornalista Restif de la Bretonne evidenziò i vantaggi del nuovo sistema affermando: «Le tristi lanterne prov-
viste di una candela erano talmente numerose e offrivano così poca luce che dovevano essere accese tutte per guardare però fiocamente. Oggi tale funzione è svolta da meno [riverberi], e quando uno di loro è acceso emette lontano uno splendore brillante. Stiamo meglio, e questo progresso è dei nostri giorni!». Chissà cos’avrebbe detto se avesse potuto vedere le luci a gas – introdotte in Inghilterra dal 1802 – e i lampioni elettrici, che giunsero negli anni ottanta del XIX secolo. ALFONSO LÓPEZ STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Dal lucignolo al neon Filippo Manna. Europolis, Roma, 2002. La vita quotidiana a Parigi ai tempi del Re Sole Jacques Wilhelm. Rizzoli, Milano, 1997.
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LA GRANDE CAPITALE DELL’EGITTO
TEBE Durante il Nuovo regno la città che i greci chiamavano Tebe accolse la fastosa corte dei faraoni e la potente casta sacerdotale di Amon. Per loro lavoravano numerosi artigiani e svariati contadini
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TEMPIO DI KARNAK
Il santuario del dio Amon a Tebe fu il più grande e influente dell’intero Egitto. Nell’immagine, sala ipostila del tempio di Karnak, con le sue imponenti colonne. Venne terminata da Ramses II. GARGOLAS / GETTY IMAGES
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C BRIDGEMAN / ACI
onosciuta dagli antichi egizi come Waset, ovvero la potente, Tebe si trovava nell’Alto Egitto, circa 650 chilometri a sud dell’attuale capitale, Il Cairo, nel governatorato della moderna località di al-Uqsur o Luxor. L’area faceva parte del quarto nomo, o distretto, dell’Alto Egitto, dove venivano adorati Montu, il dio falco della guerra, e più tardi anche Amon, ovvero il dio nascosto. Quest’ultima divinità costituiva la cosiddetta triade tebana assieme alla moglie Mut e al figlio Khonsu.
IL DIO PATRONO DI TEBE
A partire dal Nuovo regno Amon divenne la divinità tutelare dei faraoni. Nell’immagine, statua di Amon che protegge Tutankhamon. Musée du Louvre, Parigi.
Tebe svolgeva già un ruolo importante durante l’XI dinastia (2050 ca.), ma fu ai tempi del Nuovo regno, verso il 1550 a.C., che acquistò una maggiore rilevanza. I faraoni della XVIII dinastia ricostruirono la città e la trasformarono in capitale. Mentre sulla sponda occidentale del Nilo i sovrani facevano erigere spettacolari templi funerari all’interno della necropoli, sulla riva orientale, dove si estendeva la gran parte della città, i faraoni innalzarono dei magnifici santuari in onore della triade tebana. Tali costruzioni si raggruppavano nei due vasti complessi di Karnak e Luxor, di cui ancora oggi si conservano delle rovine straordinarie. Questi due templi, con la via processionale che li univa, erano gli assi di un centro urbano molto esteso e densamente popolato. Non è un caso che Omero si riferisca a Tebe come alla città «dalle cento porte». I resti dell’antica città sono sepolti da spessi strati di sedimenti al di sotto dell’attuale Luxor. Se i maestosi santuari di Luxor e di Karnak resistono 3.500 anni dopo la
DEA / ALBUM
loro realizzazione, rimane ben poco dell’area urbana che li circondava. Questo perché nell’antichità il materiale più semplice e utilizzato per le costruzioni – nonché il più economico e accessibile per la presenza del Nilo – era l’argilla. I mattoni rettangolari venivano fabbricati con limo, paglia
C R O N O LO G I A
2050 a.C.
2000-1800 a.C.
1530 a.C.
UNA CITTÀ MILLENARIA
Mentuhotep II, fondatore del Medio regno, stabilisce la capitale a Tebe, dove costruisce la sua tomba e il tempio funerario sul Nilo.
I faraoni della XII dinastia inaugurano il complesso di Amon a Karnak, con un primo tempio di cui oggi si conservano pochi resti.
Ahmose fonda la XVIII dinastia e il Nuovo regno. Dopo un periodo d’instabilità politica, fissa di nuovo la capitale del Paese a Tebe.
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triturata e sabbia, e poi a migliaia erano messi a seccare al sole. Tuttavia, poiché non venivano cotti erano più fragili e non sono giunti fino ai nostri giorni, a differenza della più resistente pietra, usata per tombe e santuari. Possiamo comunque farci un’idea di come vivessero i tebani grazie
COSTRUZIONE
Pittura della tomba di Rekhmire, a Tebe, con scene della fusione di metalli (sopra) e della fabbricazione di mattoni (sotto).
1504-1492 a.C.
1099-1069 a.C.
Thutmose I è il primo faraone sepolto nella Valle dei Re e innalza un tempio funerario ai limiti delle aree coltivate.
Ramses XI, che governa a Pi-Ramses, allontana il potente sommo sacerdote di Amon, Amenhotep, e lo sostituisce con un militare, Herihor.
a una fonte d’informazioni dal valore eccezionale: i sepolcri che in molti tra nobili e funzionari di corte si fecero costruire sulla riva occidentale del Nilo. Diverse sepolture contengono scene dipinte sulle pareti e plastici in legno che rappresentano con vivido realismo il tipo di case e la quotidianità degli abitanti.
La vita in miniatura Sono soprattutto i modellini in legno a richiamare l’ attenzione: i gruppi di statuine umane e i plastici delle case in miniatura rivelano le attività che si svolgevano nelle tenute dei signori più abbienti. Venivano collocati nei sepolcri perché potessero fornire cibo al defunto in eterno. Un discorso STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LE DUE SPONDE
medinet habu Tempio funerario di Ramses III.
la città di tebe si sviluppò sulla sponda orientale del Nilo. Lì si estendevano i suoi quartieri variopinti, il palazzo del faraone e numerosi edifici religiosi, in particolare i complessi di Karnak e di Luxor, uniti tra di loro da un viale processionale. La sponda occidentale era invece riservata ai morti. Qui si trovavano le necropoli e i grandi santuari funerari destinati al culto dei faraoni defunti, uno più monumentale dell’altro. Dietro le montagne c’era la Valle dei BASSO EGITTO Re, con le tomM E N FI be rupestri dei sovrani egizi del ALTO EGITTO Nuovo regno.
amenhotep iii Tempio funerario e colossi di Memnone all’entrata.
MAR MEDITERRANEO
TEBE
luxor Tempio costruito da Amenhotep III, unito a quello di Karnak tramite un viale processionale.
VISTA DI TEBE DURANTE IL NUOVO REGNO. ILLUSTRAZIONE DI JEAN-CLAUDE GOLVIN.
ramesseum Tempio funerario di Ramses II il Grande.
tempio di seti i Struttura funeraria dedicata a questo faraone della XIX dinastia.
tempio di mut Dedicato alla moglie di Amon, la dea Mut.
karnak Complesso attorno al tempio di Amon.
ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE.
deir el-bahari Recinto roccioso in cui vennero eretti i templi di Mentuhotep II, Thutmose III e Hatshepsut.
NEGOZIO IN UN MERCATO DELL’ANTICO EGITTO. RILIEVO CONSERVATO NEL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI BOLOGNA.
GIARDINO DOMESTICO
AKG / ALBUM
Questa riproduzione mostra il lussureggiante giardino di una casa nobile, con alberi da frutta e uno stagno. Tomba di Minnakht. XVIII dinastia. Metropolitan Museum, New York.
MET / ALBUM
IL BARATTO, PIÙ UTILE DELLA MONETA PRIMA CHE VENISSE INTRODOTTA e accettata
la moneta, alla base del commercio antico c’era il baratto. Per quanto riguarda il Paese del Nilo, la moneta in quanto tale non venne coniata fino al IV secolo a.C., quando nel mondo greco già circolava da tempo. E anche dopo l’introduzione del sistema monetario il baratto rimase in ampio uso soprattutto in campagna, per questioni pratiche come le transazioni della vita quotidiana. Bisognava essere molto abili nell’arte del baratto per non farsi ingannare, come pure recitava una famosa massima: «Non bere acqua nella casa di un mercante: te la farà pagare». 28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
analogo vale per le pitture e per i bassorilievi, che mostrano ambientazioni agricole e d’artigianato.
Il complesso più interessante di tale produzione proviene dalla sepoltura di Meketre (TT280), che fu cancelliere di vari faraoni e visse a Tebe durante il Medio regno, verso il 2050 a.C. Quando nel 1895 ne venne individuata la tomba, si osservò che i bassorilievi erano andati persi in tempi antichi sia per via dei saccheggiatori sia per gli effetti delle piogge torrenziali. Anni dopo, nel 1919, mentre tratteggiava una mappa della necropoli tebana, Herbert Winlock scoprì nella sepoltura una camera segreta, intatta e nascosta sotto il pavimento. Qui il defunto aveva ordinato di conservare
I / AC TION
MODELLINO CHE RAPPRESENTA UN GIARDINO DOMESTICO. TOMBA DI MEKETRE. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.
L L EC
Un simile tipo di casa con giardino doveva essere comune tra l’élite tebana, perché ritorna anche in altre decorazioni di tombe private. In una scena della sepoltura dell’architetto Ineni, che ebbe un ruolo fondamentale ai tempi di Thutmose II, Hatshepsut e Thutmose III, cioè durante il
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Giardini e botteghe
Nuovo regno, compare un giardino protetto da mura in terra battuta e con due porte. Accanto all’immagine un’iscrizione in geroglifici menziona le piante che Ineni aveva nel proprio terreno: sicomori, acacie, carrubi, salici e diversi alberi da frutta come il melograno, il fico, la palma da dattero, la vite, il giuggiolo e la persea, il cui frutto ha un sapore simile alla mela. In altre raffigurazioni il defunto è posto all’ingresso della propria
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un insieme di modellini funerari in legno e dai colori vivaci che rappresentano scene della vita quotidiana dell’epoca. Uno di questi plastici riproduce la residenza di Meketre: una tipologia di casa provvista di veranda con colonne dipinte, giardino dalle piante fitte e con sicomori disposti attorno a un bacino d’acqua con alcuni pesci.
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UN GRUPPO DI SACERDOTI TRASPORTA LA BARCA DEL DIO AMON NELLA FESTA DI OPET.
casa – con giardino, stagno e perfino un orto coltivato – mentre prepara un’offerta per gli dèi. Spesso si trova in compagnia della moglie. La residenza è in genere rappresentata distante, circondata da molta acqua e diversi alberi.
Senz’ombra di dubbio le belle case con verande porticate e colonne, giardini provvisti di orti e stagni con fiori di loto e uccelli acquatici non costituivano la realtà quotidiana della maggior parte dei tebani. I quartieri più poveri erano infatti un labirinto di stradine strette e oscure. Densamente popolate, le abitazioni dovevano essere piccole, di una o due stanze, attaccate le une alle altre, e l’illusione del verde e di un po’ d’ombra era garantita giusto da qualche albero. La vita delle persone normali non doveva essere certo semplice in quegli edifici sovraffollati, probabilmente privi di misure igieniche.
PUBLIPHOTO / AGE FOTOSTOCK
Lavoratori specializzati
I VIAGGI SACRI DEL DIO AMON LE DUE FESTIVITÀ religiose tebane più importanti del calendario liturgico del Nuovo regno erano la bella festa della Valle e la festa di Opet. Entrambe avevano come protagonisti gli dèi della triade tebana: Amon, Mut e Khonsu. Durante la bella festa della Valle, la statua di Amon era portata in processione da una sponda all’altra del Nilo lungo i templi funerari e la necropoli. La festa di Opet si svolgeva tra il complesso di Karnak e quello di Luxor, lungo il viale di tre chilometri costeggiato da sfingi. In tale occasione la statua di Amon partiva in processione solenne dalla residenza a Karnak verso Luxor, così da unirsi alla moglie Mut.
Rilievi, pitture e plastici in legno forniscono nutrite testimonianze circa la popolazione tebana e le sue molteplici attività. Al di fuori degli ambienti ufficiali di corte e clero, la maggior parte delle persone doveva affannarsi non poco per sopravvivere. Gli artisti delle sepolture s’ispirarono a tali realtà per raffigurare macellai mentre squartano vitelli, panettieri e birrai che ammassano la farina d’orzo, botteghe di tessitrici che confezionano tuniche e vasai che modellano al tornio stoviglie in argilla. E poi carpentieri ed ebanisti con seghe in mano che tagliano tronchi, scultori seduti sugli sgabelli o su blocchi di pietra che danno vita alle loro creazioni con accetta, maglio, scalpello o brunitoio, orafi e fonditori di metalli, calzolai, muratori, lavandai. Per farla breve, tutto l’ampio ventaglio di lavoratori specializzati e orgogliosi della proprie capacità; ben più orgogliosi di quanto potessero scrivere gli scribi, che tendevano a denigrarne le mansioni. È il caso, per esempio, del testo derisorio conosciuto come la Satira dei mestieri, dove un certo Dua Khety compara la professione dello scriba
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alle altre, sottolineando i vantaggi della propria. Possiamo supporre che le botte-
ghe degli artigiani si trovassero riunite in una o più strade della città, come nei bazar delle attuali Istanbul o Il Cairo. Nei laboratori sovrintendeva i lavori un direttore generale, che nelle pitture murali è rappresentato in dimensioni più grandi.
Campi, mercati e templi Tra le scene illustrate sulle pareti delle tombe tebane di solito compaiono pure uomini e donne intenti a lavorare nei campi. Le terre attorno alla città erano rese ancor più fertili grazie al sistema di canali e dighe controllato dallo stato. Gli strumenti agricoli erano semplici ma efficaci: la zappa,
l’aratro, al quale venivano aggiogati i buoi, e il falcetto per mietere grano e orzo. I cereali erano poi conservati nei silos. Ne troviamo un esempio nei modellini di legno che raffigurano granai, e dove sono presenti pure diversi scribi che registrano la quantità di prodotto immagazzinato.
Il ciclo decorativo delle sepolture tebane del Nuovo regno è molto variegato e include anche delle scene di mercato. Donne e uomini, collocati vicino a moli e pontili, cedono alimenti – legumi, frutta, verdure o pesce – in cambio di oggetti lavorati, tele, collane, sandali o vasi di ceramica. In tali quadretti di mercati fluviali non mancano le imbarcazioni, che venivano usate per il trasporto di merci e di persone. Certe barche
UNA BOTTEGA EGIZIA
Operai fondono l’oro. Scena dalla mastaba di Niankhkhnum e Khnumhotep a Saqqara. V dinastia.
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HERITAGE / AGE FOTOSTOCK
UN UOMO BEVE DA UN RECIPIENTE CON UNA CANNA. PITTURA. ÄGYPTISCHES MUSEUM UND PAPYRUSSAMMLUNG, BERLINO.
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FESTE, BANCHETTI E TANTO DA BERE
avevano un equipaggio sorprendentemente numeroso, necessario per remare in caso di venti deboli o scarsa corrente.
A GIUDICARE DALLE SCENE conservate nelle tombe nobiliari del Nuovo regno, la vita degli antichi tebani era piena di momenti di divertimento, da caccia e pesca a celebrazione di banchetti in cui non mancavano musica, ballerine e bevande. Il vino era sempre presente nelle feste delle classi alte; il consumo di birra, invece, era più diffuso nel resto della popolazione. All’epoca già si conoscevano gli effetti dannosi dell’eccesso di alcol sulla salute, e la letteratura sapienziale metteva in guardia dai suoi effetti: «La birra non ti fa più essere uomo. Sei un remo incurvato su una barca, che non obbedisce a nulla. Ah, sapessi che abominio è il vino...».
Sacerdoti di Amon
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La descrizione della vita a Tebe non sarebbe completa senza fare cenno al clero della divinità più importante della città, Amon. La casta sacerdotale dedicava buona parte della giornata ai riti legati al culto, e anche le abitudini dell’élite ruotavano attorno ai santuari. Il tempio egizio era infatti un fondamentale centro di potere religioso ed economico.
Non solo: grazie alle concessioni del faraone i sacerdoti possedevano terre da coltivare, silos e proprietà di ogni sorta;
diventarono talmente ricchi e influenti che sarebbe impensabile paragonarli agli omologhi di un altro santuario in un paesino o in un centro rurale. A Tebe i religiosi erano molti, e il faraone gli concedeva continui privilegi. L’influenza economica e politica dei sommi sacerdoti di Amon crebbe incessantemente, e alla fine del Nuovo regno questi godevano di un’autorità pari a quella del faraone. La vita in città non doveva essere certo noiosa: attorno ai maestosi palazzi dei faraoni e ai templi di Karnak e Luxor si affaccendavano folle rumorose e in fervida attività; per le strade di Tebe echeggiavano le voci mentre nei palazzi si affollavano le persone. All’interno delle botteghe
il lavoro proseguiva senza sosta e al porto continuavano a giungere merci e persone provenienti da chissà quali luoghi lontani. Vivace e attiva, sin dall’inizio Tebe era destinata a divenire una delle grandi capitali del mondo antico. IRENE CORDÓN I SOLÀ-SAGALÉS STORICA DELL’ANTICHITÀ
Per saperne di più
TEMPIO DI LUXOR
Fu il secondo grande santuario innalzato nella città di Tebe. Lo costruì Amenhotep III e poi l’ampliò il faraone Ramses II.
SAGGI
La vita quotidiana degli egizi e dei loro dèi Dimitri Meeks, Christine Favard-Meeks. BUR, Milano, 2018. Vita quotidiana degli egizi Franco Cimmino. Bompiani, Milano, 2001. ROMANZI
I romanzi dell’antico Egitto. Nagib Mahfuz. Newton Compton, Roma, 2010.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ARTI E MESTIERI DI TEBE Quando nel 1919 Herbert Winlock, del Metropolitan Museum di New York, scavò a Deir el-Bahari la tomba del funzionario dell’XI dinastia Meketre, vi trovò 24 modellini. Questi rappresentavano botteghe con artigiani in fervida attività. I plastici restituiscono vivide scene sulla vita nelle proprietà di Meketre e, per estensione, dell’intera Tebe.
FOTO: ACI
Panetteria e birreria. Si divide in due locali. In uno diversi personaggi preparano la massa per la birra. Nell’altro sono elaborate pagnotte piatte e coniche.
34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Mattatoio. Diversi personaggi si preparano a sacrificare due bovini dalle zampe legate. Dal soffitto pendono alcuni pezzi di carne messi a essiccare.
Magazzini di grano. Gli operai riempiono i silos con grano, mentre nel locale accanto gli scribi registrano le quantitĂ depositate.
Stalle. Quattro bovini si sfamano in una lunga mangiatoia. LĂŹ accanto due persone alimentano alcuni vitelli.
Il telaio. In questa bottega alcune donne impugnano fusi per filare mentre altre lavorano a grandi telai.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Immagini di fertilità
VENERI DEL PALEOLITICO
ALAM
Y / AC
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In un periodo compreso tra i 38mila e i 17mila anni fa circa vennero intagliate in tutta Europa delle statuine di donne nude. Anche se piuttosto controversa, l’interpretazione di queste sculture rimanda all’idea di fertilità
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LA PIÙ ANTICA
Nella grotta di Hohle Fels (nell’immagine), nel sud della Germania, fu rinvenuta la più antica tra le Veneri oggi conosciute (a sinistra). Risale ad almeno 38mila anni fa. Urgeschichtliche Museum Blaubeuren, Blauberen. ALAMY / ACI
F
u Paul Hurault, marchese di Vibraye, a utilizzare per la prima volta il termine Veneri in riferimento alle statuette femminili del Paleolitico, quando battezzò “Venere impudica” (o “immodesta”) la piccola scultura della donna nuda rinvenuta nel sito archeologico di Laugerie-Basse nel 1864 circa. La statuina mostrava palesemente i genitali ed era ben diversa dalle Veneri “pudiche”, altre teorie, riproducevano invece sacerdotesse che, grazie ai loro poteri, riuscivano a unire il mondo terreno a quello degli spiriti o degli dei. Oppure erano sciamane, maghe o guaritrici dalle doti sovrannaturali in grado d’invocare gli spiriti, curare, vaticinare... o si trattava ancora di feticci magici. L’interpretazione ormai più diffusa, basata su Dee, feticci o giocattoli? comparazioni etnografiche, Nell’arte paleolitica ritroviamo suggerisce che fossero legascarse rappresentazioni femminite a dee della fertilità e della li, comunque più numerose di quelle riproduzione, cioè che fossero maschili. Le più note e appariscenti, delle specie di effigi mitologiche in virtù del loro realismo anatomiutilizzate nel corso di riti individuali co, sono quelle che nel XIX secolo o collettivi per propiziare la feconvennero chiamate Veneri steatodità delle donne. pigie, tra le quali spicca la Venere di Per chi respinge le teorie religiose Willendorf. La steatopigia indica uno o mistiche sarebbero oggetti erotici sviluppo ipertrofico delle masse adicreati in un’ottica maschile o giocattoli VENERE DI pose nell’area dei glutei e delle cosce, LAUGERIE-BASSE. per bambini, simili alle bambole. Un MUSÉE DE e agli esordi degli studi archeologici simile divario d’interpretazioni poL’HOMME, PARIGI. queste statuine furono considerate la trebbe dipendere da una divergenza riproduzione di un ideale di bellezza fem- di opinioni tra gli studiosi; ciononostante, minile, del modello di donna attraente agli potrebbe pure rispecchiare un’altra veriocchi dei primi Homo sapiens. tà: già nella preistoria le statuine avevano Ma la storia della loro interpretazione scopi svariati. Oggi possediamo maggiori è complessa, perché mancano documenti informazioni e possiamo perciò vedere le scritti che consentano di capire per qua- Veneri sotto una luce diversa. le motivo venissero realizzate. Tra le varie ipotesi, si è ventilato che corrispondessero a Dai Pirenei agli Urali ritratti di persone concrete o che raffiguras- In genere si tratta di piccole sculture dalla sero degli antenati, e possedessero quindi forma sferica alte tra i cinque e i venticinun carattere commemorativo utile a stabi- que centimetri. Vennero intagliate nella lire un vincolo tra i vivi e i morti. Secondo pietra o nel marmo, oppure modellate con 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
DA SINISTRA A DESTRA: ERICH LESSING / ALBUM; SCALA, FIRENZE; ALBUM • ALLA PAGINA SINISTRA. J. ANGULO, M. GARCÍA
le dee anch’esse nude che, nell’arte classica, coprivano il proprio seno e il pube. Venere era l’elegante dea romana dell’amore, della bellezza e della fertilità. Ma le Veneri preistoriche erano lontane dalle delicate proporzioni delle antiche sculture greco-romane.
