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N. 143 • GENNAIO 2020 • 4,95 E
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periodicità mensile
storicang.it
I 300 DELLE TERMOPILI
STORIA DI UNA GLORIOSA SCONFITTA
MAUSOLEI IMPERIALI ANNA BOLENA PASSIONE E TRAGEDIA A CORTE
LO SPLENDORE DI UNA CITTÀ MAYA
PALENQUE
NUOVE IPOTESI SUL TESORO
FRANCESCO GIUSEPPE
L’ULTIMO GRANDE IMPERATORE
TUTANKHAMON
CASTEL SANT’ANGELO NEL V SECOLO IL MAUSOLEO DI ADRIANO FU TRASFORMATO IN UN CASTELLUM (FORTEZZA) CHE PROTESSE LA ZONA DEL VATICANO DAL SACCO DEI VISIGOTI DEL 410 E DAI VANDALI NEL 455..
28 Nuove ipotesi sul tesoro di Tutankhamon Negli ultimi anni vari studiosi hanno analizzato il corredo funerario del faraone bambino. DI JOSÉ MIGUEL PARRA
46 I 300 delle Termopili La lotta dei 300 guerrieri spartani guidati da re Leonida contro l’invasore persiano costituisce un episodio glorioso della storia della Grecia antica. DI JAVIER MURCIA ORTUÑO
58 Mausolei, la gloria postuma degli imperatori A partire da Ottaviano Augusto diversi imperatori romani eressero monumenti per ospitare le ceneri dei parenti. DI ELENA CASTILLO
72 Palenque, lo splendore di una città maya Nell’VIII secolo d.C. Palenque era una prospera città governata da monarchi ritenuti di origine divina. DI ISABEL BUENO
88 Anna Bolena Da dama di corte divenne regina per amore di Enrico VIII. Tre anni dopo lui la mandò al patibolo. DI GLYN REDWORTH
102 Francesco Giuseppe d’Austria Governò dal suo studio un potente impero, che sarebbe tramontato di lì a poco, con la Prima guerra mondiale. DI M. P. QUERALT DEL HIERRO
6, 8 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI Clodia, la prima donna libera di Roma
16 GRANDI INVENZIONI
La nascita della musica registrata
18 EVENTO STORICO
Terrore nel XVIII secolo: la bestia del Gévaudan
22 ANIMALI NELLA STORIA Lo struzzo: piume più care dell’oro
24 VITA QUOTIDIANA Lo spiritismo, la dottrina del paranormale
118 GRANDI SCOPERTE La mappa di Madaba
124 FOTO DEL MESE 126 LIBRI 128 INDICI 2020
STEMMA DELL’ORDINE DI FRANCESCO GIUSEPPE, FONDATO NEL 1849. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I 300 DELLE TERMOPILI
Pubblicazione periodica mensile - Anno XIII - n. 143
MAUSOLEI IMPERIALI ANNA BOLENA PASSIONE E TRAGEDIA A CORTE
PALENQUE
LO SPLENDORE DI UNA CITTÀ MAYA
FRANCESCO GIUSEPPE L’ULTIMO GRANDE IMPERATORE
TUTANKHAMON
NUOVE IPOTESI SUL TESORO
MASCHERA FUNERARIA DI TUTANKHAMON. MUSEO EGIZIO, EL CAIRO. FOTO: ARALDO DE LUCA
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RICARDO RODRIGO
STORIA DI UNA GLORIOSA SCONFITTA
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IN ED ICO LA
SPECIALE MITOLOGIA Speciale Dossier
LA VITA QUOTIDIANA Di che cosa erano ghiotti gli antichi egizi? Quali abiti e accessori erano considerati alla moda dalle donne in Grecia? Come si divertivano i nobili nella Roma repubblicana e imperiale? Com’erano organizzate le scuole nell’antichità? Come e da chi veniva gestita la sicurezza nelle strade? La storia è fatta di date, avvenimenti e personalità di spicco, tuttavia anche gli usi e i costumi tipici della quotidianità consentono di conoscere davvero le civiltà del passato e di farci comprendere le nostre radici più profonde. In edicola dal 30 dicembre. Prezzo ¤ 9,95.
Speciale Storica Mitologia
ACHILLE
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L’EROE DELLA GUERRA DI TROIA Eroe leggendario della guerra di Troia e protagonista dell’Iliade, il mitico re dei mirmidoni incarna l’espressione perfetta dell’eroe tradizionale dotato di coraggio, forza fisica e nobiltà d’animo. Figlio di Peleo e della ninfa Teti, divenne quasi immortale grazie all’intervento della madre che lo immerse, ancora in fasce, nelle acque del fiume infernale Stige (tenendolo per il tallone, unico suo punto vulnerabile). La sua ira passerà alla storia per gli effetti devastanti che produrrà sia sui nemici sia sugli Achei. In edicola dal 22 dicembre. Prezzo ¤ 9,95.
PROGETTO ILIT•AURO
AT T UA L I T À
Fianco di Scipione
LA BATTAGLIA di Baecula provocò una grande crisi demografica. Illustrazione di Iñaki Diéguez.
Fianco di Lelio
Fanteria
RICOSTRUZIONE DELLA BATTAGLIA DI BAECULA E RITROVAMENTI DEL PROGETTO ILIT•AURO.
Accampamento
LO STUDIO del campo di battaglia di
PROGETTO ILIT•AURO
Baecula ha consentito di ricostruire pure le azioni militari: le mosse degli eserciti, gli spazi occupati dalle truppe leggere e da quelle ausiliarie; ha delimitato inoltre la zona in cui si verificò il corpo a corpo, così come quella degli accampamenti e dei cammini percorsi.
BATTAGLIE SUL SUOLO IBERICO GRAZIE ALLA METODOLOGIA
elaborata a Baecula si è potuto stabilire che a Iliturgi il punto dell’attacco di Scipione fu il Cerro de la Muela (colle del Dente) e non il Cerro Maquiz, come si era sempre creduto. L’ubicazione esatta dell’assedio sul fronte sudoccidentale è stata ricostruita tramite l’analisi della traiettoria delle armi da getto recuperate. MONETA CON L’EFFIGIE DI ASDRUBALE BARCA.
PROGETTO ILIT•AURO
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Sulle tracce della Seconda guerra punica Un progetto identifica diversi luoghi decisivi dello scontro tra romani e cartaginesi
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a quando è partito, nel 2001, il progetto Ilit·Auro ha consentito di scoprire l’ubicazione di alcune battaglie decisive della Seconda guerra punica (218-202/201 a.C.) e avvenute sul suolo della penisola iberica. Il progetto dell’Università di Jaén è stato promosso al fine di localizzare lo scenario della battaglia di Baecula, che nel 208 a.C. vide scontrarsi gli eserciti del generale cartaginese Asdrubale Barca e le legioni di Scipione l’Africano. Gli ar-
cheologi hanno individuato tale luogo nel Cerro de las Albahacas (colle dei Basilici) di Santo Tomé, vicino all’oppidum, la città fortificata, di Los Turruñuelos, a Jaén appunto, nel sud del Paese. Ciò ha permesso di confrontare le descrizioni degli autori latini con i ritrovamenti. L’analisi dei materiali rinvenuti si è rivelata utile anche per studiare l’armamento degli eserciti alla fine del III secolo a.C. Da allora sono stati localizzati altri scenari delle battaglie della Seconda guerra
punica, sparsi nella regione dell’Alto Guadalquivir, come quello dell’assedio di Iliturgi (ora Mengíbar, Jaén). L’indagine oltrepasserà i confini nazionali così da poter stabilire la posizione esatta della battaglia del Metauro, in Italia, dove Asdrubale sarebbe morto appena un anno dopo Baecula. SAGGI
La vittoria disperata. La seconda guerra punica e la nascita dell’impero di Roma Mario Silvestri. BUR, Miliano, 2015.
La più antica Commedia miniata PALATINO 313 Dante Poggiali Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
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E’ decorato da 37 miniature di ispirazione giottesca e da preziose iniziali istoriate, realizzate nella bottega di Pacino di Buonaguida nel XIV secolo. Contiene gran parte del Commento AUTOGRAFO di “Jacopo”, figlio di Dante. Quasi ogni chiosa è segnata dalla sigla: “Ja”, Jacopo Alighieri. Noto come “Dante Poggiali” dal nome dell’editore e bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò per utilizzarlo nella sua edizione della Commedia del 1807.
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AT T UA L I T À
ALAMY / ACI
VISTA AEREA del sito di Vindolanda, un antico forte romano eretto nei pressi del vallo di Adriano.
VINDOLANDA CHARITABLE TRUST
ALTO MEDIOEVO
Il calice cristiano di Vindolanda I frammenti della coppa contengono simboli del cristianesimo primitivo
P
er quanto non sia facile accorgersene a prima vista, i cocci di un calice di piombo ritrovati nel sito romano di Vindolanda, in Gran Bretagna, presentano in superficie delle incisioni con vari simboli del cristianesimo primitivo. Gli archeologi hanno trovato quattordici frammenti della coppa sepolti sotto i resti di una chiesa del VI secolo d.C., all’interno dell’antico forte eretto nelle vicinanze del vallo di Adriano. Secondo i responsabili degli scavi, si
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tratterebbe dell’unico calice di quell’epoca sopravvissuto (per lo meno parzialmente) sull’isola e il primo a essere scoperto in un forte del vallo. La coppa sarebbe anche uno dei più importanti resti del cristianesimo primitivo in Europa occidentale. Il suo studio può gettare nuova luce su un periodo poco conosciuto del passato della Gran Bretagna, quello compreso tra il V e il VI secolo, e sulle modalità di sviluppo del cristianesimo primitivo nell’Alto Medioevo.
SEBBENE I FRAMMENTI del calice siano in
pessimo stato di conservazione, sono ancora visibili all’interno e all’esterno alcuni simboli che sembrano essere stati incisi dalla stessa mano. Tra questi spiccano icone molto caratteristiche del cristianesimo primitivo: croci, imbarcazioni, monogrammi di Cristo, pesci, un vescovo, angeli e lettere in latino, in greco e in alfabeto ogamico, un sistema di segni utilizzato tra il V e il VII secolo per rappresentare l’irlandese e il pittico.
PERSONAGGI STRAORDINARI
Clodia, la prima donna libera di Roma Nata in seno a una famiglia patrizia, questa donna indipendente e colta cadde vittima della gelosia del poeta Catullo e dei pettegolezzi di Cicerone
Una donna diversa dalle altre 94 a.C. Clodia nasce a Roma dalla coppia patrizia costituita da Appio Claudio Pulcro e Cecilia Metella Balearica minore.
60 a.C. Il poeta Catullo si stabilisce a Roma. S’introduce negli ambienti letterari e inizia una relazione con Clodia.
59 a.C. Dopo la morte del marito, Clodia pone fine al rapporto con Catullo. Indispettito, il poeta l’attacca.
56 a.C. Clodia lascia il giovane Celio. Accusato di averla voluta avvelenare, Celio viene difeso da Cicerone.
45 a.C. Anni dopo il processo, Cicerone cerca di comprare da Clodia la sua villa di Trastevere.
V
iviamo, Lesbia mia, e amiamo / e il mormorio dei vecchi inaciditi / valga per noi un soldo bucato». Con tali parole si rivolgeva il poeta latino Gaio Valerio Catullo, verso il 60 a.C., a una giovane di cui si era follemente innamorato. Secondo molti studiosi, il nome poetico concesso alla sua amata celava quello di una donna in carne e ossa, Clodia Pulcra. Clodia conosceva meglio del poeta la moralità romana riguardo al sesso e al matrimonio. Il loro fine ultimo era la procreazione, e ne erano quindi esclusi l’amore e il piacere. Quest’ultimo era riservato solo ai mariti perché si divertissero con le concubine, le prostitute o gli efebi, e non con le mogli. Da loro ci si aspettava invece che partorissero figli, obbedissero ai consorti e a casa rappresentassero le virtù tradizionali delle matrone romane. A tale modello comportamentale venne educata anche Clodia, che nacque verso il 94 a.C. in seno a una stirpe patrizia, la famiglia Claudia, una delle più prestigiose della Roma repubblicana. In accordo con gli interessi familiari, la gio-
Un poeta innamorato Clodia era senz’altro una donna bella e molto attraente. Al suo fascino dovettero contribuire sia l’aspetto fisico sia la notevole personalità, perché oltre a essere colta, intelligente e abile conversatrice, aveva carattere, indipendenza di giudizio e un certo spirito di ribellione. Per influenza della cultura greca, a Roma si cominciava a scoprire la passione amorosa – un tabù sin dai tempi arcaici –, e i giovani vacillavano tra il profondo desiderio di sperimentarla e un certo timore d’infrangere la morale antica su cui si reggeva la società. L’arrivo nell’urbe del poeta veronese
Oltre a essere un’abile conversatrice, Clodia aveva carattere e faceva mostra di una certa ribellione ROVESCIO DI SPECCHIO ROMANO IN BRONZO DECORATO. IV SECOLO D.C. MUSEI VATICANI. BRIDGEMAN / ACI
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vane non poté sottrarsi all’obbligo di sposare Quinto Cecilio Metello Celere, che apparteneva a una casata ricca e illustre quanto la sua. Dal matrimonio, mal assortito, sarebbero nati una figlia e pure molte dicerie. Roma era una città scarsamente pudica, desiderosa di pettegolezzi e chiacchiere. Le terme, i banchetti, gli intermezzi degli spettacoli nel circo o nell’anfiteatro, le passeggiate e le compere nei mercati e nel foro erano mille volte più interessanti se conditi con malignità verso gli altri.
IL PASSERO DELLA BELLA CLODIA NEL PERIODO in cui era innamo-
rato di Clodia, Catullo compose due poesie che ne danno un’immagine vicina e dolce, di un’intimità non priva di ardore. Clodia aveva un passerotto ammaestrato che amava molto perché «era dolce come il miele, e così bene / la riconosceva come una bambina sua madre / né mai si allontanava dal suo grembo». Quando sentiva nostalgia dell ’amato, canticchiava con l’uccellino «per ignoto diletto». La sua morte l’intristì molto. Avrebbe detto il poeta che, per questa perdita, «sono arrossati / gonfi di pianto, gli occhi soavi della mia ragazza». LESBIA CON IL SUO PASSERO. OLIO DI EDWARD JOHN POYNTER. XX SECOLO. LESBIA È IL NOME CON CUI CATULLO SI RIFERIVA A CLODIA NELLE POESIE. BRIDGEMAN / ACI
Gaio Valerio Catullo e il suo ingresso nella cerchia di amicizie di Clodia comportò un cambiamento drastico nella vita di entrambi. Lui s’innamorò con passione della donna e, per la prima volta nella letteratura latina, compose versi belli e commoventi nei quali esprimeva il suo amore e la sua ammirazione per lei, nonché il proprio turbamento davanti a un’emozione tanto travolgente. Sull’intensità della passione di Clodia per Catullo si sa poco. Forse l’innamoramento fu corrisposto per un certo tempo o forse lei gradiva solo
risvegliare il desiderio di un uomo più giovane di dieci anni. A ogni modo, si lasciò amare. Secondo il poeta, solo una volta Clodia gli concesse i suoi favori. Catullo dovette tornare a Verona e l’idillio clandestino rimase in sospeso.
Il rifiuto di sposarsi Durante la sua assenza, ormai nel 59 a.C., il marito di Clodia subì un incidente domestico che gli costò la vita. In contrasto con una delle abitudini più radicate della società romana (secondo cui le matrone vedove in età di procreare si dovevano
risposare subito), Clodia decise di non contrarre altre nozze. Un simile atteggiamento dovette contrariare i suoi contemporanei, perché c’erano sempre delle famiglie alla ricerca di una donna provvista di una buona dote per qualcuno dei loro parenti, e perché una donna senza un uomo che potesse controllarla costituiva un pericolo. Poteva infatti essere d’esempio per le altre. Indifferente a tali considerazioni, a trentacinque anni Clodia era ricca, voleva godersi la vita e seguire i propri desideri senza dover avere a STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
BRIDGEMAN / ACI
CATULLO legge una poesia a casa dell’amata Clodia (Lesbia). Olio di Lawrence Alma-Tadema, 1870.
che fare con un marito. Per questo riprese la sua intensa vita sociale. Le piaceva circondarsi di giovani, e nelle sue case di Roma e di Baia erano molto frequenti ospiti vivaci, allegri banchetti allietati da musicisti, escursioni in barca, feste in riva al mare o sulle sponde del Tevere, letture poetiche, danze e buone vivande. In quel periodo Catullo
tornò a Roma con nuovi progetti e rinnovati desideri. Appena un anno prima, mentre la donna era ancora sposata, Catullo invitava Lesbia a godere dell’amore senza pregiudizi, eppure – contraddizioni dell’epoca – ora voleva divenirne il marito. Il poeta si offese parecchio per il secco “no” di Clodia. E rimase ancor più male quando intuì che l’attenzione
LA VILLA DI CLODIA NEL XIX SECOLO furono rinvenuti nei terreni dell’attuale villa Farnesina i resti di una lussuosa casa con giardini, esedra e criptoportici. Era decorata con affreschi: scene d’amore nelle stanze da letto; candelabri, ghirlande e paesaggi bucolici nella sala da pranzo e negli altri locali. Si è supposto che fosse appartenuta a Clodia. SALE AFFRESCATE NELLA VILLA FARNESINA.
e i favori dell’amata ricadevano su uno dei suoi amici, Celio, protetto di Cicerone. Al dolore per l’amore non corrisposto, in Catullo si aggiunse il rancore, nonché un desiderio di vendetta che il giovane sublimò e appagò scrivendo versi velenosi contro Clodia. L’attaccò con accuse terribili: la Lesbia che aveva amato più dei suoi stessi occhi era adesso la prostituta più crudele, immorale e a buon mercato. Per Clodia dovette essere umiliante ricevere simili frecciatine sotto forma di poesie, che erano probabilmente vendute nei chioschi della via dell’Argileto, la strada dei librai, e l’avrebbero fatta divenire lo zimbello dei salotti patrizi. Dovette subire anche altri affronti SCALA, FIRENZE
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PERSONAGGI STRAORDINARI
Ne criticò le maniere, il modo di vestire, la libertà nel parlare e nel fare tutto «alla luce del sole». Il suo assistito, invece, era un giovane onesto e incapace di commettere qualsiasi azione riprovevole. Chi poteva quindi biasimarlo per aver avuto rapporti con una prostituta se la prostituzione non era mai stata proibita? E se non fossero state sufficienti quelle accuse per denigrare Clodia – i divorzi, gli adulteri e lo sperpero della ricchezza erano consueti a Roma – l’incolpò di aver avvelenato il marito e di aver giaciuto con il fratello, Clodio. «La Medea del Palatino», come la chiamò, era la causa di tutti i mali che pativa Le dicerie di Cicerone il suo protetto. Non si sa più nulla di Clodia negli Nella sua arringa di difesa, il Pro Caelio, Cicerone non si perse in eufe- anni seguenti al processo. Non è chiaro mismi. Descrisse Clodia come una nemmeno quali furono le opinioni più donna non sposata che apriva la sua moderate sulla sua vita o se e in che casa alle voglie di tutti e conduceva modo venne difesa da simili attacchi. apertamente una vita da prostituta. Celio, l’antico amante, venne assolto. pubblici, stavolta aizzati dalla rottura con l’amante Celio e provocati dalla lingua affilata di Cicerone. Il famoso oratore difese Celio da varie accuse, tra cui quella di aver cercato di avvelenare Clodia pur di non restituirle dei soldi che lei gli aveva prestato. Il processo venne celebrato nel 56 a.C., e l’oratore e politico approfittò dell’occasione per regolare i conti con la donna – anche il suo cuore, pare, era stato vittima del fascino di lei – e, già che c’era, attaccarne il fratello minore, Clodio, a cui la giovane era molto unita e che Cicerone odiava a morte.
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GROTTE DI CATULLO. Le rovine di una villa romana di Sirmione si chiamano così perché il poeta visse nella zona per un certo periodo, anche se in realtà la costruzione corrisponde a un’epoca successiva.
Quanto a Clodia, ben venti secoli più tardi deve ancora fare i conti con la fama di donna depravata, avvelenatrice e incestuosa, come la descrisse Cicerone senza alcun fondamento. Molti lettori di Catullo, per empatia nei confronti del poeta, credono che i suoi versi contro di lei rispecchino la verità assoluta. Se Lesbia fosse davvero Clodia, si assiste al trionfo dei pettegolezzi. L’ultima notizia sulla donna è che nel 45 a.C. era ancora viva perché Cicerone volle comprar la sua villa a Trastevere. C’è da sperare che lei non gliel’abbia venduta. ISABEL BARCELÓ CHICO SCRITTRICE
Per saperne di più
SAGGI
Clodia, Terenzia, Fulvia Giuseppe Antonelli. Newton Compton, Roma, 1996. POESIA
Le poesie Gaio Valerio Catullo. Adelphi, Milano, 2019.
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GRANDI INVENZIONI
La nascita della musica registrata 1887
Emil Berliner ideò un sistema per registrare i suoni su alcuni dischi, che si potevano riprodurre su un grammofono, sempre di sua invenzione
A
lla fine del XIX secolo la rivoluzione tecnologica conquistò di colpo l’ambito più etereo e immateriale della cultura umana: la musica. Nel 1877, con l’invenzione del fonografo, lo statunitense Thomas Alva Edison fu il primo a incidere e riprodurre suoni. Dieci anni più tardi arrivò il grammofono, progettato da un tedesco che si era trasferito negli Stati Uniti, Emil (o Emile) Berliner. Nel sistema di Edison il suono veniva registrato su un cilindro coperto di cera e riprodotto facendolo girare su una puntina collegata a una membrana vibrante.
Invece il grammofono di Berliner usava dischi piatti che ben presto si rivelarono più pratici: elaborati dalla gommalacca, una resina naturale, erano più leggeri e maneggevoli (anche se pure più facili da rompere) e duravano di più. E quel che era più importante: si potevano duplicare in massa. Agli inizi con il sistema di Edison si riusciva a registrare un solo suono originale; più tardi si svilupparono metodi per fare duplicati, che però non potevano superare il centinaio di esemplari. Berliner riusciva invece a realizzare migliaia di dischi a partire da un esemplare matrice, e quindi il prodotto risultava anche molto più MICHEL URTADO / RMN-GRAND PALAIS
economico. Alla fine fu Berliner a vincere la battaglia industriale e nel 1894 fondò in Inghilterra una compagnia discografica di successo, la Berliner Gramophone, la cui filiale tedesca, la Deutsche Grammophon, esiste ancora oggi. STUDIO DI REGISTRAZIONE
HERITAGE / GETTY IMAGES
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Una pianista seduta all’altezza della campana di registrazione all’interno del primo studio di Emil Berliner, nell’Hotel Cockburn di Londra. 1898.
Registrazioni complicate I primi dischi giravano a una velocità che oscillava tra sessanta e 130 revolution per minute (RPM, in italiano“giri al minuto”), si azionavano manualmente e duravano circa tre minuti. Verso il 1894 la Berliner Gramophone vendeva dischi che ruotavano a una velocità di settanta giri/min, e nel 1905 venne
I PRIMI GRAMMOFONI
BRIDGEMAN / ACI
Riproduzione di uno dei primi grammofoni a manovella, con base quadrata e il caratteristico amplificatore acustico.
ARIA DI ENRICO CARUSO
Disco prodotto verso il 1907 per conto della casa discografia The Victor Talking Machine Company, riconoscibile dal logo del cane che ascolta un grammofono.
DAL DISCO DI GOMMA AL VINILE 1887
VERÓNICA MAYNÉS MUSICOLOGA E CRITICA MUSICALE
Emile Berliner inventa il grammofono. Nel 1888 nasce la discografica Columbia Phonograph Company.
1904 La Odeon lancia il primo disco a due facciate, che s’impone poi in ambito internazionale dal 1923.
1925 La Western Electric crea un microfono per incidere il suono. Si fanno le prime registrazioni elettriche.
1948 La Columbia Records mette in commercio il disco in vinile a 33 giri, con circa 20 minuti di suono su ogni facciata. COLLEZIONE DI DISCHI DA 78 GIRI, REGISTRATI NEGLI ANNI CINQUANTA.
