Storica National Geographic - Giungo 2021

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LE TOMBE DI CERVETERI E TARQUINIA IL RE SAGGIO

LA CONGIURA DI CATILINA

NÖRDLINGEN

LA VITTORIA DEI TERCIOS

MASCHERE FUNERARIE EGIZIE

- esce il 22/05/2021 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

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ASSURBANIPAL

9 772035 878008

10148

periodicità mensile

I MISTERI DEGLI ETRUSCHI

N. 148 • GIUGNO 2021 • 4,95 E

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CATTEDRALI GOTICHE



CATILINA E I SUOI SEGUACI STRINGONO IL PATTO PER RIVOLTARSI CONTRO IL POTERE DELLA REPUBBLICA DI ROMA. OLIO DI NICCOLÒ CASSANA. XVII SECOLO. GALLERIA PALATINA,FIRENZE.

26 Le maschere dei faraoni Gli egizi credevano che gli dei dell’aldilà riconoscessero i defunti grazie alle maschere poste sui volti delle mummie. DI NÚRIA CASTELLANO

40 Assurbanipal, il re saggio Il sovrano assiro fu un grande militare e creò a Ninive un’enorme biblioteca colma di testi confiscati ai nemici. DI JORDI VIDAL PALOMINO

52 I segreti delle tombe etrusche Nell’VIII secolo a.C. Cerveteri e Tarquinia erano due prospere città etrusche. Le famiglie più in vista ostentavano la loro ricchezza facendo costruire magnifiche tombe sotterranee. DI ELENA CASTILLO

68 Congiura contro la repubblica Nel 63 a.C. Catilina orchestrò contro il senato una congiura che terminò in uno scontro alle porte di Pistoia. DI FERNANDO LILLO REDONET

80 Costruire una cattedrale Nell’Europa medievale s’iniziarono a innalzare immense cattedrali gotiche, i cui lavori potevano durare secoli. DI MIGUEL SOBRINO GONZÁLEZ

100 La vittoria dei tercios Nel settembre 1634 l’esercito imperiale frenò l’avanzata svedese in Germania nella battaglia di Nördlingen. DI ANTONIO J. RODRÍGUEZ HERNÁNDEZ

6 ATTUALITÀ 8 PERSONAGGI STRAORDINARI

Uno svizzero in Oriente Johann Ludwig Burckhardt rivelò agli europei luoghi come Petra o il tempio egizio di Abu Simbel.

14 EVENTO STORICO

La fine della Comune Centocinquant’anni fa il governo e l’esercito francese reprimevano nel sangue la rivolta dei parigini.

22 VITA QUOTIDIANA Piaghe a Roma

Secondo i romani le epidemie erano dovute all’ira degli dei.

116 GRANDI ENIGMI

Colpita e affondata Nel 1898 una corazzata statunitense, la Maine, esplose al largo dell’Avana.

122 GRANDI SCOPERTE

Il tesoro di Anticitera Nel 1900 dei pescatori rinvennero il lussuoso carico di un’imbarcazione greca affondata vicino a Creta.

126 FOTO DEL MESE 128 LIBRI E MOSTRE

MASCHERA FUNERARIA EGIZIA. MUSÉES ROYAUX DES BEAUX-ARTS, BRUXELLES. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

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CATTEDRALI GOTICHE

Pubblicazione periodica mensile - Anno XIII - n. 148

ASSURBANIPAL

NÖRDLINGEN

LA VITTORIA DEI TERCIOS

MASCHERE FUNERARIE EGIZIE

I MISTERI DEGLI ETRUSCHI LE TOMBE DI CERVETERI E TARQUINIA

SARCOFAGO DEGLI SPOSI RINVENUTO NEL 1881 NELLA NECROPOLI DELLA BANDITACCIA, A CERVETERI. FOTO: GETTY IMAGES

PRESIDENTE

RICARDO RODRIGO

IL RE SAGGIO

LA CONGIURA DI CATILINA

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Errata corrige • Storica 147 (maggio 2021): il bassorilievo di pagina 43, che rappresenta una donna greca mentre ripone le vesti in un baule, non si trova presso il Museo archeologico di Taranto, come erroneamente riportato, ma al livello B del Museo Nazionale di Reggio Calabria.

4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IN ED ICO LA

Gli speciali di Storica National Geographic in edicola questo mese

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AT T UA L I T À

LA VILLA DI CHEDWORTH

Un mosaico romano del V secolo in Gran Bretagna

N

el 2010 il Na-

tional Trust h a i n i z i a to un programma di scavi archeologici nella villa romana di Chedworth, situata nel Gloucestershire (sudovest dell’Inghilterra). Con le sue trentacinque stanze, è una delle più

grandi e meglio conservate del Paese. Finora gli archeologi pensavano che la villa fosse stata abbandonata nel IV secolo, ma una recente analisi al radiocarbonio di alcuni resti di torba e ossa trovati all’interno degli scavi di fondazione del muro della stanza numero 28 ha for-

nito una datazione sorprendente. Il pavimento a mosaico fu creato a metà del V secolo. È quindi possibile che questa imponente proprietà continuasse a essere abitata all’inizio del Medioevo, quando ormai la zona non faceva più parte dell’impero romano da svariati

decenni. Il mosaico ha un intreccio complesso, ma è di qualità piuttosto inferiore rispetto agli altri esempi presenti nella villa e risalenti al IV secolo. La sua presenza implica ricchezza ma suggerisce anche un certo declino della produzione e dell’artigianato locale.


UN ARCHEOLOGO pulisce i tasselli del grande mosaico scoperto nella villa romana di Chedworth e datato intorno al V secolo. FOTO: NATIONAL TRUST


PERSONAGGI STRAORDINARI

Burckhardt, uno svizzero in Oriente Vestito da arabo per poter passare per pellegrino o mercante, Johann Ludwig Burckhardt svelò agli europei luoghi da sogno come Petra o i templi di Abu Simbel

Lungo le strade di Siria ed Egitto 1806 Burckhardt giunge a Londra, dove si offre volontario per una spedizione organizzata dall’African Association.

1812 In Giordania sente parlare per la prima volta delle rovine di un’antica città nabatea nascosta nel deserto: Petra.

1813 Una volta in Egitto, intraprende un viaggio verso il sud del Paese e scopre le rovine del tempio di Abu Simbel.

1816 Al Cairo scoppia la peste e Burckhardt si allontana tre mesi per esplorare la penisola del Sinai insieme ai nomadi.

1817 Muore al Cairo di dissenteria acuta prima d’iniziare il fatidico viaggio per Timbuctù.

N

el 1808 Johann Ludwig Burckhardt si trovava in grandi difficoltà. Dopo che il padre era stato costretto a esiliarsi dalla Svizzera per ragioni politiche, il giovane Johann aveva studiato in Germania e si era poi trasferito in Inghilterra. Qui aveva vissuto di stenti per più di due anni, senza lavorare né poter ricevere denaro dai suoi cari per via dell’embargo imposto alla Gran Bretagna. Per fortuna il ragazzo era giunto a Londra munito di una lettera di presentazione diretta a Joseph Banks, l’illustre botanico che aveva girato il mondo in compagnia del capitano James Cook. Nel 1788 Banks aveva fondato l’African Association, un club aristocratico che promuoveva le scoperte nell’Africa occidentale. I membri del circolo erano ossessionati dall’esplorazione del fiume Niger e dal rinvenimento dell’antica città di Timbuctù, a tal punto che avevano già finanziato cinque spedizioni, tutte fallite. Burckhardt allora si offrì volontario per un sesto viaggio. Visto l’insuccesso delle missioni precedenti, il

giovane decise di prepararsi al meglio: si lasciò crescere la barba, studiò arabo all’università di Cambridge e frequentò lezioni magistrali di chimica, astronomia, mineralogia, medicina, chirurgia e quanto potesse tornargli utile. Allenò anche il corpo alle condizioni estreme dei deserti africani camminando per le campagne inglesi senza proteggersi dal sole, dormendo a terra e nutrendosi di piante. Quando partì da Londra nel 1809 aveva istruzioni ben precise: per prima cosa si sarebbe diretto in Siria per perfezionare l’arabo e familiarizzare con i costumi orientali; due anni dopo sarebbe andato al Cairo per poi addentrarsi nel deserto libico fino alla regione di Fezzan e da qui avrebbe attraversato il Sahara fino a Timbuctù.

Sceicco Ibrahim In Siria Burckhardt si vestì con fogge orientali e prese il nome di sceicco Ibrahim ibn Abdallah, ma il suo aspetto europeo destava comunque sospetti. In un caravanserraglio di Antiochia, per esempio, il dragomanno o interprete dell’aghà, il governatore locale, gli tirò la barba accusandolo di essere «franco» (europeo) e infedele. Burckhardt reagì con «uno schiaffo

Burckhardt imparò a memoria capitoli del Corano così da passare per musulmano ISCRIZIONE ARABA COPIATA DA BURCKHARDT IN TRAVELS IN NUBIA. INTERNET ARCHIVE

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UN INDIANO CHE PARLAVA SVIZZERO «GLI INDUMENTI che ho scelto assomigliano a quelli siriani, ma non sono del tutto uguali perché non ho intenzione di fingermi del posto». Burckhardt dichiarò di essere un mercante indiano e musulmano in cammino per la sua terra dopo aver vissuto per qualche tempo in Gran Bretagna. Solo in questo modo poteva giustificare il fatto che non parlasse l’arabo perfettamente. E quando gli chiedevano di esprimersi in hindi «gli parlavo nei più contorti dialetti svizzeri, incomprensibili persino a un fratello e che [...] potevano rivaleggiare con i più aspri suoni arabi». RITRATTO DEL VIAGGIATORE ED ESPLORATORE SVIZZERO BURCKHARDT NEI PANNI DELLO SCEICCO IBRAHIM, 1830 CIRCA.

ALAMY / ACI

in pieno volto per dimostrare agli spettatori turchi quanto mi offendesse l’insulto», come ebbe modo di narrare più tardi. Lo svizzero rimase due anni e mezzo in Siria, soprattutto ad Aleppo, imparando l’arabo grazie all’aiuto di un professore privato e traducendo Robinson Crusoe per esercitarsi. Approfittò di quel periodo anche per leggere più volte il Corano e apprendere a memoria capitoli e versetti, conoscenza che l’avrebbe aiutato nei suoi viaggi. Usando la capitale come base, fece delle escursioni nelle aree limitrofe

per conoscere le tribù nomadi della regione, e «prendere confidenza con il modo di fare di persone che non cambiano mai, sia che vivano nel deserto dell’Arabia sia in quelli dell’Africa». Fu qui che Burckhardt iniziò a soffrire di problemi di salute, in particolare di febbri dovute a parassiti. Nelle sue diverse trasferte subì anche aggressioni e rapine. Una volta gli tolsero persino l’orologio e la bussola. Vicino ad al-Sukhna i banditi lo lasciarono con addosso solo i pantaloni e dovette tornare a piedi fino ad Aleppo, ustionandosi il corpo.

Alla fine partì da Damasco per recarsi al Cairo. Durante il tragitto prese una deviazione per visitare delle rovine di cui aveva sentito parlare, in un posto chiamato Wādı̄ Mūsā. «I luoghi in cui sto per addentrarmi sono di difficile accesso e non hanno interesse per la letteratura. E, a meno che possa affrontare spese notevoli e conosca lingua e usanze del Paese, nessun viaggiatore europeo potrà albergare speranze di esplorarli», scrisse a Joseph Banks nel 1812. Per non destare ulteriori sospetti Burckhardt comprò una capra e affermò che voSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

IL MONASTERO, o al-Deir,

SHUTTERSTOCK

nella città nabatea di Petra. Venne eretto tra il II e il I secolo a.C., forse come tomba dedicata al re Oboda I.

leva sacrificarla davanti alla tomba di Aronne – il fratello di Mosè–, che si trovava su una vetta all’estremità della valle. La guida gli credette e s’inoltrarono nel Siq, la stretta gola che serpeggia nella roccia e termina in un «mausoleo scavato, la cui ubicazione e bellezza sono pensate per suscitare un’impressione profonda nel viaggia-

tore». Burckhardt fu quindi il primo occidentale a visitare Petra, l’antica capitale nabatea, «una delle rovine più eleganti dell’antichità siriana», come la descrisse. Ma non poté rimanervi a lungo: le comunità che vivevano nelle sepolture incavate nella roccia lo tenevano sotto controllo e temette di essere scambiato per una spia.

IBRAHIM E ALI BEY NEI SUOI DIARI Burckhardt menziona Ali Bey al-Abbasi, ovvero lo spagnolo Domingo Badía, che nel 1807 aveva visitato La Mecca. Lo svizzero era critico con Badía perché viaggiava con «magnificenza orientale», mentre lui preferiva passare inosservato, spostandosi su asini o cammelli e in compagnia di un solo servitore. CERTIFICATO DI HĀJJ Ī CONCESSO ALLO SCEICCO ALI BEY. ALAMY / ACI

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Nel novembre 1812, dopo aver attraversato il Sinai, giunse finalmente al Cairo. Poco dopo sarebbe partita una carovana diretta a ovest e l’esploratore avrebbe potuto unirvisi per percorrere il deserto africano, ma ritenne che fosse troppo precipitoso perché ancora non conosceva il dialetto arabo locale. Non poteva immaginare che, per diverse ragioni, la carovana successiva avrebbe tardato degli anni prima di formarsi. Nel frattempo decise di viaggiare verso sud lungo il corso del Nilo, avvicinandosi al Sudan oltre la terza cateratta. «Stavo per risalire il pendio arenoso della montagna quando m’imbattei nella parte ancora visibile di quattro immense statue scolpite nella roccia», racconta nei suoi diari. Si


PERSONAGGI STRAORDINARI

IL MONTE SINAI, nell’omonima

BRIDGEMAN / ACI

penisola egiziana. Burckhardt l’attraversò nel 1816. Olio di Edward Lear. 1853.

riferiva al tempio di Ramses II ad Abu Simbel. Le contrarietà trasparivano bene dagli appunti inviati all’African Association e redatti in «un misero cortile, appoggiato al fianco del cammello per ripararmi dal torrido vento khamsin». In seguito a questa straordinaria scoperta, l’esploratore visitò Medina e La Mecca, città su cui scrisse gli appunti più minuziosi allora mandati in Europa. Si confondeva sempre meglio tra gli arabi. Ingannò persino il pascià dell’Egitto, Muhammad ’Alı̄, che inviò a esaminarlo due esperti di legge coranica, o faqı̄h. Questi rimasero impressionati dalle sue conoscenze del Corano. La spedizione in Arabia gli permise inoltre di ottenere il titolo di hājjı̄, o pellegrino, ma aggravò gli attacchi di febbre e dissenteria. Burckhardt tornò al Cairo nel giugno 1815, due anni e mezzo dopo l’inizio del viaggio. Ma nell’aprile 1816 la città lanciò l’allarme per un’epidemia di 12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

peste, e lo svizzero decise di partire di nuovo. Andò a esplorare il Sinai per tre mesi insieme ai nomadi locali. Scrisse delle loro usanze in quello che sarebbe diventato uno dei resoconti antropologici più accurati della storia, usato anche dai britannici durante la Seconda guerra mondiale.

tivi per una nuova carovana, ma dopo otto anni di attesa Burckhardt non poté partire alla volta di Timbuctù. Due mesi prima la sua salute cagionevole era peggiorata in modo drastico. Morì il 15 ottobre, dopo una settimana di agonia per dissenteria acuta. Forse fallì come esploratore dell’Africa occidentale, eppure l’erediL’ultimo viaggio tà da lui lasciata – quattro taccuini Il tempo passava e le carovane dirette ricchi di dettagli sulle regioni percora ovest non si mettevano in moto. se nonché la scoperta di due tra i più «Sono consapevole che sottopongo importanti capolavori antichi – gli la sua pazienza a una dura prova, ma rende senz’altro giustizia. anche la mia è sprofondata nell’inferJORDI CANAL-SOLER GIORNALISTA no della tortura [...] Sarei tentato di caricare il cammello, andare in Libia da solo e dimostrarle che non sono TESTI Per in Giordania né la codardia né la negligenza a mansaperne Viaggio Johann Ludwig Burkhardt. Cierre, Verona, 1994. tenermi intrappolato nell’inerzia per di più SAGGI così tanti mesi», si scusava nervoso Vita e viaggi di J.L. Burkhardt in una lettera a uno dei suoi superiori Silvana Lattmann. dell’African Association. Finalmente Novara, Interlinea, 2016. nel dicembre 1817 ripresero i prepara-


Su concessione della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze

Segreti e virtu' delle erbe Erbario mediceo Codice Redi 165 - Edizione in facsimile

Edito da

Tiratura limitata 300 esemplari

Databile tra il 1430 e il 1449 fa parte dei 216 codici lasciati in eredita' dalla famiglia Redi nel 1820 alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Il codice e' un ricco repertorio di piante che annovera nel suo interno circa novanta specie differenti. Contiene illustrazioni di vegetali ad acquerello, con radici zoomorfe ed antropomorfe. Sotto ogni illustrazione sono indicati, in scrittura gotica volgare, i consigli botanici, i luoghi e periodi di raccolta.

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DI FRONTE all’avanzata dell’esercito i comunardi incendiano il palazzo delle Tuileries, simbolo della monarchia. Musée d’Orsay, Parigi. BRIDGEMAN / ACI

Sangue e fuoco a Parigi, la fine della Comune Tra il 21 e il 28 maggio 1871, durante la “settimana di sangue”, l’esercito francese mise fine all’insurrezione parigina con un assalto che si concluse con più di 20mila morti

L

a mattina del 28 maggio del 1871 Parigi si svegliò avvolta dal fumo. Mentre l’esercito metteva fine agli ultimi focolai di resistenza della Comune, i cadaveri si accumulavano sui marciapiedi e il sangue scorreva per le strade. Parte degli edifici della città era stato distrutto, mentre l’acciottolato dei viali era stato rimosso per costruire barricate. L’eco degli spari iniziati sette giorni prima non sarebbe cessato di lì a poco. Un promemoria ininterrotto del fatto che le 14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

esecuzioni dei comunardi sarebbero proseguite anche al termine della “settimana di sangue”. I massacri e le fiamme misero così fine alla Comune di Parigi, una rivolta iniziata due mesi prima. Nel settembre del 1870 la sconfitta della Francia nella guerra con la Prussia aveva provocato la caduta dell’imperatore Napoleone III e portato all’istituzione di un governo repubblicano provvisorio guidato da Adolphe Thiers. Parigi fu sottoposta a un duro assedio da parte delle truppe prussiane fin-

ché, nel gennaio del 1871, il governo francese non chiese un armistizio. Dalle successive elezioni emerse un’assemblea nazionale dominata dai conservatori, favorevoli alla pace con la Germania e alla restaurazione della monarchia. I parigini però avevano votato in massa per dei repubblicani radicali che non accettavano di arrendersi ai prussiani. Questa situazione instabile esplose il 18 marzo 1871. La guardia nazionale, una milizia di cittadini che si era ingrandita molto durante la guerra


EVENTO STORICO

Belleville Hôtel de Ville Montmartre

Père Lachaise Versailles Place de la Bastille ALAMY / ACI

Point-du-Jour

UN’AVANZATA INESORABILE entrarono a Parigi il 21 maggio dalla porta di Point-du-Jour, avanzando da ovest verso est. Il 23 presero Montmartre, il giorno dopo cadde la sede del governo della Comune nell’Hôtel de Ville e il 26 place de la Bastille. I comunardi si rifugiarono nel quartiere di Belleville, dove riuscirono a resistere all’avanzata dell’esercito di Versailles solo un altro paio di giorni. LE TRUPPE VERSAGLIESI

contro la Prussia, aveva accumulato più di duecento cannoni sulle pendici del quartiere operaio di Montmartre per continuare la resistenza contro i tedeschi. Quando il governo di Thiers ordinò la rimozione dei pezzi di artiglieria, una folla inferocita si rifiutò di consegnarli. Alcuni soldati si ammutinarono. I cannoni rimasero a Montmartre e due ufficiali furono arrestati e uccisi dalla folla inferocita. La rivoluzione era iniziata. Adolphe Thiers lasciò la città e s’insediò nella reggia di Versailles insieme al governo. Il comitato centrale della guardia

nazionale, nel frattempo, istituì un governo provvisorio presso l’Hôtel de Ville, l’edificio che accoglieva il municipio di Parigi. Qualche giorno più tardi le elezioni comunali videro una vittoria schiacciante da parte dei candidati repubblicani. Tra le celebrazioni di massa, il 18 marzo fu proclamata la Comune di Parigi, un governo municipale che si dichiarò l’unica autorità cittadina. I rivoluzionari credevano che il popolo in armi che combatteva in difesa della propria terra – o, come in questo caso, della propria città – avrebbe alla fine sconfitto le forze della controrivoluzione, e che il resto

I versagliesi dichiararono «una guerra senza tregua né pietà agli assassini» ADOLPHE THIERS FOTOGRAFATO DA ANDRÉ ADOLPHE EUGÈNE DISDÉRI.

della Francia si sarebbe subito unito al movimento. Tra le altre cose, sul piano teorico le forze della Comune erano superiori a quelle di Versailles. Ma analoghe iniziative proclamate in altre città furono facilmente sciolte, mentre Thiers mise insieme rapidamente un potente esercito di oltre 130mila uomini che si schierò intorno a Parigi per riconquistarla con la forza. Il motto di uno dei suoi generali, Galliffet, era il seguente: «Guerra senza tregua né pietà [...] a questi assassini».

Lo squilibrio militare Dall’inizio di aprile gli scontri armati tra le truppe di Versailles e la Comune dimostrarono un evidente squilibrio di forze. I comunardi faticavano a reclutare combattenti per la guardia nazionale, anche nei quartieri operai, e la maggior parte di chi si presentava non era sufficientemente addestrata o abituata alla vita militare.

ORONOZ / ALBUM STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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EVENTO STORICO

KHARBINE-TAPABOR / ALBUM

BARRICATA comunarda nell’undicesimo arrondissement di Parigi, intorno a place de la Bastille, uno dei centri dello scontro con i versagliesi.

Le loro operazioni belliche erano prive di coordinamento e di pianificazione, carenti sul piano comunicativo e incapaci di garantire i necessari approvvigionamenti. I bastioni che circondano Parigi, un magnifico sistema difensivo che impediva agli attaccanti di entrare direttamente in città senza una fase di assedio, erano periodicamente abbandonati. Fu

proprio questa incuria ad agevolare l’ingresso delle truppe di Versailles. Domenica 21 maggio, sotto un sole di primavera, si tenne un grande concerto alle Tuileries, al termine del quale il pubblico fu invitato a ripresentarsi la domenica successiva per un nuovo spettacolo. Ma mentre nel centro di Parigi regnava una calma oziosa, le truppe versagliesi supera-

GLI STRANIERI NON POCHI STRANIERI si unirono alla rivolta comu-

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narda, specialmente i polacchi che erano andati in esilio in Francia dopo la fallita rivolta del loro Paese contro la Russia nel 1863. Fu questo il caso di Jaroslaw Dombrowski, che assunse il comando della difesa cittadina all’inizio della “settimana di sangue” e morì su una barricata di Montmartre.

rono le mura cittadine attraversando l’indifesa porta di Point-du-Jour, nella parte sud-occidentale della città. I soldati federati – così chiamati perché appartenevano alla Federazione della guardia nazionale – furono colti di sorpresa.

