CAVALIERI MEDIEVALI
ALLA RICERCA DEL SUCCESSO
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MAESTRO DELLA GRECIA
postale d.l.
periodicità mensile
SOCRATE
00142
MERAVIGLIA DELL’ANTICHITÀ
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IL FARO DI ALESSANDRIA
N. 142 • DICEMBRE 2020 • 4,95 E
storicang.it
ODISSEA ATLANTICA
CRONACA DEL VIAGGIO NEL NUOVO MONDO
FILIPPO V
IL RE “PAZZO”
CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
20 DATE
QUEST’OLIO MOSTRA L’ASPETTO DI SIVIGLIA ALLA FINE DEL XVI SECOLO, QUANDO LA CITTÀ ERA IL CENTRO DEL TRAFFICO MARITTIMO CON LE AMERICHE.
22 Venti date che hanno cambiato la storia Dalla Grecia classica al mondo contemporaneo, venti episodi che contribuirono a cambiare il loro tempo. DELLA REDAZIONE
46 Il faro di Alessandria All’ingresso del porto della città si ergeva un’enorme torre alta più di cento metri, la cui luce di notte brillava tanto da farla sembrare una stella. DI EVA TOBALINA
60 Socrate, il maestro della Grecia Rivoluzionò gli insegnamenti filosofici e raccolse attorno a sé discepoli con i quali praticò un metodo di argomentazione basato sul dialogo. DI JOSÉ SOLANA D.
72 Cavalieri medievali Tra il XII e il XIV secolo la cavalleria incarnò gli ideali tipici del mondo cortese. DI ALBERTO RECHE O.
92 Viaggio verso il nuovo mondo Nel XVI e XVII secolo la traversata era durissima e l’esito sempre incerto. DI ESTEBAN MIRA CABALLOS
108 Filippo V, il re “pazzo” Da quando era ragazzino, il primo Borbone di Spagna soffriva di depressione e di gravi disturbi di personalità. DI JESÚS VILLANUEVA
8, 10 ATTUALITÀ 12 PERSONAGGI STRAORDINARI Cesare Lombroso
Alla fine del XIX secolo il medico italiano sviluppò una controversa teoria secondo la quale i delinquenti erano «atavici» o esseri primitivi da eliminare.
18 EVENTO STORICO
Il cavo sottomarino che collegò due continenti Nel 1858 fu posato un cavo telegrafico per mettere in comunicazione Europa e Stati Uniti, ma funzionò solo per tre settimane.
124 GRANDI SCOPERTE Laocoonte Gli scavi realizzati nel 1506, all’interno di un vigneto a Roma, portarono alla luce uno dei gruppi scultorei più emblematici dell’arte antica.
128 LIBRI E MOSTRE
ISIDE FARIA, PROTETTRICE DEL FARO DI ALESSANDRIA. STATUETTA IN BRONZO. LOUVRE, PARIGI. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
3
Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION
storicang.it
ODISSEA ATLANTICA
Pubblicazione periodica mensile - Anno XII - n. 142
CRONACA DEL VIAGGIO NEL NUOVO MONDO
PRESIDENTE
RICARDO RODRIGO
FILIPPO V IL RE “PAZZO”
IL FARO DI ALESSANDRIA MERAVIGLIA DELL’ANTICHITÀ
SOCRATE MAESTRO DELLA GRECIA
20 DATE CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
CAVALIERI MEDIEVALI ALLA RICERCA DEL SUCCESSO
Editore: RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara, 35 20124 Milano tel. 0200696352 e-mail: storica@storicang.it Direttore generale: ANDREA FERDEGHINI
EDITORA
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JOAN BORRELL DIRECTORA GENERAL
AUREA DIAZ
DIRECTORA DE MARKETING
BERTA CASTELLET DIRECTORA CREATIVA
RICOSTRUZIONE DI UN CAVALIERE MEDIEVALE. FOTO: WARPEDGALERIE / ALAMY / ACI
Vicedirettrice editoriale: ELENA LEDDA Grafica: MIREIA TREPAT Coordinatrice: ANNA FRANCHINI Collaboratori: VÍCTOR LLORET BLACKBURN (Consulente editoriale); LUIGI COJAZZI; MATTEO DALENA; TANA LATORRE; ALESSANDRA PAGANO; ANNALISA PALUMBO; AMARANTA SBARDELLA; MARTINA TOMMASI Consulenti: MÒNICA ARTIGAS (Coordinamento editoriale) JOSEP MARIA CASALS (Direttore, rivista Historia) IÑAKI DE LA FUENTE (Direttore artistico, Historia)
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4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
IN ED ICO LA
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LO SPLENDORE DI ROMA Da Augusto ad Adriano, le meraviglie architettoniche che resero Roma capitale dell’impero. In edicola dal 20 novembre. Prezzo ¤9,90.
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I V I A G G I D I N AT I O N A L G E O G R A P H I C E X P E D I T I O N S
L O S TAT O I N D I A N O D E L K A R N ATA K A L A N A T U R A , L’A R T E E L’A R C H I T E T T U R A M E D I E VA L E N E L L E T E R R E D E L L E S P E Z I E .
S
e tra i viaggiatori appas-
per trecento miglia verso l’interno
sionati di Oriente, qualcu-
del territorio si raggiunge la gran-
no pensasse che l’interes-
de città di Bizenegalia…” così co-
se del territorio indiano
mincia la più antica, tra quelle cono-
si esaurisce nel Rajasthan o nelle
sciute, descrizione del territorio del
regioni classiche settentrionali, ri-
Karnataka. Questa narrazione è del
marrebbe enormemente sorpreso
1420, ne è autore un viaggiatore ita-
dallo scoprire la quantità di emer-
liano di nome Nicolò Conti. La gran-
genze architettoniche e paesaggi-
de città che egli presenta chiaman-
stiche che gli Stati meridionali pos-
dola Bizenegalia è attualmente uno
sono offrire.
dei centri archeologici più completi
Il Karnataka è collocato nella coda
e sorprendenti dell’intera India, è il
meridionale della penisola indiana;
sito che oggi porta il nome di Hampi.
lo Stato del Maharashtra a nord, il
Cesare Frederici, un altro viaggiatore
Kerala e il Tamil Nadu a sud , la co-
italiano, nel 1567, ne descriverà l’inizio
sta sul mare Arabico ad ovest ed a
del declino in seguito alle guerre tra
est lo Stato dell’ Andra Pradesh.
i vari potentati locali.
Curcuma, zenzero, pepe nero, car-
Oggi questo luogo è un insieme
damomo, chiodi di garofano… gli
di grandi e piccoli templi, scheletri
scambi e la ricchezza prodotta per
architettonici di grandi mercati e
millenni sulla “via delle spezie”, sono
rovine di residenze reali. Un susse-
stati senz’altro gli artefici principali
guirsi di immagini lungo sentieri tra
della creazione del grande patrimo-
le formazioni granitiche tondeg-
nio architettonico del Karnataka.
gianti, le collinette rocciose e le rive
Dalle sponde del Mare Arabico, la
pietrose del fiume Tungabhadra.
costa del Malabar, vero cuore della
Hampi, antica Vijayanagara, è so-
coltivazione delle spezie, fin den-
lamente la costellazione più com-
tro il corpo delle propaggini più
pleta tra i tanti siti architettonici
meridionali dell’India, mercanti e
o sacri distribuiti sul territorio di
viaggiatori hanno disegnato ideal-
questo Stato: Belur, Halebid, Patta-
mente la mappa di quei regni.
dakal, Aihole, Badami, luoghi dove
“Una volta lasciata Goa, viaggiando
l’architettura e la raffinatezza scultorea hanno raggiunto livelli molto alti che trovano uguali solo in rari
Pattadakal, Tempio Hindu, India
“
La pietra saponaria scura di Halebid che taglia la luce con i perfetti profili delle colonne tornite, la pietra arenaria ocra di Pattadakal che accoglie i colori aranciati delle albe e dei tramonti, le divine danzatrici di pietra di Belur che dispongono i loro corpi in pose senza tempo.
esempi sul resto del territorio indiano.
Giovanni Dardanelli
”
I VANTAGGI DI VIAGGIARE CON NOI Grazie alla conoscenza dei luoghi ed alla passione strutturiamo viaggi, regolati nei tempi (di visita e di trasferimento), lungo gli ambienti ed i siti che riteniamo veramente i più fondamentali ed emozionanti di un intero territorio. Ogni esperienza di viaggio tende ad essere la somma della bellezza, dell’emozione e dell’approfondimento conoscitivo. Il percorso include i siti archeologici più affascinanti dell’intero sud dell’India, in una regione poco battuta dai circuiti turistici.
L E PA RT E N Z E India del sud: Karnataka e Kerala 8 novembre 2021 durata 14 giorni rientro 21 novembre.
CHI È GIOVANNI DARDANELLI? Una passione per i viaggi che lo ha guidato in un percorso di scoperta tra l’Africa del Nord e del Centro e l’Asia Centrale. Uno studio approfondito tra le tradizioni tribali africane, la religione cristia-
S C O P R I I N O S T R I V I AG G I S U
no-copta etiope e la vita nei de-
N AT I O N A LG E O G R A P H I C E X P E D I T I O N S . I T,
serti del Nord Africa. E poi ancora
N E L L E AG E N Z I E D I V I AG G I O
le culture indo-tibetane a ridosso
S E L E Z I O N AT E N AT I O N A L G E O G R A P H I C
dell’Himalaya, e quelle indo-isla-
O C O N TAT TA N D O I L N U M E RO 0 2 2 8 1 8 1 1 1
miche dell’Asia centrale.
MANTEÑOS che pescano.
FONTE: GIROLAMO BENZONI, HISTORIA DEL MONDO NUOVO (1565).
Incisione presente in Historia del Mondo Nuovo di Girolamo Benzoni. 1565.
IL SISTEMA MANTEÑO DI RECINTI, INDICATO IN UNA FOTO SATELLITARE.
I CENTRI DI PESCA o “recinti” di Ligüiki
erano trappole per pesci. Si trattava di zone recintate da lastre di pietra con delle aperture che si chiudevano grazie a supporti vegetali o di cuoio. Strutture simili compaiono a Chiloé (Cile), anch’esse legate alla pesca di branzini e sgombridi, così come di frutti di mare.
FONDAZIONE PALARQ LA CULTURA
manteña rese una piccola conchiglia, il mullu (Spondylus princeps), un elemento essenziale per il suo sviluppo economico. Tra le élite andine divenne perfino una merce di scambio equivalente al denaro attuale. Si sono rinvenute tracce di tale traffico lungo l’intera costa del Pacifico, fino alla California. MULLU. DUE VALVE DI SPONDYLUS PRINCEPS.
PROGETTO PERDURACIONES
8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Ligüiki, il grande centro di pesca dei manteños Recenti scavi lungo la costa dell’Ecuador hanno portato alla luce terrazze artificiali e un grande complesso cerimoniale
D
al 2018 un team di archeologi dell’Università spagnola di Alcalá de Henares, in collaborazione con l’Istituto nazionale del patrimonio culturale dell’Ecuador, analizza i cambiamenti sociali e materiali avvenuti nell’area centrale della costa ecuatoriana in seguito alla colonizzazione europea. Tali ricerche si sono concentrate sul periodo finale della civiltà manteña, che aveva occupato la re-
gione nei secoli precedenti. Gli sforzi dell’équipe diretta da Lauro Olmo-Enciso e Manuel Castro-Priego si sono focalizzati sul sito di Ligüiki e hanno consentito di scoprire un vasto complesso di pesca, che si estende per poco più di sei chilometri lungo la linea della costa.
I recinti marini Si tratta di diverse terrazze marine artificiali dalla forma semicircolare, note come “recinti marini”,
nelle quali venivano allevate varie specie di pesci, probabilmente nel periodo pre-ispanico. Il progetto include lo scavo del parco archeologico Hojas o Jaboncillo, un complesso residenziale e cerimoniale di 3.500 ettari (comparabile ai centri monumentali andini). Occupato sin dal X secolo, era organizzato tramite un sistema di terrazze che sfruttavano al massimo delle risorse idriche a beneficio dei campi e dell’irrigazione di vaste zone.
PROYECTO PERDURACIONES
AT T UA L I T À
AT T UA L I T À
SCHELETRO in una
ÁLVARO MINGUITO PALOMARES
tomba della necropoli di Xiis. Accanto al defunto fu sepolto un vaso romano per profumi proveniente dalla Siria.
FONDAZIONE PALARQ
SOTTO, un’immagine
ÁLVARO MINGUITO PALOMARES
del deposito di conchiglie fossili di Ceel Gerdi, un sito risalente alla metà del I millennio d.C. Gli archeologi dell’Istituto di scienze del patrimonio vi hanno trovato materiali importati dal regno di Himyar nello Yemen, dal regno di Axum in Etiopia e anche dall’impero bizantino.
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Il patrimonio del deserto del Somaliland Un centro di ricerca spagnolo ha scoperto in questo territorio africano resti archeologici risalenti a diversi periodi
D
al 2015 un centro di ricerca spagnolo, l’Istituto di scienze del patrimonio (Incipit), sta studiando duemila anni di contatti tra il Corno d’Africa e il resto del mondo. E lo fa in Somaliland, un piccolo territorio che si è autoproclamato indipendente dalla Somalia nel 1991 e, a differenza del suo vicino, da allora è riuscito a mantenere la pace e a sviluppare un sistema politico che combina strutture tradizionali e una democrazia di tipo
occidentale. Il Somaliland ha un ricco patrimonio archeologico che va da alcune delle più belle pitture rupestri del pianeta alle rovine di città medievali dove quasi nessun archeologo ha ancora messo piede. Il team di Incipit ha effettuato scavi in un sito tra le dune di Berbera datato tra il III e il VI secolo dove sono stati trovati oggetti provenienti dal sud dello Yemen e dall’Egitto romano. In un’altra località, l’immensa spiaggia di Xiis, sono state individuate trecento
tombe scavate da pastori nomadi in quello stesso periodo e che contengono lussuosi corredi funebri. In epoche più recenti, tra l’XI e il XVII secolo, il Somaliland fu un luogo d’incontro: le sue coste ospitavano importanti fiere, ed è ancora possibile trovarvi resti di porcellane cinesi, unguentari egizi e perline di corniola. Sotto le rovine di un piccolo villaggio di mercanti sono state trovate alcune ceramiche, silenziosa testimonianza di un fiorente commercio di lunga distanza.
M onete antiche t estiMoni della storia
ALESSANDRO MAGNO SOVRANO AMBIZIOSO, GUERRIERO INVINCIBILE
Alessandro III di Macedonia è ritenuto il più grande conquistatore di tutti i tempi. Un giovane condottiero che in soli 12 anni conquistò l’Impero Persiano, l’Egitto e molti altri territori, spingendosi fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale, non solo colonizzando, ma anche esportando la cultura greca e integrandola con quella dei popoli assoggettati. Le monete in circolazione all’epoca furono anche mezzi per propagandare, divulgare e accrescere il suo mito e il suo volto presso le popolazioni di un impero vastissimo.
La dracma d’argento che fu coniata in Grecia nel corso del IV secolo a.C. ritrae al recto il profilo del grande condottiero e al verso il dio Zeus con un’aquila e lo scettro: un vero pezzo museale rigorosamente autentico, straordinario testimone di un’epoca storica lontana, per lei oggi a condizioni di assoluto interesse.
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PERSONAGGI STRAORDINARI
Cesare Lombroso, a caccia del criminale nato Alla fine del XIX secolo il medico italiano sviluppò una controversa teoria secondo la quale i delinquenti erano «atavici» o esseri primitivi da eliminare
N
ella seconda metà dell’ottocento l’espansione delle città industriali portò con sé diversi problemi sociali: sfruttamento della manodopera, carenza di alloggi, condizioni insalubri. E anche la crescita della criminalità. La stampa riportava quotidianamente eventi truculenti, le persone si sentivano minacciate e i politici non esitavano ad agitare lo spettro della delinquenza per giustificare la massima severità penale nei confronti di assassini, stupratori e ladri, e per sgomberare le strade da quegli individui che in qualche modo turbavano l’ordine pubblico. In quest’atmosfera di tensione la scienza intervenne analizzando le cause della criminalità. Oggi è noto che criminali non si nasce, si diventa. Ma in pieno Positivismo l’establishment scientifico aveva un’ottica differente. Si chiedeva quali fossero le particolarità fisiche che rendevano i delinquenti così “diversi” dagli altri, cosa provocasse comportamenti violenti e quali fattori contribuissero a “formare” un malvivente. Lo studioso che me-
Crani, razzismo e delitti 1835 Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, nasce a Verona da una famiglia benestante di origine ebraica.
1858 Si laurea in medicina all’Università di Pavia, dopo aver studiato anche a Padova e a Vienna.
1870 Esaminando il cranio del brigante Villella concepisce la teoria della criminalità come atavismo.
1876 Pubblica L’uomo delinquente, dove espone la sua tesi sulla genesi del criminale.
1909
GETTY IM
AGES
LOREM IPSUM
Si spegne a Torino dopo aver scritto più di trenta libri.
glio rappresentò questa corrente di pensiero a livello europeo fu Cesare Lombroso. Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, nacque a Verona nel 1835. Frequentò svogliatamente la scuola elementare e dall’età di quindici anni proseguì gli studi a casa.
I primi passi Dopo aver frequentato le università di Padova e di Vienna si laureò in medicina a Pavia con una tesi sul cretinismo, una patologia dovuta a un difetto di funzionamento della ghiandola tiroidea che causava disturbi fisici e mentali. Nel 1859, allo scoppio della Seconda guerra d’indipendenza, si arruolò come medico da campo acquisendo esperienza nelle amputazioni e nel trattamento delle ferite di guerra. Nel 1863 fu inviato in Calabria al seguito delle truppe addette alla repressione del brigantaggio. Lombroso approfittò di queste missioni per effettuare indagini antropologiche secondo la frenologia. Si trattava di un metodo sviluppato dal medico tedesco Franz-Joseph Gall all’inizio del secolo e basato sullo studio della conformazione del cranio per determinare le facoltà mentali e i tratti
Lombroso vedeva segni di «razze inferiori» nei cadaveri dei criminali che esaminava TATUAGGI DI UN DETENUTO PER OMICIDIO RACCOLTI DA CESARE LOMBROSO.
UN RAZZISTA SCIENTIFICO OTTOCENTESCO INFLUENZATO dalla teoria evo-
BRIDGEMAN / ACI
luzionista di Darwin, Lombroso contribuì allo sviluppo del razzismo scientifico e a dare a questo concetto un riconoscimento intellettuale. Nella sua opera L’uomo bianco e l’uomo di colore (1871) sostenne che la “razza nera”discendeva direttamente dalla scimmia. Secondo lui l’intelletto dei neri «s’arresta e si riavvolge in una scimmiesca e stupida mobilità». Questa razza si sarebbe evoluta nella cosiddetta “razza gialla”, poi nella “bianca” e infine in quella degli europei americani, «una vera razza novella» che era al centro della sua teoria.
caratteriali degli individui. In Calabria Lombroso ebbe modo di «misurare craniologicamente migliaia di soldati italiani e raccoglierne molti crani e cervelli», come scrisse lui stesso. Le figlie affermarono più tardi che la sua intenzione era disegnare una mappa antropologica dell’Italia. «Grazie a queste misurazioni aveva acquisito una tale pratica in merito ai tipi etnici che sapeva riconoscere a prima vista non solo se un individuo proveniva dal nord o dal sud, ma anche da città della Basilicata o della Calabria, della Puglia o del Napoletano».
CESARE LOMBROSO, DI ANTON MARIA MUCCHIA. 1910. MUSEO LOMBROSO, TORINO.
Dopo aver lasciato l’esercito, nel 1867 fu nominato professore di psichiatria all’Università di Pavia e successivamente divenne direttore del manicomio di Pesaro.
spinale. Questo gli ricordò l’anatomia di alcune «razze inferiori» della Bolivia e del Perù che aveva trattato in un suo libro in cui sosteneva che le razze umane si distinguevano tra loro per il maggiore o minore grado Il marchio del criminale di evoluzione rispetto al loro comune Nel 1870 fece quella che ritenne la sco- antenato, la scimmia, con i “neri” a perta fondativa dell’antropologia cri- occupare il gradini inferiori e i “bianminale. Mentre eseguiva un’autopsia chi” quelli superiori. sul corpo del brigante calabrese GiuAi suoi occhi il cranio di Villella seppe Villella, rimase fortemente era imparentato con una razza umana colpito da un particolare del cranio, inferiore e con «tipi inferiori di scimche presentava una fossetta alla base mie, roditori e uccelli». Per Lombroso e un segmento dilatato di midollo fu una rivelazione: «Mi parve d’imSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
13
PERSONAGGI STRAORDINARI
QUEL CRANIO CONTESO
BUSTO modellato
da uno degli allievi di Lombroso a partire dal cadavere di un delinquente esposto al Museo Lombroso.
MARCO SECCHI / GETTY IMAGES
esposto insieme a molti altri al Museo Cesare Lombroso di Torino, è stato oggetto di una controversia legale negli ultimi anni. Nel 2012 il tribunale di Lamezia Terme ha disposto il rientro del cranio in Calabria per la sepoltura nel paese d’origine. La sentenza è stata ribaltata però nei due successivi gradi di giudizio in nome dell’interesse scientifico del cranio.
IL CRANIO DI VILLELLA IN MOSTRA AL MUSEO CESARE LOMBROSO DI TORINO.
provviso di vedere, risaltante e chiaramente illuminato come un’ampia pianura sotto un sole fiammeggiante, il problema della natura del criminale, che riproduce in epoche civili le caratteristiche non solo dei selvaggi primitivi, ma anche di tipi inferiori giù giù fino ai carnivori». Secondo lui, criminali come il bandito Villella sof-
frivano di una malformazione innata che li situava in una fase di sviluppo fisico e psicologico inferiore a quella delle persone cosiddette civili.
La teoria dell’atavismo Lombroso riassunse questa teoria nel concetto di “atavismo”, cioè della regressione dei criminali a una vita
IL MISOGINO IN LA DONNA DELINQUENTE, la prostituta e la don-
na normale (1893) Lombroso sostiene che le «delinquenti nate» sono più rare rispetto ai maschi a causa dell’inferiorità femminile. Secondo la storica Mary Gibson, queste idee misogine sarebbero da attribuire al fastidio di Lombroso verso il movimento femminista. DISEGNO DEL TATUAGGIO DI UNA PROSTITUTA.
ALBUM
MUSEO DI ANTROPOLOGIA CRIMINALE CESARE LOMBROSO, UNIVERSITÀ DI TORINO. FOTO: ROBERTO GOFFI
IL CRANIO di Giuseppe Villella,
14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
primitiva prossima a quella di un animale selvaggio. La scoperta dei segni della degenerazione avrebbe permesso al medico veronese di collocare gli individui su un’ipotetica scala evolutiva nella quale il punto più alto era occupato dalle classi medie bianche europee. Nel 1876 Lombroso divenne docente di medicina legale e igiene pubblica all’Università di Torino e in quello stesso anno pubblicò L’uomo delinquente, opera nella quale affermava di voler procedere «allo studio diretto, somatico e psichico, dell’uomo criminale». Introdusse anche nel mondo scientifico la categoria del «delinquente nato», applicabile a individui corrotti da anomalie fisiche e mentali, «organizzati per male» e che «non appaion più nostri simili, ma come bestie feroci». Dalla sua teoria antropologica Lombroso trasse alcune importanti
PERSONAGGI STRAORDINARI
DEA / AGE FOTOSTOCK
LOMBROSO era professore di medicina all’Università di Pavia. Nell’immagine, il teatro anatomico di questa istituzione.
conclusioni pratiche per la lotta alla criminalità. Ad esempio ai suoi occhi era pienamente giustificata la pena di morte per i «delinquenti nati» condannati per crimini di sangue, così come per i membri di bande organizzate – come mafiosi e briganti – e per quanti mettevano a repentaglio la sicurezza dello stato: «Dire che quella pena vada contro le leggi della natura è fingere di ignorare che essa è scritta a caratteri troppo chiari nel suo libro». Secondo la logica darwiniana, seguita da Lombroso, la pena capitale avrebbe soltanto accelerato la selezione naturale, liberando la società dai «non adattati». Per i crimini «meno odiosi» e per i «delinquenti d’abitudine», invece, Lombroso raccomandava la segregazione perpetua su isole lontane e la condanna ai lavori forzati perché «più che del loro essere dovremmo preoccuparci della loro utilizzazio16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ne». Per i delitti minori consigliava pene extracarcerarie differenziate che dovevano mirare alla guarigione del delinquente, al risarcimento dei danni arrecati e, in generale, a «difendere la società da codesti elementi perturbatori».
