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AL Mensile di informazione degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Lombardi

Ordini degli Architetti P.P.C. delle Province di: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza e della Brianza, Pavia, Sondrio, Varese

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EDITORIALE

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giugno 2010

Expo 2015

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FORUM Expo 2015 Percorsi d’architettura interventi di Massimo Buscemi, Fulvio Irace, Lodovico Meneghetti Itinerari

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FORUM ORDINI Bergamo Como Cremona Lecco Lodi Monza e Brianza Pavia Sondrio Varese Milano

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OSSERVATORIO Argomenti Storie locali Conversazioni Concorsi Libri Mostre

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PROFESSIONE Legislazione

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INDICI E TASSI

Percorsi d’architettura

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Direttore Responsabile Ferruccio Favaron Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Martina Landsberger, Cecilia Fumagalli Direzione e Redazione via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione@consulta-al.it Progetto grafico Gregorietti Associati Impaginazione Francesca Forte Service editoriale Action Group srl Concessionaria per la pubblicità Action Group srl Via Londonio 22 – 20154 Milano Tel. +39 02.34.53.8338 +39 02.34.53.3086 Fax +39 02.34.93.7691 www.actiongroupeditore.com info@actiongroupeditore.com Coordinamento pubblicità Riccardo Fiorina rfiorina@actiongroupeditore.com Pubblicità Leonardo Cereda Filippo Giambelli Cesar Rodriguez Stampa Arti Grafiche G.Vertemati Srl Via Bergamo 2 20059 Vimercate (MB) Autorizzazione Tribunale n. 27 del 20.1.1971 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 29597 copie In base alla documentazione postale del numero di marzo 2010 sono state postalizzate 28968 copie in Italia Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini Lombardi e 3,00) In copertina: Milano, Design week 2010, foto di Antonio Ottomanelli Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti PPC né la Redazione di AL Chiuso in redazione: 30 luglio 2010

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Mensile di informazione degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Lombardi


Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: segreteria@consulta-al.it Presidente: Ferruccio Favaron; Past President: Giuseppe Rossi; Vice Presidente: Paolo Ventura; Segretario: Sergio Cavalieri; Tesoriere: Emiliano Ambrogio Campari; Consiglieri: Paolo Belloni, Stefano Castiglioni, Fabiola Molteni, Angelo Monti, Gianluca Perinotto, Giuseppe Sgrò, Daniela Volpi Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Paolo Belloni; Vice Presidente: Vittorio Gandolfi; Segretario: Elena Sparaco; Tesoriere: Carlos Manuel Gomes de Carvalho; Consiglieri: Stefano Baretti, Achille Bonardi, Matteo Calvi, Remo Capitanio, Fabio Corna, Francesco Forcella, Arianna Foresti, Francesca Carola Perani, Matteo Seghezzi, Marco Tomasi, Franceso Valesini (Termine del mandato: 13.7.2013) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Gianfranco Camadini; Paola Faroni, Roberto Saleri; Segretario: Laura Dalè; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Mauro Armellini, Umberto Baratto, Stefania Buila, Franco Maffeis, M. Paola Montini, Roberto Nalli, Enzo Renon, Patrizia Scamoni, Lucio Serino (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.ordinearchitetticomo.it Informazioni utenti: info@ordinearchitetticomo.it Presidente: Angelo Monti; Vice Presidente: Angelo Avedano; Segretario: Margherita Mojoli; Tesoriere: Enrico Nava; Consiglieri: Matteo Ardente, Antonio Beltrame, Alessandro Bellieni, Stefania Borsani, Alessandro Cappelletti, Alessandra Guanziroli, Veronica Molteni, Giacomo Pozzoli, Stefano Seneca, Marco F. Silva, Marcello Tomasi (Termine del mandato: 15.3.2014) Ordine di Cremona, tel. 0372 535422 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Ambrogio Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Andrea Pandini; Tesoriere: Luigi A. Fabbri; Consiglieri: Claudio Bettinelli, Giuseppe Coti, M. Luisa Fiorentini, Antonio Lanzi, Massimo Masotti, Vincenzo Ogliari, Silvano Sanzeni (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: M. Elisabetta Ripamonti, Livio Dell’Oro; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. Spreafico; Consiglieri: Enrico Castelnuovo, Guido De Novellis, Carol Monticelli, Valentina Redaelli, Paolo Rughetto, Diego Toluzzo (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Laura Boriani; Tesoriere: Massimo Pavesi; Consiglieri: Paolo Camera, Simonetta Fanfani, Paola Mori, Chiara Panigatta, Guido Siviero (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Vice Presidente: Alessandro Valenti; Segretario: Alessandra Fortunati; Tesoriere: Manuela Novellini; Consiglieri: Gianni Girelli, Cristiano Guernieri, Sandro Piacentini, Enrico Rossini Alberta Stevanoni, Pietro Triolo, Sabrina Turola (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidenti: Marco Engel, Franco Raggi; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Maria Luisa Berrini, Maurizio Carones, Maurizio De Caro, Rosanna Gerini, Paolo Mazzoleni, Alessandra Messori, Emilio Pizzi, Vito Mauro Radaelli, Clara Maria Rognoni, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 3.12.2013) Ordine di Monza e della Brianza, tel. 039 2307447 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Presidente: Fabiola Molteni; Vice Presidenti: Ezio Fodri, Fabio Sironi; Segretario: Mariarosa Vergani; Tesoriere: Carlo Mariani; Consiglieri: Francesco Barbaro, Giuseppe Caprotti, Giuseppe Elli, Marta Galbiati, Enrica Lavezzari, Cristina Magni, Roberto Pozzoli, Biancalisa Semoli, Nicola Tateo (Termine del mandato: 1.2.2014) Ordine di Pavia, tel. 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Aldo Lorini; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Alberto Vercesi; Consiglieri: Marco Bosi, Raffaella Fiori, Paolo Lucchiari, Luca Pagani, Gianluca Perinotto, Paolo Polloni, Andrea Vaccari (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Giuseppe Sgrò; Vice Presidente: Giovanni Vanoi; Segretario: Aurelio Valenti; Tesoriere: Claudio Botacchi; Consiglieri: Marco Del Nero, Andrea Forni, Marco Ghilotti, Carlo Murgolo, Nicola Stefanelli (Termine del mandato: 15.10.2013) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.ordinearchitettivarese.it Presidenza: presidente.varese@awn.it Segreteria: infovarese@awn.it Presidente: Laura Gianetti; Segretario: Matteo Sacchetti; Tesoriere: Emanuele Brazzelli; Consiglieri: Luca Bertagnon, Maria Chiara Bianchi, Riccardo Blumer, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Ada Debernardi, Alberto D’Elia, Mattia Frasson, Ilaria Gorla, Carla G. Moretti, Giuseppe Speroni, Stefano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2013)


Maurizio Carones

3 EDITORIALE

Uno degli argomenti di maggior rilievo nelle discussioni che riguardano l’Expo è sicuramente quello della grande quantità di visitatori che una manifestazione di questo tipo generalmente riesce a mobilitare. È difficile fare esatte previsioni, ma gli organizzatori indicano nei loro programmi cifre molto consistenti, nell’ordine di milioni di visitatori. Si è visto, in altre occasioni, che non sempre le cifre inizialmente ipotizzate corrispondono alle effettive visite, così come talvolta in quelle stesse cifre sono comprese anche le persone che devono spostarsi solamente di pochi chilometri per raggiungere l’area espositiva, equiparando in questo modo visitatori i cui trasferimenti sono molto diversi. In ogni caso le potenzialità dell’esposizione milanese sono molto elevate. Certamente l’Expo 2015 potrà contare sulla capacità di attrazione di un tema come quello dell’alimentazione, di grande interesse per tutta la popolazione mondiale, nuovamente sensibilizzata – talvolta per drammatica e diretta necessità – ad una tema antichissimo, originario nella storia delle civiltà. Ma, oltre all’interesse del tema specifico, la capacità attrattiva dell’Expo potrà essere favorita dalla consolidata appartenenza di Milano ad una rete internazionale che unisce alcune città del mondo, luoghi di incontro e di scambio, relazionati anche dagli usi e consuetudini dei loro frequentatori. Milano fa parte del gruppo di questi luoghi dello scambio internazionale, a partire anche dalla rilevanza mondiale di alcune sue specificità. In questo senso l’Expo rappresenta una importante occasione per la città ed il territorio lombardo, proprio nella valorizzazione di queste attitudini. Milano, la Lombardia – e più in generale l’Italia – oltre che per la grande tradizione della loro storia architettonica, sono a ragione considerate fra le sedi privilegiate della vicenda architettonica moderna. Milano, in tutto il Novecento, è infatti uno dei maggiori centri internazionali del dibattito e della formazione, dell’editoria di settore, della elaborazione progettuale e della produzione delle componenti costruttive e delle finiture. Le nostre città – si pensi, ad esempio, anche a città come Bergamo o Como – nelle loro straordinarie stratificazioni, hanno visto in tutto il secolo scorso un susseguirsi di esempi costruiti del dibattito architettonico e costituiscono una sorta di museo all’aperto dell’architettura moderna. Da questo punto di vista Milano può certamente essere considerata un caso esemplare, proprio a partire dal suo riconosciuto carattere – talvolta oggetto di qualche banalizzazione – di “città moderna”. Occorre allora che l’occasione dell’Expo venga colta per affermare la potenzialità dell’architettura moderna come risorsa culturale e allo stesso tempo economica e turistica. Gli architetti possono dare un contributo importante per illustrare come l’architettura sia un valore civile da promuovere, valorizzare e da condividere con la più vasta società, anche attraverso specifiche iniziative volte ad insegnare ad apprezzare la complessità dell’architettura moderna.


Percorsi d’architettura

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Nel Forum di questo numero intervengono: Massimo Buscemi, Assessore alla Cultura della Regione Lombardia; Fulvio Irace, professore ordinario di Storia dell’Architettura presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano; Lodovico Meneghetti, già professore ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. Ringraziamo tutti i partecipanti per la loro collaborazione.

Turismo e turismo culturale di Massimo Buscemi

La Lombardia è una delle principali destinazioni turistiche italiane: più di 28 milioni le presenze nel 2008 con il maggior numero di visitatori stranieri – oltre 18,5 milioni – e oltre 5,3

miliardi di euro di spesa. Come è noto Il turismo d’affari è tuttora il settore preminente, (la provincia di Milano registra il 43,3% di tutti gli arrivi regionali e la Lombardia è la prima regione italiana per pernottamenti per motivi d’affari) ma è in crescita anche il turismo “diffuso”, comprendente il turismo culturale, con il 32% di presenze turistiche registrate nelle città d’arte (capoluoghi di provincia, più Vigevano, Sabbioneta, Crema). Da segnalare la crescita delle presenze a Mantova (+ 9,8%) e Sabbioneta (+ 2,2%), recentemente inserite nella lista Unesco dei siti Patrimonio dell’Umanità. La capacità di attrazione dei consumi turistici in Lombardia tuttavia è ancora debole rispetto alle sue potenzialità. Le politiche attuate nelle precedenti legislature hanno portato a importanti risultati come dimostrano i dati, in crescita: nei musei non statali i visitatori sono aumentati del 20% dal 2004 con 5.527.192 presenze registrate nel 2007, ponendo


FORUM GLI INTERVENTI

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le premesse per un ampio intervento di sistema finalizzato a promuovere l’attrattività turistico culturale della Lombardia anche in vista di EXPO 2015. Creare e a diffondere un’immagine positiva e affascinante della Lombardia, non solo come posto dove lavorare, ma anche come territorio accogliente, culturalmente stimolante e propositivo è uno degli obiettivi strategici del mio programma regionale di sviluppo che si propone di armonizzare e integrare tutte le progettualità nella chiave di una Lombardia sempre più aperta al mondo per intercettare e sviluppare il nuovo. Sulla base dei 600 punti formulati nel programma del presidente Formigoni e delle più avanzate realizzazioni della passata legislatura, il programma regionale di sviluppo 201015, prevede uno specifico programma operativo finalizzato all’attrattività turistico culturale della Lombardia. Sono pre-

viste linee di intervento per “mettere a sistema” e comunicare la ricchezza e la varietà del patrimonio culturale della nostra regione. Il patrimonio culturale del ‘900 nelle sue diverse tipologie e linguaggi sarà uno dei temi più “sfidanti” su cui costruire nuovi percorsi di turismo culturale rivolti sia ai cittadini della Lombardia, che a un pubblico nazionale e internazionale. Tra gli interventi già operativi: la realizzazione e la diffusione on-line sul portale regionale del patrimonio culturale www. lombardiabeniculturali.it di percorsi tematici virtuali; l’incentivazione di percorsi territoriali tematici con il coinvolgimento di più soggetti pubblici e privati finalizzati a valorizzare insieme eccellenze culturali e paesaggistiche e la realizzazione di progetti integrati di valorizzazione dei luoghi della cultura. “Fai il pieno di cultura”, promossa dalla Regione in collaborazione con le Province, ha visto l’apertura straordinaria


Antonio Ottomanelli (1981) studia Architettura a Lisbona e Milano dove si laurea nel 2006. Nel 2009 fonda I.R.A., Interaction research & architecture, un collettivo di ricerca che unisce all’attività di indagine in ambito architettonico, l’interesse verso la rappresentazione e l’intervento sul territorio urbano. Ha realizzato rapporti fotografici pubblicati in diverse riviste di architettura ed è impegnato nella realizzazione di un’antologia fotografica sulle opere di Luigi C. Daneri, e nella progettazione di un rapporto fotografico sullo stato dei maggiori centri urbani in Iraq, Iran e Afghanistan. Le fotografie qui pubblicate utilizzano, secondo un procedimento analogico, gli eventi del Design week milanese del 2010 per parlare dell’Expo. Ciò che si intende rappresentare è il sistema di figurazioni sociali, le speranze e le previsioni, il ruolo, che dai diversi livelli della comunità, viene affidato all’Expo intesa quale acceleratore, rivoluzionario, di emancipazione culturale economica.

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in un unico weekend di più di 800 luoghi del patrimonio culturale diffusi in tutta la regione e animati da spettacoli, eventi, visite guidate, letture. L’ottima affluenza di pubblico, più di 100.000 persone, sia nel primo e che nel secondo anno conferma il successo della formula, che sarà quasi sicuramente riproposta e rinnovata anche quest’anno a fine settembre. Il patrimonio culturale del ‘900, secolo emblematico per la nostra Regione per le profonde trasformazioni dei modi di produrre e abitare, del territorio e dell’ambiente, dei linguaggi dell’arte e dell’architettura, è certamente un tema molto rilevante e complesso da promuovere e far conoscere anche a un pubblico più ampio di quello degli addetti ai lavori. Su questo tema Regione Lombardia ha già operato e proseguirà la sua azione nella prossima legislatura. Sul Portale LombardiaBeniculturali è stata pubblicata la prima parte di

un percorso tematico realizzato in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’ISAL (Istituto per la Storia dell’arte lombarda), sull’architettura del ‘900 a Milano e in Lombardia. Un’altra importate azione già avviata riguarda la valorizzazione di Palazzo Pirelli come opera emblematica della produzione del ’900 e nello stesso tempo come sede espositiva aperta e fruibile dalla cittadinanza e da visitatori italiani ed esteri. Con la realizzazione della prima grande mostra La Regione dà Luce all’arte a Palazzo Pirelli nel novembre 2009 e con le due mostre fotografiche Storie di un grattacielo e Storie d’acqua, si è conseguito il duplice risultato di far conoscere importanti opere di proprietà della Regione e del sistema regionale e avviare la valorizzare del ricchissimo, ma in gran parte sconosciuto patrimonio storico-artistico degli enti Ospedalieri.


Progetto fotografico realizzato durante il Design Week. Spazi e allestimenti oggetto di ripresa: Università degli studi di Milano, via festa del perdono, - Mostra Evento - Interni Think Tank - installazioni di Kengo Kuma - John Pawson - Luca Trazzi; Villa Reale - “Tutti a Tavola” - evento espositivo curato da Franco Laera, direttore artistico di Change Performing Arts; Via Savona 11, Milano - Design Library - China Design Market - Allestimento Lenovo Indesign - a cura di MODOURBANO.

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Nel prossimi anni oltre a Palazzo Pirelli, anche Palazzo Lombardia sarà valorizzato, sia come una delle maggiori opere della contemporaneità a Milano e in Lombardia, sia come sede espositiva attraverso letture innovative di opere d’arte della modernità e delle contemporaneità. Allo scopo di promuovere il ricco patrimonio architettonico e artistico del periodo Liberty in Lombardia, la Regione ha aderito nel 2005 alla Rete europea Art Nouveau Network. “Art Nouveau & Society” è il tema del primo progetto europeo triennale proposto alla Rete europea con l’obiettivo di divulgare la cultura del Liberty e di valorizzarne il patrimonio mobile e immobile.

Viaggi d’architettura di Fulvio Irace

Il successo ottenuto dalle giornate dell’Architettura promosse dall’Ordine degli Architetti PPC di Milano, come quello degli itinerari organizzati da qualche anno dall’AIM nei luoghi della nuova Milano, dimostra come non ci sia strumento più utile per conoscere una città. Visitare un’architettura nel luogo in cui sorge non solo una manifestazione di un generico turismo intellettuale, ma è la base stessa della ragione sociale dell’architettura, del suo relazionarsi a un contesto, del suo interagire con la specificità dell’ambiente in cui si inserisce. Drogati da un’informazione della spettacolarità e dalla deleteria cultura del brand, l’architettura nell’immaginario collettivo contemporaneo è spesso identificata con la stra-


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vaganza del gesto individuale o con una forzata nozione di Landmark. Viene così completamente oscurata quella realtà meno apparentemente eroica e certamente più faticosa dell’architettura come processo di trasformazione: come cantiere, cioè, dove difficoltà, limiti e ostacoli sono chiamati a confrontarsi con le aspirazioni, le ambizioni e il desiderio di innovazione in un confronto aspro, ben diverso da quel facile percorso di carta patinata cui indulgono le riviste. Ciò che il viaggio d’architettura mette in evidenza è il valore della città nel suo insieme, e il ruolo che la singola opera svolge in quanto risposta a un tema specifico: da questo punto di vista l’esperienza della visita rimane a tutt’oggi lo strumento didattico più efficace (e insostituibile) per gli studenti delle Facoltà di Architettura, che hanno modo di verificare direttamente come il progetto – indipendentemente

dal tempo storico che ne condiziona i linguaggi – è sempre il realistico compromesso tra istanze ideali e condizioni reali. Un dialogo a più voci, dove anche le opere degli altri costituiscono un coro cui aggiungere la propria voce, a volte in accordo, altre invece in aperto contrasto. Milano da questo punto di vista offre, per la sua ricchezza di contributi, un osservatorio privilegiato: ad esempio, di quanto Luigi Moretti nella sua rapida incursione lombarda, dopo la parentesi oscura della guerra, fu debitore, per le sue rivoluzionarie case-albergo, all’ermetico condominio Rustici- Comolli di Terragni e Lingeri? E le cortine di marmo sbozzato della casa Rasini di Gio Ponti in corso Venezia c’entrano qualcosa con le soluzioni “rustiche” dei basamenti morettiani a Milano e a Roma? Le invenzioni tipologiche e iconografiche di Luigi Caccia


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Dominioni nei condomini post-bellici che relazione stabiliscono con quelle di Gardella, di Ponti, di Latis, ecc.? Se esaminate nel loro rapporto si chiariranno sempre più come un concerto a più voci attorno al tema dominante della casa borghese: un sottofondo comune con variazioni d’autore. Analogamente, per partire dal presente, potremmo citare il lodato ampliamento della Bocconi del dublinese studio Grafton e ricordare quanto la modernità sconcertante di quegli aspri volumi sia frutto di una spasmodica attenzione al rilevamento delle “pietre” milanesi, in un’operazione quasi speculare alle storiche “stones of Venice” di John Ruskin. Naturalmente questo ci autorizzerà anche a cogliere le differenze e le note stonate – ahimè sempre più frequenti nei cantieri della Milano novissima – di tutti quegli interventi che

presuntuosamente si insediano nella logica insediativa della città con l’arroganza di una diversità esibita ideologicamente piuttosto che spiegata con la provocazione di Moretti in corso Italia, di Ponti in piazza della Stazione o di Viganò nella periferia di Baggio. Bisognerà che l’Expo tenga conto di questa realtà nella sua offerta al pubblico internazionale che ci si augura frequenterà Milano durante l’esposizione e si attrezzi in maniera creativa a elaborare condizioni di visibilità e di accessibilità al suo straordinario patrimonio moderno. Creando itinerari, delineando strategie di visita, ricorrendo anche alle risorse del design immateriale per ricreare davanti agli occhi dei cittadini e degli stranieri il linguaggio delle pietre, i silenziosi monologhi delle facciate. “Amate l’architettura” diceva Ponti: ma amate anche la città attraverso le architetture.


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Alla ricerca della città moderna di Lodovico Meneghetti

Quando parlava della sua guida di architettura, Piero Bottoni si accendeva di gioia. Era stato un sorprendente successo editoriale. Nessun’altra opera simile aveva potuto reggere il confronto, non lo aveva potuto per completezza e qualità di descrizioni e commenti. Al momento della pubblicazione, 1954, Milano, benché già gravemente ferita dalla diffusione di un’edilizia speculativa estranea all’architettura, poteva esibire edifici e complessi edilizi testimonianza degli alti risultati raggiunti, dopo che da certe opere della prima parte del secolo Ventesimo, dal Razionalismo (e sua “affermazione ed evoluzione”, P.B.), considerato tout court coincidente col Movimento mo-

derno. Di questa Milano alternativa Bottoni aveva ritrovato gli episodi risaltanti e quelli nascosti o appartati, e disegnato una specie di reticolo urbano. La seconda uscita della guida, editoriale Domus 1990, con una mia lunga postfazione, ebbe altrettanto successo. Si voleva evidentemente andare alla ricerca delle parti buone persistite della città mentr’essa appariva nel suo insieme gravemente trasformata, sfigurata. L’architettura e l’urbanistica avevano perso la loro battaglia e Milano mostrava con volgare larghezza la vittoria di un deregolato commercio immobiliare privato dal quale la cultura architettonica non poteva che starsene lontana. Vi entrerà poco dopo una sua parte staccata dai principî della tradizione europea italiana e milanese, a sancire la perdita del senso e sentimento della città


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costituita di spazi sociali appropriati per utilità e bellezza. La sconfitta dell’architettura e dell’urbanistica pare irreparabile; sembra impossibile in prospettiva misurabile un rivolgimento al contrario. Bisognerebbe demolire mezza Milano, mentre vogliono riempirla con altri milioni di metri cubi di edilizia insensata, fino a strangolarne la vita. Così la piccola, per modo di dire, guida diventa sempre più un diamante prezioso, uno scrigno della memoria. Molteplice era l’esigenza di Bottoni: trarre un primo bilancio critico dei risultati raggiunti dall’architettura moderna, fornire ai milanesi e ai visitatori un filo conduttore per ritrovare nella città la presenza solidale di una nuova (buona) architettura, insomma, realizzare un prodotto secondo un duplice scopo (tipicamente bottoniano), dimostrazione e propaganda culturale. Come non assegnare

a Bottoni una primazia in Italia in questa materia? Milano oggi di Gio Ponti uscirà tre anni dopo, Architettura moderna a Milano. Guida, di Agnoldomenico Pica, nel 1964. Bottoni, l’“appassionato Militante”, presente nell’agone internazionale dell’architettura razionale fin dallo scorcio degli anni Venti: non poteva che venire a lui l’idea e poi la forza per realizzarla. I riferimenti non potevano non essere internazionali, nella sostanza e nella forma. Il modello, peraltro notevolmente modificato ed esteso, resta una piccola guida tascabile di edifici moderni londinesi, pubblicata nel 1951, un libricino che illustra trentadue esempi, la cui struttura (mappa schematica della parte di città – testo – immagini) ha fornito lo spunto a Bottoni per realizzarne una simile, ma, a parte la numerosità degli esempi, molto più circostanziata, precisa negli


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estratti di topografia urbana, dotata inoltre di planimetrie urbanistiche. Ancora un’enigmatica relazione con la cultura internazionale traspare dal formato, quadrato, 14,2 x 14,2 cm, non giustificabile solo con l’attributo di “tascabile” richiesto in un primo momento dall’editore. Le misure, salvo minimi sfridi, sono quelle del libro Le Modulor di Le Corbusier. Infine anche il corredo di riassunti in inglese e francese è sintomatico. La rete dell’architettura moderna costruita cinquantasei anni fa dal più battagliero esponente del razionalismo e dei suoi sviluppi postbellici, nella quale appunto il razionalismo storico e soprattutto la sua “affermazione ed evoluzione” comprensiva degli esempi datati primi anni Cinquanta assumono il comando, diventa come una triangolazione topografica cui possono agganciare le

loro speranze i giovani: i giovani architetti e gli studenti di architettura, gli unici che potrebbero coltivare la pur tenue speranza di un “ritorno all’indietro”. Quel tornare alle vecchie motivazioni scientifiche e artistiche, ai vecchi modi di pianificare e costruire la città che rappresenterebbero, essi, la possibilità di perseguire un’autentica modernità. Quale il principio basilare delle opere di Bottoni che si rispecchi nella guida? A mio parere l’unità urbanistica architettura. È l’idea forte che affonda le radici nell’anteguerra attraverso la critica all’eclettismo e si dispiegherà in pieno lungo il successivo arco degli impegni: professionali, politici, amministrativi, d’insegnamento universitario. Piero Bottoni era stato uno dei più tenaci propugnatori dei rigidi principî fissati al IV Congresso internazionale di


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architettura moderna (Ciam, 1933). Tuttavia, come già perorava la necessità di personalizzare la bellezza degli oggetti, e lo fece in alcuni arredamenti in quegli anni per famiglie che conosceva, così intuiva che l’urbanistica, obbligata ad aprirsi alle scienze sociali doveva, proprio per questo, ricollegarsi alle antiche origini quando la bellezza era connaturata agli spazi sociali della città, sebbene si trattasse di una città divisa in classi e talora schiavistica. Bottoni e gli altri migliori architetti della sua generazione operarono secondo una concezione unitaria del problema degli spazi urbani e dei manufatti di ogni dimensione. Lo stesso accadde alla nostra generazione. Un errore, secondo la critica di attuali specialisti, a causa dell’eccessivo affastellamento di oggetti diversi e dunque di presunzione dei progettisti.

