AL 11, 2006

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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FORUM Restauro del moderno interventi di Maurizio Boriani, Giovanni Brino e Giorgio Rajneri, Corvino + Multari, Stefano Della Torre, Cristiana Marcosano Dell’Erba

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FORUM ORDINI Como Cremona Lodi Mantova Milano Pavia Varese

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OSSERVATORIO Argomenti Concorsi Conversazioni Libri Mostre

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PROFESSIONE Legislazione Normative e tecniche Organizzazione professionale Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini

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INDICI E TASSI

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11 NOVEMBRE 2006

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Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)


Confusione ed incertezza sono le parole più adatte per inquadrare la situazione attuale, che vede la vicenda sulla riforma delle professioni protrarsi in maniera preoccupante, senza che vi sia un segnale chiaro da parte del Governo. Non è bastata la protesta del 12 ottobre a Roma, (che ha visto tra i circa quaranta mila professionisti presenti, moltissimi architetti provenienti da tutte le regioni), per indurre il Ministro Mastella a dare dei segnali chiari, utili a comprendere le strategie e gli obiettivi finali del Governo. Pare evidente che Confindustria abbia “argomenti” molto forti e che le spinte all’interno della compagine governativa siano altrettanto pressanti per orientare ogni azione verso lo smantellamento sistematico delle professioni intellettuali. Non si capisce per altro la mancanza totale di concertazione con gli Ordini, quando gli stessi, negli ultimi anni, hanno costantemente dimostrato la voglia di dialogo con tutti i Governi che si sono succeduti. Nel programma elettorale dell’Unione era stata espressa la volontà di mantenere gli Ordini, abrogando le tariffe minime ad esclusione di quelle riguardanti le attività riservate, di avviare la formazione permanente con la definizione degli standard di qualità. Questi dovevano essere i punti di partenza per iniziare un dibattito condiviso. Nonostante la volontà di discutere da parte degli Ordini, partendo da un testo di legge (Vietti Bis) largamente condiviso anche dal Ministro Mastella, che aveva pubblicamente dichiarato che la proposta di legge doveva costituire il testo base per la riforma delle professioni, e nonostante quanto dichiarato da Prodi il 30 marzo scorso a Bologna, in materia di riforma degli Ordini, nulla sembra indurre, a due giorni della manifestazione di Roma, ad una veloce risoluzione del problema. È per questo che gli architetti devono attivarsi maggiormente a tutti i livelli istituzionali per evitare che le prestazioni intellettuali vengano paragonate a pura merce di scambio. Bisogna adoperarsi per scongiurare che in un prossimo futuro gli Ordini vengano sostituiti dalle Camere di Commercio, in modo da evitare che le grandi società di ingegneria ci escludano totalmente dal mercato della progettazione e che la nostra Cassa di previdenza inevitabilmente ci venga sottratta. Auspico comunque che queste mie considerazioni vengano superate dall’evolversi degli avvenimenti in tempi brevi, in modo che si possa celermente addivenire ad una soluzione definitiva e che comunque, spiragli positivi, possano aprirsi prima dell’uscita di questo numero delle rivista. Beppe Rossi Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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La riforma delle professioni


