IL DETECTIVE, UNA PROFESSIONE DEL XIX SECOLO
IL GIOIELLO DEL GOTICO EUROPEO
UNA VISIONE STORICA
CLEOPATR A
LA REGINA INATTESA
IL CANALE DI SERSE
SHERLOCK HOLMES
- esce il 20/03/2021 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €
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LA PASSIONE DI CRISTO
9 772035 878008
periodicità mensile
MONT SAINT-MICHEL
10146
L’INTIMITÀ DEGLI IMPERATORI ROMANI
N. 146 • APRILE 2021 • 4,95 E
storicang.it
LE EPIDEMIE NEL NUOVO MONDO
LE POPOLAZIONI CARAIBICHE FURONO VITTIME DI DIVERSE EPIDEMIE A CAUSA DELL’ARRIVO DEGLI SPAGNOLI. MAPPA DEL XVI SECOLO.
24 Cleopatra, la regina inattesa Per ottenere il potere, Cleopatra dovette affrontare ed eliminare il fratello Tolomeo e la sorella Arsinoe. DI JOSÉ LULL
36 La passione di Cristo nella storia Gli ultimi giorni di Gesù di Nazaret dalla sua entrata trionfale a Gerusalemme fino alla crocifissione. DI ANTONIO PIÑERO
48 Il canale di Serse I persiani costruirono un immenso canale per attraversare la penisola dell’Athos e giungere in Grecia. DI ANTONIO PENADÉS
60 L’intimità degli imperatori I Severi regnarono su Roma nel III secolo: alcuni furono giusti e sensati; altri invece scandalizzarono l’impero. DI JUAN LUIS POSADAS
74 Mont Saint-Michel Un’abbazia sulle coste della Bretagna nel XIII secolo divenne un magnifico monastero gotico. DI JAIME NUÑO GONZÁLEZ
90 Epidemie nel Nuovo Mondo Gli spagnoli portarono nelle Americhe malattie come il vaiolo o il morbillo. DI ISABEL BUENO
102 Sherlock Holmes Il personaggio di Conan Doyle ispirò gli investigatori reali della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo. DI JOSÉ LUIS IBÁÑEZ
6 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI
Beethoven, il genio sordo La sordità non impedì al musicista e compositore di creare grandi opere.
14 GRANDI INVENZIONI
Il codice Morse
Samuel Morse iniziò a trasmettere i messaggi con la telegrafia elettrica.
16 VITA QUOTIDIANA
Ninja, i guerrieri notturni Tecniche di guerriglia in Giappone.
20 OPERA D’ARTE
Il cratere di Derveni Rinvenuto in una tomba macedone, risale al IV secolo a.C.
118 GRANDI ENIGMI
L’ebreo errante
La leggenda dell’uomo che schernì Cristo in croce.
122 GRANDI SCOPERTE
Turuñuelo
Testimonianza della fine di Tartesso.
126 FOTO DEL MESE 128 LIBRI E MOSTRE
DARICO. MONETA D’ORO RAFFIGURANTE UN RE PERSIANO. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
3
Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION
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L’INTIMITÀ DEGLI IMPERATORI ROMANI
LE EPIDEMIE NEL NUOVO MONDO
LA PASSIONE DI CRISTO
UNA VISIONE STORICA
CLEOPATR A
LA REGINA INATTESA
IL CANALE DI SERSE SHERLOCK HOLMES
IL DETECTIVE, UNA PROFESSIONE DEL XIX SECOLO
MONT SAINT-MICHEL
IL GIOIELLO DEL GOTICO EUROPEO
VISTA DELL’ABBAZIA GOTICA DI MONT SAINT-MICHEL AL TRAMONTO. FOTO: FRANCIS SO / GETTY IMAGES
Pubblicazione periodica mensile - Anno XIII - n. 146
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4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IN ED ICO LA
Gli speciali di Storica National Geographic in edicola questo mese
Speciale Storica
Speciale Storica Archeologia
Lo splendore culturale che aveva contraddistinto la Grecia, nel V secolo a.C. fu offuscato dalle lotte per l’egemonia tra Atene e Sparta. La situazione era notevolmente aggravata dall’ingerenza dell’impero persiano. La guerra del Peloponneso significò il declino della Grecia classica. Gli eccessi militari, l’epidemia di peste, la fallimentare spedizione in Sicilia e le continue guerre intestine indebolirono il potere di Atene e determinarono il successo spartano. L’esasperazione delle città greche si concluse con la loro sottomissione alla grande potenza militare macedone. In edicola dal 23 marzo. Prezzo ¤ 9,95.
Nel X secolo il califfo Abd al-Rahman III decise di fondare la città di Medina Azahara nelle vicinanze di Cordova. Voleva farla diventare la sua nuova residenza, ma soprattutto desiderava mostrare al mondo lo splendore e il potere della dinastia omayyade, da lui stesso rappresentata. Dal canto suo l’antica città di Samarra, fatta erigere dal califfo al-Mutasim, brillò per soli 50 anni come capitale degli abbassidi ma, nonostante la sua breve esistenza, lasciò un’impronta indelebile nell’architettura islamica e acquisì una grandezza immensa. In edicola dal 26 marzo. Prezzo ¤ 9,95.
IL DECLINO DI ATENE
I GIOIELLI DELL’ISLAM
AT T UA L I T À
SAHAR SALEEM
SAHAR SALEEM REALIZZA UNA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA DELLA MUMMIA DI SEQENENRA TA’O.
ANTICO EGITTO
SALEEM e Hawass
SAHAR SALEEM
sono stati tra i primi a usare la tomografia computerizzata per analizzare le mummie. Secondo Saleem «la morte di Seqenenra motivò i suoi successori a continuare la lotta per l’unificazione del Paese». Infatti, suo figlio Ahmose riuscì a espellere gli hyksos dall’Egitto e con lui ebbe inizio la XVIII dinastia, una delle più importanti.
6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Così morì il faraone Seqenenra Ta’o Uno studio radiologico suggerisce che Seqenenra Ta’o fu ucciso dopo essere stato fatto prigioniero sul campo di battaglia
D
a anni si discute sulla causa di morte di Seqenenra Ta’o, soprannominato il Coraggioso, la cui mummia fu scoperta nel 1881. Il faraone morì combattendo contro gli hyksos, che detennero il potere in Egitto per circa un millennio (tra il 1650 e il 1550 a.C.). Gli studi realizzati sulla mummia hanno rilevato la presenza di diverse lesioni sul cranio. Secondo la teoria prevalente fu catturato e giustiziato. Ora uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers
in Medicine ricostruisce meglio la sua storia grazie alla tecnologia diagnostica. Gli autori della ricerca, Sahar Saleem, docente di radiologia all’Università del Cairo, e l’egittologo Zahi Hawass, fondano la loro ipotesi su un’elaborazione digitale d’immagini a raggi X: in base ai loro risultati, quando il faraone morì aveva le mani legate dietro la schiena, il che confermerebbe che fu giustiziato. La tomografia computerizzata (TC) dei resti mummificati del faraone ha evi-
denziato gravi lesioni alla testa, comprese alcune non rilevate in precedenza che gli imbalsamatori erano riusciti a mascherare. Ciò suggerisce che Seqenenra Ta’o fu vittima di più aggressori. Gli scienziati sono stati in grado di confermare l’ipotesi studiando cinque diverse armi che corrispondono alle ferite presenti sulla mummia del sovrano. «In un’esecuzione normale […] è solo una persona a colpire [...] La morte di Seqenenra fu probabilmente un’esecuzione cerimoniale», spiega Saleem.
presentano
la Divina Commedia del Duca Filippo Maria Visconti
Un grande progetto di arte e cultura per celebrare il 700° anniversario di Dante
Prima edizione mondiale di uno dei manoscritti danteschi più importanti e riccamente illustrati di tutti i tempi. Un capolavoro smembrato e diviso tra la Biblioteca nazionale di Parigi e la Biblioteca comunale di Imola finalmente riunito in un codice unico per studiosi, appassionati e collezionisti di tutto il mondo. 395 carte contenenti il testo dantesco e il commento di Guiniforte Barzizza 72 preziose miniature eseguite dal “Maestro delle Vitae Imperatorum” Applicazione dell’oro, cucitura e legatura eseguite a mano Copertina in pelle blu con fregi in oro a caldo Tiratura mondiale limitata a 350 esemplari numerati e certificati Per informazioni Telefono: 353 4203036 oppure email: info@operasrl.it L’opera fa parte della “Biblioteca di Dante”, progetto promosso con il patrocinio di:
AT T UA L I T À
UN ARCHEOLOGO
PROJECTE PORTITXOL
subacqueo studia i resti del carico di un’ipotetica nave affondata nella baia del Portitxol.
IL PORTITXOL
Ritrovato un centinaio di ancore antiche di fronte alla costa mediterranea della Spagna
F
in dai primi viaggi dei fenici nell’VIII secolo a.C. la baia del Portitxol fu utilizzata come fonda naturale da moltissime navi che si avvicinavano alla costa di Xàbia (Alicante, Spagna). Una ricerca di archeologia subacquea ha rilevato tracce di questa attività e ha rinvenuto, nelle profondità della baia, una grande quantità di materiali ceramici e metallici. Ma la scoperta più interessante è stata quella di un centinaio di ancore di tipologie ed epoche diffe8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
renti. Gli archeologi Alejandro Pérez, Jordi Blázquez e Ximo Bolufer hanno inoltre rivelato alcune eccezionali scoperte effettuate durante la campagna del 2020, come per esempio dei ceppi di piombo fenici che sono attualmente in fase di studio e potrebbero costituire dei reperti unici al mondo. Oltre agli scavi di questo giacimento e quello dell’isola del Portitxol, nella zona è prevista la creazione di un parco archeologico subacqueo e una ricostruzione virtuale del sito.
PROJECTE PORTITXOL
Ancore di duemila anni fa
SECONDO JAIME MOLINA, professore di storia antica all’Università di Alicante, nella baia del Portitxol è presente la maggiore concentrazione di ancore della costa iberica mediterranea. I reperti in questione sono di tipologie e periodi molto diversi tra loro. Sebbene le più notevoli siano quelle romane, sono state rinvenute anche rudimentali ancore in pietra, le più antiche. Altre risalgono invece al periodo bizantino e alcune alla civiltà andalusa, molto presente sul territorio.
A B B O N AT I A L L A R I V I S TA
S T O R I C A N AT I O N A L G E O G R A P H I C D I G I TA L
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PERSONAGGI STRAORDINARI
Beethoven, un genio torturato dalla sordità Nato ormai 250 anni fa, sin dalla giovinezza Beethoven soffrì di un grave problema all’udito che lo tormentò, ma che non gli impedì di comporre opere straordinarie
Una vita al servizio della musica 1796
N
el 1824 venne eseguita per la prima volta la Sinfonia n. 9 di Beethoven. Pare che in quell’occasione il compositore si trovasse sul palco accanto al direttore d’orchestra quando fu avvisato da una delle cantanti, Caroline Unger, o dal primo violino, perché si voltasse a osservare l’ovazione del pubblico. Non poteva infatti sentire niente: il maestro, che aveva cinquantatré anni, era già completamente sordo. I primi sintomi del disturbo erano comparsi quando Beethoven aveva circa ventisei anni. Intorno al 1796, quattro anni dopo essersi stabilito a Vienna, il musicista iniziò a perdere l’udito e a patire di tinniti, acufeni interni a frequenza elevata. Poco dopo iniziò a non sentire le conversazioni e, se si gridava, soffriva d’iperacusia. Nel 1809, mentre Vienna veniva bombardata dalle truppe napoleoniche, fu costretto a coprirsi le orecchie con dei cuscini per attutire i rumori.
Stabilitosi a Vienna da quattro anni, Beethoven comincia a sentire dolore alle orecchie e a perdere l’udito.
1802 Il suo stato peggiora e nel cosiddetto Testamento di Heiligenstadt confessa di aver perfino pensato al suicidio.
1803 Pubblica la sonata La tempesta, la cui atmosfera drammatica sottolinea il tormento causato dalla sordità.
1814 Poiché non riesce ad ascoltare quel che suona, Beethoven cessa di esibirsi in pubblico e si dedica solo a comporre.
1827
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Un’angoscia segreta Nel 1801 Beethoven confessava la sua sofferenza in una lettera all’amico medico Franz Gerhard Wegeler: «Negli ultimi tre anni il mio udito si è indebolito sempre di più. Il problema sembra essere causato dal mio addome [...] Frank [un medico viennese] ha cercato di tonificare il mio fisico con medicine ricostituenti e il mio orecchio con olio di mandorle, eppure non è servito a nulla […] Per quasi due anni ho smesso di frequentare ritrovi in società, solo perché non riesco a dire alla gente: “Sono sordo […]”. Ti supplico di mantenere il più totale riserbo su tale questione». Il dolore per la perdita dell’udito si rifletté nella sua produzione. La Sonata per pianoforte n. 14, più nota come Mondscheinsonate (Sonata al chiaro di luna), è una commovente
«Che umiliazione quando qualcuno udiva un flauto e io non sentivo niente!» BRIDGEMAN / ACI
Il compositore, che dal 1818 comunica con l’esterno solo attraverso quaderni e appunti, muore il 26 marzo.
Proprio all’apice del successo europeo come compositore e pianista, Beethoven comprese la gravità della sua malattia. Per alcuni anni continuò a trionfare in concerti ed esibizioni private in qualità di virtuoso del pianoforte, ma i disturbi, invece di scomparire, si aggravarono.
IL TESTAMENTO DI HEILIGENSTADT È UNA LETTERA SCRITTA DA BEETHOVEN NEL 1802 E RITROVATA DOPO LA SUA MORTE, NEL 1827.
LA SALUTE, CALVARIO DI BEETHOVEN LA MEDICINA attuale propende per una patologia di tipo autoimmune quale causa più probabile della sordità di Beethoven. Il compositore invece l’attribuiva a problemi intestinali. Quel che è certo è che dalla sua autopsia e dall’analisi dei tessuti si è potuto concludere che Beethoven soffriva di disturbi addominali, epatici e renali ed era anche affetto da meningoencefalite. A causa di tutti questi problemi di salute, il suo ultimo anno di vita fu un calvario: circa 15 medici provarono a curarlo per gonfiore addominale, infezioni ed edemi usando sanguisughe e iniezioni. LUDWIG VAN BEETHOVEN. LITOGRAFIA DI CARL SCHWENINGER IL GIOVANE. XIX SECOLO. PHILARMONIE DE PARIS. FINE ART / ALBUM
confessione sonora ispirata pure dal rifiuto in amore di Giulietta Guicciardi. La sua musica raggiunge dimensioni eroiche, espressione della disperata lotta dell’uomo per trionfare sulle avversità. Nello stesso periodo compose la Sonata per pianoforte n. 17, meglio conosciuta come Der Sturm (La tempesta). La tragica atmosfera che emana la rende una contemplazione sonora del dolore umano. Da essa trapela inoltre il duro cammino che avrebbe percorso lo stesso Beethoven: l’isolamento dalla società e la catarsi tramite la sperimentazione artistica.
Il musicista cercò l’aiuto dei medici, anche se all’epoca la scienza poteva offrirgli ben poco. Nel 1802 i dottori Johann Adam Schmidt e Karl von Rokitansky gli applicarono invano della corrente elettrica all’orecchio. Schmidt gli consigliò di ritirarsi per un certo periodo a Heiligenstadt, una cittadina vicino a Vienna, in cui avrebbe potuto riprendersi e passeggiare per i boschi, un’abitudine che avrebbe conservato per tutta la vita. Lì scrisse, nell’ottobre 1802, il cosiddetto Heiligenstädter Testament (Testamento di Heiligenstadt),
un’esternazione che nascose fino alla morte e che rivolgeva ai suoi fratelli e al mondo intero: «Oh voi uomini che mi reputate e definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire a voi così […] da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti […] non mi riusciva di dire alla gente: “Parlate più forte, gridate: perché sono sordo” […] Ma quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
DIVERSI CORNETTI E STRUMENTI acustici usati da
BRIDGEMAN / ACI
Beethoven. Beethoven Haus, Bonn.
non udivo niente! [...] Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita».
Ritiro dalle scene In seguito all’impossibilità di sentire quello che suonava, nel 1814 Beethoven fece un’ultima apparizione pubblica
come pianista. Da allora il maestro accettò con immenso dolore che fossero altri a interpretare le sue opere. Dovette così rinunciare alle importanti entrate economiche dei concerti, e la rendita vitalizia offerta da alcuni aristocratici viennesi divenne il suo principale mezzo di sussistenza. Tuttavia la sordità non ebbe mai ricadute sulle sue
ECCESSO DI PIOMBO DALL’ANALISI di una ciocca di capelli del compositore effettuata negli anni novanta del XX secolo e dalla riesumazione delle ossa avvenuta nel 2005, è emersa una quantità di piombo di ben 42 volte superiore alla media. L’intossicazione da esposizione al piombo (saturnismo) potrebbe essere la causa dei dolori addominali e forse della sordità. CIOCCA DI CAPELLI DI BEETHOVEN MESSA ALL’ASTA NEL 2019. REUTERS / GTRES
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abilità, perché il compositore riusciva a immaginare tutti i suoni. Come un artista che riesce a visualizzare l’opera non ancora dipinta, allo stesso modo Beethoven ascoltava nitidamente il suo cervello. Non solo. Man mano che la malattia progrediva e un muro insormontabile si alzava tra lui e il mondo esterno, lo stile del compositore faceva passi da gigante, arrivando a scelte coraggiose che non tutti avrebbero compreso. Le sperimentazioni della Sonata per pianoforte n. 32, l’ultima da lui scritta, e dell’Opera 133, o Große Fuge (Grande fuga) lasciarono infatti perplessi molti suoi ascoltatori. Beethoven non smise mai di provare nuovi rimedi per curare la sordità. In uno dei “quaderni di conversazione” che usava per comunicare con gli altri affermava:
I quaderni di conversazione di Beethoven A partire dal 1818 per comunicare Beethoven usò spesso dei taccuini sui quali amici e conoscenti scrivevano quanto volevano dirgli. L’artista rispondeva a voce e solo sporadicamente aggiungeva note di suo pugno. Il testo riportato raccoglie le osservazioni rivolte al compositore nel 1819, quando questi si recò in un ristorante con altre quattro persone. Vi prego di musicare presto il lied del conte von Loeben. [...] Quel tipo che è seduto di fronte a noi e che abbassa gli occhi in modo così stolto è il figlio del cantante Simoni. [...] Finite la Messa una volta per tutte. [...] Non parlate a voce così alta. È un problema nei luoghi pubblici, tutti spiano e ascoltano. [...] Dovrebbe andare a complimentarsi con la donna del cafè. [...]
Cosa avete deciso riguardo al prestito? [Beethoven ne aveva chiesto uno presso una banca] Cercherò di esaminare la questione domani, è tardi. [...] Sento dire che qui non si può pranzare, ma quel signore conosce un buon ristorante, proprio accanto al teatro. [...] Rossini ha un talento originale, non ci sono dubbi, ma è un pasticcione senza gusto. [...] QUADERNO DI CONVERSAZIONE Nº 11. PAGINA DEL MARZO 1820. BERLINER STADTBIBLIOTHEK, BERLINO. BPK / SCALA, FIRENZE
«Il dottor Mayer ha unito in un unico trattamento il fumo solforico e le vibrazioni, ed è riuscito a guarire diversi pazienti con problemi all’udito […] Tra gli altri, ha curato una donna che non sentiva più niente da quindici anni». Il compositore si servì anche di alcuni strumenti per migliorare l’ascolto. L’inventore Johann Nepomuk Mälzel gli costruì dei cornetti di dimensioni diverse. Beethoven ne preferiva uno a forma di diadema che poteva usare mentre suonava il pianoforte o dirigeva l’orchestra. Pur di percepire le frequenze sonore tramite la conduzione ossea, reggeva tra i denti una bacchetta di metallo che appoggiava alla cassa armonica del pianoforte, così da coglierne le vibrazioni. Si fece pure costruire una cassa che collocava sopra lo strumento e fungeva da altoparlante, come anche un pianoforte con due enormi cornetti rivolti verso le sue orecchie. Nel
1818 la casa produttrice Broadwood regalò a Beethoven un piano fatto su misura per lui, con sonorità più penetranti e robuste rispetto agli analoghi viennesi. Conrad Graf gliene fabbricò un altro con una conchiglia gigante come amplificatore. Ma fu grazie al suo straordinario “orecchio interno” che poté continuare a comporre e a dar prova del suo immenso talento.
Completamente sordo? Beethoven arrivò ad assumere ben settantacinque boccette medicinali prescrittegli dal dottor Andreas Ignaz Wawruch. Non fecero altro che peggiorare il suo dolore. Nel Testamento di Heiligenstadt spiegava che fu la sua musica a impedirgli di suicidarsi: «La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre».
Tempo dopo la sua morte, avvenuta il 26 marzo 1827, alcuni identificarono Beethoven come genio romantico per eccellenza. La sordità contribuì ad accrescerne il mito. Ma se il “genio sordo” non lo fosse stato del tutto? È questa la tesi del musicologo Theodore Albrecht. Dopo aver studiato con cura i quaderni di conversazione, Albrecht ha sostenuto che Beethoven sentisse qualcosa dall’orecchio sinistro, almeno fino al 1823, perché allora scrisse che, da quando aveva tolto i cornetti, l’orecchio sinistro era in condizioni migliori. In duecento anni non l’aveva ancora notato nessuno. La polemica è servita. VERÓNICA MAYNÉS MUSICOLOGA, CRITICA MUSICALE E DOCENTE
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SAGGI
Beethoven Piero Buscaroli. Mondadori, Milano, 2020.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI INVENZIONI
Il codice Morse, la voce della telegrafia Dopo aver testato sistemi che richiedevano l’uso di voluminosi dizionari, Samuel Morse sviluppò un codice per la trasmissione di messaggi con la telegrafia elettrica
N
ei primi decenni del XIX secolo molti scienziati elaborarono sistemi per la trasmissione di messaggi attraverso i cavi della corrente, la cosiddetta“telegrafia elettrica”. Alla fine il dispositivo che maggiormente si diffuse negli Stati Uniti e in altri Paesi fu quello brevettato dallo statunitense Samuel Morse nel 1840. Per le sue caratteristiche tecniche, come l’uso di un’elettrocalamita nel ricevitore, il telegrafo di Morse si dimostrò più semplice ed efficiente rispetto a quello dei suoi principali rivali, gli inglesi Cooke e Wheatstone. Ma aveva anche un altro vantaggio: un codice attraverso il quale gli impulsi corti e lunghi venivano convertiti in punti e linee che a loro volta andavano a comporre le lettere di una parola. Alla fine del XIX secolo iniziarono a circolare varie testimonianze che attribuivano l’invenzione del codice Morse ad Alfred Vail (1807-1859), suo stretto collaboratore. Questa informazione è riportata anche in alcune enciclopedie e, nel 1911, il nipote
di Alfred Vail fece aggiungere la seguente iscrizione sulla lapide del nonno: «Inventore dell’alfabeto a punti e linee del telegrafo». Il 2 settembre 1837, mentre lavorava come macchinista nell’azienda metallurgica del padre, Vail partecipò alla prima dimostrazione pubblica del telegrafo elettromagnetico di Morse presso l’Università di New York. Entusiasmato dalle grandi potenzialità commerciali offerte dall’invenzione, convinse Morse a firmare un accordo: Vail s’impegnava a sviluppare il dispositivo e a ottenere la concessione del brevetto a favore di Morse.
Alfabeto a punti e linee Nella bottega paterna Vail sviluppò notevolmente il disegno originale del telegrafo di Morse, con l’aiuto del giovane apprendista William Baxter. Migliorò, ad esempio, il tasto di trasmissione e il sistema di registrazione dei segnali. Ma secondo un articolo del 1888 Vail avrebbe anche elaborato l’alfabeto usato nel nuovo telegrafo. Al posto del codice numerico inizial-
EM
AN
/A
CI
1844
SAMUEL MORSE. RITRATTO ANONIMO. SCUOLA AMERICANA. 1855 CIRCA. THE HECKSCHER MUSEUM OF ART, HUNTINGTON.
mente ideato da Morse, che richiedeva l’uso di un voluminoso dizionario per decifrare le corrispondenze tra numeri e parole, Vail avrebbe sviluppato un sistema alfabetico basato su punti e linee che permetteva di registrare direttamente parole e frasi. Questa tesi, però, non trova conferma nei documenti. È vero che Morse originariamente pensava a un sistema numerico basato su corrispondenze. Il 24 ottobre 1837, poco dopo aver presentato il brevetto per il telegrafo, scrisse a Vail: «Il dizionario è pronto. Non puoi immaginare quanto lavoro abbia richiesto, ma finalmente è concluso, e ora è possibile comunicare o scrivere qualsiasi cosa tramite numeri». Ma nel febbraio del 1838 un rapporto ufficiale sul telegrafo presentato da Morse all’Università di New York dimostrava che l’inventore disponeva di due sistemi alternativi per la trasmissione dei messaggi, uno numerico e uno alfabetico. Il primo si basava esclusivamente su «punti marcati su carta e separati da spazi. Per esempio, “... .. .....” rappresenta il
IL PRIMO MESSAGGIO IN CODICE MORSE (1884): «WHAT HATH GOD WROUGHT» (QUAL È L’OPERA CHE DIO COMPIE). FROM EDWARD LIND MORSE / NATIONAL MUSEUM OF AMERICAN HISTORY 14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
I
DG
BR
DISPOSITIVO DI TRASMISSIONE USATO DA MORSE E VAIL NEL 1844. SCIENCE SOURCE / ALBUM
IL LINGUAGGIO DI PUNTI E LINEE 1832 Durante un viaggio in nave Samuel Morse ha l’idea di utilizzare un’elettrocalamita per inviare messaggi via cavo.
1837 Presentazione del prototipo del telegrafo. Alfred Vail partecipa alla conferenza e convince Morse a unirsi in società.
1840 Morse ottiene il brevetto del telegrafo, sviluppato grazie ai contributi del suo socio e collaboratore Alfred Vail.
GRANGER / ACI
1844 Il 24 maggio Samuel Morse e Alfred Vail inviano il primo telegramma da Washington a Baltimora.
ALFABETO MORSE nella versione “continentale”, creata nel 1848. Incisione.
325, e può indicare sia il numero stesso sia una parola associata al numero in un dizionario predisposto a tale scopo». Nel secondo sistema, invece, «i segni alfabetici sono costituiti da combinazioni di punti e linee di diversa lunghezza». Lo stesso Vail, in una lettera indirizzata a suo padre datata febbraio 1838, fornisce la prova del fatto che fu Morse a ideare il sistema di punti e linee: «Il professor Morse ha inventato un nuovo sistema alfabetico e si è sbarazzato dei dizionari», scrisse. Eppure, anche se Vail non inventò il codice, vi apportò un miglioramento di grande rilievo: fu sua l’idea di
associare le lettere più comuni ai segni telegrafici più elementari per accelerare la trasmissione dei messaggi. In base al suo sistema la “e”, che è la lettera più frequente in inglese, venne rappresentata con un semplice punto, mentre la “j”, la meno usata, richiese l’uso di quattro segni: ·–––. Il nome di Alfred Vail merita quindi di apparire accanto a quello di Samuel Morse nella storia dell’invenzione che «ha cancellato il tempo e la distanza», come si disse dopo il primo messaggio di prova del 1844. ALFONSO LÓPEZ STORICO
ALFRED VAIL, SOCIO E COLLABORATORE DI SAMUEL MORSE. RITRATTO DEL XIX SECOLO. AKG / ALBUM
QUOTIDIANA
I ninja, la guerriglia d’élite del Giappone Nel XVII secolo i trattati sulla ninjutsu, l’arte ninja, rivelarono le tecniche giapponesi di guerra irregolare
P
oche figure giapponesi evocano un’immagine così definita come quella del ninja: la spia furtiva, vestita di nero, addestrata da una confraternita segreta in qualche remoto villaggio tra le montagne; l’assassino invisibile e sfuggente come un’ombra, capace di eliminare i suoi nemici e volatilizzarsi nel nulla ancora prima che qualcuno si renda conto di ciò che è accaduto. Ma questa immagine è per lo più frutto della ricostruzione avvenuta durante il periodo Edo (1603-1868), per mano di autori che idealizzarono le figure dei ninja in modi fantasiosi. È questa visione che la letteratura, i fumetti e il cinema hanno universalizzato e reso iconica. In realtà i ninja operarono in un’epoca precedente, caratterizzata da continue guerre tra clan nobiliari, ed erano personaggi decisamente diversi da quelli che ci sono stati tramandati.