VENUS DI GRIMALDI, SCULTURA IN STEATITE. 27MILA ANNI FA. MUSEO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA, SAINT-GERMAINEN-LAYE.
PULCINELLA (A SINISTRA), CIRCA 6 CM, E VENERE DEL ROMBO O DI LOSANGE (A DESTRA), 6 CM.
OSSERVARE LA VITA paleolitiche compaiono tratti che potrebbero essere in relazione con il parto, come avviene per la cosiddetta Pulcinella, la Venere di Losange o la Venere di Monpazier. I loro ventri prominenti potrebbero rispecchiare uno stato di gravidanza avanzato che, unito alla rappresentazione della vulva, farebbe pensare a un parto imminente.
IN DIVERSE STATUETTE FEMMINILI
VENERE DI MONPAZIER, SCULTURA IN LIMONITE. 27MILA ANNI FA. 5,5 CM. MUSEO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA, SAINT-GERMAINEN-LAYE.
NEL PARTO?
DOPO IL PARTO?
Le vulve sono spalancate e sembrano quindi legate all’eccitazione sessuale e all’orgasmo. Ma le dimensioni della vulva (non così grande come quella della Venere di Monpazier) e il ventre sporgente indicherebbero più la fase espulsiva del feto.
L’ampia apertura della vulva suggerisce che l’artista volle rappresentarla nel momento di massima dilatazione, cioè o subito prima del parto (evocato pure dal ventre rigonfio) o subito dopo.
L’Europa durante l’ultima glaciazione (21mila anni fa) Costa attuale Limite dei ghiacci Limite del permafrost Statuette femminili (Veneri) Arte rupestre Linea della costa dell’epoca
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
IL TEMPO DELLE VENERI Le statuette femminili furono realizzate dai primi Homo sapiens euroasiatici, gruppi di cacciatori-raccoglitori. Partiti dall’Africa, questi occuparono l’Europa 43mila anni fa circa, adattandosi a condizioni climatiche sia temperate sia fredde. Sono in genere associati al Paleolitico superiore, che termina circa 12mila anni fa. Tale periodo è caratterizzato dallo sviluppo della tecnica d’intaglio, che permise di realizzare strumenti in pietra allungati e sottili, e dalla fabbricazione di utensili come arponi o punte di lancia a partire da materie organiche (osso, avorio o corno). Si contraddistingue inoltre per la generalizzazione nella decorazione corporea, per una certa organizzazione dell’habitat e per una maggiore stabilità dei gruppi umani. Non solo: i sapiens iniziarono a sfruttare in modo pianificato le risorse alimentari e intensificarono le relazioni a lunga distanza. S’imposero infine la ricerca di un senso artistico e l’uso sociale dei simboli.
In Europa il Paleolitico superiore si divide in almeno quattro grandi periodi
AURIGNAZIANO
(tra 43mila e 32mila anni fa) L’Homo sapiens arriva in Europa, e scompare man mano l’Homo neanderthalensis. Tra i due ci sono momenti di convivenza. È attestata la mescolanza biologica tra sapiens e neanderthal. Le manifestazioni artistiche appaiono sia sulle pareti delle grotte (arte rupestre o parietale) sia su ossa, corna, denti o pietre (arte mobile). Risalgono a questo periodo le prime rappresentazioni di animali, ma sono più numerosi i segni di varia natura e le mani.
VENERE DI RENANCOURT. RINVENUTA AD AMIENS (FRANCIA) NEL DICEMBRE 2019, È ANTICA DI 23MILA ANNI. FU INTAGLIATA IN PIETRA E MISURA 4 CM. STÉPHANE LANCELOT, INRAP
SOLUTREANO
(tra 24mila e 18mila anni fa) Coincide con un momento d’estremo rigore climatico, l’ultimo grande periodo glaciale. I gruppi umani tendono a occupare le regioni più temperate del sud dell’Europa e quelle meridionali di Russia e Ucraina. La riproduzione degli animali si adatta a modelli reali, e alcune sproporzioni si uniscono a dettagli dell’anatomia interiore.
BISONTE DI ALTAMIRA (SPAGNA). PITTURA POLICROMA DI CIRCA 14MILA ANNI FA. SPL / AGE FOTOSTOCK
UOMO LEONE PROVENIENTE DALLA GROTTA DI HOHLENSTEINSTADEL (GERMANIA). SCULTURA IN AVORIO DI MAMMUT. CIRCA 40MILA ANNI FA. MUSEUM ULM. FINE ART / AGE FOTOSTOCK
GRAVETTIANO
(tra 32mila e 24mila anni fa) È la fase di maggiore espansione europea dell’Homo sapiens, che occupa diverse aree. Gli utensili in pietra di questo periodo mostrano una notevole somiglianza in tutta Europa, ragione per cui si è vista nel Gravettiano la prima grande cultura europea. La maggior parte delle statuette femminili risale a questo periodo. I segni artistici si diversificano, e gli animali sono caratterizzati da un tratto sommario del contorno e da sproporzioni anatomiche.
MAGDALENIANO
(tra 18mila e 12mila anni fa) Il miglioramento del clima favorisce la colonizzazione di nuovi territori. In questo periodo gli utensili si riducono drasticamente di dimensione, e allo scopo di fabbricarli vengono usate sempre in maggior misura materie organiche. È il momento di massima produzione delle arti mobili e rupestri. Alcune delle creazioni sono vere e proprie fotografie della realtà, che esplorano le forme animali avvicinandosi sempre più al naturalismo.
OGNUNO DI NOI HA UNA FISIONOMIA PARTICOLARE. La steatopigia contraddistingue le persone con depositi di grasso su cosce e natiche, e conferisce alla silhouette umana una marcata sinuosità. La scelta del termine “Veneri steatopigie” proviene dal paragone con le donne ottentotte o khoi. Agli inizi del XIX secolo, e durante il colonialismo, alcune rappresentanti di quest’etnia nomade africana furono messe in mostra in Europa. È il caso di Sarah Baartman, che venne trascinata in giro per fiere e il cui scheletro, nonché un modello del corpo, rimasero esposti al Museo dell’Uomo di Parigi fino agli anni settanta. Agli inizi del XX secolo, nel contesto di un’archeologia dominata dagli uomini, si affermò che quei popoli avevano come ideale di bellezza la donna steatopigia. Nello stesso periodo venivano man mano alla luce le statuine paleolitiche, e fu perciò sostenuta la teoria, oggi in disuso, secondo la quale le sculture presentavano l’ideale di bellezza femminile per i primi sapiens.
SARAH BAARTMAN. INCISIONE APPARSA IN UN’OPERA DEI NATURALISTI ÉTIENNE GEOFFROY SAINT-HILAIRE E GEORGES CUVIER. 1815.
CPA MEDIA / ALAMY / ACI
l’argilla. Nella maggioranza dei casi presentano una struttura del corpo a losanga (romboidale) e non hanno i tratti del volto definiti. Ne sono note circa duecento, distribuite nell’Europa occidentale (soprattutto nell’area pirenaica e nel sud-ovest della Francia, così come in Italia), nell’Europa centrale (in particolar modo nei bacini del Reno e del Danubio) e in Russia (principalmente nella metà meridionale e nella regione siberiana). La cronologia è piuttosto varia. La più antica, di almeno 38mila anni fa, venne ERIC HL
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LA SIGNORA DI BRASSEMPOUY. FRAMMENTO DI STATUETTA IN AVORIO DI 3,5 CM. MUSEO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA, SAINT-GERAMIN-EN-LAYE, FRANCIA.
rinvenuta nel sito tedesco di Hohle Fels, misura sette centimetri scarsi e ha degli attributi sessuali spropositati. La più recente risale a circa 17mila anni fa. Nell’Europa occidentale e centrale il maggior numero di sculture si concentra nell’intervallo di tempo compreso tra 30mila e 24mila anni fa (quelle russe tendono a essere più tardive) e presenta caratteristiche comuni. Le statuette anonime sono perlopiù prive d’intento realistico, e manca una fisionomia precisa del viso. Ma vi sono delle eccezioni, come la Venere di Dolní Ve˘stonice (Repubblica Ceca) o la Signora di Brassempouy (Francia). Le raffigurazioni mostrano inoltre una particolare attenzione verso la nudità della figura femminile. Compaiono eccezionalmente collane, cappucci, cinture o braccialetti, però mai un vestito che copra il corpo. Con ogni probabilità l’artista voleva mettere in evidenza il petto, il ventre, il pube e le natiche, che sono spesso esagerati e prominenti. Le Veneri siberiane sono invece snelle e tradiscono un maggiore interesse per gli accessori. Al di là di queste differenze, non ci sono dubbi sul fatto che gli scultori avevano l’intenzione di accentuare gli attributi sessuali primari (petto e pube), che sono delineati in modo perfetto.
Sessualità femminile C’è un ulteriore elemento che indica tale scopo di risaltare la sessualità femminile e, in particolare, i genitali: la rappresentazione dell’introito vaginale o di una vulva spalancata. Se una donna è in piedi, questa parte del corpo, situata nella zona inferiore del pube, è nascosta del tutto, o quasi, alla vista. Tuttavia in diverse Veneri l’introito assume la forma di una lunga linea, che nella realtà si nota solo quando la donna è sdratiata a gambe aperte. Le statuine sono perciò ritratti di donne osservate da due angolazioni differenti. Gli autori dovevano avere una ragione particolare per mostrare quella parte precisa del corpo e per far sì che pure l’osservatore si concentrasse su di essa. Poiché l’arte preistorica si esprime attraverso le immagini, per un archeologo una simile
FOTO: ERICH LESSING / ALBUM
Un presunto ideale di bellezza africana
LA VENERE DI WILLENDORF tra le statuine femminili paleolitiche è la Venere di Willendorf, trovata il 7 agosto 1908 nell’omonimo sito, nella Bassa Austria, e conservata al Museo di Scienze naturali di Vienna. La scultura ha la forma a losanga, è tinta di ocra rossa e non ha i tratti del volto. Sulla testa si può ammirare una sorta di acconciatura o pettinatura. Appoggia le braccia sul seno prosperoso e, come le altre statuette simili, mostra la vulva allo spettatore. È divenuta una delle più note Veneri paleolitiche proprio per la sua esuberanza, e quando parliamo di queste sculture pensiamo di solito a questa. Risale a circa 25mila anni fa.
LA PIÙ FAMOSA
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VENERE DI HOHLE FELS
ALAMY / ACI
Scoperta in un sito tedesco, è la più antica Venere finora conosciuta ed è data almeno 38mila anni. Fu intagliata nell’avorio, e i suoi scarsi sei cm di altezza la rendono una vera e propria miniatura. Oltre ai fianchi larghi e al ventre, spiccano il petto voluminoso e l’area della vulva. L’esagerazione degli attributi sessuali indica che va cercato lì l’interesse dell’artista che la realizzò. L’interpretazione più accettata l’associa alla fertilità: serviva forse a propiziare o a rispecchiare la fecondità. La testa è mancante, e al suo posto c’è un occhiello. Secondo alcuni, poteva essere indossata come ciondolo.
VENERE DI LAUSSEL
ASF / ALBUM
Alcune Veneri sono bassorilievi intagliati nella pietra. Nel sito francese di Laussel venne rinvenuta la cosiddetta Signora del corno, la cui fisionomia ricorda quella di una donna d’età avanzata. La sua singolarità è che nella mano destra regge un corno, forse di bisonte, con 13 righe. Secondo alcuni, il corno rappresenterebbe la mascolinità, e l’insieme simboleggerebbe la compenetrazione di maschile e femminile. Secondo altri, si tratterebbe del corno dell’abbondanza e della prosperità. Infine, per altri ancora, le 13 righe hanno un vincolo con la luna piena, e quindi con le mestruazioni: il ciclo è per tradizione accostato alla luna, e in un anno torna 13 volte. Al di là della disparità di opinioni, tutte le ipotesi associano in qualche modo il corno alla fertilità.
ICONE RELIGIOSE? I PRIMI HOMO SAPIENS furono, come abbiamo detto, gli autori delle statuette femminili del Paleolitico. Certi studiosi sostennero la teoria (oggi poco avvalorata) secondo la quale le sculture erano dee legate alla fertilità. L’idea delle cosiddette “Grandi madri” era ben radicata in culture successive, come quella mesopotamica, e alcuni archeologi intravidero nella società paleolitica l’origine di tale mito. Le statuine sarebbero icone da venerare e rispettare, e a cui rendere omaggio perché di natura divina.
PETTINATURE PALEOLITICHE
Ricostruzione ipotetica delle acconciature che sfoggiavano forse le veneri di Willendorf (sinistra) e di Brassempouy (destra).
attenzione anatomica lascia intendere che il messaggio principale dell’opera è strettamente legato alla regione genitale. Oltre all’aspetto sessuale, va sottolineata l’adiposità. Il ginecologo e antropologo francese Jean-Pierre Duhard ha calcolato che circa un terzo delle sculture presenta una corpulenza normale, mentre negli altri due terzi è esagerata. Non solo: in un numero rilevante di casi l’adiposità è associata alla gravidanza. Adesso che ne abbiamo descritto le caratteristiche basilari, possiamo tornare alla finalità di tali rappresentazioni. Dobbiamo inoltre tenere a mente due dettagli. Il primo: tra i VITELLO. INCISIONE NELLA SCAPOLA DI UN BOVINO EFFETTUATA CON L’EMATITE (REPLICA). PROVIENE DA LE MAS D’AZIL. MAGDALENIANO.
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38mila e i 24mila anni fa s’impose in Europa un modello simile, divenuto ancor più ricorrente 30mila anni fa. Il secondo: l’obesità è simbolo d’abbondanza, e la gravidanza e l’adiposità sono complementari. Possiamo finalmente domandarci cosa giustificherebbe la volontà di ritrarre immagini riproduttive o di fertilità.
“Le madri migliori” Gli studi sulla natalità e la demografia delle attuali società di caccia e raccolta suggeriscono che una donna di circa quarant’anni, e in condizioni ottimali di salute, potrebbe avere in media dai sei ai sette figli in tutto l’arco della sua vita. L’alto tasso di mortalità infantile ne decimerebbe però la prole. Si è calcolato che circa il trenta per cento dei figli muore nei primi cinque anni di vita, un altro ventidue per cento tra i sei e i dieci anni, e intorno al cinque per cento viene a mancare tra gli undici e i quindici anni. A tutto ciò va aggiunta l’eventualità che la madre non sopravviva al parto o ai giorni seguenti. La crescita demografica di tali gruppi sarebbe spesso frenata da simili fattori, e solo un alto tasso di natalità consente al clan di rimanere stabile. È molto probabile che anche per i primi sapiens l’aspetto demografico fosse fondamentale. Per questo le donne prosperose, con determinati attributi sessuali primari e secondari, potevano forse costituire dei “modelli sociali” di madri, perché le loro fattezze prosperose implicavano maggiori possibilità che crescesse la popolazione. In teoria se una donna ha modo di nutrirsi bene assicura pure la salute del neonato, che ha così una maggiore resistenza. Una simile ipotesi sullo scopo delle statuette verrebbe perciò confermata dalla messa in evidenza di vulva e introito vaginale.
Eccitazione o parto Alcune sculture mostrano una vulva spalancata, cioè in uno stato di dilatazione che potrebbe essere collegato all’eccitazione sessuale o, più probabilmente, alla fase espulsiva del feto. È il caso, per esempio, della cosiddetta Pulcinella proveniente dalla grotta di Grimaldi, in provincia d’Imperia: il ventre prominente e
FOTO: GETTY IMAGES
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E STATUETTE FEMMINILI indicano che i gruppi umani del Paleolitico già si servivano di ornamenti e vestiti. Lo dimostrano le acconciature dei capelli nei casi delle Veneri di Willendorf, Brassempouy, Laussel o Grimaldi; le cinture nelle sculture di Kostënki 1 e di Pavlov, e i bracciali ai polsi della Venere di Kostënki 1. Sono quindi almeno 30mila anni che curiamo l’immagine del nostro corpo, per fini estetici o per marcare una differenza sociale.
ALADEMOSCA.COM / C. MARTÍNEZ. EL PAPEL DE LAS MUJERES EN LA EVOLUCIÓN HUMANA (IL RUOLO DELLE DONNE NELL’EVOLUZIONE UMANA), SANTILLANA.
Dalla nudità agli accessori per il corpo
LE DAME RUSSE N E L 1 9 8 3 V E N N E T ROVATA nel sito russo di Kostënki 1, vicino al fiume Don, questa statuetta che misura 10,3 cm e risale a un periodo compreso tra i 23mila e i 21mila anni fa. Per forma e pettinatura assomiglia alla Venere di Willendorf. Se però le braccia della seconda riposano sul seno, la Venere russa le tiene distese. Entrambe furono dipinte con l’ocra rosso. Porta diversi accessori: fasce nella parte superiore del corpo, braccialetti su avambracci e polsi. A quei tempi ornamenti simili potevano essere di cuoio, pelli o fibre vegetali. Sulle natiche e sui fianchi si osservano gruppi di righe che potrebbero indicare dei vestiti (trecce di fili, corde, cinture in pelle). Ermitage, San Pietroburgo. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Un altro sguardo: la parte per il tutto
leggermente più recente, che arriva ai 17mila anni fa, esiste un altro prototipo di rappresentazione femminile, in cui i tratti sessuali non sono così esagerati o pronunciati, anche se si mantengono il carattere anonimo delle statuine e la loro nudità. A che cosa si deve il cambiamento in un simile modello di rappresentazione? La risposta non è semplice, e dobbiamo spingerci nel campo delle ipotesi. Crediamo che dietro tale trasformazione si nascondano ragioni sociali legate a un più stabile equilibrio demografico. Forse i sapiens conoscevano meglio il ciclo riproduttivo e il processo del parto?
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ELL’ARTE PALEOLITICA sono frequenti le rappresentazioni del pube con dettagli della vulva: si tratta di linee triangolari, coniche o circolari con una riga centrale. Hanno almeno 24mila anni e compaiono soprattutto in Francia e nella penisola iberica, aree in cui le statuine femminili non esistono o sono meno attestate rispetto all’Europa centrale. Eppure il significato è lo stesso: i contorni indicano le pieghe inguinali e la zona del pube, e sembrano propri di persone con concentrazioni di grasso, ovvero donne obese o gravide.
ORONOZ / ALBUM
Il ruolo delle donne
ALL’INTERNO DI TITO BUSTILLO
L’insieme che vediamo nell’immagine, noto come Camarín de las Vulvas, si trova nella grotta di Tito Bustillo, a Ribadesella (Asturie).
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la vulva aperta indicherebbero il momento precedente al parto. Anche la Venere di Monpazier (Francia) raffigura forse lo stato puerperale di una donna che ha appena partorito. Come abbiamo osservato finora, molte statuette paleolitiche presenti in Europa sono accomunate da obesità, condizione gravidica, seni grandi, pube marcato e vulva in evidenza. Una parte del simbolismo di queste figure risiede nella loro capacità (e probabilmente nella necessità) d’incarnare la riproduzione. Può darsi che furono addirittura dei veri e propri feticci sociali, e in loro gli intagliatori intravidero modelli o ideali della procreazione nonché fondamenti di un auspicato equilibrio demografico del gruppo. Tale canone non è però uniforme nel tempo né nello spazio. In Russia, soprattutto nella regione siberiana e con una datazione
In ogni caso, nel Paleolitico l’ingente quantità di statuette femminili e la loro prevalenza su quelle maschili sottolineano l’importanza sociale delle donne nelle comunità di caccia e raccolta. Vista la necessità di mantenere costante il numero dei membri di un gruppo, le donne dovettero giocare un ruolo rilevante, che si esemplificò nell’ideologia e nei simboli, così come nelle sculture che cercavano di propiziare e potenziare la loro fecondità. La raffigurazione di queste donne in un arco di 20mila anni e per un territorio di almeno 6.500 chilometri, esteso dal sud della Francia alla Siberia, suggerisce che la loro importanza simbolica valicò uno spazio e un tempo concreti e si mantenne viva come tradizione millenaria, accresciuta dai contatti tra le varie tribù. Una tradizione che superò ogni sorta di frontiera naturale e che, nella preistoria del nostro continente, permise un ampio e profondo sostrato ideologico comune. MARCOS GARCÍA DÍEZ UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID. COAUTORE DI SEXO EN PIEDRA (SESSO IN PIETRA)
Per saperne di più
SAGGI
Come eravamo. Viaggio nell’Italia paleolitica Marco Peresani. Il Mulino, Bologna, 2018. Le religioni della preistoria André Leroi-Gourhan. Adelphi, Milano, 2012. Archeologia del Paleolitico Fabio Martini. Carocci, Roma, 2019. Le dee viventi Marija Gimbutas. Medusa, Milano, 2005. La dea madre e il culto betilico Andrea Romanazzi. Levante, Bari, 2001.
