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LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE 1917: L’ANNO DELLA RIVOLUZIONE RUSSA
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L’HAREM DEI FARAONI
TRAFFICO DI PRINCIPESSE NELL’ANTICO EGITTO
ZARATHUSTRA IL PROFETA DEL FUOCO
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LA MIGRAZIONE CHE CAMBIÒ IL MONDO
N. 107 • GENNAIO 2018 • 4,95 E
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EDITORIALE
con rarissimi resti ossei, variamente databili da milioni a decine di migliaia di anni fa, la paleoantropologia ha provato a ricostruire l’avventurosa storia dell’origine dell’uomo; giungendo alla convinzione che la comparsa dei nostri più antichi antenati sia da ricercare in Africa, nell’area della Rift Valley (resa celebre dalla scoperta di “Lucy”, lo scheletro di un’australopitecina vissuta tra i quattro e i tre milioni di anni fa). Dalla “culla” africana, homo sarebbe migrato, a più riprese, verso l’Europa e l’Asia, per inoltrarsi poi nel continente americano e in Australia. Un’ipotesi, questa, oggi messa – almeno parzialmente – in discussione da una serie di nuove scoperte, alcune relative proprio al «nostro» passato più prossimo, con protagonista l’homo sapiens (vedi il nostro servizio a pagina 22). Ad arricchire (e complicare) il quadro hanno contribuito anche le indagini genetiche, eseguite sul DNA dei reperti paleoantropologici e confrontate con i dati della popolazione mondiale. Quello di homo sapiens fu davvero un unico, grande esodo – avviato circa 100mila anni fa – alla conquista delle terre del Levante e oltre, come vorrebbe l’ipotesi di una progenitrice africana comune (la famosa “Eva africana”)? O non siamo noi, uomini moderni, il risultato di processi migratori e di diffusione di tratti genetici e culturali assai più arcaici, complessi e sfumati? Quale che sia la risposta, un dato è certo: sin dalle origini più remote, l’uomo si è “messo in marcia”, affinando la sua capacità di cambiare e adattarsi alle sempre diverse condizioni ambientali (e culturali) incontrate lungo il suo cammino. Solo così ha potuto evolversi e sopravvivere. E dovrà farlo ancora. ANDREAS M. STEINER Direttore
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08 PERSONAGGI STRAORDINARI
14 VITA QUOTIDIANA
Veronica Franco
Whisky, acqua della vita
Nella Venezia del XVI secolo la celebre cortigiana si distinse non solo per il fascino ma anche per la sua produzione poetica.
La bevanda nazionale scozzese, distillata dal cinquecento nelle abbazie e nelle fattorie, conquistò nell’ottocento la casa reale del Paese anglosassone e, un secolo dopo, il mondo intero.
12 GRANDI INVENZIONI L’aristocratico violino Anche se nel Medioevo esistevano strumenti simili, fu Andrea Amati che a metà del XVI secolo fabbricò i primi violini come li conosciamo oggi.
14
126
20 ANIMALI NELLA STORIA I cani da combattimento Nell’antichità i cani di specie considerate particolarmente aggressive, come il mastino tibetano, venivano usati dagli eserciti alla stregua di soldati per seminare il terrore sul campo di battaglia.
126 GRANDI ENIGMI I principi della torre Dopo la morte di Edoardo IV d’Inghilterra i suoi figli Riccardo ed Edoardo V, di 9 e 12 anni, furono rinchiusi nella torre di Londra dallo zio, il futuro Riccardo III. La loro scomparsa, poche settimane dopo, rimane un mistero. 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
74 CENTURIONI, I DIFENSORI DI ROMA I LORO ELMI dalla
caratteristica cresta spiccavano sul campo di battaglia. A capo della fanteria, i centurioni ascendevano nelle legioni per anzianità e per merito ed erano un esempio per i soldati sia in guerra che in pace. Trattavano i loro uomini con durezza, ma erano i primi ad affrontare la morte quando il nemico avanzava. Grazie al loro coraggio ed esperienza, erano stimati anche dagli imperatori. DI SABINO P. YÉBENES IL VALLO DI ADRIANO. ALLA SUA COSTRUZIONE PARTECIPARONO LE LEGIONI STANZIATE IN BRITANNIA.
22 La grande migrazione dell’Homo sapiens Oltre 70mila anni fa un gruppo di Homo sapiens lasciò l’Africa, terra natale, per colonizzare il resto del mondo. Ventimila anni dopo i suoi discendenti sarebbero arrivati fino all’Australia. DI FERNANDO DÍEZ MARTÍN
50 Zarathustra, il primo profeta Tremila anni fa nacque in Persia la prima religione monoteista. Fu rivelata a un profeta mitico, la cui esistenza oggi viene messa in dubbio. DI JUAN ANTONIO ÁLVAREZ-PEDROSA NÚÑEZ
62 Erodoto, il primo storico Viaggiatore instancabile e uomo cosmopolita, Erodoto di Alicarnasso concepiva la storia come una ricerca personale e un’esplorazione delle altre culture. DI CARLOS GARCÍA GUAL
90 Il commercio di oggetti sacri nel Medioevo Nel Medioevo la credenza che il contatto con i resti dei santi avesse proprietà curative generò un intenso traffico di reliquie, non esente da frodi e furti. DI JESÚS CALLEJO
106 La Rivoluzione russa Nel febbraio del 1917 il popolo russo, lacerato dalla fame e unito dal desiderio di cambiamento, iniziò una rivoluzione che avrebbe segnato la politica del XX secolo. DI ORLANDO FIGES VASO CANOPO DI ALABASTRO. SI PENSA RAPPRESENTI LA REGINA KIYA. XVIII DINASTIA.
38 L’harem dei faraoni Durante il Nuovo Regno i faraoni sposavano le figlie di re stranieri per stabilire alleanze. Come gran parte dell’universo femminile legato al sovrano. Anche queste vivevano nell’harem, un’istituzione indipendente dalla casa reale che poteva ospitare centinaia di donne con i rispettivi seguiti. DI RENE CORDÓN
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LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE 1917: L’ANNO DELLA RIVOLUZIONE RUSSA
Pubblicazione periodica mensile - Anno VIII - n. 107
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HOMO SAPIENS LA MIGRAZIONE CHE CAMBIÒ IL MONDO
DONNA SAPIENS. RICOSTRUZIONE REALIZZATA DA ELISABETH DAYNES IN BASE AI RESTI RITROVATI NEL GIACIMENTO FRANCESE DI ABRI PATAUD. S. ENTRESSANGLE-E. DAYNES / AGE FOTOSTOCK
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6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
subito!
PERSONAGGI STRAORDINARI
Veronica Franco, regina delle cortigiane Nella Venezia del XVI secolo Veronica Franco si distinse non solo per il fascino ma anche per la sua produzione poetica e per la sua visione moderna dei diritti delle donne
Colta, affascinante e invidiata 1546 Nasce a Venezia Veronica Franco, figlia di Francesco Maria Franco, un rispettato cittadino, e della cortigiana Paola Fracassa.
1562 Veronica Franco si sposa con il medico Paolo Panizza. Il matrimonio è un disastro e Veronica si separa due anni dopo.
1574 La Repubblica di Venezia incarica Veronica, ormai celebre cortigiana, di intrattenere il futuro Enrico III di Francia.
1580 Veronica, poeta consacrata, riceve in casa propria l’umanista francese Michel de Montaigne. Poco più tardi viene incarcerata.
1591 Dopo essere uscita dal carcere del Sant’Uffizio la sua stella comincia a declinare. Muore di febbri a Venezia, a 45 anni.
N
el 1564 tutta Venezia rimase sorpresa dell’audacia di una giovane donna che, a soli 18 anni e incinta del primo figlio, aveva deciso di separarsi dal marito e di reclamare la sua dote per esser padrona della propria vita. Si chiamava Veronica Franco, non ne poteva più delle percosse del marito ed era pronta a iniziare una nuova tappa della sua vita, che l’avrebbe portata a essere la più rispettata fra le“cortigiane oneste”che vivevano nella città dei canali. Ispiratrici di artisti e poeti, colte e raffinate, amanti del lusso e dei piaceri, le cosiddette cortigiane oneste erano prostitute che univano a bellezza e distinzione anche un’ampia cultura e un certo dominio delle arti e delle lettere, qualità che permettevano loro di comportarsi come vere e proprie compagne degli uomini, sia dal punto di vista sessuale, sia nelle conversazioni conviviali. Per dirla con le parole del poeta Pietro Aretino, «Venere era divenuta una donna di lettere». Queste donne, do-
tate di grandi qualità per la vita sociale, erano evidentemente un’eccezione nel sordido mondo della prostituzione. A Venezia erano censite più di tremila prostitute, però solo duecento circa erano considerate cortigiane oneste. Inoltre erano privilegiate anche rispetto ad altri settori della società, visto che godevano di libertà, autosufficienza e di un accesso alla cultura solitamente preclusi sia alle donne del“popolino”, sia a mogli e figlie delle grandi famiglie aristocratiche e borghesi.
Un mestiere ereditato Veronica Franco era nata a Venezia nel 1546. Era figlia di Francesco Maria Franco, un veneziano appartenente ai “cittadini”, ovvero a quella che oggi definiremmo classe media, e di Paola Fracassa, una famosa cortigiana che, quando si era sposata, aveva abbandonato il suo antico mestiere. La morte precoce di Francesco obbligò Paola a tornare alla sua antica e redditizia professione, anche se cercò di dare a sua figlia una vita “onorevole”. A questo scopo, quando Veronica aveva solo sedici anni, la madre le combinò il matrimonio con Paolo Panizza, un medico dedito al gioco e al bere, il quale non fece che procurare grandi
Si diceva che Veronica chiedesse 15 scudi per un bacio e 50 per una serata intera in sua compagnia SPECCHIO VENEZIANO. 1590. VICTORIA AND ALBERT MUSEUM, LONDRA. SCALA, FIRENZE
8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
MUSA DI PITTORI E ARTISTI JACOPO ROBUSTI (o Comin, come sostiene un recente studio spagnolo), detto il Tintoretto, era uno degli uomini che frequentava il salotto artistico e letterario di Veronica Franco. Gli si attribuiscono gli unici due ritratti esistenti della cortigiana, anche se non è sicuro che la modella fosse proprio lei. In entrambi, Dama che scopre il seno (1570) e Ritratto di dama (1574), appare con la pelle e gli occhi chiari, chioma ramata, lineamenti fini e adornata di perle, gioielli che divennero il simbolo di Veronica. Alcuni autori ritengono che la cortigiana avesse posato come modella per Susanna e i vecchioni (1556). DAMA CHE SCOPRE IL SENO, FORSE UN RITRATTO DI VERONICA FRANCO. DIPINTO A OLIO, TINTORETTO. 1570. MUSEO DEL PRADO, MADRID. ERICH LESSING / ALBUM
sofferenze alla giovane moglie. Dopo la separazione Veronica tornò a vivere con la madre, che finì per iniziarla al mestiere, sino al punto di esercitarlo insieme. Lo dimostra il fatto che i loro nomi comparissero nell’edizione del 1572 della Tariffa delle puttane, il libro in cui erano catalogate le 215 cortigiane veneziane di maggior prestigio, con le rispettive tariffe. Nel loro caso l’importo era lo stesso per entrambe: due scudi a notte. Tuttavia si dice che, anni dopo, un bacio di Veronica venisse valutato 15 scudi, mentre una serata intera in sua compagnia ne valesse 50.
Bella e delicata nei modi, intelligente e colta, non tardò ad aprirsi un varco nei salotti veneziani. Le“cortigiane oneste” godevano del privilegio di scegliere i propri amanti, e Veronica li selezionava sistematicamente in base alla classe sociale, al denaro e alla cultura, criteri che le permisero di intrattenere rapporti con i poteri forti della città.
La cortigiana più influente Non deve dunque sorprendere il fatto che, quando nell’estate del 1574 Enrico di Valois si recò in Veneto alla vigilia della sua incoronazione come
re di Francia, la Repubblica veneziana facesse ricorso ai servizi della rinomata Veronica. Venezia aveva bisogno dell’alleanza con i francesi, e il modo migliore per ottenerla era fare in modo che la permanenza in città del futuro re, Enrico III, si rivelasse indimenticabile. La Serenissima si preparò a ricevere l’illustre ospite con banchetti, archi di trionfo, concerti e fuochi artificiali. Come se non bastasse tanto dispendio, si pensò di fargli anche un regalo esclusivo e particolare: una notte in compagnia di Veronica Franco, la più bella, colta e raffinata cittadina di VeSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
CHIESA DI SANTA MARIA FORMOSA
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Questa chiesa veneziana, costruita nel 1492 in stile rinascimentale, fu la parrocchia della cortigiana Veronica Franco, che per molti anni abitò nelle vicinanze.
nezia. Le autorità non avevano però considerato che i gusti del loro ospite, il quale spesso si faceva vedere a Parigi insieme a efebi travestiti da donna, non promettevano un grande successo. Non sappiamo quale fu il grado di intimità raggiunto dai due, ma egli si mostrò talmente soddisfatto della notte passata insieme che, a partire da allora, la
Serenissima poté contare sull’alleanza francese e lei divenne ufficialmente la cortigiana più influente della città.
Amicizie letterarie Già in quell’epoca Veronica Franco poteva avvalersi dell’amicizia di Domenico Venier, un celebre poeta seguace del Petrarca, che influì
RE E “CROSS-DRESSER” L’ASPETTO di Enrico III di Francia ha fatto
versare fiumi di inchiostro. Alcune cronache sostengono che gli piacesse vestirsi da donna e che nel 1575, in occasione di un ballo nel castello di Blois, si fosse presentato con i capelli ricci e impomatato, con un vestito di broccato con scollatura e pizzo, e una collana di perle. ENRICO III. RITRATTO ANONIMO. XVI SECOLO. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. ERICH LESSING / ALBUM
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
molto sulla sua carriera letteraria e che rese possibile la pubblicazione, nel 1575, del suo libro di poesie Terze rime. In quegli anni Veronica intratteneva relazioni con due nipoti di Domenico: Marco e Maffeo. Il primo fu, per la colta cortigiana, l’amore della sua vita. Il secondo, invece, quando vide che Veronica preferiva il fratello, reagì dedicandole versi offensivi, che circolarono liberamente per tutta Venezia: «Veronica, ver unica puttana». Non aveva calcolato che la cortigiana, anziché sentirsi offesa, l’avrebbe sfidato pubblicamente a un duello poetico, dal quale sarebbe uscita vincitrice: questa vittoria le servì per essere consacrata come poeta. Trasferitasi in un bel palazzo presso Santa Maria Formo-
GLI SVAGHI DEL FIGLIOL PRODIGO. Dipinto FINE ART / ALBUM
a olio di Jacopo Palma il Giovane, pittore emergente nella Venezia di Franco. XVI secolo. Gallerie dell’Accademia, Venezia.
sa, Veronica Franco trasformò la sua residenza in un vero e proprio ateneo dove riuniva musicisti, pittori e nobili. I frequentatori, oltre a godere dei piaceri terreni, venivano allietati anche da concerti, dibattiti filosofici e letture di poesia. Uno dei suoi ospiti più illustri fu l’umanista francese Michel de Montaigne, che fece sosta a Venezia nel 1580. Il 7 novembre, come riportò lo stesso scrittore, cenò con Veronica, dalla quale ricevette in ossequio un piccolo volume che lei stessa aveva pubblicato, con il titolo di Lettere familiari a diversi, opera nella quale raccoglieva la sua corrispondenza con vari personaggi dell’epoca. Questo libro rappresenta oggi una testimonianza unica sugli usi e sui costumi della Venezia del XVI secolo. La visita di Montaigne segnò un punto di svolta nella vita di Veronica Franco. Dopo pochi mesi Ridolfo
Vannitelli, il precettore di uno dei suoi quattro figli, forse per vendicarsi di esser stato da lei respinto, la denunciò al Sant’Uffizio dell’Inquisizione con l’accusa di mostrare scarso fervore religioso e di praticare la stregoneria. Franco venne incarcerata nella prigione della Repubblica. Il processo si concluse il 13 ottobre del 1580. Nonostante l’assoluzione, ottenuta probabilmente grazie alle eccellenti relazioni di Veronica con i gerarchi della curia veneziana e della Serenissima, questo processo segnò il suo declino definitivo e la perdita della quasi totalità dei suoi beni.
Il tramonto di una cortigiana Disponiamo di pochi dati sugli ultimi anni della sua vita. Sappiamo che, ritiratasi nel suo palazzo, faceva da mediatrice presso le autorità veneziane per la creazione di un ospizio dove accogliere le cortigiane malate e
anziane, e dove insegnare un mestiere alle donne che volevano ritirarsi dalla professione. È molto probabile che avesse continuato anche a lavorare ad altre opere letterarie che, purtroppo, non si sono conservate fino a oggi. Nel 1582 le tracce di Veronica Franco si perdono definitivamente: il suo nome riappare nel registro del Magistrato alla Sanità, dove un conciso certificato datato 22 luglio 1591 informa che «la signora Veronica Franco è morta di febbri all’età di quarantacinque anni». Con lei se ne andava l’età d’oro delle cortigiane veneziane. Donne forti, libere, istruite e sensuali che, per citare proprio Veronica Franco, erano condannate a «mangiar con l’altrui bocca, dormir con gli occhi altrui, muoversi secondo l’altrui desiderio, correndo in manifesto naufragio sempre della facoltà e della vita». —María Pilar Queralt del Hierro STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI INVENZIONI
Il violino, una creazione del Rinascimento Anche se nel Medioevo esistevano strumenti simili, fu l’italiano Andrea Amati che a metà del XVI secolo fabbricò i primi violini come li conosciamo oggi
I
primi strumenti musicali inventati furono probabilmente le percussioni. A seguire gli strumenti a fiato e, per ultimi, quelli a corda, che richiedevano un’elaborazione maggiore: prima gli strumenti pizzicati e poi quegli ad arco. Tra questi ultimi il più versatile e diffuso è il violino, che ha un ruolo centrale nell’orchestra. Il cosiddetto“primo violino”è incaricato di prepararla e di accordarla prima dell’uscita del direttore. Le sue potenzialità come strumento solista e da camera, inoltre, fanno del violino uno dei più aristocratici tra gli strumenti. La sua forma ricorda quella di molti strumenti tradizionali presenti in
numerose culture. Sembra che i primi archi siano comparsi in epoca medioevale con il nome generico di fidule o vielle, delle quali esistono rappresentazioni anteriori all’anno mille. Come le più antiche ribeche pastorali, anche les vièles, o viole da braccio, accompagnavano il canto, la recitazione e la danza. Alla fine del Medioevo questi strumenti venivano appoggiati al petto, alla spalla o alla coscia del musicista. Tuttavia, non si trattava ancora di violini. I prototipi fanno la loro comparsa attorno al 1520 in alcune località dell’Italia settentrionale, e sarebbe stato proprio il “belpaese” a guidare
ANTONIO STRADIVARI ESAMINA UNA DELLE SUE CREAZIONI NELLA SUA BOTTEGA DI CREMONA IN QUESTA ILLUSTRAZIONE DI EPOCA ROMANTICA. GRANGER / ALBUM
12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
BRIDGEMAN / ACI
1550
UNA DONNA SUONA UNA VIOLA NELL’AFFRESCO LA PASSIONE DI CRISTO. 1335. MUSEO DE NAVARRA, PAMPLONA.
la tradizione nei secoli successivi. In questa fase di transizione si impose la città di Brescia, ma ben presto fu Cremona a strapparle il primato.
La bottega di Amati Il cremonese Andrea Amati (1510 circa-1577) codificò il violino come strumento a quattro corde, affinate per quinte consecutive e suonate con un arco. Le corde si regolano mediante il cavigliere e si tendono sulla tastiera e la cassa armonica, costituita da due tavole convesse che presentano degli intagli a forma di effe. I segreti relativi al legno utilizzato, all’asciugatura, alla verniciatura e all’assemblaggio si tramandarono da una generazione all’altra della famiglia Amati: da Andrea ai figli Antonio e Girolamo, e da quest’ultimo al figlio Nicola, che fu a sua volta il maestro dei due artigiani più celebri del XVIII secolo: Giuseppe Guarneri del Gesù e Antonio Stradivari. I progressi tecnici permisero ai violini di sostenere una maggior tensione delle corde e ne amplificarono il suono, rendendolo più leggero. Allo stesso tempo si perfezionò anche l’arco. Tutto ciò gli consentì di affermarsi come lo strumento preferito non solo della musica “colta”, ma anche di quella popolare grazie al suo timbro penetrante e alla sua capacità di realizzare melodie e arricchimenti armonici. Col tempo è diventato im-
Riccio
Cavigliere
IL RE DEGLI STRUMENTI 1523 In Savoia compare un pagamento delle prestazioni di trompettes et vyollons de Verceil (Vercelli).
VIOLINO “CARLO IX”, DI ANDREA AMATI
Datato 1566, questo violino è considerato il più antico conservato. Fu costruito da Amati per il re di Francia Carlo IX. Metropolitan Museum, New York.
Tastiera
1546 Risale a quest’anno il primo violino documentato, a tre corde, fabbricato da Andrea Amati.
1681 Il compositore Arcangelo Corelli pubblica la prima opera per violino così come lo conosciamo oggi.
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BRIDGEMAN / ACI
Antonio Stradivari fabbrica una viola che verrà molto apprezzata da Niccolò Paganini.
Punta
Corde
PARTITURA PER VIOLINO DI GIUSEPPE TARTINI. BIBLIOTECA MARCIANA, VENEZIA.
Effe Ponte Incavatura
Cordiera
Cassa armonica BR
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prescindibile sia per i musici di palazzo che per gli artisti girovaghi zigani. Di artigiani che si dedicavano a costruire violini non ce n’erano solo in Italia. A Siviglia, per esempio, operavano (ed erano organizzati in corporazioni) i cosiddetti violeros. È proprio in Spagna che compare per la prima volta, nel XVI secolo, il termine per designare lo strumento: nel lascito di un nobile aragonese, tale Diego de los Cobos, vengono menzionate quattro viole e un violino. Tuttavia, i liutai italiani rimasero sempre i maestri indiscussi. —Josemi Lorenzo Arribas STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Whisky, “acqua della vita”: una storia felice La bevanda nazionale scozzese nacque nelle abbazie del XV secolo e divenne il liquore preferito dai britannici sare che quella del whisky sia stata una “storia felice”. La versatilità di questo distillato sembra essere la garanzia della continuità del suo successo: se esistono i fanatici irriducibili del whisky, esistono anche così tanti tipi di miscele da scandalizzare i puristi. Non c’è male per una bevanda di per sé molto semplice, o almeno in teoria: alcol distillato da cereali in grani fermentati, che poi viene lasciato invecchiare in botti di legno. In altre parole, birra distillata.
Origine egizia o gaelica? Se la parola “whisky” ci porta immediatamente in Scozia, non è solo per il fatto che, come dice lo scrittore Kevin R. Kosar, «sembra che gli scozzesi l’abbiano inventato per primi». Ma è perché quella semplice birra distillata si è arricchita proprio in Scozia di tutti gli elementi – terra, acqua, fuoco e aria – fino a ottenere una bevanda che, in termini di eccellenza, può raggiungere
PRIVILEGIO REALE LA PRIMA menzione che si conserva in merito all’“acqua della vita” appare in un documento del 1494 del fisco scozzese, l’Exchequer Roll (a sinistra). Il re Giacomo IV concede per mezzo di questo scritto a frate John Cor, monaco dell’abbazia di Lindores, oltre una tonnellata di malto per distillare aqua vitae per il re. CROWN COPYRIGHT, NATIONAL RECORDS OF SCOTLAND
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IL WHISKY faceva parte BRIDGEMAN / ACI
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riticare la cucina britannica è sempre stato un luogo comune, ma a nessuno è mai venuto in mente di mettere in discussione il buon gusto dei britannici per le bevande alcoliche. Già nell’VIII secolo l’inglese san Bonifacio biasimava l’interesse di tanti abitanti dell’isola per i liquori. Un piacere, o vizio, questo, nel quale non cadevano «né franchi né lombardi, né romani, né greci». Con il tempo, tuttavia, i gourmet di tutte le latitudini avrebbero tratto vantaggio da questa tendenza britannica. Senza la mediazione dell’impero, in effetti, il bordeaux, il porto, il madeira e lo sherry non sarebbero oggi quello che sono. E sicuramente neanche le due bevande nazionali, il gin inglese e il whisky scozzese, avrebbero mai avuto risonanza mondiale. Con centinaia di milioni di casse vendute annualmente si può ben pen-
della vita degli scozzesi del XIX secolo, come si vede in questo dipinto di John Frederick Lewis.
la più raffinata complessità. Esistono infinite teorie sulle origini del whisky. C’è chi le attribuisce agli egizi, veri conoscitori dell’arte della birra. Altri, invece, agli alambicchi greci: sembra che si producesse l’acquavite già ai tempi di Aristotele. E può anche darsi che saggi e alchimisti medievali, da Raimondo Lullo fino ad Arnaldo da Villanova, l’avessero importato dal mondo arabo. A ogni modo, qualsiasi prova storica prima del 1500 è scarsa ed estremamente confusa. Inoltre, sembra piuttosto improbabile che il whisky primitivo assomigliasse all’attuale.
Nel XV secolo viene documentata per la prima volta un’espressione gaelica , uisce beatha, che significa“acqua della vita”. Tuttavia ignoriamo se il termine si riferisse al brandy o genericamente al liquore. Il primo accenno al whiskey (sic) come lo conosciamo ai giorni nostri proviene da una rivista irlandese della metà del XVIII secolo. Fino ad allora era stata una bevanda riservata ai monaci, ai bottegai e alla gente di campagna. Questo non esclude che venisse distillata in terre scozzesi già da molto tempo, almeno dal 1400 circa. E anche se quello fosse un lontano parente del whisky che conosciamo, la
Tempi di “legge secca” nelle terre di Scozia PER MOLTO tempo in Scozia la produzione e il consumo di whisky sembrarono addirittura una “religione perseguitata” . Gli esattori delle imposte della Corona britannica giravano i villaggi per riscuotere le tasse e scoprire gli alambicchi illegali.
Uno di questi funzionari era Robert Burns, poeta nazionale scozzese, il quale di giorno perseguiva la distillazione illegale, mentre di notte dedicava versi alla sua MUSA, «la buona vecchia bevanda scozzese». I rappresentanti dell’amministrazione erano detestati dagli scozzesi. Di un
altro di loro, di nome Malcolm Gillespie, per esempio, si diceva che fosse egoista e brutale con le donne, mentre amava con passione il suo cane. Malcolm Gillespie per poco non cadde in uno dei vari scontri con i trafficanti. Il suo cane, invece, morì crivellato dai colpi di un CONTRABBANDIERE.
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IL “COCKTAIL DI PAPÀ”
UN ALAMBICCO
WINSTON CHURCHILL FU CORRISPONDENTE DURANTE LA SECONDA GUERRA BOERA (1899-1902)
sua importanza economica fu sempre grande: lo dimostra il fatto che nel 1506 il re avesse concesso il monopolio della sua preparazione alla corporazione dei barbieri-chirurghi di Edimburgo. S’inaugurava così la tradizione, destinata a durare nel tempo, di attribuire a questo distillato poteri curativi.
Tempi difficili
LOREMUSDS
Ciononostante, con il passare degli anni la produzione venne sottoposta a severi controlli: in tempi di carestia il fatto di destinare il
BRIDGEMAN / ACI
SEBBENE WINSTON Churchill detestasse le sbornie, era un amante dello scotch. Da giovane si era portato 18 bottiglie alla Guerra boera e più avanti aveva preso l’abitudine di scandire le sue mattinate con un bicchiere. Il “cocktail di papà”, come lo chiamavano i suoi figli, in realtà era una miscela molto acquosa.
