Storica National Geographic - Ottobre 2021

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LA GRANDE VITTORIA MILITARE DI CLAUDIO

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IL PITTORE DEI SOGNI

HIERONYMUS BOSCH

I MITI SU CRISTOFORO COLOMBO

ULISSE

- esce il 18/09/2021 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

UN RE DELL’ETÀ DEL BRONZO

aut. mbpa/lo-no/063/a.p./2018 art.

IL MAUSOLEO DI ALICARNASSO

9 772035 878008

periodicità mensile

LA CONQUISTA DELLA BRITANNIA

N. 152 • OTTOBRE 2021 • 4,95 E

storicang.it

SANTA SOFIA

LA PERLA DI COSTANTINOPOLI




IN

A L CO I ED

Gli speciali di Storica National Geographic in edicola questo mese

Dossier

GRANDI ENIGMI Il kraken, la maschera di ferro, il fantasma dell’opera e molto altro: in questo numero vi raccontiamo gli enigmi più incredibili della storia. In edicola dal 24 settembre. Prezzo ¤9,95.

Speciale Storica Grandi Filosofi

VOLTAIRE

Il volume è dedicato a uno dei più noti pensatori dell’Illuminismo, la cui filosofia contribuì al benessere dei singoli e all’armonia sociale. In edicola dal 28 settembre. Prezzo ¤9,95.

Speciale Storica Archeologia

CITTÀ GRECHE D’ORIENTE In questo numero vi proponiamo la ricostruzione in 3D delle splendide città di Priene e Afrodisia. In edicola dal 21 settembre. Prezzo ¤9,95.


COLOMBO SBARCA SULL’ISOLA DI GUANAHANI, NELLE BAHAMAS, IL 12 OTTOBRE 1492. OLIO DI JOSÉ GARNELO. 1892.

26 Le malattie dei sovrani d’Egitto Le mummie dei faraoni dimostrano che questi pativano gli stessi malanni che affliggevano i loro sudditi. DI JOSÉ MIGUEL PARRA

42 La monumentale tomba di Alicarnasso Il sepolcro di Mausolo, satrapo della città, divenne una delle sette meraviglie del mondo antico. DI EVA TOBALINA ORAÁ

54 Ulisse, un re dell’Età del bronzo Il protagonista dell’Odissea omerica rimanda a un passato reale: quello della splendente civiltà micenea. DI JUAN PIQUERO

66 La conquista della Britannia All’imperatore Claudio si deve uno dei maggiori successi della storia militare di Roma. DI JUAN MANUEL CORTÉS COPETE

80 L’arte dei sogni di Bosch Nelle sue opere il pittore offre un inesauribile repertorio di creature fantastiche e visioni oniriche. DI INÉS MONTEIRA ARIAS

94 La basilica di Santa Sofia Simbolo di Costantinopoli dal 532, nel XV secolo fu convertita in moschea. DI DANIEL DURAN I DUELT

110 I miti su Cristoforo Colombo Storia di un personaggio controverso che segnò il destino del mondo. DI MANUEL LUCENA GIRALDO

7 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI Il ladro evasore

Nel XVIII secolo Jack Sheppard, specialista di scassi, divenne popolare grazie alla sua più grande abilità: evadere dalle prigioni in modo spettacolare.

16 EVENTO STORICO

La cintura di ferro Nel 1643 l’ingegnere Vauban propose a Luigi XIV di creare lungo le frontiere una catena di fortezze per proteggere la Francia.

20 VITA QUOTIDIANA

I re taumaturghi A partire dal X secolo s’iniziò a credere che i sovrani di Francia e Inghilterra potessero guarire i malati affetti dalla scrofolosi con un semplice tocco.

128 LIBRI E MOSTRE

MASCHERA FUNERARIA. MICENE, 1500 A.C. CIRCA. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, ATENE. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

storicang.it

SANTA SOFIA LA PERLA DI COSTANTINOPOLI

IL MAUSOLEO DI ALICARNASSO IL PITTORE DEI SOGNI

HIERONYMUS BOSCH

I MITI SU CRISTOFORO COLOMBO ULISSE

UN RE DELL’ETÀ DEL BRONZO

LA CONQUISTA DELLA BRITANNIA LA GRANDE VITTORIA MILITARE DI CLAUDIO

BUSTO DI MARMO DELL’IMPERATORE CLAUDIO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI. FOTO: MARCO ANSALONI FONDO: BRIDGEMAN / ACI

Pubblicazione periodica mensile - Anno XIII - n. 152

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Errata corrige • Storica 150 (agosto 2021): Nell’articolo Una campagna sotto l’effetto degli stimolanti affermiamo che l’invasione della Francia da parte della Germania nazista iniziò nel maggio 1941. Si tratta di un’errore in quanto le truppe del reich invasero la Francia nel maggio 1940.

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MANX NATIONAL HERITAGE

MONETE INTERE e in frammenti e cocci di bracciali d’argento che compongono il nuovo tesoro trovato sull’Isola di Man.

ARGENTO SEPOLTO

È il secondo trovato da una detectorista sull’Isola di Man in pochi mesi

S

ull’Isola di Man, nel mare d’Irlanda, è stato trovato un nuovo tesoro vichingo che va ad aggiungersi a quello rinvenuto alla fine del 2020. A scoprire entrambi è stata Kath Giles, una “detectorista”, come vengono chiamati coloro che cercano oggetti di metallo con un detector. Il tesoro è costituito da ottantasette monete d’argento, tredici frammenti di monete e diversi cocci di braccialetti dello stesso metallo. Le monete, la maggior parte delle quali è stata

datata tra il 990 e il 1030, misurano circa due centimetri di diametro e pesano circa un grammo. Su molte di esse ci sono le effigi di Etelredo II, re d’Inghilterra, e di Canuto il Grande, sovrano d’Inghilterra, Danimarca e Norvegia. Allison Fox, curatrice di archeologia al Manx National Heritage, ritiene che si tratti di una scoperta molto importante, poiché aiuta a comprendere meglio l’economia dell’isola e della zona del mare d’Irlanda in epoca vichinga.

di Man rappresenta un’eccellente opportunità per studiare in dettaglio le matrici usate dalle popolazioni norrene per il conio delle monete. Non è ancora chiaro il motivo per cui fu nascosto. Secondo i ricercatori potrebbe essersi trattato di un evento isolato in risposta a una minaccia specifica, oppure di un deposito, che secondo le stime potrebbe essere stato realizzato intorno all’anno 1035. Sotto, a sinistra Allison Fox e a destra Kath Giles.

MANX NATIONAL HERITAGE

Millenario tesoro vichingo

IL TESORO recentemente scoperto sull’Isola

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PAT-G

AT T UA L I T À

PAT-G

TRA LE INCISIONI RUPESTRI di Trialeti si trovano forme di vario tipo. Non a caso sulla sinistra si possono distinguere diverse rappresentazioni di cervidi con grandi corna: questi animali abitavano la regione migliaia di anni fa e sono senza dubbio le figure più diffuse. Sopra, una raffigurazione antropomorfa.

PAT-G

ANIMALI E UMANI

Nuovi studi sull’arte rupestre della Georgia Un team internazionale di archeologi ha iniziato un nuovo progetto di ricerca nel sito georgiano di Trialeti

IL PROGETTO

prevede la creazione di un modello tridimensionale dell’area nonché una scansione completa della zona tramite una combinazione di diversi tipi di scanner 3D. Allo stesso tempo si lavorerà anche a un archivio digitale in cui raccogliere i dati del territorio e gestire le informazioni.

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T

rialeti, un sito archeologico ubicato nel sud della Georgia, ospita la più importante collezione di incisioni rupestri preistoriche del Paese. Si trova in una gola laterale del bacino del fiume Ktsia, nel dipartimento di Kvemo Kartli, accanto alla cittadina di Gnatiadi. Queste incisioni, realizzate su superfici rocciose esposte all’aria aperta, sono distribuite lungo la gola del torrente Avdari. Vi sono rap-

presentati cervidi, cavalli, camelidi, serpenti, uccelli, figure antropomorfe e forme ibride, così come una vasta gamma di motivi simbolici quali figure solari, croci, reticoli e fasci di linee. Secondo le ricerche queste incisioni risalgono a un periodo compreso tra la fine del Paleolitico (10mila anni fa circa) e il Medioevo. Diverse istituzioni spagnole, portoghesi e georgiane, sotto il coordinamento di Hipólito Collado Giraldo e Manana

Gabunia, hanno avviato il progetto PAT-G per studiare le manifestazioni di arte rupestre. Gli obiettivi prefissati consistono nell’aggiornamento delle conoscenze sul sito e nella realizzazione di un nuovo lavoro d’identificazione di gruppi di figure, per scoprirne la vera estensione territoriale e individuare nuovi motivi. Tutto ciò sarà fatto utilizzando le più moderne tecniche di documentazione digitale.



PERSONAGGI STRAORDINARI

Jack Sheppard, il ladro del popolo Specialista negli scassi, Sheppard divenne famoso per le sue spettacolari fughe dalle prigioni di Londra. La dura legge inglese contro il furto lo condannò al patibolo

1702 John Sheppard nasce nella parrocchia di Spitalfields, nei pressi di Londra, da un’umile famiglia di falegnami.

1723 È arrestato per la prima volta per vari furti in abitazioni e realizza la prima delle sue spettacolari fughe.

VII-1724 Tra maggio e luglio è nuovamente detenuto e riesce a evadere da Newgate, un carcere considerato inviolabile.

15-X-1724 Arrestato a settembre per la quarta volta, compie un’incredibile fuga: si libera delle catene ed evade dal carcere.

16-XI-1724 Detenuto e condannato a morte per impiccagione, Sheppard viene pubblicamente giustiziato sulla piana di Tyburn.

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AKG / ALBUM

Furti, arresti ed evasioni

ra il 16 novembre 1724: una folla valutata in 100mila persone era stipata nella piana di Tyburn, presso Londra, per assistere all’impiccagione di un giovane di ventidue anni, John Sheppard. Comunemente conosciuto come Jack, era diventato il ladro più famoso e amato della metropoli inglese, soprattutto per le sue mirabolanti evasioni dalle prigioni londinesi, ritenute inviolabili. Sheppard nacque nel 1702 da una famiglia umile: il padre falegname morì quattro anni dopo, lasciando la madre con tre figli. Tuttavia la donna riuscì a trovare a Jack una buona occupazione come praticante falegname. Piccolo di statura ma molto robusto, il ragazzo si dimostrò subito abilissimo nel maneggiare lucchetti e chiavistelli. Iniziò a mostrare presto una grande predilezione per vestiti sfarzosi e il lusso che con il modesto impiego non poteva permettersi. Poi iniziò a frequentare un giro di bettole e andò a convivere con una prostituta, una certa Elizabeth Lyon, meglio conosciuta come Edgeworth Bess (dal

nome del paese di provenienza). Fu lei a traviarlo e a portarlo sulla strada della delinquenza, secondo quanto egli stesso avrebbe riferito in carcere. Il percorso seguito dal giovane Sheppard non rappresentava un’eccezione. Nel XVIII secolo l’incontrollata espansione produttiva, commerciale e coloniale vissuta dall’Inghilterra spinse ai margini della società una parte delle classi popolari, favorendo la comparsa di ladri e banditi di ogni tipo. È nota per esempio la figura di Dick Turpin, che creò una banda con la quale rapinava le carrozze. Prima di essere giustiziato nel 1739, Turpin fu protagonista di una leggendaria fuga a cavallo che si protrasse per centinaia di chilometri. Nella capitale inglese invece Jonathan Wild, vero e proprio coordinatore della malavita locale, svolgeva apparentemente le funzioni di thief-taker (acchiappa-ladri), ma di fatto controllava il crimine in tutta la città, riuscendo a creare in poco tempo un’enorme fortuna.

Dura repressione Questi delinquenti correvano grossi rischi, in quanto agli inizi del XVIII secolo i delitti contro la proprietà

I crimini contro la proprietà erano puniti più severamente dei crimini contro le persone PISTOLE A PIETRA FOCAIA. UN PAIO DI ARMI DELLA METÀ DEL XVIII SECOLO.

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IL PIÙ CELEBRE PRIGIONIERO DI NEWGATE PICCOLO DI STATURA ma molto robusto e con una leggera balbuzie, Jack divenne ben presto un personaggio pubblico. Durante i suoi vari periodi di reclusione a Newgate, ricevette innumerevoli visite di borghesi che corrompevano le guardie per vedere il famoso ladro. In un’occasione il celebre pittore James Thornhill lo ritrasse davanti alla finestra, intento a fissare il cielo. Un’altra volta qualcuno gli chiese se era il famoso Jack Sheppard, e lui rispose, giocando con il doppio senso di shepherd (pastore): «Sì, signore. Io sono il pastore e le guardie sono il mio gregge».

erano puniti in maniera più feroce rispetto a quelli contro la persona: i giudici non esitavano ad applicare la pena di morte contro i semplici ladri. In una società caratterizzata dal rapido affermarsi della classe borghese, la difesa della proprietà divenne un baluardo fondamentale dello stato. A differenza di altri criminali, però, Jack non agiva come un bandito: non fermava le carrozze né compiva estorsioni con la forza. Fu proprio l’assenza di violenza nelle sue azioni a convertirlo in un eroe popolare. Le vittime dei suoi furti erano soprat-

tutto borghesi e commercianti, nelle cui case riusciva a introdursi grazie alla sua straordinaria agilità e alla sua eccezionale capacità di maneggiare strumenti e forzare serrature.

Fughe leggendarie Compì le prime ruberie presso clienti del proprio padrone, dai quali si recava per lavori di falegnameria. Approfittando della possibilità di entrare nelle loro abitazioni sottraeva oggetti quali rotoli di stoffa, posate d’argento o piccole somme di denaro.Eppure ben presto Sheppard cad-

BRIDGEMAN / ACI

JACK SHEPPARD NELLA SUA CELLA DI NEWGATE. INCISIONE DA UN RITRATTO DI JAMES THORNHILL DEL 1724.

de nella rete della polizia. In realtà il merito non va attribuito alla perizia delle forze dell’ordine, quanto piuttosto ai tradimenti subiti dal ladruncolo. Nel primo caso fu suo fratello Thomas a denunciarlo per salvarsi quando venne sorpreso con parte del bottino di un colpo che i due avevano messo a segno insieme. Più tardi il suo amico James Sykes fece lo stesso per riscuotere una ricompensa. Tra il 1723 e il 1724 Sheppard fu arrestato in ben quattro occasioni, ma si esibì altrettante volte in quella che è l’attività criminosa per la quaSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

EVASIONE IN COPPIA

BRIDGEMAN / ACI

IL 19 MAGGIO 1724 Sheppard fu arrestato dopo aver rubato degli orologi e rinchiuso nella prigione di Clerkenwell con la sua amante Bess. Era incatenato e ammanettato, ma le scarse misure di sicurezza della prigione permisero ad alcuni amici di fornirgli gli strumenti con cui, la notte del 24, si liberò dalle manette e realizzò la sua seconda evasione. Segò le sbarre e scese con Bess nel cortile interno del’edificio, circondato da un alto muro. Con l’aiuto di alcuni scalpelli, Jack costruì una scala sopra il cancello, vi salì in cima e sollevò la sua compagna; quindi i due scesero insieme per raggiungere l’esterno. EVASIONE. UNA DELLE FUGHE DI SHEPPARD. ILLUSTRAZIONE DEL XIX SECOLO.

le passò alla storia: l’evasione. Se le prime due volte riuscì a fuggire da carceri minori, nel caso delle altre due Jack evase da Newgate, una prigione ritenuta inviolabile. La prima di queste due fughe avvenne durante la visita di Edgeworth e di un’amica, che distrassero i secondini consentendogli di dileguarsi travestito da

donna. Dopo la fuga il London News pubblicò una lettera – probabilmente opera dello scrittore Daniel Defoe – in cui Sheppard dileggiava il famigerato boia Jack Ketch, il cui nome era sinonimo di feroce carnefice. Da quel momento i giornali iniziarono a interessarsi ampiamente alle imprese di Sheppard, dipingendolo come

JONATHAN WILD IL PERSONAGGIO più oscuro della Londra del XVIII secolo

JONATHAN WILD CON UNA PISTOLA CHE GLI SPUNTA DALLA CASACCA.

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Verso il patibolo

SCALA, FIRENZE

è senza dubbio Jonathan Wild. Anche se in teoria si dedicava a perseguire i criminali, Defoe lo descrive come il vero promotore della malavita di Londra: estorceva denaro alle vittime delle rapine che lui stesso aveva organizzato e dirigeva una rete di collaboratori che gestivano il contrabbando e il furto.

un eroe popolare, mentre le autorità pubblicavano avvisi promettendo laute ricompense a chi potesse condurre alla sua cattura. Nuovamente arrestato, finì ancora nella prigione di Newgate, da cui evase il 15 ottobre 1724 con modalità che colpirono l’immaginario collettivo. Pur incatenato a terra, riuscì a liberarsi dai ceppi e salì al piano superiore: forzò quindi in successione sei porte blindate, nella completa oscurità, per ritrovarsi sul tetto. Poi ripercorse il tragitto a ritroso per prendere dalla sua cella le coperte che gli sarebbero servite per calarsi in strada. La libertà conquistata, però, non lo distolse dai suoi comportamenti spavaldi: dopo altri furti si mostrò in città vestito sfarzosamente, fino a che, riconosciuto, fu rinchiuso nuovamente, incatenato a terra e


presentano

la Divina Commedia del Duca Filippo Maria Visconti

Un grande progetto di arte e cultura per celebrare il 700° anniversario di Dante

Prima edizione mondiale di uno dei manoscritti danteschi più importanti e riccamente illustrati di tutti i tempi. Un capolavoro smembrato e diviso tra la Biblioteca nazionale di Parigi e la Biblioteca comunale di Imola finalmente riunito in un codice unico per studiosi, appassionati e collezionisti di tutto il mondo. 395 carte contenenti il testo dantesco e il commento di Guiniforte Barzizza 72 preziose miniature eseguite dal “Maestro delle Vitae Imperatorum” Applicazione dell’oro, cucitura e legatura eseguite a mano Copertina in pelle blu con fregi in oro a caldo Tiratura mondiale limitata a 350 esemplari numerati e certificati Per informazioni Telefono: 353 4203036 oppure email: info@operasrl.it L’opera fa parte della “Biblioteca di Dante”, progetto promosso con il patrocinio di:


PERSONAGGI STRAORDINARI

L’ULTIMO VIAGGIO. Jack

BRIDGEMAN / ACI

Sheppard viene trasferito dalla prigione alla forca, tra le acclamazioni della folla.

sorvegliato a vista. Il 16 novembre fu condotto verso la forca in un clima di grande tensione. Prima di salire sul patibolo il ragazzo escogitò un ultimo trucco: alcuni amici s’impadronirono del suo corpo, convinti che mantenendolo al caldo e strofinandolo con il sangue lo avrebbero fatto tornare in vita. Ma i presenti, quando videro la scena, pensarono che fossero dei chirurghi intenzionati a sezionare il corpo, una pratica all’epoca piuttosto comune, e assaltarono la carrozza impedendo così qualsiasi manovra disperata. L’esecuzione di Sheppard ebbe un grande impatto sull’opinione pubblica. Due giorni dopo la sua morte il Daily Journal scriveva: «In tutta la città non si parla che di Jack Sheppard». Alcune settimane più tardi Daniel Defoe, che non aveva mai smesso di seguirlo sui suoi giornali, ne narrò le vicende in Storia della vita notevole 14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

di John Sheppard, dove lo definì «giovane di età e di aspetto, ma vecchio nel peccato». Dal canto suo il popolo non ne condivideva la condanna: affascinato dalle sue gesta recitava in strada ballate che inneggiavano alle sue imprese, vedendolo per quello che era: un ragazzo sbandato, che non aveva mai portato violenza ad alcuno, reo solo di essersi scontrato con il rigido sistema giudiziario del tempo.

Eroe da romanzo Circa tre anni e mezzo dopo l’esecuzione di Sheppard, lo scrittore John Gay s’ispirò alla sua figura per l’Opera del mendicante, che avrebbe avuto un successo clamoroso e nel XX secolo sarebbe stata ripresa da Bertolt Brecht nell’Opera da tre soldi. Ma l’opera più celebre sul fuorilegge fu firmata da William Harrison Ainsworth, che ne scrisse una biografia romanzata: Jack Sheppard (1839).

Come Dickens, Ainsworth dimostrò una grande sensibilità verso le classi povere che soffrivano le conseguenze della Rivoluzione industriale e acquistò grande fama presso i contemporanei grazie ad alcune opere di taglio popolare incentrate sulla vita romanzata di famosi banditi del XVIII secolo, come Dick Turpin e Sheppard. Quest’ultima ebbe particolare successo e svariate trasposizioni teatrali. La risonanza fu tale che le autorità decisero di proibire le rappresentazioni in cui appariva il nome di Sheppard per evitare che fosse d’esempio a nuovi delinquenti. MAURO COTONE STORICO

Per saperne di più

ROMANZO

Jack Sheppard. Il bandito più amato di Londra William Harrison Ainsworth. Mauro Cotone (a cura di). Haiku, Roma, 2019.


La più antica Commedia miniata PALATINO 313 Dante Poggiali Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

Tiratura limitata

E’ decorato da 37 miniature di ispirazione giottesca e da preziose iniziali istoriate, realizzate nella bottega di Pacino di Buonaguida nel XIV secolo. Contiene gran parte del Commento AUTOGRAFO di “Jacopo”, figlio di Dante. Quasi ogni chiosa è segnata dalla sigla: “Ja”, Jacopo Alighieri. Noto come “Dante Poggiali” dal nome dell’editore e bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò per utilizzarlo nella sua edizione della Commedia del 1807. Per informazioni può contattarci al numero 0541.384859 oppure via email: info@imagosrl.eu Con il Patrocinio di:

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EVENTO STORICO

ASSEDIO DI LILLE

da parte del re di Francia Luigi XIV nel 1667, in cui intervenne Vauban. Olio di J.A. Fiquet de Varouze. Musée de l’armée, Parigi.