ALAMY / ACI
ampliata allo standard di settantotto giri/min. I precari metodi di registrazione rendevano necessari diversi espedienti pur di ottenere il miglior risultato. Gli strumenti dal suono più delicato dovevano collocarsi vicino a un oggetto a forma di campana. Alcuni musicisti erano costretti a mettersi di spalle agli altri e usavano uno specchio per seguire le indicazioni del direttore d’orchestra. I cantanti ottenevano risultati migliori se infilavano la testa nella campana, e quindi non riuscivano a scorgere il pianista. Nelle note acute e potenti indietreggiavano di qualche passo perché non saltasse l’ago, e quindi bisognava segnare a
terra con il gesso i punti migliori per la registrazione. Una persona era incaricata di muoverli per avvicinarli o allontanarli dalla campana nei momenti opportuni. Le prime registrazioni furono canzoni popolari come Oh! Susanna e My Old Kentucky Home, marce militari, walzer, polche o brani ridotti di musica classica. Le opere lunghe erano impensabili, anche se nel 1903 s’incise, a frammenti su quaranta dischi, l’opera Ernani di Verdi, e nel 1906 vennero montati su venticinque dischi degli estratti di Messiah di Haendel. Malgrado il prezzo minore rispetto ai cilindri, i dischi non erano alla portata di tutte le tasche: in Inghilterra la Sinfonia n. 5 di Beethoven si vendeva su otto dischi a un prezzo che equivaleva allo stipendio medio di due settimane. La grande rivoluzione sopraggiunse con l’italiano Enrico Caruso. Nell’aprile 1902 il tenore napoletano registrò dieci arie, che costituirono il primo fenomeno di vendita in massa della storia discografica. Nel 1904 firmò un contratto con la casa discografica The Victor Talking Machine Company e nel 1907 vendette più di un milione di copie di Vesti la giubba, un’aria di I pagliacci di Leoncavallo. In totale Caruso riuscì a far circolare più di cinque milioni di dischi.
EVENTO STORICO
Terrore nel XVIII secolo: la bestia del Gévaudan Tra il 1764 e il 1767, in una regione del sud della Francia, un centinaio di persone, per lo più bambini, fu ucciso dalle aggressioni di un lupo feroce
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ituato nell’odierna Occitania, sul massiccio Centrale francese, il Gévaudan è un altipiano ricoperto di folti boschi, dal clima freddo e umido, con nebbie frequenti e lunghi periodi di freddo intenso. Nel XVIII secolo la popolazione, più numerosa di oggi, si dedicava a un’agricoltura scarsamente produttiva e soprattutto all’allevamento. Al di fuori della capitale regionale, Mende, la nobiltà e la Chiesa conservavano intatta la loro antica influenza sulle masse contadi-
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ne, ancora attaccate al loro stile di vita tradizionale e aliene al progresso dei lumi. Nel 1764 questa regione povera e dimenticata attirò improvvisamente su di sé l’attenzione di tutta la Francia e anche del resto d’Europa a causa di un animale che per tre anni seminò il terrore nella zona: la cosiddetta “bestia del Gévaudan”. L’incubo cominciò nel giugno del 1764, quando una mandriana fu aggredita nei pressi della località di Langogne. La donna si salvò, ma alcune settimane più tardi ci fu la prima vit-
tima, una ragazza di quattordici anni deceduta a causa dei morsi della belva. A partire da quel momento i casi si moltiplicarono. La bestia attaccava di preferenza persone deboli e indifese, in particolare donne e bambini, azzannandole alla gola con i suoi canini affilati. Il suo obiettivo più frequente erano i pastorelli che trascorrevano i pomeriggi da soli nei campi tra le vacche o le pecore. Dopo i primi incidenti gli abitanti del luogo stabilirono che i bambini andassero al pascolo in gruppo, ma
INSTITUT CARTOGRÀFIC I GEOLÒGIC DE CATALUNYA
EVENTO STORICO
UN PAESE IN STATO DI ALLARME
questo non fu sufficiente a porre fine alle aggressioni della fiera. Un giorno cinque ragazzi e due ragazze tra gli otto e i dodici anni furono aggrediti mentre sorvegliavano il bestiame. Si difesero con dei bastoni sormontati da una punta affilata di ferro e riuscirono a resistere fino all’arrivo dei soccorsi. In un’altra occasione una donna di nome Jeanne Jouve lottò corpo a corpo con la bestia per proteggere i suoi tre figli, ma uno di loro, di sei anni, morì in seguito alle ferite riportate.
Decine di vittime Un nuovo incidente si verificò quando alcune contadine furono assalite dalla belva mentre attraversavano un ruscello su una scala a pioli. La domestica di un prete, di vent’anni di età, impugnò un bastone su cui aveva precauzionalmente montato una baionetta e riuscì a respingere l’animale ferendolo al petto. Molti
LE AGGRESSIONI della bestia del Gévaudan si estesero oltre i confini (di per sé imprecisi) della regione. Di fatto nella vicina provincia del Delfinato si registrarono attacchi già nel 1762. All’inizio del 1765 il raggio d’azione della belva era tra i 1.600 e i duemila chilometri quadrati. Questo fece pensare che non si trattasse di un singolo animale, ma di un branco composto dai tre ai cinque esemplari.
altri non furono così fortunati.Il bilancio dei tre anni di aggressioni della bestia fu terribile: un centinaio di morti e all’incirca 120 feriti. Quattro quinti delle vittime erano bambini e adolescenti di età compresa tra i cinque e i diciassette anni. Questa circostanza contribuì a diffondere il panico tra la popolazione. Tra gli altri fattori che aggravarono il senso d’insicurezza c’era la sorprendente velocità a cui sembrava muoversi l’animale e l’ampia estensione geografica del suo raggio d’azione. Di fronte alla ferocia degli attacchi ci furono svariati tentativi di eliminare la bestia. Le autorità reclutarono
inizialmente i cacciatori locali, ma questi non riuscirono a catturarla. Nel novembre del 1764 il governatore della Linguadoca inviò una compagnia di cavalleria leggera agli ordini del capitano Duhamel. I quasi sei mesi di battute di caccia si conclusero in un completo fallimento. La delusione fu grande e costò molto cara alla gente del posto: secondo l’usanza dell’epoca, le truppe vennero alloggiate e mantenute a spese dei locali. Nel frattempo i giornali avevano cominciato a pubblicare resoconti dettagliati degli avvenimenti,
Le truppe inviate nella regione tentarono vanamente di localizzare e abbattere la bestia LUIGI XV. BUSTO DI MARMO. REGGIA DI VERSAILLES. DEA / ALBUM
Luigi XV abbattono il lupo identificato con la terribile belva. Incisione del 1765.
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GLI INVIATI di re
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EVENTO STORICO
giugno 1767 Jean Chastel uccise la bestia. Vista dalla cittadina natale del cacciatore, La Besseyre-Saint-Mary.
attirando l’attenzione del governo di Luigi XV, che sentiva il dovere di ristabilire la sicurezza nella regione. Così, nei primi mesi del 1765 il sovrano incaricò un esperto cacciatore di risolvere la questione. Jean-Charles Vaumesle d’Enneval organizzò varie spedizioni, ma nonostante i meticolosi preparativi non riuscì a ottenere il successo sperato. La stampa straniera
cominciò a deridere l’incapacità del monarca di eliminare la belva che terrorizzava i suoi poveri sudditi. La situazione del Gévaudan non era più un semplice problema di ordine pubblico, ma una questione di prestigio delle istituzioni. Luigi XV decise così di mandare nella zona François Antoine, un esperto archibugiere reale, veterano
dei campi di battaglia. Nei primi tre mesi le battute di Antoine non diedero i frutti sperati, mentre gli attacchi della bestia si susseguivano senza interruzioni. Finalmente, il 21 settembre 1765 gli uomini agli ordini del militare reale riuscirono ad abbattere un grosso lupo. Dichiararono che si trattava della bestia, la sezionarono e la inviarono a Parigi. Caso chiuso!
Fine dell’incubo?
IL LIBERATORE SECONDO LE CRONACHE, la
bestia fu colpita alla schiena da Jean Chastel e poi finita da una muta di cani. Il suo corpo fu portato a Parigi dallo stesso Chastel per essere sottoposto a studi, ma vi arrivò in avanzato stato di decomposizione. Si decise così di seppellirne i resti senza analizzarli a fondo.
MONUMENTO ERETTO A JEAN CHASTEL NELLA SUA CITTÀ NATALE. ALBUM
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Tuttavia tre mesi più tardi il dramma ricominciò. Tornarono gli attacchi ai bambini, la paura di andare da soli nei campi e i timori che la bestia fosse in agguato dietro ogni cespuglio. A peggiorare le cose, le autorità iniziarono a disinteressarsi alla faccenda per non dover ammettere il loro fallimento. Anche i giornali parvero dimenticarsene completamente. Infine, il 19 giugno 1767 un cacciatore locale di nome Jean Chastel riuscì
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MONT MOUCHET. Qui il 19
INCISIONE d’epoca
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raffigurante vari attacchi della bestia del Gévaudan.
a uccidere un animale che sembrava corrispondere alla descrizione della belva e nel cui stomaco fu ritrovato il femore di un bambino. Da allora non si verificarono ulteriori aggressioni. La domanda suscitata più di frequente da questa storia è che animale fosse realmente la bestia del Gévaudan. Secondo molte vittime si trattava di una fiera terrificante, di notevoli dimensioni, con il pelo rossiccio, strisce sui quarti posteriori e una coda lunga e pelosa. Stando a queste testimonianze non si sarebbe dunque trattato di un lupo: era più grande, poteva ergersi sulle zampe posteriori e, soprattutto, attaccava le persone, un comportamento non abituale tra questi animali.All’epoca circolavano varie teorie alternative. Alcuni sostenevano che fosse una pantera importata dall’Africa e poi fuggita dal serraglio di qualche nobile; secondo altri era una fiera ammaestrata scappata a un grup-
po di gitani. Ci fu chi evocò la figura del loup garou (lupo mannaro). Girava voce che alcune donne si fossero imbattute in un uomo vestito da straccione ed estremamente peloso, la cui vista le aveva profondamente inquietate. Su richiesta del vescovo della regione, i sacerdoti nelle loro prediche agitavano lo spauracchio della bestia dell’Apocalisse, venuta a castigare i cattivi cristiani per i loro peccati.
I segni del lupo Tra gli storici più recenti è abbastanza diffusa l’idea che la misteriosa bestia fosse un incrocio tra un cane e un lupo, più aggressivo del solito. Un animale solitario che, non avendo ricevuto dal branco regole sulla scelta delle prede e le modalità di caccia, si era creato le sue. Ma è anche possibile che non fosse nient’altro che un lupo. Secondo lo specialista di storia rurale Jean-Marc Moriceau, nella Francia dell’epoca si registrarono
svariati episodi di lupi antropofagi, che nel corso degli anni potevano arrivare a uccidere decine di persone. Non era insolito riferirsi a questi animali con l’appellativo di “bestie”, come nel caso della bestia del Calvados (1632-1633), del Gâtinais (1653), del Benais (1693-1694) o dell’Auxerrois (1731-1734). Ma in tutte queste circostanze è stato dimostrato che si trattava di lupi. In contrasto con la convinzione secondo la quale non attaccherebbero gli esseri umani, Moriceau sostiene che in passato una piccola percentuale di lupi avesse sviluppato pratiche antropofaghe. L’insaziabile bestia del Gévaudan che seminò il terrore nelle campagne francesi fu probabilmente solo uno di essi. JUAN JOSÉ SÁNCHEZ ARRESEIGOR STORICO
Per saperne di più
SAGGI
La bestia del Gévaudan Giovanni Todaro, Lulu.com, 2007.
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ANIMALI NELLA STORIA
In luoghi come il Sudafrica sorsero allevamenti di struzzi volti a soddisfare la crescente domanda di piume per ornamenti di ventagli e acconciature
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uando nel 1852 morì il duca di Wellington, l’eroe di Waterloo ricevette un funerale di stato. Il carro funebre percorse le strade di Londra, dove si accalcava più di un milione di curiosi. Era trainato da dodici cavalli neri che sfoggiavano, sulla fronte, un ornamento di alte e setose piume di struzzo, nere come il carbone. Il corteo suscitò nell’opinione pubblica un’ammirazione tale che, da allora, ogni altolocato funerale vittoriano si munì di cavalli con questo addobbo. Le piume dell’uccello più grande al mondo diventarono un ornamento indispensabile, e non solo nei funerali.
Le dame della corte francese iniziarono a usarle a partire del 1860, soprattutto in grandi ventagli che, con il movimento, scintillavano grazie ai loro riflessi setosi. Già da quasi due secoli i reali di Francia si erano interessati all’animale. Durante il regno di Luigi XIV, nella Ménagerie royale di Versailles viveva addirittura un gruppo di struzzi. Tale uccello venne associato a Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI, in particolar modo nelle caricature: la regina era spesso criticata per il suo enorme spreco di vestiti, gioielli e inezie a spese dello stato, e in diverse vignette appariva rappresentata come un enorme struzzo. Alcune riportavano perfino un curioso gioco di parole tra autruche (struzzo) e Autriche (Austria), paese di origine della regina. Dalla Francia la moda delle piume di struzzo nell’abbigliamento attraversò il canale della Manica e si diffuse in Inghilterra rapidamente. Un esempio del suo successo è riscontrabile pure in letteratura. Thomas Hardy, per esempio, le inserì in una didascalia di The Dynasts (I dinasti): «Le dame di rango indossano, quasi fosse un’uniforme, un copricapo di piume di struzzo VICTORIA MAY LOUISE, DUCHESSA DI KENT, RITRATTA DA GEORGE HENRY HARLOW VERSO IL 1830. L’ARISTOCRATICA SFOGGIA UNO SPETTACOLARE COPRICAPO ADORNO DI PIUME DI STRUZZO.
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Lo struzzo: piume più care dell’oro
STEMMA DEL PRINCIPIE DI GALLES CON PIUME DI STRUZZO E IL MOTTO ICH DIEN, «IO SERVO».
con diamanti e vestiti di satin bianco ricamati in oro o argento». A quell’epoca le piume erano un bene di lusso poiché provenivano perlopiù da zone lontane come il Sahara o il Sudafrica, in cui vivevano numerosi struzzi selvatici. L’esorbitante prezzo delle piume dipendeva dagli alti costi della caccia e dal trasporto in carovana attraverso il deserto. A tutto ciò si aggiunse l’ulteriore questione dell’eccessivo sfruttamento: gli esemplari selvatici iniziarono a scarseggiare, e le loro piume si fecero ancora più care e preziose.
Produzione industriale Questa difficoltà nel reperire i volatili fece intravedere ad alcuni fattori di Oudtshoorn – vicino alla costa meridionale del Sudafrica – la possibilità di nuovi guadagni e nel 1865 si misero ad allevare struzzi per rifornire il crescente mercato mondiale di piume. In un primo momento gli esemplari femmine calpestavano le uova nei nidi, ma il problema venne risolto da Arthur Douglass, uno dei fattori che nel 1869 inventò l’incubatrice per uova di struzzo. Questo espediente permise di portare a 20mila il numero di struzzi presenti nel 1875 a Oudtshoorn, che è ancora oggi un centro mondiale nell’allevamento dell’animale. Le piume divennero il quarto prodotto di esportazione del Sudafrica dopo l’oro, i diamanti e la lana.
FATTORIA per l’allevamento degli
struzzi in Madagascar. Litografia pubblicata su Le Petit Journal nel 1909.
A CAVALLO DI UNO STRUZZO LA VELOCITÀ dello struzzo rag-
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giunge i 70 km/h se l’animale è spaventato. Alcune testimonianze confermano che in passato si pensò di usare il volatile come mezzo di trasporto. Alcuni re ellenistici e certi popoli africani se ne servirono come animale da monta e, nel 1731, il viaggiatore inglese Francis Moore vide in Senegal un uomo in sella a uno struzzo che si dirigeva verso un forte per portare un regalo. Si cercò anche d’impiegarlo come animale da traino, ma solo con carrozze ultraleggere o come mera attrazione: così avveniva in un parco di Parigi verso il 1875.
DONNE SU UN CARRO TRAINATO DA UNO STRUZZO NEL JARDIN D’ACCLIMATATION DI PARIGI NEL 1875. DEA / ALBUM
Benchè già ampliamente avviata, la produzione massiccia coincise con l’invenzione di un oggetto destinato a usi domestici piuttosto che estetici: il piumino da spolvero. Nel 1870 l’americano E. E. Hoag scoprì che le piume di struzzo catturavano la polvere con estrema facilità. Alla fine del XIX secolo il piumino entrò in tutte le case, facendo aumentare la richiesta dei materiali per produrlo a un ritmo esponenziale. Londra s’impose quale capitale mondiale del suo commercio, e nel quartiere di East End sorsero ad-
dirittura grandi magazzini il cui scopo era separare le piume che arrivavano dall’Africa in base alla qualità. Le più belle e costose erano quelle bianche prelevate dalle ali dei maschi, come quelle che dal XIV secolo figurano nello stemma del principe di Galles. L’uso delle piume cominciò a decadere dal 1885, quando perfino un’associazione in difesa degli uccelli, la Plumage League, si lamentò dell’eccessivo sfruttamento degli animali per fini estetici. Solo con la Prima guerra mondiale si estinguerà finalmente
quella moda che aveva accompagnato l’Europa per più di cinquant’anni. Le cause furono svariate: l’imposizione, nel 1915, di una tassa del 33 per cento sull’importazione dei beni di lusso, la domanda di copricapi più piccoli perché le donne potessero lavorare e anche la diffusione delle vetture a motore, nei cui abitacoli non risultava pratico un ornamento con piume di struzzo, che di lì a poco furono abbandonate negli armadi a riempirsi di polvere. JORDI CANAL-SOLER SCRITTORE
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Lo spiritismo, la dottrina del paranormale Nel XIX secolo divennero di moda le sedute condotte da medium che comunicavano con gli spiriti dei defunti re bene – un salotto aristocratico, un’umile mansarda o lo studio di un poeta –, l’importante era che fosse tranquillo, isolato dai rumori e protetto da possibili interruzioni. Il momento ideale per le sedute era la notte. Non era necessaria l’oscurità totale, ma una luce soffusa o di colore rosso contribuiva al manifestarsi degli spiriti.
Il movimento dei tavoli Quando iniziava la seduta i partecipanti dovevano adottare un atteggiamento mentale di ricettività e di attesa; a volte pronunciavano una preghiera o intonavano un canto. Quindi si prendevano per mano formando un cerchio e aspettavano di vedere segni di attività paranormale, come una leggera brezza, un tic involontario delle braccia di qualcuno o un piccolo movimento del tavolo. Nel 1853 il giornale spagnolo El Genio de la Libertad descriveva così l’inizio di una
LA TEORIA SPIRITISTA IL FRANCESE Allan
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Kardec (1804-1869) è considerato il padre dottrinale dello spiritismo. In opere come Il libro dei medium (1861) e Il Vangelo secondo gli spiriti (1864) sostiene che la comunicazione tra il mondo spirituale e quello corporale «non costituisce un fatto soprannaturale».
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SEDUTA SPIRITICA
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oc, toc, toc. Semplici colpetti sul tavolo come questi nell’ottocento rappresentavano un codice per comunicare con l’aldilà. Tutto ebbe inizio negli Stati Uniti, dove nel 1848 le sorelle Maggie e Kate Fox organizzarono le prime sedute in cui si misero in contatto con lo spirito che, secondo loro, infestava la loro abitazione. L’attività delle sorelle Fox suscitò un enorme interesse, e lo spiritismo divenne un fenomeno inarrestabile, capace di attraversare le frontiere e di diffondersi in America settentrionale ed Europa fino a raggiungere l’Asia. In un momento in cui l’ateismo guadagnava terreno, la promessa di un contatto reale con il mondo dei morti attraeva molti credenti. Questo contatto avveniva nel corso di sedute spiritiche accuratamente organizzate. Qualsiasi luogo poteva anda-
intorno al 1887. Si vede una chitarra che vola e la mano di uno spirito che scrive. Incisione.
seduta: «Su un pavimento di legno è stata collocata una tavola rotonda intorno alla quale si sono seduti tre donne e cinque uomini. Questi hanno formato una catena magnetica, che consiste nell’appoggiare le mani aperte sul bordo del tavolo, collocando il mignolo della mano destra sul mignolo sinistro del proprio vicino. I piedi non devono toccare il tavolo. Proprio il tavolo, dopo un’ora, ha cominciato a mostrare un movimento ondulatorio quasi impercettibile. Pochi minuti dopo si è spostato violentemente da destra a sinistra». A quel punto interveniva il medium
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– di solito una donna – per dare avvio alla comunicazione con l’entità, che poteva realizzarsi in vari modi. La medium chiedeva allo spirito se era disposto a manifestarsi, e questi rispondeva con due o tre colpetti sul tavolo. Allora la sensitiva consegnava un pezzo di carta a chiunque fosse interessato a comunicare con lo spirito di una persona cara. Il foglio conteneva le lettere dell’alfabeto disposte su quattro righe e una quinta riga con tutte le cifre da zero a nove. L’interlocutore faceva una domanda e allo stesso tempo indicava con uno strumento appuntito le varie lettere,
Dunglas Home, lo spiritista che levitava LO SCOZZESE Daniel Dunglas Home fu un vero e proprio showman dello spiritismo. Conobbe questo movimento negli Stati Uniti e dal 1855 fu uno dei primi a introdurlo in Gran Bretagna. Le sue sedute non prevedevano solo colpi
ma veri e propri trucchi MAGICI : mobili che volavano, mani staccate dal corpo che suonavano strani strumenti e spostavano sedie, o scene di LEVITAZIONE . Nel 1852 un giornalista statunitense raccontò che, mentre gli teneva la mano, lo sentì alzarsi dal
pavimento fino a raggiungere il soffitto. Nessuno riusciva a scoprire il segreto dei suoi trucchi, ma nel 1868 fu condannato per FRODE da un giudice che considerava lo spiritismo «una perversa assurdità volta a ingannare i vanitosi, i deboli e gli stolti».
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FEBBRE SPIRITICA
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LIBRARY OF CONGRESS / GETTY IMAGES
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LE SORELLE FOX vivevano in una casa ritenuta infestata dallo spirito di qualcuno che vi era stato ucciso e sepolto qualche anno prima. Durante le sedute le due sorelle più giovani, guidate dalla maggiore, comunicavano con questa entità tramite delle sequenze di colpi.
una dopo l’altra. Quando i colpi si arrestavano significava che la lettera era quella giusta. Grazie a questo metodo, denominato tiptologia, era possibile comporre un intero messaggio. Un altro modo di entrare in contatto con le entità spirituali era la psicografia, o scrittura automatica: in questo caso era la mano del medium a scrivere ciò che lo spirito voleva
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ALBUM
FOTOGRAFIA DI SPIRITI. ALL’INIZIO DEL XX SECOLO QUESTI MONTAGGI EBBERO UN CERTO SUCCESSO.
LA CASA di Hydesville
dove si svolgevano le sedute spiritiche delle sorelle Fox. Immagine della fine del XIX secolo.
comunicare. Nella pneumatografia, o scrittura diretta, lo spirito scriveva invece senza intermediari, su lavagne o su carta. Una rivista del 1894 descrive il metodo così: «Si prende una piccola scatola e si fanno due forellini nella parte superiore dei lati più piccoli, attraverso i quali si fa passare una catenella che tutti i medium devono toccare con le mani. All’interno della scatola vanno collocati tre o quattro fogli di carta sui quali si posa qualche punta di matita da falegname – senza il legno. Quindi si chiude la scatola con un lucchetto o una chiave. Non è necessario aprirla alla fine di ogni sessione: saranno gli spiriti a indicare quando è opportuno farlo». Nel caso
«Nell’oscurità le signore hanno notato una silhouette luminosa, lo scheletro della Morte»
della psicofonia le anime dei defunti potevano esprimersi direttamente per bocca dei medium. La statunitense Leonora Piper divenne famosa grazie a queste pratiche. «Per entrare in trance – riportava nel 1909 una rivista dedicata al tema – afferra la mano di qualcuno. La tiene per qualche minuto, rimanendo in silenzio e nella semioscurità. Dopo un po’ ha delle leggere convulsioni spasmodiche che crescono d’intensità e si concludono con una piccola crisi epilettiforme alquanto moderata. Al termine di questa fase la spiritista entra in uno stato di stupore, da cui poi esce improvvisamente per iniziare a parlare. La sua voce è cambiata; non c’è più la signora Piper, ma un altro personaggio che si esprime con una voce profonda, dal timbro virile». Le donne medium godevano di buona fama e prestigio sociale. Fu questo il caso della napoletana Eu-
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SEDUTA SPIRITICA diretta nel 1898 dalla medium Eusapia Paladino nella casa dell’astronomo Camille Flammarion.
sapia Paladino, riconosciuta per i suoi poteri di far levitare oggetti e materializzare gli spiriti dei defunti. Un giornale dell’epoca raccontò così una delle sue sedute del 1908: «Paladino ha ordinato di spegnere le luci. Sulla sala è calata la più completa oscurità. Le signore hanno gradualmente iniziato a intravedere una luce intensa in un angolo; mentre l’agitazione cresceva tra loro, hanno notato che quella luce disegnava una silhouette luminosa, e si sono ritrovate a contemplare lo scheletro della Morte, con la sua terribile smorfia e la falce in mano. Inutile dire che è scoppiato il panico; alcune donne, sentendosi addosso le mani delle altre, lanciavano urla spaventose. Finalmente l’intensità della seduta è calata; la voce della medium si è affievolita a poco a poco e poi, a un suo ordine, la luce è stata riaccesa». Una grande esponente del movimento spiritista
spagnolo fu Amalia Domingo Soler. Esercitò come medium e fu direttrice della rivisita La luz del porvenir, che pubblicava articoli dottrinali e divulgativi sullo spiritismo. Nelle sue memorie, racconta di una seduta del 1858 dove un sensitivo le trasmise le parole di sua madre. «All’udire la risposta, una violenta scossa attraversò tutto il mio essere, al punto che mi è impossibile spiegare ciò che provai […] Mia madre! […] Era la prima comunicazione familiare che ricevevo».