GRANGER / AURIMAGES
rudimentale per distillare aqua vitae in una fattoria. Incisione su legno del 1616.
grano alla distillazione, piuttosto che all’alimentazione, divenne un lusso e la produzione del whisky diventò appannaggio della nobiltà. Tutto questo non riuscì comunque a incrinare l’attaccamento degli scozzesi alla loro bevanda nazionale. In ogni caso, il maggior interesse per il whisky fu quello manifestato dal fisco: nel 1644 la produzione e l’affinamento della cosiddetta“acqua della vita”cominciarono a essere gravati da imposte. L’unione politica tra Scozia e Inghilterra nel Regno Unito portò l’Inghilterra a finanziare ogni guerra intrapresa attraverso le imposte
La pubblicità d’inizio XX secolo sosteneva che il whisky non nuoce né alla testa né al fegato MANIFESTO CON UNA BOTTIGLIA DI WHISKY SCOZZESE. GETTY IMAGES
sulla bevanda. E non unicamente per mezzo del whisky: erano ugualmente soggetti a imposizione i cereali oppure gli alambicchi. Nel 1781, infine, la distillazione privata venne proibita. E anche se nel 1816 ci fu una rettifica e si sospesero le imposizioni fiscali, il consumo e la produzione illegale furono fortemente penalizzati. Basti pensare che il controllo della produzione nelle distillerie da parte di funzionari dello stato britannico cessò solo nel 1983. Tutti questi ostacoli ebbero anche un effetto ambivalente: gli scozzesi s’ingegnarono a escogitare nascondigli per alambicchi e barili. Nemmeno il più perspicace fra gli emissari dello stato avrebbe immaginato che le botti con la dicitura “disinfettante per pecore” contenessero proprio del whisky. Il divieto, inoltre, non fece che accrescere il contrabbando: nel 1822, quando Giorgio IV arrivò in Scozia – che da
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LOCHNAGAR. Nel 1848 la
DAVID GOWANS / ALAMY / ACI
regina Vittoria fece di questa distilleria, nei pressi del castello di Balmoral, la fornitrice ufficiale della Corona.
secoli non riceveva una visita reale – il whisky con cui brindò era, per ironia della sorte, illegale. Fu a partire da quel momento che la storia del whisky cominciò a essere veramente“felice”. La bevanda acquisì una considerazione ben diversa dalla cattiva reputazione del gin, considerato responsabile di ogni genere di tumulti e disordini a opera delle classi popolari nell’Inghilterra del XVIII secolo. Il whisky, al contrario, godeva dell’appoggio della Corona. La regina Vittoria creò la moda della villeggiatura in Scozia e nei suoi spostamenti non trascurava mai di portare con sé una bottiglia di whisky. Curiosamente, fu proprio la stessa regina che tanto appoggiava le “leghe della temperanza” per la prevenzione dell’alcolismo a concedere la distinzione di“fornitore reale”alla distilleria di Lochnagar. A partire da quel momento 18 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
l’impero britannico avrebbe portato il whisky nei cinque continenti sulle navi dell’Armata. Verso la fine dell’ottocento la piaga della fillossera, che provocò il crollo del mercato del brandy, offrì un’ulteriore magnifica opportunità di crescita al suo rivale. Agli albori del XX secolo il whisky era diventato una bevanda elegante e, secondo quanto recitava una pubblicità dell’epoca, salutare, dato che «non nuoce alla testa e neppure al fegato». La passione del re (e dandy) Edoardo VII per questa bevanda avrebbe contribuito ad aumentare il prestigio del distillato: quando il sovrano cominciò a berlo con l’acqua, molti dei suoi sudditi imitarono quest’abitudine chic. Sempre capace di reinventarsi, il whisky sopravvisse alle due guerre mondiali – nel 1943 non se ne distillò neanche una goccia – e seppe guadagnarsi un po’ alla volta nuovi spazi
grazie, tra le altre cose, alle creme di whisky e all’introduzione del malto, destinato a contrastare il dominio del blended a partire dagli anni ’70 e ’80 del XX secolo. Questa bevanda che, secondo l’esperto James Boswell, «rende felici gli scozzesi», oggi può arrivare a costare, all’asta, fino a centinaia di migliaia di euro a bottiglia. Highland o Lowland, Speyside, Islay o Campbeltown, whisky più salati o più minerali, con toni dorati, oppure con riflessi di mogano: gli appassionati possono scegliere il distillato in mille versioni. Tutte condividono però la caratteristica di rappresentare, come afferma lo storico scozzese David Daiches, un brindisi alla civiltà, un tributo alla continuità della cultura e un manifesto della determinazione umana a godere pienamente dei propri sensi. —Ignacio Peyró
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ANIMALI NELLA STORIA
In Mesopotamia, in Grecia e a Roma gli eserciti usavano i cani di specie considerate particolarmente aggressive per seminare il terrore sul campo di battaglia
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BRIDGEMAN / ACI
in dalla loro domesticazione, avvenuta all’incirca 15mila anni fa, i cani furono utilizzati dagli umani come pastori, guardiani e cacciatori. A queste funzioni ben presto se ne aggiunse un’altra: l’uso a scopi bellici. Nell’antichità uno dei cani più usati in guerra era il mastino tibetano. Animale dotato di una forza e di una resistenza straordinarie, questo tipo di cane venne introdotto in Mesopotamia dai sumeri verso il 2500 a.C. Da questa specie se ne sviluppò una nuova, dal pelo corto, che divenne alleata imprescindibile degli eserciti sumeri, accadi e babilonesi. Immagi-
ni di questi soldati a quattro zampe, il cui aspetto feroce incuteva terrore in battaglia, sono visibili nei bassorilievi del VII secolo a.C. che decorano il palazzo del re assiro Assurbanipal a Ninive. Autori come Aristotele e Plinio sostenevano che i mastini tibetani fossero il risultato dell’incrocio tra un cane e una tigre. I cani non erano considerati armi, ma veri e propri soldati, e furono utilizzati in guerra non solo da grandi civiltà, come quella babilonese, ma anche da popoli meno conosciuti, come magnesi, peoni, garamanti o ircani. Anche l’esercito egizio annoverava tra le sue file cani guerrieri, pro-
LANMAS / AGE FOTOSTOCK
I cani da combattimento nell’antichità MOLOSSO. COPIA ROMANA DI UN ORIGINALE GRECO IN BRONZO. MUSEI VATICANI.
babilmente levrieri, la cui presenza è attestata per la prima volta nella guerra contro gli hyksos a metà del XVI secolo a.C. In quello stesso periodo compaiono anche testimonianze iconografiche, come quella sulla tomba di Tutankhamon, dove si vede il faraone su un carro intento a scagliare una freccia mentre i suoi cani inseguono i nemici nubiani.
Dalla Persia a Roma Anche gli eserciti persiani dei re Ciro, Cambise II, Dario I e Serse si servirono dei cani da combattimento quando sfidarono i greci. Questi ultimi a loro volta arruolarono esemplari di una razza specifica, il molosso. Si narra che fosse stata Olimpiade, la madre di Alessandro Magno, a importarli dalla sua patria, l’Epiro. Questi cani avevano una schiena forte, pelo folto e un muso schiacciato, caratteristiche che dovevano conferirgli un aspetto particolarmente feroce. Secondo una leggenda sulla spiaggia di Corinto c’erano cinquanta molossi a difesa della città. Una notte, durante un attacco nemico, quasi tutti gli animali perirono nello scontro. Solo uno, di nome Soter, riuscì a salvarsi e corse ad avvisare i corinzi. Grazie all’aiuto dell’animale questi riuscirono a respingere gli avversari. In seguito IL FARAONE ATTACCA I NEMICI ACCOMPAGNATO DA CANI. TOMBA DI TUTANKHAMON. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.
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DEA / GETTY IMAGES
GRANDI CANI, apparentemente doghi o mastini, accompagnano a caccia un gruppo di uomini. Bassorilievo assiro. VIII secolo a.C. British Museum, Londra.
decisero di innalzare un monumento di marmo in onore dei valorosi cani caduti in battaglia. Anche i romani utilizzarono cani nelle loro imprese di conquista, soprattutto mastini asiatici e molossi epiroti, cui si aggiunsero via via altre razze provenienti dai popoli sottomessi, come doghi, levrieri celtici e alani belgi, che si batterono al loro fianco contro cartaginesi, celti e galli. Nei pressi di Châlons-en-Champagne (Marna, Francia) sono state ritrovate 26 tombe di cani di grandi dimensioni con corredi funebri, che includevano ceramiche decorate con scene di guerra i cui protagonisti erano
proprio i cani. Anche cimbri, teutoni, ambroni e altre tribù barbare schieravano tra le file dei propri eserciti cani pronti a scagliarsi contro i romani per ostacolare l’avanzata delle legioni. Questi animali, famosi per la presunta ferocia e l’aggressività, erano addestrati ad attaccare i nemici al collo e indossavano armature o protezioni di cuoio con maglie metalliche e collari di filo spinato con lame affilate. Perché fossero ancora più spietati, venivano lasciati digiuni nei giorni precedenti la battaglia. La rabbia generata dal maltrattamento subito poteva spingerli a sbranare i cadaveri dei nemici o a uccidere i feriti. I cani erano schie-
rati nell’avanguardia dell’esercito e i loro attacchi risultavano tremendi ed estremamente efficaci. Gettavano infatti scompiglio tra la cavalleria e la fanteria nemiche, consentendo agli uomini di penetrare più facilmente tra le loro file. Con la comparsa della fanteria pesante i cani soldato persero gran parte della loro utilità, ma continuarono comunque a essere usati in guerra. Ancor oggi sono parte integrante di alcuni eserciti, come quello statunitense, in qualità di compagni d’armi delle forze speciali. —María Engracia Muñoz STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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UNO SGUARDO DI MIGLIAIA DI ANNI FA
Elisabeth Daynes, scultrice francese che collabora con paleoantropologi, ha ricostruito così l’aspetto di una donna vissuta ad Abri Pataud (Dordogna) tra i 47mila e i 17mila anni fa. D. CREPIN - E. DAYNES / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
SAPIENS LA GRANDE MIGRAZIONE Oltre 70mila anni fa l’Homo sapiens partì dalla terra dov’era nato, l’Africa, per colonizzare il resto del mondo. Quando è nata la nostra specie e come si è diffusa a partire da quel primo habitat?
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lla fine del XIX secolo alcuni naturalisti, tra cui Charles Darwin, ritenevano che l’origine del genere umano dovesse essere cercata in Africa. In un’epoca in cui gli studi preistorici erano appena agli inizi e tutti i resti fossili di umani moderni conosciuti provenivano dall’Europa, quest’ipotesi era priva di basi solide. Oggi, invece, non esistono dubbi sul fatto che la nostra specie, Homo sapiens, si sviluppò nel continente africano e da lì intraprese un’incredibile migrazione, che le permise di colonizzare gli angoli più remoti del pianeta. Quando e dove comparvero i suoi primi rappresentanti? Com’erano? In che momento e perché iniziarono questa impresa titanica?
Homo ergaster
La nostra origine
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Homo habilis femmina
L A FA MIG LI A UM A N A
P. PLAILLY - E. DAYNES / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
Dalla metà del XX secolo, prima dell’entrata in scena dei genetisti, gli studiosi iniziarono a sostenere due teorie per spiegare l’origine della nostra specie. Il punto di partenza di entrambe erano i resti fossili e gli utensili di pietra che erano stati rinvenuti in varie parti del mondo. Secondo la prima teoria, detta “ipotesi multiregionale”, le popolazioni umane oggi estinte (come l’Homo erectus asiatico), che si erano espanse per il globo dopo le prime migrazioni verso il “vecchio mondo”, sarebbero confluite nell’Homo sapiens. Ciò sarebbe stato il risultato dei contatti sessuali avvenuti tra le varie specie umane, che avrebbero conservato l’unità biologica e favorito la convergenza verso gli umani moderni (ovvero noi). L’alternativa a questo modello è l’“ipotesi monogenetica”, popolarmente nota come“Eva africana”. Secondo questa teoria, tutte le attuali popolazioni umane discenderebbero da una popolazione originaria proveniente dall’Africa che si espanse per tutto il pianeta sostituendosi alle altre specie umane con le quali entrava di volta in volta in contatto. Quest’ultima ipotesi fu confermata grazie alle prime ricerche genetiche sul DNA – ovvero sull’acido deossiribonucleico, la molecola portatrice dell’informazione genetica degli esseri viventi. Nel 1987 uno studio concluse che tutto il DNA mitocondriale umano attuale (quello
lo sviluppo della postura eretta, come risposta alla graduale espansione delle foreste aperte e delle savane in Africa orientale, fu l’inizio del percorso che avrebbe condotto alla nostra specie. A quel momento iniziale, tra i 5,5 e i 2 milioni di anni fa, corrispondono i generi Ardipithecus e Australopithecus. Questi ultimi, il cui rappresentante più noto è Lucy, già 3 milioni di anni fa erano capaci di fabbricare strumenti di pietra. Il genere Homo compare all’incirca 2,8 milioni di anni fa, quasi contemporaneamente a un altro genere con tratti molto marcati, il Paranthropus. Le numerose specie identificate all’interno del genere umano sviluppano gradualmente tratti innovativi come una dentatura più delicata, la pratica sistematica della scheggiatura della pietra (Homo habilis), un corpo con proporzioni moderne e un miglior adattamento a spazi aperti (Homo ergaster), un cervello più grande (Homo rhodesiensis, Homo heidelbergensis) e, infine, una rete sociale, cognitiva e culturale complessa (Homo neanderthalensis, Homo sapiens).
Neandertaliani (donna, bambino e uomo)
Homo sapiens
Paranthropus boisei
Maschio neandertaliano Femmina neandertaliana
Lucy (Australopithecus africanus)
Homo neanderthalensis. 200mila anni fa circa, a partire dal suo antenato Homo heidelbergensis, occupa l’estremità occidentale dell’Eurasia. L’arrivo dei sapiens nel suo territorio circa 40mila anni fa ne segna l’inizio dell’estinzione. Denisoviani. Condividono un antenato comune con i neandertaliani, ovvero le popolazioni africane emigrate in Europa circa 600mila anni fa.
NEANDERTALIANI
DENISOVIANI
HOMO HELMEI
200.000 300.000 400.000 500.000 600.000
HOMO RHODESIENSIS
Homo sapiens. Nasce in Africa 195mila anni fa. Circa 70mila anni fa inizia a espandersi per tutto il pianeta.
700.000
Homo helmei. È una specie creata per riunire i fossili africani tra i 400mila e i 200mila anni fa che presentano segni di transizione tra l’Homo rhodesiensis e l’Homo sapiens.
800.000
Homo rhodesiensis. Vive in Africa tra i 700mila e i 300mila anni fa. Homo ergaster. Nasce in Africa un milione e 800mila anni fa. Confluisce nell’Homo rhodesiensis.
HOMO SAPIENS
HOMO ERGASTER
2. Homo rhodesiensis (Broken Hill, 400mila anni fa)
3. Homo helmei
4. Homo sapiens
(Florisbad, 260mila anni fa)
(Predmosti, 30mila anni fa)
1,2 E 4: AGE FOTOSTOCK. 3: KENNETH GARRETT / NGS
1. Homo ergaster (lago Turkana 1,5 milioni di anni fa)
che si trasmette per via materna) proviene da una sequenza ancestrale africana: circa 200mila anni fa visse in Africa una donna – l’unica di una popolazione teoricamente molto ridotta di umani moderni – i cui dati genetici sono stati trasmessi in una catena continua da madri a figlie e figli fino a oggi.
Il lungo cammino dell’evoluzione umana è segnato da alcune pietre miliari : circa 1,8 milioni di anni fa apparve in Africa l’Homo ergaster, una specie dotata di un corpo di proporzioni moderne che aveva sviluppato comportamenti più complessi di quelli dei suoi predecessori. Tra gli altri l’innovativa tecnica della scheggiatura acheuleana, l’aumento delle attività di caccia, l’espansione in territori più aperti e lo sviluppo delle relazioni sociali. Tra i 700mila e i 500mila anni fa l’Homo ergaster diede origine a una specie distinta, l’Homo rhodesiensis, che aveva un cervello molto più grande. Questa specie presentava notevoli somiglianze con l’Homo heidelbergensis, diffuso in Europa da circa 600mila anni e di cui sono stati ritrovati molti resti nel sito della Sima de los Huesos de Atapuerca (Burgos, Spagna). È probabile che i rhodesiensis africani e gli heidelbergensis europei facessero parte della stessa popolazione originaria africana che emigrò con successo in Eurasia. Il gruppo insediatosi in territorio europeo, dopo essersi adattato alle peculiarità dell’era glaciale, sarebbe sfociato nei neandertaliani. Il gruppo rimasto in Africa sarebbe invece l’antenato più probabile dell’Ho26 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
JAVIER TRUEBA-MSF / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
Una storia di due milioni di anni
LA TERRA DEGLI ANTENATI
Immagine aerea della depressione di Afar, in Etiopia, attraversata dal fiume Auasc. Questa zona, insieme al mar Rosso, è centrale per lo studio dell’evoluzione: qui sono stati rinvenuti fossili di Ardipithecus, Australopithecus, Homo erectus e Homo sapiens. Risalente a 160mila anni fa, l’Homo sapiens idaltu, qui ritrovato, è uno dei primi e più completi fossili ascritti alla nostra specie.
I primi rappresentanti conosciuti della specie Homo sapiens sono apparsi nell’attuale Etiopia e risalgono a 195mila anni fa 28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LA NOSTRA MAPPA GENETICA Questa mappa si basa sullo studio delle tracce genetiche osservate nelle popolazioni attuali: le frecce blu indicano la ricostruzione delle vie migratorie a partire dai marcatori genetici che si trovano nel cromosoma Y (trasmesso dai padri ai figli maschi), mentre le marroni rappresentano le vie migratorie dedotte dai marcatori del DNA mitocondriale (tramandato dalle madri alla prole in generale). Visto che è possibile calcolare la data in cui alcuni rami si uniscono ad altri, oggi sappiamo che l’Homo sapiens ha probabilmente lasciato l’Africa per iniziare la colonizzazione del pianeta meno di 80mila anni fa.
HENNING DALHOFF / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
mo sapiens. Ciò che avvenne in terra africana dopo questa separazione è pieno di incognite. Gruppi che potrebbero essere più moderni dell’Homo rhodesiensis sono contemporanei e addirittura precedenti rispetto ad altri che presentano tratti più arcaici. Nel contesto di questa diversità, circa 195mila anni fa comparve l’Homo sapiens. I fossili trovati a Omo Kibish, nel sud dell’Etiopia, appartengono ai suoi primi rappresentanti. Qui furono scoperti i resti del cranio e dello scheletro di un individuo che gli archeologi chiamarono Omo I e ascrissero ai sapiens. Infatti questo esemplare presenta già le caratteristiche craniche distintive della nostra specie (tralasciando le dimensioni del cervello): una scatola cranica particolarmente alta (che permette l’esistenza di una fronte ampia e verticale), la cresta ossea molto attenuata attorno alle orbite oculari e, infine, la presenza di un mento. Ma il cammino verso la“modernità”dell’uomo in Africa non fu uniforme. La recente analisi dei resti umani esumati nel sito di Iwo Eleru, in Nigeria, di solo 13mila anni fa, rivela dei tratti somatici sorprendentemente arcaici. Ciò indica che la nostra specie si sviluppò in una cornice evolutiva più complessa di quanto si credesse, probabilmente perché a lungo sono coesistite popolazioni molto differenziate o isolate dal punto di vista geografico e demografico. L’archeologia individua alcuni cambiamenti che corrispondono al processo di gestazione dell’Homo sapiens. Per oltre un milione e mezzo di anni non ci furono trasformazioni rilevanti nella culturale materiale degli umani in Africa. L’innovazione tecnologica iniziata dall’Homo ergaster 1,7 milioni di anni fa, denominata acheuleana, era caratterizzata dalla produzione di grandi accette bifacciali, asce, picconi e coltelli che consentivano di svolgere molti compiti legati alla sopravvivenza. Invenzioni, queste, di grande successo e capaci di attraversare il tempo, i continenti e le specie: sono acheuleani,
CARTOGRAFIA: MIKKEL JUUL JENSEN / AGE FOTOSTOCK
Marcatori umani. Le popolazioni umane presentano dei marcatori genetici, ovvero dei frammenti di DNA contenuti nei cromosomi. Questi marcatori possono essere identificati attraverso le generazioni, permettendo così di ricostruire l’albero genetico i cui vari rami costituiscono la varietà umana e derivano dal tronco comune africano.
Ancestrale. Tutti i maschi condividono una configurazione basica, di radice africana.
Cellula Nucleo con cromosomi
Esterno all’Africa. Gli emigrati dall’Africa avevano il nuovo marcatore M168, comune a tutti i non africani.
Euroasiatico. Il marcatore M9, comune agli eurasiatici, apparve nel Vicino Oriente o in Asia centrale. Amerindio. Il marcatore M3 sorse tra la popolazione asiatica che arrivò in America.
Cromosoma Y
Pattern di DNA
Mutazioni ereditarie del DNA M168
M9 M3
50mila anni fa
40mila
10mila NGM ART
MUTAZIONI E DIVERSITÀ UMANA: LA GUIDA DELLE NOSTRE ORIGINI
UN HOMO SAPIENS ATTRAVERSA UN PAESAGGIO INNEVATO IN EUROPA NEL CORSO DELL’ERA GLACIALE. RICOSTRUZIONE DI HENNING DALHOFF.
Nei geni, che sono unità d’informazioni contenute nel nostro DNA, si possono produrre mutazioni o modificazioni casuali che determinano la variabilità all’interno della specie. Le mutazioni genetiche agiscono come marcatori della diversità umana e, dato che è possibile calcolarne il momento della comparsa, permettono di ricostruire a ritroso il percorso fino all’origine della nostra specie. Lo studio della mappa genetica umana ha permesso di calcolare il tempo di gestazione e divergenza dei differenti aplogruppi che costituiscono il nostro genoma. Un aplogruppo (dal greco aplous, unico, semplice)
è un insieme di mutazioni del DNA che tendono a essere trasmesse insieme. Tra le popolazioni africane attuali, le più diverse e antiche del pianeta, sono stati identificati una dozzina di aplogruppi. Il più recente si chiama L3, si è formato circa 83mila anni fa ed è l’origine da cui discendono i due lignaggi non africani che si sono espansi nel resto del mondo, detti M e N. In questi lignaggi si trovano mutazioni che non sono presenti nelle popolazioni africane. Il grafico qui sopra illustra il cromosoma Y di un nativo americano maschio, mettendo in evidenza le mutazioni che indicano la sua lontana origine africana.
per esempio, gli utensili usati dagli heidelbergensis ritrovati ad Atapuerca (Spagna). Tuttavia, circa 250mila anni fa prese avvio in Africa orientale un periodo di innovazione tecnologica conosciuto come Paleolitico medio (MSA, dall’inglese Middle Stone Age). Le grandi accette furono sostituite da attrezzi in pietra di piccole dimensioni, soprattutto da punte che venivano unite a pali di legno, a mo’ di lance. Ciò indica che le tattiche di caccia iniziavano a basarsi su armi da lancio che permettevano di abbattere la preda da una maggiore distanza. Il Paleolitico medio africano sorse quasi in contemporanea alla tecnologia dei neandertaliani europei, il musteriano, con cui presenta notevoli similitudini.
Le comunità africane di Homo sapiens, scarse e isolate, rimasero legate alla tradizione culturale del Paleolitico medio per oltre centomila anni. Durante questo lungo e oscuro periodo non ci fu che qualche timido tentativo di uscire dall’Africa, in direzione del Vicino Oriente e probabilmente dell’Arabia. Ma questi sforzi non ebbero conseguenze sulla successiva colonizzazione del pianeta. Circa centomila anni fa, infatti, in un momento in cui il clima era più umido dell’attuale, gruppi di sapiens emigrarono verso la costa dell’odierno Israele attraverso la penisola del Sinai. Nelle grotte di Skhul, sul Monte Carmelo, e di Qafzeh, sulle montagne della Galilea, sono stati ritrovati resti di almeno undici individui sapiens che, in alcuni casi, erano stati oggetto di una sepoltura rituale. Ma le tracce degli abitanti di Skhul e Qafzeh si persero circa 75mila anni fa. Forse si estinsero a causa dei rigori climatici che caratterizzarono gli inizi dell’ultima glaciazione. Dopo la loro scomparsa furono i neandertaliani, provenienti dall’Europa, ad addentrarsi in questo stesso territorio e a stabilirsi in grotte
All’incirca 100mila anni fa i sapiens uscirono per la prima volta dall’Africa, ma non riuscirono ad andare oltre l’attuale Israele 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Intrappolati in Africa
IN NOVAZIONI TECNICH E i primi homo sapiens africani possedevano una tecnologia molto simile a quella dei neandertaliani europei, il cui tratto più caratteristico era la scheggiatura Levallois. Tramite la preparazione preliminare del nucleo della pietra, questa tecnica permetteva di ottenere delle schegge sottili, con una forma determinata in anticipo. Si trattava soprattutto di punte da unire all’estremità di aste di legno per costruire lance. Più tardi, tra le innovazioni dell’Homo sapiens, si diffuse una nuova tecnica di scheggiatura ancor più efficace, quella laminare, che consentiva di ottenere lame più sottili e affilate rispetto alle schegge Levallois (le lame sono schegge più lunghe che larghe). Questi versatili strumenti furono utilizzati nell’elaborazione di una grande varietà di armi da lancio, sempre più leggere.
ANTICHI CACCIATORI
Un Homo sapiens caccia bufali neri nei pressi del lago Eyasi (Tanzania). Il miglioramento tecnologico prodotto in Africa dai sapiens, che includeva metodi molto più efficaci di propulsione delle armi, come l’arco, è connesso alla specializzazione delle strategie di caccia. Immagine di Mauricio Antón.
J. READER / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
Lame provenienti da Klasies, in Sudafrica, vicino all’oceano Indiano. Furono fabbricate tra gli 80mila e i 70mila anni fa.
Punta e nucleo litico da cui è stata estratta con la tecnica Levallois. Institut de préhistoire et de géologie du quaternaire, Talence.
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R .B
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GS
vicine. Molti specialisti concordano sul fatto che la presenza di sapiens e neandertaliani in questa piccola area fu una coincidenza e che le due specie non arrivarono a incontrarsi.
32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
G LI UM A NI DI B LOM BOS
NGM MAPS
Se c’è una cosa che caratterizza l’Homo sapiens, oltre ad alcuni tratti fisici esclusivi, è il cosiddetto “comportamento umano moderno”: le innovazioni cognitive e culturali giunte fino ai nostri giorni e che costituiscono un’altra pietra miliare nella storia dell’evoluzione umana. L’archeologia identifica questo comportamento nello sviluppo di una tecnologia più potente, diversificata ed efficace per l’adattamento a ecosistemi molto diversi; nella capacità di usufruire di molte più risorse alimentari (come quelle dei fiumi e dei mari); nel rafforzamento di reti di scambio di beni e idee tra popolazioni lontane tra loro e, soprattutto, nel comportamento simbolico. La nostra specie è capace di dare un contenuto simbolico a ogni aspetto della vita quotidiana attraverso il linguaggio, l’arte e l’ornamento personale. Per molti millenni dopo la sua comparsa l’Homo sapiens non si distinse culturalmente dai suoi parenti neandertaliani. La modernità anatomica dei sapiens precedette ampiamente quella culturale, i cui inizi risalgono a circa 80mila anni fa. I siti archeologici di varie regioni africane (soprattutto nella parte meridionale del continente) testimoniano la comparsa in quell’epoca di nuove tecniche di lavorazione della pietra. Questi metodi erano mirati a produrre schegge molto strette e allungate, a partire dalle quali si svilupparono microliti, strumenti di dimensioni ridotte che permisero la creazione di armi da lancio ancora più sofisticate di quelle esistenti fino a quel momento. Questi cambiamenti culturali furono accompagnati dalla comparsa di armi in osso e dal consumo intensivo di risorse marine. E anche dall’apparizione di oggetti come i monili ottenuti da conchiglie perforate (ornamento personale ma anche elemento di identità di gruppo), o di disegni geometrici su frammenti di ocra o di guscio di uova di struzzo, che dimostrano un incipiente sviluppo di codici simbolici di cui ignoriamo, però, il significato. Inoltre, l’origine di alcune rocce usate per
STEPHEN ALVAREZ / NGS
La grande esplosione
la grotta sudafricana di Blombos costituisce una delle principali fonti d’informazione sull’origine e lo sviluppo della modernità nel comportamento dell’Homo sapiens. Tra i 100mila e i 70mila anni fa fu visitata sporadicamente da gruppi umani che utilizzavano la grande varietà di risorse costiere (molluschi, pesci, tartarughe o foche) e di erbivori terrestri (come l’antilope africana AF RI CA eland). Tra i resti archeologici qui rivenuti vi sono magniREP. DEM. DEL fiche punte scheggiate a CONGO pressione (una tecnica che NAMIBIA SUDAFRICA ritroveremo molto più tardi, Diepkloof Blombos nel Paleolitico superiore eue Klipdrift ropeo) e artefatti appuntiti in
LA GROTTA DI BLOMBOS ALL’ALBA
Capo Agulhas, in Sudafrica, è il punto più meridionale del continente africano, dove si incontrano gli oceani Atlantico e Indiano. Circa 120 km più a est, in linea retta, si trova la grotta di Blombos, un sito archeologico decisivo per conoscere la storia della partenza dell’Homo sapiens dall’Africa.
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osso, che probabilmente venivano usati come proiettili. Blombos è famosa per il ritrovamento di conchiglie marine perforate e, soprattutto, di svariati frammenti di ocra, presumibilmente utilizzati come pigmenti e che, in alcuni casi, presentano variopinte incisioni geometriche. Questi elementi testimoniano che all’epoca esistevano già la rappresentazione astratta e l’ornamentazione personale, elementi caratteristici del pensiero simbolico complesso.
Frammenti di osso levigato per ottenerne punte. Furono probabilmente usati come punte di armi da lancio e per perforare cuoio o conchiglie. L’ocra è un pigmento naturale che veniva usato a Blombos. Su questo frammento fu inciso un complesso disegno geometrico. Le conchiglie marine venivano perforate intenzionalmente e quindi usate per produrre gioielli, come collane o ciondoli. FOTO: STEPHEN ALVAREZ / NGS. PROF. C.S. HENSHILWOOD OF THE EVOLUTIONARY STUDIES INSTITUTE, UNIVERSITÀ DI WITWATERSRAND, SUDAFRICA
Ponte sullo stretto di Bering
20.000-15.000 anni fa
l’intaglio e la preparazione delle collane si trova a grande distanza dagli insediamenti dove si effettuavano queste operazioni, il che indica l’esistenza di reti commerciali.