Restauro del moderno

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Il Forum di questo numero affronta un argomento che pare contenere un ossimoro: la nozione di “restauro” non sembra infatti concordare con quella di “moderno”. Il restauro – peraltro, come si sa, oggetto di riflessioni articolate nell’ambito delle stesse discipline della conservazione e della progettazione – può apparire concetto rivolto ad un prioritario rapporto con il passato, all’insegna di una tutela di ciò che la storia ha tramandato e che si valuta possa avere alto valore di testimonianza. All’opposto la modernità, nonostante tutti i dibattiti sul suo superamento, pare ancora legata ad una condizione di contemporaneità, lontana dalla necessità di dover rimediare ad un suo degrado. Se invece si pensa che molte architetture, anche pubbliche, delle nostre città sono state realizzate in età pienamente moderna già da più di cinquant’anni – soglia alla quale il recente Codice dei beni culturali e del paesaggio attribuisce un ruolo di discrimine nel regime di tutela – si coglie come la questione del restauro dell’architettura moderna sia di grande attualità. E come ciò riguardi anche i modi in cui la città moderna, quantitativamente la parte più rilevante delle nostre città, sia oggetto di profonde trasformazioni, legate anche al venir meno di alcune funzioni tipiche della “modernità”, come ad esempio quella produttiva. È opportuno quindi che le culture del restauro e della conservazione del moderno si diffondano. Ciò darebbe alcuni buoni risultati: innanzitutto la condivisione da parte della nostra società dell’alto valore dell’architettura e della città moderne, spesso considerate meno interessanti di quelle “storiche”, se non addirittura esempi di un generale fallimento dei programmi dell’“architettura moderna”. L’idea che una certa architettura meriti un restauro potrebbe stimolare invece nuove sensibilità, suggerendo attenzioni, indipendentemente da vincoli legislativi. In secondo luogo tale atteggiamento potrebbe promuovere gli studi sui progetti, sulle soluzioni costruttive, sui materiali impiegati in quegli edifici e porrebbe il problema di trovare adeguate soluzioni al loro restauro e alla loro conservazione: questione non semplice, come i qualificati interventi che compongono il Forum raccontano. Avevamo anche pensato che questo numero di “AL” potesse costituirsi come una sorta di raccolta di “appelli” per il restauro di edifici moderni in condizioni di degrado. Ciò, in parte, avviene nelle corrispondenze dagli Ordini, così come si manifesta anche nelle immagini che illustrano il numero, le quali testimoniano lo stato di avanzato degrado del noto Istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò, sito alla periferia di Milano. Nella stessa direzione siamo disponibili a dare adeguato spazio a future segnalazioni, al fine di contribuire dalle pagine della rivista degli architetti lombardi a promuovere quei processi di sensibilizzazione che sono la condizione iniziale per poter parlare di restauro di un edificio come operazione collettiva e generalmente condivisa. M. C.

Nel Forum di questo numero intervengono Maurizio Boriani, professore ordinario di Restauro urbano presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Giovanni Brino, professore associato di Tecnologia dell’architettura presso la 1a Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino e Giorgio Rajneri, accademico di San Luca, Vincenzo Corvino e Giovanni Multari, professori incaricati presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena, Università degli Studi di Bologna Alma Mater Studiorum, Stefano Della Torre, professore ordinario di Restauro architettonico presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano, Cristiana Marcosano Dell’Erba, PhD e membro del consiglio scientifico di DOCOMOMO Italia. Ringraziamo tutti i partecipanti per la loro collaborazione.

Il “moderno” dal punto di vista del restauro di Maurizio Boriani

Per chi studia i problemi della tutela e conservazione del patrimonio architettonico gli edifici realizzati nel corso del XX secolo pongono problemi inediti e, talvolta, di difficile risoluzione. Provo ad elencarne solo alcuni, che ritengo ad oggi tra i più significativi. Le quantità in gioco Le costruzioni realizzate nel ‘900 superano di gran lunga quelle che sopravvivono dai secoli precedenti. Mentre la salvaguardia di opere rare del passato appare anche ai più un fatto di civiltà e di cultura, le opere del “moderno” impongono necessariamente una selezione: cosa merita di essere trasmesso al futuro e cosa invece può essere lasciato alle convenienze del mercato, alle scelte del gusto e/o alle necessità di adeguamento funzionale e tecnologico. Il problema si pone in modo serio in particolare per il grande numero di edifici che non presentano evidenti caratteri monumentali e che pertanto possono essere riconosciuti come meritevoli di tutela solo a seguito di una attenta valutazione critica, spesso di difficile condivisione da parte del pubblico dei non specialisti. Inoltre, mentre un edificio realizzato secondo i canoni di uno degli stili storici ci appare sufficientemente distante dal nostro tempo perché ne sia facile riconoscere il valore patrimoniale, un edificio del “moderno”, anche se magari costruito 50/70 anni prima, ci appare ancora come contemporaneo e quindi, a prima vista, al di fuori delle problematiche di una sua tutela in quanto bene di interesse storico. La rapida obsolescenza funzionale Le machines à habiter invecchiano male. Edifici progettati con una particolare attenzione alla loro funzionalità, al loro rispondere in modo razionale alle specifiche esigenze per cui sono stati commissionati, si rivelano presto inadeguati al cambiare di queste esigenze o in rapporto alle necessità di adeguamento tecnologico al variare


Il Forum di questo numero è illustrato da fotografie tratte da un lavoro sull’Istituto Marchiondi, realizzato dal fotografo Stefano Corcella nel luglio 2006 appositamente per “AL”. Lo ringraziamo della collaborazione.