Smascherati Già allora molti non credevano a queste voci dall’oltretomba e accusavano i medium di essere dei truffatori, degli impostori e dei ciarlatani. Non si sbagliavano, perché le sedute spiritiche nascondevano sempre qualche trucco. I medium giocavano con le suggestioni, con il buio che aumentava la sensibilità ai suoni e con la suscettibilità dei
presenti. Per fugare eventuali dubbi, i sensitivi spesso si offrivano di farsi legare mani e piedi, ma riuscivano comunque a muovere i tavoli in modo impercettibile con i pollici o tramite dispositivi nascosti, oppure ricorrevano a collaboratori occulti. Non era facile smascherarli, anche se molti finirono per confessare i loro sistemi. Le sorelle Fox, per esempio, rivelarono di produrre le sequenze di colpi facendo schioccare le proprie articolazioni. Ma gli scandali non bastarono a impedire alla moda dello spiritismo di protrarsi fino al novecento. INÉS ANTÓN DAYAS STORICA
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SAGGI
Il mondo degli spiriti A. Kardec. Edizioni Mediterranee, Roma, 2007. Lo spiritismo M. W. Homer. Elledici, Torino, 1999.
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IL VOLTO DEL FARAONE
Realizzata in oro, lapislazzuli e pasta vitrea di vari colori, la maschera funeraria di Tutankhamon è sicuramente il pezzo più emblematico trovato da Howard Carter nella tomba del sovrano. Museo egizio, Il Cairo. ARALDO DE LUCA
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NUOVE IPOTESI SUL TESORO DI
TUTANKHAMON Il tesoro di Tutankhamon è davvero suo? Il giovane re partecipò a qualche battaglia nonostante i suoi problemi fisici? Negli ultimi anni vari studiosi hanno analizzato il corredo funerario del faraone bambino alla ricerca di risposte a domande antiche STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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COLLANA D’ORO CON RAPPRESENTAZIONE DELLA DEA AVVOLTOIO NEKHBET. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.
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uando, verso le dieci del mattino del 4 novembre del 1922, gli operai di Howard Carter – e non il bambino incaricato di portargli l’acqua, come vorrebbe una leggenda apocrifa – videro degli scalini praticamente sotto la tomba di Ramses VI, non sapevano ancora che qualche settimana più tardi avrebbero assistito a una delle più grandi scoperte archeologiche di tutti i tempi. Dopo aver atteso per due settimane l’arrivo di lord Carnarvon (che finanziava gli scavi), il 26 novembre Carter praticò un’apertura in una porta sigillata al termine di un corridoio. Affacciandosi all’interno della stanza, scorse con stupore un corredo funerario di grandissimo valore, nonostante la tomba fosse stata saccheggiata. «Riesci a vedere qualcosa?», chiese impaziente lord Carnarvon a Carter, intento a guardare attraverso lo spiraglio. «Sì, è meraviglioso», rispose l’archeologo.
Il tempo per l’analisi A Carter ci vollero dieci anni per svuotare l’ipogeo di Tutankhamon. Ogni oggetto fu fotografato in loco con accanto un numero d’identificazione, quindi fu imballato e trasferito nella tomba di Seti II (KV 15), dove l’équipe dell’esploratore britannico aveva improvvisato un laboratorio di restauro. Alla conclusione di ogni campagna, un lungo convoglio di portatori, sorvegliato dalla polizia, trasferiva i pezzi del corredo su una nave in attesa presso la riva del fiume. La destinazione finale erano i magazzini e le teche del Museo egizio del Cairo. L’archeologo non ebbe il tempo materiale di studiare i reperti in dettaglio prima d’inviarli alla capitale, ma si limitò a compilare per ciascuno di 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
essi una scheda contenente la descrizione, un disegno dettagliato con note e misure, e numerose foto scattate da Harry Burton da prospettive differenti. Carter era intenzionato a dedicare il resto della sua vita all’analisi degli oggetti ritrovati per poi scrivere una esaustiva monografia scientifica sull’argomento. Purtroppo non riuscì a completare la sua opera: morì di cancro nel 1939. Da allora sono stati pubblicati solo studi limitati ad alcune serie di oggetti del corredo funerario – ad esempio gli archi, gli archi composti, i modellini di barche, gli strumenti musicali, le scatole con giochi da tavolo e i carri; una parte significativa del resto del tesoro è stata invece trascurata. A causa dei suoi limiti di spazio, il Museo del Cairo, situato in piazza Tahrir, poteva esporre solo una piccola parte dei 5.398 oggetti rinvenuti nella tomba. Ora, con la costruzione del Grande museo egizio nei pressi delle piramidi di Giza, la situazione è cambiata, e le autorità egiziane hanno deciso di sfruttare questa nuova sede per esporre il tesoro nella sua interezza. La scelta ha richiesto un’ambiziosa operazione di trasferimento. Ogni singolo pezzo è stato ripulito e studiato nei minimi dettagli, e ciò ha permesso di raccogliere dati che aiutano a chiarire alcune questioni di grande interesse; ad esempio se alcuni dei pezzi più importanti del corredo di Tutankhamon non appartenessero in realtà alla sorella Merytaton o se il faraone bambino avesse mai esercitato effettivamente il ruolo di comandante militare. JOSÉ MIGUEL PARRA EGITTOLOGO
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SAGGI
Tutankhamon. I tesori della tomba Zahi Hawass. Einaudi, Torino, 2018.
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In questa foto i due collaboratori di Carter, Arthur Cruttenden Mace e Alfred Lucas, esaminano il cocchio di un carro all’esterno del laboratorio installato nella tomba di Seti II. BRIDGEMAN / ACI
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STORIA DI UN TESORO 1341 a.C. circa Nasce ad Amarna Tutankhaton, figlio del faraone Akhenaton e di una regina sconosciuta.
1334-1324 a.C. circa Tutankhaton viene incoronato e cambia il suo nome in Tutankhamon, “immagine vivente di Amon”.
4-11-1922 Howard Carter scopre i primi gradini della tomba di Tutankhamon.
2-1932
2020
All’interno delle nuove strutture del Grande museo egizio del Cairo un gruppo di restauratori è all’opera sui carri scoperti nella tomba di Tutankhamon. AMR ABDALLAH DALSH / REUTERS / GTRES
Carter trasferisce gli ultimi pezzi del corredo funerario al Museo del Cairo e conclude lo scavo della tomba.
2-1967 Il corredo di Tutankhamon viaggia fuori dall’Egitto per una mostra a Parigi.
28-1-2011 Durante la Primavera araba scompaiono vari pezzi del tesoro ma vengono recuperati poco dopo.
19-1-2020 Il Grande museo egizio riceve i primi pezzi della tomba di Tutankhamon.
LA VALLE DEI FARAONI
Vista dall’alto della Valle dei Re, nei pressi dell’odierna Luxor, dove vennero sepolti i sovrani egizi del Nuovo regno, il giovane faraone compreso. KENNETH GARRETT
1 L’ARMATUR A R EA L E
PRONTO A COMBATTERE
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PHILIPPE BOURSEILLER / GETTY IMAGES
utankhamon probabilmente non dichiarò guerre fino quasi all’ultimo anno del suo regno, quando inviò eserciti nell’area siro-palestinese in un nuovo tentativo di recuperare definitivamente la cittadella di Kadesh dalle mani degli ittiti. Essendo morto al termine dell’adolescenza, il faraone non trascorse molti anni sul trono. Pertanto è difficile credere che abbia partecipato personalmente a questa campagna, di cui si sa molto poco. Probabilmente non fu un faraone guerriero; ma si sa che nonostante i suoi limiti di movimento (soffriva di zoppia), il sovrano ricevette il consueto addestramento militare necessario ad adempiere all’obbligo di mantenere la maat (ordine) nella valle del Nilo. Ciò è stato recentemente confermato da uno studio effettuato tramite il metodo fotografico RTI (reflectance transformation imaging) sull’arma-
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Scaglie di cuoio legate tramite un cordoncino che fanno parte della corazza del faraone. Museo egizio, Il Cairo.
Frammenti dell’armatura di cuoio di Tutankhamon nel laboratorio di restauro del Grande museo egizio del Cairo.
tura in cuoio ritrovata nel suo corredo, che si riteneva non fosse mai stata utilizzata. Grazie a questa tecnologia i curatori del museo hanno scoperto che i bordi delle scaglie di cuoio sono consumati in un modo che può essere attribuito solo all’uso. Questo potrebbe significare che Tutankhamon la indossò durante l’addestramento militare oppure quando prese parte a manovre dell’esercito.
UN PUGNALE DI FERRO METEORITICO
PHILIPPE BOURSEILLER / GETTY IMAGES
BRIDGEMAN / ACI
Tra le bende che ricoprivano la mummia, in corrispondenza della coscia destra, è stato trovato un pugnale lungo quasi 35 cm con un’impugnatura d’oro e un pomolo di cristallo di rocca, probabilmente il dono diplomatico di un sovrano straniero. L’elemento più sorprendente di quest’arma è la lama di ferro, perché contiene circa l’11% di nichel e lo 0,6% di cobalto: questo significa che il metallo proveniva da un meteorite. Le pietre cadute dal cielo avevano per gli egizi un importante significato simbolico.
UNA CORAZZA PER IL RE Nella cassa catalogata con il numero 587 è stata trovata una corazza formata da spesse scaglie di cuoio tinto di rosso, disposte in file orizzontali e tenute in posizione da un piccolo cordoncino anch’esso in cuoio. Le file superiori si sovrappongono parzialmente a quelle inferiori, e tutte sono cucite a una base senza maniche composta da sei strati di lino.
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2 ALL’ATTACCO DEI NEM I C I
IL CARRO DA GUERRA DEL RE
XAVIER ROSSI / GETTY IMAGES
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Ricostruzione di una piastra protettiva con un’iconografia internazionale: egizia (caccia), siro-palestinese (grifone) ed egea (spirali).
IL FARAONE GUERRIERO I faraoni potevano essere rappresentati unicamente come vincitori. Poco importava che non avessero mai partecipato a una battaglia; la loro immagine doveva essere sempre trionfante. Durante il Nuovo regno il re è raffigurato sul suo carro intento a schiacciare i nemici per imporre l’ordine nel mondo, come si può vedere nella decorazione di questo scrigno di legno stuccato e dipinto ritrovato nell’anticamera della tomba.
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primi testi egizi che parlano di carri da guerra risalgono alla XVII dinastia. Questo mezzo di trasporto finì per diventare un simbolo di prestigio e di status sociale a partire dalla dinastia successiva, la XVIII, quando ogni persona interessata ad affermare un certo livello doveva averne uno. Non era solo per imitare il re, che usava il carro per andare in guerra a combattere i nemici (come si vede in molte scene decorative), ma anche perché guidare un carro non era affatto facile: richiedeva un duro allenamento e molta pratica. Inoltre, solo i ricchi potevano permettersi di mantenere i cavalli necessari al traino, perché questo comportava molte spese: foraggio per gli animali, stalle, palafrenieri… Nella tomba di Tutankhamon sono stati trovati i pezzi di sei carri intatti. All’epoca della tumulazione le ruote furono smontate e gli assi segati, perché erano troppo larghi per passare per il corridoio d’ingresso. I ladri che in seguito profanarono la tomba strapparono le decorazioni in lamina d’oro lavorata a sbalzo, provocando gravi danni ai carri. Di recente Christian Eckmann è riuscito a ricostruire alcune piastre protettive distrutte dai saccheggiatori.
Le ruote, di quasi un metro di diametro, hanno sei raggi e sono realizzate con vari tipi di legno che garantiscono una maggiore resistenza.
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Ogni carro è unico, per questo le stanghe, decorate con lamine d’oro, hanno dimensioni variabili (da 2,43 a 2,60 m).
I carri sono dotati di giunti flessibili realizzati con budella di cuoio che costituivano un avanzato sistema di ammortizzazione. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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1 Figure di un siriano e di un nubiano intagliate nella parte ricurva del bastone, cioè quella destinata a poggiare a terra. In questo modo i nemici venivano simbolicamente schiacciati a ogni passo.
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2 Il bastone di Tutankhamon
U N SOVRA NO M A L ATO
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el 1925, dopo essere riuscito a rimuoverla dal fondo del sarcofago (a cui era rimasta attaccata a causa della grande quantità di resine aromatiche versate durante il funerale), Howard Carter procedette a sbendare la mummia di Tutankhamon. Nel 2005 il corpo imbalsamato è stato sottoposto a una TAC che ha rivelato molti dettagli sullo stato di salute del faraone. Lo studio ha evidenziato diverse anomalie nei suoi piedi: quello sinistro è storto verso l’interno, quindi il re camminava poggiando l’esterno del piede e non la pianta; inoltre, il secondo dito è più corto del normale perché manca la falange centrale. Ciò significa che il re era zoppo e spiega perché i suoi sandali (alcuni dei quali ricostruiti di recente a partire dai minuscoli frammenti di cuoio trovati nella tomba) avessero una linguetta trasversale per impedire che si spostassero quando camminava.
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Sandali scoperti nella tomba di Tutankhamon e recentemente restaurati per la loro prossima esposizione. 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA ZOPPIA CONGENITA DEL GIOVANE MONARCA
visibile su questo scrigno con placchette d’avorio e decorazioni dipinte non è un simbolo di autorità, ma un sostegno per evitare di poggiare il peso sulla gamba malata.
3 A causa della zoppia congenita il faraone non riusciva a stare in piedi troppo a lungo. Ecco perché in un’altra scena dello stesso scrigno tira con l’arco seduto su uno sgabello.
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U N CORREDO ER EDI TATO
IL MAGNIFICO TESORO DI MERYTATON
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Testa della principessa di Amarna. Forse è Merytaton, la figlia maggiore di Akhenaton e Nefertiti. Louvre. 40 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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utankhamon salì al trono all’età di circa otto anni e morì un decennio più tardi, al termine dell’adolescenza. L’egittologo francese Marc Gabolde ha suggerito che la sua scomparsa dovette essere così improvvisa e inattesa che, per completare il suo corredo funebre, furono utilizzati oggetti forse appartenuti ad altre persone, come la sorella maggiore Merytaton che lo aveva preceduto sul trono. Gli artigiani egizi fecero un ottimo lavoro per sostituire i nomi su ogni oggetto, ma in molti casi è ancora possibile vedere le tracce dell’appellativo cancellato. Ne sono alcuni esempi la parete di una delle cappelle dorate, lo scrigno che conteneva i vasi canopi e la maschera funeraria. Nella tomba sono stati trovati anche altri oggetti del corredo di Merytaton su cui il nome non era stato modificato. È il caso di un braccialetto rinvenuto tra vari monili che reca la scritta: «Colei che è benefica per il suo sposo». Si tratta sicuramente di un epiteto riferito alla sorella maggiore del faraone adolescente.
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1 Come si può notare dai
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fianchi bassi e dal volume dei seni, questa statuetta rappresenta una donna, Merytaton, e non un uomo.
2 All’interno del coperchio di
uno dei sarcofagi-canopi, sul cartiglio di Tutankhamon si vedono i resti quasi scomparsi dell’epiteto della regina: «Colei che è benefica per il suo sposo».
3 Su un lato esterno della cassa di alabastro contenente i vasi canopi si può notare che i due cartigli con il nome del re furono iscritti su altri quasi completamente cancellati.
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IMAGEN DE RAYOS X DEL TORSO DE ÖTZI. SE HA MARCADO CON UN CÍRCULO EL LUGAR DONDE ESTABA ALOJADA LA FLECHA. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Particolare dell’esterno della cappella dorata che nascondeva la seconda tomba di Tutankhamon. Museo egizio, Il Cairo.
L’OMBRA DI M ERY TATO N
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e bare e il sarcofago di Tutankhamon erano coperti da quattro cappelle di legno rivestite d’oro e magnificamente decorate con testi e immagini funerarie. Una di esse contiene tracce del fatto che probabilmente non fu costruita per il sovrano ma per una donna. Su una parete esterna, ad esempio, si può notare uno spazio vuoto sospetto in una serie di geroglifici, che fa sì che questi non risultino correttamente allineati come tutti gli altri. L’egittologo francese Marc Gabolde ritiene che tale spazio fosse occupato da una terminazione femminile, poi cancellata con del 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
gesso e quindi coperta con una nuova lamina d’oro per nasconderne l’esistenza. Anche all’interno della cappella ci sono chiari segni di correzioni: l’oro che riveste tutti i cartigli (elementi decorativi che contengono testi) con il nome del faraone è di un colore diverso da quello del resto del reperto, un’indicazione molto evidente del fatto che tutti i nomi furono cancellati e riscritti. Quarta cappella di legno dorato che custodiva il sarcofago e le tre bare del faraone è conservata presso il Museo egizio del Cairo.
BRIDGEMAN / ACI
IL NOME CANCELLATO
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DI CHI ERA LA MASCHERA?
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a maschera d’oro è uno dei reperti più spesso citati a sostegno della tesi che parte del corredo di Merytaton sia stato riutilizzato per i funerali del fratello. Si tratta di un oggetto composto da varie parti: il viso, le orecchie, la barba, il copricapo nemes. Il fatto che il volto sia di un colore leggermente diverso dal resto della maschera ha spinto a ipotizzare che l’originale fosse stato rimosso e sostituito con un altro dai tratti maschili. Questa teoria è stata recentemente messa in dubbio dalla scoperta – effettuata grazie a uno studio ai raggi X – che tutte le differenti parti hanno la stessa composizione metallica. Ma ciò non risolve in maniera definitiva il mistero, perché sul bordo della maschera, in prossimità della spalla sinistra, si possono notare al di sotto del nome del sovrano lievissime tracce di una parola rimossa. Non tutti gli egittologi però concordano su quale sia questa parola. Secondo Nicholas Reeves, sarebbe il nome di Nefertiti; mentre per Marc Gabolde si tratterebbe di quello di Merytaton.
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Maschera di Tutankhamon. È il pezzo più conosciuto del tesoro del faraone. Museo egizio, Il Cairo.
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I braccioli del trono sono formati da due cobra alati con la doppia corona in testa. Alle estremitĂ , due cartigli con il nome del re.
Le trachee di legno sono quanto rimane dei simboli sema-tauy che sostenevano la struttura del trono. 44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Due teste di leone adornano la parte anteriore. Le gambe del trono sono a forma di zampe dello stesso animale.
7 TROPPO TEM P O SEDU TO
IL TRONO DI UN RE BAMBINO
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no degli elementi principali del corredo di Tutankhamon è il trono, un elaborato sedile di legno ricoperto da una lamina d’oro che gli conferisce una caratteristica lucentezza. Forse non si tratta dello scanno usato per l’incoronazione, ma di una sedia cerimoniale su cui il faraone trascorse molto tempo da bambino. Secondo Marc Gabolde, quest’ipotesi potrebbe essere confermata da alcuni elementi della decorazione, o meglio dalla loro assenza. Infatti a un’attenta osservazione emerge che nella parte inferiore della sedia mancano quasi tutte le parti di un simbolo imprescindibile per un trono regale: il sema-tauy. Questo emblema è costituito dai fiori dinastici dell’Egitto, il loto e il papiro, intrecciati attorno al geroglifico di una trachea e rappresenta il concetto di “unione delle due terre”. La mancanza del sema-tauy può essere spiegata dal fatto che il trono fu costruito per un adulto, e Tutankhamon lo utilizzò tra i sette e gli otto anni. E quando un bambino di quell’età passa troppo tempo seduto diventa irrequieto e comincia a muovere le gambe e a battere i talloni sulla sedia, proprio lì dove il sema-tauy è intagliato su un fragile supporto di legno. Forse così gli elementi frontali del trono si ruppero, e qualcuno decise che era meglio rimuoverli tutti per ragioni di simmetria. L’unica decorazione inferiore rimasta al suo posto è la trachea di legno.
La predella decorata con tre nubiani e tre asiatici permetteva al re di sottomettere simbolicamente i suoi nemici ogni volta che ci poggiava i piedi sopra.
DEA / GETTY IMAGES
TRACCE DI AMARNA
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La decorazione del trono dorato è nello stile del regno di Akhenaton, il faraone che sostituì il politeismo con il culto del dio Aton. Ecco perché sopra la coppia reale si vedono i raggi solari che terminano in mani, simbolo del dio Aton. Questo dettaglio e il fatto che i nomi di Aton furono sostituiti da quelli di Amon hanno portato l’egittologo Marc Gabolde a ipotizzare che il trono fosse stato costruito per Akhenaton, forse originariamente raffigurato sullo schienale intento a farsi cospargere di unguenti dalla moglie Nefertiti. In seguito i nomi di entrambi sarebbero stati modificati per diventare quelli della sorella Ankhesenamon e del nuovo faraone Tutankhamon.
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LA BATTAGLIA DELLE
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DIFESA A OLTRANZA
«Alla maggior parte di loro, intanto, s’erano ormai spezzate le lance, ma massacravano i persiani a colpi di spada», racconta Erodoto. Scena della battaglia, di Stanley Meltzoff. BRIDGEMAN / ACI
PILI
La lotta dei trecento guerrieri spartani guidati da re Leonida contro l’invasore persiano presso il passo delle Termopili costituisce un episodio glorioso della storia della Grecia antica STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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INVASIONE E SCONFITTA PERSIANA
La mappa qui sopra mostra l’avanzata terrestre e marittima dei persiani nella campagna del 480-479 a.C.
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LE GUERRE PERSIANE
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ll’inizio del mese di giugno del 480 a.C. l’esercito persiano attraversò l’Ellesponto grazie a due ponti di barche e penetrò in Occidente. Il grande re achemenide Serse aveva deciso di guidare personalmente quella spedizione contro i greci allo scopo di vendicare la sconfitta subita dieci anni prima da suo padre Dario sulla pianura di Maratona, nei pressi di Atene. Tuttavia, gli accurati preparativi e le dimensioni del suo esercito indicavano un obiettivo più ambizioso: la sottomissione dell’intera Grecia. Secondo Erodoto, l’esercito persiano era composto da un milione e 700mila fanti e
499 A.C. Le città greche dell’Asia Minore si ribellano all’impero persiano e chiedono aiuto ai loro compatrioti della Grecia continentale. La rivolta viene repressa nel 494 a.C.
La capitale persiana fu fondata da Dario il Grande, che diede inizio alla guerra contro la Grecia, poi proseguita dal figlio Serse.
80mila cavalieri, più una flotta di 1.200 navi che doveva fornire supporto militare e logistico. Si tratta probabilmente di un’esagerazione. Le stime moderne parlano più ragionevolmente di 80mila soldati in forze di terra e seicento navi. In ogni caso era un esercito gigantesco, la cui avanzata attraverso la Tracia, la Macedonia e la Tessaglia non trovò ostacoli: le diverse popolazioni si arresero senza combattere, terrorizzate dal potere e dalla fama del re persiano. Ma quando, a metà agosto, Serse arrivò alle Termopili trovò qualcuno pronto a tenergli testa. Il passo delle Termopili era il punto di accesso più rapido per raggiungere la Grecia
490 A.C. Dario I decide di punire Atene per il suo sostegno ai greci dell’Asia Minore, ma Milziade infligge una pesante sconfitta all’esercito persiano nella pianura di Maratona.
480 A.C. Serse lancia una nuova invasione della Grecia. L’esercito persiano è frenato dagli spartani alle Termopili e la flotta viene sconfitta dagli ateniesi a Salamina.
SHUTTERSTOCK
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
ROVINE DI PERSEPOLI
479 A.C. Nella decisiva battaglia di Platea l’esercito greco, guidato dal generale spartano Pausania, sconfigge ed espelle definitivamente i persiani dalla Grecia.