6 Kennewick
L’esodo sapiens
9.500 anni fa
Oggi i progressi scientifici permettono di usare delle frazioni di DNA, come il cromosoma Y (che si trasmette per via maschile), per ricostruire le tappe della nostra specie. Questo lungo cammino iniziò all’incirca 70mila anni fa grazie a un piccolo gruppo di sapiens africani che, decimato dai rigori del clima, si trovava isolato in qualche angolo dell’Africa orientale ed era dotato della capacità di sviluppare un comportamento simbolico e moderno. La porta di uscita verso il resto del mondo fu un passaggio (oggi sommerso per l’innalzamento del livello del mare) nello stretto di Bab el-Mandeb, tra il mar Rosso e il golfo di Aden, che separa il Corno d’Africa dalla penisola Arabica. Seguendo vie costiere, i nostri antenati dovettero raggiungere l’India: a Jwalapuram sono state trovate tracce della presenza dell’Homo sapiens risalenti appunto a circa 70mila anni fa. Da questa zona dell’Asia meridionale, alcuni gruppi proseguirono il cammino verso l’Estremo Oriente e arrivarono in Australia circa 50mila anni fa, o forse addirittura prima. In quel momento questi gruppi sapevano già usare imbarcazioni rudimentali. Le barriere climatiche e ambientali probabilmente ritardarono l’arrivo in Europa, che avvenne attorno ai 45mila anni fa attraverso il Mediterraneo orientale, a partire da un gruppo proveniente dal continente asiatico. Infine, i sapiens che si insediarono in Asia centrale furono responsabili di un’ondata espansiva che, approssimativamente 15mila anni fa, li condusse, tramite le terre allora emerse dello stretto di Bering, alla conquista dell’immenso continente americano.
Grotta di Spirit 9.500-9.400 anni fa
34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Clovis
13.500 anni fa
Meadowcroft 19.000-12.000 anni fa
AMERICA DEL SUD
15.000-12.000 anni fa Monte Verde 14.800 anni fa
IL PIÙ GRANDE VIAGGIO DELLA STORIA
CARTOGRAFIA: NGM-E
Neandertaliani e denisoviani Quando i sapiens intrapresero il grande esodo dall’Africa non erano soli sul pianeta. Altre specie umane – frutto di migrazioni più antiche, come l’Homo erectus – sopravvivevano in varie regioni dell’Eurasia. L’ipotesi dell’ “Eva africana”implica che la nostra specie, una volta giunta in quelle terre, si sostituì alle al-
AMERICA DEL NORD
circa 70mila anni fa il clima dell’Africa venne probabilmente modificato dalla rigidità delle glaciazioni – che provocarono un incremento della siccità nel continente – e dagli effetti della grande eruzione del vulcano Toba (sull’isola indonesiana di Sumatra), che causò un abbassamento della temperatura. Il risultato fu una riduzione del numero di umani nell’epoca in cui avvenne l’esodo dei sapiens. I percorsi con cui questi si distribuirono per il globo furono determinati dal susseguirsi di periodi glaciali e interglaciali, che provocarono un’alternanza di epoche di gelo e disgelo, fredde e temperate, umide e aride… I deserti del Sahara, del Sinai e dell’Arabia potevano essere attraversati solo nei momenti interglaciali, quando l’aumento dell’umidità e della vegetazione apriva nuove vie di transito.
Ponte sullo stretto di Bering Fiume Jana
30.000 anni fa
4 40.000-30.000 anni fa
•• • • ••
••••• • •••• • •
40.000 anni fa
ASIA
Peştera cu Oase 35.000 anni fa
5
Zhoukoudian
(Choukoutien) 11.000 anni fa
Minatogawa
Qafzeh
18.000 anni fa
100.000 anni fa
2 Mar Rosso
AFRICA
70.000-50.000 anni fa
Omo Kibish
L’umano moderno più antico 195.000 anni fa
1
Grotta di Niah 40.000 anni fa
200.000 anni fa
Malakunanja
50.000 anni fa
3
50.000 anni fa
AUSTRALIA Delta del fiume Klasies 120.000 anni fa
Lago Mungo
Giacimento di 40.000 Data di migrazione fossili o utensili anni fa
Percorso più frequente
45.000 anni fa
1 L A CU L L A AF R I C A N A Si pensa che l’Homo sapiens sia comparso circa 195mila anni fa in Africa. I fossili più antichi sono stati ritrovati a Omo Kibish (Etiopia). I più antichi fuori dall’Africa, invece, sono stati rinvenuti in Israele, ma i sapiens che vi giunsero non proseguirono oltre e si estinsero circa 75mila anni fa.
2 V I A DALL’AF RIC A I dati genetici indicano che un gruppo di sapiens lasciò l’Africa tra i 70mila e i 50mila anni fa, e gradualmente sostituì tutte le specie umane anteriori, tra cui i neandertaliani. Tutti i non africani odierni discendono da quei primi viaggiatori che attraversarono il mar Rosso.
3 AU S TRALIA I ritrovamenti di utensili a Malakunanja e di fossili nel lago Mungo indicano che i sapiens arrivarono in Australia circa 50mila anni fa procedendo lungo le coste dell’Asia meridionale. I loro discendenti, gli aborigeni australiani, rimasero geneticamente isolati fino al XVIII secolo.
4 E U ROPA A lungo si è pensato che fosse stata popolata a partire dal nord Africa, ma i dati genetici più recenti mettono in discussione questa ipotesi e aprono la strada ad altre ricostruzioni. È possibile che il continente sia stato colonizzato da una migrazione proveniente dall’Asia circa 45mila anni fa.
5 ASIA Circa 40mila anni fa i sapiens penetrarono in Asia centrale e raggiunsero le steppe erbose a nord dell’Himalaya. Nel contempo altri gruppi si trasferivano nel sud-est asiatico, arrivando fino al Giappone e alla Siberia. Il DNA indica che le popolazioni del nord Asia emigrarono in America.
6 IL N U OVO M ON D O La genetica rivela che i primi coloni arrivarono tra i 20mila e i 15mila anni fa, quando il livello del mare era più basso e la Siberia e l’Alaska erano unite da un ponte di terra. Forse l’America del nord era coperta di ghiaccio e questo spinse le popolazioni a dirigersi verso sud, lungo la costa ovest.
Antenato comune dell’uomo di Neanderthal e di Denisova Neanderthal
tre. Ma le ultime scoperte sulla relazione che l’Homo sapiens stabilì con due di loro, neandertaliani e denisoviani, hanno modificato alcune idee sul modo in cui i nostri antenati conquistarono il pianeta. I neandertaliani, discendenti degli heidelbergensis, avevano abitato l’Europa per millenni. Scomparvero circa 30mila anni fa nella parte meridionale del continente, in concomitanza con l’arrivo nel loro territorio dei sapiens. Oggi sappiamo che, tramite scambi sessuali, i neandertaliani trasferirono circa il due per cento del proprio genoma a tutte le attuali popolazioni non africane. Gli incroci probabilmente furono molto intensi: uno dei fossili più antichi di Homo sapiens rinvenuti in Europa, a Pes,tera cu Oase (Romania), risalente a 40mila anni fa, contiene fino al nove per cento di genoma neandertaliano. Il caso della grotta di Denisova, nella regione siberiana dell’Altaj, in Russia, è ancor più sorprendente. I denisoviani sono l’unica specie umana che è stata definita solo attraverso il DNA. Gli scarsissimi resti fossili dei denisoviani contengono così poche informazioni che inizialmente si è creduto fossero neandertaliani. Di fatto, entrambe le specie provengono da uno stesso tronco comune e iniziarono a separarsi non più di 400mila anni fa. I denisoviani hanno contribuito fino a un cinque per cento al genoma delle popolazioni di regioni tanto diverse come l’Oceania, l’Oriente Euroasiatico e l’America.
E U R O PA
36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Grotta di Denisova ASIA
EQUATORE
AUSTRALIA
500mila-250mila anni. Quando l’antenato comune di denisoviani e neandertaliani abbandonò l’Africa, la popolazione si divise. I neandertaliani popolarono l’Europa e i denisoviani l’Asia.
100mila-60mila anni. Il territorio neandertaliano si estese verso est sovrapponendosi a quello denisoviano. Nella grotta di Denisova (Siberia) sono state trovate tracce della presenza di entrambe le specie.
INCONTRO N EL SU D - ES T A S I ATICO
JUAN VELASCO / NGS
FERNANDO DÍEZ MARTÍN UNIVERSITÀ DI VALLADOLID. AUTORE DEL LIBRO EL LARGO VIAJE. ARQUELOGÍA DE LOS ORÍGENES HUMANOS Y LAS PRIMERAS MIGRACIONES
Umani moderni
AFRICA
Eravamo così diversi? Neandertaliani e denisoviani hanno lasciato la loro impronta genetica in tutti gli umani attuali non africani. Il loro contributo, per quanto modesto, suggerisce che l’esodo della nostra specie e il suo incontro con altri esseri umani sia stato molto più complesso e molto più denso di sfumature di quanto avremmo mai potuto immaginare. In considerazione di questi ultimi dati genetici, si dovrebbe dare per buona la vecchia ipotesi multiregionale? E accettare che le differenze biologiche, culturali e sociali tra neandertaliani e sapiens fossero molto minori di quanto ritenuto tradizionalmente?
Denisova
un terzo tipo di umano, il denisoviano, coesistette in Asia con i neandertaliani e con i sapiens. Queste due ultime specie sono conosciute grazie agli abbondanti ritrovamenti di fossili e utensili. Dei denisoviani, invece, conosciamo solo il DNA di un frammento osseo e due denti (due molari) ritrovati nella grotta siberiana di Denisova (Russia). Non sono stati trovati crani o strumenti che permettano di ricostruire le sembianze e il comportamento di questa specie, che è stata identificata nel 2010. Non si sa cosa avvenne quando i sapiens emigrati dall’Africa incontrarono i denisoviani, episodio ricostruito nell’illustrazione qui accanto. Ciò che è certo, in quanto geneticamente provato, è che quegli incontri generarono una discendenza, come indicato dall’analisi del DNA degli umani attuali.
Regione di ibridazione Con Neanderthal
Con Denisova
Grotta di Denisova
70mila-40mila anni fa. Dopo aver lasciato l’Africa, gli umani moderni si incontrarono con i neandertaliani in Medio Oriente e successivamente con i denisoviani nel sudest asiatico.
Le tracce di DNA neandertaliano in tutti gli umani attuali non africani, e quelle di DNA denisoviano negli aborigeni dell’Australasia, dimostrano che i nostri antenati si mischiarono con queste due specie.
Neanderthal
2,5 %
DNA di euroasiatici e americani (del Nord e del Sud) Denisova
2,5 %
5%
DNA degli aborigeni d’Australasia
Traffici di principesse nell’antichità
L’HAREM DEI Soprattutto durante il Nuovo Regno, i faraoni sposavano le figlie di re stranieri 38 HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC
LE OTTO PRINCIPESSE STRANIERE
In questo bassorilievo della tomba di Kheruef – un alto funzionario vissuto durante il regno di Amenofi III – si vedono otto giovani che offrono libagioni per il giubileo del faraone. Le iscrizioni le identificano come figlie di governanti di Paesi stranieri. ARALDO DE LUCA
FARAONI per stabilire alleanze proficue
HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC
39
Harem sud Harem nord
L’HAREM DI AMARNA
Amenofi III fece creare vari scarabei per commemorare le sue nozze. L’esemplare qui in basso celebra quelle con la regina Tiy. Brooklyn Museum, NY.
N
ell’antico Egitto, la maggior parte delle donne legate all’ambiente reale viveva nell’harem, un luogo che gli egizi chiamavano ipet-nesut. C’era un harem a Menfi, uno a Tebe e almeno uno ad Amarna. Ma il più famoso e importante di tutti era quello di Medinet el-Ghurab, creato durante il regno di Thutmose III (1490-1436 a.C.) e situato all’ingresso dell’oasi del Fayyum. Gli harem non erano residenze o edifici collegati al palazzo reale. Al contrario, ognuno di essi era un’istituzione indipendente allo stesso livello della casa reale. Potevano ospitare centinaia di donne, tra cui le mogli secondarie del faraone e altre ragazze che venivano chiamate con diversi titoli,
come “Ornamenti del re” e “Bellezze vive del palazzo”. Tutte si muovevano con i rispettivi seguiti. Non è chiaro se il faraone visitasse l’harem periodicamente oppure se fosse il luogo nel quale mandava le donne di cui si era stufato o che, semplicemente, considerava che fossero diventate “di troppo”.
Una società femminile L’harem egizio era un’istituzione economicamente indipendente: aveva terre – potenzialmente coltivabili –, granai, fattorie, laboratori di produzione, mandrie… L’amministrazione di questo complesso era affidata a personale maschile e disponeva di specifiche voci di bilancio del tesoro reale. A capo dell’harem c’era un uomo di fiducia del faraone.
C R O N O LO G I A
REGINE DELL’ HAREM BR
DG
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EM
AN
/A
CI
3100 a.C.
1490-1436 a.C.
I primi harem reali documentati sono del Periodo predinastico. Vi risiedono le donne e vi si educano i bambini.
Durante il suo regno Thutmose III crea l’harem di Medinet el-Ghurab, una sorta di piccola città all’ingresso dell’oasi del Fayyum.
BRIDGEMAN / ACI
SCARABEO MATRIMONIALE
ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © ÉDITIONS ERRANCE
Nella nuova capitale d’Egitto fondata da Akhenaton sono state trovate una serie di stanze collegate al palazzo reale che gli archeologi hanno identificato con l’harem.
IL CAPO DELL’HAREM DEL FARAONE
In questa stele, Hormi, il capo dell’harem reale di Seti I, viene ricompensato dal faraone per i suoi leali servizi. Il funzionario, con le braccia alzate, riceve dal monarca – che si affaccia alla cosiddetta “finestra delle apparizioni” – vari collari shebyu d’oro, che due servitori gli fanno indossare.
1412-1402 a.C.
1402-1364 a.C.
1364-1347 a.C.
1246 a.C.
Thutmose IV sposa una figlia di Artatama I, re di Mitanni, per stabilire un’alleanza diplomatica dopo anni di guerra.
Al principio del suo regno Amenofi III sposa la mitannica Gilukhipa, fatto noto grazie a uno scarabeo commemorativo.
Akhenaton continua la pratica di sposare principesse straniere, che vengono trasferite nell’harem di Amarna.
Dopo lunghi anni di conflitto Ramses II sigla la pace con gli ittiti tramite il suo matrimonio con la figlia di Hattusili III.
IN QUESTO BASSORILIEVO, AMENOFI III, CON UNA CORONA ATEF SUL CAPO, SI INGINOCCHIA DAVANTI AD AMON, SEDUTO SUL TRONO. IL DIO TENDE LA MANO VERSO IL FARAONE IN UN GESTO DI PROTEZIONE.
Lettere ai re vassalli CON IL NOME di Lettere di Amarna ci si riferisce alla corrispondenza diplomatica intercorsa tra l’Egitto e i Paesi stranieri, vassalli e non, durante i regni dei faraoni Amenofi III e Akhenaton. Incisi su tavolette di argilla e scritti in caratteri cuneiformi, questi testi fanno luce sui matrimoni diplomatici di alcuni sovrani egizi del Nuovo regno con le figlie di governanti stranieri. IN UNA DI QUESTE LETTERE uno dei governanti stranieri scrive al faraone: «Ho inviato mia figlia a corte per il re mio signore, mio dio, mio dio solare». In un’altra epistola, invece, il faraone chiede a un governante siriano, tributario dell’Egitto: «Manda tua figlia al re, tuo signore, e come regalo invia trenta servi in buona salute, e manda anche carri d’argento e cavalli sani e robusti».
WERNER FORMA
N / GTRES
PRINCIPESSE D’EGITTO Alcuni faraoni, come Akhenaton o Ramses II, sposarono anche le proprie figlie. Sotto, statuetta di una giovane principessa. XVIII dinastia.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questi non era un eunuco: sembra, infatti, che la figura non esistesse nell’Egitto faraonico. In alcuni documenti amministrativi dell’epoca (conservati, in alcuni casi, in forma molto frammentaria) sono registrate le quantità di cereali, carne, pesce, frutta e olio di cui veniva rifornito l’harem. Altri testi indicano che al loro interno si svolgeva una produzione tessile redditizia – le donne filavano, tessevano e cucivano – che contribuiva in parte a coprire i costi degli stessi. Sembra inoltre che negli harem venissero cresciuti ed educati i figli del faraone e degli alti dignitari. Alcune fonti scritte riferiscono di un’istituzione detta la “Casa dei figli reali”, ma non è chiaro se questa fosse parte dell’harem o se costituisse un’unità amministrativa a sé stante. Il numero delle donne alloggiate nell’harem variò considerevolmente da un’epoca all’altra. Si pensa, in ogni caso, che raggiunse il suo apice durante il Nuovo regno (1552-1069 a.C.), periodo nel quale arrivò a ospitare svariate centinaia di persone.
Moltissime di loro erano figlie di nobili e di alti funzionari e, probabilmente, consideravano l’ingresso nell’harem un’opportunità di promozione o la possibilità di diventare regine d’Egitto e madri di un futuro faraone. A mano a mano che l’Egitto si espanse territorialmente, iniziarono a entrare nell’harem molte principesse straniere, con i loro ampi entourage. Si trattava di ragazze giovani, figlie di alleati o vassalli del faraone, che venivano sposate per motivi di politica estera e godevano di privilegi diplomatici. Secondo le fonti testuali, iconografiche e archeologiche giunte fino a noi, esisteva già un harem a Menfi durante la V dinastia (24942345 a.C.), durante il regno del faraone Sahure, che accolse una principessa di Biblos cui concesse il titolo di Seconda sposa reale. Ciononostante, fu soprattutto a partire dal Nuovo regno, durante la XVIII e la XIX dinastia, che i faraoni iniziarono a sposarsi non solo con donne egizie ma anche con principesse straniere con l’obiettivo di consolidare alleanze diplomatiche con altri popoli. I nomi delle donne, in questi casi, non erano egiziani e potevano indicarne la provenienza. Di molte di
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SCALA, FIRENZE
I COLOSSI DI MEMNONE
Queste grandiose statue sono praticamente tutto quello che resta del tempio funerario di Amenofi III, nella parte occidentale di Tebe. Poco piĂš in lĂ , a Malkata, sorgeva il palazzo reale eretto dal faraone, che disponeva di un enorme harem.
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UN REGNO MISTERIOSO Mitanni era situato nel nord dell’attuale Siria. Le rovine della capitale, Wassugani, non sono ancora state localizzate. Sotto, ceramica mitannica. 1500 a.C.
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loro è rimasto però solo il titolo di Sposa reale, dal quale non è possibile dedurre le origini. Di altre si sono conservate invece informazioni molto più precise.
Trecento spose per il re Sembra che in Egitto ci fossero due tipi di matrimoni diplomatici. Da una parte c’erano unioni nelle quali il padre della sposa era un tributario del faraone che mandava la figlia presso la corte del sovrano in segno di sottomissione e lealtà all’Egitto. Dall’altra vi erano matrimoni in cui il padre della sposa era un re importante, con uno status simile a quello del faraone: in questo caso i leader si rivolgevano l’un l’altro con l’appellativo di “fratello”. Praticamente tutto quello che sappiamo sui matrimoni diplomatici della XVIII dinastia proviene da fonti non egiziane e dalle cosiddette Lettere di Amarna, ovvero dalla corrispondenza diplomatica intrattenuta dal faraone Amenofi III e dal figlio Akhenaton con altri sovrani del Vici-
no Oriente. Il risultato di questo scambio di lettere venne scoperto nella città di Amarna verso la fine dell’ottocento. Poco dopo la sua ascesa al trono, Amenofi III decise di consolidare l’alleanza, firmata dal padre Thutmose IV, con il regno di Mitanni chiedendo la mano di Gilukhipa, la figlia del re Shuttarna II. Secondo uno scarabeo commemorativo del matrimonio, Gilukhipa arrivò in Egitto accompagnata da 317 donne del suo seguito. Alla morte di Shuttarna, Amenofi III scrisse rapidamente al nuovo re di Mitanni, Tushratta, chiedendogli la mano della figlia Tadukhipa, un gesto chiaramente indicativo della funzione che avevano questi matrimoni nel mantenimento dei legami tra i due popoli: un’unione che, a quanto pare, doveva essere rinnovata, alla morte di un re, mediante nuove nozze. Allo stesso modo, Amenofi III sposò anche una figlia di Kurigalzu II, re di Babilonia, e più tardi chiese in moglie anche la figlia del suo successore. A questi matrimoni diplomatici vanno aggiunte le quaranta donne provenienti da varie città-stato della regione di Gaza che furono inviate all’harem di Amenofi III. Secondo una tavoletta cuneiforme trovata negli archivi di Amarna, l’harem di questo faraone sarebbe arrivato a ospitare circa 356 donne straniere.
Ramses II e le principesse ittite Durante la XIX dinastia, Ramses II (1289-1224 a.C.) mantenne la tradizione dei matrimoni con principesse straniere per ragioni di stato. Nel corso del suo lungo regno Ramses II sposò una figlia del re di Babilonia e la figlia di un governante del nord della Siria, anche se i suoi matrimoni diplomatici più noti furono quelli con due principesse ittite. Uno di questi si celebrò nell’anno 34 del suo regno e servì a siglare la pace con Hattusili III dopo un lungo periodo di ostilità. Intorno al 1246 a.C. il re ittita inviò in Egitto la sua figlia primogenita con un carico d’oro, argento, gioielli, animali e schiavi. Ramses, in cambio, versò per lei un’ingente dote. Arrivata in Egitto, la principessa ittita – di cui non si conosce il vero nome – andò a risiedere nell’harem di Medinet el-Ghurab. La nuova regina, figlia di Hattusili III e di Puduhepa (la donna più importante e nota della storia ittita) assunse il nome egizio di Maathorneferure, che significa “Neferure, colei che vede Horus”: era infatti un’usanza
INCISIONE. DEA / AGE FOTOSTOCK. VASO. ARALDO DE LUCA
NEL RAMESSEUM, TEMPIO FUNERARIO DI RAMSES II, SONO RAPPRESENTATI I FIGLI E LE VARIE MOGLI DEL FARAONE.
ARRIVO DI UNA PRINCIPESSA NUBIANA ALLA CORTE EGIZIA. COPIA DI UN DIPINTO. L’ATLAS DE L’HISTOIRE DE L’ART ÉGYPTIEN, ÉMILE PRISSE D’AVENNES. 1878, PARIGI.
UNA PRINCIPESSA NUBIANA IN EGITTO LE PRINCIPESSE STRANIERE destinate ad andare in mogli
ai faraoni egizi non provenivano solo dalle zone del Vicino Oriente, ma anche da altre regioni poste sotto la dominazione egizia. È documentato che durante il regno di Tutankhamon (1346-1337 a.C., XVIII dinastia), tra le molte donne che entrarono nell’harem reale c’era anche una principessa della regione di Wawat (Nubia, tra l’attuale sud dell’Egitto e il Sudan), accompagnata da un seguito di donne e uomini. Le immagini dell’avvenimento giunte sino a noi mostrano che la principessa fu condotta in Egitto su un carro trainato da buoi maculati, scortata da guardie che garantivano la sua sicurezza e accompagnata da portatori incaricati di sorvegliare tutti i suoi beni, che includevano mobili, corredo, casse di legno colme di tessuti, gioielli e altre ricchezze. VASO CANOPO DI ALABASTRO RINVENUTO NELLA TOMBA DI AKHENATON (KV55) NELLA VALLE DEI RE. SI RITIENE RAPPRESENTI SUA MOGLIE, LA REGINA KIYA, FORSE DI ORIGINE STRANIERA.
Congiura contro Ramses III TRA LE MURA dell’harem reale viveva una
moltitudine di persone: mogli principali e secondarie, personale di servizio, consiglieri, confidenti… All’interno degli harem si ordivano intrighi e congiure, e alcuni documenti testimoniano persino l’omicidio di un faraone. E provano che le donne in Egitto svolgevano un ruolo politico di rilievo.
PAPIRO GIURIDICO DI TORINO. ANCHE SE INCOMPLETO, REGISTRA IL PROCESSO GIUDIZIARIO CONTRO GLI ASSASSINI DI RAMSES III. MUSEO EGIZIO, TORINO.
SOTTO IL REGNO di Ramses III ci fu una grande cospirazione all’interno dell’harem. Tutto il processo è documentato nel Papiro giuridico di Torino (detto anche Papiro legale di Torino o Papiro della congiura dell’harem). Una delle mogli del faraone, Tiye, ordì una macchinazione per far salire al trono suo figlio e riuscì a organizzare una rivolta che culminò nell’omicidio del sovrano. Non c’era luogo migliore dell’harem per tramare un complotto simile.
RHYTON ITTITA A FORMA DI CERVO
Quest’oggetto d’argento veniva usato per bere o per effettuare libagioni. Sulla schiena del cervo, un personaggio fa offerte agli dèi. 1400-1200 a.C.
WERNER
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che le principesse straniere giunte in Egitto cambiassero il proprio nome con uno autoctono. A quell’epoca era già morta la Grande sposa reale di Ramses II, la colta e influente Nefertari. L’arrivo di questa principessa ittita rappresentò indubbiamente un avvenimento di massima importanza, come indica la cosiddetta Stele del matrimonio: «La figlia del re ittita è stata presentata a Sua Maestà […] Sua Maestà ha contemplato la bellezza dei lineamenti di lei, prima tra le donne, e i grandi l’hanno onorata come se fosse una dea […] Le è stato assegnato il nome egizio di Sposa reale Maathorneferure, lunga vita alla figlia del grande re ittita e della grande regina ittita». Ben presto Maathorneferure venne nominata Grande sposa reale. Dal quel che sappiamo, si trattava di un onore inusuale per le regine di origine straniera. A ogni modo, non esercitò mai le funzioni proprie di questo titolo. La cosa certa è che, dal momento del suo arrivo in Egitto, il nome di Maathorneferure appare citato pochissime volte. Si sa che partorì una figlia, che secondo la tradizione si chiamava
Neferure, e che dovette abituarsi abbastanza rapidamente alla tranquilla e agiata vita dell’harem. Probabilmente morì poco dopo il parto. Intorno al quarantesimo anno del suo regno, il faraone sposò la sorella di lei. Tutte queste donne, venute da Paesi così diversi come Mitanni, Babilonia, il regno ittita o la Bassa Nubia, restarono probabilmente impressionate di fronte alla ricchezza e alle tradizioni dell’Egitto, la loro terra d’adozione. La presenza di queste principesse straniere in ambiente reale dovette favorire anche l’introduzione di nuove conoscenze e usanze, sia tra le élite della società egiziana che alla corte faraonica. Inoltre, rappresentò un’iniezione di nuova linfa nella famiglia reale, soprattutto a partire dalla XVIII dinastia. Durante il Nuovo regno nessuna principessa egiziana andò invece all’estero come tributo diplomatico. Quando il re di Babilonia osò chiedere a Ramses II la mano di una delle sue figlie, il faraone si limitò a ricordargli che «da tempo immemorabile nessuna figlia del sovrano d’Egitto viene data in sposa». IRENE CORDÓN STORICA. MEMBRO DELLA SOCIETÀ CATALANA DI EGITTOLOGIA
RICHARD MASCHMEYER / AGE FOTOSTOCK
FMAE / SCALA, FIRENZE
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TEMPIO FUNERARIO DI MEDINET HABU
Fatto costruire da Ramses III sulla sponda occidentale di Tebe, conserva gran parte della sua decorazione pittorica, come si può vedere nell’immagine. Nel migdol, torre simile a una fortificazione, il re si fece rappresentare in compagnia delle donne del suo harem. HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GLI HAREM, DALL’ASSIRIA Fin dall’antichità, molte case reali d’Oriente crearono dei ginecei destinati al
RAMSES NEL SUO HAREM. OLIO DI JEAN-JULES-ANTOINE LECOMTE DU NOÜY. XIX SECOLO. MUSÉE D’ORSAY, PARIGI.
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gli assiri. La moglie principale del re assiro godeva di grande importanza a corte. Ma usciva dal palazzo solamente per partecipare a cerimonie religiose, assistere ad attività politiche o effettuare ispezioni che avessero a che vedere con la gestione del suo patrimonio. Il resto della sua vita trascorreva negli appartamenti privati del palazzo, una zona che veniva chiamata bitanu. Qui conviveva con le mogli secondarie del sovrano e con i rispettivi figli. L’accesso di altre persone al bitanu era molto limitato e vigilato, e la vita al suo interno era strettamente disciplinata. ASSURBANIPAL E SUA MOGLIE BEVONO SOTTO UN PERGOLATO. BASSORILIEVO ASSIRO. VII SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM.
SOPRA. PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS. 1. ORONOZ / ALBUM. 2. BRIDGEMAN / ACI. 3. AKG / ALBUM. 4. FINE ART / ALBUM.