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delle normative edilizie e delle conseguenti prestazioni che vengono loro richieste. È il caso, ad esempio, di molta dell’edilizia residenziale, in particolare di quella economico-popolare, di molti edifici di servizio (scuole, ospedali, biblioteche,ecc.), di molti edifici industriali. Paradossalmente, gli edifici antichi, “soffrono” meno la necessità di una loro riconversione d’uso rispetto a quelli del “moderno”, progettati in molti casi con una stretta corrispondenza tra forme e funzioni.

La rapida obsolescenza fisica Gli edifici “moderni” sono stati realizzati impiegando materiali, tecniche costruttive, componenti edilizie, impianti di nuova concezione, talvolta programmaticamente sperimentali, spesso con vincolo economici alquanto ristretti. È naturale che, in queste condizioni, spesso abbiano dato cattiva prova, a fronte delle costruzioni più antiche, che impiegavano materiali e tecniche costruttive sperimentate da secoli. La questione è aggravata


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anche dal fatto che, mentre per un edificio antico possiamo accettare che i segni del tempo siano chiaramente riconoscibili e che alcune forme di degrado che non mettono in pericolo la sopravvivenza della costruzione siano lasciate in essere, per le costruzioni del “moderno” questo ci appare intollerabile: troppo contemporanei ci appaiono questi edifici perché se ne apprezzi un loro invecchiamento, che ci appare più come degrado che come nobile segno del trascorrere del tempo. Si pensi poi al caso estremo delle costruzioni ridotte allo stato di rudere: quelle antiche ci appaiono come autorevoli relitti di un tempo che fu, degni della nostra pietas, quelle più recenti ci si presentano come fattori di degrado urbano e ambientale. La novità dei problemi di conservazione La tradizione del restauro architettonico ha sperimentato sulle fabbriche antiche, da almeno un secolo e mezzo, tecniche diagnostiche e metodologie di intervento che sono ormai consolidate. Le innovazioni messe via via in campo nel settore avvengono sempre nel solco della riduzione al minimo possibile della perdita di materia storica e dell’invasività degli interventi. I materiali su cui si sono accumulate esperienze sono ovviamente quelli della tradizione: le pietre, i laterizi, il legno, gli intonaci, ecc. Gli edifici del “moderno” sono invece in genere realizzati con nuovi materiali: il cemento armato, il ferro, le materie plastiche e una vasta gamma di prodotti industriali di nuova concezione (pannelli con componenti a base lignea, elementi in fibrocemento, serramenti in ferro o in alluminio, materiali di rivestimento ceramici, litici, metallici). Anche quando sono stati impiegati materiali tradizionali, lo si è fatto quasi sempre in modo innovativo: nuovi modi

di produrre e di lavorare le diverse componenti edilizie, nuovi modi di metterle in opera, nuove forme architettoniche, prestazioni spesso al limite. Molti di questi materiali hanno dato cattiva prova e sono stati ritirati dal mercato; altri sono stati sostituiti con nuove versioni, differenti per prestazioni, dimensioni e modalità di messa in opera: si pensi al vetrocemento, ai serramenti in ferro, ai materiali di nuova concezione del periodo autarchico, al cemento-amianto, ecc. Tutti presentano comunque problemi di degrado e quindi di intervento che ci appaiono nuovi. Tra questi vorrei citarne solo alcuni: il fenomeno della carbonatazione dei calcestruzzi e della conseguente ossidazione delle armature in ferro, che mette in pericolo l’efficienza delle strutture in cemento armato, sino a non molto tempo fa considerate “eterne” ; il sempre più frequente distacco dal loro supporto dei materiali ceramici o litici di rivestimento; la necessità di adeguare murature di tamponamento, serramenti e impianti alle nuove prestazioni richieste dall’evoluzione della normativa edilizia. Le problematiche qui sinteticamente illustrate comportano dunque la necessità di una specifica attenzione al tema del “moderno” e di una particolare preparazione dei tecnici che vi si dedicano che raramente viene fornita oggi in modo adeguato nei nostri corsi di laurea e che, tanto meno, è stata fornita in passato. Non mancano ovviamente, sia nelle nostre università che nel mondo professionale, competenze ed esperienze adeguate: poco diffusa è tuttavia la consapevolezza che queste competenze dovrebbero essere estese alla più generale pratica del cantiere, troppo spesso disattenta nei confronti della conservazione della materia costruita e troppo disinvolta nella sostituzione delle componenti ammalorate con nuove, giudicate, non sempre a ragione, come