Il muro di Luigi XIV: la Francia si rafforza Nel 1673 l’ingegnere Vauban propose al re Sole di creare una catena di fortezze lungo le frontiere. Nacque così la “cintura di ferro”, che protesse la Francia fino al XIX secolo

N

el XVII secolo la Francia era il Paese più popolato d’Europa, il più esteso – a parte la Polonia –, il più ricco ma anche il più vulnerabile. La posizione geografica la rendeva esposta su più fronti e dal XVI secolo era circondata dai possedimenti dei suoi principali avversari, i sovrani asburgici che regnavano in Spagna e nell’impero. Le regioni meridionali e orientali, in particolare tutto il nord-est del Paese, divennero un regolare campo di battaglia. Una

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penetrazione nemica dalle Fiandre poteva arrivare a minacciare la stessa capitale francese, come avvenne nel 1636 quando un’invasione spagnola seminò il panico alle porte di Parigi. Per il governo francese, il rafforzamento delle frontiere fu una priorità assoluta per tutto il XVII secolo. Da qui la determinazione con cui prima Luigi XIII e Richelieu, poi Mazzarino e infine Luigi XIV perseguirono una politica di espansione territoriale finalizzata alla creazione di un cuscinetto di sicurezza nel Rossiglione,

lungo la frontiera del Reno e nelle Fiandre. Le guerre iniziate nel 1667 permisero l’annessione di ampi territori, come la Franca Contea e parti di Alsazia, Lorena e Paesi Bassi spagnoli. Ma le conquiste territoriali erano solo un primo passo. Poi bisognava organizzare la nuova frontiera perché fungesse da barriera efficace contro il nemico. Fu a questo punto che apparve nel regno del re Sole un “attore secondario”, e tuttavia considerato uno degli artefici del consolidamento dello stato francese: Sébastien Le


BRIDGEMAN / ACI

EVENTO STORICO

NOMINATO ALL’ETÀ DI 22 ANNI «ingegnere ordinario del re»,

Vauban si fece subito un nome nelle operazioni d’assedio, sia come attaccante sia come difensore. Uomo d’azione ma anche un intellettuale, riassunse le sue conoscenze nel De la defense des places, pubblicato a Parigi solo nel 1829 (sopra, un’illustrazione).

PHILIPPE ABERGEL / MUSÉE DE L’ARMÉE / RMN-GRAND PALAIS

Prestre, signore di Vauban, celebre ingegnere militare che seppe guadagnarsi anche un posto di rilievo nella storia del pensiero strategico.

Tutto per il re Nato nel 1633, Vauban entrò nell’esercito e a vent’anni prese parte alle ultime battaglie della guerra contro la Spagna, conclusa nel 1659 con la pace dei Pirenei. Sotto il governo di Luigi XIV, nel corso della Guerra di devoluzione (1667-1668), si distinse nelle campagne di conquista delle piazzeforti spagnole di Lille, Tournai e Douai.

Dopo aver ottenuto la fiducia di Louvois, ministro della difesa, Vauban consacrò definitivamente la sua reputazione di maestro dell’arte dell’assedio durante la Guerra d’Olanda (1672-1678), dirigendo le conquiste di Maastricht, Besançon, Valenciennes e Gand. Nel 1676 fu nominato commissario generale delle fortificazioni e fu incaricato della supervisione dell’intero sistema difensivo della monarchia. Nel corso della sua carriera fece costruire trentatré fortezze sulla base di modelli innovativi progettati da lui stesso, e ne riparò altre trecento. Grazie alla conoscenza esaustiva e di prima mano del siste-

Luigi XIV voleva creare un cuscinetto di sicurezza lungo la frontiera orientale francese D

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MEDAGLIA DEL RE DI FRANCIA LUIGI XIV. 1712. LI

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ma difensivo francese così acquisita, Vauban seppe comprenderne i punti deboli. Il problema non era il numero di fortezze, ma la loro qualità. Come disse una volta: «Non sono a favore di un gran numero di fortificazioni. Ne abbiamo già troppe; vorrei che ne avessimo solo la metà, però tutte in buone condizioni». Ma bisognava tenere conto di un altro aspetto di grande importanza: i collegamenti. Le fortezze dovevano essere connesse tra loro in modo tale da formare una catena chiaramente delimitata, capace di resistere a un attacco nemico in qualsiasi punto della frontiera. Questa concezione rompeva con la pratica abituale del passato. Fino ad allora le fortezze erano state costruite per difendere un particolare territorio conquistato di recente o considerato in pericolo. A volte questi territori erano delle specie di enclave, circondate da regioni nemiche. Si costruivano anche avamposti entro i confini STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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EVENTO STORICO

FORTEZZA DI NEUF-BRISACH. Vauban la fece costruire nel 1697 dopo che Luigi XIV aveva consegnato all’impero una

ARNAUD CHICUREL / GTRES

fortificazione situata sulla riva opposta del Reno, Breisach, un tipico esempio di avamposto a cui l’ingegnere reale raccomandava di rinunciare. La piazzaforte, capolavoro di Vauban, contiene una nuova città a pianta ottagonale.

degli stati vicini, per minacciarli e dissuaderli dal lanciare un’offensiva. Ma Vauban si rese conto che le roccaforti di questo tipo erano costose da mantenere e difficili da difendere in caso di attacco. Inoltre costringevano a immobilizzare delle truppe che avrebbero potuto essere meglio impiegate altrove, oltre a essere una fonte di tensioni che portava facilmente

a guerre indesiderate. Perciò, invece di questa rete di centri difensivi distribuiti senza alcun criterio, Vauban propose la creazione di una catena di roccaforti situate a distanza regolare l’una dall’altra, che permettesse di prestarsi reciprocamente soccorso e di coprire praticamente tutta la frontiera. Tra questi centri difensivi dovevano esserci anche

LA COSCIENZA DEL RE VAUBAN ottenne dal re il permesso di scriver-

gli con franchezza su qualsiasi argomento. «Il re è abituato alle mie libertà, e appena cesserò di parlare apertamente mi prenderà per un cortigiano e non mi darà più alcun credito», confessava nel 1695. VAUBAN. RITRATTO DI FRANÇOIS DE TROY. MUSÉE DE VERSAILLES.

G. BLOT / RMN-GRAND PALAIS

18 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

delle trincee permanenti. Nella zona più esposta, le Fiandre, propose di creare una doppia catena di fortezze. Il risultato fu la cosiddetta “cintura di ferro”, che può essere considerata uno dei sistemi difensivi più efficaci e ambiziosi mai realizzati in Europa. Nel 1673, in una lettera indirizzata al ministro della difesa, Vauban esponeva la filosofia sulla quale si basava la costruzione della cintura di ferro. Per prima cosa criticava la situazione esistente: «Non mi piace questa confusione di fortificazioni amiche e nemiche. Per ognuna, ne vanno mantenute tre. Le popolazioni ne soffrono, la spesa aumenta molto e le forze si riducono, e aggiungo che è quasi impossibile conservarle e rifornirle tutte».


Dunkerque Knokke

Furnes

Gravelines Bergues

Ypres

Saint-Omer Lille Aire-sur-la-Lys MAPPA DELL’ARTOIS NEL 1704. VI SONO EVIDENZIATE LE DUE LINEE DEL PRÉ CARRÉ DI VAUBAN E LE FORTEZZE CHE LE COMPONGONO.

Béthune

Douai

BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE

Arras Bouchain

FRANCIA

Cambrai

La soluzione si riassumeva in una massima: il re doveva fare «son pré carré», il suo prato quadrato. Questa curiosa espressione proveniente dal mondo contadino si riferiva ai proprietari terrieri che cercavano di riunire i loro appezzamenti sparsi per formare un unico podere, omogeneo e perfettamente separato da quello dei vicini. Il riferimento al quadrato rimanda anche alle conoscenze geometriche di Vauban. In un’altra occasione infatti questi suggerì a Louvois: «Sostenete sempre la quadratura, non del cerchio, ma del prato». Secondo Vauban, il re doveva quindi organizzare il suo regno in un territorio compatto, «quadrato», dotato di una chiara linea di frontiera. All’interno dei confini non dovevano essere consentite enclave straniere, né andavano mantenute fortificazioni esterne. Nel 1687 approntò una lista di tutte le piazzeforti francesi che

erano indifendibili o inutili e di cui raccomandava la distruzione. Quella di Pinerolo, in Savoia, fu per esempio abbandonata nel 1696.

Béthune e Aire. La situazione sembrava disperata, ma il generale Villars organizzò una nuova linea di difesa un po’ più a sud, che chiamò Ne plus ultra, per indicare che non avrebbe La prova del fuoco permesso al nemico di passare olLa cintura di ferro fu testata negli tre. Nel 1711 gli alleati conquistaroultimi anni del regno di Luigi XIV, no un’altra piazzaforte della cintura durante la Guerra di successione di ferro di Vauban, Bouchain. Ma la spagnola (1701-1714). Nel 1708 l’e- stanchezza generale per la guerra, i sercito della Grande alleanza, agli negoziati diplomatici e alcune brilordini dell’inglese Marlborough e del lanti manovre di Villars paralizzarono principe Eugenio di Savoia, inflisse il fronte e impedirono l’invasione. Probabilmente, senza il lavoro viuna pesante sconfitta ai francesi a Oudenaarde. Marlborough propose sionario realizzato da Vauban – che di continuare l’offensiva fino a Parigi, era morto nel 1707 –, la Guerra di ma alla fine gli attaccanti si ferma- successione spagnola avrebbe avuto rono ad assediare Lille, emblematica un esito molto diverso. fortificazione di Vauban, che si arrese ALFONSO LÓPEZ STORICO tre mesi più tardi. L’anno seguente, dopo la terribile SAGGI Per battaglia di Malplaquet, Marlboroue la difesa della Francia saperne Vauban Massimo Gori. gh raggiunse la seconda linea del pré Bruno Mondadori, Milano, 2007. di più carré di Vauban, occupando Douai, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

Toccare e curare: la magia dei re taumaturghi

I

l mestiere di guaritore è antico quanto il mondo; erano sciamani, santoni e spesso ciarlatani quelli che il popolo riteneva dotati di poteri soprannaturali. Per ben ottocento anni però, dal X al XVIII secolo, questa funzione taumaturgica è stata attribuita ai re di Francia e d’Inghilterra, in particolare per quel che riguarda una malattia diffusissima e invalidante: la scrofolosi o scrofola. In questo caso tuttavia non si trattava più di una superstizione popolare, ma di una vera e propria una convinzione di massa, che faceva affluire ogni anno migliaia di persone al cospetto del sovrano perché le curasse grazie a un semplice tocco sulla scrofula e al segno della croce su di essa. Agli inizi del XII secolo l’abate Gilberto di Nogent-sous-Coucy attribuì poteri taumaturgici – ossia la capacità di compiere atti miraco-

losi – al regnante di Francia Luigi VI (1108-1137). In Inghilterra invece la prima testimonianza su un fenomeno simile si trova in una raccolta epistolare risalente alla fine del XII secolo, opera dello scrittore Pietro di Blois. In entrambi i casi il potere curativo derivava dal carattere sacro attribuito al monarca; tale peculiarità si palesava grazie al rito dell’unzione, durante il quale un sacerdote applicava al re l’olio santo prima che salisse al trono. Finché la monarchia mantenne il diritto divino – in Francia fino alla fine della dinastia borbonica, nel 1830 –, si credette che i suoi rappresentanti possedessero una simile facoltà.

File di malati All’inizio i re esercitavano questo loro potere ogni qual volta i malati si presentavano al loro cospetto, nella

MALE RIPUGNANTE o adenite tubercolare, è un’infiammazione dei linfonodi causata dalla tubercolosi. Si palesa attraverso bolle e croste purulente, localizzate soprattutto intorno al collo e sul viso. Una volta guarite lasciavano cicatrici profonde che conferivano agli ammalati un aspetto ripugnante.

BRIDGEMAN / ACI

LA SCROFOLOSI,

DONNA AFFETTA DA SCROFOLOSI. INCISIONE DEL XIX SECOLO.

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SCALA, FIRENZE

I malati di scrofola si recavano dai sovrani di Francia e d’Inghilterra perché li curassero con un semplice tocco

FRANCESCO I di Francia cura gli scrofolosi. Affresco di Carlo Cignani ed Emilio Taruffi. XVII secolo. Palazzo comunale, Bologna.

loro reggia, in una chiesa o durante un viaggio. Quando le monarchie divennero più organizzate, invece, s’introdussero delle regole per le cerimonie curative. Nel XIII secolo Luigi IX di Francia toccava i suoi malati tutti i giorni, ma solo dopo la messa; due secoli più tardi, sotto Luigi XI, i pazienti venivano condotti davanti al re una sola volta alla settimana. In seguito, i giorni in cui il sovrano era disposto a compiere il suo ufficio taumaturgico coincidevano con le principali date del calendario religioso, come la settimana santa, l’assunzione e la natività della vergine Maria o il Natale.


Gli scrofolosi si spostavano di proposito da luoghi a volte assai lontani, a mo’ di pellegrinaggio. In parecchi venivano perfino dall’estero: tra il 1307 e il 1308, per esempio, Filippo IV di Francia accolse almeno sedici italiani. Le capacità taumaturgiche del sovrano derivavano dal rito dell’unzione sacerdotale, con il quale la Chiesa si poneva al di sopra del monarca e gli conferiva il potere divino della guarigione. Ai tempi di Roberto il Pio (9961031) si credeva che il sovrano avesse il potere di curare tutte le malattie. Poi, col nipote Filippo I (1060-1108), la mentalità corrente riteneva efficace

Chi non credeva nel potere dei re SEBBENE LA CREDENZA nei poteri curativi dei monarchi fosse

piuttosto diffusa perfino tra le classi colte, non mancò chi ebbe a dubitarne. Lo spagnolo Miguel Servet, che trascorse la maggior parte della sua vita in Francia e in Svizzera, mentre traduceva la Geografia di Tolomeo annotò nel 1535: «Dei re di Francia si dice [...] che con un solo tocco guariscono le SCROFOLE. Ho visto con i miei stessi occhi questo sovrano [Francesco I] toccare molti malati. Se hanno recuperato la salute, non l’ho però vi-

sto». E di sicuro non era l’unico a dubitare del potere dei re. Nel XVIII secolo tutti i pensatori illuministi erano scettici. Il più noto tra loro è VOLTAIRE, che dichiarò: «Giungerà il tempo in cui la ragione, che in Francia comincia a fare progressi, abolirà questo costume».

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V I TA Q U OT I D I A N A

SC

AL A,

FIR EN Z E

La cerimonia del tocco reale il rito della cura della scrofolosi presentava alcune differenze tra Francia e Inghilterra. Una di queste risiedeva nel fatto che il re inglese tracciava sul malato il segno della croce con una moneta d’oro, forata precedentemente, che poi l’infermo avrebbe portato al collo come talismano. TOUCH PIECE. MONETA GUARITRICE INGLESE DEGLI INIZI DEL XVIII SECOLO.

il tocco soltanto contro la diffusissima scrofolosi. I papi avevano nei confronti di questo potere un atteggiamento di ostile indifferenza, per non entrare in competizione con i re. Il potere di questi ultimi era talmente noto che quando il re di Francia Francesco I giunse a Valencia come prigioniero di Carlo V di Spagna, dovette occuparsi di «un numero talmente alto di affetti da scrofolosi che mai si era vista una simile folla in Francia», secondo l’archeologo

In Inghilterra un ecclesiastico portava i malati uno dopo l’altro davanti al monarca che, seduto, poggiava la mano sulle piaghe, faceva il segno della croce e gli dava una moneta d’oro.

Jacques Joseph Champollion-Figeac. In effetti, in base ai registri reali britannici nella prima metà del XIV secolo, i re“benedicevano”in genere più di mille persone in un anno, in alcuni casi arrivando fino a 1.700, una stima piuttosto simile a quella francese del XVI secolo. Alcuni eventi riunivano centinaia di persone: durante la domenica delle palme, nel 1594, Enrico IV entrò in contratto con più di novecento infermi, e con 1.250 nel giorno di Pasqua del 1608. Dal XV secolo i malati giunti a corte venivano condotti al servizio elemosine per ricevere qualche aiuto che gli

Il re faceva il segno della croce sugli scrofolosi, mostrando di agire in nome di Dio LUIGI IX DI FRANCIA GUARISCE UNO SCROFOLOSO. MINIATURA DEL XIV SECOLO. AKG / ALBUM

permettesse di vivere fino al giorno del miracolo. Per questo motivo nella capitale francese si riversavano delle carovane guidate da un capitano e al loro arrivo ricevevano doni importanti, dalle 225 alle 275 lire, generosità che probabilmente contribuiva anche ad accreditare il prestigio taumaturgico. Poiché il re guariva soltanto dalle scrofole, preliminarmente il medico di corte effettuava una sommaria visita dei pellegrini e ammetteva alla funzione solo quelli che presentavano tale patologia. Il giorno prescelto, a palazzo, centinaia di persone affollavano la sala della cerimonia.

«Dio ti guarisca» Prima di compiere il “meraviglioso” rito, il monarca si raccoglieva in preghiera e riceveva il sacramento dell’eucarestia; poi, come un pio guaritore, imponeva le mani sulle parti infette dei malati. Il contatto fra i due


BRIDGEMAN / ACI

BRIDGEMAN / ACI

In Francia i malati s’inginocchiavano in fila e il sovrano li toccava uno dopo l’altro sulle ferite. Quindi faceva il segno della croce sul volto, come se si trattasse di una benedizione.

corpi era ritenuto il metodo più efficace per trasmettere le forze invisibili che avrebbero risanato l’infermo. Quindi il sovrano faceva sulle piaghe il segno della croce: come i santi avevano trionfato sulle malattie, con tale gesto mostrava agli occhi di tutti di esercitare il potere in nome di Dio. In Francia, durante la benedizione, il regnante mormorava alcune parole, all’inizio sconosciute. Dal XVI secolo la formula divenne «il re ti tocca, Dio ti guarisce», mutata dal 1722 in «il re ti tocca, Dio ti guarisca». L’acqua con cui si lavava le mani a rituale ultimato era ritenuta miracolosa: berla per nove giorni sanava dalla scrofolosi, senza bisogno di medicine. La cerimonia si concludeva con l’elargizione dell’elemosina. Sotto Filippo il Bello in Francia veniva data solo a chi proveniva da lontano, da venti soldi fino a sei o dodici lire, mentre in Inghilterra durante i regni di Edoar-

do I, Edoardo II ed Edoardo III si offriva sempre un denaro. La consegna rivestiva un preciso significato simbolico: solo se la moneta fosse stata trasferita – e quindi“unta”– dalle mani del re il rito del tocco e della benedizione sarebbe stato completo; altrimenti si era miracolati a metà. In Inghilterra la moneta veniva appesa al collo e si credeva che agisse come talismano in caso di future manifestazioni della malattia.

L’età della ragione Nessuno si aspettava che con il tocco reale le scrofole scomparissero all’istante; di solito impiegavano mesi a sanare e spesso non passavano, ma raramente erano mortali. In ogni caso, nella coscienza collettiva era profondamente radicata la convinzione che il sovrano fosse capace di compiere la guarigione. I re approfittavano di tali credenze per dimostrare come il loro potere avesse origini divine, legitti-

CARLO II D’INGHILTERRA (A SINISTRA) ED ENRICO IV DI FRANCIA CURANO DEGLI SCROFOLOSI. INCISIONE DEL XVII SECOLO.

mando così il loro status di regnanti. La fiducia nel tocco diminuì gradualmente a partire dal Rinascimento e s’indebolì soprattutto nel XVIII secolo con la diffusione dell’Illuminismo, il quale con la razionalità cercava di togliere all’istituzione monarchica il carattere soprannaturale e anzi mirava a considerare i sovrani soltanto come rappresentanti ereditari dello stato. Prima in Inghilterra e poi in Francia la scomparsa definitiva del tocco coincise con l’immediato scoppio di rivoluzioni politiche. Ma il nesso è casuale. In realtà la fede nel carattere soprannaturale della regalità era già stata profondamente scossa. CORRADO OCCHIPINTI CONFALONIERI STORICO

Per saperne di più

SAGGI

I re taumaturghi Marc Bloch. Einaudi, Torino, 2016.

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MUMMIE REALI NEL MUSEO

I resti degli antichi faraoni egizi, soprattutto delle dinastie XVIII e XIX, sono esposti al Museo nazionale della civiltà egizia del Cairo, in una sala climatizzata che ne permette la conservazione. SPL / AGE FOTOSTOCK

LE MALATTIE D EI FA RAO NI

DI COSA MORIVANO L’analisi approfondita delle mummie ha svelato che, nonostante il loro status di


I RE DELL’EGITTO?

privilegiati, i sovrani egizi cadevano vittime delle stesse malattie dei sudditi


lare a quelle dei faraoni del Nuovo Regno, la maggior parte delle quali sono giunte fino a noi. Conoscerne le patologie permette di farsi un’idea più chiara circa la loro vita. Le mummie reali egizie furono sottoposte a un primo studio nel 1912, eppure la radiografia dei corpi fu possibile soltanto a partire dagli anni sessanta. Nel 1976, a causa del suo rapido deterioramento, la mummia di Ramses II fu portata a Parigi perché venisse analizzata da un centinaio di specialisti. Decenni dopo, nel 2005, la famosa mummia di Tutankhamon subì una dettagliata tomografia assiale computerizzata (TAC), tecnica d’indagine non invasiva che venne poi usata per tutte le salme reali di quel periodo. Da alcune – quelle collegate alla famiglia di Tutankhamon e poche altre – si prelevarono pure dei campioni di DNA che vennero letti con le tecnologie più avanzate. Grazie a tali indagini conosciamo sempre meglio i problemi di salute che afflissero i sovrani della valle del Nilo.

STRUMENTI CHIRURGICI EGIZI. PAPIRO A COLORI CHE RIPRODUCE UN BASSORILIEVO DEL TEMPIO DI KÔM OMBO. DEA / ALBUM

I temibili parassiti UN PAPIRO MEDICO

Il Papiro Edwin Smith (sotto) è uno dei più antichi trattati di medicina conservatisi fino a oggi. Scritto in ieratico, contiene osservazioni, diagnosi e trattamenti. New York Academy of Medicine. SCIENCE SOURCE / ALBUM

M

illenni fa l’Egitto godeva dell’invidiabile reputazione di Paese ricchissimo, nel quale ogni anno il fertile Nilo irrigava generosamente i terreni che poi i contadini avrebbero lavorato con esigui sforzi e parecchi benefici. Sfortunatamente tale immagine non corrisponde al vero, perché - come in tutto il mondo antico - gli egizi vivevano in balia delle stesse impietose leggi della natura e delle molte malattie che la medicina non poteva diagnosticare e ancor meno guarire. Una vita dura che lasciò tracce sui corpi degli abitanti delle Due Terre. Oggi possiamo interpretare tali segni grazie alle mummie e in partico-

Benché non fosse certo un’esclusiva dei reali, molti di loro soffrivano di problemi agli occhi causati dal sole cocente e dalle finissime polveri presenti nell’aria che cercavano di risolvere con il trucco intorno agli occhi. Le acque stagnanti, dovute alle piene del Nilo che riempivano i bacini d’acqua dolce creatisi nelle piane inondate, erano il motore dell’agricoltura egizia. Ma costituivano anche l’ ambiente perfetto per la proliferazione di larve e uova di un verme parassita. Quando una persona attraversava le acque, le larve s’introducevano nel suo corpo e finivano per giungere al retto o alla vescica dove crescevano e si riproducevano causando la schistosomiasi. I sintomi della malattia erano delle piccole emorragie escretorie che potevano essere all’origine di carenze anemiche. Se nel

C R O N O LO G I A

MALATTIE DEI FARAONI

1479-1458 a.C.