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i persiani achemenidi. Il Gran re di Persia aveva un harem con varie mogli e concubine. Per esempio Dario I aveva sei spose. La preferita era Aristona, della quale, secondo Erodoto, il re aveva fatto collocare una statua d’oro nel palazzo. La regina poteva avere proprietà e beni e, se era la madre dell’erede al trono, riceveva il titolo di Regina delle regine, che le concedeva grande potere e influenza, come nel caso della madre di Serse, Atossa. L’harem arrivò a ospitare circa 400 donne, sorvegliate da eunuchi. Quando si spostavano insieme al re non potevano essere viste da nessuno. Parti e sasanidi avrebbero proseguito la tradizione dell’harem in Persia. RHYTON PERSIANO ACHEMENIDE IN ORO A FORMA DI LEONE ALATO. MUSEO NAZIONALE DELL’IRAN, TEHERAN.
ALL’IMPERO OTTOMANO piacere del sovrano e a garantire il perpetuarsi della dinastia
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l’india moghul. Dopo la conquista musulmana dell’India da parte dei moghul, ovvero a partire dal XVI secolo, le donne iniziarono a essere rinchiuse in una zona della casa destinata esclusivamente a loro, chiamata zenana, dove si riteneva che potessero stare al riparo da sguardi indiscreti. Gli imperatori moghul fecero la stessa cosa nei palazzi reali, dove le zenana divennero veri e propri universi femminili. Si ritiene che nel palazzo della città di Fatehpur Sikri siano arrivate a convivere oltre cinquemila donne. UNA DONNA FUMA IL NARGHILÈ IN UN HAREM MENTRE ALTRE LA SERVONO. MINIATURA INDIANA. 1750.
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impero ottomano. L’harem era un’istituzione di vitale importanza ed era gestito dal capo degli eunuchi. Le donne vivevano sotto rigide norme e in una stretta gerarchia. Al primo posto c’era la sultan valide, ovvero la madre del sultano. Dopo di lei, la prima moglie del sovrano o la madre del suo primogenito. Dopo ancora venivano le mogli secondarie e le preferite. All’ultimo posto c’erano le concubine. In tutto, l’harem poteva essere formato da oltre mille persone, tra schiave, eunuchi e figli delle varie donne. UN’ODALISCA PORTA UN VASSOIO IN UN HAREM OTTOMANO. OLIO DI JULES JOSEPH LEFEBVRE. XIX SECOLO. MUSEO PERA, ISTANBUL.
ZARATHUSTRA I L
P R O F E T A
D E L
F U O C O
Tremila anni fa sorse in Persia un credo, rivelato al profeta Zarathustra, che spiegava la lotta tra il Bene e il Male. Elevata al rango di religione ufficiale da persiani, parti e sasanidi, questa fede si è tramandata fino ai giorni nostri
TEMPIO DEL FUOCO DI ATESHGAH
Nei pressi di Baku, capitale dell’Azerbaigian, sorgono i resti di un tempio zoroastriano costruito da mercanti indiani tra il XVII e il XVIII secolo. Il fuoco che brucia sull’altare centrale è alimentato a gas. PETER LANGER / AGE FOTOSTOCK
C R O N O LO G I A
Una religione molto longeva 1600-1200 a.C. I Gatha, i canti attribuiti a Zarathustra, sarebbero stati composti in questo periodo. Secondo altri invece il profeta visse tra il 620 e il 550 a.C.
559 a.C. Ciro il Grande sale al trono dell’impero persiano achemenide. Lui, Dario I e Serse sono devoti di Ahura Mazda, il dio di Zarathustra.
330 a.C. Alessandro Magno conquista l’impero achemenide. Lo zoroastrismo, sempre più importante, continuerà sotto i nuovi regnanti.
241-272 d.C. Sotto il re sasanide Sapore I lo zoroastrismo diventa religione di stato. I credenti di altre confessioni sono oggetto di persecuzioni.
275 d.C. Mani, fondatore della dottrina manichea, è perseguitato dal sommo sacerdote zoroastriano Kartir, che lo fa giustiziare per eresia.
TOMBE DI NASQ-E ROSTAM
Il dio Ahura Mazda, rappresentato sulle architravi, protegge le tombe, scavate nella roccia, dei re achemenidi e sasanidi.
VII secolo d.C. Gli arabi conquistano l’impero sasanide e proibiscono lo zoroastrismo, che intanto si espande verso aree remote come la Cina.
X secolo d.C. In fuga da rivolte e repressioni, alcune comunità zoroastriane raggiungono l’India. Il loro centro sarà a Mumbai. DEA / ALBUM
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PIATTO SASANIDE IN ARGENTO. V SECOLO. BRITISH MUSEUM, LONDRA.
È
esistito davvero Zarathustra? E, in caso affermativo, chi era? La risposta a queste domande non è facile ed è andata modificandosi nel corso degli ultimi decenni. Secondo gli adepti dello zoroastrismo (o mazdeismo), Zarathustra – o Zoroastro, come lo chiamano i greci – è il fondatore della loro religione, il cui dogma principale consiste nella relazione tra la divinità suprema, Ahura Mazda (il “Signore Sapiente”), e lo stesso Zarathustra. Gli zoroastriani non hanno dubbi sul fatto che il loro profeta fosse un personaggio realmente esistito. A metà del XIX secolo i primi studiosi dello zoroastrismo in Europa fecero propria questa tesi e ipotizzarono che Zarathustra fosse stato una specie di riformatore di una preesistente religione iranica. Questa religione avrebbe avuto le caratteristiche tipiche delle altre religioni indoeuropee. Una di queste era il sacrificio cruento di animali, che Zarathustra avrebbe abolito. Per questi ricercatori la pre-
LEONID ANDRONOV / AGE FOTOSTOCK
dicazione di Zarathustra avrebbe dato vita al primo monoteismo della storia, nonché alla prima religione soteriologica, fondata cioè sulla promessa salvifica di una vittoria del Bene sul Male e di una vita di beatitudine nell’aldilà.
Dubbi sull'esistenza di Zarathustra Da dove veniva il fondatore del mazdeismo? Secondo la tradizione, Zarathustra mise insieme l’essenza dei suoi insegnamenti nei Gatha, i canti che costituiscono la parte più antica della raccolta dei testi sacri dello zoroastrismo, l’Avestā. Dato che la lingua in cui sono scritti i Gatha corrisponde a un dialetto iranico orientale, si è ipotizzato che la predicazione di Zarathustra avesse avuto luogo nell’area geografica attualmente ripartita tra Afghanistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Più complesso è stabilire il periodo in cui sarebbe vissuto il profeta. Secondo alcuni studiosi, i Gatha furono composti tra il 1600 e il 1200 a.C. Altri, basandosi su alcuni au-
ZOROASTRO E IL FUOCO In un manoscritto alchemico del 1738, Clavis artis, Zarathustra appare insieme a una salamandra, animale associato al fuoco.
tori greci, situano invece la loro comparsa in un periodo anteriore alla creazione dell’impero achemenide, attorno al 620-550 a.C. In poche parole, fino alla fine del XX secolo si è ritenuto che Zarathustra sia stato un personaggio storico che aveva dato origine a un nuovo credo in contrapposizione alla tradizionale religione indoiranica. In questa prospettiva quella di Zarathustra sarebbe stata una figura rivoluzionaria, comparabile a quella di altri fondatori di grandi religioni come Buddha, Gesù di Nazareth o Maometto. Ma negli ultimi venti anni alcuni ricercatori hanno messo in dubbio questa idea: secondo loro nei testi antichi non ci sono prove dell’esistenza di Zarathustra. Quella del profeta sarebbe quindi una figura mitologica, una specie di creatore leggendario di una tradizione religiosa, che potrebbe rappresentare l’immagine ideale della relazione tra le persone e la divinità. In ogni caso, tutti gli studiosi concordano su un punto: le STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL FUOCO, PRINCIPIO DI TUTTO
Nello zoroastrismo il rituale occupa una parte centrale del culto, così come la meditazione davanti al fuoco, simbolo di spiritualità e di purezza. Nell’immagine, altare del fuoco del tempio di Ateshgah, in Azerbaigian.
IL SIMBOLO DELLA LUCE
IL CULTO DEL FUOCO
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l ruolo centrale assunto dal fuoco nei templi zoroastriani ha fatto sì che i seguaci di questa religione siano popolarmente definiti, in maniera erronea, “adoratori del fuoco”. Proprio per questo motivo, nelle aree a maggioranza islamica le comunità zoroastriane hanno spesso dovuto affrontare accuse di idolatria. In realtà, nella pratica religiosa zoroastriana il fuoco è un simbolo della luce e rappresenta i principi fondamentali del culto: la luce che disperde le tenebre dell’ignoranza, la rappresentazione simbolica della giustizia e dell’ordine rituale, il fuoco cosmico della creazione e quello distruttore, che metterà fine a tutto ciò che è stato creato per ripristinare un ordine perfetto. Recitare una preghiera davanti alla fiamma rappresenta
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un modo di contemplare la natura di quanto creato dalla divinità. Attualmente esistono tre diversi tipi di templi che, a seconda del tipo di fuoco che ospitano, hanno un'importanza maggiore o minore: il tempio con il fuoco di livello superiore deve essere presieduto da un sommo sacerdote zoroastriano, il dastur, mentre quello di livello più basso non è consacrato e, pertanto, può essere custodito da un laico.
informazioni che ci sono pervenute sulla vita di Zarathustra sono di carattere mitologico. Queste conoscenze provengono per lo più dal libro VII del Denkart (“Atti della religione”), un testo del IX secolo scritto in pahlavico, una lingua iranica in cui è composta anche un’altra fonte di notizie sulla biografia del profeta: la Wizidagiha î Zadspram (“Antologia di Zadspram”), scritta nel IX secolo da un sacerdote. Zarathustra appare nella cornice di un racconto caratteristico dello zoroastrismo: la storia della creazione narrata come una successione di millenni. Secondo il testo, tremila anni dopo la creazione del tempo“finito”, Ahura Mazda e Angra Mainyu, rispettivamente gli spiriti del Bene e del Male, decisero che il loro scontro sarebbe durato novemila anni. Seimila anni dopo questo patto nascerà Zarathustra e avrà luogo la rivelazione che porterà la Buona Religione (quella di Ahura Mazda) agli uomini. Infine, tremila anni dopo la nascita di Zarathustra apparirà l’ultimo dei tre figli postumi del profeta, detti saošyant (“salvatori”). Egli
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La comparsa di Zarathustra in questo mondo è resa possibile da tre elementi: un corpo materiale, un’anima preesistente (fravashi), originata prima della creazione del tempo“finito” e, per ultimo, un elemento, detto khvarenah, che collega tra loro tutti i “salvatori”: una specie di forza mistica che si potrebbe tradurre come “gloria” o “prosperità”. La storia del concepimento miracoloso di Zarathustra è un’allegoria del rituale sacro dell’haoma, la pianta nonché la bevanda al centro del principale rituale del mazdeismo. Secondo il mito, la khvarenah proviene dalle stelle e si trasmette a Dughdova, la madre di Zarathustra, tramite il fuoco. Dughdova munge due giovenche che
Ahura Mazda incaricò questa dea, personificazione del pianeta Venere, di vegliare sulla creazione. Vaso sasanide.
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Una nascita prodigiosa
hanno anch’esse miracolosamente ricevuto la khvarenah e quindi ne mescola il latte con l’haoma. Grazie all’intervento di Ahura Mazda, questa bevanda contiene la fravashi, l’anima preesistente del profeta. Dughdova beve la miscela insieme al marito, Pourušaspa, e così avviene il concepimento di Zarathustra. Tre giorni prima del parto, grazie alla fravashi presente nel suo ventre, Dughdova emana una luce soprannaturale, che mette in allarme tutti gli stregoni e i demoni servitori del Male. Per contrastarne l’attacco, Ahura Mazda, lo spirito del Bene, invia il suo aiutante Vohu Manah (il “Buon Pensiero”). Il carattere prodigioso del neonato si manifesta subito con un fatto inusuale: Zarathustra ride al momento della nascita. Questa leggenda non si conserva unicamente nelle fonti pahlaviche, ma è riportata anche da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, dove racconta che solo un uomo, Zoroastro, ha riso al momento della nascita, e aggiunge che
VASO DI ANAHITA
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sconfiggerà il Male che minaccia il creato: il sole splenderà per trenta giorni di seguito e quindi si svolgerà la battaglia finale contro gli spiriti maligni, i daēva, ovvero la resurrezione dei morti e il giudizio finale presieduto da Isatvastra, il figlio maggiore di Zarathustra.
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TEMPIO DEL FUOCO DI ATESHGAH. INCISIONE DELLA RIVISTA LE TOUR DU MONDE. PARIGI, 1860.
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TORRI DEL SILENZIO A YAZD
In questa necropoli situata nei pressi della città iraniana di Yazd sorgono le torri del Silenzio, luogo dove gli zoroastriani deponevano i cadaveri dei fedeli perché fossero mangiati dagli uccelli. In questo modo era possibile liberare l’anima dal corpo. JOSÉ FUSTE RAGA / GETTY IMAGES
LO ZOROASTRISMO NELL’ATTUALITÀ
I FEDELI PARSI
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ttualmente gli zoroastriani si suddividono in tre grandi gruppi, a seconda che risiedano in Iran, in India o facciano parte della diaspora. L’Iran è la patria originaria della religione. Tuttavia, l’islamizzazione del paese, cominciata nel 651 con la conquista araba, e le forti repressioni e discriminazioni imposte alle comunità zoroa-
striane dai nuovi governanti provocarono un esodo verso la costa occidentale dell’India, considerata una zona più tollerante. Qui si insediarono molti zoroastriani che, in virtù dell’origine persiana, furono denominati parsi. Questi fondarono delle comunità urbane che ebbero la massima fioritura sotto il dominio britannico. Ma le proibizioni zoroastriane di fare proselitismo e di sposarsi con membri di altre religioni hanno provocato un grande calo
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del numero di membri della comunità. Si calcola che oggi siano circa 70mila, cui ne andrebbero sommati altrettanti della diaspora. I parsi costituiscono la base della prosperità economica di Mumbai, la capitale finanziaria dell’India, e formano una classe colta, occidentalizzata e famosa per le sue opere di carità. In Iran, dopo la rivoluzione islamica del 1979, la situazione politica dei circa 30mila zoroastriani si è stabilizzata dal punto di vista politico.
il suo cervello palpitava in modo prodigioso. A partire da quel momento, il mito è un susseguirsi di scontri tra il piccolo Zarathustra e i servitori del Male, guidati dallo stregone Durasraw. Questi riesce a convincere Pourušaspa, il padre di Zarathustra, della necessità di eliminare suo figlio. Il genitore procede così a bruciarlo su una pira, a lasciarlo su un viottolo per cui passano le vacche, ad abbandonarlo sul sentiero per cui transitano i cavalli quando vanno ad abbeverarsi e a metterlo nella tana di una lupa. Ma ogni volta Zarathustra si salva grazie all’intervento divino.
Predicazione e morte Quando Zarathustra compie trent’anni (l’età in cui, secondo la Bibbia, Gesù inizia predicare), si svolgono i suoi sette incontri con Ahura Mazda sulle rive del mitico fiume Daitya. Il dio gli rivela gli insegnamenti della Buona Religione, soprattutto quelli riguardanti il giudizio delle anime degli uomini, la ricompensa e la punizione per le buone e per le cattive azioni e la purificazione del mondo «quando
il fuoco scioglierà le montagne e avverrà la resurrezione dei corpi». È in questo momento che hanno inizio la vita pubblica e la predicazione di Zarathustra, che per i primi dieci anni si riveleranno un vero e proprio fallimento: otterrà un’unica conversione, quella di suo cugino Medyomah. Il profeta è inoltre oggetto dell’ostilità di Angra Maniyu, il capo delle forze del Male, che gli scaglia contro una legione di daēva. Ma Zarathustra riesce a sconfiggerli, costringendoli a girare per il mondo nascosti. Alla base della sua vittoria c’è la recitazione della preghiera più sacra dei Gatha: la formula“Ahuna Vairya” si rivela un potente talismano contro i demoni. A questo punto arriva il momento più importante della vita di Zarathustra, ossia la conversione del re Vı-štaspa, un sovrano che diventerà suo patrono e protettore. Si dà il caso che Vı-štaspa sia anche il nome di un personaggio storico, il padre del re persiano Dario il Grande. Ciononostante, la conversione di Vı-štaspa ha tutti gli ingredienti di un episodio miti-
DINODIA / ALAMY / ACI
In questo luogo, situato in una grotta dell’Iran, nel mese di giugno si svolge un raduno mondiale degli zoroastrani. I fedeli pregano in ricordo di una principessa persiana del VII secolo sfuggita all’invasione araba.
KUNI TAKAHASHI / GETTY IMAGES
SANTUARIO CHAK CHAK
co: gli stregoni di corte spingono il sovrano a torturare Zarathustra, che riesce però a sopportare i tormenti cui viene sottoposto. Alla fine, il profeta si guadagna i favori del re curando miracolosamente le quattro zampe del suo cavallo sauro. Ha così inizio il periodo effettivo della rivelazione della Buona Religione, che Zarathustra si dedicherà a diffondere fino alla morte, avvenuta all’età di 77 anni. Solamente una breve nota contenuta in un commento afferma che il profeta morì assassinato da un essere malvagio mentre pregava. In Iran il culto di Zarathustra e la fede in Ahura Mazda, lo spirito del Bene, proseguiranno per secoli: sulle tombe dei sovrani achemenidi, nei bassorilievi dei re parti o nelle rappresentazioni dei monarchi sasanidi si può vedere raffigurato il dio intento a proteggere i governanti che si raccomandano a lui in quanto rappresentante del Bene, della Giustizia e della Verità.
VASO D’ARGENTO ZOROASTRIANO
Su questo vaso d’argento è raffigurato il re Dario I, in sella al suo cavallo, che calpesta l’usurpatore Gaumata. Un angelo sostiene il cavallo del monarca vincitore. Alpiwalla Museum, Kharghat (Mumbai).
JUAN ANTONIO ÁLVAREZ-PEDROSA NÚÑEZ UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID
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CERIMONIE E RITUALI MAZDEISTI Lo zoroastrismo è una delle religioni esistenti più antiche del mondo. Molti aspetti originari del culto, come l’importanza del fuoco o della bevanda sacra, si sono conservati fino a oggi. Altri hanno dovuto essere abbandonati, come la pratica funeraria di lasciar divorare i corpi dei defunti dagli uccelli.
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I luoghi di culto
Erodoto narra che durante il Periodo achemenide il culto si svolgeva all’aria aperta. Secondo Strabone, attorno al I secolo d.C. vennero creati templi dove i sacerdoti mantenevano perpetuamente viva una fiamma. A partire dal Periodo parto e durante l’impero sasanide, vennero costruiti veri e propri templi, con una piattaforma dove si conservava un fuoco all'interno di un’urna. Gli zoroastriani pregano guardando la luce.
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I sacerdoti
Nella religione iranica tradizionale i sacerdoti erano chiamati magi. Come guardiani della comunità e del fuoco del tempio erano incaricati dello studio e della trasmissione orale dell’Avesta– e dei relativi commentari, nonché della custodia del codice etico della comunità, cosa che gli conferiva la prerogativa di risolvere i conflitti legali. Oggi si dividono in tre ordini: gli ervad (tra i parsi dell’India) o herbed (in Iran), i mõbed e i dastũr, il grado più alto.
ALTARE DEL FUOCO. MONETA CONIATA DAL RE PARTO VAHBARZ. II SECOLO A.C. MUSEO NUMISMATICO, TEHERAN.
TEMPIO DEL FUOCO DI ATESHGAH, IN AZERBAIGIAN. ATTUALMENTE QUESTO COMPLESSO OSPITA UN MUSEO DOVE VENGONO SPIEGATE LE PRATICHE ZOROASTRIANE.
Sono cambiate nel corso della storia. Oggi il cardine della vita rituale è la preghiera, nel tempio, a casa o all’aperto. Ciononostante, ci sono cerimonie che riuniscono tutta la comunità e in cui si recitano passi dell’Avesta– (in particolare dei Ghata). Una delle più importanti è l’imposizione del kusti, un cordone bianco che simboleggia la maggiore età rituale dell’adepto e il suo legame con la fede degli antenati.
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Rituali funebri
La fede in un giudizio dell’anima e in una ricompensa, o un castigo, a seconda del comportamento in vita determinano il ruolo essenziale delle cerimonie funebri. I cadaveri non dovevano contaminare la natura, pertanto la cremazione e l’inumazione non venivano praticate. Questo determinò il ricorso alle torri del Silenzio, strutture circolari di pietra dove venivano esposti i cadaveri perché venissero mangiati dagli uccelli rapaci.
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La bevanda sacra
Fin dai tempi remoti l’haoma occupa un ruolo centrale nella liturgia. La base della bevanda viene preparata nel corso del principale rituale zoroastriano, lo yasna, utilizzando tre rami di efedra e uno di melograno, e delle foglie di melograno. Il liquido estratto può essere mescolato con latte o con acqua. I partecipanti assumono quindi delle gocce di questa bevanda che per gli zoroastriani moderni riunisce in sé tutte le proprietà curative.
SOPRA: EDDIE GERALD / ALAMY / ACI. SOTTO: BRIDGEMAN / ACI
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Le cerimonie
IL PADRE DELLA STORIA
Erodoto di Alicarnasso raccontò il mondo e gli avvenimenti che segnarono la sua epoca nelle Storie, un capolavoro che secoli dopo fu suddiviso in nove libri. A destra, busto dello storico greco. Metropolitan Museum, New York. SFONDO: TONY QUERREC / RMN- GRAND PALAIS SCULTURA: MMA / RMN-GRAND PALAIS
ERODOTO U N O S TO R I CO I N V I AGG I O Nato nella città dorica di Alicarnasso, Erodoto concepiva la storia come una ricerca personale e un’esplorazione delle altre culture, incluse quelle dei popoli “barbari”
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mero, l’autore dell’Iliade e dell’Odissea, inizia i suoi poemi epici invocando l’ispirazione della “divina Musa”. Erodoto, invece, inserisce il proprio nome già nella prima riga del suo resoconto, scritto in prosa anziché in versi. Questa firma personale funge da garanzia della veridicità della sua testimonianza e della sua narrazione, come sarà anche per altri due cronisti, Tucidide e Senofonte. quale vennero a guerra tra loro». In questo prologo, scritto sicuramente alla conclusione della sua vasta opera, si evidenzia un duplice obiettivo: narrare le grandi gesta sia dei greci che degli altri popoli – i barbari – e spiegare le cause della terribile guerra tra gli uni e gli altri, ovvero quel grande conflitto conosciuto con il nome di Guerre persiane (492-478 a.C.). A differenza di quanto avviene nei testi di Tucidide e di altri autori classici, nell’opera di Erodoto la parola“barbari”non ha un senso dispregiativo. Al contrario, lo storico ammira il loro mondo eterogeneo, le loro imprese e i grandiosi monumenti che hanno costruito.
Un uomo cosmopolita Erodoto visse approssimativamente tra il 485 e il 425 a.C. Era quindi coetaneo del sofista Protagora e del poeta tragico Sofocle. Il suo nome iniziò ad affermarsi nel 441 a.C., quando fu invitato ad Atene a leggere alcuni capitoli della sua opera, che fu accolta con grande favore. Lo storico ricevette un sostanzioso premio in denaro per aver elogiato l’eroica lotta dei greci, in particolare degli ateniesi, in difesa della libertà. Erodoto era nato nella
ANNA SERRANO / GTRES
In questo incipit ritroviamo anche la parola che connoterà per sempre questo nuovo genere di scrittura: storia. Ciò che Erodoto racconta è il risultato di una ricerca personale (histories apodeixis, letteralmente“esposizione di una ricerca”). L’autore avverte fin dall’inizio il lettore che non intende raccontare i miti degli dèi e degli eroi antichi, ma «avvenimenti determinati dall’azione degli uomini». Eppure c’è qualcosa nel suo progetto narrativo che coincide con la poesia epica: scrive per salvare dall’oblio le imprese degne di ammirazione. Vale la pena leggere con attenzione le prime righe di questo suo pionieristico racconto storico, così esteso e di ampio respiro, che delinea un programma chiaramente innovativo: «Erodoto di Alicarnasso espone qui il risultato delle sue ricerche storiche. Lo scopo è quello di impedire che i fatti degli uomini finiscano per sbiadire con il tempo e perdano la dovuta risonanza imprese grandi e degne di ammirazione realizzate sia dai greci che dai barbari, compresa la ragione per la
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485 a.C. circa
454 a.C. circa
Erodoto nasce in una famiglia aristocratica nella città dorica di Alicarnasso (l’attuale Bodrum, in Turchia).
Suo zio (o cugino), il poeta Paniassi, è coinvolto in una congiura contro il tiranno Ligdami II. Paniassi viene giustiziato, Erodoto esiliato.
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IL PADRE DELLA STORIA
CLIO, LA MUSA DELLA STORIA. AFFRESCO, PINACOTECA DEI MUSEI CAPITOLINI, ROMA. SCALA, FIRENZE
BIBLIOTECA DI CELSO A EFESO
Nel primo libro Erodoto racconta che Creso, re di Lidia, durante la conquista dell’Asia minore assediò Efeso e gli abitanti «affidarono la città ad Artemide legando una fune dal tempio fino alle mura».
454-444 a.C.
444-443 a.C.
425 a.C.
III-II secolo a.C.
Lo storico visita gran parte della Grecia, comprese le città dell’Italia meridionale, nonché la Mesopotamia, l’Egitto e il mar Nero.
Secondo quanto riferiscono Aristotele e Plutarco, Erodoto si trasferisce a Thurii, una colonia ateniese nel golfo di Taranto.
Muore all’incirca in questo periodo a Thurii, che alcuni anni prima gli aveva concesso la cittadinanza.
I curatori alessandrini dell’opera di Erodoto suddividono le Storie in nove libri, uno per ogni musa.
chi esplora terre lontane. L’attuale suddivisione della sua lunga opera, Storie, in nove libri, è da attribuire sicuramente ai filologi alessandrini. Per riferirsi ai suoi resoconti Erodoto usava il temine logoi, che potremmo tradurre come “trattati”. Ognuno di questi, poi riuniti in una raccolta finale, aveva una tematica propria. Il primo libro delle Storie è dedicato alla Lidia, al ricco re Creso e alle sue enormi fortune, e al modo in cui il suo regno fu assoggettato dal persiano Ciro. I protagonisti del secondo libro sono l’Egitto e le sue meraviglie. Nel terzo si torna a parlare di persiani, con la conquista delle terre del Nilo da parte del sovrano achemenide Cambise. Il quarto, invece, riunisce due logoi, uno sulla Scizia (una regione dell’Asia centrale) e l’altro sulla Libia. I libri successivi narrano i vari episodi dello scontro tra i greci e i persiani. Il quinto libro, ad esempio, è incentrato sugli intrighi dei persiani in Macedonia, sui conflitti tra le città greche e sulle politiche di Sparta e Atene. Il sesto, invece, ricostruisce la spedizione di Dario, che si conclude con la vittoria greca, mentre il settimo evoca con grande senso drammatico le battaglie decisive delle Termopili e di Maratona. Per ultimo, il libro ottavo e il nono sono dedicati rispettivamente alle battaglie di Salamina e di Platea, che siglano la vittoria finale dei greci.
TOÑO LABRA / AGE FOTOSTOCK
LA GRANDE PIRAMIDE DI GIZA
Secondo quanto racconta Erodoto, il faraone Cheope, che fece costruire la grande Piramide di Giza, era un tiranno che nei cinquant’anni del suo regno «gettò il paese in una gravissima situazione».
città dorica di Alicarnasso, Dopo essere stato costretto all’esilio, trascorse un lungo periodo sull’isola di Samo e quindi si dedicò a viaggiare. Nella Ionia, concretamente in città mercantili e aperte al mare come Mileto o Efeso, costantemente minacciate dal vicino impero persiano, aveva visto la luce la filosofia. È qui che Erodoto forgiò il suo carattere e il suo spirito intrepido di viaggiatore. Curioso e tollerante, annotava tutte le novità che vedeva o ascoltava, proprio come un buon reporter ante litteram. Non per nulla Ryszard Kapus‘cin‘ski, uno dei più celebri giornalisti del novecento, nel suo libro In viaggio con Erodoto lo definisce la guida perfetta per
Nelle sue Storie, Erodoto offre una visione personale del mondo, che elaborò parlando con persone informate nei vari luoghi visitati 66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Lo storico mette insieme notizie molto variegate, che raccoglie nel corso dei suoi lunghi viaggi. Non si basa su testi scritti né utilizza archivi, ma racconta quello che ha visto e sentito. Nella seconda parte della sua opera descrive e commenta, come nessuno aveva saputo fare prima, la guerra che decise le sorti della Grecia, con particolare riferimento alla democratica Atene. Erodoto non solo è il “padre della storia”, come lo ha definito Cicerone, ma anche della geografia e dell’antropologia culturale. Ai lettori offre una visione personale del mondo, che elabora con grande acume parlando con persone informate nei vari territori visitati. I suoi strumenti sono lo sguardo curioso (opsis), l’ascolto attento (akoé) e la riflessione critica sui dati raccolti (gnome). I primi libri delle Storie testimoniano le sue doti di viaggiatore infaticabile. Erodoto
SOPRA: ORONOZ / ALBUM. SOTTO: AKG / ALBUM
Il primo giornalista
COSTRUZIONE DI UNA PIRAMIDE SECONDO LE DESCRIZIONI FORNITE DA ERODOTO. INCISIONE DI ANTOINE-YVES GOGUET IN DELL’ORIGINE DELLE LEGGI, DELLE ARTI, E DELLE SCIENZE E DEI LORO PROGRESSI PRESSO GLI ANTICHI POPOLI. 1818.