L’esercito invade Parigi Il delegato di guerra della Comune, Louis Charles Delescluze, si rifiutò inspiegabilmente di dare l’allarme, permettendo all’esercito di occupare gran parte della zona ovest di Parigi senza trovare molta resistenza. Le morti dei federati fermati nell’incursione e giustiziati sommariamente furono solo le prime delle migliaia che l’occupazione militare avrebbe provocato. Il 22 maggio era ormai impossibile negare la re-


I simboli della barbarie NEL LORO ODIO contro l’impero di Napoleone III i comunardi si misero a distruggere i simboli napoleonici sparsi per la città di Parigi. L’atto più spettacolare fu l’abbattimento della colonna di place Vendôme, costruita da Napoleone I con il bronzo dei cannoni presi agli austriaci nella battaglia di Austerlitz e sormontata da una statua dello stesso imperatore. Il 16 maggio migliaia di persone si riunirono in piazza per assistere alla caduta di questo «monumento alla barbarie» intonando canti rivoluzionari. Anni più tardi la colonna venne ricostruita.

altà: il rimbombo dei colpi di cannone rivelava la massiccia presenza delle truppe in città. «L’ora della guerra rivoluzionaria è arrivata», proclamò Delescluze, invocando la mobilitazione totale della popolazione. I comunardi cominciarono a costruire barricate per le strade. Ne furono erette ben novecento, alcune molto piccole, altre decisamente più grandi, che in alcuni casi somigliavano a vere e proprie fortezze. Erano concentrate soprattutto nella parte orientale di Parigi, dove il sostegno alla causa della Comune era maggiore. A difenderle accorsero anche molte donne, che in precedenza avevano chiesto di formare dei battaglioni femminili. Ma l’afflusso di volontari non era sufficiente a coprire tutta la città: solo un centinaio di barricate poté essere efficacemente protetto. La mancanza di effettivi e di coordinamento si rese evidente il 23 mag-

SHUTTERSTOCK

LA COLONNA VENDÔME AL CENTRO DELLA PIAZZA PARIGINA DA CUI PRENDE IL NOME.

gio a Montmartre, un quartiere da cui ci si aspettava una grande resistenza, ma che invece cadde rapidamente. Le barricate furono circondate dai nemici, che si aggiravano per i vicoli e le piazze entrando negli edifici circostanti e sparando dalle finestre e dai tetti sui difensori esposti al fuoco.

prefettura di polizia. Ogni mossa dei federati era seguita da una repressione implacabile da parte dell’esercito. Chiunque fosse sospettato di aver brandito un’arma o di aver provocato degli incendi veniva fucilato. In tal senso, abbondano le testimonianze di episodi terribili. Un giornalista raccontò di aver Barricate e repressione trovato una trentina di cadaveri; sePer ostacolare l’avanzata delle truppe condo quanto gli fu riferito sul posdi Versailles i federati cominciarono a to, i soldati avevano messo in fila le bruciare gli edifici della città. Alcuni, persone davanti a un fosso e poi le come il palazzo delle Tuileries, erano avevano uccise a mitragliate. In un simboli dell’odiata monarchia. Ma altro episodio, cinquecento federafurono incendiate anche case da cui li che si erano arresi nella chiesa di in precedenza erano stati rimossi con Saint-Eustache furono giustiziati la forza i residenti. Questo però non seduta stante. Nemmeno i bambini fermò l’avanzata dell’esercito, che co- venivano risparmiati dalla ferocia strinse la leadership della Comune ad degli assaltanti: l’ambasciatore staabbandonare il suo quartier generale, tunitense, l’unico a non aver lasciato l’Hôtel de Ville, dopo averlo dato alle la città durante la Comune, raccontò fiamme insieme ad altri edifici uffi- che un impiegato dell’ambasciata ciali come il palazzo di giustizia e la aveva visto i cadaveri di otto minori STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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EVENTO STORICO ESECUZIONE. UNA COMUNARDA VIENE FUCILATA AL LOUVRE TRA GLI INSULTI DELLA FOLLA.

FUCILATE

Le truppe di Versailles fucilarono molte donne che difendevano le barricate o accusate di aver provocato incendi, a volte solo per essere state trovate con una bottiglia di olio in mano. Le vittime furono sottoposte a maltrattamenti, stupri e umiliazioni, come essere costrette a sfilare nude per le strade di Parigi.

Donne sulle barricate nel 1871 ittadine, tutte risolute, tutte unite, alle porte di Parigi, sulle barricate, nei quartieri, ovunque!». L’appello lanciato nelle settimane della rivolta da Élisabeth Dmitrieff, leader dell’Unione delle donne, fu accolto molto positivamente. Non a caso la Comune è considerata una pietra miliare del movimento femminista in Europa. Oltre a gestire le mense e i refettori e a prendersi cura dei feriti, le donne, parigine e non, parteciparono attivamente ai dibattiti e ai comitati rivoluzionari, promossero riforme politiche, combatterono in prima linea sulle barricate e morirono accanto ai loro compagni.

FOTOMONTAGGIO DELL’EPOCA CHE RITRAE LE PRINCIPALI PRIGIONIERE DELLA COMUNE DI PARIGI NEL CARCERE DI VERSAILLES.

TOPHAM / CORDON PRESS

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FOTO: ALBUM

AL FRONTE. UNA COMUNARDA COMBATTE IN PRIMA LINEA CONTRO L’AVANZATA DELL’ESERCITO.

UNA “PÉTROLEUSE” CON UNA TORCIA IN MANO, PRESUMIBILMENTE PRONTA AD AGIRE. MUSÉE CARNAVALET, PARIGI.

IN PRIMA LINEA

INCENDIARIE?

CONDANNATE

Élisabeth Dmitrieff incoraggiava i federati a combattere brandendo un’arma e distribuendo munizioni. Nathalie Lemel si mise alla guida di un battaglione di donne alla barricata di place Pigalle. Issò la bandiera rossa e si rivolse alla guardia nazionale: «Se non difendete le barricate voi, lo faremo noi altre».

La stampa conservatrice diede grande diffusione alla figura delle pétroleuses, donne che cospargevano di petrolio gli edifici parigini per poi darli alle fiamme con le torce. Si trattava probabilmente di una leggenda, perché nessuna delle donne processate per aver sostenuto la Comune fu accusata di questo crimine.

Le detenute furono recluse in campi di concentramento in condizioni deplorevoli. I processi si chiusero con numerose condanne a morte, che nel caso delle donne furono però successivamente commutate in pene detentive in Francia o in colonie penitenziarie come quella della Nuova Caledonia.


EVENTO STORICO

RUE DE RIVOLI in rovina nel maggio del 1871. Alla fine della “settimana di sangue”

TOPHAM / CORDON PRESS

parte di Parigi era ridotta in macerie.

I plotoni di esecuzione fucilavano gruppi di venti prigionieri alla volta. Victor Hugo scriverà più tardi: «Un suono lugubre pervade la caserma Lobau: è un tuono che apre e chiude le tombe». Alcuni comunardi decisero di vendicarsi e la notte del 24 maggio giustiziarono l’arcivescovo di Parigi Georges Darboy e altri sei ostaggi nel cortile della prigione di La Roquette.

POLVERE DA SPARO LE TRUPPE VERSAGLIESI fermavano la gente

per strada e la esaminavano attentamente: chi era ferito, sporco di polvere da sparo o con un livido sulla spalla destra (il punto in cui si appoggia il calcio del fucile per sparare) veniva giustiziato come sospetto comunardo. UN UFFICIALE ESAMINA LE MANI DI UN COMUNARDO.

20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Il 25 maggio fu fatto un tentativo di organizzare una difesa congiunta dell’undicesimo arrondissement, il cui centro era la simbolica place de la Bastille. Ma moltissimi federati, sperando di sfuggire alla repressione scatenata dal nemico, abbandonarono le armi e l’uniforme che li tradiva e cercarono di nascondersi in città. Quelli che scelsero di combattere, consapevoli che la morte era l’esito più probabile, preferirono andare a difendere i loro quartieri. Fu così che place de la Bastille, praticamente priva di difese, cadde la sera del 26. Nelle mani della Comune rimaneva solo una parte del settore orientale: i quartieri operai di Belleville e Ménilmontant, dove il sistema difensivo era meglio organizzato. Lì i combattimenti proseguirono per i due giorni succesALBUM. COLORE: JOSÉ LUIS RODRÍGUEZ

di quattordici anni fucilati perché trovati con del petrolio in mano. Nella caserma Lobau i versagliesi istituirono un organismo che giudicava e giustiziava i prigionieri che non erano stati fucilati sul posto. Anche in questo caso le testimonianze sono raccapriccianti: un giornalista britannico affermò che in un giorno furono uccise circa 1.200 persone.


KHARBINE-TAPABOR / ALBUM

LE TRUPPE di Versailles giustiziarono migliaia di comunardi sotto le mura del cimitero di Père Lachaise, dove si erano rifugiati.

sivi. Prima che cadesse La Roquette un gruppo di guardie nazionali prelevò i circa cinquanta prigionieri rimasti all’interno e li giustiziò. Questa forma di vendetta non fece che aumentare la ferocia delle truppe di Versailles, contro le quali ben poco poteva una resistenza federata sempre più demoralizzata e male organizzata. Nella notte di sabato 27 i soldati penetrarono nel cimitero di Père Lachaise e giustiziarono in massa i comunardi lì intrappolati. Georges Clemenceau, futuro presidente della Francia e testimone degli eventi, affermò che le mitragliatrici avevano funzionato ininterrottamente per una trentina di minuti per portare a termine quel tetro compito. Il giorno dopo l’esercito mise fine all’ultima resistenza di Belleville, le cui strade tortuose avevano favorito i difensori. Gli oppositori della Comune uscirono a festeggiare la schiacciante vittoria

sugli avversari. Nel frattempo una valanga di denunce contro i federati che avevano sostenuto il regime ormai defunto mirava ad annichilire gli ultimi superstiti della Comune.

Parigi divenne una città di rovine fumanti e di famiglie lacerate dalla morte e dalla detenzione di decine di migliaia di persone. La capitale rimase sotto la legge marziale per i cinque anni successivi: coloro che stavano ancora Morte e distruzione scontando la pena furono rilasciati Non si conosce esattamente il numero solo con l’amnistia del 1880. Il ricordo di persone uccise durante la“settima- di quei giorni restò associato al rosso, na di sangue”. Le truppe di Versailles non tanto della bandiera della Comune subirono circa cinquecento perdite al quanto del sangue versato che macchiò giorno: dal 21 al 28 maggio furono uc- le strade e i vicoli di Parigi. Tali furono cisi o feriti intorno a 3.500 soldati. La le ripercussioni provocate da quell’eComune giustiziò poco più di sessanta pisodio che ci volle un secolo perché la persone, mentre subì la massiccia città potesse tornare a eleggere demorepressione scatenata dal governo. craticamente il suo sindaco. Tra le perdite in combattimento e le AINHOA CAMPOS STORICA numerose esecuzioni sommarie si stima che siano morte tra le 20mila e SAGGI Per La Comune le 30mila persone. I versagliesi eseguisaperne Louise Michel. Edizioni Clichy, Firenze, 2021. di più rono inoltre 36mila arresti, seguiti da Gli ultimi giorni 10.137 condanne che vanno dalla pena della Comune Prosper-Olivier Lissagaray. di morte alla detenzione o ai lavori Red Star Press, Roma, 2013. forzati nelle colonie carcerarie. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

Le epidemie a Roma: tutto dipende dagli dei Secondo i romani, perché un’epidemia avesse fine bisognava prima placare gli dei con cerimonie religiose preferiva gettarli nelle cloache e nel fiume, contaminando in questo modo l’acqua potabile e l’aria.

Punizioni divine

Sebbene i romani possedessero delle conoscenze mediche, ignoravano quale fosse l’origine reale dei contagi nonché le cause della loro propagazione. Imbevuti di credenze religiose che ne regolavano la vita quotidiana, interpretavano spesso le epidemie come punizioni divine inflitte loro perché avevano alterato la pax deorum, l’armonia tra dei e uomini. Ciò accadeva quando questi si comportavano in modo nefasto (compivano azioni contrarie al fas, la norma religiosa) o quando effettuavano rituali in modo non ortodosso. E così nel 472 a.C. venne identificato quale fattore scatenante di un’epidemia la perdita della verginità di una delle si era poi accanito di più contro le vestali (Orbilia, a quanto riferì uno donne gravide. Secondo quanto racschiavo). Per questa ragione il morbo conta Dionigi, Orbilia fu sepolta viva dopo essere stata picchiata; gli dei furono soddisfatti del castigo che le era stato inflitto e l’epidemia cessò. Quando una nuova piaga si abbatté su Roma nel 399 a.C., i senatori IL TERMINE più comune per riferirsi alle credettero che bisognasse ristabilire epidemie era quello di pestis, da cui viene l’equilibrio tra divinità e uomini anche pestilentia, e indicava una malattramite un rituale d’espiazione retia che si propagava molto velocemente ligiosa, il lectisternium, da praticare nuocendo alla salute di un grandissimo in Campidoglio. Il rito consisteva numero di persone. in un sontuoso banchetto al quale MOSAICO CHE ALLUDE ALL’INELUDIBILITÀ DELLA MORTE. erano idealmente invitate divinità quali Giove, Giunone e Minerva,

PRISMA / ALBUM

LA PESTE

22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SPL / AGE FOTOSTOCK

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e epidemie erano calamità piuttosto frequenti nella storia di Roma e non comportavano unicamente la perdita di vite umane, ma anche crisi economiche e terribili carestie. Non solo: la città si ritrovava più vulnerabile ed esposta alle invasioni esterne. Ecco perché, sin dalle epoche più antiche, gli storici romani non hanno lesinato testimonianze su simili eventi, come quello che si verificò dopo il rovesciamento dei re etruschi e la fondazione della repubblica nel 509 a.C. Dionigi di Alicarnasso, per esempio, narra le infernali conseguenze di un’epidemia – avvenuta nel 451 a.C. – che comportò la morte di quasi tutti gli schiavi e di circa metà dei cittadini romani. La sciagura durò un anno e determinò la scomparsa d’intere famiglie. Si poté propagare molto rapidamente perché, invece di seppellire i cadaveri infetti, la gente


V I TA Q U OT I D I A N A UNA MALATTIA devasta

una città antica mentre diversi medici curano i moribondi. Incisione del XVIII secolo.

rappresentate da statue per le quali venivano disposti dei soffici letti (lectisternia). I banchetti, presieduti da sacerdoti detti duumviri sacris faciundis, venivano ripetuti per una settimana non solo nei templi, ma anche nelle case private, le cui porte rimanevano aperte per offrire ospitalità a familiari ed estranei. Nel 365 a.C. si riaffacciò un’epidemia che durò diversi anni e causò molti decessi. Si fece di nuovo ricorso al lectisternium per placare la collera degli dei, ma in quell’occasione la cerimonia sembrò non sortire alcun effetto, né risultarono adeguati gli

Lo sguardo imparziale di un filosofo LUCREZIO, il filosofo e poeta epicureo del I secolo a.C., è uno dei primi autori romani che, nell’opera De rerum natura (Sulla natura delle cose), cercò di analizzare scientificamente le cause e l’origine delle epidemie. Secondo Lucrezio,

le malattie provenivano a volte dal cielo e altre dalla terra, in seguito all’azione di agenti meteorologici come pioggia o calore. Alcune epidemie erano circoscritte a certi territori, e altre attaccavano determinati ORGANI del corpo, indipendentemente dal luogo in

cui una persona vivesse. Per questo l’autore rimarcava l’importanza dell’aria come agente propagatore, dato che CORROMPE l’acqua, i campi e i cibi. Lucrezio sottolineava pure che durante i picchi di mortalità non si potevano svolgere funerali.

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V I TA Q U OT I D I A N A

LA CERIMONIA DEL CHIODO

IL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO. INCISIONE. MUSEÉ D’ORSAY, PARIGI.

spettacoli, teatrali e circensi, messi in scena per placare le divinità. Tali eventi furono infatti interrotti dallo straripamento del Tevere, che aumentò il terrore del popolo. Davanti a una situazione così disperata, i romani si appellarono a un rimedio estremo: nominare un dittatore allo scopo di raggiungere la tanto ambita pax deorum e, con essa, la fine dell’epidemia. La dittatura era un’istituzione particolare che esisteva sin

RMN-GRAND PALAIS. COLORE: SANTI PÉREZ.

NELL’OPERA AB URBE CONDITA

(anche nota come Storia di Roma dalla sua fondazione), Tito Livio spiega l’origine della cerimonia del chiodo. «È legge antica, scritta con alfabeto antico e parole antiche, che colui che riveste la massima carica pianti il chiodo il giorno 13 settembre (le idi di settembre) […] si riferisce che quel chiodo, dato che a quei tempi erano rare le lettere, stava a indicare il numero degli anni […] poi il rito solenne dell’infissione del chiodo fu trasferito dai consoli al dittatore, poiché il loro imperium è maggiore; caduta quindi l’usanza, sembrò di per sé degna per nominare un dittatore».

dall’inizio della repubblica. Comportava la sospensione temporanea, per un tempo massimo di sei mesi, dei poteri del senato, dei magistrati e del popolo in favore di una persona carismatica indicata dai senatori. Il dictator aveva compiti specifici, come convocare comizi in assenza dei consoli, organizzare alcuni giochi, celebrare cerimonie religiose o coprire posti vacanti nel senato stesso. Tuttavia gli storici romani riferiscono di pochi casi in cui si fece ricorso a un dictator per affrontare una situazione epidemica, una circostanza partico-

Nel V secolo si associò l’insorgere di un’epidemia alla perdita della verginità di una vestale VESTALE MASSIMA. MARMO. II SECOLO D.C. MUSEO NAZIONALE ROMANO. BRIDGEMAN / ACI

lare che richiedeva l’intervento del dictator clavi figendi causa, “dittatore per piantare il chiodo”.

Il dittatore del chiodo Il curioso nome si deve al fatto che il dittatore doveva portare a termine un antico rituale che consisteva nel piantare un chiodo nel tempio di Giove Ottimo Massimo durante le idi di settembre, cioè il giorno tredici. In particolare andava piantato sul muro che si affacciava sul santuario di Minerva. Si chiamava “chiodo annuale”, forse perché in origine il suo scopo era quello di mantenere il conto degli anni. Nel 365 a.C. questo vecchio cerimoniale, che in altri tempi era riservato ai consoli, venne ripristinato per ammansire la collera divina, che si pensava avesse dato luogo a un’epidemia. Forse si credeva che


MANLIO IMPERIOSO era

BRIDGEMAN / ACI

famoso per il suo rigore. Quest’olio del XVII secolo ricostruisce la messa a morte del figlio in sua presenza.

il chiodo, usato in genere per mantenere o reggere strutture, sarebbe stato una sorta di talismano capace di attrarre e prendere su di sé tutti i mali che il morbo aveva comportato. L’uomo scelto per tale compito fu Lucio Manlio Imperioso. A quanto racconta Tito Livio, «quand’erano consoli Gneo Genuzio e Lucio Emilio Mamerco per la seconda volta, tormentando gli animi, più che le malattie i corpi, si fece ricerca di cerimonie espiatorie; si narra che fu raccolto dal ricordo dei vecchi il fatto che una volta la pestilenza era stata sedata dal chiodo piantato dal dittatore. Convinto da tale tradizione religiosa, il senato ordinò che venisse eletto il dittatore per piantare il chiodo». Tito Livio racconta inoltre che Lucio Manlio Imperioso non si limitò a portare a termine il rito bensì,

in quanto dittatore, volle iniziare una guerra contro un popolo vicino. I tribuni della plebe si ribellarono e ne forzarono le dimissioni. Nel 331 a.C. la storia si ripeté. Anche allora un’epidemia stava provocando innumerevoli vittime e non c’era modo di tenerla a freno. Ben presto si cominciò a insinuare che la colpa fosse di un gruppetto di avvelenatrici, precisamente nobildonne romane, che vennero giudicate e condannate a bere del veleno. Malgrado ciò, i grandi della repubblica romana vollero fare una cerimonia d’espiazione e indicarono come dictator Gneo Quintilio Capitolino, che procedette a piantare il chiodo.

manifestò all’improvviso un’epidemia che minacciava le operazioni belliche. Secondo Tito Livio, il generale Gaio Petelio Libone Visolo «fu nominato dictator per piantare il chiodo allo scoppio dell’epidemia». E si sa che mezzo secolo più tardi, nel 263 a.C., Gneo Fulvio Massimo Centumalo venne di nuovo eletto dictator clavi figendi causa. Probabilmente il senato fece ricorso a un politico veterano e prestigioso per realizzare la cerimonia del chiodo annuale e contenere così un’epidemia divampata mentre i consoli in carica erano in Sicilia a combattere la Prima guerra punica. ALEJANDRO VALIÑO UNIVERSITÀ DI VALENCIA

Epidemie e guerre Le cronache fanno cenno ad altri due dittatori di questo tipo. Nel 313 a.C., in piena guerra contro i sanniti, si

Per saperne di più

SAGGI

Epidemie Giovanni Rezza. Carocci, Roma, 2010.

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VO LT I P E R L’ E T E R N I TÀ

MASCHERE EGIZIE Per millenni gli egizi hanno imbalsamato i morti allo scopo di garantirgli la vita eterna. I loro volti venivano coperti con maschere, spesso dorate, che ne rappresentavano i lineamenti perché potessero essere riconosciuti dagli dei nell’aldilà


UN UOMO DI NOME PACHERI

Il volto di questo personaggio del periodo tolemaico, fasciato con bende di lino, fu coperto con una maschera funeraria di cartonnage. IV-I secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi. DEA / SCALA, FIRENZE


L

a maschera funeraria del faraone Tutankhamon è diventata un’icona dell’antico Egitto fin dalla scoperta della tomba del sovrano da parte di Howard Carter, avvenuta il 4 novembre 1922. La fattura, la ricchezza dei materiali e soprattutto il magnifico stato di conservazione in cui è stato rinvenuto spiegano il fascino esercitato da questo ritratto idealizzato del sovrano bambino, risalente al 1323 a.C. circa. Ma non è un caso isolato. Le maschere erano una parte essenziale dei corredi funerari degli egizi di tutte le classi sociali, dai nobili ai più umili contadini. La qualità e il valore delle opere differivano, ma la loro funzione era sempre la stessa: costituivano un ritratto del defunto che fungeva da passaporto per l’aldilà.

Meccanismo di protezione

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UN VOLTO DIVINO O UMANO?

KENNETH GARRETT

I resti archeologici e le rappresentazioni trovate su oggetti rituali e votivi mostrano che le maschere erano usate nella terra del Nilo fin dai tempi più remoti. L’esempio più antico è stato rinvenuto nell’Alto Egitto, a Ieracompoli, un insediamento a sud di Tebe abitato fin dal 4000 a.C. e che fu uno dei più importanti centri di controllo e scambio di merci nel periodo precedente all’unificazione politica del Paese. Lì, in una tomba appartenente a membri dell’élite, furono rinvenute due maschere di ceramica che riproducevano un volto umano. La faccia, di forma triangolare, presenta degli orifizi sugli occhi e sulla bocca, così come una rifinitura a punta sotto il mento che potrebbe essere una barba. Ma la cosa più interessante è che su entrambi i lati, vicino alle orecchie, ci sono dei fori per consentirne la collocazione sul viso. Non è chiaro se rappresenti una divinità o se si tratti invece della prima maschera funeraria umana. Al di là di questo esempio, il resto delle maschere egizie giunte fino ai nostri giorni veniva utilizzato per le cerimonie funebri. La loro ragione d’essere è legata alla concezione della morte come transito verso l’aldilà. Per realizzare il viaggio era necessario conservare i corpi intatti: ecco perché i cadaveri venivano mummificati prima di essere riposti nei

Questa curiosa maschera di ceramica fu ritrovata insieme a un’altra simile in una tomba nel cimitero di Ieracompoli. È uno dei più antichi esempi di maschera funeraria (o rituale) scoperti in Egitto. Museo egizio, Il Cairo.


C R O N O LO G I A

EFFIGI PER L’ALDILÀ 2613-2494 a.C. A partire dalla IV dinastia si modellano le bende della testa delle mummie e se ne disegnano i tratti facciali.

2160-2025 a.C. Creazione delle prime maschere di legno, assemblate e dipinte con l’immagine idealizzata del defunto.

1539-1077 a.C. Le maschere funerarie della regalità e delle altre classi sociali raggiungono il loro apice durante il Nuovo regno.

I-IV secolo

UIG / A

TAVOLOZZA DEI CANI, RISALENTE AL 2950 A.C. CIRCA. IN BASSO A SINISTRA C’È UNA FIGURA UMANA CON TESTA DI ANIMALE CHE SUONA UN FLAUTO. È STATA INTERPRETATA COME UN UOMO CHE INDOSSA UNA MASCHERA RITUALE. MUSÉE DU LOUVRE.

LBUM

I ritratti del Fayyum, di epoca romana, rappresentano l’ultima fase della storia delle maschere egizie.