SPADE E SCIABOLE non avevano un’arma specifica. I samurai usavano le caratteristiche katane, mentre chi veniva impiegato come spia ricorreva alle armi consentite ai comuni cittadini durante i viaggi, come i wakizashi (spade corte) o i falcetti da contadino.
ALAMY / ACI
I NINJA
WAKIZASHI O SPADA CORTA. XVI SECOLO.
16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
In giapponese i caratteri coi quali è scritto il termine “ninja” possono anche essere pronunciati shinobi, una forma abbreviata dell’espressione shinobi no mono, che significa “coloro che si nascondono”. Di solito la dicitura si applicava ai combattenti che agivano in segreto, per esempio in un attacco notturno. Va notato che il termine non era solitamente usato come sostantivo, cioè per riferirsi a un gruppo particolare di guerrieri, ma piuttosto come aggettivo. “Attacco ninja” o “attacco shinobi” erano espressioni usate per riferirsi a un’offensiva nascosta o a sorpresa, di solito effettuata da un gruppo di guerrieri scelti che erano in grado di tenere testa a forze numericamente superiori. Il repertorio ninja comprendeva tecniche d’infiltrazione e sabotaggio, così come vere e proprie strategie di guerriglia.
Guerrieri furtivi Le azioni shinobi erano spesso sensazionali e memorabili. Tali gesta contribuirono a forgiare la leggendaria reputazione dei ninja come invisibili guerrieri d’élite in grado di sconfiggere interi eserciti. In realtà i ninja non erano un corpo militare specifico. Nello scontro con i loro rivali, i signori feudali utilizzavano una vasta gamma di agenti, come per esempio i teisatsu (ricognitori), che raccoglievano informazioni in segreto; i kisho (guerriglieri) incaricati di
IN AGGUATO. Un samurai vestito di nero in stile ninja si nasconde in attesa di sferrare l’attacco. Scena di un’opera di teatro kabuki. Incisione del XIX secolo.
AKG / ALBUM
attaccare punti vulnerabili come vie di rifornimento, avamposti o pattuglie; i koran (agitatori), che s’infiltravano nelle province nemiche per reclutare scontenti e seminare discordia; e i kancho, delle specie di spie. Spesso per svolgere questi compiti venivano utilizzati semplici individui reclutati per l’occasione, perché agire come ninja era una mansione, non una specialità. Se era necessario seminare il caos nelle retrovie del nemico, si potevano impiegare disertori o banditi, come i membri delle akuto (bande malvagie) che accompagnavano gli eserciti per partecipare alle razzie. Nel 1348
Invisibili, ma non vestiti di nero L’IMMAGINE del ninja ammantato in un abito nero è inconfondibile. In realtà il nero era il colore caratteristico dell’abbigliamento dei macchinisti teatrali giapponesi conosciuti come kuroko, e serviva a far sì che il pubblico non
notasse i loro movimenti dietro agli attori durante la rappresentazione. A un certo punto l’uniforme fu associata all’INVISIBILITÀ e i ninja furono rappresentati vestiti di nero per alludere ai modi furtivi. Ma il loro aspetto reale era ben più ordinario: lo Shoninki,
un trattato ninja del XVII secolo, raccomandava d’indossare indumenti di colore marrone, ROSSO SCURO, nero o blu scuro, che erano tonalità comuni; se necessario, si poteva anche usare un panno scuro per coprirsi il viso e dell’inchiostro con cui cospargere la pelle.
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V I TA Q U OT I D I A N A
IL CASTELLO DI MATSUMOTO,
ALAMY / ACI
costruito nel XVI secolo, è concepito come una vera e propria fortezza.
un sacerdote li descrisse così: «Vestiti in modo alquanto peculiare, con kimono color cachi e cappelli di paglia […] non affrontavano mai nessuno direttamente, ma si aggiravano con faretre di bambù sulla schiena. Alla cintura portavano lunghe spade con impugnature e foderi disadorni e in mano non avevano altro che armi affilate di bambù o legno duro. Non indossavano né corazze né altre armature. Si ritiravano nelle loro roccaforti in gruppi di dieci o venti, e lì affrontavano il nemico o vi si alleavano solo per tradirlo
più tardi, senza curarsi degli accordi o delle promesse precedenti. Amavano i giochi d’azzardo di tutti i tipi ed erano specialisti nel rubare e poi disperdersi furtivamente tra la folla». Per le missioni di spionaggio venivano utilizzati informatori che si fingevano pellegrini o monaci itineranti allo scopo di raccogliere notizie oltre confine. D’altra parte spesso venivano impiegati anche i sacerdoti dei templi, che avevano il compito di annotare quanto gli veniva confessato dai viandanti. Il signore feudale Takeda Shingen (1521-1573) poteva
Nel 1541 un commando di samurai penetrò nel castello di Kasagi e lo diede alle fiamme SHURIKEN. ARMA DA LANCIO UTILIZZATA DAI NINJA. BRIDGEMAN / ACI
vantarsi di possedere un suo servizio di spionaggio composto da agenti che si fingevano monaci o sacerdotesse.
Samurai ninja Quando bisognava effettuare attacchi di precisione contro il nemico per metterne fuori uso le capacità, i mercenari non erano sufficienti; venivano impiegati guerrieri fedeli, samurai addestrati nelle sottigliezze e negli stratagemmi della guerra. I samurai si allenavano fin dall’infanzia in varie arti marziali, ma conoscevano anche i trattati di strategia come il celebre L’arte della guerra di Sun Tzu. Questo testo tratta diversi aspetti della guerra, dalla logistica alla tattica, dall’amministrazione allo spionaggio; secondo Sun Tzu, lo scontro doveva essere l’ultima opzione: un generale saggio combatteva solo contro un nemico già sconfitto strategicamente.
BRIDGEMAN / ACI
IL NINJA Manabe Rokuro
tenta di assassinare il signore della guerra Oda Nobunaga nel 1573. Illustrazione della fine del XIX secolo.
Questo richiedeva la conoscenza dell’avversario attraverso attività di spionaggio. Se ne erodevano le capacità tramite guerriglia, assalti notturni, taglio dei rifornimenti e attacchi a sorpresa. Ecco spiegato perché molti samurai avevano familiarità con la guerra non convenzionale. Un esempio di samurai impegnati in azioni ninja si trova in un episodio del 1541, quando Tsutsui Junsho coordinò l’attacco del castello di Kasagi: un gruppo di guerrieri entrò di nascosto nella fortezza e la diede alla fiamme prima di ritirarsi. Allo stesso modo, nel 1584 Ikeda Nobuteru guidò i suoi migliori samurai mentre attraversavano il fiume Kiso nel cuore della notte, su una barca, per raggiungere in silenzio il castello di Inuyama ed entrarvi per una porta fluviale nella cinta muraria. Nel 1600 un samurai di rinomata abilità nelle arti ninja s’infiltrò in un
campo nemico e ne rubò lo stendardo che poi appese nel suo castello in ricordo della sua furtiva impresa.
La nascita della leggenda A partire dal XVII secolo nel Giappone pacificato dagli shogun Tokugawa non c’era più spazio per le imprese militari dei guerrieri feudali. In compenso apparvero molti autori che rievocavano quel passato, idealizzandone in senso eroico i protagonisti. Così gli eredi dei ninja scrissero alcuni trattati in cui vennero codificate le caratteristiche della cosiddetta ninjutsu o “arte della furtività”, rivendicando l’utilità dei loro samurai come informatori o guardie d’élite dello shogun. Una di queste raccolte fu quella di Fujibayashi Yasutake, un maestro ninja del XVII secolo, che si riferiva ai samurai che agivano come ninja con l’espressione shinobi no samurai o nin-
shi no samurai, cioè “guerrieri che si nascondono”. Secondo Yasutake, «per sconfiggere un nemico numericamente superiore ricorrendo solo a pochi guerrieri e piegare avversari più duri e più forti, è opportuno dimostrarsi flessibili e adattabili, e a tale scopo niente è meglio che ricorrere agli shinobi». La figura del ninja si diffuse così attraverso la letteratura, il teatro e le arti plastiche, fino a dare vita nell’immaginario giapponese a una specie di supereroe dell’epoca feudale. ARTURO GALINDO STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Shoninki. Gli insegnamenti segreti dei ninja Natori Masazumi. Luni, Milano, 2017. Le abilità del ninja. Storia, tattiche e addestramento Antony Cummins. Gribaudo, Milano, 2018.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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OPERA D’ARTE
arte greca
(i v
s e c o l o a . c .)
Il cratere di Derveni, un gioiello dell’oreficeria greca
C
onsiderato un capolavoro dell’arte greca, il cosiddetto cratere di Derveni appartiene al corredo funerario di alcune tombe macedoni scoperte nel 1962 nella località omonima, nei pressi di Salonicco. I recipienti di questo tipo venivano usati per mescolare il vino con l’acqua durante i tipici simposi o banchetti greci. Nell’antichità era infatti abituale diluire i vini a causa del loro elevato tasso alcolico o della loro scarsa qualità. In questo caso il manufatto, di quasi un metro di altezza, fu usato per l’ultima volta come contenitore delle ossa cremate di un uomo tra i trentacinque e i cinquant’anni, e di una donna di età indeterminata.
Attualmente il vaso è esposto nel Museo archeologico di Salonicco. Un’iscrizione in dialetto tessalico posta sul labbro sembra attribuirne la proprietà a un certo Astion, figlio di Anaxagoras di Larissa. Non è affatto certo che i resti appartengano a lui, dato che l’epigrafe e il recipiente potrebbero non essere coevi. La datazione dell’oggetto è ancora in discussione, anche se c’è un certo consenso sul farlo risalire al IV secolo a.C., nel tardo periodo classico, e sull’attribuirlo a un laboratorio ateniese.
Dioniso e il suo corteo Nonostante la tonalità dorata, il cratere di Derveni è di bronzo, anche se la lega contiene una percentuale
ALAMY / ACI
UNA FIGURA MISTERIOSA
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su una faccia del cratere di Derveni c’è un uomo che impugna una lancia e indossa una calzatura a un solo piede. Secondo alcuni studiosi si tratta del tebano Penteo, che si oppose al culto dionisiaco e fu smembrato da un’orda di donne ubriache, tra le quali c’era la sua stessa madre. Altri pensano che sia il re di Tracia Licurgo. In preda a un momento di follia provocatogli dal dio per punirlo della sua empietà, il sovrano uccise il figlio Driante. In questo caso, la scena sarebbe ispirata a un’opera perduta di Eschilo.
insolitamente elevata di stagno. Per questo motivo, pur dopo due millenni dalla sua creazione, il manufatto brilla ancora come oro. L’elemento più straordinario si trova però nell’iconografia che circonda la pancia del vaso, un bassorilievo in uno stile che ricorda quello dello scultore Callimaco. Sulla faccia principale del cratere si può vedere in primo piano il dio greco del vino, Dioniso, nudo e seduto, con una gamba appoggiata su quella della sua paredra o consorte divina, Arianna, che indossa un velo. La scena evoca forse la ierogamia (matrimonio sacro) tra i due, dopo che il dio aveva soccorso la giovane donna sull’isola di Nasso, dove l’ateniese Teseo l’aveva abbandonata. Tutt’intorno si può osservare il tiaso, l’abituale e variopinto corteo del dio: è composto da una pantera (in ricordo del suo viaggio in India), e da un gruppo di satiri e menadi impegnati in una danza estatica di natura rituale e festiva, una sorta di orgia o baccanale. Il tutto avviene sotto l’occhio vigile di Sileno, il tutore della divinità, perennemente ubriaco. Sulla spalla del vaso, nella faccia principale, compaiono le statuette di Dioniso seminudo e di una menade addormentati dopo gli eccessi della danza e dell’ebbrezza. Sul collo c’è un fregio di animali e foglie di edera, mentre sulle anse si possono distiguere i volti di Acheloo, Eracle, Dioniso e Ade. ÁNGEL CARLOS PÉREZ AGUAYO UNIVERSITÀ COMPLUTENSE (MADRID)
DEA / GETTY IMAGES
Questo enorme vaso di bronzo trovato in una tomba macedone e decorato con scene della vita di Dioniso fu probabilmente realizzato nell’Atene del IV secolo a.C.
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AKG / ALBUM
24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
CLEOPATRA UNA REGINA INATTESA
BPK / SCALA, FIRENZE
Nel suo testamento il faraone Tolomeo XII designava Roma protettrice dell’Egitto e stabiliva che sua figlia Cleopatra governasse insieme al fratello minore. Ma contro ogni aspettativa la giovane riuscì a conquistare il potere assoluto
LA REGINA D’EGITTO
Questo rilievo mostra una giovane Cleopatra VII vestita secondo gli usi tradizionali egizi, con un abito senza maniche che le lascia un seno in vista e una parrucca coperta dalle ali della dea avvoltoio Nekhbet. Sopra, papiro con la firma della regina. Staatliche Museen, Berlino.
U
Nonostante la giovane età, la nuova sovrana non era priva di esperienza. Dal padre Tolomeo XII aveva imparato cosa significava governare in un mondo violento e in un contesto internazionale complesso e mutevole, dovendo allo stesso tempo guardarsi le spalle dai parenti più stretti. Aveva capito fin da piccola che la politica era un gioco rischioso che andava gestito con intelligenza e con la consapevolezza che le vittorie erano effimere e le sconfitte sempre superabili.
Una dinastia sfortunata Cleopatra VII faceva parte di una dinastia di sovrani greco-macedoni con alle spalle una storia di quasi tre secoli piena di luci e ombre. I Tolomei vengono ricordati per aver commissionato alcuni dei più famosi monumenti dell’umanità, come il leggendario faro o la biblioteca di Alessandria d’Egitto. D’altra parte furono protagonisti di lotte fratriciede. Prima dell’ascesa al trono di Cleopatra si aggiunsero altri due fattori d’instabilità per il Paese del Nilo.
Uno era frutto di antichi rancori: la propensione del popolo di Alessandria a ribellarsi contro i suoi governanti. Lo stesso padre di Cleopatra, Tolomeo XII, aveva assunto il potere dopo una rivolta popolare nel corso della quale gli alessandrini erano andati a prendere l’ex sovrano nel palazzo e lo avevano ucciso. Il secondo fattore era più recente: il crescente potere romano. Il prozio di Cleopatra, Tolomeo X, in cambio di un prestito da parte della repubblica per finanziare la sua guerra contro il fratello Tolomeo IX, aveva stabilito che il regno d’Egitto sarebbe passato nelle mani di Roma nel caso fosse morto senza eredi. Quel lascito divenne una spada di Damocle per la dinastia tolemaica. Consapevole di questo pericolo, il padre di Cleopatra cercò d’ingraziarsi i personaggi più in vista della repubblica romana, distribuendo grandi quantità di denaro. Ciò lo costrinse ad aumentare la tassazione in Egitto, un atto che provocò scioperi e proteste popolari. Ma dato che nemmeno i proventi regolari delle imposte erano sufficienti a sostenere la sua politica di acquisto di favori , Tolomeo chiese ingenti prestiti ai banchieri romani. Solo così poté promettere a Cesare e Pompeo seimila talenti (equivalenti a tutti gli introiti annuali
SHUTTERSTOCK
n capriccio del destino permise a Cleopatra di diventare una delle grandi protagoniste della storia antica. Contro ogni aspettativa, salì al trono quando era ancora un’adolescente, diventando l’ultima e più famosa regina d’Egitto: Cleopatra Tea Filopatore, la settima delle Cleopatre.
BRIDGEMAN / ACI
C R O N O LO G I A
DISPUTA PER L’EGITTO
69 a.C.
58 a.C.
Cleopatra VII nasce ad Alessandria, forse dalla relazione tra il faraone Tolomeo XII e una donna della nobiltà egizia.
Roma annette Cipro e Tolomeo XII viene espulso dall’Egitto. Sale al trono Berenice IV, sorella maggiore di Cleopatra.
STELE DEDICATA DA CLEOPATRA VII ALLA DEA ISIDE. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
TEMPIO DI HORUS
Questo santuario dedicato al dio falco Horus e situato a Edfu, nell’Alto Egitto, fu iniziato da Tolomeo III nel 237 a.C. e completato da Tolomeo XII, padre di Cleopatra VII, nel 57 a.C.
55 a.C.
51-50 a.C.
48-47 a.C.
46-44 a.C.
Tolomeo XII recupera il trono e fa giustiziare Berenice IV. Tre anni dopo Cleopatra viene nominata co-regnante del Paese.
Cleopatra allontana dal potere il fratello Tolomeo XIII. Governa da sola per 18 mesi prima di essere espulsa.
Cesare conquista l’Egitto. Alla morte di Tolomeo XIII sostiene il governo di Cleopatra e di suo fratello Tolomeo XIV.
Cleopatra si trova a Roma e, dopo la morte di Cesare, la regina fa giustiziare Tolomeo XIV e nomina Cesarione co-regnante.
La fine della dinastia tolemaica TOLOMEO XII 8 0 - 5 8 , 5 5 - 5 1 a.C.
CLEOPATRA VI † 5 7 a.C.
BERENICE IV 5 8 - 5 5 a.C.
ARSINOE IV 4 8 - 4 7 a.C.
TOLOMEO XIII 5 1 - 4 7 a.C.
GIULIO CESARE
TOLOMEO XIV 4 7 - 4 4 a.C.
CLEOPATRA VII 5 1 - 3 0 a.C.
MARCO ANTONIO
Con il padre nell’Urbe
TOLOMEO XV CESARE † 3 0 a.C. ALESSANDRO ELIO
† 29
a.C.
CLEOPATRA SELENE
†6
a.C.
TOLOMEO FILADELFO
† 29
a.C.
Sono indicate le date del regno e della morte
BUSTO DI TOLOMEO XII
RMN-GRAND PALAIS
Sulla parte anteriore del busto s’intravede la fascia o mitra che identificava il re con un «nuovo Dioniso». Musée du Louvre, Parigi.
ne di Cipro. Quando Tolomeo gli comunicò la sua intenzione di andare a Roma, Catone lo mise in guardia dall’avidità e dalla notevole corruzione del senato, che vedeva nell’Egitto solo un’enorme fonte di ricchezze da sfruttare. Tolomeo XII ignorò l’avvertimento e proseguì il viaggio. Arrivato a Roma nel 57 a.C., soggiornò in una lussuosa villa di proprietà di Pompeo, che sarebbe diventato il principale patrocinatore del piano che lo aveva portato nell’Urbe: promuovere un intervento romano in Egitto che lo riportasse sul trono. Poco dopo giunse a Roma un’ambasciata, inviata da Berenice IV, che era composta da un centinaio di persone e aveva lo scopo di screditare il sovrano in esilio. Facendo ricorso ai metodi più radicali che avevano caratterizzato la sua dinastia, Tolomeo XII assunse dei sicari che avvelenarono il capo dell’ambasciata, Dione di Alessandria, e ne assassinarono la maggior parte dei membri. I sopravvissuti furono corrotti o minacciati di morte.
dell’Egitto) se avessero riconosciuto la sua sovranità sul regno del Nilo, la cui legittimità era contestata dalla regina dell’impero seleucide Cleopatra Selene. Alla fine Tolomeo raggiunse il suo obiettivo e il senato lo dichiarò «amico e alleato del popolo romano». Ma quando Roma annetté la ricca isola di Cipro, fino ad allora dominio della dinastia tolemaica, ad Alessandria si scatenò una rivolta che si concluse con l’espulsione del sovrano. Tolomeo andò in esilio, probabilmente in compagnia dalla figlia Cleopatra, frutto della relazione del sovrano con una donna appartenente alla locale nobiltà egizia. Ad Alessandria il potere passò nelle mani di Berenice IV, la figlia che il re aveva avuto dal matrimonio con la sorella Cleopatra VI Trifena. Il deposto monarca si recò innanzitutto a Rodi, dove si trovava Catone il Giovane, che era stato incaricato di organizzare l’annessio-
Mentre era a Roma, Tolomeo ricevette enormi somme di denaro dai banchieri della città. Tali prestiti erano così ingenti che coloro che li avevano elargiti, vedendo minacciati i loro investimenti, fecero pressione sui politici perché aiutassero il re egizio a recuperare la sua corona. Nei mesi successivi la questione fu dibattuta diverse volte in senato, dove nacque un’accesa polemica tra i fautori dell’intervento militare – tra cui si annoverava Pompeo – e i suoi detrattori. Secondo Cassio Dione, questi ultimi escogitarono uno stratagemma per rafforzare la loro posizione. Girava voce che la statua di Giove situata sui colli Albani fosse stata colpita da un fulmine. Per interpretare quell’evento vennero consultati dei testi profetici, i Libri sibillini. Se ne concluse che i romani dovevano continuare a mantenere legami di amicizia con Tolomeo XII, ma senza intervenire militarmente in suo favore. Alla fine del 57 a.C., dopo questa svolta inattesa, Tolomeo XII decise di lasciare Roma e di andare a Efeso, presumibilmente portando con sé la figlia Cleopatra. Non per questo smise di chiedere prestiti per comprarsi nuovi appoggi al senato. Fortune come quella di Gaio Rabirio Postumo erano ormai completamente
FORO DI CESARE A ROMA
Iniziato nel 54 a.C., fu inaugurato da Cesare due anni prima della sua morte, avvenuta nel 44 a.C. Nell’immagine, le tre colonne del tempio di Venere Genitrice dedicato alla dea protettrice della gens Iulia, la stirpe di Cesare. JOHN G. WILBANKS / AGE FOTOSTOCK
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IL TEMPIO DI ISIDE A FILE
Questo santuario era dedicato a Iside, la grande dea egizia, moglie e sorella di Osiride. Molto devota a questa divinità, la regina Cleopatra si considerava una sua incarnazione. ALAMY / ACI
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Una visione negativa
D
CLEOPATRA VII PETTINATA ALLA GRECA, CON I CAPELLI CINTI DA UN NASTRO. ALTES MUSEUM, BERLINO.
OPO AVER sconfitto Cleo-
patra, i romani diffusero una visione molto negativa della regina che è perdurata nel tempo. Così, nel XIV secolo Giovanni Boccaccio scriveva nel De mulieribus claris: «Cleopatra fu una donna d’Egitto, e fu in favola per tutto il mondo […] venne a signoria di quel regno per vizj, e quasi non fu famosa per alcuna ragione, se non per sua bellezza; ma per contrario fu conosciuta per tutto il mondo per avarizia, crudeltà e lussuria». Queste descrizioni sono frutto del ricordo che gli avversari lasciarono della regina, ma riflettono anche il fatto che Cleopatra seppe giocarsi le sue carte con intelligenza e a volte con la stessa freddezza che aveva caratterizzato i suoi predecessori. Il suo obiettivo non era altro che preservare l’indipendenza dell’Egitto e garantire la continuità della dinastia tolemaica.
ALAMY / ACI
L’ASSASSINIO DI POMPEO
Questa incisione del 1880 ricostruisce il momento in cui un servo di Tolomeo XIII pugnala Pompeo mentre questi si appresta a sbarcare in Egitto per sfuggire a Cesare. BRIDGEMAN / ACI
vincolate alla causa del deposto sovrano. Anche Pompeo continuò a sostenere Tolomeo, affidando al proconsole siriano Gabinio il comando della spedizione militare che doveva riportarlo sul trono d’Egitto. Naturalmente a quest’ultimo fu anche offerta una considerevole ricompensa, diecimila talenti. Nel 55 a.C., grazie all’aiuto da parte di Roma, Tolomeo XII riuscì a riconquistare il trono d’Egitto. Cleopatra aveva allora quattordici anni, e – che fosse stata o meno con il padre durante il suo soggiorno romano – sicuramente aveva imparato cosa fossero la lotta per il potere e il prezzo del fallimento: la prima cosa che fece Tolomeo XII al suo rientro ad Alessandria,
infatti, fu giustiziare la figlia Berenice. Con la scomparsa della legittima erede, il ruolo principale nella corte passò a Cleopatra e ai suoi tre fratelli minori. Tolomeo XII promosse intorno a loro un culto dinastico, assegnandogli l’appellativo di «nuovi dei e fratelli amanti», in riferimento a Tolomeo II Filadelfo e a sua moglie e sorella Arsinoe II, che avevano regnato nel periodo più glorioso della dinastia tolemaica. Se il re intendeva in questo modo evitare futuri dissensi tra i fratelli, il suo fallimento non avrebbe potuto essere più completo. E si sbagliava anche a pensare che il suo rapporto privilegiato con alcuni gruppi di potere a Roma avrebbe protetto l’Egitto da possibili interferenze.
L’ombra di Roma Nel 51 a.C., quando Cleopatra aveva diciotto anni, suo padre morì. Il testamento di Tolomeo XII, depositato presso il senato di Roma, affidava alla repubblica il ruolo di garante dei privilegi della dinastia e stabiliva che Cleopatra avrebbe governato insieme al fratello Tolomeo XIII, di appena dieci anni di età. Gli inizi del loro regno furono difficili: la complessa situazione economica dell’Egitto scatenò violente rivolte esacerbate dalla fame. Ma la minaccia più grave veniva ancora una volta da Roma. La repubblica era sconvolta da una guerra civile che si era estesa a tutta l’area del Mediterraneo. Nel 49 a.C. il figlio di Pompeo si recò ad Alessandria per convincere i Tolomei ad appoggiare suo padre nel confronto con Giulio Cesare. Pompeo il Giovane riuscì a ottenere cinquanta navi e ingenti forniture di grano. Arruolò anche cinquecento veterani dell’esercito di Gabinio per la guerra contro Cesare. Ma Cleopatra non fu solamente costretta a fare queste concessioni economiche e militari. Ancora più gravose le risultarono le interferenze di Pompeo il Giovane nella politica della corte egizia. Non si conoscono i particolari di quanto accadde dopo il suo arrivo ad Alessandria. Sappiamo però che nell’ottobre del 49 a.C., in una riunione del senato romano – più precisamente dei senatori fedeli a Pompeo – tenutasi a Tessalonica, il fratello della regina Tolomeo XIII fu dichiarato «amico e alleato del popolo di Roma», mentre nulla si diceva di Cleopatra. Se ne può dedurre che nei
CLEOPATRA DI FRONTE A GIULIO CESARE
Una giovane e bella Cleopatra si reca in visita a Cesare di nascosto per richiederne la protezione. Secondo Plutarco, entrò nel palazzo avvolta in un tappeto, cogliendo di sorpresa il generale romano. Olio di JeanLéon Gérôme. 1866. ALAMY / ACI
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La conclusione della vicenda
N
CLEOPATRA ARRIVA A TARSO SULLA SUA IMBARCAZIONE. OLIO DI WILLIAM ETTY. 1821.
EL 41 A.C., tre anni dopo la
morte di Giulio Cesare, Marco Antonio intraprese una guerra contro i parti in qualità di responsabile dell’organizzazione della zona orientale dei domini romani. Prima d’iniziare il conflitto chiese a Cleopatra di raggiungerlo a Tarso per ottenere da lei sostegno economico e militare. Cleopatra, con i suoi 29 anni, aveva il fascino luminoso di una dea. E si ripeté quanto già era avvenuto con Giulio Cesare. Dalla relazione tra i due nacquero tre figli: Alessandro Elio, Cleopatra Selene e Tolomeo Filadelfo. Marco Antonio e Cleopatra trasformarono l’Egitto in un grande regno ellenistico. Ma la loro gloria fu effimera. Dopo il disastro di Azio nel 31 a.C., Ottaviano entrò vittorioso ad Alessandria. Marco Antonio si suicidò, imitato poco dopo da Cleopatra. Quando anche Tolomeo XV Cesarione fu giustiziato, il sogno della regina d’Egitto svanì definitivamente.
BRIDGEMAN / ACI
EGITTO CONQUISTATO
Il rovescio di questo aureo coniato dopo la sconfitta di Antonio e Cleopatra ad Azio nel 31 a.C. reca l’iscrizione Aegypto capta, (Egitto conquistato). British Museum, Londra.