1390-1353 a.C.

Negli ultimi anni di vita la regina Hatshepsut era obesa, il che forse le provocò il diabete. Morì forse di cancro al fegato.

La mummia attribuita al faraone Amenhotep III indica che era obeso e che verso la fine della sua vita ebbe gravi disturbi ai denti.


LA VALLE DEL NILO

Nell’immagine si può notare la demarcazione che separa la terra fertile verde (il colore della rigenerazione legato al dio Osiride) dalla terra ocra del deserto egiziano legato a Seth, il temuto dio del caos. ALAMY / CORDON PRESS

1353-1336 a.C.

1334-1324 a.C. circa

1279-1213 a.C.

1149-1146 470 A.C. a.C.

Anche se non soffriva della sindrome di Marfan come si è sempre creduto, Akhenaton era affetto da una grave scoliosi.

Tutankhamon, durante la sua breve vita, ebbe molti problemi di salute come la malaria, il labbro leporino e gravi deformazioni ai piedi.

Ramses II morì intorno ai novant’anni, ma piagato da moltissimi acciacchi tra cui l’artrosi e dolorosissimi disturbi ai denti.

Ramses VI aveva un’ernia Bis. Valicer udaciest facio, inguinale e, come evince confertium qui crisistrum dai temsegni quodriscontrati cavo, Paladurante nonfes l’analisi mummia, egerviddella co hos fuissil contrasse il vaiolo. tandiurnicpure oportud.


MUMMIA ATTRIBUITA AD AKHENATON SCOPERTA NELLA TOMBA KV55 DELLA VALLE DEI RE. LA COLONNA VERTEBRALE PRESENTA UNA DEVIAZIONE A CAUSA DELLA SCOLIOSI.

LO SCANNER FORNISCE LA DIAGNOSI

KENNETH GARRETT

U

NA DELLE POSSIBILI spiegazioni circa il peculiare aspetto di Akhenaton è che soffrisse della sindrome di Marfan, una malattia che colpisce il tessuto connettivo e si manifesta con cranio allungato, bacino prominente, altezza notevole e braccia e dita molto lunghe. Questa descrizione combacerebbe con la fisionomia del faraone evocata nelle statue. Malgrado ciò, la TAC a cui è stata sottoposta la mummia scoperta nella tomba KV55 della valle dei Re ha dimostrato che il faraone non era affetto da tale malattia. C’era da aspettarselo, perché il sovrano compare con le estremità deformi solo nelle statue della prima parte del suo regno. Si tratta dunque solo di una convezione artistica volta a sottolineare il cambiamento religioso del suo governo.

PROTESI PER UNA DONNA

KENNETH GARRETT

Sul piede di una mummia della figlia di un sacerdote si è trovata una protesi per sostituire un alluce amputato. 950-710 circa. Museo nazionale della civiltà egizia, Il Cairo.

30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

1950 più della metà della popolazione egiziana era affetta da tale disturbo, possiamo solo immaginare quale fosse la percentuale 3500 anni fa. Per questo con ogni probabilità colpì pure i faraoni, sebbene al momento non sia stato possibile individuarla nelle mummie reali. Di sicuro i membri della famiglia reale non camminavano quotidianamente in acque stagnanti perchè generalmente si muovevano sulle lettighe. Tuttavia, sappia-

mo che dal periodo predinastico i sovrani celebravano cerimonie per le quali era imprescindibile che mettessero i piedi a terra.

L’onnipresente malaria Un’altra malattia parassitaria che flagellò senza pietà gli egizi fu il paludismo, meglio conosciuto come malaria, trasmesso dalle femmine della zanzara anopheles. I sintomi possono variare, ma i principali sono febbre molto alta e brividi ricorrenti in cicli di tre o quattro giorni; da lì il nome di febbri terzane o quartane, espressione con cui veniva spesso identificata tale malattia. Senza un trattamento adeguato l’infezione poteva portare all’insufficienza renale, al coma e alla morte. Con le sue interminabili zone paludose, la valle del Nilo era il paradiso delle zanzare e la salute dei suoi abitanti, tra cui la famiglia reale, ne patì le conseguenze. Gli studi realizzati sulla mummia di Tutankhamon hanno permesso di scoprire che questi era portatore della malattia nella sua forma più grave, quella tropicale. Ciò nonostante, poiché il settanta per cento degli infettati in genere riesce a sopravvivere senza cure, e


PILASTRO DI AKHENATON

Il busto proviene da un pilastro del tempio di Karnak che rappresenta il faraone. Si possono notare i tratti stilizzati dell’uomo; tale raffigurazione ha spinto gli studiosi a credere che Akhenaton soffrisse della sindrome di Marfan. SCALA, FIRENZE


nel 1903, in una piccola tomba vicina a quella della regina Hatshepsut nella valle dei Re, Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, trovò due mummie femminili: una appartenuta a una donna magra, posta dentro un sarcofago e un’altra a una più corpulenta, deposta a terra. Quest’ultima aveva le braccia conserte sul petto, posizione riservata alla famiglia reale. Nel 2007 si confermò che un dente di Hatshepsut, rinvenuto nel nascondiglio di Deir el-Bahari dentro uno scrigno con gli organi mummificati della regina, s’incastrava in

uno spazio vuoto nella dentatura della donna robusta. La mummia trovata da Carter era quindi della regina Hatshepsut. Grazie alle analisi realizzate da allora si è saputo che negli ultimi anni di vita la famosa sovrana era obesa, a quanto pare diabetica e con i denti in pessime condizioni. Secondo gli studiosi morì a 50 anni, forse per un cancro al fegato. un’altra mummia reale che ha destato notevole scalpore è quella di Amenhotep III. In realtà alcuni esperti nutrono dei dubbi sull’attribuzione dei resti a questo faraone. In ogni

caso vennero rinvenuti assieme a molti altri nella tomba di Amenhotep II, che secoli dopo la morte del sovrano venne usata per nascondere e preservare le mummie di diversi faraoni. In seguito a tali vicissitudini la salma si trova attualmente in uno stato lamentevole e sono state riscontrate fratture post mortem alla schiena e alle costole. L’analisi ha comunque constatato l’esistenza di diversi denti guasti e l’assenza di molti altri. Il monarca dovette soffrire moltissimo e forse questo gli causò una lenta e terribile agonia.

FOTO: KENNETH GARRETT

LA CARTELLA MEDICA DELLA REGINA HATSHEPSUT E DEL FARAONE AMENHOTEP III


MUMMIA DELLA REGINA HATSHEPSUT (A SINISTRA) E MUMMIA IDENTIFICATA COME AMENHOTEP III (VICINO A QUESTE RIGHE). MUSEO NAZIONALE DELLA CIVILTÀ EGIZIA, IL CAIRO.


L’ERNIA DI MERNEPTAH QUANDO UNA PARTE dell’intestino “sfugge” alla sua ubicazione originale in seguito a una

lacerazione nella parete addominale, si verifica un’ernia inguinale. Il risultato è un rigonfiamento indolore nell’inguine o nello scroto; per trattarlo, anticamente si ricorreva all’eliminazione dello scroto. Alcuni studiosi credono che ciò accadde pure a Merneptah (sotto), successore di Ramses II, la cui mummia presenta solo il pene. Ramses V mostra invece uno scroto piuttosto rigonfio, sintomo dello stesso male; gli imbalsamatori lo nascosero piegandolo verso il perineo.

SPL / AGE FOTOSTOCK

La mummia di Yuya, bisnonno di Tutankhamon, si trovava all’interno di questo sarcofago d’oro nella sua tomba nella valle dei Re. Museo nazionale della civiltà egizia, Il Cairo. ARALDO DE LUCA

nei paesi in cui la malattia è endemica gli abitanti finiscono per sviluppare una certa immunità non sembra che la patologia fosse alla base della morte del faraone. Di sicuro le mummie di Yuya e Tuia, i bisnonni di Tutankhamon, presentavano anche loro i segni della malaria, ma i due morirono a un’età avanzata per l’epoca, tra i 50 i 60 anni. Dei molti parassiti intestinali rinvenuti nelle mummie egizie di epoca romana come i lombrichi o la tenia, ce n’è uno che – a quanto pare – non attaccò nessun faraone. È il parassita responsabile della trichinosi, che si contrae mangiando carne di maiale poco cotta. Nell’antico Egitto la carne di quest’animale era un’importante fonte di proteine per la gente umile ma non era considerata degna delle persone di un certo rango e non veniva perciò consumata dai membri della famiglia reale. Questi ultimi d’altro canto non erano immuni da malattie contagiose di tipo virale o batterico come per esempio la peste, la stessa terribile piaga che avrebbe

devastato l’Europa durante il Medioevo e che viene trasmessa dalle pulci portate in giro dai roditori, in particolare dal ratto nero, comune in quei territori per le precarie se non inesistenti condizioni d’igiene pubblica. Nei villaggi egizi, dove mancava un sistema fognario e l’immondizia veniva accumulata all’aria aperta in attesa che l’inondazione annuale la portasse via o la seppellisse sotto il limo, la malattia proliferava.

Peste, vaiolo, poliomielite Si sa dell’esistenza di epidemie di peste in Egitto grazie a documenti storici, e non perché ne sia stata ritrovata qualche traccia sulle mummie. Durante il governo di Akhenaton un esercito egizio venne sconfitto dalle truppe del re ittita Šuppiluliuma e, secondo le fonti, «quando i prigionieri di guerra che erano stati catturati vennero portati ad Hatti, un’epidemia di peste scoppiò tra di loro, e cominciarono a morire. Quando i prigionieri di guerra furono condotti ad Hatti, portarono ad Hatti la peste. Da quel giorno, ad Hatti la gente muore». Dal canto suo, una lettera del re

DEA / AGE FOTOSTOCK

SARCOFAGO DI YUYA


IL VILLAGGIO DI ARTIGIANI

A Deir el-Medina, nei pressi dell’odierna Luxor, vivevano i costruttori delle tombe reali. Le mura delle sepolture di questi artigiani testimoniano incidenti, slogature, rottura di ossa e mostrano pure la presenza di qualche medico.


In questa stele il funzionario Roma si appoggia a un bastone perché la sua gamba destra è atrofizzata: è più corta e sottile della sinistra, probabilmente a causa della poliomielite. Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen. PRISMA / ALBUM

MANICO DI UN BASTONE TROVATO NELLA TOMBA DI TUTANKHAMON. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO. SCALA, FIRENZE

36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

babilonese Burnaburiash racconta che una moglie asiatica di Amenhotep III era morta «durante la peste», e l’editto della restaurazione di Tutankhamon afferma che «quando Sua Maestà apparve in qualità di re [...] il Paese era attraversato dalla malattia». Il testo non specifica se si trattasse effettivamente di peste, ma potrebbe essere un altro riferimento a questa malattia devastante. Quel che è certo è che, durante il regno di Akhenaton, il predecessore del faraone bambino, l’Egitto venne devastato da una piaga le cui tracce sono visibili nelle sepolture del cimitero sud di Tell el-Amarna: l’elevata proporzione di morti giovani suggerisce l’effetto di un’epidemia. Ciò potrebbe spiegare perfettamente i molti decessi avvenuti all’interno della famiglia reale amarniana, tra cui quello del faraone. Per secoli un altro nemico temibile quanto la peste fu il vaiolo, le cui pustole marcavano a vita il corpo e il viso di quei fortunati che riuscivano a sopravvivere a tale funesta malattia virale. Uno dei

Denti in cattivo stato Un tratto che accomuna le mummie dei faraoni a quelle del popolo è il cattivo stato dei denti. Diversamente da quanto succede oggi non si tratta di carie provocate dall’eccesso di zuccheri nella dieta – il miele era un prodotto riservato a pochi a causa del prezzo elevato – bensì dalla macinatura di uno degli alimenti

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

VITTIMA DELLA POLIOMIELITE

colpiti fu Ramses V, la cui mummia ne mostra gli inconfondibili segni su volto, collo e petto. Benché non sia possibile da determinare con assoluta certezza – il faraone morì a causa del vaiolo –, la sua mummia rivela che di certo il re era affetto da una crescita anormale dello scroto, probabilmente correlata alla presenza di un’ernia inguinale. Dal canto suo Siptah, il penultimo sovrano della XIX dinastia, da piccolo era stato forse colpito dalla poliomielite, causata da un virus molto contagioso che attacca il sistema nervoso e la capacità motoria producendo anche deformazioni alle estremità. Nella sua mummia l’arto leso era la gamba sinistra, più corta, e per contrastarne l’inadeguata lunghezza il suo piede era stato disposto in verticale. Malgrado ciò, alcuni specialisti suggeriscono che la causa sarebbe potuta essere anche una paralisi cerebrale o una semplice malformazione congenita. Non si tratta però di una deformità unica, perché sulla stele del funzionario Roma, della XVIII dinastia, il defunto compare con la stessa anomalia che si riscontra pure nella mummia di Tutankhamon. Sì, il faraone bambino che regnò per poco tempo ed ebbe un favoloso corredo funerario aveva il piede destro piatto e il sinistro equino. Non si tratta di un caso accentuato come quello di Siptah, ma sicuramente gli impediva di camminare normalmente. È molto interessante che i due piedi di una mummia con la sigla KV21a – secondo il DNA sarebbe Ankhesenamon, la madre dei due feti mummificati rinvenuti nella tomba di Tutankhamon – presentino una deformazione simile. Sappiamo dai testi che Ankhesenamon era figlia di Akhenaton e Nefertiti, nonché sorellastra del marito Tutankhamon, figlio di Akhenaton e di una madre diversa: questa coincidenza dà adito all’ipotesi che i piedi deformi fossero un marchio genetico della famiglia reale amarniana.


LA DEA LEONE SEKHMET

Figlia del dio solare Ra, Sekhmet era anche una divinità messa in relazione con la cura delle malattie. Al fine di assicurarsene la protezione, il faraone Amenhotep III riunì molte sue statue nel proprio tempio funerario di Tebe ovest. Busto di Sekhmet conservato presso il Musée d’archéologie méditerranéenne, Marsiglia.


LE MALATTIE DOVUTE ALL’ALIMENTAZIONE La fertile terra dell’Egitto forniva ai suoi abitanti ogni sorta di prodotti di origine animale e vegetale. Ciò nonostante buona parte della popolazione era sottoalimentata.

BANCHETTI E O B E S I TÀ Nell’antico Egitto essere rappresentato con qualche chilo di troppo era sinonimo di successo e di un elevato status sociale. Le élite egizie potevano godere di un’alimentazione varia e abbondante, ma questo non le esimeva dal patire gravi acciacchi, tra cui malattie cardiovascolari come l’aterosclerosi (restringimento delle arterie), forse in conseguenza di una vita sedentaria e del consumo eccessivo di carni e grassi. Le moderne tecnologie applicate alle mummie egizie delle classi alte hanno fornito abbondanti informazioni al riguardo.

STELE DELLO SCULTORE BAK E DI SUA MOGLIE TAHERE. L’ADDOME PROMINENTE DI BAK È SIMBOLO DEL SUO STATUS SOCIALE. GETTY IMAGES

UN UOMO AFFAMATO REGGE UN RECIPIENTE. STATUETTA IN LEGNO. XII DINASTIA (MEDIO REGNO). AKG / ALBUM


SCENA DI UN BANCHETTO NELLA TOMBA DI NEBAMON. GLI EGIZI FACOLTOSI POTEVANO CONCEDERSI LUSSUOSE FESTE CON MUSICA E OGNI SORTA DI PRELIBATEZZE. BRITISH MUSEUM, LONDRA. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

FREQUENTI CARESTIE La maggior parte dei contadini viveva al limite dell’inanizione perché i raccolti copiosi dipendevano dalle piene del Nilo. Lo straripare del fiume condizionava anche l’alimentazione del popolo, che spesso pativa la fame. Il sostentamento quotidiano degli egizi si basava su pane, birra e vegetali anche se, quando svolgevano lavori per il faraone, potevano ottenere un apporto extra di carne o pesce. A ogni modo, a prescindere dal sovrano seduto sul trono il consumo di calorie di quasi tutti gli abitanti dell’antico Egitto fu sempre inferiore al fabbisogno.


MUERTE ANTES QUE RENDICIÓN

Ex manultor habus sin hacterem ina, serce etientiam Patquas sidetoredet, num Patura dienium publici amdionium egerox nos cus, poruntelium popublictum cons Maesce por iam. Quo nihicae omac. LOREM IPSUM

L’EGITTOLOGO ZAHI HAWASS OSSERVA LA MUMMIA DI TUTANKHAMON PRIMA DI SOTTOPORLA A UNA TOMOGRAFIA ASSIALE COMPUTERIZZATA (TAC).

KENNETH GARRETT

Le impurità della farina con cui si produceva il pane danneggiavano i denti degli egizi di qualsiasi classe sociale. Modellino funerario di un forno. Museo Egizio, Torino. SCALA, FIRENZE

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più consumati, il pane. Le pietre da macina usate per triturare il grano si sfaldavano leggermente durante il processo e lasciavano nella farina tracce microscopiche che, con il passare del tempo, rovinavano i denti di qualsiasi persona, che fosse un faraone o un umile contadino. Ma nella dentatura della famiglia reale riscontriamo l’assenza delle strie di Harris, ovvero di piccole linee che indicano quando i denti smettono di crescere a causa della malnutrizione. La maggioranza degli egizi trascorreva tutta la vita al limite della miseria, circostanza che ovviamente non riguardò mai i membri reali. Racconti come quello di Sinuhe o testi sapienziali come le Istruzioni di Ptahhotep descrivono bene gli acciacchi dell’età. Possiamo ritrovare tali tracce nella mummia di uno dei più noti faraoni: Ramses II, che governò nientemeno che sessantasei anni. La sua longevità comportò una lunga serie di pro-

blemi di salute, come è emerso dall’analisi dei suoi resti. Aveva i denti completamente rovinati, la polpa dentaria era scoperta e il faraone presentava vari ascessi: le sue sofferenze dovevano essere insopportabili. Come se non bastasse, alle gambe aveva una terribile spondilite artritica anchilosante che, oltre a essere dolorosa, gli impediva di camminare normalmente. Senza dubbio gli ultimi anni di Ramses II sul trono furono segnati da continui tormenti e forse questo lo aiutò a capire meglio i suoi sudditi, che ogni giorno combattevano contro l’usura derivata dalla lotta con gli elementi naturali, dalla scarsa alimentazione e dagli immani sforzi per sopravvivere. Sono le stesse mummie dei sovrani d’Egitto a raccontarlo ai posteri. Perché, in fin dei conti, la morte ci rende tutti uguali. JOSÉ MIGUEL PARRA EGITTOLOGO. MEMBRO DEL PROYECTO DJEHUTY

Per saperne di più

SAGGI

Mummie reali Francis Janot. White Star, Vercelli, 2008. La medicina dei faraoni Cristiano Daglio. Ananke, Torino, 2005.

SCALA, FIRENZE

IL LAVORO IN UN FORNO


RAMSES II SUL TRONO

La statua di granito rappresenta un giovane Ramses II nel pieno della vita e del potere. Il monarca è qui rappresentato sul trono, con gli attributi della regalità faraonica e con indosso la corona blu khepresh. Museo Egizio, Torino.


LA CITTÀ DEL MAUSOLEO

In questa ricostruzione di Alicarnasso sono visibili il porto, il viale accanto al quale si trovava il mausoleo e, in primo piano, il teatro, che si è conservato fino a oggi. BALAGE BALOGH / SCALA, FIRENZE


IL MAUSOLEO DI

ALICARNASSO MERAVIGLIA DEL MONDO ANTICO La tomba monumentale che Mausolo si fece costruire ad Alicarnasso fu ben presto riconosciuta come una delle meraviglie del mondo per la sua magnificenza architettonica e la sua ricca decorazione scultorea


C R O N O LO G I A

Il luogo di riposo di Mausolo 547 a.C. circa Il re persiano Ciro II il Grande conquista il regno di Lidia. La regione della Caria e la città di Alicarnasso cadono in mani persiane.

377-376 a.C. circa Il nobile Mausolo diventa satrapo della Caria succedendo al padre, Ecatomno, che era stato nominato da Artaserse II.

370 a.C. circa Mausolo trasferisce la capitale ad Alicarnasso e rifonda la città. Intraprende un vasto programma di opere pubbliche.

353 a.C. Alla morte di Mausolo, la moglie Artemisia prosegue la costruzione della sua tomba monumentale nel centro di Alicarnasso.

334 a.C. Alessandro il Grande assedia la città di Alicarnasso durante la conquista dell’impero persiano. Il mausoleo subisce i primi danni.

1408 Gli ospitalieri iniziano a costruire il castello di San Pietro a Bodrum utilizzando i materiali del mausoleo, che viene distrutto.