JOSSE / SCALA, FIRENZE

MASCHERA RAFFIGURANTE IL DIO CANIDE ANUBI, SIGNORE DELLA MUMMIFICAZIONE, FORSE INDOSSATA DA UN SACERDOTE. MUSÉE DU LOUVRE.

sarcofagi. Ma dato che il volto del defunto veniva coperto con delle bende, questi rischiava di non essere riconosciuto dai giudici del tribunale dell’oltretomba. Le maschere nacquero dunque con l’obiettivo di riprodurre il vero volto del defunto: rappresentavano un lasciapassare che gli consentiva di raggiungere i campi di Iaru, il paradiso degli antichi egizi: un luogo simile alla terra del Nilo, con un fiume, dei canali e dei campi coltivati, dove i defunti vivevano felicemente, liberi dalle preoccupazioni della vita terrena. Per accedere a questo luogo era necessario che fossero riconoscibili attraverso le mummie; se queste scomparivano o venivano distrutte, le maschere – che portavano sempre inciso il nome del defunto, la cui cancellazione per gli egizi equivaleva a una seconda morte – continuavano a esercitare la loro funzione e a permettere al proprietario di essere identificato nell’aldilà.

Le maschere evidenziano anche l’importanza che la cultura egizia attribuiva al volto umano. Nella pratica della mummificazione un’attenzione particolare era dedicata proprio a questa zona del cranio che veniva protetta dalle bende e dalla maschera. Anche nei riti magici dei libri funerari la testa ricopriva una grande importanza. L’incantesimo 151 del Libro dei morti del Nuovo regno evi30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Oro e lapislazzuli


INIZIA IL VIAGGIO DELLA MUMMIA

Nel momento in cui la mummia del defunto veniva introdotta nella tomba, aveva inizio il rito dell’apertura della bocca. In questa immagine del Papiro di Hunefer si vede la mummia in piedi, con una maschera tipica del Nuovo regno che le copre le spalle. Compaiono anche un sacerdote con una maschera di Anubi, due prefiche e altri due sacerdoti. British Museum.


denzia il valore del capo. «O figlio di Hathor! Nessuno oserà strapparti la testa fino alla fine dei tempi», recita. Non a caso le decorazioni delle maschere avevano un significato teologico: gli egizi credevano che dopo la morte tutti gli uomini e le donne diventassero Osiride, la divinità funeraria che presiedeva l’aldilà. Per sottolineare questa trasformazione, i tratti della maschera erano idealizzati e i materiali utilizzati facevano riferimento al processo di divinizzazione della persona morta. Secondo le credenze egizie le divinità avevano carni d’oro e capelli di lapislazzuli. Ecco perché per riprodurre la carne si ricorreva all’oro, alla foglia oro o alla vernice gialla, mentre per i capelli, le sopracciglia o i baffi si utilizzavano i lapislazzuli o, più comunemente, la vernice blu o la pasta di vetro dello stesso colore. Non c’è da stupirsi se, nel già citato capitolo del Libro dei morti, Anubi «l’imbalsamatore» saluta il defunto con queste parole: «Benvenuto, bel volto, signore della visione […], bel volto tra gli dei!».

32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

GLYPTOTEK , CO NY CARLSBERG

Durante l’Antico regno iniziò l’arte della mummificazione, che prevedeva l’applicazione su tutto il corpo di un bendaggio e di uno strato di gesso. L’abitudine di coprire la testa e le spalle del defunto con una maschera per proteggerlo e renderlo riconoscibile inizia proprio alla fine di quest’epoca. Ma le prime maschere conservatesi, a parte quelle di Ieracompoli, risalgono al Primo periodo intermedio (IX e X dinastia), quando la capitale era a Eracleopoli Magna, nel Medio Egitto. Queste maschere erano composte da due pezzi di legno uniti con pioli o tramite cartonnage, un materiale leggero e malleabile costituito da diversi strati di tessuto di lino o papiro intrecciato su cui veniva applicato del gesso. Erano decorate con una barba nel caso degli uomini e con parrucche tripartite (cioè suddivise in tre ciocche: due che incorniciavano il viso e ricadevano sul petto, e una terza, posteriore, che scendeva sulla schiena) nel caso delle donne. Le rappresentazioni dei volti dei defunti cominciarono a diventare popolari a partire dal Medio regno. Non si trattava però di veri

PENHAGEN

Legno, gesso, papiro e lino

GEMNIEMHAT

Sulla maschera di questo alto funzionario dell’XI o XII dinastia trovata nel 1921 nella sua tomba a Saqqara spiccano gli occhi aperti ed espressivi. Carlsberg Glyptotek, Copenaghen.


MEDIO REGNO

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1980-1760 a .C.

MASCHERA NUBIANA

Questa maschera funeraria è stata trovata in una tomba del sito di Mirgissa, una fortezza costruita dagli egizi intorno al 1850 a.C. in Nubia. Musée du Louvre, Parigi.

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SENBI

DAMA IBET

Appartenente a un uomo di nome Senbi, questa maschera di cartonnage, legno, pietra calcarea e ossidiana è stata rinvenuta a Meir, nel Medio Egitto.

Maschera di cartonnage dipinta, trovata anch’essa a Mirgissa. Ha un viso grigio-nero, colore che simboleggia la rinascita di Osiride. Musée du Louvre.

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TUTANKHAMON

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La maschera funeraria più famosa al mondo è d’oro e lapislazzuli, e copre il viso e le spalle del faraone. Sarà esposta nel nuovo Grande museo egizio del Cairo.

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ritratti: rispondevano piuttosto a dei modelli standardizzati che variavano in funzione dell’area geografica di provenienza. Le maschere del nord sono in genere più idealizzate, mentre quelle del sud tendono al realismo. Gli occhi esageratamente grandi e il sorriso enigmatico sono una caratteristica comune a entrambe le tipologie. Con il passare del tempo passarono dal coprire solo il volto a estendersi fino a parte del petto, per cedere finalmente il posto ai sarcofagi di legno. Fu durante il Nuovo regno che la produzione di maschere raggiunse il suo più alto grado di raffinatezza, sia per l’aristocrazia sia per la gente comune. Ce n’erano tipi e qualità differenti, dai semplici modelli in legno che imitavano la decorazione delle bare a quelle d’oro. In queste ultime si può notare un’evoluzione nelle dimensioni dei pezzi: durante il regno di Amenofi II (1425-1400 a.C.) si passò dalle grandi maschere con un viso molto piccolo a pezzi più stilizzati che coprivano la testa fino alle spalle, come la famosa maschera di Tutankhamon o quella di Psusennes I, faraone della XXI dinastia (1051-1006 a.C.), trovata nella necropoli reale di Tani.

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MASCHERA PER UN BAMBINO MAI NATO

Trovata nella tomba di Tutankhamon, questa maschera in cartonnage ricoperta di foglia oro nascondeva la testa di un feto mummificato, forse un figlio (o una figlia) mai nato del sovrano.

Simbolo di status Ma le maschere non erano una prerogativa della classe nobile: anche la gente comune veniva sepolta con questi accessori, che però di solito erano realizzati in legno policromo. Il colore applicato al viso era definito da una convenzione artistica: le maschere maschili erano dipinte in tonalità più rossicce mentre quelle femminili in qualche varietà di giallo. Per gli occhi si utilizzava il quarzo e per le sopracciglia la vernice blu. Va poi tenuto conto che le maschere rispecchiavano l’aspetto del defunto ma anche il suo status sociale. Ecco perché alcune erano fatte di materiali più costosi. È il caso delle maschere di Tuia e Yuya, i genitori della

Nelle maschere degli uomini la zona del viso era dipinta in una tonalità più rossiccia, mentre quelle delle donne in qualche varietà di giallo 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Trovata nella necropoli di Sheik abd el-Qurna, questa maschera copriva il volto della madre di Senenmut, architetto e visir della regina Hatshepsut. Metropolitan Museum, New York.

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NUOVO REGNO 1539-1077 a .C.

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TUIA

La tomba di Tuia e di suo marito Yuya fu trovata intatta nel 1905 nella Valle dei Re. Questa maschera in cartonnage dorato, con pasta di vetro e quarzo per gli occhi, copriva il volto di Tuia. XVIII dinastia. Museo egizio, Il Cairo.

Maschera di grande perfezione artistica, decorata con un’elaborata parrucca. Sul volto si apre un mezzo sorriso enigmatico. Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles.

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UOMO SCONOSCIUTO

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regina Tiy, realizzate in cartonnage dorato, a somiglianza delle maschere d’oro dei faraoni. Il contorno degli occhi e delle sopracciglia è di pasta di vetro bluastra (che simula i lapislazzuli) e gli occhi sono di pasta di vetro e quarzo. Una collana usekh in pasta di vetro di diversi colori sottolineava l’importanza dei personaggi.

UNA GIOVANE

Di epoca romana, la maschera fu trovata in una tomba della necropoli alta del sito di Ossirinco. È in cartonnage ricoperto di foglia oro e intarsiato con pasta di vetro sulla corona.

Ritratti realistici? Al termine del Nuovo regno l’uso di maschere diminuì e fu riservato alle sepolture dell’élite. La pratica riemerse solo in epoca greco-romana con la riscoperta del cartonnage. Quando era ancora bagnato, il materiale veniva modellato sul corpo del defunto, a volte solo sulla testa e altre fino alla zona sottostante al petto. La decorazione si basava su motivi egizi faraonici, mentre l’acconciatura, l’abbigliamento e i gioielli erano di solito ellenistici. Le maschere di gesso generalmente coprivano solo il capo, riservando particolare attenzione all’acconciatura, e venivano ricoperte di foglia oro e altre decorazioni di pasta di vetro e pietre semipreziose. Con il passare dei secoli le maschere egizie caddero in disuso. L’ultima fase è costituita dai cosiddetti“ritratti del Fayyum”: su una tavola lignea posta sul cranio del defunto veniva raffigurato il suo presunto volto, non necessariamente all’età che aveva al momento della morte. Le immagini seguivano la tradizione della scuola ritrattistica romana avevano tutte dei tratti in comune, sebbene ognuna venisse poi dotata di dettagli che la rendono unica. In ogni caso la lunga tradizione delle maschere funerarie egizie terminò nel IV secolo. Quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale, furono abbandonate le pratiche di mummificazione e con esse tutte le attività decorative che le accompagnavano.

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NÚRIA CASTELLANO STORICA

Per saperne di più

SAGGI

Tutankhamon. I tesori della tomba Zahi Hawass. Einaudi, Torino, 2018. Stile Egitto Sandro Vannini. Mondadori, Milano, 2009. LIBRI PER BAMBINI

36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DEA / SCALA, FIRENZE

L’antico Egitto: la maschera di Tutankhamon. La valigetta dell’arte Irena Trevisan, Nadia Fabris. Sassi, San Vito di Leguzzano, Vicenza, 2020.

Questa maschera di epoca romana risale al I secolo d.C. È riccamente decorata con scene religiose. Su entrambi i lati del collo è raffigurato il dio Anubi. Museo egizio, Il Cairo.


PERIODO GRECO-ROMANO 323 a .C. - IV

secolo d .C.

POGGIATESTA

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GEORGES PONCET / RMN

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Queste maschere in cartonnage dipinto coniugano un ritratto del defunto in stile romano con una base decorata con divinità egizie. Musée du Louvre.

BRIDGEMAN / ACI

DONNA CON GIOIELLI

Proviene da Meir, nel Medio Egitto. La donna esibisce i suoi gioielli e indossa una ghirlanda di fiori sulla fronte. Metropolitan Museum, New York.

INNOVAZIONE

Di aspetto realistico e risalente al 150-200 d.C., la maschera dimostra che gli artisti egizi di quest’epoca erano aperti all’innovazione. Brooklyn Museum, New York.


Sopracciglia e occhi fatti con pasta vitrea e lapislazzuli.

Il nemes reale o cuffia cerimoniale ricopre la testa del sovrano.

L’ureo, o cobra d’oro, che cinge la fronte del faraone è un simbolo della regalità egizia.


Collana usekh ampia e cesellata con motivi floreali che copre il petto di Psusennes I.

Nel 1940 l’archeologo Pierre Montet scoprì la tomba del faraone Psusennes I (1051-1006 a.C.). Nell’impressionante corredo venuto alla luce spicca la maschera d’oro del sovrano. L’opera, di 48 cm di altezza, è composta da diversi pezzi: la maschera facciale, incorniciata dal nemes e dalla collana usekh; il prolungamento del nemes nella parte posteriore della testa, unito alla parte anteriore per mezzo di chiodi; l’ureo, fissato al nemes, e la barba posticcia, anch’essa inchiodata alla maschera. Questa è fatta con lamine d’oro molto fini e cesellate, ma non lucidate, il che produce un singolare effetto satinato non brillante. Si tratta di un capolavoro dell’oreficeria egizia.

LA MASCHERA DI PSUSENNES I

Barba cerimoniale intrecciata caratteristica dei sovrani egizi.

SANDRO VANNINI / BRIDGEMAN / ACI


IL MONARCA CACCIATORE

Questo rilievo del palazzo Nord di Assurbanipal a Ninive mostra il re assiro sul suo carro mentre caccia leoni con l’arco. Due servitori infilzano una belva ferita dal sovrano. Sotto, a destra, tavoletta cuneiforme che narra il mito del diluvio. British Museum, Londra.

IL SAGGIO RE DEGLI ASSIRI

ASSURBA Il conquistatore del VII secolo a.C. si vantava di possedere conoscenze eccezionali e


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fondò a Ninive la più grande biblioteca del suo tempo

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE


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(653 a.C.)

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(647 a.C.)

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(664 a.C.)

L’IMPERO ASSIRO

La mappa sopra queste righe mostra l’estensione dell’impero assiro ai tempi di Assurbanipal, le campagne militari condotte da quest’ultimo e i territori perduti in Egitto.

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remila anni fa nacque il maggior impero che l’umanità avesse mai conosciuto fino ad allora: quello assiro. I suoi bellicosi abitanti, che si erano stabiliti nel nord della Mesopotamia – il territorio compreso tra i fiumi Tigri ed Eufrate, nell’attuale Iraq – avevano fondato in precedenza potenti regni, che però avevano finito per soccombere a causa di lotte intestine e di attacchi da altri regnanti, tra i quali i sovrani di Babilonia e del Mitanni. Durante il regno di Esarhaddon (680-669 a.C.) gli assiri erano riusciti a governare un va-

672 a.C. C R O N O LO G I A

UN RE GUERRIERO E SAGGIO

Per evitare scontri nella successione il sovrano Esarhaddon nomina il figlio Assurbanipal legittimo erede al trono assiro.

ESARHADDON, PADRE DI ASSURBANIPAL, E LA REGINA MADRE. BRIDGEMAN / ACI

Campagne Impero di Assurbanipal Territori perduti

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

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sto territorio, che si estendeva dalle sponde del golfo Persico al delta del Nilo. Avevano così ottenuto il controllo delle rotte commerciali lungo le quali circolavano i metalli dell’Anatolia, l’oro e l’avorio dell’Egitto, i preziosi lapislazzuli dell’Afghanistan e l’incenso della penisola arabica, usato in numerosi rituali religiosi. Tuttavia, poco dopo l’arrivo delle truppe assire in Egitto, diverse voci inquietanti iniziarono a circolare nel cuore del Paese: una profeta della città di Kharran aveva annunciato in modo solenne che il dio Nusku avrebbe presto ucciso il

667-664 a.C. Assurbanipal riprende le campagne militari contro l’Egitto che aveva già iniziato il padre e sconfigge i faraoni nubiani Taharqa e Tanutamon. Dopo la vittoria torna a Ninive lasciando come re il vassallo Psammetico I.


C. SAPPA / DEA / GETTY IMAGES

653 a.C. Psammetico I si ribella contro l’Assiria e riprende il controllo dell’Egitto. Oltre a ciò, il re elamita Teumman attacca il nord di Babilonia e affronta gli assiri nella battaglia di Til Tuba.

dici anni, fosse proclamato re nel 668 a.C. Malgrado le difficoltà, saliva al trono uno dei monarchi più importanti nella storia della Mesopotamia.

Il conquistatore Come molti suoi predecessori, Assurbanipal promosse una serie di campagne militari che dovevano tornargli utili per stabilizzarne l’autorità. Eppure i risultati lo portarono molto più lontano dei suoi avi. La lista delle vittorie di Assurbanipal è impressionante e include tappe fondamentali quali la conquista di Tebe, capitale

652-648 a.C. Shamash-shum-ukin, fratello di Assurbanipal e re di Babilonia, si rivolta e organizza una grande coalizione contro l’Assiria. Lo scontro termina con la sua morte.

LE MURA DI NINIVE

In quest’immagine delle mura di Ninive, la capitale assira, risalta in secondo piano l’enorme mole in mattoni di fango essiccati al sole della porta di Adad, una delle quindici della città.

647 a.C. LOREMU IVIS

re e tutta la sua discendenza. Nello stesso momento, ad Assur – la capitale religiosa dell’Assiria e il cuore dell’impero – un alto ufficiale sosteneva di aver avuto un sogno premonitore: un bambino uscito da una tomba gli aveva consegnato lo scettro reale di Esarhaddon perché prendesse il suo posto. Simili notizie, unite ad altre speculazioni, erano lo specchio di diverse congiure che cercavano di destituire il sovrano e impedire la successione del figlio, Assurbanipal. Alla fine vennero scoperte e i loro ideatori condannati a morte. La via era libera perché Assurbanipal, che all’epoca aveva circa se-

Assurbanipal distrugge Susa, capitale dell’Elam, e s’impossessa del regno. Muore nel 629 a.C. La dinastia prosegue sotto il regno di suo figlio Ashur-etil-ilani.

PRISMA DI ESARHADDON. VII SECOLO A.C. BRITISH MUSUEM, LONDRA. SCALA, FIRENZE


MATEMATICO E INDOVINO

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na delle iscrizioni reali di Assurbanipal rinvenuta a Ninive contiene una sorta di autobiografia in cui il sovrano sottolinea con enfasi le sue virtù intellettuali. Queste gli facevano credere di essere il più saggio tra tutti i re assiri. Eccone il contenuto: «Ho appreso ciò che il saggio Adapa ha portato [agli uomini], il senso nascosto di tutta la conoscenza scritta. Sono iniziato nella scienza dei presagi del cielo e della terra. Sono in grado di partecipare a una discussione in un consesso di sapienti, di discutere la serie epatoscopica con gli indovini più esperti. So risolvere i “reciproci” e i “prodotti” che non hanno soluzione data. Sono esperto nella lettura dei testi eruditi, il cui sumerico è oscuro e il cui accadico è difficile da portare alla luce. Penetro il senso delle iscrizioni su pietra anteriori al Diluvio, che sono ermetiche, sorde e ingarbugliate».

44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PLANISFERO PROVENIENTE DALLA BIBLIOTECA CHE ASSURBANIPAL FECE COSTRUIRE A NINIVE. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

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SERGEY MAYOROV / GETTY IMAGES

BRIDGEMAN / ACI

ASSURBANIPAL, SUL CARRO GUIDATO DA UN AURIGA, È ACCOMPAGNATO DA DIVERSI SERVITORI. BASSORILIEVO DEL PALAZZO REALE A NINIVE.

dell’Alto Egitto (664 a.C.), la sconfitta del regno iraniano dell’Elam nella battaglia di Til Tuba (653 a.C.), la repressione della rivolta del fratello Shamash-shum-ukin a Babilonia (648 a.C.) e il saccheggio della città elamita di Shushan, o Susa (647 a.C.).

Il re dell’universo Non c’è quindi da stupirsi che nelle iscrizioni Assurbanipal definisse sé stesso mediante l’uso di titoli quali “re degli assiri” o “re di Sumer e di Akkad”. In alcuni casi il sovrano si attribuiva l’altisonante appellativo di “re dell’universo”. In un primo momento l’utilizzo di questo titolo potrebbe sembrare esagerato, visto che l’impero assiro comprendeva unicamente i territori del Vicino Oriente e dell’Egitto.


Ma per giustificare l’uso di tale appellativo onorifico è importante capire cosa intendessero per “universo” gli assiri del VII secolo a.C. Difatti l’area in cui si muovevano era costituita dal territorio della Mesopotamia, dalle montagne che lo delimitavano a nord-est, dal deserto a sud-ovest e dai mari circostanti (Mediterraneo e golfo Persico). Poiché tutti quei territori si trovavano sotto il dominio assiro, durante il regno di Assurbanipal l’uso di quel “re dell’universo” era più che comprensibile. Ovviamente gli assiri sapevano bene che al di là dei propri confini esistevano altre terre, altri popoli, tribù e città. Però si riferivano a quelle regioni come a terre vuote, ovvero territori che non rivestivano un particolare interesse, luoghi caotici popolati da gente incolta, incapace di apportare valore o merci all’impero. In qualche iscrizione Assurbanipal affermava inoltre di essere il più straordinario tra tutti i re assiri. Poteva permettersi un simile sfoggio non soltanto per ragioni militari e per aver ampliato i confini dell’impero sino

a zone remote o ancora per aver sottomesso i suoi nemici senza pietà. In realtà gli piaceva sottolineare le proprie doti intellettuali, e in particolare la conoscenza dell’arte della scrittura, la capacità di risolvere problemi matematici complessi e l’abilità nel dibattere su questioni di ordine teologico con i più famosi saggi e indovini di corte. In uno dei suoi testi il sovrano assiro si spingeva a presentarsi quale discepolo di Adapa, il primo dei sette saggi mesopotamici, una serie di personaggi leggendari a cui si attribuivano saperi straordinari. I saggi risalivano ai tempi prima del diluvio che, secondo il mito babilonese, aveva distrutto le città della Mesopotamia. Da qui l’eccezionalità del

BABILONIA, LA NEMICA

Dopo aver soffocato la rivolta di Babilonia, il cui re era il fratello di Assurbanipal, il re assiro ordinò la confisca dei documenti presenti negli archivi per ampliare la sua biblioteca di Ninive. Sopra, mura di Babilonia.

Ad Assurbanipal piaceva sottolineare le proprie doti intellettuali e la bravura nell’arte della scrittura, le abilità matematiche e le conoscenze teologiche STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’ARTE DI DIVINARE IL FUTURO

MODELLO IN ARGILLA DEL FEGATO DI UNA PECORA USATO DAGLI INDOVINI BABILONESI. II MILLENNIO A.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

In basso, riproduzione di una sala della biblioteca che Assurbanipal fece edificare nel suo palazzo di Ninive.

sovrano, che riusciva addirittura a interpretare le vecchie tavolette scritte in sumero e anteriori al diluvio. Non è perciò strano che un sovrano come Assurbanipal, orgoglioso delle proprie passioni intellettuali, decidesse di dare inizio a quello che fu probabilmente il suo maggiore capolavoro nonché la sua eredità più importante: la creazione di una grande biblioteca reale a Ninive. L’obiettivo era raccogliere al suo interno tutto lo scibile mesopotamico prodotto fino a quel momento in ambiti come letteratura, medicina, magia o divinazione. Com’era prevedibile, per riempire la biblioteca ci vollero tempo ed energie. Il sovrano ordinò ai funzionari la confisca delle principali biblioteche dell’Assiria e di Babilonia. Per quanto riguarda BRIDGEMAN / ACI

LA GRANDE BIBLIOTECA

le prime, presto riuscì a entrare in possesso della collezione privata di un tale Nabûzuqup-kenu, antico scriba di Sargon II e di Sennacherib, due sovrani predecessori di Assurbanipal. L’uomo aveva radunato una vasta raccolta di testi divinatori basati su osservazioni astronomiche e meteorologiche.