più efficienti e spesso, invece, gravemente lesive dei caratteri architettonici degli edifici oggetto di intervento. Il problema si pone proprio per la vastità degli interventi che si rendono oggi necessari e che sarà ancora più ampia in un non lontano futuro. Per questo è necessario che la ricerca, la formazione, ai vari livelli, e il mondo della professione si alleino nel trovare le soluzioni più adeguate e nel trasmetterle sia alle nuove generazioni, sia a coloro che già operano nel settore.

Il recupero della “Capanna Lago Nero”, capolavoro di Carlo Mollino di Giovanni Brino e Giorgio Rajneri

La “Capanna Lago Nero”, realizzata da Carlo Mollino nel 1946-47, a quota 2.400, sopra Sauze d’Oulx, è uno dei massimi capolavori di architettura moderna in montagna. La sua originalità deriva da due fatti: da un lato esso integra in modo geniale la “tradizione alpina” (rappresentata dal rascard in legno) con la “modernità” (rappresentata dalla struttura in cemento armato con la terrazza-solarium); dall’altro la sua assoluta “tridimensionalità”, che la rende simile ad una scultura per cogliere la quale occorre girarle attorno dai quattro lati, dal basso e dall’alto. Originariamente, la “Capanna” era stata destinata dal suo committente Piero Dusio, produttore delle auto sportive e da competizione “Cisitalia”, carrozzate da Pininfarina, a “Stazione della Slittovia, Ristorante e Rifugio”. Per una serie di ragioni, riportate nel libro pubblicato in occasione del centenario della nascita di Mollino, a cui si rimanda (1), la “Capanna“ non venne mai terminata all’interno e venne abbandonata alle intemperie e ai vandali,

degradando al limite del collasso. Nel 1995 il Comune di Sauze d’Oulx acquisiva la proprietà della “Capanna” e, nello stesso anno, affidava il progetto e la direzione lavori agli autori del presente articolo. Il restauro della “Capanna” I lavori di restauro sono iniziati nel 1999 e si sono conclusi finalmente nel 2006, attraverso tre lotti funzionali. Il primo lotto, realizzato in due mesi nell’autunno del 1999, ha interessato la copertura con le straordinarie gronde a sbalzo; i serramenti esterni e la struttura in legno del rascard; la terrazza curvilinea, con la geniale scala di accesso in “legno armato”, vero capolavoro nel capolavoro, e con il lucernario in vetrocemento. Il secondo lotto, realizzato in due mesi nell’autunno del 2001, ha interessato la chiusura della facciata a valle della “Capanna”, squarciata nel 1964 per trasformare la slittovia in skilift; il restauro dell’intonaco “duranova” ed il ripristino della vetrata “parabrezza” sul lato ovest della terrazza. Il terzo lotto, durato complessivamente 4 mesi, tra l’autunno 2005 e la primavera del 2006, è consistito nella realizzazione dell’impiantistica interna, con le relative opere murarie; nel collegamento del gas, dell’acqua e della fogna con la sottostante Sportinia; nel ripristino delle pavimentazioni e dei rivestimenti lignei interni asportati o vandalizzati; nel rivestimento di tutte le travi e capriate in cemento, lasciate grezze da Mollino, con lo stesso intonaco “duranova” impiegato negli esterni, per dare una continuità ideale tra interno ed esterno; nella realizzazione delle scale interne colleganti i quattro piani della costruzione, previste solo schematicamente nei disegni molliniani e mai eseguite; nel perfezionamento, infine, dell’“intirantatura” dei travetti portanti la parte a