BR
ID
GE
MA
N/
AC I
mesi precedenti i pompeiani avessero scelto di allearsi con Tolomeo XIII e lei fosse stata espulsa dal regno. Come suo padre prima di lei, Cleopatra dovette andare in esilio, in questo caso in Siria. Lungi dal rassegnarsi alla perdita del potere, radunò in breve tempo un esercito con cui marciare verso l’Egitto. Le forze dei due fratelli si scontrarono a Pelusio, città del delta del Nilo che segnava il confine tra il continente africano e l’Asia. Ma prima della battaglia decisiva si fecero sentire le ripercussioni di un’altra svolta nella politica romana, questa volta favorevole a Cleopatra. Nel 48 a.C., dopo essere stato sconfitto da Cesare a Farsalo, Pompeo si rifugiò in Egitto per cercare l’appoggio del suo ex alleato Tolomeo XIII. Ma il sovrano egizio,
temendo che il Paese diventasse il nuovo scenario della guerra civile romana, decise di tendergli una trappola. Quando la galea sulla quale viaggiava Pompeo raggiunse Pelusio, Tolomeo inviò un servo con l’apparente missione di accompagnare il generale romano al suo accampamento, ma non appena questi mise piede sulla spiaggia il servo lo pugnalò a morte alla schiena.
L’idillio con Cesare Due giorni dopo Cesare sbarcò ad Alessandria e due servi di Tolomeo gli portarono la testa e l’anello del rivale. Cesare pianse la triste fine del suo prestigioso avversario e comprese che Tolomeo XIII non era degno di fiducia. Cleopatra decise di approfittare dell’occasione. Quando il console romano ordinò a lei e al fratello di presentarsi al suo cospetto, la regina decise di giocare d’anticipo: secondo Plutarco, s’introdusse nel palazzo dove alloggiava Cesare nascosta in un tappeto arrotolato. A ventidue anni Cleopatra era una donna attraente, intelligente e dotata di un grande eloquio. Ciò le bastò per sedurre l’uomo più potente di Roma. Nei mesi successivi Alessandria sarebbe stata il teatro di un confuso susseguirsi di congiure di palazzo e di conflitti armati legati alle ambizioni contrastanti dei tre fratelli di sangue reale: Tolomeo XIII, Arsinoe e Cleopatra. Il primo morì in battaglia; la seconda, dopo essere stata acclamata regina dal popolo, fu catturata e uccisa nel tempio di Artemide a Efeso. Cleopatra e il fratello Tolomeo XIV, di appena dodici anni, furono confermati sul trono grazie al sostegno di Cesare, con cui la regina d’Egitto avrebbe anche avuto un figlio, Cesarione. La continuità della stirpe era garantita e Cleopatra sembrava esserne uscita vittoriosa. Ma quattro anni più tardi l’assassinio di Cesare l’avrebbe costretta a riprendere la sua disperata lotta per la sopravvivenza personale e del suo regno. JOSÉ LULL ISTITUTO DI STUDI DEL VICINO ORIENTE ANTICO UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
Per saperne di più
SAGGI
I Tolomei. L’epopea di una dinastia macedone in Egitto Carlo Finocchi. ECIG, Genova, 2002. Cleopatra Ernle Bradford. Bompiani, Milano, 2002.
CLEOPATRA E CESARIONE
Sul muro esterno del tempio della dea Hathor a Dendera, Cleopatra si fece raffigurare in compagnia del figlio Cesarione nell’atto di realizzare offerte agli dei egizi. BRIDGEMAN / ACI
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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UNA STORIA DI SOFFERENZA
Sul retro della meravigliosa Maestà, il senese Duccio di Buoninsegna dipinse 26 scene della passione. Tra queste risalta, al centro, la crocifissione di Gesù. 1308-1311. Museo dell’Opera del Duomo, Siena. ALINARI / RMN-GRAND PALAIS
Una visione storica
LA PASSIONE I vangeli raccontano l’ultima settimana della vita di Gesù di Nazaret, ma modellano 36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
DI CRISTO la narrazione degli eventi in base alla fede di chi li ha scritti
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LO SCENARIO DEI FATTI
La fotografia di Gerusalemme, scattata dal monte degli Ulivi, mostra a destra la spianata dove ai tempi di Gesù venne eretto il tempio. Oggi al suo posto compaiono la moschea al-Aqs.–a e la cupola della Roccia. JOZEF SEDMAK / ALAMY / ACI
L’IMPERATORE TIBERIO
In quest’aureo appare Tiberio, il secondo imperatore di Roma, che governò tra il 14 e il 37 d.C. Fu durante il suo regno che Gesù venne condannato a morte (intorno all'anno 30).
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na domenica Gesù entrò a Gerusalemme e venne acclamato dalla folla come il messia, il salvatore inviato da Dio al popolo ebraico. Il venerdì successivo morì sulla croce, e il suo corpo fu sepolto. Nel mezzo di questi due eventi, Gesù dovette affrontare ben due processi. Il primo, giudaico e condotto dal sinedrio –composto da sacerdoti, anziani e dotti della legge –, lo giudicò per le sue pretese messianiche. Il secondo, romano e presieduto dal governatore della Giudea Ponzio Pilato, lo condannò a morte perché si era ribellato all’autorità imperiale. I sei giorni che vanno dalla domenica al venerdì sono quelli della passione di Cristo, che la Chiesa cattolica ricorda nella settimana santa, anche se le feste liturgiche hanno fine con la resurrezione di Gesù, nel terzo giorno dalla sua sepoltura. I vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni narrano quanto avvenne in quei giorni. Ma fino a che punto sono fedeli ai fatti?
Per rispondere alla domanda bisogna tornare all’epoca in cui i testi vennero redatti. Si ritiene che Gesù dovette morire nell’aprile dell’anno 30. Due decenni più tardi, verso il 50, un discepolo di Gerusalemme si accorse che i seguaci del maestro divulgavano sì informazioni sulle sue ultime sofferenze, sulla sua fine e resurrezione, ma che a nessuno era ancora venuto in mente di metterli per iscritto. E così questa persona, rimasta anonima, espose gli eventi e, a quanto sembra, concentrò in una settimana episodi che si erano probabilmente verificati nell’arco di diversi mesi. La stessa settimana poi coincisa con la Pasqua ebraica, che si festeggia durante il mese di nisan, compreso nel periodo tra marzo e aprile. Questo primo resoconto della passione di Gesù fu plausibilmente alla base della cronaca che compare nel primo Vangelo, quello di Marco, scritto tra il 71 e il 75. Gli studiosi concordano nel sostenere che l’evangelista prese come modello un testo anteriore, andato perduto. Quindi rimane solo il suo racconto. Gli altri vangeli accettati dalla Chiesa presen-
Nel mese di settembre? È d’obbligo una premessa: non sempre una tradizione antica corrisponde alla verità dei fatti. Per esempio il prestigio di Aristotele fece sì che per più di venti secoli venisse appoggiata una teoria secondo la quale la terra era il centro dell’universo e il sole le girava attorno. Solo grazie a Copernico e a Galileo si poté dimostrare che quella“verità”non era tale. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto con alcuni frammenti del Vangelo di Marco. Nonostante il testo sia stato scritto oltre duemila anni fa, è ancora possibile trovare degli indizi sul fatto che le azioni e i detti di Gesù si verificarono in un modo diverso e in un tempo dilatato – più ampio di circa sei mesi –, e non quindi nella settimana al termine della quale morì il nazareno.
Il primo indizio di tali discrepanze riguarda l’entrata trionfale a Gerusalemme. Il Vangelo di Giovanni descrive Gesù circondato da persone che sventolano palme in segno di giubilo. Proprio la presenza delle palme suggerisce che il mese sia settembre, tempo della festa di Sukkoth (o delle capanne), perché queste piante erano abituali in quel periodo: le palme non erano originarie della zona di Gerusalemme e venivano portate da Gerico nei giorni della festività. Il secondo indizio è l’episodio in cui, affamato, Gesù cerca qualcosa da mangiare: «La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse:“Non nasca mai più frutto da te”. E subito quel fico si seccò» (Matteo 21:18-19). A meno che Gesù ignorasse dettagli basilari della vita dei campi,
ORONOZ / ALBUM
tano variazioni, divergenze e contraddizioni rispetto a quanto afferma il primo evangelista. Sono quelli di Matteo (composto verso l’85-90), di Luca (scritto intorno al 90-95) e di Giovanni (redatto all’incirca nell’anno 100).
L’EVANGELISTA MARCO. RELIQUIARIO D’ARGENTO. CHIESA DI SAN NICOLÁS A PAMPLONA. XVI SECOLO.
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I RACCONTI DELLA PASSIONE I vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) inquadrano la storia della passione in una settimana – come qui riprodotto, a partire da Marco – e collocano nella festa ebraica della Pasqua gli eventi dall’ultima cena alla deposizione. Il Vangelo secondo Giovanni, invece, situa i fatti nel giorno precedente alla Pasqua. E presenta altre varianti: ad esempio, fa risalire la riunione in cui il sinedrio decide di arrestare Gesù a più di una settimana prima della passione.
1
domenica. Entrata trionfale a Gerusalemme
Gesù entra a Gerusalemme a dorso di un asino e in compagnia dei discepoli. La folla l’accoglie come il messia mandato da Dio, con grida di giubilo e agitando foglie di palma. Secondo quanto riporta il Vangelo di Giovanni, invece, Gesù sarebbe arrivato il lunedì.
CULTURE-IMAGES / ALBUM
giovedì/venerdì.
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venerdì. Processo
venerdì. Processo
Cena e arresto
Ultima cena di Gesù con i discepoli a Pasqua (secondo gli ebrei, il giorno non cominciava a mezzanotte, bensì al tramonto). Escono dalla città e Gesù prega nel Getsemani, dove Giuda lo tradisce consegnandolo alle guardie del tempio. Giovanni colloca la cena prima di Pasqua, senza scendere nei dettagli.
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lunedì. Purificazione
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martedì/mercoledì.
Tranelli
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mercoledì. Unzione di Betania e tradimento
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del tempio
Gesù definisce il tempio una «spelonca di ladri». Rovescia i tavoli dei cambiavalute, che elargiscono le monete necessarie per comprare le colombe da sacrificare nella Pasqua, e i banchi dove sono vendute. Secondo Giovanni, questo episodio si svolge molto prima, dopo le nozze di Cana.
I principi dei sacerdoti e gli scribi (ovvero il sinedrio) si riuniscono per far arrestare e uccidere Gesù. Nel Vangelo di Giovanni la decisione è presa tempo prima della passione, dopo che il messia ha resuscitato Lazzaro. I sacerdoti temono infatti che i miracoli di Gesù ne accrescano il numero di seguaci.
INGRESSO DI CRISTO A GERUSALEMME. ICONA RUSSA DEL XVII SECOLO. TEMPERA SU TAVOLA. MUSEO DELL’ARTE, JAROSLAVL’.
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A Betania, a casa di Simone il fariseo, una donna unge Gesù con olio di nardo (l’episodio ne prefigura la morte, giacché i defunti venivano cosparsi di profumo). Giuda concorda con il sinedrio la consegna del salvatore. Secondo Giovanni, l’episodio accade prima, a casa di Lazzaro, ed è la sorella di questi, Maria, a ungerlo.
ebraico
All’alba Gesù è condotto a casa del sommo sacerdote Caifa e viene qui interrogato. I sacerdoti affermano che Gesù si considera figlio di Dio, e per questo lo accusano di blasfemia e lo condannano a morte. Secondo i sinottici, il venerdì era Pasqua. Secondo Giovanni, la festività cade di sabato.
romano e morte sulla croce
Al mattino Gesù è condotto al cospetto di Ponzio Pilato, prefetto o governatore romano della Giudea. Questi lo condanna a morte. La crocifissione ha luogo all’ora terza (le nove). Gesù muore verso l’ora sesta (le tre del pomeriggio) ed è sepolto al tramonto (l’ora nona, le sei). sabato. Gesù nel sepolcro
Durante il sabato Gesù si trova nel sepolcro, coperto da una pietra e sorvegliato da guardie incaricate da Pilato dietro richiesta dei sacerdoti del tempio, affinché i discepoli non portino via il corpo per poi dichiararlo risorto. Il giorno dopo, di domenica, la tomba è vuota. Gesù è risorto e appare ai seguaci.
7 Il processo davanti a Pilato si celebra nell’imponente fortezza Antonia, sede del potere romano. Col l i na nor dor i ent a l e Calvario di Gordon; tomba del Giardino le d i Gi u s e pp e ona tri n e ett as
750
Porta dei Pesci
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2 Gesù
affronta i cambiavalute nel cortile dei Gentili del tempio.
1 Gesù entra
a Gerusalemme dal lato del monte degli Ulivi.
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Porta delle Acque
Curve di livello: 10 metre 2 km 0 1
650
6 Gesù viene interrogato a casa di Caifa. Negli anni sessanta è stata rinvenuta una grande casa sacerdotale che è stata associata a Caifa.
Città fortificata ai tempi di Gesù
CROCIFISSO. AI PIEDI LA MADRE E GIOVANNI, IL DISCEPOLO PIÙ GIOVANE SECONDO LA TRADIZIONE.
Acquedotto Porta
LA RESURREZIONE. I VANGELI NARRANO CHE GESÙ RISORGE IL TERZO GIORNO DOPO LA MORTE.
FOTO: FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS. MAPPA: NG MAPS
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5 Gesù si reca
sul monte degli Ulivi e si ferma a pregare nell’orto detto del Getsemani.
Tombe ebraiche postesiliche
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Cortile dei Gentili R ea le P o rt icdio Hulda Porte Ofel
Scalinata (Arco di Robinson)
Getsemani
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Piscina delle Torri
in un luogo preposto a tale scopo chiamato Calvario (da calvarium, “luogo del cranio” in latino) o Golgota (dall’aramaico gu–lgu–ta–, “cranio”).
M O N T E D E L T E M P I O
V A L L E
7 Gesù viene crocifisso
Portici
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7
FLAGELLAZIONE DI GESÙ. SECONDO I VANGELI, AVVIENE NEL TRIBUNALE ROMANO.
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Golgota (ubicazione tradizionale)
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7
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7 Probabilmente Gesù
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IL BACIO DI GIUDA. VETRATA DELLA CHIESA DI BETTON. XV SECOLO. MUSÉE DE CLUNY, PARIGI.
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Piscina probatica (piscina di Betzaeta)
IL GOVERNATORE IMPLACABILE
PONZIO PILATO, PREFETTO DI GIUDEA
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tando ai vangeli, il processo contro Gesù corrispose alla cognitio extra ordinem, procedura più snella rispetto a quella d’epoca repubblicana (ordo o quæstio). Quest’ultimo processo era infatti più macchinoso, con accusa e difesa formali. Gesù venne condannato da Ponzio Pilato, che l’imperatore Tiberio aveva nominato prefetto o governatore della Giudea nel 26. La politica di Pilato – provocare gli ebrei per poi reprimerli con durezza – lascia supporre che non provasse particolare simpatia per un ribelle giudeo come Gesù, che aveva causato incidenti nel tempio e la cui acclamazione come messia sfidava il potere imperiale. Tutto ciò rende inverosimili le sue dichiarazioni d’innocenza rispetto a Gesù (raccolte nei vangeli di Luca e di Giovanni), quando
questi viene accusato dai giudei, o l’azione di lavarsi le mani per mostrare pubblicamente la propria estraneità alla morte del messia (Matteo 27:24). È inoltre priva di consistenza l’idea secondo cui provò a salvare Gesù appellandosi alla norma di graziare un prigioniero per Pasqua e facendo così scegliere la folla tra Gesù o il bandito Barabba: non ci sono testimonianze di tale consuetudine.
SCALA, FIRENZE
UNA FOLLA INFEROCITA
Sopra, Pilato indica Gesù, con la corona di spine e ferito, alla moltitudine che ne chiede la morte per blasfemia. Intanto pronuncia «Ecce homo» (Ecco l’uomo). Olio di Ciseri. 1871.
è molto improbabile che volesse cogliere fichi a marzo e ad aprile, giacché il frutto matura alla fine dell'estate. Un terzo indizio di tale sfasamento temporale compare nel Vangelo di Giovanni (11:47-53), che colloca la riunione del sinedrio – in cui venne prese la decisione di condannare Gesù – diverso tempo prima della passione.
Né testimoni né documenti Oltre all’incertezza circa la cronologia, altri motivi portano a dubitare che molti episodi del resoconto tradizionale della passione corrispondano del tutto alla realtà storica. In primo luogo va considerato il notevole lasso
Eventi storici vennero forse riadattati perché si compissero le profezie ELMO ROMANO RINVENUTO IN GIUDEA. I SECOLO. ISRAEL MUSEUM.
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di tempo intercorso tra gli eventi e i vangeli, che non avrebbe garantito una trascrizione fedele dei primi. In secondo luogo non esistono testimoni diretti di vicende come l’interrogatorio a porte chiuse dei sommi sacerdoti durante il processo ebraico, o il dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato durante quello romano. Il racconto dovette quindi basarsi su testimoni indiretti o su congetture. In terzo luogo, non sono giunti fino a noi gli atti dei processi. È quasi sicuro che, almeno nel caso dell’udienza romana, conclusasi con una condanna allora frequente alla croce, dovette essere inviato un fascicolo all’imperatore Tiberio. Tuttavia il documento si è perso nelle brume della storia. La cronaca della morte di Gesù è lastricata di accenni e citazioni dall’Antico testamento (le Scritture antecedenti a Cristo). I cristiani considerano questi testi profezie messianiche. Il racconto dei quattro vangeli allude chiaramente a circa ottanta o novanta passaggi da lì tratti, e l’apprezzabile numero di azioni e detti di Gesù espressi tramite parole dell’Antico testamento lascia quantomeno sospettare che
LA VIA DOLOROSA
Con tale nome è nota la strada della città vecchia di Gerusalemme che, secondo la tradizione, Gesù percorse verso il luogo della condanna a morte, il Calvario o Golgota.
JON ARNOLD / GETTY IMAGES
certe vicende, forse più inerenti al contesto storico, vennero rimaneggiate perché corrispondessero alle profezie. Diversi studiosi sostengono persino che alcuni passaggi della settimana santa siano stati ideati di proposito dagli evangelisti a partire dalle opere messianico-profetiche precedenti. Ne è un esempio la narrazione della morte di Giuda, il discepolo che tradì Gesù, presentata in due versioni completamente diverse nel Nuovo testamento. La prima riferisce che Giuda, pentito di ciò che aveva fatto, s’impiccò (Matteo 27:5), mentre la seconda attribuisce la sua fine a una caduta (Atti degli Apostoli 1:18). È evidente che una variante esclude l’altra. I biblisti sono abbastanza concordi nel ritenere che l’impiccagione di Giuda sia ripresa dall’episodio di Achitofel, che tradì il re Davide e poi s’impiccò, divorato dai rimorsi (2 Samuele 15:1-37; 17:23). Invece la versione della morte in seguito a una caduta s’ispira probabilmente alla storia del perverso
L’EPOCA DI GESÙ: UNA TESTIMONIANZA Nel 1990, in una sepoltura familiare sul pendio della valle del Cedron, a Gerusalemme, venne rinvenuto quest’ossario con l'iscrizione «Giuseppe figlio di Caifa». Si crede che appartenesse a Caifa, il sommo sacerdote che processò Gesù. DAVID RUBINGER / GETTY IMAGES
re seleucide Antioco IV Epifane, un crudele persecutore degli ebrei che morì dopo essere caduto dal suo carro (2 Maccabei 9:7).
Le contraddizioni Anche le contraddizioni tra gli evangelisti sono una fonte di dubbi per gli storici. Per esempio, chiamano in causa la trattazione delle circostanze in cui Gesù venne seppellito. Secondo Marco, Matteo e Luca, la deposizione avviene per mano di Giuseppe di Arimatea, un caritatevole e illustre membro del sinedrio che agì da solo: avvolse Gesù in un lenzuolo e l’adagiò in un sepolcro vicino al Golgota. La cerimonia fu semplice, rapida e senza sfarzi. La versione di Giovanni è invece piuttosto diversa: Giuseppe di Arimatea era in compagnia di un altro personaggio, Nicodemo, sconosciuto ai tre evangelisti precedenti. I due calarono il corpo di Gesù dalla croce e l’omaggiarono con una sepoltura STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’ULTIMA CENA DI GESÙ
Secondo i vangeli, la notte in cui arrestarono Gesù questi celebrava la cena di Pasqua con i discepoli. Eppure non accennano né all’agnello né alle erbe amare, essenziali in tale pasto. È stata la teologia a dichiarare che si trattava della cena di Pasqua, perché poteva così associare il sacrificio di Gesù sulla croce (l’agnello di Dio) all’agnello sacrificato durante la Pasqua ebraica. E la riunione assomiglia infatti a un kiddush, o rituale ebraico dell’epoca. In tal modo l’interpretò anche il famoso biblista Raymond E. Brown, che considerò il banchetto un pasto di fratellanza. Nell'olio vediamo Gesù sdraiato e circondato dai discepoli. La cena si svolge in un ambiente simile al triclinio romano, con le pietanze disposte su un tavolo basso intorno al quale si chinano i commensali. Nikolaj Nikolaevič Ge la ricostruì in quest’opera del 1866. Museo di stato russo, San Pietroburgo. MONDADORI / ALBUM
44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA MORTE DI GESÙ
IL SUPPLIZIO DELLA CROCE
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a crocifissione di Gesù fu senz’altro un fatto storico e comportò non poche difficoltà ai suoi seguaci: il loro messia era morto e il regno di Dio non era giunto. Per questa ragione la teologia giudaico-cristiana cercò di dare un senso alla fine del nazareno, evento in apparenza inspiegabile: l’interpretò come un sacrificio espiatorio, frutto di una misteriosa volontà divina e del quale il messia era consapevole. Con la sua morte, Gesù salvava l’umanità. Diversi passaggi dei vangeli si modellarono quindi su più profezie e passaggi dell’Antico testamento, visti come presagi del futuro sacrificio. Tale fenomeno riguarda anche la storia della crocifissione, nel cui racconto sono onnipresenti i riferimenti al Salmo 22, scritto mille anni prima. Da qui provengono le citazioni:
GESÙ PORTA LA CROCE LUNGO LA VIA CRUCIS. MAESTRO FRANCKE. 1430 CA. HAMBURGER KUNSTHALLE, AMBURGO.
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», frase che i vangeli attribuiscono a Gesù sulla croce; «si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la mia sorte», come fanno i soldati romani ai piedi della croce, che tirano a sorte la tunica di Gesù; o «si è affidato al Signore, lui lo scampi [dai suoi mali]», scherno con cui nei vangeli s’indica che, se davvero Dio ha mandato Gesù sulla terra, allora lo salverà.
ELKE WALFORD / RMN-GRAND PALAIS
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IL PIÙ ANTICO TESTO EVANGELICO Lo contiene il Papiro Rylands 457, risalente al 125 circa; sono versetti di Giovanni (18:31-33 e 37-38) che riguardano l’interrogatorio di Gesù da parte di Pilato.
ALAMY / ACI
solenne e sontuosa: lo fasciarono con bende e lo cosparsero di aromi utilizzando cento libbre (l’equivalente di cinquanta chili) di unguento di mirra e aloe. Lo deposero quindi in gran fretta nella tomba in un orto lì vicino. Oltre a ciò, Paolo (che non fu discepolo di Gesù) presenta un’ulteriore variante in un discorso raccolto negli Atti degli apostoli (13:2729): «Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi […] chiesero a Pilato che fosse ucciso […] lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro». Non furono quindi né Giuseppe di Arimatea né Nicodemo a calare le spoglie del messia, bensì i capi degli ebrei, tramite i loro sottoposti. Forse lo misero in un sepolcro comune, perché lo consideravano un malfattore. La storia della passione contiene anche particolari che si scontrano con il diritto romano dell’epoca, come la concessione della libertà a un ribelle come Barabba. Quanto al diritto giudaico, sono state segnalate circa ventisette differenze tra il processo a Gesù e le prescrizioni giuridiche di allora. Le più
evidenti riguardano la collocazione temporale del processo, che ebbe luogo nel pomeriggio del giorno in cui cominciava la Pasqua (secondo Marco, Matteo e Luca) o alla vigilia di questa (secondo Giovanni). Ma per gli ebrei, il giorno inizia al tramonto e un processo con pena capitale non poteva celebrarsi di notte. Nessuno poteva inoltre essere condannato per blasfemia, a meno che fosse provato che aveva detto qualcosa contro Dio o aveva pronunciato in modo sacrilego il nome divino, e non era questo il caso del nazareno. Era infine rigorosamente vietato che l’imputato venisse messo a morte lo stesso giorno del processo, come invece avvenne a Gesù. L’uso ripetuto di stratagemmi letterari da parte degli evangelisti dipende da una rielaborazione“artificiale”degli eventi, come nel caso dello schema a triplice azione: per tre volte Gesù fa avanti e indietro dal gruppo dei discepoli a Getsemani; Pietro rinnega tre volte di averlo conosciuto; tre gruppi di persone lo scherniscono sulla croce.
IMAGE BSTGS / RMN-GRAND PALAIS
E, da ultimo, nel racconto della passione compaiono episodi inverosimili. Come potevano addormentarsi due volte i discepoli prediletti di Gesù durante il suo discorso a Getsemani e poi ricordarne le parole, riprodotte in seguito nei vangeli? Lo stesso vale per altri fenomeni contemporanei alla morte di Gesù: il velo del tempio che si squarciò, il buio improvviso, il terremoto.
Quali i motivi? Sono state prese in considerazione diverse ipotesi per spiegare sia le anomalie storiche sia la forma letteraria usata per descrivere la passione di Cristo. La prima chiama in causa la necessità di comprimere i fatti da diversi mesi a una sola settimana, il che, come si è visto, porta a una scarsa verosimiglianza. La seconda riguarda il bisogno di giustificare teologicamente una morte inattesa, quella del messia mandato da Dio e condannato dai romani. Nei vangeli la fine di Gesù viene spiegata come il compimento di un progetto divino che il nazareno conosce e accetta: la
sua vita in cambio della salvezza dell’umanità. Per questa ragione gli eventi reali vennero adeguati alle profezie, così da sostenere che quanto successe era già stato previsto, e questa prima versione “adattata” sarebbe quella giunta all’evangelista Marco. E infine la terza ipotesi: non sarebbe da escludere l’eventualità che il primo resoconto della passione venisse usato agli inizi anche come una sorta di“guida turistica religiosa”, per illustrare ai cristiani che vivevano fuori dalla Giudea e che si recavano a Gerusalemme gli eventi e i luoghi in cui aveva sofferto e trionfato il loro messia.
I TRE CROCIFISSI
I ladroni crocifissi (così narra la tradizione) ai lati di Gesù furono forse suoi seguaci rimasti ignoti e puniti per sedizione. Angler Gabriel, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Munich.
ANTONIO PIÑERO UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID. AUTORE DI DIVERSI LIBRI SU GESÙ E SUL CRISTIANESIMO PRIMITIVO.
Per saperne di più
SAGGI
Pilato e Gesù Giorgio Agamben. Nottetempo, Milano, 2018. LIBRI PER BAMBINI
La Pasqua di Gesù raccontata ai bambini Adalberto Mainardi e Ilaria Pigaglio. Elledici, Torino, 2016. ROMANZO
Il Vangelo secondo Gesù Cristo José Saramago. Feltrinelli, Milano, 2019.
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IL TRIONFO DEGLI INGEGNERI PERSIANI
IL CANALE DI SERSE Nel 2001 una missione archeologica ha dimostrato l’esistenza del canale descritto dallo storico greco Erodoto, un’imponente opera oggi scomparsa della cui esistenza si dubitava
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I PALAZZI DI SERSE
La fotografia mostra la Porta di tutte le nazioni, fatta costruire da Serse a Persepoli, la capitale dell’impero persiano. In primo piano, parte del sistema di drenaggio del complesso. KONRAD ZELAZOWSKI / ALAMY / ACI
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NATALINO RUSSO / FOTOTECA 9X12
LA PENISOLA DI ATHOS
La lingua di terra si estende nel mare per 45 km. In questa foto scattata dal monte Athos è possibile vedere sullo sfondo lo stretto istmo dove fu scavato il canale e, accanto a esso, l’isola Ammouliani.