I libri, bottino di guerra Decisamente più difficile era entrare in possesso delle biblioteche babilonesi, visto che si trovavano nei templi, dov’erano sorvegliate da scribi e sacerdoti particolarmente attenti e gelosi dei loro testi. Vista la cordialità delle relazioni tra Assurbanipal e il fratello Shamash-shum-ukin, re di Babilonia, il sovrano assiro optò per mettersi in contatto con i principali saggi babilonesi perché gli fornissero le copie dei testi più importanti. Ma dopo la rivolta babilonese del 652 a.C. la politica di Assurbanipal divenne molto aggressiva e si tradusse nel sequestro dei documenti. Si sa, ad esempio, che nel 647 a.C., quando la ribellione era ormai

ERICH LESSING / ALBUM

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l pari dei suoi predecessori, Assurbanipal si circondò di saggi specializzati negli oracoli e nella predizione del futuro. Diversi testi confermano che il monarca si rivolgeva abbastanza spesso ai suoi indovini affinché lo aiutassero a prendere decisioni legate al futuro del governo: la nomina di alte cariche, le date più propizie per intraprendere un’azione militare ma anche la convenienza o meno di un matrimonio dinastico. Oltre all’osservazione astronomica, il principale metodo di divinazione utilizzato dai saggi assiri consisteva nell’esaminare le viscere di una pecora appena sacrificata. Per interpretare correttamente i segnali presenti nelle interiora dell’animale vennero redatti finanche manuali specialistici.


LOREMU IVIS 3D GRAPHIC KAIS JACOB

stata soffocata nel sangue, un totale di 1.469 tavolette cuneiformi – provenienti proprio da Babilonia – fece il suo ingresso nella biblioteca di Ninive. Assurbanipal dedicò molto tempo e cura alla sua biblioteca. Secondo le fonti antiche, spesso supervisionava di persona il processo di copiatura dei testi e si permetteva persino di proporre modifiche per adattarli ai suoi gusti. Questa pratica contravveniva all’abitudine degli scribi, che all’epoca non alteravano mai le opere perché credevano che contenessero un sapere antichissimo, scaturito direttamente dagli dei e dai venerabili saggi di altri tempi. Il fatto che Assurbanipal scegliesse d’ignorare quella norma indica fino a che punto si ritenesse un sorprendente intellettuale, degno di far parte dell’eletto gruppo dei sette saggi. Un altro grande capolavoro del sovrano assiro fu la costruzione della sua residenza, oggi nota come palazzo Nord di Ninive, eretto intorno al 646 a.C. Il maestoso edificio fu in buona parte realizzato grazie al bottino e alle

risorse che Assurbanipal si era accaparrato dopo le decisive vittorie sul regno dell’Elam e su Babilonia. La struttura venne innalzata su un’immensa terrazza di circa sette metri di altezza collocata in una delle zone più nobili di Ninive, vicino al tempio di Ishtar, dea che Assurbanipal invocò perché proteggesse la sua nuova residenza. Centinaia di operai, tra i quali numerosi prigionieri di guerra, portarono a termine gli ordini degli architetti del monarca. Come la maggior parte degli edifici assiri, il palazzo reale fu costruito in mattoni di argilla cruda essiccati al sole, e per questo si sono conservati pochissimi resti delle mura originali. Per fortuna non è accaduto lo stesso con i bassorilievi in pietra

NINIVE, GRANDE CAPITALE ASSIRA

La ricostruzione mostra i templi e i palazzi di Ninive nel VII secolo a.C. Un affluente del Tigri attraversa la città che divenne capitale durante il regno di Sennacherib, nonno di Assurbanipal.

Assurbanipal sovrintendeva spesso al processo di copiatura dei testi e si permetteva persino di proporre delle modifiche per adattarli ai suoi gusti STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

47



il pannello in gesso, che appartiene a un’ampia serie di bassorilievi simili, decorava il palazzo Nord di Assurbanipal a Ninive. Vi è rappresentato con notevole realismo un gigantesco leone ferito a morte dalle frecce scagliate dal re assiro durante una battuta di caccia. Tali eventi erano organizzati in aree ben delimitate, alle cui estremità si appostavano i servitori con enormi cani per evitare che i leoni fuggissero. Erano un tipo di svago abituale tra i sovrani assiri. Già nel IX secolo a.C. il re Assurnasirpal II si vantava delle sue doti di cacciatore: «Gli dei Nimurta e Nergal, che amano il mio sacerdozio, mi hanno dato gli animali selvaggi delle pianure, ordinandomi di cacciare [...] 370 grandi leoni ho ucciso con lance da caccia».

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

I L LEONE FERITO


GLI SPIRITI DEL PALAZZO DI NINIVE

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ELLA REGGIA DI ASSURBANIPAL, a Ninive, si trovava

il bassorilievo riprodotto sopra queste righe. L’opera mostra tre personaggi barbuti che nella mano destra reggono una piccola ascia e nella sinistra una daga a lama larga. Si crede che in origine, al posto del pugnale, tenessero un arco, che però sarebbe stato successivamente cancellato. La corona alta e piatta, sicuramente decorata con piume, assomiglia a un elmo tipico di certi spiriti protettori della mitologia babilonese. Ciò ha portato a credere che le tre figure siano rappresentazioni di sebitti, “i sette”, ovvero un gruppo di divinità minori del panteon mesopotamico. A volte venivano rappresentati stilizzati con sette sfere associate alle Pleiadi. Nelle città assire di Kalkhu, Dur-Sharrukin e nella stessa Ninive esistevano templi dedicati ai sebitti, che dovevano quindi ricoprire una certa importanza. Queste divinità non vanno però confuse con i “sette demoni” che compaiono in un testo babilonese del IX secolo, L’Epopea di Erra, dove intervengono come consiglieri del dio guerriero Erra durante le sue scorribande contro gli uomini.

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BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

ALAMY / ACI

PANNELLO DEL PALAZZO DI ASSURBANIPAL A NINIVE, COLORATO PER UNA MOSTRA. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

che decoravano le pareti: molti di questi sono giunti ai nostri giorni e hanno permesso di conoscere meglio la personalità del re.

Un edificio decorato con sfarzo Al pari dei suoi predecessori, Assurbanipal fece in modo di procurarsi la protezione magica dell’edificio allo scopo di tenere lontani gli spiriti maligni che avrebbero potuto costituire una minaccia. Perciò alcuni dei suoi antenati, come il bisnonno Sargon II e il nonno Sennacherib, si erano affidati ai lamassu, colossali tori e leoni alati dalla testa umana. Assurbanipal, invece, scelse di fare a meno di quelle imponenti figure e ordinò piuttosto che a salvaguardare la sala del trono fossero poste le raffigurazioni dei sebitti, un gruppo di divinità minori della guerra della mitologia mesopotamica. Come ci si potrebbe aspettare, una parte rilevante dei bassorilievi nella sala del trono rappresentava scene a tema militare, che evocavano le vittorie decisive del sovrano: le campagne contro Babilonia, l’Elam, l’Egitto,


le tribù arabe. Sebbene Assurbanipal non avesse quasi mai accompagnato i suoi soldati sul campo di battaglia, con tali immagini creò una potente narrazione iconografica destinata a immortalare la sua immagine di leader carismatico e a tramandarla per secoli. Al contrario di quanto succede nella sala del trono, nelle stanze private del palazzo, a cui avevano accesso un numero limitato di membri della corte e alcuni diplomatici, il re fece modificare la decorazione. Lì i bassorilievi a tema militare si alternavano a scene in cui il sovrano era colto nell’atto di celebrare i trionfi. Un esempio lo si può riscontrare in un pannello dove Assurbanipal compie una libagione sulla testa mozzata del capo elamita Teumman, ucciso nella battaglia di Til Tuba. L’abile connubio tra immagini di vittorie militari e celebrazioni trionfali mostrava chiaramente ai visitatori che si avventuravano in quelle stanze il prezzo che avrebbero dovuto pagare i regni qualora avessero deciso di sfidare il potente impero assiro e il suo sovrano.

Infine Assurbanipal fece decorare parte delle pareti delle sue stanze private con un altro tema a lui molto caro: la caccia ai leoni. Attraverso i bassorilievi in cui uccide enormi felini durante affollate cerimonie pubbliche il sovrano svelava un altro tratto tipico della sua propaganda. Perché, malgrado la nota vocazione intellettuale, Assurbanipal fu sempre ben attento a mostrarsi come un eroe, un grande guerriero, un monarca forte e potente che era all’altezza dei suoi illustri predecessori, e non solo di loro. E quale migliore modo, quindi, se non quello di uccidere maestosi leoni davanti allo sguardo attento dei sudditi?

BATTAGLIA DI TIL TUBA

Il bassorilievo ricostruisce la battaglia in cui gli assiri, guidati da Assurbanipal, vinsero gli elamiti (che occupavano una regione dell’attuale Iran) nel 653 a.C. British Museum, Londra.

JORDI VIDAL PALOMINO UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA

Per saperne di più

SAGGI

Assurbanipal e la grande biblioteca Odilla Danieli. Erikson, Trento, 2019. Gli assiri Davide Nadali. Carocci, Roma, 2018. Gli assiri Eva Christiane Cancik-Kirschbaum. Il Mulino, Bologna, 2008.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LE TOM BE

ETRUSCHE DI C E RV E T E R I E TA RQU I N I A Nelle tombe gli etruschi non diedero voce unicamente alle loro credenze sull’aldilà: ne fecero dei veri e propri modelli di eleganza e di raffinatezza. Lo si può osservare negli splendidi sepolcri di due antiche città, le attuali Cerveteri e Tarquinia


SARCOFAGO DEGLI SPOSI

Venne alla luce nel 1881 durante gli scavi organizzati dai fratelli Boccanera nella necropoli della Banditaccia, a Cerveteri. Il sarcofago, di terracotta, fu realizzato in una bottega locale da artisti greci di Focea (530510 a.C.). Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, Roma. DAGLI ORTI / MUSEO DI VILLA GIULIA ROME / AURIMAGES


A

gli inizi del I millennio a.C. gli etruschi vivevano in un’estesa regione nella metà settentrionale della penisola italica, a nord della futura città di Roma. Secondo un’ipotesi, vi erano giunti due secoli prima dal Mediterraneo orientale. Erano emigrati verso occidente sulle tracce di metalli e minerali come il rame, il piombo, lo stagno, il ferro o l’allume, che iniziarono a estrarre da alcuni monti della Toscana e del Lazio. La leggenda vuole che le prime dodici città etrusche fossero unite da una potente alleanza economica, militare e religiosa. Nell’Etruria meridionale le due città più importanti erano Tarquinia (Tarchna in etrusco) e Cerveteri (probabilmente Chaire o Cheri in etrusco). La prima era nota per la produzione di armi e di utensili domestici in bronzo, la seconda per la lavorazione dell’oro e per le ceramiche. Particolarmente famoso è il cosiddetto bucchero, un tipo di vasellame nero e leggerissimo dalla caratteristica superficie lucida.

CERVETERI

15

Lusso orientaleggiante

54 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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RICOSTRUZIONE DELLA CITTÀ ETRUSCA DI CAERE E DELLA NECROPOLI DELLA BANDITACCIA. ILLUSTRAZIONE: PROGETTO KATATEXILUX. MAPPA: EOSGIS.COM

Nell’VIII secolo a.C., per ostentare la propria ricchezza, le famiglie più influenti di Tarquinia e Cerveteri adottarono costumi orientaleggianti – importati dai greci e dai fenici che si erano da poco stabiliti sulle coste del mar Tirreno – e fecero sfoggio della loro opulenza soprattutto nelle sepolture. Se nel periodo precedente le urne con le ceneri del defunto venivano deposte in modeste tombe a fossa insieme a un corredo di oggetti in miniatura, a partire dall’VIII secolo a.C. s’iniziarono a costruire immensi tumuli di terra. Sotto di essi s’inumava il cadavere, agghindato con i gioielli più eleganti e circondato dai più preziosi manufatti. In tal modo le pianure attorno a Cerveteri si riempirono di enormi monticelli, che celavano al loro interno camere funerarie sotterranee, o ipogei. Nei pressi dei tumuli si celebravano periodicamente libagioni e sacrifici in onore dei defunti lì seppelliti, e anche rituali funebri per accompagnare nell’ultima dimora chi si era spento da poco. Quest’ultimo veniva portato nella tomba di famiglia con un fastoso corteo

C R O N O LO G I A

ASCESA E DECLINO DELL’ETRURIA

XII-XI secolo a.C. Gli etruschi si stabiliscono nella zona centrale della penisola italica e s’integrano alla popolazione già presente sul territorio.


tomba regolini-galassi (nella necropoli del Sorbo)

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tomba degli scudi e delle sedie 10 Via degli inferi

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tomba della caccia e della pesca

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6. dei Dolii

Tumuli

1. delle Cinque Sedie

7. dei Vasi greci

12. Maroi

2. del Comune

8. del Pozzo

13. Policromo

3. dei Capitelli

9. della Cornice

14. del Colonnello

4. dei Letti funebri

10. dei Leoni dipinti

15. Mengarelli

5. della Capanna

11. degli Animali dipinti

16. Moretti

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Tarquinia

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Roma

IX-VIII secolo a.C.

VIII secolo a.C.

616 a.C.

351 a.C.

La classe aristocratica etrusca, in ascesa, fa sfoggio della sua ricchezza con la costruzione di tombe lussuose e dettagliate.

La città di Caere comincia a prosperare grazie allo sfruttamento dei minerali presenti sui monti della Tolfa.

Lucio Tarquinio Prisco, originario di Tarquinia, fonda una dinastia etrusca che regna a Roma fino al 509 a.C.

Dopo sette anni di guerra con i romani, gli etruschi perdono l’indipendenza. Ha inizio il loro declino.


di carri, musicisti, prefiche e numerose altre figure, che dopo prendevano parte a un ricco banchetto. Furono proprio cerimonie simili a ispirare gli straordinari affreschi presenti nelle tombe ipogee del VI secolo a.C. a Tarquinia. Poco a poco i mutamenti economico-politici cui andarono incontro nel tempo i centri etruschi ebbero una ripercussione sull’architettura funebre, che si ridimensionò, e sui rituali, che vennero semplificati. Cambiò pure la concezione dell’aldilà, che si trasformò in un inframondo dov’erano in agguato mostri terribili e implacabili dei. Nel corso dei secoli mercanti e ladri scavarono nelle terre del Lazio e della Toscana alla ricerca delle ricchezze sepolte nelle tombe dell’aristocrazia etrusca. Nel XIX secolo vennero prelevati dalle camere mortuarie dei veri e propri tesori artistici, in seguito venduti a musei europei e statunitensi grazie alla mediazione di collezionisti e trafficanti d’arte. La stampa dell’epoca riportava le notizie degli stupefacenti ritrovamenti, che attirarono l’attenzione di viaggiatori e studiosi. L’Italia risorgimentale puntava a ricercare ed enfatizzare la propria identità storica e per questo vide negli etruschi dei mirabili antenati da riscoprire.

Cinque tombe uniche Nelle pagine seguenti vengono presentati cinque tra i sepolcri etruschi più significativi dei siti di Tarquinia e di Cerveteri: la tomba Regolini-Galassi, con il sensazionale corredo di una principessa di Cerveteri del VII secolo a.C.; la tomba degli Scudi e delle Sedie, sempre a Cerveteri, che nella decorazione richiama un interno“borghese”del VI secolo a.C.; la tomba della Caccia e della Pesca, costruita nello stesso periodo a Tarquinia, con affreschi di notevole bellezza; la tomba dei Rilievi, a Cerveteri, una delle più famose nel mondo etrusco, risalente al IV secolo a.C.; e infine la tomba Giglioli, datata alla fine dello stesso secolo a Tarquinia. ELENA CASTILLO ARCHEOLOGA

TOMBE A CERVETERI

Per saperne di più

SAGGI

Spazi sepolti e dimensioni dipinte nelle tombe etrusche di Tarquinia Matilde Marzullo. Ledizioni, Milano, 2017. Etruschi Eleonora Sandrelli. Giunti, Milano-Firenze, 2019.

Nella necropoli della Banditaccia grandi tumuli come quello del Colonnello (a destra nella foto), convivono con altri monticelli dalle dimensioni più modeste. SCALA, FIRENZE

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1 VII SECOLO a .C.

LA TOMBA REGOLINI-GALASSI QUESTA TOMBA di Cerveteri, così denominata per via del generale Vincenzo Galassi e dell’arciprete Alessandro Regolini che la scoprirono nel 1836, venne costruita intorno alla metà del VII secolo a.C. Un tumulo di terra di 48 metri di diametro copriva diverse camere sotterranee, o ipogei, destinate ai membri di una stessa famiglia aristocratica. Un lungo dromos o corridoio a, in cui vennero collocati i tre carri usati nel corteo funebre, e che conteneva un letto in bronzo, portava a due celle laterali e alla camera principale b. Questo secondo ambiente conte-

Patere. Le 11 patere o vassoi in bronzo appesi alla parete della camera facevano parte dello sfarzoso corredo destinato al banchetto aristocratico.

neva invece un letto di pietra sul quale riposavano le spoglie che, secondo alcuni studiosi, erano appartenute a Larthia Velthurus, principessa della stirpe regale dei Velthur. Originariamente le pareti laterali erano decorate con arazzi ricamati c, come testimoniano i chiodi in bronzo rinvenuti a terra e i resti di tessuti trovati in altre tombe del VII secolo a.C. Il corpo della principessa era coperto con un peplo d , ora scomparso. Si conservano invece intatti i gioielli e gli oggetti personali della defunta, nonché il lussuoso corredo utilizzato durante il banchetto funebre.

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ILLUSTRAZIONE: PROGETTO KATATEXILUX

ILLUSTRAZIONE: PROGETTO KATATEXILUX

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Pettorale. Sul peplo vennero adagiati gioielli spettacolari, tra cui un’enorme fibula d’oro e un grande pettorale, anch’esso d’oro, di 43,5 cm d’altezza e 38,1 di larghezza, decorato con motivi orientali. Corredo. Parte del materiale usato durante il simposio funebre venne deposto vicino al letto. Era costituito da 15 contenitori in argento, tre patere fenicie, coppe cerimoniali e una situla, o vaso per l’acqua. Paioli. I paioli in bronzo (lebeti) con protomi o teste di leone servivano per mescolare il vino con acqua e spezie. Hanno corrispettivi principeschi nella zona di Urartu, tra l’Iran e l’Armenia.

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Gioielli. Il peplo era coperto da piccole lamine d’oro, cadute attorno al letto. Qui vennero trovati anche altri gioielli: 18 fibule in oro, una coppia di braccialetti dello stesso metallo e parti di una collana.


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Scudi. Insieme alle sedie danno il nome alla tomba e sono intagliati nella pietra e poi dipinti per cercare d’imitare i grandi scudi che decoravano le sepolture orientali.

VI SECOLO a .C.

LA TOMBA DEGLI SCUDI E DELLE SEDIE privata e includeva elementi che rivelavano il prestigio sociale dei suoi abitanti: tra questi, i seggi con schienali ricurvi e gli scudi intagliati nella pietra, che sostituivano la mobilia in bronzo delle tombe più antiche. Sul vestibolo si aprivano tre camere sepolcrali c, che ospitavano i letti intagliati nella roccia. La camera al centro era destinata al membro fondatore della sepoltura e alla moglie, mentre quelle laterali accoglievano i discendenti più prossimi. Le pareti in pietra erano illuminate da colorati motivi geometrici o raffigurazioni di cui a malapena rimane traccia.

Corredo. Era costituito da ceramica corinzia, ateniese e cipriota, nonché da ceramica simile a queste ma realizzata da botteghe locali.

SCALA, FIRENZE

ILLUSTRAZIONE: PROGETTO KATATEXILUX

NEL 1834 fu scoperta nella necropoli della Banditaccia, a Cerveteri, una sorprendente tomba della metà del VI secolo a.C. Sotto un vecchio tumulo venne alla luce un nuovo ipogeo, con un breve dromos o corridoio a e un vestibolo rettangolare b, intagliato nella pietra vulcanica e decorato con gli scudi e le sedie, o troni, che hanno poi dato il nome alla tomba. Il vestibolo centrale era lo spazio del sepolcro nel quale si celebrava il banchetto funebre il giorno in cui il cadavere veniva deposto sul suo letto mortuario. La decorazione ricordava l’ambiente familiare di una casa

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Pitture. Rimangono i resti di fasce rosse e nere con motivi geometrici quasi scomparsi. Lo stile è legato a un gruppo di artisti esiliati da Corinto durante la tirannide di Cipselo.

Trono. Simbolo del potere, il trono poteva essere occupato dal padre della famiglia a cui apparteneva la tomba.

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Anticamera. Le pitture delle pareti ricreano un paesaggio bucolico, in cui un gruppo di giovani danza allegramente 1. Oltre ai balli, durante il funerale si celebravano rappresentazioni teatrali e giochi ginnici. Sul timpano compare una scena di caccia 2.

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Camera funeraria. La sala conteneva l’urna 3 con le ceneri del proprietario della tomba. Il letto funebre della moglie 4 fu decorato con una scena di pesca 5 e l’immagine di un giovane nudo in procinto di tuffarsi nel mare 6, raffigurazione simbolica del passaggio verso l’aldilà. Sul timpano si può notare un banchetto 7 a cui partecipa la coppia di defunti: la moglie porge una ghirlanda al marito, che con una mano tocca le spalle della sposa.

ILLUSTRAZIONE: PROGETTO KATATEXILUX. FOTO: SCALA, FIRENZE

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3 VI SECOLO a .C.

LA TOMBA DELLA CACCIA E DELLA PESCA SCOPERTA NEL 1873 nella necropoli di Monterozzi, a Tarquinia, la tomba venne scavata nella roccia intorno al 530 a.C. Si compone di due camere unite tramite una rampa-scala. La struttura di en-

trambi i locali ricorda un padiglione coperto da una tenda di tela, simile a quello che gli etruschi preparavano durante la cerimonia di esibizione del corpo del defunto (prothesis). Le due camere sono

decorate con magnifici affreschi che mostrano allegre scene edonistiche, tipiche degli ipogei di Tarquinia durante l’epoca arcaica e classica, ovvero tra il VI e il IV secolo a.C. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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4 IV SECOLO a .C.

LA TOMBA DEI RILIEVI QUESTA TOMBA, scavata nel biennio 1846-1847 per iniziativa del marchese Giovan Pietro Campana, è il migliore esempio del nuovo tipo di sepolcri che sorsero a Cerveteri intorno alla fine del IV secolo a.C. Costruiti accanto agli antichi tumuli, gli ipogei si contraddistinguono per l’uso di un linguaggio artistico importato dal mondo punico e macedone. Il locale interno, interrotto unicamente dai pilastri che sorreggono il tetto, si riduce a una sola camera. All’interno della tomba dei Rilievi riposavano in totale 30 defunti. Diciassette erano dispo-

sti perpendicolarmente su una panca che seguiva il perimetro delle pareti, mentre gli altri 13 occupavano loculi indipendenti sul muro, separati tra loro da lesene. Il posto d’onore, riservato alla coppia di sposi che aveva fondato il monumento funerario, si trovava davanti all’ingresso, al centro della parete di fondo. La tomba dei Rilievi è unica nel suo genere perché se n’è conservata la decorazione originale, che annovera armi, oggetti ed esseri mostruosi, tutti realizzati su rilievi di stucco e poi dipinti in modo straordinariamente verosimile.

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SHUTTERSTOCK

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Fregio di armi. La parte superiore delle pareti era decorata con un fregio su cui erano riprodotti elementi militari, simboli dello status della famiglia: schinieri 1, elmi 2, corazze 3 e scudi 4.

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Loculo centrale. Riservato ai proprietari della tomba, era diverso dagli altri per via di alcuni dettagli modellati in gesso che imitavano le zampe intagliate in legno di una kline o divano 5.

Mostri infernali. Alla base del loculo centrale vennero rappresentati Scilla, o forse Tifone 6, un mostro infernale con code di serpente, e Cerbero, il cane a tre teste che sorvegliava le porte dell’Ade.

Pilastri. Terminavano in capitelli eolici ed erano decorati con oggetti d’ambito domestico, come una situla, o vaso 7, una kylix o coppa da vino greca, un’ascia, un coltello a lama lunga, una corda, una forma rotonda di formaggio, bisacce, un corobate (una sorta di livella) 8 e due gatti 9 che sembrano giocare con un’oca.

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11 Corredo. Nello spazio centrale, delimitato dalla panca perimetrale, venne disposto il corredo funerario della famiglia, che includeva raffinati elementi di ceramica ceretana a figure rosse e buccheri 10 , così come specchi di bronzo 11 e gioielli in oro.

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5 III SECOLO a .C.