1857 Charles Thomas Newton riscopre il sito originale del mausoleo e dà inizio allo studio scientifico del monumento.

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S

ituata nel sud-ovest dell’Anatolia, la regione della Caria ebbe un ruoNell’immagine lo importante nell’antichità. I suoi qui sopra, una abitanti, i cari, parlavano una linricostruzione gua propria e avevano riti religiodel mausoleo si particolari. Famosi per il loro carattere nel luogo esatto che occuperebbe bellicoso, subirono l’influsso degli elleni che nell’attuale città avevano fondato delle colonie sulla loro codi Bodrum (antica sta. La regione fu conquistata dai persiani Alicarnasso). nel VI secolo a.C. e divenne una satrapia, o provincia, dell’impero achemenide all’inizio del IV secolo a.C. Ma i satrapi che la governavano TURCHIA erano nobili locali non sempre fedeli al potere persiano e spesso GRECIA con velleità d’indipendenza. È il caso di Mausolo, satrapo Alicarnasso della Caria tra il 377 e 353 a.C. (Bodrum) Dopo aver ereditato la posizione dal padre Ecatomno, prese a Creta comportarsi come un sovrano semi-indipendente, al punto che è citato in molte fonti con il titolo di re. Siglò alleanze, fondò città e s’impadronì dell’isola ALICARNASSO IERI E OGGI


NEOMAM STUDIOS

La tomba di Mausolo Il padre di Mausolo, Ecatomno, proveniva dalla città sacra di Milasa (l’attuale Milas, in Turchia), situata in una valle circondata da montagne, dove si fece costruire una tomba monumentale che è stata scoperta dagli archeologi nel 2010. Mausolo decise invece di stabilire la capitale ad Alicarnasso, sulla costa, ritenendo che la vivace colonia greca, dotata di un porto strategico di fronte all’arcipelago del Dodecaneso, potesse servire meglio le sue ambizioni rispetto alla provinciale Milasa. Alicarnasso si trovava su una collina semicircolare e lì vicino era ubicata la famosa fontana della ninfa Salmace, di

cui si diceva che rendesse lussuriosi coloro che vi si abbeveravano. Secondo il mito, quando Ermafrodito, figlio degli dei Ermes e Afrodite, si recò alla fontana, Salmace se ne innamorò e lo abbracciò, chiedendo agli dei di poter restare con lui per l’eternità; e gli dei l’esaudirono trasformandoli in un unico essere dagli attributi femminili e maschili. Mausolo circondò Alicarnasso di mura capaci di resistere agli attacchi della catapulta, una macchina bellica di nuova invenzione. Fece erigere il suo palazzo su un promontorio e, ai piedi dell’edificio, ordinò di costruire un porto segreto dove poter radunare navi e soldati lontano da occhi indiscreti. Ma tutte queste strutture impallidivano di fronte a un’opera che avrebbe reso imperituro il nome del monarca: la tomba monumentale dove sarebbe stato sepolto. L’idea stessa di collocarla nel centro della città era peculiare. Nell’antichità, per ragioni di salute pubblica, le sepolture avvenivano di

IL SATRAPO DELLA CARIA

Questa scultura proviene dal mausoleo di Alicarnasso e viene tradizionalmente identificata con Mausolo. British Museum.

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

di Rodi. All’iniziò del suo regno aveva manifestato fedeltà ai persiani, ma in seguito si unì alla rivolta dei satrapi, una serie di sollevamenti promossi dall’Egitto contro gli achemenidi. Rendendosi però conto che il movimento ribelle era destinato a fallire, Mausolo si allineò nuovamente con la monarchia persiana.


UNA MERAVIGLIA MILLENARIA

Affresco che rappresenta il mausoleo di Alicarnasso in forma idealizzata. Dipinto da Nikolaus Schiel nell’abbazia di Novacella, in Alto Adige. 1669.

RICORDI DI FAMIGLIA?

IL VASO PERSIANO

norma al di fuori delle mura cittadine, ma tra gli elleni la tomba del fondatore della colonia o di un eroe locale poteva essere situata all’interno della polis. Infatti, la tomba di Ecatomno si trovava nel cuore di Milasa. Suo figlio decise di far costruire la sua al centro dell’ampio viale che attraversava Alicarnasso da est a ovest, tra il porto e l’agorà, la piazza della città. La grandiosità della costruzione mirava a presentare Mausolo non come un semplice satrapo persiano, ma come il capostipite di una vera e propria dinastia di re della Caria. I lavori erano appena iniziati quando, nel 353 a.C., Mausolo morì. Gli succedette la sorella e moglie Artemisia II. Per testimoniare la sua devozione nei confronti del marito-fratello, la donna organizzò un funerale straordinario in cui, secondo le fonti antiche, gli oratori si esibi-

T

ra i pezzi trovati dagli archeologi nel mausoleo di Alicarnasso, uno è particolarmente sorprendente. Si tratta di un piccolo vaso di circa 30 centimetri, ricavato da un blocco di calcite. Il manufatto fu prodotto in Egitto e contiene una breve iscrizione in egizio, persiano, babilonese ed elamita con il nome di re Serse I (486-465 a.C.). Come giunse il vaso nella regione della Caria, e perché si trovava in una tomba risalente a un secolo dopo che Serse I aveva governato l’impero persiano? Sappiamo che nel 480 a.C., durante la Seconda guerra persiana, una regina chiamata Artemisia di Caria si unì all’esercito di re Serse I con una piccola flotta di navi. La sovrana non solo diede ottimi consigli al re persiano, ma combatté con tale coraggio nella battaglia di Salamina che il sovrano, osservando la

sconfitta del suo esercito, esclamò: «Oggi i miei uomini hanno combattuto come donne e le mie donne come uomini». Forse il vaso fu un regalo di Serse alla coraggiosa regina della Caria, e l’oggetto fu conservato con reverenza per generazioni fino a quando la regina Artemisia II, vedova di Mausolo, non decise di portare con sé nella tomba il prezioso dono ricevuto dalla sua antenata.

VASO ACHEMENIDE IN ALABASTRO. V SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA. BRIT

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ISH MUS EUM / SCALA, FIRENZE


IVAN VDOVIN / AWL IMAGES DEA / SCALA, FIRENZE

rono in una competizione di discorsi funebri di rara bellezza. Mausolo fu cremato su una gigantesca pira funeraria; Artemisia versò una parte delle sue ceneri in una coppa di vino e poi la bevve. La vedova s’impegnò anche a dare l’impulso finale al grande monumento dinastico, il mnema (ricordo) di Mausolo, o, semplicemente, mausoleo.

Un edificio imponente Il progetto del mausoleo fu affidato a due architetti: Satiro di Paros e Pitide. Il primo era un artigiano che aveva fedelmente lavorato tutta la vita al servizio della stirpe di Ecatomno. Pitide invece era un architetto molto influente, famoso per i suoi trattati. L’edificio era situato all’estremità nordorientale di un grande complesso circondato da un alto muro di marmo bianco che lo separava dal trambusto della città. L’area terrazzata dominava Alicarnasso, e probabilmente fu il luogo prescelto anche per la collocazione della pira funeraria del satrapo, visibile persino dal mare. Per sostenere

il peso della struttura furono scavate nella roccia delle fondamenta di un metro e mezzo di profondità. Attorno al monumento gli archeologi hanno rinvenuto i resti di un sistema di drenaggio, così come i supporti delle macchine probabilmente usate per sollevare i materiali fino alla parte superiore della costruzione. L’edificio era rivestito di marmo e sormontato da una piramide che culminava con una quadriga dello stesso materiale guidata da Mausolo – forse rappresentato come il dio Sole – accompagnato dalla moglie Artemisia. La struttura doveva raggiungere all’incirca i quaranta metri di altezza. I resti del satrapo della Caria furono depositati in una camera sotterranea alla quale si accedeva attraverso un’entrata nascosta, situata su un lato e sigillata grazie a un blocco di pietra fissato alla roccia tramite dei perni metallici. Dietro la lastra di pietra c’erano un piccolo corridoio, un’anticamera e uno spazio quadrato, decorato con colonne e statue, che ospitava l’urna contenente le ceneri del defunto.

TOMBA DI MILAS

Questa tomba nella città turca di Milas, l’antica Milasa, ricorda nello stile il mausoleo di Alicarnasso.

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LA TOMBA DI MAUSOLO IL MAUSOLEO di Alicarnasso fu costruito all’interno di un tèmenos 1 o recinto sacro di

242 x 105 metri, al quale si accedeva attraverso una porta monumentale 2 che comunicava con l’agorà della città. L’edificio era composto da tre parti. Quella inferiore era una struttura quadrangolare alta circa 19 metri 3, che si

stringeva leggermente all’estremità superiore. Quella centrale, denominata pteron 4, era circondata da 36 colonne ioniche tra le quali erano collocate delle sculture. Lo pteron sosteneva una piramide di 24 gradini 5 ornata di statue. L’edificio era sormontato da un carro guidato da Mausolo e da sua moglie Artemisia 6.

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RICOSTRUZIONE DEL MAUSOLEO DI ALICARNASSO E DEL SUO TÈMENOS O RECINTO SACRO.

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE

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LE ROVINE DEL MAUSOLEO

Il sito dell’antico mausoleo di Alicarnasso, nel centro dell’attuale Bodrum, conserva ancora frammenti di colonne e altri materiali dell’antico edificio.

LA RISCOPERTA

PIETRE VENERABILI

N

el XIX secolo, quando del mausoleo non era rimasto più nulla e persino la sua posizione originaria era caduta nell’oblio, un archeologo inglese riuscì a individuarne le rovine. Charles Thomas Newton era un assistente del British Museum; nel 1852 fu inviato in qualità di viceconsole britannico a Mitilene (sull’isola di Lesbo) con il compito di raccogliere opere d’interesse per la sua istituzione. Newton fece importanti scoperte a Calino, Cnido e Didima, ma il suo grande contributo fu la localizzazione di una delle meraviglie del mondo antico. Seguendo i riferimenti degli autori classici infatti, Newton notò una zona nel centro della città turca di Bodrum occupata da case e piccoli appezzamenti. Ciò che catturò la sua attenzione fu che, sparse a terra, si po-

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tevano notare delle sezioni di colonne ioniche realizzate in marmo di alta qualità. L’irregolarità del terreno indicava anche che poteva trattarsi di un’antica discarica. Dopo aver ottenuto il permesso per effettuare degli scavi, Newton trovò ben presto un fregio decorato con rilievi e il frammento di un leone di marmo. Come avrebbe ricordato più tardi, «da quel giorno non ebbi più alcun dubbio: avevo trovato il sito del Mausoleo».

In Asia Minore si erano già viste costruzioni simili: è il caso del monumento delle Nereidi a Xanthos. Tuttavia il mausoleo di Alicarnasso era eccezionale per le dimensioni e l’elegante disposizione delle varie parti; e ancora di più per la decorazione scultorea, di una ricchezza e una qualità senza paragoni nell’arte antica, come si può apprezzare dagli abbondanti resti conservatisi fino a oggi. Le sculture furono realizzate da quattro artisti, ciascuno incaricato di decorare una diversa facciata dell’edificio; il loro lavoro fu di tale livello che si riteneva impossibile stabilire quale fosse il migliore. Secondo Plinio il Vecchio, i quattro scultori erano Skopas, Briasside, Timoteo e Leochares. Vitruvio pensava invece che al posto di Timoteo fosse intervenuto nientemeno che Prassitele, una possibilità sostenuta da diversi studiosi moderni. Il sensuale Prassitele e Skopas, il maestro dell’emozione intensa, furono due dei più grandi scultori dell’antichità. Artemisia sopravvisse appena due anni al suo amato marito. Dopo la sua morte il


DEA / GETTY IMAGES ÁLVARO GERMÁN / ALAMY / ACI

regno passò nelle mani dei fratelli, Idrieo e Ada, anch’essi coniugi. La costruzione del mausoleo non era ancora conclusa, ma gli scultori decisero di continuare a lavorare, forse comprendendo che l’edificio era destinato a diventare un tributo al loro talento e all’arte stessa della scultura.

Oltre un millennio di esistenza Una volta terminato, e grazie all’eccellenza degli artisti che vi avevano lavorato, l’edificio divenne presto famoso e fu annoverato tra le sette meraviglie del mondo, ispirando successive costruzioni. Non a caso il termine “mausoleo” cominciò a essere usato per indicare qualsiasi tomba monumentale. Si sa che rimase in piedi per diversi secoli: nel Medioevo fu colpito da terremoti, ma all’inizio del XV secolo la sua figura dominava ancora Bodrum, l’antica Alicarnasso. Fu allora che entrarono in città i cavalieri dell’ordine di Rodi, ex crociati che erano stati espulsi dalla Terra Santa e si erano stabiliti nelle isole del Dodecaneso. Nel 1408, poco

dopo aver occupato Bodrum, eressero il castello di San Pietro, che si trova ancora oggi su un promontorio nel porto della città. Purtroppo, per innalzarlo, i costruttori usarono l’antico mausoleo come cava da cui prelevare conci per la nuova fortezza. Quando Bodrum fu conquistata dai turchi nel 1522, la tomba doveva ormai essere stata smantellata quasi completamente, al punto che era scomparsa ogni traccia del luogo in cui sorgeva. La sua posizione fu ricostruita solo nel 1857 grazie a un archeologo inglese, Charles Thomas Newton, che nel centro di Bodrum trovò sepolti i resti del più splendido mausoleo del mondo antico.

IL CASTELLO DI BODRUM

Come mostra questa incisione del 1844, il castello di San Pietro era decorato con rilievi e sculture dell’antico mausoleo.

EVA TOBALINA ORAÁ UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DI LA RIOJA, LOGROÑO

Per saperne di più

SAGGI

Le meraviglie del mondo antico Valerio Massimo Manfredi. Mondadori, Milano, 2014. LIBRI PER RAGAZZI

Le meraviglie del mondo antico. Come furono costruite Ludmila Henkova. IdeeAli, Cornaredo (MI), 2020.

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IL MAUSOLEO, GALLERIA DI SCULTURE A CIELO APERTO

L

o splendido mausoleo di Alicarnasso era decorato con un totale di ben 444 tra sculture e rilievi distribuiti dalla cima alla base del monumento. La piramide superiore era sormontata da un carro guidato da Mausolo 1, ai piedi della quale c’era un fregio raffigurante la centauromachia 2, cioè la lotta tra centauri e lapiti. I gradini della piramide erano decorati con leoni 3. Lo pteron (la struttura centrale) era decorato con numerose statue colossali 4, di tre metri di altezza e disposte negli intercolumni, che rappresentavano dei, eroi e antenati del satrapo della

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MARK DAVIDSON / ALAMY / ACI

FOTO: ALAMY / ACI

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Caria. Si ritiene che due di esse fossero state scolpite dallo scultore Skopas e rappresentassero il re Mausolo e la moglie Artemisia, anche se molti esperti le identificano piuttosto con due antenati del sovrano. Il muro interno dello pteron era decorato con un fregio di corse di carri 5. La struttura quadrangolare sotto lo pteron era ornata da due serie di bassorilievi che rappresentavano delle scene di combattimento tra greci e persiani 6, collocate su ampi “gradini” di pietra, e un fregio dell’amazzonomachia 7, lo scontro tra eroi e amazzoni. Sia l’amazzonomachia sia la centauromachia

alludevano alle vittorie di Mausolo sui suoi nemici ma simboleggiavano anche il trionfo dell’ordine sul caos. La sconfitta di questi esseri innaturali rappresentava infatti l’imporsi della civiltà incarnata dagli eroi greci. Nella parte inferiore del mausoleo si poteva vedere una processione che accompagnava alcuni animali verso il sacrificio 8 e conduceva a una porta situata al centro della facciata orientale, dove c’era una statua colossale, forse del re Mausolo, pronta a ricevere le offerte. E in effetti, secondo le fonti, al suo funerale furono fatti sacrifici di buoi, capre, agnelli, galli, galline e piccioni.

RMN-GRAND PALAIS

RMN-GRAND PALAIS

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FUSTO DI UNA COLONNA IONICA PROVENIENTE DAL MAUSOLEO E RIUTILIZZATA NEL CASTELLO DI SAN PIETRO.

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ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE

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TRA IL MITO E LA STORIA

Nel suo olio Ulisse e le sirene, del 1891, J.W. Waterhouse ricostruì l’episodio dell’Odissea. National Gallery of Victoria, Melbourne. Telemaco, figlio di Ulisse, andò a cercare il padre a Pilo. Dal palazzo miceneo di tale sito archeologico proviene la tavoletta in lineare B visibile in basso. 1300 a.C. circa.

ULISSE NATIONAL GALLERY OF VICTORIA, MELBOURNE / BRIDGEMAN / ACI

UN RE DE LL’ E TÀ DE L B RON ZO


BRIDGEMAN / INDEX

Anche se Ulisse è un personaggio mitologico che Omero ha reso protagonista dell’Iliade e dell’Odissea, le sue avventure rimandano a una civiltà realmente esistita: quella micenea, sviluppatasi nella Grecia dell’Età del bronzo

DEA / SCALA, FIRENZE


WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

LA GUERRA DI TROIA

Ulisse fu uno dei guerrieri che s’introdussero di nascosto a Troia dentro un cavallo di legno. La vicenda è raffigurata su questo vaso del VII secolo a.C. proveniente da Mykonos.

I

l personaggio di Ulisse, chiamato anche Odisseo, è famoso grazie all’Odissea, l’opera che narra il suo viaggio di ritorno da Troia all’isola di Itaca, il suo regno. In tale poema Omero racconta le disavventure che l’eroe patì vagando per dieci anni tra i flutti e scontando l’ira di Poseidone, il dio del mare che lo perseguitava perché l’eroe gli aveva accecato il figlio, il ciclope Polifemo. Dopo essere sopravvissuto a mostri come Scilla e Cariddi, aver trascorso lunghi periodi con la maga Circe e la ninfa Calipso e dopo aver resistito – legato al pennone della sua nave – al canto delle sirene, Ulisse giunse finalmente sull’isola dei feaci. Lì fu accolto dal re Alcinoo e, durante un banchetto in suo onore, il sovrano di Itaca svelò la sua

vera identità. Ulisse raccontò di come aveva errato per dieci anni, durante i quali aveva perso tutto, perfino i propri compagni. Finalmente, grazie all’aiuto del popolo dei feaci, l’eroe omerico riuscì a fare ritorno in patria. Appena giunto poté vedere con i propri occhi quanto l’indovino Tiresia gli aveva predetto nell’Ade, nel momento in cui l’eroe era sceso negli inferi: «Mali oltra ciò t’aspetteranno a casa: / Protervo stuol di giovani orgogliosi, / Che ti spolpa, ti mangia; e alla divina / Moglie con doni aspira» (Odissea XI, 154-157). E infatti Penelope, la sua paziente consorte, aspettava il ritorno di Ulisse nel palazzo reale assediata dai pretendenti, i proci, che speravano di sposarla e impadronirsi del regno mentre il vero monarca era assente (e presumibilmente morto). La regina aveva promesso che avrebbe scelto tra di loro un nuovo sposo non appena avesse terminato di tessere il sudario del vecchio re Laerte, il padre di Ulisse. Tuttavia li ingannava, perché ogni notte disfaceva quanto ordiva di giorno, nell’impaziente ma fiduciosa attesa del ritorno del marito. Questi, con l’aiuto di Atena, mise a punto un inganno: la dea lo trasformò in un vecchio mendicante perché potesse avere accesso alla reggia senza essere riconosciuto. L’eroe sopportò i torti dei proci finché poté vendicarsi con un altro tranello, quando Atena fece annunciare a Penelope un concorso di tiro con l’arco, il cui premio sarebbe consistito nell’ottenere la sua mano. Non appena ebbe i proci a portata di freccia, Ulisse cominciò a scagliare dardi fino a trucidarli tutti.

La storia e il mito Così termina la storia dell’eroe protagonista dell’Odissea. Eppure dietro c’è ben altro. La poesia di Omero sembra raccogliere antichi echi della civiltà micenea,

I MAR D A R MARMA

TROIA

(Hissarlik)

(Cefalonia)

M A

MICENE

M

GRECIA ITACA?

A

ATENE

R

EGEO

ASIA MINORE

R

IO

PILO

N IO

Mar MediterrAneo

C R O N O LO G I A

L’ETÀ DEL BRONZO

2000 a.C.

1600-1500 a.C.

I popoli indoeuropei giungono nei Balcani e da qui in Grecia. Portano con sé il carro e il cavallo.

Tombe dei circoli A e B di Micene, che contengono copiosi elementi in oro, come la maschera di Agamennone.


POLIFEMO

Facendo leva sulla sua astuzia, Ulisse acceca il ciclope Polifemo, figlio di Poseidone, dopo averlo fatto ubriacare. Affresco di Pellegrino Tibaldi. 1550-1551. Palazzo Poggi, Bologna. GHIGO ROLI / ALBUM

1450 a.C.

1200-1190 a.C.

VIII secolo a.C.

VI secolo a.C.

I micenei invadono Creta. Dalla civiltà minoica adottano la scrittura e le tecniche artistiche.

Guerra di Troia e distruzione dei regni micenei, dovuta forse ai popoli del mare o a una catastrofe naturale.

Secolo in cui sono composti i poemi omerici. L’Iliade è più antica dell’Odissea; forse sono opere di autori diversi.

Entrambi i poemi sono messi per iscritto durante la tirannide di Pisistrato, forse per stabilirne una versione canonica.


LA

I

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F

M A R

A

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DI PA LIKI

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I O N I O

LA MASCHERA DI AGAMENNONE

Nel XIX secolo Heinrich Schliemann effettuò per la prima volta degli scavi a Troia e a Micene, dove rinvenne la maschera funeraria in oro. 1500 a.C. circa. Museo archeologico nazionale, Atene.

EA FIN / RT

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denominazione con cui gli storici indicano il popolo che visse in Grecia tra il 1600 e il 1200 a.C., in piena Età del bronzo. A sua volta, questa prende il nome dal metallo di cui erano fatti le armi e gli oggetti più preziosi dell’epoca. Ulisse era il re di Itaca. Omero lo chiama anax e basileus, due appellativi riferiti al sovrano che dimostrano che la concezione della monarchia nei poemi omerici non è proprio la stessa del periodo miceneo, in cui si usava solo la parola (w)anax. La maggior parte degli studiosi ritiene che l’Odissea fu composta intorno all’VIII secolo a.C. raccogliendo tradizioni orali precedenti, e proprio per tale motivo non è dato sapere se Ulisse sia davvero esistito, anche se in merito si nutrono seri dubbi. D’altro canto è certo che esistette il regno miceneo di Itaca, e da tale realtà storica sorge il mito. Per i greci Ulisse era un eroe, al pari di Achille e di Agamennone, e tutti loro avevano preso parte alla guerra di Troia. Nonostante la loro storia appartenga al campo del mito, ci sono sempre meno dubbi

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LISSE era il re di Itaca, e da secoli gli specialisti dibattono su dove si trovasse davvero il regno descritto da Omero. Il carattere storico dei suoi poemi venne discusso agli inizi del XX secolo: all’indomani della scoperta di Troia e Micene da parte di Heinrich Schliemann, si cercò di ricostruire, con non poche difficoltà, il viaggio di ritorno di Ulisse. I rinvenimenti di epoca micenea a Cefalonia suggeriscono che sull’isola vi fosse un regno. Alcuni studi hanno ipotizzato che Itaca corrispondesse all’attuale penisola di Paliki, che nel periodo miceneo era separata dal resto dell’isola di Cefalonia da uno stretto, successivamente scomparso in seguito a numerosi terremoti. Di tale evento offre una testimonianza il geografo Strabone.

sul fatto che una guerra dovette pur prodursi in quel periodo. Lo ha provato lo scavo delle rovine di Hissarlik, una collina nella Turchia occidentale. Secondo gli archeologi, la città i cui resti sono conservati nello strato VIIa del sito venne distrutta da una guerra nel periodo compreso tra il 1230 e il 1180 a.C. Sarebbe questo il conflitto in cui presumibilmente si scontrarono i greci e i troiani. Dal punto di vista storico esistono prove archeologiche della presenza dei micenei in Anatolia, soprattutto a Mileto, un’antica e importante città a sud di Hissarlik. Tra le altre cose i testi micenei danno conto della presenza di donne provenienti da tale zona e residenti nel regno miceneo di Pilo, nel sud del Peloponneso.