C H E OP E E L A C O S T R U Z I O N E DE L L A G R A N DE P I R A M I DE opo aver intervistato, tra gli altri, i sacerdoti di Menfi, Erodoto scrive, per primo nella storia, della costruzione della grande piramide di Giza e del suo artefice, Cheope. Lo storico ritrae il faraone come un tiranno senza scrupoli che avrebbe costretto il popolo a erigere la sua tomba in un regime di semi-schiavitù (il che non è vero): «Chiuse tutti i templi e (…) costrinse tutti gli egiziani a lavorare per lui. Ad alcuni impose di trascinare pietre dalle cave (…) ad altri assegnò di ricevere le pietre (…) In termini di tempo ci vollero dieci anni di duro lavoro collettivo per la costruzione della strada su cui trainare le pietre (…) Per edificare la piramide occorsero
vent’anni». Erodoto descrive poi la tecnica di costruzione: «La piramide fu realizzata a gradini, detti crossai da alcuni e bomides da altri. Quando la ebbero costruita così, con macchine fatte di corti legni sollevarono le pietre rimanenti dal livello del suolo al primo ripiano. Dopo che era stata alzata sul primo, la pietra veniva affidata a una seconda macchina posta sul primo ripiano, e questa la sollevava fino al secondo gradino su una terza macchina: le macchine erano in numero pari ai gradini». Lo storico menziona anche le grandi spese in rafani (armoracia rusticana), aglio e cipolle per alimentare i lavoratori: «Milleseicento talenti d’argento».
IL FARAONE CHEOPE. STATUETTA IN AVORIO DEL COSTRUTTORE DELLA GRANDE PIRAMIDE. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.
L’
APPREZZAMENTO PER L’OPERA di Erodoto varia notevolmente tra autori ed epoche. Tucidide, per esempio, nel suo La guerra del Peloponneso impose un modo di fare storia molto più critico, di stile austero, incentrato solo sui grandi conflitti bellici e politici contemporanei e limitato alle vicende greche, senza racconti pittoreschi né scenari esotici. Creò un modello di storico “serio” in contrapposizione a Erodoto, che finì per essere considerato un affabulatore poco degno di fiducia. Plutarco lo condannò «per la sua amicizia con i barbari». Luciano e Dionigi di Alicarnasso ne apprezzavano l’opera solo perché divertente e ben scritta. Fu solo nel Rinascimento che lo storico ionico fu riscoperto e si riprese a leggerlo con entusiasmo, anche grazie alla traduzione in latino della sua opera. Con le cronache della conquista dell’America rinacque il gusto per la storia alla maniera di Erodoto. Nel XVIII secolo il suo prestigio tornò ad affermarsi, mentre emergeva la veridicità di molti dai suoi racconti.
WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
ERODOTO E TUCIDIDE
I due storici che raccontarono rispettivamente le Guerre persiane e la Guerra del Peloponneso sono ritratti in un busto a due facce. IV secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Napoli.
visitò l’Egitto, risalendo la valle del Nilo fino alla prima cataratta presso Elefantina (Assuan), dove anticamente terminava il regno, a un migliaio di chilometri dalla costa. Viaggiò anche in Mesopotamia, della quale descrisse la celebre Babilonia e le regioni circostanti, e della quale probabilmente raggiunse anche la città di Susa. Più a nord, il viaggiatore si recò nelle colonie greche sulle sponde del mar Nero e quindi si addentrò nelle praterie abitate dalla popolazione nomade degli sciti, nella steppa ucraina, arrivando nei pressi dell’attuale Kiev. In Africa settentrionale percorse la Cirenaica e la costa dell’odierna Libia. Trascorse un pe-
Erodoto risalì il corso del Dnepr, nell’attuale Ucraina, e visitò il lontano territorio delle tribù scite 68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
riodo nelle città greche dell’Italia meridionale e collaborò alla fondazione della colonia di Thurii. Probabilmente visitò tutta la Grecia e molte isole dell’Egeo. Sarebbe interessante saperne di più sulle peripezie di questo intrepido esploratore. Come si spostava? Da solo e con pochi bagagli al seguito? Oppure a cavallo? Come pagava le spese e dove alloggiava? Prendeva appunti su rotoli di papiro? Alcune delle regioni da lui visitate erano colonie greche, come la costa del mar Nero e l’Italia meridionale. Anche sulla costa egiziana si potevano trovare commercianti greci, e in Persia forse alcuni mercenari. Ma nella steppa scita, quando risalì il Dnepr viaggiando tra tribù barbare, o nell’Alto Egitto, come comunicava? Sembra che Erodoto parlasse solo greco (com’era naturale tra i viaggiatori greci dell’epoca), per cui per esempio in Egitto dovette probabilmente richiedere ai sacerdoti locali bilingui di tradurgli le iscrizioni dei templi. Erodoto era senza dubbio una persona estremamente curiosa nei confronti di ciò che era esotico e straordinario. Parlando del saggio Solone racconta che questi, dopo essere stato legislatore ad Atene, era partito per un viaggio «per desiderio di vedere il mondo» (theories heneken). Anche Erodoto era mosso dalla voglia di conoscere che, però, in lui si univa alla volontà di narrare le cose stupefacenti di cui era stato testimone diretto o indiretto. E lo faceva con uno stile chiaro, con descrizioni e aneddoti dalle tinte vivaci, ambientati nei più diversi scenari.
Un pioniere dell’antropologia Se paragonato a storici come Tucidide o Senofonte, Erodoto si rivela – soprattutto nei primi libri – un narratore divertente e fantasioso. Invece, quando descrive la guerra e il relativo contesto politico risulta più austero. Se ci si ferma alla lettura della prima metà della sua grande opera si resta ammirati dalla grande varietà delle sue osservazioni. È famoso in questo senso il secondo libro, dedicato all’Egitto, terra che affascinava i greci fin dai tempi di Omero e nella quale si erano recati celebri filosofi come Talete, Pitagora e, più tardi, Platone. Fu Erodoto a definire l’Egitto «un dono del Nilo». Il suo resoconto comincia proprio da questo lungo fiume e dalle varie
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Troppo pittoresco per essere vero
IL RE CANDAULE ASPETTA NEL LETTO SUA MOGLIE, SPIATA DA GIGE MENTRE SI SPOGLIA. OLIO DI JEANLÉON GERÔME. 1859, MUSEO PUŠKIN DELLE BELLE ARTI, MOSCA.
IL RE CANDAULE BEFFATO DALLA MOGLIE el primo libro Erodoto narra la storia del popolo lidio e dei re precedenti al celebre Creso. Uno di questi, Candaule, ultimo re della dinastia Eraclide, perse la vita in una cospirazione ordita da sua moglie e da Gige, un generale che sarebbe diventato il primo re della dinastia Mermnade, quella di Creso. Erodoto racconta che Candaule, follemente innamorato della moglie (della quale non riporta il nome), sosteneva che fosse la donna più bella del mondo. Poiché gli sembrava che Gige non ne fosse convinto, lo invitò a contemplare di nascosto sua moglie nell’intimità della sua alcova, quando si spogliava prima di andare a letto. Gige lo fece, ma lei si accorse che il generale
la stava guardando. Offesa, il giorno dopo gli si rivolse con queste parole: «Ora tu, caro Gige, hai di fronte a te due strade e io ti concedo di scegliere quale preferisci percorrere: o uccidi Candaule e ottieni me e il regno dei lidi, oppure ènecessario che tu muoia subito, così non sarai più costretto a vedere ciò che non devi per obbedire a tutti gli ordini del tuo padrone. Non ci sono alternative: o muore il responsabile di queste macchinazioni o muori tu, che mi hai vista nuda e che hai compiuto azioni così poco lecite». Gige, trovandosi in un vicolo cieco, scelse di uccidere il re nella sua stanza, mentre dormiva, con un pugnale che la regina stessa gli aveva fornito, «ed ebbe così insieme la donna e il regno».
DIVINITÀ ALATA LIDIA IN UNA PIASTRELLA DI TERRACOTTA, FORSE UNA POTNIA THERON (SIGNORA DEGLI ANIMALI), DIVINITÀ LEGATA ALLA NATURA. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
A
METÀ DEGLI ANNI CINQUANTA IL GIORNALISTA POLACCO
Ryszard Kapus’cin’ski scrisse un libro di viaggi intitolato In viaggio con Erodoto. Voleva essere un omaggio allo storico greco, da lui considerato il primo cronista del mondo e la cui prosa lo accompagna e ispira nel corso dei suoi viaggi. In quel testo Kapus’cin’ski dice: «Erodoto si pone un obiettivo ambizioso: perpetuare la storia del mondo. Nessuno ci aveva provato prima. È il primo ad avere questa idea. Mentre cerca di raccogliere il materiale per la sua opera e interroga i testimoni […] si rende conto che ciascuno di loro ricorda gli eventi in modo diverso. Scopre anche […] un aspetto importante e allo stesso tempo insidioso della nostra memoria: la gente ricorda solo ciò che vuole ricordare e non quello che è successo veramente […] Il passato non esiste. Ci sono solo infinità di versioni».
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STELE DI FILOCLE
Bassorilievo funerario del V secolo a.C. del poeta ateniese Filocle con il figlio. Due zii del poeta furono eroi delle Guerre persiane e morirono rispettivamente nelle battaglie di Maratona e di Salamina. Museo archeologico nazionale, Atene.
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ipotesi sulla posizione delle sue sorgenti al centro dell’Africa, e continua con la descrizione delle strane usanze della popolazione egizia, nonché di alcuni animali del variopinto bestiario locale come il coccodrillo, l’ibis o il gatto (che all’epoca era un animale poco noto ai greci). Analogamente parla delle gigantesche piramidi e delle divinità, dei templi, degli arcani rituali e delle storie a essi collegate. Erodoto racconta anche vicende curiose, come quella del ladro dei tesori delle piramidi che deruba il re Rampsinito. Lo storico di Alicarnasso fu il grande precursore della passione per le meraviglie del millenario ed enigmatico Egitto che in seguito sarebbe diventata una vera e propria mania. Erodoto è dunque, in un certo senso, il primo antropologo che esplora culture diverse dalla propria. Rivolge lo sguardo e l’udito alle tradizioni degli altri popoli per elaborare una
narrazione pittoresca, una “storia” di grande respiro, monumentale e a tratti romanzesca. Sembra un viaggiatore illuminato, affascinato dall’Oriente e dall’Egitto. Come altri storici greci, Erodoto aveva vissuto in gioventù l’esilio, e proprio in esilio compose la sua opera principale. Analogamente a Tucidide, Senofonte e Polibio, l’esperienza dell’abbandono della propria terra lo spinse a osservare le altre culture con sguardo acuto e imparziale, senza censure morali né eccessi di patriottismo. Fece tutto questo con il profondo orgoglio di un uomo libero, che aveva conosciuto la democrazia. Il perfetto controllo della lingua greca, unito alla freschezza della prosa ionica, gli permise di consolidare la tradizione ellenica del gusto per il dialogo libero e l’esame critico degli eventi e dei suoi protagonisti. Per questo, negli ultimi libri delle Storie esaltò l’eroica lotta dei greci per l’indipendenza contro il grande esercito dei persiani, condotti verso il disastro dai propri sovrani dispotici.
Una sfida all’oblio Coetaneo e amico di Sofocle, Erodoto conservò una visione umanistica e tragica della storia universale, che vedeva gli uomini come esseri “effimeri” il cui destino era nelle mani del caso e in cui anche il potere e le ambizioni più grandi erano esposti alla rovina. «Tutto è incerto nell’esistenza umana» afferma. «Non chiamare nessuno felice finché non hai visto il suo ultimo giorno» consiglia l’ateniese Solone al ricchissimo re Creso, che si ricorderà di quella frase quando cadrà sconfitto dal re persiano Ciro. La divinità abbatte gli orgogliosi, premia i giusti e castiga l’eccesso di superbia, come fece con Serse, che già Eschilo nella tragedia I persiani presentava come esempio di hybris (l’orgoglio tracotante che spinge gli uomini a sfidare i limiti imposti dagli dèi). Per Erodoto il mondo si muove sotto lo sguardo degli dèi, ma la provvidenza non è capricciosa né imprevedibile. Proprio perché il destino umano è tragico, bisogna celebrare le imprese eroiche e i fatti meravigliosi e scrivere, per il futuro, la storia: ovvero una testimonianza affidabile che sottragga quelle gesta all’ombra dell’oblio. CARLOS GARCÍA GUAL PROFESSORE DI FILOLOGIA GRECA. UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID
KPZFOTO / ALAMY / ACI
Il passato visto in modo diverso
PERSEPOLI, CAPITALE DELL’IMPERO
Erodoto dedica buona parte della sua opera all’impero persiano, ai suoi governanti e alle usanze della popolazione, nonché alle guerre che videro l’impero scontrarsi con i greci. La foto rappresenta la monumentale porta di Tutte le Nazioni, fatta costruire da Serse a Persepoli nel 475 a.C. e il cui ingresso era dominato da due tori alati o lamassu.
CARRO D’ORO TRAINATO DA QUATTRO CAVALLI. TESORO DELL’OXUS. V-IV SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
BABILONIA SECONDO LA DESCRIZIONE DI ERODOTO. INCISIONE ANONIMA PUBBLICATA NEL PRIMO VOLUME DEL DIZIONARIO DELLA BIBBIA DI AGOSTINO CALMET. 1732.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
Nelle Storie Erodoto descrive ampiamente usi e costumi dei popoli che vivono nelle varie regioni da lui visitate nel corso dei suoi viaggi o di cui ha ricevuto informazioni indirette. Anche se a volte ne è stata messa in dubbio la veridicità, i resoconti di Erodoto costituiscono un lavoro pionieristico di ricerca etnografica dell’antichità.
TRA LA STORIA E L’ETNOGRAFIA
«Ed ecco l’usanza, di indubbia saggezza, in vigore presso di loro: non avendo medici portano sulla pubblica piazza i loro infermi. Chi si avvicina al malato esprime un parere sulla sua malattia, se per caso ha avuto gli stessi sintomi, oppure se ha saputo di qualcuno che li abbia avuti […] Non è consentito passare oltre in silenzio senza chiedere all’infermo di quale malattia soffra». Chi superava una malattia era obbligato a divulgare i suoi effetti. libro i
i b a b i lo n e s i , m ed i ci d i s tr a da
i giur amenti deg li sciti
«Ecco come si comportano gli sciti quando giurano: versano del vino in una grande coppa di terracotta e vi aggiungono un po’ di sangue delle persone che stringono il patto. A tale scopo si colpiscono con un punteruolo o si praticano una piccola incisione superficiale con il coltello; poi immergono nella coppa una spada, delle frecce, un’ascia e un giavellotto. Fatto ciò, pronunciano molte preghiere rituali e vuotano, bevendo, la coppa […]». libro iv
g li eg izi, a m anti deg li anim ali
«I gatti morti vengono trasportati in ricoveri sacri nella città di Bubasti [Tell Basta] dove vengono imbalsamati e seppelliti. I cani, invece, li seppelliscono ciascuno nella propria città, in sacri loculi. Come i cani, seppelliscono anche le manguste [herpestes ichneumon]. I topiragno e gli sparvieri li portano a Buto, mentre gli ibis a Ermopoli. Gli orsi […] e i lupi […], al contrario, li seppelliscono esattamente nel punto in cui li trovano morti». libro ii
AKG / ALBUM
DECORAZIONE SCITA IN ORO CHE RAPPRESENTA LA LOTTA TRA UNA TIGRE E UN LUPO FANTASTICO. VII-VI SECOLO A.C. MUSEO DELL’ERMITAGE, SAN PIETROBURGO.
BRIDGEMAN / ACI
COPERCHIO ESTERNO DEL SARCOFAGO DI PSAMMETICO I DEL VII SECOLO A.C. (PERIODO TARDO). XXVI DINASTIA. MUSÉE DES BEAUX ARTES, GRENOBLE.
«Dimostra un’autentica virtù virile chi, oltre a essere un buon combattente, mette al mondo molti figli. Annualmente il re invia un premio a chi ne ha messi al mondo di più […] Ai loro figli, da quando hanno cinque anni fino ai venti, insegnano solo a cavalcare, tirare con l’arco e dire la verità […] Prima dei cinque anni il bambino non si presenta mai al cospetto del padre. Fanno questo perché, se il bambino muore nel periodo dell’allevamento, il padre non ne debba soffrire». libro iii
i persiani e l’ e d u c a z i o n e d e i f i g l i
«Hanno usanze in parte cretesi, in parte carie. Ce n’è una sola tipicamente loro e che non ha assolutamente eguali presso altri popoli, ovvero il fatto che ereditino il nome dalla madre e non dal padre. Quando un licio chiede a un altro come si chiama, quello si qualifica col matronimico e precisa la sua genealogia secondo la linea materna. E se una donna con piena cittadinanza si unisce a uno schiavo, i suoi figli sono considerati legittimi […]». libro i
i l i ci , u n p o p o lo “ f e m m i n i s ta”
La colonna portante delle legioni
CENTURIONI, I DIFENSORI DI ROMA Trattavano con durezza i loro uomini, ma erano i primi ad attaccare e ad affrontare la morte quando il nemico incalzava. Il potere militare di Roma si fondava su questi soldati, che godevano della stima di generali e imperatori
Nel 1858 furono trovate a Lauersfort (Germania) le decorazioni discoidali di un centurione, le falere, in bronzo e argento. Sono state riprodotte in questo rilievo conservato nel museo della CiviltĂ romana di Roma.
DEA / ALBUM
LE DECORAZIONI AI VALOROSI
C R O N O LO G I A
Sei secoli alla guida delle legioni 107 a.C.
LA FINE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME
Durante la guerra dell’imperatore Vespasiano contro gli ebrei, i centurioni si resero protagonisti di varie imprese militari. Olio di Francesco Hayez. XIX secolo.
Primo consolato di Caio Mario, che divide la legione romana in 10 coorti, ognuna di 360 uomini diretti da 6 centurioni.
44 a.C.
Muore Cesare, che nelle cronache delle sue campagne ritrae in modo molto positivo il coraggio e la disciplina dei centurioni.
27 a.C.
L’imperatore Augusto fonda la guardia pretoriana. In epoca imperiale, servire in questo corpo agevolerà l’accesso al grado di centurione.
I-II secolo d.C.
I primipilari (i primi centurioni della legione, normalmente anziani) vengono promossi alla guida delle coorti di stanza a Roma.
100 d.C.
Muore lo storico Flavio Giuseppe, che nella sua cronaca delle campagne di Pompeo in Giudea descrive il ruolo dei centurioni.
122 d.C.
L’imperatore Adriano ordina di costruire in Britannia il vallo che porta il suo nome, a cui lavoreranno legionari agli ordini di centurioni.
V secolo d.C.
Nelle legioni, composte allora da soli mille uomini circa, il centurio o centenarius è al comando di un centinaio di soldati. DEA / ALBUM
76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LA BASE DI UNA LEGIONE
Sotto, moneta d’oro coniata da Giulio Cesare con la raffigurazione di un accampamento. La costruzione al centro rappresenta schematicamente il pretorio o edificio del governo.
N
ell’estate del 70 d.C. le legioni romane conquistano Gerusalemme e radono al suolo la città e il tempio, che viene distrutto per sempre. Protagonista di quei momenti, oltre ad altri valorosi soldati, è un centurione di nome Giuliano. Lo storico Flavio Giuseppe, nella sua Guerra giudaica (VI, 81-90), racconta le gesta eroiche e la morte di Giuliano in una narrazione che ricorda una sequenza cinematografica. Secondo Flavio Giuseppe, Giuliano era il miglior soldato visto in azione in quella brutale contesa: il più abile con le armi, il più forte fisicamente e il più tenace. Durante l’assedio delle mura di Gerusalemme, il centurione si rese conto che i romani stavano retrocedendo. Si trovava accanto a Tito – il comandante romano, figlio dell’imperatore Vespasiano – sulla torre Antonia, quando «saltò giù d’un balzo e da solo respinse i giudei ormai vittoriosi fino all’angolo del piazzale
ANDREA JEMOLO / SCALA, FIRENZE
BATTAGLIA CONTRO I BARBARI. SARCOFAGO DI PORTONACCIO. II SECOLO D.C. MUSEO NAZIONALE ROMANO, ROMA.
AKG / ALBUM
UNA CARICA REDDITIZIA
interno. Dinanzi a lui scappavano tutti – spiega Giuseppe – convinti che qualcuno dotato di tale forza e coraggio non potesse essere un uomo. Egli, avventandosi qua e là nel mezzo dei nemici che fuggivano in ogni direzione, uccideva quelli che riusciva a raggiungere». Quest’azione, rischiosa al limite del suicidio, parve ammirabile al futuro imperatore, che vedeva i nemici fuggire terrorizzati. Ma il destino tradì Giuliano: i chiodi dei suoi sandali scivolarono sulle lastre del tempio e il centurione cadde di schiena. L’armatura sbatté a terra con gran fragore «facendo voltare gli avversari in fuga». A quel punto gli ebrei lo circondarono e lo attaccarono con le spade e con le lance. A terra il centurione poté proteggersi da vari colpi con lo scudo, ma ogni volta che provava a rialzarsi veniva di nuovo gettato al suolo dalla massa. Nonostante fosse a terra, riuscì comunque a ferire molti avversari con la spada. Giuliano tardò a morire perché aveva tutti i punti vitali protetti dal casco e dalla corazza e teneva il collo incassato tra le spalle. «Alla fine,
IL RANGO DI CENTURIONE era ambito per il prestigio e per lo stipendio. Sotto l’imperatore Settimio Severo (193-211 d.C.), un legionario di base percepiva 2.000 sesterzi l’anno e un cavaliere 2.800, mentre i centurioni delle coorti dalla II alla X ne ricevevano 36.000; quelli della I coorte (la più importante della legione) 72.000 e il primus pilus (il centurione più importante della I coorte) 144.000.
con tutte le membra amputate e senza che nessuno osasse aiutarlo, dovette soccombere […] dopo aver a lungo resistito alla morte e aver colpito molti dei suoi assalitori, con gran difficoltà fu finito». Flavio Giuseppe conclude la sua cronaca sottolineando che il futuro imperatore rimase profondamente commosso quando dalla torre vide morire colui che un attimo prima era al suo fianco. Il centurione Giuliano entrò nell’olimpo dei valorosi, cadendo con orgoglio e onore non solo davanti ai suoi compagni, ma anche di fronte ai nemici.
LAME DI GUERRA
Sotto, riproduzione dell’armamento di un centurione nel museo della Civiltà romana di Roma. I centurioni portavano sul fianco sinistro una spada come queste e, su quello destro, un pugnale.
Vivere per la guerra In tutto l’impero dovevano esserci costantemente all’incirca 1.800 centurioni. Uomini come Giuliano: energici, valorosi e spietati, capaci di incutere rispetto ai loro sottoposti e terrore al nemico. I centurioni erano i
SCA
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UN CENTURIONE CON LA CRESTA NERA SULL’ELMO LOTTA CON I SUOI CONTRO IL NEMICO DURANTE LE GUERRE DACICHE, ALL’EPOCA DI TRAIANO. 101-107 D.C. ILLUSTRAZIONE DI PETER CONNOLLY.
LEGIONE (10 coorti)
AKG / ALBUM
La prima coorte aveva 10 centurie
LA STRUTTURA DELLA LEGIONE La legione si suddivideva in dieci coorti, ognuna delle quali era comandata da un prefetto. A sua volta ogni coorte era composta da tre manipoli, o squadriglie. Infine, ogni manipolo era formato da due centurie, ognuna delle quali condotta da un centurione.
sottufficiali di più alto rango dell’esercito di fanteria legionaria (anche se alcuni autori li considerano ufficiali). Erano militari di carriera, cioè iniziavano come soldati semplici e salivano di grado per anzianità e per merito, scalando la struttura della legione. Una legione era formata da 10 coorti, numerate dalla I alla X, e ogni coorte si suddivideva in sei centurie di 80 soldati ciascuna. La promozione del centurione culminava con l’accesso al comando di una centuria della I coorte, la più importante di tutte. A capo di tutti i centurioni di una legione c’era il cosiddetto primus pilus, ovvero la “prima lancia”. Era il primo centurione della I coorte, e i suoi compagni formavano il rango dei primi ordines, ossia quello dei centurioni di maggior grado e riconoscimento nella legione. Quando si ritirava, il primus pilus riceveva una ricompensa e il titolo di primipilare (cioè di ex primus pilus), proprio come un console diventava un consularis alla conclusione del suo mandato. I primipilari erano tenuti in particolare considerazione e potevano ottenere 78 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
a Coorte
b Manipolo e centuria
La designazione dei centurioni di una coorte ricorda la precedente organizzazione di queste unità in tre linee, che in battaglia si schieravano in quest’ordine: hastati (ovvero le reclute più giovani, in prima linea), principes e infine triarii (i soldati veterani).
La coorte era formata da tre manipoli, suddivisi in due centurie: la centuria aveva 80 uomini. I manipoli furono l’unità tattica di base della legione fino a che le riforme di Caio Mario (107 a.C.) non assegnarono questo ruolo alle coorti.
LA STELE DI TITO CALIDIO
La lapide di questo centurione fu rinvenuta a Carnuntum, un accampamento romano fondato da Augusto sulle sponde del Danubio. Kunsthistorisches Museum. Venna. E. LESSING / ALBUM
cariche come, per esempio, quella di prefetto dell’accampamento o di tribuno delle coorti di stanza a Roma. In epoca imperiale si poteva anche diventare centurioni dopo essere stati pretoriani, ossia membri della guardia personale dei sovrani, o grazie a una nomina diretta da parte dell’imperatore stesso, come accadeva nel caso di alcuni membri dell’ordine equestre (il gruppo sociale immediatamente inferiore a quello dei senatori). Al di sotto del centurione c’erano vari gradi. Lo assistevano, per esempio, i cosiddetti principales: un secondo ufficiale, o optio, il portatore di insegne, o signifer, e un ufficiale di guardia, il tesserarius, che aveva il compito di scrivere sulla tessera la parola d’ordine per accedere all’accampamento. Al di sopra del centurione c’erano gli alti ufficiali della legione e un tribuno, tutti di rango senatoriale, più altri cinque tribuni di rango equestre e un prefetto dell’accampamento o soprintendente generale. Una parte importante delle informazioni sui centurioni pro-
b MANIPOLO (2 centurie) CENTURIA (80 uomini)
SOL 90 / ALBUM
a COORTE (3 manipoli)
c I COORTE
COORTI DA II A X II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X Pilus prior
Primus pilus
Il riquadro a destra mostra il nome e la possibile gerarchia dei centurioni di una legione. Quelli della I coorte erano i più importanti e il primus pilus (“prima lancia”) era il centurione di più alto grado di tutta la legione.
d Ascesa di un centurione La promozione di un centurione nelle coorti dalla II alla X andava probabilmente dall’hastatus posterior al pilus prior. A quel punto il centurione poteva passare alla I coorte come hastatus p. e seguire lo stesso processo.
viene dai monumenti funebri a loro dedicati, come la stele di Tito Calidio Severo, morto a 58 anni. Conosciamo la carriera militare di questo soldato grazie alla sua tomba, trovata nell’antica città di Carnuntum, nella provincia romana della Pannonia (attualmente in Austria). Qui è indicato che prima fu cavaliere, poi soldato scelto e decurione (ovvero comandante di un gruppo di cavalieri) in una coorte mista di soldati di fanteria e cavalleria reclutati nella regione delle Alpi, da cui il nome di cohors Alpinorum. Infine fu promosso al grado di centurione nella legione XV Apollinaris, di stanza a Carnuntum, dove Calidio Severo morì dopo 34 anni di servizio, secondo quanto riporta l’iscrizione del suo monumento funebre. Il monumento di Calidio Severo è precedente al 63 d.C., anno in cui questa legione fu mobilitata per combattere contro gli ebrei nella guerra raccontata da Flavio Giuseppe. Nella parte inferiore della stele è rappresentata una parte dell’equipaggiamento militare di Tito Calidio: la corazza a scaglie, l’elmo e
Princeps prior Princeps posterior
Princeps Hastatus
Hastatus prior Princeps posterior
Hastatus posterior
Hastatus posterior
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c Gerarchia
Pilus posterior
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gli schinieri. Sotto, appare il centurione con il cavallo, in una possibile allusione alla sua fase di ufficiale nella coorte alpina.