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IL GRAN RE DEI PERSIANI
Questo darico in oro del V secolo a.C. mostra l’effigie di un re persiano, probabilmente Serse I, armato di arco e lancia.
Un muro di soldati greci
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In realtà Leonida non cercava una battaglia campale. Il suo piano era fermare Serse in quel passo dove i persiani non avrebbero potuto far valere la loro superiorità numerica né usare la cavalleria, mentre le navi greche avrebbero sconfitto la flotta nemica nella zona degli stretti a nord della vicina Eubea. Ma non appena i suoi uomini si furono insediati, Leonida venne a sapere dell’esistenza di un cammino di montagna, il sentiero Anopea, che permetteva di aggirare la loro posizione. Ormai non c’era tempo per modificare
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CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
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centrale dalla pianura della Tessaglia. Le truppe elleniche si erano insediate nella zona alcune settimane prima, ma con pochi effettivi: circa settemila uomini provenienti da varie città, tra cui quattrocento tebani, settecento tespiesi e mille focesi. Sparta aveva inviato soltanto trecento uomini agli ordini di Leonida. Il re spartano aveva all’incirca cinquant’anni ed era salito al trono nel 488 a.C. circa, in seguito alla morte senza eredi del sovrano precedente, Cleomene, suo fratellastro. I trecento erano un corpo d’élite dell’esercito spartano composto da giovani tra i venti e i trent’anni che combattevano accanto al re in battaglia. Ma questa volta Leonida scelse personalmente chi ne avrebbe fatto parte: voleva che in questa spedizione lo accompagnassero solo soldati con discendenti, in modo che la loro stirpe non si estinguesse. Il re sapeva che le possibilità di sopravvivere erano scarse. Racconta Plutarco che quando chiesero a Leonida se fosse disposto a correre un rischio simile con così pochi uomini, il re rispose: «Sono anche troppi per quello che dovremo fare». Nonostante contribuisse con un numero esiguo di soldati, Leonida assunse il comando supremo della spedizione grazie al suo status personale e alla riconosciuta fama dei guerrieri spartani.
3 All’alba del terzo giorno i persiani avanzano lungo il sentiero Anopea e sorprendono i greci dalle retrovie.
1 Il primo giorno i greci lanciano un’offensiva: tendono un’imboscata ai persiani fingendo di ritirarsi e poi uccidono molti di loro.
quanto era stato pianificato di comune accordo con la flotta. Leonida fece riparare il muro costruito dagli abitanti della Focide tempo addietro e affidò il compito di presidiare il sentiero allo stesso contingente focese. Serse si accampò davanti alle Termopili e lasciò trascorrere quattro giorni, convinto che i greci si sarebbero fatti prendere dal panico alla vista del suo grande esercito e si sarebbero ritirati. Secondo Plutarco, il sovrano persiano inviò un messaggero a Leonida
Leonida venne a sapere dell’esistenza di un sentiero che permetteva di aggirare la propria posizione LEONIDA. BUSTO IN MARMO DEL V SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO, SPARTA.
2 Il secondo giorno un pastore di nome Efialte rivela ai persiani l’esistenza del sentiero Anopea che permette di aggirare il passo.
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4 Più tardi Leonida e i suoi ultimi fedeli muoiono in un disperato tentativo di resistere all’assalto persiano.
per esortarlo a salvare la vita dei suoi uomini deponendo le armi, ma lo spartano rispose così: «Vieni a prendertele». Il quinto giorno Serse diede ai suoi soldati l’ordine di attaccare. Il vantaggio numerico era inutile in quello spazio ridotto. Ai persiani non mancavano certo coraggio e vigore, ma erano mal addestrati e non avevano armi pesanti. Le loro spade erano più corte di quelle dei greci, e i loro scudi più piccoli e di vimini; combattevano indossando pantaloni larghi e con il turbante in testa. Anche gli archi e le frecce dell’esercito achemenide si rivelarono inutili contro i robusti scudi ellenici. Avendo udito un compagno affermare che la pioggia di frecce scagliate dai persiani avrebbe oscurato il sole, lo spartano Dienece rispose sem-
SEI CHILOMETRI DI GOLA MORTALE era uno stretto lembo di terra che si apriva tra le montagne e il mare, per una lunghezza di sei chilometri. Aveva tre restringimenti, che nell’antichità erano chiamati “porte”: uno a occidente, davanti al quale era schierato l’esercito di Serse; uno a oriente e uno al centro, meglio conosciuto come Termopili. Il termine significa “porte calde” per la presenza di alcune sorgenti termali nella zona. Le porte alle estremità erano talmente strette che, secondo quanto racconta Erodoto, poteva transitarvi solamente un carro per volta. Ciononostante, la porta centrale era più larga, tanto che molti anni prima i focesi avevano costruito un muro per fermare le incursioni dei tessali del nord.
IL PASSO DELLE TERMOPILI
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POPOLI IN GUERRA
Questa scena di una ceramica ateniese del V secolo a.C. mostra un oplita con uno scudo raffigurante un cavallo alato, intento a sottomettere un guerriero persiano.
plicemente: «Tanto meglio, così combatteremo all’ombra». Inoltre, i greci erano abituati a schierarsi in formazione a falange, spalla a spalla, pertanto i nemici si trovavano di fronte a un muro di scudi. Furono soprattutto gli spartani a distinguersi per le loro grandi doti militari, frutto di un’esistenza votata anima e corpo alla milizia. Erodoto descrive così una delle loro tattiche: «Tutte le volte che voltavano le spalle e accennavano a fuggire mantenevano serrate le file; i barbari, vedendoli ritirarsi si lanciavano all’attacco con urla e frastuono; ma gli spartani, appena raggiunti, si voltavano e li affrontavano, e con questa tattica abbatterono un numero incalcolabile di persiani».
Un tradimento Verso il termine della giornata, mentre i greci continuavano a respingere i nemici uccidendo molti di loro, Serse convocò i suoi corpi d’élite composti da diecimila uomini agli ordini di Idarne. I greci li chiamavano “gli immortali” perché ogni perdita veniva immediatamente rimpiazzata in modo che il numero degli effettivi restasse sempre costante. Il nome persiano era anusiya, che significa“compagni”, in quanto erano una sorta di milizia personale del re. Ma neppure loro riuscirono a piegare la resistenza greca e furono costretti a ritirarsi. Serse, che seduto su un trono d’oro osservava la battaglia dal versante di una vicina montagna, si alzò più volte di scatto, furioso per il fallimento delle sue truppe. Il giorno seguente i persiani attaccarono di nuovo, ma senza miglior esito. Quando Serse ormai cominciava a disperare, si presentò un pastore del luogo di nome Efialte. Quest’ultimo rivelò al sovrano l’esistenza del sentiero Anopea, che conduceva alla porta orientale attraverso il crinale della montagna, permettendo di aggirare le postazioni greche. In cambio di una buona ricompensa Efialte
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si offrì di fare da guida ai soldati persiani. Serse affidò l’impresa a Idarne e ai suoi “immortali”. Questi lasciarono l’accampamento verso l’ora del tramonto e marciarono lungo il sentiero tutta la notte. Al sorgere del sole i persiani raggiunsero indisturbati il punto più alto, protetti alla vista da un fitto bosco di querce. I focesi che presidiavano il passaggio si accorsero della loro presenza solo grazie al rumore di foglie calpestate, ma ormai era troppo tardi. Quando
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Nemmeno gli “immortali”, i corpi d’élite persiani, riuscirono a superare la resistenza dei greci e dovettero ritirarsi ARCIERE PERSIANO. FREGIO DEL PALAZZO DI DARIO I A SUSA. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. 52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IL SACRIFICIO DI LEONIDA
Sapendo di essere circondato dall’esercito persiano, Leonida esortò il grosso dei suoi uomini a mettersi in salvo. Lui rimase a difendere il passo con un contingente scelto.
Idarne apparve davanti a loro erano ancora intenti a indossare le armi. Il comandante persiano temeva che tra di loro potessero esserci dei soldati spartani, ma Efialte lo rassicurò su questo punto. Allora i persiani scagliarono una pioggia di frecce, che costrinse gli avversari a ritirarsi sulle cime più impervie. Idarne non si curò d’inseguirli e preferì iniziare a scendere quanto più rapidamente possibile. Quella stessa notte, grazie a un disertore Leonida venne a sapere della manovra di accerchiamento delle truppe di Serse. La notizia fu confermata all’alba da alcune sentinelle che corsero giù dalle alture. Nell’accampamento c’era grandissima confusione. Leonida convocò un consiglio di guerra. Sentite le diverse opinioni, il sovrano prese una decisione
OMAGGIO AGLI EROI CADUTI DOPO LA MORTE IN BATTAGLIA Leonida venne sepolto come
gli altri soldati alle Termopili, dove fu eretto un monumento funebre in pietra a forma di leone. Il poeta Simonide v’incise un epitaffio di solenne semplicità: «Straniero, porta agli spartani la notizia che noi giacciamo qui, in obbedienza ai loro ordini». Nel 440 a.C. le ossa di Leonida furono trasferite a Sparta per celebrare i funerali pubblici che gli spettavano in quanto re. Sulla sua tomba fu eretta una stele con i nomi di tutti gli spartani che erano morti al suo fianco in battaglia. Erodoto la vide e poté leggere quei nomi in prima persona. In epoca ellenistica furono indette delle festività in onore di Leonida associate al culto eroico che gli veniva tributato in un piccolo tempio. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA VENDETTA DI ALESSANDRO
Questo particolare di un sarcofago di marmo raffigura Alessandro Magno a cavallo durante l’invasione dell’impero persiano. 310 a.C. Museo archeologico, Istanbul.
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La nascita di una leggenda Il re spartano avvertì la flotta posizionata ad Artemisio che la loro resistenza non sarebbe durata ancora a lungo, quindi permise a chi lo volesse di abbandonare il campo di battaglia. Si ritirarono tutti tranne i tebani e i tespiesi. Pur non essendo spartano, l’indovino Megistia pregò il sovrano di concedergli il privilegio di morire al suo fianco ma di permettere al figlio di andarsene. Di fronte ai guerrieri che mangiavano per prepararsi allo scontro, Leonida disse con macabro umorismo: «Nutritevi bene, perché questa notte ceneremo nell’Ade», cioè nell’aldilà. Poi presero le armi e si schierarono in formazione di battaglia. Quel giorno Serse non aveva fretta di attaccare, perché doveva lasciare a Idarne il tempo di completare la manovra di aggiramento. Secondo Erodoto, il re offrì libagioni al Sole nascente, che era particolarmente venerato dai persiani, e aspettò «l’ora in cui la piazza del mercato è più affollata» (metà mattina, verso le dieci). Leonida decise che era giunto il momento di abbandonare la protezione del muro focese e di cercare lo scontro in spazi più aperti, dove avrebbe potuto dispiegare tutti i suoi uomini e uccidere il maggior numero di nemici. I persiani attaccarono in disordine, spinti dai loro ufficiali, che li spronavano a frustate. Molti caddero dalla scogliera e annegarono in mare, altri furono calpestati a morte dai loro stessi compagni perché, sempre secondo Erodoto, nessuno si preoccupava di chi finiva a terra. Ormai consapevoli del fatto che la loro fine
era vicina, i greci si batterono con frenesia e sprezzo del pericolo. Se gli si spezzavano le lance, continuavano a massacrare i nemici a colpi di spada. Fu allora che cadde Leonida. Intorno a lui si accese una mischia furibonda. Gli spartani attaccarono tre volte i persiani e al quarto tentativo riuscirono a spingerli indietro abbastanza da recuperare il corpo del loro re. Quando vennero a sapere dell’imminente arrivo degli “immortali” di Idarne, spartani e tespiesi si ritirarono dietro il muro e presero posizione sulla collina di Kolonos, un luogo più favorevole allo scontro finale. Chi ormai non aveva più la spada, si difese con i pugni e con i denti. I persiani abbatterono il muro e circondarono gli avversari, ma preferirono evitare la lotta corpo a corpo e li finirono a colpi di frecce. I tebani, che si erano ritirati quando avevano capito quanto fosse disperata la situazione, si arresero. Secondo Erodoto, dissero che Tebe era dalla parte dei persiani e che loro erano lì soltanto perché costretti. Ma molti di essi furono comunque uccisi. Anche i sopravvissuti affrontarono un tragico destino: per ordine di Serse furono marchiati sulla fronte come schiavi. Il sovrano achemenide avanzò tra i cadaveri, e quando gli indicarono il corpo di Leonida, ordinò che gli fosse tagliata la testa e che fosse piantata su un palo. Il sacrificio di Leonida e dei suoi uomini assunse un significato particolare: consolidò il prestigio di Sparta e risollevò il morale di tutti i greci, che continuarono a lottare per la propria terra e il proprio stile di vita. Dopo le Termopili ottennero grandi vittorie a Salamina e a Platea, due battaglie che si rivelarono decisive per le sorti della guerra. Ma, come scrive lo storico Diodoro, «tra tutti coloro che hanno lasciato un ricordo, solo loro, nella sconfitta, sono diventati più famosi di chi ha ottenuto le più brillanti vittorie». JAVIER MURCIA ORTUÑO FILOLOGO. AUTORE DI ESPARTA
Per saperne di più
TESTI
Storie Erodoto. Mondadori, Milano, 1988. ROMANZI
300 guerrieri. La battaglia delle Termopili Andrea Frediani. Newton Compton, Roma, 2014.
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risoluta: i suoi trecento uomini avrebbero mantenuto la loro posizione. Il senso dell’onore e il desiderio di gloria gli impedivano di ritirarsi. Per uno spartano, allevato nella più rigorosa disciplina militare, c’erano solo due opzioni: vincere o morire. Inoltre, secondo Erodoto, Leonida era a conoscenza di un oracolo della Pizia secondo il quale Sparta sarebbe stata distrutta dai barbari oppure il suo re sarebbe morto, e quindi ritenne forse di poter salvare la patria con il suo sacrificio.
LA BATAGLIA DELLE TERMOPILI
In quest’olio il pittore italiano Massimo D’Azeglio ha rappresentatoun momento dello scontro. 1823. Galleria civica d’arte moderna, Torino.
UNO SPARTANO NON SI ARRENDE MAI Alle Termopili Leonida autorizzò uno dei suoi uomini, Aristodemo, a ritirarsi senza combattere a causa di un problema agli occhi. gno. Non poteva partecipare ai cori, quando era in strada doveva farsi in disparte per cedere il passo agli altri ed era costretto a lasciare il posto anche ai più giovani. Commenta lo storico Senofonte: «Non c’è da stupirsi che là si preferisca la morte a una vita d’ignominia». Il tormento di Aristodemo non durò a lungo. L’anno successivo combatté di nuovo contro i persiani nella battaglia di Platea. Lottò con disperazione per redimersi dall’onta delle Termopili, fino a trovare la tanto agognata morte.
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quando aristodemo tornò a Sparta fu vittima del disprezzo dei suoi concittadini, soprattutto perché un altro soldato con un analogo disturbo alla vista, Eurito, si era sacrificato con il suo capo. Secondo Erodoto, Aristodemo fu emarginato in questo modo: «Nessuno spartiata gli accendeva il fuoco o gli rivolgeva la parola; subì l’onta di sentirsi chiamare “Aristodemo il vigliacco”». Nessuno voleva condividere la tenda con lui e in palestra fu escluso dai giochi perché non riusciva a trovare un compa-
SPARTANI ALLA BATTAGLIA DI PLATEA. ILLUSTRAZIONE DI EDWARD OLLIER PER LA STORIA UNIVERSALE ILLUSTRATA DI CASSELL. 1890.
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UN SOPRAVVISSUTO DELLA BATTAGLIA DELLE TERMOPILI, SICURAMENTE ARISTODEMO, VIENE RIPUDIATO DAI SUOI COMPATRIOTI AL RITORNO A CASA. DISEGNO DI FELIX AUVRAY. XIX SECOLO.
CASTEL SANT’ANGELO
Nel V secolo il mausoleo di Adriano fu trasformato in un castellum (fortezza) che protesse la zona del Vaticano dal sacco dei visigoti del 410 e dai vandali nel 455. FRANCK GUIZIOU / GTRES
MAUSOLEI LA GLORIA POSTUMA DEGLI IMPERATORI ROMANI
Ottaviano Augusto eresse a Roma un magnifico monumento funebre destinato a ospitare le ceneri dei suoi parenti. Adriano e altri imperatori seguirono il suo esempio creando imponenti mausolei
L
a mattina del 19 agosto del 14 d.C. il primo imperatore di Roma agonizzava nella sua villa di Nola, in Campania. Secondo Svetonio, l’ambiziosa e fedele moglie Livia aveva avvelenato i fichi che tanto piacevano al princeps per porre fine ai suoi oltre quarant’anni di governo e facilitare così l’ascesa al trono del figlio Tiberio. Ottaviano Augusto morì poche ore dopo, all’età di settantacinque anni, dieci mesi e ventisei giorni. La sua salma fu trasportata a Roma per i funerali pubblici. I resti furono deposti nella tomba che lui stesso aveva fatto costruire quarantatré anni prima, quando ancora non aveva ricevuto il titolo di Augusto né assunto tutte le cariche che avrebbero reso il suo potere quasi assoluto.
I lavori di costruzione dello spettacolare pantheon che accolse le ceneri del princeps erano iniziati tra il 29 e il 28 a.C., poco dopo la vittoria di Ottaviano su Marco Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio. Se Marco Antonio aveva espresso nel suo testamento il desiderio di essere sepolto ad Alessandria accanto alla moglie – ambiva infatti a fondare un potente regno orientale governato dall’Egitto –, il trentaquattrenne Ottaviano Augusto fece erigere il suo monumento funebre in uno dei luoghi più sacri della città, il Campo Marzio, in segno di assoluta fedeltà a Roma, alla quale voleva garantire il suo status di capitale. La tomba della dinastia Giulio-Claudia seguiva i gusti dell’epoca: Ottaviano fece costruire un monumento che, per dimensioni e stile architettonico, potesse rappresentare a pieno la ricchezza
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TOMBE REGALI
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AUGUSTO. CAMMEO RIUTILIZZATO SULLA CROCE DI LOTARIO. AQUISGRANA.
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Una tomba monumentale
29-28 a.C.
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Ottaviano ordina la costruzione di un mausoleo in cui deporre i suoi resti mortali e quelli della dinastia Giulio-Claudia.
L’imperatore Adriano fa erigere per i membri della sua famiglia un nuovo mausoleo imperiale, l’attuale Castel Sant’Angelo.
ROMA VISTA DAL CIELO
Augusto fece erigere il suo mausoleo all’estremità settentrionale del Campo Marzio, un’area riservata agli eroi o ai salvatori della patria. Di fronte a esso si trova oggi il museo che ospita l’Ara Pacis, l’altare fatto costruire da Augusto nelle vicinanze del mausoleo.
217-219
222-235
252-268
306-312
Le spoglie mortali di Giulia Domna e Geta, moglie e figlio di Settimio Severo, vengono deposti nel mausoleo di Adriano.
Viene eretto un tumulo imperiale nei pressi della via Tuscolana, forse per volontà di Alessandro Severo, ma l’attribuzione è incerta.
L’imperatore Gallieno ordina l’edificazione di un mausoleo di 13 m di diametro sul nono miglio della via Appia.
Massenzio, rivale di Costantino, costruisce un mausoleo nella sua villa imperiale, ma non vi sarà sepolto.
e il potere del committente. In quegli anni, accanto alle vie di accesso alla città, si susseguivano i grandi sepolcri dell’aristocrazia che imitavano i modelli ellenistici della Magna Grecia, dell’Asia Minore e dell’Egitto: tombe per lo più a forma di altare, di cubo o di tempio. A volte i progetti erano più originali, come nel caso della piramide di Caio Cestio eretta accanto alla porta Ostiense (oggi porta San Paolo). Questi monumenti non avevano nulla a che spartire con le umili tombe della plebe, semplici fosse coperte da strutture di tegole a due spioventi e posizionate lontano dalle strade principali. Il tumulo circolare, la struttura che Ottaviano Augusto aveva scelto per il sepolcro della dinastia Giulio-Claudia, era molto insolito nella Roma di fine età repubblicana, perché veniva direttamente associato alla monarchia, che i romani detestavano fin dai tempi di Tarquinio il Superbo. L’imperatore voleva emulare la tomba del mitico Enea a Lavinio, i sepolcri dinastici dei re ellenistici e i grandi tumuli eroici del periodo arcaico (simili, nel loro aspetto esteriore, ai grandi tumuli etruschi). Intendeva così mostrare a tutti il suo desiderio di essere il monarca di Roma.
Il ricordo di un grande uomo Probabilmente Ottaviano si era ispirato alla tomba ormai scomparsa dei re tolemaici ad Alessandria, dove giacevano le spoglie di Alessandro Magno. Augusto l’aveva visitata nel 30 a.C. dopo aver conquistato l’Egitto e poco prima di rientrare a Roma. Solo un anno più tardi avrebbe iniziato la costruzione del suo mausoleo nella capitale. Secondo Svetonio, l’imperatore entrò nel sepolcro reale per rendere omaggio al condottiero macedone che tanto ammirava e non degnò di uno sguardo i resti degli altri sovrani: «Quando gli chiesero se voleva visitare anche la tomba di Tolomeo, rispose che era lì per vedere un re,
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ILLUSTRAZIONE 3D: VALOR-LLIMÓS ARQUITECTURA
L’imperatore s’ispirò probabilmente alla tomba della dinastia dei Tolomei ad Alessandria, che custodiva le spoglie di Alessandro Magno
IL TUMULO DI AUGUSTO IL TUMULO augusteo era costituito da due tamburi circolari concentrici, uno esterno, rivestito di marmo, e l’altro interno, di diametro minore e altezza maggiore, al centro del quale si trovava la cella sepolcrale a cui si accedeva tramite un lungo corridoio a volta. Lo spazio tra i due cilindri era occupato da un pendio ricoperto di terra e sorretto da muri
di sostegno, che ospitava un giardino alberato visibile da grande distanza. Il tumulo era sormontato dalla statua del defunto, posta su una colonna ancorata al centro della cella. Davanti all’ingresso del monumento erano collocati due obelischi provenienti dall’Egitto. Il testamento di Augusto fu iscritto su una grande lastra di marmo; questo testo, conosciuto come Res gestae divi Augusti, (le imprese del divino Augusto), è giunto fino ai nostri giorni grazie a un’incisione sulle pareti del Monumentum Ancyranum (tempio di Augusto e Roma ad Ankara).
non dei cadaveri». I romani assistettero alla costruzione del mausoleo di Augusto sorpresi dalle sue dimensioni. La tomba raggiungeva un’altezza di quarantacinque metri per un diametro di ottantasette. Scrisse Strabone: «Il monumento più notevole è il cosiddetto Mausoleo, un grande tumulo di terra innalzato presso il fiume sopra un’alta base rotonda di marmo bianco, tutto ombreggiato da alberi sempreverdi, fino alla cima, sulla quale era la statua di Cesare Augusto, in bronzo dorato. E sotto quel tumulo vi erano le celle sepolcrali di lui, dei suoi parenti e degli amici più intimi. Dietro c’è un grande bosco sacro che offre splendide passeggiate».
Alla morte di Augusto nel 14 d.C. il senato decretò dei funerali pubblici. Secondo le testimonianze dell’epoca il feretro ornato d’oro e d’avorio fu trasportato al foro dalla folla convocata dai banditori. Vennero letti due elogi funebri: uno dall’erede designato, Tiberio, davanti al tempio del Divo Giulio (dedicato a Giulio Cesare), dov’era stato montato un palco; e un altro dal figlio di Tiberio, Druso Minore, dalla tribuna dei rostri. Terminati gli eventi pubblici nel foro, il corteo funebre si diresse verso il luogo della cremazione, l’ustrino, in Campo Marzio, dove il corpo dell’imperatore fu bruciato su un’alta pira di legno di cipresso cosparsa di profumi e d’incenso. Bisogna ricordare che nei primi secoli dell’era volgare la cremazione era piuttosto comune, e fino all’affermarsi del cristianesimo gli imperatori la preferirono all’inumazione. Secondo Plinio il Vecchio, accanto alla pira si collocavano dipinti che ricordavano gli eventi principali della vita del defunto e alcuni oggetti preziosi come armi, anfore e vesti. Mentre il corpo bruciava, si gettavano nel fuoco doni di grande valore e si faceva l’ultima conclamatio, cioè l’invocazione del nome del defunto. Una volta spentasi la pira, si procedeva alla raccolta delle ossa carbonizzate. Quindi le ceneri venivano separate dal resto tramite un foglio di amianto, poi erano depositate in un’urna che i parenti collocavano nel sepolcro. A partire da quel momento l’ustrino imperiale diventava un luogo di culto pubblico, dove 64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Il funerale imperiale di Augusto
NELLA CELLA DEL MAUSOLEO Il centro del mausoleo di Augusto era occupato dalla cella sepolcrale. Un pilastro (a destra) reggeva il peso della grande statua in bronzo dell’imperatore che sormontava il tumulo. Nonostante i numerosi saccheggi che hanno danneggiato le de-
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corazioni della sala, gli archeologi hanno recuperato alcuni frammenti delle grandi urne cinerarie che si trovavano all’interno. L’urna di Nerone Cesare (sulla sinistra dell’immagine superiore), insieme a quella della madre Agrippina maggiore, finì al mercato capitolino, trasformata in una mensa ponderaria (che serviva a verificare la precisione delle misure in uso nelle attività commerciali), mentre le lastre di marmo dell’urna di Tiberio (a destra) furono utilizzate per costruire la bocca di un pozzo nella basilica dei Santi Apostoli. Le lapidi sul muro riproducono le iscrizioni sulle urne, che sono state ricostruite a partire da antiche incisioni.