Ulisse e il mondo miceneo È difficile sovrapporre il racconto omerico a quanto si sa della civiltà micenea, visto che l’Odissea sembra rispecchiare un mondo posteriore. Nonostante ciò, alcuni elementi del poema possono servire da raffronto tra la cultura micenea e quella immediatamente successiva alla sua scomparsa.

ALAMY / CORDON PRESS

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IL REGNO MARITTIMO DI ULISSE

SPACEPHOTOS / AGE FOTOSTOCK

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L’ISOLA DEL SIGNORE DI ITACA?

Nella fotografia, scattata dalle coste di Cefalonia, si può notare sullo sfondo il profilo della penisola di Paliki, che per alcuni potrebbe essere l’Itaca di Omero.


ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE


UNA RIEVOCAZIONE DEL MONDO OMERICO L’ARCHITETTO E ARCHEOLOGO francese Jean-Claude Golvin ha ricreato in quest’acquerello l’aspetto che poteva avere la reggia di Ulisse. Omero l’immaginò come la fusione tra un palazzo miceneo e una tenuta di campagna. Vi si accedeva tramite un porticato con colonne e si organizzava attorno a un cortile colonnato verso il quale era orientata la grande sala della casa. Qui si celebravano fastosi banchetti e il tetto era sorretto da pilastri. La residenza aveva un’area dotata di una grande vasca nella quale gli ospiti potevano lavarsi (pure negli scavi della reggia micenea di Pilo è venuto alla luce un ambiente simile). Al piano superiore si trovavano le stanze da letto e il “tesoro”, dove si conservavano sottochiave gli oggetti in bronzo, oro e ferro. Nella residenza di Ulisse, vicino alla sala c’era un altro locale dove venivano custodite le armi, mentre non si sa nulla circa i grandi magazzini e le botteghe presenti nelle residenze reali micenee.


I SERVITORI DEL RE

Il guardiano di porci Eumeo disegnato nel 1878 da John Flaxman per il libro Stories from Homer di Alfred J. Church. Il fedele servitore aiuta Ulisse a uccidere i proci. BRIDGEMAN / ACI

62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Gli stati micenei si organizzavano in reami, e Ulisse è difatti un sovrano. Secondo Omero era figlio di Laerte ed ereditò il governo appena raggiunse la maggiore età. Alcuni elementi dell’Odissea evocano realtà presenti pure nei testi micenei. Per esempio, i re controllavano i“palazzi”, ovvero complessi che, oltre a essere la residenza della famiglia reale, dei loro ospiti e dei servitori, costituivano centri amministrativi in cui venivano portati il raccolto e il bestiame del regno perché fossero ridistribuiti tra la popolazione o destinati al commercio. La ricchezza dei re micenei si basa infatti in buona parte sul possesso di mandrie o greggi: sia gli scritti storici sia l’Odissea parlano di armenti di maiali, vacche, capre e pecore di proprietà del sovrano. La loro importanza si riflette pure nel ruolo che Omero conferisce a tre pastori: il porcaro Eumeo, il capraio Melanzio e il bovaro Filezio. Nel poema appaiono riferimenti anche ai possedimenti del regnante: quando Ulisse ritrova il padre alla fine della sua avventura, Laerte si sta prendendo cura delle viti, forse in un temenos (tenuta) simile a quello posseduto dai sovrani nelle testimonianze micenee di Pilo.

Un altro aspetto in comune tra gli scritti di epoca micenea e il poema omerico è la presenza di servitori. Nel palazzo ci sono soprattutto schiave. Tra di loro, risalta Euriclea, la nutrice di Ulisse, che lo riconosce grazie a una cicatrice quando questi si presenta come mendicante e viene lavato secondo il costume dell’ospitalità greca. Nell’Odissea sono menzionate pure altre schiave domestiche, come quelle che Telemaco fa impiccare perché hanno mantenuto relazioni con i proci. D’altro canto la descrizione dell’oikos, o casa, di Ulisse è abbastanza diversa da come dovevano essere organizzati gli edifici micenei. Per esempio non vi figurano gli artigiani e gli schiavi incaricati di elaborare le materie prime che giungevano nella residenza, e che venivano pagati con terre e razioni di cibo e che sono invece ben riconoscibili nei testi micenei. Quanto all’organizzazione dei regni e ai rapporti tra l’uno e l’altro, non c’è un’opinione univoca. Una delle opzioni più verosimili è che gli stati formassero una sorta di confederazione allorché dovevano affrontare nemici comuni. Il modello compare nei poemi omerici ed è conseguente a una proposta di Ulisse.

BEAUX-ARTS DE PARIS / RMN-GRAND PALAIS

REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12

CIRCOLO A DI TOMBE A MICENE, AI PIEDI DEL PALAZZO DI QUEST’ENCLAVE MICENEA.


RICONOSCIUTO PER UNA FERITA

L’anziana nutrice di Ulisse, Euriclea, lo riconosce da un’antica ferita al piede quando il re giunge a Itaca camuffato. Dipinto di Gustave Boulanger. XIX secolo. École nationale supérieure des Beaux-Arts, Parigi.


STORIA E MITO IN OMERO

LA VENDETTA DI ULISSE

In questo disegno opera di André Bonamy il re di Itaca, appena tornato in patria dopo anni di peripezie, punta l’arco contro i proci che occupano il suo palazzo.

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In effetti, una volta divenuto il re di Itaca, Ulisse – come molti altri sovrani –aveva cercato di prendere in moglie Elena. Accortosi del gran numero di pretendenti alla mano della ragazza, l’eroe greco aveva in seguito preferito sposarne la cugina Penelope. Per guadagnarsi il favore del padre di Elena, Tindaro, il quale avrebbe potuto aiutarlo a ottenere la mano della nipote, gli consigliò di far giurare ai pretendenti della figlia che, qualora lei avesse corso qualche pericolo, tutti sarebbero andati in suo aiuto. Ecco la ragione mitica per cui l’Iliade presenta una confederazione di regni pronti a riprendersi Elena, rapita dal troiano Paride mentre era sposa di Menelao, monarca di Sparta. Tale aneddoto omerico troverebbe corrispondenza nei dati storici – i governi micenei sono menzionati quali regno di Ahhiyawa nei testi ittiti, e di Tanayu in quelli egizi – ed è quindi probabile che in quell’epoca vi fosse un simile modello di alleanza politica. Ulisse rimase assente da casa per vent’anni: i primi dieci per la guerra di Troia e gli altri per il viaggio di ritorno. A Itaca i proci ne

assediavano la moglie, la casa, la corona. Erano nobili che, in mancanza del legittimo sovrano, bramavano di conquistare la mano di Penelope, di eliminare l’erede Telemaco e d’impossessarsi del trono. Spietati, abusavano di tutto e di tutti, ma erano soprattutto empi. Trascorrevano il giorno a dissipare le proprietà di Ulisse, divertendosi tra banchetti e giochi: agli occhi dell’Olimpo tale comportamento poteva essere considerato una pretesa di vivere come dei. Era l’atto di hybris o arroganza più grave che si potesse commettere: nella cultura greca arcaica ogni eccesso portava a un inesorabile castigo, e quello dei proci consistette nel morire per mano di Ulisse. JUAN PIQUERO UNIVERSITÀ NAZIONALE DI EDUCAZIONE A DISTANZA (UNED)

Per saperne di più

TESTI

Odissea Omero. BUR, Milano, 2010. SAGGI

Ulisse. L’ultimo degli eroi Giulio Guidorizzi. Einaudi, Torino, 2018. I micenei Massimo Cultraro. Carocci, Roma, 2017. LIBRI PER BAMBINI

La storia di Ulisse e Argo Milo Milano. Einaudi, Torino, 2013.

PETER NAHUM AT THE LEICESTER GALLERIES, LONDON / BRIDGEMAN / ACI

OMERO. RITRATTO IMMAGINARIO DEL POETA. QUESTO BUSTO IN MARMO DEL II SECOLO D.C. È LA COPIA ROMANA DI UN ORIGINALE GRECO DEL II SECOLO A.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.

greca a partire dei poemi omerici? La risposta è no. Prima che venissero scoperte le città micenee e fossero decifrate le tavolette in scrittura lineare B, solo i testi omerici consentivano d’immaginare com’era il mondo del II millennio a.C. Oggi si può invece confrontare la narrazione con i ritrovamenti archeologici; non bisogna però dimenticare che Omero non è uno storico, bensì un poeta che raccoglie una tradizione di gran lunga precedente, deformata dall’oralità di cui lui stesso è un erede. Infine, secondo alcuni non sarebbe mai esistito. Sebbene nei suoi poemi si possano rintracciare degli elementi storici propri della realtà micenea, senza dubbio vi trionfa il mito, distorto dall’immaginazione e dal trascorrere del tempo.

WHITE IMAGES / SCALA FIRENZE

È

POSSIBILE RICOSTRUIRE la storia


AVIDI DI RICCHEZZE

I proci importunano Penelope, la moglie di Ulisse, in piedi davanti al sudario di Laerte, poggiato sul telaio. Olio di Victor John Robertson. 1900.


LA GRANDE VITTORIA DI CLAUDIO

ROMA INVADE LA BRITANNIA


LA FINE DELLA TRAVERSATA

Nel 43 d.C. le navi romane passarono forse davanti alle scogliere di Seven Sisters lungo la rotta verso Chichester, uno dei probabili luoghi di sbarco. AGE FOTOSTOCK

Emulando Giulio Cesare, nell’estate del 43 d.C. l’imperatore Claudio attraversò la Manica alla testa di due legioni e conquistò i popoli celtici del sud-est della Britannia con una campagna folgorante di soli sedici giorni

ALLEGORIA DEL TRIONFO DI CLAUDIO SULLA BRITANNIA. RILIEVO PROVENIENTE DAL SEBASTEION DI AFRODISIA. I SECOLO D.C. MUSEO DI AFRODISIA. AGE FOTOSTOCK


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dall’altra parte del canale 55-54 a.C.

Due spedizioni in Britannia permettono a Giulio Cesare di conoscere parte dell’isola e rafforzare le relazioni con i popoli che la abitano.

7 d.C.

Tincomaro, capo degli atrebati, e Dubnovellauno, capo dei cantiaci, omaggiano Augusto e riconoscono di essere legati all’impero.

40 d.C.

Dopo la fallita invasione della Britannia da lui organizzata, Caligola ordina ai soldati di raccogliere conchiglie come prova della ”vittoria”. ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE

41 d.C.

Inaspettatamente, Claudio viene proclamato imperatore dopo l’omicidio di Caligola avvenuto per mano della sua guardia pretoriana.

43 d.C. (estate)

Agli ordini di Aulo Plauzio, le legioni romane attraversano la Manica e iniziano la conquista della Britannia.

43 d.C. (autunno)

L’imperatore Claudio arriva in Britannia, dove accetta la resa di 11 re di diverse tribù dell’isola e celebra così il suo trionfo.

51 d.C.

Carataco, ultimo capo ribelle dei catuvellauni, si arrende a Claudio. Si conclude così la prima fase della conquista della Britannia.

68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PORTO D’IMBARCO

Gesoriaco, l’odierna Boulogne-surMer, era una delle principali città della Gallia romana e aveva un porto molto attivo.

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a città gallica di Gesoriacum, conosciuta anche come Bononia (l’attuale Boulogne-sur-Mer) fu a lungo una delle più trafficate dell’impero romano. Situata sulla costa francese della Manica, era (ed è ancora) il luogo ideale per attraversare il mare alla volta della Britannia. Nell’estate del 43 d.C. il fermento quotidianamente prodotto da marinai, mercanti ed emigranti era incrementato dalla presenza di numerosi soldati: la città si preparava ad accogliere l’imperatore Claudio, che sarebbe poi salpato in direzione dell’isola.

Erede di Cesare Claudio divenne imperatore in maniera inaspettata. Aveva sempre vissuto ai margini di qualsiasi aspirazione di potere: i suoi difetti fisici, soprattutto la balbuzie, lo avevano tenuto lontano dalla vita politica e militare. Quando aveva circa cinquant’anni, suo nipote, l’imperatore Caligola, fu assassinato. La guardia imperiale trovò Claudio nasco-


AKG / ALBUM

I PRECEDENTI NEL 40 D.C. Caligola tentò di emulare l’invasione della Britannia di Giulio Cesare e imporre il dominio romano sull’isola. Ma le fonti parlano della sua spedizione come di un fiasco imbarazzante: la flotta romana partì per l’isola, ma tornò indietro prima di attraversare il canale. L’imperatore avrebbe costretto le sue truppe a raccogliere conchiglie sulla spiaggia per presentarle come bottino dell’oceano. SBARCO DELLA X LEGIONE DI GIULIO CESARE IN BRITANNIA NEL 55 A.C.

Cesare, che anni prima aveva tentato d’impadronirsi dell’isola. Una vittoria gli avrebbe anche permesso di prendere le distanze da Caligola, promotore di una spedizione che era terminata in una pantomima. A queste ragioni di alta politica se ne aggiungevano altre di natura più pratica, ma altrettanto importanti. Per i suoi progetti d’invasione Caligola aveva reclutato due nuove legioni che ora costituivano un serio problema per l’impero, in quanto erano superflue. Congedarle era impossibile perché poteva provocare un ammutinamento; assegnarle a qualche generale di frontiera ne avrebbe aumentato le ambizioni di potere, con il rischio di una rivolta militare. Sfruttarle per l’invasione della Britannia sembrava la soluzione migliore. L’occasione era propizia perché i popoli britannici si trovavano in un periodo di grave conflitto

CLAUDIO, IL CONQUISTATORE

Questa testa di bronzo faceva parte di una statua di Claudio che fu distrutta a Colchester durante la rivolta del 60 d.C. British Museum.

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

sto nel palazzo, lo proclamò imperatore e il senato non ebbe altra scelta che accettarlo. E così quest’uomo intelligente ma poco dotato dal punto di vista fisico, scaltro e determinato ma privo di qualsiasi esperienza di comando, si ritrovò alla guida dell’impero. Tutti sapevano che un imperatore era prima di tutto il capo dell’esercito. Claudio, tuttavia, non aveva alcuna formazione militare ed era completamente sconosciuto alle legioni. Aveva urgente bisogno di una vittoria militare che gli procurasse fama e gli fornisse un bottino con cui tributare la città di Roma, conquistarsi il favore della plebe e rafforzare i suoi legami con l’esercito. Augusto, il primo imperatore, aveva raccomandato nel suo testamento che l’impero si mantenesse nei limiti tracciati alla sua morte, ma ora, quasi trent’anni dopo, Claudio aveva bisogno di un trionfo, e l’unico territorio che si profilava accessibile era quello della Britannia. La conquista dell’isola avrebbe rappresentato un grande successo propagandistico, rendendo Claudio l’erede politico di Giulio


UN VILLAGGIO BRITANNICO

Chysauster, in Cornovaglia, era un insediamento celtico di circa 70 abitanti, che sopravvisse fino al periodo romano inoltrato.

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interno, e Roma avrebbe potuto approfittarne per ottenere una facile vittoria, impedendo allo stesso tempo la formazione di una solida potenza sull’isola che avrebbe potuto trasformarsi in un preoccupante rivale. Furono proprio le dispute tra i regnanti britannici a fornire il pretesto per l’intervento. La perdita dei tomi centrali degli Annali dello storico romano Tacito ha privato la contemporaneità di un resoconto dettagliato della campagna. Restano solo alcuni passaggi dello storico greco del II-III secolo d.C. Cassio Dione, che ne forniscono un resoconto sommario. Secondo questo autore un certo Berico, cacciato dall’isola durante una rivolta, convinse l’imperatore Claudio della necessità d’inviare un esercito. Berico – o Verica, come appare nelle fonti latine – era il re degli atrebati, un popolo che era rimasto fedele all’alleanza con Roma fin dai tempi di Cesare. Gli atrebati erano il principale freno alla crescita politica e militare dei catuvellauni, che dall’epoca di Augusto avevano cominciato a espandersi verso sud e verso

est, alterando profondamente le relazioni tra le varie tribù britanniche, e tra queste e Roma. Del ruolo svolto da Berico o Verica non si sa nient’altro, poiché scomparve dalla documentazione storica. Deciso ad agire, Claudio affidò il comando della spedizione ad Aulo Plauzio, un ex console con esperienza militare. All’invasione presero parte quattro legioni che, insieme alle truppe ausiliarie, costituivano un effettivo totale di 40mila uomini.

La traversata della Manica Non c’erano dubbi sul fatto che la parte più difficile dell’invasione sarebbe stata la traversata della Manica. L’operazione presentava molte difficoltà, alcune reali e altre ipotetiche. La maggior parte dei soldati al servizio di Roma non si era mai imbarcata. Farlo per la prima volta per attraversare il canale della Manica era un’autentica sfida. Certo, la distanza era breve, ma le correnti erano forti e il viaggio pericoloso. Per vincere i timori dei soldati non era sufficiente la disciplina


HERITAGE / ALBUM HISTORIC ENGLAND / BRIDGEMAN / ACI

PORTA DI ACCESSO

militare, perché c’era il rischio di ammutinamenti. Claudio aveva inviato in Gallia uno dei suoi principali agenti governativi, il liberto Narciso. Di fronte alla riluttanza dei soldati, Narciso salì sulla tribuna per arringarli. Vedendo un liberto, quindi un ex schiavo, fare appello al loro coraggio, i soldati cominciarono a inneggiare per scherno ai Saturnali, perché durante queste festività i padroni e gli schiavi si scambiavano ruoli e costumi, per fingere di essere ciò che non erano, come in un moderno carnevale. Tuttavia, messi in imbarazzo da quell’arringa, i legionari accettarono alla fine di salire a bordo delle navi. In ogni caso, trasportare 40mila uomini con armi e bagagli attraverso la Manica non era un compito facile. Le testimonianze suggeriscono che l’esercito romano sbarcò a Richborough, un villaggio vicino a Sandwich, nel Kent, dove gli scavi archeologici hanno portato alla luce un accampamento romano risalente all’epoca di Claudio. Anche se ora è situato nell’entroterra, anticamente era un sito costiero protetto dalle correnti.

RUTUPIAE, oggi Richborough, fu il luogo di sbarco delle legioni di Claudio nel 43 d.C. Ben presto divenne un porto strategico attorno al quale si sviluppò un insediamento romano. Pochi anni dopo vi fu costruito un grande arco di trionfo, di cui ora non restano tracce, che si crede commemorasse la vittoria finale romana sui britanni dell’83 o 84. RICOSTRUZIONE DEL FORTE ROMANO DI RICHBOROUGH NEL II SECOLO D.C.

Nel luogo dell’accampamento sono state trovate anche le fondamenta di un arco di trionfo, che forse servì a commemorare il primo sbarco romano. Ma non è da escludere che per facilitare l’arrivo di un esercito così grande fossero state usate anche altre fonde nelle vicinanze di Dover.

L’avanzata nel Paese celtico

RICORDO DELLA VITTORIA

Questa moneta d’oro raffigura l’arco di trionfo, ora perduto, che Claudio fece erigere per commemorare la sua vittoria in Britannia. BRIDGEMAN / ACI

Mentre continuavano ad arrivare navi con altre truppe, Aulo Plauzio decise d’inoltrarsi in territorio britannico. La sua intenzione era marciare verso i catuvellauni, che sarebbero stati il nucleo della resistenza. All’inizio avanzò senza problemi. I britanni non si aspettavano che i romani riuscissero ad attraversare il canale e non si erano preparati alla difesa; decisero quindi di ritirarsi nelle zone boscose per evitare lo scontro e fiaccare le forze nemiche. Le prime schermaglie furono favorevoli a Roma e ben presto alcune popolazioni STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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HERITAGE / ALAMY / ACI


un insediamento britannico I CELTI DELLA BRITANNIA costruirono insediamenti fortificati sulle cime di diverse colline. Questa pagina mostra una ricostruzione dell’insediamento di Old Oswestry, in Cornovaglia. Occupato dall’800 a.C. circa, sopravvisse fino alla conquista da parte delle legioni romane di Claudio. L’imponente sistema di bastioni consisteva in circoli di terrapieni e fossati costruiti in diverse fasi. Tra gli uni e gli altri c’erano dei pozzi rettangolari, forse usati per conservare il cibo o come serbatoi d’acqua. In alcuni punti la barriera raggiungeva i sei metri di altezza. Vi si accedeva tramite un lungo corridoio strettamente sorvegliato. L’insediamento era caratterizzato da abitazioni circolari costruite con pali di legno e pareti di fango, paglia e canne e dotate di un focolare al centro dell’unico ambiente.


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Sbarco Il luogo esatto non è noto. Le prove archeologiche indicano l’area intorno a Richborough, ora nell’entroterra, ma all’epoca un territorio paludoso sulla costa.

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74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Battaglia di Medway I britanni si ritirarono verso nord contando sulla protezione del fiume. Dopo due giorni di battaglia, le truppe romane riuscirono ad attraversare il Medway nei pressi della foce, a Rochester.

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Guidate da Aulo Plauzio, le legioni a dn romane si i to t l s ivo ap stabilirono in Britannia al termine di una rapida Ut eh ve l h C A r nl’autunno ie s C spedizione tra l’estate deln t43. ese a h o r M io eu rt Le successiveSTcampagne, anch’esse dirette da Plauzio, estesero il dominio di Roma nel sud-est dell’isola.

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Sbarco Secondo alcune ipotesi, la flotta di Plauzio sbarcò nel territorio degli atrebati, alleati di Roma.

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

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CARATACO VIENE CONDOTTO IN CATENE DAVANTI A CLAUDIO, A ROMA. INCISIONE DI HENRY MARRIOTT PAGET PER UNA STORIA DELL’INGHILTERRA PUBBLICATA NEL 1903.