Nell’attuale oscurità culturale dico: ben venne questa ricerca di unificazione, questa capacità di misurarsi a diversi livelli di spazi e oggetti. Lo dimostrano i risultati raggiunti, Bottoni fra i protagonisti. Del resto, è forse bene oggi che gli urbanisti specialisti (ma di che cosa?) non sappiano nulla di architettura, di arte, di poetica? Che ignorino la questione della bellezza a ogni dimensione dello spazio e degli oggetti? E, altrettanto, che quegli architetti progettisti esclusivi di forme edilizie, le concepiscano avulse dai contenuti e dai contesti sociali? Che non importi loro nulla della città e del paesaggio? Non sappiano nulla di socializzazione degli spazi e, insieme, dello spazio personale?


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Itinerari Nel vasto panorama delle pubblicazioni scientifiche d’architettura larga parte è occupata dalle monografie di città, sull’opera di alcuni architetti in diversi luoghi, su movimenti architettonici, ecc.; si tratta spesso di guide d’architettura all’interno delle quali, oltre ad una descrizione dell’edificio, ad ogni scheda corrisponde l’indirizzo, spesso la localizzazione su una planimetria, disegni e fotografie. Ordini professionali italiani ed europei organizzano inoltre, per iscritti ed appassionati, itinerari tematici nelle proprie città e sugli architetti che le hanno costruite, accompagnando ogni visita con pamphlet e piccole pubblicazioni. A tutto ciò si deve aggiungere l’attività di fondazioni, istituzioni ed enti, privati e pubblici, impegnati nella promozione e nell’organizzazione di eventi culturali di vario genere al fine rendere noti i luoghi più sconosciuti delle nostre città e divulgarne il patrimonio. Ordini e collegi professionali L’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori della Provincia di Milano, all’interno della sua Fondazione, organizza dal 2003 gli “Itinerari di Architettura Milanese” al fine di promuovere, presso gli architetti e la collettività tutta, l’architettura moderna di Milano. Ogni itinerario, scaricabile e stampabile dal sito www.fondazione.ordinearchitetti.mi.it cui è possibile partecipare previa prenotazione, è corredato da una brochure costituita da un breve saggio introduttivo al tema e da schede dettagliate su ogni edificio collocato lungo il percorso di visita. La Fundación de Arquitectura del Colegio Official de Arquitectos de Madrid ha curato e pubblicato nel 2003 Arquitectura de Madrid, una guida, in tre volumi e un dvd, sull’architettura della città. Istituzioni, fondazioni ed associazioni La Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, oltre all’attività di vigilanza, si occupa della promozione e dell’organizzazione, in stretta collaborazione con altri enti e fon-

dazioni, di iniziative culturali sul tema del paesaggio e della cultura architettonica ed urbanistica; a Palazzo Litta, sede della Direzione Regionale, vengono inoltre organizzati, a cadenza regolare, eventi e manifestazioni. Attraverso il sito dei beni culturali (www.lombardia.beniculturali.it) è possibile informarsi sulle attività in programma ed accedere ad una vasta banca dati che raccoglie informazioni, materiale cartografico e fotografie di svariate opere del patrimonio artistico, architettonico ed archeologico presenti sul territorio lombardo. DOCOMOMO Italia, nato come uno dei primi gruppi nazionali di DOCOMOMO International (DOcumentation and COnservation MOdern MOvement), ha come obiettivo quello della documentazione, conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico moderno, attraverso la sua promozione, la sua divulgazione e il suo studio. L’associazione pubblica semestralmente un bel giornale – illustrato con fotografie, quasi sempre d’autore, provenienti da diversi archivi italiani – che propone degli itinerari monotematici su luoghi o architetti, al fine di promuoverne la divulgazione e la conoscenza (il giornale è consultabile, a pagamento, sul sito www.docomomoitalia.it). A Milano, ma ormai anche in altre città italiane, è attiva Esterni, associazione culturale che si propone come principali obiettivi la valorizzazione dello spazio pubblico, la socializzazione, lo scambio culturale, assumendo la città come luogo di incontro ed aggregazione. Esterni organizza, durante tutto l’arco dell’anno, eventi volti a promuovere la conoscenza degli spazi, più o meno reconditi e sconosciuti, di Milano, attraverso giochi, gare ed altre attività (per maggiori informazioni si rimanda alla consultazione del sito www.esterni.org). Itinerari online Molti siti internet offrono gratuitamente guide d’architettura, talvolta scaricabili in formato .pdf e stampabili; non sempre la qualità delle informazioni è precisa e puntuale, ma indubbiamente viene offerta, velocemente, in pochi click, una vasta panoramica, che può essere approfondi-

ta grazie alla bibliografia che viene indicata dai siti stessi (si veda in particolare (http://ita.archinform.net). I siti (si vedano a titolo d’esempio www.architravel.com e www.mimoa.eu) sono delle banche dati che raccolgono diverse opere d’architettura, prevalentemente contemporanea, organizzate per architetto, luogo e tipologia. Quasi tutti, offrono, a pagamento, la possibilità di richiedere un itinerario ad hoc per un viaggio architettonico. Guide di architettura La collana “Stella Polare”, diretta negli anni ‘90 da Alberto Ferlenga e Luca Ortelli, è, tra le guide d’architettura, una delle più famose e ricercate dagli architetti in viaggio; la collana è, purtroppo, ormai da tempo esaurita. Le guide, di piccolo e maneggevole formato, sono costituite da schede: l’edificio viene presentato, in poche pagine, da una breve descrizione, è indicato l’indirizzo, l’autore, l’anno di realizzazione e la localizzazione sulla cartina allegata. Recentemente sono stati ristampati due dei testi che hanno accompagnato il percorso di studi di molti architetti. Nata come un itinerario preparato da Piero Bottoni per gli amici in visita, l’Antologia di edifici moderni in Milano (pubblicato per la prima volta nel 1954 dall’Editoriale Domus) è stata ristampata da LibraccioLampi di Stampa, mantenendone la struttura originaria e la copertina. Altra importante ristampa è Milano: Guida all’Architettura Moderna di Maurizio Grandi e Attilio Pracchi, una monografia, un manuale d’architettura milanese, in cui sono criticamente descritti gli edifici moderni della città. Il testo non è una guida vera e propria (anche il suo formato e la sua consistenza ne sono sintomo), una di quelle da portarsi maneggevolmente in giro, nella quale si possano velocemente rinvenire gli edifici che si stanno osservando; il testo, da studiare a casa, è un vero e proprio manuale, grazie al quale è possibile costruirsi autonomamente un lungo itinerario, completo e approfondito, che guidi alla scoperta della città meneghina. Cecilia Fumagalli


a cura di Francesca Perani e Francesco Valesini Rivedere la città del lavoro Bergamo è sempre stata una città del lavoro, tanto che i suoi abitanti ne sono diventati, nel bene e nel male, sinonimo. Le fabbriche che documentavano fisicamente questo fervore, però, sono rapidamente e quasi completamente scomparse dai nostri occhi, mentre il dibattito sull’archeologia industriale si esauriva nell’esempio assoluto (e consolatorio) con lo stabilimento e il villaggio operaio di Crespi d’Adda. Eppure non è impossibile pensare ad una serie di itinerari che – con una buona dose di provocazione – restituiscano a turisti accorti e interessati la “città del lavoro”, ritrovando esempi significativi di architettura d’industria. È ciò che si è proposto di fare una ricerca, che ha documentato le fabbriche che operavano e, in misura ridottissima ormai, operano sul territorio cittadino, avvalendosi di due strumenti, complementari tra loro e nello stesso tempo autonomi: una schedatura sistematica e una cartina della città. Sono state censite più di 300 attività: tra tutte, ne sono state evidenziate sulla cartina un’ottantina, restituendo così alla memoria o segnalando ex novo opifici, fabbriche, industrie che punteggiavano il territorio della città, a partire dal 1860. Attraverso gli itinerari suggeriti non è solo suggestivo rivedere i tratti scoperti delle rogge, ritrovare nella struttura di una casa le dimensioni di uno stabilimento o scoprire ancora quasi integri i caratteristici tetti a shed, aprirsi allo sguardo da un angolo imprevisto qualche rara ciminiera di mattoni rossi, fino ad individuare in una pietra murata nella pavimentazione di un centro commerciale l’ultima traccia di una importante fonderia. Un percorso che incrocia la realtà con il ricordo, per una sorta di tributo alle migliaia di donne e di uomini che, fino a non molti anni fa, riempivano questi luoghi, un numero rilevantissimo di persone protagoniste di una fatica ed insieme di uno sviluppo sociale irripetibile. Eugenia Valtulina e Walter Giliberto

1. OTE (Officine trasformatori elettrici) Bergamo, via Bianzana 5

La ditta si occupava di trasformatori elettrici di qualunque tipo, tensione e potenza. Fondata nel 1924, la OTE si trasferisce in via Bianzana tra il 1949 e il 1960, in adiacenza alla linea ferroviaria che collegava la città alle valli – da pochi anni riattivata nella sola tratta verso la valle Seriana e dedicata al solo trasporto passeggeri. La parte più significativa dell’intervento industriale riguarda la fitta serie di capannoni con copertura a shed e ampie vetrate nelle parti superiori delle murature perimetrali. Interessante la variazione di disegno delle coperture dovute probabilmente alle differenti epoche in cui venivano realizzate, componendo così una sorta di campionario tipologico. L’area è interessata da nuovi piani espansivi della città residenziale e commerciale e dunque l’edificazione industriale, ancora visibile oggi, sarà destinata a scomparire. 2. Fabbrica Italiana Cementi Portland Bergamo, via Rovelli 7/a

La Società Anonima Fabbrica Lombarda di Cementi Portland e Calci Idrauliche dei Fratelli Pesenti di Alzano si unì nel 1906 con la Soc. Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche, fondata a Scanzo da Giuseppe Piccinelli, che aveva scoperto nel 1863 e prodotto nel 1864 per la prima volta il cemento idraulico bergamasco. Assorbite via via diverse cementerie bergamasche, nel 1911 la denominazione fu di “Soc. italiana dei cementi e delle calci idrauliche. Società riunite italiane, Fratelli Pesenti, Ingegneri Radici e Previtali” ma la denominazione di tutti fu “Italiana Cementi”. La società diviene “Italcementi” nel 1927. La fabbrica aveva sede in via Rovelli, in un complesso della fine del XIX secolo, che presenta una certa attenzione formale in alcuni particolari di facciata la cui eccezionalità è da ricercarsi nell’utilizzo del calcestruzzo come materiale decorativo. L’ampio comparto industriale è attivo ormai solo in una porzione di più recente realizzazione. Da via David è possibile avere una chiara visione dei primi edifici della fabbrica che possono essere inseriti nella categoria dell’archeologia industriale.

3. IRF: Industrie riunite filati Bergamo, via Daste e Spalenga

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Nel vasto comparto compreso fra le vie Daste e Spalenga, Pizzo Scais, da Verrazzano e Castel Regina, fino dal 1885 al 1955 è attiva l’IRF, Industrie Riunite Filati. Nel 1927 nella zona di Daste viene realizzata la centrale termoelettrica, per la produzione di energia: sarà questa l’ultima attività dell’imponente complesso, che cesserà a metà degli anni Sessanta con la nazionalizzazione dell’energia elettrica; la produzione tessile della IRF si era trasferita a Fiorano (Bg) nel 1955. Rimane visibile oggi solo il fabbricato che ospitava la centrale termoelettrica che, all’interno della trasformazione residenziale dell’area avvenuta nell’ultimo decennio, dovrà diventare luogo museale. Molto interessante la grande sala centrale simile a quella recuperata a Londra per la nuova sede della Tate Gallery. L’alta ciminiera in mattoni è una delle ultime costruzioni del genere rimaste in città.

padiglioni retrostanti in acciaio realizzati con una successione compatta di coperture a shed ed ampie superfici vetrate. La leggerezza della struttura e la traslucenza delle pareti vetrate creano un gioco di luci notturno molto suggestivo.

4. F.lli Mazzoleni Bergamo, via Ponte Pietra

La Omba nasce nel 1906 come “Società anonima officine metallurgiche Sottocasa” e produce minuterie e attrezzi agricoli. Nel 1937 acquista 22.000 mq in via Serassi per ampliare le proprie officine. A partire dagli anni Sessanta si specializza nella laminazione di anelli in acciaio e in leghe non ferrose. È la terza azienda italiana del settore. Nel 2008 inizia i lavori di ristrutturazione dei capannoni di via Serassi 10 per allargare ulteriormente l’area di produzione dell’azienda. La necessità di ampliarsi dell’azienda e il limite dimensionale del lotto in cui si è sviluppata (stretta tra la ferrovia delle valli ed il cimitero) è visibile sopratutto nel riuscito sopralzo in lamiera ondulata realizzato sul fronte di via Serassi; la brutalità dell’accostamento di materiali eterogenei nella sovrapposizione volumetrica sembra anticipare interventi di recupero e ampliamento di edifici storici ben più contemporanei e celebrati.

Industria metallurgica, meccanica e elettrotecnica viene fondata nel 1907. È una delle poche fabbriche di dimensioni significative rimaste all’interno del perimetro urbano. Il suo continuo sviluppo ed ampliamento durante l’ultimo secolo è rintracciabile anche attraverso la visione degli eterogenei manufatti che costituiscono l’area industriale che, a confine con il vecchio tracciato della tranvia della val Brembana, chiude il lato nord dei piazzali del Lazzaretto e dello Stadio cittadino. Di particolare interesse architettonico sono il corpo di fabbrica originario della fabbrica (su via Ponte Pietra) con portale d’ingresso principale con decorazioni liberty, e i

5. OMBA Bergamo, via Serassi 14

6. Reggiani tessile Bergamo, viale Giulio Cesare 33 Fondata nel 1907, la Reggiani tessile da oltre 25 anni fa parte del gruppo Inghirami Company, società specializzata nella tessitura, tinto-stamperia e abbigliamento.

Fino al 2002, attigua alla Reggiani tessile operava la Reggiani Macchine Spa, fondata per 1945 per la progettazione di macchinari tessili. Nel ‘65 il sito produttivo viene ampliato e ridisegnato dall’architetto Alziro Bergonzo. Probabilmente uno dei primi (e sicuramente uno dei più riusciti) esempi bergamaschi di progettazione architettonica applicata ad edifici industriali, il disegno di Bergonzo reinventa il linguaggio delle coperture a shed tipico dei grandi edifici industriali per ottimizzare l’illuminazione della parete a nord-est della lunga stecca di uffici che penetra trasversalmente all’interno del lotto; rivisita i capannoni industriali esistenti con un linguaggio molto tecnico, rivestendoli di lamiera metallica, infine realizza, proprio al centro del lotto, come fosse una nuova cattedrale tecnologica, la nuova centrale termica con una sinuosa linea spezzata. Dal 2009 la ditta ha chiuso lo stabilimento. L’area dismessa che ne risulta è il più grande spazio da riconvertire all’interno del territorio cittadino.

7. SACE Bergamo, via Baioni 35

Fabbrica di apparecchi elettrici per centrali e per cabine di trasformazione sia per bassa che per alta tensione, la SACE nasce nel 1906 come “Officine elettromeccaniche bergamasche Fantini Alberto & C”. Trasferitasi in via Baioni nel


no delle nostre città. Il paesaggio attiene fortemente a questa urgenza. Racchiude in sé percezione e memoria rimandando, nella stratificazione di elementi naturali e antropici all’idea del divenire e, dunque, al senso del tempo, quindi a uno dei temi che sembrano cruciali di questa nostra epoca ‘surmoderna’. I progetti scelti per queste schede dalla curatrice del percorso, pur con differenti approcci, dimostrano, a mio avviso, la capacità di instaurare un rapporto di confronto non subalterno con l’esistente, diventando al contempo uno strumento per conoscere e reinterpretare la realtà”.

reti in pietra, stucco romano per facciata posteriore e parte del fianco nord, solaio di copertura in c.a. e grandi serramenti vetrati in legno di abete, che consentono al paesaggio di penetrare all’interno. Sia il piano giorno che quello notte sono funzionalmente separati tra spazi padronali e di servizio. 2. Villa Francesco Ricci (1947) Luigi Zuccoli, Ing. Attilio Terragni Como, via Nino Bixio

R. F. 1. Villa Zucchi (1949) Luigi Zuccoli Como, viale Geno

Como a cura di Roberta Fasola

Il percorso razionalista residenziale del paesaggio lacustre Tanti sono i percorsi tematici che la nostra città ed il nostro lago sono in grado di offrire, per ricchezza culturale, storica e paesistica. Non è semplice individuare poche architetture rappresentative: per questo è stato adottato un criterio di scelta che potrebbe riassumersi nell’espressione del titolo. Come progettisti contemporanei vogliamo ricordare che la “buona architettura” in grado di relazionarsi col paesaggio esiste e non va dimenticata; per trovare rinnovati stimoli al nostro (difficile) lavoro: un percorso fatto di pochi ma significativi elementi che da viale Geno arriva sino a Tramezzo, come personale ed incompleto regesto, relazionandosi in maniera sensibile con l’ambiente per divenire presupposto del rapporto tra uomo e natura. Interrogato in proposito, il nostro presidente, Angelo Monti, afferma: “Penso che paesaggio e architettura siano termini ineludibili di quella indagine sulle identità locali e sulla relazione non consumistica tra queste e la globalizzazione, una delle scommesse future per il gover-

Il progetto segue le pendenze naturali del terreno che declina verso il lago e prosegue con un pendio ripido segnato da piccole terrazze: il piano terra viene così sviluppato su due livelli, con la parte anteriore a livello del giardino e i locali posteriori rialzati al piano di uno dei terrazzi naturali. Zuccoli manifesta un chiaro richiamo al razionalismo comasco, attraverso l’uso di un modulo proporzionale e sistematico e la ricerca di giusta proporzione tra tagli orizzontali e verticali, e tra pieni e vuoti. Qui però, vi è una nuova attenzione nei confronti del paesaggio: che si riscontra soprattutto nel confronto sensibile tra il volume costruito e la morfologia naturale del terreno con cui questo entra indubbiamente in relazione. E questo grazie anche all’attenta scelta dei materiali di finitura: marmo di Musso sabbiato per la facciata verso il lago e i due fianchi, pietra di Moltrasio per le pa-

La villa è parte di un complesso di tre realizzate a poca distanza l’una dall’altra su un’unica striscia di terreno, secondo un unico concetto riformatore, per quanto continuamente variato, espressione concreta dell’assimilazione dei principî razionalisti. Il volume di base è movimentato dalla presenza in superficie della struttura portante e degli aggetti di balconi e pensiline. Il progetto presenta uno schema planimetrico semplice che verte intorno al corpo scala di collegamento tra i due piani, posizionata baricentricamente rispetto alla zona notte e quella giorno. La copertura è un tetto giardino utilizzato come terrazza belvedere e terrazzi e balconi sottolineano il dinamismo orizzontale della pianta che asseconda l’andamento naturale del terreno. Sia il prospetto verso strada che quello maggiormente vetrato verso il lago dichiarano la linearità della progettazione, rivolta a una ricerca di equilibrio nel rapporto tra linee e piani. Pieni e vuoti disegnano uno spazio armonico dei volumi e sottolineano un’attenzione particolare al contesto: l’architettura penetra nella natura circostante, per vivere tra di i suoi alberi, davanti al lago, non facendosi però plasmare ma imponendosi su di essa.

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1952, realizza un edificio industriale caratterizzato, per quanto riguarda i volumi destinati alla produzione, da un razionale uso degli spazi interni dato dalle grandi campate dei capannoni (sia a struttura metallica che cementizia) e dal controllo della luce zenitale con diverse tipologie di coperture a shed, e da una sperimentazione, ancora in chiave modernista, nella realizzazione degli uffici su via Baioni con una maglia modulare e regolare in carpenteria metallica ed ampie vetrate. Tutto il comparto è dismesso dal 2009 essendo le attività migrate negli altri stabilimenti della provincia. L’area è interessata da programmi di riconversione residenziale e commerciale che ne prevedono la completa demolizione.


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3. Casa d’affitto (1938-39) Cesare Cattaneo Cernobbio

istituendo un felice colloquio tra superfici intonacate e superfici a vista; la copertura, a unico spiovente in legno e ardesia, sottolinea questa scelta. L’orientamento a sud-est condiziona l’organizzazione di pianta e alzati: alle ampie superfici vetrate verso il lago si contrappongono le limitate aperture del prospetto rivolto a monte, marcato in senso orizzontale dal piano inclinato del tetto. È dei primi anni ‘90 il restauro messo in opera dall’attuale proprietà che, oltre ai necessari adeguamenti tecnologici, ha curato il ripristino degli originari colori stesi sulle superfici esterne ed interne. A nord del lotto il garage e l’abitazione del custode. sempre, e comunque, in relazione con lo spazio circostante, soprattutto, con il lago; grandi superfici vetrate consentono di realizzare un paesaggio fatto di trasparenze

Costruzione libera da condizionamenti (perché di proprietà della famiglia Cattaneo) che si inserisce dinamicamente tra i fabbricati esistenti, grazie alle superfici che ne definiscono i fronti sulla Statale Regina. I volumi abitabili sono evidenziati grazie alla presenza sia delle fasce orizzontali dei balconi lungo la facciata, che attraverso il grigliato metallico dell’ultimo piano. A confermare l’attenzione prestata nella definizione formale degli spazi, la cura del dettaglio costruttivo che va dal disegno della scala interna, al dettaglio di serramenti e maniglie, nonché delle stesse tende di completamento alla facciata.

4. Villa Antonelli (1959) Luigi Zuccoli Carate Urio (Co) È una tra le opere dello Zuccoli più fedeli al linguaggio razionalista: pur avendo una volumetria modesta è molto efficace dal punto di vista formale, quale espressione di una ricerca che gioca sulla linea, sul piano e sulle altezze. La struttura, costituita da pilastri e travi in c.a. (queste ultime aggettanti a mensola sul fronte lago), la copertura piana e le facciate rivestite in tesserine di ceramica bianca, definiscono uno spazio geometrico che entra

6. Case per Artista (1933-40) Pietro Lingeri Isola Comacina, case A, B, C

5. Villa Leoni (1934-35) Pietro Lingeri Ossuccio (Co), Strada Statale 340

Casa commissionata dalla famiglia Leoni Malacrida, industriali nel settore dolciario. L’edificio a pianta quadrata, in posizione d’altura, domina il bacino con l’isola Comacina e il vicino complesso romanico di Santa Maria Maddalena di Ospedaletto. La richiesta di concessione edilizia presentata nel ‘41, è seguita dal parere favorevole del Comune di Isola Comacina (al tempo entità amministrativa autonoma) e dal nulla osta del Genio Civile “a condizione che venga escluso l’uso di cemento, ferro e altri materiali non autarchici”. Lingeri opera così nel pieno rispetto dell’architettura tradizionale del lago, utilizzando la pietra di Moltrasio,

Realizzate al termine di una vicenda iniziata 20 anni prima con un concorso indetto dall’Accademia di Brera per il Piano Regolatore dell’Isola, le tre case sono state pensate per ospitare artisti belgi (l’isola era stata donata all’Italia da re Alberto I) e italiani. Lingeri attinge al modello dell’abitazione per vacanze di Le Corbusier, costruita nel 1935 a Les Mathes, le sue case, però, saranno più piccole, con sistemazioni degli interni improntate alla massima funzionalità: volumi a doppia altezza divideranno lo spazio tra studio (che occuperà entrambi i piani) ed abitazione. Frutto dell’integrazione degli elementi della stagione razionalista con i materiali tipici del luogo (murature in pietra di Moltrasio e coperture in lastre di ardesia, pavimenti, scalette e infissi realizzati in castagno) e caratterizzate da grandi


7. Villa Silvestri (1929-32) Pietro Lingeri Portezza di Tremezzo (Co)

l’acqua, non gridato, ma continuamente sottolineato, anche mediante l’impiego di elementi e materiali di ispirazione marinara che accompagnano la contemplazione del paesaggio come dall’alto della tolda di una nave. La stessa vista dal lago conferma l’equilibrato rapporto della villa con il contesto, suggerendo attenzione verso lo spazio della vicina, antica chiesetta di San Vincenzo. Particolare cura è stata posta anche nella scelta dei tenui colori di finitura, sia esterna che interna, arredi compresi.

Cremona a cura di Maria Luisa Fiorentini

Tre architetti cremonesi

La casa, commissionata dall’ing. Silvestri, frequentatore della motonautica AMILA, è progettata dallo stesso Lingeri pochi anni prima. La configurazione del sito è principio ispiratore del progetto: la forma allungata del sedime porta alla collocazione degli spazi accessori al limite della proprietà sulla strada, mentre autorimessa e serra si trovano a lato della cancellata; in basso il corpo principale della villa, di forma composita è costituita da un blocco quadrato e da un’addizione rettangolare, con tetto a padiglione e terrazza su livelli differenziati. Rilettura in senso moderno dei caratteri tipologici delle case rivierasche, la villa ha nelle aperture verso il lago la maggiore caratterizzazione: la facciata è tripartita dalla darsena, da una veranda intermedia e dalla soprastante loggia. Evidente il principio ispiratore del legame con

Un itinerario attraverso l’architettura del Novecento porta a individuare episodi legati alle trasformazioni urbanistiche edilizie e infrastrutturali del periodo storico. Tradizione e classicismo, razionalismo e funzionalità, industrializzazione e urbanizzazione, spirito libero e società moderna, si intrecciano in decenni di architettura che hanno plasmato il volto delle nostre città. Un percorso architettonico è quello che si snoda attraverso l’opera di tre personalità attive nello stesso periodo, diverse nel pensiero e nelle realizzazioni, ma accomunate da un temperamento eclettico. Sono tra gli architetti che hanno vissuto i destini urbanistici ed edilizi nel momento di espansione e rinnovamento urbano, dall’urbanistica all’edilizia privata e all’opera pubblica. Protagonista del Novecento cremonese, Vito Rastelli (1892-1981) firma progetti e architetture residenziali legate ad una committenza privata. Un tema tipologico sentito nel periodo post bellico, per la disponibilità di spazi nati dall’abbattimento di parte delle cinta murarie con la creazione delle circonvallazioni cittadine adiacenti il centro storico. Rastelli si occupa anche di edilizia pubblica, tra cui la nuova

sede della Società Canottieri Bissolati, opera quasi contemporanea alla realizzazione dell’altra società sportiva cremonese, la Canottieri Baldesio, progettata da Aldo Ranzi (1898-1963). Per anni, il ruolo professionale di Ranzi come responsabile del settore edilizia e urbanistica del Comune di Cremona, gli consente di vivere la ricostruzione e la crescita urbana del dopoguerra, firmando una serie di architetture tra loro eterogenee. Infine Amos Edallo (1908-1965), architetto e urbanista, svolge la sua intensa e breve attività nel territorio cremonese e milanese. Come responsabile del settore tecnico e urbanistico del Comune di Milano, è autore del PRG nel momento della ricostruzione del dopoguerra. Il legame con le origini gli consente di apportare la propria esperienza di urbanista dalla metropoli alle realtà rurali del territorio cremonese. Con Edallo l’itinerario continua attraverso progetti di edifici di culto, in cui è leggibile un filo conduttore tra le tre personalità, fatto di attenzione per l’unitarietà dello spazio, lo studio dei fasci di luce, l’essenzialità della geometria evidenziata con l’uso cromatico del mattone faccia a vista. M. L. F.