Un’eredità polemica Le teorie lombrosiane sul delinquente nato e l’atavismo dominarono il Primo congresso internazionale di antropologia criminale, tenutosi a Roma nel 1885. Gli specialisti di molti Paesi, Stati Uniti, Russia e Germania in particolare, si mostrarono ricettivi alle sue idee. Ciononostante Lombroso trovò anche dei detrattori, soprattutto in Francia. Al Secondo congresso di antropologia criminale, tenutosi a Parigi nel 1889, il medico Alexandre Lacassagne e il sociologo Gabriel Tarde individuarono dei fattori
ambientali – quali per esempio povertà, alcolismo e destrutturazione familiare – in grado di spiegare il fenomeno della criminalità meglio rispetto all’eredità genetica, un’idea che avrebbe finito per imporsi sulla visione antropologica italiana. Per alcuni un ciarlatano, per altri «un moderno uomo di scienza», Lombroso scoprì la razza, un concetto che avrebbe diviso e portato alle armi il genere umano. MATTEO DALENA GIORNALISTA E STORICO
Per saperne di più
TESTI
L’uomo delinquente (quinta edizione, 1897) Cesare Lombroso. Bompiani, Milano, 2013. SAGGI
Nati per il crimine Mary Gibson. Bruno Mondadori, Milano, 2004. DOCUMENTARIO
Cesare Lombroso. Il lato oscuro Alessandro Rocca (Italia, 2014).
A B B O N AT I A L L A R I V I S TA
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EVENTO STORICO UNA BALENA
LOREM IPSUM EST
passa sopra il cavo sottomarino posato dalla nave Agamemnon nel 1858 e destinato a collegare Europa e Stati Uniti. Acquerello del XIX secolo.
ARTOKOLORO / AURIMAGES
Il cavo sottomarino che collegò due continenti Nel 1858 fu posato un cavo telegrafico per mettere in comunicazione Europa e Stati Uniti, ma funzionò solo per tre settimane. Nel 1866 fu sostituito da uno più resistente
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ei primi anni quaranta dell’ottocento le comunicazioni telegrafiche terrestri erano ampiamente diffuse sia in Europa sia negli Stati Uniti. L’idea di un cavo telegrafico transatlantico che permettesse di collegare i due continenti iniziò a prendere forma nel 1842, quando Samuel Morse intraprese una serie di esperimenti per la posa di cavi sottomarini. L’anno seguente, in una lettera rivolta al segretario del ministero del tesoro statunitense, lo stesso Morse
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affermava: «È possibile stabilire una comunicazione telegrafica attraverso l’Atlantico. Per quanto possa sembrare sorprendente, un giorno questo progetto si realizzerà». Il primo cavo telegrafico sottomarino collegò Francia e Inghilterra nel 1850 tramite lo stretto di Dover. Si ruppe praticamente subito, ma l’anno successivo i due Paesi furono rimessi in contatto. Altri cavi sottomarini furono posati in Inghilterra, Irlanda o nel Mediterraneo: nel 1858 c’erano oltre trenta linee sommerse, la più lunga delle quali era nel mar Nero
e misurava 574 chilometri. Una volta dimostrata la fattibilità della telegrafia sottomarina e i suoi vantaggi rispetto alla posta tradizionale – il viaggio di una lettera cartacea tra Stati Uniti ed Europa richiedeva tempi molto lunghi –, prese nuovo slancio il progetto di posare un cavo attraverso l’Atlantico. Era una sfida con obiettivi eccezionali: si trattava di posare circa quattromila chilometri di cavo a profondità che raggiungevano i quattromila metri. Naturalmente era fondamentale una buona conoscenza dei fondali marini,
GRANGER / ALBUM
LOREM IPSUM EST
EVENTO STORICO
UN PLATEAU O UNA CATENA MONTUOSA? IL PERCORSO scelto per la posa del
cavo telegrafico (sopra) si basava sull’esplorazione dell’Atlantico settentrionale effettuata all’inizio degli anni cinquanta dell’ottocento da due ufficiali della marina statuni-
ma proprio qualche anno prima era stata realizzata una carta topografica dell’Atlantico settentrionale. I promotori del progetto furono l’ingegnere Frederick Newton Gisborne, l’inventore del telegrafo Samuel Morse e l’imprenditore Cyrus West Field, fondatore della Atlantic Telegraph Company. I lavori sarebbero stati finanziati attraverso la vendita di azioni della società tanto in Inghilterra quanto negli Stati Uniti. Il governo britannico collaborò economicamente e mise a disposizione le navi necessarie all’operazione. Un’azienda
tense, John M. Brooke e Matthew F. Maury. I due militari giunsero alla conclusione che tra l’Irlanda e Terranova si estendesse un corridoio profondo, piatto e privo di ostacoli, ideale per ospitare un cavo som-
produsse un cavo composto da sette fili di rame rivestiti con tre strati di guttaperca – un isolante naturale ottenuto dal lattice del palaquium, una pianta originaria dell’arcipelago indo-malese – e rinforzato con una spirale di fili d’acciaio. Il diametro totale di appena 1,75 centimetri gli conferiva una grande flessibilità. Allo stesso tempo il cavo era progettato per poter essere immerso verticalmente nell’acqua fino a grandi profondità senza spezzarsi.
Due tentativi falliti Nella primavera del 1857 salparono dalle coste britanniche due navi da guerra modificate, l’USS Niagara
Il primo cavo sottomarino internazionale collegò Inghilterra e Francia nel 1850 CYRUS WEST FIELD, UNO DEI PROMOTORI DEL CAVO TRANSATLANTICO. A
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merso. In realtà questo cosiddetto “plateau telegrafico” – come lo definì Maury – è una zona frastagliata di vallate e rilievi sottomarini, con una profondità variabile tra i 700 e gli oltre 4.000 metri.
e l’HMS Agamemnon, che trasportavano ciascuna metà del lungo filo metallico. Dopo averlo congiunto in mezzo all’oceano, le due imbarcazioni si separarono: l’Agamemnon lo srotolava procedendo verso Valentia Island (Irlanda), la Niagara invece in direzione di Trinity Bay, a Terranova. L’11 agosto 1857, quando questa seconda nave si trovava in un’area con una profondità di 3.600 metri, uno degli ingegneri a bordo fu testimone del momento della rottura del cavo: a provocarla fu un’improvvisa oscillazione verticale della nave nel corso di una mareggiata. Circa 650 chilometri di posa andarono persi, la missione fu interrotta e le imbarcazioni rientrarono in patria. Nonostante questo fallimento iniziale, l’Atlantic Telegraph Company decise di riprovarci e fece un nuovo ordine del materiale necessario. Il 26 giugno 1858, nel bel mezzo di una forte tempesta, le due navi riuscirono a effettuare la saldatura delle estremità STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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EVENTO STORICO
A MANO a mano che la nave
AKG / ALBUM
avanzava, il cavo alloggiato nella stiva veniva srotolato, fatto passare per la botola della coperta e depositato sul fondale marino.
del cavo e a posarne settantaquattro chilometri prima che si spezzasse nelle profondità marine. Due giorni dopo l’operazione venne ripetuta, tuttavia il conduttore si ruppe in due punti mentre veniva posato dalla Niagara, e fu necessario recuperarlo e ripararlo. La notte del 29 giugno si verificò un ennesimo incidente, questa volta durante la fase di srotolamento ef-
fettuata dall’Agamemnon, quando le navi erano a più di cinquecento chilometri di distanza l’una dall’altra. Le due imbarcazioni furono costrette a rientrare in Irlanda senza aver portato a termine la missione. Per quanto ormai l’opinione pubblica fosse piuttosto scettica in merito alla riuscita del progetto, si decise di procedere a un nuovo tentativo. Que-
RAME E GOMMA IL CAVO posato nel 1866 era costi-
Comunicazioni iniziali
tuito da un’anima di sette fili di rame rivestita da uno spesso strato di guttaperca e rinforzata da dieci cavi metallici più grossi sul lato esterno. SEZIONE DEL CAVO UTILIZZATO NEL 1866.
SPL / AGE FOTOSTOCK
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sta volta la Niagara e l’Agamemnon lasciarono le coste irlandesi in compagnia di altre due navi. La saldatura delle estremità del cavo fu effettuata il 29 luglio 1858, con un mare particolarmente calmo. Le imbarcazioni si separarono lentamente, srotolando giorno dopo giorno il conduttore nelle profondità dell’oceano e verificandone costantemente l’integrità tramite l’invio d’impulsi elettrici. Mercoledì 4 agosto la Niagara attraccò a Trinity Bay e quasi contemporaneamente l’Agamemnon fece il suo ingresso nella baia di Valentia. Non restava che collegare il cavo transatlantico alla rete terrestre. Il primo messaggio telegrafico attraverso il cavo transoceanico fu inviato il 16 agosto 1858 dall’Irlanda. Diceva così: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli, pace in terra agli uomini di buona volontà». La regina Vittoria e il pre-
L’ARRIVO del cavo sottomarino a
EVERETT / ALAMY / ACI
Trinity Bay (Terranova) il 4 agosto 1858 permise di portare a termine il collegamento telegrafico tra Europa e Stati Uniti.
sidente degli Stati Uniti James Buchanan si scambiarono in seguito dei telegrammi: «Sua maestà spera che il presidente sarà d’accordo sul fatto che il cavo elettrico si rivelerà un ulteriore collegamento tra le due nazioni, la cui amicizia si basa su interessi comuni e stima reciproca». Buchanan rispose: «Questo successo glorioso sarà più utile all’umanità di qualsiasi conquista mai effettuata prima su un campo di battaglia. Che il cavo transatlantico, con la benedizione del cielo, possa rivelarsi un legame di pace e amicizia perpetua tra due nazioni che la Divina Provvidenza ha destinato a diffondere la religione, la civiltà, la libertà e il diritto in tutto il mondo». Nei giorni successivi si susseguirono le celebrazioni e i messaggi entusiasti. A New York ci furono spettacoli di fuochi d’artificio e gli edifici vennero illuminati in segno di festa. Il collegamento fu considerato da alcuni l’ottava meraviglia del mon-
do. Il settimanale statunitense Frank Leslie’s Illustrated Newspaper scriveva: «Il cavo è un trionfo assoluto. I messaggi possono circolare liberamente e sicuramente in futuro aumenterà la velocità del processo».
Un successo effimero Nonostante la diffusa esaltazione, in realtà la trasmissione avveniva con estrema lentezza. Ci vollero diciassette ore e quaranta minuti perché il messaggio della regina Vittoria giungesse a destinazione: l’invio di una singola lettera richiedeva due minuti. Nel tentativo d’incrementare la velocità delle comunicazioni fu aumentata la tensione elettrica, ma questo provocò un rapido deterioramento del cavo già messo a dura prova dal processo di posa. A sole tre settimane dall’inaugurazione, la telegrafia intercontinentale era già fuori uso, a testimonianza di un’epoca in cui si tentavano grandi imprese senza
avere ancora le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnologici necessari per portarle a termine con la garanzia del successo. Fu solo nel 1866 – dopo vari altri tentativi e numerose difficoltà – che la nave a vapore Great Eastern posò un nuovo cavo più spesso, meglio isolato e maggiormente rinforzato. Dotato di una velocità di comunicazione ottanta volte superiore a quella del primo esemplare del 1858 (poteva trasmettere fino a otto parole al minuto), il nuovo conduttore mise finalmente in collegamento i due continenti in modo duraturo ed efficace. ISAAC LÓPEZ CÉSAR UNIVERSITÀ DI A CORUÑA
Per saperne di più
SAGGI
The Cable: The Wire That Changed the World Gillian Cookson. The History Press, Stroud, 2012. INTERNET
Un cavo per unirli tutti www.iltascabile.com/scienze/ un-cavo-unirli-tutti
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I VOLTI DEL PASSATO
Da sinistra a destra, Vladimir Ilic Uljanov (Lenin), Adolf Hitler, Goffredo di Buglione e l’imperatore romano Costantino. DA SINISTRA A DESTRA: ALBUM; BRIDGEMAN / ACI BRIDGEMAN ACI; RMN-GRAND PALAIS; AURIMAGES
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DATE CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
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dalla grecia classica al mondo contemporaneo, alcuni tra i principali eventi che hanno contribuito a trasformare le societĂ del loro tempo e la rispettiva visione del mondo
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FOTO SINISTRA: ORONOZ / ALBUM; FOTO DESTRA: WHA / NASA / AGE FOTOSTOCK
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arciere raffigurato su una roccia gettività. Ad esempio, di quello che oggi è il deserto come momento decisivo del Sahara e l’astronaudella Rivoluzione francese non ta in piedi sulla superfiè stata selezionata la presa della arciere raffigurato cie lunare sono separati Bastiglia del 14 luglio 1789, ma la a tassili n’ajjer da circa sette millenni. In questo calco realizzato proclamazione della Dichiarazione nel 1956 periodo di tempo gli esseri umadei diritti dell’uomo e del cittadino, il dall’equipe di henri lothe. ni sono riusciti a trasformare quei cui articolo primo condensò la crialgeria, 4500 a.c. circa. dardi che avevano lanciato a decine tica sociale e filosofica dell’Illumidi metri di distanza con i loro arnismo in una frase di sconvolgente chi in astronavi capaci di percorrere quasi efficacia politica: «Gli uomini nascono e 400mila chilometri, fino ad arrivare let- rimangono liberi e uguali nei diritti». Una teralmente alla luna. È impossibile sapere frase così importante che riappare nel prila data della prima volta in cui qualcuno mo articolo della Dichiarazione universale riuscì a scoccare una freccia e a colpire il dei diritti umani, proclamata dalle Naziobersaglio, rivelando così le potenzialità di ni Unite tre anni dopo la sua fondazione: un’arma che avrebbe consentito all’uma- «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed nità di procurarsi una quantità sufficiente eguali in dignità e diritti». La formula “essedi proteine animali per il proprio sosten- ri umani” estendeva questi diritti alle dontamento, e poter altresí dirimere a distanza ne, cosa che avrebbe certamente rallegrato le questioni personali. Olympe de Gouges, la scrittrice francese che, per rivendicare l’assenza femminile Uno sguardo al passato nella dichiarazione del 1789, nel settembre I fatti storici sono avvolti nell’oscuri- del 1791 aveva pubblicato una Dichiarazione tà fino a quando, circa 4.500 anni fa, in dei diritti della donna e della cittadina il cui Mesopotamia si cominciarono a trascrivere primo articolo recita: «La donna nasce libele gesta dei governanti. Da allora l’elenco ra e ha gli stessi diritti dell’uomo». degli eventi che potrebbero essere consideQuali degli eventi a cui ha assistito la norati fondamentali è praticamente infinito, stra epoca saranno ricordati in futuro come per cui in questa selezione si è ristretto il momenti storici decisivi? periodo su cui concentrarsi: dall’antichità classica fino alle porte della Guerra fredda, METTITI ALLA PROVA Sul nostro sito abbiamo preparato un test cioè poco più di duemila anni. su queste venti date. Per partecipare, vai su: La scelta di una ventina di date significahttps://www.storicang.it/a/test-datetive su un intervallo di tempo così lungo ha chiave_14918 necessariamente una componente di sog-
NUOVE FRONTIERE
Buzz Aldrin, che ha pilotato il modulo lunare della missione Apollo 11, fotografato durante la sua passeggiata sulla luna del 20 luglio 1969.
480 a.C. BATTAGLIA DI SALAMINA Le Guerre persiane, i vent’anni di durissimo scontro tra le città-stato greche e il vasto impero achemenide, ebbero il loro punto di svolta un giorno di fine settembre (non si sa esattamente quale) del 480 a.C. nelle acque al largo di Atene. Allora le 1.207 navi della flotta persiana furono distrutte da 310 imbarcazioni greche sotto lo sguardo incredulo del re achemenide Serse, seduto in trono su una vicina collina. La vittoria navale evitò che la Grecia diventasse una satrapia, o provincia persiana, e questo permise all’esperimento democratico ateniese di proseguire, finendo per costituire un punto di riferimento fondamentale per la cultura politica occidentale.
323 a.C. MORTE DI ALESSANDRO MAGNO
FOTO SINISTRA: AKG / ALBUM; FOTO DESTRA: DEA / ALBUM
Il macedone Alessandro Magno, che aveva conquistato l’impero persiano al termine di due anni di guerra, morì a Babilonia tra il 10 e il 12 giugno del 323 a.C. La causa fu forse un attacco di febbre tifoide, anche se qualcuno ha ipotizzato che fosse stato avvelenato dai suoi comandanti. I suoi generali si spartirono l’impero creando vari regni, alla fine ridotti a tre (Macedonia, Siria ed Egitto) e quindi sottomessi da Roma. La vera eredità di Alessandro fu l’ellenismo, ossia l’unificazione culturale ed economica di tutto il Mediterraneo orientale basata sulla lingua greca (koiné), sulla mescolanza di arti e credenze greche e orientali, e sul commercio tra le grandi città, che diede vita a un mondo vibrante e cosmopolita.
alessandro magno con le corna del dio zeus-amon, di cui si considerava figlio, sul capo. museo archeologico nazionale, napoli. la battaglia navale di salamina. l’immagine corrisponde a un frammento del gigantesco olio di 5 x 9 m dipinto da wilhelm von kaulbach tra il 1862 e il 1864. maximilianeum, monaco di baviera. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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44 a.C. ASSASSINIO DI GIULIO CESARE Il 15 marzo del 44 a.C. un gruppo di senatori pugnalò a morte Giulio Cesare, i cui poteri di dittatore a vita ne avevano fatto un vero e proprio re di Roma senza corona. I congiurati volevano recuperare la libertà, cioè il controllo della repubblica che Cesare aveva sottratto all’élite a cui appartenevano. Ma il loro crimine scatenò una devastante guerra civile, dalla quale emerse vincitore il figlio adottivo di Cesare, Ottaviano, il futuro Augusto. Il trionfo gli permise di trasformare l’antica repubblica romana, nata cinque secoli prima, in un nuovo regime: un principato che, divenuto impero, si protrasse per altri 500 anni.
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FOTO SINISTRA: BPK / SCALA, FIRENZE; FOTO DESTRA: AURIMAGES
ROMA CRISTIANA Nel febbraio del 313 Costantino il Grande e Licinio, che governavano rispettivamente l’impero romano d’Occidente e d’Oriente, concordarono a Milano di riconoscere al cristianesimo gli stessi diritti della religione pagana. Costantino attribuiva al dio cristiano la vittoria militare del 312, che gli aveva permesso di conquistare il potere, e si fece battezzare sul letto di morte. Così emancipato, il cristianesimo divenne religione esclusiva dell’impero romano per decreto di Teodosio, che il 27 febbraio del 380 mise al bando il culto pagano. In questo modo in Occidente il potere politico e quello spirituale sarebbero rimasti indissolubilmente uniti fino alla Rivoluzione francese. costantino il grande, imperatore tra il 306 e il 337. testa di bronzo appartenente a una statua colossale del sovrano. musei capitolini, roma. la morte di cesare. ai primi del xx secolo il pittore tedesco max klinger rievocò in quest’olio l’assassinio del dittatore. museum der bildenden künste, lipsia. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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476 FINE DI UN IMPERO L’impero romano d’Occidente esalò il suo ultimo respiro il 4 settembre 476 a Ravenna, che aveva sostituito Roma come capitale. Quel giorno il capo germanico Odoacre, autoproclamatosi re d’Italia, depose l’ultimo imperatore, Flavio Romolo Augusto, noto come “Augustolo”. Il padre, il generale Oreste, aveva messo sul trono il ragazzo solo un anno prima, dopo aver strappato il potere a Giulio Nepote. Odoacre giustiziò Oreste, che teneva le redini del governo, e relegò il figlio in Campania concedendogli una pensione. Non ci sarebbe stato nessun altro impero in Europa fino a quello di Carlo Magno. Questo vuoto fu colmato dai regni barbarici. il sacco di roma da parte dei visigoti nel 410 evidenziò il declino dell’impero d’occidente, culminato nella sua estinzione. olio di joseph-noël sylvestre. 1876. musee paul valery, sète.
622 Nel 622 i membri della tribù dei quraish, che dominavano La Mecca, minacciarono di uccidere Maometto se avesse proseguito la sua predicazione monoteistica, che minava il ruolo della città come centro di commercio e pellegrinaggio in Arabia. Lì, nella Kaaba, erano infatti custoditi i betili, o pietre sacre, venerati dai beduini. Maometto fuggì un giorno di settembre a Yathrib (Medina), dove aveva inviato un manipolo di suoi seguaci. È lì che nacque l’islam, la religione da lui fondata, ed è lì che morì il profeta dieci anni dopo. Conosciuta come Egira (emigrazione), questa fuga dalla Mecca segna l’inizio dell’era musulmana. maometto davanti alla kabba. il profeta è circondato da un’aura fiammeggiante e il suo volto appare vuoto perché non era permesso rappresentarlo. miniatura ottomana. xvi secolo. museo topkapi, istanbul.
FOTO SINISTRA: BRIDGEMAN / ACI; FOTO DESTRA: PRISMA / ALBUM
EGIRA DI MAOMETTO
800 La notte del 25 dicembre dell’800, nella basilica di San Pietro, papa Leone III incoronò il re franco Carlo Magno come imperatore dei romani. Quando il pontefice gli pose la corona sul capo, i presenti lo acclamarono: «A Carlo Augusto, grande e pacifico imperatore dei romani, vita e vittoria». Questo fece infuriare il re, perché nell’antico cerimoniale romano le acclamazioni precedevano l’incoronazione e indicavano che il potere imperiale veniva dal popolo e dall’esercito. L’inversione dell’ordine cerimoniale significava che tutto il potere proveniva da Dio tramite il suo intermediario. Iniziò così lo scontro tra l’impero e il papato, le due potenze della cristianità. busto di carlo magno. è un reliquiario sormontato dalla corona realizzata per la proclamazione dell’imperatore carlo iv. risale all’incirca allo stesso periodo (metà del 1300). i crociati assaltano gerusalemme. miniatura appartenente al romanzo di goffredo di buglione, del xiv secolo. bibliotheque nationale de france, parigi. 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
FOTO SINISTRA: BPK / SCALA, FIRENZE; FOTO DESTRA: BRIDGEMAN / ACI
INCORONAZIONE DI CARLO MAGNO
1099 CONQUISTA DI GERUSALEMME DA PARTE DEI CROCIATI Il venerdì 22 del mese di shaban dell’anno 492 dell’Egira (secondo il calendario musulmano), ovvero il 15 luglio 1099, le truppe della Prima crociata superarono le mura di Gerusalemme, la città santa dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam. Ne seguì un massacro che durò due giorni e gettò le basi delle storiche tensioni tra cristianità e mondo musulmano. Il cronista Raymond d’Aguilers lasciò una vivida descrizione di quell’orrore: «Spettacoli meravigliosi hanno rallegrato i nostri occhi. Alcuni di noi, i più caritatevoli, hanno tagliato la testa ai musulmani […]. Nelle strade e nelle piazze non vedevamo altro che mucchi di teste, mani e piedi…».