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sbalzo del rascard lato valle, al 1° piano, predisposta sapientemente in corso d’opera da Mollino, con la collaborazione dell’amico Franco Vadacchino, fornitore di tutta la parte in legno della “Capanna“ e grande esperto di capriate Polonceau. Questa intirantatura aveva bloccato, al livello del 1° piano, l’abbassamento della parete del rascard, causato dalla rotazione verso il basso del colmo che avrebbe dovuto reggere la copertura a sbalzo (ma che non era ancora stato incastrato all’estremità interna, come previsto) a seguito di una improvvisa forte nevicata in pieno inverno. L’intirantatura si integrava con l’“armatura” delle due travi di bordo in triplo spessore della copertura stessa, portate dal colmo, costituita da una geniale struttura di rinforzo in acciaio zincato, formata da eleganti tiranti e puntoni ed entrambe si integravano con l’intirantatura, per mezzo di connettori metallici, dei travetti che formavano le pareti del rascard, connesse a loro volta con i travetti in legno o con le mensole in cemento armato portanti a sbalzo la struttura lignea. La struttura metallica di rinforzo delle travi di bordo della copertura, presentata come facente parte del progetto originario, anche se in realtà era stata aggiunta in corso d’opera, aveva lo scopo di impedire ulteriori abbassamenti della parete a valle del rascard, a seguito di possibili altre forti nevicate, come ci è stato rivelato da Sandro Eydallin, che all’epoca aveva partecipato come carpentiere ai lavori della “Capanna” e che è stato prezioso testimone di quanto era avvenuto in questo particolare cantiere, evitandoci lavori di rinforzo che sarebbero stati non solo inutili, ma dannosi. Conclusione Con le opere finora eseguite, la “baita” (come amava chiamarla familiarmente Bruno Zevi, che per tanti anni ne è stato il valido difensore) ha finalmente ripreso, sia all’esterno che all’interno il suo aspetto originario e, dopo quasi mezzo secolo di abbandono alle intemperie e ai vandali, è tornata “a volare”, per usare un termine caro allo stesso Mollino, pronta a sfidare le intemperie nella speranza di un migliore destino. È sperabile che la sua nuova destinazione a sede del “Premio Grinzane – Civiltà della Montagna”, presieduto da Giuliano Soria, possa garantire iniziative coerenti con il capolavoro molliniano, oltre a quelle già previste dall’Amministrazione Comunale, col patrocinio della Regione Piemonte.

Note 1. G. Brino, Carlo Mollino. Architettura come autobiografia, Idea Books, Milano, 2005 (cfr. Recensione di Luciano Bolzoni in “AL” n. 3, 2006, p. 38). 2. I lavori del 1° lotto, appaltati dall’impresa Campora, sono stati eseguiti in subappalto dall’Impresa Carlo Ferreri di Torino; i lavori del 2° lotto sono stati appaltati dall’Impresa Carlo Ferreri di Torino; i lavori del 3° lotto, sono stati appaltati dall’Impresa AGF di Torino. I lavori dei primi due lotti sono costati 610 milioni di lire circa, mentre quelli del 3° lotto sono costati 1.950.000 euro circa.

Il restauro del Grattacielo Pirelli di Corvino + Multari

Il passaggio dal XX al XXI secolo ha provocato in Italia una impennata di interesse per la conservazione di quanto è stato prodotto nella seconda metà del Novecento in architettura: il riconoscimento dei suoi valori, il suo restauro ed il recupero delle interrelazioni tra architettura e città come suo paesaggio. L’architetto Renato Sarno e lo studio corvino+multari (Vincenzo Corvino e Giovanni Multari) erano risultati vincitori di un concorso indetto dalla Regione Lombardia nel 1998, rispettivamente per la ristrutturazione del 31° piano e dell’ex Auditorium del grattacielo Pirelli. Successivamente vengono incaricati, nell’ambito della gestione dell’emergenza seguita al tragico incidente del 18 aprile 2002, di affrontare la sfida di un recupero funzionale e di un rigoroso restauro dell’intero edificio, con il sostegno di una apposita commissione tecnico scientifica. Prevale l’esigenza di conservare materiali e concetti progettuali, imponendo la necessità di restaurare un’architettura moderna. Per una tale architettura l’iter è complesso: risanare i profili di alluminio danneggiati; valutare il degrado delle tessere ceramiche in facciata con recupero ed integrazione; ripristinare l’ordito strutturale, coadiuvando le travi con cavi