1. Palazzina Maldotti (1925) Vito Rastelli Cremona, viale Po 65

Situata su uno degli assi urbanistici di stampo razionalista legati allo sviluppo residenziale del secolo scorso, Palazzina

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tagli chiusi con specchiature in vetrocemento, il progetto raggiunge l’obiettivo di coinvolgere la natura nel vissuto dello spazio interno. Purtroppo l’utilizzo discontinuo ne ha minato la conservazione: con un programma di valorizzazione delle specifiche valenze territoriali la regione Lombardia ha stanziato fondi mirati ad interventi e studi sul comprensorio, e con l’Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) “Magistri Comacini” del 2005, è stato avviato un intervento di conservazione, per consentire ai tre edifici di tornare ad ospitare artisti ed essere meta di visitatori.


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Maldotti è un’opera giovanile di Rastelli. Sono leggibili i particolari compositivi della residenza borghese dei primi del secolo, con la torre del vano scala affiancata al corpo di fabbrica principale. La facciata a tre piani, finita con rivestimento a intonaco a bugnato per la parte inferiore e a intonaco liscio per la parte superiore, è disegnata da lesene angolari. Di stampo liberty sono i riquadri tra le aperture, il fregio sopra il protone di ingresso e i parapetti dei balconi in ferro battuto dall’andamento curvo con geometria e disegno diverso. Si riconosce l’elemento della colonnina sormontata da una sfera, motivo architettonico caro a Rastelli.

2 . Palazzina Castellotti (1926) Vito Rastelli Cremona, via Cadore 21

Rastelli si cimenta in un’architettura destinata parte a residenza e parte ad uso laboratorio industriale, situato nel piano interrato. Palazzina Castellotti, costruita su un dislivello del terreno, è a due piani fuori terra sulla facciata di ingresso e tre piani su quella retrostante. Il prospetto principale, scaturito da un disegno simmetrico di stampo neoclassico, presenta un porticato centrale a tre archi a tutto sesto su pilastri squadrati, sormontato da un loggiato a colonnine e balaustra in corrispondenza del piano superiore. Ai lati due corpi di fabbrica finestrati aggettano leggermente e sono messi in evidenza dalla lavorazione a bugnato degli spigoli. L’edificio si inserisce in un giardino chiuso da un muro di cinta, dove un portale ad arco incornicia l’elemento centrale della facciata.

3. Società Canottieri Bissolati (1935) Vito Rastelli Cremona, via Riglio 12

fabbricato a tre piani nei quali si distribuiscono zone ricreative, spogliatoi e servizi.

Il legame di Cremona al fiume Po ha sviluppato l’attività sportiva legata al canottaggio e al nuoto, con la realizzazione delle più antiche società rivierasche italiane, patrimonio culturale e sportivo della città. È il 1920, quando dalla Canottieri Baldesio una parte dei soci si stacca e dà vita alla Canottieri Leonida Bissolati, realizzata con gli incentivi del regime per la diffusione di strutture per lo sport e il tempo libero. Sorta al limite della città sulla struttura provvisoria del 1921, lungo la sponda sinistra del Po, è un’architettura di spirito moderno impostata sull’organizzazione funzionale degli spazi interni ed esterni. La zona bar e ristorante, gli spogliatoi, il cantiere per le barche e il deposito biciclette al piano terreno sono collegati tramite una scala circolare agli spazi del primo piano dotati di vista sul fiume. È leggibile un rigore compositivo che richiama l’immagine razionalista del periodo, con l’accostamento di volumi e forme architettoniche a geometria semplice, la copertura piana, le aperture a nastro orizzontale e la terrazza semicircolare che si apre verso il fiume. Un’opera architettonica che dialoga armoniosamente con gli spazi aperti, il giardino e le zone dedicate alle discipline sportive.

Corpi di fabbrica diversi, articolati secondo le esigenze delle varie attività sportive, sono diversi anche nell’aspetto formale. È una composizione volumetrica articolata e dinamica, sottolineata dalla colorazione vivace, dallo spiccare delle due torri dei corpi scala e dall’effetto chiaro-scuro della zoccolatura che lega tra loro i corpi di fabbrica. Il gioco di volumi in cui si riconosce il rigore geometrico del razionalismo, segnato anche dalla copertura piana e dalle finestre a nastro, esprime il carattere “sportivo” della costruzione che ben si integra nel paesaggio fluviale circostante.

5. Chiesa parrocchiale (1941) Aldo Ranzi S. Giovanni in Croce (Cremona), via Grasselli Barni

4. Società Canottieri Baldesio (1937) Aldo Ranzi Cremona, via Del Porto 3 Nata nel 1887, immersa nel verde in riva al fiume Po, la Società sportiva Canottieri Baldesio inaugura la nuova sede in occasione del 50° anniversario. L’idea progettuale genera un insieme armonico di volumi e forme geometriche che creano un

La chiesa a navata unica segnata da piccole cappelle laterali collegate tra loro da un camminamento che porta all’altare, si chiude con un presbiterio a pianta


prospetto ed è costituito da un arco a tutto sesto centrale e nicchie squadrate laterali, ospitando sopra il portone di ingresso l’immagine sacra della Madonna realizzata a mosaico.

7. Chiesa e casa parrocchiale (1957) Vito Rastelli Isola Pescaroli (Cremona), piazza dei Papi Pio XII e Giovanni XIII

6. Chiesa della Madonna della Campagna (1955) Amos Edallo Castelvisconti (Cremona), Strada Provinciale 65

Piccola opera architettonica immersa nella campagna cremonese, la costruzione della Chiesa della Madonna della Campagna è stata voluta e finanziata dai proprietari di una cascina della zona. A navata unica, illuminata da finestre ad arco a tutto sesto che portano luce sui rivestimenti in marmo, si chiude in un’abside semicircolare che ospita la zona dell’altare leggermente sopraelevata. La facciata dalla geometria semplice ma ricercata, riprende il disegno a riquadri dato dall’uso cromatico del mattone a vista. L’alto portale rivestito con marmi chiari s’inserisce armoniosamente nel

8. Chiesa di Castelnuovo (1958) Amos Edallo Crema (Cremona), via Zambellini

Opera pensata in collaborazione con l’ingegner Filippini, sorge in una frazione di S. Daniele Po ed è dedicata alla Madonna della Fiducia, punto di riferimento e protettrice dei pescatori del fiume. Architettura sacra rimasta incompleta per la mancata costruzione del previsto campanile che avrebbe dovuto culminare con una statua della Madonna. La chiesa, a navata unica, fiancheggiata da nicchie laterali rettangolari, si chiude in un’abside semicircolare dietro a un presbiterio sopraelevato. Aperture ad arco a tutto sesto chiudono la parte superiore della navata. La facciata dal disegno semplice e geometrico, è arricchita da un avancorpo costituito da due quinte architettoniche con aperture ad arco, impreziosita, e colorata, dal rivestimento in mattoni faccia a vista. L’ampio sagrato delimitato da colonne sormontate da una sfera è collegato a un piccolo patio laterale segnato da un portico ad archi in corrispondenza della casa parrocchiale adiacente la chiesa.

Sorta alla periferia di Crema è a navata unica scandita dal ritmo di cappelle laterali squadrate e poco profonde. La zona absidale si chiude in un ambulacro colonnato ad archi ribassati; al di sopra i matronei si snodano fino ad unirsi sotto il catino absidale. Anche qui la zona dell’altare è sopraelevata con gradini dal disegno semicircolare che terminano contro due amboni laterali tondi. La luce nella sua uniformità sottolinea l’unità spaziale tra navata e presbiterio. Il disegno della facciata si articola in un gioco di elementi geometrici quadrati ripreso anche sui prospetti laterali e sul campanile, sottolineato dalla struttura in cemento armato ed evidenziato dall’uso del rivestimento in mattoni a vista di diversa cromatura. Il pronao a tutta altezza, caratterizzato da archi ribassati, è sormontato da un timpano.

Lecco a cura di Enrico Castelnuovo e M. Elisabetta Ripamonti Percorsi di architettura contemporanea a Lecco Possiamo affermare che negli ultimi vent’anni il territorio lecchese è stato investito da una serie di piccole mutazioni urbanistiche che, prese nel loro insieme, hanno ridisegnato diversi quartieri della città.

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semicircolare, rialzato e delimitato da una balaustra in marmo che termina lateralmente con due amboni. Anche qui, come nelle opere che seguono, la luce gioca un ruolo importante, sottolineato dal gioco cromatico dei materiali di rivestimento. Lo spazio interno è suddiviso in tre zone orizzontali segnate da fasce in marmo che corrono lungo tutto il perimetro, motivo ripreso anche nel disegno della pavimentazione e in quello della facciata. Imponente e rigoroso, con rivestimento in mattoni a vista suddiviso in tre zone orizzontali da fasce di marmo, il prospetto è tagliato su tutta l’altezza da un arco a tutto sesto che segna l’ingresso. La parte superiore, chiusa da un loggiato a spazi alti e stretti sormontato da un timpano, ne sottolinea ulteriormente la verticalità.


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A partire dalla fine degli anni ’80, in concomitanza con il concretizzarsi dell’idea di creare la nuova Provincia di Lecco (istituita nel 1992), comincia un processo di rinnovamento infrastrutturale decisivo. Il risultato sono una serie di quartieri di recente trasformazione e un buon numero di nuovi edifici, sia pubblici che privati, che hanno segnato l’arrivo delle nuove istituzioni provinciali ed il soddisfacimento delle nuove istanze della città, intese soprattutto come riqualificazione delle vecchie aree industriali dismesse. Tra gli architetti che a vario titolo hanno dato il loro visibile contributo nei nuovi ambiti urbani lecchesi troviamo progettisti come Piano, Gregotti, Botta, Montanelli e Castelletti. Dagli esempi esposti si evince come l’architettura possa raggiungere valori di bellezza ed utilità, solo grazie dall’unanimità d’intenti di progettista e committenza. Questi devono essere animati dal medesimo fine: fare qualcosa per la città e progettare gli spazi per una fruizione a misura d’uomo. L’altra riflessione doverosa è relativa alla capacità politica di un paese, Lecco, che nel diventare capoluogo di provincia, ha avuto la possibilità di ripensare la propria urbanistica. In questo senso siamo sicuri che i validi esempi sopra riportati siano stati diretta conseguenza del diverso ruolo amministrativo che, dalla fine degli anni ’80 in poi, sta lentamente cambiando la mentalità lecchese. La nostra speranza è che le amministrazioni che si succederanno nel nostro territorio salvaguardino questi apprezzabili risultati e ne rilancino la diffusione incidendo anche sull’attrattività dei territori attraverso il sostegno all’architettura facendo ricorso all’istituto dei concorsi di progettazione. L’eccellenza architettonica, promuovendo anche la salvaguardia del patrimonio culturale ed artistico (specialmente in vista dell’Expo di Milano), può diventare reale risorsa economica con la costituzione di itinerari e reti culturali. E. C.

1. Centro “Le Meridiane” (1992) Renzo Piano Lecco

La controversa struttura, che avrebbe dovuto garantire l’interscambio gommaferro vicino al centro di Lecco, è stata, invece, caratterizzata da un centro commerciale. L’operazione ha, comunque, avuto il merito di riqualificare un’area in disuso e ricompattare il tessuto urbano consentendo anche la realizzazione di un piccolo parco urbano che circonda il nucleo centrale degli edifici in prossimità della città. L’intervento di riqualificazione, si pone come cerniera tra il centro e la prima periferia, interpretando, peraltro, il problema della viabilità e del parcheggio. Tra le intenzioni di Renzo Piano si rilevano quelle di trasformare un’area in disuso in una con capacità attrattive mediante la restituzione di una storica “periferia” slegata dal contesto urbano. Dal punto di vista architettonico l’intervento è composto da tre torri di dieci piani ciascuna caratterizzate da un fronte vetrato volutamente impattante. Gli edifici coniugano le attività e gli spazi commerciali e terziari con quelli residenziali. Una piazza “interna” al piano degli ingressi conferisce al progetto un aspetto “urbano” fungendo anche da luogo di incontro.

linare lecchese. La ricucitura operata da Gregotti ha permesso anche in questo caso una ri-fruizione da parte della città di una zona diventata “impermeabile” al tessuto urbano lecchese. Il risultato è un’armonizzazione del costruito grazie all’inserimento di un piccolo quartiere che demarca e caratterizza i nuovi spazi urbani nelle varie dimensioni: pedonale, grazie alla creazione di un sistema di nuove vie e piazze, veicolare, grazie alla connessione con la viabilità preesistente. Gregotti ha portato, anche in questo progetto, i colori caldi delle “terre” tipici della sua produzione e l’eleganza dei suoi frangisole che sottolineano, con il bianco, i corpi aggettanti.

3. Sistema delle piazze a lago (2001) Marco Castelletti Lecco

2. Recupero Area Ex-SAE, 1987-93 Vittorio Gregotti Lecco Anche l’esempio progettuale di Vittorio Gregotti è stato pensato come un grande intervento di riqualificazione: si tratta, infatti, del recupero dell’area SAE, un comparto industriale che storicamente si era sviluppato alle pendici della zona col-

L’ultimo fotogramma dell’architettura contemporanea a Lecco riguarda la sistemazione delle piazze a lago nel centro storico della città disegnate da Marco Castelletti, architetto di cui abbiamo già avuto modo di scrivere in questa sede.


5. Campus Point del Politecnico di Milano (2007) Arturo Montanelli Lecco

Lodi a cura di Manuela Camia

4. Sede dell’ANCE (2007) Mario Botta Lecco

Mario Botta ha operato, non lontano dall’intervento di Vittorio Gregotti, sul consolidamento di un “recinto” privato. Il progettista si è confrontato con la sede dell’Ance, realizzando un intervento volumetricamente ridotto rispetto ai due esempi precedenti, ma sicuramente interessante, sia per la soluzione progettuale, sia per la effettiva fruizione da parte dei cittadini lecchesi. La sede dell’Ance si sviluppa su tre piani fuori terra ed un piano interrato interamente destinato alla funzione di parcheggio, archivio e locali tecnici. Ogni piano si sviluppa su una superficie di circa 600 mq. L’insediamento è caratterizzato da due grandi elementi di copertura di forma ellittica e dall’uso dei frangisole in cotto lungo tutto il perimetro dell’insediamento che ne conferiscono l’effetto di un recinto edificato dal grande comfort. L’uso di questo edificio, oltre alla mera funzione amministrativa, è improntato al confronto con la città grazie alla presenza di sale convegni e all’efficiente organizzazione di eventi culturali al suo interno.

versi anche da galleria d’arte. Anche in questo caso un progetto di grande dignità architettonica si è sposato con la funzione di contenitore culturale a disposizione della città.

Itinerari religiosi di Ferruccio Rozza

Arturo Montanelli è un raffinato ingegnere di Lecco la cui opera più nota è il Campus Point del Polo Regionale di Lecco del Politecnico di Milano. Il progetto di Montanelli è l’elegante risposta alla necessità di creare una struttura provvisoria da dedicare a laboratori sperimentali e di ricerca in attesa della consegna del cantiere dell’insediamento universitario di Lecco. Se da una parte l’edificio (che è stato assemblato sul posto ed ha avuto costi di esecuzione limitatissimi) ha un carattere di provvisorietà funzionale, dall’altra è caratterizzato da una stupenda geometria dinamica di facciata che, nel volgere di pochi anni, lo hanno trasformato in uno dei simboli della “città che si rinnova”. La semplicità della struttura è sicuramente il risultato di estrema chiarezza progettuale: una sorta di insediamento di container di colore rosso vivo montati in poco tempo, senza presenza di fondazioni tradizionali, ma che hanno il giusto carattere per poter accogliere un lungo ciclo di appuntamenti culturali, esposizioni temporanee e che funge per alcuni

Ferruccio Rozza nacque nel 1925 a Sant’Angelo Lodigiano, si laureò nel 1954 al Politecnico di Milano ove si adoperò, per una decina d’anni, come assistente al corso di Composizione architettonica. Figura poliedrica di grande preparazione e cultura si mise al servizio della collettività traducendo la propria esperienza professionale sul territorio in innumerevoli opere di edilizia residenziale, lavori pubblici, urbanistica e architettura religiosa. In questo contributo mi pregio nel ricordarlo per la costruzione di tre chiese edificate nell’arco temporale dei tre decenni della fine del Novecento e per le parole, un testamento, da lui profuse ai colleghi, in qualità di relatore nel 1996 al Convegno “per l’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica” (dal Concilio Vaticano II), al seminario arcivescovile di Milano, cui partecipò dopo aver realizzato il progetto del nuovo presbiterio della cattedrale di Lodi. Così si esprimeva: ”ricercate il nuovo spazio che meglio esprima la spiritualità concentrando e vedendo i tre principali elementi “l’altare”, “l’ambone” e dove occorre la “cattedra”, tutti gli altri elementi di supporto devono stare in silenzio, non evidenziarsi, ma partecipare coralmente” E più avanti: ”l’architetto deve umilmente giocare emozioni ed esperienze per tendere alla ricerca di questa essenzialità, sordo ai richiami esterni di elementi inutili e puntare dritto al vivo dell’esaltazione dello spazio globale unico, armonico”. M. C.

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Non è pleonastico apprezzare come la sistemazione di una piazza urbana e dei relativi arredi cambi la sensazione e la fruizione dei cittadini verso quello spazio. La caratteristica di questo annoso progetto è quella di avere, al suolo, un particolare disegno: tramite l’uso consapevole di granito chiaro e serizzo scuro si formano delle “vertebre” che riconducono ad un disegno unitario della pavimentazione e si irradiano nelle piazze come elementi generati dal lago.


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1. Monastero delle Carmelitane Scalze (1966) Lodi, fraz. Torretta, via del Carmelo

Si tratta di una costruzione composta da tre nuclei principali. s La zona di clausura Si sviluppa ad anello attorno ad un cortile ottagonale ed è costituita dai locali del convento, parlatoio, refettorio, celle, locali di servizio, reparto delle novizie. Si articola in volumi pieni, in mattoni, con superfici intonacate, di colore ocra, (a memoria della tradizione delle costruzioni rurali) cadenzate da finestre incorniciate da elementi in prefabbricato, e vuoti, con un porticato al piano terra e dei loggiati al piano superiore, in c.a., delimitati a chiusura da grate decorative. L’alternanza dei volumi di diversa altezza, coperti da tetti a larghe falde e l’alleggerimento spaziale indotto dai vuoti, rimanda la citazione al contesto di cascinali vicini; al contempo, introduce il sapiente gioco chiaroscurale di contrasti di volumi dinamici e lo studio della luce che caratterizzerà le opere religiose del progettista. s La foresteria con la casa del custode Un lungo e basso corpo di fabbrica a convalida del panorama che prosegue la linea del pianoro ricavato per ospitare l’intero complesso. s La chiesa Il fulcro dell’intero complesso, diaframma fisico interposto ai corpi claustrali, per la sua particolare conformazione e collocazione consente l’accesso al servizio religioso anche ai fedeli laici che possono praticare questo spazio in condivisione con le monache di clausura che soggiornano in ambienti adiacenti. La chiesa a

pianta esagonale allungata, in alzato, assume la conformazione a solido poliedrico con le pareti a cemento a vista; si staglia in cielo in uno slancio rafforzato dall’attigua torre campanaria ed emerge in verticale presentando l’originale facciata a punta, sormontata da un tetto a doppia falda in rame, molto inclinato, delimitato da una sorta di cornice marcapiano in c.a. che ne segna il percorso fortemente inclinato in facciata e orizzontale ai lati, riprendendo nel linguaggio formale la dicotomia dell’orizzontamento dei piani del territorio circostante. All’interno dell’edificio, la copertura presenta la soluzione originale del soffitto a capriate lignee di differente grandezza appoggiate a diversi livelli. Lo stile volutamente sobrio si traduce anche nel disegno chiaro ed essenziale degli interni, proponendo uno spazio raccolto e silenzioso, dove pochi e misurati arredi/oggetti richiamano l’attenzione ai fondamenti religiosi: in particolare il tabernacolo laminato in foglia d’oro si erge a colonna posta sopra a una base di granito (sopraelevata rispetto alla quota del pavimento dell’altare); dal contrasto dei materiali/superfici si stacca dalla parete di fondo (in c.a. a vista) costituita dall’angolo in controfacciata da cui sono state ricavate due nicchie speculari, trovando una collocazione di riguardo. Lo stesso disegno della nicchia è ripreso per incorniciare le grate in ferro a nastro, da cui le suore possono assistere alle funzioni religiose, così come per la nicchia che ospita una lastra di legno laccato arancione con incisa una croce stilizzata. Il colore arancione sarà riproposto per le piccole croci metalliche collocate lungo le austere pareti, mentre il pregiato legno della sede è proposto lucido, ad esclusiva pavimentazione del presbiterio, segnando il confine fra sacro e profano. Spazi ed oggetti plasmati in forme e materiali diversi, immersi nella penombra, concorrono a creare un senso di intimità e raccoglimento fortemente voluto dall’autore che ha dosato e direzionato l’ingresso della luce solare dall’alto, filtrandola attraverso l’originale rivisitazione del medievale rosone lombardo, che muta la tradizionale forma circolare a favore di quella a croce greca.

2. Chiesa della Sacra Famiglia (1976) Massalengo, loc. Motta Vigana, via Turati

L’edificio a pianta rettangolare, ad aula unica, presenta una terminazione absidale poligonale sporgente dal perimetro della chiesa. La copertura è a padiglione: rivestita esternamente con lastre di rame; internamente la nervatura in c.a. della pseudocupola è evidenziata dalla bicromia dell’intonaco del soffitto interrotto nelle vele da fasce vetrate che seguono in parallelo il perimetro dell’aula. Torna il motivo della cornice marcapiano del tetto che, in questo caso, assume le proporzioni di un ordine gigante e decorativo della gronda, sdoppiando la resa cromatica nei materiali come il calcestruzzo intonacato bianco e il rame ossidato. A conclusione della copertura il prolungamento in verticale (quasi un dito) del campanile con la cella campanaria esterna, sormontata da un’esile croce. Anche nel prospetto esterno le pareti verticali intonacate di rosso mattone sono intervallate dalle stesse sequenze ritmate delle fasce vetrate. È una chiesa particolarmente irrorata dalla luce solare che attraversa le vetrate artistiche policrome realizzate fra gli anni ‘80/‘90 del secolo scorso dall’artista Ferdinando Mandelli. Come risulta dalle dediche apposte a ogni riquadro, sono state sovvenzionate da enti finanziatori, personaggi o famiglie del luogo, traducendo in chiave moderna la consuetudine di commissionare all’artista locale di rilievo la realizzazione di cappelle famigliari di culto che solitamente andavano ad affiancare la navata centrale e che, in


3. Chiesa di S. Alberto Vescovo (1987) Lodi, via Saragat

L’edificio presenta una pianta rettangolare lobata su cui si inserisce una forma circolare, determinando una navata principale affiancata da due aule di più modesta entità che ospitano rispettivamente il coro e il battistero l’una, la cappella invernale l’altra. Quest’ultima, separata all’occorrenza dall’aula principale mediante un sistema di pareti mobili, ospita il tabernacolo che,

non essendo un riferimento celebrativo, è bene che – come raccomandato nei Principi e norme per l’uso del messale romano – “non sia collocato nel presbiterio, ma in uno spazio autonomo adatto all’adorazione e alla preghiera personale”. In quest’opera più matura l’architetto diviene ancora più incisivo nel rimarcare le specifiche funzioni liturgiche evidenziando come i poli spaziali della celebrazione eucaristica siano l’ambone (mensa della Parola) e l’altare (mensa del Pane eucaristico) onorandoli con materiali nobili come il marmo di Carrara ed il nero k2 assoluto nella cappella invernale e il granito per l’aula principale, esplicitando la chiara relazione e connessione fra le “due mense”. Ai due poli si aggiunge la sede presidenziale in legno, dove il “celebrante” è chiaramente visibile da parte dei fedeli. La forma stilistica e i significati spaziali ben si conciliano con i dettami della riforma del Concilio Vaticano II che ha riscoperto e rivalutato l’esperienza liturgica della chiesa primitiva, restituendo alle celebrazioni e al luogo in cui si realizzano una forte dimensione comunitaria. Una chiesa-edificio dai volumi circolari essenziali, esternamente rivestiti di mattoni a vista, intagliati nelle parti lobate da piccole finestre quadrate a ricordare la Via Crucis e in facciata da una grande vetrata colorata a forma di cascata, evocativa di purezza. Nulla è stato lasciato al caso: ogni minima presenza segue delle precise scelte progettuali nella ricerca di misure armoniche che il nostro architetto-artigiano, animato da passione sincera, ha “sentito” e scrutato dentro di sé.