1347 SCOPPIO DELLA PESTE NERA Secondo una nota cronaca dell’epoca, ai primi di ottobre del 1347 attraccarono a Messina dodici galere genovesi che portavano con sé la peste, anche se probabilmente Messina era già stata contagiata a metà agosto. Forse le navi provenivano dalla Crimea, dove infuriava l’epidemia che dal 1348 al 1351 uccise tra un terzo e la metà degli europei. La peste mise fine al grande ciclo di espansione medievale con un periodo di rivolte: la mancanza di braccia per lavorare nelle campagne e nelle città diede ai contadini e agli operai la forza per affrontare i signori e la borghesia. Il vecchio ordine feudale cominciava a vacillare.
allegoria della peste. la morte nera, reggendo la falce che miete le vite, scaglia i suoi dardi contro gli uomini. tavoletta di biccherna. 1437. kunstgewerbemuseum, berlino.
1453 CADUTA DI COSTANTINOPOLI Alle prime ore del mattino di martedì 29 maggio 1453 le truppe del sultano ottomano Maometto II entravano a Costantinopoli, una città che nessun esercito aveva mai conquistato fin dalla sua fondazione, più di mille anni prima, e che ora veniva saccheggiata senza pietà. Finì così la lunga storia dell’impero bizantino, noto anche come impero romano d’Oriente, che era sopravvissuto alle invasioni barbariche del V secolo. Secondo alcuni studiosi, questa brusca trasformazione della geografia politica del Mediterraneo pose fine al Medioevo: una potenza islamica prendeva il posto del più antico impero cristiano d’Europa. A partire da allora e per i trecento anni successivi la cristianità avrebbe dovuto difendersi dai turchi.
FOTO SINISTRA: BPK / SCALA, FIRENZE; FOTO DESTRA: BRIDGEMAN / ACI
ingresso di maometto ii a costantinopoli. il sultano cambiò il nome della citta in istanbul. olio di jean-joseph benjamin constant. 1876. musée des augustins, tolosa.
1492 ARRIVO DI COLOMBO IN AMERICA Alle due di mattina di venerdì 12 ottobre 1492, dopo più di due mesi di traversata oceanica, un membro della spedizione di Cristoforo Colombo avvistò la terraferma. Più tardi, quello stesso giorno, l’ammiraglio sbarcò su un’isola (forse Watling, alle Bahamas) e ne prese possesso in nome dei re spagnoli. Credeva di trovarsi in Asia e di essere vicino al suo obiettivo, la ricca Cina del Gran Khan. Pensava infatti che navigando verso ovest avrebbe raggiunto l’Oriente. Ma aveva calcolato che la circonferenza della Terra fosse di circa 30mila km, 10mila in meno rispetto alla realtà. Questa lacuna era occupata da un continente sconosciuto, che mandò in frantumi l’idea di mondo esistente fin dall’antichità, e che fu saccheggiato.
portolano attribuito a cristoforo colombo. bibliothèque nationale, parigi. nell’antichita e nel medioevo si riteneva che esistesse un’unica massa terrestre che comprendeva europa, africa e asia. 36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
esecuzione di carlo i d’inghilterra. olio di john weesop. 1653 circa. scottish national portrait gallery, edimburgo.
1649 ESECUZIONE DI CARLO I D’INGHILTERRA
FOTO SINISTRA: WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE; FOTO DESTRA: BRIDGEMAN / ACI
Nel 1649, alla fine della guerra civile che aveva visto lo scontro tra il re Carlo I e il parlamento, questa istituzione costituì un tribunale con una missione rivoluzionaria: giudicare il monarca per alto tradimento ed esercizio tirannico del potere. Sabato 27 gennaio fu letta la sentenza di morte del sovrano, che fu pubblicamente decapitato martedì 30 gennaio. Gli spettatori furono testimoni di un atto senza precedenti: un regicidio commesso non da un assassino né nella foga della battaglia, ma per ordine dei rappresentanti del popolo e al termine di un processo formale. Per la prima volta si concretizzava il principio secondo il quale i sovrani non sono responsabili soltanto davanti a Dio, ma anche davanti al popolo. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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1789 Il 26 agosto 1789, durante le prime fasi della Rivoluzione francese, i deputati riunitisi per redigere una nuova costituzione approvarono i principi che dovevano ispirare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il documento ebbe un successo clamoroso davanti all’opinione pubblica nazionale e internazionale. Vi si affermavano l’uguaglianza di tutti gli uomini (articolo 1) e i loro diritti naturali e inalienabili: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione; l’appartenenza del principio di sovranità alla nazione; e la libertà di opinione, di stampa e di religione. La Dichiarazione esercitò un’enorme influenza su tutti i movimenti di liberazione dall’assolutismo e ispirò i principi che dovrebbero governare le democrazie di oggi. dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino con varie allegorie, di jean-jacquesfrançois le barbier. musee carnavalet, parigi.
FOTO SINISTRA: RMN-GRAND PALAIS; FOTO DESTRA: BRIDGEMAN / ACI
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO
1815 BATTAGLIA DI WATERLOO
carica dei royal scots greys, un reggimento di dragoni britannici, nella battaglia di waterloo. olio di elizabeth thompson. 1881. leeds art gallery.
Il 18 giugno 1815 gli anglo-olandesi e i prussiani sconfissero Napoleone Bonaparte nei pressi della cittadina belga di Waterloo in un sanguinoso scontro che decretò la conclusione definitiva dell’impero francese e costrinse Napoleone ad abdicare una settimana dopo. La vittoria permise a Prussia, Austria e Russia di assicurare la restaurazione (progettata al Congresso di Vienna) del vecchio ordine aristocratico, assolutista e reazionario dell’Europa, minacciato da quella Francia rivoluzionaria di cui Bonaparte era l’ultima emanazione. Per i cinquant’anni successivi, dalla Spagna alla Polonia, il continente sarebbe stato scosso da rivolte nazionali e popolari con rivendicazioni democratiche.
1918
RIVOLUZIONE RUSSA
SUFFRAGIO FEMMINILE IN GRAN BRETAGNA
Nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24-25 ottobre secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia), i bolscevichi guidati da Vladimir Lenin e Lev Trotsky presero il potere in nome dei lavoratori e dei contadini, in un Paese il cui sovrano, Nicola II Romanov, aveva abdicato otto mesi prima. Fu questa l’origine dell’Unione Sovietica (URSS), che si sarebbe presentata come l’incarnazione del socialismo. Il trionfo della rivoluzione stimolò i movimenti di emancipazione dei lavoratori in tutto il mondo. La scomparsa dell’Unione Sovietica nel 1991 ha lasciato il capitalismo come unico sistema economico e sociale sulla faccia della terra. lenin, leader dei bolscevichi, chiede la pace con la germania in un manifesto del 1917 dominato dal colore rosso, emblema della rivoluzione. Una suffragista incatenata a una cancellata a londra nel 1918 per manifestare a favore della concessione del voto alle donne, poi approvato nel febbraio di quell’anno. 40 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
FOTO SINISTRA: FINE ART / ALBUM; FOTO DESTRA: BRIDGEMAN / ACI
1917
Il 14 dicembre 1918 si tennero nel Regno Unito le prime elezioni in cui le donne poterono votare, anche se solo quelle maggiori di trent’anni (nel 1928 il suffragio sarebbe stato esteso alle donne di più di ventun anni, come per gli uomini). Il voto era stato approvato dal parlamento il 6 febbraio di quell’anno dopo un ventennio di dura lotta (che aveva portato anche a pene carcerarie) da parte delle organizzazioni suffragiste, guidate da leader come Emmeline Pankhurst o Millicent Fawcett, e costituì una pietra miliare sulla strada dell’uguaglianza tra uomini e donne. Ma il cammino del diritto al voto da parte delle donne in Europa è stato lento: l’ultimo Paese del continente ad approvare il suffragio femminile è stato il Liechtenstein solamente nel 1984.
1919 La Grande guerra (1914-1918) pose fine agli imperi austro-ungarico, tedesco, russo e ottomano, e i susseguenti trattati di pace portarono alla nascita di nuove nazioni: Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Polonia, Austria, Ungheria e due entità artificiali che sarebbero poi state smembrate prima della fine del XX secolo, ovvero la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. In Medio Oriente anche i confini di Giordania, Siria, Libano, Iraq, Turchia e Palestina ebbero origine da questi accordi. Il principale fu quello firmato il 28 giugno 1919 a Versailles, in base al quale la Germania fu costretta ad accettare la responsabilità della guerra e a pagare un’indennità in termini territoriali e monetari – un trauma che avrebbe favorito l’ascesa di Hitler. pagina del trattato di versailles. le rubriche corrispondono ai rappresentanti della germania e dei vincitori della guerra: francia, regno unito, italia e stati uniti. una folla osserva la sede della borsa (a sinistra, non visibile nella foto) dalla scalinata della federal hall, con la statua di washington sullo sfondo, il 24 ottobre 1929. 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
FOTO SINISTRA: CHARMET / BRIDGEMAN / ACI; FOTO DESTRA: GRANGER / AURIMAGES
TRATTATO DI VERSAILLES
1929 CROLLO DI WALL STREET Il primo gennaio 1929 il valore complessivo delle azioni della borsa di New York, gonfiate dalla speculazione, era enorme: 67 miliardi di dollari. Il primo ottobre raggiunse la cifra astronomica di 87 miliardi. I timori di un deprezzamento dei titoli provocò un improvviso incremento delle vendite: il 24 ottobre (“giovedì nero”), 13 milioni di azioni cambiarono di mano, e il 29 ottobre (“martedì nero”), 16,5 milioni; i prezzi crollarono. Le banche, i cui prestiti avevano alimentato la speculazione, fallirono mandando in rovina i loro clienti e lasciando l’industria senza credito. La disoccupazione si diffuse in tutti gli Stati Uniti, che trasmisero la crisi al resto del mondo smettendo di acquistare da altri Paesi e rimpatriando i loro capitali collocati all’estero.
1933 HITLER, CANCELLIERE DELLA GERMANIA Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler, leader del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP), fu nominato cancelliere della Germania dal presidente del Paese, l’anziano maresciallo Hindenburg. All’idea marxista della lotta di classe Hitler opponeva quella di lotta razziale. La sopravvivenza della Germania, una comunità ariana, esigeva lo sradicamento del marxismo e dell’ebraismo e la conquista in Europa orientale dello spazio che le avrebbe fornito le risorse economiche necessarie, oltre a una popolazione “inferiore” da tenere al suo servizio. Questo progetto imperialista del XIX secolo, che Hitler sviluppò con la capacità tecnologica del XX secolo, portò alla Seconda guerra mondiale. immagine di hitler da un manifesto stampato nel 1940. nell’agosto del 1934, alla morte di hindenburg, hitler assunse ufficialmente il titolo di «führer [capo] e cancelliere della germania».
1945 Per accelerare la fine della guerra contro il Giappone, alle 8:15 di mattina del 6 agosto 1945 gli Stati Uniti sganciarono una bomba atomica su Hiroshima, uccidendo circa 70mila persone; il 9 agosto ne sganciarono una seconda su Nagasaki, uccidendone altre 40mila. La nuova arma atomica segnò il futuro del pianeta: statunitensi e sovietici passarono quasi cinquant’anni a preparare vasti arsenali nucleari per distruggere l’avversario se questi avesse colpito per primo. Ma il fatto che tali armi implicassero l’annientamento di tutti i partecipanti a un eventuale conflitto ebbe un effetto deterrente, impedendo che la Guerra fredda si trasformasse in uno scontro globale. fotografia colorata del fungo atomico su hiroshima scattata dall’enola gay, l’aereo che sganciò la bomba e la cui potenza equivaleva a 15mila tonnellate di tnt.
FOTO SINISTRA: BRIDGEMAN / ACI; FOTO DESTRA: BRIDGEMAN / ACI
BOMBARDAMENTO DI HIROSHIMA
UN MONUMENTO AFFASCINANTE
Il faro appare circondato dalle altre sei meraviglie dell’antichità. Incisione di Philips Galle a partire da una pittura del neerlandese Maarten van Heemskerck. 1571. ALAMY / ACI
Una meraviglia dell’antichità
IL FARO DI ALESSANDRIA All’ingresso del porto di Alessandria si ergeva un’enorme torre alta più di cento metri, la cui luce di notte brillava con una forza tale da farla sembrare una stella
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Menfi MAPPA DEL DELTA DEL NILO DOVE, SULLE SPONDE DEL LAGO MOERIS, SI TROVAVA LA CITTÀ DI ALESSANDRIA D’EGITTO.
LUCERNA ALESSANDRINA
La vista del porto di Alessandria decora questa semplice lampada a olio in terracotta. I sec. a.C.I sec. d.C.
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gli inizi del 331 a.C. Alessandro Magno percorreva il nord dell’Egitto scortato da un manipolo di soldati. Erano trascorsi solo tre anni da quando il giovane re della Macedonia aveva iniziato una campagna contro i persiani, a cui aveva già sottratto le aree costiere del Mediterraneo orientale. Sul delta del Nilo Alessandro voleva fondare un porto che gli garantisse il controllo del mare e che prendesse il posto della fenicia Tiro, distrutta dalle sue truppe. Individuò ben presto il luogo perfetto: una lingua di terra, collegata al Nilo tramite il Canopo (il più occidentale tra i rami del delta) e protetta, a sud, dal lago Moeris. La leggenda racconta che, al momento di tracciare i
FERNANDO G. BAPTISTA / NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION
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confini della città, Alessandro e i suoi si accorsero di non possedere polvere bianca, per cui furono costretti a utilizzare farina. Subito dopo aver finito, una nube di uccelli oscurò il cielo e in poco tempo gli animali divorarono tutto. Alessandro lo considerò un cattivo presagio, ma i suoi indovini si affrettarono a offrire un’interpretazione diversa: la nuova città sarebbe stata ricca e avrebbe costituito una fonte di sostentamento per tutti i territori del regno. Era nata Alessandria, il grande porto del Mediterraneo.
Una costa pericolosa I viaggiatori riferivano che Alessandria aveva la forma di clamide, un mantello corto e resistente. Era un rettangolo quasi perfetto
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MILLE ANNI DI LUCE ERICH LESSING / ALBUM
331 a.C.
323 a.C.
Alessandro Magno fonda la città di Alessandria sul delta del Nilo, sopra una lingua di terra tra il mare e una grande laguna.
Muore Alessandro. Tolomeo I Sotere prende il controllo dell’Egitto e fonda l’ultima dinastia faraonica, quella dei Tolomei o Lagidi.
ALESSANDRO COME UN FARAONE
297-282 a.C.
48-47 a.C.
1303
1477-1479
Costruzione del faro sotto Tolomeo I e il figlio Tolomeo II. Il direttore dei lavori era forse Sostrato di Cnido.
Cleopatra VII, l’ultima sovrana tolemaica, ordina il primo grande restauro documentato del faro.
Un terremoto causa il crollo del faro. Una parte delle sue rovine, caduta in mare, sarà scoperta nel 1994.
Il sultano mamelucco Qa’itbay costruisce il forte che porta il suo nome al posto del vecchio sito del faro di Alessandria.
GIAN CARLO PATARINO / AGE FOTOSTOCK
Rappresentato come un sovrano, il fondatore di Alessandria fa delle offerte al dio Amon-Min. Rilievo del tempio di Luxor.
Lago Moeris Collegato al Nilo e al mar Mediterraneo tramite dei canali, questo lago è oggi molto più piccolo rispetto all’epoca tolemaica.
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Il quartiere reale, chiamato Bruchion, includeva un porto e accoglieva i palazzi dei Tolomei, assieme al museo e alla famosa biblioteca.
Oltre al museo e alla biblioteca, il quartiere reale ospitava un osservatorio astronomico e un giardino botanico.
Faro di Alessandria Una delle sette meraviglie del mondo antico, il faro, costruito nel III secolo a.C., superava forse i 100 metri d’altezza.
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Isola di Aontirrodos
Il Soma era il monumento che conteneva il corpo imbalsamato di Alessandro Magno. L’ubicazione non è certa.
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LA GRANDE METROPOLI
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Fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C., questa città mediterranea divenne il principale centro commerciale e culturale del mondo antico durante la dinastia tolemaica. Oggi le rovine di quello splendore si trovano in fondo al mare e sotto i palazzi moderni. La ricostruzione mostra l’aspetto che aveva probabilmente la città ai tempi di Cleopatra VII, quando ospitava circa 325mila abitanti. BNF
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IL FARO IN UNA MONETA CONIATA AI TEMPI DELL’IMPERATORE ADRIANO (117-138 D.C.).
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L’Eptastadio serviva come strada, frangiflutti del porto e acquedotto che riforniva l’isola di Faro.
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Secondo le cronache antiche, l’immenso viale che attraversava la città da est a ovest misurava 32 metri di larghezza.
Per volere dei Tolomei il Serapeo era dedicato al dio greco-egizio Serapide e conteneva la seconda biblioteca per importanza di Alessandria.
FERNANDO G. BAPTISTA / NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION
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ASPETTO ATTUALE DEL FARO DI LA CORUÑA, IN SEGUITO A UN RESTAURO DEL XVIII SECOLO. È CONSIDERATO IL FARO ATTIVO PIÙ ANTICO DEL MONDO.
I fari nell’antichità L’USO DEL FUOCO posto in certi punti strategici della costa, e volto a orientare i marinai, è documentato sin dagli inizi del I millennio a.C. C’erano perfino dei pirati, cosiddetti “naufragatori”, che li utilizzavano per trarre in inganno le navi, dirigerle verso gli scogli e impossessarsi del loro carico dopo il naufragio. I FARI sono probabilmente tre torri erette sull’isola greca di Taso nel V secolo a.C. Dopo la costruzione del faro di Alessandria, anche gli altri edifici divennero più grandi e monumentali. I romani ne innalzarono molti e un po’ dappertutto: da Ostia, Messina e Ravenna in Italia fino a Dover, in Inghilterra. Uno dei meglio conservati è quello di Brigantium (oggi La Coruña, Spagna), fabbricato tra il I e il II secolo d.C.
ISIDE FARIA, DEA PROTETTRICE DEL FARO DI ALESSANDRIA. STATUETTA IN BRONZO ALTA 24 CM. EPOCA ROMANA. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. 52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
tra il mare e il lago Moeris. Un canale collegato al Canopo riforniva d’acqua dolce la città, e la rete fognaria e gli ampi viali risultavano delle vere e proprie innovazioni per il Mediterraneo orientale. Era composta da cinque distretti, e una sua quarta parte era occupata dal quartiere reale, un magnifico complesso di giardini e palazzi. Come avevano profetizzato gli indovini, all’inizio del III secolo a.C., cinquant’anni dopo la sua fondazione, Alessandria era già il porto principale tra la Libia e la Fenicia, e riforniva parecchi territori. Nel distretto del porto, separato dal resto della città, le merci erano vendute senza tassazioni. Compratori accorsi dall’intero globo allora conosciuto – greci, egizi, romani, ebrei, siriani, arabi, persiani, indiani, nonché genti venute dal lato opposto del Sahara – scambiavano prodotti agricoli con raffinati manufatti in ceramica, o ancora oro, perle, incenso e uova di struzzo. Il porto era profondo, adatto alle barche di alto pescaggio, e una fila d’isole proteggeva l’insenatura dai pericolosi venti del nord. Tuttavia la rotta lungo tali acque non era completamente sicura. Senza bussola né strumenti
di navigazione i marinai si potevano orientare solo con gli elementi della costa, però nel delta del Nilo non c’erano montagne né scogliere, solo un’interminabile successione di paludi e deserti. La terra era così bassa che a volte sembrava nascondersi sotto la superficie del mare. Oltre a ciò, lungo la costa settentrionale dell’Egitto le correnti avevano finito per formare una grande lingua di sabbia sommersa, invisibile ai più inesperti. Non erano infatti pochi quelli che, credendo di essere sfuggiti ai pericoli del mare, si dirigevano spensierati verso la costa e naufragavano all’improvviso, perché le navi si erano incagliate nella sabbia. Da ultimo, davanti ad Alessandria c’era una doppia fila di scogli a scarsa profondità, che poteva risultare fatale qualora le maree e i venti fossero stati sfavorevoli.
Il sogno di Alessandro Agli inizi del III secolo a.C. si decise d’innalzare un edificio di notevoli dimensioni affinché rompesse la monotonia della costa egizia e consentisse ai marinai di entrare in sicurezza nel porto di Alessandria. A volerne la costruzione fu probabilmente Tolomeo I
ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE
RMN-GRAND PALAIS
SHUTTERSTOCK
DELTA DEL NILO
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Alessandria nel III secolo a.C.
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UNA COSTA TRADITRICE
«Poiché la costa è impraticabile e incavata a entrambi i lati, e ha scogliere e depressioni, è necessario indicarla a chi naviga dal mare con un segnale alto e brillante che diriga il suo ingresso al porto». Strabone, Geografia, XVII, 1, 6.
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in sogno un uomo dai capelli bianchi e l’aria saggia che gli aveva recitato dei versi: «E un’isola c’è poi, nel fitto ondeggiare del Ponto, chiamata Faro, e sorge dinanzi alle coste d’Egitto». Il macedone si era svegliato, aveva cercato l’isola e, quando ne aveva intuito le potenzialità, aveva riferito ai suoi compagni di viaggio che Omero, ammirevole in ogni aspetto, era pure un abilissimo architetto. All’estremità occidentale dell’isola c’era un isolotto, separato da questa tramite una lingua di mare, e fu lì che si decise di erigere il nuovo edificio. La torre prese il nome dell’isola vicina, ed è così che la parola “faro” è arrivata ai nostri giorni. Iniziati da Tolomeo I, i lavori si conclusero durante il regno del figlio, Tolomeo II Filadelfo. Forse a dirigerli fu un uomo chiamato Sostrato di Cnido, il cui nome è leggibile su un’iscrizione che abbelliva il faro. Si raccontava che, pur di essere ricordato dai posteri, Sostrato avesse escogitato una curiosa arguzia. Aveva inciso il proprio nome su un’iscrizione in pietra, che aveva poi coperto con una targa di gesso su cui compariva il titolo del monarca. Sostrato sapeva che, con il passare del tempo, il gesso si sarebbe sgretolato, svelando alle generazioni future proprio il suo nome.
UN MONUMENTO IMMAGINATO
Il mosaico evoca il faro, con la rampa che conduceva all’ingresso e la statua in cima. A giudicare dai raggi della corona, l’autore del pavimento l’identificò con Apollo o Elios.
Sotere, il nobile macedone che aveva fondato la dinastia di faraoni ellenistici destinati a regnare sull’Egitto dopo la morte di Alessandro, nel 323 a.C. L’ubicazione della singolare struttura, la prima di tale genere eretta dall’uomo, venne scelta con cura. Davanti alla costa di Alessandria si trovava un’isola lunga all’incirca cinque chilometri. Malgrado le ridotte dimensioni, quest’isola, Faro, era celebre già tra i greci. Si raccontava che Menelao vi avesse attraccato di ritorno da Troia per rifornirsi d’acqua nei suoi pozzi. E Alessandro aveva pensato proprio a Faro mentre percorreva le coste dell’Egitto per fondare Alessandria. Come racconta Plutarco, gli era allora apparso
Il faro costò una decima parte dell’intero tesoro dei re tolemaici TOLOMEO I IN UNA MONETA, CON IL DIADEMA REALE. AS F
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Una nuova stella Come tutte le opere dei primi Tolomei, il faro era una costruzione sorprendente. Plinio Il Vecchio riferisce che i lavori avevano richiesto la spesa di ottocento talenti, ovvero circa trentatré tonnellate d’argento, la decima parte dell’intero tesoro reale. Si calcola che il Partenone, eretto un secolo e mezzo prima, fosse costato poco più della metà, tra 450 e cinquecento talenti. Con i suoi cento metri e più d’altezza, si diceva che il faro potesse essere avvistato dalle navi a cinquanta chilometri di distanza, e a più di una giornata di navigazione. Durante il giorno era un punto di riferimento per i marinai, di notte un rifugio per le navi ormeggiate. Sempre accesa, la fiamma in alto era così brillante che, al buio, poteva essere scambiata per una stella. Di giorno il fumo si elevava a un’altezza tale da orientare chiunque. Oggi s’ignora in che modo fosse alimentato il fuoco: pare poco probabile che venisse usato il legno, piuttosto scarso in Egitto, e sembra più plausibile l’utilizzo di radici di papiro o
WALTER B. MYERS / BRIDGEMAN / ACI
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«Sopra di questa torre sta di continuo il fuoco acceso, per mostrare di notte il viaggio alle navi, affinché vedano le secche, e l’entrata del porto […] Il pericolo del fuoco è che, da lontano, si confonda con una stella, perché di notte sembra esserlo». Plinio, Naturalis historia, XXXVI, 83.