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el 494 a.C. i persiani potevano considerarsi soddisfatti: con la vittoria nella battaglia navale di Lade e la distruzione della città di Mileto avevano messo fine alla rivolta dei greci dell’Asia Minore, gli ioni, contro il loro potere. Il re persiano Dario I inviò due spedizioni navali per vendicarsi dell’appoggio agli ioni. La prima si concluse nel 492 a.C. con l’affondamento di gran parte della flotta persiana al largo delle coste della Macedonia: le imbarcazioni che circumnavigavano la stretta penisola del monte Athos furono travolte
492 a.C. C R O N O LO G I A
I DUE ATTACCHI PERSIANI
483 a.C. Iniziano i lavori sull’istmo della penisola dell’Athos per aprire un canale lungo circa due km e profondo 25 metri. La direzione dei lavori è affidata ai nobili persiani Artachea e Bubare.
La flotta inviata da Dario I contro i greci è sorpresa da un uragano di fronte alla penisola dell’Athos; naufragano circa 300 imbarcazioni e muoiono attorno ai 20mila uomini. ID
BR
DARICO, MONETA D’ORO RAFFIGURANTE UN RE PERSIANO, FORSE SERSE.
da un violento uragano proveniente da nord, che ne fece schiantare circa trecento sulle scogliere, uccidendo migliaia di marinai. La seconda terminò con l’umiliante sconfitta che nel 490 a.C. i soldati di Atene e di Platea inflissero alle truppe persiane sulla piana di Maratona. Alla morte di Dario salì al trono il figlio Serse. Desideroso di vendicare il fallimento del padre, questi lanciò un enorme attacco anfibio contro la Grecia. Nella primavera del 480 a.C. il più grande esercito mai riunito fino ad allora – questa volta con il sovrano alla guida – utilizzò due ponti di barche
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per attraversare l’Ellesponto (l’attuale stretto dei Dardanelli), che separa l’Asia dall’Europa. Mentre l’esercito passava da un continente all’altro, la flotta si dirigeva verso il luogo dove si stava completando un’infrastruttura che superava per dimensioni qualsiasi altra opera nota ai greci: un canale che attraversava la penisola dell’Athos, dominata da una cima di 2.033 metri di altezza.
Lavori forzati Il canale era stato scavato nella parte più stretta dell’istmo – dove la distanza da costa a costa era di poco più di due chilome-
tri –, presumibilmente allo scopo di evitare un altro naufragio come quello subito dodici anni prima dalla flotta di Dario. Le navi da guerra, le triremi (così chiamate perché avevano tre ordini o file di rematori a diversi livelli), erano poco manovrabili in condizioni avverse, perché sotto la chiglia erano prive di elementi in grado di conferire stabilità e contrastare la spinta dei venti; la deriva infatti fu inventata solo nel XVIII secolo. L’infrastruttura oggi conosciuta come “canale di Serse” fu realizzata grazie a una complessa organizzazione e al lavoro forzato di diverse centinaia di uomini per tre lunghi
Primavera 480 a.C.
Settembre 480 a.C.
Serse invade la Grecia. Il suo esercito arriva in Europa su due grandi ponti di barche approntati nello stretto dei Dardanelli, mentre la sua flotta transita per il canale che attraversa l’istmo dell’Athos.
I greci distruggono la flotta di Serse nella battaglia di Salamina. Nel 479 a.C. la sconfitta dell’esercito persiano a Platea e la vittoria navale greca a Micale segnano la fine dell’invasione. AKG / ALBUM
LOTTA PER IL DOMINIO DEL MARE
Sotto, lo sperone di bronzo di una trireme rinvenuto nella zona dove si svolse la battaglia di Salamina. Questa vittoria e quella di Micale assicurarono alla Grecia l’indipendenza.
IL CANALE ERA NECESSARIO?
IL VERO MOTIVO DELLO SCAVO
L
a paura di un naufragio come quello che la flotta persiana aveva subito dodici anni prima non sembra essere una ragione sufficiente per convincere Serse ad affrontare uno sforzo finanziario e logistico immenso come lo scavo di un canale. La costa dell’Athos poteva essere circumnavigata in un giorno o due, e c’erano persone del posto che sapevano prevedere l’arrivo di una tempesta e indicare il momento favorevole alla partenza. Per comprendere il vero motivo di questa enorme opera d’ingegneria dobbiamo tornare a Erodoto: «A pensarci bene trovo che Serse ordinò lo scavo del canale per mania di grandezza, volendo ostentare potenza e la-
sciare memoria di sé. In effetti, benché avessero la possibilità, senza alcuna fatica, di trascinare le navi attraverso l’istmo, impose l’apertura di un varco sino al mare». La costruzione del canale quindi non sarebbe che una delle tante manifestazioni di hybris, cioè di megalomania ed eccesso, che condizionarono le principali decisioni del re dei re – il titolo dei sovrani persiani. Su quella decisione influirono senz’altro anche le paure e le superstizioni del monarca, ma il canale fu soprattutto uno strumento di propaganda per mostrare la gloria di Serse e diffondere tra i greci il messaggio che la resa era l’unica salvezza, poiché l’invasione persiana sarebbe stata incontenibile.
BRIDGEMAN / ACI
T r a c i a
Bisanzio
Abdera
Mar di Marmara
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Maratona (490 a.C.)
Platea Tebe (479 a.C.)
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(480 a.C.)
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Termopili (480 a.C.)
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Rodi Carpato
LE GUERRE PERSIANE VIDERO LO SCONTRO TRA LE CITTÀ GRECHE E L’IMPERO ACHEMENIDE. LA PRIMA DI ESSE SI SVOLSE DURANTE IL REGNO DI DARIO I, LA SECONDA SOTTO IL DOMINIO DI SUO FIGLIO SERSE. 52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
Macedonia
Dascileo
Chersoneso
Therma
anni. Ne conosciamo l’esistenza grazie allo storico greco Erodoto, che racconta: «Nel punto in cui la montagna termina nel continente ha l’aspetto di una penisola, con un istmo di circa dodici stadi: dal mare degli acanti al mare di fronte a Torone si stende una pianura, con colline non alte. In questo istmo, dove termina l’Athos, sorge la città greca di Sane». Se si considera che uno stadio è pari a 177,6 metri, questa distanza coincide con i 2,2 chilometri che separano una costa dall’altra. Erodoto descriINVASIONI PERSIANE ve anche una piana dove Rotta comune Prima invasione fu allestito un mercato (490 a.C.) per gli operai, nel luogo Seconda invasione (480-479 a.C.) in cui attualmente sorge Vittoria greca Vittoria persiana la cittadina di Nea Roda. Impero Fondamentali per l’opersiano Rivolta ionica perazione persiana risul(499 a.C.) Vassalli tarono la base navale di della Persia Eleunte, sulla costa meTerritori greci sottomessi alla Persia ridionale dell’Ellesponto, Città-stato (póleis) in conflitto con la Persia da cui partivano le imbarSpedizioni di Cimone cazioni con le attrezzature (475-465 a.C.)
e i contingenti di lavoratori, e la città di Acanto, circa sei chilometri a nord dell’istmo. Il sacrificio che i persiani richiesero agli abitanti della zona fu estenuante, in quanto li costrinsero non solo a lavorare nel cantiere – «a colpi di frusta», riporta Erodoto – ma anche a fornire cibo al resto degli operai. Ogni maschio in età militare aveva inoltre l’obbligo di unirsi alla spedizione contro la Grecia. All’arrivo dell’esercito di Serse, le truppe regolari si accamparono nei dintorni mentre il sovrano e la sua scorta, compreso il corpo d’élite noto come i Diecimila o gli Immortali, alloggiarono in case private. Quando Serse si trovava ad Acanto, morì di malattia Artachea, il nobile persiano che dirigeva i lavori di scavo insieme a un altro cortigiano di nome Bubare. Artachea era imparentato con il sovrano – entrambi infatti appartenevano alla stirpe degli achemenidi – ed era un personaggio noto per la buona reputazione, la voce profonda e i due metri di statura. «Serse, profondamente addolorato, gli tributò splendidi funerali e una magnifica
sepoltura: tutto l’esercito contribuì a erigere il tumulo. Per ordine di un oracolo gli acanti compirono sacrifici in onore di Artachea come a un eroe, invocandone il nome», racconta Erodoto. Forse un giorno quel tumulo verrà identificato e sarà possibile ritrovare il corredo funerario.
Un’opera titanica Alcuni giorni dopo la morte di Artachea Serse marciò con le sue truppe verso ovest, cercando la via più diretta per la Grecia. Ordinò agli ammiragli dei vari popoli di dirigere le rispettive navi verso Therma (l’attuale Salonicco), una volta attraversato l’istmo, per ricongiungersi con l’esercito. Quindi il sovrano persiano vide probabilmente il canale che porta il suo nome, ma non assistette al transito della flotta. Le navi dei persiani attraversarono l’istmo con l’aiuto dei marinai che da terra le trainavano con delle funi. La spedizione era composta da circa seicento triremi provenienti da tutti i Paesi del Mediterraneo sottomessi
SERSE DAVANTI ALL’ELLESPONTO
Nel 1845 il pittore francese JeanAdrien Guignet raffigurò il re persiano seduto sul trono mentre contempla la sua flotta e il suo vasto esercito prima di attraversare i Dardanelli. Musée Rolin, Autun.
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IL FALLIMENTO DI DARIO
Nelle sue Storie (VI, 44) Erodoto ricorda il naufragio della flotta di Dario I nel 492 a.C., quando le navi persiane che tentavano di circumnavigare la penisola del monte Athos si schiantarono sulle coste a causa di un uragano, provocando la morte di oltre 20mila uomini: «Alcuni perirono ghermiti dagli squali di cui questo tratto di mare intorno all’Athos pullula, altri sbattuti contro gli scogli; chi di loro non sapeva nuotare morì anche per questo, altri assiderati», riporta lo storico greco.
SEZIONE DEL CANALE DELL’ATHOS NELLA PARTE CENTRALE DELL’ISTMO DELLA PENISOLA. MAPPA: EOSGIS.COM. ILLUSTRAZIONE: SANTI PÉREZ
LA SCORCIATOIA PERSIANA si possono trovare tenui tracce del canale di Serse tra le campagne della parte più stretta dell’istmo che collega la penisola dell’Athos alla costa dell’attuale Macedonia, un punto in cui l’altezza massima sul livello del mare è di 15,7 metri. Il canale andava dalle attuali città di Nea Roda a nord fino a Tripiti a sud. Le ricerche condotte tra il 1991 e il 2001 hanno rivelato che nella parte più alta del pendio lo scavo raggiungeva la larghezza massima di 30 metri circa, mentre alla base si riduceva intorno ai 16 metri. La profondità dell’acqua sarebbe arrivata ai tre metri (cioè il letto del canale sarebbe stato tre metri sotto il livello del mare), permettendo così il passaggio delle triremi ma non delle navi da carico, che avevano un pescaggio maggiore. Il canale dell’Athos non è calc idica un’opera unica: Dario I, il padre di Serse, fece mac e donia scavare nuovamente Mar Penisola dell’Athos EGEO un antico canale egizio Eubea che collegava il mar Rosso con il delta del PELOPONNESO Istmo di Corinto Nilo, conferendogli una Mar larghezza massima di Ionio 45 metri nella parte Mar Mediterraneo superiore.
CANALE SVASATO
LA METODOLOGIA DI SCAVO FENICIA
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onsiderati i migliori marinai dell’impero persiano, i fenici svolsero un ruolo fondamentale anche in occasione dello scavo del canale dell’istmo dell’Athos. Erodoto riporta che ogni sezione dell’opera fu assegnata per sorteggio a persone di diversa provenienza, e ogni gruppo di operai utilizzò le tecniche del proprio popolo d’origine. I fenici diedero prova dell’abilità che dimostravano in ogni campo: «Quando ebbero il settore assegnato, scavarono la bocca del canale doppia di quanto il canale stesso avrebbe comportato e procedendo nel lavoro continuavano a restringerla: il loro taglio, ar-
rivato in fondo, risultò largo come quello degli altri». Secondo Erodoto gli altri operai «facevano di uguale larghezza l’apertura superiore e il fondo della fossa». Questa eccessiva verticalità delle pareti ne causava il crollo a mano a mano che avanzavano i lavori, provocandone il rallentamento: «Era inevitabile che si verificasse un tale inconveniente», osserva Erodoto. I test effettuati dagli archeologi hanno confermato la svasatura degli scavi riscontrando anche importanti contrasti che mostrano l’eterogeneità della fisionomia del canale, a conferma dell’assenza di una metodologia unitaria di svolgimento degli scavi.
KEN WELSH / BRIDGEMAN / ACI
FIDUCIA IN ERODOTO
Come ambasciatore francese presso l’impero ottomano, il conte di ChoiseulGouffier esplorò il nord del mar Egeo e confermò l’esistenza del canale di Serse. ALAMY / ACI
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all’impero achemenide (Fenicia, Siria, Egitto, Cipro, Cilicia, Panfilia, Licia, Caria, Ionia ed Eolide), per cui l’operazione richiese diversi giorni, vista la necessità di evitare colpi alle fiancate degli scafi. Il percorso del canale nel tratto meridionale si concludeva su una piccola spiaggia di ciottoli affacciata sulla baia interna, nei pressi del villaggio di Tripiti. Era questo il tratto più accidentato, che richiese uno sforzo maggiore. Qui il suolo non era costituito da strati di sedimenti come nel resto dell’istmo, ma dovette essere scavato a colpi di piccone. I lavori furono resi ancora più complicati dal fatto che la zona si trova incuneata tra due colline a ridosso della costa: per raggiungere il livello del mare fu pertanto necessario scendere fino a venticinque o trenta metri di profondità. Quando il grammatico del II secolo a.C. Demetrio di Scepsi esaminò questa sezione dell’istmo escluse che i persiani fossero riusciti a scavarne il terreno pietroso. I lavori del canale, però, furono portati a termine. Centinaia di sudditi e schiavi di
diverse zone dell’impero scavarono per tre anni lungo la linea che congiungeva le due coste e che era stata tracciata in base al progetto di Artachea e Bubare. La manodopera rappresentava per i persiani una risorsa praticamente illimitata. Questo non incentivò il ricorso a tecniche particolarmente evolute. Non vennero utilizzate né carrucole né macchine: sabbia, limo e rocce furono rimossi a colpi di pala e portati via in ceste. Erodoto descrive l’operazione così: «Quando la fossa diventava profonda, un primo gruppo scavava in basso, un secondo passava il materiale di volta in volta estratto ad altri che stavano sopra, su un gradino, costoro ad altri ancora e così via, finché si arrivava agli operai in cima; questi lo portavano via e lo disperdevano». Le rocce furono utilizzate per costruire dei frangiflutti agli ingressi del canale, allo scopo di frenare le onde ed evitare che i sedimenti intasassero le imboccature. Siccome Erodoto è l’unico a descrivere questa impressionante opera d’ingegneria, per secoli ha prevalso l’idea che si trattasse
di un mero frutto della sua immaginazione. Lo storico greco Tucidide, che scrisse circa trent’anni dopo Erodoto e conosceva bene la zona, fa un’allusione molto superficiale al «canale del re». Solo nel XIX secolo al passo erodoteo fu riconosciuta una certa credibilità grazie a Marie-Gabriel-Florent-Auguste de Choiseul-Gouffier, un nobile francese.
Salvato dall’oblio Questo diplomatico, innamorato dell’antica civiltà greca e ambasciatore francese presso l’impero ottomano, percorse il mar Egeo a bordo di una fregata. Nel 1809 pubblicò il secondo volume della sua cronaca Voyage pittoresque de la Grèce, in cui sosteneva l’esistenza di una rotta marittima che attraversava l’istmo dell’Athos da una parte all’altra, proponendo anche un piano della sua sezione con misure conformi al racconto di Erodoto. Il tono ammirato e romantico di quest’opera itinerante e l’assenza di una metodologia scientifica fecero sì che le si prestasse scarsa attenzione.
Come in altre occasioni, la scienza avrebbe finito per dare ragione a Erodoto e, di conseguenza, a Choiseul-Gouffier. Nel 1847 la Royal Geographical Society britannica pubblicò alcuni studi topografici condotti dal navigatore e geologo Thomas Spratt che indicavano l’esistenza del canale. Ma la conferma definitiva è arrivata tra il 1991 e il 2001, con la missione di un gruppo di geofisici, topografi e archeologi britannici e greci membri di un team nato da un accordo tra l’Osservatorio nazionale di Atene, la British School at Athens e le università di Leeds, Glasgow, Patrasso e Salonicco. Il progetto è stato condotto da Benedikt Isserlin dell’Università di Leeds e successivamente da Richard Jones dell’Università di Glasgow. Raggiunto l’istmo, gli scienziati hanno cercato i resti di pietra di un possibile tracciato terrestre simile a quello che esisteva sull’istmo di Corinto, cioè una carreggiata (diolkos) da costa a costa su cui le imbarcazioni, posate su rulli di legno o piattaforme con ruote, potevano essere trascinate
IL GENIO DEI FENICI
La popolare Storia delle Nazioni, pubblicata nel 1915 dall’editore inglese Walter Hutchinson, immaginava così la costruzione dei ponti sull’Ellesponto da parte degli abili marinai fenici.
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INGEGNERIA PERSIANA
PONTI DI BARCHE SUL MARE
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persiani raggiunsero un buon livello d’ingegneria militare, come dimostrano le fortificazioni delle città di Babilonia ed Ecbatana o i ponti costruiti per attraversare i grandi fiumi. Un particolare rilievo hanno i ponti galleggianti con cui l’esercito di Serse superò lo stretto dei Dardanelli, che separava l’Asia dall’Europa. Lungo una distanza di oltre 1.800 metri furono disposte una a fianco dell’altra circa 700 barche suddivise in due file parallele. Erano in parte triremi della flotta persiana, in parte navi provenienti dalle città vicine. Le imbarcazioni di ogni fila erano legate insieme con spesse funi di sparto (una pianta graminacea molto
fibrosa), papiro egizio e lino fenicio che furono tese tramite argani di legno posti sulla terraferma. Sulle coperte delle barche vennero poi disposte delle passerelle di legno rivestite da uno spesso strato di terra battuta per evitare scivolamenti; infine, ai lati di ogni ponte furono erette delle palizzate di legno per evitare che le bestie da soma e i cavalli si spaventassero alla vista del mare dalla piattaforma. I servi e gli animali attraversavano il ponte sul lato sinistro, mentre sul lato destro procedevano la fanteria guidata dagli Immortali e la cavalleria. La spedizione impiegò diversi giorni a oltrepassare il braccio di mare.
JAN WLODARCZYK / FOTOTECA 9X12
L’UOMO CHE RACCONTÒ L’IMPRESA
Nel Museo archeologico nazionale di Napoli si può vedere questo busto di Erodoto che nelle sue Storie preservò la memoria del canale di Serse.
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grazie allo sforzo degli schiavi o degli animali da tiro. Dopo aver effettuato degli studi ed escluso l’esistenza di un percorso terrestre del genere, i ricercatori hanno realizzato le prove geofisiche previste. Hanno così scoperto che nella parte centrale dell’istmo, a quasi sedici metri sul livello del mare, c’era uno scavo di venti metri di profondità. Tenendo presente che il livello del Mediterraneo è aumentato di oltre un metro nel corso degli ultimi 2.500 anni, i membri del team hanno calcolato che la profondità del canale doveva aggirarsi attorno ai tre metri. Successivamente hanno realizzato nove perforazioni per analizzare i diversi livelli del sottosuolo. Nei primi dieci metri hanno rinvenuto vari strati di limo e finalmente un elemento chiave: un denso letto rossastro di sabbia solidificata che si estende per poco più di due chilometri. Si tratta della base del canale progettata dagli ingegneri persiani venticinque secoli fa, un fondo ampio e solido costituito da tonnellate di argilla compattata.
Per una decina di anni, nel corso di svariate campagne di studio, i ricercatori hanno utilizzato metodi propri delle prospezioni petrolifere e minerarie, compresi i test sismici e le tecniche di rifrazione e riflessione. Con dei pesanti martelli hanno colpito pezzi di metallo inchiodati al suolo, inviando impulsi la cui forza e direzione è stata misurata tramite dei geofoni. L’analisi degli strati del sottosuolo e dei tempi di percorrenza delle onde volumetriche ha permesso di collegare punti sotterranei con velocità di trasmissione acustica simile. L’utilizzo di scariche elettriche e le indagini georadar (GPR) hanno evidenziato che i profili di resistenza portavano a conclusioni affini.
Il canale scomparso La datazione degli elementi organici fornita dall’analisi al radiocarbonio e le immagini ad alta risoluzione riprese dal satellite Landsat sono state la prova definitiva. Con i dati raccolti il team ha preparato delle rappresentazioni digitali tridimensionali
della grande opera ingegneristica persiana. Il progetto greco-britannico ha ottenuto una conferma scientifica dell’esistenza del canale. Inizialmente il team condivideva i dubbi sollevati da Demetrio di Scepsi: la durezza del suolo nella parte meridionale dell’istmo metteva in dubbio la fattibilità di uno scavo che potesse raggiungere i trenta metri di profondità. Ma la scoperta del letto del canale e le misurazioni effettuate attraverso le onde sismiche e l’analisi stratigrafica del sottosuolo sono state conclusive. Il team di Isserlin e Jones ha inoltre confermato che il canale aveva le misure riportate nella descrizione di Erodoto: «Largo tanto da permettere il passaggio di due imbarcazioni affiancate spinte a forza di remi». Dato che il fondo aveva un’ampiezza di una ventina di metri, in superficie le pareti inclinate verso l’esterno offrivano uno spazio navigabile di trenta metri circa. Chiariti questi punti viene spontaneo chiedersi cosa possa essere successo al canale di Serse. Perché scomparve dalla memoria
dei greci? Il fatto che nei sedimenti del letto del canale non siano stati trovati resti marini, come per esempio conchiglie, indica che il collegamento tra i due mari fu di breve durata. Il motivo è chiaro: un anno dopo l’inaugurazione del passaggio l’esercito persiano subì una pesante sconfitta nella battaglia di Platea. Ormai liberi dalla presenza persiana, gli abitanti dell’istmo trascurarono la manutenzione delle infrastrutture, lasciando che le imboccature si ostruissero. In breve tempo quell’immenso scavo, che in fin dei conti non portava alcun beneficio ma anzi gli ricordava l’oppressione subita, fu ricoperto e dimenticato. Fino a oggi.
PANORAMA IMMUTATO
2.500 anni fa, dopo aver attraversato il canale, i marinai persiani contemplarono questo stesso panorama: la sagoma del monte Athos vista all’alba dalla penisola di Sithonia, a sud.
ANTONIO PENADÉS STORICO E SCRITTORE. AUTORE DI VIAJE A LA GRECIA CLÁSICA. DEL MONTE ATHOS A TERMÓPILAS
Per saperne di più
SAGGI
Erodoto e i sogni di Serse. L’invasione persiana dell’Europa Gabriella Bodei Giglioni. Donzelli, Roma, 2002. TESTI
Storie. Libro VII. Serse e Leonida Erodoto. Mondadori, Milano, 2017.
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I M PERATORI LUCI E OMBRE DELLA
L’IMPERATORE ALLE TERME
Giovani donne spargono petali di rosa per accogliere Caracalla, figlio ed erede dell’imperatore Settimio Severo, nelle terme romane che portano il suo nome. Olio di Lawrence AlmaTadema. 1902.
DI ROM A
D I N A ST I A D E I S E V E R I
BRIDGEMAN / ACI
Quando non svolgevano le loro mansioni ufficiali, gli imperatori si godevano l’intimità della famiglia o frequentavano i consiglieri di corte e le varie amanti. All’inizio del III secolo i Severi furono protagonisti di molti scandali
FRANCESCO LACOBELLI / AWL IMAGES
L’ARCO DI SETTIMIO SEVERO
L’imperatore fece innalzare questo maestoso arco trionfale nel foro di Roma per commemorare le sue vittorie sui parti.
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ebbene alcuni imperatori s’illudessero di essere divinità immortali, in realtà erano persone come tutti, con uno stile di vita sostanzialmente simile a quello degli altri cittadini. Le varie dinastie imperiali che si succedettero dopo Augusto provenivano dalla classe privilegiata di Roma – anche se alcuni ebbero antenati liberti (cioè schiavi emancipati) o originari delle province. Questo spiega perché la vita privata di un princeps era molto simile a quella di ogni patrizio facoltoso. Ciò non significa che tutti gli imperatori si comportassero allo stesso modo, dato che la morale civile romana coniugava tendenze contraddittorie: il gusto
per la ricchezza e il lusso e l’ideale di una vita austera; il senso del dovere e gli eccessi personali più sfrenati. In ogni dinastia si alternarono quindi personaggi più o meno amati, il cui comportamento veniva spesso usato, nelle fonti antiche, come pretesto per diffondere un messaggio politico o morale. I Severi, che governarono l’impero romano tra il 193 e il 235 d.C., sono un buon esempio di questo alternarsi di personalità. Il capostipite della dinastia, Settimio Severo, conquistò il potere dopo aver sconfitto e ucciso tutti i suoi avversari in una sanguinosa guerra civile. Nel 193 si presentò alle porte del palazzo imperiale con una tipica famiglia romana: due figlie nate da un pri-
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LA FINE DI UNA DINASTIA
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IL SETTIZONIO, LA GRANDE FONTANA ORNAMENTALE ERETTA DA SETTIMIO SEVERO. INCISIONE.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
192
193-197
L’assassinio di Commodo inaugura l’anno dei “cinque imperatori”. Nato in Africa settentrionale, Settimio Severo lotta per il trono.
Scoppia una sanguinosa guerra civile che si conclude con l’avvento al soglio imperiale di Settimio. Morirà a 65 anni, nel 211.
LA FAMIGLIA IMPERIALE
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Caracalla succede al padre. Uccide il fratello Geta per non dover condividere il trono con lui. Sarà ucciso a sua volta nei pressi di Carre.
Alla morte di Caracalla le truppe proclamano imperatore il prefetto del pretorio Macrino, che sarà ucciso un anno dopo.
Eliogabalo sale al trono grazie a Giulia Mesa, la zia materna di Caracalla. Verrà ucciso a soli 18 anni per le sue eccentricità.
Assume il potere imperiale Alessandro Severo, figlio di Giulia Mamea e cugino di Eliogabalo. È l’ultimo imperatore della dinastia.
BPK / SCALA, FIRENZE
Il dipinto raffigura Giulia Domna e Settimio Severo con i figli Caracalla e Geta (il cui volto è stato cancellato). Staatliche Museen, Berlino.
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LA PIETRA SACRA
Moneta in bronzo coniata sotto il regno di Eliogabalo. Sul rovescio si può vedere il betilo, la pietra sacra del dio siriaco El-Gabal, situato al centro di un tempio.
Rappresentanti degli dei La vita sfarzosa dei primi Severi è nota grazie a diverse fonti. Settimio fu sempre piuttosto austero, ma non così i suoi due figli. Per quanto Caracalla amasse il lusso, s’interessava soprattutto alla vita militare. Invece, secondo la Historia Augusta, Geta «adorava gli abiti eleganti, al punto che suo padre rideva di lui. Tutto ciò che gli davano i suoi genitori, lo spendeva per vestirsi come gli piaceva». Questa attrazione per lo sfarzo e gli orpelli fu ereditata da altri sovrani dell’epoca come il famoso Eliogabalo, il sacer-
Si diceva che Geta, il fratello di Caracalla, «adorasse gli abiti eleganti. Tutto ciò che gli davano i suoi genitori, lo spendeva per vestirsi come gli piaceva» 64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
RESIDENZE IMPERIALI GIULIO DI GREGORIO / ALAMY / ACI
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mo matrimonio; la seconda moglie, Giulia Domna, e i due figli avuti con lei, gli eredi Caracalla e Geta. In realtà non c’era nessun “palazzo imperiale” propriamente detto, almeno con quel nome: ogni dinastia costruì la sua domus. L’insieme dei vari edifici, tutti comunicanti tra loro, potrebbe essere considerato una sorta di residenza degli imperatori. In ordine cronologico le domus che si succedettero furono la casa di Augusto e Livia, la domus Tiberiana, la domus Transitoria e la domus Aurea (entrambe dell’epoca di Nerone), la domus Flavia e la domus Augustana (dell’epoca di Domiziano), la domus Severiana e il palazzo Sessoriano (dell’epoca di Eliogabalo). Settimio Severo fece erigere la sua residenza nell’angolo sud-orientale del Palatino. Si possono ancora vedere ampie sezioni dalla facciata del Settizonio, un grande ninfeo di cui ora resta solo il nudo scheletro, privato dei suoi marmi nel XVI secolo. I Severi svolgevano le loro attività quotidiane in questi palazzi o in alcune case con giardino nel centro di Roma, oppure nelle splendide ville imperiali di Sperlonga, Tivoli e Capri.