DONNE DELL’ETÀ DELLA PIETRA
Ricostruzione di una donna a partire dai resti umani scavati nel sito di Abri Pataud (Francia). Risalgono al periodo compreso tra 47mila e 17mila anni fa. SPL / AGE FOTOSTOCK
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La grande epidemia del 430 a.C.
LA PESTE DI ATENE Durante il secondo anno della guerra tra Atene e Sparta, nella capitale attica si diffuse all’improvviso una terribile pestilenza che avrebbe ucciso un terzo della popolazione. Secondo gli studi attuali, si trattò di febbre tifoide
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PESTE NELL’ANTICHITÀ
In quest’olio di Michiel Sweerts si è voluto scorgere una rappresentazione della peste di Atene del 430 a.C., anche se alcuni studiosi credono non si riferisca a un episodio concreto. CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Sparta e i suoi alleati
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Offensive marittime di Atene Offensiva terrestre di Sparta
LA GRECIA IN GUERRA
La cartina sopra queste righe evidenzia i movimenti dell’esercito spartano e della flotta di Atene all’inizio della Guerra del Peloponneso.
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el 431 a.C. le inimicizie che da decenni vedevano contrapposte Sparta e Atene sfociarono in una dichiarazione di ostilità che avrebbe segnato l’inizio della Guerra del Peloponneso. Non si trattò soltanto di un evento bellico, bensì di un vero e proprio scontro tra due diverse forme di concepire la vita sociale e politica: quella democratica – malgrado luci e ombre – di Atene e quella autoritaria di Sparta. Nel conflitto si fronteggiarono anche il dominio dei mari di Atene e la supremazia terre-
C R O N O LO G I A
GUERRA ED EPIDEMIA PRISMA / ALBUM
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
Atene e i suoi alleati
stre di Sparta. Guidati dal re Archidamo, gli spartani riponevano la loro fiducia nelle truppe di fanteria, le prestigiose falangi, ed erano convinti che avrebbero avuto la meglio combattendo in campo aperto. La strategia di Pericle era invece più semplice: in caso d’invasione spartana dell’Attica, la regione di cui Atene era capitale, la popolazione rurale si sarebbe rifugiata entro le mura della città. Nel frattempo, sarebbero stati lanciati degli attacchi via mare, che prevedevano anche lo sbarco di truppe nel Peloponneso, lasciato indifeso perché gli spartani erano concentrati su Atene. E in questo modo trascorse il primo anno di guerra: in primavera e in estate Sparta occupò e devastò l’Attica mentre gli ateniesi
431 a.C.
430 a.C.
Ha inizio la Guerra del Peloponneso, che vede Atene e Sparta nemiche per l’egemonia sul mondo greco.
Nell’estate del secondo anno di conflitto scoppia la pestilenza, che si estende rapidamente e causa una grande mortalità.
ATENA FARNESE. COPIA ROMANA DELLA STATUA ORIGINALE, DEDICATA DA PERICLE ALLA DEA. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
L’ACROPOLI DI ATENE
Vista aerea della collina sacra ateniese, su cui domina il Partenone, il grande tempio dedicato ad Atena, protettrice della città. L’edificio venne ultimato nel 432 a.C., poco prima dell’inizio della guerra. MICHELE FALZONE / AWL IMAGES
429 a.C.
426 a.C.
404 a.C.
1994-1995
La terribile piaga che si accanisce contro Atene colpisce lo stesso Pericle, che muore nell’autunno del terzo anno di guerra.
Una nuova ondata del contagio miete vittime in città. In totale morirà un terzo della popolazione.
Fine del conflitto. Tucidide muore senza poter finire la storia della guerra, in cui narra la peste del 430 a.C.
Ad Atene viene scoperta una fossa comune con resti di possibili vittime della peste dei tempi di Pericle. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Vittime dell’epidemia AL MOMENTO D’IDENTIFICARE la malat-
tia sono state valutate diverse ipotesi: peste bubbonica, tifo, antrace o carbonchio, tubercolosi, vaiolo, il contagio causato dal graffio di un gatto... Il mistero si è iniziato a risolvere nel 1994-1995 quando è stata trovata una fossa comune, risalente circa al 430-420 a.C., con 150 corpi lasciati in disordine.
STELE FUNERARIA DI EGESO. VI È RAFFIGURATA UNA GIOVANE SEDUTA (LA DEFUNTA EGESO) MENTRE UNA SERVA LE MOSTRA QUELLO CHE SEMBRA ESSERE UNO SCRIGNO. V SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, ATENE.
ORONOZ / ALBUM
TUCIDIDE, TESTIMONE DELLA PIAGA Lo storico greco contrasse la malattia, ma ebbe la fortuna di sopravvivere. Busto. Museo archeologico nazionale, Napoli.
risposero con incursioni navali in luoghi del Peloponneso politicamente sensibili.
Un tragico imprevisto In teoria il piano di Pericle sarebbe stato vincente. Tuttavia nell’estate del secondo anno di guerra (430 a.C.) si verificò un imprevisto che sbaragliò la strategia militare ateniese: un’epidemia devastante si propagò rapidamente nella polis. Secondo alcune fonti, il male era già presente nell’isola di Lemno, nel nord dell’Egeo, e in altre località. Ad Atene si diceva pure che provenisse dalle terre allora dette etiopiche, cioè dall’attuale Sudan, e che da lì si fosse propagato in Egitto, Libia e nell’impero persiano. Il primo luogo colpito dall’epidemia fu il porto del Pireo. Si pensò subito che gli spartani avessero avvelenato i pozzi d’acqua presso i quali si riforniva la popolazione. In poco tempo la malattia si estese al centro urbano e afflisse tutti, senza distinzione di classe e in proporzioni inaudite. Per esempio, di tredicimila opliti ne morì
gorakis è riuscito a isolare materiale dalla polpa dentaria di tre individui, e un’analisi del DNA ha mostrato la presenza di un patogeno per il 93 per cento simile all’attuale febbre tifoidea. Anche se il risultato di questi studi dev’essere preso con cautela vista la scarsità di campioni, l’ipotesi della febbre tifoide è oggi quella tenuta in maggiore considerazione.
un terzo, 4.300 persone, e di 2.200 cavalieri ne perirono trecento, ossia la settima parte. Non si contavano neppure le perdite tra la gente comune e gli schiavi. Ovviamente l’assembramento di persone dentro le mura di Atene aumentò la virulenza del morbo. In totale si considera che soccombette un terzo degli ateniesi.
Sintomi della malattia La principale fonte per conoscere l’epidemia è Tucidide, che fu testimone diretto degli eventi e venne colpito in prima persona dal male. Con la sua solita accuratezza, Tucidide ha lasciato una descrizione dettagliata dell’evoluzione del morbo, sin dai primi sintomi fino alla fase di aggravamento e morte. Lo storico precisa che la patologia si manifestava prima con vampate di calore alla testa e poi con infiammazione agli occhi, faringe e lingua, il tutto unito a una respirazione irregolare e a un alito molto pesante. Superata questa fase, il dolore scendeva al petto, producendo una violenta tosse. Quindi arrivava allo stomaco, provocando
SCALA, FIRENZE
UN TEAM diretto da Manolis J. Papagri-
IL TEMPIO DI EFESTO
In un poggio che domina l’agorà di Atene s’innalza questo tempio dorico, che venne iniziato verso il 450 a.C. dietro impulso di Pericle; sarebbe stato terminato verso il 415 a.C., nell’ultima fase della Guerra del Peloponneso. ALAMY / ACI
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Bassorilievo con una nave da guerra ateniese. Museo dell’Acropoli, Atene.
nausea e vomito.Il corpo del malato era «rossastro, livido e come fiorito di piccole pustole e di ulcere». Chi ne era affetto aveva la sensazione che un fuoco lo consumasse da dentro, cosicché non tollerava nemmeno il contatto con le vesti. L’urgente necessità di bere portava molti a gettarsi nei pozzi o nelle fonti in cerca d’acqua fresca. Di solito il malato moriva in un periodo compreso tra i sette e i nove giorni. Se superava questa fase, poteva andare incontro a forti ulcerazioni e diarrea, per cui gli infermi «morivano in seguito, per lo sfinimento». Il tremendo dolore interessava l’intero corpo e giungeva sino alle estremità e agli organi genitali.
BRIDGEMAN / ACI
Secondo Tucidide, non esisteva medicina che si potesse applicare in generale GUERRIERO SPARTANO. STATUETTA IN BRONZO. VI SECOLO A.C.
Il trionfo del caos Oltre all’impatto sulla salute, lo scoppio dell’epidemia sconvolse completamente quella che fino ad allora era stata la normale vita degli ateniesi. Si può ben intuirne la ragione, dal momento che i cadaveri venivano ammonticchiati per le strade e, a causa dell’emergenza, non potevano essere rispettati i più elementari rituali di sepoltura: parecchi corpi venivano inceneriti su una stessa pira o abbandonati nei templi e nei santuari. Poco importavano ormai le convenzioni e le regole morali, giacché la speranza di sopravvivere alla malattia era molto bassa. Le fonti tratteggiano uno scenario in cui i cittadini più abbienti vedevano di colpo perdere la vita e le proprie sostanze, mentre certi poveri si arricchivano all’improvviso appropriandosi dei beni altrui. Un’ulteriore conseguenza era che «uno osava quello che prima si guardava dal fare per il proprio piacere [...] mirava a godere quanto prima e
FOTO: AKG / ALBUM
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REMATORI IN UNA TRIREME
Come sottolinea Tucidide, il problema principale risiedeva nel fatto che la scienza di allora era impotente per arrestare l’avanzata dell’epidemia. Lo storico afferma: «Non esisteva, per così dire, nessuna medicina che si potesse applicare in generale: quello che a uno era di giovamento, per un altro era dannoso. Nessun organismo, forte o debole che fosse, riusciva a combattere il morbo, ma la malattia portava via tutti quanti, anche chi era curato con la maggiore attenzione». Proprio per questo motivo i medici furono i primi a soccombere, considerati la vicinanza e il contatto con gli infetti. «Per timore» i cittadini «non volevano recarsi l’uno dall’altro», mentre alcuni «per un senso di vergogna [...] non si risparmiavano, ma si recavano dai loro amici» pur di trasmettere le condoglianze alle famiglie. Quanto ai guariti, Tucidide narra che i sopravvissuti «avevano più compassione per chi stava morendo o era malato, perché ne avevano già fatto esperienza ed erano ormai al sicuro: la malattia infatti non colpiva due volte la stessa persona in modo grave». Anche così, il morbo a volte lasciava strascichi notevoli: alcuni «fisicamente guariti, smarrirono però la memoria, e non riconoscevano più sé stessi e i loro familiari».
VITTIMA INFANTILE nel corso di alcuni lavori alla stazione della metro di Ceramico (Kerameikos), ad Atene, tra il 1994 e il 1995, gli archeologi scoprirono una fossa comune con vittime della piaga che afflisse Atene nel 430 a.C. Tra i resti venne trovato il cranio di una bambina di 11 anni, con una dentatura in pessime condizioni. Lo specialista in ortodonzia Manolis J. Papagrigorakis e un’équipe di esperti svedesi ricostruirono il volto della giovane vittima, a cui diedero il nome di Myrtis. Il modello venne completato con pettinatura e vestiti dell’epoca. Myrtis ha fatto parte di una mostra celebrata nel 2010 presso il Museo archeologico nazionale di Atene. RICOSTRUZIONE FRONTALE E DI PROFILO DEL VOLTO DI MYRTIS, LA GIOVANE DI 11 ANNI VITTIMA DELL’EPIDEMIA DEL 430 A.C. A DESTRA, IL CRANIO DI MYRTIS. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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La peste nella Guerra di Troia L’ILIADE comincia con il racconto di un’epi-
demia che costrinse i capi achei, in assedio a Troia, a prendere in considerazione la ritirata. Davanti a tale situazione, il consiglio militare decise di consultare il celebre indovino Calcante perché svelasse l’origine della pestilenza. Secondo Calcante, il male era causato da un’offesa che il re Agamennone, capo della spedizione contro Troia, aveva commesso contro gli dèi. DIFATTI, contrariamente a quanto aveva
AGAMENNONE RICEVE UNA DELEGAZIONE TROIANA GUIDATA DAL SACERDOTE DI APOLLO CRISE. MOSAICO. 350 A.C. NABEUL MUSEUM, NABEUL (TUNISIA).
deliberato il consiglio acheo, il re di Micene aveva tenuto come schiava Criseide, la sacerdote troiana di Apollo, e quindi quest’ultimo si era vendicato mandando la piaga, che si poté scongiurare solo liberando la donna, celebrando un sacrificio di cento buoi e purificando ritualmente l’esercito con acqua marina.
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DÈI SANATORI Per chiedere la cura dei malati venivano offerte statuette come questa della dea della salute Igea, figlia di Asclepio.
con il maggior piacere possibile, giudicando effimere sia la vita che le ricchezze». Nessuno temeva la giustizia perché era piuttosto difficile giungere vivi al processo.
Un castigo divino? In un simile contesto, la folla divulgava ogni sorta di voci e dicerie che attribuivano l’origine della malattia all’ira di un qualche dio che era stato offeso. Secondo Tucidide, i più anziani ripetevano insistentemente che un oracolo aveva già predetto un’epidemia dopo una guerra contro i dori (gli spartani infatti erano dori, un antico popolo di origine indoeuropea stabilitosi nel Peloponneso). Si diceva inoltre che gli spartani avessero consultato l’oracolo di Delfi sull’esito dello scontro e il dio gli avesse promesso un aiuto: non mancavano le ragioni perché il morbo avesse quindi origini divine. Anche le autorità ateniesi mandarono i propri emissari a Delfi e in altri santuari per indagare sulla causa della pestilenza. Poiché era impossibile arginare l’epidemia, cresceva il clima d’ostilità verso
Pericle, dato che i cittadini l’incolpavano della situazione che stavano affrontando. Di sicuro la sua tattica bellica aveva peggiorato le condizioni di Atene per via dell’affollamento dentro le mura, sotto un sole soffocante, ma i rivali l’accusavano perfino di aver attirato la disgrazia in quanto fautore della guerra. Plutarco racconta che, pur di placare quest’ostilità, Pericle decise di guidare una spedizione marittima contro il Peloponneso, sperando così di recuperare il proprio prestigio come statista. Ciononostante lo stesso giorno della partenza della flotta si verificò un’eclissi di sole, che alimentò i cattivi presagi. La campagna fu poi un disastro.
Il dramma di Pericle Dopo più di un decennio di egemonia politica, i cittadini volsero le spalle a Pericle. Gli imposero una pesante multa e l’uomo non venne rieletto come stratega. Pericle visse sulla propria pelle la stessa sventura dell’eroe omerico Agamennone che, durante l’assedio di Troia, fu accusato di aver attirato l’ira divina, manifestatasi sotto
TEMPIO DI APOLLO PIZIO
Preoccupati dall’epidemia che colpiva la città, gli ateniesi mandarono diverse delegazioni a consultare l’oracolo nel tempio di Apollo a Delfi. I resti che si conservano oggi risalgono al IV secolo a.C. JESSE PEET / GETTY IMAGES
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Questa necropoli ateniese prende il suo nome dal quartiere dei vasai presenti nella zona. Dopo la guerra, nel 400 a.C., venne qui alzato il Pompeion, edificio da cui iniziava la processione sacra delle Panatenee.
forma di una piaga che aveva afflitto l’esercito acheo. Per giunta il celebre politico pativa le conseguenze dell’epidemia anche in seno alla propria famiglia. A quanto narra Plutarco, la prima vittima del morbo fu il suo figlio maggiore, Santippo, di cui si diceva non avesse un buon rapporto con il padre. Poco dopo toccò alla moglie e ad alcuni stretti collaboratori del governo. Alla fine pure il figlio minore, Paralo, perse la vita, evento che finì per distruggere il leggendario autocontrollo dello stratega.
La fine di un’epoca In poco tempo, nell’autunno 429 a.C., la malattia si portò via lo stesso Pericle. Il politico, già anziano, ricorse alla medicina e a ogni sorta di rimedi tradizionali, che però non ebbero effetto. Quando i sintomi erano già peggiorati, narra sempre Plutarco, un amico andò a visitarlo per sapere come stesse e lo trovò a letto con l’amuleto al collo, prova inequivocabile della disperazione in cui si trovava. Tutto fu inutile e alla fine lo statista si spense. Di lì a poco l’epidemia concesse una 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
tregua di due anni, dopo i quali riprese ad accanirsi contro gli abitanti. Ciononostante la peste non impedì che la guerra favorisse gli ateniesi, perché questi mantennero l’egemonia marittima e risolsero con autorità i problemi sorti dopo la pestilenza. Tra questi, l’insubordinazione degli alleati. È però indiscutibile che la malattia decimò le risorse umane della città e chiuse un ciclo politico virtuoso, quello di Pericle, che aveva trasformato la polis dell’Attica nella grande potenza dell’Ellade. CÉSAR SIERRA MARTÍN PROFESSORE DI STORIA ANTICA. UNIVERSITÀ DI VALENCIA
Per saperne di più
SAGGI
Epidemie e guerre che hanno cambiato il corso della storia Gastone Breccia, Andrea Frediani. Newton Compton, Roma, 2020. Pericle Vincent Azoulay. Einaudi, Torino, 2017. Le grandi epidemie Barbara Gallavotti. Donzelli, Roma, 2019. TESTI
La guerra nel Peloponneso Tucidide. Fabbri Centauria, Milano, 2017.
ENSBA / RMN-GRAND PALAIS
CIMITERO DEL CERAMICO
LA MORTE DI PARALO
L’olio di François-Nicolas Chifflart mostra il figlio minore di Pericle sul letto di morte. In primo piano l’anziano stratega manifesta il proprio dolore. XIX secolo. École nationale supérieure des Beaux-Arts, Parigi. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MACABRA FAMA
Nerone fu accusato dai suoi nemici di aver incendiato Roma. Quest’olio di Howard Pyle ricostruisce la scena del romanzo Quo Vadis? in cui Nerone suona la cetra mentre la città brucia. BRIDGEMAN / ACI
L’idolo del popolo romano
NERONE IL BENAMATO Fin dalla sua ascesa al trono imperiale Nerone cercò di ottenere il favore dei romani offrendo spettacoli pubblici di ogni tipo di cui spesso era il protagonista
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IMPERATORE ADOLESCENTE
Quando salì al trono, a soli 16 anni, Nerone si distinse per il volto aggraziato e i capelli biondi, ma anche per il collo grosso. Museo della civiltà romana, Roma.
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el 59 d.C. Nerone compì ventun anni e per festeggiare il rito della prima rasatura istituì a Roma un nuovo evento: gli Juvenalia (giochi della Gioventù). In molti ammirarono il giovane imperatore tagliarsi la barba, quindi riporla in uno scrigno d’oro ornato di perle e consacrarla nel tempio di Giove Capitolino. Furono poi rappresentate delle opere teatrali in cui si esibirono uomini e donne di alto rango e di ogni età. Vedere i romani dei ceti aristocratici impegnati in uno spettacolo suscitò grande scalpore: all’epoca la recitazione non godeva di buona
37 CONGIURE, ARTE E GIOCHI
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NASCE NERONE, figlio
di Agrippina e Gneo Domizio Enobarbo. Rimasta vedova, Agrippina sposa lo zio, l’imperatore Claudio, il quale adotta Nerone.
fama. Il pubblico dovette senz’altro rimanere a bocca aperta quando Elia Catella uscì per danzare. Non solo era ricca e di nobile famiglia, ma aveva anche ottant’anni. Il culmine della cerimonia fu però quando lo stesso Nerone salì sul palco abbigliato da suonatore di cetra. «Signori, chiedo la vostra attenzione», esordì prima di mettersi a cantare accompagnandosi con la musica, sotto gli sguardi attenti dei suoi soldati e degli spettatori seduti ai loro posti. Un gruppo di prestanti giovanotti istruiti in precedenza dallo stesso Nerone iniziò ad applaudire, e ben presto il resto del pubblico si unì
54 ALLA MORTE DI CLAUDIO,
Nerone viene nominato imperatore. Conquista il favore dei romani con una politica di clemenza e di sostegno al senato.