LA TOMBA GIGLIOLI SCAVATA NEL 1959 nell’antica Tarquinia, la tomba Giglioli è un ipogeo costruito alla fine del IV secolo a.C., nella fase di decadenza delle città etrusche. Dal 310 al 240 a.C. al suo interno vennero sepolti i membri di tre generazioni della famiglia dei Pinie, che appartenevano alla classe dirigente della città. Le spoglie di ogni defunto furono deposte in sarcofagi con un epitaffio dipinto, che permette di risalire al nome del proprietario. Questo è raffigurato sdraiato di fianco sopra il coperchio. Al centro della parete di fondo, il punto più importante dell’a-

rea, vennero collocate le tombe del patriarca della famiglia. Secondo una delle possibili attribuzioni, si tratterebbe di Ramtha a, e di sua moglie Vel b. Sulla sinistra furono adagiate invece quelle del primogenito, Laris c; del secondo figlio, Larth, e di sua moglie, Apunei Thanchvil. Le spoglie dei nipoti di Ramtha e Vel occupano gli angoli ai lati dell’ingresso. Quando venne scoperta la struttura, davanti al sarcofago principale fu rinvenuta una figura femminile sdraiata D, appartenente a un altro sarcofago saccheggiato nell’antichità e di cui dunque non si conosce il nome.

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ILLUSTRAZIONE: PROGETTO KATATEXILUX

S. VANNINI / DEA / AGE FOTOSTOCK

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Affreschi. I resti dei dipinti sui sarcofagi hanno consentito di ricostruire due scene di cortei di magistrati. Sono in compagnia di demoni infernali e della dea alata Vanth 1, che regge le chiavi dell’inframondo e la torcia con cui, tra le ombre, illumina il cammino ai defunti.

Simboli dello status. Sulle pareti della tomba compaiono oggetti che rappresentano lo status privilegiato della famiglia e la sua partecipazione alla vita politica di Tarquinia: la sella curule e la toga praetexta, riservata ai magistrati 2, il mantello da aruspice (il sacerdote che interpretava il volere degli dei osservando le viscere di animali sacrificati) e quattro scudi 3.

Sculture. Le statue sdraiate di fianco che compaiono sui coperchi dei sarcofagi rispondono ai modelli greci classici, che furono introdotti nell’Etruria alla fine del V secolo a.C. I ritratti realistici, con volti assorti e distaccati, sostituirono le figure dal sembiante sereno e il sorriso eterno tipiche degli artisti di origine ionica.

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Corredo. Comprendeva un piccolo vaso in vernice rossa, due patere 4 e alcuni buccheri, nonché elementi in ceramica attica a figure rosse 5, un recipiente in bronzo, degli oggetti di ferro e diverse ciotole da cucina in ceramica grezza.


RIBELLIONE CONTRO LA REPUBBLICA

Catilina e i suoi seguaci stringono il patto per rivoltarsi contro il potere della repubblica di Roma. Olio di Niccolò Cassana. XVII secolo. Galleria palatina, Firenze. SCALA, FIRENZE

LA CONGIURA DI CATILINA LA REPUBBLICA IN PERICOLO


Oppresso dai debiti e mosso dall’ambizione, nel 63 a.C. Lucio Sergio Catilina tramò contro il senato romano una congiura che coinvolse diversi personaggi. Ma Cicerone, console della repubblica, smascherò la ribellione e così Catilina e i suoi morirono in carcere o sul campo di battaglia


A MARCO TULLIO CICERONE

Mentre era console della repubblica, il grande oratore romano sventò la cospirazione di Catilina. Busto di Cicerone nella Galleria degli Uffizi, Firenze. AKG / ALBUM

ll’inizio di giugno Catilina attirò soprattutto l’atdel 64 a.C. una tenzione dei giovani, che riusciva grave minaccia a manipolare con facilità conceincombeva sulla dendogli diversi favori, e che in stabilità della recambio adottavano i costumi del pubblica romana. Lucio Sergio nuovo leader. Malgrado ciò, alla Catilina, un giovane nobile, riunione d’inizio giugno preseardito e forte, aveva riunito un ro parte anche alcuni senatori e eterogeneo gruppo di seguapure membri dell’ordine dei caci pronti a ribellarsi contro le valieri (inferiore a quello dei seautorità di Roma. Erano tutti natori), nonché governanti delle scontenti della situazione in cui colonie e dei municipi. Davanti allora versavano sia la capitale a tutti Catilina pronunciò un disia le province italiche. La rescorso acceso e accattivante in PRIMA PAGINA DELLA MONOGRAFIA CONGIURA DI cessione economica colpiva i cui promise che, se avesse avuCATILINA, OPERA DELLO STORICO cittadini più poveri e i contadito successo, avrebbe ottenuto la ROMANO GAIO SALLUSTIO CRISPO. EDIZIONE DEL 1671. ni liberi, e nelle colonie dell’Ecancellazione dei debiti, la proPRISMA / ALBUM truria i veterani si lamentavano scrizione dei ricchi e buone cadelle terre poco fertili e dei debiti contrat- riche politiche per i suoi seguaci. ti. Nemmeno gli aristocratici romani, che Secondo le dicerie, d’altra parte sconfesavevano dilapidato il patrimonio in sfarzi di sate dallo stesso Sallustio, al termine dell’arogni tipo e avevano dissipato ingenti somme ringa Catilina fece circolare delle coppe di di denaro per promuovere le loro carriere vino mescolato a sangue umano per rafforpolitiche, si salvavano da quella situazione zare la fedeltà tra i congiurati. Uno storico drammatica di malcontento generale. successivo, Cassio Dione, riferì addirittura Catilina, che aveva un passato turbolento che in quella circostanza immolò un giovaed era anche lui pieno di debiti, si rivolge- ne e, dopo aver giurato sulle viscere della va a tutti loro. Nella Congiura di Catilina, vittima, le mangiò assieme ai suoi seguaci. scritta vent’anni dopo gli eventi, Sallustio ne tracciò un ritratto piut- Console a ogni costo tosto negativo, presentandolo Il primo passo di Catilina fu quello di precome una persona «d’ingegno sentarsi alle elezioni a console che si sarebmalvagio e viziosa» e «arden- bero svolte quell’estate per poter esercitare te nelle cupidigie». Lo storico la carica l’anno seguente. Sperava di vincere affermava che tra i suoi seguaci con l’appoggio dei suoi sostenitori e di far si trovavano «coloro che avevano eleggere anche Gaio Antonio Ibrida, un suo accumulato enormi debiti, con cui amico ugualmente oppresso dai debiti, che riscattare vergogne e delitti, e inoltre l’aspirante console credeva di poter manotutti i parricidi e i sacrileghi d’ogni specie, vrare. Ma ben presto iniziarono a circolare già condannati in giudizio o timorosi di esso voci sulla presunta cospirazione perché uno per i loro misfatti». dei congiurati, un certo Quinto Curio, ne

64 a.C.

X-63 a.C.

XI-63 a.C.

5-XII-63 a.C.

62 a.C.

Catilina propone ad alcuni sostenitori il suo progetto di candidarsi a console.

Dopo due fiaschi elettorali, Catilina si ribella. Cicerone mostra al senato le lettere che parlano della congiura.

Catilina progetta l’omicidio di Cicerone. L’oratore pronuncia in senato la prima Catilinaria.

In senato si discute sul castigo da applicare ai congiurati. Si decide per la pena di morte.

Nella battaglia finale tra ribelli e truppe romane, Catilina muore al comando dei suoi uomini a Pistoia.

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IL FORO DI ROMA

«Dopo che lo stato è caduto sotto la potestà e il dominio di pochi potenti [...] per essi genti e popoli pagano le imposte [...] gli altri, noi tutti, valorosi e virtuosi, nobili e non nobili, siamo rimasti volgo, senza influenza, senza autorità» dice Catilina ai suoi seguaci. In primo piano il tempio di Saturno, sede dell’erario pubblico. SHUTTERSTOCK


MONETA DI GIULIO CESARE

Al momento della cospirazione di Catilina, Cesare era un giovane senatore. Venne accusato dai suoi nemici di aver appoggiato la congiura. Effigie di Giulio Cesare nel rovescio di una moneta d’argento coniata nel 44 a.C. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

parlò con l’amante Fulvia, una nobile romana che poi divulgò la notizia. Secondo Sallustio, fu questo uno dei motivi per cui Catilina perse le elezioni. I votanti preferirono la candidatura del famoso oratore Cicerone, sebbene fosse un homo novus, ovvero una persona estranea alla ridotta cerchia di famiglie aristocratiche che controllavano politicamente la città. Malgrado l’insuccesso i ribelli non si persero d’animo e sotto il consolato di Cicerone e Gaio Antonio Ibrida continuarono a prepararsi affinché Catilina ottenesse la carica l’anno dopo, grazie alle elezioni dell’estate del 63 a.C. Dal canto suo Cicerone convinse Fulvia a spingere Quinto Curio a rivelarle i progetti dei cospiratori e, venuto a conoscenza della strategia degli avversari, spostò i comizi di alcune settimane. Catilina fu di nuovo sconfitto, e quest’ulteriore insuccesso spinse i congiurati a ricorrere alla violenza.

La prima mossa di Catilina consistette nel mandare diversi complici in alcuni luoghi d’Italia così da organizzare un ammutinamento armato. Un certo Gaio Manlio, ex centurione, si recò in Etruria per reclutare le truppe tra i veterani scontenti delle colonie lì fondate da Silla. La rivolta era imminente. Intanto la notte del 20 ottobre Cicerone ricevette una visita a dir poco inattesa: era Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi di Roma. Si vociferava che avesse in passato appoggiato Catilina, ma quella notte Crasso si presentò dal console per mostrargli una lettera anonima in cui si parlava della minaccia incombente. Nella missiva ricevuta veniva invitato a lasciare la città e a mettersi in salvo. Invece si defilò dai propositi di Catilina e si presentò come un fedele servitore della repubblica.

Catilina mandò alcuni complici in diversi luoghi della penisola italica per iniziare una ribellione armata 72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SCALA, FIRENZE

Salvare lo stato

Cicerone decise di convocare il senato per il giorno dopo e presentò come prova della cospirazione la lettera di Crasso insieme ad altre simili, dirette a diversi membri dell’assemblea. Un senatore confermò che in Etruria uomini fedeli a Catilina avevano iniziato a reclutare delle truppe e tutti concordarono nel dichiarare il senatus consultum ultimum, un decreto con cui, in un momento critico, si concedevano poteri straordinari ai consoli purché salvassero lo stato. La situazione stava precipitando: il 6 novembre Catilina convocò i congiurati in casa di uno di loro per concordare una strategia. Voleva partire il prima possibile per l’Etruria al fine di andare incontro a Manlio e alle sue truppe, ma prima desiderava eliminare


CATILINA RIMANE SOLO

L’olio di Cesare Maccari rievoca il momento in cui Cicerone accusa Catilina davanti al senato, i cui membri si scostano dal ribelle. XIX secolo. Palazzo Madama, Roma.

Cicerone, il maggiore ostacolo al successo della cospirazione. Due dei complici si offrirono di portare a termine l’omicidio il giorno seguente, quando si sarebbero recati a casa del senatore al momento della salutatio, la cerimonia con cui i clientes omaggiavano i “patroni”. L’oratore però era stato messo in guardia da Fulvia e gli proibì di entrare. Cicerone convocò allora il senato per una nuova riunione l’8 novembre nel tempio di Giove statore. E Catilina ebbe la sfrontatezza di presentarsi come se quell’incontro non lo riguardasse. La requisitoria del console, il cui inizio che è passato alla storia – «Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?» – fu implacabile. L’imputato rispose proclamando la sua innocenza,

IL TURBOLENTO PASSATO DI CATILINA il personaggio, le fonti antiche affermano che Catilina condusse sempre una vita dissoluta. Si diceva che avesse avuto relazioni illecite con un’ignota nobile romana e perfino con una vestale. Alcune fonti raccontano che, invaghitosi di una donna di nome Aurelia Orestilla, uccise il proprio figlio già grande perché temeva che si sarebbe opposto alle sue nozze. Nel 66 a.C. venne accusato di aver commesso estorsioni mentre governava la provincia dell’Africa l’anno prima, e perciò non poté candidarsi al consolato. Ciò fece sì che gli venisse attribuito un primo tentativo di cospirazione nel 65 a.C., che prevedeva l’assassinio dei consoli in carica e di un gran numero di senatori. Molti storici moderni dubitano di tale narrazione dei fatti.

DECISE A SCREDITARE


In questo punto un gruppo di galli che fingeva di essere d’accordo con i congiurati si consegnò agli uomini di Cicerone e gli fornì le prove della cospirazione. SHUTTERSTOCK

ma i senatori lo fischiarono e si scostarono dal suo posto in segno di sdegno. Stando a Sallustio, un Catilina furibondo pronunciò queste parole: «Ebbene, poiché attorniato da nemici sono spinto nell’abisso, estinguerò con la rovina l’incendio che mi minaccia». E quindi abbandonò Roma in compagnia di trecento uomini armati.

La congiura viene alla luce Nonostante l’assenza di Catilina, a Roma la congiura continuò grazie ai suoi complici. Tra questi emergeva la figura di Cornelio Lentulo, che pianificava di assassinare il maggior numero possibile di senatori e incendiare la città in diversi punti strategici, così da seminare il caos. Alla fine di novembre i cospiratori cercarono anche l’appoggio degli ambasciatori degli allobrogi, un popolo gallico stanziato nell’odierno territorio della Savoia e che era oppresso dai debiti. L’obiettivo era quello di usarli per sollevare la Gallia perché erano noti proprio per il loro carattere bellicoso. Ma quando gli allobrogi vennero a sapere della congiura calcolarono bene a chi prestare il loro appoggio.

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Decisero d’informare un nobile romano, Quinto Fabio Sanga, il loro patrono a Roma. Sanga non perse tempo e riferì tutto a Cicerone, che astutamente mise a punto un piano per ottenere prove inequivocabili della cospirazione. Dietro richiesta del console, gli allobrogi finsero di mostrarsi interessati alla rivolta e chiesero delle lettere sigillate ai capi ribelli di Roma, per poterle poi portare al loro popolo e convincerlo con più facilità. I congiurati della capitale acconsentirono senza sospettare nulla, e uno di loro, Volturcio, si offrì di andare in Gallia assieme agli allobrogi. La notte del 2 dicembre soldati mandati da Cicerone tesero un’imboscata sul ponte Milvio al gruppo dei galli, i quali, come accordato, si arresero senza opporre resistenza e consegnarono le lettere dei cospiratori. Volturcio venne catturato e più tardi confessò pur di avere salva la vita. Con le prove in mano, Cicerone mandò a chiamare cinque congiurati: Lentulo, Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario. Si presentarono tutti meno l’ultimo, che si diede alla fuga. Subito dopo il console riunì i senatori nel tempio della Concordia e gli mostrò le let-

PHILIPP BERNARD / RMN-GRAND PALAIS

IL PONTE MILVIO


DONNE NELLA COSPIRAZIONE per le sue trame Catilina cercò l’appoggio di alcune donne aristocratiche. Era infatti convinto che con il loro aiuto sarebbe riuscito a convincerne i mariti o a ucciderli qualora si fossero opposti. Allo stesso tempo pensava che le donne avrebbero potuto aiutarlo a istigare gli schiavi. Sallustio traccia il ritratto ambiguo di una delle complici di Catilina, Sempronia. Zia o forse madre di Decimo Bruto, uno degli assassini di Cesare, viene descritta dallo storico romano come una donna bella e dalla cultura raffinata. D’altra parte era malvista per i suoi adulteri, per aver negato un debito con uno spergiuro e anche per essere stata coinvolta in un crimine. Un caso opposto fu invece quello di Fulvia, anche lei nobile e amante di Quinto Curio, uno dei congiurati. Al contrario di Sempronia, scelse di rimanere fedele alla repubblica e divenne la confidente di Cicerone, così come rappresentato nell’olio di Nicolas-André Monsiau. Palais des Beaux-Arts, Lille.


LA PRIGIONE DEL TULLIANO

Alcuni cospiratori imprigionati prima che potessero fuggire vennero condotti in questo carcere di Roma. Poche ore dopo furono strangolati. RICCARDO AUCI

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tere e i colpevoli. I quattro imputati furono consegnati ad altrettanti nobili romani perché li sorvegliassero nelle loro case; lo stesso destino toccò a Cepario, che nel frattempo era stato catturato. In quello stesso giorno, durante la perquisizione nella dimora di Cetego, vennero ritrovate armi affilate e pronte per un’azione imminente. Il 4 dicembre, con la presentazione di altre testimonianze, riprese la sessione del senato. Il giorno dopo avvenne la discussione sulla pena da infliggere ai congiurati. Era senz’altro una decisione delicata, perché si trattava d’importanti cittadini romani. Il primo a dare una sua opinione fu Decimo Giunio Silano, il console eletto per l’anno successivo, che chiese per i condannati la pena di

morte. Tutti erano d’accordo. Solo Giulio Cesare propose una punizione alternativa: la confisca dei beni e la prigionia in diversi municipi italici. Si trattava di una misura talmente indulgente che ad alcuni parve sospetta. Contro di lui si levò il severo Marco Porcio Catone Uticense, che dissipò i dubbi dei senatori con un incisivo discorso a favore della pena di morte. Una volta emanata la sentenza, si decise di applicarla prima della fine del giorno per scongiurare qualsiasi tentativo di ribellione durante la notte. I prigionieri furono condotti al Tulliano, l’oscuro luogo di esecuzione del carcere ai piedi del Campidoglio, e lì strangolati dai boia. Di ritorno a casa, Cicerone, circondato dai alcuni nobili, visse uno dei momenti più


gloriosi della sua carriera politica, perché la gente si radunava attorno a lui acclamandolo come salvatore della patria. Per illuminare il suo cammino vennero accese delle torce e alle porte delle case furono appese lampade a olio.

La fine di Catilina La rivolta in città era stata soffocata, ma rimaneva ancora da sconfiggere Catilina. Per quello si sarebbe dovuto ricorrere alle armi. Infatti, appena seppe della morte dei suoi seguaci, il capo della congiura pensò di fuggire in Gallia assieme alle truppe, ma poi decise di schierare tremila uomini (cifra riportata da Cassio Dione) in battaglia a Pistoia, in Toscana. Fu in quel momento

che, secondo Sallustio, Catilina diede prova di una delle virtù più importanti per i nobili romani: il coraggio. Quando la battaglia era ormai persa, il ribelle si gettò nel punto in cui lo scontro infuriava e morì trafitto. Quando le armi vennero deposte, apparve chiaro che gli uomini di Catilina erano morti valorosamente: nessuno era stato ferito alle spalle, segno che non erano fuggiti. Dal canto suo, l’esercito della repubblica non celebrò la vittoria sia perché erano morti molti soldati sia perché, nell’esaminare i cadaveri nemici, in diversi scoprirono familiari o persone care. Come se quella congiura fosse un funesto presagio delle nuove e cruente guerre civili che sarebbero scoppiate di lì a poco.

LA MAISON CARRÉE

Dopo la caduta di alcuni congiurati, Catilina cercò di recarsi in Gallia per trovarvi più alleati, ma non riuscì a valicare i confini e fu costretto a combattere. Sopra, il tempio di Nîmes. BENKRUT / GETTY IMAGES

FERNANDO LILLO REDONET CLASSICISTA E SCRITTORE

Per saperne di più

SAGGI

Catilina Barbara Levick. Il Mulino, Bologna, 2017. TESTI

Le Catilinarie Marco Tullio Cicerone. BUR, Milano, 2020. ROMANZI

Il cospiratore Andrea Frediani. Newton Compton, Roma, 2018.

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IL RIBELLE MORTO IN BATTAGLIA

allustio descrive così la fine di Catilina e dei suoi seguaci: «Terminata la battaglia, allora avresti veduto davvero quanta audacia e forza d’animo fossero state nell’esercito di Catilina. Infatti quel luogo che ognuno da vivo aveva occupato lottando, ora, perduta la vita, lo ricopriva con il suo cadavere. Pochi del centro, poi [...] giacevano un po’ più lontano, ma tutti nondimeno colpiti di fronte. Catilina fu trovato lontano dai suoi, tra i cadaveri dei nemici, respirava ancora appena, recando impressa in volto la fierezza d’animo che aveva avuto da vivo». L’olio di Alcide Segoni mostra proprio il ritrovamento del corpo di Catilina. 1871. Galleria d’arte moderna, Firenze.


DEA / SCALA, FIRENZE



CATTEDRALI LA SFIDA DELL’ARTE GOTICA La costruzione di grandiosi edifici religiosi nelle città europee mise alla prova le conoscenze tecniche e le capacità organizzative delle maestranze medievali

COSTRUIRE E RICOSTRUIRE

Sopra, la guglia della cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, ricostruita da Viollet-le-Duc nel 1859 e distrutta nell’incendio del 2019. A sinistra, i costruttori della cattedrale in una miniatura del XV secolo. MINIATURA: GRANGER / ALBUM CATTEDRALE: PASCAL DUCEPT / ALAMY / ACI


MURATORI E CAPOMASTRI. RILIEVO DI ANDREA PISANO. XIV SECOLO.

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ino a circa due secoli fa era ampiamente diffusa l’idea del Medioevo come un periodo storico oscuro e negativo. Questa concezione, oltre a essere inesatta, non rende giustizia a una delle espressioni architettoniche e artistiche più elevate di quest’epoca: la costruzione di maestose e stupefacenti cattedrali gotiche. La diffusa interpretazione secondo la quale le cattedrali erano il frutto del fervore religioso di un’epoca di oscurità e ignoranza è falsa e limitante. Qualcuno sosterrebbe forse che la fede negli dei fu sufficiente a edificare il Partenone o l’Artemisio di Efeso (imprese che per costo e dimensioni sono paragonabili alla costruzione di una cattedrale)? Servirono piuttosto competenze tecniche, genio artistico, conoscenze, potenza di calcolo, sistemi di approvvigionamento di strumenti e materiali, capacità di coordinamento e di pianificazione. Perché riservare solo al Medioevo questo pregiudizio religioso, quando è qualcosa di comune a quasi ogni epoca e luogo, e privarsi così della possibilità di apprezzare in tutta la loro grandezza i valori del genio umano che seppe esprimere? Il primo passo per capire appieno l’unicità delle cattedrali gotiche è quello di tenere sempre presente la differenza fondamentale tra queste ultime e le grandi costruzioni romane. Le prime erano pensate per essere eseguite da un gran numero di lavoratori non qualificati: schiavi, legionari disoccupati o popolazione locale costretta a offrire in tributo il proprio lavoro. Gli edifici medievali

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invece erano realizzati da ristretti gruppi di operai specializzati, autentici professionisti temprati dalla pratica.

Squadre di operai Queste équipe avevano un capomastro che agiva come un primus inter pares, un primo tra pari: qualcuno capace non solo di scolpire un cuneo o un rilievo, ma anche dotato di una comprovata abilità nel dirigere e coordinare i compagni. Fu solo in epoche successive che questo maestro iniziò a disinteressarsi alla parte pratica, limitandosi a dare indicazioni dalle impalcature. Spalla a spalla con il capomastro lavorava poi una figura essenziale, il fabbriciere, un religioso incaricato di soprintendere alla qualità dell’esecuzione dei lavori, al bilancio e al rispetto delle scadenze. Al contrario di quanto potremmo immaginare, nelle maestranze c’erano delle donne, che costituivano circa un terzo del totale. In genere si dedicavano a trasportare materiali o a mescolare la malta: in Italia la presenza femminile dedita al trasporto di pietre per la costruzione del duomo di Orvieto è attestata fino alla metà del XIV secolo. Si sono poi conservate testimonianze di casi di donne che hanno raggiunto anche il ruolo di maestre. È ciò che avvenne delle cattedrali di Norwich e di Strasburgo: lo straordinario portale sud di quest’ultima fu realizzato dalla scultrice Sabina von Steinbach, a cui sono attribuite anche alcune opere di Notre-Dame. A Cuenca invece una donna di nome Maria diresse il laboratorio delle vetrate.

AKG / ALBUM

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C R O N O LO G I A

ETÀ DEL GOTICO XII secolo A Saint-Denis, in Francia, viene eretta la prima cattedrale gotica, e s’iniziano gli edifici sacri di Parigi e Chartres.