Monza e Brianza a cura di Cristina Magni e Francesco Redaelli Un itinerario di architettura residenziale per Monza e la Brianza Ripercorrendo alcuni progetti di architetti di fama ricostruiamo l’evoluzione della tipologia residenziale nella Provincia di Monza e Brianza. Un itinerario di architettura che parte dagli anni della ricostruzione del Dopoguerra con gli interventi di Piero Bottoni promossi dall’istituto Ina-casa. Negli anni Cinquanta il sodalizio tra Asnago e Vender portò un contributo all’evoluzione della tipologia della villa monofamiliare in Brianza. Dagli anni Sessanta, con l’inizio dell’immigrazione, in una Monza sovradimensionata dal Piano Regolatore di Piccinato per duecentomila abitanti, vennero realizzate palazzine multipiano fuori scala urbana, per dare una risposta rapida ed economica alle necessità abitative (vedi gli edifici per edilizia popolare progettate da Luigi Ricci e da Fredi Drugman ancora per Ina-casa). Negli stessi anni, Gio Ponti e Luigi Caccia Dominioni declinarono il tema della palazzina residenziale borghese, collocando i loro interventi a ridosso del centro storico. A Monza, negli anni Settanta, Angelo Mangiarotti si confrontò con il tema della prefabbricazione applicata all’edilizia residenziale. L’architettura residenziale si distingue, come le ville storiche, nella capacità di interpretare le caratteristiche morfologiche della Brianza collinare – vedi le case binate di Antonio Monestiroli realizzate a Montesiro di Besana Brianza a inizi anni Ottanta. Un contributo allo sviluppo della tipologia residenziale è stato dato dagli interventi di Antonio Citterio per una villa monofamiliare a Meda e di Mario Botta con le case a schiera realizzate a Bernareggio a metà degli anni Novanta. Recentemente nuovi linguaggi architettonici sono stati sperimentati: è il caso degli interventi residenziali a sezione triangolare realizzati a Lissone da Angelino Fossati e delle dieci abitazioni per

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questo traslato, contesto istoriano le pareti di tamponamento dell’edificio. Nella pavimentazione l’uso dei diversi materiali distingue l’area destinata ai fedeli da quella riservata ai sacerdoti, chierichetti e lettori: le piastrelle di ceramica sono interrotte nella zona del presbiterio, sopraelevata, a favore di lastre di granito scuro; la stessa pavimentazione in granito viene ribassata nella zona riservata al Battistero ricordando una sorta di vasca battesimale. Ad evidenziare l’ambone viene posta alla base una predella in legno, materiale ripreso nel rivestimento del fondale dell’abside che, interrotto all’altezza del tabernacolo circolare, disegna/intaglia sulla parete un calice che custodisce l’Eucarestia-tabernacolo lavorato in ottone e bronzo. Particolare lavorazione è riservata al marmo di Carrara mediante la tecnica a bocciarda che conferisce agli arredi (ambone, sede, altare ed acquasantiere) una solidità arcaica, monolitica, a cui si contrappone la resa lucida e levigata dello stesso marmo nelle superfici orizzontali dei basamenti del tabernacolo e della seduta dell’officiante.


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Ruginello progettate da Laura Rocca a Vimercate in chiave decostruttivista. a cura di Francesco Redaelli, con il contributo di Marilù Biffis, Marcello Garavaglia, Silvia Peronetti ed Elena Villa. 1. Due case Ina-casa (1949-50) Piero Bottoni Muggiò, via Verdi

Dal 1949 al 1953, Piero Bottoni disseminò di interventi residenziali una ventina di centri minori del milanese per conto dell’Istituto Ina-casa che, delegato alla ricostruzione edilizia nel Dopoguerra, distribuì a pioggia modeste quantità edilizie talvolta rappresentate da un’unica casa plurifamiliare di non più di tre piani fuori terra. In questi interventi Bottoni mise a fuoco varianti di un’unica tipologia residenziale, con un’architettura semplice, economica, caratterizzata da finiture essenziali e priva di orpelli. Ne risultano figure sobrie e non prive di eleganza, come i due edifici gemelli di Muggiò, dove Bottoni, partendo da una pianta rigorosa e funzionale, capace di esprimere una dimensione sociale degli spazi, risolse le composizioni di facciata attraverso finestre verticali abbinate a coppie, e concentrando i balconi in un unico elemento centrale incorniciato da lesene, sviluppato in profondità e sporgente a cassone con parapetti pieni. (F. R.)

le di soluzioni formali quanto essenziale nell’interpretare l’uso dei materiali. La varietà delle finestre, ad esempio, grandi e meno grandi, in legno o ferro, murate ora a filo esterno, ora interno, che misurano la profondità del piano sul quale si inscrivono. “L’architettura del piano” come la definisce Renato Airoldi, dove lo spazio si genera dalla costruzione dei piani e dove non c’è ragionamento volumetrico. Sicchè ogni prospetto vive di ragione propria pur appartenendo all’insieme. La coraggiosa modernità dell’esterno si traduce all’interno in una domesticità rassicurante, in una disposizione planimetrica tradizionale che asseconda consuetudini e convenzioni. (S. P.)

4. Edificio per abitazioni (1961) Gio Ponti Monza, via Spreafico 3

3. Edifici per residenza economica popolare (1960) Luigi Ricci Monza, via Paganini 23-28

2. Villa Vegni (1954) Mario Asnago, Claudio Vender Barlassina, via Trento 16 Villa Vegni è un’opera della maturità del sodalizio tra Asnago e Vender. È un’abitazione monofamiliare con annesso studio medico. Vi si incontrano i temi cari al loro sperimentalismo, che va dal singolo elemento compositivo al tutto, inesauribi-

del Comune di Monza, progettò edifici di edilizia popolare di varie tipologie con caratteri distributivi minimi, ricercando l’economicità di realizzazione e manutenzione, nel rispetto del rigore compositivo. Questo intervento è costituito da cinque corpi a torre di otto piani che si susseguono secondo l’asse eliotermico. Gli edifici hanno le due facciate principali leggermente divaricate, rivestite di mattoni a vista, contraddistinte al centro da logge regolari, da marcapiani in cemento armato a vista e dalle finestrature sfalsate. Il gioco cromatico della griglia della struttura in cemento armato, lasciata a vista nelle pareti esterne, ed il colore dei mattoni dei muri di tamponamento, insieme all’allineamento delle logge, sono gli unici elementi decorativi che, pur nel rigore formale e tipologico, arricchiscono la composizione delle facciate principali, chiuse da un tetto a leggera falda. (M. B.)

Ricci, di impronta razionalista, per 29 anni caposezione dell’Ufficio Edilizia Pubblica

L’edificio di otto piani fuori terra si contrappone, con la sua mole, al frazionamento del tessuto circostante e alle numerose case unifamiliari presenti immediatamente a ridosso del centro storico. Il volume dell’edificio è stato movimentato con la presenza di corpi aggettanti e con la scansione delle aperture di facciata. Il ricorso alla finestra esagonale, declinata in molteplici varianti, rimanda ad altri progetti di Gio Ponti, tra i cui il complesso parrocchiale di San Francesco a Milano.


5. Edificio per abitazioni, negozi, uffici (1963) Luigi Caccia Dominioni Monza, corso Milano 23

Il complesso, di notevoli proporzioni, ha la funzione di connessione urbana tra il flusso pedonale di Corso Milano con la stazione dei treni posta in posizione ribassata su via Arosio. L’intervento costituisce una sorta di moderna porta di ingresso al centro storico per chi arriva da nord, lungo l’asse storico che congiunge Milano a Monza. La permeabilità del complesso edilizio viene garantita da una piastra porticata a livello della strada più alta che accoglie le funzioni pubbliche, connessa tramite scale con la via della stazione ferroviaria. Il progetto prevede, oltre all’elemento a piastra, un volume a sbalzo in cemento armato a vista per uffici, e due torri di notevoli dimensioni destinate a residenza. Le torri, alte otto piani, sono

rivestite in klinker lucido marrone scuro con finestre asimmetriche ed imponenti balconi cilindrici a sbalzo, tipici del lessico compositivo di Caccia Dominioni. (M. B.)

7. Case binate (1982) Antonio Monestiroli Besana Brianza, loc. Montesiro

6. Edificio per abitazioni (1972) Angelo Mangiarotti Monza, via Artigianelli 4 Realizzato in un’area centrale di Monza, l’edificio di Mangiarotti si sviluppa in verticale; è ritmato da arretramenti graduali dei volumi, che ne eliminano il parallelismo con il fronte stradale. La caratteristica è data dall’utilizzo di una struttura

in cemento armato di tipo puntiforme e di tamponamenti che poggiano a sbalzo sui solai. La facciata è svincolata dalla forma del telaio ed è ripartita su una dimensione costante, così da rendere possibile ad ogni piano la scelta di pareti opache o trasparenti in relazione alle esigenze distributive degli alloggi. I pannelli di tamponamento, di dimensione regolare, sono prefabbricati in cemento armato, coibentati internamente e rivestiti all’esterno con graniglia di pietra. Gli infissi e gli impianti di oscuramento sono realizzati in legno “hemblok” naturale, per attribuire una dimensione domestica alla composizione. (E. V.)

Si tratta di dieci case binate che si trovano su di un terreno in pendio, con una vista verso sud sulla campagna brianzola. I cinque edifici sono disposti su due file tra loro parallele: le tre unità in prima fila sono collocate ad una certa distanza l’una dall’altra per consentire la vista sulla valle agli edifici più arretrati. Le unità abitative si affacciano su di un pergolato a doppia altezza orientato a sud, elemento caratterizzante l’intera composizione, al di sotto del quale le case binate sono tra loro separate da un muro. Al piano superiore, destinato alla zona notte, un balcone provoca un arretramento di facciata e consente l’affaccio delle camere sotto il pergolato. La strada d’accesso è incassata rispetto la quota delle abitazioni, disimpegnando i box interrati e facendo risultare gli edifici come appoggiati ad un elemento di basamento. Le murature sono in mattoni a vista, ad eccezione delle parti in cemento armato verniciate di bianco; il pergolato in acciaio è verde scuro come i serramenti. (F. R.)

8. Case a schiera (1996) Mario Botta Bernareggio

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La mole dell’edificio è alleggerita dall’arretramento dell’intero ultimo piano che, protetto da una soletta di gronda aggettante, costituisce un coronamento della composizione. L’edificio è rivestito in piastrelle dello stesso colore grigio-azzurro degli avvolgibili, in contrasto con la soletta di gronda aggettante e con i serramenti in legno di colore bianco. (F. R.)


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Alla periferia del paese, in un tessuto disordinato composto da unità residenziali singole e minipalazzine, si colloca questo edificio residenziale a schiera, costituito da dieci unità abitative. L’immagine risulta monolitica, costituita da un unico parallelepipedo rivestito in mattoni paramano, dove si aprono, come scavati nel volume, i loggiati che definiscono le funzioni abitative. Sul fronte strada la composizione è articolata in piccole logge, che proteggono i locali dalla strada, mentre all’interno i vuoti si aprono a tutta altezza sulle pareti dell’edificio. Le unità abitative si sviluppano su tre piani fuori terra, oltre quello interrato, necessitando di un ascensore. Al piano interrato si trovano i locali di servizio; al piano terra le autorimesse con gli ingressi ed un locale studio per appartamento; al piano primo la zona giorno, che si apre sulle logge su entrambi i fronti, protetta da quinte murarie; all’ultimo piano la zona notte, con tre camere e i bagni. (M. G.)

del 1938-39 e il progetto di scuola materna del 1941 a Robbio Lomellina dei BBPR; i due edifici per Ina a Pavia di Guglielmo Ulrich del 1950-53 e 1954-56; gli edifici residenziali Ina-Casa a Gambolò e Pinarolo Po dei BBPR del 1953; Casa Sforza a Stradella di Vittorio Gregotti, Ludovico Meneghetti, Giotto Stoppino del 1953; gli edifici residenziali IACP a Belgiojoso di Luciano Baldessari del 195862; il celebre progetto non realizzato del complesso residenziale “Patrizia” a Pavia di Alvar Aalto del 1966 (V. Prina, “Alvar Aalto Progetto di complesso residenziale a Pavia, località San Lanfranco, 1966”, in: “Edilizia Popolare” n. 240, luglio-agosto 1995.); il Palazzo dell’Impero (ora Palazzo delle Esposizioni) a Vigevano di Eugenio Faludi del 1937-38; gli allestimenti realizzati al Castello Visconteo di Pavia da Bruno Ravasi; l’ampliamento delle Officine Necchi a Pavia del 1960-61 e lo stabilimento MISPA a San Martino Siccomario del 1962 realizzati da Marco Zanuso.

so semicilindro. L’edificio presenta similitudini con soluzioni adottate negli edifici dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia a Brescia, del 1936 e nello stabilimento Italcima a Milano del 1932-36.

2. Casa del fascio (ora sede degli Uffici finanziari) (1934) Eugenio e Carlo Mollino Voghera, via Ricotti

V. P.

Pavia a cura di Vittorio Prina

1. Centro Assistenza Materna e Infantile “Emilia Bossi Gregotti” (1932-33) Luciano Baldessari (con Werner Daniel) Mortara, via Vittorio Veneto

Frammenti del Moderno in Pavia e provincia Ho scritto sulle pagine di “AL” (“Architettura moderna a ‘Zonzo’”, n. 6, 2006, pp. 26-27) sul tema degli itinerari e la loro importanza. Ho pubblicato altri itinerari dedicati a progettisti meno noti: “Carlo Alberto Sacchi e Pavia” (n. 11, 2001); “Giovanni Rota e Vigevano” (n. 7/8, 2002); “Eliseo Mocchi in Pavia e provincia” (n. 11, 2002); “Carlo Morandotti e Pavia” (n. 3, 2004); “Gaetano Ciocca e Garlasco, Pavia e provincia” (n. 12, 2004); “Pavia e la sua immagine nelle descrizioni dei viaggiatori” (n. 3, 2006). Opere e progetti non compresi nell’itinerario per motivi di spazio, sono: il progetto per il centro di Garlasco di Pietro Lingeri del 1938; il progetto di edifici pubblici e scolastici del 1938, l’asilo nido “Sanner”

L’edificio è esistente; parzialmente compromesso da un ampliamento che ha modificato lo spazio interno, la relazione esistente tra interno e giardino, le dimensioni del salone, il sistema di vetrate a tutt’altezza, ridotto il terrazzo ed eliminato la scala di accesso al giardino. Restano inalterati l’ingresso, il vano scala a doppia altezza, segnato in facciata da una finestra a nastro verticale, i volumi costituiti dal prisma a due piani accostato al bas-

Eugenio Mollino nasce a Genova, ma vive a Voghera, in gioventù e all’inizio dell’attività professionale. Padre di Carlo, partecipa e vince con il figlio il concorso bandito nel 1934. Il progetto dei Mollino viene realizzato ed è attualmente esistente, nonostante modifiche apportate all’interno. L’edificio, malgrado il linguaggio aulico, denota analogie tematiche con alcune opere di Carlo Mollino, quale il progetto redatto nel 1933-34 per la sede della Federazione agricoltori di Cuneo. Negli schizzi prospettici eseguiti da Carlo ritroviamo le caratteristiche spaziali delle opere più tarde.


Il progetto dell’Istituto tecnico “Antonio Bordoni” di Pavia vince il concorso nel 1935 ed è realizzato nel 1937. L’area di progetto, situata a ridosso del tracciato delle cinquecentesche mura spagnole, è una zona di mediazione tra città antica e aree di espansione. Il volume lungo e compatto delle aule ricalca il tracciato dei bastioni e delimita il nucleo storico della città; un corpo di fabbrica posto perpendicolarmente è arretrato rispetto alla via laterale. L’ingresso è in una via secondaria ed è connesso al percorso principale da un portico. La palestra e l’aula magna sono caratterizzate da volumi distinti. L’edificio è stato impropriamente ristrutturato.

4. Complesso di case coloniche Tenuta Castello (1937) Mario Asnago, Claudio Vender Torre Vecchia Pia

Il complesso progettato nel 1937 è esistente, nonostante lo stato di degrado e l’inserimento di negozi. Situato nel centro

del paese, è composto in pianta secondo una poligonale irregolare costituita dagli alloggi in linea rivolti verso la corte interna che racchiude i volumi minori in serie destinati a servizi rurali. L’ingresso alla corte è un grande portale a doppia altezza segnato da esili pilastri. Da ricordare la Cappella funeraria Pallavicini al Cimitero di Vigevano del 1938: il prisma stereometrico rivestito in lastre di pietra serena è una sorta di modello in scala di un’architettura di maggiori dimensioni.

Il piano superiore è costituito da camere da letto e servizi. Il piano seminterrato, con soffitti a travi lignee o volte ribassate e pareti in mattoni a vista, è dedicato alla caccia.

6. “Casa del viticultore” (ex-Barbieri) (1944-47) Ignazio Gardella Canneto Pavese, Castàna, loc. Rambotta

5. Villa Crespi, casa del guardacaccia e casa del capocaccia (1938-43) Giuseppe De Finetti Ronchi di Vigevano

La villa-capolavoro, perfettamente conservata, dell’allievo di Adolf Loos, costituita da due piani fuori terra e un seminterrato – con facciata a bugnato – presenta una pianta a “T”. Un ponticello di accesso all’ingresso al piano terra determina un’asimmetria e supera il dislivello del terreno. L’edificio è in laterizio faccia a vista con marcapiani in pietra. Il nucleo del piano terra è costituito da: salone centrale a doppia altezza con ballatoio, sala da pranzo e sala con camino sospeso al centro; il salone è prolungato idealmente dal terrazzo a pianta semicircolare.

Sulle colline dell’Oltrepò pavese vicino a Broni si trova intatta – nonostante una superfetazione sul retro – la celebre casa ex Barbieri detta “del viticultore”. Il progetto adotta la soluzione del tetto a due falde asimmetriche a impluvio che sottolineano le differenze volumetriche e planimetriche. La falda si apre verso il soggiorno e il terrazzo evidenziando la forma dello spazio che amplia l’affaccio verso valle. Il linguaggio è mutuato dalla ricerca sull’architettura minore e rurale perseguito da Pagano e Rogers.

7. Villa Merlo (1947-49) BBPR (Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers) Vigevano, via E. Duse Il volume principale è chiuso lateralmente da due pareti parallele che determinano anche il parapetto laterale del terrazzo. Il prospetto verso strada è caratterizzato da due logge continue e poco profonde con parapetto metallico semitrasparen-

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3. Istituto tecnico “A. Bordoni” (1935-37) Wolfgang Frankl, Mario Ridolfi (con Konrad Wachsmann, Vittorio De Amici) Pavia, viale della Resistenza, corso Garibaldi, via San Carlo


ziale circostante determina un complesso di luoghi, percorsi e riferimenti visivi. La riconoscibilità e la complessità funzionale e formale determinano un elemento che Muzio definisce “il centro, il fulcro, del sobborgo e del rione, punto di riferimento e di orientamento”.

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9. Edificio residenziale (1964 ?) Gio Ponti (Studio Ponti-Fornaroli-Rosselli) Voghera, via Bellocchio

te analogo a quello del terrazzo e pareti arretrate rivestite in legno disposte irregolarmente. Un volume minore con copertura a volta ribassata si affaccia sul terrazzo. Il volume chiuso del vano scala lineare di accesso ai piani è appeso a una parete laterale.

8. Chiesa della Madonna di Caravaggio (1956-68) Giovanni Muzio Pavia, viale Golgi, via Rasori

La chiesa della Madonna di Caravaggio, situata nella prima periferia di Pavia, esemplifica la metodologia di Muzio relativa agli edifici religiosi. L’eccezionalità della chiesa rispetto al tessuto residen-

L’edificio, con pianta a “L”, è composto da un corpo minore a tre piani che si attesta sulla via; un alto e stretto volume di sette piani perpendicolare alla via è “posato” su di un basamento maggiormente esteso. La pianta dell’edificio maggiore definisce un poligono irregolare; il prospetto principale, segnato da finestre a nastro orizzontali che si alternano alle linee marcapiano, è rivestito in tavelle di ceramica. Il prospetto posteriore, finito a intonaco, presenta bucature regolari e grandi logge sovrapposte; una fascia verticale in vetrocemento in mezzeria corrisponde al vano scala. Un volume irregolare arretrato rispetto al perimetro di facciata ospita, all’ultimo livello, un singolo alloggio.

10. Case unifamiliari a schiera (1972) scuola media (1979-83) Aldo Rossi, Gianni Braghieri Broni, via Gramsci Le case unifamiliari in linea a tre piani determinano un edificio a pianta curvilinea che segue la giacitura della strada principale della lottizzazione a margine del centro storico. Gli alloggi sono affiancati in coppia e delimitati lateralmente da un muro che si legge anche in copertura. L’edificio scolastico, a un piano, è a corte. Al centro della corte è collocato il volume a pianta poligonale che ospita il teatroauditorium collegato all’atrio d’ingresso; l’asse principale è contraddistinto dal percorso-portico, con copertura a due falde, che conduce al secondo ingresso. L’impianto planimetrico è simile a quello per la scuola elementare a Fagnano Olona del 1972: a Broni “è il perimetro che costituisce il centro” mentre a Fagnano il centro “potrebbe avere o generare un perimetro diverso”.

11. Piano di sviluppo e ristrutturazione dell’Università di Pavia (1972-75); Laboratorio di Genetica e Biochimica (1974-84); Istituto di Genetica (1975); Facoltà di Ingegneria (1975); Cascina San Lazzaro (1980-81); Didattica e Biblioteca Centrale (198-86) Giancarlo De Carlo (con Fausto Colombo, Antonio Di Mambro, Akinori Kato, Carlo Teoldi) Pavia, loc. Cravino

I blocchi principali sono costituiti ciascuno da due corpi di fabbrica paralleli, a piani sfalsati di mezzo livello, collegati nelle testate e separati da uno spazio centrale aperto e a verde. I primi due piani sono caratterizzati da una grande


nisti, raccontare il territorio della Provincia di Sondrio. Le fotografie di schede n. 1, 4, 5 e 8 sono di Carlo Mugolo; la n. 3 di Enrico Scaramellini e la n. 6 di Marco Ghilotti. E. S.

1. Palazzo del Governo di Sondrio (1933-35) Giovanni Muzio; Gian Filippo Usellini, Antonio Majocchi (decorazioni) Sondrio, corso XXV Aprile, 20-22

Sondrio a cura di Enrico Scaramellini

Itinerario per un contributo alla contemporaneità Il territorio della Provincia di Sondrio è stato, in differenti epoche, terra fertile per diversi progettisti. La diversità è, da rilevare, come elemento caratterizzante e qualificante. Ogni architetto si è confrontato con la città, il paesaggio, i materiali e il contesto specifico secondo le proprie inclinazioni, affezioni o estrazioni culturali lasciando ai posteri una testimonianza preziosa. La definizione dell’itinerario parte dal riconoscimento di alcuni “episodi” fondamentali che hanno inevitabilmente condizionato il “fare architettonico”; vicende di architetti e architetture che hanno appassionato, che hanno prodotto scandalo o fatto levare gli scudi. Edifici che hanno segnato la storia di un territorio, a cui va riconosciuto lo stato di elementi di rottura; situazioni “destabilizzanti” che hanno aperto, fatto intuire nuove strade. Edifici che hanno “costruito” una consapevolezza e hanno permesso, ad altri architetti, di esprimersi in modo “diverso”. La selezione determina il rammarico di non poter “parlare”, in questa sede, di altri avvenimenti architettonici. Ma percorrendo mentalmente varie strade, ritengo sia assolutamente possibile, attraverso l’architettura di ieri e di oggi e i suoi protago-

2. Sanatorio – villaggio “Morelli” (1932-40) Mario Loreti Sondalo

“lo scopo (…) era di fare a Sondrio (…) un Palazzo semplice e nobile, materiato dello spirito della valle. Infatti ci aveva preoccupato lo studio della distribuzione e della forma dell’edificio, ma soprattutto quello delle caratteristiche dell’ambiente, e per esserne sicuri avevamo compiuto un commosso ed appassionato pellegrinaggio dovunque erano antiche architetture valtellinesi, non per ripeterne i motivi, ma per attingerne esperienza ed incitamento” (G. Muzio, Note sulla costruzione del Palazzo del Governo e della Provincia di Sondrio, in “La Valtellina”, n. 2, maggio 1936). Il “Palazzo”, che occupa una vasta area tra il centro storico e la stazione ferroviaria, nella sua “misura”, ha determinando gli sviluppi urbanistici dell’intera città circostante. L’edificio si articola intorno a una corte centrale ed è attraversato da una galleria che collega i due corsi cittadini. È caratterizzato dalla presenza di due giardini (sud e nord) e di due torri di diversa altezza (Prefettura e Provincia) che individuano gli ingressi. L’architettura di Muzio si definisce attraverso un volume unitario; porzione di “città”, composta da parti autonome.

“Cittadella autosufficiente (dal funzionamento energetico, all’approvvigionamento idrico con un acquedotto ad hoc, ai trasporti interni originariamente assicurati, almeno per le merci, da un sistema di teleferiche che raccordava i padiglioni di degenza agli edifici dei servizi e ai magazzini), con una struttura urbanistica d’impianto cittadino, viali alberati e illuminati, centro direttivo e amministrativo, chiesa, piscina, campo da tennis e di bocce, chioschi, cinema, anfiteatro, centrale termica, stazione meteorologica, ufficio tecnico, amministrazione, abitazioni del direttore sanitario e dei responsabili del funzionamento tecnico, emittente radiofonica interna, ecc. Il Villaggio ancor oggi si distacca dai numerosi altri singoli edifici sanatoriali sopravvissuti, proprio grazie alla sua completezza di struttura microurbana, che ricorda le città ideali del Rinascimento o i sogni utopici di Bruno Taut” (Luisa Bonesio, Il villaggio di “Sondalo” in “Notiziario Banca Popolare di Sondrio” n. 95).

3. Centrale di Prestone (1951-53) Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli Campodolcino, loc. Prestone

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vetrata inclinata che individua uno spazio a doppia altezza. La struttura principale è in acciaio a vista; il rivestimento in pannelli di acciaio porcellanato. Le rampe di accesso avrebbero dovuto costituire un percorso in quota di collegamento tra i blocchi. La cascina San Lazzaro, posta lungo la via Francana, avrebbe costituito uno dei poli periferici. Il complesso e le successive realizzazioni sono stati realizzati difformemente dal progetto che risulta snaturato.


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Il progetto individua la tipologia del corpo edilizio a doppio volume, soluzione che verrà adottata anche nell’impianto di Gordona; i due corpi di fabbrica, differenti per forma e dimensioni, racchiudono all’interno la sala macchine e il locale quadri elettrici. La centrale è collocata alla base della montagna; nelle facciate sono evidenti le fessure delle aperture, scandite secondo ritmi, tipologie e forme tipiche della logica pontiana che contrassegnano l’architettura dell’impianto. La parte superiore dei fabbricati è caratterizzata dal segmento della grande finestratura a nastro che sottolinea in larghezza la dimensione del fronte, mentre nei fianchi insistono piccole aperture necessarie per l’illuminazione della sala quadri. (Luciano Bolzoni)

luppo scatolare fa da sfondo al vestibolo d’ingresso”. (Leo Guerra, Spazi di un secolo. Sondrio. Guida all’architettura del Novecento).