59 NERONE ORDINA l’omicidio
della madre, Agrippina, quindi organizza dei giochi spettacolari per mettere a tacere le voci dell’opinione pubblica.
HERVÉ LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS. COLORE: SANTI PÉREZ
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congiura di palazzo, Nerone fugge in una villa alla periferia di Roma, dove si suicida con l’aiuto di un servo.
IL CAMPIDOGLIO
Il tempio di Giove, raffigurato nell’incisione, fu bruciato subito dopo la morte di Nerone e ricostruito sotto Domiziano. Musée d’Orsay, Parigi. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’IMPERATORE MELOMANE
Nerone amava paragonarsi al dio Apollo, a cui erano attribuite grandi doti musicali. Sopra, una scultura di Apollo. III-II secolo a.C. Museo della civiltà romana, Roma.
all’ovazione: «Bellissimo Cesare, Apollo, Augusto! Nessuno potrà sconfiggerti!», gridavano. Nerone continuò a intrattenere generosamente i suoi ascoltatori. Più tardi, in serata, la festa proseguì sulle barche ormeggiate in un grande lago artificiale accanto al Tevere. Nei dintorni erano state allestite delle capanne e delle taverne, e l’imperatore si preoccupò di distribuire denaro a tutti. Il senatore Tacito, i cui Annali sono un’importante fonte di notizie sul regno di Nerone, inorridiva. «Poi scandali e infamie dilagarono e, pur nella corruzione morale di quel tempo, nessuna accozzaglia di persone, più di quella, riuscì a diffondere altrettante perversioni».
Un’eterna cattiva fama Molti storici moderni hanno accolto la valutazione negativa che Tacito diede di Nerone; tuttavia negli ultimi anni si sono aperte nuove prospettive. Gli spettacoli di massa dell’epoca, a cui assistevano migliaia di persone, sono sempre più spesso interpretati come essenziali per la stabilità politica della Roma imperiale. I giochi rappresentavano il modo in cui l’imperatore comunicava con la popolazione di una megalopoli potenzialmente ingovernabile. Le enormi spese affrontate da Nerone per intrattenimenti di questo tipo servivano a dimostrare la sua preoccupazione per la gente. E la gente, che amava quel genere di emozioni, lo ricambiava con una gratitudine entusiasta. Visto da questa prospettiva, l’istrionico Nerone non era tanto un tiranno folle, quanto un politico astuto e particolarmente dotato per le pubbliche relazioni. È vero però che nel tentativo di rendere ogni spettacolo più impressionante
In un’occasione Nerone mise in scena un’opera teatrale su un incendio mostrando sul palco una vera casa in fiamme 66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
MUSEO DEL PRADO
di quello precedente finì per non prestare attenzione ad altre realtà, con risultati nefasti. Pochi imperatori romani seppero organizzare giochi come quelli di Nerone, e nessuno eguagliò la sua capacità di suscitare scalpore. Nel 59 per esempio allestì una serie di spettacoli di grande creatività. Svetonio descrive una scena particolarmente memorabile: «Nel corso delle rappresentazioni […] un cavaliere romano, seduto su un elefante, discese lungo una corda». Nerone fece anche mettere in scena un’antica opera teatrale di Lucio Afranio intitolata Incendium, in cui c’era un’autentica casa in fiamme sul palcoscenico. Il pubblico osservò affascinato gli attori che cercavano di strappare al fuoco l’arredamento
dell’abitazione, che per l’occasione avevano ricevuto il permesso di portarsi a casa.
Generoso con la plebe In occasione di questi eventi la gente riceveva doni d’ogni tipo: grano, vestiti, oro, argento, pietre preziose, perle, dipinti, schiavi, cavalli e altre bestie da soma, e persino animali selvatici addestrati. Nerone lanciava ai presenti delle palline recanti un’iscrizione, e chi riusciva ad afferrarne una riceveva in dono l’oggetto indicato su di essa. Già prima di Nerone altri politici avevano investito denaro per intrattenere il popolo romano. Anche nei periodi più austeri della repubblica i magistrati avevano l’obbligo di organizzare spettacoli teatrali e corse di
carri. Se moriva qualche personaggio insigne, la famiglia allestiva in suo onore dei giochi funebri con combattimenti di gladiatori. L’apprezzamento di cui godeva Giulio Cesare era dovuto anche allo splendore dei suoi spettacoli, e il figlio adottivo Ottaviano ne seguì le orme. Dichiara quest’ultimo nella sua autobiografia: «In ventisei occasioni ho offerto alla gente […] cacce di animali selvatici africani, in cui ne sono stati uccisi circa 3.500 esemplari». Allo stesso modo, finanziare spettacoli di splendore ed esotismo inediti permise a un imperatore giovane e inesperto come Nerone di ottenere rapidamente il sostegno popolare. Ma c’era qualcosa che lo distingueva dagli altri governanti. Non amava solo organizzare giochi:
IL LUOGO DELLE CORSE
Si tenevano al Circo Massimo, qui ritratto da Domenico Gargiulo e Viviano Codazzi in un dipinto a olio del 1638 circa. Museo del Prado, Madrid.
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UN MESTIERE DISPREZZATO
Durante il suo viaggio in Grecia Nerone interpretò vari ruoli teatrali, anche femminili. Sopra, un attore in un affresco di Pompei. Museo archeologico nazionale, Napoli.
voleva anche parteciparvi come cantore e persino come auriga. L’imperatore adorava entrambe le attività. Da bambino era appassionato di cavalli e parlava in continuazione delle corse. Da imperatore giocava spesso a un gioco da tavolo con delle bighe d’avorio ed era un assiduo frequentatore del circo. Finché un giorno decise addirittura che avrebbe imparato a condurre un carro. In età adulta riacquistò anche il suo antico interesse per la musica e fece venire a corte Terpno, il miglior suonatore di cetra dell’epoca, che ascoltava fino a notte fonda. L’imperatore iniziò a esercitarsi con serietà e dedizione. Fece vari tentativi di rafforzare la sua voce, debole per natura, come per esempio respirare disteso supino con una lastra di piombo sul petto. Nerone era molto esigente con sé stesso. Nel 67, ormai verso la fine del suo regno, fece un viaggio in Grecia alquanto propagandato, nel corso del quale partecipò anche ai giochi olimpici. Fu protagonista di una corsa di carri a dieci cavalli, durante la quale fu sbalzato dal cocchio in corsa. Nonostante il fisico corpulento risalì a bordo, ma non riuscì a portare a termine la gara. I giudici gli assegnarono comunque l’alloro della vittoria. Nerone interpretò anche ruoli drammatici molto impegnativi, come quello di Edipo o di Ercole. Si racconta che un giovane soldato vide a teatro l’imperatore vestito di stracci e incatenato, come richiesto dal suo ruolo, e corse ad aiutarlo. Questo aneddoto è probabilmente apocrifo ma è indicativo dell’amore di Nerone per le arti sceniche.Per quanto i suoi interessi fossero genuini, parte di ciò che lo spingeva
Ai giochi olimpici del 67 Nerone partecipò a una corsa alla guida di un carro trainato da dieci cavalli 68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
GRANGER COLLECTION / AGE FOTOSTOCK
a competere era il desiderio – che poteva raggiungere la compulsione – di essere al centro dell’interesse pubblico. Il suo ruolo politico gli permetteva di ricevere già molte attenzioni, tuttavia come imperatore-attore riusciva a ottenerne ancora di più.
Idolo delle masse Nell’antica Roma gli artisti erano vere e proprie celebrità. Sotto il regno di Claudio, il predecessore di Nerone, un bellissimo ballerino, mimo e attore di nome Mnestere divenne il grande mito della città per il suo modo di danzare sinuoso e le battute spiritose che rivolgeva al pubblico. La moglie di Claudio, Messalina, s’innamorò perdutamente di lui e lo tenne gelosamente lontano
QUADRIGHE NEL CIRCO
Questo mosaico, rinvenuto nell’antica Barcino, mostra varie scene di una giornata di corse in un circo romano. Museu d’Arqueologia de Catalunya, Barcellona.
dal teatro. Allora i romani protestarono reclamando di sapere dove fosse il loro beniamino: Mnestere apparteneva alla gente, non all’imperatrice. Nel suo ruolo d’imperatore-attore, anche Nerone creò un legame unico e forte con il popolo di Roma. Ai Neronia (i giochi da lui istituti a imitazione delle Olimpiadi) si limitò inizialmente a recitare una poesia. Ma il pubblico gli chiese di più. Così lui tornò sul palco, cantò e posò un ginocchio a terra in attesa del verdetto dei giudici. Tutti gli spettatori lo acclamarono con fervore, tranne – ricorda Tacito con sarcasmo – alcuni visitatori non abituati al clima frivolo della città. Nerone e il suo pubblico si esaltavano a vicenda, e il fatto che questo potesse
RITORNO AL CIRCO DOPO L’INCENDIO TRE MESI DOPO il grande incendio di Roma, Nerone sentiva
già la mancanza del suo divertimento preferito, ovvero le corse dei carri. Il Circo Massimo era stato distrutto dalle fiamme, così l’imperatore decise di assistere a una festività di antica tradizione nel Circo Flaminio, che invece era stato risparmiato. I giochi plebei duravano due settimane e prevedevano spettacoli teatrali e gare di atletica e d’ippica, ma non corse di carri. Nerone decise invece di dedicare una giornata proprio ai carri, pensando così di andare incontro al favore popolare. Nel corso dei giochi fece anche giustiziare dei cristiani (o, secondo alcuni autori, dei seguaci del culto egizio di Iside) ammassandoli sull’arena e aizzando contro di loro branchi di cani selvatici. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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TORCE UMANE
Secondo lo storico Tacito, dopo l’incendio di Roma del 64 Nerone fece arrestare i membri della nascente comunità cristiana e ne ordinò la crudele esecuzione nei giardini imperiali: «Venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte».
LE TORCE DI NERONE. OLIO DI HENRYK SIEMIRADZKI. 1876. MUSEO NAZIONALE, CRACOVIA. ERICH LESSING / ALBUM
L’arte della diceria UN GIOVANE IMPERATORE
I ritratti ufficiali di Nerone non rispecchiano il fatto che prima dei 30 anni era già praticamente calvo e molto ingrassato. Galleria degli Uffizi, Firenze.
Gli imperatori investivano molte risorse nei giochi perché questi erano una valvola di sfogo per il popolo. Ma né i giochi né le occasionali distribuzioni di denaro o di altri beni erano sufficienti a garantire il sostegno della plebe. Nel 59 furono in molti a rimanere sconvolti dalla notizia che Nerone aveva ucciso la madre Agrippina, e ben presto la città si riempì d’iscrizioni che lo accusavano esplicitamente del crimine. Un popolare comico cantò il verso «Addio, padre. Addio, madre» facendo i gesti di bere e nuotare, in allusione alle voci secondo cui l’imperatore aveva avvelenato Claudio e tentato di annegare Agrippina. Gli splendidi giochi che Nerone organizzò quello stesso anno avevano probabilmente lo scopo di distogliere l’attenzione dal matricidio. L’imperatore fece anche divulgare una lunga lista di presunti misfatti commessi da Agrippina, come il tentativo di annullare una distribuzione di denaro al popolo che lui stesso aveva organizzato. Le false accuse e i capri espiatori erano per Nerone uno strumento di pubbliche relazioni. Ci furono diffuse proteste anche quando l’irrequieto
Dopo l’incendio Nerone fece distribuire viveri e allestire nei suoi giardini rifugi per chi era rimasto senza tetto 72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
sovrano allontanò la moglie Ottavia per sposare l’affascinante Poppea. Il popolo compativa quella donna giovane e innocente e non credeva che fosse andata a letto con un flautista di Alessandria. Con l’aiuto di Poppea, Nerone convinse un liberto che era a capo della flotta di marina e si era occupato dell’esecuzione di Agrippina a denunciare Ottavia in cambio di un lussuoso vitalizio. Quindi l’imperatore accusò pubblicamente la donna non solo di aver avuto una relazione con l’ufficiale, ma anche di avere tentato di attaccare Roma con la flotta, lasciando intendere che la città avrebbe potuto subire delle interruzioni alla fornitura di grano. Non è chiaro se questo fu sufficiente a placare le proteste, ma Nerone si affrettò a eliminare Ottavia per assicurarsi che non ci fossero manifestazioni a favore di un suo ritorno a Roma.
L’incendio di Roma L’evento più conosciuto del regno di Nerone fu il devastante incendio del 64 che si protrasse per nove giorni, distruggendo completamente tre delle quattordici zone di Roma e danneggiandone in modo grave altre sette. Migliaia di persone persero la casa. Nerone, che al momento dell’inizio della tragedia era fuori città, vi ritornò immediatamente e gestì la crisi relativamente bene. Fece costruire dei rifugi d’emergenza per coloro che non avevano più un tetto, mettendo a disposizione anche i propri giardini, e organizzò la distribuzione di viveri. Ma si sparse la voce che durante l’incendio, ispirato dalle fiamme, avesse preso la cetra e si fosse messo a cantare della leggendaria caduta di Troia, bruciata dagli achei al momento del loro ingresso in città. Qualcuno sosteneva persino che fosse stato lui ad appiccare il fuoco per poter edificare una nuova città e chiamarla con il suo nome. Nerone rispose a queste congetture con una sua teoria. Incolpò dell’incendio la nascente comunità cristiana di Roma. Riuscì a estorcere delle false confessioni e a far pronunciare una sentenza di condanna. Fedele alla sua fama, l’imperatore organizzò una crudele
ILLUSTRAZIONE 3D: VALOR-LLIMÓS ARQUITECTURA
SCALA , FIRENZE
offendere qualche sconosciuto non faceva che rafforzare il loro legame. Grazie alla loro capacità di riunirsi in grandi assembramenti per applaudire, fischiare o avanzare richieste, le masse di Roma avevano un autentico potere politico. Di fatto era stata la plebe a favorire l’ascesa di Nerone al trono. Nei giochi organizzati dall’imperatore Claudio nel 47 il giovane Nerone fu acclamato ben più del figlio biologico di Claudio, Britannico. Poco tempo dopo, Claudio sposò Agrippina e adottò Nerone.
IL PALAZZO DI NERONE
Il complesso della Domus Aurea era formato da un grande stagno centrale (su cui Vespasiano avrebbe costruito il Colosseo), da un vestibolo con un portico, da un ninfeo (sulla sinistra dell’immagine) e dal padiglione dell’Oppio, l’area privata dell’imperatore Nerone.
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BATTAGLIA NAVALE
Secondo Svetonio, Nerone organizzò una naumachia con mostri marini che nuotavano in acqua di mare. Sopra, ricostruzione di una naumachia di Nerone. XVII secolo.
punizione pubblica per i presunti piromani. Alcuni furono ricoperti di pelli di animali selvatici e fatti sbranare da cani feroci, mentre altri furono crocifissi oppure arsi vivi come delle torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte. Nel frattempo Nerone partecipava a corse di carri e si faceva vedere in giro per la città in tenuta da auriga. Tacito racconta che il supplizio dei cristiani suscitò una certa compassione, ma è plausibile che il processo e le condanne aiutarono Nerone a riconquistare popolarità. Un anno più tardi, ai Neronia, il pubblico scandiva il suo nome invitandolo a cantare. I romani continuarono a partecipare con entusiasmo ai grandi eventi che seguirono, come il favoloso ricevimento per il re armeno Tiridate o la parata trionfale per il ritorno dell’imperatore dalla Grecia.
Ormai alle strette Anche se Nerone aveva superato momenti critici come il grande incendio, la sua ossessione per il teatro finì per essergli fatale. Nel 68, di fronte alla notizia di un grande sollevamento in Gallia volto a rovesciarlo, si offese soprattutto perché il capo dei ribelli lo aveva tacciato di suonare male la cetra. L’imperatore non diede sufficiente peso alla minaccia e preferì dedicarsi a provare organi idraulici per i suoi spettacoli, a comporre canti che denunciavano i rivoltosi e a travestire le sue concubine da amazzoni. Importanti settori di Roma iniziarono a voltargli le spalle: prima la guardia pretoriana, poi il senato e infine il popolo stesso. Nerone pensò d’invocare pubblicamente aiuto, ma era troppo spaventato per farlo e preferì ritirarsi in una villa alla periferia di Roma. Lì, con l’aiuto del suo segretario,
Gli imperatori che succedettero a Nerone tentarono invano di eguagliare la grandiosità dei suoi spettacoli 74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
FINE ART / ALBUM
Epafrodito, si suicidò pugnalandosi alla gola. Secondo Svetonio, prima di esalare l’ultimo respiro esclamò: «Che grande artista muore con me!». Dopo la sua scomparsa non si celebrarono più i Neronia, ma i suoi spettacoli ebbero comunque un impatto duraturo. Alcuni dei successori investirono ingenti somme per imitare il suo esempio, ma nessuno partecipò personalmente alle corse dei carri o si esibì in canti. Domiziano ripristinò le competizioni atletiche in stile greco e fece costruire delle splendide strutture dove realizzarle. Piazza Navona conserva ancora la forma del nuovo stadio da lui voluto. Una ventina d’anni più tardi Traiano festeggiò le sue vittorie in Dacia con 123 giorni di giochi in cui furono uccisi 11mila
animali, selvatici e domestici, e diecimila gladiatori si sfidarono tra loro. Per una strana ma felice coincidenza è stato proprio un film su Nerone a dare inizio, al termine della Seconda guerra mondiale, all’età dell’oro del cinema sull’antica Roma. Quo Vadis – una produzione milionaria del 1951 che si distingueva per le imponenti ricostruzioni dei Neronia e del grande incendio, oltre che per una memorabile interpretazione di Peter Ustinov – fu un autentico successo di pubblico. Dopo vennero La tunica, Ben Hur, Spartacus e Cleopatra, con le grandi star e le imprescindibili fiumane di comparse. Gli eroi più in vista di Quo Vadis sono il rude comandante romano Marco Vinicio (interpretato da Robert Taylor) e Licia (l’attrice
Deborah Kerr), la cristiana di cui questi s’innamora. Ma è il Nerone di Ustinov a essere sempre al centro della scena e ad attirare su di sé l’attenzione degli spettatori. Proprio come lo stesso imperatore avrebbe voluto. JOSIAH OSGOOD UNIVERSITÀ DI GEORGETOWN. AUTORE DI ROME AND THE MAKING OF A WORLD STATE.
Per saperne di più
SAGGIO
Nerone Jürgen Malitz. Il Mulino, Bologna, 2003.
LA FINE DELL’IMPERATORE
Accerchiato dai suoi rivali, Nerone si uccise in una villa alla periferia di Roma. Quest’olio di Vasili S. Smirnov mostra il corpo dell’imperatore. Museo di stato russo, San Pietroburgo.
TESTI
Vita di Nerone, in Vite dei Cesari, Svetonio. Rizzoli, Milano, 1982. Annali Tacito. Garzanti, Milano, 2003. ROMANZO
Quo vadis? Henryk Sienkiewicz. Mondadori, Milano, 2016.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL CID A CAVALLO
Eretta a Burgos nel 1955, questa statua è opera di J. C. González-Quesada. Rappresenta Rodrigo Díaz con la sua spada, chiamata Tizona, mentre si dirige verso l’esilio sul suo cavallo Babieca. TEO MORENO / ALAMY / ACI
L’ARTE DELLA GUERRA NELL’XI SECOLO
IL CID Fin da giovane Rodrigo Díaz fu soprannominato Campeador (il vincitore), per la sua abilità nei duelli individuali, nelle battaglie in campo aperto e negli assedi di città
M
Santiago di Compostela
Porto
L’ASSALTO A VALENCIA
BRIDGEMAN / ACI
Lisbona
Sicuramente il Cantare ingigantisce le doti del Cid (appellativo che deriva dall’arabo volgare sidi,“signore”) allo scopo di farne un campione della cristianità nella lotta contro i musulmani. Ma anche altre fonti dell’epoca confermano che Rodrigo aveva eccezionali capacità belliche, senza le quali non avrebbe mai raggiunto l’imperitura fama di cui gode tutt’oggi. Sia quando combatteva al servizio dei re di León e di Castiglia e sia quando, dopo l’esilio del 1081, divenne un guerriero al soldo dei signori delle taifa (i piccoli stati nati dalla dissoluzione del califfato omayyade) o dei principi cristiani, dimostrò la sua padronanza dell’arte della guerra in tutte le sue forme, dalle devastanti cariche a cavallo agli assedi, fino alle battaglie campali.
Sempre vittorioso Le fonti dell’epoca evidenziano le capacità del Cid, o Campeador – come veniva anche chiamato – negli scontri individuali. Rodrigo Díaz viene sempre presentato come uno specialista di duelli. Il Carmen Campidoctoris, un poema latino incompiuto che costituisce un panegirico di Rodrigo,
SPADA DEL CID. LA LAMA SAREBBE QUELLA DELLA TIZONA DI RODRIGO DÍAZ. MUSEO DEL EJÉRCITO, MADRID.