Centoventi frecce Se le pietre parlano, lo fanno anche le fonti storiche. Il I secolo a.C., soprattutto gli ultimi anni della Repubblica romana, fu denso di campagne militari. Prima ci furono le guerre di conquista, come quelle di Pompeo in Oriente e di Giulio Cesare in Gallia; poi fu la volta delle guerre civili di cui furono protagonisti gli stessi Cesare e Pompeo. Le fonti letterarie del periodo sono ricche di descrizioni di azioni militari in cui i centurioni si mostrano valorosi e temerari. Spettatore e narratore di alcuni di questi episodi è proprio Cesare, nelle cui cronache della Guerra delle Gallie e del conflitto civile si susseguono
I centurioni erano militari di carriera che di solito iniziavano come soldati semplici e poi salivano di grado STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LOTTARE FINO ALLA MORTE I CENTURIONI dovevano mantenere la propria
posizione fino alla fine, il che spiega perché in battaglia ne morivano così tanti. Nelle cronache delle sue campagne Cesare riporta numerosi esempi di coraggio tra questi militari. Menziona per esempio la situazione critica della XII legione nella Battaglia del fiume Sabis (57 a.C.) contro i belgi: i sei centurioni e il signifer della IV coorte erano morti, mentre i centurioni delle altre coorti erano quasi tutti feriti o anch’essi morti. Nello scontro di Dyrrhachium contro i pompeiani (48 a.C.) morirono in uno stesso giorno 32 centurioni dei 64 della IX legione. Nella Battaglia di Farsalo, sempre contro i pompeiani (48 a.C.), in tutto perirono 31 centurioni, mentre caddero solo 200 soldati: Tutto ciò rende l’idea della combattività e del valore di questi militari. 80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LA RESA DI VERCINGETORIGE
Con la capitolazione del capo arverno davanti a Cesare, nel 52 a.C. si concluse la Guerra gallica. Olio, LionelNöel Royer. 1899. Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay. LA CRONACA DI GIULIO CESARE
Il conquistatore delle Gallie e dittatore di Roma narrò le sue campagne di conquista e la sua lotta contro i pompeiani in due grandi classici: La guerra gallica e La guerra civile.
TRA DISCIPLINA E CRUDELTÀ
LEGIONARI RACCOLGONO CEREALI DURANTE LA CONQUISTA DELLA DACIA. BASSORILIEVO DELLA COLONNA TRAIANA. 113 D.C.
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scene di avventure e combattimenti, di morte e sopravvivenza, dove a volte affiorano nomi propri: quelli di chi si distinse per il valore, venendo così inserito nella narrazione come esempio per i posteri. È questo il caso del coraggioso centurione cesariano Marco Cassio Sceva, che combatté nella battaglia di Dyrrhachium (l’odierna Durazzo) contro i pompeiani nel luglio del 48 a.C. Cesare racconta di un durissimo attacco nemico contro le fortificazioni dove si trovava Sceva. Tutti i soldati risultarono feriti, quattro centurioni di una coorte persero gli occhi e, volendo lasciare una testimonianza del proprio sforzo e della pericolosa situazione, fecero sapere a Cesare il numero esatto delle frecce che erano state scagliate contro di loro: trentamila. Quando lo scudo di Sceva fu portato al cospetto del generale, presentava centoventi fori. Questa è la testimonianza che ne dà lo stesso Cesare in La guerra civile (V, 44). Sceva, che era centurione dell’VIII coorte, fu
promosso a primus pilus. Lo stesso Cesare lo premiò con 200.000 sesterzi e ricompensò il valore dell’intrepida coorte legionaria agli ordini di Sceva con denaro, vestiti e insegne. Altri autori riportano questo episodio e aggiungono ulteriori dettagli dello scontro: Sceva fu gravemente ferito a una spalla e una lancia gli trapassò un fianco. Sono fatti forse inventati, ma che mostrano la tendenza dei racconti sui guerrieri a passare in pochi anni dalla storia alla leggenda.
BASSORILIEVO CON INSEGNE
L’insegna, o signum, della legione, coronata da un’aquila, è accompagnata ai lati dai signa di due manipoli (ogni manipolo era formato da due centurie). Bassorilievo del III secolo d.C.
Pullone e Voreno Le narrazioni di imprese come quella di Sceva hanno plasmato il ritratto del centurione romano come esempio di coraggio e colonna portante dell’esercito romano, un’immagine facilmente trasferibile allo schermo. Basta ricordare l’esempio della nota serie televisiva Roma, trasmessa con successo in tutto il mondo, che si sviluppa a partire dalla vita di due centurioni di Giulio Cesare: Lucio Voreno e Tito
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SCALA, FIRENZE
el corso del loro lunghissimo servizio militare tutti i legionari ricevevano presto o tardi qualche scudisciata con la vitis, il bastone di vite che simboleggiava il potere del centurione e serviva a punire le insubordinazioni. Questa sanzione non era regolamentata ed era a discrezione dell’ufficiale. Alcuni la usavano in modo molto crudele e per questo erano particolarmente odiati dalla truppa. Tacito racconta che nel 14 d.C., quando le forze di stanza sul Reno insorsero dopo la morte dell’imperatore Augusto, in Pannonia i soldati uccisero un centurione di nome Lucilio. Questi era soprannominato Cedo alteram, “Portamene un’altra”, in allusione ai bastoni che richiedeva dopo aver spezzato i precedenti sulla schiena dei suoi uomini (Annali, I, 23, 3).
TIMGAD: UNA CITTÀ PER EX LEGIONARI
YANN ARTHUS-BERTRAND / GETTY IMAGES
Situata nell’attuale Algeria, fu fondata dall’imperatore Traiano attorno all’anno 100 d.C. come colonia militare. Qui si insediarono i veterani provenienti dalla frontiera con la Partia, ai quali furono assegnate le terre che i soldati ricevevano una volta terminato il servizio militare, che durava venticinque anni.
IL VALLO DI ADRIANO
Alla sua costruzione lavorarono le legioni di stanza in Britannia: la II, la VI e la XX. A ogni legione toccò un segmento dell’opera, poi ulteriormente suddiviso in sezioni da assegnare alle centurie.
Pullone. I due lottarono al fianco di Cesare nella Guerra gallica, come racconta lo stesso generale, che riferisce del comportamento di entrambi durante l’assedio cui furono sottoposte le fortificazioni della IX legione dalla popolazione dei nervi nel 54 a.C., durante la rivolta di Ambiorige. I due militari erano noti per essere in competizione per ottenere una promozione e proprio in quel periodo lottavano per ascendere a primi ordines, il rango più alto. Cesare racconta che, quando il combattimento ai piedi delle fortificazioni si fece più duro, Pullone disse: «Cosa aspetti, Voreno? Quando pensi di dimostrare il tuo coraggio?». E aggiunse che quel giorno si sarebbe decisa la loro disputa. Detto questo, Pullone scavalcò le difese e si avventò contro il nemico. Voreno lo seguì, temendo che gli altri potessero giudicarlo un co-
UN CENTURIONE IN BRITANNIA
In questa pietra del vallo di Adriano, trovata nel forte romano di Housesteads (edificato nel 124 d.C.), si legge: «Costruito dalla centuria di Giulio Candido». Sono state rinvenute altre tre iscrizioni che ricordano l’opera del centurione.
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dardo. Pullone scagliò il suo pilum e colpì un nemico che correva verso di lui. A sua volta, però, fu colpito da una lancia che gli attraversò lo scudo piantandosi nel balteo, la cintura di cuoio che reggeva la spada. I nemici lo accerchiarono, ma a quel punto arrivò Voreno in suo soccorso. Questi uccise un avversario e costrinse gli altri a retrocedere. Tuttavia, poco dopo cadde in un fosso, dove sarebbe morto se non fosse accorso, questa volta Pullone, in suo aiuto. Alla fine riuscirono a tornare entrambi sani e salvi alle fortificazioni romane dopo aver ucciso molti nemici, senza che nessuno fosse in grado di dire chi dei due avesse dimostrato più valore. «La Fortuna li guidò in questa sfida» chiosa Cesare (La guerra gallica, V, 44). Pullone avrebbe dimostrato lo stesso coraggio anni dopo, durante la guerra civile, lottando contro lo stesso Cesare a Dyrrhachium dopo essere
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FORTE DI VIMINACIUM (L’ATTUALE KOSTOLAC, IN SERBIA), SEDE DELLA VII LEGIONE CLAUDIA.
LA VITA NELL’ACCAMPAMENTO FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK
GLI EDIFICI più comuni negli accampamenti erano le caserme che
riuscito a far passare una parte dell’esercito dal lato dei pompeiani. Quest’ultimo elemento è significativo dell’ascendente che questo centurione aveva tra le truppe (Cesare, La guerra civile, III, 67).
Missioni speciali Oltre alle operazioni in battaglia, i centurioni potevano svolgere anche missioni specifiche su mandato dell’imperatore, in veste di agenti speciali. Gli potevano infatti essere assegnati compiti particolarmente delicati. Ad esempio la missione di condurre a Roma i prigionieri che richiedevano una cura speciale, come potevano essere i capi delle popolazioni vinte o re come Antioco IV di Commagene, un alleato degli ebrei che era stato sconfitto da Vespasiano. Dopo la sua cattura, un centurione lo condusse in catene da Tarso fino alla capitale dell’impero (Flavio Giuseppe, Guerra giudaica, VII, 238). Ai centurioni vengono affidati anche compiti di spionaggio, operazioni di intelligenza militare e comunicazione tra le truppe delle
ospitavano i soldati e gli ufficiali di una centuria. Ogni gruppo di otto uomini riceveva due camere, mentre il centurione aveva a disposizione varie stanze solo per sé, generalmente alla fine del blocco. Queste avevano pareti, in alcuni casi stuccate e dipinte, e potevano essere dotate anche di un bagno personale.
province e Roma. In altre occasioni si possono vedere insieme ai tribuni intenti ad amministrare la giustizia sul fronte di guerra (Guerra giudaica, III, 83), e in alcuni casi gli viene affidata l’organizzazione delle città appena sottomesse (Guerra giudaica, IV, 442) A queste brevi storie se ne potrebbero aggiungere molte altre, tra cui alcune riportate ancora una volta da Flavio Giuseppe. Nel 63 a.C. Pompeo cercò di conquistare Gerusalemme. Al terzo giorno di assedio i romani distrussero una delle torri difensive, entrarono in città e si diressero al tempio. Racconta Giuseppe (Guerra giudaica, I, 49) che il primo ad attraversare le mura fu un ufficiale di nome Fausto Cornelio Silla, figlio di Lucio, e dopo di lui due centurioni, Furio e Fabio, seguiti dalle proprie truppe. Questi circondarono il tempio da ogni lato, uccidendo
Fu un centurione a condurre a Roma, incatenato, Antioco IV, sovrano di Commagene e alleato degli ebrei STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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MARCO FAVONIO FACILE
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La sua stele funeraria fu scoperta a Colchester, l’antica Camulodunum, dove i romani si scontrarono con la regina Budicca nel 61 d.C. Si vede il centurione di fronte, con l’abbigliamento proprio del suo rango, il bastone, gli schinieri, il mantello, la lorica (armatura), il pugnale e la spada. Il monumento era diviso in due, a un metro di profondità . Nelle vicinanze fu ritrovato un recipiente cilindrico in piombo, di 23 cm di diametro e 33 di altezza, contenente ossa bruciate, forse quelle del centurione stesso.
OLTRE A COMBATTERE, AMMINISTRARE
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centurioni non erano solo il braccio armato di Roma: rappresentavano anche l’autorità romana in regioni dove la struttura amministrativa non era sviluppata. In certe circostanze la popolazione locale si rivolgeva a loro in cerca di giustizia. Così, per esempio, nel 193 d.C. un certo Syros scrive al centurione Amonio Paterno lamentandosi del fatto che gli esattori di una tassa in natura gli hanno ingiustamente richiesto il pagamento di un’artaba di grano (ovvero all’incirca 25 litri) e che per questa ragione hanno maltrattato sua madre. In considerazione di questo ruolo amministrativo, i centurioni dovevano avere non solo capacità militari, ma anche aver ricevuto una formazione che gli consentisse come minimo di leggere e scrivere.
senza pietà coloro che cercavano rifugio nel santuario e chiunque opponesse la minima resistenza. A quel punto entrarono in azione i centurioni e le rispettive coorti che, spada alla mano, presero il tempio e sgozzarono i sacerdoti che erano intenti a celebrare le cerimonie. Di questo racconto colpisce l’impassibilità con cui i centurioni profanano il tempio. Il soldato, di fronte al nemico, lascia da parte ogni scrupolo morale (ammesso che ne abbia): lotta per la sopravvivenza. I centurioni sono soldati audaci, i migliori, quelli che si lanciano a scalare le mura per conquistare una fortificazione o una città (Guerra giudaica, I, 351). Sono coloro che eseguono azioni rischiose, che richiedono esperienza, sicurezza e un coraggio estremo. In altre occasioni il centurione, con un numero ridotto di uomini, agisce come un commando, in missione di ricognizione e intervento. È sempre Flavio Giuseppe a narrare un’altra scena estremamente vivida. Durante l’assedio di Vespasiano alla città di Gamala un centurione di nome Gallo, nel pieno del tumulto,
entrò in una casa con dieci soldati. Siccome Gallo era di origine siriana, capì la conversazione in corso tra gli abitanti dell’edificio, in cui colse una cospirazione contro i romani. Durante la notte Gallo tornò da loro e li uccise tutti, quindi rientrò sano e salvo nell’accampamento romano con i suoi uomini (Guerra giudaica, IV, 37-38). Per riassumere, il centurione è una figura decisiva nell’organizzazione militare romana. Forma parte dei consigli di guerra (consilia) dove dà al generale la sua opinione sulle tattiche, in base alle proprie esperienze belliche. In battaglia è in prima fila, a condurre con il proprio esempio e il proprio coraggio. In tempi di pace, si occupa della disciplina e dell’addestramento dei soldati. In altre occasioni, al di fuori dell’accampamento, gli vengono affidate missioni speciali. La sua figura è imprescindibile e imponente, quindi non sorprende il fascino che continua ancora oggi a esercitare.
CARRIERA MILITARE E POLITICA
Stele funeraria di Marco Apicio Tirone, primus pilus della XXII legione, prefetto della XIII e centurione della XV. Esercitò varie cariche amministrative, come a commentariis e curator ab indicibus.
SABINO PEREA YÉBENES PROFESSORE ASSOCIATO DI STORIA ANTICA, UNIVERSITÀ DI MURCIA
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MARCO CELIO, CADUTO A TEUTOBURGO Nel settembre del 9 d.C. i germani distrussero tre legioni romane nella foresta di Teutoburgo. Il centurione Marco Celio, nato a Bononia (l’odierna Bologna), cadde in battaglia. Il suo cadavere rimase esposto alle intemperie assieme a molte altre migliaia di morti, e suo fratello decise di erigere un monumento alla sua memoria.
IL CENTURIONE L. BLATTIUS VETUS, DELLA IV LEGIONE MACEDONICA, A SINISTRA. A DESTRA, MARCO CELIO. L’ASPETTO DI ENTRAMBI È STATO RICOSTRUITO A PARTIRE DAI RISPETTIVI MONUMENTI FUNERARI.
I LI B ERTI D EL CENTU R ION E Con ogni probabilità Marco Celio non era sposato e, infatti, nell’epitaffio non vengono nominati né moglie né figli. Invece, su entrambi i lati del monumento appaiono i ritratti dei suoi servi, due liberti molto amati, uno di origine e nome latino (Privatus), l’altro greco (Thiaminus). Forse morirono anch’essi nell’imboscata di Teutoburgo e per questo fanno parte di questa specie di quadro funebre familiare.
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I N M EMOR I A D EL FR ATELLO Il monumento in realtà non è una tomba, ma un cenotafio, cioè un sepolcro vuoto, una circostanza che riflette la miseria della guerra. Il monumento funebre fu commissionato da Publio, fratello di Marco, che incaricò un buon laboratorio di eseguire un ritratto “il più realistico possibile” del volto del defunto. Marco era stato un centurione primus pilus – il rango più alto – della XVIII legione (che allora si scriveva XIIX).
COR AGG IOSO E DECOR ATO È il ritratto di un uomo che posa in uniforme da centurione, con il bastone di comando e l’armatura completamente ricoperta di decorazioni al merito. Tanti riconoscimenti indicano la lunga carriera di successi militari di questo centurione morto a 53 anni, secondo quanto indica l’iscrizione. La XVIII legione aveva il suo accampamento base a Castra Vetera (attuale Xanten, in Germania), dove Publio fece costruire questo monumento.
3 COM ’ ER A M A RCO CELIO? A sinistra, una ricostruzione dell’aspetto che doveva avere Marco Celio a partire dal suo cenotafio. Il centurione ha in testa una corona civica 1, fatta con foglie di quercia, decorazione che si riceveva per aver salvato la vita di un militare cittadino romano. Le ricompense (dona) appese sull’armatura sono torques 2, di cui uno è attorno al collo, e falere (dischi metallici) 3. Al polso sono visibili altre decorazioni, le armillae 4. Com’è caratteristico dei centurioni, porta la spada a sinistra e la daga a destra – il contrario rispetto ai soldati. Con la mano destra regge il bastone di comando 5, che in origine era di vite, e nella sinistra ha un elmo con una cresta trasversale di piume. L’autore della ricostruzione ha ipotizzato che le gambe fossero protette da gambali 6, come accade in altre raffigurazioni di centurioni.
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ILLUSTRACIONI: GIUSEPPE RAVA / OSPREY PUBLISHING
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IL RITROVAMENTO DELLA VERA CROCE
Questo affresco di Piero della Francesca (nella basilica di San Francesco ad Arezzo) mostra Elena, madre dell’imperatore Costantino, a Gerusalemme, dove trova la croce di Cristo (a sinistra) che dà prova dei suoi poteri resuscitando un morto (a destra). Nella pagina seguente, in basso, reliquiario del XIII secolo con i resti di san Francesco d’Assisi. Musée du Louvre, Parigi. AFFRESCO: ORONOZ / ALBUM. RELIQUIARIO: D. ARNAUDET / RMN-GRAND PALAIS
R EL I Q U I E IL COMMERCIO DI OGGETTI SACRI NEL MEDIOEVO
Nell’Europa medievale si credeva che il contatto con i resti dei santi, o di Cristo stesso, avesse proprietà curative e spirituali. Questo generò un intenso traffico di reliquie, nel quale non mancarono i casi di truffa e i furti
CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO
Questo tempio fu eretto a Gerusalemme nel luogo dove, secondo i Vangeli, fu sepolto Gesù Cristo. Dal Medioevo è meta di pellegrinaggio per i cristiani. PASCAL DELOCHE / GETTY IMAGES
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ossedere una reliquia significa possedere un oggetto di potere. A maggior ragione se l’oggetto sacro appartiene ai primi martiri; figuriamoci, poi, se attribuito a Gesù Cristo, alla Vergine, o a qualche apostolo. Un tempo si credeva che molte malattie si potessero curare attraverso il semplice contatto con le reliquie, per esempio
C R O N O LO G I A
OSSA, TELE E CHIESE
Battista si trova sia Roma, sia ad Amiens. Se poi volessimo contare gli apostoli, che non erano più di dodici, considerando che uno non si trova e un altro è in India, ne troveremmo più di 24 in diversi posti del mondo. I chiodi della croce, come scrive Eusebio, erano tre... e adesso ce ne sono uno a Roma, uno a Milano e uno a Colonia, poi ancora un altro a Parigi, uno a León, e infiniti altri. E infine, i legni della croce: vi dico in verità che se riunissero tutti quelli che dicono esservi nella cristianità, basterebbero per riempire un carro». Questa affermazione, tuttavia, fu smentita dall’architetto Charles Rohault de Fleury, che nel 1870 effettuò uno studio sui frammenti di lignum crucis esistenti nella sua epoca e concluse che, messi tutti insieme, non sarebbero arrivati a formare neanche una terza parte della croce di Cristo.
SCRIGNI DEL TESORO
Le reliquie più importanti vengono conservate in reliquiari di metalli preziosi, come quello nell’immagine qui sopra, dell’VIII secolo d.C. Museo del Duomo, Cividale del Friuli.
Ossa, denti, viscere I corpi dei santi potevano essere smembrati in modo che ogni chiesa possedesse una mano di san Giovanni Battista, un molare di santa Apollonia o qualche osso di sant’Epifanio. Le cattedrali, le basiliche e gli eremi venivano edifica-
335 d.C.
829 d.C.
1354
1550-1598
Si consacra la chiesa del Santo Sepolcro, dove si crede venne sepolto Cristo.
A Santiago di Compostela viene eretta una chiesa dove si dice sia sepolto l’apostolo san Giacomo.
Prima menzione del sudario con la presunta immagine di Cristo. È esposto a Torino dal 1578.
Filippo II di Spagna riunisce una collezione di settemila reliquie per il palazzo dell’Escorial.
ANGELO RELIQUIARIO DEL XIV SECOLO. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
M. BECK-COPPOLA / RMN-GRAND PALAIS
grazie a vertebre, crani, dita o corpi incorrotti. Com’è logico, gli affaristi imbroglioni ne approfittarono, le reliquie si moltiplicarono all’infinito e il loro traffico divenne molto redditizio. Almeno fino al 1215, quando il IV Concilio Lateranense pose un freno al fenomeno proibendo la venerazione di reliquie prive di «certificato di autenticità». Tuttavia, il traffico e la falsificazione non solo non cessarono, ma giunsero a un punto tale da indurre Calvino a pubblicare nel 1543 il Trattato delle reliquie, nel quale criticava e ridicolizzava il fervore per le ossa e i tessuti del corpo umano. Il riformatore francese dimostrò che c’erano alcuni santi che avevano tre o quattro corpi diversi e segnalò molte reliquie fraudolente: un osso di cervo era fatto passare per il braccio di sant’Antonio; una spugna veniva adorata come se fosse il cervello di san Pietro e, come poté vedere lo stesso Calvino a Reims, su una pietra dietro a un altare c’era persino l’impronta delle natiche di Gesù. L’umanista spagnolo Alfonso de Valdés, contemporaneo di Calvino, era ugualmente scandalizzato: «Il prepuzio di Nostro Signore l’ho visto non solo a Roma e a Burgos, ma anche nella cattedrale di Anversa, mentre la testa di san Giovanni
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LE RELIQUIE DI SAN GIOVANNI
Una leggenda racconta che i resti di san Giovanni Battista sarebbero stati salvati dalla cremazione e il suo cadavere trasportato a Gerusalemme, come raffigurato in questa pala di Geertgen tot Sint Jans. Kunsthistorisches Museum, Vienna. FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK
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Furti sacri Apprezzate per il carattere sacro e per le proprietà terapeutiche, le reliquie venivano comprate, e talvolta anche rubate: e non accadeva solo in passato. Nel novembre del 1981 due banditi armati di pistola fecero irruzione nella chiesa di San Geremia a Venezia e si portarono via il corpo mummificato di santa Lucia. La questione si risolse solo con un grande spavento, visto che il corpo fu restituito per la festa della santa, il 13 dicembre. Con quel furto santa Lucia è diventata il personaggio più soggetto a furti della Chiesa: era stata già trafugata dai bizantini a Siracusa nel 1039; dai veneziani a Costantinopoli nel 1204; da alcune monache agostiniane nel 1400 a Venezia, e infine anche da quei delinquenti “da quattro soldi”. Come se non bastasse, alla mummia della santa manca un mignolo, strappato durante un baciamano dal morso di un fedele troppo fervente. Il dito andò a finire in un’altra chiesa di Siracusa, la località dove santa Lucia era nata nel III secolo. Una classificazione suddivide le reliquie in insigni, notevoli, e minime, a se-
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ti sulle tombe o sulle reliquie sacre, alcune delle quali consistevano di frammenti d’ossa o di carne, comprese le viscere essiccate (il cuore di santa Teresa, la lingua di sant’Antonio da Padova o il cervello di santa Margherita Maria Alacoque) o le secrezioni corporee (barattoli con latte della Vergine, lacrime o sangue). Re, papi, principi e nobili avevano un accesso più immediato a queste insolite reliquie, e le utilizzavano per curare sé stessi o i propri familiari. Dicevano che la regina Isabella la Cattolica fosse guarita da una malattia raccomandandosi a sant’Isidoro l’Agricoltore, il cui corpo incorrotto era apparso nel 1212. Ma il fervore per questo santo risaliva a molto prima: si tramanda che Enrico II di Castiglia (1366-1379) fosse andato a Madrid in compagnia della moglie Giovanna per venerare il corpo del santo; una volta aperta l’arca che lo custodiva, la regina aveva cercato di afferrare il braccio destro e l’aveva staccato dal corpo, e da allora lo si era dovuto tenere legato con una corda.
UNA BASILICA PER UNA MUMMIA L’EMBLEMATICO tempio che domina piazza San Marco a Venezia fu costruito apposta per ospitare i presunti resti dell’evangelista. La prima basilica venne consacrata nell’832, quattro anni dopo l’arrivo delle reliquie del santo. Queste erano state ottenute da due mercanti veneziani ad Alessandria d’Egitto. Nel 1968 papa Paolo VI restituì una parte di quelle reliquie alla Chiesa copta d’Egitto.
conda dell’importanza del santo e della parte del corpo. La testa è sempre stata la parte più quotata, poiché si credeva che vi risiedessero l’intelletto, l’anima e la forza. I fedeli potevano anche tenersi addosso degli ossicini, custoditi dentro appositi medaglioni benedetti, chiamati encolpi. Le reliquie più grandi venivano invece conservate in reliquiari d’oro, argento e pietre preziose, che costituivano un tesoro spirituale ed economico. Proprio per questo erano oggetto di furti e motivo di conflitti tra le città. È rimasta celebre la contesa“poco amorevole”tra Poitiers e Tours per il possesso del corpo di san Valentino, patrono degli innamorati; pochi sanno che uno dei tre crani che gli vengono attribuiti è custodito nella chiesa di Sant’Antonio a Madrid, un altro si trova a Toro, presso Zamora, e un altro ancora a Roma. JESÚS CALLEJO GIORNALISTA E STORICO
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RELIQUIE: OGGETTO DI CULTO
1. I L LIG N U M CRU CI S , I L L EG N O D EL L A C RO C E D I C R I S TO
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el Medioevo il possesso di un frammento di lignum crucis, o Vera Croce, il legno della croce sulla quale si racconta che morì Gesù, venne rivendicato da diverse chiese di città come Limburg, in Germania, o Napoli e Genova in Italia. In Spagna si conoscono le reliquie del monastero di Liébana (in Cantabria) e del santuario della Vera Cruz nella località di Caravaca de la Cruz, in provincia di Murcia.
i sospetti caddero subito sulle persone che abitavano nei pressi del castello-santuario (ci mancò poco che linciassero il prete). Di fatto, il furto è rimasto fino a oggi un mistero. Nel 1945 papa Pio XII donò a Caravaca due piccole schegge di legno della Vera Croce, che da allora sostituiscono i resti originali. RELIQUIARIO DELLA VERA CROCE DI CARAVACA A FORMA DI CROCE PATRIARCALE, CON DUE BRACCI ORIZZONTALI. MUSEO DE LA FIESTA, CARAVACA DE LA CRUZ.
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secondo una leggenda, la croce di Caravaca fu portata nel 1231 da due angeli mentre un sacerdote diceva messa davanti a un re almohade scettico. Il frammento di legno, conservato in un reliquiario a forma di croce patriarcale, venne rubato tre volte: dopo le prime due fu ancora possibile recuperarlo, però la terza – nel febbraio del 1934 – fu quella definitiva. Il giornale La Verdad de Murcia riferiva: «Caravaca è in lutto. Una mano criminale e profana ha sottratto il gioiello più prezioso dal sacrario in cui era venerato». Un martedì di carnevale uno sconosciuto era entrato nel santuario facendo un foro in una delle porte e si era impossessato del reliquiario con la scheggia di legno sacro. Non gli interessava nient’altro del tempio. Non pensò nemmeno di portare via la piccola urna d’argento del XIV secolo che conteneva il reliquiario a forma di croce.
IL SANTUARIO E CASTELLO DI CARAVACA DE LA CRUZ
L’edificio originale della basilica era parte del castello e della fortezza medievale. La cappella della Vera Cruz, nell’immagine, custodisce la reliquia, affiancata dagli scudi degli ordini del Tempio (a sinistra) e di Santiago (a destra).
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IL FURTO DI SAN MARCO
Questo mosaico rappresenta il momento in cui il sacerdote Teodoro e il monaco Staurazio aiutano Buono e Rustico a sottrarre la mummia di san Marco da Alessandria. Basilica di San Marco, Venezia.
2 . D I C H I È L A M U M M I A D I S A N M A RCO?