4. Sede della Camera di commercio (1952-53) Ico Parisi, L. Aiani, F. Cappelletti, S. Longhi Sondrio, via Piazzi 23

“L’edificio si presenta con un fronte ininterrotto allungato sulla strada e piegato all’interno del lotto a formare due corti: la prima chiusa su quattro lati e la seconda, aperta, utilizzata a parcheggio. Le testate del corpo longitudinale sono rivestite da robusti paramenti in pietra da taglio solcati da sottili bucature del fronte est e dal grande sfondato a piano rialzato che si ritaglia sul lato ovest, i quali rinserrano, incorniciandola, l’estesa griglia ortogonale che regge la cortina vetrata di via Sauro. La griglia formata dall’incontro di travi e pilastri sul piano facciata, è strutturale e si compone di 22 campate distribuite su quattro livelli e isolate da sottili paramenti murari che si alternano, per bande verticali, con finestre a tutt’altezza associate a coppie”. (Leo Guerra, op. cit.)

“L’allineamento stradale e la necessità di concludere l’elegante giardino settecentesco dell’antistante Palazzo Sertoli, determinano un’articolazione spaziale che si protende all’interno dell’isolato offrendo un fronte compatto sull’esterno in asse con la vecchia circonvallazione cittadina. Il blocco longitudinale che ospita gli uffici, dove si trova l’ingresso principale volutamente arretrato dal fronte stradale, termina a sbalzo sopra il padiglione vetrato occupato dall’archivio storico e da alcuni magazzini la cui copertura, piatta e nervata, è unificata dai sostegni funghi formi che reggono l’edificio. La testata opposta, rivolta al mattino, è invece saldata al volume dell’auditorium attraverso una lunga rampa autoportante il cui svi-

5. Edificio scolastico (1960-62) Marco Bacigalupo con Ugo Ratti Sondrio, via Sauro 66/68

tradizione costruttiva locale. La biblioteca sorge sulla sinistra orografica del torrente Bitto al limite del centro storico di Morbegno. La particolare morfologia del luogo ha ispirato il progetto caratterizzato da un grande volume cilindrico (6 m di diametro) che, come una torre del sapere, custodisce al suo interno i volumi disposti lungo una scala a chiocciola. Un volume identico, ma di dimensioni inferiori, si affianca al precedente ospitando al proprio interno la scala di accesso ai depositi librari interrati. Una grande finestra panoramica definisce il fronte verso il giardino dell’ampia sala di lettura circolare al piano terreno; quattro sottili fessure verticali nella vicina parte perimetrale della sala modulano la luce proveniente da sud. L’edificio deve il suo aspetto turrito, quasi fosse una fortezza, ai sassi levigati che caratterizzano i suoi fronti. (Marco Ghilotti)

7. Casa unifamiliare (1972) Pier Carlo Stefanelli Tirano

6. Biblioteca Vanoni (1965-66) Luigi Caccia Dominioni Morbegno, via Cortivacci Dotate di una forte riconoscibilità le architetture di Luigi Caccia Dominioni lasciano un segno potente in Valtellina disponendosi quali efficaci testimonianze di una riuscita relazione tra modernità e tradizione in una costante oscillazione tra i volumi plasmati sul movimento e su una visione dinamica dello spazio e la naturale ricerca di un’appartenenza al luogo ottenuta attraverso il raffinato utilizzo della

L’insieme dei volumi che assemblano le distinte unità funzionali dell’abitazione si libera a partire dalla compattezza del pianterreno, dominato dal perimetro scatolare del soggiorno-cucina e dell’aggetto che


8. Palazzina per appartamenti (1981-83) Giuseppe Galimberti Sondrio, via Stelvio 43

“La forma complicata dell’edificio deriva dalla ragnatela normativa per il rispetto delle distanze imposte dalla prossimità con la strada e con le proprietà adiacenti, mentre la necessità di proteggerne l’ingresso dal flusso del traffico urbano conduce alla sua localizzazione sui fronti interni a penetrare la profondità del lotto (…) Le incongruenze posizionali e di allineamento della planimetria affliggono anche l’impianto volumetrico che una magistrale orchestrazione compositiva, giocata sul bilanciamento ponderale degli elementi di facciata, traduce in stimolanti variazioni e in un coinvolgente dinamismo espressivo; alle numerose appendici che emergono dall’involucro, alla inconciliabilità dei disassamenti che si susseguono entro brevi distanze soffocando potenziali slanci dimensionali, si contrappone la punteggiatura equilibrata delle finestre differenziate per forma e materiale, cui è associata l’aritmia verticale delle canne fumarie che percorrono l’altezza dei prospetti”. (Leo Guerra, op. cit.)

Varese a cura di Claudio Castiglioni e Carla Giulia Moretti

1. Santuario di San Antonio di Padova alla Brunella (1951-64) Giovanni Muzio Varese, via Crispi 4

Edifici religiosi nella provincia di Varese Nel tema dell’architettura religiosa il segno e il significato assumono valore assoluto, espresso in forma simbolica e rappresentativa. L’architettura è chiamata a rispondere al bisogno della comunità di identificare il luogo sacro con il senso del trascendente e l’architetto interpreta i valori del sentimento religioso. Progettare una chiesa significa tenere conto dell’iconografia classica, pur con forme diverse. In molti casi gli architetti moderni hanno cercato di rispondere alle capacità evocative dei progetti attraverso l’uso di forme naturalistiche, cercando equilibrio tra leggerezza e gravità, ricercando il senso della materia e l’intimo dialogo con la luce. Esempio fra tutti è quello della Cappella di Notre-Dame-du Haut a Ronchamp (1950-54), progettata da Le Corbusier, dove l’obiettivo diviene quello di sublimare l’emozione estetica, che poi diventa emozione di natura religiosa. E dove l’uso della luce diventa espressione dell’esistenza di Dio. Gli edifici individuati per l’itinerario sono collocati all’interno della provincia e ciascun esempio, con le proprie caratteristiche, contraddistingue ogni autore, raccontando non solo le diverse visioni dell’architettura, ma anche le varie idee che concorrono a comporre il tema dell’edificio religioso dalla seconda metà del Novecento a oggi. Monja Savoldi

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ne prolunga la spazialità verso l’esterno. L’innesto obliquo della rampa, che conduce al primo piano, si contrappone alla volumetria sottostante contribuendo all’esaltazione tridimensionale degli ambienti della zona notte, che sono racchiusi in un susseguirsi di abitacoli indipendenti che infrangono l’inclinazione del tetto e la continuità del fronte d’ingresso. Alla pendenza della rampa si contrappone l’inclinazione dei corpi aggettanti verso la montagna. Le finestre incise sulla lastra monolitica del fianco riconducono alla dimensione orizzontale che governa lo spazio interno. (Pier Carlo Stefanelli)

Il Santuario, che sorge al centro di una depressione del terreno, presenta una voluminosa cupola con l’obiettivo di porre l’edificio come nuovo punto di riferimento del quartiere. La prima ipotesi progettuale viene realizzata nel 1939 e riprogettata nel dopoguerra. Il Santuario comprende la cripta (a 1,5 m sotto il livello stradale, coperta da volte in mattoni sostenute da pilastri e colonne in granito) e la chiesa (a quasi 3 m dal suolo, formata da un avancorpo a 3 navate, un’aula quadrata, su cui si innalza il tiburio, presbiterio e coro). La cupola ottagonale, realizzata a doppio guscio di c.a., è circondata da gallerie poste a diversa altezza e rivestita da lastre di rame. Esternamente la chiesa è caratterizzata dal grigliato di raccordo con il tamburo, ripreso all’attacco della lanterna, con il ruolo di mediazione fra forme e volumi diversi. La facciata a timpano riprende i temi storici delle facciate palladiane e i prospetti propongono il tema della frantumazione delle pareti con la successione ad archi tipica della poetica novecentista. Materiali: zoccolo in porfido rosso di Cuasso al Monte; pareti esterne in mattone faccia a vista; portali in granito della Valtellina.


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Nel 1999 viene realizzato un nuovo presbiterio dell’altare maggiore ad opera di Gepa Comana.

2. Sala Capitolare Basilica di San Giovanni Battista e Casa Prepositurale di San Giovanni Battista (1951) Enrico Castiglioni Busto Arsizio, via G. Minzoni 1 namente è rivestita da mosaici di marmo marrone, quasi a voler richiamare il tronco del secolare cedro del libano ubicato accanto ad essa. L’interno è caratterizzato dal susseguirsi di vani, delimitati da setti murari e vetrate, nei quali sono stati collocati piccoli altari per cerimonie giornaliere. L’interno, aprendosi verso il parco, sembra portare l’ambiente esterno dentro la piccola chiesa.

Il progetto per la Sala Capitolare di San Giovanni Battista è caratterizzato da una copertura a vele triangolari sostenuta da una capriata in travetti in c.a. In facciata, lucernari triangolari a chiusura delle vele e apertura a lunetta. I serramenti sono in ferro-finestra, costituiti da profili di metallo segati e saldati nei giunti, mentre i vetri sono bloccati con delle finiture in stucco. La Casa Prepositurale di San Giovanni Battista presenta il tamponamento di facciata in mattoni disposti a corsi alternati di fascia e di spigolo. La recinzione è composta da sottili tondini di metallo disposti a motivi di tetraedri. Tra le tante opere effettuate da Castiglioni meritano di essere citati due progetti (non realizzati) per il comune di Busto Arsizio: la chiesa del Quartiere S. Anna e l’oratorio di San Luigi.

4. Cappella di Santa Lucia (all’interno di Villa Letizia) (1965) Luciano Baldessari Caravate, via A. C. Migliavacca 26

3. Chiesa Benedetto, Cirillo e Metodio, Patroni d’Europa (1959) Augusto Magnaghi, Mario Terzaghi Gazzada Schianno, via Cagnola

Costruita all’estremo limite del parco della Villa (casa di riposo per ciechi), la chiesa si trova su uno zoccolo roccioso che ne permette la visibilità da notevole distanza. La struttura è in muratura portante di mattoni, irrigidita da un’ossatura in c.a. incorporata nello spessore del muro. All’interno è caratterizzata da pareti e soffitti rasati a gesso e tinteggiati di colore bianco. Il biancore delle superfici richiama il tema della luce mentre la

Obiettivo del progetto è mettere in relazione il parco e l’architettura del XVIII sec. di Villa Cagnola con il nuovo manufatto. La chiesa, di grande rigore compositivo, è a navata unica, collegata alla villa tramite un portico dalle linee essenziali. Ester-

copertura, a forma di mandorla, come le lunette del sagrato sembrano quasi voler evocare l’occhio divino. All’esterno è collocata una campana, la cui corda è sufficientemente lunga per permettere agli ospiti di suonarla. Baldessari: “Le superfici si svolgono limpidamente l’una nell’altra concatenandosi, in piccole volute e creando la dinamica continuità della fascia perimetrale, interrotta appena da sottili aperture che il riparo di vetrate fumées rende architettonicamente neutre, come pause nel filo del discorso” (L. Crespi, Architettura in provincia. Gli ultimi cinquant’anni, “Polis”, n. 11, 1997). Attualmente, purtroppo, la struttura verte in totale stato di abbandono.

5. Chiesa di SS. Nazaro e Celso (1966) Enrico Castiglioni Gorla Minore, Prospiano, piazza Giovanni XXIII

La chiesa, il cui impianto esterno si ricollega alla tradizione delle chiese romaniche lombarde, è costituita da tre navate parallele, sfalsate tra loro per altezza e dimensioni diverse. All’interno, la superficie è libera da setti portanti, le navate sono coperte da volte che s’innestano l’una nell’altra, raccordandosi alle absidi tramite le vetrate. La sovrapposizione delle cupole, delle volte e degli archi, crea un effetto dinamico, animato ulteriormente


6. Chiesa di San Paolo (1971) Vito e Gustavo Latis Induno Olona, via Cappelletta 11

Nel 1970 la curia milanese bandì un concorso per la costruzione di una ventina di chiese prefabbricate. Vincitore del concorso fu lo Studio Latis, che propose un’architettura di emergenza compiendo un’operazione razionale, dettata da ragioni economiche, il cui progetto standard prevedeva una navata unica sovrastata da una volta in metallo e legno molto leggera.

7. Chiesa di Santa Maria della Gioia (1975) Costantino Ruggeri, Luigi Leoni Varese, via Montello snc (ang. Via Cardinal Ferrari)

Ubicata in un’area collinare di Varese, la chiesa è impostata su due livelli differenti, comunicanti fra loro: il piano seminterrato, comprendente due saloni per gli incontri, e il piano rialzato, costituito dalla cappella e da un sagrato coperto contenente il fonte battesimale. L’interno a pianta centrale è caratterizzato dalle vetrate a parete di colore azzurro, in contrasto con la pavimentazione scura in ardesia. Il sagrato coperto ha le pareti formate da blocchi di cava in calcare bianco, posati a secco. Obiettivo dei progettisti era quello di instaurare una comunicazione tra l’uomo e Dio con un’architettura semplice e carica di simboli. Ne è un esempio il fonte battesimale, costituito da una pietra su cui scorre l’acqua, collocato sotto un lucernario. L’aula della cappella consente di essere ampliata attraverso un congegno che permette alla parete di separazione con il sagrato di “scomparire” nel piano del pavimento, dilatando lo spazio. L’intero organismo si fonde con l’ambiente circostante e la copertura è trasformata in giardino.

8. Chiesa di Massimiliano Kolbe (1990) Justus Dahinden Varese, via Aguggiari 140

La chiesa sorge in un’area periferica di Varese, staccandosi dal contesto cir-

costante. La cupola che caratterizza la struttura costituisce l’edificio nella sua interezza. La chiesa si apre su strada attraverso uno “squarcio” della cupola, in cui racchiude un atrio-sagrato dove si sono raccolti gli elementi caratteristici dell’iconografia classica: la curva dell’abside, il campanile (portato a memoria da un elemento cilindrico) e le campane. L’edificio è circondato da una corona d’acqua, animato da ninfee. All’interno, lo spazio è caratterizzato dal biancore delle superfici; l’intradosso della cupola è realizzato in legno lamellare. La luce entra dalla fascia perimetrale di vetro che costituisce il basamento orizzontale della cupola. Sono, inoltre, presenti tre lucernari rappresentanti la Trinità: il primo centrale, in corrispondenza del culmine della cupola; il secondo posto sopra l’altare e il terzo che illumina la nicchia del tabernacolo. All’esterno, la presenza della guglia del Duomo di Milano e la lapide sottostante con i simbolismi della Chiesa conferiscono continuità storica.

Milano a cura di Roberto Gamba

Alla scoperta di vecchie e nuove architetture milanesi Numerose sono in Milano le iniziative indirizzate a cittadini e turisti, per far conoscere, attraverso itinerari di visita, le architetture contemporanee che hanno segnato lo sviluppo e la trasformazione della città. Dal 2003 l’Ordine degli architetti di Milano conduce un programma ampio e strutturato dedicato alla promozione dell’architettura moderna. Il progetto “Itinerari di Architettura milanese: l’architettura moderna come descrizione della città” comprende l’organizzazione estiva, con replica in autunno, di percorsi guidati entro i confini provinciali suddivisi in 5 aree tematiche: “Figure” (ritratti dal professionismo milanese), “Tecniche” (tecnologia dell’architettura), “Tipi” (forma, figura,

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dalla luce che filtra attraverso i vetri colorati. Il coro presenta un imponente organo, disegnato dallo stesso Castiglioni. La struttura è costituita da tre coppie di archi sovrapposti in c.a., tra i quali corrono le volte delle navate, concluse dalle absidi, con funzione portante. I rivestimenti esterni sono costituiti da fasce policrome di graniglia, disposte a corsi orizzontali alternati (bianco e rosa). La copertura a capanna, a falde non simmetriche, è rivestita da lastre di porfiroide grigio scuro. Gli archi e la volta esterna, previsti in c.a. a vista, nonostante il parere contrario del progettista, sono stati intonacati. Il campanile, con la struttura in c.a. a vista, è costituito da due setti murari collegati da solette.


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funzione dell’architettura), “Temi” (percorsi tematici attraverso la città) e “Ambiti” (la città per parti) corrispondono ad altrettante possibili chiavi di lettura della città. Gli itinerari di quest’anno (giugno 2010), sono stati cinque: 1. Lo Studio BBPR e Milano, a cura di Stefano Guidarini, Luca Molinari e Paolo Brambilla; 2. Architettura e sostenibilità: tecnologie costruttive, a cura di Alessandro Trivelli; 3. Il sistema teatrale a Milano, a cura di Enrico Bordogna; 4. Milano: quel che resta dei Piani Urbanistici, a cura di Federico Oliva, Paolo Galuzzi e Piergiorgio Vitillo; 5. Architetture moderne a Legnano, a cura di Paola Ferri e Alessandro Isastia. Per maggiori informazioni: www.ordinearchitetti.mi.it. Per ciascun itinerario viene redatta una guida cartacea costituita da un saggio introduttivo e una raccolta di schede a cura di studiosi competenti, selezionati dai responsabili del progetto. Tutto questo materiale confluisce in un’apposita sezione del sito dell’Ordine dove è possibile consultare i 25 itinerari fino ad ora realizzati, un vero e proprio database dell’architettura milanese in costante aggiornamento, che oggi comprende circa 200 edifici completi di testi, gallerie fotografiche ed approfondimenti bibliografici. All’interno del Sito dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano sono presenti diverse sezioni dedicate alla conoscenza del costruito contemporaneo e moderno della città, che permettono di costruire itinerari personalizzati in funzione dei propri specifici interessi. Oltre alla sezione “Itinerari” più sopra illustrata, è presente “l’Osservatorio Concorsi”, che offre un monitoraggio dell’iter dei concorsi di architettura banditi nella provincia di Milano a partire dal 2000, alla pagina www.ordinearchitetti.mi.it/index.

php/page,Concorsi.Osservatorio. Questo progetto, realizzato in collaborazione con Europaconcorsi, permette di pubblicare un archivio “in progress” dei concorsi dell’area milanese, costantemente aggiornato rispetto allo stato dell’arte della realizzazione delle opere progettate. L’archivio dell’Osservatorio conta attualmente più di 70 concorsi, di progettazione e di idee, svolti nella Provincia di Milano dal 2000 ad oggi, su circa 90 aree di intervento per un totale di quasi 150 progetti. Si ricordano, tra gli altri in corso di realizzazione o realizzati, gli approfondimenti dedicati ai concorsi “Arengario Museo del ‘900” (Milano 2001), “Ampliamento dell’Università Bocconi” (Milano 2001), “Abitare a Milano” e “Abitare a Milano 2” (Milano 2005), “Il borgo sostenibile, Via Figino e Via Cenni” (Milano 2009). Da ottobre 2009 è inoltre attiva la sezione “Milano Che Cambia”, Atlante delle Trasformazioni della città e la sua Provincia, dal 1995 al 2015, ovvero da Bicocca a Expo, in cui sono presentate attraverso la viva voce dei progettisti, e i loro elaborati progettuali, le principali realizzazioni della Milano contemporanea. Al suo interno, in un’opera in continua elaborazione e approfondimento, sono stati già pubblicati numerosi interventi, secondo criteri che permettono di porli a confronto tra loro. Attraverso successivi livelli di approfondimento, vengono descritti a partire dall’inquadramento urbanistico sino al progetto esecutivo di ogni sua singola parte. Di seguito si dà una selezione di realizzazioni recenti motivata dallo scri-

vente. Essi appartengono a un nuovo modo di concepire l’architettura, tecnologico, morfologicamente innovativo; sono compimento di una “nuova generazione” di architetti, oppure sono esito di un iter concorsuale positivo e di un procedimento di auspicabile ripetitività; alcune riguardano significativamente zone non primarie della città. L’area Maciachini, nell’omonima piazza, è frutto della riqualificazione di vecchie aree industriali e rappresenta un’occasione di rinnovamento per una parte di periferia; la sua pianificazione è stata condotta dalla società Europarisorse e da Paolo Pasquini; comprende una serie di opere ormai concluse, museo, teatro, area commerciale e parco di Italo Rota; la sede Zurich Assicurazioni di Scandurrastudio; gli edifici per terziario di Sauerbruch e Hutton; il padiglione Food park di Pasquini; il Centro direzionale di Maurice Kanah. L’aggregato commerciale tra via Achille Papa, via Grosotto e via Traiano (dove un tempo c’era l’Alfa Romeo), realizzato da Pietro Valle, ha dato luogo a una piazza, non definita solamente dalle vetrine dei negozi e dagli ingressi degli ipermercati, ma resa originale da percorsi, da un alto portico inclinato e da cinque edifici. La serie di concorsi “Abitare a Milano”, presentata come già detto anche all’interno della sezione “Osservatorio Concorsi”, ha prodotto con celerità e soddisfazione alcuni interventi di edilizia residenziale convenzionata, interessanti per originalità morfologica, completezza e funzionalità: al fondo della via Gallarate,


(Remo Dorigati, Bianchessi, Juarez Corso, Chiara Dorigati, Floridi, Manazza, Rovida, Vaccai, Veltri), fatto da una piazza e 5 edifici, concepiti secondo principî di razionalizzazione energetica. Infine, attenzione va rivolta a una nuova serie di interventi in costruzione, concepiti e commentabili in diverso modo, che si preannunciano comunque di richiamo internazionale, anche per essere frutto di impegni finanziari notevoli. Attestata tra il viale Serra e la via Scarampo, Pietro Valle sta realizzando sempre al Portello una piazza inclinata su cui si affacciano tre imponenti edifici per uffici, di forma parallelepipeda con copertura inclinata. Infine, sempre presso la propria sede, l’Ordine di Milano ha presentato alcuni libri che rivolgono attenzione all’architettura milanese. Tra questi, va segnalata la riedizione di Antologia di edifici moderni in Milano: guida compilata da Piero Bottoni, ristampa riveduta e corretta dal Libraccio, Lampi di Stampa, 2010, Guglielmo Ulrich: 1904-1977 di Luca Scacchetti,

edito da Federico Motta. Guido Canella. Architetti Italiani del Novecento – pubblicato da Marinotti, a cura di E. Bordogna, con E. Prandi e E. Manganaro – che propone una serie di monografie di architetti dei primi decenni del ‘900 (Sant’Elia, Portaluppi, De Finetti, Muzio, Buzzi, Persico, Terragni) e del dopoguerra (Rogers, Samonà, Ridolfi, Albini, De Carli, D’Olivo). Oltre all’Ordine di Milano, ci sono altri enti che organizzano itinerari di architettura: tra queste, ACMA, Centro Italiano di Architettura di Milano, www.acmaweb. com, quest’anno ha proposto “Il Novecento a Milano”, visita a edifici come la Stazione Centrale di Stacchini, i palazzi di Gio Ponti, Muzio, Figini-Pollini, Caccia Dominioni, BBPR, Battisti, Asnago e Vender, Luigi Moretti, Gardella, De Finetti, Bottoni e Terragni. Fiab Ciclobby, www.ciclobby.it, propone giri in città organizzati da volontari con titolo “Percorsi di Arte e Storia”, che quest’anno hanno compreso proposte da Pierfrancesco Sacerdoti: “Il Novecento tra Porta Venezia e corso Monforte”, con gli edifici residenziali di Sommaruga, Arata, Andreani, Portaluppi; “Gio Ponti a Milano”; “Architettura moderna nel quartiere della vecchia Fiera”; “Giulio Minoletti”; “Architettura moderna e preesistenze ambientali”; “Ignazio Gardella”; proposta da Gianfranco Rocculi e Marialuisa Bonivento, “Milano Art Nouveau”; proposta da Anna Pavan, “L’architetto Portaluppi e la sua casa Boschi Di Stefano”. FAI - Fondo Ambiente Italiano, www.fondoambiente.it, il 30 maggio 2008, dopo tre anni di lavori di restauro, ha aperto al pubblico, in via Mozart, Villa Necchi Campiglio. La casa, esempio di modernità novecentesca del 1935 di Piero Portaluppi, circondata da un ampio giardino con tennis e piscina, offre preziose sale di rappresentanza e di servizio, con collezioni di opere d’arte. La visita si svolge con guida o audioguida gratuita in gruppi, su prenotazione. “Milano nei cantieri dell’arte”, www.milanoneicantieridellarte.it, è un progetto di Assimpredil, Ance, Camera di Commercio, Soprintendenza ai Beni Architettonici; Vicariato per la Cultura dell’Arcidiocesi, che ha l’obiettivo – attraverso l’analisi delle più recenti opere di restauro esegui-

te sul patrimonio storico e artistico – di promuovere le competenze e le tradizioni delle imprese milanesi. È un percorso dal Quattrocento al Novecento ideato in occasione dell’Expo 2015, che si articola in 7 anni, dal 2009 al 2015, prevedendo ogni anno l’organizzazione di convegni e visite guidate. Il 2010 è dedicati al restauro delle architetture del ‘500; il 2011 e 2012 al ‘600 e ‘700; il 2013 e 2014 all‘800 e ‘900; il 2015, nei mesi dell’Expo, a percorsi turistico-culturali di architettura. Per il ‘900, si intende invece evidenziare i nuovi materiali da costruzione e i modelli architettonici del Razionalismo, realizzati nella città. R. G.