LA TOMBA DI ADRIANO
si svolgevano periodicamente sacrifici per ricordare il defunto. Invece il sepolcro (o, nel caso di Augusto, il mausoleo) ospitava i riti religiosi celebrati privatamente dalla famiglia del morto nell’anniversario della sua nascita e durante le Parentalia (festività romane dedicate ai parenti scomparsi). Le ceneri di Augusto non furono le prime a essere deposte nel suo mausoleo. Il tumulo fu inaugurato nel 23 a.C. con le spoglie di Marco Claudio Marcello, nipote e genero dell’imperatore, forse anch’egli avvelenato da Livia. Successivamente il monumento accolse le urne di quasi tutti i membri della dinastia Giulio-Claudia, così come quelle di alcuni imperatori successivi. Dopo i funerali di Marciana, Plotina e Salonina Matidia (rispettivamente sorella, moglie e nipote di Traiano), il sepolcro era ormai talmente saturo di urne, statue e piedistalli d’onore che s’iniziò a pensare alla costruzione di un nuovo pantheon.
Il sepolcro eretto dall’imperatore Adriano a Roma s’ispirava al mausoleo della dinastia Giulio-Claudia, ma presentava alcune innovazioni. Situato sulle rive del Tevere, di fronte al ponte Elio, che collegava il Campo Marzio con il Campo Vaticano, era costituito da una base di pietra lunga 89 m e alta 15 m, e da un tamburo circolare di 64 m di diametro e 21 m di altezza. All’interno, una rampa elicoidale rivestita in marmo conduceva alla cella funeraria quadrata, di 8 m di lato, dove furono depositate le urne cinerarie della famiglia imperiale.
Il nuovo mausoleo imperiale
Per collegare il mausoleo di Adriano e il Campo Marzio, dove venivano cremati gli imperatori, fu costruito un ponte sul Tevere 66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Quando Adriano decise di erigere una seconda tomba dinastica, il modello architettonico del sepolcro imperiale era ormai definito, anche se furono introdotte piccole varianti. Nel 130 d.C. Adriano ordinò la costruzione del nuovo tumulo in una proprietà ereditata dalla madre, Domizia Paolina Maggiore: gli horti Domitiae, situati sulla riva destra del Tevere, vicino al Vaticano. La scelta rese necessaria la costruzione di un ponte per congiungere il mausoleo con il vicino Campo Marzio, dove si trovavano le zone adibite alla cremazione. Quando nel 138 d.C. l’imperatore morì a Baia, il suo mausoleo non era ancora finito. Fu così necessario deporre provvisoriamente le sue spoglie nella tomba della dinastia degli Aelii, alla quale apparteneva, situata anch’essa negli horti Domitiae. Lì riposavano le ceneri della moglie Sabina e di Lucio Elio Cesare, che era stato adottato dal sovrano
ma era morto prima di lui. Fu Antonino Pio, l’erede al trono, a inaugurare ufficialmente il mausoleo di Adriano e a far incidere il nome di quest’ultimo sulla porta d’ingresso. Le urne della gens Aelia vennero quindi trasferite e collocate nelle camere funerarie situate attorno alla rampa elicoidale che costeggiava il grande cilindro centrale. Su una parete si può ancora leggere una breve poesia scritta dallo stesso Adriano, che testimonia la sua concezione dell’aldilà: «Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti». Il mausoleo accolse i resti di tutti i membri della dinastia degli Aelii, degli Antonini, dei Domizi e alcuni membri della dinastia dei Severi. Gli ultimi a esservi sepolti furono Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, e suo figlio Geta, nel 217 e nel 219 d.C.
LA CUPOLA NASCOSTA Sebbene questa incisione del monte del Grano, opera di Henry Moses (1814), contenga alcune licenze, dà un’idea della struttura interna del monumento. Vi si accedeva attraverso un corridoio lungo 21 metri che portava alla camera sepolcrale coperta da una grande cupola. Illuminata da lucernari obliqui, la cella era divisa in due livelli da una volta in seguito crollata.
L’instabilità politica del III secolo non spense i sogni di grandezza di alcune famiglie imperiali, pronte a fare della loro tomba un emblema di continuità dinastica. Ma gli imperatori successivi decisero di spostare i loro monumenti funebri fuori dal centro urbano di Roma e di ridurne notevolmente le dimensioni. Venne meno anche il giardino ad anello caratteristico del modello augusteo. Accanto alla via Tuscolana fu eretto il terzo tumulo reale di Roma (il cosiddetto monte del Grano), attribuito ad Alessandro Severo, con un diametro di oltre trenta metri; Gallieno costruì un mausoleo più piccolo, di tredici metri, sulla via Appia, e Massenzio fece inserire il sepolcro della sua dinastia, gli Erculei, in un complesso situato tra il secondo e il terzo miglio della stessa via Appia. Ma nei decenni successivi gli imperatori cristiani, a cominciare da Costantino, preferirono essere inumati – e non più cremati – in tombe di modeste dimensioni accanto a quelle dei martiri e dei santi cristiani. ELENA CASTILLO FILOLOGA E ARCHEOLOGA
Per saperne di più
SAGGI
Roma imperiale. Una metropoli antica E. Lo Cascio (a cura di). Carocci, Roma, 2010.
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WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
Gli ultimi mausolei
IL MAUSOLEO DI SEVERO A metà del II secolo, lungo la via Tuscolana, a sud-est di Roma, fu eretto un mausoleo a forma di tumulo. Situato nella campagna romana, il cosiddetto monte del Grano aveva l’aspetto di una collinetta ricoperta di alberi sempreverdi che celava sotto di sé una camera sepolcrale di 10 m di diametro sormontata da una grande cupola. A questa cella si accedeva tramite un corridoio
LA CELLA DEL MAUSOLEO
MARK E. SMITH / SCALA, FIRENZE
di 21 m di lunghezza. Secondo l’umanista cinquecentesco Flaminio Vacca, al suo interno fu ritrovato un elegante sarcofago di marmo (oggi nell’Antiquarium dei Musei capitolini) con un coperchio a forma di letto su cui giacevano due figure, successivamente identificate con l’imperatore Alessandro Severo (222-235) e la madre Giulia Mamea. Per questa ragione si ritenne che il tumulo fosse il mausoleo di Severo. Ma negli ultimi anni si è scoperto che la tomba è precedente, della metà del II secolo , in base alle indicazioni incise sui mattoni. L’attribuzione di questo mausoleo è quindi ancora incerta.
L’immagine mostra l’interno della camera sepolcrale e il corridoio di accesso. Sulle pareti è ancora possibile scorgere parte della cupola che divideva in due il tumulo.
DA GIARDINO AD ARENA il mausoleo di augusto fu variamente riutilizzato fin dal Medioevo. Nel XII secolo i Colonna lo trasformarono in una roccaforte. Nel XVI secolo i nuovi proprietari, gli Orsini, ne cedettero alcuni elementi per l’edificazione del vicino ospedale di San Rocco. Alcuni anni più tardi il mausoleo passò ai Soderini, che ne fecero un giardino pensile. a meta del xviii secolo fu acquistato da un nobile di origine portoghese, Benedetto Correa, che nel 1780 lo diede in affitto a un impresario spagnolo, Bernardo Matas. Questi lo adibì a locanda e costruì sui giardini superiori un’arena per i tori in cui si esibivano toreri spagnoli. La gestione di Matas durò solo tre anni, ma in seguito Correa decise di continuare a organizzare una versione romana della corrida, la cosiddetta “giostra alla bufala”, oltre a fuochi d’artificio e altri spettacoli. Nel XIX secolo il mausoleo fu trasformato in un teatro e auditorium che poteva ospitare fino a 3.500 spettatori.
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negli anni trenta del novecento Benito Mussolini promosse il restauro del tumulo augusteo per farne il monumento centrale della nuova piazza Augusto Imperatore, dove il duce aspirava a essere sepolto. Dopo decenni di abbandono negli ultimi anni è stato avviato un progetto di restauro con criteri scientifici.
GIARDINO RINASCIMENTALE NEL MAUSOLEO DI AUGUSTO. SECOLO XVII.
CORRIDA NELL’ANFITEATRO CORREA. OLIO DI BARTOLOMEO PINELLI. 1810.
PIRAMIDI NELLA SELVA
Conservatesi in modo notevole, le rovine della Palenque maya si ergono in mezzo alla selva Lacandona, nello stato messicano del Chiapas. L’edificio più grande è l’antico palazzo, davanti al quale svetta il tempio delle Iscrizioni. DANNY LEHMAN / GETTY IMAGES
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PALENQUE LO SPLENDORE DI UNA CITTÀ MAYA Nell’VIII secolo d.C. Palenque era una prospera città governata da una dinastia di monarchi ritenuta di origine divina. Nei suoi imponenti templi venivano celebrate complesse cerimonie volte a ottenere il favore degli dei
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G olfo del Messico
Chich’en Itzá
Mayapan Vista ampliata
Tulum
Uxmal Jaina
OCEANO AT L A N T I C O
Mar de i C araibi
Comalcalco Miniera di Santa Fe
Palenque
MESSICO
Calakmul Tikal Naranjo
Pietre nere
BELIZE
Yaxchilán
Toniná
GUATEMALA Kaminaljuyu
AREA DI ESPANSIONE DELLA CIVILTÀ MAYA NEL VII E NELL’VIII SECOLO D.C.
Golfo dell’Honduras
Quiriguá Copán
OCEANO PACIFICO
HONDURAS
EL SALVADOR CARTOGRAFIA: GRADUALMAP
PACAL IL GRANDE
La maschera di giada, le collane e gli altri ornamenti appartengono al più famoso re di Palenque, K’inich Janaab’ Pacal, e sono stati rinvenuti nella sua tomba nel 1952. CLICK ALPS / AWL IMAGES
L’
antica città maya di Lakamha’, oggi nota come Palenque, sorse a partire dal II secolo a.C. ai piedi di Yehmal K’uk’ Lakam Witz, la grande montagna del Quetzal discendente, sopra un piccolo altopiano bagnato da più ruscelli. I primi abitanti si dedicavano all’agricoltura, alla caccia e alla pesca. A mano a mano l’economia di Palenque divenne sempre più florida e, in virtù della posizione strategica di tale centro, la città si guadagnò il controllo sul commercio nelle tierras altas del Chiapas, nelle tierras bajas del Petén, in Guatemala, e nella zona costiera che si affac-
ciava sul golfo del Messico. Palenque sperimentò una rapida crescita che la trasformò nella potenza economica, politica e religiosa della regione. E questo diede pure il via a un incredibile sviluppo delle arti e delle scienze. In particolare permise la costruzione di un imponente complesso di templi e palazzi, con bassorilievi e pitture murali stuccate che raffiguravano gli dei e i governanti. Quella di Palenque era una società gerarchizzata e teocratica, al cui vertice si trovava l’ahaw, o signore, rappresentante di una stirpe di origine divina che si tramandava il potere per via ereditaria. Grazie alla sua autorità l’ahaw garantiva il benessere delle sue genti, controllava la vita dei sudditi e, tramite un sofisticato rituale, si ergeva quale intermediario e interprete degli dei.
La dinastia di Pacal A fondare la dinastia di Palenque fu K’uk’ Balam I, chiamato Quetzal Giaguaro, nel 431 d.C., anche se il più famoso tra i suoi governanti fu senz’altro K’inich Janaab’Pacal, Scudo del Volto Solare, che regnò dal 615 al 638. Pacal il Grande strinse vitali alleanze politiche e commerciali e riportò considerevoli vittorie belliche, che fece poi immortalare in eleganti bassorilievi. Avviò una ristrutturazione della città con opere monumentali, decorate da raffinate sculture e lunghi testi glifici in stucco. È grazie a questi che gli storici conoscono oggi la storia politica e religiosa della città di Palenque e dei territori vicini. La città era formata da un’area civico-religiosa e una residenziale cresciuta attorno alla prima. Il potere civile aveva il suo centro nell’imponente palazzo, l’edificio più importante della città, nonché il più grande. Venne eretto su un’imponente piattaforma rettangolare alta dieci metri e con i lati di cento e di ottanta metri. Sopra questa furono disposti vari edifici, distribuiti attorno a cortili, cor-
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AUGE, DECLINO E FINE 74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
I secolo a.C. A Palenque si sviluppa una prima comunità agricola, che integra la propria economia con caccia, pesca e altre attività.
TEMPIO DELLE ISCRIZIONI
Fu costruito nel VII secolo come mausoleo del re Pacal il Grande. Il sarcofago con il corpo si trovava all’interno di una cripta scoperta dall’archeologo Alberto Ruz nel 1952. CEM CANBAY / AGE FOTOSTOCK
V secolo
VII secolo
IX secolo
470 1785A.C.
S’insedia la dinastia di regnanti o ahaw di Palenque, e ha inizio la costruzione dei templi della città.
Durante il regno di Pacal il Grande, Palenque è la città maya più potente della zona. Viene eretto il tempio delle Iscrizioni.
In questo secolo la città viene man mano abbandonata, e alla fine sarà ricoperta e nascosta dalla selva.
Bis. Valicer udaciest L’architetto Antoniofacio, confertium cri strum Bernasconiqui redige un tem quod su cavo, Pala nonfes rapporto Palenque egervid co hos fuissil che dà impulso a una tandiurnic oportud. missione archeologica. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I TEMPLI DI PALENQUE La Palenque maya era sorta attorno a un grande edificio, il palazzo reale, sede del potere della dinastia regnante. Nelle prossimità si ergevano mausolei dinastici e templi dedicati alle principali divinità.
COMPLESSO DELLE CROCI TEMPIO DELLA CROCE 1 TEMPIO DELLA CROCE FOGLIATA 2 TEMPIO DEL SOLE 3 TEMPIO XIX 4 TEMPIO XX 5
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ZONA DEL NORD-OVEST
ZONA NORD
PALAZZO 6 TEMPIO DELLE ISCRIZIONI 7 TOMBA DELLA REGINA ROSSA 8 TEMPIO DEL TESCHIO 9 TEMPIO XI
TEMPIO X TEMPIO DEL CONTE COMPLESSO NORD
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PALENQUE RIAFFIORA DALLA GIUNGLA
BASSORILIEVO DI PALENQUE IN UN DISEGNO DI JEAN-FRÉDÉRIC WALDECK. 1832.
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NCHE SE ERA NOTO sin dal XVI
secolo, il sito di Palenque rimase nell’oblio fino a quando, nel 1784, venne autorizzata la prima esplorazione ufficiale. Dopo averne ricevuto il resoconto, l’anno seguente il re spagnolo Carlo III, appassionato d’archeologia, finanziò la spedizione di Antonio del Río e del disegnatore Ricardo Almendáriz. Questi arrivarono alla conclusione che la città era stata costruita dai romani con influenze fenicie e greche. Nel 1807 Carlo IV vi mandò lo studioso Guillermo Dupaix, e nel 1807 il francese J-F. de Waldeck si autoproclamò scopritore del sito. Le indagini scientifiche iniziarono alla fine del XIX secolo grazie all’archeologo inglese Alfred Maudslay, anche se l’interesse vero e proprio aumentò dopo che, nel 1952, Alberto Ruz Lhuillier scoprì la tomba di Pacal.
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INCENSIERE IN CERAMICA
L’incensiere assemblato da più pezzi è decorato con l’immagine di un dignitario a noi ignoto. Tempio XVI di Palenque. AKG / ALBUM
ridoi a volta e sotterranei, tra i quali spiccava l’alta torre. L’accurata decorazione di rilievi esterni e interni fornisce un’idea del livello di raffinatezza raggiunto dalla corte di Palenque. Nella città si realizzavano numerosi rituali, nonché pompose celebrazioni presiedute dal re. Durante tali eventi il monarca veniva supportato dall’élite sacerdotale, e grazie a loro rafforzava il proprio consenso e sottolineava la propria origine divina. In tali date aveva infatti l’occasione di mostrare come potesse entrare in contatto diretto con gli dei. Il calendario maya era segnato da parecchie cerimonie legate all’agricoltura e anche ad attività funerarie pubbliche e private. In queste ultime giocava un ruolo essenziale il culto degli antenati. Nella società maya la popolazione si suddivideva in unità famigliari che facevano capo a uno stesso antenato fondatore, il quale era una divinità, nel caso dei governanti, e un mortale, per tutti gli altri. I primi si facevano seppellire in magnifici templi funerari e da lì, in date prestabilite, ne venivano esumate le ossa, che
erano poi pulite e dipinte di rosso cinabro. In seguito venivano di nuovo sepolte assieme ad altre offerte, che a volte includevano i corpi di giovani immolati per l’occasione. Tali atti pubblici avevano l’obiettivo di richiedere la protezione degli antenati a favore dell’intera comunità. Anche la gente comune venerava gli avi allo stesso modo, anche se in maniera più modesta: gli antenati venivano inumati nel patio delle case, e le ossa erano estratte durante cerimonie frequenti che rafforzavano l’unione e la prosperità familiare. Il patio delle case costituiva quindi il luogo sacro per i morti proprio poiché il defunto vi veniva sepolto.
La grande processione La festività più importante di Palenque era la fine del k’atun, ovvero di un periodo di circa vent’anni attraverso il quale veniva scandito il calendario. Il rituale si sviluppava in due parti, una pubblica e una privata. La seconda era portata a termine dall’ahaw all’interno di un tempio, in comunione con gli dei e gli antenati divinizzati. La fine del k’atun era un evento eccezionale. Tutte le aspettative degli abitanti erano ri-
L’ENIGMA DELLA TORRE
La torre venne eretta nel patio sud-ovest del palazzo di Palenque in una data tardiva, nell’anno 721. S’ignora se servisse per controllare i nemici o se fosse piuttosto un osservatorio astronomico. W. SKRYPCZAK / ALAMY / ACI
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MORTE E RINASCITA DEL RE PACAL
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NEL 1952 ALBERTO RUZ scoprì la cripta del tempio delle Iscrizioni di Palenque, in cui si conservava il sarcofago della figura più importante della città, Pacal il Grande. La lapide che lo copriva, lunga 3,8 m e larga 2,2 m, è decorata con un bassorilievo che, per qualità del disegno e complessità
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ILLUSTRAZIONE 3D: TRASANCOS 3D
LAPIDE DI PACAL, CONSERVATA NEL MUSEO NACIONAL DE ANTROPOLOGÍA DI CITTÀ DEL MESSICO. IL COLORE ORIGINARIO È STATO RESTAURATO.
della trama, è considerato una meraviglia dell’arte. La scena rappresenta il transito di Pacal dalla morte alla rinascita. Il monarca ha seguito il sole nel suo percorso verso gli abissi dell’inframondo, dove si trova il Mostro terrestre 1 . Questi vomita il sovrano dalle fauci, e così Pacal
rinasce incarnato nel dio del mais. Compare supino 2, agghindato con gioielli, gonnellino e cintura, e con il simbolo del pixán, o alito, all’altezza del naso 3. Dopo di ciò Pacal risale per la ceiba, o tronco dell’albero cosmico che esce dal suo addome 4 , fino a raggiungere il cielo, dove vive
il dio Itzamna 5. Con questa lapide Pacal volle lasciare un messaggio di speranza e al contempo sottolineare la prosperità che la sua dinastia aveva permesso a Palenque. Difatti nel sarcofago compaiono i suoi antenati come alberi da frutta che danno da mangiare alla comunità.
DENTRO UN TEMPIO DI PALENQUE
SEZIONE DEL TEMPIO DEL SOLE DI PALENQUE.
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L TEMPIO DEL SOLE è un valido esempio della struttura esterna e interna degli edifici sacri di Palenque. Presenta una pianta rettangolare e vi si accedeva dopo aver salito una scalinata 1, che conduceva a una porta delimitata da lesene decorate. Due archi a mensola 2 puntellavano il tetto e sovrastavano due sale oblunghe separate da un muro o parete comune. Una di queste sale conteneva il santuario o pib’naah’ 3 . La parte superiore 4 , che coronava l’edificio, era costituita da due sezioni traforate e leggermente inclinate per contrastare la forza del vento. All’interno del tempio si trovava una panca formata da tre celle in pietra calcarea, sulla quale era raffigurato, tra gli altri, il dio della guerra, il Sole Giaguaro dell’inframondo.
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MASCHERA DELLA REGINA ROSSA
Nella tomba di questa principessa non identificata furono rinvenuti 119 frammenti di una maschera di malachite, in seguito restaurata. ALAMY / ACI
poste nel sovrano: quel giorno il re avrebbe officiato una cerimonia che avrebbe messo in moto un nuovo ciclo, assicurando così una vita prospera e opulenta. Il rituale aveva inizio all’alba, nella piazza del palazzo. Dalle scalinate scendeva maestoso l’ahaw per unirsi al corteo, composto dalla famiglia reale e da sacerdoti, guerrieri, nobili, alti funzionari e il popolo. Una volta che l’ahaw si era posto in testa l’atecocoli, o buccina (uno strumento musicale usato come tromba), dava il la alla processione. La prima sosta era davanti al tempio delle Iscrizioni, nel quale riposavano le spoglie di Pacal il Grande, e da lì il corteo riprendeva fino al tempio XIII, dove nel 1994 è stato trovato il sepolcro di una principessa maya che gli archeologi hanno chiamato Regina Rossa per via delle ossa ricoperte di cinabro. La comitiva superava quindi il ruscello Otulum e arrivava al complesso delle Croci. Chiamata dai maya casa del Quetzal dal Volto Solare, era una piazza delimitata da tre templi dedicati alle tre principali divinità di Pa-
lenque. Gli studiosi hanno ribattezzato i tre templi G-I, G-II e G-III fino a che è stato possibile decifrare i glifi con i nomi degli dei. La disposizione degli edifici ricordava la visione maya del mondo. Il tempio della Croce, consacrato a G-I o Itzamna, era disposto nella parte più alta della piazza perché rappresentava la sfera celeste. Il tempio della Croce fogliata indicava lo spazio terrestre ed era dedicato a G-II, nelle spoglie infantili del dio K’awiil, simbolo del mais appena spuntato e protettore dei regnanti. Il tempio del Sole, eretto nella parte più bassa, emulava la regione sotterranea con la sua divinità, G-III, K’inich Ahaw Pacal, il Sole Giaguaro dell’inframondo, legato alla guerra perché conduceva una lotta quotidiana contro le tenebre.
Gli dei dell’universo Nella piazza, che la presenza dei tre templi convertiva in un luogo divino, la folla si zittiva appena l’ahaw prendeva l’incensiere e lo rivolgeva verso i quattro punti dell’universo, in corrispondenza dei quali i bacabes, una sorta di atlanti maya, reggevano il mondo. Subito dopo cominciava la parte privata della
IL TEMPIO DELLA CROCE IL TEMPIO DELLA CROCE si trova a nord della piazza del Sole. Il santuario era dedicato a G-I o Itzamna, il dio del mondo celeste, e per questo era ubicato nella parte più elevata della piazza. L’edificio si erge su un basamento composto da sei corpi doppi terrazzati e da una ripida scalinata che conduce al santuario in cima. Il basamento presentava piccole fessure mobili che servivano per collocare falò, portastendardi oppure ornamenti legati alle cerimonie religiose celebrate nel tempio. All’interno di questo veniva collocata una panca intagliata in pietra dove erano incisi eventi storici e rappresentazioni mitiche della ceiba, albero sacro dei maya.