L’ULTIMO RE DEI CATUVELLAUNI

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MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

l popolo dei catuvellauni abitava le terre a nord del Tamigi. La loro lotta contro i romani fu guidata da Carataco e Togodumno, figli del re Cunobelino. Carataco fu tradito da Cartimandua, regina del popolo dei briganti, e consegnato ai romani, che lo portarono nella loro capitale per esibirlo come trofeo di guerra insieme ai suoi fratelli, sua moglie e sua figlia. Nei suoi Annali, lo storico Tacito racconta che la fama di Carataco aveva raggiunto l’Italia: «Tutti erano ansiosi di vedere chi fosse colui che per tanti anni aveva disprezzato il nostro potere». Secondo Tacito, il prigioniero britannico «non chiese pietà con espressioni umili del volto o con parole», ma si rivolse a Claudio con grande dignità, assicurandogli che, se gli avesse risparmiato la vita, sarebbe stato «un esempio vivente» della sua clemenza.

si schierarono dalla parte dell’invasore. Invece quelle che decisero di opporre resistenza si ritirarono a nord-ovest e oltrepassarono il fiume Medway, dove fu combattuta la prima battaglia importante. Il Medway scorre da sud a nord, attraversando l’Inghilterra sud-orientale fino a sfociare nei pressi dell’odierna Rochester. Convinti che il fiume fosse un fattore di protezione sufficiente, i britanni trascurarono altri aspetti difensivi. Naturalmente l’esercito romano doveva costruire ponti per attraversare i corsi d’acqua e questo, pensavano i britanni, ne avrebbe rallentato l’avanzata. Ma non sapevano che tra le unità ausiliarie di Plauzio c’era uno squadrone di cavalieri batavi famosi per la loro abilità nel guadare i fiumi in sella e armati. Così i britanni furono colti di sorpresa. I batavi sterminarono i cavalli degli avversari per impedirgli di usare i carri con cui combattevano e su cui viaggiavano le loro famiglie. Nel frattempo altre unità regolari, agli ordini di Vespasiano e Gneo Osidio Geta, attraversarono il fiume

più a monte, dove le acque erano più basse, e si unirono alla battaglia. Gli scontri furono intensi e le vittime numerose.

L’arrivo di Claudio I britanni superstiti si rifugiarono a nord del Tamigi, cercando ancora una volta la sicurezza di un fiume, ma anche la protezione offerta dalle paludi della regione, che si dimostrò più efficace: i legionari romani non erano in grado di avanzare attraverso quelle zone palustri che i loro nemici conoscevano alla perfezione. Fu allora che Plauzio avvisò l’imperatore di recarsi in Britannia. Le fonti antiche lasciano intendere che la ragione di quella chiamata fosse il bisogno di rinforzi da parte delle truppe romane. Tuttavia, le difficoltà di spostare il grande entourage imperiale suggeriscono piuttosto che il viaggio di Claudio fosse stato pianificato in anticipo, affinché l’imperatore potesse essere presente al momento della vittoria finale.

UN POPOLO GUERRIERO

I catuvellauni intrapresero un’espansione territoriale nel sudest dell’Inghilterra. La moneta qui sotto raffigura un cavaliere catuvellauno del I secolo d.C. British Museum, Londra. ALAMY / ACI

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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VALLO DI ADRIANO

Dopo le campagne di Claudio, la civiltà romana si espanse progressivamente verso la Britannia settentrionale. Nel 122 l’imperatore Adriano iniziò la costruzione di una muraglia passata alla storia come il vallo di Adriano.


CRAIG EASTON / GETTY IMAGES


PIAZZAFORTE

Colchester divenne la prima colonia romana in Britannia. Qui è raffigurato un frammento delle mura, le più antiche e meglio conservate del periodo romano sull’isola.

78 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA RIVOLTA DEGLI ICENI

Tra il 60 e il 61 Budicca, regina degli iceni (sotto), guidò una rivolta delle tribù britanniche contro il dominio romano.

dente: i batavi guadarono il fiume a cavallo, mentre Vespasiano, il futuro imperatore, costruì un ponte di barche sul Tamigi per permettere il passaggio delle legioni. I romani ottennero una vittoria su tutti i fronti e riuscirono a conquistare la capitale dei catuvellauni, la cittadella di Camulodunum (Colchester), che trasformarono in una base militare per controllare il territorio.

Una vittoria prestigiosa

ALAMY / ACI

In ogni caso, Claudio s’imbarcò a Ostia e da lì salpò, con notevoli difficoltà, per Massalia (Marsiglia). Risalendo il Rodano continuò via terra fino a raggiungere Gesoriaco. Qui l’imperatore, che viaggiava con la sua guardia pretoriana, trovò i rinforzi legionari che dovevano accompagnarlo nella sua traversata in Britannia. A tutte queste nuove forze Claudio volle aggiungere un’arma insolita, nella speranza che desse un contributo decisivo alla guerra: degli elefanti. Si può immaginare la sorpresa dei britanni, dei galli e anche della maggior parte dei romani alla vista di quegli animali. Purtroppo non si sa nulla del loro comportamento durante la traversata o in battaglia; probabilmente furono più un ostacolo che uno strumento utile a imporsi nello scontro. Claudio attraversò il canale e in sedici giorni riuscì a chiudere la partita contro i britanni. I generali romani replicarono la strategia impiegata nella battaglia prece-

Il trionfo imperiale sembrava assoluto. I popoli britannici si arresero e offrirono obbedienza a Claudio. Questi proclamò ufficialmente la sconfitta di undici re di Britannia e, a missione compiuta, tornò a Roma. La notizia della conquista raggiunse l’Urbe prima dello stesso imperatore, così che il senato ebbe il tempo di decretare gli onori pertinenti. A Claudio fu concesso il trionfo – la parata cerimoniale con cui si festeggiavano le grandi vittorie militari –, per la cui celebrazione fu ordinata la costruzione di un arco, del quale fu eretta


BRIDGEMAN / ACI

GUERRIGLIA BRITANNICA

G. WRIGHT / DEA / GETTY IMAGES

I BRITANNI utilizzarono contro gli invasori una tipica strategia

una riproduzione a Gesoriaco, poiché era il luogo da cui era salpata la spedizione. Forse un’altra copia fu eretta al forte di Richborough, in quanto prima località britannica su cui aveva posato piede l’imperatore. Claudio ricevette il titolo onorifico di Britannico, che avrebbe potuto ostentare anche il figlio, ritenuto suo probabile erede (anche se a causa di Nerone gli eventi presero una piega diversa). Alla celebrazione del trionfo fu accompagnato dai suoi generali. Più tardi lo stesso Plauzio avrebbe ricevuto un’ovazione, una forma minore di riconoscimento. Va detto però che la celebrazione della vittoria non pose fine alla guerra in Britannia. All’epoca i romani controllavano solamente la zona sud-occidentale dell’isola. Le altre popolazioni non si opponevano radicalmente al dominio romano, ma neppure ne accettavano con chiarezza il mandato. Scaramucce costanti, accompagnate da promesse di sottomissione non mantenute, contraddistinguevano il lavoro quotidiano delle truppe imperiali. Per controllare la si-

di guerriglia. Secondo quanto tramandato da Cassio Dione, «anche quando erano tutti riuniti, rifiutavano di avvicinarsi ai romani e preferivano rifugiarsi nelle paludi e nelle foreste, nella speranza di logorare il nemico e costringerlo a tornare indietro, come avevano fatto al tempo di Giulio Cesare». LE TRUPPE ROMANE IN BRITANNIA AFFRONTANO UN ASSALTO SU UNA STRADA.

tuazione le legioni iniziarono a costruire una strada che avrebbe attraversato l’isola da sud-ovest a nord-est e che conserva ancora oggi il suo nome latino: la Fosse Way, il percorso del fossato difensivo con cui i romani tentarono d’isolare le tribù che non si erano arrese. Pochi anni dopo, nel 60, Roma non fu in grado di contenere la ribellione generale dei britanni sotto il comando di una donna, la regina Budicca. Ma Claudio, il conquistatore della Britannia, non poté vedere quella rivolta perché morì nel 54. Affrontare la coraggiosa ribellione della regina degli iceni toccò invece a Nerone. JUAN MANUEL CORTÉS COPETE UNIVERSITÀ PABLO DE OLAVIDE (SIVIGLIA)

Per saperne di più

TESTI

Agricola Tacito. Rusconi, Milano, 2017. SAGGI

Il divo Claudio Robert Graves. TEA, Milano, 2000. La rivolta in Britannia. Boudicca contro Roma Nic Fields. LEG, Gorizia, 2016.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Tr a i l c ielo e l ’i n fer no

bosch

Che cosa significa, o Hieronymus Bosch, / il tuo sguardo attonito, che cosa / il pallore del tuo volto? Come se tu / avessi visto svolazzare dinnanzi a te i Lemuri, / gli spettri dell'erebo! Per te, io credo, si sono / aperti i recessi / di Dite impenetrabile / e le dimore del Tartaro: poich la tua mano / ha saputo dipingere bene ogni segreto anfratto dell'Averno. EPIGRAMMA DI DOMINICUS LAMPSONIUS RIPRODOTTO NELL’INCISIONE DI CORNELIS CORT


IL GIUDIZIO UNIVERSALE

Questa pagina mostra i particolari delle sofferenze dei condannati all’inferno nel Trittico del Giudizio universale, dipinto da Bosch intorno al 1505. Akademie der bildenden Künste, Vienna. ERICH LESSING / ALBUM

LO SGUARDO DI BOSCH?

Si è ipotizzato che questa rappresentazione di Bosch sia stata ispirata da un suo autoritratto. Incisione di Cornelis Cort. 1572 circa. Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam. CULTURE-IMAGES / ALBUM


L’

opera di Hieronymus Bosch offre un repertorio inesauribile di creature fantastiche e visioni oniriche che invitano alla contemplazione, immergendo lo spettatore in un’atmosfera terrificante. L’artista fu spinto dalla sua forte personalità a creare un mondo figurativo proprio, lontano dal realismo dei suoi contemporanei fiamminghi e riflesso fedele della morale religiosa centroeuropea all’inizio dell’Età moderna. Jeroen van Aken firmò i suoi pannelli con il soprannome “Bosch” in riferimento alla sua città natale, 's Hertogenbosch, conosciuta anche come Den Bosch, Bois-le-Duc in francese e Boscoducale in italiano. Questa località del Brabante– in cui visse e lavorò, probabilmente senza mai spostarsi – era una delle città più importanti dei Paesi Bassi borgognoni, la terza per popolazione dopo Bruxelles e Anversa, con circa 20mila abitanti. Den Bosch aveva un carattere più rurale e provinciale rispetto a Bruxelles perché non aveva una corte, né era una sede vescovile come Anversa, e neppure un’università come Lovanio. La sua prosperità derivava soprattutto dall’essere il centro di una zona agricola; nella piazza del mercato si riunivano i contadini della regione per vendere i loro prodotti e il bestiame. La città aveva anche una fiorente vita religiosa che si concretizzò nella fondazione di svariati monasteri e conventi e che permeava tutti gli aspetti della vita quotidiana: i cittadini partecipavano alle numerose feste religiose dell’epoca e ogni corporazione aveva il suo santo patrono. La figura di Hieronymus Bosch è avvolta in un’aura di mistero, perché di lui si sono 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Casa di Bosch

MERCATO DEI TESSUTI DI ‘S HERTOGENBOSCH CON LE CASE DI BOSCH E DELLA SUA FAMIGLIA SULLA DESTRA. 1530 CIRCA. NOORDBRABANTS MUSEUM, ‘S HERTOGENBOSCH. ERICH LESSING / ALBUM

conservate poche testimonianze documentarie. I soli riferimenti esistenti sono contenuti negli archivi comunali di Den Bosch e nei libri contabili della confraternita di Nostra Signora, alla quale apparteneva. Finanche la sua data di nascita è stata stabilita sulla base di una copia di un suo autoritratto conservato presso la biblioteca di Arras, che avrebbe dipinto intorno ai sessantacinque anni. Supponendo che il ritratto originale risalga a poco tempo prima della sua morte, avvenuta nel 1516, si è concluso che sia nato intorno al 1450.

Un artista benestante

1450

Data approssimativa della nascita di Jeroen van Aken, stabilita sulla base di un autoritratto che si fece poco prima di morire.

1504

Filippo il Bello commissiona a Bosch un Giudizio universale ora perduto, l’unica opera datata grazie a un documento.

1516

Il 9 agosto si celebrano le esequie di Bosch nella chiesa di San Giovanni, a 's Hertogenbosch; la data della morte è incerta.

Gli antenati di Bosch si erano stabiliti a 's Hertogenbosch verso la fine del XIV secolo. Il nome della famiglia, Van Aken, suggerisce che fossero originari della vicina città germanica di Aachen. Probabilmente Jeroen, figlio e nipote di pittori, ricevette la sua formazione nella bottega del padre, Anthonius van Aken (morto verso il 1478), una persona alquanto benestante a giudicare dal patrimonio censito a suo nome.

Nel 1474 Bosch appare per la prima volta nei registri comunali insieme a tre fratelli. Secondo gli archivi, ottenne il titolo di maestro pittore sei anni più tardi. Un altro documento attesta che nel 1481 era già sposato con Aleyt van der Meervenne, la figlia di un ricco mercante, con la quale probabilmente non ebbe figli. Inoltre Aleyt apportò un patrimonio considerevole alla coppia, come la casa della Croce Rossa, una delle più appariscenti nella piazza del mercato di Den Bosch, raffigurata in un curioso dipinto anonimo del 1530 circa. Tra le poche testimonianze documentarie sopravvissute sull’artista si segnalano quelle che rivelano la sua appartenenza alla


UN’OPERA ENIGMATICA

In Estrazione della pietra della follia, un falso chirurgo – un truffatore – che ha sul capo un imbuto rovesciato, estrae dal corpo del suo paziente la pietra che ne causa la follia. 1501-1505. Prado, Madrid. ERICH LESSING / ALBUM


specialisti vedono una forte influenza della religiosità dell’artista nella sua opera, dove creature inquietanti ed elementi simbolici interagiscono per trasmettere insegnamenti morali. Ma d’altronde a spiegare l’atmosfera minacciosa dei suoi dipinti contribuiscono anche gli episodi sanguinosi che scossero i Paesi Bassi nell’ultimo terzo del XV secolo.

Testimone di un periodo turbolento Durante la prima giovinezza di Bosch i Paesi Bassi conobbero un periodo di prosperità sotto il dominio di Filippo il Buono, duca di Borgogna, che a partire dal 1455 decise di stabilirsi nelle regioni del nord. Ma poco più tardi il benessere della zona fu oscurato dall’instabilità politica, quando Carlo il Temerario, il successore di Filippo III il Buono, arrivò allo scontro con il re di Francia. Il conflitto scatenò un’ondata di attacchi e saccheggi che terminò con la morte del duca nel 1477, nel corso della battaglia di Nancy. Uno degli eventi più violenti fu il sacco di Gand del 1468, quando la popolazione assistette a numerose esecuzioni pubbliche. Gli specialisti hanno evidenziato l’impatto che probabilmente ebbe sull’artista il grande incendio che rase al suolo 's Hertogenbosch nel 1463, poiché fuoco e bracieri appaiono ossessivamente nella sua opera.

MORTE DI UN AVARO

Questo disegno di Bosch è preparatorio al dipinto con lo stesso titolo che si trova ora a Washington. Pennello con inchiostro grigio e nero, lumeggiato di bianco, su carta grigia. 1500-1510 circa. Louvre, Parigi. RMN-GRAND PALAIS

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confraternita di Nostra Signora, un gruppo religioso di chierici e laici. Intorno al 1486 il nome di Hieronymus appare per la prima volta tra i membri di questa congregazione, alla quale l’artista rimase intimamente legato per il resto della sua vita. Era una delle tante confraternite del Brabante influenzate dalla moderna devotio, che denunciava la depravazione della società dell’epoca e promuoveva una pratica religiosa più semplice e personale. I confratelli dovevano condurre una vita esemplare divisa tra preghiera e studio, e tutto fa pensare che Bosch fosse un cristiano devoto al suo ordine. Proprio per quest’organismo e per la chiesa gotica di San Giovanni realizzò alcune opere a titolo gratuito, ma ebbe come mecenati anche membri di spicco della Chiesa e della nobiltà, uno dei quali probabilmente gli commissionò il trittico Giardino delle delizie. Gli

Bosch fu un pittore noto e apprezzato in vita. Il suo lavoro non lasciò nessuno indifferente e l’artista seppe da subito attirare su di sé una notevole attenzione. È menzionato da quasi tutti i trattati del XVI e del XVII secolo, soprattutto spagnoli. Ciò è dovuto alla passione ossessiva di Filippo II per l’opera di Bosch, i cui esseri infernali carichi di reminiscenze medievali apparivano al sovrano spagnolo perfetti per trasmettere i valori della Controriforma e della lotta contro il protestantesimo. Più di mezzo secolo dopo la morte dall’artista fiammingo, il re cattolico cercava ancora i suoi quadri per acquistarli e conservarli a El Escorial. È grazie a lui che il museo del Prado conserva oggi gran parte dei capolavori di Bosch. INÉS MONTEIRA ARIAS UNIVERSITÀ NAZIONALE SPAGNOLA DI EDUCAZIONE A DISTANZA (UNED)

Per saperne di più

SAGGI

Bosch. Una vita tra i simboli Massimo Centini. Polistampa, Firenze, 2003. Jos Hieronymus Bosch. Catalogo completo Jos Koldeweij, Paul Vandenbroeck, Bernard Vermet. Rizzoli, Milano, 2001.


INCORONAZIONE DI SPINE

Con una tecnica e un senso della composizione ammirevoli, Bosch raffigura un Cristo che ispira compassione circondato dai suoi torturatori. 1495 circa. National Gallery, Londra. CULTURE-IMAGES / ALBUM


TRITTICO DELLE DELIZIE l Giardino delle delizie, l’opera dipinta intorno al 1500, illustra l’universo fantastico e il simbolismo di Bosch. Si tratta di un trittico: i pannelli laterali si chiudono su quello centrale. A sinistra è rappresentato il giardino dell’Eden, al centro la terra e a destra l’inferno. A dare il nome alla composizione è proprio il pannello centrale, che mostra un giardino popolato da figure umane di diverse etnie e da forme vegetali e animali fantastiche.

I pannelli laterali

A sinistra, l’Eden; a destra, l’inferno. Il museo del Prado, presso cui è conservata l’opera, l’ha datata 1500-1510.

FOTO: ERICH LESSING / ALBUM

Nonostante la confusione, è possibile distinguere tre sezioni. Quella superiore presenta un’architettura immaginaria e quasi futuristica  1, mentre in quella intermedia è visibile una processione di personaggi abbandonati alla dissolutezza carnale, che girano intorno a uno stagno in cui si bagnano delle donne 2. Nella zona inferiore, figure più grandi evocano la sessualità sfrenata attraverso personaggi nudi, metafore visive con forme vegetali e frutti con connotazioni erotiche 3. Alcuni studiosi considerano questo pannello una visione di come sarebbe il mondo se l’umanità non avesse peccato. Nell’Eden, Dio dà ad Adamo una compagna, Eva, nella cui creazione l’autore situa l’origine del peccato di lussuria, che si sviluppa nei due pannelli adiacenti. Questa idea è rappresentata tramite due figure nella parte inferiore del pannello centrale, che indicano i primi esseri umani. Nell’inferno domina un’atmosfera da incubo generata da una miriade di creature aberranti e da effetti di luce.


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CASTIGHI DEI PECCATI

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ominato dall’effigie di un uomo albero e da altre strane figure che generano un effetto ipnotico – come un mostruoso uomo uccello – l’Inferno musicale forma parte del trittico delle delizie. Anche se alcuni specialisti hanno voluto vedere nell’uomo albero un autoritratto di Bosch, in realtà si tratta di Lucifero che governa questo mondo oscuro. La musica presiede l’abisso infernale: nella parte inferiore del pannello, gli strumenti musicali diventano sistemi di tortura. La lussuria non è l’unico peccato che viene punito: anche l’avarizia, la gola e la pigrizia ricevono il meritato castigo.

1  L’uomo albero

L’Inferno è dominato da una strana figura dal corpo ovale che si regge su due tronchi d’albero secchi. La sua testa sproporzionata è sormontata da un disco su cui alcune creature bestiali girano intorno a una gigantesca zampogna. All’interno del suo corpo è raffigurata una scena di taverna in cui dei peccatori nudi aspettano che i demoni gli servano rospi e altre creature disgustose.

2  Le orecchie

Queste orecchie gigantesche sono attraversate da una freccia e stringono un’enorme lama di coltello. Alcuni specialisti ritengono che si tratti di un riferimento alla sordità verso la parola evangelica; altri le interpretano come un emblema d’infelicità. La forma complessiva potrebbe essere anche una velata allusione al fallo e, quindi, al peccato di lussuria.

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3  L’uomo uccello

Questo mostro blu con il corpo di un uomo e la testa di un uccello rappresenta Satana. È seduto su una latrina simile a un trono, intento a divorare esseri umani che poi espelle in bolle blu sotto forma di disgustosi escrementi, facendoli precipitare nell’abisso di una fossa sudicia in cui un dannato vomita e un altro defeca monete, in riferimento al peccato dell’avarizia.

1: ERICH LESSING / ALBUM. 2: JOSEPH MARTIN / AKG / ALBUM. 3: ERICH LESSING / ALBUM.


Un demone regge una bandiera con la mezzaluna, simbolo dell’islam.

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Un condannato ha uno strumento musicale infilato nell’ano, un altro è chiuso in un tamburo.

Una donna è costretta a guardarsi nel didietro di un demone, in riferimento alla lussuria.

Il vomito allude al peccato di gola.


onservato presso il museo del Louvre di Parigi, questo quadro rappresenta in modo caricaturale e grottesco i peccatori: uomini animalizzati con gesti istrionici che ne evidenziano la perdizione morale. L’intento dell’artista è quello di mostrare il peccato come un male paragonabile alla follia, che porta alla punizione e alla morte. In questa imbarcazione della dissolutezza i peccatori mangiano, bevono, giocano a carte e si abbandonano al piacere della carne, componendo una metafora sui costumi della società della loro epoca. La rappresentazione di alcuni ecclesiastici estende la critica alla vita depravata dei religiosi. Spicca la mezzaluna che svolazza sull’albero della nave e potrebbe essere interpretata come un paragone tra questi peccatori e gli “infedeli” musulmani, un tema ricorrente in un periodo in cui imperversavano crociate e rivalità con i turchi.

LA NAVE DEI FOLLI


ORONOZ / ALBUM


IL TRIONFO DEI SANTI: UNA

San Girolamo e san Giovanni Battista, i santi eremiti del cristianesimo,

La lotta contro le tentazioni

San Girolamo, autore della Vulgata – la traduzione latina della Bibbia ebraica e greca – appare sul pannello centrale del Trittico degli eremiti, conservato presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia (1504 circa). Il santo è avvolto in una semplice tunica al centro di un paesaggio arido e surreale. Girolamo è raffigurato in preghiera davanti a un crocifisso e circondato da numerosi simboli di peccato ed eresia, tra cui i resti di un tempio pagano, dei ratti e un rospo.

Unicorno, emblema di purezza e castità nella simbologia cristiana.

Un idolo cade dal piedistallo su cui è raffigurato un personaggio che venera il sole e la luna.