XIII secolo Nel periodo dello splendore del gotico si costruiscono le cattedrali di Siena, Beauvais, Colonia, Salisbury e York.

XIV secolo Prosegue l’edificazione di grandi cattedrali in città come Strasburgo, Barcellona e Palma di Maiorca.

XV secolo Lo stile tardo gotico è rappresentato da cattedrali come quelle di Gloucester, Toledo e Siviglia.

XVI secolo In quest’epoca di transizione al Rinascimento vengono costruite le cattedrali di Salamanca e Segovia.

XIX secolo Si concludono i grandi edifici di Colonia, Firenze, Milano e Barcellona, fino ad allora incompleti. NELLA CAVA

Lavoratori estraggono pietre. Illustrazione del libro Sulle proprietà delle cose, di Bartolomeo Anglico. XV secolo. British Library, Londra.


DUOMO DI MILANO

GRU E IMPALCATURE PER LA COSTRUZIONE DI UNA CATTEDRALE. BIBLIOTHÈQUE DES ARTS DÉCORATIFS, PARIGI.

In primo piano uno dei leoni del monumento dedicato a Vittorio Emanuele II e sullo sfondo la maestosa cattedrale gotica.

un palazzo donato da un re o da un nobile. È quanto, secondo la tradizione, accadde con la prima cattedrale della storia: San Giovanni in Laterano fu eretta nel IV secolo accanto a una delle porte di Roma, nel luogo offerto in dono dall’imperatore Costantino per la costruzione dell’edificio. C’erano anche casi in cui a determinare la scelta erano ragioni pragmatiche: nel XVI secolo si decise di edificare la nuova cattedrale spagnola di Segovia nel sito meno caro, un’area dove sorgevano unicamente un convento di suore e le case del quartiere ebraico, recentemente abbandonate a causa dell’espulsione dei suoi abitanti dai territori del regno di Castiglia.

MATERIALI DA COSTRUZIONE

KHARBINE-TAPABOR / ALBUM

Trasporto di pietra di gesso e gres arrivata a Parigi per via fluviale. Miniatura delle Ordinanze del prevosto dei mercanti di Parigi. XV secolo.

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Molti dei costruttori di cattedrali erano lavoratori apprezzati, adeguatamente pagati e che godevano di privilegi quali, per esempio, l’esenzione dalle tasse. Di solito avevano a disposizione un alloggio, e se non erano soddisfatti dei salari non esitavano a organizzare scioperi e proteste. Benché potesse essere utilizzato anche un certo numero di schiavi (di solito prigionieri di guerra), il loro contributo non raggiunse mai quello del lavoro forzato nell’antichità. Quando si decideva di erigere una cattedrale, il primo compito era quello d’individuare il sito adeguato e reperire i materiali necessari. A volte l’area prescelta era collegata a un luogo sacro, per esempio la tomba di un santo, come avvenne nel caso delle cattedrali di Santiago de Compostela o di Autun. In altre occasioni si utilizzava il terreno su cui sorgeva un tempio precedente (una moschea, un santuario romano o un antico edificio cristiano), o il sito di

La questione dei materiali era un capitolo a parte: non tutti i luoghi erano provvisti di quelli adatti alla costruzione di una cattedrale, e i costi di trasporto potevano far lievitare enormemente la stima iniziale. In Italia, per esempio, le pareti di chiese e cattedrali erano spesso rivestite di marmi colorati (come nel caso di Orvieto, Firenze o Siena) per renderle maggiormente distinguibili nel denso tessuto urbano. Ma spesso l’inconveniente del trasporto obbligava a adottare soluzioni alternative. L’eventuale presenza di un corso d’acqua semplificava le cose: molte cattedrali inglesi, per esempio, furono costruite con pietre trasportate dalla Francia via nave. Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, scelse per il duomo della città, che avrebbe dovuto rivaleggiare con Notre-Dame in quanto a magnificenza, di non usare il tipico mattone lombardo, ma il pregiato marmo di Candoglia, che si trasportava fino ai cantieri per la costruzione del duomo grazie al naviglio Grande, un canale artificiale costruito nel XIII secolo. Anche a Siviglia la pietra per la costruzione della cattedrale fu fatta arrivare dalla foce del Guadalquivir, il fiume che attraversa la città: nel porto fluviale sivigliano fu montata la cosiddetta “gru del capitolo”, per scaricare blocchi in arrivo. Questa divenne una fonte d’introiti

MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12

BRIDGEMAN / ACI

La scelta della pietra




PARETI DI LUCE

La prima basilica gotica in Europa fu la chiesa del convento reale di Saint-Denis, costruita nello stile propugnato dal suo abate, Suger: Cristo era la luce del mondo e la luce era una parte fondamentale dell’edificio stesso. ALAMY / ACI


LA CATTEDRALE GOTICA DI GERONA

STRUMENTI DI LAVORO

Un operaio controlla la sagomatura di un blocco con una squadra. Nella mano sinistra ha un attrezzo da intaglio. Miniatura del XV secolo.

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per la cattedrale, che l’affittava ad altri stivatori, e contribuì a trasformare la città in una potenza navale e commerciale. Una volta sgomberato il sito, il maestro riportava sul terreno le linee disegnate in precedenza su un piano e si procedeva a scavare le fondamenta. Da quel momento in poi era tutto un’incalzante alternarsi di programmazione, modifiche e improvvisazioni. Questo permise d’inserire nel processo di costruzione di tante cattedrali le novità tecniche e plastiche sopraggiunte nel frattempo. Si è sempre detto che i maestri medievali custodivano con zelo i segreti del loro mestiere, ma le testimonianze indicano piuttosto il contrario: i cantieri del Medioevo erano una fucina d’idee. Quando sorgevano dei problemi, si organizzavano delle riunioni per decidere come proseguire i lavori. In questi incontri prevaleva a volte

la posizione minoritaria e più audace, come avvenne ad esempio a Gerona, dove si decise la costruzione della navata più ampia di tutto il Medioevo. Anche nella Milano del XIV e nel XV secolo si discuteva in merito ad alcune difficoltà sorte nella costruzione del duomo: lo stesso Leonardo da Vinci presentò delle proposte, che in un secondo momento ritirò. La costruzione di una cattedrale non sarebbe stata possibile senza un’ampia gamma di strumenti, da quelli per lavorare la pietra alle macchine per il trasporto e il sollevamento dei materiali. Il Medioevo fu attraversato da un generale rinnovamento tecnologico che portò a diversi miglioramenti rispetto all’antichità. Comparvero, per esempio, la gru girevole, il carro con cerchioni metallici, la carriola e varie macchine da taglio. I falegnami avevano un ruolo essenziale nei lavori: spettava a loro occuparsi dei pontili e delle centine (le strutture provvisorie in legno che sostenevano archi e volte durante la costruzione), elementi indispensabili ma destinati a scomparire come il nome dei loro artefici.

Molto mestiere e poco calcolo Ciò che oggi stupisce di più è la capacità di trovare soluzioni ai problemi mano a mano che si presentavano. I piani non erano neanche lontanamente così specifici come quelli di un progetto architettonico attuale e molte questioni erano piuttosto lasciate aperte: la risposta adeguata veniva trovata caso per caso. Non c’era inoltre nulla di simile al calcolo delle strutture: si ricorreva semplicemente a formule collaudate, basate su una geometria grafica che non era supportata dal calcolo astratto, ma nasceva dall’uso pratico di compassi e squadre. Molte cattedrali aspiravano a inaugurare nuovi modelli o a raggiungere dimensioni mai viste prima ma, per quanti plastici o disegni parziali a grandezza naturale realizzassero, l’unico modo per sapere con certezza se un edificio sarebbe rimasto in piedi era rimuovere le centine che sostenevano temporaneamente le coperture. Non sorprende

GABRIELE CROPPI / FOTOTECA 9X12

CATTEDRALE DI REIMS. ELEVAZIONE DELLA CAMPATA NEL TACCUINO DI VILLARD DE HONNECOURT. XIII SECOLO.

BNF / RMN-GRAND PALAIS

All’inizio del XIV secolo la vecchia cattedrale romanica fu ampliata con tre navate di stile gotico, che furono poi portate a una di larghezza eccezionale.



LA CATTEDRALE DI BEAUVAIS

Fu progettata nel XIII secolo con proporzioni monumentali. Già nel XVI secolo diversi crolli costrinsero a rinunciare al prolungamento delle navate, di cui nella foto si apprezza la lunghezza ridotta. BORISB17 / AGE FOTOSTOCK



Et a vel inullati denimillati sincto beatem. Eveliqui optaqui aut dolestinum con sumqui cus velibus eicil esto escimus strum, sum quia si recepedita cusant fuga. Itinus

DUOMO DI SIENA

Costruito nei decenni centrali del XIII secolo, il duomo di Siena si distingue per le pareti di marmo bianco e nero, e il campanile di 77 metri di altezza.

MÉDIATHÈQUE DE L’ARCHITECTURE ET DU PATRIMOINE / RMN-GRAND PALAIS

LOREM LOREM LOREMMMMM

CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE

Gli architetti medievali e rinascimentali realizzavano modellini in legno degli edifici. Questo rappresenta la cattedrale di Firenze. XV secolo.

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pertanto che alcune delle strutture più audaci crollassero o richiedessero un rinforzo successivo. Particolarmente rischiosa era la costruzione delle navate, quando si provava a superare le dimensioni dettate dalla prudenza, così come succedeva con i tamburi, le gigantesche torri che sorgevano nel punto d’intersezione dei due bracci della cattedrale. A Beauvais il colossale capocroce dell’edificio (lo spazio dove si trovano il presbiterio e l’abside) crollò già alla fine del XIII secolo, rendendo necessario raddoppiare i pilastri; ma i lavori s’interruppero poco dopo il transetto. Nella cattedrale di Palma di Maiorca, alta quasi quanto quella di Beauvais, la precarietà delle volte non scoraggiò i costruttori: alla fine l’immensa struttura fu portata a termine con successo grazie a un sistema di contrappesi sotto la copertura. Ad Amiens le proporzioni dell’edificio resero necessaria la costruzione di alcune

cappelle di rinforzo, che si rivelarono però insufficienti. E a Milano si dovette ingabbiare la struttura originale in un’armatura di ferro per scongiurare crolli. A volte poteva succedere che l’ambizione con cui s’intraprendevano i lavori non fosse sostenuta dai necessari mezzi economici. In quei casi erano i problemi finanziari a decretare l’interruzione dei cantieri. È quanto avvenne nel sud della Francia: la cattedrale gotica di Elne fu abbandonata praticamente all’inizio e quella di Narbona fu lasciata a metà. I successivi tentativi di ampliare la struttura possono a volte lasciare la strana sensazione di una chiesa piccola “soffocata” tra le fauci di un tempio molto più grande ma incompiuto. È il caso di Beauvais o Le Mans. A Siena l’enorme ristrutturazione prevista non fu completata: i muri e gli archi di un progetto mai concluso sono ancor oggi parte del paesaggio urbano. A Colonia, Milano e Ulm i progetti medievali furono conclusi solo nel XIX secolo.

Come la conquista dello spazio Dati gli sforzi e le risorse economiche richieste, viene spontaneo domandarsi perché si costruissero cattedrali. Queste erano il mezzo con il quale la civiltà occidentale metteva alla prova le sue forze, l’ambito in cui le società esploravano i propri limiti e verificavano le loro capacità. Ed erano anche un metro per misurare l’ascesa e la prosperità delle città. Era dunque l’equivalente medievale della “conquista dello spazio”, e fu un alternarsi di successi e fallimenti. Ma se in linea di principio le cattedrali avevano la stessa utilità (o inutilità) di una sonda spaziale diretta verso Marte, di fatto assolvevano a varie funzioni pratiche. Erano luoghi dove si celebravano riti ordinari o solenni, e che ospitavano la cattedra (trono) episcopale da cui prendono il nome; erano pure la sede del governo diocesano in un’epoca in cui il ruolo attualmente svolto dalle province era ricoperto dalle diocesi, ovvero i territori soggetti alla giurisdizione

MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12

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ELEVAZIONE DEL CAPOCROCE DELLA CATTEDRALE GOTICA DI COUTANCES, ERETTA NEL XIII SECOLO IN NORMANDIA.



CATTEDRALE DI AMIENS

La più grande di tutte le cattedrali gotiche ha una navata di 42,5 m di altezza suddivisa in tre sezioni: sulle grandi arcate della parte inferiore poggia un triforio (o galleria), sormontato a sua volta dalle aperture vetrate che si uniscono alla volta a crociera. FRANS SELLIES / GETTY IMAGES



CATTEDRALE DI COLONIA

DORDRECHT E LA SUA CATTEDRALE

Questo pannello della fine del XV secolo mostra la cattedrale gotica di Dordrecht con la sua torre incompiuta. Rijksmuseum, Amsterdam.

di un vescovo. Il capitolo (il collegio formato dai canonici o sacerdoti della cattedrale) si riuniva nel coro dell’edificio per la preghiera e nella sala capitolare per l’amministrazione dei fondi destinati ai lavori di edificazione e provenienti dalla raccolta di affitti e imposte. C’erano però molte altre fonti di finanziamento, come la vendita di terreni funerari o la gestione dei bagni pubblici. Logicamente una parte degli introiti tornava a finanziare beni della collettività: la cattedrale si occupava della costruzione e della manutenzione di ospedali, strade e ponti.

Il foro cittadino Questi colossali edifici costituivano soprattutto il centro delle attività cittadine, una sorta di versione medievale del foro romano. Qui i mercanti si trovavano per concludere accordi e le corporazioni per gestire i loro affari. Le mura esterne, e a volte anche le navate, ospitavano negozi e imprese; le cappelle e i chiostri accolsero le prime scuole univer96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sitarie; nelle logge si riunivano i membri del consiglio comunale, e davanti ai portali o in altri luoghi specifici veniva amministrata la giustizia. Sotto le loro volte vagavano i nullafacenti, gli amanti si corteggiavano, le donne transitavano con le ceste cariche di bucato e i pastori con il bestiame. All’interno di alcune cattedrali è attestata la presenza di cavalli e persino lo svolgimento di corse di bovini. Ormai all’inizio del XX secolo Rainer Maria Rilke, scrittore e drammaturgo austriaco, menzionava i cani che gironzolavano liberamente per la cattedrale di Toledo. A partire dalla fine del Medioevo il numero sempre maggiore di attività che si svolgevano in questi edifici costrinse a stabilire dei limiti. Diverse istituzioni nate all’interno delle cattedrali dovettero costruirsi delle sedi proprie all’esterno: nacquero così le logge per il commercio, le università, i tribunali, le case delle corporazioni e i municipi. In Età moderna, dopo la Controriforma e il Concilio di Trento, le cattedrali sprofondarono in un crescente rigore religioso che ne spense l’antico slancio vitale. La scomparsa delle loro fonti di finanziamento – causata dalla perdita di potere da parte della Chiesa – e la loro successiva trasformazione in musei hanno finito per allontanare queste opere dalla società: tutti quei personaggi che avevano popolato questi maestosi spazi sacri furono relegati al di fuori di essi e oggi si stenta a riconoscere nelle cattedrali ciò che furono in origine. Nate come emblemi del potere, aprirono le loro porte a chiunque volesse entrarvi per pregare, passeggiare o svolgere le attività più disparate. E al contempo stimolarono i progressi tecnici di un’intera epoca. MIGUEL SOBRINO GONZÁLEZ STORICO DELL’ARCHITETTURA MEDIEVALE

Per saperne di più

SAGGI

Trionfo del gotico M. Aubert, J.A. Schmoll Eisenwerth, H.H. Hofstätter. Ghibli, Milano, 2016. La cattedrale. Dalle origini al gotico Anne Prache. Jaca Book, Milano, 1999.

WALTER G. ALLGÖWER / AGE FOTOSTOCK

ALBUM

La costruzione iniziò nel 1248 dopo l’incendio di una cattedrale precedente. I lavori terminarono solo nel XIX secolo con l’erezione dei due campanili gemelli.



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uesta illustrazione raffigura la costruzione di un’immaginaria cattedrale gotica sopra una chiesa romanica di epoca precedente, che viene demolita 1 nel frattempo. Gli scalpellini lavorano nella loggia situata alla base del cantiere, dove hanno anche una fucina per forgiare e riparare attrezzi 2. La cattedrale si trova accanto alle mura della città 3 e a una piazza dove si svolgono attività commerciali 4; un ponte sopraelevato la collega al palazzo vescovile 5. I lavoratori meno qualificati, in alcuni casi prigionieri di guerra, scavano i fossati per le fondamenta 6, mentre gli scultori intagliano statue alla base dell’edificio o rifiniscono dettagli e capitelli dalle impalcature 7. Gru 8, centine e ponteggi 9 permettono di eseguire i lavori nella parte più alta dell’edificio.

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ILLUSTRAZIONE: MIGUEL SOBRINO GONZÁLEZ

NASCITA DI UNA CATTEDRALE


IL TEATRO DELLE OPERAZIONI

In questa splendida composizione che illustra lo scontro di Nördlingen tramite un’ampia mappa animata emerge tutta la maestria del fiammingo Pieter Snayers come pittore di battaglie. L’opera è conservata presso il Museo nazionale di Stoccolma. FINE ART IMAGES / ALBUM


La grande vittoria dei tercios spagnoli

LA BATTAGLIA DI NÖRDLINGEN Il 6 settembre 1634, durante la Guerra dei trent’anni, vicino alla città bavarese di Nördlingen si svolse un gigantesco scontro in cui i tercios dell’esercito spagnolo resistettero all’assalto delle potenti truppe svedesi e alla fine le sconfissero


ll’alba del 6 settembre 1634 le migliaia di soldati accampati vicino a Nördlingen pensavano probabilmente che lo scontro che le attendeva in giornata sarebbe stato uno dei tanti episodi di quella guerra tra cattolici e protestanti che infuriava in Germania ormai da sedici anni. Molti indizi andavano in quella direzione, come il fatto che la battaglia avrebbe visto fronteggiarsi un esercito assediante e uno in appoggio degli assediati, com’era comune all’epoca. Ma l’imminente combattimento era anche atteso con apprensione: era la prima volta che svedesi e spagnoli si scontravano in campo aperto. Sarebbe stato dunque un importante momento di confronto tra due scuole militari.

Perché Nördlingen?

PALADINO DEL CATTOLICESIMO

Su questa moneta di rame coniata nel 1632 per Filippo IV appare una croce con l’iscrizione latina “In questo segno vincerai”. Sotto sono visibili diverse armi. QUINTLOX / ALBUM

Erano passati quattro anni da quando l’intervento in Germania delle truppe svedesi guidate dall’aggressivo sovrano Gustavo II Adolfo aveva dato ai protestanti un certo vantaggio militare contro lo schieramento cattolico, guidato dall’imperatore Ferdinando II d’Asburgo. In seguito il re svedese sarebbe caduto in battaglia, ma le sue truppe avrebbero continuato ad avanzare verso il sud della Germania. Lo scontro con gli spagnoli sarebbe avvenuto a Nördlingen. Situata nella cattolicissima Baviera, la città era diventata la roccaforte di una forza protestante che si ritrovava circondata dalle truppe imperiali e bavaresi. Assediati e assedianti attendevano l’arrivo dei rinforzi.

Il 2 settembre giunse l’esercito del fratello del re spagnolo Filippo IV, Ferdinando, noto come cardinale-infante, che era partito dall’I-

C R O N O LO G I A

VERSO LO SCONTRO 102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA SANGUINOSA GUERRA DEI TRENT’ANNI iniziò nel 1618 con la rivolta della nobiltà protestante di Boemia contro il futuro imperatore Ferdinando II d’Asburgo, che schiacciò i ribelli. Nel 1625 il re Cristiano IV di Danimarca si mise alla guida della fazione protestante, ma varie sconfitte lo costrinsero a ritirarsi nel 1629. Nel 1631 gli succedette Gustavo II Adolfo di Svezia, che s’impose a Breitenfeld e Lützen, dove morì nel 1632; la sconfitta degli svedesi a Nördlingen nel 1634 li obbligò a retrocedere fino alla Pomerania. Nel 1635 entrò in guerra anche la Francia per contrastare il potere degli Asburgo austriaci e spagnoli, dai cui domini era circondata. Le vittorie francesi portarono alla fine del conflitto nel 1648 con la pace di Westfalia.

LA CONTESA

talia in giugno. Con lui c’erano le truppe di veterani che si sarebbero distinte in combattimento, come per esempio i tercios – reggimenti – spagnoli di Martin d’Idiáquez e del conte di Fuenclara. Nördlingen era di scarso interesse strategico, ma i protestanti avevano perso da poco altre due città, e il loro prestigio

1631

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1633

La vittoria svedese a Breitenfeld mette fine ai successi degli Asburgo nella Guerra dei trent’anni, iniziata nel 1618.

L’avanzata svedese verso sud procede inarrestabile con le vittorie di Lech e Lützen, portando la guerra in territori cattolici lontani dal fronte.

Un esercito di 12mila uomini proveniente da Milano e condotto dal duca di Feria procede verso le Fiandre. Viene attaccato dagli svedesi che si sentono minacciati.


CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

militare e la loro credibilità ne erano usciti danneggiati. La situazione era precaria: i cattolici potevano superare le mura cittadine da un momento all’altro. Un esercito svedese, guidato da Bernardo di Sassonia-Weimar e Gustav Horn, era arrivato in soccorso degli assediati. Al momento i cattolici avevano an-

cora circa il cinquanta per cento di effettivi in più rispetto agli avversari, ma un altro esercito protestante composto da seimila soldati era a pochi giorni di marcia. Il suo arrivo avrebbe riequilibrato le forze in campo. Ma la notte del 4 settembre Ber-

1634 (maggio-agosto)

1634 (settembre)

Le forze imperiali e bavaresi, insieme ai superstiti dell’esercito di Feria, contrattaccano con successo. I cattolici prendono Ratisbona e Donauwörth.

Il 2 il cardinale-infante si unisce alle truppe imperiali e bavaresi che assediavano Nördlingen dal 17 agosto; il 6 settembre schiacciano i protestanti.

DIEGO MESSÍA FELÍPEZ DE GUZMÁN, MARCHESE DI LEGANÉS, LUOGOTENENTE DEL CARDINALE-INFANTE. OLIO DI GASPAR DE CRAYER. 1627-1628. ERICH LESSING / ALBUM


nardo di Sassonia prese la rischiosa iniziativa di attaccare senza aspettare i rinforzi. La mossa non era così avventata come potrebbe sembrare a prima vista: gran parte dei precedenti successi svedesi erano infatti avvenuti nonostante l’inferiorità numerica. Il loro esercito era formato da veterani e Bernardo disprezzava le truppe di Filippo IV al punto da proclamare che si sarebbe “mangiato” gli spagnoli e gli italiani. Quello fu l’errore decisivo dei comandanti protestanti, un eccesso di fiducia che avrebbero pagato a caro prezzo.

Il posizionamento

UN ESERCITO MULTINAZIONALE LE FORZE CATTOLICHE erano composte da contingenti

dell’imperatore Ferdinando II, di Filippo IV di Spagna e dalle truppe bavaresi. I leader di questo fronte erano il cardinale-infante, fratello di Filippo IV, e Ferdinando III d’Ungheria, figlio dell’imperatore. Sebbene fossero entrambi giovani, rappresentavano un’importante autorità morale per le proprie truppe. La direzione della battaglia era affidata ai rispettivi luogotenenti: da parte imperiale a Matthias Gallas, sostenuto da Ottavio Piccolomini; da parte del cardinale-infante al marchese di Leganés (formatosi alla scuola militare delle Fiandre), assistito da Gerardo Gambacorta, capo della cavalleria, e Giovanni Serbelloni, al comando dell’artiglieria. Il duca di Lorena guidava le truppe bavaresi.

BRIDGEMAN / ACI

FERNANDO III, CON GALLAS E PICCOLOMINI ALLE SUE SPALLE, SALUTA FERDINANDO D’ASBURGO (A SINISTRA), ACCANTO AL MARCHESE DI LEGANÉS.