LA BOCCA DELL’INFRAMONDO
Nella facciata principale il fregio era decorato con il volto del Drago terrestre, la cui bocca simboleggiava l’ingresso all’inframondo. ILLUSTRAZIONE 3D: TRASANCOS 3D
VESTITO RITUALE
La figura di fango rappresenta un alto dignitario di Palenque agghindato con gonnellino, collana, braccialetti ed elmo-maschera a forma di tacchino ocellato. Gruppo B di Palenque. BRIDGEMAN / ACI
RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO DELLA CROCE, CON LA POLICROMIA ORIGINALE. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA CASA DELL’INFRAMONDO DI PALENQUE
QUESTO TEMPIO ERA dedicato al Sole
Giaguaro dell’inframondo, dio della regione più profonda del cosmo o Xibalbá. Per questa ragione fu costruito nella parte più bassa della piazza del Sole ed era orientato verso ponente. Con i suoi 19 metri d’altezza risultava l’edificio più alto del complesso.
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Il basamento 1 era formato da quattro strutture unite da una scalinata che si affacciava sulla piazza. Il porticato 2 aveva tre ingressi, delimitati da pilastri decorati con iscrizioni geroglifiche e figure umane e mitologiche modellate nello stucco, nonché dipinte con colori vivaci.
Il santuario accoglieva una panca formata da tre celle in pietra calcarea 3: la scena principale che accompagna il presente riquadro è presieduta dal simbolo della guerra, Tok’-Pacal, che significa “la selce e lo scudo”. Nel fregio 4 compariva la figura di un personaggio seduto, circondato
dalla sagoma di un serpente a due teste. La sommità 5 che coronava il tempio era costituita da due pareti traforate con piccole “finestre” rettangolari che creavano l’effetto di una rete in pietra. Era decorata con stucchi e misurava più di quattro metri d’altezza.
ILLUSTRAZIONE 3D: TRASANCOS 3D
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IN PRIMO PIANO, TEMPIO DELLA CROCE DI PALENQUE. IL TEMPIO XIV APPARE IN SECONDO PIANO, E SULLO SFONDO S’INTRAVEDE IL PALAZZO DELLA CITTÀ.
del potere, l’ahaw recitava antiche formule con cadenza monotona. Gli dei e gli antenati, raffigurati in delicati bassorilievi intagliati nella pietra e illuminati dalla fiamma del braciere, aspettavano impassibili il sacrificio rituale. L’ahaw si apprestava a effettuare il rito dell’autosalasso, per il quale ogni principe veniva educato sin da bambino.
Il sangue del re
ASCIA DI OSSIDIANA
Questi scettri o asce erano considerati eccentrici per via della forma irregolare. Si credeva che l’ossidiana fosse un raggio fossilizzato. AKG / ALBUM
cerimonia. Da solo, l’ahaw saliva nel tempio della Croce, il più grande, per dialogare con le forze cosmiche e permettere il rinnovamento della vita. Come gli altri edifici sacri di Palenque, il tempio della Croce era costituito da un porticato con tre ingressi e colonne elegantemente decorate che davano su una sala centrale. Qui si alzava un piccolo santuario, abbellito da un bassorilievo in pietra che aveva al centro un albero sacro. I rami erano serpenti bicefali che evocavano il Drago Celeste o Mostro Cosmico. Nella penombra del tempio attendevano il signore di Palenque due bracieri: uno acceso, pronto a“morire”dopo vent’anni di vita, e un altro nuovo, pieno di resine aromatiche ottenute da alberi come pini, abeti o burseracee (tra queste, incenso e mirra). L’ahaw appiccava il fuoco proprio a tali resine. Dopo diversi giorni di digiuno e d’astinenza sessuale, l’ahaw ingeriva alcune delle piante divine – peyote, toloache e tabacco –, che rappresentavano la carne degli dei. Il procedimento lo preparava a realizzare il proprio autosacrificio e a mettersi in contatto con le divinità. Mentre si toglieva il mantello
ISABEL BUENO STORICA DELLE AMERICHE
Per saperne di più
SAGGI
Miti maya e inca Marcella Vasconi. Giunti, Firenze-Milano, 2020. Le civiltà precolombiane Ariadna Baulenas i Pubill. Mondadori, Milano, 2017. La civiltà maya J. Eric S. Thompson. Einaudi, Torino, 2014.
DANITA DELIMONT / ALAMY / ACI
DIEGO GRANDI / ALAMY / ACI
Tramite la spina appuntita della pastinaca e i coltelli affilati di ossidiana forgiati in alcuni quartieri della città, l’ahaw si feriva le gambe, il lobo delle orecchie, forse anche il labbro inferiore e il pene, fonte di vita. Quindi raccoglieva il sangue sulla carta sacra, che poi bruciava nel fuoco purificatore del nuovo braciere. Questo prendeva vita non appena riceveva la più preziosa tra le offerte. A volte il re passava una corda con nodi sulle parti sanguinanti per impregnarla e quindi bruciarla assieme alla carta o al posto di questa. Terminata l’offerta, il governante spegneva l’incensiere che durante il k’atun era rimasto all’interno del tempio e indossava di nuovo gli attributi regali per uscire all’esterno e proseguire la cerimonia pubblica. A un suo cenno diversi sacerdoti trasportavano il vecchio incensiere alla base del tempio-piramide per seppellirlo in un fossato. L’incensiere sarebbe rimasto dritto, rivolto verso ovest, cioè verso il luogo dei morti, dove il sole passava ogni giorno e vinceva la terribile battaglia con le ombre per poi rinascere vittorioso a est. Assieme all’incensiere venivano disposte offerte di conchiglie marine, alimenti, resine e falangi umane o di giaguaro. Con tale atto, svolto nel luogo sacro del complesso delle Croci, l’ahaw dava inizio a un nuovo k’atun. Avrebbe garantito la vita e la prosperità degli abitanti di quel rubino di rosse piramidi nascoste nella giungla che era Palenque, o Lakamha’, Grandi Acque.
IL RITO DELL’INCISIONE
Nelle pitture murali di San Bartolo, un centro maya del Guatemala, compare questa scena che mostra un re in atto di realizzare un rituale simile a quello portato a termine dai sovrani di Palenque alla fine del k’atun.
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PAS S I O N E E T R AG ED I A ALL A CORTE D I EN R I CO V I I I
ANNA BOLENA
BRIDGEMAN / ACI
Da semplice dama di corte Anna Bolena divenne regina per amore di Enrico VIII. Tre anni dopo lui la mandò al patibolo
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DAGLI ORTI / AURIMAGES
VESTIGIA DELLA REGINA
A destra, ritratto di Anna Bolena. Scuola di Frans Pourbus il Giovane. 1620-1625. Pinacoteca Malaspina, Pavia. Sopra queste righe, copertina dorata di un salterio di Anna in inglese. British Library, Londra.
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C R O N O LO G I A
L’astro della corte inglese 1500
Anne Boleyn, conosciuta nei Paesi latini come Anna Bolena, nasce all’incirca quest’anno in una famiglia nobile di Norfolk, nell’est dell’Inghilterra.
1521
Dopo aver trascorso l’adolescenza in Francia torna con il padre in Inghilterra e comincia a prendere parte alla vita di corte.
1526
Il re Enrico VIII s’incapriccia di lei e la corteggia con regali, lettere e divertimenti vari, ma lei si rifiuta di concederglisi.
1527
Enrico VIII inizia il processo per ottenere l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona. Alla fine il papato glielo rifiuta.
UNA TOMBA ANONIMA
Dopo la decapitazione, il corpo di Anna Bolena fu sepolto nella chiesa della torre di Londra. Nel 1876 la sua tomba venne individuata e segnalata con lo scudo mostrato sotto queste righe.
1532
Il re d’Inghilterra rompe con la Chiesa di Roma attraverso una serie di provvedimenti che culminano nell’Atto di Supremazia del 1534.
1533
Dopo essersi sposata in gran segreto con il re, Anna Bolena è incoronata regina d’Inghilterra. Poco dopo dà alla luce la futura Elisabetta I.
1536
Anna Bolena viene arrestata dietro ordine di Enrico VIII, condannata per adulterio e tradimento e giustiziata nella torre di Londra. BR ID GE MA N /A CI
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alla torre del campanile vidi qualcosa / che notte e giorno mi ronza nella testa / Là scoprii, dietro le sbarre / che, a dispetto di fortuna, potere o gloria / anche i re possono cadere». Un ammiratore di Anna Bolena scrisse questi versi affacciandosi dalla torre di Londra, commosso per la decapitazione della seconda moglie di Enrico VIII. Sono attribuiti al poeta e cortigiano sir Thomas Wyatt, che era innamorato di Anna, anche se quasi sicuramente tra di loro non ci fu mai nulla. L’unica certezza è che l’esecuzione di Anna Bolena, avvenuta il 19 maggio 1536, ebbe un notevole impatto sulla popolazione. La regina d’Inghilterra, la moglie per la quale Enrico VIII aveva rotto le relazioni con il papato soltanto due anni prima, veniva condannata a morte per tradimento e decapitata. Non solo: la stessa riforma sembrava in pericolo. Qualcuno già intravedeva una cruenta guerra di successione giacché la figlia di Anna, la principessa Eli-
ALAMY / ACI
sabetta, avrebbe dovuto rivendicare il trono pur discendendo da una madre adultera. La vicenda di Anna è connessa a molte controversie della storia. Era forse un novello Icaro donna che pagò caro il fatto di aver voluto volare troppo vicino al sole? Può essere considerata una tra le tante vittime delle faide di potere tutte maschili presenti alla corte di Enrico? Le false accuse a suo carico sono l’ennesima dimostrazione di come gli uomini punissero la sessualità femminile?
Un fascino francese Nata attorno al 1500, sin dall’inizio Anne Boleyn, nota nei Paesi latini come Anna Bolena, venne strumentalizzata dagli uomini per realizzare le loro ambizioni dinastiche. Il bisnonno paterno era stato un influente mercante, nonché sindaco di Londra. Grazie alla sua manifesta lealtà alla corona, il primogenito aveva sposato la ricca figlia di un conte irlandese. E il padre di Anna aveva preso in moglie la figlia di un membro della potente casata Howard, la stessa dei duchi di Norfolk.
La famiglia di Anna ambiva a elevarsi socialmente, e le brame del padre indirizzarono l’educazione della prole. Thomas Boleyn inserì a corte la figlia maggiore, Maria, e il cadetto, George (anche lui sarebbe morto nel bagno di sangue del 1536). Anna avrebbe seguito i loro passi. Ricevette perciò una formazione cosmopolita. Quando il padre fu nominato ambasciatore dei Paesi Bassi, la sistemò come damigella d’onore dell’arciduchessa Margherita d’Asburgo. A Bruxelles, dove la giovane giunse nell’estate 1513, l’intelligenza di Anna suscitò una profonda impressione. Pochi mesi dopo la ragazza si trasferì a Parigi, dove fu dama di compagnia della regina Claudia, prima moglie del re Francesco I. E lì rimase finché un nuovo giro di boa diplomatico la fece tornare in Inghilterra alla fine del 1521.
LA TORRE DI LONDRA
Il 2 maggio 1536, probabilmente dopo aver assistito a una partita di tennis, Anna Bolena venne arrestata e condotta nella torre. Lì fu processata il 12 maggio e decapitata il 19.
Un difetto all’unghia portò i detrattori cattolici ad affermare che Anna Bolena avesse sei dita STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL CASTELLO FAMIGLIARE DI ANNA BOLENA
Il castello di Hever assistette forse ai primi corteggiamenti di Enrico VIII ad Anna Bolena. Si trattava di un’antica fortezza abilitata a magione nel XV secolo. JON DAVISON / ALAMY / ACI
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Anna aveva una bella chioma scura, uno sguardo intenso e un collo elegante. E malgrado non avesse un sesto dito nella mano destra, come avrebbero poi sostenuto i suoi detrattori cattolici, aveva probabilmente un’unghia fuori dal comune. Inoltre era dotata d’ingegno, preparazione, capacità di brillare in società e di un notevole talento artistico. Si diceva che cantasse come un“nuovo Orfeo”, e sapeva suonare il liuto, il flauto e il clavicordo. Era un’abile ballerina e introdusse passi e figure che sarebbero rimasti a lungo nel repertorio britannico. Si dedicava anche alla poesia, in inglese e in francese, e le piaceva circondarsi di letterati che, a volte, passavano per suoi ammiratori. Ma ciò che più la caratterizzava era la sicurezza di sé, di cui fece sfoggio sin dall’adolescenza; una disinvoltura che nascondeva, in realtà, una
IL PRIMO INCONTRO
L’olio di Daniel Maclise ricostruisce il primo incontro tra Enrico VIII e la giovane Anna Bolena, sotto lo sguardo del potente cardinale Wolsey. 1835. Collezione privata.
Mentre si negoziava il matrimonio di Anna Bolena con un lord, Enrico VIII s’impose per divenirne l’amante 94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
sfrenata ambizione. Con la sua educazione francese e grazia naturale, Anna era destinata a divenire la “sposa trofeo” per eccellenza, la donna che qualsiasi marito avrebbe voluto esporre con soddisfazione. E difatti a corte si vociferò del legame con due giovani, prima James Butler e poi lord Henry Percy. Fu allora che il re s’intromise nella faccenda. Enrico VIII aveva già superato la trentina e poteva disporre di tutti i piaceri di corte, avventure femminili incluse. Una delle sue conquiste era stata proprio la maggiore delle sorelle Bolena, Maria. Una volta finita questa relazione, nel 1526 Enrico s’innamorò di Anna.
Corteggiamento serrato Ebbe subito inizio un assiduo corteggiamento. I due s’incontravano ogni giorno per giocare a carte, suonare o recitare poesie. Nei dintorni dei suoi numerosi palazzi, quali Hampton Court, Greenwich o Whitehall, il sovrano organizzava per l’amata merende bucoliche o battute di caccia, perché Anna era anche un’abile tiratrice d’arco. Quando si ritrovavano
BRIDGEMAN / ACI
MINISTRI PERICOLOSI
lontani si scambiavano delle lettere in inglese o in francese. Nella Biblioteca Vaticana se ne conservano diciassette, scritte dal sovrano, che dichiarava: «Mia signora e amica, il mio cuore e io stesso siamo nelle vostre mani, e chiediamo di entrare nei vostri favori», oppure «Presto il mio cuore sarà dedicato solo a voi». Enrico copriva la ragazza di regali di ogni sorta, da selle e cavalli a vestiti e gioielli. Tra gli altri, le fece dono di diciannove diamanti per capelli, ventuno rubini incastonati in rose d’oro e un anello con smeraldi. Le forniva anche alloggi a sua completa disposizione nelle proprie residenze e si faceva carico dei suoi debiti di gioco. La presenza di Anna Bolena accanto al re divenne sempre meno inusuale, non solo nell’ambito ristretto della corte, ma anche nei viaggi che Enrico compiva in Inghilterra e all’estero. Nel 1532 la portò con sé in visita in Francia anche se, per rispettare almeno le apparenze, Enrico volle che lei rimanesse a Calais mentre lui si recava a Boulogne a incontrare Francesco I. In molti insinuavano
THOMAS CROMWELL DI HANS HOLBEIN. NATIONAL PORTRAIT GALLERY, LONDRA.
che Anna si comportasse come una regina, umiliando la moglie ufficiale del monarca, Caterina d’Aragona. Come di solito accadeva alle amanti reali che venivano esibite pubblicamente, Anna divenne oggetto di dure critiche, e non erano pochi quelli che l’appellavano “prostituta del re”. Tuttavia, nella storia di Anna figurava un dettaglio non privo d’importanza: non era l’amante del sovrano. Malgrado l’insistenza di Enrico, non l’aveva mai accettato nel proprio letto. Non per virtù, bensì per non patire la stessa sorte della sorella e perché la sua ambizione era molto più grande: dovette pensare che, se avesse giocato bene le sue carte, invece di una semplice amante sarebbe potuta divenire la consorte reale d’Inghilterra. Sposato dal 1509 con Caterina d’Aragona, la discen-
CORTEGGIAMENTO EPISTOLARE
In questa lettera in francese del 1527 Enrico VIII ricorda ad Anna che «da più wdi un anno mi ha colpito il dardo dell’amore».
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ANCHE DOPO aver conquistato Enrico VIII, Anna Bolena dovette affrontare i suoi ministri. Primo tra tutti il cardinale Wolsey, che Anna finì per odiare perché questi non aveva ottenuto dal papato l’annullamento del matrimonio del re con Caterina. Poi s’inimicò il suo successore, Thomas Cromwell, un abile avvocato. Fu lui a mettere a punto le accuse di adulterio e tradimento che avrebbero portato Anna al patibolo.
PALAZZO DI HAMPTON COURT
Enrico VIII spese enormi somme per sistemare la residenza vicina a Londra, acquistata nel 1529. In tal modo poté soddisfare la sete di lusso della moglie Anna. SHUTTERSTOCK
dente dei Re Cattolici, Enrico aveva avuto da lei diversi figli, ma era sopravvissuta una sola bambina. Il monarca desiderava a tutti i costi un erede maschio e, sapendo che Caterina ormai non poteva più avere figli per via dell’età, decise di fare pressioni sulla Chiesa perché annullasse il matrimonio. A tale scopo addusse che la sua era un’unione incestuosa, giacché Caterina era stata sposata con suo fratello maggiore, Arturo, morto pochi mesi dopo le nozze. A corte si pensava che, una volta separatosi da Caterina, Enrico avrebbe sposato un’altra principessa straniera, come voleva la tradizione delle corti reali. Ma Anna aveva altri progetti. Piuttosto che essere una delle tante amanti del re, fece capire al sovrano che si sarebbe concessa solo se lui si fosse compromesso a sposarla.
Anna correva lo stesso pericolo di Caterina d’Aragona: non soddisfare il desiderio di un erede maschio del sovrano 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Al contempo Anna cominciò a mostrare un’aperta simpatia per le idee delle riforma protestante, promossa in Germania nel 1517 da Martin Lutero. In particolare si unì alla critica nei confronti di una Chiesa che si perdeva nel lusso invece di aiutare i poveri. Inoltre sosteneva la creazione di una Chiesa d’Inghilterra libera dal controllo del papa di Roma. Era proprio ciò che avrebbe permesso al re d’ignorare l’opposizione del papato circa il divorzio dalla regina Caterina. Convinta che, se fosse rimasta incinta, Enrico avrebbe acconsentito a prenderla in moglie, Anna concesse le sue grazie al monarca. A Natale del 1532 era certa della gravidanza. Si sposarono in gran segreto in gennaio (il matrimonio di Enrico con Caterina sarebbe stato annullato ufficialmente solo cinque mesi più tardi). A Pasqua del 1533 Anna fu riconosciuta come regina e a giugno fu incoronata in tutta fretta, con una corona prestata dallo stesso sovrano. Quasi a voler proclamare il suo trionfo, la regina fece ricamare sul proprio mantello e su quello delle proprie
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IL TERRORE DI NON DARE UN EREDE MASCHIO AGLI INIZI del 1536, durante
un incontro tra Enrico VIII e l’ambasciatore di Spagna, Chapuys, questi gli disse che Dio lo stava punendo nel non concedergli figli maschi. Il re rispose irato: «Non sono forse un uomo come gli altri? Non lo sono? Non lo sono?». Joan Seymour, la terza moglie, gli avrebbe dato l’erede tanto ambito, ma Edoardo VI regnò solo sei anni. Gli sarebbe succeduta la prima figlia di Enrico, Maria, e poi proprio la figlia di Anna Bolena, Elisabetta I. ELISABETTA I D’INGHILTERRA. RITRATTO PER COMMEMORARE LA VITTORIA SULL’ESERCITO DI FILIPPO II.
dame un nuovo motto: La plus heureuse, La più felice. Il 7 settembre nacque il primo figlio, ma non era il maschio tanto desiderato da Enrico, bensì la futura Elisabetta I. Malgrado la delusione, i sentimenti del re nei confronti di Anna non cambiarono, giacché intravide un segnale divino nel fatto che fosse rimasta subito incinta. Enrico era convinto che Dio avrebbe ricompensato la riforma della Chiesa inglese con un erede maschio. Continuarono a dividere lo stesso letto e Anna rimase incinta una seconda volta, ma ebbe un aborto spontaneo nell’agosto 1534. Sarebbe seguito un altro aborto spontaneo nel gennaio 1536.
Il re cambia umore Anna correva lo stesso pericolo di Caterina d’Aragona: non stava dando al re un erede maschio. Inoltre nel 1536 morì Caterina, e questo fece temere ad Anna che, pure a costo di disfarsi di lei, Enrico potesse cercare una terza sposa ben accetta sia dai protestanti sia dai cattolici. Nell’estate 1536 era ormai di pubblico dominio che il sovrano fosse nuo-
vamente pronto a innamorarsi. L’arroganza e gli esasperanti cambi d’umore di Anna la privarono di potenziali alleati a corte. Non solo: proprio allora giunsero alcune voci dalla Francia circa il comportamento scandaloso che Anna aveva mantenuto in gioventù con altri uomini negli anni trascorsi presso la corte francese. Thomas Cromwell, il nuovo ministro di fiducia di Enrico VIII, indagò con particolare premura i presunti adulteri di Anna in Inghilterra così da offrire al re il pretesto necessario per liberarsi di un’altra moglie indesiderata. Il professore di musica di Anna, Mark Smeaton, venne arrestato e torturato il 30 aprile finché, delirando, confessò l’adulterio. Nei giorni seguenti altri cortigiani, tra cui Wyatt e il fratello di Anna, vennero arrestati in quanto sospettati di aver giaciuto con la regina. Non aiutava di certo il fatto che all’epoca le donne venissero considerate licenziose per natura, come l’Eva biblica. Anna venne accusata di possedere un appetito sessuale fragi-
LA MADRE E LA FIGLIA
Si pensa che la regina Elisabetta I possedesse quest’anello con due effigi in miniatura, la sua e quella della madre Anna Bolena. Chequers Trust, Londra. BRIDGEMAN / ACI
IN ATTESA DELL’ESECUZIONE
Alla vigilia della decapitazione, due volte Anna giurò sui sacramenti di essere innocente per tutte le imputazioni che l’avevano condotta alla torre di Londra. Olio di P.-N. Bergeret. 1814, Louvre, Parigi. ERICH LESSING / ALBUM
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lem et carnalem. Dopo essere stata rinchiusa nella torre, venne sottoposta a processo. Le imputazioni contro di lei includevano dettagli scabrosi, come il fatto che avesse attirato il fratello nel proprio letto e si fosse unita a lui «baciandosi bocca con bocca». La si accusava perfino di aver tramato la morte del re per rimanere sul trono assieme a uno dei suoi amanti. Erano vere quelle accuse? Secondo l’ipotesi più plausibile, l’unica colpevolezza di Anna era quella di aver impiegato il linguaggio dell’amore cortigiano tipico dell’epoca. Il poeta Wyatt lo lasciò intendere in una delle poesie a lei dedicate, dal titolo Noli me tangere, Non mi toccare. Fa dire al «gracile collo della regina»: «Non mi toccare perché sono del Cesare». Anche se a Wyatt non successe nulla, il 17 maggio vennero giustiziati diversi tra i presunti amanti della regina, tra cui il fratello George e Henry Norris, amico intimo del re. La sorte della sovrana era decisa. Per lei non ci sarebbe stata alcuna pietà. O forse una sì.
Che fosse per il senso di colpa nel mandare a morte una giovane donna o per un’impudente ammissione dell’onestà della moglie, Enrico fece venire da Calais un boia perché le tagliasse la testa con una spada. La morte sarebbe stata meno dolorosa rispetto alla decapitazione con un’ascia inglese. Anna esalò l’ultimo respiro la mattina del 19 maggio 1536, lasciando dietro di sé una reputazione macchiata e una figlia che aveva meno di tre anni. Il giorno seguente Enrico si dichiarò alla terza moglie, la giovane Jane Seymour.
UNA REGINA AL PATIBOLO
Ormai sul patibolo, Anna Bolena gridò ai presenti: «Buon popolo cristiano: non sono venuta qui per farvi un sermone; sono venuta qui per morire». Il boia usò una spada, non un’ascia come nell’incisione.
GLYN REDWORTH UNIVERSITÀ DI OXFORD
Per saperne di più
SAGGI
Lettere d’amore di Enrico VIII ad Anna Bolena Iolanda Plescia (a cura di). Nutrimenti, Roma, 2013. ROMANZI
L’altra donna del re Philippa Gregory. Sperling & Kupfer, Milano, 2015. Anna Bolena Alison Weir. SuperBeat, Vicenza, 2019. Anna Bolena Hilary Mantel. Fazi, Roma, 2013.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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VERSO UN DIVORZIO TRAUMATICO L’ambasciatore imperiale, il fiammingo Eustace Chapuys, osserva preoccupato le attenzioni del re verso Anna Bolena.
a decisione di Enrico VIII di separarsi da Caterina d’Aragona e di contrarre un nuovo matrimonio con Anna Bolena divenne un affare di politica internazionale. L’imperatore Carlo V, nipote di Caterina, minacciava di rispondere con le armi, e quindi il re inglese cercò l’appoggio di Francesco I. Il cardinale Campeggio, legato papale che valutò la questione nel 1529, finì per impedire l’annullamento. La sua scelta precipitò la rottura di Enrico VIII con il papato. L’olio dello statunitense E. G. Leutze ricostruisce lo scontro d’interessi attorno a quello che venne definito The King’s Great Matter, La grande questione del re.