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e ci fidiamo delle cronache più antiche, il corpo dell’evangelista san Marco, morto e sepolto ad Alessandria d’Egitto tre secoli prima, fu consumato dalle fiamme durante le rivolte pagane avvenute nel IV secolo in quella città. Ma, allora, di chi è la mummia che si trova attualmente nella basilica di San Marco? La storia è impagabile. Si narra che due commercianti veneziani, Buono (o Tribunus) da Malamocco e Rustico da Torcello, arrivarono al porto di Alessandria nell’828 e andarono ad adorare
i resti del santo, allora conservati in una chiesa che portava il suo nome. E lì videro una mummia. Il monaco Staurazio e il sacerdote della chiesa, Teodoro, entrambi custodi del tempio e della reliquia, gli dissero che si trattava di san Marco. Quindi annunciarono ai commercianti che la chiesa sarebbe stata distrutta per erigere al suo posto una moschea, come i musulmani stavano già facendo in altri luoghi della città. Buono e Rustico non esitarono a chiedere aiuto a Staurazio e Teodoro per riuscire a impadronirsi del
corpo santo (o perlomeno ritenuto tale) e portarlo nella loro città natale, Venezia. Il corpo fu sostituito con quello di santa Claudia, di modo che nessuno avrebbe sospettato il furto. Il doge di Venezia accolse le reliquie con grandi onorificenze. Di fatto, non si sa esattamente chi furono gli ingannati, visto che i copti credono che la testa del santo rimase nella chiesa di San Marco di Alessandria. A meno che – come sostengono alcuni – a Venezia non fosse giunto il corpo mummificato di Alessandro Magno...
IL MARTIRIO DI ORSOLA
Questo reliquiario del XV secolo, opera di Hans Memling, riproduce diversi episodi della storia di sant’Orsola e delle undicimila vergini. Da sinistra a destra vediamo la partenza da Basilea, l’arrivo a Colonia con il martirio delle vergini e, infine, il supplizio di Orsola da parte degli unni. Nei medaglioni superiori si apprezzano un angelo che suona il liuto (a sinistra) e l’incoronazione della Vergine (al centro). Hans Memling Museum, Bruges.
3. L E U N D I CI M I L A V ERG I N I D I S A N T ’O R SO L A
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na leggenda medievale racconta che nel V secolo un re della Britannia promise sua figlia, convertita al cristianesimo, a un nobile pagano. Prima di consumare il matrimonio la giovane, Orsola, intraprese un pellegrinaggio a Roma insieme a dieci compagne. Al ritorno, mentre giungevano all’attuale Colonia, in Germania, caddero nelle mani degli unni di Attila, i quali – se si trattava di omicidi e sequestri – non andavano molto per il sottile. L’agiografia dice che le undici donzelle
morirono martiri per difendere la loro verginità: pertanto, con il tempo, furono elevate agli altari. Un documento dell’anno 922, trovato in un monastero vicino a Colonia, raccontava la storia di sant’Orsola e accennava al martirio di XIm virginum, che si sarebbe dovuto leggere come undecim martires virginum, “undici martiri vergini”. Invece, il testo fu interpretato come undecim millia virginum, “undicimila vergini”. Per secoli questo errore venne preso per verità, e la leggenda si consolidò sotto forma
di teste e ossa di queste presunte undicimila vergini che, grazie alla furbizia dei truffatori, nel corso del Medioevo inondarono una gran quantità di templi cristiani in tutta Europa. La storia ha ispirato anche l’opera di scrittori e artisti, come Vittore Carpaccio, che tra il 1490 e il 1495 realizzò un ciclo di nove teleri per la Scuola di Sant’Orsola a Venezia. I nove dipinti, oggi custoditi presso le Gallerie dell’Accademia della città, ricostruiscono la vita della santa fino alla sua apoteosi.
ERICH LESSING / ALBUM
4. S A N TA B R I G I DA E S UA FI G L I A , D U E C R A N I P ER N I EN T E FA M I L I A R I
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on è una santa qualsiasi. È la patrona di Svezia e delle vedove, e dal 1999 è anche una delle tre patrone d’Europa nominate, motu proprio, da Giovanni Paolo II. Brigida di Svezia era una cattolica fervente del XIV secolo, che oltre ad avere visioni premonitrici e a godere di apparizioni divine nel corso di tutta la sua vita, fondò un ordine religioso. Morì a Roma dopo essere stata in pellegrinaggio in Terra Santa. I suoi resti furono portati nella località svedese di Vadstena e lì vennero sepolti. Brigida fu canonizzata nel 1391 e, cinque anni dopo, fu nominata patrona di Svezia. Da allora i pellegrini si recano a venerare i suoi resti e quelli di sua figlia, santa Caterina: i crani sono conservati in due scrigni esposti nell’abbazia di Vadstena.
BRACCIO DELLA SANTA. RELIQUIARIO D’ARGENTO DELLA CATTEDRALE DI LINKÖPING CHE CONTENEVA PARTE DI UN OMERO ATTRIBUITO A SANTA BRIGIDA. STATENS HISTORISKA MUSEUM, STOCCOLMA.
DEA / AGE FOTOSTOCK
PRISMA / ALBUM
nel 2010 il Dipartimento di genetica e patologia dell’Università di Uppsala ha compiuto una minuziosa analisi di antropologia forense e del DNA mitocondriale sulle reliquie di santa Brigida e della figlia, santa Caterina. Le conclusioni sono state deludenti, almeno per le autorità ecclesiastiche. Mentre è noto che la Brigida storica visse tra il 1303 e il 1373, le analisi del cranio della persona più anziana hanno rivelato che era appartenuto a una donna vissuta tra il 1215 e il 1270, ovvero un secolo prima della santa. E, come se non bastasse, i due teschi non avevano nessuna relazione familiare tra loro, pertanto le proprietarie non potevano essere madre e figlia. La verità scientifica ha pertanto contraddetto una tradizione religiosa vecchia di 600 anni. Che fare? Lasciare le cose come stanno: i due crani continuano a essere venerati esattamente come prima.
L’ABBAZIA DI VADSTENA, SEDE DELL’ORDINE DI SANTA BRIGIDA
In ossequio alla sua volontà, i resti di santa Brigida furono trasferiti in questa chiesa, appartenente all’ordine da lei fondato, per la sepoltura. Il suo cranio e quello di sua figlia Caterina, anche lei santa, hanno reso il tempio un importante luogo di pellegrinaggio.
F
ra José de Sigüenza, consigliere del re spagnolo Filippo II, definì «santa avarizia» l’ossessione del sovrano di accumulare resti di uomini e donne canonizzati. Dicono che arrivò a mettere insieme un tesoro di 7.422 reliquie nel monastero dell’Escorial. Tra esse si annoveravano 12 corpi interi, 144 teste e 306 ossa lunghe, anche se la maggioranza, circa quattromila, erano reliquie piccole. Padre Sigüenza riferiva: «Non abbiamo notizia di nessun santo del quale ci manchino reliquie, eccetto san Giuseppe, san Giovanni Evangelista e Giacomo il Maggiore». Filippo II fece costruire due altari speciali ai lati dell’altare maggiore della basilica dell’Escorial e diede incarico di fabbricare centinaia di reliquiari per custodire la sua collezione. Questa ossessione lo portò a collegare il buon esito di alcune sue decisioni all’acquisizione di determinate reliquie: quando decise di sposarsi con sua nipote, l’arciduchessa Anna, volle comprare la testa di sant’Anna in modo che «colei che porta il suo nome avesse più devozione
5. FI L I P P O I I , I L CO L L E ZI O N I S TA D I R EL I Q U I E per questa casa», come lo stesso monarca riferiva in una lettera al duca d’Alba. Per alleviare i costanti dolori, nella fase finale della sua vita volle con sé alcune reliquie, che baciava e cui chiedeva aiuto. Si faceva inumidire il letto con acqua santa e si passava un lignum crucis sulle zone più dolenti. Il re morì il 13 settembre 1598 circondato dalle sue reliquie preferite: un pelo della barba di Cristo, un capello della Vergine, il ginocchio di san Sebastiano, un braccio di san Vicenzo Ferrer e la costola del vescovo Albano.
ORONOZ / ALBUM
Si trova nella navata sinistra della basilica del monastero dell’Escorial ed era stato destinato alle reliquie di santi e martiri di sesso maschile, secondo la distribuzione fatta da fra Juan de San Jerónimo, incaricato da Filippo II di gestire le reliquie. Nella navata destra del tempio si trova l’altare dell’Annunciazione, dove si conservano le reliquie delle sante e delle martiri.
ALTARE DI SAN GIROLAMO
OBIETTIVI RIVOLUZIONARI
Le guardie rosse in posa nelle strade di Pietrogrado durante la Rivoluzione d’ottobre del 1917 con cui il Partito bolscevico, guidato da Lenin, prese il potere.
LA RIVOLUZIONE
TATE, LONDON / SCALA, FIRENZE
lacerato dalla guerra e dalla fame e unito dal desiderio di cambiamento: così il popolo russo iniziò, nel febbraio 1917, la rivoluzione. un leader, lenin, riuscì a imporsi nella lotta per il potere e a porre le basi per la nascita dell'urss
RUSSA
BRIDGEMAN / ACI
NICOLA II: SPIAZZATO DALLA RIVOLUZIONE
LA SCINTILLA. IL 23 FEBBRAIO, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE, MIGLIAIA DI LAVORATRICI MANIFESTANO A PIETROGRADO PER CHIEDERE PIÙ RAZIONI DI CIBO, LA FINE DELLA GUERRA E IL DIRITTO DI VOTO.
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pianò la strada alla nascita dell’Unione Sovietica. La sua eredità ha dominato la politica del XX secolo e ha lasciato un segno indelebile nel mondo contemporaneo. Ma quando mosse i primi passi, nel gelido febbraio del 1917, molti rivoluzionari non ci fecero troppo caso. Il primo indizio che stava accadendo qualcosa di importante fu durante la Giornata internazionale delle donne, il 23 febbraio del 1917*. Folle di operaie delle fabbriche si radunarono nel centro della capitale, Pietrogrado (San Pietroburgo). Anche quando vi si unirono schiere di lavoratori e lavoratrici scontenti e affamati, alcuni dei rivoluzionari rimasero scettici. Aleksandr Šljapnikov era una delle figure principali del movimento bolscevico, il cui leader, Vladimir Il’ic̆ Lenin, era in esilio dal 1905. Il 25 febbraio Šljapnikov osservava: «Date ai lavoratori mezzo chilo di pane e il movimento si esaurirà».
lo zar nicola ii romanov – nato nel 1868 Nikolaj Aleksandrovic̆ – era cresciuto all’ombra del padre, Alessandro III. Feroce oppositore della democrazia, il barbuto e corpulento Alessandro era noto per la sua abitudine di buttare giù le porte a spallate e di piegare le monete d’argento con le dita. Nicola adorava suo padre, ma questi considerava apertamente il suo erede un debole e lo soprannominava “la femminuccia”. Quando salì al trono imperiale nel 1894, Nicola non aveva un’adeguata comprensione della Russia moderna, la cui società sempre più istruita, urbana e inquieta era in rotta di collisione con i suoi istinti aristocratici. La guerra del 19041905 contro il Giappone si concluse con un’umiliazione e portò la rivoluzione nelle strade di San Pietroburgo. Il cocktail di guerra e rivoluzione si dimostrò fatale una decina d’anni più tardi, anche se la Russia entrò nel 1914 nel primo conflitto mondiale sotto la spinta del patriottismo. La decisione di assumere il comando supremo delle forze armate e l’influenza esercitata sulla moglie dal sinistro monaco Rasputin fecero perdere a Nicola ogni sostegno. Neppure l’abdicazione, nel marzo del 1917, lo avrebbe salvato dai bolscevichi. La famiglia Romanov fu detenuta in una casa di Ekaterinburg fino al luglio del 1918, quando Nicola, la moglie e i cinque figli furono giustiziati nello scantinato. NICOLA II ROMANOV IN UN RITRATTO DEL 1900. MUSEO STATALE DI TSARSKOE SELO, SAN PIETROBURGO.
Fame, guerra, rabbia
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LE DATE SEGUONO IL CALENDARIO GIULIANO IN VIGORE ALL’EPOCA IN RUSSIA (13 GIORNI IN ANTICIPO RISPETTO A QUELLO GREGORIANO, IN USO IN EUROPA E STATI UNITI). IL GOVERNO SOVIETICO PASSERÀ AL SISTEMA GREGORIANO NEL FEBBRAIO 1918.
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Per quanto inizialmente si ritenesse che le proteste non sarebbero durate a lungo, molti osservatori dell’epoca – tra cui i bolscevichi di Lenin, i liberali russi e i diplomatici stranieri – erano comunque certi che la rivolu-
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Presa di potere dei bolscevichi Percorso del «treno sigillato» di Lenin (28 marzo-3 aprile 1917) Linea del fronte durante la Rivoluzione di febbraio del 1917 in Russia (giorno 27)
Limite dell’occupazione delle potenze centrali secondo il trattato di Brest-Litovsk (3 marzo 1918)
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LE RADICI DELLA RIVOLUZIONE
CADUTI IN DISGRAZIA. DOPO L’ABDICAZIONE DI NICOLA, NEL FEBBRAIO DEL 1917, IN TUTTA LA RUSSIA FURONO DISTRUTTE LE IMMAGINI DEGLI ZAR, COME QUESTA STATUA DEL PADRE DI NICOLA, ALESSANDRO III.
zione fosse solo una questione di tempo. Le radici del malcontento russo erano profonde. L’incapacità del governo di fare fronte alla devastante carestia del 1890 aveva infiammato il fervore rivoluzionario. Nelle città, lo sfruttamento e la sconvolgente miseria di cui erano vittime i lavoratori avevano causato ondate di scioperi e proteste. La pressione esercitata dal processo di industrializzazione era aggravata dalla gestione dello zar Nicola II. Salito al trono nel 1894, Nicola aveva ereditato il gigantesco impero russo e le idee autocratiche della sua famiglia, la dinastia Romanov. Nel 1905 la popolarità dello zar era in declino, a causa dei continui problemi interni e dell’impopolare guerra contro il Giappone. La repressione violenta di una manifestazione pacifica a San Pietroburgo, nel gennaio dello stesso anno, aveva scatenato mesi di proteste. Finalmente, nell’autunno del 1905, lo zar aveva ceduto e firmato il “manifesto di ottobre”, che poneva le basi per la tutela dei diritti civili, la promulgazione di una costituzione e l’istituzione di un parlamento, la duma. Tali concessioni avevano placato gli animi rivoluzionari quel che bastava perché Nicola II potesse rimanere al potere. Tuttavia, per molti il manifesto era insufficiente e tardivo. Ispirandosi agli scritti di Karl Marx (1818-1883), che prevedeva una rivoluzione in cui i lavoratori sarebbero diventati la classe dirigente, figure di agitatori come Lenin continuavano a spingere alla 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Una prima rivoluzione scoppiò a San Pietroburgo nel gennaio del 1905, quando le truppe dello zar uccisero centinaia di manifestanti. Le proteste che seguirono costrinsero Nicola II a concedere un parlamento e una costituzione nazionale. Il decennio successivo fu caratterizzato dai continui scontri tra le diverse fazioni politiche. Militanti bolscevichi come Trotskij e Lenin aspettavano, in prigione o in esilio, l'opportunità di una nuova rivoluzione.
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liberali: partito democratico costituzionale (o “cadetto”) guidato da pavel miljukov
Fondato durante la rivoluzione del 1905, il PDC era dominato da un’élite liberale di aristocratici e borghesi che voleva sostituire l'autocrazia degli zar con una democrazia costituzionale, in linea con l’esempio britannico. Guidati dallo storico Pavel Miljukov, molti “cadetti” erano studiosi e intellettuali. Il partito veniva spesso rappresentato dai rivali come un movimento aristocratico che viveva fuori dalla realtà. I bolscevichi lo dichiararono illegale nel dicembre 1917. Miljukov morì in esilio in Francia. PAVEL MILJUKOV (1859-1943).
DOMENICA DI SANGUE, 1905. MUSEO STATALE DI STORIA CONTEMPORANEA RUSSA, MOSCA.
1905
1917
RIVOLUZIONE DEL 1905 L'uccisione di centinaia di manifestanti a San Pietroburgo scatena la rivolta. In ottobre viene istituito il primo soviet (“consiglio dei lavoratori”); lo zar concede delle riforme ma resta al potere.
RIVOLUZIONE DI FEBBR AIO A Pietrogrado esplode la violenza, nella generale frustrazione per la mancanza di cibo. In marzo abdica lo zar. Il governo provvisorio e i soviet condividono il potere.
FOTO SOPRA: BRIDGEMAN / ACI. FOTO CRONOLOGIA: JOSSE / SCALA, FIRENZE
ALEKSANDR KERENSKIJ NEL 1917. NEL LUGLIO DI QUELL'ANNO DIVENNE PRIMO MINISTRO.
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la sinistra agraria: il partito socialista rivoluzionario di kerenskij
Nato nel 1900 da una fusione di diversi partiti, l'SR fu il più grande movimento russo di sinistra fino al 1917. In accordo con la natura prevalentemente rurale della Russia dell’epoca, le idee del partito ruotavano attorno a una radicale riforma agraria e vedevano nella difesa dei contadini il punto principale di divergenza con il partito di Lenin. Nonostante il coinvolgimento del Partito socialista rivoluzionario in atti terroristici, nel 1917 il leader era il rispettato Aleksandr Kerenskij, primo ministro dal luglio di quell’anno. In seguito alla messa fuori legge del partito da parte dei bolscevichi, Kerenskij abbandonò la Russia. Trascorse il resto della vita lavorando come docente universitario negli Stati Uniti, dove morì nel 1940.
IL CAMMINO VERSO IL POTERE
APRILE Lenin rientra in Russia dall’esilio su un “vagone piombato”. Al suo arrivo fa cadere il governo provvisorio e reclama «tutto il potere per i soviet».
MAGGIO - GIUGNO Nominato ministro della guerra, Aleksandr Kerenskij lancia un’ampia offensiva contro la Germania. Ma questa fallisce compromettendo la fiducia della gente nel governo provvisorio.
LENIN PRESIEDE UNA RIUNIONE DEL SOVNARKOM (IL CONSIGLIO DEI COMMISSARI DEL POPOLO) NEL 1918.
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la sinistra marxista: il partito operaio socialdemocratico russo di vladimir lenin
Fondato nel 1898, il POSDR sosteneva che sarebbe stato il proletariato industriale e urbano a dare avvio alla tanto agognata rivoluzione in Russia, e non i contadini. Molti dei leader del POSDR furono mandati in esilio. In seguito a una controversia tra Vladimir Lenin e Julius Martov avvenuta nel 1903 a Londra, il partito si divise tra bolscevichi (“maggioritari”) e menscevichi (“minoritari”). All’origine del disaccordo c’era la concezione leniniana del partito come “avanguardia del proletariato”, che nella pratica lo riduceva a un piccolo gruppo di rivoluzionari di professione piuttosto che cercare un sostegno più ampio . Questa rigida visione tornò utile a Lenin nel 1917, quando la sua fazione, seppur in minoranza, prese il potere schiacciando l'opposizione.
SET TEMBRE Il generale Kornilov tenta inutilmente di imporre la legge marziale. I bolscevichi mantengono alta la loro popolarità conquistando la maggioranza in vari soviet cittadini di tutta la Russia.
LUGLIO Fallisce una rivolta di operai a Pietrogrado per mancanza di una chiara leadership. Kerenskij diventa primo ministro e reprime i bolscevichi. Lenin si rifugia in Finlandia.
NOVEMBRE I bolscevichi cominciano a gettare le basi per un loro governo. Lenin diventa presidente del Consiglio dei commissari del popolo, o Sovnarkom, che sarà il centro del potere esecutivo.
L A RIVOLUZIONE D’OT TOBRE Lenin rientra in segreto a Pietrogrado. Il 23 ottobre i bolscevichi prendono il controllo della guarnigione cittadina. La notte seguente un gruppo assalta il palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio, arresta Kerenskij e prende il potere.
EL MENÚ
DÍA ILDELRITORNO Medalla IN RUSSIA conmemora¡ Eiffel. DI LENIN
1875. Museo de Orsay, París. mondiale dall’esilio, Xeria sunt estem i tedeschi guardavano con interesse il deteriorarsi eostiuntis didella bea situazione interna degli avversari volectatio. Tur di consentire a Lenin il rientro in patria, russi. Proposero alitio endustiache nonla sua presenza avrebbe aumentato nella speranza rae verfero dis il Paese. Anche se altri esuli russi il caos e indebolito MENTRE LENIN SEGUIVA le sorti della Prima guerra
consideravano un tradimento qualsiasi accordo con il nemico, Lenin decise comunque di intraprendere il viaggio insieme alla moglie e a un piccolo gruppo di compagni. Salirono a bordo di un “vagone piombato” che avrebbe attraversato l’Europa centrale. Il 3 aprile, all’arrivo alla stazione di Pietrogrado, Lenin fece cadere il governo provvisorio reclamando «tutto il potere per i soviet». La scommessa dei tedeschi diede i suoi frutti.
SCIENCE HISTORY / ALAMY / ACI
LICENZA ARTISTICA. IL QUADRO DI MIKHAIL SOKOLOV DEGLI ANNI TRENTA, CHE RITRAE L’ARRIVO DI LENIN ALLA STAZIONE DI PIETROGRADO, INSERISCE UN PERSONAGGIO CHE NON ERA SU QUEL TRENO CON LUI: IOSIF STALIN, VISIBILE IN PIEDI DIETRO AL LEADER BOLSCEVICO.
rivolta contro lo zar. Un decennio più tardi, le irrisolte tensioni sociali ed economiche furono esacerbate dall’entrata della Russia nella Prima guerra mondiale. Situata vicino al confine con la Germania e stremata dalla guerra e dalle carenze alimentari, all’inizio del 1917 Pietrogrado era una polveriera di rabbia e disperazione. Ciò che avvenne a quel punto non fu solo un rifiuto dello stato, ma di tutte le forme di autorità.
La rivoluzione di febbraio Contrariamente alle previsioni di Šljapnikov, secondo cui le proteste si sarebbero esaurite in fretta, negli ultimi giorni di febbraio i disordini non fecero che aumentare e iniziarono ad apparire bandiere rosse e striscioni
DAVID KING COLLECTION / ALBUM
che invocavano la caduta dello monarchia. Le autorità avrebbero potuto mantenere la situazione sotto controllo evitando un conflitto aperto con la folla. Invece, le forze dello zar aprirono il fuoco sui manifestanti causando decine e decine di vittime. Le proteste si trasformarono in una vera e propria rivoluzione quando i partecipanti fecero irruzione nelle caserme del reggimento Pavlovskij: i soldati, invece di respingere l’attacco, decisero di unirsi ai manifestanti, sparando in alcuni casi ai loro stessi ufficiali. Ben presto le autorità rimasero praticamente prive di potere militare nella capitale. L’espandersi della rivolta spinse alcuni a ipotizzare che gli scontri fossero stati orchestrati dai partiti socialisti. In realtà, dietro quelle proteste c’erano molte persone:
soldati, lavoratori, studenti, i cui nomi non avrebbero lasciato tracce nei libri di storia. Il 27 febbraio una folla, alla ricerca di leader, si riversò a palazzo Tauride, la sede della duma. Qui venne eletto un consiglio dei lavoratori (soviet). La maggior parte dei dirigenti del soviet di Pietrogrado non aveva intenzione di prendere il potere. Piuttosto, voleva che i leader della duma formassero un governo in linea con la dottrina di Karl Marx: in un Paese come la Russia, il primo passo verso un ordi-
IL SOVIET SI RIUNISCE
Un incontro del soviet di Pietrogrado, marzo 1917. Lo scontro per il potere tra governo provvisorio e soviet sarà una fonte di tensione costante per tutto l’anno.
LE AUTORITÀ AVREBBERO POTUTO EVITARE IL CONFLITTO. MA LE FORZE DELLO ZAR APRIRONO IL FUOCO SUI MANIFESTANTI UCCIDENDONE CENTINAIA STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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e di assemblea. La Russia divenne quello che Lenin definì «il Paese più libero del mondo». Dall’esilio in Svizzera, il leader bolscevico seguiva con frustrazione il rapido susseguirsi degli eventi a Pietrogrado. Alla fine rientrò in Russia su un “vagone piombato” messo a disposizione dai tedeschi, che speravano che la sua opposizione alla guerra avrebbe favorito un ritiro della Russia dal conflitto.
Le Tesi d'aprile
FINE ART / ALBUM
LENIN E LA VERITÀ
Lenin legge la Pravda (“verità” in russo), il giornale ufficiale dei bolscevichi. Questa pubblicazione contribuì a far conoscere il partito tra soldati e operai.
ne socialista avrebbe dovuto essere compiuto dai democratici borghesi. Il primo marzo venne costituito un governo provvisorio. Il soviet si impegnava a sostenerlo nella misura in cui questo si fosse attenuto a principi democratici. Intanto, di fronte all’andamento negativo della guerra contro la Germania, lo stato maggiore dell’esercito e la stessa duma facevano pressioni sullo zar Nicola perché abdicasse, cosa che avvenne il 2 marzo 1917. La notizia fu accolta con scene di esultanza in tutto l’impero russo mentre i simboli del potere monarchico venivano distrutti dalla folla. Il governo provvisorio intraprese notevoli riforme. Diretto da un primo ministro riformatore e liberale, il principe Georgij L’vov, e dal ministro della giustizia Aleksandr Kerenskij – unico socialista al governo nonché il solo a essere anche membro del soviet – il nuovo esecutivo spazzò via le vecchie leggi del regime zarista contro le libertà di parola
IL MALCONTENTO SI DIFFUSE DALLE CITTÀ ALLE CAMPAGNE. GLI SCIOPERANTI INIZIARONO A CHIEDERE GIORNATE LAVORATIVE PIÙ CORTE E IL CONTROLLO OPERAIO SULLE FABBRICHE 114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Il 3 aprile Lenin arrivò alla stazione Finlandia di Pietrogrado con un programma in dieci punti – le famose Tesi d’aprile – per una seconda rivoluzione basata sul“potere ai soviet”. Gli scritti di Lenin andavano contro l’ortodossia marxista, perché rifiutavano la necessità della prima fase – la rivoluzione “democratica borghese”. Ciononostante, Lenin riuscì a spingere il Partito bolscevico – una fazione del Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR) – a seguire le sue tesi. Il suo indubbio carisma favorì l’adesione in massa di operai e soldati, che non sapevano molto di teoria marxista ma ne apprezzavano l’efficacia: perché aspettare di raggiungere il socialismo in due fasi quando si poteva farlo in una? Il malcontento continuava a diffondersi in tutto il Paese, dalle città alle campagne. Le aspettative dei lavoratori erano alle stelle: gli scioperanti reclamavano la giornata lavorativa di otto ore e il controllo delle fabbriche da parte degli operai. In questo contesto di crisi generale dell’autorità, il soviet aveva un controllo limitato sulle rivolte che si registravano nelle province e nelle campagne. I governi regionali e municipali si comportavano come se fossero indipendenti. Come nel 1905, erano le comunità contadine a rappresentare il nucleo organizzativo della rivoluzione, nella misura in cui confiscavano la terra e il bestiame. I soldati avevano comitati propri che regolavano i rapporti con gli ufficiali. Alcuni rifiutavano di combattere per più di otto ore al giorno, esigendo gli stessi diritti degli operai. Per i dirigenti del governo provvisorio, la salvezza dello stato russo dipendeva dal successo militare. Una sconfitta da parte della Germania avrebbe potuto significa-
SCONTRI SULLE STRADE
di Pietrogrado durante le “giornate di luglio”. Foto di Viktor Bulla, 5 luglio 1917.
TATE PHOTO / RMN-GRAND PALAIS
re un ritorno al vecchio ordine e la restaurazione della dinastia Romanov. Sotto la pressione degli alleati, la Russia lanciò una nuova offensiva a metà giugno 1917. I russi riuscirono ad avanzare vittoriosamente per due giorni, ma al terzo furono respinti da una controffensiva tedesca. Allarmato dal successo degli avversari, il governo provvisorio chiamò alla mobilitazione il primo reggimento dei mitraglieri, che era composto dai soldati più vicini ai bolscevichi della guarnigione di Pietrogrado. Ma il reggimento ritenne che si trattava di un ordine“controrivoluzionario”, che mirava in realtà a sbarazzarsi degli elementi bolscevichi con la scusa della guerra ai tedeschi, e minacciò di destituire l’esecutivo se non
L’ESTATE DEL LORO SCONTENTO LE “GIORNATE DI LUGLIO” iniziarono a Pietrogrado
con delle manifestazioni pacifiche contro il governo provvisorio del principe L’vov. Operai e soldati scesero in strada il 3 luglio del 1917. Il governo provvisorio non era in grado di controllare i disordini, il soviet non interveniva e i bolscevichi non appoggiavano la rivolta. In mancanza di un leader e di un obiettivo chiaro, la protesta scemò, ma il governo ne uscì ulteriormente indebolito. L’vov rassegnò le dimissioni, Kerenskij divenne primo ministro e sfruttò quest’opportunità per screditare i bolscevichi rendendo pubblici i legami finanziari di Lenin con la Germania. Molti leader, tra cui Trotskij, furono incarcerati, ma Lenin riuscì a raggiungere la Finlandia.
BRIDGEMAN / ACI
PVDE / BRIDGEMAN / ACI
LA RIVOLUZIONE A VENIRE. LENIN NEL 1905, UN ANNO CHE AVREBBE RAPPRESENTATO LA PROVA GENERALE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA
NON L'ULTIMO DEI SUOI PROBLEMI. IL 5 MAGGIO DEL 1887 LA MADRE DI LENIN, MARIA, GIÀ VEDOVA, VENNE A SAPERE DELL’ESECUZIONE DEL FIGLIO MAGGIORE, ALEKSANDR. LITOGRAFIA DEL XX SECOLO.