MAPPA: MB CREATIVITAT
AKG / ALBUM
U
scirono tutti armati per le torri di Quarto, / mentre il Cid consigliava e incoraggiava i suoi vassalli. / Lasciarono alle porte uomini di molta prudenza. / Il Cid si slanciò sul suo cavallo Babieca; / di tutti i suoi finimenti è ben provveduto. / Spiegarono la bandiera e uscirono di Valenza. Tremila novecento settanta uomini marciarono in testa col Cid / e andarono di buon grado ad assaltarne cinquanta mila. / Alvar Alvarez e Minaya Albar Faùez diedero l’assalto dall’altra parte. / Piacque al Creatore e vinsero. / Il Cid usò la lancia, poi mise mano alla spada / e uccise tanti Mori che non si poterono contare. / Il sangue gli colava giù per il gomito». Questo brano del Cantare del Cid, poema epico del 1140 considerato uno dei primi documenti letterari in lingua spagnola, è uno dei tanti in cui Rodrigo Díaz de Vivar appare impegnato nell’attività fondamentale della sua vita: la guerra.
La conquista di Valencia del 1094 fu la più grande impresa militare compiuta da Rodrigo Díaz.
a r
C a n t a b r i c o Soto de Arborebona La Piedra Urbel Vivar del Castillo Ubierna Golpejera BURGOS LEÓN
Oviedo
Regno di León
Navares
Zamora
San Salvador de Oña
Cas tiglia
Alfaro Tudela
Ta i f a di Siviglia
Santarém Badajoz
Niebla
Cordova Carmona Siviglia
Granada
Silves Algarve
Malaga
Cadice
Villena
Almenara Murviedro Yubayla Valencia
Hellín Cieza Murcia
Xàtiva
Taifa di Dénia Aledo
Cabra
Taifa di Granada
Taifa delle Baleari
Dénia Polop
Peña Cadiella Elche Orihuela Molina de Segura Territori cristiani prima della conquista di Toledo e Valencia
Taifa di Almería
Conquista di Toledo da parte di Alfonso VI (1085)
Almería
o e n a r Algeciras e r t i d e M Mar
Taifa di Malaga
BARCELLONA
Morella Burriana
Bairén Ondara Onteniente
Ta i f a d i B a d a j o z
Beja
catalane
Balaguer Lérida
Tortosa
Requena Liria Torres
Toledo
Contee
Monzón Fraga Fuentes Tortosa Tévar Taifa di Olocau
Taifa di Alpuente Albarracín Taifa di Segorbe Albarracín Alpuente Cuenca
Talavera
Coria
Rueda
Calamocha
Gormaz
Tamarite Almenar
Saragozza
Taifa di Saragozza
Monastero di Cardeña
Aragona Graus Peralta
PAMPLONA
Sigüenza
Coimbra
JACA
Navarra
Conquista di Valencia da parte del Cid (1094) Territori musulmani alla morte del Cid (1099) Luoghi con presenza del Cid Battaglie condotte dal Cid Principali linee di azione del Cid
LA SPAGNA DEL CID
nella seconda metà dell’xi secolo la penisola iberica era suddivisa in un mosaico di regni cristiani e musulmani. Rodrigo Díaz iniziò la sua carriera di cavaliere in un clima di tensione tra Castiglia, León e Navarra. Dopo essere stato esiliato da Alfonso VI di León, cercò fortuna nella taifa di Saragozza e si scontrò con aragonesi e catalani. Divenuto signore di Valencia, dovette far fronte all’invasione almoravide.
1043
1066
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Rodrigo Díaz, il Cid, nasce nel villaggio castigliano di Vivar, vicino a Burgos.
Sancho II nomina armigero Rodrigo Díaz, che sarà presto soprannominato il Campeador.
Esiliato da Alfonso VI di León, il Cid passa al servizio dei Banu Hud, al governo della taifa di Saragozza.
Dopo un lungo assedio Valencia si arrende al Cid che assume il controllo di un vasto territorio.
Il Cid muore a Valencia. Tre anni dopo la città cade nelle mani della dinastia degli almoravidi.
Banditi senza patria nelle terre di confine NEL MONDO DI FRONTIERA in cui si muoveva Rodrigo Díaz c’erano
GUERRIERO A CAVALLO
La pila di Xàtiva è decorata con scene di caccia e di altri svaghi tipici della nobiltà di al-Andalus.
assediò Zamora, Rodrigo Díaz si ritrovò a combattere da solo contro quindici soldati dell’opposta fazione, sette dei quali erano protetti da corazze. Uno ne uccise, due ne ferì e fece cadere a terra, e tutti gli altri li mise in fuga con spirito determinato». Successivamente, a Medinaceli, «il Cid si batté con successo con un saraceno, che non si limitò a sconfiggere, ma a cui tolse anche la vita».
Il comando militare La dote più notevole del Rodrigo Díaz storico non è però la sua bravura nel duello, quanto la sua capacità di comando, il suo essere un abile condottiero in grado di ottenere grandi risultati militari grazie alla sua leadership. Sempre disposto a imparare e ad adattarsi, il Cid si dimostrò un attento conoscitore della psicologia dei suoi uomini e degli avversari. In un’epoca di conflitto ma anche di stretto contatto con al-Andalus (il nome che durante il Medioevo i musulmani davano alla penisola iberica), il Cid seppe adottare le nozioni e le tattiche migliori dei due mondi in cui si muoveva. Ovvero quello feudale cristiano e quello iberico musulmano, che si mescola-
IL CID. SCULTURA DELLA SALA DEI RE DELL’ALCAZAR DI SEGOVIA. ORONOZ / ALBUM
Nel 1084 il Cid attaccò questa fortezza della taifa di Lérida. Una cronaca dell’epoca rievoca come ne distrusse la porta.
DOMINGO LEIVA / GETTY IMAGES
forse composto in occasione della conquista di Valencia, afferma che il soprannome Campeador gli fu attribuito in adolescenza per aver sconfitto in singolar tenzone un campione della Navarra: «Questo duello fu il primo, / quando, ancor ragazzo, sconfisse un navarrese; / per tal ragione uomini più anziani / lo chiaman Campeador». Il faccia a faccia con Jimeno Garcés, alfiere del re di Aragona, è un esempio delle sfide a cui si ricorreva nell’XI secolo per risolvere le controversie legali – in questo caso l’attribuzione di alcuni castelli di frontiera tra la Navarra e il regno di León. Una cronaca dell’epoca, la Historia Roderici, menziona diversi combattimenti corpo a corpo che ebbero il Cid come protagonista. Uno si svolse nel 1072, durante l’assedio di Zamora. In quell’occasione Rodrigo fu vittima di un attacco a sorpresa da parte di alcuni cavalieri che difendevano la città: «Quando il re Sancho
CASTELLO DI MORELLA
ORONOZ / ALBUM
gruppi di banditi senza patria né bandiera, che vivevano di razzie e bottini di guerra riuniti attorno a un capo. In questo contesto, caratteristico dell’inizio del XII secolo, l’espressione caballeros pardos (cavalieri bruni) era usata per descrivere la mescolanza di mercenari e ladroni che agivano per conto proprio e si mantenevano grazie al banditismo o al servizio negli eserciti di re e signori. Probabilmente anche nelle truppe di Rodrigo Díaz militavano alcuni di questi caballeros, che potevano essere sia cristiani sia musulmani.
SCONTRO ARMATO
Questa scena bellica proviene dalla Bibbia e fu realizzata nel monastero della cittadina catalana di Ripoll nell’XI secolo. PRISMA / ALBUM
do risultati indiscutibili. Le battaglie servivano di rado a conquistare territori. Ma il Cid seppe sfruttarle per neutralizzare i suoi nemici e gli avversari dei re della taifa di Saragozza, dove prestò servizio come comandante mercenario per cinque anni.
Nel fragore della battaglia Ogni scontro vinto dalle truppe guidate dal Campeador è frutto di una strategia differente, una dimostrazione della sua capacità di adattarsi alle diverse circostanze e condizioni, così come della sua versatilità e delle sue doti d’improvvisazione in base agli scenari che si trovava di fronte. Il Cid dimostrò di padroneggiare metodi di combattimento sia cristiani sia musulmani, e non esitò ad adottare tattiche tipiche del mondo andaluso come il rapido attacco a cavallo seguito da un immediato ritiro. Le prime battaglie del Cid da comandante – quelle di Cabra (1079), Almenar (1082) e Morella (1084) – non sono molto conosciute a causa della scarsità di fonti. Meglio documentate sono le ultime tre: quelle di Tévar (1090), Cuarte (1094) e Bairén (1097).
ATTO DI UNA DONAZIONE FATTA DAL CID AL VESCOVO DI VALENCIA NEL 1098. ORONOZ / ALBUM
ORONOZ / ALBUM
vano incessantemente nello spazio di confronto chiamato frontiera. Fu così che riuscì a radunare attorno a sé un esercito ibrido in cui confluirono truppe provenienti da quei due distinti universi e dove gli effettivi islamici erano addirittura di più dei cristiani. Il Cid formò una milizia permanente e relativamente professionalizzata, più efficace dei contingenti di cavalieri feudali che agivano senza disciplina e si ritiravano al minimo problema. La sua capacità di mantenere costantemente operativo l’esercito e di aumentarne le dimensioni nei momenti cruciali fecero del Campeador un vero signore della guerra, un professionista delle armi dedito alle sue truppe e capace di raggiungere risultati eccezionali. I capi militari del periodo medievale cercavano in genere di evitare i confronti diretti. C’era molto da perdere e relativamente poco da guadagnare. Invece Rodrigo Díaz cercò apertamente lo scontro in varie occasioni ottenen-
LE ARMI DEL CID ancora adolescente Rodrigo Díaz fu nominato cavaliere dall’infante Sancho II, futuro re di Castiglia. All’epoca il rito si limitava all’imposizione della spada. Rodrigo avrebbe ereditato dal padre tutte le armi di un guerriero dell’XI secolo. I vari elementi sono visibili
in questo rilievo in avorio dell’arca di San Millán de la Cogolla (La Rioja), che rappresenta il re visigoto Leovigildo con i finimenti tipici del periodo in cui l’opera fu terminata (1067). Il cavaliere monta il suo destriero su una lussuosa sella decorata. Protegge il suo corpo
con un’armatura costituita da una tunica di cuoio ricoperta di piastre metalliche culminante in una sorta di cappuccio che protegge anche la bocca. Indossa un elmo di ferro e brandisce una spada. Sebbene qui non compaia, poteva impugnare anche uno scudo.
Il Cid, maestro delle “bufale” di guerra NEL CORSO DELLE SUE CAMPAGNE il Cid ricorse a un’arma non conven-
PRIGIONIERO TRASFERITO
Un uomo di León viene condotto in carcere. Miniatura delle Cantigas de Santa Maria. XIII secolo.
frammentare ulteriormente la superiorità numerica degli avversari. Infine nella battaglia di Bairén lui e il suo alleato Pietro I di Aragona s’imposero grazie al lancio di una formidabile carica di cavalleria sulle spiagge di Gandia, un’ondata capace di spezzare le file dell’esercito almoravide, che stava tentando di accerchiarli da vari fronti.
Castelli e fortezze Oltre che di battaglie campali, Rodrigo Díaz era uno specialista anche di guerre d’assedio, che all’epoca erano fondamentali per la conquista e la sorveglianza del territorio. Chi controllava castelli e città fortificate, infatti, poteva imporre il suo dominio anche sulle aree circostanti. Nel 1072 in qualità di vassallo il Cid partecipò all’accerchiamento di Zamora. Ma fu solo una ventina d’anni dopo, in occasione dell’assedio di Valencia del 1094, che mise in luce tutta la sua perizia in questo tipo di azioni belliche. Deciso a penetrare in città con la forza, ordinò un assalto diretto alle porte. Ricorse a varie macchine da guerra per aprire una breccia nelle mura e fomentò gli scontri tra le diverse fazioni
SANCHO II DI CASTIGLIA. MINIATURA. BIBLIOTECA NACIONAL, MADRID. ORONOZ / ALBUM
In una cronaca del XIV secolo si narra che il Cid uccise a duello l’aragonese Martín Gómez. Miniatura.
DEA / ALBUM
La prima lo vide contrapporsi al conte di Barcellona Berengario Raimondo II e alle truppe islamiche della taifa di Lérida. Lì Rodrigo riuscì a imporsi tramite l’uso sapiente del paesaggio agreste e boschivo da lui stesso scelto per lo scontro; ma anche grazie alle divisioni che seppe fomentare all’interno dell’esercito avversario tramite la diffusione di notizie false. La battaglia di Cuarte rappresentò invece il tentativo da parte del Cid di rompere l’assedio posto a Valencia da un potente esercito almoravide. Anche in questo caso riuscì a ottenere la vittoria mettendo in circolazione informazioni ingannevoli, che provocarono degli screzi tra i ranghi nemici. Utilizzò inoltre la già citata tattica dell’attacco rapido a cavallo seguito da una fuga immediata, che gli permise di
DUELLO LEGGENDARIO
ORONOZ / ALBUM
zionale che gli permise di ottenere indiscutibili risultati: la diffusione di notizie false tra i ranghi nemici. In almeno due occasioni Rodrigo ottenne la vittoria sul campo di battaglia fornendo informazioni ingannevoli ai suoi avversari tramite degli infiltrati. In un caso alcuni finti disertori si fecero catturare e rivelarono indicazioni erronee sulla posizione del Cid, costringendo così l’esercito nemico a separarsi. Nell’altro fu lo stesso Rodrigo a mettere in giro la notizia che un potente esercito guidato da Alfonso VI stava arrivando in suo soccorso. Le false informazioni valsero al Campeador le vittorie nelle battaglie di Tévar (1090) e Cuarte (1094).
ALJAFERÍA DI SARAGOZZA
Il nome di questo palazzo deriva da Abu Yafar al-Muqtadir, re della taifa di Saragozza che accolse il Cid. RODRIGO E IL CONTE
Il Cid sconfisse il conte di Barcellona a Tévar, ma rimase ferito nel duello. Olio di José Garnelo.
all’interno di Valencia, in modo da sostenere l’ascesa al potere di quelle a lui più favorevoli. Impose anche un blocco totale alla città impedendo qualsiasi movimento in entrata e in uscita della popolazione, e l’arrivo di approvvigionamenti dall’esterno. Lasciò che fosse la fame – ben più potente della spada, secondo lo scrittore latino Vegezio – a piegare definitivamente il morale dei suoi avversari e a precipitarne la resa finale.
Guerra psicologica Il Cid attuò anche diverse strategie di guerra psicologica. Creò dei prosperi mercati nei sobborghi periferici di Valencia – una zona da lui controllata direttamente – in modo che i cittadini, stremati dalla fame, potessero vedere coi propri occhi come sarebbero andate le cose se si fossero arresi. Allo stesso tempo non esitò a far torturare e giustiziare coloro che cercavano di fuggire dalla città in cerca di cibo. Nel corso dell’assedio la presenza di mu-
sulmani nell’esercito del Cid fu più numerosa e importante che mai: bloccare una grande città protetta da una robusta cinta muraria rappresentava una sfida dal punto di vista strategico, tattico e logistico. Bisognava poi mantenere delle truppe nelle zone limitrofe alla capitale per portare avanti le attività di razzia e di riscossione delle tasse; ed era essenziale prepararsi a un possibile attacco degli almoravidi, che sarebbero giunti in soccorso agli assediati. A ingrossare le file della milizia del Cid c’erano vari guerrieri musulmani provenienti dalla taifa di Saragozza, principale alleata di Rodrigo in quel periodo, così come da altre taifa e signorie minori dei dintorni di Valencia sottomesse in precedenza dal Cid. Ma c’erano anche dei dissidenti fuoriusciti dalla città stessa. Tra questi ultimi vanno ricordati i cosiddetti dawair, soldati islamici che si erano uniti alle schiere del Campeador per combattere contro i loro correligionari e che ebbero un ruolo centrale nell’uso del terrore e della tortura come armi. La cronaca di Ibn al-Kardabus, autore tunisino del XII secolo, rivela la pessima reputazione di cui godevano tra
MONETA CONIATA DA ALFONSO VI DOPO LA CONQUISTA DI TOLEDO DEL 1085.
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GONZALO AZUMENDI / AGE FOTOSTOCK
JUAN GARCÍA AUNIÓN / AGE FOTOSTOCK
Una nuova arma: la carica di cavalleria
Le cavalcate Una modalità di guerra che si rivelò fondamentale per il Campeador fu la cavalcata, l’incursione a cavallo in territorio nemico per distruggere, saccheggiare ed estorcere. Anche in azioni di questo tipo ebbero un ruolo di primo piano i già citati guerrieri musulmani al servizio del Cid. Grazie alle razzie e alla devastazione di raccolti e villaggi, Rodrigo riuscì a stabilire un sistema tributario nelle zone attorno a Valencia. Erano i balzelli imposti sotto la minaccia di rappresaglie e il bottino 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Nel 1098, grazie alla presa di Murviedro (antico nome di Sagunto), il Cid assunse il controllo di Valencia. I NUOVI CAVALIERI
Miniatura del XIII secolo. Illustra il modello di cavalleria imperante in Europa nel tardo Medioevo.
delle scorrerie a permettere di mantenere operativo un esercito permanente. Le cavalcate del Cid potevano essere dirette contro qualsiasi avversario, musulmano o cristiano che fosse. Così, nel 1092, contrariato dal tentativo di Alfonso VI di conquistare Valencia, Rodrigo lo costrinse a togliere l’assedio alla città lanciando una devastante campagna di distruzioni, saccheggi e massacri contro le terre della Rioja, che erano sotto la sovranità del re. Fu proprio una strategia bellica di questo tipo – così poco romantica e cavalleresca ma essenziale per il mantenimento degli eserciti – che consentì a Rodrigo Díaz di dotarsi di una milizia professionale e permanente, e diventare così uno dei più temuti signori della guerra dei suoi tempi. DAVID PORRINAS GONZÁLEZ UNIVERSITÀ DI ESTREMADURA
Per saperne di più
SAGGI
El Cid. Storia del nobile cavaliere Rodrigo Díaz Richard Fletcher. Garzanti, Milano, 1990. El Cid Monique Baile. ECIG, Genova, 1993. TESTO
Cantare del Cid. Testo spagnolo a fronte Garzanti, Milano, 2003.
SHUTTERSTOCK
gli altri musulmani, che li consideravano dei traditori: «In quel periodo si unirono al Campeador […] un gran numero di arabi malvagi, vili, perversi e depravati […] i cosiddetti “volubili” [dawair], che compivano razzie contro altri musulmani, penetravano nei loro harem, uccidevano gli uomini e rapivano le donne e i bambini. Molti di loro rinnegarono l’Islam e abbandonarono la legge del Profeta […] ed erano capaci di vendere un prigioniero musulmano per una pagnotta, una misura di vino o due chili di pesce, e tagliavano la lingua e strappavano gli occhi a chi non era in grado di pagarsi un riscatto, o gli aizzavano contro dei cani inferociti».
LA CONQUISTA DI SAGUNTO
DEA / ALBUM
A METÀ DELL’XI secolo si sviluppò in Normandia un nuovo modo di combattere a cavallo che avrebbe rivoluzionato la tecnica bellica: la carica di cavalleria. Protetti dalla testa ai piedi da corazze metalliche, elmi conici e scudi, e seduti su selle dagli alti arcioni per evitare di essere sbalzati a terra nello scontro, i cavalieri si scagliavano contro i ranghi nemici impugnando delle lunghe lance. Questa nuova strategia di combattimento fu usata per la prima volta in Spagna nel 1097, nella battaglia di Bairén. In quell’occasione Rodrigo Díaz e Pietro I di Aragona sconfissero gli almoravidi sulle spiagge dell’attuale Gandia.
L A V I TA DE I P I R AT I
L’ISOL A DI
Nel XVII secolo un’isola davanti alle coste dell’attuale Haiti diventò un covo
LA SPARTIZIONE DEL BOTTINO
Una ciurma di pirati si divide il bottino conquistato. Illustrazione di Howard Pyle. National Maritime Museum, Londra. Sopra, una moneta coniata da Filippo III. 1607. ILLUSTRAZIONE: ALAMY / ACI. MONETA: ALBUM
TORTUGA
di bucanieri e filibustieri, che depredavano navi e cittĂ
CORBIS / GETTY IMAGES
IL FORTE DI SAN FELIPE
Si trova a Puerto Plata, nell’attuale Repubblica Dominicana. I suoi cannoni difendevano la costa settentrionale di Hispaniola, che una flotta inglese tentò di conquistare nel 1655.
C R O N O LO G I A
LA MINACCIA PIRATA
L
a mitica isola di Tortuga è entrata nell’immaginario collettivo come inespugnabile covo di pirati, filibustieri e bucanieri. Il cinema e la letteratura hanno perpetuato questa leggenda tramite romanzi come Il Corsaro Nero di Emilio Salgari o film come quelli della saga Pirati dei Caraibi. Eppure chi oggi visitasse l’Île de la Tortue, a nord-ovest di Haiti, non troverebbe altro che abitazioni fatiscenti e umili capanne di pescatori, un ambiente ormai lontano dal suo antico splendore. Andando a scavare nel passato è però possibile scoprire una
Il rifugio dei bucanieri Quando Cristoforo Colombo vi sbarcò per la prima volta nel 1492, durante il suo primo viaggio nelle Indie, l’orografia dell’isola gli ricordò il carapace di una tartaruga. Non era altro che un piccolo scoglio montagnoso, di appena trentasette chilometri di lunghezza per sette di larghezza, che un canale di otto chilometri separava dalla costa nord-occiden-
1492
1623
Cristoforo Colombo scopre l’isola di Tortuga navigando nello stretto che la separa da Hispaniola; la chiama così per la somiglianza della sua orografia con il carapace di una tartaruga.