In genere discreto con le amanti, Enrico VIII si espone in pubblico con Anna Bolena. Dietro compaiono i genitori di lei.
Umiliata dal comportamento del marito, Caterina d’Aragona è oggetto di riverenza da parte di un cortigiano, che la tratta come regina legittima.
SMITHSONIAN AMERICAN ART MUSEUM
Il cardinale Wolsey commenta la scena con il cardinale Campeggio. Entrambi istruiranno il fascicolo per valutare l’annullamento del matrimonio.
FRANCESCO GIUSEPPE D’AUSTRIA L’ULTIMO GRANDE IMPERATORE
L’IMPERATORE A BUDAPEST
Francesco Giuseppe I ed Elisabetta acclamati durante una visita di stato a Budapest, l’8 luglio 1896, per commemorare i mille anni di storia ungherese. Litografia di Gyula Benczúr. Sotto, stemma dell’Ordine di Francesco Giuseppe, fondato nel 1849.
Nel corso dei suoi 68 anni di regno, mentre il mondo intorno a lui cambiava radicalmente, Francesco Giuseppe governò dal suo studio un potente impero che sarebbe tramontato di lì a poco, con la Prima guerra mondiale
INTERFOTO / AGE FOTOSTOCK
ARCHIVES CHARMET / BRIDGEMAN / ACI
FRANCESCO GIUSEPPE E SISSI ALL’INIZIO DEL LORO MATRIMONIO.
I
l 30 novembre 1916, nel pieno della Grande guerra, tutti i viennesi scesero in strada per accompagnare le spoglie di Francesco Giuseppe I, che era stato loro imperatore per sessantotto anni, alla cripta degli imperatori nella chiesa dei Cappuccini, il luogo di sepoltura reale degli Asburgo. Con lui moriva la Vienna che si muoveva a passo di valzer mentre assisteva alla nascita del movimento operaio; la città che applaudiva o denigrava l’architettura di Otto Wagner, la pittura di Klimt o il pensiero di Freud; la capitale di un impero che governava i destini di mezza Europa. Quel giorno si concluse un’epoca, e con essa il percorso di un uomo il cui tempera-
NATO PER REGNARE
104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
mento sarebbe stato eternamente lasciato in ombra dalla personalità sfolgorante della moglie nonché cugina: l’imperatrice Elisabetta, la mitica Sissi. Una donna che il sovrano amò molto, ma che non comprese mai fino in fondo. Conservatore, metodico, dai gusti semplici, autoritario nel governo ma docile nella sfera privata, Francesco Giuseppe aveva poco o nulla a che fare con la liberale, intellettuale e raffinata Elisabetta di Wittelsbach. Erano due personalità opposte che, tuttavia, finirono per formare una coppia solida e complice. Il loro fu indubbiamente un matrimonio d’amore. Almeno da parte dell’imperatore che, respingendo Elena di Wittelsbach, la candidata propostagli da sua madre Sofia di
1848
1854
DOPO L’ABDICAZIONE dello zio Ferdinando, Francesco Giuseppe viene proclamato imperatore a soli 18 anni. All’inizio il suo governo segue il modello assolutista.
sposa Elisabetta di Wittelsbach, detta Sissi, di sette anni più giovane. Tre dei loro quattro figli raggiungeranno l’età adulta.
FRANCESCO GIUSEPPE
FRANK LUKASSECK / FOTOTECA 9X12
AUSTRIAN ARCHIVES / SCALA, FIRENZE
1867 VIENE ISTITUITA la “duplice
monarchia imperiale e regia”, in cui è al tempo stesso imperatore d’Austria e re d’Ungheria. Inizia una certa liberalizzazione politica.
1916 L’IMPERATORE Francesco
Giuseppe I muore nel palazzo di Schönbrunn. Gli succede il pronipote Carlo I, che sarà l’ultimo sovrano dell’impero austro-ungarico.
IL PALAZZO IMPERIALE
La foto mostra l’ala del complesso di Hofburg che si affaccia su Michaelerplatz, a Vienna. L’edificio fu la sede della dinastia asburgica e degli imperatori austriaci per circa 600 anni.
L’AMICA DELL’IMPERATORE LA RELAZIONE tra Francesco Giuseppe e Katharina Schratt non era segreta. La stessa imperatrice Elisabetta aveva un’enorme simpatia per l’attrice a cui era grata per averla “sostituita” durante le sue lunghe assenze. I tre pranzavano insieme di frequente, ed Elisabetta spesso si presentava in pubblico con Katharina. Una volta, quando la coppia imperiale si trovava in vacanza a Cap Martin, in Francia, l’imperatore scrisse a Katharina: «L’altro ieri, mentre facevamo colazione da Piermont, l’imperatrice ha esclamato: “Mi manca qualcosa!” Quando le ho chiesto di cosa si trattasse, mi ha risposto: “La nostra cara amica dovrebbe essere qui con noi”».
Francesco Giuseppe e Katharina Schratt passeggiano nei dintorni della località di Bad Ischl. Foto del 1914.
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A PASSO DI VALZER
Una serata di valzer a Hofburg. Acquerello di Wilhelm Gause, 1900. Wien Museum Karlsplatz.
tezza del ruolo istituzionale. L’imperatore si trovava quindi nel bel mezzo di un fuoco incrociato tra le due donne della sua vita. Una posizione molto delicata che creò una grande frattura nella sua relazione matrimoniale, ulteriormente accentuata dalle molteplici fughe di Sissi da corte. Si diceva che l’imperatore avesse diverse amanti, ma non vi è alcuna certezza al riguardo. Anzi, Francesco si dimostrò sempre innamorato della moglie e disponibile a cercare di comprendere le sue attività considerate stravaganti e spesso costose, come i lunghi viaggi lontano da Vienna.
Amicizia platonica Consapevole dell’enorme solitudine del marito, fu la stessa Elisabetta a incoraggiare il suo rapporto con Katharina Schratt, un’attrice del Burgtheater. La relazione iniziò nel giugno del 1886 e fu con ogni probabilità di natura platonica, almeno fino alla scomparsa dell’imperatrice. Nelle sue lettere a Katharina, Francesco Giuseppe era affabile, premuroso, cortese, ma non dimostrava alcun accenno d’interesse sessuale. L’attrice divenne la confidente del monarca, e grazie alla sua
ELISABETTA DI WITTELSBACH A 15 ANNI. FOTOGRAFIA SCATTATA DA ALOIS LÖCHERER NEL 1853. SCALA, FIRENZE
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Baviera, decise invece di prendere in sposa la sorella Elisabetta, detta Sissi. Una ragazzina di poco più di quindici anni che lo conquistò al punto da fargli dichiarare di essere «innamorato come un cadetto». Nei primi anni di matrimonio tra i due regnò l’amore. Ciononostante le tragedie familiari e la totale incapacità della giovane imperatrice di adattarsi al rigido protocollo della corte viennese impedirono alla coppia di essere felice. Inoltre Francesco Giuseppe era da sempre molto sottomesso all’autorità materna, e dopo il matrimonio Sofia di Baviera continuò a far sentire la sua presenza, pretendendo di educare personalmente la giovanissima nuora affinché il suo comportamento fosse all’al-
IL MONARCA E L’ATTRICE
LA FAMIGLIA IMPERIALE
Francesco Giuseppe e Sissi circondati dai figli e dal marito della secondogenita, Gisella. Acquerello di Emil von Hartitzsch. 1872.
AUSTRIAN ARCHIVES / SCALA, FIRENZE
PALAZZO DI SCHÖNBRUNN
duca di Braganza. Ciononostante, l’influenza di Sissi finì per prevalere e Francesco Giuseppe cedette in entrambi i casi.
Inflessibile con il figlio Le cose andarono diversamente quando si trattò di decidere le nozze di Rodolfo, suo figlio ed erede, con Stefania del Belgio. Era un matrimonio politicamente vantaggioso ma destinato a fallire a causa delle diversità caratteriali degli sposi. A Rodolfo mancavano le qualità che Francesco Giuseppe riteneva essenziali in un imperatore: non aveva spirito militare, non brillava per essere un cattolico fervente, e le sue tante avventure amorose erano di dominio pubblico. La comprensione che l’imperatore aveva dimostrato per il comportamento atipico di Sissi non si manifestò nei confronti del figlio. Il 30 gennaio 1889, il giorno dopo un’aspra discussione tra padre e figlio (i cui motivi non furono mai chiariti) Rodolfo si suicidò a Mayerling con la sua amante. Di fronte allo scandalo Francesco Giuseppe cercò di trovare un appoggio nel papato e di nascondere le reali circostanze della morte del figlio, ma alla fine
ORNAMENTO METALLICO DI UN ELMO DI FRANCESCO GIUSEPPE CON L’AQUILA BICIPITE IMPERIALE. 1910. SCALA, FIRENZE
REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
vivacità e al suo comportamento affettuoso riuscì a infondergli una ventata di vitalità. Quell’amicizia li avrebbe accompagnati per il resto dei loro giorni. Nonostante la distanza fisica che caratterizzò gran parte del loro matrimonio, Francesco Giuseppe e Sissi ebbero quattro figli. Sofia (morta all’età di due anni), Gisella, Rodolfo e Maria Valeria. Il rapporto con le figlie fu sempre eccellente. Nel suo diario, preziosa testimonianza della vita intima della famiglia imperiale austriaca, Maria Valeria ritrae il sovrano come un padre amorevole e un nonno capace di commuoversi alla vista della piccola Erszi, figlia di Rodolfo, in lutto dopo la morte del padre. Il sovrano non vide di buon occhio il matrimonio di Gisella con Leopoldo di Baviera, dato che l’arciduchessa aveva solo quindici anni, né quello di Maria Valeria con l’arciduca Francesco Salvatore d’Asburgo-Toscana, in quanto avrebbe preferito un’unione con l’erede di Sassonia o il
Situato alla periferia di Vienna, questo complesso vide nascere e morire Francesco Giuseppe. Nella foto, la sua famosa gloriette.
MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12
UN MUSEO MONUMENTALE
La scalinata principale del Kunsthistorisches Museum di Vienna, inaugurato nel 1891 dall’imperatore Francesco Giuseppe, che lo volle per ospitare le imponenti collezioni d’arte degli Asburgo.
UN ASPETTO INCONFONDIBILE FRANCESCO GIUSEPPE I
LE TESTIMONIANZE iconografiche di Fran-
cesco Giuseppe sono numerose. Gli oli e le foto permettono di seguire la sua evoluzione fisica, dal bel ragazzo biondo e imberbe al venerabile anziano con le basette bianche che, unitamente ai folti baffi, gli coprivano praticamente tutto il volto. Le basette erano un tratto talmente distintivo della sua immagine che finirono per essere ribattezzate “imperiali”. Per quanto riguarda l’abbigliamento, che fosse in uniforme o in abiti civili, Francesco Giuseppe indossava sempre casacche militari o camicie con colletti alti e rigidi. Questo perché nel febbraio del 1853 un nazionalista ungherese aveva cercato di tagliargli la gola con un coltello da cucina. Lo spavento fu tale che l’imperatore non volle più lasciare il collo scoperto per timore di possibili attentati.
BRIDGEMAN / ACI
ORONOZ / ALBUM
MUSEO DI STORIA NATURALE
Inaugurato nel 1889, questo museo si trova in Maria-TheresienPlatz. La statua rappresenta l’imperatrice Maria Teresa.
i pasti in famiglia, quella era l’unica pausa che si permetteva durante le giornate di lavoro. Rinchiuso nei suoi appartamenti ufficiali, si riuniva ogni mattina con i ministri e nel pomeriggio sbrigava la corrispondenza o studiava documenti. La sua dedizione al lavoro era tale che anche durante la luna di miele aveva lasciato quotidianamente Sissi da sola a Schönbrunn per andare a Vienna a occuparsi degli affari di stato. Tuttavia, più che un burocrate l’imperatore si sentiva un soldato. L’esercito, a cui era legato fin da ragazzo, gli aveva conferito un temperamento riflessivo e disciplinato, in un certo qual modo stoico. Il suo grande senso del dovere era già evidente quando, il giorno in cui compì quindici anni, scrisse sul suo diario: «Mi resta poco tempo per completare la mia educazione, per cui devo sforzarmi di dare il massimo». Nonostante il suo conservatorismo, Francesco Giuseppe non fu cieco di fronte ai cambiamenti dell’epoca. Intuì che la ferrovia avrebbe rappresentato una grande rivoluzione per l’economia austriaca, fu favorevole alle nuove idee urbanistiche (che avrebbero portato Vienna al livello delle più moderne
ASTUCCIO DI ALPACA DELL’IMPERATORE FRANCESCO GIUSEPPE I. AKG IMAGES
REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
fu costretto ad ammettere pubblicamente che il principe aveva messo fine alla sua vita in un attacco di squilibrio mentale.Non fu quella l’unica tragedia che l’imperatore dovette sopportare. Nel 1867 , a Santiago de Querétaro, fu fucilato suo fratello Massimiliano, effimero imperatore del Messico, e nel 1898 l’anarchico italiano Luigi Lucheni assassinò Sissi a Ginevra. Ma nella personalità di Francesco Giuseppe il ruolo istituzionale riuscì sempre a prevalere sui sentimenti. Così Maria Valeria descrive nel suo diario la reazione dell’imperatore alla morte della moglie: «Si rinchiuse in quello stesso freddo silenzio di quando era scomparso Rodolfo». L’imperatore era chiaramente dotato di una grande capacità di sopportazione, forse il risultato della profondità con cui viveva la fede cattolica. Andava a messa tutti i giorni, sia durante i soggiorni viennesi sia quando era nella sua tenuta di campagna. A parte
Foto dell’imperatore d’Austria e re d’Ungheria, sorridente e ormai anziano, in uniforme militare. 1910.
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STACANOVISTA
Quest’olio mostra il sovrano nel suo studio di Schönbrunn intento a sbrigare gli affari di stato. Domina la sala un ritratto della moglie Elisabetta. Franz von Matsch. Wien Museum Karlsplatz.
APPASSIONATO DI CACCIA
Questa cartolina a colori celebra i sessant’anni di regno che Francesco Giuseppe compì nel 1908.
AKG / ALBUM
L’OPERA E IL RING
Venerato e detestato Grazie all’uso sapiente dei nuovi mass media il governo imperiale promosse un’immagine pubblica di Francesco Giuseppe al servizio dell’unità dell’impero. In occasione delle più gravi crisi di stato il sovrano appariva sui giornali intento a cacciare o a praticare escursionismo, attività che lo connettevano al mondo rurale. Anche in età avanzata, il suo aspetto semplice e bonario era profondamente amato dagli austriaci. Ma la sua popolarità non era la stessa nel resto dell’impero austro-ungarico. In molti luoghi l’imperatore era percepito come il volto visibile dell’oppressione subita dai non tedeschi, in particolare cechi, polacchi ed ebrei. Ovviamente non godeva nemmeno dei favori dei liberali. Assolutista convinto, si fece costringere solo dalle pressioni interne e dalle sconfitte militari, a partire dal 1867, a trasformare il suo governo in una monarchia parlamentare e a concedere all’Ungheria 116 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
una maggiore autonomia. Ciò che più spesso si rimprovera a Francesco Giuseppe è la sua decisione di dichiarare guerra alla Serbia in seguito all’omicidio del nipote e successore Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo nel 1914. Quella scelta avrebbe scatenato la Prima guerra mondiale. Negli anni precedenti l’imperatore si era dimostrato favorevole alla pace, ma non riuscì a resistere alle pressioni della Germania. S’imbarcò nel conflitto pur intuendo che sarebbe stata la fine del suo impero: «Se la monarchia deve perire, che almeno lo faccia con decenza». In nessuna occasione abdicò alle sue responsabilità e non smise mai di lavorare nel suo studio di Hofburg. Il 21 novembre 1916, pur essendosi svegliato con la febbre, insistette per andare a messa e dedicarsi agli affari di stato. Si spense quella sera stessa. La morte fu abbastanza clemente da risparmiargli la vista del crollo di quell’impero a cui aveva dedicato la vita. MARÍA PILAR QUERALT DEL HIERRO STORICA
Per saperne di più
SAGGI
Francesco Giuseppe Franco Cardini. Sellerio, Palermo, 2007. Francesco Giuseppe Albert von Margutti. Castelvecchi, Roma, 2016.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
capitali europee) e intuì il ruolo che i mezzi di comunicazione potevano avere come elemento di propaganda politica. Per questo nel corso dei suoi numerosi viaggi aveva sempre dei giornalisti al seguito.
Situata di fronte alla Ringstrasse, l’Opera di Vienna fu inaugurata nel 1869. Foto del 1890-1900.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
La mappa a mosaico di Madaba A fine ottocento, tra le rovine di una chiesa bizantina in Giordania venne rinvenuto un mosaico con una cartina della Terrasanta
MAR NERO
MAR MEDITERRANEO
G E RUSA L E M M E
GIORDANIA
Madaba
San Giorgio. Il vivace mosaico che apparve ai loro piedi conteneva rappresentazioni di città, elementi geografici e centinaia d’iscrizioni in greco. Era, ed è, una straordinaria mappa a mosaico dell’antichità.
Una scoperta unica Maroum e Bishara Ilias Maroum. Quando questi cominciarono a ripulire, la sorpresa fu grande: dalle macerie affiorarono i resti di un mosaico che aveva caratteristiche molto particolari. A quei tempi non era così inusuale che si rinvenissero fortuitamente frammenti di mosaici, sepolti sotto altri materiali e legati al glorioso passato bizantino e omayyade di Madaba. Eppure nessun ritrovamento precedente poteva essere paragonato a quello dei fratelli Maroum nella chiesa di
Poiché la scoperta era di notevole rilievo, l’architetto Andreakis si recò a Gerusalemme per informare il patriarca Gerasimo e chiedere l’intervento di uno specialista. Il patriarcato inviò a Madaba Cleopas Koikylides, un giovane appassionato d’antichità. Appena arrivato nella chiesa, il 13 dicembre 1896, Koikylides capì che il mosaico si era danneggiato durante i lavori di pavimentazione. Tuttavia, dopo aver tolto di nuovo le macerie, l’opera era lì in tutta
BRIDGEMAN / ACI
N
el 1884 una comunità cristiana ortodossa trasferitasi da poco a Madaba, nella parte occidentale dell’attuale Giordania, cominciò a costruire quella che è oggi nota come la chiesa di San Giorgio. La legge ottomana permetteva di erigere un santuario solo se in quel luogo ce ne fosse già stato un altro, e rispettando il perimetro dello stesso. Fu questo il caso di San Giorgio. Sulle rovine di un’antica chiesa bizantina vennero alzate le mura del nuovo tempio, e se ne incaricò Athanasios Andreakis, un architetto voluto dal patriarca ortodosso di Gerusalemme. Finalmente nel 1896 iniziarono i lavori di pavimentazione, per i quali furono chiamati i fratelli Francis
LA MAPPA della Terrasanta, con la città di Gerusalemme al centro, in una fotografia del 1905.
la sua eccezionale bellezza. Il giovane aveva davanti a sé una mappa della Terrasanta, la più antica mai conosciuta. Dopo aver pulito,
CRONOLOGIA
1894
1896
1897
1965
MOSAICO UNICO
Una comunità ortodossa di Madaba inizia la costruzione di una chiesa dopo il suo arrivo da Karak.
Durante i lavori di pavimentazione nella chiesa di San Giorgio vengono alla luce i resti di un mosaico.
Il patriarca chiede una copia precisa del mosaico. Se ne fanno varie, e anche un prospetto della chiesa.
La Società tedesca per l’esplorazione della Palestina restaura il mosaico con accuratezza.
118 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
A PROVA D’INCENDIO
MARIA BREUER / AGE FOTOSTOCK
LA MAPPA A MOSAICO di Madaba era probabilmente composta da più di due milioni di tessere. Secondo gli archeologi della Deutscher Verein für die Erforschung Palästinas (Società tedesca per l’esplorazione della Palestina) Herbert Donner e Heinz Cüppers, che l’hanno restaurata nel 1965, i danni principali del mosaico si devono a un incendio che distrusse la chiesa originaria e alle sepolture scavate più tardi all’interno del santuario.
INTERNO DELLA CHIESA DI SAN GIORGIO, CON IL MOSAICO DEMARCATO, COME PUÒ ESSERE VISTO OGGI.
misurato e disegnato con cura il mosaico, Koikylides rientrò a Gerusalemme per presentarlo ufficialmente al patriarca. Nel gennaio 1897 il patriarcato convocò uno studioso più qualificato, il professore Georgios Arvanitakis, della Scuola di teologia della Santa Croce, affinché realizzasse una copia esatta del mosaico. Arvanitakis mise a punto
tale copia e aggiunse un prospetto della chiesa con l’ubicazione dell’opera. Un mese dopo, al ritorno a Gerusalemme, riprodusse il disegno e lo mise in vendita. La notizia del ritrovamento si diffuse rapidamente nei circoli accademici, e a Gerusalemme vennero organizzate in gran fretta varie spedizioni archeologiche per poter poi pubblicare il primo studio completo sul
mosaico. Koikylides, il primo a identificare il rinvenimento, e Arvanitakis, il primo a studiarlo a fondo, pubblicarono i rispettivi resoconti nel marzo 1897. Da allora non sono manca-
ti i documenti su questo gioiello dell’antichità: un libro pubblicato nel 1997 ha potuto trarre il bilancio di un secolo di studi, e il lavoro degli archeologi non si è certo fermato, soprat-
Una volta tolte le macerie dell’antica chiesa di San Giorgio venne alla luce la mappa più antica della Terrasanta STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
Fiume Giordano, con tre pesci che vi nuotano.
Getsemani, nel cui uliveto Gesù Cristo venne fatto prigioniero. Gerico è rappresentata come una città fortificata circondata da palme.
Gerusalemme e la Terrasanta NELLA MAPPA la città di Gerusalemme è rappresentata quasi fosse in rilievo. Se ne possono vedere le due strade principali, porticate, che l’attraversavano in epoca bizantina. Davanti alla porta di Damasco 1 si nota una piazza semicircolare con una colonna, che sotto i bizantini culminava in una croce. Si possono riconoscere anche diverse chiese: quella del Santo Sepolcro 2, con la cupola e la scalinata d’ingresso; quella della Madre di Dio 3, costruita da Giustiniano, o quella del Monte Sion 4. La localizzazione topografica di alcuni edifici è stata confermata in un secondo momento grazie agli scavi archeologici. È il caso della strada che dava sulla porta di Giaffa 5, scoperta nel 2010. ERICH LESSING / ALBUM
1
2
Mar Morto, con due barche. I marinai furono cancellati dagli iconoclasti in una fase successiva. L’imbarcazione a destra porta un carico di sale.
L’angolo sud-est di Gerusalemme è andato perduto e s’ignora come fosse evocato il monte del tempio. Betlemme, il luogo dove nacque Cristo, è disegnato in piccola scala.
3 5
4
Lod appare come una città senza fortificazioni.
GRANDI SCOPERTE
Altri mosaici di Madaba
ALAMY / ACI
DAL 1991 I NUMEROSI mosaici bizantini e arabi di Madaba fanno parte di uno stesso parco archeologico. Sotto queste righe si può vedere il medaglione circolare con la personificazione del mare, scena principale nella chiesa dei Santissimi Apostoli.
tutto dopo il restauro condotto nel 1965. La maggioranza degli esperti concorda nel datare la mappa tra il 560 e il 565 d.C., alla fine del governo di Giustiniano. La cartina è formata da due grandi frammenti, che occupano una superficie approssima-
tiva di cinque metri d’altezza per 10,5 di lunghezza. In essi è rappresentata un’area che si estende dal Libano al delta del Nilo, e dal mar Mediterraneo al deserto arabico: si tratta del territorio della Terrasanta. Ha come assi principali il fiume Giordano e il mar Morto. Secondo alcuni, la rappresentazione di Madaba, che non si è conservata, occupava un ruolo
rilevante, e la città era allineata con Gerusalemme.