Dalla spianata del circo Massimo si possono vedere i resti della domus Severiana, eretta da Settimio Severo sul Palatino come sua residenza, e il tempio di Apollo Palatino, di epoca augustea.
dote-imperatore adolescente che si vestiva da donna e si mescolava alle prostitute nel suo stesso palazzo. Cosa avrebbero detto di lui personaggi più sobri come Augusto o Marco Aurelio? Gli imperatori detenevano titoli stravaganti, eredi delle antiche magistrature repubblicane. Uno di questi, forse il più importante, era quello di pontefice massimo. In quanto tale, l’imperatore era la più alta carica della religione ufficiale romana, rappresentata dalla cosiddetta “triade capitolina”: Giove, Giunone e Minerva. Pubblicamente i pontefici presiedevano il culto di queste ed altre divinità del pantheon. Ma in privato ogni imperatore era più o meno devoto agli dei o semidei che preferiva.
Molti s’identificavano con Ercole, altri con Marte; e c’era chi – come Giulio Cesare – dichiarava di discendere da Venere. Alcuni adoravano divinità straniere, come fece Caligola con Iside. Ma i Severi andarono oltre: portarono a Roma un dio siriaco. Erano inoltre appassionati di astrologia, come altri sovrani prima di loro. Si dice per esempio che, quando morì la sua prima e amata moglie Paccia Marciana, Settimio consultò gli astrologi per trovare un’altra donna e scelse la figlia del sacerdote del dio El-Gabal, venerato a Emesa (Siria) e che risiedeva presso un betilo o pietra sacra. Secondo un oroscopo infatti, la ragazza sarebbe andata in sposa a un re. Si trattava di Giulia Domna. Con lei arrivò a corte un’intera
ORIGINI VARIOPINTE LA DINASTIA DEI SEVERI affondava le proprie radici in ogni angolo dell’impero. Settimio era nato nell’attuale Libia, la madre dei suoi figli era una principessa siriaca ed Eliogabalo e Alessandro Severo, invece, erano di origine siriaca al cento per cento. GIULIO BASSIANO
SETTIMIO SEVERO
CARACALLA
GIULIA DOMNA
GETA
VARIO
GIULIA MESA
GIULIA SOEMIA
ELIOGABALO
AVITO
GIULIA MAMEA
GESSIO
ALESSANDRO SEVERO
Le vere intellettuali della dinastia Severa furono due donne, Giulia Domna, soprannominata “la filosofa”, e sua sorella Giulia Mesa famiglia di origine siriaca (la sorella con le figlie e i nipoti), devota alla religione di El-Gabal. Anni più tardi il pronipote di Giulia Domna e nuovo imperatore Eliogabalo si presentò a Roma vestito da sacerdote, e per questo i romani lo ribattezzarono “l’assiro”. Il giovane sovrano attribuiva tale importanza a questo culto che fece disporre attorno al betilo di El-Gabal gli elementi più sacri della religione romana, tra cui il fuoco di Vesta, facendo infuriare i senatori più tradizionalisti. ASSASSINO DEL FRATELLO
BRIDGEMAN / ACI
Busto di Caracalla, figlio di Settimio Severo e Giulia Domna. Secondo gli storici antichi, l’imperatore uccise il fratello Geta e cercò di sposare la sua stessa madre.
L’amore per la cultura In questo periodo la vita degli imperatori era piuttosto movimentata. I sovrani si dedicavano ai loro compiti istituzionali, soprattutto nel palazzo, dove si riuniva il consiglio imperiale, e in altri luoghi come il senato o i templi, in cui presiedevano il culto ufficiale. Ma la loro vera passione erano le corse dei carri al circo. Nell’anno 202 Settimio organizzò dei magnifici giochi nel circo Massimo e in quell’occasione celebrò il matrimonio di suo figlio Caracalla. Secondo lo storico Cassio Dione, Caracalla e Geta erano particolarmente appassionati di corse e fin da piccoli rivaleggiavano nelle gare a cavallo. Una volta Caracalla cadde rompendosi una gamba, e questo episodio fu all’origine dell’odio che professò verso il fratello per il resto della vita. Caracalla partecipava generalmente alle gare con gli azzurri, la “squadra” di aurighi (guidatori di carro) quasi sempre preferita dagli imperatori. Eliogabalo invece era un sostenitore dei verdi, ed ebbe relazioni sessuali con alcuni degli aurighi di tale fazione. L’ultimo dei Severi, Alessandro, mise da parte gli eccessi dei suoi predecessori, ma non rinnegò il circo: qui infatti celebrò la sua presunta vittoria sui parti. Gli imperatori non
ILLUSTRAZIONE: FRANCESCO CORNI
erano estranei a quella che oggi si considera la cultura propriamente detta. Molti furono autori di un certo livello. Cesare scrisse i Commentarii alle sue guerre e altre opere oggi perdute, ed è considerato uno dei maggiori letterati (e auto-propagandisti) della storia. Si conoscono i libri scritti da Claudio, l’autobiografia di Adriano e le Meditazioni e altre opere dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio. Inoltre, quasi tutti loro furono mecenati di scrittori e pensatori illustri, come Augusto di Orazio e Nerone di Seneca. I Severi non erano invece noti per la loro dedizione alla cultura, anche se Settimio scrisse un’autobiografia. Le vere intellettuali della dinastia furono due donne: l’imperatrice Giulia Domna e sua sorella Giulia
Tempio di Apollo Palatino Domus Flavia
Tempio di Giove Vendicatore (Eliogabalo) Domus Augustana
Terme di Severo
Domus Severiana Circo Massimo
Settizonio
Mesa. Secondo Filostrato e Cassio Dione, entrambe si circondarono di una eminente cerchia di «matematici e filosofi», tra cui vari rappresentanti della sofistica. La stessa Domna si dedicò allo studio di questa corrente filosofica particolarmente in voga all’epoca. Tra i membri illustri di questo cenacolo si segnalano i giuristi Papiniano e Ulpiano, l’aristotelico Alessandro di Afrodisia, il medico Galeno, lo storico Cassio Dione e il filosofo e poi imperatore Gordiano, oltre ad altri sofisti di cui non si sono conservati i nomi. Ma Giulia non fu solo una mecenate della cultura. Fu soprannominata “la filosofa”, perché mise lei stessa i suoi pensieri per iscritto e aiutò Filostrato a redigere (o forse lo fece lei stessa) un trattato su Apollonio di
Tiana, un pensatore greco del I secolo d.C. È l’unico caso giunto fino a noi d’imperatrice filosofa nel mondo romano, e uno dei pochissimi esempi nella storia occidentale.
Vita familiare Gli imperatori romani si godevano la vita in compagnia della famiglia, degli amici e della corte (l’aula Caesaris). Secondo quanto riporta Marco Aurelio nelle Meditazioni, la corte di Augusto comprendeva «moglie, figlia, nipoti, figliastri, sorella, Agrippa, parenti, familiari, amici, Ario [un filosofo], Mecenate [un consigliere], medici, sacrificanti». Seguendo il modello augusteo ancora in vigore alla fine del II secolo, la corte dei Severi includeva i parenti più stretti
I PALAZZI IMPERIALI
L’immagine qui sopra mostra una ricostruzione del circo Massimo e delle residenze imperiali erette sul Palatino dai successivi imperatori.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Secondo Cassio Dione, Caracalla violentò alcune vestali e poi le fece giustiziare seppellendole vive per aver infranto i voti di castità
L’IMPERATRICE PIÙ POTENTE
Giulia Domna, la moglie siriaca di Settimo Severo, ebbe un’enorme influenza negli affari politici. Busto di marmo. Musei capitolini, Roma. SCALA, FIRENZE
(tra cui il ramo femminile della famiglia di Giulia Domna e i suoi discendenti), gli amici più intimi, alcuni intellettuali – come per esempio Ulpiano, Paolo, Cassio Dione e Diogene Laerzio – e il personale religioso e di fiducia del palazzo. Sebbene Marco Aurelio non li citi nella sua definizione di corte imperiale, si potrebbero menzionare anche i prefetti del pretorio, che già all’inizio del III secolo svolgevano la funzione di capi dell’amministrazione. Non va dimenticato che Plauziano, prefetto del pretorio di Settimio e suo amico d’infanzia, riuscì a far sposare sua figlia con l’erede al trono imperiale, Caracalla. Oltre ad amici e parenti, la corte dei Severi era frequentata da aurighi, comici, attori, amanti di ogni genere (donne e uomini) e beniamini di qualsiasi tipo. Finché la loro stella brillava, questi rappresentavano uno svago per gli imperatori; ma quando si spegneva, capitava spesso che venissero allontanati se non direttamente eliminati.
Famiglia in disaccordo I rapporti familiari alla corte dei Severi erano turbolenti. Settimio amò la seconda moglie con passione, al punto da perdonarle le probabili infedeltà e volerla accanto a sé fino alla morte. Ma questo affetto non era la norma a livello dinastico. I suoi figli Caracalla e Geta si odiarono a morte. Di fatto il primo fece uccidere il secondo alla presenza della madre di entrambi, Giulia Domna, a cui proibì di versare lacrime per il figlio assassinato. Caracalla detestava anche la moglie Plautilla e il suocero Plauziano, e alla fine fece giustiziare entrambi. All’epoca di Eliogabalo era leggendaria la rivalità tra
L’OMICIDIO DI GETA
Quest’olio di JacquesAugustin-Catherine Pajou mostra il momento in cui un centurione inviato da Caracalla (a destra) uccide Geta davanti alla madre Giulia Domna. 1788. Staatsgalerie, Stoccarda. AKG / ALBUM
la madre dell’imperatore Giulia Soemia e sua sorella Giulia Mamea. Quest’ultima riuscì a rovesciare il nipote e, pur di mettere il proprio figlio sul trono, non esitò a far uccidere la sorella insieme all’imperatore. A partire dalla fine della repubblica le vite private dei regnanti furono spesso oggetto di pettegolezzi, in particolare per quanto riguardava la sfera erotica. I romani adoravano le indiscrezioni sulle amanti di corte e le rispettive stravaganze sessuali, come emerge da numerose fonti storiche che vanno dalle poesie di Giovenale alle biografie di Svetonio. La vita sessuale degli imperatori era uno degli argomenti preferiti. Quella di Settimio Severo, che in fondo era un uomo di provincia, fu abbastanza semplice.
Il suo matrimonio con Giulia Domna non fu privo di problemi, forse a causa di qualche adulterio da parte di lei. Ma nelle fonti non si trovano accenni a rapporti extraconiugali del sovrano, per cui è possibile che questi conducesse una vita abbastanza morigerata, una cosa rara alla corte imperiale se si esclude il virtuoso Antonino Pio. Al di là del suo matrimonio con Plautilla, non si sa molto della vita sessuale di Caracalla. Non ci sono testimonianze di amanti né notizie di orge o adulteri. Solo Cassio Dione, che lo conosceva di persona, menziona il fatto che violentò alcune vergini vestali e poi le fece giustiziare per aver infranto i voti, seppellendole vive secondo le antiche usanze. È probabile che Caracalla soffrisse di
UNA CRONACA SCANDALOSA NELL’HISTORIA AUGUSTA sono presenti le biografie d’imperatori e usurpatori tra Adriano e Numeriano (117-284). L’opera è stata descritta da diversi studiosi come un monumento alla falsificazione, dato che di quasi 150 lettere e documenti solo due sono considerati autentici. Molte storie riportate nel testo si basano su voci infondate, come quella del matrimonio che Caracalla avrebbe contratto con la madre Giulia Domna mentre si trovavano in Oriente. Secondo la Historia Augusta, Giulia Domna si presentò davanti al figlio nuda e lo convinse che poteva sposarla visto che, in quanto imperatore, era onnipotente. Molti storici successivi, tra cui Aurelio Vittore, Orosio ed Eutropio, riportano l’episodio, reso credibile ai loro occhi dall’origine siriaca dell’imperatrice.
La famiglia imperiale, composta dal sovrano Settimio Severo, dai figli Caracalla e Geta, e dalla moglie Giulia Domna (che nell’immagine si volta verso lo spettatore) assistono ai giochi nell’anfiteatro. Olio di Lawrence AlmaTadema. 1907. 70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GIOCHI GLADIATORI
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qualche malattia venerea che lo aveva reso impotente e gli aveva causato disturbi mentali. Alla sua morte gli succedette un imperatore tradizionale quale Macrino, che amava teneramente sua moglie, come rivela una lettera di suo pugno riportata nella Historia Augusta.
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LE ROSE DI ELIOGABALO
Quest’olio di Lawrence Alma-Tadema raffigura una delle stravaganze attribuite all’imperatore, che avrebbe lanciato sugli ospiti di uno dei suoi banchetti una tale quantità di petali di rose da far morire soffocati alcuni di loro. Olio su tela. 1888.
L’imperatore adolescente IL TRADIZIONALE MACRINO
Aureo con l’effigie dell’imperatore Macrino, il prefetto del pretorio succeduto a Caracalla dopo il suo assassinio. Moneta coniata nel 218.
Eliogabalo ebbe una vita breve ma molto intensa. Omosessuale, secondo Cassio Dione avrebbe offerto metà dell’impero al medico che fosse riuscito a dotarlo di genitali femminili. Visse la sua condizione in modo disinvolto: parlava di sesso in pubblico e consultava prostitute e prostituti in merito alle rispettive “specialità” e posizioni preferite. Secondo Erodiano «non era raro vedere Eliogabalo alla guida del suo carro o intento a ballare; e non cercava di nascondere i suoi vizi. Si mostrava in pubblico con gli occhi dipinti e le guance imporporate, deturpando la bellezza naturale del suo volto con un trucco deplorevole». Tutto questo era inaccettabile agli occhi di un romano. Stando alle fonti, Eliogabalo aveva anche amanti fissi e addirittura ne sposò uno: l’atleta di Smirne Zotico, un individuo che, secondo la Historia Augusta, «ambiva alle più grandi ricchezze» e che acquisì enorme influenza corte. In seguito l’imperatore conobbe Ierocle, un auriga di cui s’invaghì per via delle sue doti fisiche e che fu convocato a palazzo per divenire il suo nuovo amante. Secondo Cassio Dione si trattò di una passione travolgente e romantica. Ma il sovrano sposò pure diverse donne, secondo Erodiano per «scacciare i dubbi in merito alla sua virilità», e non certo con la speranza di concepire un erede. Probabilmente non consumò nessuno di questi matrimoni.
Eliogabalo si mostrava in pubblico «con gli occhi dipinti e le guance imporporate, deturpando la bellezza naturale del suo volto con un trucco deplorevole» 72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE
Per differenziarsi da Eliogabalo, ucciso a diciotto anni, il suo successore Alessandro Severo scacciò gli eunuchi che avevano avuto qualche relazione con il suo predecessore e progettò di arrestare o cacciare dalla città gli omosessuali e i prostituti, anche se poi non attuò il proposito per timore di scatenare la reazione dei romani. La Historia Augusta è certa dell’eterosessualità dell’imperatore: «Praticava l’amore in modo ragionevole ed era così alieno a trattare con uomini degenerati che intendeva persino proporre una legge per cacciarli dalla città». Alessandro si sposò due volte, ma pare che non ebbe figli. La fine dei Severi fu simile a quella di molte dinastie romane. La mancanza di eredi maschi, derivata forse da un’infertilità
cronica nell’impero (in cui giocò probabilmente qualche ruolo il piombo presente negli acquedotti della città) o da una vita sessuale più orientata al piacere che alla procreazione, contribuì all’instabilità politica e spianò la strada alle usurpazioni, ai colpi di stato e alle guerre civili che due secoli più tardi decretarono la fine del dominio di Roma. JUAN LUIS POSADAS STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Vita di Eliogabalo. Delirio e passione di un imperatore romano Elio Lampridio (a cura di S. Fumagalli). Mimesis, Milano, 2011. La vita alla corte degli imperatori romani. Da Augusto a Diocleziano Robert Turcan. LEG, Gorizia, 2017.
MACRINO, IL SUCCESSORE DI CARACALLA LA VITA INTIMA di Marco Opellio Macrino fu alquanto travagliata. Il suo passato di liberto, generale e prefetto del pretorio, così come la sua rapida carriera, diedero molto di cui parlare. Secondo la Historia Augusta un senatore arrivò a dire di lui: «Macrino era stato un liberto dedito alla prostituzione e a offici servili nella villa imperiale, un uomo facilmente corruttibile e dalle abitudini meschine». Ciò sembra corrispondere all’usanza romana secondo la quale il padrone di casa poteva approfittare occasionalmente di schiavi e liberti per il suo piacere personale, quindi la testimonianza potrebbe essere veritiera. Fu probabilmente il precedente prefetto del pretorio, Plauziano, a promuovere Macrino alla corte dell’imperatore Settimio Severo.
VISTA DALL’ALTO
Mont Saint-Michel è un’isola granitica dalla circonferenza di quasi un chilometro. Raggiunge gli 80 metri s.l.m., e il suo punto più alto si trova a 157 metri grazie all’abbazia. Dal 2014 è unita alla terraferma grazie a una lunga passerella. TUUL ET BRUNO MORANDI / GTRES
MONT SAINT-MICHEL LA MERAVIGLIA DEL GOTICO FRANCESE
Su un’isola davanti alle coste della Bretagna venne eretto un piccolo monastero che nel XIII secolo sarebbe divenuto una splendida abbazia gotica, chiamata La Meraviglia
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L’ARCANGELO MICHELE CHIEDE AD AUBERT DI COSTRUIRE UN SANTUARIO. CARTULARIO DI MONT SAINT-MICHEL.
e Mont Saint-Michel fosse scomparso da secoli a causa di una delle violente mareggiate che a volte l’affliggono, o se fosse crollato per qualsiasi altra ragione, avremmo pensato che la piccola borgata sovrastata da uno spettacolare monastero non sia stata altro che il frutto di una leggenda medievale. Del resto, a quell’epoca si era più propensi a credere nei miracoli, nei prodigi e nelle meraviglie. Eppure Mont Saint-Michel rimane lì, ben saldo, e offre una viva testimonianza della sua intensa storia e dell’architettura geniale che lo caratterizzano. Il monumento risulta straordinario non soltanto per la struttura complessa e per l’ubicazione fuori dal comune, ma anche per le sue vicissitudini. A Mont Saint-Michel i limiti tra evento documentato e leggendario s’intrecciano nel momento in cui vengono rievocate le vicende di uno dei luoghi medievali europei più interessanti. Sono pochissimi, infatti, i siti che possono vantare una simile ricchezza naturale, storica e artistica.
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708 709 Le reliquie dell’arcangelo sono trasportate dall’Italia all’isolotto. Aubert fonda una comunità di monaci.
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L’isola dell’arcangelo Michele
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1337-1453 Durante la Guerra dei cent’anni Mont SaintMichel è assediato più volte dagli inglesi, che non riescono a conquistarlo.
1879 Viene realizzata una strada per raggiungere l’isola. Nel 2014 viene sostituita da una passerella di minore impatto sull’ambiente.
966 L’edificio viene ristrutturato sotto la protezione dei duchi di Normandia. Hanno inizio i pellegrinaggi.
1212-1228 Il re Filippo Augusto intraprende la costruzione della Meraviglia dopo che i bretoni distruggono il monastero.
1790 Durante la Rivoluzione francese i monaci vengono scacciati. L’abbazia diventerà una prigione fino al 1863. IL MONTE TOMBE NEL X SECOLO. INCISIONE REALIZZATA NEL 1910.
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L’isola che oggi conosciamo come Mont Saint-Michel si trova nella zona nordoccidentale della Francia, in un’immensa distesa di sabbie mobili alla foce del Couesnon, il fiume che da sempre segna la frontiera tra Bretagna e Normandia. La tradizione vuole che su quell’isolotto sormontato da un monte, il Tombe, vivesse l’asceta Aubert. Nel 708 l’arcangelo Michele apparve più volte in sogno all’eremita, incitandolo a erigere un santuario sulla cima del Tombe. Il tempio doveva essere simile a quello presente sul Gargano (Foggia), davanti al mar Adriatico. A quanto pare, Aubert decise quindi di distruggere un monumento pagano, forse un megalite, per edificarvi con pietre grezze un luogo di culto, consacrato proprio all’arcangelo. Poco dopo Aubert mandò due suoi compagni sul Gargano perché prelevassero delle reliquie dell’arcangelo lì conservate. Mentre questi erano in viaggio, un forte temporale distrusse parte del bosco che circondava la base del Tombe. Al loro ritorno, quindi, i due viaggiatori si ritrovarono davanti agli occhi un’isola con sopra unicamente una cappella.
Si comincia a innalzare la grande abbazia romanica. I lavori procedono per tutto l’XI secolo.
L’eremita Aubert costruisce una cappella, consacrata all’arcangelo Michele sulla vetta del monte Tombe.
MONT SAINT-MICHEL NEL XV SECOLO. ILLUSTRAZIONE DI TRÈS RICHES HEURES DU DUC DE BERRY (LE ORE MOLTO VIVACI DEL DUCA DI BERRY), CON LA LOTTA TRA L’ARCANGELO E IL DRAGO. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
LA RUPE CHE RESISTETTE AL MARE DI SOLITO UN MONASTERO si sviluppa in orizzontale. A Mont Saint-Michel causa dello spazio ridotto e dell’enorme dislivello del FRANCIA terreno, Mont Saint-Michel dovette invece crescere in verticale. Il risultato è un complesso molto particolare, costituito da strutture sovrapposte erette una sopra l’altra nell’arco di 12 secoli. Lo sforzo umano per “domare” la roccia e la natura fu improbo. Sebbene l’edificio sorga su un’isola granitica, la maggior parte dei materiali da costruzione giunse dall’esterno. Le imbarcazioni che li trasportavano dovevano sfidare di continuo l’alta marea e la forza dei flutti. Attorno all’isola infatti il mare monta e si ritira alla velocità «di un cavallo al galoppo», coprendo in pochissimo tempo ben 20 chilometri. Una volta giunto sulla terraferma, ogni materiale doveva poi essere sollevato con enormi gru. Gli edifici venivano innalzati su terrazze rette da immensi contrafforti, che però non sempre bastavano a evitare i crolli. Sul lato sud, meno scosceso e più vicino alla terraferma, sorse ben presto un paesino dotato di una parrocchia propria, consacrata a san Pietro.
1 La Meraviglia Sezione del corpo occidentale. Dall’alto in basso: cantina, sala dei cavalieri e chiostro.
San Michele La crociera della chiesa presenta sulla sommità una guglia, divenuta un’icona del monastero.
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Il prospetto del 1875 mostra l’abbazia su tre livelli e la borgata distribuita sul pendio. Alla sua base si alza il muraglione eretto durante la Guerra dei cent’anni e rinforzato nel XVI secolo.
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2 Terrazza ovest Risultato del crollo parziale della chiesa avvenuto nel XVIII secolo. 3 La grande cisterna Nel XV secolo vicino all’abside venne costruito un deposito d’acqua per resistere agli assedi.
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4 Chiesa di San Pietro
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Ingresso L’accesso avviene prima per la porta del Re, poi per quella dell’Avanzata e infine per quella del Viale.
5 Torre Gabriele La robusta torre di difesa del XVI secolo culmina in un vecchio mulino a vento.
ILLUSTRAZIONI: LOÏC DERRIEN / AURIMAGES
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LA CHIESA GOTICA
Al di là dei racconti leggendari, la presenza di reliquie fece sì che attorno a esse si riunissero sia un’iniziale comunità di chierici sia alcuni pellegrini. E il luogo sacro cominciò a prosperare. Sebbene la cronologia di tale fioritura rimanga incerta, la prima menzione del sito risale a un momento successivo, alla metà del IX secolo, quando il posto era indicato ancora come monte Tombe. Con il passare del tempo il nome sarebbe stato offuscato dalla fama dell’arcangelo e l’isolotto si sarebbe poi chiamato Mont Saint-Michel.
IL GRAN NUMERO DI PELLEGRINAGGI e la generosità dei duchi di Normandia permisero ai benedettini di riformare la chiesa nell’XI secolo. La costruzione iniziò nel 1023 e si concluse nel 1084. Richiese sforzi immani per conciliare le dimensioni del santuario con i pendii stretti e scoscesi dell’isola. Presenta tre navate, una grande crociera e un capocroce con deambulatorio. Più cripte su tutti i lati dell’edificio livellano il terreno. L’abbazia fu ricostruita nel periodo gotico. Se ne ingrandì il capocroce, e nel XVIII secolo crollarono le parti ai piedi della navata, che non vennero più edificate. Il tempio fu decorato con la facciata neoclassica visibile ancora oggi.
La dominazione normanna
Carlo Magno promosse il culto all’arcangelo aumentando così il prestigio del santuario, che accolse sempre più pellegrini 80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
JEAN BERNARD / BRIDGEMAN / ACI
Il prestigio del santuario e l’interesse che Carlo Magno dimostrò nel promuovere il culto dell’arcangelo all’interno dei propri territori diedero una notevole spinta allo sviluppo di Mont Saint-Michel. Minacciata dai vichinghi che la saccheggiarono nell’847, l’isola venne consegnata al sovrano della Bretagna dal re franco Carlo il Calvo, impossibilitato a difendere questa zona costiera. Agli inizi del X secolo il ducato di Normandia, retto da un’antica dinastia di vichinghi, strappò ai bretoni le terre di Mont Saint-Michel e stabilì in quel punto la frontiera con la Bretagna. Sotto la dominazione normanna il pellegrinaggio al santuario aumentò e la comunità di monaci vide le proprie ricchezze aumentare vertiginosamente, malgrado i voti che avevano pronunciato non permettessero di accumulare beni terreni. Proprio per tali ragioni il duca di Normandia Riccardo I Senza Paura li invitò a riformarsi oppure ad andarsene. Solo un monaco decise di rimanere, e grazie a lui sarebbe sorto un nuovo monastero legato alla regola benedettina. Dal quel momento, nel 966, la fama del posto fiorì ancora di più, i pellegrini accorsero numerosi e gli edifici andarono incontro a un processo di trasformazione. In un clima di relativa pace e prosperità, il gruppo benedettino intraprese, già
nell’XI secolo, la costruzione di una monumentale chiesa romanica, sotto la quale rimasero i resti del santuario precedente. La situazione migliorò ulteriormente nel 1066, quando il duca Guglielmo il Conquistatore ascese al trono d’Inghilterra e aumentò le donazioni. Dal canto loro, i pellegrinaggi continuarono a essere molto frequenti. Nel XII secolo Mont Saint-Michel ospitò un centro di traduzione di opere classiche greco-latine e le sue strutture furono modernizzate. Il monastero raggiunse il massimo splendore ai tempi dell’abate Robert de Torigni (1154-1186), quando era abitato da circa sessanta monaci. Un secolo dopo l’abbazia si ritrovò nel bel mezzo degli scontri tra i re di Francia e d’Inghilterra. Questi ultimi erano anche duchi di Normandia. Nel 1204 i bretoni, alleati del sovrano francese Filippo Augusto, saccheggiarono il luogo, allora sotto il controllo del monarca inglese Giovanni Senza Terra. A quanto pare, tale evento irritò non poco Filippo Augusto, perché l’assalto a un monastero di chiara fama e meta di pellegrinaggio non favoriva il prestigio della monarchia francese. Va inoltre detto che anni prima lo stesso Filippo Augusto aveva preso parte alla Terza crociata e voleva presentarsi come un paladino della cristianità. Per ricompensare l’abbazia di tale attacco, il re le destinò una notevole somma perché il santuario venisse ricostruito e ampliato.