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in parallelo alla via Appennini, c’è l’intervento di Marotta e Basile, fatto di quattro blocchi, che si adattano a un piacevole percorso pedonale di connessione fra le varie parti del quartiere; in via Ovada, di fianco all’Ospedale San Paolo, Cecchi e Lima hanno costruito una torre comunale e un corpo per alloggi aperto verso un parco e altri edifici pubblici già esistenti; di fronte al Parco lambro, in via Civitavecchia (angolo via Cazzaniga), Consalez, Rossi, Vudafieri, Saverino, Perruzzotti, Stabile hanno costruito un quartiere residenziale convenzionato, collocato in un lotto allungato, in continuità con il parco; infine a Bruzzano, in via Senigallia si trova il quartiere di edilizia sociale degli Oda


a cura della Redazione

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Carlo De Carli, centenario della nascita

L’architettura del Sacro Monte

Per celebrare il centenario della nascita di Carlo De Carli (19101999) – architetto, designer, docente nella disciplina di Architettura degli Interni presso la Facoltà di Architettura di Milano, preside della stessa negli anni 1965-68, intellettuale impegnato e direttore della rivista “Interni” – la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano promuove una serie di iniziative volte a ripercorrerne l’opera professionale e il pensiero in riferimento, in particolar modo, al suo contributo in campo culturale e pedagogico. Una mostra, aperta alla città e in particolare agli studenti dell’ultimo anno delle scuole medie superiori per i quali verranno organizzate visite guidate di orientamento universitario e di introduzione all’architettura e al design, si aprirà nel gennaio 2011 presso lo spazio mostre della Facoltà di Architettura Civile in via Durando 10 e, contemporaneamente, presso la Triennale di Milano si svolgerà un convegno cui sono invitati a partecipare studiosi delle Facoltà di Architettura e del Design del Politecnico e di altre Facoltà italiane. Parallelamente, a cura di Gianni Ottolini, verrà pubblicato, nell’ambito della collana diretta da Antonio Monestiroli dedicata alla Scuola di Milano ed edita da Electa, un volume monografico su Carlo De Carli. Successivamente, in occasione del Salone Internazionale del Mobile del 2011, un volume più consistente raccoglierà gli interventi del Convegno e un più ampio apparato iconografico sull’opera dell’architetto. La mostra, pensata come itinerante, fra il

Può il patrimonio storico, artistico, naturale dei Sacri Monti rappresentare, oltre che un’eredità da custodire e preservare, anche l’occasione per attivare tra gli enti preposti alla sua gestione e le scuole di architettura sinergie virtuose volte alla conoscenza e alla valorizzazione del territorio? Un gruppo di studenti e di professori della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, in collaborazione con la Riserva Naturale Speciale del Sacromonte di Varallo ed il Comune di Ossuccio, hanno assunto questo quesito a tema di ricerca. Il progetto, lungi dall’essere concluso, ha avuto una sua prima formalizzazione nel semina-

2011 e il 2012 raggiungerà diverse sedi universitarie italiane, con il contributo dei rispettivi Ordini professionali. Ad ognuna delle tappe i promotori milanesi dell’iniziativa si confronteranno con i docenti e i ricercatori locali. I temi su cui si intende focalizzare l’attenzione della mostra e del Convegno riguardano alcuni momenti nevralgici nell’attività di Carlo De Carli. In primo luogo il periodo della presidenza della Facoltà di Architettura negli anni della “contestazione” con il suo impegno per il rinnovamento degli studi a fronte delle rivendicazioni studentesche. Un secondo momento riguarderà la partecipazione di De Carli (insieme a Fontana, Radice, Attilio Rossi e Zanuso) alla Giunta Esecutiva della X Triennale del 1954 dedicata alla “unità delle arti” e il suo ruolo nella Giunta dell’XI e nei successivi sviluppi della stessa Triennale. Una terza sezione, infine, si occuperà della sua promozione del rinnovamento della produzione mobiliera in Italia. Alcune parole chiave, sintesi del pensiero dell’architetto, costituiranno l’ossatura portante del percorso espositivo. Fra queste: s continuità fra architettura e natura, concetto che De Carli stesso spiega efficacemente nel 1944, scrivendo che “la casa non è un oggetto posato sul terreno, ma di ogni cosa intorno è la continuazione”; s spazio primario, da lui definito come “lo spazio della nascita delle cose e degli uomini”, che si traduce in Architettura nel comprendere e “cercare di illuminare le ragioni della loro nascita”; s LE unità di architettura, ovvero unità spaziali da porre in relazione con altre in architettura e quindi nello spazio abitato, come pure nella progettazione degli elementi di arredo. L’allestimento della mostra milanese, più ampia di quella itinerante, sarà a cura di Pierluigi Cerri e comprenderà foto d’epoca e attuali delle architetture realizzate da De Carli, disegni originali, modelli di architetture, elementi di arredo originali e ricostruiti, e un video. Martina Landsberger

rio di studi e nella mostra svoltisi, presso il Campus Bovisa, dal 26 aprile al 25 maggio 2010. I Sacri Monti sono percorsi devozionali composti da sistemi di cappelle e realizzati in Europa tra il XVI ed il XVII secolo: in Italia furono costruiti lungo l’arco pedemontano tra Lombardia e Piemonte. Sul piano politicoreligioso, nell’ambito della Controriforma cattolica, i Sacri Monti furono pensati come dei sistemi difesa contro l’incalzare, da nord, delle eresie luterane e calviniste. Frutto dell’integrazione fra costruzione, pittura, scultura ed architettura del paesaggio, i Sacri Monti di Varallo Sesia ed Ossuccio, insieme ad altri, sono stati dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.

Lezioni di storia milanese Proseguendo il ciclo di incontri dell’anno scorso,”I Giorni di Milano”, anche quest’anno la chiesa di Santa Maria delle Grazie in corso Magenta a Milano, diventa teatro di un ciclo di dieci lezioni – curate dalla casa editrice Laterza – che intendono ripercorrere le vicende storiche che hanno segnato la storia della città. Dal 21 aprile fino al 30 giugno 2010, ogni mercoledì sera, alle 21.00, dieci diversi studiosi raccontano al pubblico dieci differenti momenti del secolo scor-

so: ognuno di essi fa riferimento a una data precisa. Si parte con la rivolta del 1898 repressa nel sangue da Bava Beccaris per arrivare al 1992, anno dell’inchiesta di Tangentopoli. Gli interventi di Simona Colarizi, Mario Isnenghi, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Gregotti, Piero Melograni, Alberto Melloni, Alberto Martinelli, Aldo Grasso, Vittorio Vidotto, Sergio Romano si incentrano sul tema della costruzione dell’identità milanese. I periodi attraversati, oltre alla rivolta di fine secolo, riguardano


co e la “Milano da bere” e della TV commerciale, il periodo delle stragi, per arrivare, infine, al tramonto della prima Repubblica.

Rimozione storica

Il monumento a Sandro Pertini - protagonista della Resistenza partigiana e settimo Presidente della Repubblica Italiana (dal 1977 al 1985) – fu progettato nel 1988 dal milanese Aldo Rossi – maestro dell’architettura contemporanea e primo italiano a vincere il Premio Pritzker nel 1990. L’architettura commemorativa fu ideata per essere situata in uno spazio pubblico di Milano (città medaglia d’oro della Resistenza e sede del comando partigiano che, con l’insurrezione generale del 25 aprile, nel ‘45, segnò la Liberazione dal nazi-fascismo). Situata attualmente in via Croce Rossa – tra via Manzoni e via Dei giardini, in corrispondenza della fermata MM Montenapoleone – la fontana monumentale di Aldo Rossi, a seguito di una polemica sollevata a mezzo stampa, vorrebbe essere trasferita altrove per essere sostituita da un cubo nero di tre piani, con base di 20 metri per 20 che dovrebbe ospitare una galleria d’arte, una libreria e un caffè. La polemica sulla rimozione

dell’opera nasce da una lettera aperta di Cecilia Fornasieri, lettrice del “Corriere della Sera” – che il 22 aprile scorso definisce il monumento di Rossi “scultura orrenda degna di essere demolita” e si propaga rapidamente. In un’intervista del 5 giugno su “Il Giorno”, il presidente del Consiglio di zona 1 Goren Monti dichiara il “sogno di spostare il cubo di Pertini”, ed ecco che, finalmente, spunta il vero beneficiario dell’iniziativa, che si aggiunge al coro della protesta: Niccolo Cardi, socio di Barbara Berlusconi e Martina Mondadori, proprietario della Cardi Black Box Gallery (attualmente in corso di Porta Nuova). Cardi aspira ad una sede più centrale per la sua galleria d’arte, tuttavia, trattandosi di un opera commemorativa inserita in uno spazio pubblico, l’amministrazione non può accettare se non vuole abdicare al proprio ruolo di garante delle istanze collettive in favore della speculazione economica privata. Non sorprende però che i nuovi poteri abbiano trovato facilmente il favore delle autorità pubbliche (la proposta ha ricevuto inizialmente la disponibilità del sindaco Moratti e dell’Assessore alla cultura Finazzer Flory). Da capitale etica e intellettuale d’Italia Milano, infatti, è diventata passerella della moda e della finanza. Se storicamente, in ogni epoca, il pensiero do-

possibile: gli onesti sono perseguitati, gli stolti danno lezione, i prepotenti deliberano… ciononostante qualcuno ancora s’indigna e protesta. Il 16 giugno Emilio Battisti ha pubblicato un appello su “la Repubblica” contro lo spostamento del monumento, e in poco tempo ha raccolto numerose e autorevoli adesioni. Per firmare: www. petizionionline.it/petizione/appello-per-salvare-il-monumento-a-sandro-pertini-di-aldo-rossi/1503. A seguito della sollevazione di architetti (tra cui il presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Milano), intellettuali, critici e società civile, le autorità hanno fatto marcia indietro. Così, Martin Luther King facendo il coro al motto latino etiam omnes ego non (benché tutti, io no), diceva “il pericolo non è il clamore dei violenti, ma il silenzio degli onesti”. Irina Casali

Vincolo alla Lavanderia Termale di Baciocchi Sul numero 9/10 di AL del 2007 Antonio Conte aveva dato notizia di una raccolta di firme, allora in corso, per la salvaguardia

dell’edificio della Lavanderia Termale di Acqui Terme che Mario Baciocchi (Fiorenzuola d’Arda 1902 - Milano 1974) ha

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la rivoluzione futurista, le origini del fascismo, l’inaugurazione della Triennale, la rinascita del dopoguerra, il boom economi-

minante è quello della classe dominante, chi detiene il potere economico è in grado di orientare (o disorientare) la cultura: i cittadini privi di strumenti critici si riempiono di “luoghi comuni”, e con ciò contribuiscono anche a svuotare i luoghi di senso. Siamo un popolo con poca memoria, che nonostante l’immane patrimonio storico, artistico e culturale prodotto nei secoli – o proprio per il fatto di averlo sotto gli occhi quotidianamente – si concede di disdegnarlo. I monumenti sono lo strumento che una civiltà si dà per commemorare gesta e personaggi importanti, perchè chi non la conosce la storia è condannato a ripeterla. Dietro la voglia di modernità tout court, che grida all’abbattimento di monumenti, si nasconde l’ignoranza e con essa il pericolo della barbarie. È vero, viviamo nel Paese dei paradossi, in un teatro dell’assurdo permanente. Qui tutto è


OSSERVATORIO ARGOMENTI

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realizzato nel 1940. L’edificio, a distanza di tre anni, continua a versare in cattive condizioni, ma il pericolo di una sua demolizione, pare essere scongiurato. La domanda di richiesta di vincolo redatta, allora, dalla sezione acquese di Italia Nostra, è stata infatti accettata con parere favorevole del Soprintendente per i Beni Architettonici

e Paesaggistici del Piemonte, ingegnere Francesco Pernice. La Lavanderia oggi è notificata: non si potrà quindi realizzare al suo posto alcun piano di lottizzazione. Non resta che augurarsi che un progetto di recupero e riutilizzo dell’edificio possa, ora, essere messo a punto al più presto, onde evitarne un ulteriore degrado.

“architettiverona” compie 50 anni La rivista quadrimestrale dell’Ordine degli Architetti PPC di Verona nel 2009 ha compiuto cinquant’anni e, per festeggiarsi, ha pensato di dedicare un numero a questo evento. È uscito, infatti, abbastanza recentemente, il numero speciale 84 di “architettiverona”. Come spiega la Redazione in apertura della rivista, “architettiverona” – di cui si sottolinea il fatto di essere il frutto di un impegno assolutamente volontaristico – nonostante sia passata attraverso una serie di vicissitudini che, in alcuni casi, ne hanno compromesso la regolarità di pubblicazione, ha sempre cercato di mantenere uno sguardo aperto e attento sulla realtà della città e della sua provincia, con l’obiettivo

di “fare a Verona quello che ‘Architettura’ faceva a Roma e ‘Casabella’ a Milano, cercando con la nostra capacità culturale e critica di portare all’attenzione dei veronesi, forse un po’ distratti, come la città si stesse trasformando attraverso processi urbanistici strategici per il suo futuro (…)” (Luigi Calcagni, Luciano Cenna, Gli inizi). Attraverso l’individuazione di tre serie di numeri – di cui vengono riportate le copertine – il numero si propone di ripercorrere la propria storia riproponendo, per ognuna delle serie, i temi, e le questioni che, allora, erano stati individuati come caratterizzanti i singoli numeri e di conseguenza ripercorrere la storia della città degli ultimi 50 anni.

Dreamlands a Parigi La Grande Galleria del Centre Pompidou di Parigi è occupata, fino al 9 agosto, dalla mostra “Dreamlands”, curata da Didier Ottinger, vice direttore del Museo Nazionale d’Arte Moderna e Quentin Bajac, curatore della sezione fotografica dello stesso Museo. Obiettivo dell’esposizione è rappresentare come le grandi fiere internazionali – Expo – i parchi a tema, le ricostruite realtà dei luna park, abbiano, in alcuni casi, influenzato la progettazione della città e il suo uso. Un grande, e labirintico, percorso multimediale, si snoda attraverso circa 300 opere (foto, dipinti, maquette, film, oggetti di design, ecc.) che ripercorrono l’intero ‘900 per arrivare fino ai nostri giorni. Il titolo della mostra, Dreamlands, fa riferimento al grande parco di divertimenti inaugurato a Coney Island nel 1904 (e distrutto da un incendio nel 1911) e, secondo quanto affermato da Rem Koolhas nel suo Delirious New York, emblema della spettacolarizzazione che ha reso “mitica” la città di New York. Parallelamente la mostra si rivolge ad un altro libro altrettanto importante e particolarmente “a tema”, dedicato alla città “ludica” per eccellenza,

Learning from Las Vegas, scritto nel 1972 da Robert Venturi e Denise Scott Brown. Il percorso espositivo prende avvio con l’Esposizione Universale di Parigi del 1889, quella che si identifica nella costruzione della Torre Eiffel. Seguono alcune immagini relative al parco di Coney Island e la documentazione del padiglione La rêve de Venus che Salvador Dalì realizza per la Fiera Internazionale di New York del 1939. Si passa poi, alla sezione che raccoglie i progetti degli Archigram, a quella dedicata alla New York di Koolhaas – qui compaiono due dipinti di Depero dedicati alla rappresentazione dei grattacieli della città. L’attualità si mostra attraverso una serie di scene di parchi di “mondi in miniatura” – soprattutto quelli cinesi – attraverso un video del 2003, Streamstyle di Pierre Huyghe, ambientato in un villaggio la cui forma e struttura ricalca quelle proprie all’esperienza del New Urbanism americano, arrivando fino alla contemporanea Dubai e al progetto Epcot (Experimental Prototipe Community of Tomorrow) concepito da Walt Disney nel 1950, e realizzato nel 1982: un grande parco tematico dedicato alla tecnologia.


a cura di Antonio Borghi

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Conversazione con Lorenzo Castellini e Beniamino Saibene Da oltre 15 anni esterni propone interventi sulla città di Milano infiltrandosi nei suoi spazi più o meno frequentati e trasformandoli attraverso il coinvolgimento di gruppi di persone, dalle poche unità che attraversano la metropoli in bicicletta alle diverse migliaia di cinefili che affollano le proiezioni del Milano Film Festival. I vostri progetti non hanno una vera e propria committenza, ma rispondono ad esigenze concrete, anche se in modo provocatorio ed ironico. Qual è l’orizzonte verso cui vi state muovendo? La nostra intenzione non è provocare, ma soddisfare delle esigenze individuali coinvolgendo persone su questioni che ci stanno a cuore rispetto al vivere nella città. All’inizio avevamo vent’anni e stavamo riflettendo sull’opportunità di migrare verso altre realtà che sembrava potessero offrire di più: Londra, Parigi, Rotterdam, Berlino, Barcellona... Poi ci siamo chiesti: Milano cosa ci può offrire? Perché non fare a Milano quello che immaginiamo di poter fare in altre città? In poco tempo abbiamo scoperto che questa città ha molto da offrire. Da allora il nostro modo di pensare e di lavorare non è cambiato. Rileggo progetti di quindici anni fa che sembrano scritti adesso. Analizzare i bisogni della città, scoprire le opportunità che può offrire e farle emergere: questo è il nostro modo di procedere. I temi sono l’utilizzo degli spazi pubblici, l’ospitalità, il dialogo tra culture diverse e il design come forma di creatività a servizio delle persone. Col tempo siamo riusciti a creare una struttura in grado di inventare l’economia dei nostri progetti oltre le logiche del mercato. In questo momento esterni è un gruppo di circa venti persone, con ruoli precisi che rispondono alle varie fasi del progetto: ideazione, promozione, grafica, comunicazione, organizzazione, produzione, ecc. A questo nucleo si sommano una serie di collaborazioni per esigenze più complesse e circoscritte.

Molti tra i vostri temi di ricerca sono anche temi chiave dell’Expo, come quello della “ruralità”. Da alcuni anni siete impegnati nel recupero della Cascina Cuccagna, che è ormai un cantiere ben avviato. Negli anni abbiamo portato avanti progetti di ricerca e monitoraggio di quello che succedeva nelle cascine intorno a Milano, iniziando dalla cascina nell’area dell’ex Sieroterapico dove vivevano circa 50 famiglie di ogni etnia, secondo un modello di convivenza molto interessante. Un’altra esperienza l’abbiamo fatta in una cascina dietro al Parco Lambro gestita in modo esemplare da una famiglia di agricoltori. Queste esperienze hanno preceduto il progetto della Cascina Cuccagna, avviato concretamente dopo l’incontro con Sergio Bonriposi. Insieme a lui e ad altri soggetti (info su www.cuccagna.org) è nata la determinazione di rilevare la gestione della cascina e di restituirla ai milanesi. Abbiamo vinto il bando comunale che la concede in affitto a canone agevolato per vent’anni e prevede che venga ristrutturata e resa agibile a spese del conduttore. Bonriposi è la figura di riferimento per questo progetto, è molto affezionato alla cascina, la anima dei suoi ricordi di quando la frequentava fin da bambino e trasmette a tutti la sua volontà di vederla rivivere. Noi ci diamo da fare concretamente raccogliendo fondi, promuovendo e gestendo il cantiere di restauro e immaginando le destinazioni che saranno ospitate dalla cascina a restauro ultimato. Entro il 2011 nel suo complesso sorgeranno orti e serre didattici, una bottega a filiera corta, una trattoria, un’agenzia per il turismo agricolo-territoriale, spazi per ospitalità temporanea, laboratori, ecc. con oltre 4000 mq a disposizione della città. Queste attività serviranno anche a saldare i debiti con le banche che ci hanno anticipato parte dei circa 3 milioni e mezzo di euro che servono per il restauro. È un luogo bellissimo e nonostante i limiti di spesa il restauro è a regola d’arte, senza compromessi, attuato secondo criteri di bioarchitettura e risparmio energetico (il riscaldamento sarà idrogeotermico), seguendo

le linee guida del programma europeo Green building. Tutto il progetto viene gestito con la massima trasparenza, sul sito è pubblicato l’ammontare della spesa e via via l’elenco dei donatori, in modo che ognuno possa giudicare ciò che è stato fatto dal Consorzio. Grazie alla passione e alla disponibilità della squadra di restauratori che vi lavora il cantiere è accessibile in qualsiasi momento ed è molto frequentato. Ad esempio il martedì pomeriggio ospita un piccolo mercato di prodotti agricoli provenienti da altre cascine milanesi, segno che le attività ospitate dalla cascina saranno legate all’agricoltura e al consumo consapevole dei prodotti della pianura padana. Da non molto siete stati coinvolti in una rete che promuove il recupero delle cascine milanesi in vista dell’Expo (www. cascinemilano2015.org). Significa che sarete coinvolti anche nei progetti di riqualificazione annunciati dal Comune? Siamo stati contattati da Multiplicity come riconoscimento del nostro impegno negli anni passati. Il Comitato Cascine prenderà sede proprio all’interno della Cuccagna e speriamo che da qui nascano progetti concreti per la valorizzazione di questo patrimonio. Dopo aver recuperato una cascina di 2.000 mq coperti più altrettanti di cortile e giardino senza un euro di sovvenzioni pubbliche, siamo pronti a recuperarne altre, magari col sostegno del Comune o della Società di gestione dell’Expo, mettendo a disposizione la nostra esperienza e quella delle persone che hanno collaborato al progetto. Il lavoro di censimento delle cascine svolto da Multiplicity può essere una base molto utile. Non bisogna dimenticare che delle circa cinquanta cascine di proprietà del Comune, almeno la metà sono date in affitto e utilizzate in vario modo. C’è gente che lavora e produce da decenni, tutelando il paesaggio a costo di fare il giro con l’aratro intorno alle lottizzazioni che ogni tanto gli piombano addosso. Bisogna premiare chi lavora bene e dargli i mezzi per lavorare meglio. Aldilà della conservazione del paesaggio e delle

attività rurali è necessario far nascere nuove attività che rendano queste realtà sostenibili sul lungo periodo. Qualche settimana fa abbiamo visitato la Cascina Follazza in via Gattinara, un mulino isolato in un groviglio di strade e interessato dal prolungamento della metropolitana verso Assago. Nonostante tutto questo mulino è ancora un gioiello, ma visto che ormai è scomparso il contesto in cui era nato, bisogna dargli un nuovo senso. Parliamo adesso dell’ospitalità, altro tema chiave dell’Expo sul quale lavorate da tempo. Il primo passo è stato quello di chiedere ai milanesi di ospitare chi ne aveva bisogno mettendogli a disposizione uno spazio di un metro per due. Una richiesta a prima vista elementare, ma che invece ha reso necessarie molte spiegazioni per chiarire cosa intendevamo per ospitalità. Non la camera con bagno privato, e nemmeno il divano letto in soggiorno, ma un qualsiasi spazio di un metro per due dove poter dormire per una notte. La richiesta era: hai uno spazio libero di due metri per uno? Sicuramente ce l’hai e quindi ce lo devi dare! Questa era la nostra visione per Milano “città più ospitale del mondo”. Se sei pronto ad ospitare uno straniero di passaggio probabilmente vorrai raccontargli qualcosa della tua città, del tuo quartiere, gli dirai dove fare colazione o andare a cena, o a comprare quello che gli interessa, contribuendo all’economia del vicinato. Un passo successivo è stato quello di utilizzare l’ospitalità come modo per far incontrare persone interessate ad allargare i propri orizzonti culturali o professionali. Ti interessa parlare quella lingua? Conoscere chi fa il tuo mestiere in un altro paese? Vorresti conoscere quella determinata città? Noi ti mettiamo in contatto con l’ospite che fa per te. Anche questa modalità funziona molto bene, chi la pratica è soddisfatto e l’anno dopo la ripete. Il sistema è basato su un sito internet (www. bedsharing.org) e funziona in abbinamento ad un evento che crea una domanda chiaramente caratterizzata. L’esperienza più completa e più complessa in tema di ospitalità è stata la creazione di un luogo attrezza-


to dove ospitare un determinato numero di visitatori di una manifestazione. Ogni anno abbiamo localizzato questa “casa” in un luogo diverso utilizzando spazi “rubati” all’arte contemporanea come Assab One e Ventura XV, spazi dismessi come i Magazzini della stazione di Porta Genova o Base B o all’opposto trasformando luoghi di per sé molto vivi come il Campus Bovisa del Politecnico con l’allestimento di 100 e a volte anche 200 posti letto in un unico grande spazio, in una struttura modulare con spazi per 3-4 persone e spazi comuni. Una specie di labirinto per orientarti nel quale all’ingresso ti viene data una piantina con indicato il tuo posto letto. Negli spazi comuni viene segnalato il tuo arrivo: chi sei, da dove vieni, cosa fai, che lingua parli, che progetti stai portando avanti, cosa sei venuto a fare a Milano, ecc., e ti viene data occasione di presentare il tuo lavoro. Altrimenti te ne puoi stare per i fatti tuoi e utilizzare le attrezzature per il tuo lavoro. Ci aspettavamo di ospitare studenti, invece sono arrivati anche professionisti a cui va benissimo una sistemazione low cost con la possibilità di sfruttare al massimo la breve permanenza in città. Abbiamo realizzato la casa dei designer, la casa dei registi e la casa degli stilisti. Un grosso sforzo, con costi consistenti per cui chiediamo dai 40-45 euro per una sola notte fino a un minimo di 20 euro per pernottamenti di 10 notti. Un prezzo accessibile che non fa concorrenza agli albergatori. È una esperienza che ha avuto grande successo, molti ospiti ritornano e si ritrovano anno dopo anno, da sei anni a questa parte. Anche questa esperienza la cediamo ad altre realtà, in forma di un kit fai da te. La nostra ambizione è quella di concretizzare queste “case”: creare una realtà stabile che offra a giovani in viaggio per lavoro una occasione di scambio e di conoscenza reciproca per tutto l’anno. Un progetto su cui investire anche in vista dell’Expo del 2015.