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iktor Chernov, membro del governo provvisorio rovesciato dalla Rivoluzione d’ottobre, scrisse: «La dedizione di Lenin alla causa rivoluzionaria permea il suo intero essere». La sua diagnosi era condivisa sia dagli amici che dai nemici del leader bolscevico.
VLADIMIR IL’IC̆ UL’JANOV
LENIN
Fu descritto dal romanziere Gor'kij come «un genio più di chiunque altro nella sua epoca», ma anche come «un imbroglione che non risparmia l’onore né la vita del proletariato». Complesso ed enigmatico, il Lenin rivoluzionario continua a sfuggire a facili caratterizzazioni.
Vladimir Il'ic̆ Ul'janov alla nascita, Lenin crebbe in una famiglia benestante di una cittadina circa 900 chilometri a est di Mosca. Suo fratello maggiore, Aleksandr, dimostrò che la famiglia aveva la rivoluzione nel sangue partecipando a un maldestro tentativo di assassinare lo zar Alessandro III nel 1887. Fu giustiziato all’età di 21 anni. Probabilmente questo incidente influenzò sia la visione del mondo di Lenin che il suo successivo rifiuto degli atti individuali di terrorismo come strumento politico. NADIA SOPRAVVISSE AL MARITO DI 15 ANNI. IN SEGUITO SI ALLEÒ CON TROTSKIJ CONTRO STALIN. SZPHOTO / BRIDGEMAN / ACI
MARX E LENIN: LA RIVOLUZIONE COMUNISTA
KARL MARX (1818-1883) IN UNA FOTOGRAFIA DELL'EPOCA.
L'autore di Il manifesto del partito comunista e di Il capitale fu il punto di riferimento non solo dei pensatori rivoluzionari europei, ma anche di Lenin. Il quale, però, decise di seguirlo a modo suo.
CULTURE-IMAGES / ALBUM
operaia avrebbe condotto a una dittatura del proletariato, che sarebbe infine sfociata nel comunismo e nella libertà per tutti. Per quanto lenin fosse un ardente seguace della dottrina marxista, era di carattere impaziente. La profezia di Marx contemplava l’eventuale crollo di società capitaliste mature, non semifeudali come la Russia del XX secolo. Nel 1917 Lenin realizzò rapidamente che la rivoluzione non poteva attendere di passare attraverso lo stadio borghese di cui parlava Marx e diresse quindi i suoi sforzi a prendere il potere e a instaurare una dittatura dei lavoratori. L’ultima tappa auspicata da Marx, quella della libertà per tutti, non vide mai la luce.
Ma anche Lenin era politicamente ribelle: nel 1897 fu arrestato a San Pietroburgo con l’accusa di sedizione ed esiliato in Siberia. L’anno seguente sposò l’inseg nante Nadežda Konstantinovna Krupskaja, detta Nadia. Anche se inizialmente non amava Vladimir, Nadia presto riconobbe in lui PROPAGANDA. STALIN USAVA L’IMMAGINE DI LENIN PER un’anima gemella, RAFFORZARE LA SUA POSIZIONE. POSTER, MUSEO DI STATO RUSSO. come lei devota alla rivoluzione. Durante l’esilio i due vissero in varie località, tra cui Londra e Ginevra. Non ebbero figli e si dedicarono interamente alla causa bolscevica. L’alias “Lenin” apparve per la prima volta sulle pagine di Iskra (“la scintilla”), il giornale rivoluzionario da lui fondato nel 1900. All’epoca questi viveva a Londra, dove aveva conosciuto colui che sarebbe diventato il suo più prezioso
“IL GEORGIANO MERAVIGLIOSO”
Anche se questo fu il suo primo commento su Iosif Vissarionovich, o Stalin (“l’uomo d’acciaio”, qui sotto), Lenin iniziò a diffidare di lui negli anni successivi. Ma ormai Stalin si era assicurato di succedergli al potere. GRANGER / AGE FOTOSTOCK
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karl marx morì nel 1883, quando Lenin aveva 12 anni. Era fautore di una peculiare forma di socialismo, detta comunismo, che delineò in opere come Il manifesto del partito comunista e Il capitale. Il comunismo, che aveva saputo imporsi tra i pensatori rivoluzionari della sinistra europea, si incentrava sul “materialismo storico”, l’idea secondo cui la società e le sue forme politiche sono modellate dalle strutture economiche di un’epoca. Analizzando l’evoluzione economica – e quindi sociale – dell’umanità, Marx riteneva di poter prevedere scientificamente i successivi stadi del capitalismo. Innanzitutto ci sarebbe stata una rivoluzione borghese. Quindi una rivoluzione
alleato durante i fatti dell’ottobre del ’17: Lev Bronštejn, meglio noto come Leon Trotskij (“la penna”). Il successivo dissidio tra i due si ricompose dopo la scoppio della rivoluzione. Lenin morì nel 1924, a 53 anni, dopo essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio e a vari infarti. Nonostante il cattivo stato di salute, continuò a partecipare all’attività di governo. Fino a quando, nel 1923, un ultimo infarto lo lasciò paralizzato e senza facoltà di parola. Prima di questo avvenimento Lenin aveva scritto un testamento in cui evidenziava le sue preoccupazioni, dispensava consigli per il futuro e criticava molte figure, tra cui Trotskij e Stalin, allora segretario generale del comitato centrale del partito e che secondo Lenin doveva essere destituito. Nadia rese noto il testamento dopo la morte di Lenin, quando ormai Stalin e i suoi alleati erano abbastanza potenti da poter prescindere dalla sua influenza. LEON TROTSKIJ ERA AMMIRATO DA LENIN PER LA SUA INTELLIGENZA E LA SUA CAPACITÀ ORGANIZZATIVA. BRIDGEMAN / ACI
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fosse tornato sui suoi passi. Rispetto alla posizione del reggimento, i leader bolscevichi si mostravano più cauti. Il 4 luglio numerosi soldati, lavoratori e marinai della base navale di Kronštadt, dopo aver marciato armati per le vie di Pietrogrado, si radunarono davanti al quartier generale bolscevico in attesa di istruzioni. Ma, in quel momento cruciale, Lenin esitò e non si risolse a chiamare il popolo alla rivolta. La fallita “rivoluzione di luglio” fu seguita dalla repressione. La polizia prese d’assalto la sede del POSDR, centinaia di bolscevichi furono arrestati e Lenin dovette riprendere la via dell’esilio, questa volta in Finlandia. Aleksandr Kerenskij venne acclamato come l’unico in grado di riconciliare il Paese e fermare la deriva verso la guerra civile. Era il solo politico a godere del sostegno popolare e, allo stesso tempo, era benvisto dai leader militari e dalla borghesia. Il principe L’vov lasciò l’incarico e l’8 luglio Kerenskij divenne primo ministro: ben presto decretò nuove restrizioni alle riunioni pubbliche, ripristinò la pena di morte in guerra e decise di ristabilire la disciplina militare. Il programma del nuovo governo di coalizione non era più legato ai principi dei soviet. Nel frattempo il capo dell’esercito, il generale Kornilov, in un tentativo di presentarsi come il “salvatore della patria”, richiese l’attuazione di misure che di fatto corrispondevano all’imposizione della legge marziale. 118 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL GENERALE KORNILOV FU PROMOSSO COMANDANTE IN CAPO DAL GOVERNO PROVVISORIO NEL 1917. MA KERENSKIJ, CHE NON SI FIDAVA COMPLETAMENTE DI LUI, LO FECE ARRESTARE.
PRONTI PER LA RIVOLUZIONE
In fabbriche come questa di Pietrogrado, i bolscevichi reclutavano gli operai per le guardie rosse, le unitĂ militari che avrebbero svolto un ruolo di primo piano nella rivoluzione e durante la fase successiva.
Kerenskij inizialmente accettò, poi si rivoltò contro il generale chiamando i soviet alla mobilitazione per difendere la capitale dalle forze di Kornilov. I leader bolscevichi, che in precedenza il generale aveva fatto arrestare, furono liberati, mentre le guardie rosse organizzavano la difesa delle fabbriche. Ma non ci fu bisogno di combattere, perché i soldati cosacchi furono persuasi dagli agitatori dei soviet a deporre le armi. Kornilov e altri 30 ufficiali furono imprigionati. Considerati martiri politici dai conservatori, i kornilovisti avrebbero in seguito costituto il nucleo fondatore dell’Armata bianca, che si sarebbe battuta contro le forze comuniste (l’Armata rossa) nella successiva guerra civile.
Il momento di Lenin La questione Kornilov finì per indebolire la posizione di Kerenskij. Attaccato a destra per aver tradito il generale, il primo ministro era sospettato a sinistra per aver agito, almeno all’inizio, in connivenza con lo stesso. Molti soldati dubitavano ormai della fedeltà dei propri ufficiali al nuovo governo, il che causò un forte deterioramento della disciplina militare. La conseguenza fu l’espandersi del processo di radicalizzazione nelle principali città industriali. I grandi beneficiari furono i bolscevichi, che a inizio settembre ottennero le prime maggioranze nei soviet di Pietrogrado, Mosca, Riga e Saratov. Dalla Finlandia Lenin chiamò i suoi sostenitori all’insurrezione immediata, prima che si svolgesse il Congresso dei soviet previsto per il 20 ottobre. Sapeva che se in quel congresso si fosse votato un trasferimento dei poteri ai soviet, il risultato sarebbe stato un governo di coalizione con tutti i partiti politici presenti in quegli organi, inclusi i suoi rivali di sinistra, i menscevichi (l’ala moderata del POSDR) e il LA BANDIERA ROSSA RAFFIGURATA IN UNA CARTOLINA RIVOLUZIONARIA DEL 1917. BRIDGEMAN / ACI
IL COLORE ROSSO
Una visione romantizzata dell’assalto al palazzo d’Inverno, di Nikolai Kochergin. Galleria di arte regionale, C̆eljabinsk.
Partito socialista rivoluzionario. Lenin vide l’occasione per prendere il potere e decise di approfittarne. Rientrato in incognito a Pietrogrado, convocò una riunione del suo partito per il 10 ottobre, dove riuscì a far passare una risoluzione (imponendosi per dieci voti contro due) per preparare la rivolta. Il 16 ottobre il comitato centrale fu informato dagli attivisti locali che, per appoggiare l’insurrezione, i soldati e gli operai di Pietrogrado dovevano essere «stimolati con proposte come la dissoluzione della guarnigione». Lenin era indifferente a tutto questo, perché era convinto che gli bastasse un piccolo contingente ben armato e ben organizzato. Fu la sua visione a imporsi ancora una volta nel comitato centrale. Dato che la cospirazione
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bolscevica era ormai di pubblico dominio, i leader dei soviet decisero di posticipare il congresso al 25 ottobre. Avevano bisogno di più tempo per raccogliere il sostegno dalle province, ma questo ritardo finì per alimentare i sospetti che il congresso non si sarebbe riunito affatto. Le voci di un’imminente controrivoluzione si rafforzarono quando Kerenskij annunciò il progetto di trasferire il grosso della guarnigione di Pietrogrado sul fronte settentrionale. Per impedirlo, il 20 ottobre il soviet di Pietrogrado istituì il Comitato rivoluzionario militare (CRM), l’avanguardia rivoluzionaria della forza bolscevica, che il 24 ottobre assunse il controllo della guarnigione di Pietrogrado. A quel punto Lenin, camuffato con una parruc-
ca, abbandonò il suo nascondiglio per recarsi all’istituto Smol’nyj, il quartier generale bolscevico, dove ordinò l’inizio della rivolta. Dopo una serie di ritardi e contrattempi, all’alba del 25 ottobre (7 novembre del calendario gregoriano) ci fu il leggendario assalto al palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio. L’arresto dei ministri di Kerenskij fu annunciato al congresso dei soviet, i cui 670 delegati – principalmente operai e soldati, bardati in cappotti e uniformi – decisero di
INTUENDO L’OPPORTUNITÀ DI PRENDERE IL POTERE, LENIN TORNÒ A PIETROGRADO, DOVE RIUNÌ IL PARTITO E SI MISE A PREPARARE L’INSURREZIONE STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I LUOGHI DEL POTERE
Il palazzo d’Inverno - teatro degli eventi più drammatici della Rivoluzione d’ottobre - visto dall’arco centrale del palazzo dello Stato maggiore. Il gigantesco edificio giallo, progettato dall'italiano Carlo Rossi, originariamente ospitava il ministero delle finanze e il ministero degli affari esteri. Ora è parte del museo statale Ermitage.
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DZERŽINSKIJ RITENEVA CHE IL TERRORE FOSSE ESSENZIALE PER IL CONSOLIDAMENTO DELLA RIVOLUZIONE CONTRO I NEMICI DEL GOVERNO SOVIETICO.
LA GIUSTIZIA RIVOLUZIONARIA CREATA NEL MESE DI DICEMBRE DEL 1917, la Commissione straordinaria per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio – abbreviata in C̆eka – doveva essere, secondo Lenin «la spada e lo scudo del partito» capace di portare «giustizia rivoluzionaria» ovunque ce ne fosse bisogno. Rispondeva solamente a Lenin e divenne ben presto una delle organizzazioni più temute di tutta la Russia. Lenin voleva che a guidarla fosse «un fervente proletario giacobino» e lo trovò in Feliks Dzeržinskij (sopra). Il primo direttore della C̆eka non aveva dubbi in merito al suo lavoro: «Non abbiamo bisogno di giustizia. Questa è una guerra, una questione di vita o di morte». Ed era spesso la morte il destino di chi finiva nelle mani della C̆eka, che più tardi si trasformò nel KGB.
formare un governo con l’appoggio di tutti i partiti presenti. Ma la maggioranza dei delegati menscevichi e socialisti rivoluzionari abbandonarono la sede in segno di protesta contro il colpo di stato dei bolscevichi, lasciando così a questi ultimi il monopolio del potere nei soviet. Erano in pochi a pensare che gli uomini di Lenin potessero resistere a lungo. I bolscevichi dovevano lottare per il potere a Mosca (dove contro di loro si scatenarono scioperi dei funzionari, dei servizi postali e telegrafici e delle banche) e non avevano grandi appoggi nelle province. Nonostante il colpo di stato fosse stato fatto in nome del soviet, questo rappresentava ormai agli occhi di Lenin un ostacolo per il nuovo organo di governo da lui creato, il Consiglio dei commissari del popolo o Sovnarkom. Il 4 novembre il Sovnarkom si attribuì la prerogativa di legiferare senza l’approvazione del soviet. Le speranze dei partiti di opposizione, intanto, erano legate alle elezioni dell’assemblea costituente, convocate dal governo provvisorio e in programma per fine novembre. L’assemblea costituente doveva essere il vero organo democratico, eletto a suffragio universale e rappresentativo di tutti i cittadini. I bolscevichi raccolsero il 24% dei voti, mentre i loro rivali di sinistra, il Partito socialista rivoluzionario, il 38%. Tuttavia, Lenin non aveva intenzione di seguire le regole del gioco democratico. In modo lento ma inesorabile stava emergendo un nuovo stato di polizia, di cui lui stesso era al comando. A dicembre il Comitato rivoluzionario militare fu abolito e i suoi poteri trasferiti a un nuovo corpo di sicurezza, la C̆eka. Il 5 gennaio del 1918 si insediò l’assemblea costituente, ma venne chiusa immediatamente dalle guardie bolsceviche.
Una pace disonorevole Lenin arrivò al potere promettendo pane, terra e pace, ma uscire dalla guerra non era un compito facile. Molti bolscevichi ritenevano che firmare una pace con la Germania, potenza imperialista, rappresentasse un tradimento della causa internazionalista.
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Ma Lenin, consapevole che l’esercito russo si stava rapidamente sgretolando, non ebbe altra scelta che cercare un modo di porre termine al conflitto. Venne concordato un armistizio, e a negoziare con i tedeschi fu inviato Leon Trotskij. Questi cercò di prendere tempo, sperando che nel frattempo la rivoluzione contagiasse il resto d’Europa. Tuttavia, all’inizio di febbraio la Germania siglò un trattato con gli ucraini, che accettavano il dominio tedesco in cambio dell’indipendenza dalla Russia. A quel punto l’esercito teutonico attaccò Pietrogrado e costrinse Lenin a trasferire la capitale a Mosca. Il 3 marzo 1918 i bolscevichi si rassegnarono a firmare il trattato di Brest-Litovsk, i cui termini erano rovinosi per la Russia: Polonia,
Finlandia, Estonia e Lituania ottenevano infatti l’indipendenza nominale sotto il controllo della Germania. La nuova Repubblica sovietica perdeva il 34% della popolazione, il 32% delle terre agricole, il 54% delle strutture industriali e l’89% delle miniere di carbone. Ciononostante, quei sacrifici rafforzavano la posizione di Lenin come il vincitore della rivoluzione del 1917. Lasciatosi alle spalle la guerra con una potenza straniera, Lenin poteva concentrarsi sul consolidamento del potere all’interno del Paese di fronte all’imminente guerra civile.
IL PALAZZO D’INVERNO
Nel quadro di Mikhail Sokolov marinai, operai e soldati arrestano il governo provvisorio dopo l’assalto al palazzo d’Inverno. Museo di storia contemporanea russa, Mosca.
ORLANDO FIGES BIRKBECK COLLEGE (UNIVERSITÀ DI LONDRA). LA RIVOLUZIONE RUSSA (1891-1924) AUTORE DI
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GRANDI ENIGMI
I principi che scomparvero dalla torre di Londra Dopo la morte di Edoardo IV i suoi due figli furono rinchiusi nella torre di Londra dallo zio Riccardo. La loro sorte rimane un mistero di Londra per ordine dello zio. E il 26 giugno dello stesso anno un’assemblea dei tre stati del regno depose Edoardo V dichiarando che lui e il fratello erano figli illegittimi del re. L’assemblea si basava sul fatto che il matrimonio della madre dei bambini, Elisabetta Woodville, con Edoardo IV era nullo perché il re aveva firmato poco prima un contratto prematrimoniale con un’altra donna, Eleanor Talbot. Il duca di Gloucester fu così designato nuovo re con il nome di Riccardo III. I principi scomparvero poche settimane dopo, senza che venisse fornita alcuna spiegazione ufficiale sulla loro morte o sul luogo di se-
LA SPOSA DEL RE ELISABETTA WOODVILLE si sposò con Edoardo IV nel 1464. All’inizio il loro legame fu mantenuto segreto, ma in seguito lei riuscì a farlo riconoscere pubblicamente. Politicamente ambiziosa, Elisabetta fu una figura impopolare e da subito circolarono voci sulla nullità del matrimonio. EDOARDO IV, ELISABETTA WOODVILLE E IL FUTURO EDOARDO V. BRIDGEMAN / ACI
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poltura. Naturalmente i sospetti sono sempre ricaduti su Riccardo III. Questi era un uomo ambizioso e privo di scrupoli, quindi facilmente sospettabile quale mandante dell’eliminazione dei due rivali dinastici, benché fossero solo dei bambini.
Delitto nella torre Si narra che una notte il re mandò un cavaliere di sua fiducia, James Tyrell, e altri due uomini alla torre di Londra, e questi giustiziarono i ragazzi soffocandoli con un cuscino. Poi seppellirono i corpi in fondo a una scala all’interno della stessa torre. Questo racconto comparve nelle cronache uf-
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N
el 1483 Londra fu teatro di una serie di avvenimenti che hanno dato vita a uno dei più grandi enigmi della storia d’Inghilterra. I fatti certi sono che nell’aprile di quell’anno morì re Edoardo IV. Immediatamente gli successe al trono il figlio primogenito ed erede Edoardo V, di appena dodici anni. Il fratello minore del defunto sovrano, Riccardo, duca di Gloucester, fu nominato protettore del regno e si ritrovò così, di fatto, a capo del governo dello stato. Poco dopo, il novello re e suo fratello minore, anch’egli di nome Riccardo, di 9 anni, furono confinati nella torre
ficiali del XVI secolo e servì d’ispirazione a Shakespeare per la sua celebre opera teatrale Riccardo III, uscita nel 1597. Nel 1674 fu ritrovata quella che sembrò la prova risolutiva del delitto, ovvero le ossa dei principi sepolte in fondo a una scala della torre. La tradizione ha fatto di Riccardo III un modello di tiranno sanguinario, e niente come l’omicidio di due creature innocenti può confermare questa reputa-
I PRINCIPI dormono nel loro
letto nella torre poco prima di essere soffocati con un cuscino da un sicario di Riccardo III. Olio di Ferdinand Theodor Hildebrandt. 1835.
DAGLI YORK AI TUDOR
zione. Tuttavia, gli storici contemporanei hanno individuato molti punti oscuri nella vicenda che si prestano a differenti interpretazioni. Per cominciare, è possibile che i principi fossero morti per cause naturali. O almeno il più grande, di cui si sa che era sempre stato un bambino malaticcio. Nel 1475, quando aveva quattro anni, suo padre dubitava che potesse vivere abbastanza a lungo da succedergli al trono. Nel suo testamento, infatti, faceva
una serie di lasciti al figlio «se Dio permette che arrivi all’età del discernimento» e specificava che, in caso contrario, i beni in questione avrebbero dovuto essere assegnati a chi risultasse «il legittimo erede». È indicativo anche il fatto che nell’estate del 1483, mentre si trovava nella torre di Londra, il giovane Edoardo avesse ricevuto frequenti visite del suo medico. Per questo il ragazzo potrebbe essersi arreso alla malattia verso la
NEL 1400 i duchi di York rivendicarono la corona inglese, detenuta dalla casa di Lancaster. Questo fatto fu all’origine della Guerra delle due rose (1455-1485). Alla morte di Riccardo III salì al trono la dinastia Tudor (1485-1603). DUCHI DI YORK (DAL 1385)
ELISABETTA WOODVILLE
EDOARDO V 1483
EDOARDO IV 1461-1483
RICCARDO III 1483-1485
RICCARDO
ENRICO VII TUDOR
ELISABETTA DI YORK
1485-1509
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GRANDI ENIGMI
LA TORRE DI LONDRA. In questa
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fortezza eretta nel 1066 vennero rinchiusi il deposto re Edoardo V e suo fratello Riccardo dopo essere stati dichiarati illegittimi dallo zio Riccardo III.
fine di luglio del 1483, mentre si trovava nella torre. Nemmeno le motivazioni per cui Riccardo III avrebbe dovuto uccidere i principi
sono molto chiare. In fin dei conti, aveva ottenuto il trono inglese in modo perfettamente legale e pubblico, e la sua legittimità non fu mai messa in discussione. Inoltre, anche se avesse deciso di sbarazzarsi dei suoi avversari dinastici, è difficile capire perché non ne annunciò la morte e li seppellì. Quello che si sa sulle circostanze della scomparsa dei
figli di Edoardo IV suggerisce che i responsabili potrebbero essere stati altri. In effetti, mentre Riccardo III e sua moglie partivano per un giro del regno dopo l’incoronazione, ci furono a Londra dei tentativi di far uscire dalla torre i figli di Edoardo IV, non è chiaro se per liberarli oppure per ucciderli. Qualcuno ha suggerito che questi fatti fossero collegati a una rivolta
Sotto il regno di Enrico VII si diffuse la storia dell’omicidio dei bambini per ordine di Riccardo III RICCARDO III. RITRATTO ANONIMO. XVI SEC. NATIONAL PORTRAIT GALLERY. DEA / ALBUM
contro Riccardo III di cui fu protagonista, tra gli altri, il duca di Buckingham. Questa sommossa avrebbe avuto l’obiettivo riportare sul trono il re bambino, Edoardo V, e per ciò era necessario liberarlo. In quanto connestabile d’Inghilterra, Buckingham aveva l’autorità di inviare uomini alla torre di Londra. Quindi, avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento del luglio del 1483, approfittando dell’assenza del sovrano. È indicativo che il giorno 22 o il 23 di luglio Riccardo decidesse improvvisamente di mandare a Londra uno dei suoi uomini di fiducia, ovve-
Erano le ossa dei principi? COSA DIRE DELLE OSSA ritrovate nel-
MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK
la torre nel 1674? Negli anni trenta del novecento un’analisi dei crani dimostrò che a entrambi mancava un dente. Alcuni autori hanno suggerito che poteva trattarsi di un difetto congenito proprio della famiglia York, il che avrebbe dimostrato che si trattava proprio delle ossa dei bambini. Ciononostante, il ritrovamento nel 2012 dei resti di Riccardo III – in un progetto diretto da Philippa Langley cui ha preso parte l’autore di questo articolo – ha messo in dubbio questa interpretazione, perché lo studio del cranio del re esclude un’assenza congenita di denti. In realtà, non è affatto certo che le ossa della torre siano quelle dei principi.
DUE DONNE CONTEMPLANO LA SCALA DOVE FURONO TROVATE LE PRESUNTE OSSA DEI PRINCIPI. INCISIONE. 1885.
ro il duca di Norfolk. Sembra che la sua missione avesse a che fare con alcuni uomini che erano stati arrestati, secondo quanto è indicato in un ordine emesso dal re qualche giorno più tardi. Anche se nell’ordine non si spiegano le ragioni della detenzione, questa potrebbe essere collegata al piano di assalto alla torre ordito da Buckingham, cui forse alludeva il cronista francese Thomas Basin nel 1484. In seguito anche lo storico inglese John Stow fece riferimento, in uno dei suoi scritti, a una congiura mirata a provocare incendi nei pressi della torre come manovra
diversiva per facilitare la liberazione dei bambini. In ogni caso, la ribellione di Buckingham fallì e lo stesso duca morì decapitato alla fine del 1483. Non si sa se prima fosse riuscito a raggiungere i bambini. Se così avvenne, cosa ne fu dunque di loro? Una spiegazione potrebbe essere, di nuovo, la morte per malattia di Edoardo. Questo chiarirebbe perché Riccardo III non fosse, come sembra, al corrente della sorte dei figli di suo fratello, né dichiarò mai pubblicamente dove si trovassero i bambini. Riccardo III morì nel 1485 nella battaglia di Bosworth.
Lì venne sconfitto dal capostipite della dinastia Tudor, che gli successe al trono con il nome di Enrico VII.
Notizie false Inizialmente neppure Enrico VII sapeva nulla del destino dei giovani principi. Lo dimostra il fatto che nel 1490 avesse dato credito a un impostore che si era fatto passare per Riccardo, il più giovane dei due fratelli. Ma in seguito il re decise che era più prudente accettare che i figli di Edoardo IV fossero stati assassinati, per impedire che apparissero nuovi pretendenti alla corona. Forse fu allora che nacque la sto-
ria dei sicari mandati da Riccardo III. Nel 1502 James Tyrell fu giustiziato per aver preso parte a una cospirazione a favore degli York. In quell’occasione il governo diffuse la notizia che Tyrell aveva confessato di essere stato l’autore, 19 anni prima, dell’omicidio dei bambini per ordine del suo signore, Riccardo III. Non esistono prove a sostegno di questa tesi, che da quel momento godette però di ampio credito. A dimostrazione che le menzogne di un governo possono spesso essere accolte come fatti incontrovertibili. —John Ashdown-Hill STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero NASCITA DELLA METROPOLI MODERNA POCO PIÙ di un secolo fa
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New York fu lo scenario di una vertiginosa “corsa verso il cielo”, nella quale i grandi magnati costruirono edifici che gareggiavano per dimensioni. Il risultato, ovvero lo skyline di Manhattan, con grattacieli caratteristici come l’Empire State o il Chrysler Building, divenne il simbolo della metropoli moderna.
L’esplosiva eredità di Guy Fawkes
ABU SIMBEL, IL TEMPIO SALVATO DALLE ACQUE
Anni di conflitti religiosi in Inghilterra portarono, nel 1605, a una cospirazione cattolica per far saltare in aria il parlamento. Un uomo è passato alla storia per questo.
«ORA O MAI PIÙ». Nel 1961 l’UNESCO rivolse un appello a tutti i suoi cento stati membri perché partecipassero al salvataggio dell’immenso patrimonio dell’Egitto e del Sudan che stava per essere sommerso a causa della costruzione della nuova diga di Assuan. Decine di Paesi risposero alla chiamata e fu possibile salvare alcuni templi emblematici della Nubia, come quello di Abu Simbel. Smontato pezzo per pezzo, Abu Simbel divenne il simbolo della solidarietà internazionale. GEORG GERSTER / NGS
La vittoria decisiva di Alessandro Nel 331 a.C. un Alessandro Magno venticinquenne vince a Gaugamela l’imponente esercito del sovrano persiano Dario III e si impadronisce del maggior impero d’Oriente.
Le donne nell’antica Roma Anche nell’antica Roma vi furono donne che non si rassegnarono al ruolo secondario che la società gli assegnava e che riuscirono a farsi rispettare.
L’ultimo viaggio di Gengis Khan L’ultima volontà del conquistatore era che la sua tomba non venisse mai trovata. Secondo la leggenda il suo sepolcro, tutt’oggi sconosciuto, nasconde immensi tesori.
Il leggendario re di Babilonia Nabucodonosor non era solo un conquistatore implacabile, ma anche un grande costruttore che riempì la sua capitale di meraviglie come la porta di Isthar, l’accesso a Babilonia.
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