I primi bucanieri si dedicano alla caccia nella parte più disabitata di Hispaniola e stabiliscono la loro base a Tortuga, per il cui dominio si scontreranno spagnoli, francesi e inglesi.
POLENA RAFFIGURANTE UN PIRATA. DEA / ALBUM 92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
serie di episodi in apparenza fantasiosi ma realmente accaduti, che sono all’origine del concetto romantico di pirateria.
1640 François Levasseur conquista Tortuga e ne diventa il primo governatore con l’aiuto dei Fratelli della costa. Nella parte meridionale dell’isola fa costruire Fort de Rocher.
vendevano carne affumicata, cuoio e tabacco agli olandesi, che in cambio gli offrivano protezione dalle autorità spagnole. Tortuga divenne così un centro di libero scambio, un fatto intollerabile per la monarchia iberica che aveva il monopolio del traffico commerciale con le Americhe. Gli spagnoli attaccarono Tortuga in diverse occasioni, ma non vi s’insediarono mai in modo permanente, permettendo così ai bucanieri di tornare rapidamente a occuparla. Nel 1635 Ruy Fernández de Montemayor assaltò l’isola con 250 uomini, massacrando 195 coloni, riducendone una trentina in schiavitù e imprigionandone
1665 Bertrand D’Ogeron riporta Tortuga nell’orbita della Francia, dando inizio all’età dell’oro dei grandi filibustieri come l’Olonese, Eduard Mansvelt e Henry Morgan, che si stabilirà in Giamaica.
LE GESTA DEI PIRATI
Edizione inglese di Bucanieri nei Caraibi, il libro di Alexandre Olivier Exquemelin che ha reso famosi i pirati di Tortuga. NMM / ALBUM
1668-1671 In questo arco di tempo inizia il declino dei Fratelli della costa e di Tortuga. A partire da questo momento entrambi esisteranno unicamente nei libri di storia.
LOREM IPSUM
tale dell’isola di Hispaniola, dove la Spagna aveva incentivato l’allevamento di bovini e il commercio del cuoio tramite il governatore Nicolás de Ovando. Ben presto le autorità si disinteressarono di Tortuga, e in quella piccola enclave si stabilirono dei gruppi di coloni francesi e inglesi provenienti da San Cristoforo (oggi Saint Kitts) e alcuni rinnegati spagnoli, dando vita al nucleo originario dei cosiddetti bucanieri. Questi si dedicavano alla coltivazione del tabacco e andavano a caccia nella parte settentrionale di Hispaniola, chiamata Tierra Grande, su cui ormai la Spagna non esercitava più alcun controllo. I bucanieri
CHI ERANO?
DA BUCANIERI A CORSARI
B
ucanieri, filibustieri, pirati e corsari differivano per origine e per natura, anche se con il tempo la linea di demarcazione tra le categorie si fece più esile. I bucanieri erano gruppi di cacciatori stabilitisi sulla costa settentrionale di Hispaniola. Il loro nome deriva probabilmente dalla parola in lingua arawak boucan, la griglia di legno usata per affumicare la carne che poi vendevano a Tortuga. Nel corso del tempo molti di loro iniziarono a dedicarsi ad azioni di saccheggio e contrabbando in mare, dando origine ai filibustieri. Questi ultimi furono un fenomeno specifico dei Caraibi, e soprattutto delle Antille, caratterizzato dall’uso d’imbarcazioni piccole e veloci per abbordare i bastimenti stranieri. La pira-
teria era invece una realtà di natura più universale, fatta di marinai che avevano rinnegato la propria patria e attaccavano le navi per ricavarne un beneficio personale. I corsari erano mercanti o ex militari muniti di una “lettera di corsa”, un documento concesso dal re delle rispettive nazioni che li autorizzava ad attaccare i nemici in cambio di denaro.
GIANCARLO COSTA / BRIDGEMAN / ACI
UNA VITA MODESTA
Questa incisione che illustrava il libro di Exquemelin presenta un ritratto realista dei primi bucanieri.
trentanove. La vicinanza a Hispaniola e la posizione strategica nei Caraibi rendevano Tortuga una preda ambita. Gli inglesi tentarono di occuparla nel 1636 uccidendo cinquanta coloni francesi. Altri morirono per mano di una flotta spagnola agli ordini di Carlos de Ibarra nel 1638. I sopravvissuti si rifugiarono a Tierra Grande.
Levasseur, l’uomo decisivo Questo braccio di ferro proseguì fino al 1640, quando un ufficiale della marina francese, François Levasseur, prese d’assalto Tortuga per ordine del tenente generale Philippe de Poincy e sotto l’egida della Compagnia fran-
Nel 1643 mille spagnoli attaccarono Tortuga ma furono costretti a desistere
MET / ALBUM
SPADA DEL XVII SECOLO RICCAMENTE DECORATA.
cese delle isole americane. Nominato governatore e riconosciuto come tale anche dai coloni inglesi, Levasseur stabilì delle imposte commerciali a favore del re di Francia e della Compagnia. Le sue conoscenze militari e la consapevolezza delle potenzialità di Tortuga lo spinsero ben presto a disobbedire a Poincy. Si alleò con i coltivatori di tabacco e con i filibustieri, cioè quei gruppi di bucanieri che avevano lasciato il commercio della carne per razziare le navi mercantili e le tenute spagnole. Questi pirati diedero vita ai Fratelli della costa, un’associazione che aveva l’obiettivo d’instaurare sull’isola una sorta di repubblica libertaria, e di cui Levasseur ottenne l’appoggio. Gran parte della storia di Tortuga e degli avvenimenti seguiti ai primi tentativi di conquista da parte degli spagnoli è noto grazie al francese Alexandre Olivier Exquemelin. Questi era giunto sull’isola nel 1666 con un contratto di lavoro per la Compagnia francese delle isole americane, che nella pratica comportava un regime di semischiavitù. Una volta adempiuto il contratto, Exquemelin si unì ai
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filibustieri, di cui avrebbe narrato le gesta. Exquemelin racconta che Levasseur fece costruire sull’isola una struttura difensiva, Fort de Rocher, che serviva a proteggere i porti e la costa meridionale. Sul versante settentrionale la cosiddetta Costa di ferro era considerata inespugnabile per la sua natura montagnosa. Esisteva un solo modo per raggiungere la fortezza: «Inerpicarsi per un angusto sentiero che non permetteva il transito a più di due persone alla volta, e con gran difficoltà». Il governatore fece installare all’interno delle mura diversi pezzi di artiglieria; «poi ordinò di distruggere il sentiero, lasciando come unica via di accesso una semplice rampa». Fort de Rocher sorgeva su una falesia con una cavità naturale che fungeva da magazzino e da cui sgorgava una fonte di acqua cristallina, «sufficiente a dissetare un migliaio di persone». Levasseur prese ogni tipo di precauzione per difendersi da un eventuale assedio. Sull’isola per 84O
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AL CENTRO DI TORTUGA Qui sopra, vecchia mappa ridisegnata di Fort de Rocher, la roccaforte fatta erigere da Levasseur nella parte meridionale dell’isola, con la sua stretta rampa di accesso. 78O
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esempio era vietato cacciare capre, cinghiali e altri animali che avrebbero potuto servire come scorte alimentari. A Tortuga non mancavano legname, frutta, piante medicinali e palme, dalla cui polpa spremuta gli abitanti ricavavano del vino, e c’erano delle colonie di colombi migratori. Era un luogo impervio e difficile da conquistare. Ciò divenne chiaro nel 1643, quando mille soldati spagnoli, arrivati su dieci navi, furono costretti a ritirarsi dopo aver perso un centinaio di uomini. I successi iniziali spinsero Levasseur a consolidare l’isola come emporio di libero scambio in grado di fornire uno sbocco commerciale ai prodotti delle attività dei Fratelli della costa. I filibustieri organizzavano spedizioni di una ventina di uomini su piccole imbarcazioni a remi. Con il favore delle tenebre i pirati si avvicinavano furtivamente alle navi spagnole, ne mettevano fuori uso i timoni, quindi salivano a bordo e massacravano gli equipaggi. Queste azioni si estesero ben presto 68 O
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PRINCÌPI EGUALITARI e autorità spagnole decisero di abbattere le foreste e uccidere il bestiame, che viveva allo stato brado, nel tentativo di cacciare i bucanieri dal nord di Hispaniola. Ciò segnò la nascita dei primi filibustieri, che ben presto si organizzarono per difendere i propri interessi dando vita ai Fratelli della costa. Sviluppatasi a Tortuga e successivamente diffusasi anche in Giamaica, quest’associazione si estinse nel 1689 a causa del progressivo degradarsi delle norme egualitarie che l’avevano retta fino ad allora.
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proprietà collettiva
I Fratelli della costa rappresentarono il primo esperimento di quella che più tardi sarebbe stata definita “utopia pirata”. Tra i vari membri vigeva l’uguaglianza e non esisteva la proprietà individuale. Se qualcuno conquistava una nave, questa diventava dell’associazione e poteva essere usata anche da altri componenti.
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principi democratici
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vita egualitaria
Capitani e comandanti erano nominati e deposti per votazione. Non c’erano tasse e non esisteva alcuna persecuzione religiosa o razziale. Si entrava nell’associazione sotto la tutela di un membro più anziano e, una volta completato un periodo di apprendistato, si acquisivano pieni diritti.
Nel suo libro l’ex filibustiere Exquemelin fornisce dettagli sullo stile di vita egualitario dei pirati di Tortuga, che prevedeva una scrupolosa spartizione del bottino, la fissazione di un risarcimento per la perdita di una parte del corpo (600 reali da otto scudi oppure sei schiavi per un occhio destro, ad esempio) o il fatto che il capitano e la ciurma mangiassero lo stesso cibo.
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I BUCANIERI, OPERA DEL PITTORE STATUNITENSE FREDERICK JUDD WAUGH.
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L’IMPRESA DI PIERRE LEGRAND
L’ABBORDAGGIO DI UN GALEONE
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ra gli abbordaggi più riusciti dei bucanieri c’è quello compiuto dal francese Pierre Legrand nel 1643. Questi si trovava alle isole Caicos, a nord di Hispaniola, su una barca completamente sprovvista di viveri e con 28 uomini a bordo, quando avvistò un galeone spagnolo. L’equipaggio del galeone avvertì prontamente il capitano della minaccia pirata, ma questi non se ne curò, rassicurato dalle piccole dimensioni del natante. Al calar della notte i bucanieri si avvicinarono alla fiancata della nave nemica, determinati a conquistarla a ogni costo. Prima di abbandonare la barca, Legrand ne fece forare lo scafo per evitare ripensamenti da parte dei suoi uomini. Quindi i pirati s’inerpicarono furtivamente sul ponte del galeone. Alcuni corsero verso la ca-
mera di poppa, dove sorpresero il capitano intento a giocare a carte con dei marinai; altri s’impadronirono della santabarbara (il deposito di armi e munizioni) trucidando chiunque trovassero sulla loro strada. Orgoglioso del suo successo, Legrand fece rotta verso la Francia. La sua impresa avrebbe incoraggiato i cacciatori e gli agricoltori di Tortuga a tentare la fortuna come pirati.
HERVÉ LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS
IL TRIONFO DELL’AUDACIA
Jean Antoine Théodore Gudin ricostruì in quest’olio l’abbordaggio di Legrand. XIX secolo. Reggia di Versailles.
anche a obiettivi terrestri. Dice Exquemelin: «Dall’isola di Tortuga i pirati andavano a razziare le coste delle Indie, da Cartagena fino alla terraferma messicana, saccheggiando così tante proprietà di mercanti che è impossibile tenerne il conto». Padrone e signore di quella repubblica indipendente, Levasseur instaurò un regime dispotico: all’interno del forte fece costruire una prigione, il Purgatorio, dove collocò una macchina di sua invenzione, ribattezzata Inferno, con la quale torturava i nemici fino alla morte. Ruppe i suoi fragili accordi con la Francia e iniziò a entrare in conflitto con i Fratelli della costa quando impose delle tasse abusive sulle transazioni avvenute sull’isola. Una mattina fu attaccato da alcuni uomini armati di moschetti che, per errore, spararono al suo riflesso in uno specchio, ma subito dopo fu pugnalato dal suo IL PIRATA ROC BRASILIANO. INCISIONE DEL LIBRO DI EXQUEMELIN. SCIENCE SOURCE / ALBUM
stesso figlioccio, Thivault. Dopo l’assassinio di Levasseur, fu Henri de Fontenay, uomo di fiducia della Compagnia, ad assumere il controllo dell’isola su mandato della Francia e a ristabilirvi l’ordine. Il suo governo però non durò a lungo: il 10 gennaio 1654 un giovane e coraggioso ufficiale spagnolo, Juan Francisco Montemayor, attaccò Tortuga guidato da un filibustiere irlandese che gli indicò i punti deboli delle strutture difensive, permettendogli di conquistare l’isola in otto giorni.
L’età dell’oro di Tortuga Nel 1655 il governatore spagnolo Bernardino de Meneses, volendo rafforzare la difesa di Hispaniola di fronte alla minaccia inglese, ritirò la guarnigione da Tortuga e fece seppellire i settanta cannoni che ne proteggevano le coste. Sei mesi dopo i filibustieri inglesi e francesi fecero ritorno sull’isolotto, riprendendo il commercio e le attività di pirateria. Sotto la giurisdizione francese, inglese e dei Fratelli della costa, Tortuga visse una nuova fioritura.Qualche anno più tardi, nel 1664, sotto
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Luigi XIV venne fondata la Compagnia francese delle Indie occidentali; nel 1665 Parigi riuscì a far sì che i Fratelli della costa riconoscessero governatore dell’isola Bertrand d’Ogeron, ex membro dell’associazione. Questi attuò una politica volta a favorire l’insediamento dei filibustieri sul territorio. Quasi nello stesso periodo la Spagna decise di sterminare il bestiame nel nord di Hispaniola per colpire i bucanieri, ma finì per dare una mano a D’Ogeron, che ebbe l’occasione di radunare a Tortuga tutti i pirati della regione. Abbandonando la politica dei suoi predecessori, D’Ogeron pianificò di porre fine gradualmente alle idee libertarie dei Fratelli della costa, orientandoli a compiere imprese di maggior rilievo. Nel frattempo continuava a minacciare i possedimenti e le navi spagnole e apriva le porte agli immigrati francesi, che giungevano sull’isola come manodopera semischiavile. Dopo aver adempiuto al loro contratto nelle piantagioni di tabacco, molti di loro s’insediavano stabilmente o si univano alle ciurme dei filibustieri. Grazie a queste
misure Tortuga divenne una colonia francese modello, temuta dal resto delle nazioni e difesa dai suoi temibili pirati. Per la corona spagnola quella nuova realtà rappresentava una minaccia ancora più grave della precedente repubblica libertaria. D’Ogeron mise anche fine a una delle vecchie regole sacre dei Fratelli della costa: il divieto per le donne bianche di vivere sull’isola, inizialmente pensato perché i filibustieri non creassero famiglie. Fino ad allora a Tortuga erano ammesse solo donne nere o mulatte, sia schiave sia libere. Nel 1666 il governatore fece trasportare dalla Francia un centinaio di prostitute. Chi voleva prenderne una come moglie o concubina doveva attenersi ad alcune
LA CATTURA DEL GALEONE
In questo disegno del 1887 l’illustratore statunitense Howard Pyle raffigurò il momento in cui Legrand sorprese il capitano della nave.
Il governatore Levasseur torturava i nemici con una macchina di sua invenzione
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PISTOLA DEL XVII SECOLO. L’OLONESE MINACCIAVA I SUOI UOMINI DI SPARARE A CHI SCAPPASSE DAGLI SPAGNOLI.
no dei filibustieri più giustamente temuti fu il crudele Jean-David Nau, soprannominato François l’Olonese. Conosciamo la sua storia grazie a Exquemelin, che accompagnò Henry Morgan e lo stesso Olonese nelle loro scorribande, poi raccontate nel suo libro Bucanieri nei Caraibi. l’olonese doveva il suo nome alla cittadina francese di Les Sables-d’Olonne, dov’era nato intorno al 1635. Come molti altri arrivò a Tortuga nel 1660 in regime di semischiavitù. Dopo aver adempiuto al suo contratto, si fece prestare una barca e divenne filibustiere.
LA VIOLENTA STORIA DEL TEMUTO OLONESE Otto mesi più tardi aveva già otto navi e 400 uomini ai suoi ordini. Strinse un sodalizio con un altro pirata, Michele il Basco, con cui razziò diverse città. Racconta Exquemelin che nel 1667, durante la conquista di Maracaibo (nell’attuale Venezuela), afferrò la sciabola e fece a pezzi un prigioniero di fronte ai suoi compagni perché questi gli rivelassero dove nascondevano i loro tesori. Il suo odio per gli spagnoli era proverbiale: «Ogni volta che ne passava uno a fil di spada, ne leccava il sangue dalla lama con la lingua». l’impresa di Maracaibo lo spinse ad attaccare Puerto Caballos e San Pedro Sula (Honduras). Mentre si spostava da una città all’altra, cadde in un’imboscata. Anche in questo caso fu un prigioniero spagnolo a fare le spese della sua crudeltà: «Con la sciabola gli squarciò il petto, con le mani sacrileghe gli strappò il cuore e lo morse dicendo agli altri: “Se non mi indicate una strada alternativa, farete la stessa fine”». In seguito anche San Pedro cadde nelle sue mani.
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l’olonese morì come aveva vissuto. Intorno al 1668, durante una delle sue incursioni, fu catturato dagli indigeni del Darién, a Panamá: «Questi lo fecero a pezzi vivo, gettando poi i brandelli del suo corpo nel fuoco, e quindi la cenere al vento».
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IN CAMMINO VERSO SAN PEDRO SULA, JEAN-DAVID NAU SQUARCIA IL PETTO DI UN UOMO CON LA SPADA E GLI STRAPPA IL CUORE. L’OLONESE CON UNA CITTÀ IN FIAMME ALLE SPALLE. INCISIONE TRATTA DALL’OPERA DI EXQUEMELIN. XVII SECOLO.
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L’IMPRESA DI MORGAN
IL SACCHEGGIO DI PANAMÁ
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nche in questo caso è il libro di Exquemelin a fornire un vivido resoconto della più grande impresa della storia della pirateria, a cui lui stesso prese parte: il saccheggio di Panamá, compiuto da Henry Morgan nel 1671. Per l’assalto il filibustiere radunò 1.500 marinai e 50 navi, la più grande flotta pirata mai vista nei Caraibi. Gli uomini di Morgan sbarcarono sull’istmo di Panamá e lo attraversarono in dieci giorni, affrontando difficoltà di ogni tipo. Quindi raggiunsero l’omonima città sul Pacifico, difesa da 1.600 soldati che non riuscirono a fermare i nemici. Durante lo scontro scoppiò anche un incendio che distrusse gran parte degli edifici cittadini. Ormai in pieno controllo della situazione, i pirati si abbandonarono a tre settimane di stupri, sac-
cheggi e torture inflitte agli spagnoli per costringerli a rivelare dove nascondevano i loro beni. Exquemelin riferisce il caso di un prigioniero a cui i filibustieri disarticolarono le braccia, legarono i testicoli, recisero il naso e le orecchie e bruciarono il volto prima di finirlo con un colpo di lancia. Questa sanguinosa spedizione avrebbe consacrato Morgan come un eroe agli occhi degli inglesi.
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regole: pagare il viaggio della donna, trattarla come una compagna e non come una schiava, e autorizzarla a cercarsi un altro partner nel caso il compagno partisse per una spedizione e non tornasse per mesi. Si racconta che quando le signore scesero dalle barche sollevando da terra i lembi dei vestiti trovarono ad accoglierle sulla spiaggia degli uomini in semicerchio, quasi tutti ben rasati per l’occasione.
LA CADUTA DI PORTOBELO
Per assaltare le mura della città (sopra), Morgan utilizzò come scudi umani una parte di prigionieri: vecchi, donne, monache e frati.