RICOSTRUZIONE DEL FARO CHE EMETTE LUCE DURANTE LA NOTTE.
SFINGE RINVENUTA NELL’AREA DEL FARO DURANTE GLI SCAVI DEL 1994, DIRETTI DA JEAN-YVES EMPEREUR.
Quel che resta del faro NEL 1994 una missione franco-egiziana
effettuò degli scavi sottomarini vicino al forte Qa’itbay. Vennero alla luce centinaia di colonne in granito e marmo, nonché due dozzine di sfingi, elementi riutilizzati di antichi monumenti. Accanto a tali resti, furono scoperte pure cinque delle enormi statue dei faraoni tolemaici che abbellivano l’ingresso del faro. IL RITROVAMENTO più importante riguarda i vari blocchi in granito rosa di Assuan sparsi sul fondo, quasi fossero caduti da un’altezza elevata. Le dimensioni (più di 11 metri di lunghezza, 75 tonnellate di peso) e la qualità del taglio erano straordinari. Con ogni probabilità, si trattava di resti del faro, blocchi che, a giudicare dalla resistenza del granito, sarebbero stati usati in punti critici dell’edificio come stipiti o architravi. SYLVAIN GRANDADAM / AGE FOTOSTOCK
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petrolio non raffinato. Forse v’installarono pure una specie di specchio, realizzato in un metallo molto levigato o con qualche vetro, che rifletteva lo scintillio della fiamma. Durante il Medioevo gli autori arabi, affascinati dal faro, credevano che il prodigioso specchio servisse sia come cannocchiale sia come strumento per rendere più potenti i raggi del sole, e affondare così le imbarcazioni nemiche. Alcuni studiosi non escludono la possibilità che il faro emettesse un tipo di segnale sonoro, utile nelle giornate di nebbia. Potrebbe essere questo lo scopo pratico delle statue dei tritoni presenti sulla sommità, che soffiano nelle conchiglie. Ciò spiegherebbe pure le “terribili voci” che, secondo alcuni autori arabi, provenivano dall’edificio, che divenne ben presto oggetto d’ammirazione. Alcuni storici l’inclusero tra le sette meraviglie del mondo antico, e chi poté osservarlo da vicino, come Giulio Cesare, rimase sbalordito dall’altezza e dalla magnificenza. Ma nemmeno il faro poté sottrarsi alle ingiurie del tempo. Risale alla fine del I secolo a.C. il primo importante restauro della torre, voluto dall’ultima regina della dinastia
tolemaica, Cleopatra VII. Quando gli arabi conquistarono l’Egitto quasi settecento anni dopo, il faro era ancora in piedi.
Le antiche rovine I terremoti che devastarono l’Egitto durante il Medioevo abbatterono il faro. Nel XIV secolo il celebre viaggiatore marocchino ibn Battuta si lamentò del penoso stato in cui versava l’edificio; a quel tempo doveva essere ormai impossibile accedervi. Nel 1477, quando il faro era già un ammasso di rovine, un sultano mamelucco ordinò d’impiegarne i resti per costruire il forte di Qa’itbay, la cui mole ricorda l’ubicazione di una delle più longeve meraviglie dell’antichità. EVA TOBALINA UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DI LA RIOJA
Per saperne di più
SAGGI
I misteri dell’archeologia Cristiana Barandoni. Newton Compton, Roma, 2016. LIBRI PER RAGAZZI
Le sette meraviglie del mondo Stefano Bordiglioni, Fabiano Fiorin. Einaudi ragazzi, San Dorlingo del Valle, 2018. Le Sette Meraviglie del Mondo Danilo Grossi. Giunti, Firenze, 2013.
HISHAM IBRAHIM / GETTY IMAGES
L’IMMAGINE DI UNA LEGGENDA Il faro in una miniatura ottomana del 1582, contenuta in Matali’usSa’adet (libro della felicità) di Seyyid Mehmed ibn Emir Hasan as-Su‘udi. A quei tempi non restava più nulla dell’edificio.
IL FORTINO DI QA’ITBAY
Il sultano egiziano Qa’itbay ordinò di erigere il fortino per proteggere Alessandria: era una delle opere difensive contro la minaccia dei turchi ottomani. Fu Qagmas Al-Eshaqy a dirigere i lavori.
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l’aspetto di una torre e misurava tra i 103 e i 118 metri d’altezza. La parte inferiore era decorata con immense statue di granito rosa, che raffiguravano i faraoni tolemaici in compagnia delle mogli. Il faro era diviso in tre grandi blocchi dalle dimensioni decrescenti: il più basso 2 era a pianta quadrata e aveva 30 metri per lato; il secondo aveva la pianta ottagonale 3 , e il terzo accoglieva la fiamma in una struttura cilindrica sostenuta da colonne 4 . Per la costruzione dell’edificio furono usati enormi blocchi in pietra, probabilmente di calcare bianco, che brillavano intensamente sotto il sole egiziano. Le mura avevano numerose aperture 5 , sia per illuminare l’interno, percorso da un’elegante rampa ascendente, sia per offrire minore resistenza al vento ed evitare che lo demolisse. Gli angoli dei piani superiori erano decorati con tritoni, creature marine 6 . Sulla sommità del faro si alzava una statua di bronzo, alta circa sette metri 7, che forse rappresentava Poseidone, dio del mare, o Zeus, protettore dei viaggiatori.
il faro, al quale si accedeva da una rampa 1 , aveva
L’IMPONENTE COLOSSO DI ALESSANDRIA
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LAMPADA DI TERRACOTTA RAPPRESENTANTE IL FARO DI ALESSANDRIA, FABBRICATA NEL III SECOLO A.C. SI TROVA NEL MUSEO GRECO-ROMANO DI ALESSANDRIA.
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ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUES © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE
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SOCRATE E LE MUSE
Su questo sarcofago romano Socrate è in compagnia della sua musa. Nella pagina successiva vediamo due filosofi che dialogano dipinti su uno skyphos ateniese del V secolo a.C. Entrambi i pezzi sono conservati al Louvre.
SOCRATE IL MAESTRO DELLA GRECIA
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Nell’Atene del V secolo a.C. Socrate rivoluzionò gli insegnamenti filosofici e raccolse attorno a sé un piccolo gruppo di discepoli con i quali praticò un nuovo metodo di argomentazione basato sul dialogo
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ocrate fu indubbiamente un filosofo singolare. Alcuni dei suoi discepoli lo presentano come un tipo peculiare, definendolo spesso con il termine greco átopos (sconcertante), e raccontano episodi curiosi della sua vita che ne sottolineano l’originalità. Per esempio Platone nel Simposio narra che durante una campagna militare se ne stette fermo in piedi nello stesso punto a meditare su qualcosa che lo aveva turbato, così come per il modo di rendere economicamente redditizi i propri insegnamenti. Nonostante ciò, Socrate veniva a volte confuso dai suoi contemporanei con la corrente rivale. Il primo documento che lo presenta come educatore è una commedia di Aristofane, Le nuvole, andata in scena nel 423 a.C., in cui appare come un sofista dedito all’insegnamento della retorica che si arricchisce a spese dei giovani ateniesi.
Socrate, l’ostetrico Le differenze tra Socrate e i sofisti erano notevoli, a partire dai metodi educativi. Questi ultimi si dedicavano a insegnare materie specifiche che dovevano essere di utilità pratica per gli studenti, come per esempio l’arte dell’oratoria: nella democratica Atene il successo in politica dipendeva dagli interventi davanti all’assemblea del popolo o nei tribunali. Socrate invece cercava di stimolare lo spirito dei suoi discepoli. Non si comportava come un comune maestro che inculca nuove conoscenze nell’allievo. Il suo metodo era la maieutica, termine che deriva dal greco antico maieuta (ostetrica, la professione della madre). Così come una levatrice aiuta a partorire, lui aiutava l’alunno a far affiorare le idee che aveva dentro di sé per analizzarle e capire se erano valide e meritevoli di at-
Socrate si proponeva di far nascere le idee dai suoi discepoli alla maniera di una levatrice BUSTO DI MARMO DI SOCRATE. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS
LUIGI VACCARELLA / FOTOTECA 9X12
rimanendo in quella posizione dall’alba al tramonto e poi ancora fino all’alba del giorno successivo. «Allora se ne andò innalzando preghiere al sole». Dal punto di vista del lettore la principale stranezza di Socrate consiste nel fatto che è un filosofo di cui non ci sono scritti, e non perché siano andati perduti, ma per decisione di un uomo che preferiva il calore della parola parlata e del dialogo al freddo esercizio della scrittura. Fortunatamente la sua intensa e prolungata attività didattica lasciò un’impressione talmente profonda nei suoi discepoli che alcuni di loro, in particolare Platone e Senofonte, scrissero ampi resoconti di memorie e riproduzioni dei dialoghi del maestro. Nato nel 469 a.C., Socrate raggiunse la maturità intellettuale in un momento in cui ad Atene trionfava una particolare corrente filosofica: la sofistica. Socrate aveva circa vent’anni meno di Protagora, la grande figura dei sofisti. Il giovane definì il proprio pensiero nel costante dibattito con le tesi di tale movimento, che criticava fortemente per le idee politiche e morali
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UN UOMO FATTOSI DA SÉ 440 a.C. L’oracolo del dio Apollo a Delfi dichiara Socrate l’uomo più sapiente, spingendolo a intensificare il suo sforzo critico.
423 a.C. Aristofane rappresenta Socrate nella commedia Le nuvole. L’anno successivo il filosofo combatte contro Sparta ad Anfipoli.
408 a.C. Il filosofo rifiuta l’invito del re Archelao di Macedonia a unirsi alla sua corte, dove già vivono Agatone ed Euripide.
404 a.C. Disobbedisce all’ordine dei Trenta tiranni di Atene di arrestare e giustiziare il democratico Leone di Salamina.
399 a.C. Accusato di empietà e di corrompere i giovani, Socrate è condannato a morte. Accetta la condanna e beve la cicuta. L’ACROPOLI DI ATENE
Figlio dello scultore Sofronisco, secondo la tradizione Socrate seguì in gioventù le orme del padre e realizzò anche una delle sculture delle Cariatidi che adornavano i propilei dell’Acropoli di Atene. Nell’immagine, il Partenone.
380-375 a.C. Platone, discepolo di Socrate, scrive il Fedone in cui attribuisce al suo maestro la teoria dell’anima immortale.
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tenzione o se invece erano falsità da scartare. Per questo motivo Socrate preferiva il dialogo tra piccoli gruppi di discepoli alle conferenze o ai discorsi tenuti dai sofisti di fronte a un vasto pubblico. Non era capace, o forse non gli piaceva costruire quei lunghi sermoni che gli oratori erano soliti riversare sugli ascoltatori; in ogni caso aveva incentrato il suo metodo sul discorso breve, fatto di domande e risposte in un dialogo a due. Per Socrate, tuttavia, il dialogo non è una conversazione qualsiasi, ma deve soddisfare determinati requisiti. È soprattutto una forma di ragionamento che richiede l’accordo con il proprio interlocutore. Gli accordi raggiunti nel dialogo devono essere coerenti con quelli presi in precedenza, mentre vanno
esclusi quelli incompatibili, come dimostra questo frammento di Gorgia, un’altra opera di Platone. Il testo ricostruisce un dialogo tra il filosofo ateniese e il sofista Gorgia di Leontini: «socrate […] Chi ha imparato l’arte del costruire è costruttore o no? gorgia Sì. socrate E chi ha imparato la musica non è forse musico? gorgia Sì. socrate E chi ha imparato la medicina è medico? E accade così anche negli altri casi, secondo lo stesso ragionamento, vale a dire che chi ha imparato una data arte, è tale quale la conoscenza di quell’arte lo rende? gorgia Certamente. socrate Dunque, in base a questo ragionamento, chi ha imparato la giustizia non è forse giusto? gorgia È senz’altro così. socrate E il giusto fa di certo cose giuste. gorgia Sì».
Il daimon gli consigliava di non insegnare a chi non avesse nulla di prezioso dentro di sé STELE CON UNA LISTA DI DISCEPOLI DI SOCRATE. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. P. FUZEAU / RMN-GRAND PALAIS
SCALA, FIRENZE
SCHELETRO CON LA MASSIMA DELFICA «CONOSCI TE STESSO». INCISIONE. MUSEO NAZIONALE, ROMA. XIX SECOLO.
IL GIUSTO, L’INGIUSTO E LA VERITÀ
L’OPINIONE CHE PIÙ CONTA Nel Critone Platone ricostruisce un dialogo tra Socrate e Critone in cui il filosofo confuta l’idea del suo allievo sull’importanza che dovremmo dare all’opinione altrui:
«Sul giusto e sull’ingiusto, sul brutto e sul bello, sul buono e sul cattivo, cose intorno alle quali verte ora la nostra deliberazione, dobbiamo dunque assecondare l’opinione dei molti e temerla, o soltanto quella di uno solo, se pur v’è qualcuno che se ne intende, e di quello solo provare rispetto e paura piuttosto che di tutti gli altri? E se non ci adegueremo a lui verremo a corrompere e ad oltraggiare quell’aspetto che col giusto diveniva migliore e con l’ingiusto andava in rovina. O non è così?».
SOCRATE E DUE DISCEPOLI
Secondo Diogene Laerzio, Socrate chiese ai suoi discepoli di guardarsi allo specchio e li invitò a essere degni della loro bellezza o a compensare la loro bruttezza facendo del bene. Olio di Domenico Fetti. XVII secolo. Galleria degli Uffizi, Firenze.
«Dunque, carissimo, noi dobbiamo darci pensiero non di quello che dirà di noi il popolino, ma di quello che potrà dire chi si intende del giusto e dell’ingiusto, di quello soltanto e della stessa verità, tanto che, in questa maniera, tu non dai un giusto avvio alla discussione se esordisci dicendo che noi dobbiamo darci pensiero dell’opinione dei più sul giusto, il bello, il buono e sul loro contrario».
RITRATTO DI SOCRATE IN UN AFFRESCO CONSERVATO NEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI EFESO. I SECOLO A.C.
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una determinata azione. Come i sofisti, anche Socrate s’interessava alle questioni politiche e morali, lasciando in secondo piano tutto ciò che riguardava le scienze naturali, oggetto di studio preferenziale dei filosofi precedenti, i cosiddetti presocratici.
Interesse per l’uomo Nel caso di Socrate, questo fu il risultato della sua stessa evoluzione intellettuale. Secondo quanto riportato in un dialogo di Platone, Fedone, nella sua giovinezza Socrate era attratto dalle idee di Anassagora, un filosofo residente ad Atene e consigliere di Pericle, il leader della democrazia ateniese. Anassagora sosteneva che l’ordine cosmico si basava in definitiva su un’entità astratta denominata nous (mente divina). Socrate si dichiarò un suo entusiasta seguace fino a quando si rese conto che la“mente”di Anassagora era solo un concetto vuoto che non interveniva affatto nel divenire del cosmo. Deluso, lasciò da parte lo studio della natura per dedicarsi a quello delle
Per Socrate è l’anima, e non il corpo, a costituire la realtà primaria dell’uomo BUSTO DI MARMO DI PLATONE, DISCEPOLO DI SOCRATE. MUSEI CAPITOLINI, ROMA.
DEA / ALBUM
FINE ART / SCALA, FIRENZE
Oltre all’uso del dialogo, anche il metodo di selezionare i propri allievi distingueva Socrate dai sofisti. Questi ultimi arrivavano in una città e presentavano al pubblico il programma del corso che offrivano e l’importo della quota d’iscrizione, che variava a seconda del prestigio di ogni insegnante. Si diceva che alcuni sofisti guadagnassero grandi somme di denaro grazie alla loro attività. Socrate invece si rifiutava di dare un prezzo ai suoi insegnamenti, ma non tutti potevano frequentare le sue lezioni: si riservava il diritto di ammettere o respingere un candidato. A volte a proibirgli di offrire il suo aiuto ai giovani che non avevano nulla di prezioso dentro era il suo daimon, una specie di genio divino che lo accompagnava consigliandogli o più spesso sconsigliandogli di compiere
VIVERE RETTAMENTE
UN DISCEPOLO BENEVOLO Nel Gorgia Platone loda la rettitudine di Callicle: «Colui che si accinge a saggiare in modo efficace un’anima, per vedere se essa viva o no con rettitudine, deve avere tre requisiti, che tu possiedi senza eccezione, vale a dire conoscenza, affetto e schiettezza. E così mi capita di imbattermi in molti uomini che non sono in grado di saggiarmi, perché non sono sapienti come te; altri, invece, sono sapienti, ma non se la sentono di dirmi la verità, perché non si prendono a cuore il mio bene, come invece fai tu.
E questi forestieri, poi, Gorgia e Polo, sono sapienti e amici miei, ma mancano di schiettezza e si fanno più scrupoli del dovuto […] Tu, invece, possiedi tutti questi requisiti che gli altri non possiedono: hai avuto un’eccellente educazione, come molti Ateniesi potrebbero confermare, e sei benevolo nei miei confronti». ASPASIA E I FILOSOFI
La compagna di Pericle era una donna colta e interessata alla filosofia, che discusse anche con lo stesso Socrate. Olio di Michel Corneille il Giovane. XVII secolo. Musée de l’histoire de France, Parigi.
MORTE DI SOCRATE CIRCONDATO DAI SUOI DISCEPOLI. OLIO DI JACQUES LOUIS DAVID. XVIII SECOLO. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.
ERICH LESSING / ALBUM
L’obiettivo di Socrate L’essere umano era dunque al centro della filosofia di Socrate così come di quella del sofista Protagora, autore della famosa massima «l’uomo è la misura di tutte le cose». Ma Socrate assunse un punto di vista opposto a quello dei sofisti sulle questioni etiche e politiche. Secondo lui così come le tecniche – quali per esempio quelle del medico o del musico citate in Gorgia – richiedono conoscenze specifiche per cui non tutti sono qualificati, anche le questioni politiche e morali devono essere risolte da specialisti del settore. Di conseguenza riteneva che il governo dovesse essere esercitato da persone esperte in materia di bene, giustizia e virtù morali. 68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Ciò implicava una dura critica al sistema democratico in vigore nell’Atene del tempo, che ai suoi occhi era una forma di governo ingiusta perché metteva nelle mani di una maggioranza ignorante questioni di vitale importanza che solo gli esperti potevano risolvere. Anni dopo, Platone sviluppò questa teoria nella sua opera La Repubblica, dove giustificava il governo dei filosofi come alternativa al malgoverno delle città del suo tempo e, in particolare, al governo basato sulle decisioni della maggioranza. Questi tre aspetti fondamentali – la centralità dell’uomo nella visione del mondo, il metodo d’indagine basato sul dialogo e l’elogio del governo formato da esperti – costituiscono la “svolta socratica”, ovvero il cambiamento radicale che il pensatore ateniese impresse alla storia della filosofia. JOSÉ SOLANA DUESO UNIVERSITÀ DI SARAGOZZA
Per saperne di più
SAGGI
Socrate tra personaggio e mito Franco Ferrari (a cura di). BUR Rizzoli, Milano, 2007. TESTO
Apologia di Socrate-MemorabiliEconomico-Simposio Senofonte. Bompiani, Milano, 2013. FILM
Socrate Roberto Rossellini, 1971.
JANE SWEENEY / AWL IMAGES
cose umane e, soprattutto, del fine supremo di ogni azione: il bene. Ne concluse che era l’anima, e non tanto il corpo, a costituire la realtà primordiale dell’uomo. Di conseguenza incoraggiò i suoi discepoli a preoccuparsi dei beni dell’anima. E dall’anima umana Socrate passò all’anima del Tutto, identificato con la divinità responsabile dell’ordine cosmico che aveva organizzato l’universo al servizio dell’essere umano. Se quella divinità si prendeva cura degli altri esseri (pecore o mucche, asini o cavalli) è perché questi servivano a scopi umani.
ANIMALI E UMANI
IL MAGGIOR DONO DEGLI DEI Nella sua opera Memorabili riferisce l’idea avanzata da Socrate della superiorità dell’uomo sugli animali:
«Non pensi [… ] che gli dei abbiano cura degli uomini, gli dei che hanno accordato all’uomo, solo fra tutti gli animali, il privilegio di camminare eretto, facoltà questa che gli dà un gran vantaggio per vedere da lontano, per considerare più a suo agio le cose dall’alto e per evitare un gran numero di fastidi? Tutti gli animali, inoltre, che camminano, hanno dei piedi, ma non ne fanno altro uso se non per camminare. Oltre a ciò gli dei hanno dato all’uomo due mani, grazie alle quali egli diviene l’animale più felice del mondo. Tutti gli animali hanno
L’AGORÀ DI ATENE
Queste millenarie rovine mostrano il centro della vita sociale e politica di Atene, zona frequentata da Socrate e dai suoi concittadini. Sullo sfondo, il tempio di Efesto si affaccia sull’agorà ateniese.
una lingua, ma solo la lingua dell’uomo può formare una parola che gli permette di spiegare i propri pensieri e comunicare con i propri simili. E per mostrare che gli dei hanno avuto cura persino dei nostri piaceri, essi non hanno determinato per gli amori degli uomini alcuna stagione; cosicché possono godere in ogni momento, fino all’estrema vecchiaia».
LA FEDE NELL’ANIMA IMMORTALE orfismo e pitagorismo sono due varianti della religione misterica e condividono un comune sfondo di credenze la cui pietra angolare è l’esistenza di un’anima immortale, sottoposta a un lungo e doloroso processo di trasmigrazione da cui può essere liberata solo tramite certe pratiche purificatrici. Il metodo di Socrate si basa sulla fede in un’anima immortale, come sostengono questi riti. Per il filosofo l’ideale morale consiste nello sviluppare uno stile di vita incentrato sulla conoscenza di sé e sulla cura dell’anima piuttosto che sui beni materiali. In secondo luogo, la ricerca naturale non deve avere come fine lo studio della struttura materiale dell’universo, ma la conoscenza dell’intelligenza divina di cui l’anima umana immortale è una piccola scintilla. Infine per Socrate il dialogo è l’unico metodo d’indagine valido per individuare le false credenze che si annidano negli esseri umani e gli impediscono di raggiungere la conoscenza di loro stessi. Pertanto il dialogo è la forma di purificazione fondamentale.