Un goloso è entrato in un alveare per prendere il miele; il suo sedere nudo è un’espressione d’impurità.

Un’allegoria del trionfo dell’anima sulla carne: la casta Giuditta ha decapitato il lussurioso Oloferne.


VITTORIA SULLE TENTAZIONI resistono alle tentazioni del diavolo e sconfiggono il male

La creazione del mondo

Nel quadro San Giovanni Battista della fondazione Lázaro Galdiano di Madrid (dipinto intorno al 1505), il santo che battezzò Gesù appare circondato da un inquietante ambiente vegetale, in un paesaggio che ha poco a che vedere con il solito deserto. La riflettografia infrarossa rivela che Bosch dipinse il committente dell’opera in ginocchio davanti al santo, e poi lo coprì con una pianta fantastica. Forse il committente cambiò idea, o forse fu l’opera a cambiare di destinatario.

Il santo non è raffigurato nel deserto, ma in un paesaggio verdeggiante.

La pianta che copre il donatore è stata interpretata come una mandragola, una zucca, un frutto della passiflora o un cocomero.

Il Battista indica l’agnello mistico, simbolo di Gesù, che si è sacrificato per espiare i peccati degli esseri umani.

SINISTRA: MONDADORI / ALBUM. DESTRA: ERICH LESSING / ALBUM


SANTA SOFIA

LA PERLA DI COSTANTINOPOLI Nel 532 Giustiniano ordinò la costruzione di una magnifica chiesa a Costantinopoli: Santa Sofia. Malgrado i saccheggi e le distruzioni, è sopravvissuta fino a oggi mantenendo intatte la sua straordinaria cupola e la sua bellezza


UN EDIFICIO MILLENARIO

Santa Sofia ha vissuto varie trasformazioni nel corso dei secoli, fino a diventare una moschea. Oggi continua a stagliarsi orgogliosamente nel cielo di Istanbul. ALAN COPSON / AWL IMAGES


P

er più di mille anni l’orizzonte di Costantinopoli è stato dominato dal profilo della chiesa della Divina Sapienza di Dio, più comunemente conosciuta come Santa Sofia. Poco dopo il completamento della costruzione dell’edificio, lo storico Procopio di Cesarea lo definì «uno spettacolo di meravigliosa bellezza […] Infatti essa si erge fin quasi a toccare il cielo e come ondeggiando svetta sugli altri edifici sovrastando l’intera città; di essa rappresenta il gioiello, poiché le appartiene, ma ne è al tempo stesso abbellita, essendone una parte, e, come suo culmine, si eleva così in alto che dalla chiesa si può contemplare la città come da un osservatorio». Il profilo della città rimase praticamente invariato fino a quando, pochi decenni dopo la sua conquista da parte dei turchi nel 1453, l’architetto Sinan e il suo discepolo Mehmed Agha costruirono diverse moschee che competevano con Santa Sofia per dimensioni, imitandone al contempo il modello della cupola affiancata dalle semicupole.

Il complesso di Santa Sofia fu eretto sulle rovine di due precedenti edifici cristiani: una basilica costruita dall’imperatore Costanzo II nel 360, chiamata Megale ekklesia (Grande chiesa), che fu distrutta da un incendio nel 404; e una seconda chiesa consacrata da Teodosio II nel 415, che a sua volta fu gravemente danneggiata nel 532 durante la rivolta di Nika contro l’imperatore Giustiniano I. Come parte della campagna di ricostruzione e di rafforzamento della propria immagine, lo stesso Giustiniano decise di erigere l’edificio visibile ancora oggi. Costruita in appena sei anni, la chiesa fu solennemente inaugurata il 27 dicembre 537. Responsabili dell’opera furono due architetti con competenze di matematica e meccanica: Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto. I due progettarono un’edificio capace di stupire i contemporanei per la sua solida struttura architettonica e forse ancora di più per la sensazione di spazio etereo creata al suo interno dall’immensa 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DANNY HU / GETTY IMAGES

Una copertura straordinaria

C R O N O LO G I A

GLORIA DELLA CITTÀ

532 Dopo la distruzione di una chiesa precedente durante la rivolta di Nika, Giustiniano commissiona agli architetti Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto la costruzione della nuova basilica di Santa Sofia.

L’IMPERATORE GIUSTINIANO. BASILICA DI SAN VITALE, RAVENNA. ALBUM


TRA DUE MONDI

Vista aerea di Santa Sofia a Istanbul, con il palazzo di Topkapı sullo sfondo, sul promontorio che domina il Corno d’Oro e il mar di Marmara.

558

843

1204

1453

La prima cupola di Santa Sofia crolla, distruggendo la navata centrale. Isidoro il Giovane viene incaricato di erigere una nuova cupola, più alta della precedente, che si rivelerà più stabile.

La sconfitta definitiva degli iconoclasti, ovvero di coloro che volevano vietare il culto delle immagini, spinge alla creazione di splendidi mosaici per decorare l’interno di Santa Sofia.

I cristiani della quarta crociata conquistano Costantinopoli. Profanano e saccheggiano Santa Sofia, fondendo molti tesori d’oro e d’argento. Il bottino viene ripartito tra i signori crociati.

Costantinopoli cede all’assalto delle truppe ottomane guidate da Maometto II il Conquistatore. Il sultano trasforma Santa Sofia in una moschea e la dichiara sua proprietà personale.


SANTA SOFIA, COMPLESSO CRISTIANO La ricostruzione sottostante mostra lo stato di Santa Sofia nel periodo bizantino, prima delle modifiche introdotte dagli ottomani. La sua struttura combina una pianta basilicale a tre navate, che forma un rettangolo lungo 77 metri e largo 71, con una navata centrale definita dalla grande cupola che ricopre l’edificio.

CUPOLA

La cupola centrale 4 ha un diametro di 31,25 metri e un’altezza di 55,6 metri. È dotata di 40 finestre 5 che permettono l’ingresso della luce. È sollevata su quattro pennacchi 6, gli elementi triangolari che la uniscono agli archi su cui poggia; i pennacchi scaricano il peso della cupola su quattro contrafforti 7 e due semicupole 8.

ATRIO

In questo spazio, attualmente scomparso, i fedeli si riunivano prima di entrare in chiesa. Con una fontana al centro 1, dava accesso a due gallerie coperte, l’esonartece 2 e il nartece 3, da dove i catecumeni, o non battezzati, assistevano alle cerimonie.

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ICONOSTASI

Segnava la separazione tra due zone: quella del presbiterio, riservata al patriarca e agli officianti, e il resto della chiesa, dove si trovavano i fedeli.

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GALLERIE

BATTISTERO

Il piano superiore fu progettato come una grande galleria colonnata che si affacciava sull’ampio spazio vuoto generato dalla cupola e dalle due semicupole che coprivano la navata. In questa zona c’era una galleria riservata all’imperatore e una all’imperatrice.

Come da tradizione paleocristiana, è un edificio indipendente, annesso alla costruzione principale della cattedrale. Nel XVII secolo fu convertito nel mausoleo del sultano Mustafa I.

ILLUSTRAZIONE: SOL 90 / ALBUM

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cupola centrale, di trentadue metri di diametro per quasi cinquanta di altezza. Il già citato Procopio di Cesarea diceva che Santa Sofia «non sembra elevarsi su solida muratura, ma coprire lo spazio con la sua cupola dorata sospesa dal cielo».

Distruzioni e ricostruzioni

Nel 558, appena 20 anni dopo l’inaugurazione di Santa Sofia, un terremoto causò il crollo di metà della cupola dell’edificio 100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

R. HACKENBERG / GETTY IMAGES

La storia di Santa Sofia era destinata a essere segnata dalle forze della natura. Situata in una zona di grande attività sismica, Costantinopoli fu colpita – e continua a esserlo – da periodici terremoti, alcuni di grande intensità. Già nel 558, appena vent’anni dopo l’inaugurazione della basilica, metà della cupola crollò a causa di un sisma. Della ricostruzione fu incaricato Isidoro il Giovane, nipote di Isidoro di Mileto, che rinforzò l’edificio con costole e contrafforti e decise di costruire una cupola ancora più alta della precedente, conferendo alla chiesa l’altezza attuale di circa cinquantasei metri. Nel 989 un altro sisma provocò un crollo parziale che richiese ulteriori riparazioni, questa volta dirette dall’architetto armeno Trdat. Anche se nel 1317 furono costruiti quattro contrafforti per puntellare l’edificio, nel 1344 un’altra scossa danneggiò parte della cupola, che due anni dopo crollò. Furono dunque necessari nuovi interventi di rinforzo, condotti sotto la direzione dell’ottomano Giorgio Sinadeno Astra e di Giovanni Peralta, architetto di origini probabilmente siciliane con antenati aragonesi. Oltre che di queste ricorrenti catastrofi naturali, la cattedrale di Costantinopoli fu vittima anche della furia umana. L’episodio più drammatico fu senza dubbio il saccheggio da parte dei cristiani della quarta crociata, che nel 1204 misero a ferro e fuoco la città. Praticamente tutte le chiese furono saccheggiate, compresa Santa Sofia, il cui altare venne distrutto perché i preziosi materiali di cui era composto potessero essere ripartiti tra i signori crociati.


DENTRO SANTA SOFIA

La disposizione degli archi e delle colonne, la grande cupola che sormonta la navata e la luce che penetra dalle vetrate creano uno spazio diafano e impressionante.


Per circa mezzo secolo la struttura divenne una cattedrale latina (in precedenza, in quanto appartenente alla Chiesa bizantina, aveva seguito invece il rito ortodosso). Nel 1261, quando infine ripresero il controllo della città, i bizantini dovettero restaurare tutto ciò che era stato distrutto e rubato dai crociati.

La guerra delle immagini

I nuovi mosaici figurativi creati tra il X e il XII secolo commemorano alcuni imperatori legati alla storia dell’edificio e della città 102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

FRANK BUFFETRILLE / BRIDGEMAN / ACI

Molto tempo prima un altro sconvolgimento politico-religioso aveva modificato radicalmente l’aspetto dell’interno di Santa Sofia: la disputa che si era sviluppata nell’impero bizantino tra l’VIII e il IX secolo in merito al culto delle icone, le immagini caratteristiche della Chiesa orientale. Il cosiddetto movimento iconoclasta ebbe origine nel 730, quando l’imperatore Leone III proibì l’uso delle icone con la motivazione che la loro adorazione rappresentava un peccato d’idolatria. Santa Sofia non fu particolarmente interessata dal provvedimento, in quanto era decorata principalmente con mosaici ornamentali geometrici e vegetali. D’altra parte la vittoria dei difensori delle icone nell’843, guidata dall’imperatrice Teodora, portò a una completa ristrutturazione dell’interno della cattedrale: i mosaici precedenti vennero sostituiti da altri di tipo figurativo, che mettessero in evidenza la sconfitta del movimento iconoclasta. Uno dei primi a essere realizzati fu quello della Vergine theotokos (Madre di Dio), che si conserva ancora oggi in una delle semicupole absidali. In seguito furono realizzati ulteriori mosaici che obbedivano sempre a un’intenzione politica o ideologica. Molti di essi, creati tra il X e il XII secolo, commemorano alcuni imperatori particolarmente legati alla storia dell’edificio e della città. Il capolavoro del complesso è senza dubbio la cosiddetta Deesis (Supplica), raffigurante Cristo con Maria e Giovanni Battista. Fin dall’epoca della sua inaugurazione Santa Sofia è sempre stata un edificio


COLONNE DECORATE

Le colonne di porfido sono sormontate da elaborati capitelli. Le giunzioni tra capitelli e fusti sono state rinforzate con fasce di bronzo per evitare che s’incrinino.


mosaico di comneno. La vergine Maria theotokos e il bambino Gesù sono raffigurati tra l’imperatore

MICHELE FALLZONE / AWL IMAGES

mosaico dell’imperatrice zoe. Cristo pantocratore compare tra l’imperatrice Zoe e il suo terzo marito,

MANUEL COHEN / AURIMAGES

Giovanni II Comneno e l’imperatrice Irene. Questo mosaico, risalente al 1122 circa, si trova nella tribuna meridionale di Santa Sofia e raffigura la caratteristica offerta di una donazione imperiale.

l’imperatore Costantino IX Monomaco (il cui viso ha sostituito quelli dei due precedenti mariti). Il mosaico rappresenta la coppia intenta a fare una donazione alla chiesa di Santa Sofia. È datato tra il 1028 e il 1042.


SCALA, FIRENZE

deesis. Questo particolare del mosaico della Deesis mostra il Cristo pantocratore. Fu probabilmente l’imperatore Michele VIII Paleologo a commissionare l’opera dopo la riconquista di Costantinopoli da parte dei bizantini nel 1261, come parte del suo progetto di restauro di Santa Sofia dopo i decenni in cui era stata una chiesa latina.


emblematico dentro e fuori Costantinopoli. Le sue caratteristiche fisiche hanno suscitato lo stupore di numerosi visitatori le cui testimonianze sono giunte fino ai nostri giorni. Alcuni di loro hanno lasciato una traccia del loro passaggio tramite graffiti o iscrizioni rozzamente incise, come le rune vichinghe che sono state trovate in diverse parti della chiesa.

I visitatori di Santa Sofia raccontavano l’impressione in loro suscitata dai mosaici, dai marmi che decoravano le pareti e i pavimenti, dai capitelli… Sopraffatti dallo stupore, molti concludevano dicendo che era impossibile descrivere tutto ciò che avevano visto. Il diacono Alessandro, un pellegrino russo che visitò Costantinopoli intorno al 1395, dichiarò a proposito della cattedrale che «era impossibile descriverne la grandiosità o la bellezza». Nel 1403 alcuni inviati di Enrico III di Castiglia passarono da Costantinopoli per un’ambasceria che li avrebbe portati fino alla corte del grande conquistatore turco-mongolo Tamerlano. Il capo dell’ambasciata, Ruy Gonzáles de Clavijo, avrebbe più tardi messo per iscritto le impressioni del suo viaggio, ricordando la visita a Santa Sofia. Nonostante la prolissità della sua descrizione, Clavijo dichiarava che c’erano ancora molte altre cose «che non potevano essere raccontate o scritte in così poco tempo, perché l’edificio e le opere meravigliose in esso contenute sono così grandi da permettere a un uomo che ne avesse il tempo di osservare e vedere cose nuove ogni giorno». Considerata un angolo di paradiso in terra, la basilica divenne il simbolo indiscusso della fede bizantina. Anche dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani nel 1453, la chiesa fondata da Giustiniano sopravvisse nell’immaginario del cristianesimo ortodosso. Nei vari “treni”, o canti di lamento, per la perdita della città, il gioiello di Giustiniano occupa un ruolo centrale e dà senso all’esistenza stessa di Costantinopoli: «Santa Sofia, la grande meraviglia […] era il sole, e la città la luna. Senza il sole la luna non può brillare». Uno dei primi atti di Maometto II, dopo essere entrato da conquistatore a Costantinopoli il 29 maggio 1453, fu quello di andare a Santa Sofia a recitare le preghiere del venerdì 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AYHAN ALTUN / GETTYI MAGES

Visitatori a bocca aperta


LE GALLERIE

Al piano inferiore ci sono quattro colonne e a quello superiore otto. È nella galleria superiore che si trovano i mosaici più belli di Santa Sofia.


e la khutba, o sermone. Fu così che la chiesa divenne una moschea. Inizialmente l’edificio non subì grandi trasformazioni. Perfino il nome fu rispettato: la denominazione greca Hagia Sophia venne mantenuta nel turco Ayasofya. Solamente l’altare fu rimosso e sostituito da un mihrab (una nicchia rivolta verso La Mecca) e un minbar, o pulpito; inoltre, una mezzaluna andò a prendere il posto della grande croce sulla cupola e venne costruito un minareto, a cui presto se ne sarebbe aggiunto un secondo. Nel XVI secolo il famoso architetto Sinan avrebbe dato alla moschea l’aspetto esterno attuale, erigendo due nuovi minareti e il primo dei mausolei dei sultani che si trovano a sud dell’edificio, così come la galleria del sultano al suo interno.

Una moschea molto particolare A causa della riluttanza di diverse autorità islamiche a rappresentare figure umane, alcuni dei mosaici bizantini di Santa Sofia furono intonacati. Ancora nel XVII secolo lo scrittore Evliya Çelebi ne vide diversi e li descrisse come «dipinti dorati dalle forme strane, e strani angeli magici e figure umane che ti fissano così intensamente da sembrare vivi». Solo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo si decise di coprirli integralmente; allo stesso tempo furono aggiunte numerose decorazioni calligrafiche, tra cui gli otto giganteschi medaglioni che sono diventati un tratto distintivo dell’edificio attuale. Ma la sorte di Santa Sofia non era ancora segnata: dopo essere stata chiusa al culto nel 1931 e aver riaperto nel 1935 come museo, di recente le attuali autorità turche hanno infatti deciso di tornare ad attribuirle lo status islamico assegnatole da Maometto II quasi sei secoli fa, facendone di nuovo una moschea. DANIEL DURAN I DUELT STORICO

SAGGI

Santa Sofia Rowland J. Mainstone. Mondadori Electa, Milano, 2009. Bisanzio. Storia dell’impero che unì due mondi Judith Herrin. BUR, Milano, 2021. Bisanzio. L’universo dell’arte (edizione a colori) Neslihan Asutay-Effenberger, Arne Effenberger. Einaudi, Torino, 2019.

108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

NIDAY PICTURE / ALAMY / ACI

Per saperne di più


L’ORA DELLA PREGHIERA

Il dipinto ricostruisce la grande navata interna di Santa Sofia nel XIX secolo, quando l’edificio era usato come moschea. Gaspare Fossati e Louis Haghe. 1852.


IL PRIMO ATTRACCO

Cristoforo Colombo sbarca sull’isola di Guanahani, nelle Bahamas, il 12 ottobre 1492. Olio di José Garnelo realizzato nel 1892, nel quarto centenario dell’approdo nel Nuovo Mondo. ORONOZ / ALBUM


COLOMBO M I T I S U L L’A M M I RAGL IO

Celebrato come il grande pioniere dell’epoca delle scoperte, Cristoforo Colombo ha dato luogo a roventi polemiche circa le sue origini, l’ubicazione dei suoi resti, il suo vero volto e il marinaio che gli avrebbe forse indicato la rotta


I MAPPA DI HISPANIOLA

La cartina della costa nord dell’isola di Hispaniola, conservata nell’Archivio della Casa de Alba, è stata attribuita a Colombo. ORONOZ / ALBUM

C R O N O LO G I A

I VIAGGI PER L’AMERICA

112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

n Cristoforo Colombo, una delle ultime biografie sull’omonimo navigatore, lo storico britannico Felipe FernándezArmesto indica con ironia che, agli inizi del 1492, quando i re Cattolici riuscirono a conquistare la città di Granada, c’era almeno un loro sostenitore che non poté godere di tale successo: Colombo, appunto. Mentre le truppe locali dei musulmani sfilavano sconfitte, un gruppo di esperti si era pronunciato sul suo proposito di arrivare in Asia passando per l’oceano a ovest della penisola, affermando che ciò non era possibile. Desolato, il marinaio si mise in viaggio per scansare l’euforia generale e per valutare quale altro regno potesse essere interessato a quello che lui riteneva un progetto realizzabile. Dopo un giorno di cammino, un emissario reale lo raggiunse e gli ordinò di tornare indietro: i sovrani avevano cambiato idea. Il caso di Cristoforo Colombo è la palese costruzione ad hoc di un evento miracoloso. La “scoperta dell’America” – come l’evento è stato definito nella cultura occidentale – non è altro che l’approdo in un isolotto delle Bahamas di un equipaggio approntato in tutta fretta e composto da veterani e novellini

della Castiglia e di altre regioni europee. Va inoltre detto che, basandosi su una convinzione protrattasi per un decennio, questi uomini credettero di essere giunti in Asia. Oggi è invece noto che l’America era rimasta separata dagli altri continenti per migliaia di anni e solo in quel momento vi si ricollegò.

Venti profetici In realtà la proposta di Colombo non era poi così originale. Gli esploratori castigliani e portoghesi che nei decenni precedenti avevano percorso la costa ovest dell’Africa avevano osservato che i venti provenienti dall’Atlantico occidentale potevano indurre le navi a smarrirsi. Oggi che la tecnologia permette di localizzare sempre la propria posizione e di dirigersi dove si vuole, risulta difficile immedesimarsi nella mentalità degli antichi navigatori a vela. Per loro l’unica possibile garanzia di tornare a casa consisteva nell’imbattersi in qualche vento frontale. Ci vollero più di quattro decenni (dal 1520 al 1565) per individuare la rotta che nel Pacifico conduceva dalle Filippine al Messico. In molti perirono nell’impresa. Rimane dunque un mistero la rapidità con cui Colombo, già nel 1496, ossia al tempo del suo secondo viaggio, aveva tracciato un itinerario che si basava sui venti e sulle correnti più favorevoli alla navigazione. Da allora sono proliferate diverse ipotesi – alcune senza né capo né coda; altre interessanti – sull’accesso di Colombo a informazioni di prima mano, ereditate da marinai rimasti ignoti. Oltre alla scoperta, era altrettanto

1492-1493

1493-1496

1498-1500 1502-1504 1506

Colombo parte da Palos e, dopo tre mesi di viaggio, arriva in una delle isole delle Bahamas.

Nel secondo viaggio Colombo porta con sé 1.500 persone, compresi molte donne e bambini.

Nel terzo viaggio giunge nel continente e contrasta una ribellione a Hispaniola.

Nel quarto viaggio esplora le Antille e le coste dell’America centrale.

Colombo muore a Valladolid, in Spagna, dove è sepolto nel convento di San Francisco.


COLOMBO A BARCELLONA

Il quadro del pittore francese Joseph-Nicolas RobertFleury, del XIX secolo, evoca l’accoglienza di Colombo a Barcellona al ritorno dal primo viaggio in America, nel 1493. ERICH LESSING / ALBUM


SCALA, FIRENZE

PRIVILEGI DI COLOMBO

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Sopra queste righe, copertina di un elenco di privilegi ottenuti da Colombo per la scoperta dell’America.