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d’acciaio post-tesi e le solette con lamine in fibre di acciaio. Tre le fondamentali linee-guida dell’intervento: una concezione organica; la rispondenza accurata ai requisiti della conservazione e del restauro, l’adeguamento agli attuali requisiti di sicurezza, comfort e risparmio energetico. In questo modo si afferma anche sul piano istituzionale il valore di monumento di un edificio da tempo, nell’immaginario collettivo milanese e italiano, segno di intelligenza imprenditoriale, oltre che di incontro tra questa e la cultura politecnica. L’eleganza raffinata del suo profilo volumetrico e

la sua singolare compiutezza formale, appaiono ancora del tutto evidenti a chi “sbarca” a Milano dalla Stazione Centrale. Il grattacielo è, secondo un’espressione dello stesso Ponti, “opera finita”, exemplum di ciò che, in estrema sintesi, è per lui l’architettura: un cristallo. Una forma definita e conclusa, come un’opera che non si può perfezionare. Il progetto recepisce l’esigenza di un nuovo assetto funzionale in spazi istituzionali, per congressi ed incontri, per la comunicazione, per museo-esposizioni. Li coniuga concettualmente e compositivamente con tre principali


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eccellenze del grattacielo: la snellezza strutturale; la trasparenza che esige una massima libertà e fruibilità interna; l’unità di concezione fra organismo architettonico e componenti d’arredo. Sotto il profilo metodologico la conoscenza del manufatto è, dunque, premessa essenziale sia per valutare l’idea generale del progetto sia per affrontare e risolvere i problemi di conservazione poiché consente di stabilire, caso per caso secondo il valore, l’integrità e la leggibilità della parte considerata, dove prestare attenzione massi-

ma alla conservazione e dove intervenire reintegrando. Riconosciuta la qualità eccelsa delle soluzioni formali e tecnologiche adoperate nella realizzazione delle facciate continue e del rivestimento in mosaico di tessere ceramiche, l’intervento di restauro mira alla conservazione materiale del manufatto esistente attraverso operazioni che assicurino la trasmissione al futuro dell’oggetto nella sua massima integrità, fisica e formale, e ne facilitino la lettura. Scopo e tema principale del progetto è di restituire integrità al monumento rinnovandone la funzione di sede degli uffici


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direzionali della Regione Lombardia attraverso una migliore distribuzione e leggibilità delle funzioni, introducendo nuovi servizi di supporto e sistemi tecnologici secondo una diversa gerarchia ed un’articolazione rispettosa degli spazi originali. Un’operazione consapevole delle istanze architettoniche e funzionali, ma in grado di modificare senza intaccare la grande qualità dell’esistente attraverso interventi mirati ed efficaci seppure di minima entità. L’idea centrale consiste nel valorizzare l’identità attraverso il recupero degli

ambiti più qualificati, l’apertura dell’edificio ad un pubblico più ampio per manifestazioni istituzionali e di rappresentanza, la qualificazione degli spazi di lavoro, il miglioramento del comfort interno. Sono state definite nel dettaglio soluzioni progettuali di allestimento ex novo di alcuni spazi di rappresentanza (l’accesso da via Fabio Filzi), di distribuzione degli spazi seriali con i relativi apparati architettonici (gli uffici), di sistemazione e finitura di quelli esistenti (il trentunesimo piano),


Ma non ci sono i pezzi di ricambio… di Stefano Della Torre

La pretesa specificità del patrimonio “moderno” rispetto a principi teorici e metodi operativi della conservazione viene giustificata con molti argomenti. In questa sede sono stato invitato a discutere in particolare del problema dei materiali, che è problema storiografico, tecnologico, metodologico. Mi sembra necessario avviare il ragionamento dalla specificità della “conservazione del moderno”: sono diversi i principi di fondo, o le modalità operative, oppure le implicazioni economiche e sociali? Io non ritengo che sia possibile formulare principi speciali per la conservazione dell’architettura del Novecento, o della contemporaneità. Temo che la richiesta di principi deontologici differenziati derivi da un fraintendimento di che cosa si intenda oggi per conservazione dell’architettura. Semmai si ha una specificità di problematiche, derivante sia dalla sostanza dei manufatti recenti sia dall’atteggiamento che il pubblico, la critica, i tecnici assumono quando sono di fronte a “monumenti” di un passato non storicizzato. La faccenda è vecchia quanto il restauro: mentre per i manufatti di remota antichità è avvertita l’esigenza di autenticità materiale, più la datazione dell’oggetto si avvicina più si sente l’oggetto stesso come ancora nella disponibilità dei contemporanei, e di conseguenza si ritiene che sia normale modificare e adeguare. Ma quel che accade nel restauro del moderno è più complesso, sicché le questioni che ne derivano sono più controverse. La fase della libera disponibilità del bene ancora non storicizzato è già superata, il bene è “riconosciuto”, ma si pensa che la sua appartenenza ad un mondo tecnologico recente non giustifichi particolari cautele nel trattamento dei materiali costitutivi. Questo equivale a riconoscere il bene nei suoi valori formali, non come prodotto complesso di un contesto fatto di gusti, di ideologie, di ricerche, di cultura tecnologica in discontinua, ma a tratti assai rapida, evoluzione. Una concezione visibilista dell’architettura, ormai vieta per i cultori del restauro, riaffiora spesso parlando degli edifici moderni. Non soltanto non si sopportano i segni del tempo, il che è anche in parte spiegabile proprio con la natura dei materiali e con la ricerca formale sottesa: ma proprio non si attribuisce alcun valore testimoniale all’autenticità materiale della fabbrica moderna, e si propongono ripristini d’immagine con tecnologie rinnovate, che però restituiscono una