Pensieri sulla morte «[...] Consideriamo anche sotto questo aspetto perché grande è la speranza che la morte sia un bene. La morte infatti è una di queste due cose: o è come non essere nulla e il morto non ha alcuna consapevolezza, oppure, secondo quel che si dice, la morte è un cambiamento e, per così dire, una migrazione dell’anima da questa sede, quaggiù, verso un altro luogo […] Se poi la morte è come un emigrare di qui verso un’altra sede, ed è vero quel che si dice, che là si incontrano tutti i morti, quale bene può esservi più grande di questo, o giudici? Che se uno, giunto nell’Ade […] troverà laggiù i veri giudici […] come potrebbe essere tale trasmigrazione disprezzabile? E a qual prezzo non accetterebbe ognuno di voi di stare insieme a Orfeo, a Museo, a Esiodo ed Omero?». platone, apologia di socrate BUSTO DI SOCRATE DI PROFILO. MUSEI CAPITOLINI, ROMA. ORFEO CON L’ARPA SUONA DAVANTI AGLI DEI DEGLI INFERI ADE E PERSEFONE PER SALVARE LA MOGLIE EURIDICE. OLIO DI JAN BRUEGHEL IL VECCHIO. XVI-XVII SECOLO. JOHNNY VAN HAEFTEN GALLERY, LONDRA.
BUSTO: ARALDO DE LUCA. DIPINTO: BRIDGEMAN / ACI
LA PROTEZIONE MIGLIORE
L’armatura era il segno distintivo del cavaliere. Nell’immagine, ricostruzione di un uomo d’armi con un’armatura a piastre. Diffusasi nel XIV secolo, offriva una grande libertà di movimento. WARPEDGALERIE / ALAMY / ACI
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TR A STORIA E LEGGENDA
CAVALIERI MEDIEVALI Tra il XII e il XIV secolo, mentre si evolvevano le strategie belliche sui campi di battaglia, la cavalleria incarnò gli ideali di coraggio, generosità, lealtà e purezza tipici del mondo cortese
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ignori, osservate il miglior cavaliere che abbiate mai visto. Vi dirò chi è, ascoltatemi: si chiama Folco ed è il nipote di Girardo… Sentite bene le sue qualità: è nobile, cortese, educato, franco, di buona famiglia e di buona favella, abile a cacciare nei boschi e sulle rive dei fiumi, ottimo conoscitore degli scacchi, dei dadi e di ogni altro tipo di gioco. Non ha mai negato a nessuno la sua ricchezza, ma tutti hanno avuto da lui ciò che gli hanno richiesto. Non ha mai rimandato il compimento di atti onorevoli. Egli ha sempre amato intensamente Dio e la Chiesa. Sempre ha sofferto quando a corte non ha trovato maniera di porre rimedio agli atti maligni altrui... È sempre stato apprezzato come cavaliere, non ha mai mancato di onorare i poveri e gli umili e di giudicare ciascuno secondo il suo valore». Queste parole tratte dalla Chanson de Girart de Roussillon descrivono le qualità che un buon cavaliere, in questo caso il giovane Folco, nipote del protagonista, doveva possedere. In queste righe, scritte a metà del XII secolo, agli albori del mondo cortese, ci sono già tutte le caratteristiche che ancora oggi sono attribuite alla cavalleria medievale.
La particolarità più rilevante di questa classe sociale era una forma di comportamento che riuniva elementi ancora oggi considerati apprezzabili, come la cortesia, l’educazione e l’onestà, ma anche la disponibilità e la generosità. Naturalmente l’addestramento all’uso delle armi rivestiva una certa importanza, ma non esauriva la formazione del cavaliere. Ne facevano parte anche la caccia, gli scacchi e i giochi in generale, a cui vanno aggiunti i valori cristiani e l’amore per la poesia; non è un caso che le origini del romanzo europeo possano essere trovate tra le altre nella letteratura arturiana, che narrava appunto le gesta del leggendario re Artù e dei suoi cavalieri. La triplice natura militare, aristocratica e cristiana avrebbe definito la cavalleria europea del Medioevo e della prima Età moderna. Ma forse il modo più semplice per comprendere questo singolare fenomeno sociale è attraverso i cavalieri stessi, siano essi reali come quelli che sfileranno nelle prossime pa74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Tra realtà e finzione
SIMBOLO DI FRATELLANZA
INTORNO ALLA TAVOLA DI RE ARTÙ
ra le tante immagini del mondo arturiano, la Tavola Rotonda è una delle più potenti. Re Artù e i suoi cavalieri vi sedevano attorno per discutere di questioni riguardanti il mitico regno di Camelot. Secondo le distinte versioni, la tavola fu creata dal mago Merlino, a imitazione della tavola dell’Ultima Cena, o da Uther Pendra-
gon, padre di Artù. Avere un posto alla tavola era la più alta dignità alla quale poteva aspirare un cavaliere dell’universo arturiano. Grazie alla sua forma circolare non prevedeva gerarchie tra coloro che partecipavano agli incontri, e ciò costituiva il simbolo della fraternità che legava gli appartenenti al corpo cavalleresco.
I CAVALIERI DI CAMELOT
Questa miniatura del XIV secolo mostra la presentazione di Galahad ai cavalieri della Tavola Rotonda.
In un gesto che mostrò il suo lato più cavalleresco, Goffredo di Buglione rifiutò di essere incoronato re di Gerusalemme gine, o letterari come il giovane Folco che ha aperto questo testo. Infatti la linea che separa gli uni dagli altri è sfumata: se è vero che i modelli narrativi influenzarono il comportamento dei cavalieri in carne e ossa, fu la vita di questi ultimi a fornire una grande quantità di materiale alla letteratura.
Un buon punto di partenza per questo viaggio è Goffredo di Buglione (1060-1100 circa). Annoverato a partire dal XIV secolo in poi tra i Nove Prodi (un mitologico gruppo di nove figure maschili), Goffredo è uno dei punti di riferimento su cui si modellò l’ideale cavalleresco. Figlio del conte Eustachio II di Boulogne e di Ida di Lorena, fu insieme ai suoi fratelli uno dei principali comandanti della Prima crociata, in cui ben presto si mise in evidenza. La sua fama e il suo prestigio tra l’eterogeneo gruppo di baroni che guidavano la spedizione erano così grandi che, una volta conquistata Gerusalemme, gli venne offerto il trono del nuovo stato crociato. In un gesto di moderazione che ne mostrò il lato più cavalleresco, Goffredo rifiutò di farsi incoronare re: riteneva che nessuno dovesse indossare una corona d’oro là dove Cristo ne aveva portata una di spine. Accettò invece il titolo di difensore del Santo Sepolcro. Come ci si può attendere da un cavaliere della statura di Goffredo, la sua fama non si esaurisce in questo episodio. Di lui parlano vari testi letterari, in parte relativi al suo viaggio in Terra Santa e in parte destinati a nobilitare il suo lignaggio. Ad avere maggiore risonanza tra questi ultimi fu la leggenda del Cavaliere del Cigno. Nelle sue prime versioni narrava la storia di un eroe senza nome, ma alla fine del XII secolo il protagonista assunse concrete relazioni di parentela con la dinastia dei Buglione: il misterioso cavaliere rivelò essere nientemeno che il nonno materno di Goffre76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Goffredo di Buglione
CAVA L I E R I MO D E L LO
PALADINI DI OGNI EPOCA
a diffusione degli ideali cavallereschi nel XIII secolo portò a reinterpretare i grandi eroi del passato in chiave cavalleresca. All’inizio del XIV secolo questa idea prese forma nei Nove Prodi, personaggi che esemplificavano valori e virtù della cavalleria. La prima triade di cavalieri, proveniente dall’antichità classica, era composta da Ettore
di Troia, Alessandro Magno e Giulio Cesare. La seconda illustrava le virtù dei cavalieri dell’Antico Testamento e comprendeva Giosuè, il conquistatore di Canaan, il re Davide e Giuda Maccabeo. Infine, i cavalieri del più recente passato erano rappresentati dalle figure di re Artù, dell’imperatore Carlo Magno e di Goffredo di Buglione.
I NOVE PRODI
Così li raffigurò probabilmente il pittore Giacomo Jaquerio nel castello della Manta, vicino a Saluzzo (Cuneo). XV secolo. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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do, un particolare questo che fondeva realtà, letteratura e leggenda intorno alla figura di uno dei più celebri cavalieri della cristianità. La combinazione di finzione narrativa, deformazione della realtà ed esaltazione dei valori cavallereschi ebbe una lunga storia nell’Europa medievale, soprattutto nel mondo anglo-francese. Poche figure sono più suggestive in questo senso di quella di Guglielmo il Maresciallo (1145-1219 circa). Alla corte del re di Francia si diceva di lui che fosse il miglior cavaliere del mondo. Un complimento fuori dal comune, soprattutto se si considera che proveniva dall’entourage di colui che all’epoca era il più feroce nemico dei sovrani d’Inghilterra. Il Maresciallo servì fedelmente quattro di questi ultimi, anche nei momenti più avversi del loro regno, imponendosi come modello delle virtù cavalleresche della sua epoca. Ormai in età avanzata, fu persino reggente di Enrico III, fino a che questi non raggiunse la maggiore età.
I particolari della vita del Maresciallo sono conosciuti grazie alla biografia che fu commissionata da uno dei suoi figli. Tramite i versi dell’opera è possibile assistere alla sua brillante ascesa dal momento in cui lasciò la casa paterna per iniziare il suo addestramento di cavaliere, come gli imponeva il ruolo di figlio cadetto (non primogenito), fino alle ultime ore della sua esistenza. Per quanto la sua figura sia eccezionale, il percorso umano di Guglielmo permette di cogliere molti aspetti comuni ai cavalieri dell’epoca. Sono ampiamente descritte la sua formazione nella casa del potente nobile normanno Guglielmo di Tancarville, zio della madre, la sua investitura a cavaliere nel 1166 e la sua prima campagna militare, nella quale già si distinse. In seguito il giovane scoprì un’attività che avrebbe segnato la sua vita, assumendo i contorni di una passione travolgente: i tornei. Lontane dall’immagine romantica spesso tramandata, queste competizioni a squadre potevano considerarsi delle vere e proprie simulazioni belliche, dove bande di giovani cavalieri si sforzavano di dimostrare il loro coraggio e conquistare fama, onore e naturalmente fortuna. 78 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Guglielmo il Maresciallo
F I G UR E L EG G E N DA R I E
L’ENIGMATICO CAVALIERE DEL CIGNO
evoluzione del mito del Cavaliere del ’Cigno è un buon esempio della capacità di trasformazione della letteratura cavalleresca. La leggenda compare per la prima volta nel Dolopato (un testo della fine del XII secolo), dove però non si dice quasi nulla del misterioso cavaliere che giunge su un’imbarcazione trainata da un cigno per salvare una “donzella” in pericolo.
Qualche anno più tardi l’enigmatico personaggio riappare in una canzone di gesta del ciclo delle crociate, Le chevalier au cigne, e viene presentato come mitico antenato di Goffredo di Buglione. Nel XIII secolo autori di ambito tedesco come Wolfram von Eschenbach o Corrado di Würzburg ripresero la storia di questo cavaliere a cui Wagner si sarebbe ispirato per comporre il Lohengrin.
UN MONDO DI FANTASIA
Arazzo di una serie sulla storia del Cavaliere del Cigno realizzata a Bruxelles all’inizio del XVI secolo.
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CASTELLO DI CHINON
Enrico II d’Inghilterra, a cui Guglielmo il Maresciallo prestò i suoi servizi, scelse Chinon come sede dei domini francesi ottenuti grazie al suo matrimonio con Eleonora d’Aquitania. SYLVAIN SONNET / GTRES
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Parallelamente il Maresciallo fu anche maestro d’armi e uomo di fiducia del principe Enrico, figlio di Enrico II d’Inghilterra e suo successore designato. Purtroppo il giovane morì prima di poter salire al trono, e Guglielmo adempì per lui il voto di viaggiare in Terra Santa, dove combatté per due anni a fianco dei templari. Al ritorno il sovrano inglese gli offrì una delle ricompense più ambite del regno: la mano di Isabella di Clare, contessa di Pembroke. Il matrimonio valse al Maresciallo un posto d’onore tra l’alta nobiltà. I giorni da cavaliere errante erano ormai alle spalle. Ma non per questo avrebbe cessato d’imperversare sui campi di battaglia: fino alla fine dei suoi giorni restò il più fedele vassallo della Corona inglese. Durante la reggenza di Giovanni Senzaterra difese gli interessi di Riccardo Cuor di
Enrico II organizzò le nozze di Guglielmo con Isabella di Clare, contessa di Pembroke, per elevare il Maresciallo al più alto rango della nobiltà 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
L’ASCESA DI UN CAVALIERE a vita di Guglielmo il Maresciallo è ricca di episodi memorabili. Tali gesta sono ripor tate nell’Histoire de Guillaume le Maréchal, una sua biografia in versi scritta per volere del figlio Guglielmo II, erede della contea di Pembroke. Nell’opera ci sono molti aneddoti sulla sua partecipazione ai tornei. Uno di essi ben illustra la pericolosità che potevano raggiungere queste simulazioni belliche: al termine di un scontro particolarmente brutale, l’elmo del Maresciallo era talmente ammaccato e deformato che questi fu costretto a ricorrere ai servizi di un fabbro per riuscire a toglierselo. Doveva essere stata sicuramente una sfida durissima. In ogni caso la vita del Maresciallo non si esaurisce né sui campi di battaglia né in giostre e tornei. La sua intimità con i circoli del potere gli permise di entrare in contatto con alcuni dei personaggi più in vista dell’epoca. Inoltre servì quattro sovrani (Enrico II, Riccardo Cuor di Leone, Giovanni Senzaterra ed Enrico III), fu precettore di un principe e ormai verso la fine della sua esistenza fu anche reggente d’Inghilterra.
ETERNO RIPOSO
Statua distesa di Guglielmo il Maresciallo nella chiesa del Tempio di Londra, dove fu sepolto alla sua morte, avvenuta nel 1219. CASTELLO DI FERNS
Situata nella contea irlandese di Wexford, questa fortezza fu costruita da Guglielmo il Maresciallo in uno dei suoi domini come conte di Pembroke.
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La lealtà prima di tutto
UN UO MO VA LO ROSO
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Ai tempi del Maresciallo questa pratica era al suo apice e Guglielmo si distinse sempre per il talento inarrivabile. In poco più di un decennio disarcionò e fece prigionieri più di mezzo migliaio di avversari, torneo dopo torneo. Questo si tradusse in un’enorme quantità di riscatti che, insieme alle armature e alle selle confiscate ai contendenti, gli permise di esercitare una delle consuetudini più apprezzate tra i giovani cavalieri dell’epoca: la munificenza nella redistribuzione del bottino, gesto centrale in una cultura del dono che permetteva di assicurarsi la fedeltà altrui e dimostrare la propria benevolenza. I tornei consentirono a Guglielmo un’ascesa fulminea: nel 1179 – in occasione dei giochi organizzati per festeggiare l’incoronazione di Filippo Augusto, nuovo re di Francia – formò una compagnia di battaglia propria.
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Leone mentre quest’ultimo partecipava alla Terza crociata; anni dopo protesse lo stesso Giovanni quando, alla morte di Riccardo, il suo diritto al trono venne messo in discussione. Fu anche uno dei pochi grandi nobili a schierarsi con Giovanni Senzaterra durante la ribellione dei baroni del regno, che costrinsero il re a concedere la Magna Charta con cui accettava le loro richieste. Questa estrema fedeltà alla Corona contribuì ad accrescere la fama di Guglielmo il Maresciallo, fino a farne il più grande cavaliere del suo tempo. Fu leale fino alla morte, avvenuta poco dopo l’ultima grande vittoria militare nella battaglia di Lincoln del 1217, quando ricacciò indietro l’esercito francese, che aveva invaso l’Inghilterra.
Ulrich von Liechtenstein I grandi cavalieri non erano solo oggetto di ammirazione dei loro contemporanei e protagonisti di leggende o canzoni di gesta. In alcuni casi erano loro stessi a coltivare le arti e a riflettere sulla loro vita e i loro costumi. Il caso più significativo in tal senso è forse quello del cavaliere proveniente dalla Stiria (attuale Austria) Ulrich von Liechtenstein (1200-1278), noto non solo per le imprese militari, ma anche per l’attività di poeta e Minnesänger (cantore). Fu nominato cavaliere nel 1223 da Leopoldo VI di Babenberg, uno dei politici e mecenati più illustri del suo tempo, che promosse lo sviluppo dei valori cavallereschi all’interno della propria corte. Ulrich si distinse ben presto tra la nobiltà stiriana e in seguito ricoprì gli importanti incarichi di siniscalco e maresciallo. Ma se c’è un motivo per cui è passato alla storia, è la sua produzione letteraria. Sono giunte fino ai nostri giorni due delle sue opere, il Frauenbuch (libro delle dame), un lamento per la decadenza dell’arte di corteggiare le donne, che egli considerava uno dei capisaldi della cavalleria, e il Frauendienst (servizio delle dame). Quest’ultimo è una raccolta di poesie, apparentemente autobiografiche, in cui Ulrich riflette sulle convenzioni dell’amore cortese e delle imprese cavalleresche. Lo fa attraverso il racconto di due avventure intraprese in onore della sua signora. La prima lo porta a indossare i panni della dea Venere e a gareggiare in giostre e tornei 84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL PAESE DI UN CAVALIERE
Leopoldo VI d’Austria era anche duca di Stiria, la patria di Ulrich von Liechtenstein. Castello di Hochosterwitz in Stiria. ALAMY / ACI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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da Venezia a Vienna, affrontando e sconfiggendo – a dar retta alle sue parole – diverse centinaia di cavalieri. Nella seconda, travestito da re Artù, si mette in cammino allo scopo di misurarsi con ogni cavaliere che incroci la sua strada, per maggior gloria della sua dama. La fama di Ulrich non dipende solo dalle imprese e dalle opere: il cavaliere stiriano è stato immortalato nelle pagine di uno dei più importanti codici cavallereschi ancora oggi conservati, il Codex Manesse. Realizzato all’inizio del XIV secolo, costituisce la più completa raccolta di poesie dei Minnesänger ed è illustrato con 137 miniature a tutta pagina, tra cui quella dello stesso Ulrich von Liechtenstein.
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FINE ART / ALBUM
Nella seconda metà del XIV secolo i campi di battaglia europei videro il confronto tra gli ideali cavallereschi e la realtà di una guerra sempre più dominata dai combattimenti di fanteria. La cavalleria perse quindi quel ruolo essenziale che aveva svolto nei duecento anni precedenti, riducendosi per tutto il XV secolo a una sorta di vuoto spettacolo di corte i cui cerimoniali diventavano sempre più raffinati a mano a mano che i suoi protagonisti si allontanavano dai campi di battaglia. In questo periodo di transizione emersero alcune figure memorabili come il cavaliere Jean Le Meingre, che ereditò dal padre non solo il soprannome Boucicaut (il coraggioso), ma anche la vicinanza con i centri del potere, dato che questi era il maresciallo di Francia. Dopo essere stato già da piccolo paggio di corte, a soli dodici anni Jean partecipò alla sua prima spedizione militare. Di lui si tramandò l’estenuante metodo di allenamento che gli permetteva di compiere, con l’armatura addosso, prodezze che ancora oggi risultano incredibili. Boucicaut si esercitava a correre per lunghe distanze e a saltare in sella al suo cavallo direttamente da terra; eseguiva varie acrobazie ed era persino capace di salire una scala a pioli con la sola forza delle braccia. Non sorprende che sia rimasto il signore incontrastato dei campi di battaglia europei per vent’anni, fin da quando, ancora adolescente, fu nominato cavaliere e prese parte alla battaglia di Roosebeke (1382).
IL SERVIZIO ALLE DAME
Nato come gioco di corte, l’amore cavalleresco era uno specchio delle relazioni feudali: il cavaliere prometteva di servire la sua dama così come il vassallo si metteva al servizio del suo re.
TANNHÄUSER, CAVALIERE DELL’ORDINE TEUTONICO.
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Jean le Meingre, Boucicaut
KRAFT III DI TOGGENBURGO SI RECA DALLA SUA DAMA.
LA DIFESA DELLA FEDE
Oltre ai valori cortesi, il cavaliere non doveva dimenticare il principio che orientava tutto il suo comportamento: la difesa della cristianità e delle virtù cristiane ovunque fosse necessario.
ULRICH VON LIECHTENSTEIN CON UN ELMO SORMONTATO DALL’EFFIGIE DI VENERE.
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CORRADO DI SVEVIA CACCIA CON UN FALCO.
L’IDEALE DI VITA SECONDO LA CAVALLERIA
ANDARE A CACCIA
Un’altra metafora del mondo cavalleresco erano i falchi: questi si alzavano in volo per servire il loro padrone così come il cavaliere combatteva per il suo sovrano sforzandosi di raggiungere la perfezione.
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OTTONE IV DI BRANDEBURGO GIOCA A SCACCHI.
DISTRAZIONI ARISTOCRATICHE
Introdotti in Europa durante il Medioevo, gli scacchi divennero uno dei principali passatempi cavallereschi, come testimoniano i numerosi trattati sul gioco che iniziarono a circolare all’epoca.
I L CO D E X M AN E SS E
l Codex Manesse è un testo riccamente illustrato. Elaborato a metà del XIV secolo, raccoglie un gran numero di composizioni poetiche dei Minnesänger (cantori germanici) e, grazie alle sue splendide miniature, permette di penetrare in quell’immaginario cortese a cui s’ispirava la cavalleria. La vita del cavaliere non si limitava ai campi di battaglia o all’esercizio delle armi, ma era costituita da un complesso universo di attività di corte che rappresentava una sorta di modello educativo a sé stante. Così, la caccia – che fosse da inseguimento o con i falchi –, le regole dell’amore cortese e alcuni giochi come gli scacchi avevano un peso fondamentale nei costumi cavallereschi, non meno di altri aspetti incentrati sul comportamento virtuoso o sulla difesa della cristianità. Inoltre il concetto di amor cortese (circoscritto agli ambienti di corte) quasi mai trovava appagamento fisico poiché la dama era un ideale irraggiungibile. Tutti questi elementi conferivano alla vita dei cavalieri medievali una profondità capace di affascinare ancora oggi.
ALBERTO RECHE ONTILLERA UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA. ISTITUTO DI STUDI MEDIEVALI
Per saperne di più
SAGGI
Alle origini della cavalleria medievale Franco Cardini. Il Mulino, Bologna, 2014. Guglielmo il Maresciallo. L’avventura del cavaliere Georges Duby. Laterza, Roma- Bari, 2004. La cavalleria medievale Jean Flori. Einaudi, Torino, 2016.
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AGENCE BULLOZ / RMN-GRAND PALAIS
Da quel momento in poi la sua attività fu frenetica. Nel 1384 combatté a fianco dell’Ordine teutonico nella crociata contro i lituani, quindi si recò nella penisola iberica dove intervenne a favore di Giovanni I di Castiglia, il cui regno era stato invaso dall’inglese Giovanni di Gand. Poi fu nei Balcani a sostenere l’imperatore bizantino contro i turchi, e in seguito nel Vicino Oriente, dove attaccò e saccheggiò diverse città (Tripoli, Sidone, Beirut…) dell’odierno Libano. I suoi continui successi militari gli valsero il titolo di maresciallo di Francia, com’era stato suo padre prima di lui, e per un breve periodo di governatore di Genova. Il rovescio della medaglia fu la sua partecipazione a due delle più cocenti sconfitte della cavalleria francese: Nicopoli contro gli ottomani nel 1396 e Azincourt contro gli inglesi nel 1415. Boucicaut fu partecipe anche di una delle mode cavalleresche nate nella tensione del XIV secolo e che raggiunsero l’apice nei cent’anni successivi: le compagnie e gli ordini cavallereschi. Insieme ad altri cavalieri fondò l’Ordine dello scudo verde e della dama bianca, che aveva lo scopo“di salvaguardare l’onore, la fama e la reputazione delle donne bisognose d’aiuto”, un’istituzione che anni dopo ottenne il plauso della scrittrice Christine de Pizan. Molti sono i nomi rimasti taciuti in questa carrellata dei grandi eroi della cavalleria europea. Da figure storiche come Riccardo Cuor di Leone o Giacomo il Conquistatore a combattenti di fortuna come Bertrand du Guesclin o Giovanni Acuto, da avventurieri come Pero Niño a personaggi centrali della cultura cavalleresca del mondo borgognone come Jacques de Lalaing. Nomi uniti dal senso di appartenenza a un mondo di parentele, alleanze, valori e comportamenti che in definitiva costituisce ciò che ancor oggi s’intende con il termine cavalleria.