Passiamo al tema della mobilità e di come si muoveranno i milioni di visitatori dell’Expo sulle già congestionate infrastrutture milanesi. Anche a questo proposito avete progetti in corso? Il Public Design Festival affronta al suo interno vari aspetti del vivere quotidiano nella città e la mobilità è tra questi. Da anni documentiamo percorsi urbani ed extraurbani con diversi mezzi di trasporto. Abbiamo attraversato la città in lungo e il largo a piedi, in bicicletta, in carrozza o con un asino, elementi di una mappa che propone un modo diverso di fruire lo spazio urbano. Qualche settimana fa siamo partiti in bicicletta da Porta Genova, abbiamo percorso l’Alzaia del Naviglio Grande fino a Ronchetto sul Naviglio e da qui abbiamo attraversato il Parco delle Risaie alla scoperta delle sue cascine. Dopo due chilometri sullo sterrato abbiamo incrociato il Naviglio pavese lungo il quale siamo rientrati a Porta Genova. Questo modo di affrontare la città la rende più vicina, a misura d’uomo e ti fa acquisire la consapevolezza che se parti da qui (in via Paladini, ndr) puoi arrivare in Piazza San Babila in dieci minuti in bicicletta, in un quarto d’ora in autobus e con un asinello in quaranta minuti. Queste esperienze di percorsi urbani modificano la percezione dello spazio e della città. A nostro parere è necessaria una rieducazione alla città che parta dalla conoscenza dei propri spostamenti come un momento che non va annullato, ma vissuto nel miglior modo possibile dedicandogli il tempo necessario. Ci piacerebbe raccogliere questi tragitti in una sorta di guida dove siano descritti i principali modi di muoversi quartiere per quartiere. Chi si muove in bicicletta, e per fortuna sono sempre di più anche grazie al progetto di Bike-sharing del Comune e nonostante la clamorosa mancanza di piste ciclabili in città, sa che per attraversare Milano basta mezz’ora. Se si estendes-

se il Bike-sharing a tutta la città e si convincessero i milanesi ad utilizzarlo in massa avremmo risolto tutti i nostri problemi di mobilità. Parlando di mobilità si finisce sempre a parlare di infrastruttura, come se il problema potesse essere risolto solo attraverso nuovi mezzi e arterie di trasporto. Il vostro è un approccio diverso. Il nostro lavoro è basato sulle persone e sulla città. La città è lo strumento che ci ha permesso di avvicinare tante persone e questa è l’essenza del nostro lavoro. È il ribaltamento della logica di avere tutto a casa propria. Oggi si crede di dover avere tutto nelle mura domestiche, tutto passa attraverso la tivù e gli altri mezzi di comunicazione. Ogni spostamento è vissuto come un problema da risolvere nel più breve tempo possibile. Noi partiamo dal presupposto che si vive in una città e che la città ci può dare tutto quello di cui abbiamo bisogno. Solo se non la si utilizza o se la si utilizza in modo improprio la città non funziona o funziona male. Il prossimo passo di questa riscoperta degli spazi urbani è il “progetto Transumanza”, l’attraversamento di Milano con una mandria di bovini da sud verso i pascoli del nord in primavera e viceversa a settembre, come si faceva regolarmente qualche decina di anni fa. I contadini portano le loro mucche in città e nel corso di alcune tappe fanno il formaggio, il cosiddetto “primosale”, mostrando la loro cultura e la loro abilità ai loro clienti cittadini. Stiamo parlando con gli allevatori per mettere insieme una mandria con almeno cinquanta capi adulti, venti vitelli, i cani, i cavalli e le capre; poi bisognerà ottenere i permessi e trovare i soldi per coprire le spese. In definitiva che cosa vi aspettate che possa significare l’Expo per Milano. Molti dei nostri progetti nascono dal desiderio di appropriarci di

spazi inutilizzati di cui la città è molto ricca. Nel 2004 durante il Salone abbiamo occupato piazza Freud, un lembo di terra davanti alla stazione Garibaldi che è stato inghiottito dall’attuale cantiere della Città della Moda. Lì abbiamo allestito il progetto “Città in rivoluzione”, una sorta di mappa delle nostre iniziative che avevano a che fare con lo spazio pubblico. C’erano spazi dedicati ai percorsi sperimentali, all’ottimizzazione della mobilità o al bed sharing di cui parlavamo prima, c’era uno spazio dedicato alla spiritualità (di qualsiasi natura), uno dedicato all’accoglienza (un chiosco che forniva a tutti un “permesso di soggiorno”), una agenzia immobiliare che promuoveva spazi pubblici senza scopo di lucro, un pubblico intrattenitore, la possibilità di una escursione panoramica ed altre cose ancora in un luogo splendido, un grande spazio aperto come a Milano ce ne sono pochi. Basta poco per creare uno spazio pubblico: basta saperlo riconoscere, rimetterlo a posto, tenerlo pulito e dargli una funzione. A questo scopo lo stesso anno abbiamo proposto un calendario secondo il quale il centro della città si sarebbe spostato verso i quartieri di periferia, dove si trovano molti spazi abbandonati in attesa di essere rivitalizzati. Il progetto si chiamava “Movimento centrifugo” e, attraverso un programma di comunicazione, una segnaletica specifica ed eventi dedicati, trasferiva il centro della città in un altro quartiere trasformando gli spazi attraverso le persone e le situazioni. Questo è il nostro modo di interpretare la città, di viverla e farla diventare come la vorremmo. Questo è quello che ci auguriamo possa accadere con l’Expo: la trasformazione della città attraverso una miriade di piccoli interventi a basso costo, con l’obiettivo di far vivere gli spazi pubblici e migliorare la qualità della vita.

OSSERVATORIO CONVERSAZIONI

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a cura di Roberto Gamba

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Una “città della musica” per Viadana (Mantova) dicembre 2008 – maggio 2009 Il concorso di idee è riferito alla realizzazione di un’area multifunzionale da destinare a servizi, denominata “Città della Musica”, in località San Pietro, a Viadana, in via Baghella, su una superficie di mq. 19.525. L’area si trova vicino al centro abitato, è facilmente raggiungibile con percorsi ciclo-pedonali dal centro, e in auto dalla circonvallazione.

La struttura dovrà ospitare una scuola di musica (300 studenti), una struttura coperta per manifestazioni e concerti (500 posti), parcheggi (300 auto), spazi commerciali a servizio della struttura; sistemazione del verde e dei percorsi ciclabili e pedonali di collegamento. Il bando prevede un importo dei lavori non superiore ai 3.000.000.

1° classificato Studio OB3 architetti (Stra - Venezia): Ottorino Boesso, Sergio de Gioia, Fabrizio Michielon, Marco Broccardo La genesi progettuale consiste nella contestualizzazione territoriale cosa che presume il mantenimento dei tratti tipici del luogo. Si tratta di un complesso scorporato nei volumi, nelle funzioni, che riprende, e reinterpreta, le forme classiche dell’architettura rurale. Da un blocco monocellulare si dividono più corpi, si separano, slittano in diverse direzioni, creano un complesso aperto e concatenato col verde pubblico. L’obbiettivo è conservare i segni

tipici del territorio quali i canali e i filari alberati, articolando in maniera organica e poco invasiva l’intervento. L’apertura diretta della sala sul parco, ove è stato ricavato un sinuoso anfiteatro, sottolinea l’atavico rapporto tra musica e paesaggio. Ai blocchi laterali è riservata la contestualizzazione e il rapporto con l’esistente, assumendo di riflesso i tratti rurali del luogo. Il risultato porta a una reinterpretazione delle ampie e lunghe falde classiche dei caseggiati di campagna. Il colore dell’intonaco è stato scelto in modo da essere delicato e diafano come il contesto rurale mentre le essenze lignee devono permettere un’opportuna acustica alla sala.


Il sito di progetto ha suggerito l’elaborazione di un’architettura compatta, dove sono labili i confini tra interno ed esterno, spazio costruito e spazio verde. L’analisi degli elementi compositivi della tipica cascina rurale lombarda ha comportato la loro reinterpretazione in funzione alle finalità attese. La Città della Musica è una forma chiusa che disegna, un vuoto interno, uno spazio raccolto, un chiostro protetto, ma con ampie vedute che si appropriano del paesaggio circostante con l’intenzione di tramutarlo in sfondo caratteristico dell’opera. Il rapporto tra interno ed esterno è mediato dal vuoto della

grande piazza che diventa luogo per concerti e manifestazioni all’aperto, perno centrale attorno al quale si organizza la vita dei visitatori.

3° classificato Giorgio Santagostino (Milano), Monica Margarido collaboratori: Olga Chiaramonte, Fabrizio Volpe La nuova scuola è pensata come un complesso di forma quadrata. Ai tracciati dei campi e alla regolarità dei pioppeti si rifà la costruzione dell’edificio e il disegno dello spazio esterno a partire da una griglia geometrica di 5m x 5m. Tutto il lotto di progetto si mostra all’esterno come un nuovo pioppeto, all’interno del quale è ritagliata una grande radura in cui si trova la scuola. I volumi, che ospitano le diverse funzioni, sono racchiusi da un perimetro unitario uniforme, una pelle costituita dall’accostamento di listelli di legno. L’intervallo tra una doga e l’altra crea effetti di chiaro-scuro, variabile di lato in lato, a seconda che siano sovrapposti ad una superficie opaca, vetrata o ad un vuo-

to e a seconda della qualità della luce naturale, dell’uso di quella artificiale, dell’ora del giorno. L’accesso del pubblico al complesso avviene da una piazza coperta a doppia altezza. Un primo volume a nord ospita l’amministrazione della scuola, mentre a sud si accede a una grande hall, comune alla scuola di musica e all’auditorium. Gli altri volumi al piano terra sono adibiti al commercio. Salendo al primo piano, si trovano gli spazi riservati alla scuola di musica e quelli di supporto tecnico alle attività dell’auditorium.

45 OSSERVATORIO CONCORSI

2° classificato Simona Avigni (Casalmaggiore - Cremona), Alessio Bernardelli collaboratore: Matteo Vecchi


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Coniglio contro Sisifo

Marco Ermentini Architettura Timida. Piccola enciclopedia del dubbio Nardini, Firenze, 2010 pp. 96, ` 18,00 Gli architetti razionalisti radunati attorno alla rivista “Quadrante” - diretta da Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli - definivano “arrogante” l’architettura diversa da quella, la loro, fondata sulla ragione, la chiarezza e la proprietà delle forme e dei contenuti, sul rifiuto di elementi decorativi superflui. Insomma, l’architettura razionalista. Arrogante era l’edilizia “del mercato immobiliare”, diremmo ora, ma anche una parte dell’architettura del Novecento milanese d’autore, persino la Ca’ Brütta di Colonnese e Muzio, se, eretta in basi ad altissimi indici di sfruttamento fondiario, era costata la distruzione di “uno dei più romantici giardini della Milano ottocentesca” (Piero Bottoni). Ora, nel nostro tempo dai tanti valori morali perduti, l’arroganza e, come ci insegna l’incantevole libretto di Marco Ermentini, l’intolleranza e la violenza, spesso la stupidità, contraddistinguono buona parte dell’architettura e del restauro. Come comportarsi, da bravi architetti, se non al contrario? Ermentini ha fondato con il filosofo Andrea Bortolon e l’artista Aldo Spoldi nel 2000 all’Accademia di Brera la SAA (Shy Architecture Association), movimento per l’architettura timida che auspica “un modo più discreto di situarci nella realtà utilizzando la non violenza verso le cose” (p. 74). Gli architetti devono conoscere con amorevolezza gli edifici, essere pazienti, delicati, desistenti, lenti come Bartleby lo scrivano del racconto di Melville. “Preferisco di no” diceva di fronte a certi ordini che non corrispondevano al suo modo di stare al mondo in maniera silenziosa, riservata, nascosta. Il carattere dell’architetto o del restauratore si modelli non su quello di Sisifo, potente, astuto e fraudolento, ma su quello del coniglio, delicato, riflessivo e leale. Un armamentario di cento lemmi, termini singoli o brevi titoli, ognuno dotato di un’immagine, illustrativa o traslata, ci guida lungo un’“enciclopedia del dubbio” che ci offre invece le basi di una serena certezza. Minime narrazioni, intelligenti contestazioni, amare e dolci ironie, fulminanti paradossi: tutto si tiene, come le stratificazioni dell’anti-restauro perorato da Ermentini, per approdare alla regola ultima della “rivoluzione timida”: applicare la “metanoia” e la “cairologia”, ossia “convertirsi a un rapporto più cordiale e armonioso con i sistemi naturali” (p. 71), trovare la misura e il momento giusti, opportuni. Lodovico Meneghetti

La forza di un’idea

Nicola Navone, Bruno Reichlin (a cura di) Il Bagno di Bellinzona di Aurelio Galfetti, Flora Ruchat-Roncati, Ivo Trümpy Mendrisio Academy Press, Mendrisio, 2010 pp. 218, ` 35,00 In uno dei suoi numerosi disegni Le Corbusier ritrae l’acquedotto romano di Pont du Gard; a fianco scrive: “il a fait le paysage” mettendo in evidenza come un’architettura possa rendere leggibile il paesaggio: costruendosi “in opposizione” ad esso, infatti, l’acquedotto rende comprensibile, svela, il carattere e le peculiarità del luogo in cui si colloca. La stessa frase – “ha costruito il luogo” – potrebbe essere posta ad epigrafe della sezione fotografica del bel volume che Nicola Navone e Bruno Reichlin dedicano all’illustrazione del progetto per il Bagno di Bellinzona di Aurelio Galfetti, Flora RuchatRoncati e Ivo Trümpy. Il progetto, volendo definirne il senso e il carattere principale, si riassume nella realizzazione di un grande manufatto infrastrutturale, - una sorta di promenade architecturale - che, in quota, taglia l’area pianeggiante che separa il centro abitato di Bellinzona dal corso del Ticino. Il progetto consiste nella realizzazione di una grande passerella in cemento armato, alta sei metri da terra, lungo la quale, a quota zero, nella natura, vengono a distribuirsi gli elementi necessari alla definizione del Bagno: la piscina per i tuffi, l’olimpionica, quella per i bambini e per chi impara a nuotare e la vasca per chi, invece, non nuota. Detto così la passerella potrebbe apparire come un elemento inutile del sistema. Al contrario, essa risulta la “colonna vertebrale” della composizione, non solo dal punto di vista funzionale – l’accesso al Bagno nel suo complesso, come pure agli spogliatoi, avviene, infatti, solamente da questo percorso – ma soprattutto per la rappresentazione dell’idea che sta alla base del progetto: la costruzione di un “edificio” (la passerella, appunto) capace di mettere in relazione gli altri elementi “forti” - le piscine - distribuiti nel territorio secondo una precisa logica. La passerella è pensata come una vera e propria architettura, composta di parti e piani differenti necessari alla realizzazione dei servizi richiesti – spogliatoi, zona ristorante, ecc. Tutto ciò senza mai tradire un principio gerarchico che vede appunto nel percorso aereo l’elemento fondativo del progetto a dimostrazione di come la forza di un’idea e la sua continua messa a punto sia elemento determinante alla riuscita di un progetto. Martina Landsberger

Punti di vista

Maria Letizia Gagliardi La misura dello spazio Contrasto, Roma, 2010 pp. 304, ` 21,90 Ventisei fotografi d’architettura, per lo più architetti, si raccontano ripercorrendo la loro storia, al fine di indagare il complesso fenomeno della comunicazione dell’architettura – informazione complessa – attraverso la fotografia – mezzo di comunicazione –; un processo dunque che vede la compartecipazione del fotografo, che “manifesta un pensiero”, e dell’osservatore, che usa la fotografia come strumento di conoscenza: “viviamo l’architettura, la vediamo, ma non riusciamo a osservarla se non di fronte a una fotografia”. Il libro è una sorta di “tavola rotonda” all’interno della quale ventisei fotografi sono chiamati a confrontarsi sul loro lavoro. La struttura è quella dell’intervista: diciotto domande mettono a confronto diversi modi di pensare, di vedere, di fotografare. Per rompere il ghiaccio, un suggerimento è quello di leggere, tutte di fila, le risposte alla domanda “cos’è la fotografia?”. Fatto ciò, acquisita un’infarinatura, è possibile proseguire nella lettura integrale delle risposte alle successive domande che affrontano due nuclei tematici: uno sulla fotografia (tecniche, strumenti, influenze, formazione, ecc.) ed uno sull’architettura. In quest’ultima parte ci si domanda quanto sia importante conoscere l’opera da fotografare e quanto sia importante esperire, tornando più volte sul posto, quell’architettura, quella città o quegli spazi; quale sia il ruolo del fotografo nei confronti dell’architettura impressa su pellicola: se nel momento dello scatto il suo ruolo coincida con quello del critico o se si limiti invece a registrare e documentare la realtà, oggettiva o soggettiva. I fotografi sono chiamati inoltre a riflettere sulla nota affermazione di Bruno Zevi secondo cui la fotografia sarebbe una lettura parziale della realtà, mancando la dimensione temporale; e per contro ci s’interroga sulla possibilità di fotografare l’istante dell’architettura secondo gli insegnamenti di Cartier-Bresson. Una riflessione, infine, che vale la pena di tenere in considerazione, anche in quanto architetti, riguarda il rapporto tra il prodotto fotografico, l’immagine, e il fare architettura: quanto, e se, la fotografia su carta patinata abbia influito ed influisca sulla progettazione del manufatto architettonico. Un libro interessante, ben fatto, illustrato con le fotografie degli intervistati, che offre agli architetti importanti spunti di riflessione. Cecilia Fumagalli


Caroline Patey (a cura di) John Soane. Per una storia della mia casa. Primo abbozzo Sellerio, Palermo, 2010 pp. 132, ` 15,00 La casa editrice Sellerio ha recentemente pubblicato, per la prima volta in traduzione italiana, Per una storia della mia casa. Primo abbozzo (titolo originale Crude Hints towards an History of my House), il manoscritto dell’architetto neoclassico John Soane sulla sua casa londinese di Lincoln’s Inn Fields. La data di redazione (agosto e settembre 1812), intermedia tra il momento dell’acquisto dell’unità al n. 12 e l’edizione della conclusiva Description of the House and Museum (1832), corrisponde al momento di maturazione del progetto. Lo straordinario interesse per questa “brutta copia” sta quindi nell’essere una testimonianza diretta del procedimento creativo a partire dalla stessa struttura testuale, in cui la stratificazione delle note, impaginate in primo piano, a sinistra, e l’interrogativo centrale del testo sull’origine tipologica dell’edificio, nell’ipotesi della futura rovina, portano alla luce i cardini della composizione. La sovrapposizione claustrofobica dei frammenti architettonici (John Summerson, primo curatore della Casa nel dopoguerra, parlava di “arredi funerari”), evocante la compresenza di tempi storici e architetture, con cui la struttura logica sommerge la struttura reale dell’edificio, si affianca, nella cupola della Breakfast Room, nei pannelli mobili della Picture Room, alla ricerca analitica di effetti spaziali d’ingrandimento e dilatazione nel tentativo d’incorporare l’universo visibile. Con la preziosa notazione ulteriore della direttrice Helen Dorey siamo condotti, a fronte alla polisemia della Casa-Museo-Accademia, nel cuore della vita stessa di Soane: i contrasti e il sofferto isolamento accademico, inevitabile conseguenza della libertà di giudizio, il superamento delle norme edilizie con la facciata a logge in pietra bianca di Portland, che anticipa di un secolo il fronte dalla casa di Perret in rue Franklin, la volontà di costruire un exemplum che superi la delusione per la rinuncia dei figli all’architettura (oggi così infrequente…). Come scrisse allora l’amico Isaac D’Israeli: “(…) più rari sono coloro che hanno scoperto, una volta terminata la costruzione delle loro Casa, ammesso che una simile Casa possa mai essere considerata finita, che avevano costruito un Poema”. Il titolo di questo Poema, che si comporrà nel secolo a venire, sulle linee di questo “primo abbozzo”, sarà “Modern Architecture”. Stefano Cusatelli

Vivere insieme

Michele Costanzo Leonardo Ricci e l’idea di spazio comunitario Quodlibet Studio, Macerata, 2009 pp. 80, ` 14,00 Il saggio di Michele Costanzo illumina la cifra della vita e dell’opera di Leonardo Ricci (Roma, 1918 – Venezia, 1994) mostrando come queste siano tenute insieme da un pensiero utopico radicato nella passione per l’uomo e per il ruolo dell’architettura come “servizio”. Se L’uomo è per natura un animale politico, come diceva Aristotele, il suo essere si radica in una dimensione collettiva. L’architetto, uomo tra gli uomini, “medium” e non fine in sè, è chiamato, sostiene Ricci, a “dare il meglio di se stesso” ma solo “dopo essere partito dagli altri”, dalla loro “verità e realtà”, per costruire il luogo della vita, che è relazione, socialità, spazio condiviso. L’illustrazione delle opere più eloquenti di Ricci – tra cui il centro Agape a Prali in val Pellice (1946-1948), il villaggio di Monterinaldi sulle colline fiorentine (1949-1961) e il villaggio valdese Monte degli Ulivi a Riesi (1963-1966) – si affianca a citazioni e note biografiche che restituiscono l’audacia teorica e la capacità realizzativa di un architetto che si è confrontato in modo coerente al senso della propria vocazione, umana e professionale, senza mai scinderle. Così come nella concezione di uno spazio fluido, in cui “nulla vi è di separato e straniero”, dove le diverse funzioni comunicano naturalmente, per non alienare la persona, così Ricci ha tenuto uniti in modo “organico” il cosa, il come e il perché della propria azione creatrice. Figlio di un ingegnere e di un’attivista della chiesa valdese, originariamente “ateo”, Ricci si avvicina al cristianesimo “eretico” attraverso il pastore Tullio Vinay che lo coinvolge in due progetti per la sua comunità religiosa. Grazie a queste esperienze Ricci darà esemplare sostanza ai propri principî architettonici. La “forma non si sviluppa al di fuori di un contenuto, agendo in se stessa e di per se stessa”, né “nasce da presupposti astratti e teorici di stile, ma spontanea e diretta dalla realtà interna dell’oggetto stesso”. L’architettura e l’urbanistica “sono il frutto collettivo di una dinamica della società”; questa non può essere indagata dall’esterno, misurata in statistiche ed espressa in “uomini-tipo”, ma “è importante riesaminare alla base gli atti di esistenza umana” per “vedere gli atti nel loro farsi”. Ricci propone “un’architettura esistenziale relazionale nata dall’atto dell’esistere, prolungamento dell’esistenza stessa”. Irina Casali

Il nobile mestiere Silvia Milesi (a cura di) Mauro Galantino. Opere e progetti Electa, Milano, 2010 pp. 240, ` 65,00 “Credo che tutto questo sia costato a Galantino non poco, ma certo non ha spento in lui né il rigore dei principî né la passione per il nostro nobile mestiere”. Così Vittorio Gregotti conclude la sua presentazione al libro che raccoglie il lavoro di Mauro Galantino, architetto milanese che, formatosi a Firenze, ha studiato in Francia e lavorato con Henri Ciriani e poi con lo stesso Gregotti. L’apprezzamento è evidentemente riferito alla coerenza ed alla costanza con cui Galantino persegue gli obiettivi del suo lavoro, permeato della lezione dei maestri del moderno ma continuamente verificato con i problemi del progetto, in una costante analisi dei rapporti con i luoghi e delle conseguenze spaziali generate dall’intervento architettonico. Il libro, a cura di Silvia Milesi che in uno scritto-dialogo strutturato per differenti temi introduce alla lettura del lavoro di Galantino, contiene anche un saggio critico di Kenneth Frampton che si sofferma in particolare su alcuni progetti evidenziandone le ragioni compositive. Ma la pubblicazione nel complesso è sostanzialmente strutturata sulla illustrazione dei progetti e sulle loro descrizioni che non sono, come spesso accade in analoghi libri, semplici estratti delle relazioni, ma scritti redatti per questa occasione dall’autore. Parlando dei diversi progetti, i testi descrivono progressivamente – quasi in forma di autobiografia scientifica – una certa idea sull’architettura, sul mestiere, mai accademica e sempre volta a fare del progetto un momento risolutivo di questioni precisamente individuate. Ne emergono alcune questioni di grande interesse, proprio in rapporto ad un possibile dibattito sulla condizione del mestiere dell’architetto. In primo luogo il ruolo del disegno inteso come momento costitutivo del progetto, ad esempio con il ricorrente e sapiente uso della sezione prospettica quale strumento di controllo dei rapporti spaziali. E poi la costante fiducia nella modalità del concorso di progettazione, con una assidua partecipazione a rilevanti occasioni concorsuali; la rinuncia, anche in questi casi, all’uso di suadenti rappresentazioni virtuali lontane dalle reali proposte progettuali; il progetto inteso come parte di una ricerca che, organicamente, comprende studio, insegnamento e pratica professionale. In questo senso il libro racconta una esperienza di esemplare coerenza. Maurizio Carones

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Una casa, una vita


a cura di Sonia Milone

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Rapsodia Scarpiana Scarpa e Il Palazzetto, una rapsodia architettonica Omaggio ad Aldo Businaro Treviso, Centro Carlo Scarpa – Archivio di Stato di Treviso 27 febbraio 2010 – 29 maggio 2010 “Io sono un uomo di Bisanzio, che è giunto a Venezia attraverso la Grecia”. Il metodo eideti-

co di Scarpa passa attraverso le sue parole ricordate da Aldo Businaro, amico e mecenate, in un’estate del 1976. Un’amicizia nata nel 1969 durante un viaggio in Giappone e raccontata attraverso le vicende della seicentesca villa il Palazzetto del committente, un complesso architettonico situato nella campagna di Monselice per il quale, a partire dal 1971, Scarpa progetta diversi elementi sperimentando modi espressivi ed usi dei materiali che altrove avrebbe utilizzato in più ampia scala .Un racconto prezioso, curato da Guido Pietropoli, in scena a Treviso presso il Centro Carlo Scarpa in una mostra organizzata nell’ambito delle attività di conservazione e valorizzazione dell’archivio, prodotta dal MAXXI con il CISA Palladio e dalla Regione Veneto. In uno spazio allestito dalla sensibilità colta di Umberto Riva i disegni originali di Scarpa, (di proprietà del Ministero per i Beni e le attività culturali fondazione MAXXI) conservati presso il Centro e arricchiti da una collezione di Fabrizio Zuliani, docu-

mentano la ricerca della forma dell’opera aperta della corte dominicale della villa. Gli ingressi, il muro di cinta, l’aia e la scala esterna, il berceau e la sistemazione della barchessa nord si materializzano in schizzi su fogli che vengono approfonditi su cartoncini e interrogati in varianti su carta velina: il progettare sul- Teatro la carta come la realizzazione dell’architettura di un’opera, resa con materiali Il Teatro del Mondo edificio diversi. Una maquette della villa mostra singolare. Omaggio ad Aldo Rossi Venezia, Ca’ Giustinian 10 febbraio – 31 luglio 2010

l’aia realizzata da Scarpa con la scala e il muro da lui progettati ma costruiti, nel 2006, dal figlio Tobia con qualche modifica, una vicenda documentata anche dalla proiezione del film di Riccardo De Cal. La gentile competenza di Miriam Ferrari, una delle allestitrici della mostra, ci guida verso l’album dei rilievi architettonici, il catalogo della mostra dedicata al Palazzetto che si tenne a Tokyo nel 1993, scritti e fotografie originali che ritraggono il professore e Aldo Businaro. Nel portico del convento che ospita il Centro la “rapsodia architettonica” prosegue attraverso le fotografie delle opere realizzate, immagini e forme finali della prima idea di Scarpa per l’aia: “una grande goccia che si allunga per separarsi da una parte di sé duplicandosi”. Matteo M. Sangalli