Grazie alla donazione, tra il 1212 e il 1218 venne innalzata sul lato settentrionale della chiesa romanica un’enorme, articolata e affascinante struttura. Sfidando i limiti delle conoscenze architettoniche di quei tempi, lungo la superficie ristretta e scoscesa del monte sorsero un insieme di spazi vasti, sale spettacolari, nonché un chiostro molto peculiare. Il complesso era un chiaro esempio della raffinata genialità gotica e perciò prese il nome di La Merveille, La Meraviglia. Venne eretto con materiali provenienti da diversi luoghi, perfino dall’Inghilterra: erano trasportati sulle imbarcazioni durante l’alta marea e poi sollevati con grandi gru in legno. L’insieme è costituito da due corpi voluminosi sostenuti da eleganti contrafforti alternati ad ampie finestre che 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
GIOVANNI SIMEONE / FOTOTECA 9X12
La Meraviglia
LA MERAVIGLIA NONOSTANTE IL SOBRIO ASPETTO esterno, che lascia appena
intuire cosa si nasconde all’interno, il capolavoro gotico di Mont Saint-Michel è articolato in modo complesso. Nell’immagine si possono distinguere i due corpi di cui si compone l’insieme della Meraviglia. Quello a sinistra, il primo a essere innalzato, accoglie la nuova sala dell’elemosiniere, la sala degli ospiti e, sopra, il refettorio. Nel corpo a destra si trova il granaio, poi la sala dei cavalieri e, in fondo, il chiostro. Ancora più a destra venne progettato un terzo corpo, mai eretto. Dietro, e in alto, si può ammirare la chiesa con il capocroce gotico, la navata romanica mozza e la torre della crociera, ricostruita durante il restauro del XIX secolo. Fu allora che venne aggiunta la famosa guglia.
illuminano le sale interne. Per primo fu alzato il corpo orientale, che si assottiglia man mano che sale verso l’alto. Alla base si trova la foresteria, dotata di due navate, che serviva per dare da mangiare ai poveri e alle migliaia di pellegrini che giungevano da tutta l’Europa. Per trasportare giù il cibo si ricorreva a un montacarichi incassato nel muro. Al piano di sopra venne disposta la sala degli ospiti, riscaldata e composta da due navate molto più snelle, dove i monaci accoglievano i viaggiatori e i pellegrini abbienti. Il terzo piano, o livello, era occupato dal refettorio dei religiosi, che con i suoi cinquantanove finestroni costituisce un prodigio di creatività gotica.
La sala dei cavalieri
Dopo che gli alleati bretoni ebbero saccheggiato il santuario nel 1204, Filippo Augusto di Francia finanziò la costruzione della Meraviglia 84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
MANUEL COHEN / AURIMAGES
Nella parte inferiore del corpo occidentale della Meraviglia si trova una sobria cantina sostenuta da pilastri. Al di sopra fu posta la sala dei cavalieri, nome ambiguo che allude forse all’Ordine dei cavalieri di san Michele, fondato nel 1469. Molto probabilmente, però, l’Ordine non vi si riunì mai. La sala, la più grande del complesso, con le sue tre navate a volta e anch’essa riscaldata, fu quasi sicuramente un ambiente dei monaci, un locale per lo studio e probabilmente anche uno scriptorium in cui i chierici si dedicavano a tradurre, copiare e miniare i manoscritti. Il terzo piano è occupato dal chiostro, delimitato da una duplice fila di colonnine sfalsate e archi a sesto acuto con un’esuberante decorazione vegetale. Su uno dei lati sono visibili tre finestre, ora protette dal vetro, che si affacciano sul vuoto e che erano state concepite per fornire l’accesso alla sala del capitolo, che non venne mai costruita. Nella prima metà del XIII secolo, quindi, l’architettura dell’abbazia appariva già nella sua forma più spettacolare. Quando scoppiò la Guerra dei cent’anni (1337-1453) Mont Saint-Michel si trovò
IL REFETTORIO È UNA DELLE SALE più eleganti dell’abbazia e si trova al livello superiore del
corpo orientale della Meraviglia. Si tratta di un vasto locale illuminato da 59 grandi finestre che si affacciano sui lati settentrionale e meridionale. A causa della numerosa presenza di queste aperture nelle pareti, il refettorio fu coperto con un tetto di legno, più leggero rispetto a uno in pietra. Le finestre sono separate da piccole colonnine che terminano in capitelli con motivi vegetali. Le decorazioni trasmettono calma e serenità, e forse così i monaci avevano l’impressione di mangiare in un bosco di pietra. La regola benedettina imponeva una certa misura nell’alimentazione, nonché il silenzio assoluto durante i pasti, interrotto solo dalla lettura dei testi sacri. Per svolgere tale compito veniva scelto un monaco, che declamava dal pulpito visibile sulla sinistra mentre gli altri confratelli terminavano il loro pasto frugale.
IL CHIOSTRO DISPOSTO SUL TERZO livello della Meraviglia, il chiostro si trova
PATRICK ESCUDERO / GTRES
alla stessa altezza della chiesa, requisito indispensabile per il suo uso religioso. Questa collocazione costrinse i mastri costruttori a concepire una struttura leggera, con un tetto in legno (come nel refettorio) e sottili colonne disposte a file sfalsate e sormontate da archi a sesto acuto. I capitelli sono lisci, mentre le scuffie o pennacchi (gli spazi triangolari intercalati tra gli archi) sono generosamente decorate con motivi floreali e non solo. In una di esse risalta la figura di san Francesco, canonizzato nel 1228, lo stesso anno in cui vennero terminati i lavori di costruzione del chiostro.
in prima linea e dovette essere fortificata. All’inizio del conflitto vi si stabilì una guarnigione francese, e s’interruppe perciò il flusso di pellegrini e di donazioni provenienti dall’Inghilterra. Gli inglesi cercarono più volte di attaccare l’isola da una base di artiglieria presente nel vicino isolotto di Tombelaine. Tuttavia il difficile accesso a Mont Saint-Michel e il nuovo muraglione eretto ai piedi del monticello fecero fallire ogni tentativo. Sul lato del capocroce, ovvero la parte della chiesa che normalmente comprende coro e abside, i francesi avevano costruito una grande cisterna per affrontare gli assedi che si susseguirono invano nella prima metà del XV secolo. I montois – con questo nome venivano indicati i residenti di Mont Saint-Michel – riuscirono perfino ad accaparrarsi due bombarde inglesi, che sono ancora conservate ed esposte con orgoglio.
Declino e rinascita All’indomani della guerra iniziò per Mont Saint-Michel un lungo periodo di decadenza. Si logorò lentamente, cadde nel disinteresse generale e i monaci l’abbandonarono. Ma il movimento del Romanticismo, con il suo recupero di tutto ciò che apparteneva al Medioevo, rese il santuario un’icona della storia francese. A ciò contribuirono la peculiare struttura del monastero, la suggestiva ubicazione e le vicende storiche. «Mont Saint-Michel è per la Francia quanto è per l’Egitto la Grande Piramide, [perciò] è necessario tutelare a qualsiasi costo questo duplice capolavoro della natura e dell’arte», ebbe a dire Victor Hugo, scrittore e drammaturgo francese che fu senza dubbio uno dei più grandi ammiratori dell’abbazia. JAIME NUÑO GONZÁLEZ DIRETTORE DEL CENTRO DE ESTUDIOS DEL ROMÁNICO DELLA FUNDACIÓN SANTA MARÍA LA REAL
Per saperne di più
GUIDE
Mont Saint-Michel Nicolas Simonnet. Bonechi, Firenze, 2009. Normandia Bretagna Touring Club Italiano, Milano, 2020. L’arcangelo di Mont Saint-Michel Laura e Silvio Sarubbi. Piemme, Casale Monferrato, 1999. INTERNET
Visita virtuale dell’abbazia http://www.abbaye-Mont Saint-Michel.fr/ Explorer/visite-virtuelle#
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DAMIEN MEYER / GETTY IMAGES
ROMANZI
L’ARCANGELO DURANTE IL RESTAURO dell’abbazia, nel XIX secolo, si dovettero
scomporre la zona centrale della crociata e la torre, così da costruire una nuova torre neoromanica. Sopra di essa venne posta una guglia neogotica, opera dell’architetto Victor Petitgrand, sulla cima della quale, il 6 agosto 1897, fu collocata una statua dell’arcangelo Michele. Realizzata da Emmanuel Frémiet, misura 4,2 metri e pesa più di 500 kg; è in rame dorato e rappresenta san Michele nei panni di un guerriero medievale mentre brandisce una spada contro il demonio, che compare ai suoi piedi. Collocata a 150 metri s.l.m., la scultura eleva ancora di più quest’abbazia verticale, che s’innalza verso il cielo.
Le epidemie che devastarono il Nuovo Mondo
LE PIAGHE DELLA
Le malattie infettive portate dagli europei nelle Americhe decimarono
CONQUISTA le popolazioni indigene
INDIGENI PROSTRATI
Questa incisione del 1591, opera dell’olandese Theodor de Bry, mostra gli indigeni della Florida alle prese con le infezioni provenienti dall’Europa. Nel tentativo di curare gli infermi si praticavano trapanazioni e fumigazioni. GRANGER / ALBUM
ANIMALI E GENI, I COLPEVOLI
P
ER SPIEGARE l’impatto indiscriminato del vaiolo e di altre malattie infettive sulla popolazione amerindia è stato sottolineato come quest’ultima fosse priva di quell’immunità che europei e africani avevano invece acquisito nel corso di millenni di convivenza con gli animali addomesticati portatori degli agenti patogeni. Di fatto nell’America preispanica non esistevano i tipi di bestiame e di animali domestici che in Europa agivano come vettori di trasmissione dei virus. È stato inoltre rilevato che la popolazione amerindia, isolata dagli altri continenti, aveva una grande uniformità genetica, in contrasto con la diversità presente nel resto del mondo. Ciò facilitò la diffusione dei virus, che trovarono un terreno particolarmente fertile e che non dovettero sforzarsi di adattarsi a ospiti differenti.
MICHAEL ROBINSON / GETTY IMAGES
CITTÀ ABBANDONATE
Le epidemie furono probabilmente una delle cause del declino della civiltà maya classica. Sopra, la Gran plaza di Tikal.
C R O N O LO G I A
UN VIRUS TERRIBILE E LETALE
N
el XVII secolo i maya ricordavano un tempo in cui vivevano in salute: «Non c’erano malattie allora; non c’erano dolori alle ossa; non c’era febbre, non c’era vaiolo, non c’era bruciore al petto, non c’era mal di pancia, non c’era deperimento. Il loro corpo era eretto, allora». Secondo il Chumayel, uno dei nove volumi della raccolta dei Libri di Chilam Balam, tutto cambiò con l’arrivo degli spagnoli. Questi imposero una strana religione, li gravarono di tributi e li infettarono con malattie letali e sconosciute.
1493
1518
Colombo parte da Cadice per il suo secondo viaggio in America. Alcuni studiosi ritengono che portasse con sé i virus che provocheranno la prima epidemia nel Nuovo Mondo.
Alla fine di quest’anno scoppia a Hispaniola (Santo Domingo) un’epidemia di vaiolo che, secondo la testimonianza riportata nella lettera di due frati gerolamini, uccide quasi un terzo degli indigeni.
RITRATTO DI COLOMBO. RIDOLFO DEL GHIRLANDAIO. 92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Non che l’America fosse un paradiso terrestre prima dello sbarco di Cristoforo Colombo nelle Antille. Gli indigeni soffrivano di numerose malattie infettive come l’herpes, l’epatite, la tubercolosi e la salmonella. Sono documentate varie ondate epidemiche che ebbero un forte impatto sulle popolazioni e contribuirono a provocare il declino o l’abbandono di grandi centri (come le città maya di Tikal, Palenque e Copán) o la caduta di intere civiltà. Ma in questi episodi la malattia era solo un aspetto all’interno di un più ampio processo che aveva altre cause politiche, economiche o climatiche.
SCAL
A , FIR
ENZE
BRIDGEMAN / ACI
Nel 1450 un’ondata di freddo provocò in Messico un «catarro pestilenziale» che uccise decine di persone, secondo lo storico Fernando de Alva Cortés Ixtlilxóchitl. Nessuna di queste epidemie è però paragonabile a quelle scoppiate dopo l’arrivo degli spagnoli, che portarono con sé nuove malattie – vaiolo, morbillo, pertosse, parotite – per le quali gli indigeni non avevano difese immunitarie. L’ondata di vaiolo che colpì i Caraibi, l’America centrale e il Messico tra il 1518 e il 1521 «fu per le Americhe altrettanto drammatica di quanto fu la peste nera del 1348 per l’Europa», afferma l’esperto Alfred Crosby.
1520
IL NUOVO MONDO
Qui sopra, particolare di una mappa dell’America realizzata nel 1575 da André Thevet.
1525
B UM
DIO MIXTECO COLLEGATO ALLA MEDICINA. ILLUSTRAZIONE DI UN CODICE.
/ AL
L’epidemia di vaiolo passa per l’istmo di Panama e raggiunge le terre dell’impero inca, dove causa la morte del sovrano Huayna Cápac, padre di Atahualpa.
DEA
Le truppe di Pánfilo de Narváez inviate per catturare Hernán Cortés sbarcano a Veracruz. Con i soldati viaggia il vaiolo, che si diffonderà sul continente.
Il vaiolo esisteva in Eurasia almeno dal I millennio a.C. Questa malattia è caratterizzata da sintomi come febbre alta, nausea e vomito, seguiti dalle caratteristiche pustole su viso, collo, tronco e arti che lasciano cicatrici sui superstiti. Si trasmette per via respiratoria attraverso i pazienti con sintomi, dopo una fase d’incubazione che va dai sette ai diciassette giorni. Si trattava di una malattia altamente contagiosa che si diffondeva facilmente in ambienti densamente po-
IL PALAZZO DEL VICERÈ A SANTO DOMINGO
Fu costruito su un lotto di terreno concesso nel 1509 a Diego Colombo, figlio di Cristoforo, al suo arrivo sull’isola Hispaniola in qualità di governatore.
PRISMA ARCHIVO
INDIGENI PORTATI DA COLOMBO NEL SUO PRIMO VIAGGIO ED ESIBITI A BARCELLONA AL COSPETTO DELLA COPPIA REALE. PARTICOLARE DI UN’OPERA DI FRANCISCO GARCÍA IBÁÑEZ.
SHUTTERSTOCK
COLOMBO E I PRIMI VIRUS
N
EL 1985 LO STORICO Francisco Guerra ha suggerito che la prima epidemia in America si fosse verificata nelle Antille in seguito al secondo viaggio di Cristoforo Colombo. Otto maiali avrebbero trasmesso l’influenza suina – la stessa che ha provocato l’epidemia d’influenza del 1918 – prima all’equipaggio e poi ai nativi di Hispaniola. Gli studiosi Noble Cook ed Elsa Malvido sostengono che quella spedizione fu anche la causa della diffusione del virus del vaiolo nelle isole caraibiche. Secondo entrambi, gli indigeni portati in Spagna da Colombo al termine del suo primo viaggio si sarebbero contagiati a Siviglia. Molti di loro morirono, ma i tre che tornarono in America potrebbero aver diffuso la malattia nel Nuovo Mondo. Secondo il demografo Massimo Livi Bacci, invece, non ci sono sufficienti prove del fatto che durante la permanenza iberica a Hispaniola si fosse verificata un’epidemia catastrofica, almeno non prima dell’insorgenza di vaiolo del 1518. Ritiene quindi che la distruzione delle comunità indigene fu causata dalla politica di schiavizzazione della popolazione da parte dei conquistadores.
94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
polati come le città. Aveva anche un tasso di mortalità molto elevato: fino al cinquanta per cento dei giovani che si ammalava di vaiolo moriva. Tra gli adulti i numeri si riducevano all’incirca della metà. I sopravvissuti acquisivano un’immunità permanente e diventavano delle barriere alla diffusione del virus nella comunità, sebbene ciò non evitasse il ripresentarsi periodico di nuovi focolai. I medici europei dell’epoca, come Juan de Aviñón e Alonso de Chirino, scrissero dei trattati in cui descrivevano i sintomi del vaiolo e proponevano misure per evitare il contagio, come mantenersi a distanza dalle persone infette e non usare gli oggetti da loro toccati. Aviñón aveva potuto osservare da vicino le tre epidemie di vaiolo verificatesi a Siviglia nel 1393, nel 1407 e nel 1420, e aveva notato che si ripetevano ogni tredici anni e colpivano soprattutto i bambini, uccidendone molti. Si stima che fino al XVIII secolo il vaiolo fu la causa del dieci per cento delle morti nelle grandi città europee. La situazione sarebbe cambiata solo con la diffusione delle tecniche
«Una pestilenza irrefrenabile» La prima notizia che abbiamo al riguardo è una lettera del gennaio del 1519, scritta a Hispaniola da due frati gerolamini per informare Carlo V dell’epidemia di vaiolo del dicembre dell’anno precedente: «È piaciuto a Nostro Signore inviare agli indigeni una pestilenza incessante che ha causato la morte di quasi un terzo di detti indigeni, i quali continuano attualmente a morire». Altre testimonianze confermano la percentuale di vittime o addirittura la elevano.
Il contagio si diffuse rapidamente nelle isole caraibiche come Cuba e Porto Rico, per poi passare al continente tramite la spedizione di Pánfilo de Narváez. Questi salpò da Cuba con l’obiettivo di catturare Hernán Cortés, che stava dirigendo la campagna di conquista del Messico iniziata tre anni prima. Il 30 maggio 1520, poco dopo lo sbarco di Narváez a Veracruz, cominciarono a verificarsi dei casi di vaiolo. Diversi cronisti citano come responsabile della diffusione uno schiavo di colore di nome Francisco Eguía. Scrisse Bernal Díaz: «Tra i marinai c’era un nero pieno di vaiolo che fu la causa del diffondersi della
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di variolizzazione e vaccinazione, in particolare dopo il 1796 in seguito alle ricerche del britannico Edward Jenner. Se il vaiolo era temibile in Europa, in America fu devastante. Gli indigeni non avevano difese immunitarie contro questa nuova malattia, che quindi colpiva sia i bambini sia gli adulti. Un’epidemia di vaiolo poteva spazzare via in poche settimane più del trenta per cento di una comunità; una serie di epidemie poteva avere un impatto ancora maggiore.
SCAMBIO DI MALATTIE TRA CONTINENTI
La sifilide arrivò in Europa dall’America in una forma che divenne presto di estrema virulenza. Qui sotto, un indigeno curato dal vaiolo con del tabacco.
GRANDI PIANURE
NUOVA INGHILTERRA
La progressione verso ovest del vaiolo in America settentrionale colpì gruppi come quelli degli omaha, che persero metà della popolazione a causa di un’epidemia.
A partire dal 1630 le tribù indiane insediate attorno a questa colonia inglese furono colpite da ondate successive di vaiolo e altre malattie che ne ridussero notevolmente la popolazione.
O EUR
AMERICA SETTENTRIONALE
1633
1800
Ocean o Atlanti co 1520 1518
AFRIC GRANDI ANTILLE
Il vaiolo entrò in America da Hispaniola. Alcuni suggeriscono che fosse arrivato su una nave portoghese carica di schiavi.
MESSICO
Le campagne di conquista di Cortés diffusero il vaiolo tra i popoli dell’altipiano messicano.
O cea n o Pa cifico PERÙ
Un’ondata di vaiolo raggiunse il Perù prima della conquista di Pizarro, anche se autori recenti ritengono che la prima insorgenza documentata risalga al 1558.
1524-1527 1563
A M ERI C A M ERI DI ONAL E 1561
1713
CILE
BRASILE
Il vaiolo arrivò con la spedizione di Francisco Villagra a Coquimbo. Gli indigeni ritenevano che lo spagnolo avesse introdotto la malattia per ucciderli.
Un’epidemia di vaiolo proveniente dal Portogallo si diffuse a Bahia contagiando i popoli amerindi. Il primo impatto uccise probabilmente circa 90mila indigeni.
OPA
l vaiolo, una delle malattie più mortali della storia, era conosciuto in Europa fin dal Medioevo con il nome di variola (dal latino varius, chiazzato). Una volta diventata endemica, l’infermità si manifestò in insorgenze periodiche che causarono la morte di moltissimi bambini. L’espansione europea in tutto il mondo a partire dal XVI secolo diffuse questo virus capace di decimare le comunità che, a differenza degli abitanti del vecchio continente, non avevano alcuna immunità naturale nei suoi confronti.
CARTOGRAFÍA: EOSGIS.COM. FOTO: ALBUM
VAIOLO, UNA PIAGA GLOBALE A S I A
GLI INDIGENI TUPINAMBA DEL BRASILE, CONTAGIATI DALLE MALATTIE PORTATE DAGLI EUROPEI E CURATI DAI LORO SCIAMANI. INCISIONE DI THEODOR DE BRY.
Oceano Paci fi co
A
O c e an o
I n d i an o
SUDAFRICA
Il vaiolo fu introdotto da una nave proveniente dall’India che attraccò a Città del Capo. Colpì soprattutto la popolazione dei khoikhoi.
AUSTRA LIA 1789
AUSTRALIA
Un anno dopo l’arrivo degli inglesi il vaiolo si diffuse tra gli aborigeni del sud-est del continente. Nel 1829 si registrò una nuova epidemia.
GRANGER / ALBUM
GRANGER / ALBUM
SCALA, FIRENZE
MEXICA MALATI CATÓLICO. DI VAIOLO. ESCULTURA POR ILLUSTRAZIONE FELIPE VIGARNY. DEL CODICE SIGLO XVI. FIORENTINO.
RAFFIGURARE UN’ECATOMBE Le fonti pittografiche mesoamericane giunte fino a oggi contengono numerosi riferimenti alle epidemie che colpirono le popolazioni indigene dopo l’arrivo degli spagnoli. Alcune rappresentazioni illustrano i sintomi caratteristici di ogni malattia, altre la morte di personaggi illustri.
malattia tutt’intorno, e questo provocò una grande moria». Lo stesso riferì il francescano Motolinía: «In una delle sue [di Narváez] navi viaggiava un nero con il vaiolo, malattia che non si era mai vista in queste terre; e a quel tempo la Nuova Spagna era estremamente popolata; e appena il vaiolo cominciò ad attaccare gli indigeni, provocò ovunque gravi infermità e pestilenze, al punto che nella maggior parte delle province morì più della metà della gente, e in altre poco meno». Il francescano Bernardino de Sahagún descrisse vividamente gli effetti del vaiolo sugli indigeni: «Scoppiò un’epidemia di una malattia caratterizzata da pustole. Le persone si ricoprirono di grosse escrescenze, in alcuni casi completamente. Fu una grande desolazione; molti morirono, altri non riuscivano a camminare e giacevano nelle loro abitazioni e nei loro luoghi di riposo, ormai incapaci di muoversi se non gridando dal dolore. In alcune persone le pustole 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
TESTIMONIANZA DI CORTÉS Quando arrivò a Cholula, Cortés venne a sapere che molti signori locali erano morti a causa del vaiolo. Ritratto di Cortés. Archivo de Indias. ORONOZ / ALBUM
erano molto lontane l’una dall’altra, e i loro volti e i loro nasi assunsero tratti sgradevoli. Ci fu chi perse un occhio e chi rimase cieco. Dopo sessanta giorni l’epidemia si placò e finì. Una volta iniziata la convalescenza, la malattia delle pustole cominciò a muoversi in direzione di Chalco».
Punizione divina Il vaiolo si diffuse rapidamente, prima negli insediamenti indigeni come Cempoala e poi nell’entroterra. Attraversò Tepeaca, Tlaxcala, Cholula e Chalco e, a fine ottobre 1520, fece il suo ingresso a Tenochtitlan, la capitale dell’impero azteco. In tutti questi luoghi Cortés lasciò un nemico silenzioso che spazzò via molti dei migliori guerrieri e alcuni governanti, come Cuitláhuac di Tenochtitlan e suo figlio Maxixcatzin di Tlaxcala, i signori di Chalco, i governanti di Michoacán, e tanti altri prima di loro.
Il Codice Aubin riporta la morte improvvisa del successore di Moctezuma, Cuitláhuac, nell’anno 2-pietra (1520). Il suo involto funerario, sulla destra, è circondato da vesciche che rappresentano pustole di vaiolo.
GRANGER / ALBUM
1520
1545
Il Codice Telleriano mostra un uomo e una donna con indumenti tradizionali. Gli occhi chiusi indicano che sono morti, e le macchie sulla pelle alludono al vaiolo. L’anno è il 7-coniglio (glifo superiore).
1545
Nel Codice Aubin c’è un’annotazione in nahuatl sull’epidemia di cocolitzli del 1545. Accanto c’è il disegno di una vittima colpita da emorragia nasale.
RMN-GRAND PALAIS
Nel Codice Tellerianoremensis, la grande moria provocata dall’epidemia di quell’anno è rappresentata da una pila d’involti funerari, ed è collegata ai glifi dell’anno 13-canna (1544) e 1-casa (1545).
1538
Questa moria fu interpretata in maniera diversa dagli indigeni e dagli spagnoli. La pestilenza si spostava da un luogo all’altro e lasciava sconcertati i mexica, che non trovavano nulla di analogo nel loro passato, al punto che non avevano una parola per definirla. All’inizio la chiamarono cocoliztli (infermità o pestilenza), ma presto la ribattezzarono huey zahuatl (grande pestilenza o grande piaga) per distinguerla da malattie simili ma meno mortali, come il morbillo. Eppure anche gli spagnoli erano confusi, perché in Europa il vaiolo non era così letale e non colpiva gli adulti, come invece stava avvenendo nelle Americhe. Qualcuno interpretò la malattia come una punizione divina contro l’idolatria degli indigeni; altri invece ipotizzarono che la velocità del contagio fosse dovuta alla densità di popolazione nativa e al fatto che la gente convivesse in gruppi. I cronisti spagnoli lasciarono a questo proposito svariate testimonianze. Raccontano che gli indigeni vivevano in case comuni e le famiglie dormivano, mangiavano e si lavava-
no insieme, alternando acqua fredda e calore esterno. La loro medicina tradizionale, che fino ad allora si era dimostrata efficace, non riusciva a curarli. Medici e sciamani ignoravano le precauzioni di base che gli spagnoli applicavano in caso di vaiolo, come nutrirsi bene, indossare abiti puliti e caldi, ed evitare di grattarsi «per non spaventare gli altri con i molti e grandi fori che si aprivano sul volto, sulle mani e sui corpi», secondo quanto raccontava lo storico e religioso Francisco López de Gómara. D’altra parte, l’elevata percentuale di morti o malati nelle abitazioni significava che non c’era più nessuno di sano a prendersi cura degli infermi, a lavorare i campi e a raccogliere i frutti della terra. E così la fame incrementò ulteriormente la mortalità.
MINIATURE INDIGENE
Qui sopra, alcuni disegni tratti da due codici del XVI secolo: il Codice Aubin (British Library) e il Codice Telleriano-remensis (Bibliothèque nationale de France).
Scriveva un frate spagnolo degli indigeni infermi: «Molti morivano, altri non potevano camminare né muoversi senza gridare dal dolore. Alcuni rimasero ciechi» STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
99
PIÙ VELOCE DEGLI INVASORI
I
N ALCUNI CASI i virus avanzarono in America così velocemente da spianare il cammino ai conquistadores. Hernán Cortés racconta che i mexica trasmisero inconsapevolmente il vaiolo ai taraschi prima che gli spagnoli raggiungessero Michoacán. Lucas Vázquez de Ayllón, membro della spedizione di Narváez, riferisce che prima di arrivare a Veracruz fecero uno scalo a Cozumel, un’isola al largo dello Yucatán, e la trovarono spopolata perché i suoi abitanti avevano contratto il vaiolo da altri amerindi provenienti da Cuba. Si pensa che la malattia si diffuse verso sud attraverso Panama e raggiunse il territorio inca prima che Pizarro iniziasse la campagna finale di conquista del Perù, nel 1529. Infatti quattro o cinque anni prima il sovrano inca Huayna Cápac morì di vaiolo insieme al figlio, alla moglie e ad alcuni altri membri della sua cerchia. La sua scomparsa improvvisa lontano da Cuzco aprì una guerra fratricida tra i suoi discendenti, che insieme al vaiolo corrose dall’interno la struttura dell’impero, agevolando il lavoro degli spagnoli. Alcuni autori sostengono però che non ci sono prove del fatto che si trattasse di epidemie di vaiolo.
