re-mood #uno

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è libertà di espressione creativa, ricerca di nuovi talenti, spazio per chi ha idee.


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Matteo linguiti

Mario Moletti

Skunk Anansie

Nicolas testa

hotel delle memorie


Three hours before we met Three hours before we met un progetto di

Matteo Linguiti

“Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro, là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c’è il silenzio dell’altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio.” Umberto Galimberti

“Questa frase mi ha tenuto compagnia durante l’elaborazione di un progetto a cui ho dedicato molti mesi di lavoro, un libro fatto per metà di foto e per metà di scritti. Three hours before we met è una sorta di documentario in cui ragazze di tutto il mondo mostrano una parte di sé, probabilmente la parte più intima.

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e s e t

Three hours before we met



Raccontaci del progetto ragazze sconosciute si mettevano a nudo di fronte a me, in tutti i sensi. La nudità intesa non solo come atto plateale, ma una condizione spirituale, di abbandono alla conoscenza, alla confidenza. Prima di fotografarle chiedevo loro di raccontarmi qualcosa di loro. I testi non sono miei, ma semplicemente la trascrizione integrale e fedele di alcune parti dei loro discorsi. Praticamente sono un estratto delle chiacchiere che facevamo prima o durante gli scatti. Come trovavi le ragazze? Quando ho capito che le ragazze dovevano essere sconosciute, la modalità è sempre stata casuale: incontri del tutto fortuiti.

Con

tutte hai instaurato un rapporto di

intimità?

E se è vero che ogni abbandono pretende la sua intimità, allora forse una sorta di effettiva sincerità c’è stata, e ho creduto che quello che era successo e quello che si era detto durante gli scatti con ognuna di queste 45 ragazze andasse ricordato; perché erano piccole verità di persone assolutamente comuni. Raccontare se stessi e come abbandonarsi tra le braccia dell’altro? Esatto. E poi perché da quelle piccole verità si poteva capire che mai come nella “normalità” c’è l’estremo, l’orrore, così come, a volte, un’enorme bellezza.



Una specie di terapia... Si, sono stati incontri molto terapeutici e introspettivi. A volte sfociavano in abbracci. La frase in assoluto che ho sentito di più è stata: “sembra un sacco che ci conosciamo”. Chi erano queste ragazze? Delle perfette sconosciute, almeno fino al giorno degli scatti. Appartengono a nazionalità di tutto il mondo e la loro età varia tra i 18 e i 38 anni. Nessuna di queste ragazze sapeva, prima di fare le foto, che i nostri dialoghi sarebbero stati trascritti (ovviamente al momento della firma della liberatoria sono state informate). A volte mi scrivevano, addirittura una ragazza brasiliana mi ha scritto su un fazzoletto. Hai bluffato!!! Si ma per un scopo alto. Non volevo che quello che mi stavano dicendo fosse strumentalizzato dalla promessa di una pubblicazione. Poi, naturalmente, ho salvaguardato la privacy di ognuna di loro: i nomi delle ragazze indicati nel libro sono nomi di fantasia, e i testi sono dissociati dalle foto. Solo l’età e le nazionalità sono vere.


Perchè solo donne? Agli inizia dentro c’erano anche i ragazzi, ma poi ho preferito dividere il progetto perché stava davvero diventando troppo impegnativo: erano più di 300 pagine,tra foto e testi. Chi ti ha colpito maggiormente? Ognuna di loro mi ha colpito in qualcosa, inconsciamente avevano qualcosa di me. Le ragazze erano tutti diverse, però tutte mi hanno detto di si. In qualche modo è come se ci fossimo scelti a vicenda, non razionalmente.