DA E RO E A P R I G I O N I E RO
L’AMARA FINE DI BOUCICAUT
orse il giorno più infausto della vita di Boucicaut fu quello della battaglia di Azincourt. Qui il 25 ottobre 1415 la cavalleria francese subì una tremenda sconfitta per mano degli inglesi. Sebbene la sua esperienza sui campi di battaglia ne facesse un punto di riferimento costante per i compagni, Boucicaut – che guidava l’esercito francese insieme a Charles d’Al-
bret – non poté fare molto per evitare la catastrofe. A risultare fatali furono le continue interferenze nella catena di comando provocate dallo scontro tra i duchi d’Orléans e di Borgogna. Boucicaut visse sul suo stesso corpo la tragedia della sconfitta: fu catturato dagli inglesi e trasferito in Inghilterra. Trascorse l’ultima parte della sua vita prigioniero nello Yorkshire, dove morì sei anni dopo.
LA PREGHIERA DI UN MILITARE
Boucicaut prega in compagnia della moglie in una miniatura del libro d’ore che porta il suo nome. 1412-1416.
IL GIOCO DELLA GUERRA
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RAPPRESENTAZIONE DI UN TORNEO. MINIATURA RISALENTE AL XIV SECOLO. BIBLIOTHEQUE ROYALE DE BELGIQUE, BRUXELLES.
ALBU
M
ORONOZ / ALBUM
Per tutto il Medioevo e durante le prime fasi dell’Età moderna la formazione dei cavalieri passava per un’infinità di simulazioni belliche: i tornei a squadre, in cui i giovani combattevano collettivamente, come si può vedere nella miniatura qui accanto; le giostre individuali, dove l’obiettivo era quello di disarcionare l’avversario; o altre attività come le schermaglie, i bagordi o le tavole rotonde.
MET /
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SCUDO DA TORNEO IN LEGNO, PELLE E LINO REALIZZATO INTORNO AL 1450. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.
LANCE
Elemento immancabile della panoplia (armatura completa) cavalleresca al pari della spada, la lancia era protagonista di molti di questi giochi.
2 LE
ARMI
Nelle giostre e nei tornei si utilizzavano armi cortesi o smussate, con piccole modifiche che impedivano di uccidere o ferire gravemente gli avversari.
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3 IL
PUBBLICO
Giostre e tornei richiedevano la presenza di un pubblico, di solito femminile, che apprezzava le abilità dimostrate dai partecipanti.
4 I CAVALLI
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Anche se il cavallo aveva un ruolo molto importante in queste attività, c’erano anche giochi che prevedevano combattimenti corpo a corpo.
Alcuni cavalieri esperti di regolamento svolgevano la funzione di arbitri e si pronunciavano sugli episodi del combattimento.
REGOLE
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RECINTO
Come ogni attività sportiva, i tornei e le giostre si svolgevano in spazi in cui il campo da gioco era delimitato e disciplinato da determinate regole.
UN ’ODISSEA ATL ANTICA
VIAGGIO VERSO IL NUOVO MONDO Solo la necessità poteva spingere le donne e gli uomini del XVI e del XVII secolo a imbarcarsi verso le Americhe. La traversata era di una durezza estrema, e l’esito sempre incerto
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PERCORRERE UN EMISFERO
Galeoni, le navi sulle quali si viaggiava verso le Americhe, in una pittura del monastero dell’Escorial, risalente al 1580. Nella pagina precedente, mappamondo del XVII secolo in cui sono poste in evidenza le coste americane. Middle Temple Library, Londra. FOTO: ALBUM
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ra il XVI e il XVII secolo circa 450mila spagnoli si videro costretti a varcare l’oceano in quella che sarebbe stata sicuramente una traversata pericolosa. Non si trattava di soli uomini: un buon trenta percento dei passeggeri era spesso costituito da donne. Il viaggio durava circa quaranta giorni in condizioni normali, ma si poteva allungare di dieci o quindici in caso di avversità meteorologiche. E questo ritardo non faceva che accrescere le pene dei naviganti.
I requisiti per partire Per imbarcarsi legalmente bisognava prima affrontare lunghe e noiose procedure burocratiche. Il primo passo consisteva nell’ottenere la licenza d’imbarco alla Casa de Contratación di Siviglia, l’istituzione che controllava il traffico marittimo con le Indie. A tal fine il viaggiatore doveva esibire un certificato, proveniente dal proprio luogo di nascita, in cui veniva garantita la condizione di cristiano viejo. Insomma, doveva dimostrare di non aver avuto ebrei o musulmani tra gli antenati. Dopo che gli ufficiali avevano verificato tale requisito, sempre che il richiedente non avesse impedimenti di altro genere, veniva finalmente rilasciata l’autorizzazione scritta a partire. Però gli incartamenti non finivano lì. Il secondo passo consisteva nel comprare il biglietto da qualche nostromo o proprietario di navi, formalizzando l’acquisto davanti a uno scrivano ufficiale. Bisognava perciò disporre di denaro sia per pagare il biglietto, che era abbastanza caro, sia per lo scrivano. Nel XVI secolo il prezzo medio del biglietto si
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ASTROLABIO, USATO DAI MARINAI PER CONTROLLARE LA POSIZIONE E L’ALTEZZA DELLE STELLE. OPERA DI GUALTERUS ARSENIUS. XVI SECOLO.
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aggirava sui 7.500 maravedí a persona, circa 2.600 euro, anche se poi l’importo variava in base alla destinazione, al tipo d’alloggio e alla presenza o meno del vitto a bordo. Per essere totalmente sicuro, il viaggiatore doveva possedere ulteriori somme. Tra le spese si dovevano infatti considerare il soggiorno a Siviglia, che poteva prolungarsi a causa dei frequenti ritardi nelle partenze, e anche le prime settimane nel continente americano, che in genere erano le più difficili. Alla fine dei conti, la somma totale poteva raggiungere addirittura l’equivalente di 15mila euro. Ognuno racimolava i soldi come meglio poteva: alcuni vendevano le proprietà e, a volte, la dote delle mogli, mentre altri si rivolgevano ai genitori e ai fratelli, rinunciando in cambio all’eredità. Altri ancora indebitavano la famiglia per anni, con la promessa di un futuro risarcimento che, spesso, non sarebbe mai arrivato.
La vita a bordo Le imbarcazioni del XVI e del XVII secolo non erano delle navi da crociera, su questo non ci sono dubbi. Anzi, lo spazio piuttosto ridotto nel quale si svolgeva la vita al loro interno era causa di seccature e grandi sofferenze. Le nao (navi più piccole dei galeoni) avevano un’unica coperta, a cui venivano aggiunte delle sottocoperte e dei tendaggi per proteggere il più possibile le manovre e l’equipaggio. Tale tipo di vascello aveva appena un paio di cabine dalle dimensioni infime, che di solito erano destinate al no-
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VIAGGI DA UNA COSTA ALL’ALTRA 1503 I Re cattolici fondano a Siviglia la Casa de Contratación, che controllerà il traffico e la navigazione con le Indie.
1522 In seguito agli attacchi dei pirati, la Spagna allestisce una flotta d’imbarcazioni per il viaggio d’andata e ritorno verso le Indie.
1564 Si organizza il sistema di flotte per le Americhe: quella di Nueva España salpa in aprile, e quella di Tierra Firme ad agosto.
1650 Dal 1504 sino a questa data hanno attraversato l’Atlantico in entrambi i sensi circa 18mila imbarcazioni.
1681 Vicino a L’Avana un uragano affonda l’Armada de la Guarda de la Carrera. Muoiono circa 1.500 persone.
1680 Cadice diventa un porto d’arrivo per le barche dall’America, e nel 1717 la Casa de Contratación vi si trasferisce. PROTEZIONE CELESTE
Dipinta per la Casa de Contratación, la Vergine dei marinai protegge i naviganti e le loro imbarcazioni. Alejo Fernández. 1531-1536. AGE FOTOSTOCK STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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SIVIGLIA, IL PORTO DELLE INDIE Attribuito ad Alonso Sánchez Coello e conservato nel Museo de América di Madrid, quest’olio mostra l’aspetto della città alla fine del XVI secolo. Siviglia era il centro del traffico marittimo con le Americhe.
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iviglia distava dal mare un centinaio di chilometri e il corso sinuoso del Guadalquivir, nonché le secche del fiume, richiedevano una notevole abilità da parte dei timonieri. Tuttavia s’impose quale porto delle Indie proprio perché si trovava in una posizione più interna rispetto a un porto della costa come Cadice, attaccato nel 1553 dal Barbarossa, nel 1587 da Drake e nel 1596 da un’unità
anglo-olandese. Come mostra il quadro, il porto era formato da un’ampia spianata, che si estendeva nella parte meridionale della città, tra le mura e il fiume. Era una zona straordinariamente vivace, dove si davano appuntamento acquaioli, carrettieri, mercanti, soldati... Lo smercio con le Indie trasformò la città in un polo commerciale di prima importanza, sia per quanto riguardava la raccolta di equipaggi e passeggeri sia
per l’approvvigionamento di beni per le colonie americane. Di tale attività dà testimonianza lo scrittore Lope de Vega in El Arenal de Sevilla (L’arenile di Siviglia), dove elenca i prodotti che venivano dall’Europa e dall’America: «Per coltelli, il francese / mercerie e lana, / porta olio; il tedesco / porta lino, fustagno, tela grezza […] carica vino di Alanís; / ferro porta il biscaglino [...], e l’indiano, ambra grigia, perla, oro, argento».
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1 Cantieri navali Sulla sponda di Triana, i calafati (addetti all’impermeabilizzazione) chiudono le giunture delle navi con stoppa e catrame ed effettuano altre riparazioni sulle barche.
2 Ai lati dell’arenile Nel borgo della Carretería si concentrano i fabbricanti di barili, e in quello della Cestería i produttori di sartie e stoppa per calafatare le barche.
3 L’arenile Su questa spianata, centro della vita sociale della città, ci si riunisce per assistere allo spettacolo della partenza e dell’arrivo delle flotte dalle Indie.
4 La cattedrale Quando la Flota de Indias entra a Siviglia, vengono sparate delle salve, e risuonano le campane della cattedrale e della chiesa di Santa Ana.
5 Galere di rimorchio In certi punti la scarsa profondità del Guadalquivir rende difficile il passaggio per le barche di grande pescaggio, che vengono rimorchiate da galere.
6 I magazzini Tra la torre del Oro e la puerta de Triana si ergono dei silos per immagazzinare i prodotti giunti al porto. Qui si possono vedere grandi pile di travi.
Compagni di viaggio indesiderati
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PONTI DELLE BARCHE sembravano delle aie, dove scorrazzavano a loro piacimento animali come galline, agnelli, capre e maialini, mentre cavalli e muli viaggiavano nelle stive. Ma sulle imbarcazioni si aggiravano clandestini molto più irritanti, quali topolini, ghiri e ratti. Il marinaio e storico Cesáreo Fernández Duro ironizzava sui roditori, indicandoli come i naviganti per eccellenza: secondo lui, si adattavano meglio degli altri alla vita in mare, non pativano la nausea e non scendevano mai dalla nave. Ovviamente i vascelli erano pieni di pidocchi, blatte, cimici, pulci e zecche. E, peggio del peggio, a quanto affermava il cronista spagnolo Antonio de Guevara, era che quegli irritanti compagni di viaggio non rispettavano i privilegi di casta e succhiavano il sangue sia ai poveri mozzi sia ai vescovi.
TOPO. ILLUSTRAZIONE COMPARSA IN HISTORIAE ANIMALIUM (STORIA DEGLI ANIMALI), OPERA IN CINQUE VOLUMI DEL NATURALISTA SVIZZERO CONRAD GESNER, PUBBLICATA TRA IL 1551 E IL 1587.
SCIENCE SOURCE / ALBUM
ALLA RICERCA DI FORTUNA
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Sotto, scudo d’oro coniato nel 1590, durante il regno di Filippo II. La speranza di guadagnarsi un prospero futuro nelle Indie spingeva ad affrontare le pene del durissimo viaggio verso le terre americane.
stromo, al capitano o a qualche passeggero speciale. I galeoni erano di tonnellaggio maggiore e accoglievano più cabine, che i nostromi affittavano a prezzi elevati ai funzionari oppure ai passeggeri abbienti che volessero o potessero permetterselo. Malgrado ciò, non si trattava certo di sistemazioni né di lusso né che consentissero di sottrarsi ai disagi: come narrava un cronista, tutti i passeggeri venivano sballottati dalle onde, con dolcezza se c’era bonaccia e con violenza in caso di tempeste. Se la possibilità di accedere a locali privati non preservava dalle terribili minacce del mare, garantiva almeno una certa intimità, dettaglio inusuale per l’epoca. Perfino in condizioni normali, quando tutto filava liscio, la vita a bordo era un tormento. Nel 1539 An-
tonio de Guevara scriveva in Arte del marear (Arte della navigazione) che i normali e comuni patimenti sulla terra, quali fame, freddo, tristezza, sete o sventura, in mare si raddoppiavano. E qualora ci s’imbatteva in burrasche, attacchi dei corsari, carestie, assenze prolungate di vento o epidemie, la situazione diventava insostenibile. Per questo il fatto stesso d’imbarcarsi era un sacrificio che generava sentimenti contrastanti: paura dell’ignoto, sfiducia, insicurezza, nostalgia... E non è strano che il frate spagnolo Tomás de la Torre paragonasse la nave a un carcere da cui, pur non avendo catene, nessuno poteva fuggire.
Alla vista di tutti Uno degli inconvenienti più spiacevoli delle grandi traversate era la mancanza d’igiene, con le conseguenze che ne derivavano. Gli odori erano nauseabondi, sia per l’affollamento sia per l’impossibilità di dedicarsi all’igiene personale. L’acqua dolce era in effetti un bene talmente scarso che non poteva andare sprecato nella pulizia dell’imbarcazione e tantomeno dei passeggeri. Ai bisogni erano state adibite delle latrine arrangiate: senza pudore e davanti a tutti, i viaggiatori orinavano e defecavano salendo sul parapetto, dove peraltro dovevano reggersi con forza per non cadere in acqua. Più avanti, nei vascelli della Carrera de Indias, la Rotta delle Indie, venne installata a poppa o a prua una tavola forata che rendeva più facile l’evacuazione, e al contempo limitava il numero d’incidenti. Alle inclemenze del tempo, al mal di mare e alla mancanza d’intimità bisognava aggiungere un ulteriore e notevole fastidio: i passeggeri vivevano circondati da animali, domestici e non, come blatte e pulci. Era un martirio infinito. Per non parlare poi dell’alimentazione, altro problema non da poco. Tranne casi particolari, cioè quando l’assenza di vento, il passaggio su un fiume o l’arrivo di una tempesta allungavano la traversata, la questione dei pasti non riguardava tanto l’insufficienza calorica quanto gli squilibri nutrizionali. In realtà il cibo serviva unicamente per tirare avanti. Gli ufficiali a volte potevano
L’AVVERSARIO PIÙ TEMIBILE
Naufragio in Florida di navi della Flota de Indias. Il tempo era il peggior nemico: tra il 1504 e il 1650 tempeste e incidenti fecero affondare 412 navi; i cannoni nemici, 107. TOM LOVELL / NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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1 L’ARDUO CAMMINO PER LE INDIE Le rotte che collegavano la Spagna ai possedimenti americani erano conosciute come Carrera de Indias, ogni anno percorsa da due flotte: quella di Nueva España, diretta a Veracruz (nell’attuale Messico), e quella di Tierra Firme, diretta a Nombre de Dios, porto poi sostituito da Portobelo (Panamá) e da Cartagena de Indias (Colombia). In primavera entrambe le flotte si ritrovavano a L’Avana per poi tornare in Spagna.
3 Veracruz
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4 Cartagena de Indias
4 Portobelo
BUSSOLA CON OROLOGIO SOLARE USATA PER NAVIGARE VERSO LE INDIE. XVI SECOLO.
SPAGNA
PORTOGALLO prima tappa Le barche impiegavano tra i 10 e i 12 giorni per arrivare all’arcipelago canario da Sanlúcar.
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1 Le Canarie Le due flotte scendevano dal Guadalquivir fino a Sanlúcar de Barrameda, da dove sbucavano in mare aperto. Costeggiavano l’Africa e si dirigevano verso le Canarie, dove si rifornivano d’acqua e cibo.
1 Isole Canarie terza tappa Dalla Dominica o dalla Martinica ci si poteva mettere un altro mese per arrivare a destinazione.
seconda tappa Le flotte impiegavano approssimativamente un mese per raggiungere le isole delle Antille.
2 Dalle Canarie ai Caraibi
2 Isola Dominica
Le navi salpavano verso sud fino a imbattersi in alcuni venti a cui si abbandonavano per dirigersi verso ovest. I venti non cambiavano fino all’altezza della Dominica o di un’altra isola delle Indie occidentali.
3 Verso la Nueva España Dopo un percorso simile, all’altezza delle isole le due flotte prendevano rotte diverse. Quella di Nueva España procedeva verso nord-ovest e passava per Puerto Rico e Hispaniola, giungeva all’estremità ovest di Cuba e da lì a Veracruz.
MAPPA DELL’AMERICA DI JAN MATHISZ. XVII SECOLO. NEW YORK PUBLIC LIBRARY.
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4 Verso la Tierra Firme I due grandi porti di questa rotta erano Nombre de Dios, che dopo un attacco di Drake nel 1596 venne sostituito con Portobelo (Panamá) e Cartagena de Indias (Colombia). Entrambe le enclave avevano potenti fortificazioni.
il più possibile, e i cibi freschi, quali frutta e verdura, venivano consumati solo i primi giorni. La prima settimana era perciò la più equilibrata dal punto di vista nutrizionale. Poco dopo, tuttavia, tali alimenti cominciavano a diminuire e, se il viaggio durava troppo, ecco che facevano la loro comparsa i primi sintomi dello scorbuto, una malattia tipica dei marinai causata dalla carenza di vitamina C, presente in frutta e verdura.
Mangiare e bere
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TRAVERSATE OCEANICHE
Ricostruzione della nao Victoria, la prima che fece il giro del mondo con Magellano ed Elcano. Nel XVI e nel XVII secolo nao e galeoni portavano gli emigranti verso le Americhe.
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concedersi piccoli privilegi, come un vino di qualità migliore o una saporita torta salata al posto del solito tonno. Eppure quando il viaggio si protraeva e gli alimenti iniziavano a scarseggiare, così come l’acqua, anche le autorità a bordo condividevano con gli altri la stretta della fame e della sete. Non si può parlare di una modalità esatta di ripartizione del cibo, perché cambiò nel tempo e anche tra una flotta e l’altra. Ciononostante, si possono individuare degli elementi stabili nell’alimentazione. Tutti i viveri imbarcati dovevano durare ASTUCCIO NAUTICO DI FILIPPO II CON ASTROLABIO (SINISTRA) E CALENDARIO (DESTRA). XVI SECOLO. MUSEO NAVAL, MADRID.
Il bizcocho e il vino erano la base dell’alimentazione. Il primo era una sorta di torta salata e dura fatta di farina di frumento, cotta due volte e senza lievito, che aveva il pregio di conservarsi a lungo. Fu questa la ragione per cui a bordo non mancava mai, anche se a volte era così rafferma che solo i più giovani riuscivano ad addentarla. Quanto al vino, di solito la razione giornaliera arrivava a un litro. Inoltre, venivano spartite porzioni molto più esigue d’aceto e d’olio d’oliva, che quasi sempre proveniva dalla regione sivigliana di Aljarafe e che costituiva un vero lusso: se ne distribuiva un solo litro al mese. Che altro si mangiava sulle navi? In genere carne, almeno due volte a settimana, e fave, riso e pesce nei giorni restanti. La carne, soprattutto di maiale, era chiamata genericamente tocino. A volte veniva consegnata fresca, se era stato sacrificato da poco un animale; era però più frequente che venisse conservata in salamoia o seccata, e prendeva quindi il nome di cecina. Anche il formaggio costituiva una componente essenziale della dieta perché si manteneva bene e forniva un valido apporto calorico quando una tempesta o uno scontro con i corsari impedivano di accendere il fuoco. La frutta secca veniva distribuita in via del tutto eccezionale e consisteva in mandorle, castagne o uva passa. Tuttavia, più preoccupante della scarsità di cibo era quella dell’acqua. Normalmente ogni persona poteva disporre di uno o due litri al giorno, ma la razione si riduceva in modo netto se cessava il vento o la nave era in avaria. Non solo: anche in condizioni normali l’acqua si guastava dopo pochi giorni, divenendo verde e vischiosa. Gli afflitti passeggeri e i membri dell’equipaggio, tor-
CARTAGENA DE INDIAS
Il castello San Felipe de Barajas, costruito nel 1657, era una delle fortezze che proteggevano questo porto caraibico, assaltato più volte da inglesi e francesi. KAROL KOZLOWSKI / AWL IMAGES
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L’Atlantico, scenario di tragedie
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OCEANO ATLANTICO fu durante tutta l’Età moderna un vero e proprio cimitero. Migliaia di persone persero la vita durante le traversate, e i loro resti riposano sul fondo del mare. È il caso anche di Miguel Vázquez, una delle migliaia di persone dimenticate dalla storia. Miguel era figlio unico di Jacinto Vázquez e María Ramírez, nonché originario di Zafra (Badajoz). I tre vivevano in estrema povertà e quindi nel 1654, a soli 15 anni, Miguel decise di andare nelle Indie per guadagnare del denaro e così aiutare i genitori. Visto che non riuscì a permettersi il biglietto, si arruolò come mozzo sulla El Sol de la Esperanza. La sventura si abbatté su di lui: al ritorno da Campeche (nell’attuale Messico), all’altezza di Gibraltar, perse la vita in uno scontro con i corsari. In questo modo svanirono le sue speranze di vita, e le illusioni degli sventurati genitori. COMBATTIMENTO CONTRO I CORSARI DI LORENZO A. CASTRO. DIPINTO DOPO IL 1681.
SCOMMESSE E GIOCHI D’AZZARDO
I giochi d’azzardo contribuivano a combattere la noia dei lunghi viaggi atlantici. Sotto, carte spagnole del XVII secolo.
MUSEO FOURNIER DE NAIPES, ÁLAVA
ALBUM
mentati dalla sete, dovevano fare uno sforzo immane per trangugiarla. Per superare la monotonia e la durezza della traversata erano benvenuti i passatempi. Alcuni marinai portavano a bordo flagioletti (strumenti simili al clarinetto), trombe, flauti o chitarre. Li suonavano nelle notti stellate, mentre alcuni cantavano e altri ancora ascoltavano malinconici. Tutte le navi dovevano avere a bordo il flagioletto perché serviva pure per trasmettere gli ordini e intonare gli inni di battaglia. La noia veniva sconfitta anche con giochi d’azzardo, sebbene fossero ufficialmente proibiti. Però i comandanti chiudevano spesso un occhio perché così l’equipaggio poteva
almeno sfogarsi. E certe volte i capitani stessi finivano per prendere parte alle bische. Oltre a ciò, si scommetteva sulle lotte tra galli, che risvegliavano molto interesse da parte dell’equipaggio. C’era poi chi optava per la pesca, utilizzando degli arnesi personali. E così, oltre a passare il tempo, magari si otteneva pure una dose extra di proteine. All’appello non mancavano i più colti, che preferivano leggere un buon libro. A volte i pochi passeggeri in grado di leggere declamavano a voce alta per i presenti, che si riunivano attorno a loro. A ognuno il suo: si cantava, si giocava, si leggeva, si suonava e si pescava. Ma ci si spidocchiava pure: alcuni approfittavano di un momento di pausa per togliere al compagno di navigazione i tanto temuti pidocchi...