100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
SHUTTERSTOCK
ORONOZ / ALBUM
INDIGENO MALATO DI VAIOLO IN UN DISEGNO DEL CODICE MARTÍNEZ COMPAÑÓN. XVIII SECOLO.
L’epidemia di vaiolo ebbe un impatto indiscutibile sul prosieguo della conquista spagnola. Di fronte a una malattia che li uccideva ancor più di quanto facessero i conquistadores, lasciandoli sprovvisti di capi e guerrieri, molti indigeni reagirono con un sentimento fatalista. Dopo la scomparsa di Moctezuma, anche il suo successore Cuitláhuac morì in pochi giorni di vaiolo. I mexica non ebbero nemmeno il tempo di riorganizzarsi secondo le loro tradizioni per scegliere un nuovo capo che garantisse la lealtà degli altri popoli. Quando Cortés abbandonò Tenochtitlan (nella cosiddetta Noche Triste), i mexica, invece d’inseguire gli spagnoli fiaccati dalla battaglia di Otumba, preferirono rimanere nella capitale per permettere ai propri guerrieri di riprendersi. E quando le milizie di Cortés tornarono per conquistare definitivamente Tenochtitlan, la malattia aveva ormai devastato i mexica e molti dei loro alleati. Gli spagnoli riconobbero il ruolo dell’epidemia nella vittoria. Bernardino Vázquez de Tapia, che combatteva a fianco di Cortés,
scrisse che furono le malattie a decimare i loro rivali: «Le piaghe di morbillo e di vaiolo furono così inclementi e crudeli che probabilmente uccisero più di un quarto degli indigeni che vivevano in quelle terre; e questo ci aiutò molto nella guerra e la fece finire più rapidamente, perché portò via un gran numero di uomini e guerrieri e molti signori e capitani e persone coraggiose, con i quali dovevamo combattere affrontandoli come nemici. E miracolosamente Nostro Signore li tolse dal nostro cammino provocandone la morte».
Febbri e rovina Quella del 1520 fu solo la prima di una lunga serie di epidemie che avrebbe devastato gli altipiani messicani per tutto il XVI secolo. Due in particolare ebbero conseguenze terribili: quella del 1545 e quella del 1576. La prima fu caratterizzata da «un grande afflusso di sangue accompagnato dalla febbre, e il sangue era tanto che schizzava fuori dalle narici». È difficile capire di che malattia si trattasse, a parte il fatto che causava una febbre emor-
ragica. Anche il ciclo epidemico iniziato nel 1576 fu molto virulento. Probabilmente si sovrapposero varie infermità, tra cui il vaiolo. Per tutto il XVI secolo le epidemie provocate dall’arrivo degli europei percorsero il continente americano da nord a sud, mandando in rovina intere comunità e distruggendone le culture e lo stile di vita. L’impatto non fu comunque lo stesso in ogni zona, ed è difficile stabilire fino a che punto le epidemie rappresentarono il fattore determinante del declino demografico delle popolazioni amerindie. Ma si può affermare senza difficoltà che in questo periodo gli indigeni morirono più a causa del virus che delle armi.
CUZCO, CENTRO DELL’EPIDEMIA
Nel 1546 il cronista Cieza de León scrisse: «Scoppiò in Perù una peste generale che iniziò a Cuzco e flagellò tutto il Paese». Sopra, la città.
ISABEL BUENO STORICA
Per saperne di più
SAGGI
Conquista. La distruzione degli indios americani Massimo Livi Bacci. Il Mulino, Bologna, 2009. Armi, acciaio e malattie Jared Diamond. Einaudi, Torino, 1997. Il rovescio della Conquista Miguel León-Portilla. Adelphi, Milano, 1974.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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SHERLOCK HOLMES ` Ù FAMOSO DELLA STORIA IL DETECTIVE PIU
BRIDGEMAN / ACI
Alla fine del XIX secolo lo scrittore britannico Arthur Conan Doyle ideò un detective molto originale, le cui innovative tecniche d’indagine sarebbero state imitate dagli investigatori in carne e ossa
102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LEBRECHT / ALBUM
IL DETECTIVE PER ECCELLENZA
Per trent’anni l’attore, drammaturgo e regista teatrale statunitense William Gillette interpretò sulla scena il famoso investigatore creato da Arthur Conan Doyle. Ritratto di Gillette nei panni di Holmes. A sinistra, Arthur Conan Doyle in una foto del 1920 circa. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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FIGURA ICONICA
A destra, statua di Sherlock Holmes dedicata ad Arthur Conan Doyle a Picardy Place, Edimburgo. MENTORE DI CONAN DOYLE
N
ato a Edimburgo nel 1859 Arthur Conan Doyle era figlio di genitori di origine irlandese. Il padre era un illustratore e la madre, una donna molto colta, discendeva dai primi Plantageneti, re medievali d’Inghilterra e signori d’Irlanda. Dopo aver studiato medicina, Conan Doyle iniziò a esercitare la professione a Southsea, una frazione di Portsmouth, nel sud del Regno Unito. Visto che aveva pochi pazienti, il giovane dottore vinceva la noia scrivendo. Nel 1887, a ventotto anni, pubblicò il suo primo romanzo sulla rivista Beeton’s Christmas An-
C R O N O LO G I A
nual. S’intitolava A Study in Scarlet e non ebbe molto successo. Vi compariva però un personaggio destinato a divenire un mito universale: il detective Sherlock Holmes. Accanto a lui già figurava l’altrettanto noto dottor Watson, amico e consigliere di Holmes nonché narratore delle vicende. Malgrado lo scarso entusiasmo del pubblico, A Study in Scarlet attirò l’attenzione dell’editore statunitense Joseph Marshall Stoddart, che pubblicava a Philadelphia la rivista Lippincott’s. Stoddart s’imbarcò per Londra nel 1889. Il 30 agosto cenò al Langham Hotel con due autori a cui voleva commissionare delle opere di narrativa: Oscar Wilde e Conan Doyle. Il risultato dell’incontro? The Picture
BRIDGEMAN / ACI
LA NASCITA DI UN FENOMENO LETTERARIO
1887
1894
ESCE A Study in Scarlet, il
DOYLE pubblica The Memoirs of
primo romanzo dove compare il famoso detective. Seguono The Sign of the Fours (1890) e The adventures of Sherlock Holmes (1892).
PRIMA EDIZIONE DEL ROMANZO DI CONAN DOYLE A STUDY IN SCARLET. 104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ALAMY / ACI
ALAMY / ACI
A sinistra, Joseph Bell, chirurgo in capo all’ospedale di Edimburgo. La sua metodologia di lavoro ispirò il modo d’investigare di Sherlock Holmes.
Sherlock Holmes, un’antologia di 11 racconti sulle avventure del suo personaggio più famoso. Tra questi figurano Silver Blaze e The Final Problem.
1901
1927
DOPO AVER ucciso la propria
VIENE PUBBLICATA una rac-
creatura in The Final Problem, Conan Doyle scrive The Hound of the Baskervilles. L’azione si colloca cronologicamente prima della morte di Holmes, che ricompare.
colta di 12 opere brevi narrate sempre da Watson: The Case-Book of Sherlock Holmes. È data alle stampe tre anni prima della morte di Conan Doyle.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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CONAN DOYLE, DETECTIVE ARTHUR CONAN DOYLE si teneva aggiornato
sui progressi della scienza forense e possedeva una biblioteca specializzata. Conosceva bene il lavoro del poliziotto francese Alphonse Bertillon, che sviluppò l’antropometria giudiziaria come sistema per identificare i delinquenti. Lo scrittore gli rese omaggio in The Hound of the Baskervilles. Qui un cliente accenna a Holmes come al «secondo miglior esperto in Europa». Chi è il primo? Ovviamente Bertillon. Conan Doyle riceveva lettere di persone che gli chiedevano di risolvere i loro problemi. Nei primi tempi non gli diede ascolto, anche se annotava i casi più sorprendenti. Tuttavia dal 1901 diversi casi di negligenza da parte della polizia gli fecero cambiare idea e intervenne in questioni scottanti, come la scomparsa di Agatha Christie nel dicembre del 1926.
IL PROCESSO DI DEDUZIONE
A destra, Sherlock Holmes riflette su un caso. Illustrazione della rivista francese Je sais tout del febbraio 1908. IL VOLTO DEL DELITTO
A sinistra, tavola sinottica di tratti fisiognomici creata dal poliziotto Bertillon per identificare i criminali. 1909.
BRIDGEMAN / ACI
106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Quando Watson gli domanda come ha fatto a dedurre del telegramma, il detective gli rivela che ha osservato con attenzione cosa avesse fatto quella mattina e ha quindi capito che non aveva scritto una lettera né aveva toccato i francobolli o le cartoline postali presenti sulla scrivania. «Per quale motivo, dunque, sarebbe andato all’ufficio postale se non per spedire un telegramma?», conclude Holmes, prima di pronunciare una delle sue più famose affermazioni. «Elimini tutti gli altri fattori, e ciò che rimane dev’essere la verità».
Il dottor Bell e Sherlock Holmes Per capire come nella mente di Conan Doyle si plasmò la figura del detective maestro nell’arte della deduzione bisogna tornare indietro al 1876, quando il futuro narratore s’iscrisse alla facoltà di medicina di Edimburgo e divenne allievo e assistente di Joseph Bell. Questi era chirurgo in capo presso l’ospedale della città e medico personale della regina Vittoria nei suoi viaggi in Scozia. Bell era famoso per la capacità d’osservazione e le diagnosi precise, che sviluppava grazie a una combinazione d’intuito, conoscenze enciclopediche e doti deduttive. Prima
BRIDGEMAN / ACI
of Dorian Gray, l’unico romanzo di Wilde, e The Sign of the Four, la seconda avventura di Sherlock Holmes. Qui la figura dell’investigatore si avvicina a quella divenuta popolare più tardi. L’opera si apre con una giovane donna che chiede a Holmes di essere accompagnata a un misterioso appuntamento. La ragazza ha anche ricevuto delle perle preziose da parte di un ammiratore anonimo. Nel primo capitolo,“The Science of Deduction”, il detective mette in luce le sue abilità nell’osservazione e nella deduzione. «L’osservazione mi dice che questa mattina lei è stato all’ufficio postale di Wigmore Street; ma la deduzione mi suggerisce che, una volta lì, lei ha spedito un telegramma», dice Holmes a Watson. «Esatto! Come ha fatto a capirlo?», si sorprende il dottore. Holmes sorride per lo stupore dell’amico. «Semplice», risponde, prima di sottolineare il confine tra osservazione e deduzione. «L’osservazione mi dice che lei ha un po’ di fango rossastro sotto le scarpe. Proprio di fronte all’ufficio di Wigmore Street hanno scalzato il manto stradale tirando fuori del terriccio e accumulandolo in maniera tale che è difficile entrarvi senza calpestarlo».
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LONDRA FIN DE SIÈCLE
A destra, la piazza di Piccadilly Circus nel 1895, all’epoca in cui Sherlock Holmes passeggiava lungo le strade di Londra per le sue indagini. LA PROSSIMA AVVENTURA
A sinistra, annuncio della pubblicazione di un nuovo racconto di Sherlock Holmes sulla rivista The Strand Magazine. Anni dieci del XX secolo. THE ADVERTISING ARCHIVE / BRIDGEMAN / ACI
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tiglia di whisky che spunta dalla tasca». La mostrò al pubblico. «Cercate sempre, signori miei, una conferma alle vostre deduzioni». «Le parole erano di Bell, ma la voce di Holmes», ha spiegato il critico e giornalista Howard Haycraft, che ha reso noto l’aneddoto. In effetti ci sono pochi dubbi sul fatto che Conan Doyle s’ispirò al suo mentore per forgiare l’immagine dell’investigatore. In una lettera a Bell del 1892 era lo stesso novelliere ad ammetterlo. «È a lei che devo la creazione di Sherlock Holmes. Ho cercato di costruire un uomo sulla base dei principi di deduzione, inferenza e osservazione che le ho sentito tanto pronunciare».
Holmes, un detective vero Il personaggio di Sherlock Holmes assomigliava molto a una nuova figura professionale emersa nel corso del XIX secolo nel Regno Unito, in Francia e negli Stati Uniti: l’investigatore privato. Anche se in A Study in Scarlet Sherlock Holmes si presentava come il primo detective-consulente del mondo, aveva in realtà parecchi precursori. I detective erano figli del liberalismo, e «non vi è liberalismo senza cultura del pericolo», sosteneva il filosofo Michel Foucault.
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d’iniziare un’analisi clinica, indovinava dettagli dell’attività professionale e della vita privata del paziente, e a tutto ciò aggiungeva un pizzico di teatralità, come dimostra un episodio avvenuto nell’inverno del 1877. Al Royal Hospital il dottor Bell presiedeva una lezione assieme a un paziente. «Mi dica, che ha quest’uomo?», chiese a un allievo. «Non può toccarlo né palparlo. Usi gli occhi, signore mio! Usi l’udito, il cervello, l’abilità d’osservazione, i poteri di deduzione», l’avvertì. «Ha un problema al bacino, per questo zoppica», balbettò il giovane. «Si dimentichi del bacino, non ha niente a che vedere con la sua zoppia!», esclamò Bell mentre indicava i piedi dell’uomo. «Ha osservato le sue scarpe? Le guardi, hanno dei tagli sui lati, fatti con il coltello nelle zone dove la pressione sul piede è maggiore. Sono gli alluci valghi a impedirgli di camminare bene. Eppure non è qui per questo». Dopo aver frastornato gli studenti, come al suo solito, Bell proseguì. «Il suo problema è più grave: ci troviamo davanti a un caso d’alcolismo cronico». Bell si rivolse alla sala. «Il naso arrossato, il volto gonfio, gli occhi iniettati di sangue, le mani tremanti». Prese la giacca del paziente. «E può confermare la mia diagnosi questa bot-
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LE INDAGINI DEL CRIMES CLUB FONDATO NEL 1903 da un gruppo di scrittori,
La borghesia del XIX secolo temeva gli scandali familiari, sociali o economici e grazie agli investigatori riusciva a venire a conoscenza d’informazioni indispensabili per svolgere i propri affari, senza però rinunciare a una certa riservatezza, un aspetto non sempre garantito dalla polizia. Il francese Eugène-François Vidocq e lo scozzese-statunitense Allan Pinkerton furono fondamentali nello sviluppo della professione. Il primo, un ex detenuto e informatore, fu capo della polizia di Parigi prima di passare al settore privato. Negli anni trenta del XIX secolo mise a punto alcune regole per le indagini usate ancora oggi. Il secondo nel 1850 fondò l’agenzia più importante di Chicago e stabilì le basi tecniche e organizzative delle perlustrazioni moderne. Eppure Conan Doyle non s’interessò molto ai due detective: l’unico accenno è presente nel racconto The Adventure of the Red Circle, in cui compare un agente di Pinkerton. Vidocq ispirò invece il romanzo The Valley of Fear.
L’influenza di Poe e Gaboriau Più che Vidocq e Pinkerton, nella costruzione del protagonista Sherlock Holmes giocarono un ruolo rilevante i racconti polizieschi 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
A destra, Holmes e Watson in una scena del racconto Silver Blaze. I due amici si recano nel Devon per indagare su un assassinio. CARLTON CLUB
A sinistra, la sala per fumatori del Carlton Club, un club privato per gentiluomini fondato a Londra nel 1832.
di Edgar Allan Poe e i feuilleton – racconti d’appendice ai quotidiani ottocenteschi – del francese Émile Gaboriau. Conan Doyle concepì Holmes come una mescolanza tra il suo mentore, il dottor Bell, e Auguste Dupin, il sagace protagonista delle opere di Poe. Proprio dallo scrittore statunitense riprese un altro elemento indispensabile nei racconti di Sherlock Holmes: la figura del narratore, un compagno di avventure del detective che si sorprende sempre per le capacità del suo amico. Conan Doyle voleva che i lettori s’identificassero proprio nel narratore, e per questo lo rappresentò come un inglese medio e gli diede pure un nome ordinario: John Watson, medico e veterano della guerra in Afghanistan. Quanto a Gaboriau, sebbene Doyle non sopportasse la grossolanità dei feuilleton, ne imitò il modo di tenere avvinti i lettori. In Holmes troviamo diverse tracce dell’opera di Gaboriau e del suo personaggio, Monsieur Lecoq. Non a caso, tra i titoli che Doyle prese in considerazione per A Study in Scarlet ci fu A Tangled Skein (Una matassa aggrovigliata), copiato proprio da una massima del detective Lecoq: «In una matassa aggrovigliata la cosa difficile è scegliere sin dall’inizio il filo
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NEL VAGONE DI UN TRENO
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medici, giuristi e criminologi del Regno Unito, il Crimes Club si occupava di omicidi e altri misteri che la polizia non riusciva a risolvere. I gentiluomini che ne facevano parte si riunivano in eleganti cene al Carlton Club di Londra, a cui seguivano lunghi dibattiti. Le loro indagini erano agevolate dal fatto che, in virtù dei loro impieghi nell’amministrazione pubblica, alcuni soci avevano accesso a dati e rapporti forensi. Fecero parte di questo club privato sia Arthur Conan Doyle sia alcuni membri della famiglia reale britannica. E fu proprio la presenza dei reali ad alimentare voci sul club. Pare che al suo interno fosse nota persino l’identità di Jack lo Squartatore, ma che ma non fu resa pubblica perché il sanguinario criminale era nientedimeno che un nipote della regina Vittoria, il duca di Clarence.
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LA MORTE DI HOLMES
A destra, Sherlock Holmes e il suo peggior nemico, il professor Moriarty, lottano sulle cascate di Reichenbach. Illustrazione dell’epoca.
principale, che dovrà condurre alla verità attraverso i grovigli, gli stratagemmi, i silenzi e le bugie del colpevole».
Morte e rinascita Sherlock Holmes divenne famoso soprattutto grazie ai racconti brevi seguiti ai due primi romanzi. Agli inizi del 1891 l’agente dello scrittore mandò due racconti alla rivista The Strand Magazine. Il primo, A Scandal in Bohemia, uscì sul numero di luglio. Il successo fu straordinario e le vendite della rivista andarono alle stelle. Le prime dodici storie vennero poi raccolte nel volume The Adventures of Sherlock Holmes. Due anni più tardi, convinto che avrebbe potuto far altro con il proprio talento e in affanno per le richieste di pubblico ed editori, Conan Doyle decise che era ormai stufo del suo personaggio. Quando The Strand Magazine gli chiese una nuova serie di dodici racconti, lo scrittore pretese un’ingente somma di denaro. Si aspettava di ricevere una risposta negativa per liberarsi così della sua creatura, ma lo stratagemma non funzionò. The Strand Magazine accettò le sue condizioni, trasformando Conan Doyle nel narratore più pagato al mondo. 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Nel romanzo The Hound of the Baskervilles ricompare il personaggio di Holmes. A sinistra, un’edizione dell’opera.
Eppure il romanziere non si diede per vinto. Nell’ultimo testo consegnato, The Final Problem, uccise il “figlio di carta”. Lo fece cadere in un burrone alle cascate di Reichenbach durante una lotta contro il suo arcinemico, il professore James Moriarty. La madre dell’autore l’attaccò e i lettori protestarono a gran voce. Si dice che per le strade di Londra gli uomini portassero fasce nere in segno di lutto, la famiglia reale espresse il proprio disappunto e più di 20mila lettori cancellarono l’abbonamento a The Strand Magazine. Tuttavia, malgrado le pressioni, Conan Doyle resistette per otto anni senza scrivere una riga su Holmes. Nel 1901 il detective ricomparve nel romanzo in serie The Hound of the Baskervilles. Per coerenza lo scrittore situò l’azione prima dell’episodio delle cascate. Un anno dopo fece rinascere il personaggio in The Adventure of the Empty House, dando a intendere che Holmes non era deceduto a Reichenbach e che si era solo nascosto. Da quel momento l’investigatore tornò a vivere nei racconti fino al 1927, tre anni prima della morte di Conan Doyle. Sherlock Holmes compare in sessanta opere di Conan Doyle, il cosiddetto “canone di Holmes”, costituito da diversi racconti
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IL RITORNO DEL DETECTIVE
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HOLMES IN ITALIA L’UFFICIO DI HOLMES
NONOSTANTE IL SUCCESSO inglese, i racconti di Sherlock Holmes
I clienti di Holmes I clienti di Holmes rispondono al profilo di chi ricorreva davvero ai servizi dei detective dell’epoca: gentiluomini e dame della borghesia, aristocratici e funzionari alle prese con delicate questioni di stato. I casi più importanti delle opere di Conan Doyle sono però i meno ordinari. In totale l’investigatore affronta trentasette tra omicidi e tentati omicidi, delitti di scarso interesse per i veri investigatori privati. Gli incarichi restanti sono abbastanza simili: furti, ricatti, scomparse, truffe… Come i detective in carne e ossa, Sherlock Holmes prende un compenso per il proprio lavoro: «Io ascolto la loro storia, loro ascoltano i miei commenti, dopo di che intasco la parcella», afferma in A Study in Scarlet. La generosità dei clienti più abbienti – governi e case reali – gli consente di accettare indagini senza retribuzione. Prima del successo letterario di Conan Doyle i primi detective dovettero scontrarsi con l’ostilità dell’opinione pubblica, 114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IL DEBUTTO IN ITALIA
A sinistra, un numero della collana Biblioteca Azzurra, della casa editrice Verri, alla quale si deve il debutto italiano dei racconti di Arthur Conan Doyle. 1895.
perché venivano percepiti come opportunisti che sfruttavano i problemi altrui. Il fatto che parecchi di loro provenissero dalla polizia, da sempre associata alla corruzione, non giovava affatto alla loro reputazione. Quest’idea negativa iniziò a cambiare in seguito alla pubblicazione delle avventure di Sherlock Holmes, che s’impose come il detective ideale. Era un galantuomo, rispettava i codici sociali e frugava in modo discreto nelle vite degli altri al solo scopo di risolvere i misteri. Dal suo appartamento al 221b di Baker Street, a Londra, non trapelava mai nulla. Il detective si appellava al raziocinio e al metodo scientifico tipici di una fase storica in cui la società evolveva in un modo più rapido rispetto alle sue obsolete istituzioni. JOSÉ LUIS IBÁÑEZ GIORNALISTA
Per saperne di più
SAGGI
A Londra con Sherlock Holmes Enrico Franceschini. Giulio Perrone, Roma, 2020. LIBRI PER BAMBINI
Le avventure di Sherlock Holmes Geronimo Stilton. Piemme, Milano, 2019. ROMANZI
Le avventure di Sherlock Holmes Arthur Conan Doyle. Mondadori, Milano, 2020.
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e da quattro romanzi. Watson cita altri ottanta casi su cui non fornisce ulteriori dettagli, come The Vatican Cameos: A Sherlock Holmes Adventure.
A destra, ricostruzione dello studio di Sherlock Holmes realizzata nel pub Sherlock Holmes di Northumberland Street a Londra.
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non furono subito ben accolti all’estero. In Italia la pubblicazione della prima traduzione di tre racconti di Sherlock Holmes avvenne nel 1895 grazie alla collana di narrativa Biblioteca Azzurra, della casa editrice Verri, di Milano. I testi, corredati dalle illustrazioni originali, costituivano una novità letteraria importante. Tuttavia non ebbero molta fortuna. A partire dal 1899 e grazie all’impegno di Luigi Albertini, in seguito direttore del Corriere della Sera, le avventure di Sherlock Holmes furono pubblicate a puntate sulla Domenica del Corriere. Trent’anni dopo, la pubblicazione dei volumi Nuovissime avventure di Sherlock Holmes e Le ultime avventure di Sherlock Holmes, editi da Mondadori, avrebbe consacrato il mito del detective per eccellenza anche in Italia.
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HOLMES, UN DETECTIVE ATIPICO Arthur Conan Doyle concepì Sherlock Holmes come un personaggio singolare: un uomo solitario di cui non si conoscono relazioni con donne né altri familiari, eccetto un misterioso fratello maggiore. È inoltre un gentleman con passioni insolite per un membro della sua classe. Tra queste, la cocaina e il violino. IL VIOLINO, IL BERRETTO E LA LENTE DI SHERLOCK HOLMES IN UNA COMPOSIZIONE DELL’ARTISTA MODERNO NICK CUDWORTH. BRIDGEMAN / ACI
TARGA POSTA PER ANNI ALL’ATTUALE Nº 221B DI BAKER STREET, LONDRA. SCALA, FIRENZE
1 la casa di baker street Sherlock Holmes vive dal 1881 a Baker Street, presso il famoso numero 221b che in realtà sarebbe esistito anni dopo, quando la strada venne allungata. È una casa elegante tipica di un quartiere di classe alta. Il carattere eccentrico di Holmes si svela all’interno, per esempio con le iniziali “patriottiche” VR (Victoria Regina, in latino) che ha disegnato su una parete con i buchi delle pallottole.
2 il cappello e la pipa L’immagine iconica di Holmes include un cappello deerstalker (cappello da caccia) e una mantella. In realtà indossa tali accessori solo nelle indagini in campagna, mentre in città veste come un qualsiasi gentiluomo. Il berretto e la mantella divennero un emblema del detective grazie alle illustrazioni di Sidney Paget. La pipa a canna curva fu resa popolare dall’attore William Gillette dal 1899.
3 violinista Anche se ha ricevuto l’educazione di un gentiluomo, Holmes si mostra indifferente alla letteratura e ad altre arti. Fa eccezione la musica, e in particolare il violino, di cui è esperto. Il detective è capace di suonare brani di Mendelssohn e Offenbach, e una volta assiste a un concerto del violinista più famoso dell’epoca, lo spagnolo Pablo de Sarasate.
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HOLMES, INTERPRETATO DA WILLIAM GILLETTE, S’INIETTA LA COCAINA.
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Alla fine del XIX secolo i medici usavano spesso la cocaina a scopo terapeutico, come ben sapeva Conan Doyle. Ma Sherlock Holmes la consuma per piacere, quando non ha un caso tra le mani. In The Sign of the Four (1890) Watson afferma di aver visto Holmes mentre s’inietta nell’avambraccio e nel polso «tre volte al giorno per molti mesi» una soluzione al sette per cento di cocaina.
5 Elementare, Watson? Conan Doyle non scrisse mai questa frase divenuta famosa. Le parole più simili compaiono in un passaggio di The Adventure of the Crooked Man in cui, dopo aver risolto un enigma, Watson esclama: «Eccellente!» e il detective risponde: «Elementare». Molto probabilmente la frase «Elementare, Watson» venne resa popolare dall’attore William Gillette nella sua opera teatrale del 1899. SHERLOCK HOLMES E IL DOTTOR WATSON IN UN’ILLUSTRAZIONE DELLA RIVISTA THE STRAND MAGAZINE. 1891. BRIDGEMAN / ACI
6 l’analista Anche se il suo metodo principale si basa sull’osservazione e sulla deduzione, Holmes si serve anche delle nuove tecniche d’indagine criminale dell’epoca. Sin dai primi episodi il detective ricorre all’analisi d’impronte di mani e scarpe e di testi dattiloscritti e manoscritti. In The Adventure of the Dancing Man (1903) dimostra pure di essere un esperto in crittologia.
7 detective per diletto Holmes non indaga per denaro, ma neppure per un senso di giustizia. Per questo nelle sue storie i criminali non fanno quasi mai una brutta fine. Un terzo dei colpevoli viene consegnato alla polizia e un 17 per cento muore; per il resto la metà si salva, o perché scappa (16 per cento) o perché Holmes chiude un occhio: nel 12 per cento di questi casi non si tratta di veri assassini.