Quando hai iniziato a fotografare? A sei anni ho rotto la macchina di mio padre. Si è infuriato. A 20 anni ho deciso di fare il fotografo. Non so se c’è un collegamento ma mi piace pensare di si. In ogni caso ho sempre fatto foto. Già a 12 anni stampavo le prime foto in bianco e nero con la camera oscura. Ovunque andassi io fotografavo. Al di là del progetto, tu sei un fotografo pubblicitario... Ho fatto un po’ di tutto. Ho iniziato con le foto naturalistiche. Ho fatto moda e poi ora pubblicità. Mi sento comunque un reportagista, anche questo libro è un reportage. Un libro di cose vere, di verità. Nessuna di loro pensava di fare un libro.



mario moletti illustratore, grafico, designer, fotografo e pittore. intervista con mario moletti, eclettico protagonista di diverse stagioni artistiche italiane.

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Che cosa fai? Come ti definisci?

Un essere pensante con fantasie da realizzare e con le quali giocare in compagnia del bimbo che custodisco nel mio profondo.

Qual è il tuo messaggio?

Io non ho messaggi, ottimizzo le mie emozioni attraverso la manipolazione della materia reale e virtuale. Lascio l’interpretazione a chi guarda il mio lavoro... spero sia gradevole.

La tua biografia in quattro linee

Vengo da lontano. Vengo dalle matite colorate, dai gessetti, dai pennelli intrisi di colori ad acqua ad olio o acrilici, vengo dalla grafica e dal design, vengo dalla macchina fotografica analogica, vengo dallo sviluppo di pellicole in camera oscura, dalla elaborazione in fase di sviluppo, vengo dalle posterizzazioni in color key, vengo dalle esperienze manuali e visive che richiedevano ore, e a volte giorni di lavoro. Oggi si risolvono in un clic ma in questo clic io ci metto tutto quello da cui vengo. Mario Moletti


Dove possiamo vedere i tuoi quadri?

Sul mio sito: www.mariomoletti.com.

Che cos’è per te l’ispirazione?

Devo distinguere “l’ispirazione” indotta dalla esigenze dal mercato, vedi il lavoro di graphic design, da quello libero della “produzione artistica” dove sono le emozione del momento a suggerirmi come uscire dal “panico della pagina bianca”.

Che cos’è l’arte?

È un profumo, una musica, una temperatura del momento in cui vivi, è il tentativo di assomigliare a quella creatività della natura che molti chiamano Dio, è il modo per fermare le emozioni, che solo in quello spazio temporale puoi vivere, e trasmetterle nel futuro che avrà emozioni totalmente diverse.

In che circostanze ti vengono le migliori idee?

Non ci sono sempre circostanze particolari per avere una nevralgia, una improvvisa malinconia o un senso improvviso di appagamento o di felicità o un innamoramento o un antipatia, insomma sensazioni fisiche ed emozionali che ti percorrono all’infuori della tua volontà. Arrivano e basta.



Qual è la prova del nove per capire se per te un’idea è buona o no? Rivederla a distanza di tempo e ritrovarla piacevole a volte persino bella tanto da riprovare l’emozione del tempo in cui l’ho generata.

Quando e come hai iniziato a vederti come un’artista?

Quando nell’adolescenza ho iniziato a lavorare applicandomi in attività disparate - dati i tempi - desideravo sempre dedicarmi al disegno sino ad arrivare a frequentare Brera poi a disegnare i fumetti poi arrivare alla grafica e all’illustrazione in contemporanea alla “pittura” tradizionale ed arrivare sino ad oggi al digitale. Quale era la domanda? Ah si: quando ho iniziato a vedermi come artista? Non lo so.




Ti consideri postmoderno?

Postmoderno? Aspetta prendo l’ Ipad (miracolo del moderno) e vado a vedere su Wikipedia. Una volta andavi a casa prendevi la Treccani cercavi il significato e via. Oggi basta un clic: L’uso del termine “postmodernismo” è molto controverso. Talvolta è utilizzato con un significato molto specifico, per riferirsi a teorie caratterizzate da complessità, labirinticità, prospettivismo, eclettismo, relativismo, sincretismo, decostruzionismo o decostruttivismo, nichilismo, anti-Illuminismo o antimodernismo. Altre volte il termine è utilizzato con significati molto più generali. Coloro che non ritengono il post-modernismo come una vera nuova era storica lo usano per fare riferimento al “tardo modernismo”. Troppo complicato. Sono un uomo di oggi con un poco di ieri, molto di oggi e spero qualcosa di domani.