Illustrato e spiegato Si crede che la cartina originale fosse ampia il doppio (sette metri d’altezza per ventidue di lunghezza) e rappresentasse quindi una zona maggiore. Arvanitakis raccolse la testimonianza di alcune persone che videro il mosaico subito dopo la scoperta. Stando
Gli assi principali della mappa sono il Giordano e il mar Morto ISCRIZIONE IN GRECO DI UN MOSAICO SCOPERTO A MADABA. GETTY IMAGES
alle loro affermazioni, vi si distinguevano bene altri luoghi del Medio Oriente e del Mediterraneo, come Creta, l’Egitto, la Siria e perfino Roma. Per la sua fattura gli studiosi hanno intravisto delle somiglianze con la Tabula Peutingeriana, la copia medievale di una cartina romana realizzata in data incerta. Nella parte conservatasi della mappa si contano più di 150 iscrizioni greche, che indicano il nome dei popoli oppure dei luoghi evocati e includono pure citazioni e informazioni estratte dalla Bibbia. Per esempio: «Silo, dove era anche l’arca
PANNELLO SUPERIORE
del mosaico della sala d’Ippolito, appartenuta a una villa tardoromana, che mostra Afrodite, Adone e le Tre Grazie in compagnia di amorini.
SHUTTERSTOCK
[dell’Alleanza]» e «Gabaon, dove la luna si fermò ai tempi di Giosuè». Ciò suggerisce che i creatori della mappa si dovettero forse servire dell’Onomasticon di Eusebio di Cesarea, una sorta di dizionario biblico del IV secolo. In molti ritengono che la mappa venne elaborata per la chiesa bizantina dove fu poi rinvenuta e che possedeva quindi un valore religioso. Tuttavia negli ultimi tempi è stata avanzata un’ipotesi diversa: prima di ornare la chiesa, la mappa era probabilmente il pavimento della residenza privata di un membro dell’élite della
regione, oppure abbelliva un edificio pubblico, forse un’aula per le revisioni giudiziarie. Se così fosse, sarebbe servita a rappresentare il potere politico ed economico dei committenti.
Gli altri mosaici Il rinvenimento della mappa accrebbe l’interesse scientifico per i numerosi mosaici della città. Da allora a Madaba è stata portata alla luce una dozzina di altre opere, presenti in chiese e cappelle, nonché in diverse ville private. Del periodo romano va ricordato il mosaico
della sala d’Ippolito, con rappresentazioni di miti, animali e personificazioni di città. La maggior parte dei mosaici di Madaba risale all’epoca bizantina e contiene motivi floreali e animali, quali scene di caccia o di produzione del vino. Tali scene sono accompagnate da preghiere e iscrizioni che forniscono notizie circa i nomi dei committenti e l’anno della creazione. L’esempio più completo si trova nella chiesa dei Santissimi Apostoli, che custodisce anche un medaglione con la personificazione del mare. Al periodo omayyade risale
invece il mosaico della chiesa della Vergine Maria, di tipo geometrico, con iscrizioni dedicatorie. Non c’è quindi da stupirsi che la quantità e qualità dei mosaici ritrovati nei diversi edifici di Madaba, a cominciare dalla cartina della Terrasanta, abbiano conferito alla città il soprannome, universalmente riconosciuto, di “città dei mosaici”. RUBÉN MONTOYA UNIVERSITÀ DI LEICESTER
Per saperne di più Madaba Michele Piccirillo. Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1990.
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LA FOTO DEL MESE
UN CONFLITTO IN MONTANA NEL NOVEMBRE 1887 si verificò l’unico scontro bellico tra l’esercito degli
Stati Uniti e i nativi crow che in precedenza avevano sempre collaborato con i soldati nordamericani contro i loro nemici – i niitsítapi (impropriamente chiamati dai coloni piedi neri) e i sioux. Guidati dal loro leader spirituale Sword Bearer, i crow rubarono dei cavalli ai niitsítapi e spararono contro degli edifici governativi in Montana. L’esercito rispose inviando due compagnie di cavalleria ad affrontarli. I circa 150 guerrieri crow si ritirarono dopo la morte di Sword Bearer e l’arresto di otto di loro, qui fotografati davanti agli uffici governativi. In piedi, da sinistra a destra, ci sono Crazy Head, He Knows His Coups, Deaf Bull, Looks With His Ears e Carries His Food; seduti, i quasi adolescenti Bank, Big Hail e Rock. MPI / GETTY IMAGES
L I B R I A CURA DI MATTEO DALENA
STORIA MEDIEVALE
Paura e intolleranza piaghe dell’umanità
N Chiara Frugoni
PAURE MEDIEVALI Il Mulino, 2020; 395 pp.; 40 ¤
el Medioevo l’idea della morte pervadeva le menti di uomini e donne. Si temeva in particolar modo quella improvvisa, che non lasciava la possibilità di liberarsi dal peccato e ottenere la salvezza. Siccome la natura era una creazione di Dio, il popolo dei credenti cercava costantemente i segni di approvazione divina nei fenomeni naturali. Comete, terremoti, eclissi di sole e di luna 0 uragani preannunciavano eventi funesti. Erano
soprattutto i monaci a interpretare i fenomeni, uomini profondamente condizionati dalla conoscenza dell’Apocalisse di Giovanni, un testo profetico e drammatico. Nelle loro deduzioni, semplici lampi potevano diventare serpenti, mentre pesci di grandi dimensioni potevano essere confusi con draghi alati e dalla cresta dentata, che avrebbero potuto danneggiare la chiglia delle imbarcazioni. La storica Chiara Frugoni esplora memorie, cronache e bestiari medievali
per cercare di comprendere «come in quel tempo lontano si affrontavano timori e angosce, come si diffondevano, come si spiegavano, come ci si consolava». Non solo. Oltre alla miseria, alla fame, alla carestia e alle malattie, che avrebbero condotto gli individui alla morte, si temevano i cosiddetti “altri da sé”, cioè gli stranieri, i diversi e più di tutti ebrei, musulmani e mongoli. Erano le loro abitudini e le loro lingue incomprensibili a destabilizzare e spaventare; di conseguenza interi gruppi umani vennero bollati con gli infamanti marchi di “empi”, “depravati”, “perversi”. Per Frugoni si tratta di descrizioni non troppo diverse da quelle odierne rispetto alla possibile invasione straniera.
STORIA MODERNA
DONNE PRODUTTRICI NELL’ITALIA ROMANA UNA FONTE PARTICOLARE permette di attestare una
forte partecipazione femminile nella produzione di materiali da costruzione. Nell’Italia romana, tra la tarda repubblica e l’età imperiale, diversi nomi di donne compaiono sui marchi di fabbrica applicati a manufatti in terracotta, specialmente mattoni, tegole, anfore. La storica Silvia Braito ha identificato ben 175 donne produttrici di opus doliare, ovvero sia il materiale da costruzione sia i contenitori da stoccaggio e trasporto e la ceramica pesante. Il nome sul manufatto equivaleva forse a un’orgogliosa rivendicazione della titolarità dell’impresa in un settore monopolizzato dagli uomini.
Diana Nardacchione
LE VIVANDIERE. UMILI EROINE CHE LA STORIA HA DIMENTICATO Soldiershop, 2020; 108 pp.; 29 ¤
Silvia Braito
L’IMPRENDITORIA AL FEMMINILE NELL’ITALIA ROMANA Scienze e Lettere, 2020; 464 pp.; 55 ¤
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A PARTIRE DALLA GUERRA
dei trent’anni (1618-1648) alcuni governi come quello francese istituzionalizzarono i servizi di vettovagliamento,
rammendo e lavanderia da sempre offerti dalle donne alle truppe. Si trattava però di una gestione che avveniva secondo “canali maschili”. Più che essere l’espressione di una vocazione, i ruoli di cantiniera, vivandiera e lavandaia erano il frutto del matrimonio di una donna con un militare. Secondo l’autrice, Diana Nardacchione, «la concessione non poteva essere attuata direttamente a favore di una donna poiché, all’epoca, era indecoroso che questa potesse essere titolare di reddito, a meno che non fosse una prostituta». In caso di vedovanza queste donne avrebbero perso la concessione a esercitare la professione.
STORIA ROMANA
L’eruzione del Vesuvio vista dai due Plinio
P Daisy Dunn
ALL’OMBRA DEL VESUVIO. VITA DI PLINIO Solferino, 2020; 368 pp., 20 ¤
robabilmente Plinio il Vecchio non sapeva neppure che il Vesuvio fosse un vulcano, o almeno che fosse un vulcano attivo. Lui che quella montagna dall’aspetto innocente, ammantata da vigneti, bagnata dal fiume Sarno e visibile da Pompei l’aveva descritta nella Naturalis historia, non avrebbe mai immaginato la forza distruttiva che sprigionò nel 79 d.C. (il 24 agosto secondo l’ipotesi più accreditata) uccidendolo. Mentre la ca-
tastrofe stava per compiersi, Plinio il Vecchio si trovava insieme al nipote, Plinio il Giovane, in una villa affacciata sulla baia di Napoli quando «una nube insolita per vastità ed aspetto» simile a un pino domestico «protesasi verso l’alto come un altissimo tronco si allargava poi a guisa di rami». La prima ad accorgersene fu Plinia, la madre del giovane Plinio, ma ora «il pino di fumo cresceva sempre di più, sospinto dalla camera magmatica
STORIA SOCIALE
La stretta di mano dalla Mesopotamia al Covid-19
A Massimo Arcangeli
L’AVVENTUROSA STORIA DELLA STRETTA DI MANO Castelvecchi, 2020; 108 pp., 14,50 ¤
suggello di accordi politici, militari, economici, sociali, o come semplice gesto di commiato, stava spesso una stretta di mano. In un pannello del IX secolo a.C., custodito al The Iraq Museum di Baghdad, è rappresentata una delle più antiche strette di mano. Ad afferrarsi con fierezza “le destre” sono il re assiro Šulmānu-ašarēdu III e il re babilonese Mardukzâkir-šumi I. Nell’850 a.C. quest’ultimo aveva chiesto
al sovrano assiro il proprio aiuto per sedare una rivolta capeggiata dal fratello. Una delle più antiche strette di mano del mondo occidentale è rappresentata nella stele tombale di Eukoline, datata 350 a.C. circa e custodita nel Museo del Ceramico ad Atene. Essa colpisce per la tenerezza con cui la madre, Protonoe, porge l’ultimo saluto all’adolescente defunta Eukoline: con la mano destra le tiene il polso, con l’altra le sorregge dolcemente il mento.
e risucchiato in alto dalle correnti di convezione. Al culmine avrebbe raggiunto un’altezza di trentatré chilometri». In questi termini la scrittrice e classicista Daisy Dunn (tradotta da Annalisa Di Liddo) descrive le fasi iniziali dell’eruzione osservata dai due Plinio, il Vecchio e il Giovane, da due prospettive diverse. Lo zio, ammiraglio della flotta di Miseno, prende il mare per osservare meglio il fenomeno e allo stesso tempo per soccorrere i fuggiaschi. Il nipote lo attende a casa, osservando e scrivendo come lo zio gli aveva insegnato. L’attesa del giovane Plinio sarà vana: com’è noto, il vecchio zio e mentore non farà mai più ritorno a casa.
Sullo sfondo stanno il padre Onesimos e forse la nonna Nikostrate, mentre ai piedi della giovane un cagnolino sembra attirare la sua attenzione. Ma spesso dietro al più classico dei saluti stavano altre ragioni. Pare che nell’antica Roma ci si afferrasse per l’avambraccio anche per verificare la presenza di eventuali coltelli nascosti nella manica altrui. In tempi di pandemia e distanziamento sociale, nei quali la stretta di mano è stata accantonata, ricorrendo a un vasto numero di fonti archeologiche e letterarie il linguista e critico Massimo Arcangeli racconta la storia di un antico gesto che è frutto «di un’atavica e naturale predisposizione al contatto». STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GLI INDICI 2020
GRANDI STORIE
Altre civiltà Angkor, la riscoperta di un’antica civiltà Buddha, le incognite di una vita Celti, le origini del loro mondo I bambini congelati delle Ande Amazzoni, le guerriere dell’Asia centrale Ogodei, il signore dell’Asia Samurai, gli eroi dell’antico Giappone Stonehenge, archeologia di un luogo sacro Taj Mahal, il mausoleo di un’imperatrice Veneri del Paleolitico Venti date che hanno cambiato la storia Vichinghi nel Mediterraneo
n. 140, p. 104 n. 134, p. 36 n. 139, p. 46 n. 141, p. 36 n. 133, p. 40 n. 136, p. 86 n. 137, p. 100 n. 136, p. 40 n. 141, p. 90 n. 140, p. 36 n. 142, p. 22 n. 134, p. 84
Vicino Oriente Chi ha scritto i vangeli? I giardini pensili di Babilonia L’ultima rivolta ebraica
n. 131, p. 38 n. 138, p. 28 n. 139, p. 30 n. 142, p. 46 n. 136, p. 24 n. 135, p. 24 n. 134, p. 24 n. 137, p. 30 n. 132, p. 28 n. 133, p. 26 n. 141, p. 22 n. 140, p. 22
Grecia Achille contro Ettore Agrigento, l’antica città dei templi Epidauro, la casa di cura della Grecia La peste di Atene Le colonie greche Olimpia, la madre di Alessandro Magno 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
n. 141, p. 46 n. 142, p. 60
Roma e civiltà italiche Adriano ad Atene Agrippina, l’augusta che voleva regnare Congiura contro Tiberio Funerali imperiali a Roma Gladiatori, scontro nell’anfiteatro La morte di Giulio Cesare Le terme: l’arte dell’igiene nell’antica Roma Le ultime scoperte a Pompei Nerone, il benamato
n. 136, p. 72 n. 131, p. 52 n. 138, p. 74 n. 133, p. 56 n. 141, p. 60 n. 137, p. 80 n. 134, p. 68 n. 132, p. 44 n. 140, p. 62
Medioevo n. 138, p. 42 n. 135, p. 36 n. 137, p. 48
Egitto Cesarione, il figlio di Cesare e Cleopatra Erodoto in Egitto I templi della Nubia Il faro di Alessandria Il sesso nell’antico Egitto L’archivio del faraone: le lettere di Amarna L’esercito egizio L’esplorazione della Valle dei Re Le donne in Egitto Narmer, il primo faraone d’Egitto Nefertiti, la bellezza in Egitto Tebe, la grande capitale dell’Egitto
Sculture del Partenone Socrate, il maestro dell’antica Grecia
BPK / SCALA, FIRENZE
Indici 2020 Storica National Geographic
n. 136, p. 60 n. 134, p. 50 n. 137, p. 62 n. 140, p. 50 n. 138, p. 62 n. 135, p. 48
Alfonso II delle Asturie Cavalieri medievali tra storia e leggenda Il Cid, signore della guerra I gioielli della corona visigota La caduta di Bisanzio: l’assedio del 1453 La crociata dei fanciulli La fine del mondo nel Medioevo La guerra di Granada La peste nera. La rinascita dopo la catastrofe Le donne e l’Inquisizione Un giorno nella vita di un monastero medievale
n. 141, p. 78 n. 142, p. 72 n. 140, p. 76 n. 139, p. 68 n. 139, p. 80 n. 131, p. 86 n. 135, p. 60 n. 138, p. 86 n. 131, p. 68 n. 135, p. 82 n. 133, p. 72
Età Moderna Filippo V di Spagna, il re “pazzo” I pirati dell’isola di Tortuga Il Terrore, il culmine della Rivoluzione L’oro degli inca Niccolò Copernico e la rivoluzione del cosmo Niccolò Machiavelli, il cronista del potere Raffaello, il genio del Rinascimento Viaggio verso il nuovo mondo
n. 142, p. 108 n. 140, p. 90 n. 136, p. 104 n. 132, p. 66 n. 133, p. 88 n. 132, p. 82 n. 134, p. 98 n. 142, p. 92
Età contemporanea Charles Darwin: l’origine delle specie Goya: i disastri della guerra
n. 133, p. 102 n. 139, p. 98
RUBRICHE
Henry Morton Stanley nel cuore dell’Africa L’oppio, la droga che distrusse la Cina La Londra di Charles Dickens La statua della Libertà Ludovico II di Baviera, il re sognatore
n. 141, p. 106 n. 135, p. 96 n. 131, p. 98 n. 132, p. 96 n. 138, p. 102
Personaggi straordinari Cesare Lombroso, a caccia del criminale nato Giugurta, il re che cercò di comprare Roma Jane Dieulafoy, l’esploratrice travestita Johann Strauss, l’imperatore del valzer Lakshmi Bai, la regina guerriera dell’India Nellie Bly, pioniera del giornalismo d’inchiesta Priscilliano, il primo eretico condannato a morte Rabban Bar Sauma, il Marco Polo cinese Robert Koch,il cacciatore di batteri Sofonisba Anguissola, talento rinascimentale
n. 142, p. 12 n. 134, p. 8 n. 133, p. 10 n. 140, p. 12 n. 132, p. 14 n. 137, p. 10 n. 131, p. 14 n. 139, p. 12 n. 141, p. 8 n. 136, p. 8
Evento storico Come gli aztechi conquistarono il Messico Il caso Dreyfus: una battaglia per la verità Il cavo sottomarino che collegò due continenti Il Monte Bianco, la prima impresa dell’alpinismo La vendetta di Gaetano Bresci Nativi contro coloni, la guerra di re Filippo
n. 138, p. 10 n. 135, p. 6 n. 142, p. 18 n. 137, p. 16 n. 131, p. 20 n. 139, p. 18
Vita quotidiana Fantasmi e spettri nell’antica Grecia Il privilegio d’invecchiare a Roma L’arte giapponese di prendere una tazza di tè La febbre dei pattini a rotelle nel XIX secolo La passione ateniese per la roba altrui Le perle alla conquista di Roma Passeggiata alla luce delle lanterne Quando il grasso era sinonimo di successo Una guida per giungere a Compostela
n. 131, p. 28 n. 135, p. 14 n. 141, p. 16 n. 136, p. 18 n. 139, p. 24 n. 132, p. 22 n. 140, p. 18 n. 133, p. 20 n. 134, p. 14
Opera d’arte Autoritratto di Élisabeth-Louise Vigée-Lebrun Gli affreschi del duomo di Monza Il cavaliere, la morte e il diavolo Il libro delle comete Il trittico di san Michele a Salamanca Uta von Ballenstedt: la più bella del reame
n. 136, p. 22 n. 138, p. 20 n. 137, p. 24 n. 131, p. 36 n. 139, p. 16 n. 132, p. 20
Grandi invenzioni E luce fu: nasce il flash al magnesio Il sogno della macchina a vapore Il vibratore, cura moderna per l’isteria Il water, o l’arte di non lasciare tracce John Boyd Dunlop reinventa lo pneumatico L’ascensore a prova d’incidente La baionetta, un’invenzione micidiale Operare senza dolore: la prima anestesia
n. 133, p. 8 n. 132, p. 12 n. 137, p. 8 n. 139, p. 8 n. 138, p. 6 n. 140, p. 10 n. 136, p. 6 n. 131, p. 12
Mappa del tempo Guida di viaggio per la Terra Santa Il progetto di New York L’Europa delle nazioni nel XVI secolo La mappa trigonometrica dell’India La resa di Torino: memorie di un assedio storico Mito e realtà nella prima mappa dell’Artico
n. 137, p. 28 n. 138, p. 26 n. 135, p. 20 n. 133, p. 18 n. 131, p. 32 n. 139, p. 28
Grandi enigmi Carmen, il mito di una zingara spagnola Émile Zola, la morte sospetta di un romanziere Il massacro degli abitanti di Sandby Borg La sifilide venne dall’America? La tragedia della San Telmo Un libro etrusco nascosto in una mummia egizia
n. 136, p. 122 n. 131, p. 118 n. 138, p. 118 n. 135, p. 116 n. 132, p. 116 n. 137, p. 116
Grandi scoperte Calpeia, la donna venuta dall’Oriente Cipro: le statue in terracotta di Agia Irini I bronzi del Luristan I giganti di Mont’e Prama I petroglifi di Tamgaly, un museo a cielo aperto Il console Cesnola e il saccheggio di Cipro La rinascita del gruppo del Laocoonte La tomba della regina Hetepheres a Giza Le tazze d’oro di Vaphio Una necropoli sotto il pavimento di San Pietro
n. 134, p. 118 n. 131, p. 122 n. 141, p. 120 n. 139, p. 118 n. 137, p. 120 n. 140, p. 122 n. 142, p. 124 n. 133, p. 120 n. 138, p. 122 n. 135, p. 120
Dato Storico Come si salutavano i romani Il Rinascimento inventa la lingua dei segni Il secolo d’oro del presepe napoletano L’invenzione della pizza margherita La torta nuziale, una moda vittoriana Riviste di moda: un’invenzione del XVII secolo Una mongolfiera per bombardare Napoleone
n. 136, p. 16 n. 138, p. 24 n. 131, p. 34 n. 134, p. 20 n. 137, p. 22 n. 133, p. 16 n. 132, p. 18
Animali nella storia Il bisonte, vittima dell’uomo bianco Il narvalo, l’unicorno del Rinascimento Il pesce gatto, genio protettore degli egizi L’orso polare, venerato e sacrificato La caccia alla volpe, lo “sport” della nobiltà La zebra di Luigi Antonio di Borbone
n. 131, p. 18 n. 137, p. 26 n. 140, p. 16 n. 141, p. 14 n. 138, p. 18 n. 139, p. 22
Foto del mese Chiusura fino a nuovo ordine Da glorie a rottami Fiandre, 1917 I cannoni di Montmartre Il gigante dei cieli L’altra New York Prigioniera dell’Antartide Un incubo economico Volti di carbone
n. 141, p. 124 n. 135, p. 124 n. 136, p. 126 n. 131, p. 26 n. 134, p. 124 n. 132, p. 122 n. 138, p. 126 n. 140, p. 126 n. 137, p. 124 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero LE REGINE D’ISRAELE NELLA BIBBIA NELL’ANTICO TESTAMENTO
BRIDGEMAN / ACI
le figure femminili protagoniste sono poche, e quasi tutte lo sono in qualità di spose e madri di qualche monarca. Ciononostante, dato che il ruolo fondamente assegnato alle donne anche nella società israelita era la maternità, alcune delle madri dei re riuscirono a ottenere un certo potere a corte e a intervenire nelle questioni di stato. Ne è un esempio la storia di una delle più note tra loro, Betsabea, che appare in due episodi della Bibbia.
La moschea di Córdoba
L’AMICIZIA TRA ALESSANDRO IL GRANDE ED EFESTIONE
Trasformata in cattedrale con la conquista cristiana del 1236, rappresenta una sintesi di eredità musulamana e arte occidentale.
IL SOSTEGNO incondizionato offerto da
130 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Il tempio di Karnak, casa di Amon Nel santuario tebano veniva effettuata la cerimonia del culto quotidiano del dio Amon.
Annibale e la guerra degli elefanti Annibale e i comandanti cartaginesi impiegarono in guerra centinaia di pachidermi.
Gli alchimisti dell’imperatore Alla fine del cinquecento, la corte imperiale di Praga accolse gli alchimisti più eminenti dell’epoca.
DEA / ALBUM
Efestione ad Alessandro nei momenti critici alimentò una forte complicità tra i due, che fece molto discutere in merito alla vera natura del loro rapporto. Non si conoscono le origini della profonda amicizia che legava il sovrano macedone e il figlio di un nobile di origine ateniese, in quanto le fonti al riguardo scarseggiano. Certamente la relazione giovò alla carriera di Efestione, suscitando in alcuni diffidenza nei suoi confronti.
Voltaire, maestro di tolleranza Incarnò la lotta dell’Illuminismo contro gli abusi di potere e in favore di una società basata sulla tolleranza.
M onete antiche t estiMoni della storia
ALESSANDRO MAGNO SOVRANO AMBIZIOSO, GUERRIERO INVINCIBILE
Alessandro III di Macedonia è ritenuto il più grande conquistatore di tutti i tempi. Un giovane condottiero che in soli 12 anni conquistò l’Impero Persiano, l’Egitto e molti altri territori, spingendosi fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale, non solo colonizzando, ma anche esportando la cultura greca e integrandola con quella dei popoli assoggettati. Le monete in circolazione all’epoca furono anche mezzi per propagandare, divulgare e accrescere il suo mito e il suo volto presso le popolazioni di un impero vastissimo.
La dracma d’argento che fu coniata in Grecia nel corso del IV secolo a.C. ritrae al recto il profilo del grande condottiero e al verso il dio Zeus con un’aquila e lo scettro: un vero pezzo museale rigorosamente autentico, straordinario testimone di un’epoca storica lontana, per lei oggi a condizioni di assoluto interesse.
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