apparenza molto simile. A questo proposito, costituisce una importante conquista la coraggiosa decisione di riparare e non rifare ex-novo il curtain wall del grattacielo Pirelli, con i suoi giunti complessi e ingegnosi, testimonianza molto significativa, di una certa modernità intimamente ancora artigiana. La scelta dimostra una illuminata apertura alla complessità costitutiva dell’architettura, ben oltre la popolarizzante identificazione tra l’opera e l’architettoautore. Certo riparare l’esistente significa, in molti casi, aggregare una qualità prestazionale inferiore rispetto a standard prefissati: accettare quindi un sacrificio, in cambio della permanenza di valori testimoniali che costituiscono risorse non rinnovabili come le fonti energetiche, e sono necessari alla vita tanto quanto le condizioni di comfort. Spesso, generalizzando, si estende all’intera produzione edilizia del Novecento un’idea di “macchina da abitare” costruita con componenti prodotti industrialmente, di facile e lecita sostituzione: il che potrebbe valere per pochi esempi, se non fosse che anche in quei casi, quasi sempre, sono fuori produzione i “pezzi di ricambio”. D’altra parte, la produzione edilizia del Novecento, non sempre d’avanguardia dal punto di vista tecnologico, ché anzi molti capolavori razionalisti sono costruiti con tecniche e materiali tradizionali, talvolta usati in modi più scorretti che innovativi, ha semmai privilegiato una tendenziale noncuranza dei temi della durabilità e della manutenibilità. I nuovi modi di produzione, nell’industria dei materiali più che del cantiere, da una parte sembravano togliere valore ai componenti, dall’altra sembravano proporre materiali assai più durevoli di quelli usati in passato, materiali eterni, che non avrebbero richiesto altre cure, né interventi costosi di personale attento e competente. Le pratiche manutentive andavano scomparendo dalla manualistica, i nomi commerciali alludevano alla indistruttibilità (si pensi al mitico eternit), non si sospettava che nel giro di pochi anni il calcestruzzo faccia vista sarebbe divenuto un problema di proporzioni gigantesche. Quindi, o perché sono fatte con materiali tradizionali, o perché sono fatte con materiali innovativi non più sostituibili, o perché sono fatte con materiali deperibili, tanto più nelle attuali condizioni ambientali, anche le costruzioni moderne presentano situazioni in cui il restauro non può essere trattato con facili riduzioni. Le pratiche del rattoppo hanno costituito l’elisir di lunga vita delle costruzioni pre-industriali, rendendole capaci di passare attraverso molti rimaneggiamenti senza perdere identità. Invece i componenti delle costruzioni moderne e contemporanee, pensati con la pretesa dell’eternità, o della obsolescenza programmata, presentano problemi più difficili: ma non per questo si possono trascurare, riducendo l’architettura moderna a una ricerca strettamente accademica, e non alla produzione di luoghi, di città, di spazi abitati, di testimonianze comprensive di una civiltà. Insomma, anche per il moderno la perdita dei materiali autentici non è accettabile né conveniente, e il vero momento metodologico del riconoscimento dell’architettura

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di organizzazione ed accessibilità di luoghi inconsueti (il teatro degli impianti), di riproposizione filologica di alcuni spazi secondo la formatività di Ponti (l’ingresso dal Piazzale Collina), di recupero della qualità formale e materiale oltre che di una certa rappresentatività di spazi funzionali (l’auditorium). L’obiettivo è di restituire identità all’edificio Pirelli nel terzo millennio come centro di Milano, delle Istituzioni, del lavoro, della cultura e del confronto.