L’artista deve reinventarsi ogni giorno?

Un artista non può rimanere immutato, emotivamente, nel percorso delle mattine e sere vissute. Collezioni qualche oggetto? Sono un maniacale conservatore di cose che purtroppo spesso ho perduto nei vari spostamenti dello studio

Consigli per i più giovani?

Fate quello che più vi piace non pensate di fare bene solo perché fate ciò che gli altri vi impongono di fare.




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:

sta i v r e Int

Più

15 passati a suonare sui palchi dei rock festival più mondo, com’è cambiata la scena musicale dai vostri esordi? di

prestigiosi in tutto il

Skin: Nonostante la maggior parte dei festival siano gli stessi dei tempi dei nostri esordi, la scena è cambiata radicalmente. Quello che trovo magnifico è che negli ultimi tre o quattro anni, ci siamo trovati a condividere nuovamente il palco come headliner, assieme a grandi rock band in molti festivals importanti, lasciando i “fenomeni pop” del momento in secondo piano, come non succedeva dall’inizio del decennio scorso. Quella che è veramente cambiata, è le modalità di vendita e fruizione della musica, insomma, come la gente fa propria la musica. Ma penso che la la scena rock sia veramente in fermento, ricca di buone idee ed eccitanti variazioni. Intervista: Skunk Anansie


Durante

i vostri concerti il pubblico è

estremamente in coinvolto con voi. Si respira letteralmente la vostra energia e la vostra passione.

Percepite

delle

differenze tra i vostri fan in giro per il mondo o ricevete sempre lo stesso tipo di energia dal vostro pubblico, indipendentemente dalla latitudine?

Cass: Non saprei cosa dire. Di certo ci sono differenze a seconda dai diversi tipi di pubblico, ma c’è una costante e continua passione che riscontriamo. Anche all’estremo nord, dove fa veramente freddo, le persone sono sempre estremamente calorose. Quando suoniamo in Italia ad esempio dove il pubblico è davvero infuocato.


Moltissimi artisti in Italia non riescono a vivere della propria arte di conseguenza trovano altri lavori per sbarcare il lunario. Prima di diventare una rock band dal successo planetario, avete mai pensato ad un eventuale “piano B” ? Ace: Se pensi ad un piano B non ottieni nulla. Il successo lo raggiungi se non pensi a niente altro che al tuo obiettivo. Skin: Concordo per arrivare al successo devi lottare continuamente, deve essere la tua unica ragione di vita. Se tu pensassi di avere una sorta di zona franca dove rifugiarti non affronteresti tutti i sacrifici che questo mestiere comporta. Per il nostro background il piano B è una cazzata, dovevamo assolutamente realizzare il nostro sogno, perchè non c’era nient’altro che questo. Cass: Io personalmente avrei voluto fare il politico. Sono veramente bravo nel risparmiare, mentire. Skin: Arraffare, estorcere eh eh Cass: Sì sì l’estorsione, mi piace fare pressione sulle persone. ah ah



re-mood chiude sempre le proprie interviste con una domanda: Qual’è la canzone o l’album che non deve mai mancare nel vostro ipod?

Skin: Difficile sceglierne uno, io ne ho un sacco! Deve esserci qualcosa di appena uscito, nuovo di zecca, dei classici, come Led Zeppelin o Stevie Wonder e non deve mancare della house music, giusto in caso si faccia una festa improvvisata. Cass: Se dovessi avere solo un album ed uno soltanto, sarebbe senza alcun dubbio il primo album dei Rage Against the Machine. Ace: Come Skin ho sempre qualcosa si nuovo, in questo periodo sto ascoltando i Twin Atlantic. Se dovessi scegliere solo un album, visto che siamo una band rumorosa, sarebbe qualcosa di dolce come Blue di Joni Mitchell, un classico non te ne stanchi mai. Cass: Ace è sempre stato quello profondo e ricco di sentimenti. Ace: Voglio avere qualcosa di tranquillo nel mio Ipod, siamo già rumorosi di nostro tutto il tempo. Mark: Al momento sto ascoltando il Greatest Hits degli Stranglers, che adoro tra l’altro e l’ultimo dei Foo FIghters, ma se dovessi scegliere solo un album sarebbe Black Dogs dei Led Zeppelin.