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importante tornare indietro per raccontarla, ed è quanto fece l’ammiraglio. Come sottolinea lo studioso Juan Gil, fu «ammirato da molti, con disinvoltura e autorità». Se le sue azioni ebbero sul momento una portata limitata, spicca invece quella che si potrebbe oggi definire una sua abilità nelle relazioni pubbliche. La si osserva sia nel “casuale” approdo a Lisbona durante il primo viaggio, nel 1493 – lo scopo era quello di umiliare i marinai portoghesi e il re Giovanni II detto il Perfetto, che non molto tempo prima gli aveva rifiutato i finanziamenti –, sia nella “campagna pubblicitaria” che ne seguì. Raccontano le cronache che Colombo fece ritorno dall’altro lato dell’oceano con al seguito oggetti d’oro, pappagalli e indigeni. E con un simile corredo l’esploratore attraversò senza fretta la Castiglia e l’Aragona per poi essere ricevuto dai re Cattolici a Barcellona. Anche il rapporto di Colombo con i sovrani spagnoli è stato al centro di molte speculazioni. Secondo alcuni, Colombo nutriva un’enorme brama di potere e mirava a innalzare il più possibile la propria famiglia e la propria rete clientelare. Prima della partenza per l’America, nel 1492, aveva già ottenuto dai sovrani una serie di privilegi straordinari e stravaganti. Al ritorno i monarchi glieli confermarono proprio in virtù del rischio che aveva corso durante quell’insolita impresa. Allo stesso tempo però Isabella e Ferdinando si adoperarono immediatamente per difendere i diritti reali e dinastici, sia tramite varie bolle e CRISTOFORO COLOMBO. INCISIONE POI COLORATA. XIX SECOLO.

decreti papali emanati dal condiscendente papa Alessandro VI (spagnolo e della famiglia Borgia) sia grazie all’accordo di spartizione dell’orbe, pattuito con la Corona portoghese nel 1494 tramite il trattato di Tordesillas.

Gli ultimi viaggi Lo scontro tra i sovrani e Colombo sarebbe avvenuto durante la terza spedizione, quando questi cercò di amministrare Hispaniola. I re Cattolici mandarono subito il commendatore e inquisitore Francisco Bobadilla «perché governasse l’isola e tutte le terre» al posto di Colombo, dimostratosi invece piuttosto inefficiente come capo e che con le sue spese esorbitanti aveva dato un gran bel daffare al contabile Jimeno de Briviesca. Nominato ammiraglio del mare Oceano dai sovrani spagnoli il 17 aprile 1492, quando venne sostituito da Bobadilla in qualità di viceré e governatore Colombo si oppose. In una lunga lettera del 1500, redatta nella caravella che lo portava prigioniero da Santo Domingo alla Spagna e inviata a doña Juana, la governante del principe don Juan, indicava con dolore: «[Bobadilla] aveva detto a destra e a manca che voleva mettere ai ferri me e i miei fratelli». Ed è ciò che avvenne. Nel 1502 i re Cattolici gli autorizzarono un quarto viaggio in America, dal marzo di quell’anno al novembre 1504, il cui risultato più importante fu l’esplorazione costiera di quella che è oggi conosciuta come America centrale. Fino alla fine Cristoforo Colombo continuò a cercare il passaggio per l’Asia continentale, che sembrava così vicina ma che si trovava molto più lontana di quanto l’ammiraglio potesse immaginare. MANUEL LUCENA GIRALDO CONSIGLIO SUPERIORE D’INDAGINI SCIENTIFICHE (MADRID)

Per saperne di più

SAGGI

Cristoforo Colombo Giulio Busi. Mondadori, Milano, 2020. Miti e utopie della scoperta Juan Gil. Garzanti, Milano, 1991. Cristoforo Colombo Felipe Fernández-Armesto. Laterza, Roma-Bari, 1992.


ALCÁZAR DI COLOMBO A SANTO DOMINGO

La residenza venne costruita agli inizi degli anni dieci del XVI secolo a Hispaniola per volere di Diego Colombo. Rimasta in abbandono per molto tempo, venne restaurata a metà del XX secolo. DOMINGO LEIVA / FOTOTECA 9X12


colombo miti e incognite

Sulla figura dello scopritore dell’America esistono ancora oggi molte incertezze, a partire dal suo Paese natale. Altri misteri riguardano il luogo dove sono sepolti i suoi resti e se poté contare su alcune informazioni nel primo viaggio alla volta delle Indie.

FONDO: ORONOZ / ALBUM

SANTA MARIA. MODELLINO DELLA CARACCA USATA DA COLOMBO NEL PRIMO VIAGGIO.

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FONDO: ORONOZ / ALBUM

I L P R I M O N AV I G AT O R E

ORONOZ / ALBUM

1

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un’ipotesi valida. Nell’edizione da lui curata dei diari di bordo di Colombo (2017),l’antropologo Christian Duverger sottolinea come nel primo viaggio, sia all’andata sia al ritorno, l’ammiraglio sembra seguire una rotta prefissata, senza mostrare esitazione. Non solo: nel diario non tradisce alcuna sorpresa per quanto osserva nelle Antille, come se già sapesse cosa avrebbe trovato. Secondo Duverger, questi e altri indizi rafforzano la tesi di un viaggio precedente, compiuto da un altro marinaio o dallo stesso Colombo e servito da modello a quello del 1492.

OR

el XVI secolo alcuni autori riferirono di voci secondo le quali, negli anni in cui solcava l’Atlantico sulle navi portoghesi, Colombo aveva avuto notizia di marinai giunti in terre lontane, all’estremità occidentale di tale oceano. Venne fatto perfino il nome di Alonso Sánchez de Huelva, un navigatore e mercante che, poco prima di morire, avrebbe raccontato a Colombo del viaggio che lui stesso aveva compiuto nelle Indie, fornendogli informazioni precise sulla rotta seguita. Si è spesso creduto che questa storia di una“prescoperta”dell’America fosse stata diffusa dai rivali di Colombo per togliere merito alla sua impresa. Tuttavia non sono mancati gli storici che l’hanno considerata

M

Ci fu un precursore?

ASTROLABIO DEL XVI SECOLO. SOTTO QUESTE RIGHE, COLOMBO ILLUSTRA IL SUO PROGETTO. OLIO DI EDUARDO CANO. 1856.


2 U N P R E S U N T O O C C U LTA M E N T O

Le patrie dell’ammiraglio alla fine del XIX secolo sono comparse numerose teorie sulle origini di Cristoforo Colombo. Verso il 1892 uno storico galiziano lo considerò nativo di Pontevedra (Spagna). A partire dal 1916 si sostenne che fosse portoghese. Nel 1927 il peruviano Luis de Ulloa, che aveva risieduto per diversi anni a Barcellona, affermò che era un nobile catalano di nome Colom, lo stesso cognome che brandiscono dagli anni sessanta i difensori di un’origine maiorchina di Colombo. Al contempo si è creduto che potesse venire da una famiglia conversa. Malgrado ciò, le prove più affidabili caldeggiano la tradizionale provenienza

genovese. Eppure il fatto che fosse nato a Genova non dissipa tutti i misteri, soprattutto perché Colombo sembra aver voluto tacere di proposito sulle sue origini, forse perché molto umili o perché giudaiche. Se era italiano, sorprende che scrivesse solo in castigliano, perfino a destinatari genovesi. Ma va pure detto che il suo spagnolo era pieno di forestierismi, in particolare di portoghesismi, probabilmente dovuti al periodo che aveva trascorso in Portogallo. D’altro canto, i Colombo sono documentati a Genova solo dagli inizi del XV secolo: giunsero lì da un altro luogo? Chissà, magari lui e la sua famiglia migravano di continuo.

SPAGNA E PORTOGALLO. PARTICOLARE DI UNA MAPPA DELL’EUROPA REALIZZATA DA JACOPO RUSSO INTORNO AL 1528. WHA / AURIMAGES



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DA SINISTRA A DESTRA, PRESUNTI RITRATTI DI COLOMBO: DEL PIOMBO. 1519 CIRCA. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK. ANONIMO. XVI SECOLO. COLLEZIONE PAOLO GIOVIO. PINACOTECA CIVICA, COMO. RIDOLFO DEL GHIRLANDAIO. XVI SECOLO. GALATA MUSEO DAL MARE, GENOVA. FOTO DA SINISTRA A DESTR A: MET / ALBUM; SCALA, FIRENZE; SCALA, FIRENZE.


F O L L A D I R I T R AT T I

I volti di Colombo? e varie testimonianze, a cominciare da quella del figlio Fernando, descrivono Colombo come un uomo robusto, piuttosto alto, rubicondo, dai capelli grigi nella maturità e dagli occhi chiari. È difficile capire fino a che punto corrispondano a quest’immagine i ritratti realizzati nel XVI secolo e che rappresenterebbero il navigatore. Per cominciare, sono tutti successivi alla sua morte. Quello di maggior qualità è opera di Sebastiano del Piombo: realizzato intorno al 1519, mostra un uomo prestante dal piglio severo. Un’iscrizione l’identifica come «il marinaio ligure Colombo»,

ma fu aggiunta molti anni dopo. Un secondo ritratto rappresenta un uomo più anziano, serio e dagli occhi cadenti. Si crede che nel XVI secolo facesse parte della galleria di uomini illustri voluta dall’umanista comasco Paolo Giovio, perché nel XIX secolo finì nelle mani di Alessandro de Orchi nel momento in cui sposò una Giovio. Un ulteriore ritratto, attribuito da alcuni a Ridolfo Bigordi, detto “del Ghirlandaio”, venne scoperto nel XIX secolo dal genovese Giambattista Cevasco. Il personaggio fu identificato con Colombo per la somiglianza con altri ritratti, ma per alcuni si tratta di una semplice ipotesi.


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LA MORTE DI COLOMBO. OLIO DI FRANCISCO ORTEGO Y VEREDA. XIX SECOLO. MUSEO DE AMÉRICA, MADRID. ORONOZ / ALBUM


L E R I M O S T R A N Z E D E L L’ E S P L O R AT O R E

Morto in povertà?

no dei luoghi comuni su Colombo che più hanno preso piede riguarda la sua morte in ristrettezze economiche. Alla base vi è forse una lettera scritta dal navigatore in Giamaica il 7 luglio 1503, durante il quarto e ultimo viaggio. Qui affermava che in Castiglia non aveva nemmeno una casa: «Non possiedo in Spagna un tetto ove ricoverare il capo; se voglio bere e mangiare mi bisogna andare all’osteria, ed il più delle volte non ho di che pagare lo scotto». Il figlio Fernando non fu da meno in tale lamentela, come anche Las Casas, che parafrasò la lettera di Colombo.

Riferì infatti: «Era trapassato da questa vita in stato di amarezza e povertà e, come aveva detto, senza un tetto sotto cui vivere». Tuttavia il risentimento di Colombo era forse più legato all’umiliazione di aver perso il potere nelle Indie che a una vera e propria povertà. È lo stesso testamento a fornirne una prova. Ripartì infatti tra i due figli, Diego e Fernando, e tra i fratelli, Bartolomeo e Diego, un patrimonio molto considerevole. Il solo Fernando, il secondogenito, ricevette un milione e mezzo di maravedì, che gli avrebbe consegnato il fratello maggiore nonché erede.


SEPOLCRO DI COLOMBO NELLA CATTEDRALE DI SIVIGLIA. FU REALIZZATO DA ARTURO MÉLIDA PER LA CATTEDRALE DELL’AVANA NEL 1896 E DUE ANNI PIÙ TARDI FU SPOSTATO IN SPAGNA ASSIEME AI RESTI DELL’AMMIRAGLIO. MARTIN JUNG / AGE FOTOSTOCK


L A D I S P U TA S U L L E S P O G L I E

L’odissea delle ossa dell’ammiraglio

resti di Colombo hanno viaggiato quasi quanto lo fece in vita il marinaio. Morto a Valladolid nel 1506, tre anni dopo la sua bara fu trasportata nel monastero della Cartuja, a Siviglia. Intorno al 1544, su richiesta della nuora María de Toledo, la salma arrivò a Santo Domingo, dove venne deposta nella cappella maggiore della cattedrale. Dimenticate per decenni, le ossa rispuntarono a metà del XVII secolo in una scatola di piombo ritrovata durante alcuni lavori. Nel 1795, quando l’isola passò temporaneamente in mano francese, le autorità spagnole ordinarono di trasferirle all’Avana. Nel 1898, quando Cuba si rese indipendente dalla Spagna, furono mandate a Siviglia e collocate nella cattedrale su un vistoso monumento. Tutti questi spostamenti, effettuati a volte in modo poco attento, hanno suscitato dibattiti sulla vera ubicazione dei resti. Alcuni autori sivigliani hanno sostenuto che le spoglie non hanno mai lasciato il monastero della Cartuja, il che contraddirrebbe la categorica testimonianza di María de Toledo sul trasferimento del corpo a Hispaniola. Nel 1877 venne annunciato che nella cattedrale di Santo Domingo erano state recuperate le vere spoglie di Colombo, e che quindi non sarebbero mai state rimosse da lì nel 1795. Tuttavia, secondo un’analisi del DNA realizzata nel 2006, i resti di Siviglia appartengono sicuramente a Colombo.

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6 R I A F F E R M AT O N E L X I X S E C O L O

La “resurrezione” di Colombo uando Cristoforo Colombo morì a Valladolid il 20 maggio 1506, la notizia ebbe una scarsa risonanza e l’avvenimento non comparve nemmeno negli atti ufficiali della città. Ciò è indicativo del ruolo marginale che per molto tempo venne attribuito al marinaio genovese nella celebrazione della scoperta e della conquista dell’America, almeno se comparato con la glorificazione della figura di Hernán Cortés. L’opera di teatro che Lope de Vega gli dedicò agli inizi della propria carriera, El Nuevo Mundo descubierto por Cristóbal Colón, fu un caso piuttosto eccezionale. L’esaltazione dell’ammiraglio e della sua impresa iniziò

solo nel XVIII secolo e crebbe nel XIX grazie a biografi, letterati e artisti di ogni sorta. Uno scrittore francese, Roselly de Lorgues, promosse perfino una campagna per far sì che il papa iniziasse il processo di beatificazione di Colombo, alla fine respinto. Il momento di maggior interesse si ebbe nel 1892, in occasione del quarto centenario della scoperta, commemorato non solo in Spagna, ma anche in Italia (patria più probabile di Cristoforo Colombo) e in tutti i Paesi del continente americano. A quegli anni risale la maggior parte delle statue innalzate in omaggio alla figura dell’esploratore e oggi nel mirino dei critici della colonizzazione.


STATUA DI COLOMBO REALIZZATA DA ERNEST GILBERT E COLLOCATA NEL 1887 NEL PARQUE COLÓN DI SANTO DOMINGO, DAVANTI ALLA CATTEDRALE DI SANTA MARÍA LA MENOR. DOMINGO LEIVA / FOTOTECA 9X12


L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA

STORIA MODERNA

I Caffè, luoghi d’incontro d’intrighi e rivoluzioni

L’ Massimo Cerulo

ANDARE PER CAFFÈ STORICI Il Mulino 2021; 152 pp., 12 ¤

ingresso è libero ma prima per favore osservate le seguenti regole di buona creanza […] Qui nessuno è considerato per il proprio rango ma ognuno occupi il primo posto e nessuno si alzi davanti a un altolocato per cedergli il posto». Si tratta di un frammento dei Rules and Orders of the Coffee-House (1674), ossia le regole delle prime “botteghe da caffè” inglesi dalla portata rivoluzionaria. Qui non esistevano, almeno sulla carta, stecca-

ti tra ceti, classi e corporazioni e ci si sentiva liberi di esprimersi con creatività ed energia. Rimpallando di bocca in bocca tra un sorso e l’altro la parola diventava opinione, bisbigliata oppure urlata, sobria oppure dirompente, talvolta talmente accorata da divenire movimento o anche moto rivoluzionario. Ripercorrendo le origini del “fenomeno coffeehouses” nell’Europa moderna, il sociologo Massimo Cerulo spiega come i Caffè attecchirono in Italia

dando il via, dal 1700 in poi, al processo del “farsi” della nazione: «I Caffè sono stati bureaux de l’esprit: luoghi di germinazione di forme di avanguardia artistica e cenacoli letterari […] in questi locali sono maturate forme collettive di resistenza al potere costituito che segneranno la storia d’Italia». A quei «laboratori di relazioni» e «sfera pubblica» che sono stati i Caffè, Cerulo dedica un viaggio in otto città: dal Florian di Venezia al Gran Caffè Renzelli di Cosenza, passando per il Bicerin di Torino, il Tommaseo di Trieste e il napoletano Gambrinus: sono in tutto diciotto i locali storici vissuti e raccontati con sguardo scientifico e gusto da esteta.

ARTI DIVINATORIE

ESSERE MADRI NEL MEDIOEVO «MA SONO TUA MADRE, figlio mio Guglielmo, e le paro-

le del mio manuale sono rivolte a te». Trabocca d’affetto il prologo del Liber manualis, scritto tra l’841 e l’843 da Dhuoda, nobildonna di età carolingia. L’opera di carattere pedagogico è scritta da una madre costretta per varie vicissitudini a vivere lontana dal figlio. Tuttavia Dhuoda non rinuncia a impartire saggi consigli di morale cristiana fondanti sull’amore che da Dio dovrebbe irradiarsi sui famigliari e sul prossimo. A prenderne in esame i 73 capitoli è la storica Maria Giuseppina Muzzarelli in un saggio che si propone d’«indagare le molteplici forme assunte dalla funzione materna nel Medioevo» a partire dall’opera di Dhuoda, madre solo fisicamente “assente”. Maria Giuseppina Muzzarelli

MADRI, MADRI MANCATE, QUASI MADRI Laterza 2021; 192 pp., 9,99 ¤

128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Giulio Busi

INDOVINARE IL MONDO Il Mulino 2021; 240 pp., 15 ¤ «IL RE EGEO, imponente, barbu-

to, non è abituato ad attendere. Ma la dea Temi, perfetta nel suo profilo, lontana, irraggiungibile, non degna il sovrano nemmeno di uno sguardo […] Il destino che il re aspetta e desidera, Temi lo vede, lo sente».

Con il momento dell’oracolo fornito al re Egeo dalla dea Temi, che secondo alcuni miti era padrona dell’oracolo di Delfi, lo studioso Giulio Busi introduce al mondo arcaico della divinazione. Si tratta di una pratica millenaria ma, secondo Busi è una materia infida perché «di ciarlatani è pieno il mondo, e per un vaticinio azzeccato se ne possono trovare mille e ancora mille che vanno a vuoto, illudono, danneggiano chi vi presti fede». Con una narrazione avvincente l’autore costruisce il proprio viaggio fra l’antico Israele e l’Europa moderno-contemporanea: incontra veggenti e indovini e scopre storie di presentimenti e visioni che hanno come tratto comune l’inesplicabile.


ISTITUTO MATTEUCCI, VIAREGGIO

AU THÉÂTRE. FEDERICO ZANDOMENEGHI, 1895 CIRCA. ISTITUTO MATTEUCCI, VIAREGGIO.

ARTE CONTEMPORANEA

L’opera italiana tra palco e pubblico A Parma, capitale italiana della cultura 2021, una mostra indaga il rapporto fra opera e società in venti sale tematiche

Q

uattro figure femminili occupano il palchetto di un teatro. Una tiene in mano un piccolo binocolo finemente decorato per scrutare all’occorrenza le figure che si alternano sulla scena. La donna con l’abito scuro al centro sembra guardare nella direzione opposta rispetto alle altre, come se fosse distratta o attratta da qualcuno o qualcosa tra il pubblico. Il dipinto

Au théatre (1895) dell’artista veneto Federico Zandomeneghi (1841-1917) può dirsi fortemente rappresentativo del rapporto fra opera e società, fra ciò che accade da una parte e dall’altra dello spazio scenico. A Parma, capitale italiana della cultura 2021, una mostra si propone d’indagare l’universo operistico da differenti prospettive. La prima s’interessa al pubblico, al modo di stare in

teatro ma anche «alle strade che il melodramma ha intrapreso per avvicinarsi a un pubblico più ampio e i mezzi che gli hanno permesso di scendere dal palcoscenico per farsi conoscere fuori dal teatro», spiegano gli organizzatori. La seconda riguarda il modo in cui i temi oggetto d’opera hanno influenzato più o meno direttamente i processi di unità nazionale e di liberazione dallo stra-

niero-invasore, parlando ai cuori, aprendo le menti e valicando la dimensione dell’intrattenimento. Sono oltre cinquecento le opere esposte in venti sale tematiche: dipinti tra cui spicca il ritratto della celebre soprano e attrice Lina Cavalieri (1875-1944) di Cesare Tallone (1905), ma anche volumi antichi, stampe, fotografie, libretti, riviste, documenti d’archivio, costumi, oggetti di scena e materiali audiovisivi e sonori provenienti da settantacinque prestatori pubblici e privati. OPERA: IL PALCOSCENICO DELLA SOCIETÀ Palazzo del Governatore, Parma. 18 settembre 2021 – 13 gennaio 2022 parma2020.it

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero GLI ULTIMI GUERRIERI SAMURAI

ALBUM

NEL 1868 una rivoluzione segnò la fine della dinastia dei capi militari che avevano governato il Giappone per quasi tre secoli. Tra gli artefici della rivolta si annovera Saigo Takamori, un samurai famoso per il suo carattere idealista. Deluso dall’operato del nuovo governo, nel 1873 Saigo guidò una nuova ribellione samurai duramente repressa dall’esercito imperiale.

Alla ricerca di Atlantide

LA FINE DI MARCO ANTONIO E CLEOPATRA

L’isola di Santorini e la città sommersa di Hélike sono due delle possibili localizzazioni archeologiche della mitica Atlantide di cui racconta Platone.

DOPO LA SCONFITTA nella battaglia

I castros asturiani

di Azio Marco Antonio e Cleopatra si trovarono intrappolati ad Alessandria d’Egitto, senza alcuna possibilità di salvezza. Mentre Ottaviano si apprestava ad attaccare la città, le truppe di Marco Antonio si arresero senza nemmeno imbracciare le armi e il loro leader decise di suicidarsi. Feritosi nel tentativo di porre fine alla sua vita, fu trasportato nel palazzo dell’amante e morì fra le sue braccia. Poco dopo, non prima d’aver tentato senza successo d’ingraziarsi l’imperatore, la regina assunse del veleno.

Nel I millennio a.C., alla fine dell’Età del bronzo, nelle Asturie sorsero numerosi insediamenti costruiti sulla sommità dei rilievi.

Le confessioni di Marco Aurelio Le Meditazioni riuniscono le riflessioni personali e filosofiche che l’imperatore Marco Aurelio scrisse durante le sue campagne militari sul Danubio.

Il Cristo dei catari Accusati di eresia, i catari in realtà svilupparono un particolare tipo di cristianesimo, in antitesi con la tradizionale dottrina della Chiesa ufficiale.

SCALA, FIR

ENZE

La Torre di Londra Nel corso dei secoli questa fortezza fu prigione di stato e luogo d’esecuzioni, ma anche giardino zoologico e deposito dei gioielli della Corona.


A B B O N AT I A L L A R I V I S TA

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Un suggestivo museo a cielo aperto HOLDING FERRARASERVIZI

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