Comincia la leggenda Una volta addomesticati i filibustieri, le idee comunitarie e libertarie finirono nel dimenticatoio e s’impose la legge del più forte. I comandanti delle navi ormai non venivano eletti
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Una volta diventato governatore, Morgan diede la caccia ai suoi ex compagni RITRATTO DI HENRY MORGAN. INCISIONE. 1660 CIRCA. AKG / ALBUM
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per votazione, ma erano i più agguerriti ad assumere il controllo delle navi su cui lavoravano. Iniziò così una nuova epoca della pirateria, che divenne più individualista e sanguinaria. La fama di pochi alimentava i sogni di molti. Le taverne di Tortuga cominciarono a riempirsi di marinai e capitani sbarcati con le tasche piene d’oro che raccontavano storie straordinarie. Si trattava di avventure come quella di Pierre François, che facendo passare i ventisette uomini del suo equipaggio per dei semplici pescatori abbordò la nave scorta di una flottiglia spagnola – che estraeva perle di fronte alla costa di Riohacha, nell’attuale Colombia – e s’impossessò di un bottino di 100mila dobloni da otto scudi. In seguito fu arrestato e condannato a due anni di lavori forzati a Cartagena de Indias, ma ciò non gli impedì di trovare numerosi imitatori tra i suoi compagni. A mano a mano che la leggenda dell’isola cresceva, le scorribande sulle coste si facevano più feroci, come quelle compiute dal crudele Jean-David Nau, detto l’Olonese. Tuttavia il pirata più celebre fu
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Henry Morgan, che aveva lasciato la sua terra natale, il Galles, per diventare un filibustiere. Da Tortuga assaltava le tenute dei mercanti spagnoli sulla costa cubana. Aveva stretto un sodalizio con un altro celebre pirata, l’olandese Edward Mansvelt, con cui compì epiche incursioni sulle isole di Curaçao e Santa Catalina. Grazie all’appoggio dello zio, il viceammiraglio Edward Morgan, ottenne il favore del governatore britannico della Giamaica, che era interessato a mantenere il dominio inglese sui Caraibi anche a costo di ricorrere all’aiuto dei filibustieri. Con una flotta di dodici navi e settecento uomini Morgan si diresse verso Cuba e sbarcò a Puerto Príncipe (odierna Camagüey), dove razziò un bottino considerevole con cui fece ritorno in Giamaica. Nel 1669 fu la volta di Portobelo, Maracaibo e Gibraltar. Ma l’impresa più audace fu l’attacco alla città di Panamá del 1671. In questa occasione razziò un’ingente quantità di oro, gioielli e argento, che trasportò da una costa all’altra dell’istmo su 150 muli. In seguito a questi successi, il re Carlo II d’Inghilterra lo
nominò governatore della Giamaica. Morgan aspirava a farne il nuovo centro dei Caraibi, ma sapeva che prima doveva sconfiggere Tortuga. Fu così che tradì i suoi ex confratelli iniziando una spietata persecuzione dei filibustieri. Nel frattempo l’intensificarsi delle ostilità tra Francia, Olanda e Inghilterra per il controllo della regione costrinse molti pirati di nazionalità diverse a scontarsi tra di loro. Le idee libertarie dei Fratelli della costa si erano ormai dissolte come una zolletta di zucchero in una pinta di rum. Nel 1689 l’isola di Tortuga e la repubblica dei filibustieri non erano che il pallido riflesso di ciò che un tempo era stato un sogno.
LA DISTRUZIONE DI PANAMÁ
Sopra, la battaglia tra Morgan e gli spagnoli a Panamá, che fu rasa al suolo da un incendio. La città sarebbe stata ricostruita altrove. Incisione del libro di Exquemelin.
XABIER ARMENDÁRIZ STORICO MARITTIMO
Per saperne di più
SAGGI
Storia della pirateria D. Cordingly. Mondadori, Milano, 2017. Tra l’inferno e il mare: breve storia economica e sociale della pirateria A. Spinelli. Fernandel, Ravenna, 2003. TESTO
Bucanieri nei Caraibi A.O. Exquemelin. Effemme Edizioni, Milano, 2005.
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UNA REPLICA DEL MONTE MERU
Eretto dal sovrano khmer Suryavarman II, il tempio di Angkor Wat ospita quattro recinti ed è una replica del monte Meru, sacro all’induismo. L’immagine mostra le cinque torri a forma di fiore di loto che caratterizzano questo impressionante monumento e lo stagno esterno. ASHIT DESAI / GETTY IMAGES
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LA RISCOPERTA DI UN’ANTICA CIVILTÀ
ANGKOR Situata nell’odierna Cambogia, la capitale dell’impero khmer fu per secoli una città cosmopolita che accolse visitatori e mercanti. Dopo un lungo periodo di oblio, è tornata alla ribalta grazie ai viaggiatori europei del XIX secolo
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ulle rive del lago Tonlé Sap, nel cuore della Cambogia, giacciono le rovine dell’antico impero khmer di Angkor, che dominò la regione dal IX al XV secolo d.C. Fortemente influenzato dalla cultura indiana, l’impero si estendeva su gran parte del sud-est asiatico continentale (Thailandia, Laos e Vietnam meridionale) tramite un sistema di vie fluviali e una rete di strade in terra battuta. I khmer raggiunsero il loro apice nel XII secolo grazie al clima favorevole del Periodo caldo medievale, con temperature elevate e frequenti piogge che aumentarono la produttività agricola. Quest’epoca di splendore si apre con il regno di Suryavarman II (1113-1150), costruttore del tempio di Angkor Wat, e si conclude con quello di Jayavarman VII (1181-1218 circa), il cui volto fu probabilmente il modello per le enigmatiche figure che decorano il tempio di Bayon. In quel momento Angkor aveva una popolazione di 750mila abitanti.
1 ANGKOR WAT 2 PHNOM BAKHENG 3 BARAY OCCIDENTALE 4 COMPLESSO DI ANGKOR THOM 5 BAYON 6 BAPHUON 7 PHIMEANAKAS 8 TERRAZZA DEGLI ELEFANTI 9 TERRAZZA DEL RE LEBBROSO 10 P O R T A D E L L A V I T T O R I A 11 P R E A H K H A N
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Abbandono e recupero
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Il successivo peggioramento del clima fece sì che Angkor entrasse in una fase di declino. Dopo aver subito numerosi attacchi da parte del vicino regno di Ayutthaya, nel 1431 la corte di Angkor si trasferì nei pressi dell’attuale capitale cambogiana, Phnom Penh. La giungla iniziò ben presto a riconquistare il suo spazio, e la maggior parte dell’antica città rimase sepolta sotto una fitta vegetazione: gli alberi e la boscaglia s’inerpicarono sulle torri cadute e ricoprirono i pilastri e le mura, fino a diventare parte integrante delle rovine. Solo uno dei templi non fu mai abbandonato: Angkor Wat. Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo il santuario fu ristrutturato per diventare un centro di pellegrinaggio buddista la cui rilevanza era ben nota nella regione anche secoli dopo il suo presunto abbandono, come testimonia il missionario francese Louis Chevreuil nel 1668. Malgrado questa diffusa situazione di degrado, il ricordo del favoloso regno di Angkor continuò a sopravvivere in Cambogia. Secondo quanto riporta, alla fine del XVI secolo, il frate portoghese António da Madalena – uno dei primi europei a visitare la zona – intorno al 1550 il re di Cambogia Ang Chan I (1476-
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Il re Suryavarman II inizia la costruzione di Angkor Wat, un’imponente opera che sarà conclusa quarant’anni dopo.
C R O N O LO G I A
LA SEDE DEL POTERE
1177 Il vicino regno del Champa (attualmente in Vietnam) approfitta di un periodo di debolezza di Angkor per invadere e saccheggiare la capitale khmer.
NEAK PEAN
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U N A C I T T À SOT TR AT TA AL L A G I U NG L A
Sebbene oggi il paesaggio di Angkor sia dominato da una fitta vegetazione e i templi appaiano isolati, come isole appena emerse dalla giungla, nel XII e nel XIII secolo la capitale khmer era un ampio complesso urbano che raggiungeva i 750mila abitanti. Nel suo momento di massimo splendore la zona della grande Angkor accolse templi sontuosamente decorati, palazzi in legno intagliato e case su pilastri. Al di là delle mura le abitazioni rialzate si mescolavano alle risaie, agli stagni e ai canali, testimonianza delle grandi conoscenze idrauliche dei khmer.
BARAY ORIENTALE E TA PROHM
100° E
110° E
g kon Me
Srikshetra
LAMPHUN
Pegu Thaton
CHAMPA
Sukhotai
SUKHOTAI DVARAVATI
ong Mek
Golfo di Martaban Ayutthaya
Indrapura
Lopburi
Tonlé Sap
Il nuovo re, Jayavarman VII, sconfigge l’esercito del Champa e riprende il controllo di Angkor. Il suo regno costituisce il periodo di maggior splendore dell’impero.
Gli attacchi del regno di Ayutthaya costringono i khmer a trasferire la loro capitale nella zona di Phnom Penh, un evento che segna la fine di Angkor.
IMPERO KHMER 10° N
Kauthara
Phnom Penh Virapura 110° E
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
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Vijaya
AYUTTHAYA ANGKOR Lago Golfo del Siam
1181-1220
20° N
Golfo del Tonchino
Lamphun
SRIKSHETRA THATON
Hanoi Hoa Lu
Sa l u e n
Golfo del Bengala
Mercanti e missionari spagnoli e portoghesi arrivano per la prima volta in Cambogia e ammirano stupefatti le rovine di Angkor.
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In questo periodo si verificano due importanti cambiamenti climatici che compromettono gravemente le infrastrutture di Angkor.
add
1550-1600
Irraw
Secoli XIV-X V
PAGAN
DAI VIET
RAM ANY ADE SA
Pagan
1566) s’imbatté in alcune rovine mentre era a caccia di elefanti. Dopo aver richiesto a un migliaio di uomini di rimuovere la boscaglia, il sovrano si trovò di fronte i resti di Angkor e ne ordinò il recupero. I portoghesi giunsero in Cambogia intorno al 1555. I primi ad arrivare furono i mercanti, seguiti dai missionari incaricati di diffondere il cattolicesimo nella regione. Madalena visitò Angkor intorno al 1586 e raccontò le sue impressioni a un altro portoghese, il mercante e storico Diogo do Couto. Questi scrisse che nella giungla cambogiana sorgeva una città abbandonata, le cui mura in pietra erano così perfette e ben assemblate «da sembrare fatte di un unico pezzo». Dopo i portoghesi fu la volta dei mercanti e dei religiosi spagnoli, di cui si hanno notizie grazie a un’opera di fra Gabriel Quiroga de San Antonio pubblicata nel 1604. Il religioso menziona il precedente arrivo dei portoghesi: «Nel 1560 fu scoperta in questo regno una città ignota ai nativi», scrive, per poi fare un’ammirata descrizione del luogo: «La città sorge sulla sponda del fiume Mekong, a centosettanta leghe dal mare; è raggiunta dalle maree del corso d’acqua, come avviene a Siviglia con il Guadalquivir, ed è di meravigliosa fattura […] Le case sono di pietra, molto belle, distribuite in strade ordinate, e la raffinatezza delle facciate, dei cortili, delle sale e delle camere sembra romana».
Un luogo di mercanti Oltre che dei portoghesi e degli spagnoli, la Cambogia era la meta dei mercanti del sudest asiatico, soprattutto malesi, e di viaggiatori provenienti da altre parti dell’Asia orientale, alcuni dei quali visitarono Angkor. Risalgono a questo periodo i quattordici graffiti realizzati da alcuni buddisti del Giappone sulle pareti di Angkor Wat, datati tra il 1612 e il 1632. Spicca il nome di Morimoto Ukondayu Kazufusa, un viandante e pellegrino che attorno al 1632 festeggiò il capodanno khmer nel tempio. Fu probabilmente uno di loro a tracciare la prima mappa conosciuta di Angkor, di cui sopravvive una copia del 1715. Nel XVII secolo, con la diminuzione della presenza iberica, gli olandesi stabilirono in Cambogia una sede della loro Compagnia delle Indie orientali (VOC) per esportarvi pelli 108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
TEMPIO DI PREAH KHAN
Questo santuario, il cui nome significa “spada sacra”, fu eretto nel 1191 da Jayavarman VII in onore del padre, Dharanindravarman II. Il suo interno, di grandi dimensioni, è attraversato da una serie di dedali che collegano sale e cortili. ALAIN SCHROEDER / GTRES
V. WALKER
di cervo. Non si sa se visitarono Angkor Wat, ma il disegno di una nave della VOC scoperto sulle pareti dell’ingresso principale del tempio è indicativo dell’impatto degli olandesi sulla vita locale. Forse l’immagine fa riferimento alla grande battaglia fluviale che nel 1644 contrappose diverse imbarcazioni della VOC alle forze cambogiane nei pressi di Phnom Penh. Nel XVIII secolo le notizie su Angkor scarseggiarono. Fu nei cent’anni successivi che le rovine del grande impero medievale vennero riscoperte, suscitando un vivace interesse prima tra gli studiosi di storia dell’Estremo Oriente e poi tra il grande pubblico. Il passo iniziale di questo processo fu, intorno al 1850, la visita ad Angkor compiuta dal missionario francese Charles-Émile Bouillevaux nel corso di una campagna apostolica nella regione. Molto colpito dal tempio, al suo ritorno in Europa pubblicò un resoconto del viaggio in cui scrisse: «Angkor Wat si erge solitario nella giungla, in condizioni troppo perfette per definirlo una rovina». Questa impressione positiva sullo stato di conservazione era dovuta al fatto che il tempio era abitato da una comunità di monaci buddisti, che oltre a celebrarvi riti religiosi s’incaricava della sua manutenzione. Ciò impedì al complesso di ritrovarsi nella situazione di decadenza che caratterizzava invece il resto della grandiosa capitale khmer. È in questo contesto che alla fine del 1859
DISEGNO DI UNA NAVE OLANDESE DELLA COMPAGNIA DELLE INDIE ORIENTALI SCOPERTO SU UN MURO DI ANGKOR. 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ANGKOR WAT
Questa veduta aerea del grande tempio di Angkor Wat permette di apprezzarne la struttura e le dimensioni. Il complesso è circondato da un muro di 4,5 m di altezza con quattro ingressi monumentali posti a ogni punto cardinale. MICHELE FALZONE / AWL IMAGES
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costruito intorno al 1200 su iniziativa del re Jayavarman VII, il Bayon era un tempio-montagna formato da una torre centrale di oltre 30 metri di altezza e altre 48 distribuite in tutto il complesso, una sorta di bosco di pietra che si ergeva nel mezzo della giungla. All’inizio gli studiosi credettero che i volti delle torri rappresentassero vari aspetti di Brahma, il dio indù creatore dell’universo, ma oggi si pensa che siano invece ritratti dello stesso Jayavarman VII raffigurato come Avalokitesvara (il Bodhisattva della grande compassione). Secondo il diplomatico cinese Zhou Daguan, che visitò la zona nel 1296, le torri del Bayon erano ricoperte d’oro, le gallerie esterne erano splendidamente decorate con figure auree del Buddha e l’accesso principale era costituito da un ponte dorato fiancheggiato da due statue di leoni anch’esse dorate. Del rivestimento e delle statue non si è conservata alcuna traccia. L’immagine qui accanto ricostruisce il possibile aspetto del Bayon poco dopo la sua edificazione.
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IL TEMPIO DI BAYON
Questa ricostruzione mostra il terzo livello del tempio di Bayon, con l’accesso al santuario centrale (sulla destra) e diverse torri a forma di volto (sulla sinistra) che delimitano il secondo livello del complesso.
IL BAYON DIVORATO DALLA FORESTA
il naturalista francese Henri Mouhot visitò Angkor. Mouhot aveva studiato filologia greca con l’intenzione di diventare insegnante, ma fin da giovane aveva coltivato uno spiccato interesse per le scienze naturali e la letteratura di viaggio. Nell’aprile del 1857 partì per Bangkok con il patrocinio della Royal Geographical Society di Londra, accompagnato dal suo cane, il piccolo Tine-tine, allo scopo di raccogliere esemplari di animali e piante della regione per i collezionisti europei. Fu verso la fine della sua seconda spedizione che Mouhot si ritrovò sulle rive del Tonlé Sap e, dopo aver camminato per diverse ore lungo una strada polverosa, vide per la prima volta Angkor.
Questa immagine mostra un monaco buddista seduto accanto a uno dei volti che decorano il tempio di Bayon, ad Angkor. La foto fu scattata da Émile Gsell nel 1866.
Scrisse Mouhot: «Non si può fare a meno di chiedersi cosa sia successo a una razza così potente, civile e illuminata…» 114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
GRUPO DE PRETORIANOS. RELIEVE PROCEDENTE DEL FORO DE TRAJANO. LOUVRE, PARÍS. BIS AUT EXERO IPICIAM CUPTATI INCILICITET OMNIENE
MNAAG / RMN-GRAND PALAIS
Il naturalista trascorse lì tre mesi, ispezionando le rovine, facendo schizzi dei templi e annotando le sue impressioni sui resti di Angkor e il popolo khmer. Scrisse nei suoi diari: «Ad Angkor ci sono rovine di tale grandezza che al primo sguardo si prova una forte ammirazione e non si può fare a meno di chiedersi cosa sia successo alla razza così potente, civile e illuminata che creò tali edifici giganteschi». Questa visione intimista di Angkor, accompagnata dai suoi suggestivi disegni, raggiunse il pubblico europeo nel 1864 come opera postuma, dato che nel 1861 l’autore era morto di febbre (probabilmente malarica) in Laos. In seguito Mouhot sarebbe stato considerato lo scopritore delle rovine di Angkor, un merito che lui non si attribuì mai. Quel che è certo è che la forza della sua penna riuscì ad attrarre gli sguardi del mondo sull’antica capitale cambogiana e risvegliò l’interesse di una lunga serie di esploratori e studiosi occidentali che accorsero ad ammirare quei sorprendenti resti architettonici. Sei anni dopo la morte di Mouhot una spedizione scientifica e coloniale francese
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L’esplorazione di Mouhot
SEI MEMBRI DELLA SPEDIZIONE SUL MEKONG (1866-1868). FOTOGRAFIA DI ÉMILE GSELL. MUSÉE GUIMET, PARIGI.
LOR
REM LORME LOOREM
ESPLORATORI E FOTOGRAFI
Nel 1866 il capitano Doudart de Lagrée guidò una spedizione sul Mekong che sotto pretesti scientifici puntava a consolidare il dominio francese nella zona. Seguendo le tracce del precedente viaggio di Henri Mouhot, Doudart si recò ad Angkor in compagnia del fotografo Émile Gsell, che realizzò alcuni dei primi scatti dell’ex capitale cambogiana, come i due che compaiono in questa pagina.
HENRI MOUHOT. RITRATTO APPARSO SULLA RIVISTA LE TOUR DU MONDE NEL 1863. LEONARD DE SELVA / ACI
ANGKOR VISTA DA DELAPORTE louis delaporte era un giovane ufficiale di marina che nel 1866 si trovava di stanza in Cocincina, regione poco prima occupata dalla Francia. Il suo talento artistico gli valse un posto nella spedizione sul Mekong (18661868). Durante la visita ad Angkor realizzò numerosi disegni scientifici e rappresentazioni idealizzate dei templi che ebbero un’enorme risonanza in Europa, contribuendo a promuovere l’arte khmer.
Il Bayon in lontananza Questo disegno di Delaporte mostra il tempio buddista di Bayon e le sue alte torri decorate su ogni lato con il volto di Jayavarman VII. Musée Guimet, Parigi.
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Terrazza degli Elefanti
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Questo cortile decorato con rilievi di elefanti si trova ad Angkor Thom ed era usato per cerimonie e parate.
Viale dei Giganti Si trova nel tempio di Preah Khan, ad Angkor. È decorato con divinità e demoni che reggono un enorme naga (uomo-serpente).
THIERRY OLIVIER / RMN-GRAND PALAIS
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LA VISITA AD ANGKOR cambiò il corso della vita di Louis Delaporte. Da quel momento in poi divenne un fiero difensore dell’antica cultura cambogiana e affermò in più occasioni che i khmer erano gli ateniesi dell’Asia. Commosso dalla bellezza delle rovine di Angkor, Delaporte tentò con la sua arte di offrire una visione a tutto tondo della grande capitale khmer.
raggiunse la zona con la missione di esplorare il corso del Mekong. I francesi decisero di erigere un monumento sulla tomba di Mouhot e in quell’occasione scoprirono che il piccolo Tine-tine era stato adottato da una famiglia locale e godeva di buona salute. Uno dei membri dell’équipe era un giovane artista, Louis Delaporte, le cui illustrazioni idealizzate di Angkor furono inserite nelle due pubblicazioni della spedizione e contribuirono a consolidare la fama dei templi.
La passione europea per Angkor Alla fine del XIX secolo, al culmine dell’espansione coloniale europea, si sviluppò una forte curiosità per le culture non occidentali, generalmente presentate come qualcosa di esotico se non di primitivo. L’affascinante regno di Angkor si fece conoscere attraverso i libri, i reportage della stampa e le Esposizioni universali, all’epoca molto popolari. Fra il 1867 e il 1922 svariate riproduzioni d’arte cambogiana furono esposte in questi eventi internazionali. Per l’Esposizione coloniale di Parigi del 1931 fu costruita una spettacolare replica del tempio di Angkor Wat. Nel frattempo il restauro dei templi iniziato nel 1907 favoriva il turismo d’élite nella regione. Tra i visitatori va ricordato lo scrittore britannico Somerset Maugham, che sintetizzò così il suo ricordo del luogo: «I cortili immobili trasudavano un mistero che mi fece venir voglia di soffermarmi più a lungo, perché avevo l’impressione di essere sul punto di scoprire uno strano ma sottile segreto […] Il silenzio sembrava dimorare in questi cortili come una presenza che puoi cogliere voltandoti, e la mia ultima impressione di Angkor fu come la prima, quella di un silenzio profondo». Anche se le sue pietre nascondono ancora molti segreti, Angkor si è ormai scrollata di dosso il manto di oblio della giungla per imporsi definitivamente all’attenzione del grande pubblico. VERÓNICA WALKER VADILLO UNIVERSITÀ DI HELSINKI
Per saperne di più
SAGGI
Angkor Marilia Albanese. White Star, Novara, 2011. Angkor. Un mondo perso nel tempo Claudio Bussolino. Polaris, Faenza, 2013.