Nicolas Testa Nicolas Testa è un giovane illustratore di origini argentine che si è presentato a REMOOD con uno stile particolarissimo, a metà tra l’incisione, il tatuaggio black&white di tradizione russa e la grafica bauhaus. Appassionato di lettering, scultura e animali (che ricorrono nelle sue opere), ecco le opere di Nicolas accompagnate da un testo scritto di suo pugno, ordinando le lettere che di solito usa in tutt’altro modo!

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Nicolas Testa


«Sono nato e cresciuto nella provincia di Buenos Aires, in mezzo alla natura che ho imparato a osservare, conoscere ed amare. Mi sono laureato alla UBA (Universidad de Buenos Aires) in Graphic Design e già l’anno dopo sono partito per un’avventura in Europa che, progettata come un viaggio di qualche mese, è diventata poi la mia vita.


Comunicare attraverso le immagini è sempre stato il mio forte perché non sono molto bravo con le parole ed il disegno mi ha aiutato più volte a spostarmi da una parte all’altra del mondo.»




«Oggi vivo a Milano e lavoro come art director in una digital agency. Non dedico troppo tempo ai miei disegni. Quasi sempre è buona la prima, così realizzo una serie di 30/40 disegni su una tematica o qualcosa che mi ossessiona in quel periodo e poi via, si passa ad altro: le matriosche, le balene, le sculture di carta, il disegno vettoriale, la fotografia, ecc.»


«Ho una formazione grafica tradizionale molto forte, sulla carta però “vado più di pancia”: rigoroso bianco e nero, quasi dei logotipi, forte contrasto, immagine diretta e unica, “boom diritto in faccia”; ti piaccia o meno, ti rimane impressa, non puoi dimenticarla, esattamente come dovrebbe essere un marchio.»


progetti interessanti

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Hotel delle Memorie è un contenitore che raccoglie profumi, suoni, colori, oggetti, ricordi indelebili in noi, tutto ciò che ha contribuito alla costruzione della propria immagine personale. Il progetto nasce dall’interesse nel far rivivere nel gioco della memoria ciò che ha veramente significato esistenziale e valore sociale e dalla necessità di raccogliere e rivelare cose che la velocizzazione dell’oggi sta mettendo sempre più da parte. In un periodo in cui il bisogno di autocelebrazione dell’individuo ha raggiunto livelli altissimi, il nostro intento è quello di filtrare solo le componenti importanti che vengono preservate dalla memoria emozionale (da qui il nome del personaggio protagonista del video di lancio del progetto, Amygdala). Non vogliamo sminuire i social networks, sono una delle tante vie per mettersi in contatto con il mondo esterno, ma non vogliamo nemmeno farci assorbire dall’esternazione assoluta e costante dei nostri stati d’animo. Quello che ci muove è dare la giusta importanza alle cose che contano: ciò che sta alle nostre spalle, il nostro vissuto. Forse vi è anche un po’ di tenacia nel resistere all’oblio della memoria. Raccontare la propria vita significa prendersi cura di se stessi, saper osservare i propri ricordi, belli e brutti, saperli collegare nel modo più giusto, trarne ispirazione e insegnamento per potersi rinnovare e darsi una collocazione reale in questo mondo. Lo spazio autobiografico è il tempo della sospensione del giudizio, una forma di espressione artistica del proprio vissuto. www.hoteldellememorie.com hotel delle memorie


www.re-mood.com


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