GRANDI ENIGMI
L’ebreo errante, in marcia da tempo immemore Nel XVI secolo la leggenda dell’uomo che vagava per il mondo dopo aver schernito Cristo in croce diede luogo al mito dell’ebreo errante zo. In un altro passo si allude a Malco, servo del sommo sacerdote di Gerusalemme, che partecipò all’arresto del messia nell’orto degli Ulivi. Con questi riferimenti, intorno al 1228 il benedettino inglese Matteo Paris scrisse una delle prime versioni della leggenda. Il protagonista era Cartafilo, un custode del pretorio romano che doveva incaricarsi di rendere esecutiva la sentenza di morte di Gesù. Quando questi cadde nel cammino verso il Golgota, Cartafilo lo percosse costringendolo crudelmente a rialzarsi e continuare. Gesù lo guardò con severità e lo ammonì dicendo che egli avrebbe camminato verso la crocifissione ma che a Car-
tafilo sarebbe toccata la sorte di camminare senza tregua fino al giorno del giudizio finale. L’uomo, turbato, dopo la morte di Gesù si convertì al cristianesimo, prese il nome di Giuseppe e iniziò il suo eterno vagare.
Messaggio antiebraico Racconti analoghi si diffusero in Italia sin dal XIII secolo e al protagonista condannato venne attribuita una grande varietà di nomi. Alcune volte era chiamato Buttadeus, altre Giovanni che aspetta Dio o Giovanni servo di Dio. Questi personaggi erano di diversa estrazione sociale e l’origine ebraica non veniva mai citata espressamente.
«HO 1.800 ANNI» NEL XIX SECOLO si pubblicavano ancora versi e libelli con
incisioni che raccontavano la storia dell’ebreo errante. In quello rappresentato a sinistra, l’ebreo dichiarava: «Ho 1.800 anni, ne avevo dodici quando nacque Gesù Cristo […] Cielo, quanto è doloroso il mio viaggio. Faccio il giro del mondo per la quinta volta, tutti muoiono e io continuo a vivere». Poi confessava di aver schernito Cristo in croce.
JEAN-GILLES BERIZZI / RMN-GRAND PALAIS
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a figura dell’eterno errante compare in numerose leggende. Nelle grandi religioni di solito si tratta d’individui condannati a un perpetuo vagabondare per aver commesso blasfemia o aver disubbidito a Dio, come accadde per Caino nell’ebraismo, per Pindola nel buddismo o per al-Sameri nell’islamismo. Anche nel cristianesimo troviamo un personaggio simile, quello dell’ebreo errante. L’inizio della storia si riscontra nel Vangelo di Giovanni, dove si accenna ad alcuni personaggi che presenziarono al supplizio di Gesù e gli negarono aiuto o in alcuni casi gli mostrarono disprez-
Fu a partire dal XVI secolo che la leggenda cominciò a presentare il personaggio errante come un ebreo. Senza alcun dubbio la nuova identità era strettamente collegata all’insorgenza dell’antiebraismo di massa. Gli ebrei furono considerati la causa d’interminabili avversità, di carestie ed epidemie nel corso del XIV secolo. La diffidenza e il sospetto portarono alla comparsa di ghetti nelle grandi città italiane, come a
L’EBREO ERRANTE. Litografia che riproduce l’episodio dedicato a questo personaggio nell’opera di José Coroleu Las supersticiones de la humanidad, pubblicata nel 1881.
FONTE BIBLICA del Vangelo di Matteo probabilmente ispirò la leggenda. La frase asserisce: «Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno». In basso, l’illustrazione dell’opera Ahasverus di Edgar Quinet (1833).
Venezia e Roma. Contemporaneamente, in molti regni europei gli ebrei venivano espulsi o obbligati alla conversione forzata. È ciò che accadde in Spagna nel 1492. E fu sempre in quel periodo che si consolidò la pratica della via crucis, attraverso cui i fedeli rivivevano con grande pathos la morte di Cristo, facendone ricadere la colpa proprio sugli ebrei. Fu così che, in un momento di massima avversione per i figli di David, la leggenda
dell’eterno errante passò ad avere come protagonista un ebreo. Tra l’altro, l’aggettivo “errante” mostrava il parallelismo tra il protagonista della leggenda e l’esperienza degli ebrei dell’epoca, condannati a trasferirsi da un Paese all’altro.
RENÉ-GABRIEL OJÉDA / RMN-GRAND PALAIS
UN PASSO
Strane apparizioni Nel XVI secolo s’iniziò a parlare di un personaggio chiamato Assuero che poteva apparire in qualsiasi luogo e momento, e che era in STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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VEDUTA DI AMBURGO. Incisione di Civitates Orbis Terrarum. Frans Hogenberg. XVI secolo. National Library of Spain, Madrid.
realtà un ebreo sopravvissuto all’epoca di Gesù. I pochi viaggiatori europei che si avventuravano in quegli anni in Palestina e a Gerusalemme incontravano sem-
pre, in un modo o nell’altro, il misterioso testimone della morte di Cristo. Nel pellegrinaggio alla città santa, il nobile veneziano Carlo Ranzo riferì di essere stato avvicinato da un turco nelle stradine di Gerusalemme. Per un modico compenso, l’uomo si offrì di condurlo in segreto da un prigioniero stravagante: un individuo alto, con indosso l’armatu-
ra, che viveva rinchiuso in una stanza con grandi porte in ferro. Era stato condannato a restare lì, senza bere né mangiare, fino al giudizio finale. Trascorreva i suoi giorni camminando senza sosta da una parte all’altra del perimetro e al contempo piangeva e si batteva il petto. Era l’ebreo errante. Ma questo personaggio venne avvistato anche in Eu-
In un romanzo, i discendenti dell’ebreo lottano contro i gesuiti che cospirano per derubarli UN GESUITA MOSTRA UN MAPPAMONDO. EDIZIONE DI L’EBREO ERRANTE DI E. SUE. THIERRY OLLIVIER / RMN-GRAND PALAIS
ropa. Nel 1604 fu individuato in Francia da due giovani guasconi. Si trattava di un calzolaio, la cui leggenda era accompagnata da una quartina celebre probabilmente pronunciata dal viaggiatore: «Quando contemplo l’universo, / credo che Dio si serva di me, / per testimoniare la sua morte e passione, / nell’attesa della Resurrezione». Nel 1774 apparve nuovamente a due borghesi di Brabante, ai quali si presentò come Isaac Laquedem.
L’ebreo in letteratura L’apparizione più importante e risonante si produsse ad Amburgo nel 1542 (alcune
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GRANDI ENIGMI
IL MITO VISTO DA DORÉ NEL 1856 Gustave Doré
fonti riportano 1547), secondo la testimonianza di Paul von Eitzen (1521-1598), vescovo di Schleswig. Von Eitzen s’interessava a fenomeni escatologici, e aveva composto un’opera sulla discesa di Cristo agli inferi nei tre giorni dopo la sua morte. In un racconto del 1542 (o 1547) affermò che Assuero era stato visto da centinaia di persone e aveva descritto cupi dettagli sulle sofferenze di Gesù e sulle iniquità commesse da Giuda. In un altro testo dell’epoca, invece, viene descritto come un uomo che ascoltava i sermoni con una devozione straordinaria, con un’atten-
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realizzò 12 meravigliose incisioni che illustrano la leggenda dell’ebreo errante. Nell’immagine a lato, si mostra l’ebreo vestito di stracci, con un bastone in una mano e una borsa nell’altra, mentre attraversa un cimitero cristiano. In un cielo al crepuscolo, l’artista ha rappresentato l’ascensione di Cristo al Golgota, con la croce in spalla. L’ombra dell’uomo proietta la stessa scena, come manifestazione del peccato che commise durante la passione di Cristo e della colpa che lo perseguitò da quel momento.
zione inconsueta interrotta solo quando si pronunciava il nome di Cristo. In quel momento preso dai rimorsi si chinava, si batteva il petto e sospirava con forza. Era un individuo taciturno e riservato, d’indole misericordiosa e non parlava se non interrogato. Utilizzava sempre la lingua del Paese in cui si trovava, mangiava e beveva poco, non rideva mai. Se gli veniva offerto del denaro, prendeva solo due o tre monete che subito regalava ai poveri. In molti si recarono ad Amburgo per vederlo e riferirono che aveva un’aria familiare, come una persona conosciuta da sempre.
Nel XIX secolo il mito ottenne nuova linfa grazie al successo raggiunto in Francia dal romanzo di Eugène Sue L’ebreo errante (1845), in cui il personaggio era condannato a trasmettere il colera nei suoi interminabili viaggi nel corso dei secoli. Alla storia fu aggiunto un intrigo, una famiglia francese discendente della sorella del protagonista fu costretta a emigrare in Francia alla fine del XVII secolo perché di fede protestante. La famiglia, vittima di una cospirazione di gesuiti che voleva impadronirsi dei loro averi, decise di affidare tutti i propri beni a un ebreo e gli
diede appuntamento centocinquant’anni dopo per recuperarli. Il romanzo d’appendice restituiva un’immagine positiva degli ebrei, ma fu riprodotto e adattato in racconti e monografie successivi che presero la direzione opposta. Parti del libro furono incorporate al falso documento dei Protocolli dei savi di Sion (1902), in cui la dottrina anticlericale si trasformava in un sermone razzista contro gli ebrei e incoraggiava i pogrom – violente azioni persecutorie – in Europa orientale. BERNAT HERNÁNDEZ UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
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GRANDI SCOPERTE
Turuñuelo, una testimonianza della fine di Tartesso
VISTA del cortile
da dove partono la grande scalinata e il cammino di lastre di ardesia. Qui furono sacrificati gli animali.
Nel 2014 a Guareña sono emersi i resti di un enorme complesso che venne sigillato dopo un sacrificio in massa di animali
SPAG NA
Case del Turuñuelo BA DA J OZ
presente nella proprietà Case del Turuñuelo, a Guareña (Badajoz), per portare a termine un’esplorazione. Attraverso lo studio di polline e semi si voleva recuperare informazioni sul paesaggio naturale dell’epoca, mentre dall’analisi delle ceramiche, si mirava a verificare se l’edificio possedesse le stesse caratteristiche di Cancho Roano e se, come questo, risalisse al periodo finale della civiltà tartessia. Tale cultura era fiorita per duecento anni nel sud-ovest della penisola iberica grazie
al commercio con i fenici. Ma i lavori, che dovevano inizialmente durare una settimana, si sono protratti per quasi un mese. La grandezza del tumulo, lo spessore delle mura che man mano affioravano e la ricchezza del materiale rinvenuto hanno spinto gli archeologi a chiedere al consiglio dell’Estremadura, nel 2015, l’autorizzazione per uno scavo più approfondito.
Sorprese I risultati della seconda campagna di scavi, compiuta nello stesso anno, sono stati eccezionali. È stata scoperta, per esempio, la cosiddetta Estancia 100 (Stanza 100), uno spazio di settanta metri quadrati dov’era stato innalzato un altare a forma di pelle di toro, tipico dei santuari di Tartesso. Il locale era protetto da spesse mu-
CONSTRUYENDO TARTESO
T
ra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. un complesso di edifici monumentali ubicati lungo il corso medio del Guadiana, un fiume che scorre in Estremadura (Spagna), fu distrutto in modo rituale e poi ricoperto di terra. Della sua presenza sono rimasti solo alcuni monticelli artificiali sotto i quali si trovavano i resti architettonici. Alla fine degli anni settanta del XX secolo venne per caso alla luce una di queste imponenti costruzioni, nota come Cancho Roano. Infatti nel maggio 2014 una piccola équipe dell’Università autonoma di Madrid, diretta dall’Istituto di archeologia del CSIC (Consiglio superiore d’indagini scientifiche), ha scelto il tumulo meglio conservato,
ra di mattoni in argilla cruda intonacati di rosso. Una porta a est, affiancata da due pilastri dello stesso materiale, faceva sì che fosse orientato verso il sorgere del sole. All’interno della stanza 100
CRONOLOGIA
V secolo a.C.
2015
2017
2018
RITORNO ALLA VITA
Dopo un sacrificio di animali, il complesso tartessio di Case del Turuñuelo è distrutto ritualmente.
L’Istituto di archeologia di Mérida guida le prime indagini nella località di Turuñuelo.
Si scava nella stanza del Banchetto, nella scalinata e nel patio con il sacrificio di animali.
Una nuova campagna di scavi conduce alla scoperta del primo cadavere nel sito archeologico.
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RITUALE ENIGMATICO I CAVALLI sacrificati sono disposti a coppie (e
erano state trovate tracce di questa tecnica solo a partire dal periodo romano. Nel 2017 è stata organizzata una campagna di scavi di tre mesi grazie all’aiuto della deputazione provinciale di Badajoz e della Segreteria generale di scienza della comunità estremegna. Si è potuto scoprire così la cosiddetta stanza del Banchetto. Qui si trovava un ricco corredo composto da materiali in ferro, bronzo e ceramica di alta qualità, tutti
SCAVI DEI RESTI DEGLI ANIMALI SACRIFICATI.
CONSTRUYENDO TARTESO
sono stati rinvenuti più di duecento piatti e una scatola in avorio che conteneva perline di una collana in vetro. Tra tutti, il reperto più straordinario è un sarcofago a forma di vasca, scolpito a partire da un grande blocco di malta di calce, procedimento mai riscontrato prima di allora nella penisola iberica. Non solo: gli archeologi sono rimasti colpiti dal fatto che questa stanza fosse ricoperta da una volta in mattoni. Fino a ora nell’area
ciò lascia supporre che potessero tirare uno stesso carro), con le teste incrociate o una di fronte all’altra; alcuni hanno ancora il morso in ferro. Probabilmente gli animali vennero uccisi in un altro luogo e poi trasportati qui.
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GRANDI SCOPERTE
Di sorpresa in sorpresa nel sito, di cui nell’immagine vediamo la parte finora scavata dal lato est, sono stati rinvenuti cinque locali: la stanza 100 e, prima di questa, un vestibolo che dà accesso ad altri due ambienti e al cortile. Da quest’ultimo un corridoio in ardesia conduce a una porta che era forse l’ingresso principale del complesso.
1 Stanza 100 (70 m2). Coperta da una volta di mattoni, ospitava la vasca, o sarcofago, e un altare a forma di pelle di toro distesa, di 2,30 x 1,31 metri.
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3 Stanza Nord (20 m2). Vi sono stati rinvenuti due punte di lancia, tre bracieri in bronzo e, più di recente, le spoglie di un uomo attualmente in fase di studio. 4 Mura.
L’immagine permette di ammirare sia l’eccellente stato di conservazione sia lo spessore delle pareti che formavano i due piani dell’edificio.
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2 Stanza del Banchetto
(22 m2). È così chiamata perché al suo interno sono stati sono stati trovati un colino, due brocche e una griglia in bronzo, oltre a tegami e bicchieri in ceramica.
usati probabilmente nel corso di un pasto solenne avvenuto prima che la zona fosse abbandonata. A ciò è seguita una nuova e impressionante scoperta: una scalinata di quasi tre metri d’altezza e undici gradini; i sei inferiori furono realizza-
5 Cortile (125 m2).
Si può notare il percorso in lastre d’ardesia che collega la scalinata alla porta monumentale, ancora da scavare. Qui sono stati rinvenuti i resti degli animali sacrificati.
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ti in blocchi di malta di calce e imitavano i conci di pietra; i restanti erano composti da lastre di ardesia posti su mattoni in argilla cruda. La scalinata si affacciava su un cortile aperto, lasciando supporre che l’edificio avesse due piani.
Il cortile Lo scavo del cortile di Turuñuelo aiuta a gettare luce sulla storia
mediterranea antica. Questo vasto spazio, di quasi 125 metri quadrati, era occupato dai resti di più di cinquanta animali sacrificati – soprattutto cavalli, mule e asini – una sorta di ecatombe o forse un’offerta alla divinità. Non meno sorprendenti sono i reperti rinvenuti: vetri provenienti dalla Macedonia e dall’area cartaginese, un completo sistema di pesi in bronzo e
La statua scoperta nel cortile venne lavorata con il marmo del monte Pentelico, ad Atene PIEDISTALLO CON I PIEDI DI UNA STATUA DI MARMO RITROVATA NEL CORTILE. 124 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
una scultura. Il marmo di quest’ultima risulta provenire dalle cave del monte Pentelico, vicino ad Atene, e il suo piedistallo conserva ancora tracce del blu egizio usato per abbellirlo. Un esteso corridoio di grandi lastre di ardesia attraversava il cortile fino a una porta monumentale larga cinque metri, che plausibilmente era l’ingresso principale del palazzo e che venne distrutta dopo il sacrificio degli animali. Gli archeologi, che devono ancora attraversarne la soglia, si sono trovati davanti anche a un’altra sfida: lo strato di materiali con cui fu
SARCOFAGO O VASCA.
CONSTRUYENDO TARTESO
Collocato su un piedistallo di mattoni in argilla cruda, misura 1,53 m di lunghezza per 0,46 m di larghezza.
ricoperto e sigillato il cortile aveva uno spessore di 4,22 metri. In superficie si trovavano trenta centimetri d’argilla gialla; sotto si susseguivano ulteriori sedimentazioni derivate dalla distruzione rituale della zona: mattoni in argilla cruda, resti di anfore e frammenti della vasca della stanza 100. Verso la metà della copertura e in quattro punti diversi, sono comparse a una stessa profondità agglomerazioni di quarzite con ceneri e carbone: indicano la presenza di roghi su cui furono cotti pezzi di carne (in un caso di mucca e in un altro di equino). In prossi-
mità sono stati trovati numerosi frammenti di anfore, il cui contenuto venne probabilmente consumato durante il banchetto, e un’ingente quantità di semi sparsi per tutta la superficie, soprattutto d’orzo. Nel 2018 si è scavata una nuova stanza dove, accanto a una porta sigillata, è comparso il corpo di un uomo. Vicino alle sue spoglie c’erano tre bracieri in bronzo. Parallelamente agli scavi, che adesso coprono meno del venti per cento del tumulo, si studiano i resti degli animali rinvenuti nel cortile per capire il significato di questo sacrificio di
massa, e si analizza anche il cadavere per risalire al suo DNA, all’alimentazione e a possibili malattie. Ma gli sforzi maggiori si concentrano sullo studio delle tecniche costruttive del monumento. La complessità di tali indagini è stata riconosciuta nel 2018, quando la Fondazione Palarq ha assegnato il Premio nazionale di archeologia e paleontologia al progetto Construyendo Tarteso, che esamina i grandi edifici di Tartesso in mattoni in argilla cruda scavati negli ultimi decenni. Secondo quanto appreso finora, la zona doveva rivestire un notevole valore
religioso, e non solo: i monumentali edifici di Tartesso che si avvicendano lungo il corso del Guadiana dovevano allora controllare il ricco e vasto territorio, e si sa che il potere politico e quello religioso a volte si confondevano e s’intrecciavano. Di sicuro il sito promette ancora grandi sorprese che aiuteranno a svelare il vero utilizzo del complesso di Turuñuelo. SEBASTIÁN CELESTINO. ESTHER RODRÍGUEZ GONZÁLEZ CSIC. DIRETTORI DEL PROGETTO «CONSTRUYENDO TARTESO»
Per saperne di più INTERNET
www.fundacionpalarq.com
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA FOTO DEL MESE
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GABBIE PER BAMBINI
REG SPELLER / GETTY IMAGES
ALL’INIZIO DEL XX SECOLO si credeva che l’aria aperta irrobustisse i bambini
e prevenisse malattie come la tanto temuta tubercolosi. Per questo motivo si diffuse l’utilizzo di gabbie per neonati. Le famiglie con case prive d’accesso a cortili o giardini le appendevano fuori dalle finestre. Nel 1922 Emma Read, di Spokane (Washington), richiese il brevetto della prima gabbia per bambini piccoli, «con spazio sufficiente per muoversi e usare i giocattoli» e per «fare un pisolino». Il brevetto le venne concesso l’anno dopo. La gabbia divenne molto popolare a Londra negli anni trenta: la foto, del 23 giugno 1937, mostra una bambinaia mentre controlla una delle gabbie offerte dal Chelsea Baby Club ai soci che vivevano ai piani alti dei palazzi.
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STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA
STORIA MODERNA
Quando la carta si faceva con gli stracci dei morti
G Giorgio Dell’Oro
MONDI DI CARTA Carocci, 2021; 132 pp.; 15 ¤
li stracci sono come bellezze che nascondono bugie / Ma quando diventano carta come incantano l’occhio / Ti prego salva i tuoi stracci, e scoprirai nuove bellezze […]», recita una filastrocca delle colonie britanniche della seconda metà del XVIII secolo finalizzata a promuovere la raccolta di stracci da cui si ricavava artigianalmente la carta. Con circa 30mila tonnellate annue, toccò alla Francia il primato europeo nella raccolta
ed esportazione di stracci tra il XVI e il XIX secolo. Altrove l’impennata della domanda di cenci portò a soluzioni di approvvigionamento basate sul riciclo. Nell’Italia moderna le strutture ospedaliere, gli ospizi e i luoghi pii erano considerati vere e proprie “miniere di stracci”. Biancheria, bende e indumenti usati venivano messi all’asta previa sanificazione. Nell’ospedale Maggiore di Milano questa avveniva tramite l’esposizione del materiale ai va-
pori di zolfo e al lavaggio con la cenere, mentre dalla metà del XIX secolo s’iniziò a usare il cloruro di calce. Dopo essere stati registrati, classificati in base alla qualità e stipati nei magazzini, gli stracci venivano venduti all’incanto. A Milano la cosiddetta “asta dei panni dei morti” immetteva annualmente sul mercato circa 6.700 libbre. Lo storico Giorgio Dell’Oro dedica un saggio alle materie prime per la produzione di carta in Europa e nel resto del mondo tra il XVI e il XIX secolo: «Realizzata con stracci e colla, ha caratterizzato ben quattro secoli della storia europea e mondiale, consentendo, con altri fattori, il passaggio dall’età medievale a quella moderna».
STORIA SOCIALE
SPIE E SABOTATORI NELLA BOLOGNA MEDIEVALE IN ALCUNI statuti cittadini del XIII secolo si fa riferi-
mento a certi agenti incaricati di reperire informazioni circa le azioni politiche, economiche e militari dei nemici per riferirle ai propri governanti. Nella Bologna tardomedievale tali mansioni erano regolate da una vera e propria istituzione, l’officium spiarum (ufficio delle spie) che si occupava «della selezione, dell’istruzione e dell’invio di spias ed exploratores alla ricerca delle nova utili al “bene comune”» ma anche al «compimento di attività, quali il sabotaggio, al di là dei confini cittadini». Lo storico Edward Loss dedica un saggio allo spionaggio e alla gestione delle informazioni a Bologna tra il XIII e il XIV secolo. Edward Loss
OFFICIUM SPIARUM Viella, 2020; 252 pp.; 26 ¤
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Adolfo Rossi
SULLE PUNTE DELLA FORCHETTA Castel Negrino, 2021; 178 pp.; 21 ¤
ragguazzare i maccheroni, avviluppa, e caccia giù […] avea ancora il primo boccone su la forchetta». In una delle TreCOMINCIA A
centonovelle dello scrittore Franco Sacchetti, vissuto nel XIV secolo, è attestato l’uso individuale della forchetta. Fu proprio il consumo dei maccheroni a sancire la comparsa dell’utensile in talune regioni italiane nel Basso Medioevo. Infatti, presi con le mani i maccheroni «bruciano e ustionano e sono viscidi e non stanno fermi sul cucchiaio», spiega l’autore Adolfo Rossi. «I primi libri di cucina medievale consigliano perciò un punteruolo di legno o di ferro, ma sostituito ben presto dagli imbroccatoi a forma di lancia o picca (pironi o picconi) e poi dalla forchetta bidente». L’utensile diventò così un elemento irrinunciabile sulle tavole italiane.
IMMAGINE CONCESSA DAL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E PER IL TURISMO
I GIGANTI. ILLUSTRAZIONE DEL NONO CERCHIO DELL’INFERNO. GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE.
Visioni dantesche La mostra virtuale è un viaggio nelle tre cantiche della Divina Commedia illustrate da Federico Zuccari alla fine del XVI secolo
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orregiavan di mezza la persona li orribili giganti cui minaccia Giove del cielo ancora quando tuona». Dante e Virgilio, giunti nel nono cerchio dell’inferno si trovano in prossimità dei giganti Nembrot, Fialte e Anteo. Si tratta di creature che per essersi ribellati contro Dio, a causa della loro superbia sono costrette a subire la cosiddetta “legge del contrappasso”: sono nudi e in catene, sprofondati per circa metà della loro figura all’interno dei pozzi infernali. Il gigante che sembra rivolgersi
ai due poeti è Anteo, che per la posizione assunta viene paragonato da Dante alla torre Garisenda di Bologna, città degli entusiasmi giovanili ma anche meta “infernale” d’esilio. Lo stesso Anteo è raffigurato una seconda volta nella parte destra dell’immagine, nell’atto di portare i due poeti sulla propria spalla per poi deporli sul fondo del “pozzo”, cioè il lago ghiacciato di Cocito. La scena è solo una delle tante raffigurate nel ciclo del Dante Historiato, opera dell’illustratore tardomanierista Federico Zuccari (1540-1609), terminata tra
il 1586 e il 1588. All’epoca Zuccari lavorava a un ciclo di affreschi per l’Escorial di Madrid commissionatogli da Filippo II, che però non aveva riscosso i favori del sovrano. Approcciarsi graficamente alla Commedia fu per Zuccari l’occasione per lenire il senso di sofferenza causato dal distacco dalla propria patria. L’artista realizzò un ciclo istoriato di 88 fogli che avrebbero accompagnato le terzine dantesche. Il risultato è un’imponente campagna illustrativa dell’opera. Dopo la sua morte i disegni furono acquistati
da uno dei figli del duca di Bracciano ed entrarono nella collezione della Galleria degli Uffizi di Firenze nel 1738. Oggi, in occasione dei 700 anni dalla morte del“sommo poeta”, i disegni sono esposti nella categoria “ipervisioni” del sito web del museo al fine di «offrire uno stimolo visivo e intellettuale per tutti quelli che coglieranno l’anniversario come spunto per dedicarsi alla “virtute e canoscenza”», spiega il direttore della Galleria degli Uffizi Eike D. Schmidt. A RIVEDER LE STELLE. DANTE ISTORIATO LA DIVINA COMMEDIA ILLUSTRATA DA FEDERICO ZUCCARI
A cura di Donatella Fratini uffizi.it/mostre-virtualicategorie/a-riveder-le-stelle
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Prossimo numero PLINIO IL VECCHIO, L’ESPLORATORE DELL’ANTICHITÀ NEL I SECOLO D.C. Plinio
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il Vecchio stilò un’opera enciclopedica, la Naturalis historia, l’unico dei suoi testi a essersi conservato fino a oggi. Al suo interno lo studioso voleva raccogliere tutto il sapere dell’antichità sul mondo naturale. Nei 37 libri che compongono l’opera compaiono creature fantastiche, piante prodigiose e popoli esotici. Militare e letterato, Plinio dedicava ogni momento libero allo studio e all’osservazione del mondo.
GLI SCHIAVI NELLE PIANTAGIONI DI COTONE
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QUANDO FU RATIFICATA la costituzione statunitense, nel 1787, un cittadino bianco equivaleva a una persona, mentre uno nero ne costituiva appena tre quinti. In termini economici, l’uguaglianza tra le due razze non esisteva: così i primi diventavano padroni dei secondi. Abusi, castighi ingiustificati e giornate lavorative estenuanti rappresentarono la realtà quotidiana degli schiavi afroamericani delle piantagioni di cotone del Paese, formalmente fino al 1865.
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La tomba di Amenhotep II Il sepolcro di questo faraone della XVIII dinastia, scoperto nel 1898, conteneva la sua mummia e quelle di un gran numero di altri re e regine d’Egitto.
Le donne della Grecia classica La libertà delle donne greche variava a seconda della città. In generale erano escluse dalla vita politica e trascorrevano il loro tempo tra le mura domestiche.
La morte di Giovanna d’Arco Seicento anni fa la pulzella d’Orléans veniva bruciata sul rogo. Condannata come eretica, la sua vera colpa era stata quella di combattere al fianco del re di Francia.
Velázquez, il pittore degli Asburgo Per oltre quattro decenni lavorò al servizio di Filippo IV, realizzando decine di ritratti del monarca, della sua famiglia e dei personaggi più influenti della corte.
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