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L’ESPOSIZIONE COLONIALE
In questa immagine si può vedere la spettacolare ricostruzione del tempio di Angkor Wat, quasi a grandezza naturale, realizzata per l’Esposizione coloniale di Parigi del 1931. ROGER VIOLLET / AURIMAGES
ANGKOR AL MUSEO GUIMET Nel corso delle due spedizioni in Cambogia Louis Delaporte e i suoi collaboratori realizzarono una serie di stampi delle sculture e dei bassorilievi dei templi di Angkor. Tali copie di ottima fattura sono conservate presso il museo Guimet di Parigi. Stampo di un bassorilievo, galleria sud, lato est del terzo recinto di Angkor Wat. Realizzato da Joseph Ghilardi.
FOTO: THIERRY OLIVIER / RMN-GRAND PALAIS
Pannello della parete nord (particolare) del padiglione nell’angolo sudovest della galleria esterna.
Architrave della porta del recinto esterno del Bayon, con apsaras o danzatrici celesti.
Modanatura della porta ovest della torre centrale degli ingressi occidentali di Angkor Wat. Opera di Basset Urbain.
Volto. Parte superiore della ricostruzione di una delle torri di Bayon. Opera di Basset Urbain.
GRANDI SCOPERTE
Il console Cesnola e il saccheggio di Cipro Luigi Palma di Cesnola portò al Metropolitan Museum di New York migliaia di reperti archeologici rinvenuti sull’isola di Cipro
CIP RO L A R NACA
Curio MAR MEDITERRANEO
Stati Uniti dalle mani del presidente Abraham Lincoln, che in seguito lo nominò console a Cipro, un’isola allora appartenente all’impero ottomano.
L’inviato di Lincoln liana (1848-1849) e alla Guerra di Crimea (18531856). Nel 1860 lasciò l’Italia per tentare la fortuna a New York. Lì si mantenne inizialmente impartendo lezioni d’italiano a ragazze di famiglie agiate (fu così che conobbe sua moglie). Nel 1861, allo scoppio della Guerra civile, in qualità di colonnello partecipò al conflitto tra le file unioniste; due anni più tardi fu catturato dai confederati ad Aldie (Virginia). Nel 1865 ricevette la medaglia d’onore del congresso degli
Partito in nave da Ancona quindici giorni prima, Cesnola arrivò a Larnaca il mattino di Natale del 1865 con la moglie incinta e la figlia. Il cielo era coperto di nubi, il mare era mosso, e in lontananza Larnaca sembrava l’immagine stessa della desolazione, con le sue abitazioni discrete da cui spiccavano solo i minareti delle moschee e alcune palme solitarie, le cui lunghe foglie sfioravano il suolo. Non c’era nemmeno un porto: quando la barca a remi che li trasportava si arenò a pochi metri dalla spiaggia, Cesnola e famiglia
ALAMY / ACI
I
l Metropolitan di New York è conosciuto per essere uno dei musei più importanti al mondo, dove si possono ammirare opere di qualsiasi stile e periodo. Possiede anche una delle più prestigiose collezioni di arte cipriota. Ma non tutti sanno che questa collezione è arrivata al museo grazie al primo direttore dell’istituzione. Il suo nome era Luigi Palma di Cesnola ed era un conte italiano. Nato nel 1832 a Rivarolo Cavanese, in provincia di Torino, Cesnola non era un archeologo, bensì un militare dal carattere rude, impulsivo e polemico, frutto della disciplina dell’esercito e di un’epoca di conflitti. A quindici anni si arruolò nell’esercito sabaudo e prese parte alla Prima guerra d’indipendenza ita-
dovettero raggiungere riva sulle spalle di alcuni locali. Il console non era un tipo arrendevole. Grazie alla sua fermezza di militare navigato, fu in grado di approfittare della debolezza
CRONOLOGIA
1865
1873
1877
1880
PASSIONE PER CIPRO
Cesnola arriva a Cipro in qualità di console USA. Nel 1870 scopre il cosiddetto “tesoro di Golgi”.
Sbarcano a New York i 35mila pezzi inviati da Cesnola e destinati al Metropolitan Museum.
Cesnola torna negli Stati Uniti e qualche tempo dopo viene nominato direttore del Metropolitan.
Un esperto accusa Cesnola di aver contraffatto pezzi per conferirgli un aspetto più classico.
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GRANDI SCOPERTE BASILICA CRISTIANA. È situata
tra le rovine dell’antica Kourion, sulla costa meridionale di Cipro, dove Palma di Cesnola disse di aver scoperto un tesoro più importante di quello trovato da Schliemann.
TESTE COLOSSALI LUIGI PALMA DI CESNOLA portò
delle autorità ottomane, incapaci di difendere gli interessi locali. Ma soprattutto seppe conquistarsi il favore della popolazione greca dell’isola, il che gli permise di venire a conoscenza dei continui ritrovamenti di oggetti antichi. Nella sua corrispondenza il console sottolineava che i contadini ciprioti trafficavano le reliquie dei loro antenati «con una frivolezza e un’avidità mai viste prima nel Mediterraneo». E
lui decise d’impegnarsi in prima persona in questo traffico di reperti.
Il tempio di Golgi Nel marzo del 1870 Cesnola fu informato da due suoi funzionari del ritrovamento di un presunto tempio di Afrodite a Golgi, nei pressi di Athienou. Erano stati rinvenuti resti di statue che rappresentavano la dea e vari sacerdoti, tra i quali spiccava una testa di dimensioni colossali. Il
negli Stati Uniti, senz’alcuno scrupolo, un gran numero di teste in pietra calcarea provenienti dal santuario cipriota di Golgi. Per le sue enormi dimensioni, una di queste sculture fu battezzata “colosso di Golgi”. È quella di un uomo barbuto rappresentata nell’incisione qui accanto, in cui appare anche Ce snola vestito con il tipico abito greco. Fu pubblicata sulla rivista Harper’s Magazine nel 1872. ISTOCK / GETTY IMAGES STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
La collezione Cesnola
FOTO: SEE CAPTION / AGE FOTOSTOCK; ECCETTO CRATERE: MET / SCALA, FIRENZE
questi cinque pezzi fanno parte della vasta collezione d’arte cipriota che il Metropolitan Museum di New York acquistò da Palma di Cesnola nel 1872.
Testa di giovane con diadema decorato con fiori. Golgi. VI secolo a.C.
conte si recò immediatamente sul sito. Appena arrivato disperse i curiosi, affrontò la guardia ottomana e ordinò ai suoi uomini di caricare con cura i reperti su un carretto e portarli a Larnaca. In questo modo si appropriò di un tesoro archeologico di eccezionale valore senza che nessuno tentasse di fermarlo, nemmeno il proprietario del terreno dov’era avvenuta la
Uomo barbuto e sorridente con copricapo a cono. Golgi. VI-V secolo a.C.
scoperta. Il console trasformò la sua casa di Larnaca in un museo archeologico che accolse esperti internazionali del calibro di Karl Friederichs, direttore dell’Antiquarium di Berlino, o Johannes Doell, che presentò la “collezione Cesnola” in una conferenza presso l’Accademia delle scienze di San Pietroburgo. Ma per la residenza del console passavano anche
Cesnola era interessato soprattutto a rivaleggiare con i reperti rinvenuti da Schliemann a Troia 124 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
semplici visitatori desiderosi di vedere con i propri occhi i resti del tempio di Afrodite. Con tutto questo via vai di persone non era insolito che qualcuno decidesse di prendersi un reperto come souvenir. Nel 1871 Cesnola decise di portare via da Cipro la “sua” collezione. Una parte andò perduta in un naufragio al largo di Beirut; il resto arrivò a Londra senza problemi. Alcuni oggetti furono venduti al British Museum e al Louvre. Anche Torino pretese la sua parte in segno di riconoscenza verso la patria. All’inizio del 1873 il gros-
Giovane con una corona di alloro proveniente dal santuario di Golgi. V secolo a.C.
so della collezione, quasi 35mila reperti, raggiunse il Metropolitan.
Meglio di Schliemann In seguito il console tornò a Cipro e riprese a scavare nel distretto di Limassol alla ricerca di pezzi capaci di stupire il mondo. In quel p e r i o d o e ra H e i n r i c h Schliemann ad accaparrarsi i titoli della stampa grazie alle scoperte effettuate a Troia e Micene. Desideroso di eguagliare la fama dell’archeologo tedesco, Cesnola sbandierò il suo intervento a Kourion, un sito greco-punico nella parte meridionale dell’isola. «A Kou-
Testa di toro in bronzo. Sembra che facesse parte della decorazione di un tripode. Inizio del VII secolo a.C.
rion ho condotto degli scavi impressionanti; non appena pubblicherò le mie ultime scoperte, quelle di Schliemann passeranno in secondo piano», disse in riferimento agli oggetti che dichiarava di aver trovato all’interno di un’unica camera sepolcrale. In realtà si trattava di pezzi assolutamente disomogenei, non solo per tipologia ma anche da un punto di vista cronologico, e Cesnola non fornì mappe né dati stratigrafici affidabili a sostegno delle sue affermazioni. A tutt’oggi è impossibile conoscere la provenienza esatta del cosiddetto “tesoro di Kou-
rion”: il diplomatico era interessato soprattutto a rivaleggiare con i reperti rinvenuti da Schliemann. Nel 1877 tornò definitivamente a New York dove, qualche tempo dopo, divenne il primo direttore del Metropolitan Museum. Nel 1880, poco dopo la sua nomina, la rivista Art Amateur pubblicò un articolo del mercante d’arte Gaston L. Feuardent in cui si sosteneva che gran parte dei pezzi della “collezione Cesnola” erano stati sottoposti a un restauro frettoloso e improvvisato. Nell’impazienza di valorizzare i reperti in suo possesso, Ce-
Cratere in stile geometrico proveniente da Kourion. Probabilmente fu realizzato sull’isola di Eubea. 750-740 a.C.
snola non aveva esitato a spacciare per opere intatte oggetti ottenuti incollando teste e gambe su corpi non corrispondenti, o addirittura a modificare alcuni pezzi per renderli più “classici”. Nel 1884, al termine di un lungo processo, Cesnola fu assolto.
Una carica a vita Il conte ricoprì la carica di direttore del Metropolitan per quasi venticinque anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1904. Continuò a essere protagonista di svariate polemiche, come quando si oppose pubblicamente all’ipotesi di un’a-
pertura domenicale del museo: «Mi sembra semplicemente inconcepibile permettere che la domenica il museo si riempia di migliaia di persone che sbucciano banane, mangiano e magari sputano per terra», dichiarò. Non si può comunque negare che il museo odierno è in parte il risultato della passione per l’archeologia che lui dimostrò quand’era a Cipro. JUAN PABLO SÁNCHEZ STORICO
Per saperne di più La collezione Cesnola al Metropolitan Museum di New York metmuseum.org
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LA FOTO DEL MESE
UN INCUBO ECONOMICO QUESTO ERA L’ASPETTO DEL CAVEAU di una banca tedesca nel 1923: pile di banconote il cui valore reale si stava gradualmente avvicinando allo zero. Durante la Grande guerra la Germania stampò carta moneta per finanziare lo sforzo bellico e così nel dopoguerra si scatenò l’inflazione. La situazione fu aggravata dall’indennità che il Paese dovette pagare in marchi oro: la conseguente riduzione di riserve privò la moneta tedesca di ogni sostegno. Se ad aprile 1919 un dollaro valeva 12 marchi, a ottobre 1922 ne valeva 3.180. Nel gennaio 1923 il governo sovvenzionò la resistenza all’occupazione francese della Ruhr stampando altra carta moneta e provocando così l’iperinflazione: a novembre fu emessa una banconota da 100 miliardi di marchi. I prezzi anteguerra furono moltiplicati per 14mila, gli stipendi venivano pagati in natura e il prezzo di un caffè variava tra il momento dell’ordine e quello del pagamento. Milioni di persone andarono in rovina, un trauma nazionale che spiega perché il controllo del deficit sia considerato sacro dai governi tedeschi. RUE DES ARCHIVES / GETTY IMAGES
LA FOTO DEL MESE
L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA
STORIA ANTICA
Africa, storie di popoli questioni di appartenenza
M Francois-Xavier Fauvelle (a cura di)
L’AFRICA ANTICA Einaudi, 2020; XVI-624 pp.; 85 ¤
olti secoli prima dei brutali cambiamenti dell’era moderna, primo fra tutti il nuovo ordine instaurato delle potenze colonizzatrici europee, il continente africano fu protagonista di una singolare e poco conosciuta storia. I soggetti di questo racconto sono molteplici: città, imperi e società, innovazioni tecniche e artistiche, vite nomadi e sedentarie, migrazioni di popoli e idee alternatisi in un arco temporale che va dagli
insediamenti più antichi di migliaia di anni fa fino al XVII secolo. Un team di specialisti delle singole aree geografico-culturali africane, coordinato dallo storico e archeologo del Collège de France François-Xavier Fauvelle, ha condotto uno studio complessivo della storia africana antica. La “porta d’ingresso” del continente viene individuata nell’Egitto faraonico, tradizionalmente associato insieme alla Mesopotamia alla cosiddetta “civiltà del
Vicino Oriente antico” o “civiltà dell’Oriente classico”. L’Egitto sembrò così per lungo tempo “appartenere” più all’Asia che all’Africa. Ciononostante, la ricerca archeologica ha evidenziato l’importanza di almeno tre percorsi che collegavano l’Egitto faraonico al cuore pulsante della cosiddetta “Africa nera”. La costa occidentale e l’oasi di Siwa collegavano il delta occidentale del Nilo al mondo libico, mentre la pista di Abu Ballas conduceva ancora più a sud all’oasi di Cufra e alla remota regione del lago Ciad. Infine, i numerosi porti della costa orientale si volgevano alle regioni a meridione del mar Rosso e verso il corno d’Africa.
LETTERATURA E STORIA
ATLANTE ILLUSTRATO DEI NAUFRAGI americano dell’avventuriero francese Robert Cavelier de La Salle (1643-1687) di fondare una colonia alla foce del Mississipi «resta solo qualche rovina, pochi cannoni fuori uso e il relitto del La Belle» ritrovato nel 1995. A scriverlo è Cyril Hofstein, autore di un atlante (illustrato da K. Doering-Froger) contenente le storie, le carte nautiche e le coordinate geografiche delle cosiddette “fortune di mare”, ossia gli accidenti occorsi a causa di fatti fortuiti e ostacoli insormontabili. Racconti di naufragi e sparizioni si tramandano di porto in porto: «Adattati, deformati, a volte travisati […] appartengono al patrimonio marittimo». DEL SOGNO
Cyril Hofstein
ATLANTE DELLE FORTUNE DI MARE L’Ippocampo, 2020; 144 pp.; 19,90 ¤
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Roberta Morosini
IL MARE SALATO. IL MEDITERRANEO DI DANTE, PETRARCA E BOCCACCIO Viella, 2020; 63 pp.; 17 ¤
E
ra ἅλς (sale) il termine con cui greci, sbarcati intorno al 2000 a.C. sull’isola di Creta, presero a chiamare il Mediterraneo. Tale uso restò in voga pres-
so i latini, infatti per Virgilio il Mediterraneo era «il mare salato». Nella Divina Commedia Dante Alighieri si riferisce al Mediterraneo come a uno spazio “liquido”, “mobile” e ovviamente “salato”. Dal canto suo, nelle Genealogie Boccaccio riflette su come la salsedine corrodesse metaforicamente coloro che lo attraversavano, specie le donne spesso «vittime di violenza, cosa che sembra fare da controcanto all’esaltazione cortese […] la donna non è più messa su un piedistallo ma relegata alla sordida cabina di una nave». Con questa e altre storie Morosini dedica un saggio alle diverse narrazioni letterarie del Mediterraneo.
ARTE MODERNA
Il saper vivere del buon cortigiano
A
mava circondarsi di quegli oggetti raffinati che ogni buon cortigiano avrebbe dovuto possedere. Con l’opera Il Cortegiano, pubblicata nel 1528, Baldassarre Castiglione intese fornire una sorta di manuale di comportamento che avrebbe regolato la vita pubblica e privata delle classi alte europee. Ma, ancor di più, è il proprio corpus epistolare – ammontano a 1799 le lettere a oggi raccolte – a rappresentare una vivida testimonianza dello scorrere della vita nelle corti rinascimentali italiane. Fedelmente al primo requisito del “buon cortigiano”, ossia conoscere e praticare l’arte delle armi, le Lettere rivelano continue richieste di Castiglione alla madre di scarpe di ferro, lance, spade, balestre, pu-
re «la mia viola che ho lì a Mantua», ma anche al vestire, con la costante richiesta di velluti, broccati, sete, guarnizioni di pelliccia, panni e scuffiotti. La mostra curata da Vittorio Sgarbi ed Elisabetta Soletti intende ricostruire attraverso opere e soluzioni multimediali la biografia di Baldassarre Castiglione. Una vita passata a stretto contatto con artisti, letterati e governanti come Raffaello, Leonardo, Tiziano, Bembo, Leone X, Guidobaldo da Montefeltro o Isabella d’Este. JACOPO DE’ BARBARI Ritratto di fra Luca Pacioli con un allievo,
1495 circa, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte.
gnali e stocchi. A caratterizzare le Lettere sono anche le compravendite di cani di razza, cavalli purosangue e muli per i trasporti, e relativi equipaggiamenti
per cavalcate, sfilate e tornei. Tuttavia Castiglione riservava la cura maggiore agli strumenti musicali come «una mia violetta ch’è lì nel mio camerino» oppu-
BALDASSARRE CASTIGLIONE E RAFFAELLO VOLTI E MOMENTI DELLA VITA DI CORTE Palazzo Ducale, Urbino Fino al 20 novembre 2020 vieniaurbino.it
ARTE CONTEMPORANEA
Opere rimaterializzate
I VINCENT VAN GOGH Vaso
con cinque girasoli, 1888 ©Oak Taylor Smith, Factum Arte, Sky
l ricordo della bellezza è incancellabile. Capita così che opere distrutte o perdute ritornino a splendere attraverso loro riproduzioni. O, per meglio dire, “rimaterializzazioni”, capaci cioè di restituire ogni dettaglio degli originali scomparsi, compresa la tridimensionalità delle pennellate. Grazie ai software 3D e alla collaborazione tra Sky Arte, Factum Arte di Madrid e Ballandi Arts, sarà possibile ammi-
rare ad esempio Vaso con cinque girasoli di Vincent van Gogh, distrutto nel bombardamento di Ashya, nei pressi di Osaka in Giappone, contemporaneamente allo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima. Rivivranno anche le Ninfee di Claude Monet, grande dipinto distrutto in un incendio divampato nel MoMa di New York nel 1958, o la tela Medicina dipinta da Gustav Klimt per il soffitto dell’Universi-
tà di Vienna e bruciata nel 1945 dai nazisti ormai sconfitti. Altre due “rimaterializzazioni” riguardano l’opera Concerto a tre di Johannes Vermeer, rubata all’Isabella Stewart-Gardner Museum di Boston nel 1990. NULLA È PERDUTO Casa delle Esposizioni di Illegio Tolmezzo (Ud) Fino al 13 dicembre 2020 illegio.it
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Prossimo numero SCONTRI TRA GLADIATORI I COMBATTIMENTI
SCALA, FIRENZE
di gladiatori (munera gladiatoria) erano i più popolari di tutti gli spettacoli a cui si poteva assistere a Roma e nell’impero. Ancora oggi i vari aspetti che circondavano la vita di questi uomini che lottavano negli anfiteatri esercitano un grande fascino. Nonostante i combattimenti fossero brutali e si concludessero spesso con la morte, erano soggetti a regole e rituali rigorosi.
LA REGINA NEFERTITI E LA BELLEZZA IN EGITTO SCOPERTO nel 1912 dall’archeologo
tedesco Ludwig Borchardt, il celebre busto della regina Nefertiti rappresenta come nessun’altra opera il modello di bellezza femminile che trionfò durante il periodo di Amarna. Il busto della regina, considerato il più bel ritratto del mondo antico, sembra la materializzazione del nome di Nefertiti: «La bella che qui viene». KENNETH GARRETT
I bambini congelati delle Ande Nel 1999 sulla cima del vulcano Llullaillaco, in Argentina, gli archeologi hanno rinvenuto le mummie congelate di tre bambini, sacrificati 500 anni fa durante una cerimonia inca.
Stanley nel cuore dell’Africa Le tre spedizioni di Henry Morton Stanley gli valsero una grande popolarità, ma il suo comportamento fu spesso oggetto di critiche.
Le sculture del Partenone I frontoni e i fregi del grande tempio sull’Acropoli contengono scene mitologiche che celebrano la grandezza di Atene.
Il mausoleo del Taj Mahal Ai primi del seicento l’imperatore moghul fece costruire in onore della sua moglie preferita, Mumtaz Mahal, il mausoleo icona dell’architettura indiana.
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