Sepolti sotto il mare Tutti i vascelli erano obbligati a trasportare medicine e ad accogliere a bordo un barbiere o cerusico, che si sarebbe preso cura dei malati. Ben poco potevano in realtà queste figure, e ammalarsi in mare equivaleva quasi sempre a morte certa. Appena giunto il momento fatale, non rimaneva altro che disfarsi del corpo, lanciandolo dal parapetto della nave. Le spoglie venivano avvolte nella tela grezza con una zavorra, che consentiva ai resti mortali di andare a fondo e di avere minor possibilità di essere divorati dai pesci. Come zavorra si usavano in genere pietre, giare di fango o palle delle bombarde. Il prete officiava una messa prima di consegnare il corpo ai flutti. L’altissima mortalità che si registrava nelle traversate (e che non diminuì fino a metà del XIX secolo) è da sola una palese testimonianza del pericolo che correva chiunque s’imbarcasse per le Americhe nel XVI e nel XVII secolo. ESTEBAN MIRA CABALLOS STORICO DELLE AMERICHE. AUTORE DI LE ARMATE DELL’IMPERO. POTERE ED EGEMONIA AI TEMPI DEGLI ASBURGO
Per saperne di più
SAGGI
Barche che hanno scoperto il mondo Jean-Benoit Heron. Nutrimenti, Roma, 2019. Le flotte dell’oro Auguste Antoine Thomazi. Massimo, Milano, 1963. La distruzione del Paradiso Pierre Dalla Vigna. Meltemi, Milano, 2020. Americhe e modernità Maria Matilde Benzoni. Franco Angeli, Milano, 2012.
PORTOBELO, ENCLAVE COMMERCIALE
Il forte di San Jerónimo, eretto tra il 1596 e il 1779, difendeva Portobelo. Qui, all’arrivo della flotta di Tierra Firme, si celebravano feste in cui si mettevano all’asta i prodotti europei. RIEGER BERTRAND / GTRES
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ra il XVII e il XVIII secolo il flusso di passeggeri tra la Spagna e i possedimenti americani avveniva tramite navi d’alto tonnellaggio: i galeoni, che sia all’andata sia al ritorno si spostavano in flotte per difendersi da pirati e corsari. Ma non era questo il pericolo principale: le tormente distrussero più barche dei nemici della corona spagnola. La stessa sorte colpì il galeone Nuestra Señora de Atocha: la notte tra il 5 e il 6 settembre 1622, sulle coste della Florida, un uragano sorprese la flotta di Tierra Firme e affondò otto delle 28 barche che la componevano. Delle 265 persone a bordo se ne salvarono solo cinque.
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LA SANTA MARÍA DE ATOCHA
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Un edificio galleggiante La Nuestra Señora de Atocha trasportava 550 tonnellate; il peso medio di un galeone oscillava tra 500 e 1.000 tonnellate. Per costruire tali navi s’impiegava legno di pino, quercia e cedro, e si usavano circa 2.500 alberi.
Artiglieria La Nuestra Señora de Atocha era la nave ammiraglia della flotta e proteggeva la retroguardia. Era provvista di 30 cannoni di bronzo tra bombarde e falconetti. In questa ricostruzione sporgono dal castello di prua.
Gli altri passeggeri Erano molti gli animali che venivano imbarcati vivi all’inizio di un viaggio oceanico: da maiali, pecore o capre, che fornivano carne e latte, fino a cavalli e mule, che venivano venduti nel Nuovo Mondo.
Albero di mezzana Dei tre alberi maestri del galeone fu l’unico a non affondare. I tre marinai e i due schiavi che vi si abbrancarono furono i soli naufraghi a sopravvivere.
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Nave senza prezzo Costruire un galeone e dotarlo d’artiglieria era carissimo. Per questo tra il 1550 e il 1600 la corona spagnola ne fece fabbricare solo 60.
Stiva Il galeone s’inabissò con 24 tonnellate di lingotti d’argento, 500 chili di smeraldi e perle, 125 tra sbarre e dischi in oro, 255mila monete d’argento, 350 scrigni d’indaco e 525 involti di tabacco.
F I L I P P O V D I S PAG N A
IL RE “PAZZO” Sin dall’adolescenza il primo Borbone di Spagna soffrì di acute depressioni e di gravi disturbi della personalità
FREDDO, TRISTE, SOLITARIO
Dopo averne visitato la corte nel 1722, il duca di Saint-Simon descriveva così Filippo V. Diceva pure che era «assennato, corretto e tenace, quando voleva». Ritratto di Jean Ranc del 1723. MUSEO DEL PRADO / JOSEPH MARTIN / ALBUM
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C R O N O LO G I A
DaVersailles a Madrid 1683
A Versailles nasce Filippo di Francia, duca d’Anjou, secondo figlio del gran delfino di Francia e della principessa Anna di Baviera.
1700
Luigi XIV acconsente al fatto che il nipote Filippo sia indicato come nuovo re di Spagna nel testamento di Carlo II.
1714
Alla morte di Maria Luisa Gabriella di Savoia, Filippo contrae seconde nozze con la principessa Elisabetta Farnese.
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Il re abdica a favore del primogenito, Luigi I. Questi muore lo stesso anno e Filippo deve riprendersi la corona.
1729-1733
Filippo V si trasferisce con la corte in Andalusia. Risiede a Siviglia e visita Granada, Jaén ed El Puerto de Santa María.
Il cantante italiano Farinelli entra al servizio di Filippo V per acquietare i suoi disturbi nervosi.
1746
Filippo V muore d’improvviso ed è sepolto nel palazzo di San Ildefonso. Gli succede al trono il figlio Ferdinando VI.
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LOREM IPSUM
1737
arrivo dei Borbone in Spagna nel 1700 è di solito visto come un cambiamento epocale, l’inizio di una profonda trasformazione del Paese, che si sarebbe modellato sulla Francia di Luigi XIV. Eppure un dettaglio rimase uguale: sia Carlo II, ultimo re degli Asburgo, sia Filippo V, primo dei Borbone, furono dei sovrani malati. Il primo a causa di malformazioni fisiche che lo martirizzarono nei suoi pochi, solo trentanove, anni di vita; il secondo in seguito a problemi di salute mentale che ne condizionarono l’esistenza e per poco non lo resero invalido. I contemporanei chiamarono “malinconia”quelle che sono oggi ritenute da alcuni una depressione cronica e un disturbo bipolare: Filippo di Francia alternava fasi di normalità, e perfino d’iperattività, con altre di scoramento profondo.
LUIGI XIV, RE DI FRANCIA. BUSTO DI FRANÇOIS GIRARDON. 1690 CA. MUSÉE DES BEAUX-ARTS, TROYES. AKG / ALBUM
Regno di Francia Regno di Spagna Altri
LUIGI XIV 1643-1715
Luigi gran delfino
Luigi Maria Luisa duca di Savoia di Borgogna
Elisabetta Farnese
FILIPPO V 1700 -1746
Un nuovo Paese Quel giovane timido e impacciato divenne re della Spagna a diciassette anni, nel 1700, quando nel testamento Carlo II lo designò come suo successore in quanto discendente della prima moglie di Luigi XIV, cioè la nonna
LUIGI I FERDINANDO VI 1724 1746 -1759
CARLO III 1759 -1788
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di Filippo, Maria Teresa d’Austria. Per il ragazzo fu una vera e propria sfida. Innanzitutto perché gli richiedeva di adattarsi a un nuovo Paese. Filippo non parlava castigliano, e anche se ovviamente dovette impararlo, preferì sempre esprimersi in francese. Senza mai essere uscito dalla Francia, dovette abituarsi a un ambiente straniero in cui tutto era diverso: il cibo, l’abbigliamento, il modo MARIA LUISA di vivere e di comportarsi... Non è GABRIELLA DI SAVOIA. OLIO DI MIGUEL JACINTO strano che pochi mesi dopo l’arrivo MELÉNDEZ. MUSEO CERRALBO. a Madrid esprimesse il desiderio di tornare in Francia con la famiglia. «Preferirei essere di nuovo duca d’Angiò; non sopporto la Spagna» avrebbe affermato. L’altro problema era la mancanza di preparazione per le nuove responsabilità, che esasperavano la sua naturale timidezza. Sin dagli inizi si sentiva oppresso dal peso del governo e sfuggiva alle riunioni con i ministri, oppure optava per ascoltarli da dietro una tenda, una cosa «triste NOZ
Filippo, duca d’Angiò, nacque nel 1683. Il padre era figlio ed erede di Luigi XIV. Il duca crebbe nell’ambiente raffinato ma al contempo chiuso e artefatto della corte di Versailles, piegato come gli altri cortigiani alla volontà assoluta del re Sole. All’ingresso dell’adolescenza appariva come un giovane bello, elegante e vigoroso, però anche estremamente scontroso e solitario. Madame de Maintenon, la sposa “segreta” di Luigi XIV, ne sottolineava il «carattere particolare e scostante, la sfiducia esagerata che aveva in sé, il tono sgradevole e la lentezza di parola». Divenne pure molto religioso, secondo alcuni troppo. «La sua pietà non era altro che tradizione, scrupoli, timori e piccole osservanze» scrisse di lui il duca di Saint-Simon.
LUIGI XV 1715-1774
O RO
Il futuro Filippo V nacque in questo palazzo il 19 dicembre 1683. Nell’immagine, la corte di Marmo.
STÉPHANE LEMAIRE / GTRES
PALAZZO DI VERSAILLES
LA FAMIGLIA DI FILIPPO V
Opera di Jean Ranc, quest’olio del 1723 mostra il monarca e la moglie, seduti, con i quattro figli in piedi. L’erede, Luigi I, si trova tra i due sovrani. Museo del Prado, Madrid.
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da vedere», secondo il tutore, il marchese de Louville. Gli spagnoli si lamentavano di avere un «re muto», e Luigi XIV lo rimproverava. «Regnate da due anni e non avete ancora parlato da signore, per eccesso di sfiducia in voi stesso; non siete riuscito a liberarvi di quella timidezza» pare gli rinfacciasse. A questo si aggiunsero le prime manifestazioni della malattia. Un testimone raccontava che già alla partenza dalla Francia «cadde in una profonda melanconia», termine che indicava una forte depressione. Fu il primo segnale delle frequenti crisi di cui cominciò a soffrire ben presto e durante le quali rimaneva prostrato per diversi giorni, afflitto dal mal di testa, e rifuggiva ogni contatto con gli altri. Chi lo circondava cominciò a parlare dei“vapori”del re. Durante il tour che nel biennio 1701-1702 Filippo portò a termine nei domini italiani della corona spagnola, cadde vittima di almeno due crisi acute, una delle quali avvenne a Milano. «In mezzo alle testimonianze di giubilo generale» scriveva de Louville, «non parlava a nessuno, e non voleva vedere altri
che le persone a lui vicine. Mandava di continuo a chiamare il medico o il confessore. Si credeva sempre vicino alla morte; diceva che la sua testa era vuota, che gli sarebbe caduta, e questi pensieri lo inseguivano dappertutto».
Gli anni migliori Malgrado ciò, i primi anni di regno furono forse i migliori della sua vita. Durante la guerra di successione agì come un capo energico, capace di esporsi sul campo di battaglia e di difendere il proprio regno, perfino davanti al potentissimo nonno. Quando questi lo sollecitò a rinunciare alla corona spagnola, come volevano i rivali francesi, Filippo si oppose. «Non abbandonerò mai la Spagna finché vivrò. Preferirei morire lottando per ogni zolla delle sue terre, alla testa delle mie truppe» dichiarò. A quel tempo si era ormai identificato con il nuovo Paese e intravedeva perfino delle affinità tra il suo modo di essere e quello degli spagnoli. «Anche se sono nato in Francia, il mio temperamento, più incline all’introversione che al caos, sembrava essere
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RINUNCIA AL TRONO ALLA FINE DELLA GUERRA di successione i rivali della Francia prete-
sero garanzie sul fatto che le corone francese e spagnola rimanessero unite grazie a uno stesso monarca. Nel 1712, dalla sua camera nel palazzo reale di Madrid, Filippo V giurò sui Vangeli che il suo «ramo» dinastico sarebbe rimasto separato dalla «talea reale della Francia» e che «desiderava vivere e morire con gli amati e cari spagnoli». ALBUM
FILIPPO V RINUNCIA AI DIRITTI SULLA CORONA DI FRANCIA. INCISIONE.
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che svolsero in realtà entrambe le regine. Nel 1721, quando il duca di Saint-Simon visitò la corte spagnola per accompagnare la principessa francese che doveva andare in sposa al primogenito di Filippo V, la situazione sembrava sotto controllo. L’ambasciatore della Francia notava che il re spagnolo si mostrava di frequente schivo o scontroso, sebbene le sue facoltà fossero integre. «L’ho sentito spesso parlare e ragionare bene. Quando c’era però molta gente, mi poneva una sola breve domanda o qualcosa del genere, e non si lanciava in nessuna conversazione». La sua routine quotidiana era quella di un membro della corte francese, con le cerimonie del lever e del coucher e, nel mezzo, le ore scandite per le udienze, la messa, la colazione, la passeggiata in carrozza o la caccia, il lavoro di gabinetto e la cena. Tuttavia, il re aveva continuato a soffrire di “vapori”, ovvero di fasi in cui pativa alterazioni del sonno, disordini alimentari, un avvilimento
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più simile agli usi degli spagnoli che a quelli dei francesi, e credevo di poter meglio consentire la salvezza della Spagna». Aspirare alla salvezza della propria anima sarebbe stata l’ossessione di una vita intera. Nel 1701 sposò Maria Luisa di Savoia, una principessa che, oltre a godere della bellezza giovanile, dimostrò buone doti di governo e divenne ben presto popolare, sopperendo alle carenze di Filippo nelle relazioni. Maria Luisa morì di tubercolosi nel 1714, a soli venticinque anni, però il re trovò subito un nuovo supporto nell’italiana Elisabetta Farnese. Anche Elisabetta aveva un carattere forte e si guadagnò la fiducia del re accettando il complesso ruolo d’interlocutrice del monarca. Lo stretto legame che il sovrano mantenne con le sue due mogli gli valse delle critiche malevole. «Finché ci sarà una regina, continuerà a essere soltanto un bambino di sei anni, e mai un uomo» si disse con riferimento a Maria Luisa. Henry Kamen, biografo di Filippo V, ha sottolineato la componente misogina di tali battute e l’importante ruolo politico
CONTENITORE IN VETRO DELLA REAL FÁBRICA DE CRISTALES DELLA GRANJA, VOLUTA DA FILIPPO V NEL 1727. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA GRANJA DI SAN ILDEFONSO
Davanti alla facciata del palazzo si sviluppa una serie di aiuole che si affaccia su una scalinata di dieci gradini. Questa conduce a un pergolato ottagonale. Fu una delle prime zone acclimatate dei giardini progettati da RenĂŠ Carlier per Filippo V. PATRIMONIO NACIONAL
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SAN LUIS DE LOS FRANCESES
Iniziata nel 1699, questa chiesa di Siviglia appartenente alla Compagnia di Gesù venne inaugurata nel 1731, durante il soggiorno di Filippo V nella capitale andalusa. FELIPE RODRÍGUEZ / AGE FOTOSTOCK
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ELISABETTA FARNESE. ANONIMO. FINE DEL XVIII SECOLO. COMUNE DI SIVIGLIA.
COMPAGNE NECESSARIE DI SOLITUDINE
I CASA CONSISTORIAL, SALÓN COLÓN, SEVILLA / ALBUM
n una lettera allo storico Elías Tormo, il medico e anch’egli storico Gregorio Marañón azzardò una diagnosi della malattia di Filippo V. Secondo lui, si trattava di una «malinconia costitutiva», che «ha fasi di acutizzazione, alternate ad altre di sollievo […] È molto comune che questi malinconici siano propensi alla solitudine e, insieme, la temano. Da qui la facilità a farsi dominare da una persona che dimostri un minimo di umanità, alla quale si abbandonano. L’ideale di questa compagnia necessaria e vicina alla solitudine è quella coniugale. Da qui il fatto che i malinconici siano lo specchio dei monogami; e che le loro donne li comandino […] Alla fine della sua vita fu un vero demente, come è solito accadere in non pochi casi simili a questo».
generale e perfino pensieri suicidi. A quanto narrava il ministro Giulio Alberoni nel 1717, «la sua immaginazione lo porta a credere di essere destinato a morire d’improvviso, di essere vittima di ogni sorta di malattia», e aggiungeva che il sovrano aveva delle strane visioni, come per esempio che il sole lo colpisse alle spalle e penetrasse nel suo corpo.
Il ritiro dal mondo Forse dietro la sorprendente scelta di abdicare si nascondeva proprio l’instabilità mentale. Filippo V prese tale decisione nel 1720 e la mise in pratica solo nel 1724, quando il primogenito Luigi aveva ormai compiuto diciassette anni. In realtà, fece forse posto al figlio per rispondere agli scrupoli religiosi che l’attanagliavano sin dall’adolescenza. Come ebbe modo di dichiarare, lui ed Elisabetta avevano deciso di «ritirarsi dal mondo per pensare unicamente alla salvezza e servire Dio». Quale che fosse la vera ragione, Luigi I morì di vaiolo solo sette mesi dopo essere asceso al trono, e Filippo riprese la corona. La regina e i suoi mi-
nistri di fiducia impiegarono varie settimane per convincerlo che non avrebbe commesso un peccato mortale se avesse tradito il giuramento dell’abdicazione («non voglio andare all’inferno» ripeteva al suo confessore). In quegli anni Filippo V trascorreva lunghi periodi in un nuovo palazzo che aveva iniziato a costruire vicino a Segovia, La Granja di San Ildelfonso, dove pensava di ritirarsi dopo aver abdicato. Il luogo non entusiasmava nessuno, neppure la moglie, che lo riteneva «un deserto», o i visitatori stranieri come l’ambasciatore francese Tessé, il quale lo definiva «forse il posto più selvatico e scomodo del mondo». Ma era il luogo preferito del re. Durante il “secondo regno” di Filippo V le testimonianze sul suo comportamento anomalo si moltiplicarono. Non solo si rifiutava di aprire bocca quando aveva un’udienza con un ambasciatore, obbligando la regina a parlare in sua vece; si poteva presentare a un ricevimento con indosso solo una camicia da notte, senza
LUIGI, PRINCIPE DELLE ASTURIE. RITRATTO DI MICHEL-ANGE HOUASSE. 1717. MUSEO DEL PRADO, MADRID. ALBUM
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LA FAMIGLIA REALE A SIVIGLIA
Per i cittadini l’ingresso di Filippo V a Siviglia, il 3 febbraio 1729, fu un vero e proprio spettacolo. La folla che si ammassò nei dintorni della città, nel quartiere di Triana, vide sfilare quasi 500 tra carrozze e calessi e 750 cavalli. Quest’incisione coeva mostra la carrozza dei re seguita da quella dei principi, scortate entrambe da guardie del corpo. Sullo sfondo si vedono la cattedrale e il convento del Popolo, oggi scomparso, e alla destra la torre del Oro.
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PALAZZO REALE DI MADRID
Dopo l’incendio che nel 1734 distrusse quasi completamente il vecchio Alcázar di Madrid, Filippo V ordinò di far erigere un nuovo palazzo reale in stile francese. ALAMY / ACI
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IL SEPOLCRO DI FILIPPO V
Il monumento funerario di Filippo V e di Elisabetta Farnese, opera di Sempronio Subissati, si trova nella collegiata del palazzo di La Granja.
sersi sbagliata. Filippo passeggiava di notte per l’Alcázar dichiarando a chiunque incontrasse Je suis la maître, Sono il padrone. La notte rimaneva sveglio, e solo allora riceveva ministri e ambasciatori. Le sue condizioni peggioravano. Malgrado ciò, nelle fasi di normalità il sovrano portava avanti i propri doveri di re. Ne è prova la firma del trattato di Siviglia (1729), che consentì un’effimera alleanza tra la Spagna, la Francia e la Gran Bretagna.
Demoni a palazzo Al ritorno dall’Andalusia, la corte dovette abituarsi alle drammatiche alterazioni nel comportamento del monarca. A volte il re si trovava «in perfetta salute e al massimo dell’attività» scriveva l’ambasciatore britannico Benjamin Keene nel 1737. Eppure in altre circostanze la sua apatia dava luogo a scene quasi deliranti. Un anno più tardi lo stesso ambasciatore avrebbe riferito che il sovrano era «disturbato» e avrebbe raccontato che una volta «aveva ululato da mezzanotte alle due ORONOZ / ALBUM
braghe o scarpe, oppure scalzo e con la barba incolta di diversi giorni. In un’occasione le guardie dovettero fermarlo alle cinque di mattina mentre cercava di fuggire dal palazzo. Era ossessionato da presunte cospirazioni e insisteva con la moglie perché abdicassero di nuovo. A volte credeva di essere una rana o di essere già morto. Rimaneva sdraiato sul letto per intere giornate, si metteva a cantare o a gridare o si mordeva. Di notte, però, non riusciva a prendere sonno. Potevano trascorrere settimane prima che ricevesse i ministri, anche se poi tornava a una certa normalità e riprendeva a lavorare. Nel 1729 Elisabetta Farnese pianificò un viaggio in Andalusia, una sorta di giro reale come facevano i sovrani medievali. Doveva trattarsi di un soggiorno di breve durata, ma alla fine si protrasse per più di quattro anni, e in quel tempo Siviglia divenne la capitale virtuale del regno. La regina credeva che il cambiamento avrebbe contribuito a migliorare la salute del marito, però capì ben presto di es-
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GLI SVAGHI DEL RE NELLA PRIMA PARTE del suo regno Filippo V era stato un assiduo
cacciatore; usciva praticamente ogni giorno nel pomeriggio. Ma dopo il soggiorno in Andalusia perse interesse per quest’attività fino ad abbandonarla quasi del tutto. Passava il tempo libero a prendersi cura dei suoi orologi – ne aveva una grande collezione – o a leggere qualche libro. FILIPPO V E GLI INFANTI IN UNA CACCIA GROSSA A LA MORALEJA. 1730.
passate». In quel periodo Filippo V aveva preso l’abitudine di vivere di notte. Dopo essersi svegliato a mezzogiorno, si vestiva, andava a messa, riceveva qualche ospite e faceva colazione a pomeriggio avanzato. Quindi si trastullava a leggere, o a farsi leggere, o se ne stava a guardare fuori dalla finestra. A mezzanotte giungeva il momento di qualche svago cortigiano, di solito una recita di arie cantate da Farinelli, il celebre cantante che Elisabetta Farnese aveva assunto nel 1737 con la speranza che la sua musica avrebbe in qualche modo fatto guarire il marito. Alle due di mattina il re si riuniva con i ministri, cenava alle cinque e andava a dormire alle sette. «E così il tempo scorreva, con il monarca che aveva preso tale stile di vita dall’anno 1733, da quando aveva lasciato Siviglia per Madrid» sosteneva l’anonimo autore di Compendio della vita di Filippo V pubblicato alla sua morte. Il sovrano smise di curare il proprio corpo. Ingrassò perché non faceva esercizio, giacché aveva smesso di andare a caccia. «Riesce appena a stare in piedi e a camminare» scriveva
nel 1746 l’ambasciatore francese de Noailles, che però lo riteneva completamente lucido. «Quando gli parlano di affari pubblici e vuole prendersi il disturbo di ribattere, risponde con grande esattezza» sottolineava. Quello stesso anno, il 9 luglio, morì all’improvviso, alle due del pomeriggio, poco dopo essersi svegliato. Quando, due giorni dopo la morte, andarono a lavare il cadavere, si accorsero che i vestiti erano attaccati alla pelle in quanto il corpo si stava decomponendo e perciò decisero d’imbalsamarlo. Dopo il solenne funerale, venne sepolto nel suo amato palazzo di San Ildefonso. JESÚS VILLANUEVA STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Coniugare la politica, costruire alleanze Mirella Vera. Aracne, Roma, 2019. Elisabetta Farnese Carlo Fornari. Silva, Parma, 2018. I Borboni di Spagna e Napoli Antonietta Drago. Mondadori, Milano, 1972. I Borboni e la Corona di Spagna Theo Aronson. Mursia, Milano, 1969.