Entrare nel Portego di Ca’ Giustinian (vedi foto di Giulio Squillacciotti, courtesy La Biennale di Venezia) è di per sé un’esperienza teatrale: un’“aula” rettangolare, disposta, come è tipico dei palazzi veneziani, perpendicolarmente al canale, con il lato corto che si apre sulla laguna a inquadrare la chiesa della Salute e la punta della Dogana. Da qui, 30 anni fa, si sarebbe potuto intravedere, ormeggiato proprio davanti alla Dogana, il Teatro del Mondo che Aldo Rossi aveva realizzato per la Biennale del 1979 per i settori Architettura e Teatro diretti da Paolo Portoghesi e Maurizio Scaparro. Il progetto di Rossi consisteva in un piccolo volume galleggiante, “una zattera, una barca: il limite o confine della costruzione di Venezia”, scriveva Rossi, che intendeva ripercorrere la tradizione dei teatri sull’acqua - “teatri del mondo” si chiamavano - che Venezia amava realizzare in occasioni di feste o di celebrazioni di grandi eventi. Rossi lavora in analogia con la storia e costruisce un oggetto completamente differente, ma ugualmente, se non più, teatrale di quelli della tradizione. Diversamente dal Bucintoro, il Teatro del Mondo si innalza verso il cielo. In esso, contrariamente a quanto accadeva nella tradizione, si può entrare, lo spazio è chiuso e può, deve, essere vissuto al suo interno. Rossi costruisce una doppia teatralità: quella che il nuovo edificio ancorato nella laguna instaura con la città e quella invece che si vive, da spettatori seduti sulle sue ripide gradinate. “Stando il Teatro sull’acqua si poteva vedere dalle finestre e fuori il

passaggio dei vaporetti e delle navi come se si fosse stati su un’altra nave, e queste altre navi entravano nell’immagine del teatro costituendone la vera scena fissa e mobile”, scriveva allora Rossi. La piccola mostra ripercorre l’avventura di questo “gioiello” dell’architettura effimera, esponendo materiali provenienti da diverse istituzioni (ASAC, Fondazione Aldo Rossi MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Teche RAI e privati). Si tratta in larga parte di fotografie, disegni, scritti autografi di Rossi, una riproduzione originale dell’edificio e la sfera in rame che stava sulla cuspide della sua copertura. A tutto ciò si aggiunge un poetico “cartone animato” in cui si narra del viaggio del teatro, dall’arrivo in laguna fino all’approdo a Dubrovnik. Martina Landsberger

Una seducente avanguardia Archizoom 1966-1974 Mendrisio, Galleria dell’Accademia di Architettura 6 maggio – 6 giugno 2010 La Galleria dell’Accademia di Architettura di Medrisio ospita la mostra Archizoom 19661974. Dall’onda pop alla superficie neutra, curata da Roberto Gargiani. È rappresentata l’esperienza del gruppo Branzi, Corretti, Deganello, Morozzi, Bartolini – formatosi alla facoltà di architettura di Firenze tra il 1959 e il 1963 – che con Superstudio ha costituito l’avanguardia dell’“architettura radicale” italiana. Il distacco temporale ci consente oggi di osservare un’evoluzione progressiva che convenzionalmente procede da avanguardia a utopia, toccando tutti i punti del percorso. L’esordio è con i progetti scolastici di una megastruttura urbana da


Stefano Cusatelli

Sondrio: omaggio a Nervi Pier Luigi Nervi. L’architettura molecolare Sondrio, Galleria Credito Valtellinese e MVSA, Palazzo Sassi de’ Lavizzari 15 aprile – 20 giugno 2010 Pier Luigi Nervi nasce a Sondrio per sbaglio, essendo figlio del direttore dell’ufficio postale cittadino; vi compie le scuole dell’obbligo e gli studi classici fino alla maggiore età, quando si iscrive alla Facoltà di Ingegneria alla Sapienza in Roma. Muore ne 1979 dopo una straordinaria carriera che lo condurrà, attraverso la sperimentazione di pionieristiche tecniche di costruzione – l’invenzione del ferro-cemento, la modellazione del calcestruzzo armato per strutture a doppia calotta, l’introduzione di rivoluzionari sistemi di completamento dei getti in opera in condizioni di estrema difficoltà – alla notorietà internazionale. In stretto parallelismo biografico, un caleidoscopio visivo proietta il visitatore nel vivo dei progetti e delle realizzazioni dell’architetto-ingegnere, attraverso il loro allestimento cronologico: dal periodo 1927-40, nell’ambito dell’impresa fondata con il cugino - la Nervi Bartoli S.A.-, fra le quali spiccano lo Stadio di Firenze, gli Hangar di Orvieto e Orbetello, il Palazzo delle Esposizioni di Torino fino a quelli dell’immediato dopoguerra: il Palazzetto dello Sport all’EUR, il Palazzo del Lavoro a Torino per Italia ’60 e poi ancora i progetti americani quali la bus station di New York e la Chiesa di St. Mary a San Francisco, per concludersi con il progetto di concorso per il Ponte sullo Stretto di Messina (1968). Ma sono le fotografie, riprodotte con inediti salti di scala rispetto ai documenti originali, a mostrarci alcune novità assolute, come ad esempio l’impronta neorealista del sistema Nervi e l’accento ironico del suo modus progettuale lontano dalle costrizioni e dai pragmatismi dell’ingegneria strutturale. Quanto alla prima, è utile sottolineare come l’autarchia del Ventennio e le carenze economiche

49 del periodo post-bellico hanno fatto di Nervi un formidabile “adattatore” di metodi costruttivi semplici, quasi rurali, all’interno di modelli teorici complessi; di qui l’idea, in ogni costruzione, di prefabbricare l’impianto strutturale primigenio, trasportandolo in cantiere per articolarvi le strutture secondarie: tramature, orditi, céntine, vetri-cortina. L’ironia invece emerge dall’os-

servazione attenta delle tavole di progetto, dagli schizzi redatti nelle estati passate a Cortina o sul litorale romano dove un asino poteva farsi unità di misura, così come il manico di un secchio o il giogo di un aratro suggerivano la forma: l’accesso illogico per l’articolazione logica del processo compositivo.

Il SALe nel Castello di Legnano

secondo le intenzioni dell’amministrazione, attraverso una oculata politica di acquisizioni e donazioni dovrebbe creare la base per una collezione del XXI secolo. L’edificio espositivo, all’interno del complesso del Castello, si sviluppa in due ali che sono state restaurate con differenti tipologie di intervento, determinate dalle condizioni di degrado. Un intervento conservativo ha interessato l’ala sud-est, nobile residenza di campagna, mentre la fatiscente ala nord-ovest è stata ripensata attraverso un progetto più complesso dall’architetto Luigi Ferrario. L’ala, in fase di ultimazione, è stata chiusa con coperture in vetro sorrette da leggere strutture in acciaio, un nuovo organismo architettonico che, sulla base di un modulo geometrico, ha inglobato il torrione la chiesa e tre nuovi padiglioni: reception con scala, ballatoi e ascensore, uffici ed aula per l’esposizione delle tre grandi tele del Previati il trittico della battaglia di Legnano. Un progetto di restauro selezionato tra le opere italiane per l’European Union Prize for Contemporary Architecture - Mies van der Rohe Award 2009.

“Ovunque è Legnano” recita l’inno di Mameli, così a pochi giorni dal Palio ripercorriamo il Sempione e ci fermiamo al Castello di San Giorgio per completare il percorso di S.A.Le. (Spazi Arte Legnano), iniziato con Palazzo Leone da Perego. Inserito nell’area verde dell’Olona che circonda il Parco Castello, a pochi passi dal centro, il “Castrum Sancti Georgi” nasce sui lacerti di un convento – denominazione del XIII secolo dovuta alla presenza in questi luoghi di un convento di Agostiniani con annessa chiesetta di S. Giorgio – che i Visconti avevano trasformato in casa-torre. Nel XV secolo viene eretto il torrione e le altre fortificazioni. Battaglie e incendi ne hanno segnato distruzioni e stratificazioni per tutto il XVI secolo, mentre dal 1792 e fino agli anni Sessanta l’intero complesso è stato trasformato in azienda agricola. La storia del lungo recupero inizia nel 1973 quando il Castello viene acquistato dal Comune. I lavori sono ancora in fase di ultimazione ma, dal 2006, con la mostra “Goya. I capolavori incisi” il maniero è diventato la seconda sede espositiva cittadina. Nel 2008 viene aperto il nuovo spazio, “Doveva accadere” dedicato alle esposizioni di giovani artisti, un progetto che,

Leo Guerra

Matteo M. Sangalli Castello di San Giorgio Legnano, viale Pietro Toselli www.spaziartelegnano.com

OSSERVATORIO MOSTRE

70.000 abitanti nella campagna fiorentina ispirata a Tange e con una proposta per la facoltà di architettura di Firenze che evoca Le Corbusier. La vera fondazione ideologica si ha, però, con l’introduzione nel design del contributo della Pop Art, con il divano Superonda e il mobilecontenitore Rampa, cui fanno eco in architettura i progetti del Parco Territoriale e del Centro Culturale di Prato (1967). La pluralità dei rivolgimenti si alimenta attraverso le fonti più diverse, da Bob Dylan all’evocazione “liberatoria” di un kitsch “afro-tirolese”, all’esplorazione architettonica, nelle due versioni del progetto per la chiesa di Zingonia, involucro high-tech anglosassone o impianto costruttivista, e nel concorso per il Centro dell’Artigianato nella Fortezza da Basso (1968), qui esposti (impropriamente) come “Razionalismo esaltato”. La trasposizione onirica del realismo dell’avanguardia diviene manifesta nei fotomontaggi urbani, dove la logica della megastruttura è estremizzata nel tentativo di rianimare una città che nel passaggio all’utopia diviene la No-stop city: una maglia continua, elaborata a partire dal progetto per l’università di Firenze (1970-71), climatizzata, attrezzata e in gran parte sotterranea, destinata a sostituire la città della storia, quale speranza di redenzione dal consumo. Nel confronto con il presente, tuttavia, più che l’esame puntuale delle ragioni di coerenza e d’inverosimiglianza del passato, conta la prevalenza assordante di una seducente avanguardia, per tanti aspetti tributaria a queste esperienze, e al loro peccato originale di assassinio della tradizione, e la scomparsa silenziosa di quel futuro possibile, il nostro, che Ernesto Rogers chiamava “utopia della realtà”.


a cura di Walter Fumagalli

50

La perequazione: una facoltà o un obbligo? Dall’entrata in vigore della Legge Regionale per il Governo del Territorio (la n. 12 dell’11 marzo 2005) sono trascorsi più di cinque anni (come passa il tempo, direbbe qualcuno!), ed in questo periodo sono venute a maturazione le prime esperienze applicative, e con esse i primi orientamenti interpretativi della magistratura amministrativa. Nei prossimi anni questi primi orientamenti troveranno conferma o smentita, ma nel frattempo è comunque opportuno tenerne conto. La perequazione urbanistica è uno dei nuovi strumenti che la Legge Regionale ha messo a disposizione dei comuni per regolare l’uso del territorio in modo equilibrato, eliminando alcune delle disfunzioni tipiche della tradizionale pianificazione urbanistica che hanno generato in passato, e spesso generano tuttora, inconvenienti e malumori. Uno strumento che, se ben utilizzato, può permettere di perseguire tre obiettivi fondamentali: s PORRE SULLO STESSO PIANO I PROPRIETARI DELLE aree destinate all’edificazione e quelli delle aree vincolate per la formazione di servizi, distribuendo in maniera equa fra di loro i diritti edificatori e gli oneri urbanizzativi; s EVITARE CHE I VINCOLI IMPOSTI SULLE AREE destinate alla formazione di servizi perdano efficacia decorsi cinque anni dalla loro approvazione; s CONSENTIRE AI COMUNI DI ACQUISIRE GRAtuitamente la proprietà di tali aree, senza impegnare risorse pubbliche che sono sempre più scarse e quindi sempre più preziose. A ciascun comune è lasciata la possibilità di decidere se avvalersi dello strumento della perequazione urbanistica oppure no, e tale decisione deve essere formalizzata mediante due degli atti costitutivi del Piano di Governo del Territorio, vale a dire il Documento di Piano ed il Piano delle Regole. In proposito l’Articolo 8 della Legge Regionale n. 12/2005 è molto chiaro nello stabilire che il Documento di Piano “definisce gli eventuali criteri (…) di perequazione”: trattandosi di criteri espressamente quali-

ficati “eventuali”, è evidente che il comune ha la facoltà di prevederli ma può anche non farlo. Nel caso in cui il Documento di Piano non preveda detti criteri, il PGT continuerà a produrre le discriminazioni tipiche dei Piani Regolatori generali del passato: continuerà a beneficiare i proprietari delle aree edificabili ed a sacrificare, al contempo, le aspettative dei proprietari delle aree vincolate per la formazione di servizi (sacrificio che peraltro oggi è in una certa misura attenuato, grazie alle nuove regole sull’indennità di espropriazione che riconoscono ai proprietari espropriati un’indennità sostanzialmente commisurata ai valori di mercato). Nel caso in cui il Documento di Piano preveda invece il ricorso alla perequazione, il Piano delle Regole deve renderla concretamente operativa dettando una specifica disciplina. Nel fare ciò il comune non è però libero di operare come meglio crede, ma deve attenersi alle regole fissate a questo riguardo dall’Articolo 11 della Legge n. 12/2005. Il secondo comma di quest’ultimo Articolo, anche se con una prosa abbastanza zoppicante, stabilisce in proposito quanto segue: sulla base dei criteri stabiliti dal Documento di Piano, “nel piano delle regole i comuni, a fini di perequazione urbanistica, possono attribuire a tutte le aree del territorio comunale, ad eccezione delle aree destinate all’agricoltura e di quelle non soggette a trasformazione urbanistica, un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale, disciplinandone altresì il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti. In caso di avvalimento di tale facoltà, nel piano delle regole è inoltre regolamentata la cessione gratuita al comune delle aree destinate nel piano stesso alla realizzazione di opere di urbanizzazione, ovvero di servizi ed attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, da effettuarsi all’atto della utilizzazione dei diritti edificatori, così come determinati in applicazione di detto criterio perequativo”. Si tratta a questo punto di stabilire se, una volta che attraverso il Documento di Piano il comune abbia deciso di avvalersi della possibilità di prevedere la perequazione,

il Piano delle Regole possa configurarla come mera facoltà oppure debba imporla come obbligo. La questione non è di secondaria importanza. Nel primo caso, infatti, la decisione se attivare o meno i meccanismi della perequazione sarebbe riservata alla discrezionalità dei proprietari delle aree edificabili, ai quali sarebbe lasciata la libertà di decidere di volta in volta, secondo la propria convenienza, se attuare solamente i diritti edificatori generati direttamente dai terreni fabbricabili di loro proprietà, oppure anche quelli generati da terreni destinati a servizi ed appartenenti ad altri soggetti; nel secondo caso, invece, i proprietari delle aree edificabili dovrebbero necessariamente attuare sui loro terreni anche diritti edificatori generati da aree destinate a servizi, previo accordo con i proprietari di queste ultime e con conseguente cessione gratuita al comune di tali aree. Il testo dell’Articolo 11 sopra riportato induce a propendere per la seconda delle ipotesi prospettate: il Piano di Governo del Territorio deve configurare il ricorso alla perequazione come un obbligo. Come si è visto, infatti, tale Articolo non si limita a stabilire che i comuni possono attribuire “un identico indice di edificabilità territoriale (…) differenziato per parti del territorio comunale”, ma va ben oltre questa disposizione in quanto precisa che detto indice di edificabilità territoriale deve essere “inferiore a quello minimo fondiario”. L’indice “minimo fondiario” individua la quantità minima di volume che deve essere necessariamente realizzata allorquando si procede all’utilizzazione edificatoria di un determinato terreno, per cui non possono essere rilasciati atti abilitativi per l’attuazione di progetti che prevedano la realizzazione di un volume inferiore a detta quantità minima. Tutte le volte in cui l’indice di edificabilità territoriale sia inferiore all’indice fondiario minimo, pertanto, se il proprietario di un terreno edificabile vuole costruire su di esso deve necessariamente acquisire ulteriori diritti edificatori in modo da poter raggiungere la quantità minima di volume prescritta, e per fare questo deve inevitabilmente ricorrere ai meccanismi della perequazione: deve cioè concludere un


zione collettiva”. In conclusione, dunque, i comuni sono liberi di prevedere o meno lo strumento della perequazione nei loro Piani di Governo del Territorio, ma una volta che l’abbiano previsto devono disciplinarlo in modo che i proprietari delle aree edificabili siano obbligati ad utilizzarlo. W. F.

a seguire il procedimento disciplinato in v

Nel caso in cui dopo il 1° gennaio 2010 venga presentata un’istanza di variante ad un’autorizzazione paesaggistica rilasciata entro il 31 dicembre 2009, per dare risposta a detta istanza bisogna seguire il procedimento disciplinato in via transitoria dall’Articolo 159 del Decreto legislativo n. 42/2004, oppure il procedimento regolato dall’articolo 146 del medesimo decreto? La fattispecie non è disciplinata in modo espresso dal Decreto legislativo n. 42/2004, per cui bisogna applicare le regole generali che governano il procedimento amministrativo, ed in particolare quella secondo la quale devono essere applicate le norme vigenti nel momento in cui esso si svolge. Per dare risposta alle istanze di autorizzazione paesaggistica in variante presentate dopo il 1° gennaio 2010, pertanto, deve essere seguito il procedimento disciplinato dall’Articolo 146 del decreto. Il che trova conferma anche del successivo Articolo 159, il quale stabilisce che il regime transitorio ivi previsto si applica soltanto fino al 31 dicembre 2009.

LE VOSTRE DOMANDE Il curatore della rubrica risponderà ad una delle questioni che i lettori vorranno inviare all’indirizzo e-mail: legislazione@consulta-al.it Le domande non dovranno avere una lunghezza maggiore di 500 battute né contenere allegati.

51 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

accordo con uno o più proprietari di aree vincolate per servizi, che preveda da un lato la possibilità di attuare sul predetto terreno edificabile i diritti volumetrici generati da queste ultime, e dall’altro l’obbligo di cedere gratuitamente al comune dette aree. In questo modo vengono concretamente realizzati gli obiettivi fondamentali della perequazione urbanistica. Alla stessa conclusione è pervenuto anche il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, con la sentenza n. 4671 del 17 settembre 2009 avente ad oggetto la legittimità di un Piano di Governo del Territorio che da un lato aveva previsto la perequazione, ma dall’altro l’aveva disciplinata in modo che i proprietari di terreni edificabili fossero liberi di utilizzarla o meno. In proposito i giudici hanno osservato anzitutto che “la cessione perequativa si caratterizza per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore dell’amministrazione sviluppa volumetria propria (espressa, appunto dall’indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito) che, però, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l’edificabilità (aree alle quali è attribuito un indice urbanistico adeguato a ricevere anche la cubatura proveniente dai terreni oggetto di cessione)”. Dopo di che hanno sottolineato che, nel sistema delineato dalla Legge Regionale n. 12/2005, “la partecipazione di tutti i proprietari al mercato edilizio è necessaria”, ed in particolare “il principio della necessaria partecipazione di tutti i proprietari alla rendita edilizia consegue all’obbligo di prevedere per tutte le aree del territorio comunale un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario”. Da qui la conclusione che è illegittimo un Piano di Governo del Territorio, che preveda lo strumento della perequazione ma poi lo disciplini in modo che la sua concreta fruizione sia facoltativa e non obbligatoria, giacché per effetto di ciò vengono meno sia “la funzione perequativa, connessa alla necessaria partecipazione di tutti i proprietari alle trasformazioni del territorio”, sia “la funzione infrastrutturativa in quanto così facendo il comune ha reso aleatoria la possibilità di acquistare la proprietà dei terreni ritenuti, invece, necessari alla frui-


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell’indice - novembre 1969: 100 Anno

Gennaio

Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

2007

52

1620 1630 1640 1650 1613,62 1617,39 1619,9 1622,41 1627,44 1631,2 1634,97 1637,48 1637,48 1642,5 1648,78 1655,06 2008 1660 1670 1680 1690 1700 1690 1680 1660,08 1663,85 1672,64 1676,41 1685,2 1692,73 1700,27 1701,52 1697,76 1697,76 1691,48 1688,97 2009 1690 1700 1685,2 1688,97 1688,97 1692,73 1696,50 1699,01 1699,01 1705,29 1700,27 1701,52 1702,78 1705,29 2010 1720 1710 1707,80 1710,31 1714,08 1720,36 1721,62 1721,62 n.b. Il valore da applicare, arrotondato alla diecina inferiore, è quello, in grassetto collocato nella parte superiore delle celle, immediatamente precedente al momento dell’assegnazione dell’incarico

2) Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982) anno 1982: base 100 Anno

Gennaio

Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

INDICI E TASSI

2008

Giugno

286,87

287,53

289,04

289,7

290 291,21

291,21

291,87

291,87

292,52

293,17

Luglio

Agosto

292,52

293,82

293,6

293,6

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

294,04

293,38

293,38

292,3

291,87

294,69

293,82

294,04

294,25

294,69

2009 2010 295,12 295,55 296,21 297,29 297,51 297,51 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto collocati nella parte superiore delle celle

3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno

Gennaio

Febbraio

2008 2009 2010

126,87 128,79 130,51

127,15 129,07 130,71

Marzo

Aprile

127,83 129,07 130,99

Maggio

128,11 129,36 131,47

128,79 129,65 131,57

anno 1995: base 100 Giugno

Luglio

129,36 129,84 131,57

Agosto

129,94 129,84

giugno 1996: 104,2

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

129,75 129,94

129,75 130,03

129,27 130,13

129,07 130,32

130,03 130,32

4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno

Gennaio

Febbraio

2008 2009 2010

116,57 118,34 119,92

116,84 118,60 120,10

Marzo

Aprile

117,46 118,60 120,37

Maggio

117,72 118,87 120,81

118,34 119,13 120,89

Giugno

Luglio

118,87 119,31 120,89

Agosto

119,40 119,31

6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno

Gennaio

Febbraio

2008 2009 2010

122,18 124,02 125,69

122,45 124,30 125,87

Marzo

Aprile

123,10 124,30 126,15

Maggio

123,38 124,58 126,61

124,02 124,86 126,70

2003 108,23

Luglio

124,58 125,04 126,70

2004 110,40

8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

2001 117,39

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

119,22 119,40

119,22 119,48

118,78 119,57

118,60 119,75

anno 1999: base 100

Giugno

Agosto

125,13 125,04

7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

119,48 119,75

dicembre 2000: 113,4

125,23 125,50

Ottobre

Novembre

Dicembre

124,95 125,13

124,95 125,23

124,49 125,32

124,30 125,50

anno 2001: base 100

2005 112,12

2006 114,57

2007 116,28

gennaio 2001: 110,5 2008 119,63

anno 1995: base 100

2002 120,07

2003 123,27

2004 125,74

2005 127,70

2001 108,65

2002 111,12

2003 113,87

2004 116,34

2005 118,15

2009 121,44

2010 123,07

novembre 2001: 110,6 2006 130,48

2007 132,44

9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) anno 1997: base 100 Indice da applicare per l’anno

gennaio 1999: 108,2

Settembre

2006 120,62

2007 122,43

2008 136,26

2009 138,32

2010 140,17

febbraio 1997: 105,2 2008 125,95

2009 127,85

2010 129,46

Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato) Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, relativo agli ultimi anni, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa. Dal 2004 determinato dalla Banca Centrale Europea. Provv. della B.C.E. (4.12.08) dal 10/12/08 2,50% Provv. della B.C.E. (15.1.09) dal 21/1/09 2,00% Provv. della B.C.E. (5.3.09) dal 11/3/09 1,50% Provv. della B.C.E. (2.4.09) dal 8/4/09 1,25% Provv. della B.C.E. (7.5.09) dal 13/5/09 1,00% Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto. dal 1.7.2007 al 31.12.2007

4,07% +7

11,07%

dal 1.1.2008 al 30.6.2008

4,20% +7

11,20%

dal 1.7.2008 al 31.12.2008

4,10% +7

11,10%

dal 1.1.2009 al 30.6.2009

2,50% +7

9,50%

1% +7

8,00%

Comunicato (G.U. 11.2.2008 n° 35)

Comunicato (G.U. 21.7.2008 n° 169) Comunicato (G.U. 2.2.2009 n° 26)

Comunicato (G.U. 28.8.2009 n° 199) dal 1.7.2009 al 31.12.2009

per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.

Comunicato (G.U. 18.2.2010 n° 40) dal 1.1.2010 al 30.6.2010

2.310 iscritti dell’Ordine di Bergamo; 2.315 iscritti dell’Ordine di Brescia; 1.691 iscritti dell’Ordine di Como; 691 iscritti dell’Ordine di Cremona; 924 iscritti dell’Ordine di Lecco; 402 iscritti dell’Ordine di Lodi: 692 iscritti dell’Ordine di Mantova; 11.860 iscritti dell’Ordine di Milano; 2.490 iscritti dell’Ordine di Monza e della Brianza;

841 iscritti dell’Ordine di Pavia; 359 iscritti dell’Ordine di Sondrio; 2.263 iscritti dell’Ordine di Varese. Ricevono inoltre la rivista:

90 Ordini degli Architetti PPC d’Italia;

Interessi per ritardato pagamento

Comunicato (G.U. 30.7.2007 n° 175)

La rivista AL, fondata nel 1970, oggi raggiunge mensilmente tutti i 26.838 architetti iscritti ai 12 Ordini degli Architetti PPC della Lombardia:

1% +7

8,00%

Per quanto riguarda: Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’Art. 81 della Legge 27 luglio 1978, n. 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani consultare il sito internet dell’Ordine degli Architetti PPC di Milano. Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.

1.555 Amministrazioni comunali lombarde;

Assessorati al Territorio delle Province lombarde e Uffici tecnici della Regione Lombardia; Federazioni degli architetti e Ordini degli ingegneri; Biblioteche e librerie specializzate; Quotidiani nazionali e Redazioni di riviste degli Ordini degli Architetti PPC nazionali; Università; Istituzioni museali; Riviste di architettura ed Editori.


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