All’alba del 5 settembre gli svedesi abbandonarono le loro caserme e si diressero verso Ulm, fingendo di allontanarsi dal terreno dello scontro. Una volta nascosti alla vista dai boschi circostanti tentarono di occupare le colline di Heselberg, Allbuch e Schönfeld, che dominavano la zona e gli avrebbero permesso di controllare il campo di battaglia a sud-ovest di Nördlingen. Presero agevolmente Heselberg, ma per raggiungere Allbuch dovevano prima impadronirsi di un boschetto situato ai piedi del colle.

Le truppe del cardinale-infante, posizionate davanti a quei rilievi, erano però altrettanto interessate ad assumerne il controllo. Per ostacolare l’avanzata svedese fu inviato nel boschetto il sergente maggiore Francisco de Escobar, del tercio di Fuenclara, alla testa di duecento moschettieri. Con grande sorpresa dei generali svedesi, i soldati spagnoli resistettero coraggiosamente per più di cinque ore prima di essere costretti a ritirarsi a causa della carenza di munizioni e della superiorità nemica. Ma in quel breve lasso di tempo i cattolici avevano guadagnato delle ore essenziali a fronte di poche perdite: la resistenza di Escobar permise al suo fronte di conquistare Allbuch, la più alta delle tre colline, d’importante valenza strategica. Il pomeriggio del 5 tre reggimenti tedeschi al servizio della Spagna, il tercio napoletano di Toralto, 1.200 cavalieri italiani e borgognoni, e quattordici pezzi di artiglieria furono inviati a occupare e fortificare la postazione agli ordini del conte Serbelloni, che comandava l’arti-


glieria del cardinale-infante. Sulla cima della collina furono costruite tre ridotte – o fortificazioni secondarie – a forma di mezzaluna, costituite da una trincea e un parapetto. Non fu un’impresa semplice a causa della natura pietrosa del terreno che non permetteva di arrivare a più di un metro di profondità, ma per quanto elementari, queste difese si sarebbero rivelate estremamente utili. Quella sera i comandanti cattolici si riunirono per discutere i passi successivi. Sapevano che il cuore della battaglia sarebbe stato la collina di Allbuch. Dato che buona parte dei soldati dei reggimenti tedeschi era inesperta, si decise d’inviare in rinforzo uno dei due tercios spagnoli. Prima dell’alba arrivò così sulla collina il tercio d’Idiáquez, il più preparato.

Nel frattempo il grosso delle forze spagnole, guidate dal cardinale-infante, si trovava sulla collina di Schönfeld, a nord di Allbuch. Le forze imperiali e bavaresi, comandate rispettivamente da Ferdinando d’Ungheria e dal duca di Lorena, erano schierate alla loro destra, permettendo di mantenere la comunicazione con Nördlingen. Complessivamente i cattolici avevano circa 20mila fanti e 15mila uomini a cavallo, tra cui duemila cavalieri leggeri croati e ungheresi, senza contare i malati, gli addetti ai bagagli e la guardia che sorvegliava le opere d’assedio. Di queste forze, 12mila fanti e tremila soldati appartenevano all’esercito del cardinale-infante. Da parte loro i protestanti misero in campo 16mila fanti, novemila cavalieri, mille dragoni

VISTA A VOLO D’UCCELLO

Al centro di questa incisione si vedono le tre ridotte della collina di Allbuch, difese dai tercios d’Idiáquez e di Toralto e dal reggimento tedesco di Leslie. AKG / ALBUM

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TEATRO DI DUE BATTAGLIE

La città di Nördlingen fu costruita nel cratere di un meteorite, da cui deriva la sua forma ovale. Nei dintorni furono combattute due battaglie: quella del 1634, che terminò con la sconfitta degli svedesi, e quella del 3 agosto 1645, che vide la vittoria francese sulle truppe imperiali. HANS-PETER HUBER / FOTOTECA 9X12



FLORILEGIUS / ALBUM

MOSCHETTIERE DEL XVII SECOLO CON LA MICCIA DELL’ARMA ACCESA E LA FORCELLA SU CUI POGGIARE IL MOSCHETTO PER SPARARE.

I TERCIOS, UNA MACCHINA DA GUERRA TEORICAMENTE un tercio era composto da tremila

effettivi suddivisi in 15 compagnie di 200 uomini ciascuna, ma la realtà poteva essere molto diversa. Il 10 agosto 1634 il tercio d’Idiáquez contava 1.800 uomini suddivisi in 23 compagnie. Era composto da veterani e ufficiali che avevano perso i loro posti quando le rispettive unità erano state soppresse, ma che continuavano a prestare servizio per un salario superiore a quello di un soldato semplice e guidavano gli altri con l’esempio. Il tercio era comandato da un maestro di campo coadiuvato da un sergente maggiore. I due erano nominati dal re, di solito in base alla loro esperienza: all’epoca infatti non esistevano accademie di ufficiali e la scuola era l’esercito stesso.

(soldati a piedi e a cavallo) e sessantotto cannoni. L’ala destra era guidata dallo svedese Horn, che avrebbe condotto l’attacco principale su Allbuch con 9.400 fanti, sostenuti da sei cannoni leggeri e quattromila cavalieri. L’ala sinistra era comandata da Bernardo di Sassonia-Weimar e aveva una funzione difensiva: proteggere il fianco di Horn e minacciare la linea cattolica per impedirle d’inviare rinforzi sulla collina, sulla cui cima migliaia di uomini si preparavano all’assalto svedese. Le ridotte del centro e della sinistra erano occupate dalle truppe tedesche, mentre quella di destra era presidiata dai napoletani del tercio di Toralto. Agli spagnoli d’Idiáquez spettava l’onore di schierarsi in prima linea, ma, dato che erano stati gli ultimi ad arrivare,


cedettero la posizione ai tedeschi per evitare lamentele e si posizionarono in riserva. Nel complesso a difendere Allbuch c’erano seimila fanti, con i fianchi protetti da 1.200 cavalieri italiani e borgognoni; sulle pendici della collina, nelle retrovie, duemila fanti lombardi e un reggimento imperiale avrebbero dovuto rafforzare le posizioni in caso di necessità.

Comincia la battaglia All’alba l’artiglieria protestante iniziò a martellare le posizioni nemiche. Era il segnale che Horn stava aspettando per dare il via alla carica su Allbuch, ma la cavalleria protestante sull’ala destra si ritrovò la strada sbarrata da un dirupo. Nel tentativo di attaccare le truppe situate sulla collina fu bersagliata dal fuoco

nemico e quindi assalita al fianco dalla cavalleria borgognona. La situazione degli squadroni protestanti si fece critica e fu risolta solo dall’intervento delle riserve di cavalleria.

Maggiore successo ebbe la carica della fanteria svedese contro la ridotta centrale difesa da due reggimenti tedeschi, i cui soldati inesperti crollarono dopo la morte dei loro colonnelli. In quell’occasione gli spagnoli del tercio d’Idiáquez, situati nelle retrovie, dimostrarono la loro esperienza: per evitare di essere investiti dai fuggitivi misero le picche in posizione orizzontale. Poi, approfittando della confusione creata dall’esplosione di un carro di polvere da sparo, avanzarono per riconquistare la posizione persa. Una volta in prima linea, gli uomini d’Idiáquez tenne-

LO SCONTRO DELLE CAVALLERIE

In quest’olio dell’epoca Jacques Courtois evoca il sanguinoso scontro tra la cavalleria di Gambacorta e quella svedese sulla collina di Allbuch. SCALA, FIRENZE

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Collina di Allbuch

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INCISIONE DI BALTHASAR FLORISZ VAN BERCKENRODE. 1634-1636. RIJKSMUSEUM, AMSTERDAM.

LA SEQUENZA DELLA BATTAGLIA HTTP://HDL.HANDLE.NET/10934/RM0001.COLLECT.335835

uesta incisione mostra in simultanea, dalla prospettiva delle postazioni spagnole sulla collina di Schönfeld, le diverse fasi della battaglia e le unità che vi presero parte. A sinistra si vedono gli scontri per il controllo della collina di Allbuch:


La parte superiore dell’incisione mostra la disposizione delle forze protestanti prima dell’attacco.

Boschetto di Heselberg

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FORZE CATTOLICHE

1. Tercio spagnolo d’Idiáquez 2. Tercio napoletano di Toralto 3. Reggimento tedesco di Leslie 4. Reggimenti tedeschi di Salm

e Würmler dopo la ritirata 5. Cavalleria napoletana e borgognona agli ordini di Gambacorta 6. Tercios lombardi di Panigarola e Guasco 7. Reggimento imperiale arrivato in rinforzo 8. Mille moschettieri imperiali arrivati in rinforzo 9. Tercio napoletano di San Severo 10. Tercio napoletano di Torrecuso 11. Tercios borgognoni di La Tour e Alberg 12. Il cardinale-infante e il re d’Ungheria 13. Tercio Lombardo di Lunati 14. Tercio spagnolo di Fuenclara 15. Reggimenti bavaresi 16. Cavalleria imperiale e bavarese Esercito protestante Esercito cattolico

15

l’assalto di Gustav Horn (A) costrinse due reggimenti tedeschi a retrocedere, ma il tercio spagnolo d’Idiáquez e quello napoletano di Toralto resistettero alla carica con l’aiuto della cavalleria di Gambacorta (B). Gli infruttuosi attacchi di Horn spin-

Truppe bavaresi

sero Bernardo di Sassonia-Weimar a lanciare contro i napoletani due brigate di fanteria (C), che furono respinte da due tercios lombardi coperti dall’artiglieria situata sulla collina di Schönfeld; l’arrivo dei rinforzi, tra cui un migliaio di mo-

schettieri, permise ai cattolici di conservare Allbuch. L’ultima brigata di Sassonia-Weimar, che resisteva nel boschetto di Heselberg (D), fu sconfitta e i protestanti si ritirarono inseguiti dalla cavalleria imperiale e bavarese (E).


ALBUM

IL CARDINALE-INFANTE ALLA BATTAGLIA DI NÖRDLINGEN, DI RUBENS. 1634-1635. PRADO, MADRID.

FERDINANDO, IL CARDINALE-INFANTE FERDINANDO D’ASBURGO era figlio di Filippo III. All’età

di dieci anni fu nominato arcivescovo di Toledo, ma non fu mai ordinato. Fu incaricato di sostituire la zia Isabella Clara Eugenia al governo dei Paesi Bassi, che avrebbe raggiunto da Milano alla guida di un’importante spedizione. Prima, nel 1633, l’esercito del duca di Feria si occupò di rendere più sicuro il tragitto. Nel giugno del 1634 Ferdinando partì da Milano con più di 12mila uomini. Fece una deviazione in Baviera per collaborare con le forze cattoliche che assediavano Nördlingen. Dopo la vittoria proseguì verso i Paesi Bassi e nel 1636 fu il protagonista della presa di Corbie: in quell’occasione l’armata delle Fiandre arrivò a soli 130 km da Parigi.

ro testa agli avversari. Secondo le cronache cattoliche, contro la loro posizione furono lanciati quindici assalti; le fonti protestanti parlano della metà. In ogni caso, la capacità di resistenza dei veterani del tercio d’Idiáquez si rivelò decisiva. Gli svedesi non poterono molto contro l’esperienza degli spagnoli, abili nel chinarsi all’unisono per evitare le raffiche dei moschettieri scandinavi e subito pronti a rispondere al fuoco. Circa novemila fanti furono lanciati in cariche successive contro 1.800 spagnoli che resistettero ai ripetuti assalti. Dal canto suo la cavalleria protestante riuscì a occupare la collina, isolando le truppe delle tre ridotte, ma non fu adeguatamente sostenuta dalla fanteria e venne così ricacciata dai cavalieri agli ordini di Gambacorta. Anche i napoletani di Toralto, posizionati alla destra degli spagnoli, ebbero un ruolo di primo piano. Prima affrontarono con grande presenza di spirito la cavalleria protestante, che cercò di caricarli frontalmente ma fu fermata a colpi di lancia. Poi ressero all’assalto della fanteria. Visti i problemi di Horn sulla collina – e i messaggi che continuava a inviare per chiedere rinforzi –, attorno alle sette e trenta Bernardo di Sassonia-Weimar ordinò a due delle sue brigate di fanteria di attaccare la posizione napoletana. Ma le truppe partenopee resistettero anche grazie all’appoggio dalle retrovie di due tercios lombardi, che caricarono lateralmente mentre l’artiglieria situata sulla collina di Schönfeld gli copriva le spalle.

La catastrofe svedese Da quel momento la situazione dei protestanti si fece più complicata. Nonostante fossero sempre più indeboliti, gli svedesi si ostinavano a proseguire l’assalto alla collina. I difensori invece ricevettero all’incirca un migliaio di effettivi di rinforzo, soprattutto moschettieri. La fanteria protestante si trovò di fronte un muro di piombo. Alle dieci del mattino Bernardo di Sassonia-Weimar lanciò all’attacco la sua cavalleria. L’offensiva fu contrastata dalla cavalleria imperiale e bavarese con l’appoggio dalla fanteria – tra cui quattrocento moschettieri del tercio di Fuenclara –, che precluse ai protestanti ogni possibilità di


vittoria. Dopo sei ore di combattimenti dall’esito incerto, la vittoria andò al fronte cattolico. I capi protestanti cercarono di ripiegare in posizione difensiva e attendere l’arrivo della notte, ma ormai era troppo tardi e non riuscirono a resistere oltre. La cavalleria fu decimata e l’unica brigata di fanteria che non era ancora entrata in battaglia non ebbe neppure la possibilità di difendersi sulla sommità della collina di Heselberg. Sul campo di battaglia rimasero ottomila protestanti; altri tremila morirono nel successivo inseguimento; persero tutti i bagagli e l’artiglieria, oltre a quattrocento bandiere e stendardi.

I cattolici fecero prigionieri quattromila soldati e diversi comandanti, tra cui lo stesso Horn. Sul loro fronte si registrarono duemi-

la morti. Nördlingen, la peggiore sconfitta svedese di tutta la guerra, significò di fatto l’annientamento dell’esercito protestante. Il ramo spagnolo degli Asburgo aveva soccorso con successo i cugini viennesi, ma la Francia, preoccupata da una possibile egemonia iberica sul continente, dichiarò guerra alla Spagna nel 1635. Si apriva una nuova fase della Guerra dei trent’anni. ANTONIO JOSÉ RODRÍGUEZ HERNÁNDEZ UNIVERSITÀ NAZIONALE SPAGNOLA ISTRUZIONE A DISTANZA (UNED)

Per saperne di più

LA FINE DELLA BATTAGLIA

Questa incisione del XIX secolo ricostruisce la resa del conte Horn; il comandante svedese fu uno tra le migliaia di prigionieri di Nördlingen. MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

SAGGI

La rivoluzione militare Geoffrey Parker. Il Mulino, Bologna, 2014. La guerra dei trent’anni 1618-1648 Veronica Wedgwood. Il Saggiatore, Milano, 2018.

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Morione. Le ali di questo elmo proteggevano il viso, la nuca e le orecchie dai colpi verticali.

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Corsaletto. Indossato dai picchieri, era composto dal pettorale, dagli spallacci e dai cosciali che proteggevano la parte superiore delle gambe.

Teoricamente i 200 membri di ogni compagnia di un tercio erano suddivisi tra 70 corsaletti armati di picche, 40 moschettieri e 90 archibugieri. Il 65 per cento degli uomini aveva quindi armi da fuoco.

LE ARMI DEI TERCIOS


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BOARD OF TRUSTEES OF THE ROYAL ARMOURIES

Forcella. Fino al 1650 il peso e le dimensioni dei moschetti rendevano necessario l’appoggio a una forcella per mirare e sparare.

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BOARD OF TRUSTEES OF THE ROYAL ARMOURIES

Fiaschetta per la polvere da sparo a grana molto fine che veniva messa nello scodellino del moschetto o dell’archibugio.

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Bandoliera di cuoio con fiaschette di polvere da sparo di grana più grossa che veniva inserita nella canna assieme al proiettile. Ogni fiaschetta di legno è una carica; in genere erano dodici e i soldati le chiamavano “i dodici apostoli”.

BOARD OF TRUSTEES OF THE ROYAL ARMOURIES

Moschetto a miccia. Un grilletto faceva abbassare una serpentina con una miccia accesa sullo scodellino caricato di polvere da sparo. L’esplosione forniva la propulsione al proiettile. A metà del XVII secolo si riteneva che la canna del moschetto dovesse essere lunga almeno 118 cm.

INTERFOTO / AGE FOTOSTOCK

Spada. Nel XVII secolo furono accorciate a 73 cm di lunghezza per favorire la mobilità.

ALBUM

Picca. Lunga circa 5 metri, aveva l’asta in legno di frassino e poteva pesare tra i 3 e i 4 kg.


GRANDI ENIGMI

L’esplosione della Maine, attentato o incidente? Nel 1898 il governo degli Stati Uniti accusò la Spagna della distruzione della corazzata. Oggi si ritiene che sia stato un incidente accanto alla boa dov’era ancorata, a circa una dozzina di metri di profondità. Alcuni testimoni riferirono di aver sentito due deflagrazioni, la prima «simile a un colpo di pistola» e la seconda così violenta da provocare delle fiammate, una pioggia di frammenti di metallo e un fumo denso che si alzò sopra i resti dell’imbarcazione. Il bilancio delle vittime fu terribile: su un equipaggio di 354 uomini si registrarono 266 morti e circa una ventina di feriti. Quando la notizia arrivò negli Stati Uniti, una parte della stampa nordamericana, che da mesi criticava ferocemente la politica spagnola a Cuba, non esi-

tò ad accusare gli iberici di aver affondato la corazzata. Il 16 febbraio il New York World di Joseph Pulitzer insinuava: «Non è chiaro se l’esplosione sia avvenuta all’interno o al di sotto della Maine». Il giorno successivo un altro giornale, il New York Journal, titolava inequivocabilmente: «La distruzione della Maine causata dal nemico». L’opinione pubblica infervorata esigeva una risposta militare.

Varie ipotesi La marina degli Stati Uniti creò una commissione per indagare sulle cause dell’affondamento della Maine. Gli esperti inviati a Cuba, dopo aver interrogato i testimoni

UN CAPITANO INCAUTO IL CAPITANO della Maine, Charles Sigsbee (a sini-

ALAMY / ACI

stra), era nelle cabine di poppa della nave la notte del 15 febbraio 1898, abbastanza lontano dal centro dell’esplosione da uscirne illeso. Sigsbee negò sempre ogni responsabilità, ma dalla sua dichiarazione al tribunale della marina militare emerse che aveva trascurato l’adozione di alcune misure di sicurezza.

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LA CORAZZATA

GRANGER / AGE FOTOSTOCK

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l 25 gennaio 1898 la corazzata statunitense Maine entrò nella baia dell’Avana. Il governo degli Stati Uniti dichiarò che si trattava di una visita di routine, com’era consuetudine fino a pochi anni prima. Ma quella volta in effetti c’era qualcosa di diverso: dal 1895 era in corso a Cuba una sanguinosa guerra tra le autorità spagnole e il movimento indipendentista cubano, e tutti sapevano che gli Stati Uniti stavano per intervenire militarmente a favore degli insorti. Tre settimane dopo, il 15 febbraio 1898 alle 21:40, la Maine saltò in aria. Un’esplosione la fece sollevare dall’acqua e poi affondare

saltò in aria a causa di un’esplosione il 15 febbraio 1898. L’evento fu la causa scatenante della guerra tra la Spagna e gli Stati Uniti.

e svolto delle indagini, redassero un rapporto in cui conclusero che solo l’esplosione di una mina sotto la nave avrebbe potuto provocare danni simili. Altri specialisti insistettero sull’alta probabilità di un incidente, ma la teoria della mina prevalse e s’impose come versione ufficiale. Il rapporto arrivò al Congresso degli Stati Uniti il 29 marzo e divenne il pretesto diretto per dichiarare guerra alla Spagna il 25 aprile. Al grido


LA STAMPA MENTE… THE NEW YORK WORLD, un giornale di pro-

il rapporto di questa nuova indagine era così vago che non forniva alcun indizio che aiutasse a determinare le cause dell’incidente. A conclusione dei lavori, la Maine fu rimorchiata in alto mare e affondata con la dinamite e da quel momento in poi ogni nuova ipotesi si basò solo su prove indiziarie. Se si accettava la teoria di un’esplosione intenzionale, restava da determinare chi l’aveva organizzata. Il rapporto ufficiale degli Stati

GRANGER / ALBUM

di «Ricordatevi della Maine e al diavolo la Spagna!», gli Stati Uniti liquidarono in tre mesi e mezzo la secolare presenza iberica in America e in Asia. Nel 1911 il governo degli Stati Uniti decise di ripescare i resti della Maine dal fondo della baia dell’Avana. Fu costruita una specie di armatura attorno al relitto, ne venne estratta l’acqua e fu fatto riemergere, per poi essere esaminato accuratamente all’aria aperta. Ma

prietà del magnate Joseph Pulitzer, sostenne che gli ufficiali spagnoli avevano brindato dopo l’esplosione della Maine. In realtà avevano lavorato instancabilmente tutta la notte per soccorrere i superstiti. Sotto, prima pagina della testata del 17 febbraio 1898.

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GRANDI ENIGMI

DETROIT PUBLISHING / LIBRARY OF CONGRESS

L’EQUIPAGGIO della U.S.S. Maine posa in gruppo nel 1898, poco prima della fatale esplosione che avrebbe distrutto la nave.

Uniti non era concludente e al suo interno non s’indicava un colpevole, ma la stampa e l’opinione pubblica puntarono immediatamente il dito contro la Spagna. Eppure, quando la Maine affondò, gli spagnoli erano i meno interessati a provo-

Luogo di affondamento della Maine

care il gigante statunitense e speravano piuttosto che la concessione dell’autonomia a Cuba avrebbe risolto il conflitto. Per questo motivo alcuni presero in considerazione un’altra ipotesi, cioè che si fosse trattato di un attacco perpetrato dagli indipendentisti cubani. In realtà la maggior parte di loro voleva dagli Stati Uniti solo assistenza militare e

finanziaria, sospettando che Washington potesse avere secondi fini. Ma c’era una fazione convinta della necessità di un diretto intervento militare nordamericano per mettere fine alla guerra e che potrebbe aver inscenato l’attacco per smuovere l’opinione pubblica statunitense. L’ipotesi del complotto degli indipendentisti non è però sostenuta da prove.

I sommozzatori spagnoli ispezionarono il relitto e conclusero che si era trattato di un incidente MAPPA DELLA BAIA DELL’AVANA, CON IL PUNTO DELL’AFFONDAMENTO DELLA MAINE. PAUL FEARN / ALAMY / ACI

Non è possibile provare neppure la tesi opposta: cioè che gli stessi ufficiali della Maine, la maggior parte dei quali si trovava sulla terraferma al momento dell’incidente, fecero saltare in aria la propria nave per incolpare gli spagnoli e spianare così la strada alla guerra. Qualcuno ha suggerito che dietro la campagna di diffamazione contro la Spagna del 1898 potesse esserci William R. Hearst, uno dei magnati della stampa. Nel gennaio di quell’anno, Hearst attraccò il suo yacht Buccaneer di fronte all’Avana, vicino alla corazzata. Dopo aver visitato l’imbarcazione e incontrato i


LA MAINE nel punto

SPENCER ARNOLD / GETTY IMAGES

della baia dell’Avana dove affondò nel 1898. Nella foto sono visibili alcuni resti e l’albero.

membri dell’Habana Beisbol Club, lasciò la baia. Quattro giorni dopo la Maine affondò. Secondo alcuni autori, gli interventisti come Hearst volevano provocare un incidente per scatenare una guerra, ma un errore di calcolo portò al massacro. Però non esistono prove neppure a sostegno di tale ipotesi.