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AUSTRIAN NATIONAL LIBRARY
FARINELLI, UN BALSAMO PER FILIPPO
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eglio noto come Farinelli, Carlo Broschi era un cantante che negli anni venti e trenta del XVIII secolo conquistò con la sua voce unica da evirato i teatri d’opera in Italia e in Europa. Nel 1737, quando si trovava a Londra, Elisabetta Farnese lo assunse perché si recasse alla corte spagnola a fare delle rappresentazioni. Il successo del suo primo spettacolo alla corte fu tale che immediatamente i sovrani lo convinsero a rimanere in Spagna, affinché cantasse in esclusiva per loro ogni notte. In cambio, oltre alla remunerazione, Farinelli ricevette molteplici onori, che lo resero un personaggio influente a corte. Nel 1738 il cantante esprimeva la sua soddisfazio-
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TRATTATO DI MUSICOTERAPIA COMPRESO IN PALESTRA CRÍTICO-MÉDICA (1734-1749), DI FRATE ANTONIO JOSÉ RODRÍGUEZ.
ne in una lettera. «Dal mio arrivo, ho fatto sempre la stessa vita, cantando tutte le notti ai piedi dei monarchi, e mi ascoltano come se fosse il primo giorno. Devo pregare Dio che mi conservi in buona salute per continuare una simile vita. Non c’è mai riposo» affermava. Si disse che cantava sempre le stesse arie, anche se oggi si crede che ci fosse una maggiore varietà.
Una leggenda Farinelli poteva forse salvare il re? Di certo già allora in molti credevano nelle proprietà terapeutiche della musica, e diversi autori spagnoli scrissero trattati a tal riguardo. Tuttavia, testimonianze come quelle dell’ambasciatore britannico Benjamin Keene indicano che Elisabetta Farnese cercava più che altro d’intrattenere Filippo V, che d’altra parte aveva buoni gusti musicali. La scena della prima aria cantata da Farinelli, che come per incanto avrebbe risvegliato Filippo V dalla depressione, è senz’altro un mito sorto decenni più tardi.
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ARIA CANTATA DA FARINELLI ALLA CORTE SPAGNOLA, INCLUSA IN UN’ANTOLOGIA CHE MANDÒ A MARIA TERESA D’AUSTRIA.
FARINELLI IN SPAGNA sotto il successore di Filippo V, il figlio Ferdinando VI, la posizione di Farinelli alla corte spagnola divenne ancor più brillante, soprattutto grazie alla moglie del nuovo re, Barbara di Braganza, un’autentica melomane che sostenne economicamente anche altri musicisti italiani in Spagna, come Domenico Scarlatti. Il cantante lavorò quale organizzatore di spettacoli di corte, favorì l’introduzione dell’opera italiana e fu nominato cavaliere dell’ordine di Calatrava. Opera di Corrado Giaquinto, il quadro riprodotto in questa pagina, dove il cantante compare sotto gli auspici dei sovrani rappresentati sullo sfondo, ben dimostra il trionfo cortigiano del musicista.
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GRANDI SCOPERTE
La rinascita del gruppo del Laocoonte Gli scavi realizzati nel 1506 all’interno di un vigneto dell’Esquilino, a Roma, portarono alla luce uno dei gruppi scultorei più emblematici dell’arte antica
-59 CRONOLOGIA
UN’OPERA ICONICA
re Te ve
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el 1506 Felice de Fredis, un nobile romano, decise di eseguire dei lavori in un suo vigneto che si trovava sul pendio orientale del colle Oppio, tra le rovine ancora visibili della cisterna delle Sette Sale e quelle di via Merulana. Era una zona caratterizzata da piccole proprietà private che invitavano alla meditazione e allo svago. De Fredis voleva scavare il terreno per porvi le basi di un casino rustico. Ciononostante il 14 gennaio 1506, quando gli operai avevano ormai raggiunto gli oltre tre metri di profondità, emersero i resti di un’antica stanza con sontuosi affreschi e pavimenti. In quegli anni era normale che ogni tanto spuntassero fuori le tracce del glorioso passato della capitale imperiale. Monete, iscrizio-
Colosseo Fori Circo Massimo luogo di ritrovamento del laocoonte
ni e statue del periodo classico riaffioravano spesso dal sottosuolo di Roma e facevano gola a chi, in pieno Rinascimento, si dedicava alla riscoperta dell’arte greco-romana.
Una rivelazione Ciononostante quel ritrovamento era sensazionale: si trattava di un gruppo scultoreo in marmo dalle dimensioni considerevoli e dagli infiniti pregi. Inoltre era quasi intatto: mancavano solo delle estremità e altri frammenti, alcuni dei quali erano sparsi lì attorno.
40-20 a.C.
È questo il periodo più probabile in cui i tre scultori di Rodi realizzano il gruppo del Laocoonte.
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ROM A
1506
De Fredis aveva appena rinvenuto uno dei capolavori più noti dell’antichità: Laocoonte e i figli. La notizia si sparse subito in città sino a giungere alle orecchie di papa Giulio II, che era un appassionato dell’epoca romana. Questi mandò l’architetto Giuliano da Sangallo, lo scultore Michelangelo Buonarroti e il figlio di Sangallo, Francesco, a esaminare l’opera. Bastò una semplice occhiata perché l’architetto dichiarasse che era «il Laocoonte di cui parla Plinio». Almeno così ricordava il figlio in una lettera scritta anni dopo, nel 1567. Difatti nella Naturalis historia, ultimata ai tempi dell’imperatore Tito, Plinio il Vecchio accennava a un gruppo scultoreo che decorava la residenza imperiale e che era opera di tre famosi artisti di Rodi: Agesandro, Polidoro e Atenoro. Secondo Plinio il Vecchio,
Felice de Fredis scopre il gruppo scultoreo in un vigneto e lo vende a papa Giulio II.
1798
Il Laocoonte è portato a Parigi da Napoleone ed esibito nel Museo del Louvre. Verrà restituito nel 1816.
la statua era intagliata in un solo blocco ed era quella che meritava più ammirazione tra le pitture e le sculture presenti a palazzo.
Scena drammatica La scultura rinvenuta nel 1506 rappresenta una scena della Guerra di Troia descritta da Virgilio nell’Eneide. Laocoonte era un sacerdote troiano che aveva messo in guardia i compatrioti circa l’inganno del gigantesco cavallo (o nave, secondo alcuni studi) di legno che gli assedianti greci avevano lasciato come regalo di congedo. Dentro di esso si nascondevano infatti i guerrieri che, di notte, avrebbero assaltato la città. Irato, Laocoonte lanciò perfino un giavellotto contro il cavallo. La dea Atena decise di punirlo e mandò dal mare due grandi serpenti, che l’avvinghiarono assieme ai figli mentre compivano un sa-
1957-59
Viene restaurato il braccio destro di Laocoonte usando un frammento trovato da Pollak nel 1903.
GRANDI SCOPERTE LAOCOONTE E I FIGLI.
SCALA, FIRENZE
Il gruppo scultoreo come si può oggi ammirare nel Museo Pio Clementino, in Vaticano.
URLA STRAZIANTI NELL’ENEIDE Virgilio racconta così l’attacco dei
palazzo papale del Vaticano. In cambio Felice de Fredis ricevette un nuovo lavoro come scrivano ed esattore del dazio a porta Asinaria, lungo le mura Aureliane. Nel frattempo gli artisti del momento che avevano osservato il capolavoro, tra i quali Michelangelo, ritennero necessario completare le parti mancanti, in particolare il braccio destro di Laocoonte. Alla fine, Buonarroti, dopo varie rifles-
STUDIO DELLA TESTA DI LAOCOONTE REALIZZATO DA MICHELANGELO NEL 1530. CAPPELLE MEDICEE, FIRENZE.
SCALA, FIRENZE
crificio. Malgrado l’accanita resistenza, i serpenti si strinsero attorno ai tre fino a ucciderli. Felice De Fredis trasportò il gruppo scultoreo a casa sua e lo mise nella camera da letto, ma non ve lo tenne a lungo. Giulio II capì subito l’importanza della scoperta e il 23 marzo dello stesso anno comprò la statua, per esporla durante l’estate in una delle nicchie del cortile del Belvedere, nel
due serpenti a Laocoonte: «Avvinghiatolo con due giri attorno alla vita e avvintogli il collo con i dorsi squamosi, lo sovrastano con la testa e con i colli alti. Egli, con le bende sacre cosparse di sangue corrotto e nero veleno, si sforza con le mani di sciogliere i nodi; e leva al cielo urla strazianti come il muggito di un toro ferito».
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GRANDI SCOPERTE
Il Laocoonte appena disseppellito
HERITAGE / AGE FOTOSTOCK
L’INCISIONE accanto a queste righe venne effettuata nel periodo compreso tra il 1515 e il 1523, quando il gruppo scultoreo era esposto nel cortile del Belvedere, all’interno del palazzo papale del Vaticano. Malgrado ciò, Marco Dente, il suo autore, disegnò le sculture nel momento in cui vennero rinvenute, su uno sfondo di rovine. Due delle figure sono prive del braccio destro, che allora era già stato “restaurato”; inoltre sono assenti le dita della mano destra del personaggio sulla destra dell’immagine, che sembrano in frantumi. L’unico dettaglio aggiunto è la base, nella quale figurano il nome dell’opera e la firma di Marco Dente. IL LAOCOONTE COME VENNE RITROVATO. INCISIONE DI MARCO DENTE. 1515-1523.
sioni, optò per creare un braccio puntato verso l’alto, modello che si sarebbe mantenuto in restauri e progetti dei secoli seguenti.
Tutto cambiò nel 1903, quando Ludwig Pollak, antiquario e direttore del Museo di scultura antica Giovanni Barracco di Roma, scoprì in una bottega di scultori in via Labicana, a pochi metri dal luogo del ritrovamento, i resti di un braccio in marmo di taglia e stile sorprendenti, nonché molto simili a quelli dell’opera rinvenuta da de Fredis.
Convinto che appartenesse al sacerdote troiano, Pollak consegnò il pezzo ai Musei Vaticani. E lì rimase nascosto nel deposito fino al 1957, quando i gestori del museo annunciarono ufficialmente che si trattava del famoso braccio di Laocoonte andato perduto. Tra quello stesso anno e il 1959 Filippo Maggi eliminò i restauri precedenti e vi
Giulio II comprò la statua, che mesi dopo fu esposta in una nicchia del cortile del Belvedere RITRATTO DI GIULIO II DI RAFFAELLO. GALLERIE DEGLI UFFIZI, FIRENZE. SCALA, FIRENZE
mise il frammento di Pollak. Tuttavia oggi non tutti gli specialisti accettano che tale arto appartenga alla statua originaria.
Il come e il quando La paternità, la datazione e l’ubicazione originale dell’opera sono state oggetto di discussione. Dall’epoca di Sangallo si è potuto verificare che la descrizione di Plinio coincideva punto per punto con l’opera dissotterrata nel 1506, tranne che per un particolare: il fatto che fosse stata creata a partire da «un solo blocco». L’attuale gruppo del Laocoonte è invece composto da
LA GALLERIA
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del Laocoonte nel Museo del Louvre, a Parigi. Olio di Hubert Robert, anteriore al 1806. Museo della reggia di Pavlovsk, Russia.
più pezzi. Ciò ha spinto alcuni autori ad affermare che il gruppo scultoreo conosciuto oggi non è lo stesso citato da Plinio, mentre altri studiosi ritengono che il problema risieda in un’interpretazione troppo letterale dell’espressione «un solo blocco». Un ulteriore aspetto controverso è la cronologia del gruppo scultoreo. Certi autori ne situano la realizzazione durante il governo di Tiberio (14-37 d.C.), perché negli anni cinquanta del XX secolo vennero rinvenute a Sperlonga diverse statue provenienti dalla villa di questo imperatore, e in tali
opere erano ricorrenti i nomi dei tre scultori. Gli artisti, provenienti da Rodi, avevano scolpito il Laocoonte sulla base di un originale, probabilmente in bronzo, della scuola di Pergamo e risalente al 140 a.C. circa. Altri invece credono che l’insieme venne assemblato prima (40 a. C.-20 a.C.), perché corrisponderebbe in modo più esatto alla carriera professionale degli scultori, come si può evincere da alcune iscrizioni.
Il palazzo di Tito Di sicuro la maggior parte degli studiosi, soprattutto quelli che fanno risalire la
statua ai tempi di Augusto, concorda sul dettaglio che il Laocoonte venne probabilmente scoperto nello stesso luogo in cui era stato esposto nell’antichità. Difatti si crede che la residenza di Tito di cui parla Plinio potesse ubicarsi nei celebri giardini di Mecenate, un complesso di parchi e ville che Augusto ereditò alla morte dell’amico, nell’8 a.C., e che a sua volta lasciò ai successori imperiali come residenza. Studi successivi hanno dimostrato che il vigneto di Felice de Fredis si trovava proprio all’interno di questi giardini. Si pensa che il La-
ocoonte facesse parte della decorazione di quella residenza imperiale, in particolare di una camera provvista di giochi acquatici. Il notevole stato di conservazione del gruppo scultoreo, e il fatto che sia stato rinvenuto in un locale ben preciso, hanno spinto a credere che Laocoonte e i suoi figli fossero rimasti per secoli sul posto, in attesa di essere riportati alla luce. RUBÉN MONTOYA LEICESTER UNIVERSITY
Per saperne di più SAGGI
Laocoonte Salvatore Settis. Donzelli, Roma, 1999.
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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA
EGITTOLOGIA
Imparare a leggere i geroglifici egizi
J Barbara Faenza
IL SEGNO IMMORTALE Ponte alle Grazie, 2020; 208 pp., 16 ¤
e tiens l’affaire!» (ho trovato la soluzione) esclamò il 14 settembre 1922 l’archeologo ed egittologo Jean-François Champollion davanti a una copia della stele di Rosetta (testo bilingue con un’iscrizione in greco e la sua traduzione in geroglifico e demotico). Pochi giorni dopo, il giovane studioso francese annunciò al mondo accademico l’avvenuta decifrazione della scrittura geroglifica. «Grazie a lui i monumenti egizi, muti per millenni,
iniziarono finalmente a parlare». Lo afferma l’egittologa Barbara Faenza, collaboratrice di Storica che, quasi un secolo dopo la scoperta di Champollion, consegna alle stampe un testo che introduce al complesso mondo dei geroglifici e che offre a tutti «l’emozione di leggerne e pronunciarne alcuni». Quei “piccoli disegni” sono per l’autrice profondamente rivelatori di alcuni degli elementi della realtà di allora. È come se ogni termine fosse sottoposto a
una sorta di giudizio di natura soggettiva. Ad esempio la parola “cattivo” era rappresentata da un passero che devastava i campi coltivati, mentre per scrivere “amore” si adoperava una zappa, elemento centrale in una cultura prevalentemente contadina. Come le odierne emoticon, i geroglifici egizi esprimevano i più diversi stati d’animo: dall’afflizione alla gioia. L’autrice ne studia circa duecento e con essi esplora la geografia, le istituzioni e le vestigia egizie. Cercare di comprendere una civiltà attraverso la propria scrittura è per Faenza «un po’ come tornare indietro nel tempo per osservare il mondo con gli occhi di chi la usava e sentire con il loro cuore».
STORIA ANTICA
LA GRASSEZZA NEI SECOLI LE PERSONE nei cui corpi «la distanza dall’ombelico
al petto è maggiore di quella dal petto al collo» erano insensibili e quantità eccessive di cibo introdotte nel ventre riducevano lo spazio destinato ai sensi. Lo stabilì l’anonimo autore di un trattato del IV secolo, Fisiognomica, inizialmente attribuito ad Aristotele. C’è poi una leggenda paleocristiana secondo cui Giuda Iscariota vicino alla morte ingrassò a dismisura, ma non a causa del cibo. La narrazione del suo cadavere gonfio servì ai primi cristiani per spiegare il modo in cui i superbi nemici di Dio andavano incontro alla morte. Di grassezza, condannata ma spesso anche celebrata, si è occupato lo storico Christopher Forth in un saggio su «come abbiamo percepito le persone corpulente nei secoli». Cristopher E. Forth
GRASSI Espress, 2020; 406 pp., 19,50 ¤
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Giorgio Ravegnani
VENEZIA PRIMA DI VENEZIA Salerno, 2020; 160 pp., 16 ¤ NEL MONDO BIZANTINO del
X secolo cominciò a circolare la cosiddetta “leggenda di Attila” che tramandava le origini di Venezia. Secondo il racconto mitico, contenuto
in un’opera dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito, per sfuggire alle razzie di Attila, re degli unni, i franchi di Aquileia si sarebbero rifugiati in massa sugli isolotti disabitati di Venezia trovandovi un posto sicuro. Secondo lo storico Giorgio Ravegnani, la fondazione della città non avvenne d’un sol colpo come conseguenza dell’invasione di Attila nel 452. La romanizzazione dell’area lagunare, con la costituzione d’insediamenti più o meno grandi, per l’autore iniziò già dal III secolo a.C. Dal 584 Venezia fu parte dell’esarcato (territorio sottoposto a un governatore militare bizantino) d’Italia, rimanendo per diversi secoli nell’orbita di Costantinopoli.
ARTE ORIENTALE
I tappeti nella crescita spirituale
I
tappeti avevano un ruolo cruciale nel viaggio alchemico ed estatico fino alla porta del paradiso taoista. Durante la dinastia cinese Qing (1644-1911) quelli commissionati nelle oasi dello Xinjiang e realizzati in seta con inserti di rame ricoperti d’oro non svolgevano soltanto una funzione decorativa. Oltre ad adornare il palazzo imperiale di Pechino e quello di Mukde,n in Manciuria, i tappeti erano considerati veri e propri supporti magici durante cerimonie e riti sciamanici. Si credeva infatti che le immagini, collocate nelle giuste posizioni, avessero la capacità di prendere vita e di spostarsi nello spazio e nel tempo. Un imperatore che ne fosse stato in possesso avrebbe avuto il potere di controllare le forze dell’universo. Il dra-
LA PERLA DI RUGIADA, manifatture imperiali di Pechino (1874?),
seta e rame dorato. Foto di Marco Ansaloni.
go, ad esempio, garantiva l’armonia tra cielo e terra. I tappeti con cinque draghi alludevano alle cinque fasi attraverso cui l’energia si effondeva, mentre quelli con nove draghi attesta-
vano che l’imperatore era il figlio del cielo. Nella tradizione alchemica taoista l’atto di cavalcare i draghi tra nubi e vapori alludeva alla ricerca mistica di Kunlun, luogo mitico conside-
rato la porta celeste verso il tao (la via o il sentiero) e abitato da Xi Wangmu, la cosiddetta “regina-madre d’occidente”. Nel corso dei secoli, a causa dei numerosi incendi, la maggior parte dei tappeti andò distrutta. Trentasei esemplari si possono ancora ammirare a Torino in una mostra sui tappeti come testimonianza per la comprensione dei rituali che si svolgevano a corte. Completano l’allestimento fregi, affreschi e rappresentazioni di fiori di loto, nuvole multicolori, destrieri celesti, draghi e fenici danzanti, elementi chiave nella cultura della Cina taoista. KUNLUN. I TAPPETI DELL’ELISIR Museo Schneiberg, Torino Mostra permanente museoschneiberg.org
ARTE MODERNA
La scienza su tela
N
ove persone illuminate da una lanterna si raccolgono intorno a un tavolo sul quale si sta svolgendo un esperimento. Si tratta di una delle tante prove pubbliche sulla creazione del vuoto d’aria tramite l’utilizzo di una pompa meccanica, quest’ultima messa a punto dall’irlandese Robert Boyle alla metà del seicento. Il personaggio al centro della scena sta per girare una
chiavetta: l’aria nella campana verrà eliminata decretando la morte di un pappagallino bianco. I volti degli spettatori sono spaventati o forse soltanto incuriositi da ciò che sta per compiersi. La scena è stata immortalata nel 1768 dal pittore inglese Joseph Wright, detto “of Derby”, dal nome della cittadina in cui nacque nel 1734 e morì nel 1797. Alla metà del settecento espe-
rimenti sulle principali leggi chimico-fisiche venivano proposti a mo’ di spettacolo didattico anche nella Firenze di Pietro Leopoldo di Lorena, suscitando reazioni disparate, oggi al centro di una mostra agli Uffizi. WRIGHT OF DERBY Gli Uffizi, Firenze fino al 24 gennaio 2021 uffizi.it
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero I SEGRETI DEL TESORO DI TUTANKHAMON del nuovo Museo egizio del Cairo consentirà di esibire migliaia di oggetti del corredo di Tutankhamon che fino a oggi erano accatastati nei magazzini della vecchia sede. Il minuzioso studio dei pezzi del tesoro rinvenuto da Howard Carter sta rivelando nuovi dettagli sul faraone, per esempio il fatto che zoppicasse. Al contempo aumentano gli indizi che gran parte del tesoro a lui attribuito sia appartenuto in realtà alla sorella Merytaton.
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L’INAUGURAZIONE
PALENQUE, LO SPLENDORE DI UNA CITTÀ MAYA
AKG / ALBUM
FU FONDATA nel II secolo a.C. ai piedi
di Yehmal K’uk’ Lakam Witz, la Grande montagna del Quetzal discendente, sopra un piccolo altopiano bagnato da ruscelli nell’attuale Chiapas, in Messico. In virtù della sua posizione strategica, l’antica città di Lakamha’, oggi nota come Palenque, crebbe rapidamente, fino a diventare una delle più importanti della civiltà maya.
130 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
I mausolei imperiali Ottaviano Augusto eresse a Roma un magnifico monumento funebre destinato a ospitare le ceneri dei suoi parenti. Altri imperatori seguirono il suo esempio.
La battaglia delle Termopili La lotta dei 300 guerrieri spartani guidati da Leonida contro l’esercito invasore persiano rappresenta un mito della storia ellenica.
Anna Bolena, dal trono al patibolo Per amore di Enrico VIII divenne regina d’Inghilterra, ma solo tre anni dopo il sovrano la fece condannare a morte per decapitazione.
Francesco Giuseppe d’Austria Nei 68 anni del suo regno Francesco Giuseppe governò dal suo studio un potente impero che sarebbe tramontato di lì a poco, con la Prima guerra mondiale.
La più antica Commedia miniata PALATINO 313 Dante Poggiali Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
Tiratura limitata
E’ decorato da 37 miniature di ispirazione giottesca e da preziose iniziali istoriate, realizzate nella bottega di Pacino di Buonaguida nel XIV secolo. Contiene gran parte del Commento AUTOGRAFO di “Jacopo”, figlio di Dante. Quasi ogni chiosa è segnata dalla sigla: “Ja”, Jacopo Alighieri. Noto come “Dante Poggiali” dal nome dell’editore e bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò per utilizzarlo nella sua edizione della Commedia del 1807.
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VAllEttA, malta
Malta, Gozo e Comino
Un arcipelago che abbraccia le diverse culture del Mediterraneo a poco più di un’ora di volo dall’Italia. 7000 anni di storia e 3 siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO tra i quali la capitale Valletta.