Esplosione misteriosa In realtà non è mai stato dimostrato che la Maine sia saltata in aria per un ordigno esterno. Secondo gli statunitensi i sommozzatori che ispezionarono il relitto nel 1898 trovarono la chiglia e le placche dello

scafo piegate verso l’interno. Il risultato è compatibile con una detonazione esterna, ma potrebbe anche essere dovuto all’impatto della struttura dell’imbarcazione con il fondale marino. L’esplosione, secondo diversi testimoni, produsse uno scoppio sordo, ma non generò colonne d’acqua né moti ondosi, né si verificarono morie di pesci. Inoltre lo squarcio provocato da un ordigno avrebbe portato al rapido allagamento della parte inferiore della nave, rendendo molto improbabile l’esplosione dei magazzini di munizioni. I sommozzatori spagnoli che condusse-

ro un’ispezione a distanza dopo l’affondamento stabilirono che non c’erano indizi di un’esplosione esterna. Altri sostennero che la deflagrazione potesse essere stata causata da una mina navale. Esplosivi di questo tipo erano spesso utilizzati per ostacolare il transito delle imbarcazioni nelle zone costiere, in particolare baie e porti. Gli statunitensi le avevano usate con successo durante la guerra civile ed erano in dotazione anche alla marina militare spagnola. Ma le mine disponibili a Cuba erano considerate scadenti per la loro bassa potenza esplosiva: durante la guerra

ispano-americana due navi statunitensi ne distrussero diverse con le eliche nella baia di Guantanamo. Se non si trattò né di un attacco né di un sabotaggio, allora l’affondamento della Maine fu forse causato da un’esplosione interna. Questa corazzata in servizio dal 1895, di circa cento metri di lunghezza e diciassette di larghezza e di 6.700 tonnellate di peso, trasportava un doppio carico che richiedeva speciali misure di sicurezza: da un lato il carbone per alimentare le otto caldaie che muovevano le due eliche gemelle; dall’altro circa sessanta tonnellate di polSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI ENIGMI

Carbone

Magazzino per la conservazione della polvere da sparo

DOPO I RISULTATI dello studio

Incendio

Qui sopra si può vedere la sezione della chiglia danneggiata.

Indagine sulla catastrofe

In questo disegno è indicata la zona interessata, ricostruita sopra.

dell’ammiraglio Rickover, che nel 1975 riuscì a determinare che l’esplosione della Maine era stata un incidente, altre indagini sono giunte alla stessa conclusione. Secondo un’analisi del relitto si verificò un iniziale incendio nella carbonaia; il fuoco si sarebbe poi propagato fino al magazzino adiacente, facendo esplodere gli oltre 4.500 chili di polvere da sparo che vi erano conservati. In basso le ricostruzioni illustrano dove avvennero le esplosioni e i danni che provocarono alla chiglia della nave.

La sezione della chiglia qui riprodotta rivela un danno dall’interno.

INTERNO della Maine prima dell’esplosione che la distrusse completamente. I magazzini dove si verificarono le detonazioni sono segnati in rosso.

DETONAZIONI. Il disegno ricostruisce la sequenza di detonazioni verificatesi sulla Maine. Ci furono probabilmente diverse esplosioni. ILLUSTRAZIONI: NGS

Questo disegno della sezione danneggiata suggerisce un’esplosione esterna.


I RESTI DELLA MAINE

ALAMY / ACI

nella baia dell’Avana. Nel 1911 una parte della baia fu drenata per recuperare e analizzare i resti della nave.

vere da sparo per gli armamenti di bordo, un materiale molto instabile e facilmente infiammabile. Non è chiaro cosa possa essere successo. Alcuni pensano a un surriscaldamento del carbone che si sarebbe poi propagato al deposito di polvere da sparo a causa delle scarse misure di sicurezza. Nei tre anni precedenti l’affondamento della Maine una dozzina di navi statunitensi avevano registrato incidenti associati alla combustione spontanea del carbone. Una ventilazione inadeguata poteva provocare un incendio difficilmente identificabile nella carbonaia e un aumento di temperatura

di circa 350 gradi, sufficiente a infiammare la polvere da sparo negli scompartimenti adiacenti.

Ci fu negligenza? L’altra possibilità è un’accensione spontanea delle munizioni conservate nelle polveriere. La stabilità della polvere da sparo utilizzata all’epoca dipendeva dalla materia prima di cui era costituita, la nitrocellulosa. Qualsiasi cambiamento di temperatura, umidità e pressione, così come la mancata eliminazione dei prodotti di decomposizione della polvere stessa, poteva provocarne la combustione

spontanea. La reazione chimica poteva essere lenta e rimanere impercettibile fino al momento in cui il calore prodotto non raggiungeva il resto della munizione. Esplosioni di questo tipo hanno continuato a verificarsi sulle navi da guerra per tutto il XX secolo e, nonostante i progressi nella fabbricazione delle munizioni, continuano a rappresentare un rischio ancor oggi. Ora si sa che al momento della deflagrazione la maggior parte degli esperti, anche statunitensi, ritenne che si trattasse di un incidente. L’indagine ufficiale ignorò gli indizi in questo senso per

ragioni patriottiche e per nascondere la negligenza dei comandanti della Maine. I dubbi sulle cause del disastro hanno continuato ad aleggiare per decenni, finché nel 1975 una commissione di esperti diretta dall’ammiraglio Hyman Rickover, tra i promotori della propulsione nucleare navale, ha concluso che l’esplosione era stata interna e che forse gli ufficiali non avevano agito con la dovuta cautela. GERMÁN SEGURA STORICO MILITARE

Per saperne di più La guerra di Cuba 1898 Giovanni D’Angelo. Murena, Corciano (PG), 1997.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Il tesoro sommerso di Anticitera

A

ll’inizio del XX secolo i pescatori greci delle coste dell’Asia Minore si dedicavano ancora alla raccolta di spugne nelle acque dell’Africa settentrionale. Dopo lunghissime traversate in barca, s’immergevano a decine di metri di profondità per staccare dalle rocce questi animali classificati come poriferi, che venivano lasciati essiccare all’aria aperta e poi lavorati e venduti come articoli per la pulizia. Nel 1900 un gruppo di pescatori partito dall’isola di Simi a bordo di due piccoli caicchi, delle leggere imbarcazioni a remi, fu costretto da una tempesta a rifugiarsi ad Anticitera (in italiano chiamata anche Cerigotto), un’isola situata tra Creta e il Peloponneso.

GRECIA

MAR EGEO

AT E N E

Anticitera

CRETA

Mentre aspettavano che il tempo migliorasse, decisero di tentare la fortuna e cercare spugne. Gettarono quindi l’ancora in una zona conosciuta dai locali come Pinakakia, a una ventina di metri dalla costa.

Volti sotto il mare Ilias Stadiatis fu il primo dei sei sommozzatori a entrare in acqua. Con sua grande sorpresa, a una cinquantina di metri di profondità osservò sul fondale marino numerosi corpi di uomini, donne e cavalli.

Impressionato, risalì immediatamente in superficie e riferì ciò che aveva visto. Il racconto incuriosì il capitano Dimitrios Kontos, che indossò lo scafandro e s’immerse per verificare di persona. Ad attenderlo sui fondali marini non trovò dei cadaveri, bensì delle statue. Il tenue chiarore gli permise di distinguerne alcune in marmo e altre in bronzo. Emozionato dalla scoperta di quel tesoro che chissà da quanto riposava sul fondo del mare, riemerse portando con sé un braccio di bronzo. Si dovette aspettare il 6 novembre perché Kontos riuscisse a comunicare il ritrovamento alle autorità greche e a riunirsi ad Atene con Spyridon Stais, ministro dell’istruzione e degli affari religiosi. Come prova della veridicità del suo rac-

NURPHOTO / GETTY IMAGES

Nel 1900 dei sommozzatori ritrovarono il relitto di un’antica nave greca con un eccezionale carico di statue e merci di lusso

conto, portò con sé il braccio di bronzo recuperato nelle acque di Anticitera. Il giorno seguente inviò una lettera al ministro della cultura chiedendo l’autorizzazione per riportare in

CRONOLOGIA

70-60 a.C.

1900

1902

1976

UN CARICO PREZIOSO

Una nave greca naufraga al largo di Anticitera con un prezioso carico di merci di lusso.

Dei pescatori di spugne greci scoprono il relitto di Anticitera.

L’archeologo Valerios Stais nota che alcuni frammenti di bronzo formano il “meccanismo di Anticitera”.

Jacques Cousteau esplora per la seconda volta il sito del relitto e trova statuette, gioielli e ceramiche.

122 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


ODISSEO. Statua della

prima metà del I secolo a.C. trovata durante le esplorazioni del 19001901. Museo archeologico nazionale, Atene.

I SOMMOZZATORI del ritrovamento celebra «gli sforzi senza precedenti e davvero eroici dei sommozzatori». Le immersioni giornaliere per periodi così prolungati rappresentavano un rischio per la salute: uno dei pescatori morì per malattia da decompressione dopo essere emerso troppo velocemente. UNA CRONACA

Palombari in azione Il governo greco approvò immediatamente il recupero dei reperti dai fondali marini, ritenendo che l’operazione avrebbe aumentato il prestigio della Grecia agli occhi delle potenze europee. Fino ad allora la ricerca archeologica non aveva mai potuto studiare

nessun relitto completo, nonostante diversi tentativi infruttuosi e il ritrovamento occasionale di alcuni manufatti e qualche statua. Se la descrizione di Kontos era veritiera, poteva trattarsi di una delle più importanti scoperte della storia. I lavori iniziarono il 24 novembre 1900 e durarono una decina di mesi, sotto la supervisione dell’unità archeologica del Dipartimento di antichità e con l’assistenza della marina

SOMMOZZATORI E AUTORITÀ AD ANTICITERA NEL 1901.

ALAMY / ACI

superficie i resti dell’imbarcazione e del carico, ma anche una ricompensa finanziaria per la scoperta.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Statue recuperate La nave affondata al largo di Anticitera trasportava decine di statue, forse destinate al mercato dell’arte, rinvenute in buone condizioni.

1. Lottatore. Statua in marmo di Paro. La parte sepolta nel fondale è intatta, mentre l’altra è stata corrosa dall’acqua marina.

militare greca, che inviò una nave in appoggio alla spedizione. Il cattivo tempo però rallentò le operazioni, impedendo di portare a termine il recupero. I sommozzatori, provvisti di un unico scafandro, erano costretti a immergersi a

turno. Eppure, nonostante questi inconvenienti e la totale mancanza di tecniche archeologiche, l’equipaggio di Kontos riuscì a realizzare dei ritrovamenti dal valore inestimabile. Per la prima volta nella storia fu recuperato il carico quasi integrale di un antico relitto: anfore, statue di bronzo e di marmo, gioielli, metalli e altri re-

2. Efebo di Anticitera. Statua di 1,94 metri di cui qui è visibile il busto. Conserva parte dei materiali utilizzati per ricreare gli occhi.

perti che furono portati al Museo archeologico nazionale di Atene. Qui, nel maggio del 1902 l’archeologo Valerios Stais si rese conto che una parte dei resti di bronzo trovati dai pescatori combaciava: nell’insieme formavano un marchingegno che venne denominato il “meccanismo di Anticitera”. Si trattava di un complesso cal-

Nel 1902 si scoprì che i frammenti di bronzo di Anticitera formavano un complesso marchingegno MECCANISMO DI ANTICITERA. FRAMMENTO FRONTALE. MUSEO ARCHEOLOGICO, ATENE. BRIDGEMAN / ACI

colatore astronomico il cui funzionamento è stato chiarito solo di recente.

Collezione unica Oltre un secolo dopo il ritrovamento si sa che i reperti viaggiavano su un bas t i m e n to d i t re c e n to tonnellate che naufragò a causa di una tempesta al largo della costa di Anticitera tra il 70 e il 60 a.C. Le monete e i materiali rinvenuti nel relitto suggeriscono che l’imbarcazione provenisse da Delo, Pergamo o Efeso. La destinazione finale era probabilmente Pozzuoli, nel golfo di Napoli, da dove le merci


4. Pugile. Statuetta di bronzo di 24 cm di altezza realizzata alla fine del II secolo a.C. e trovata durante la campagna del 1976.

avrebbero raggiunto le ville delle più esclusive famiglie dell’élite romana. Nella ricca collezione di sculture in bronzo ritrovata spiccano le statue di un efebo (340-330 a.C.) e la “testa di filosofo” (230 a.C.), di eccezionale realismo, così come altre sculture in stile classico. Numerosi frammenti fanno sospettare la presenza sul fondale marino di ulteriori reperti. Furono rinvenute anche trentasei sculture in marmo di Paro di differenti dimensioni e stati di conservazione, che rappresentano personaggi della mitologia greca come Odisseo, Ermes,

L’oceanografo e regista francese Jacques Cousteau esplorò il sito del relitto una prima volta nel 1953 e poi nuovamente nel 1976 su richiesta del governo greco. Nonostante le condizioni meteorologiche avverse, nel corso della seconda missione riuscì a recuperare alcune statuette di bronzo e centinaia di vasi di ceramica, gioielli e altri oggetti di vetro, confermando che buona parte del carico si trovava ancora sul fondale marino. Anticitera però non ha smesso di stupire: tra il 2012 e il 2017 gli archeologi Brendan Foley e Theotokis

Apollo, Eracle e Zeus. Nel corso delle operazioni di recupero di una quadriga di cavalli in marmo, le corde con cui era legato uno degli animali si spezzarono, e il frammento ricadde sul fondale marino, dove si trova ancora oggi. La nave trasportava anche tre klinai – una sorta di divani di legno con rivestimenti di bronzo –, così come una grande collezione di gioielli e recipienti di ceramica e di vetro. Tra questi, una ventina di vasi costituiscono un esempio unico di produzione vitrea in epoca ellenistica nell’area siro-palestinese.

1. E 4. SPL / AGE FOTOSTOCK. 2. E 3. G. NIMATALLAH / GETTY IMAGES

3. Filosofo. Questa testa apparteneva a una statua di bronzo a figura intera di cui sono stati trovati altri frammenti.

Theodoulou hanno avviato un progetto internazionale con lo scopo di realizzare uno studio completo del sito, un’operazione mai realizzata prima. In quell’occasione sono stati recuperati centinaia di frammenti di ceramica, una lancia, un braccio e piccoli manufatti in bronzo, nonché i resti di uno dei membri dell’equipaggio della nave. RUBÉN MONTOYA GONZÁLEZ STORICO

Per saperne di più La macchina del cosmo. La meraviglia scientifica del meccanismo di Anticitera Alexander Jones. Hoepli, Milano, 2019.

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LA FOTO DEL MESE

L’INFAMIA DI AUSCHWITZ IL COMPLESSO di campi di concentramento, lavoro coatto e sterminio

di Auschwitz, in Polonia, è stato il più grande tra quelli concepiti in Europa dalla dittatura nazionalsocialista. Vi morì tra un milione e un milione e mezzo di persone – il novanta per cento delle quali erano ebree. I primi prigionieri giunsero ad Auschwitz II-Birkenau nel giugno del 1940 e gli ultimi furono liberati dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945. Ma il mondo era già venuto a sapere dell’esistenza di Auschwitz grazie al coraggio di Rudolf Vrba e Alfred Wetzler, due giovani ebrei slovacchi che riuscirono a fuggire dal campo nell’aprile del 1944 e raccontarono le atrocità lì commesse. Il rapporto, in seguito conosciuto come Protocolli di Auschwitz, venne diffuso grazie ai mezzi di comunicazione in Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti. ULLSTEIN BILD / GETTY IMAGES



L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA

STORIA MODERNA

1814, al rogo la Biblioteca del Congresso degli USA

I Richard Ovenden

BRUCIARE LIBRI. LA CULTURA SOTTO ATTACCO Solferino, 2021; 352 pp., 20 ¤

l cielo era luminosissimo a causa dei vari incendi; una luce rosso scuro era proiettata sulla strada, tanto da permettere a ognuno di vedere distintamente il volto del compagno». George Gleig, giovane soldato scozzese arruolato nell’esercito britannico descrisse così l’attacco inglese a Washington del 24 agosto 1814. Le fiamme appiccate dalle forze d’invasione britanniche divorarono la gran parte degli edifici pubblici, compresa la Casa Bianca e il

Campidoglio, al cui interno si trovava la Biblioteca del Congresso. Tra libri e carte geografiche, il catalogo della prestigiosa istituzione contava oltre tremila volumi e «simboleggiava una nazione che stava forgiando la propria identità». A scriverlo è Richard Ovenden che, nel suo saggio dedicato ai diversi casi di roghi di libri nella storia, dalla Riforma protestante al nazismo, racconta la corsa contro il tempo di funzionari e semplici impiegati che si spesero

per salvare dalla distruzione quei pregiati tomi. «J. T. Frost, assistente bibliotecario, era rimasto in sede per aprire i libri e aerarli […] Erano stati già requisiti tutti i carri ancora in città e Burch cercò a lungo, spingendosi fino a un piccolo abitato fuori Washington. Tornò con un carro e sei buoi e insieme a Frost vi caricò alcuni libri […] Elias Caldwell, impiegato della Corte Suprema, portò a casa propria alcuni volumi del tribunale». Anche grazie a questi e altri atti coraggiosi, spiega l’autore, «dalle ceneri della prima Biblioteca del Congresso ne sarebbe rinata una nuova e migliore. L’agente principale di questo rinnovamento fu l’ex presidente Thomas Jefferson».

STORIA SOCIALE

PRENDERE IL MARE NELL’ITALIA MEDIEVALE LA VISIONE TRADIZIONALE d’un Medioevo terrigeno,

consumato all’interno di chiostri, castelli e mura cittadine, è necessariamente parziale». Per lo storico Antonio Musarra il mare costituisce un elemento cruciale del mondo medievale. Nella Commedia (Par. IX vv. 82-93), Dante si riferisce al Mediterraneo come «la maggior valle in che l’acqua si spanda», quel grande avvallamento in cui si riversano le acque dell’oceano. Negli autori medievali è un mare conosciuto poco e male, inquietante e pericoloso. Secondo l’autore furono il dinamismo commerciale, l’attività di conquista, l’azione diplomatica e l’istanza missionaria a far esclamare ai viaggiatori: «Duc in altum», cioè prendere il largo. Antonio Musarra

MEDIOEVO MARINARO Il Mulino, 2021; 304 pp., 22 ¤

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Laurent de Sutter

L’ARTE DELL’EBBREZZA Giometti e Antonello, 2021; 144 pp., 18 ¤

è un termine arabo usato per designare la sostanza alcolica, specialmente il vino, e il suo stesso effetto: «Il prodotto della fermentazione e il velo che, nel berlo, si KHAMR

posa sullo spettacolo della realtà circostante». Con queste parole Laurent de Sutter conduce il lettore nella Baghdad dell’VIII secolo e del poeta Abu Nuwas, secondo il quale, per cogliere la bellezza di luoghi e persone, fosse necessario inebriarsi. Come afferma de Sutter, nella cultura del bere risalente ai primi secoli dell’islam «l’ebbrezza era uno stato codificato, direttamente connesso all’organizzazione sociale delle notti […] E Abu Nuwas di quest’arte era ormai maestro, lui, i cui versi risuonavano con grazia o tagliavano con violenza». Oltre un secolo dopo la sua morte veniva citato in quei manuali che si proponevano d’insegnare ai neofiti la “scienza del bere in compagnia”.


OTTAVIANO CARUSO SU CONCESSIONE DEL MINISTERO DELLA CULTURA

RITRATTO DI DANTE. GIOTTO E SCUOLA GIOTTESCA. XIV SECOLO. PALAZZO DEL PODESTÀ (MUSEO DEL BARGELLO), FIRENZE.

CELEBRAZIONI DANTESCHE

Firenze perdona Dante Giotto di Bondone e Giovanni Villani lasciarono testimonianze a riprova dell’onorabilità e della buona fama del “sommo poeta”

I

l 10 marzo 1302 nella sala dell’Udienza del palazzo del Podestà di Firenze, Dante Alighieri venne condannato all’esilio perpetuo dalla città. Appartenente alla fazione dei guelfi bianchi, il “sommo poeta” aveva rivestito cariche importanti nelle istituzioni fiorentine, ma in merito a ciò la sentenza parla chiaro: «Baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estorsive, proventi illeciti, pederastia» erano gli addebiti penali a suo ca-

rico, dinanzi ai quali egli si proclamò sempre innocente. La “riabilitazione” di Dante passò dalle testimonianze di due personaggi del tempo. Il primo è lo storico Giovanni Villani, il quale nella Nuova Cronica (1348; IX, 136) afferma che «questo Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze», per «le sue nobili opere lasciateci in iscritture facciamo di lui vero testimonio e onorabile fama e la nostra cittade». Il secondo è Giotto di Bondone

che, insieme ai suoi allievi e collaboratori, ritrasse il volto di Dante tra le schiere degli eletti in paradiso. Il Ritratto di Dante (1337), esposto nella cappella del Podestà, oltre a essere considerato la prima immagine nota del cosiddetto “padre della lingua italiana”, viene definito «il punto di arrivo della riappacificazione tra Firenze e il suo illustre figlio, con la quale comincia un processo di ricostruzione e invenzione della memo-

ria». Lo affermano i curatori di una mostra che in diverse sezioni e attraverso prestiti di manoscritti, dipinti, affreschi delle collezioni del Bargello e di altre istituzioni italiane e straniere si propone di ricostruire le tappe del travagliato rapporto tra Dante e la città di Firenze. La mostra indaga però anche i diversi modi in cui la sua Commedia venne recepita dai primi copisti, commentatori, miniatori e lettori i quali contribuirono a forgiare quel mito che non smette di affascinare. «ONOREVOLE E ANTICO CITTADINO DI FIRENZE». Museo del Bargello, Firenze Fino all’8 agosto 2021 bargellomusei.beniculturali. it/mostre

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Prossimo numero CASANOVA, IL SEDUTTORE DI VENEZIA COLTO, RAFFINATO e

SHUTTERSTOCK

amante di tutti i piaceri, Giacomo Casanova, figlio di una coppia di umili attori, sconvolse la decadente alta società veneziana del XVIII secolo. Trascorse i suoi anni giovanili dedicandosi con entusiasmo al gioco e alle avventure amorose con dame di ogni estrazione sociale, fino a quando le sue provocazioni lo condussero in carcere. Dopo la fuga, fu costretto a un lunghissimo esilio lontano da Venezia, dalle sue sale da gioco e dai suoi piaceri.

IL VALHALLA, L’ALDILÀ DEI GUERRIERI VICHINGHI SECONDO LA TRADIZIONE vichinga, quando un guerriero moriva in combattimento la sua anima veniva trasportata dalle valchirie nel valhalla. Lì il defunto lottava e celebrava grandi banchetti assieme al dio Odino, mentre si preparava a combattere la battaglia della fine dei tempi. Si trovano tracce di queste credenze ultraterrene nei riti funerari – alcuni dei quali prevedevano sacrifici – e nelle spettacolari tombe simili a grandi imbarcazioni di pietra. HISTORISKA MUSEET, STOCCOLMA

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I geroglifici egizi Nata circa cinquemila anni fa, la scrittura geroglifica era una combinazione di segni ideografici e fonografici dominata da pochissimi specialisti.

Il teatro ad Atene In origine legate al culto di Dioniso, le rappresentazioni teatrali divennero presto un intrattenimento collettivo al quale potevano assistere oltre 15mila persone.

Il foro di Cesare Desideroso di accrescere la sua popolarità tra i romani, Giulio Cesare finanziò un nuovo foro nel quale eresse un tempio dedicato a Venere, protettrice della sua stirpe.

Il grande sultano dell’Alhambra Nel XIV secolo Muhammad V consolidò il potere del regno nasride e fece costruire alcune delle sale più sontuose del palazzo dell’Alhambra.


presentano

la Divina Commedia del Duca Filippo Maria Visconti

Un grande progetto di arte e cultura per celebrare il 700° anniversario di Dante

Prima edizione mondiale di uno dei manoscritti danteschi più importanti e riccamente illustrati di tutti i tempi. Un capolavoro smembrato e diviso tra la Biblioteca nazionale di Parigi e la Biblioteca comunale di Imola finalmente riunito in un codice unico per studiosi, appassionati e collezionisti di tutto il mondo. 395 carte contenenti il testo dantesco e il commento di Guiniforte Barzizza 72 preziose miniature eseguite dal “Maestro delle Vitae Imperatorum” Applicazione dell’oro, cucitura e legatura eseguite a mano Copertina in pelle blu con fregi in oro a caldo Tiratura mondiale limitata a 350 esemplari numerati e certificati Per informazioni: Telefono: 353 4203036, email: info@operasrl.it oppure visita: www.operaedizioni.it L’opera fa parte della “Biblioteca di Dante”, progetto promosso con il patrocinio di:


L’ Anfora“ ai tempi del coronavirus”

Algarco www.algarco.it


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