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DOCOMOMO Italia: finalità e attività di Cristiana Marcosano Dell’Erba

L’associazione culturale DOCOMOMO Italia ha come obiettivo statutario la conoscenza e la documentazione del patrimonio architettonico moderno, la promozione della sua salvaguardia e lo studio di metodologie e criteri di intervento appropriati e rispondenti al suo valore testimoniale. Nata nel 1995 su iniziativa di un gruppo di studiosi, storici dell’architettura e progettisti, prevalentemente impegnati nella didattica, l’associazione conta oggi circa centocinquanta soci tra membri individuali e collettivi (dipartimenti universitari, archivi e ordini professionali, biblioteche, enti), ed ha ricevuto adesioni da rappresentanti delle istituzioni e studiosi. In modo informale, il gruppo si era già aggregato nel settembre 1990, in occasione della prima conferenza internazionale DOCOCOMO International (International working party for DOcumentation and COnservation of buildings, sites and neighbourhoods of the MOdern MOvement) a Eindhoven, in Olanda, di cui costituisce uno dei circa quaranta gruppi di lavoro sparsi in tutto il mondo. L’associazione internazionale, che nel corso del tempo è diventata un importante network di circa 2500 persone e che ha spostato nel 2002 la sua sede da Eindhoven a Parigi, presso l’Ifa/Cité de l’Architecture et du Patrimoine, promuove l’impegno nella salvaguardia con varie attività culturali tra cui molto importante, a livello internazionale, è l’organizzazione di conferenze a cadenza biennale (Eindhoven 1990, Dessau 1992, Barcellona 1994, Bratislava 1996, Stoccolma 1998, Brasilia 2000, Parigi 2002, New York 2004, Istanbul-Ankara 2006) e il lavoro di commissioni tematiche (ICS, International Specialist Committees) su Register, Education, Technology, Landscape & Garden, Urbanism, a cui partecipano rappresentanti del gruppo italiano. Da parte sua DOCOMOMO Italia segue la stessa linea operativa organizzando seminari di studio, convegni, conferenze, avendo come interlocutori studiosi, esperti, tecnici e amministratori pubblici e privati, enti proprietari, progettisti e imprese e industrie impegnate nel campo del restauro. Tra le numerose iniziative promosse, ricor-

do il primo convegno nazionale Documentazione e conservazione (Roma, 1998) e il successivo seminario internazionale Stone in Modern Buildings (Roma, 2001); lo studio sul Palazzo della Civiltà Italiana (2002); il progetto europeo MOMONECO Neighbourhood Cooperation con partners finlandesi, svedesi e slovacchi (2003); la mostra Architetture in Liguria dagli anni Venti agli anni Cinquanta (Genova, 2004) e il convegno Le città del Novecento (Carbonia 2004). Ha stabilito contatti con le istituzioni preposte alla tutela (Ministero dei Beni Culturali e Soprintendenze), centri di studio e dipartimenti universitari, enti locali. Ha inoltre fortemente appoggiato la fondazione, nel luglio del 1999, dell’Associazione Nazionale Archivi Architettura Contemporanea, AAA/Italia. DOCOMOMO Italia si propone come vera e propria agenzia capace di attivarsi e di fornire risposte ai molteplici problemi connessi alla conoscenza e alla salvaguardia di questo ampio e non ancora sufficientemente riconosciuto patrimonio. Non ultima è l’importanza dell’azione di vigilanza su edifici a rischio che l’associazione ha con assiduità esercitato, nel corso dei suoi oltre dieci anni di attività, attraverso segnalazioni e specifici appelli lanciati per la salvaguardia di significativi luoghi del moderno, come la casa delle armi di Moretti a Roma, villa Muggia di Bottoni, la casa-studio di Sartoris a Cossonay; la casa albergo di Moretti a Milano, la piscina di Abaro a Genova. Formidabile strumento di diffusione si è rivelato il periodico dell’associazione, “DOCOMOMO Italia giornale”, che con cadenza semestrale, dal luglio ’96, aggiorna la documentazione sul moderno e approfondisce temi di stringente attualità. Ricordo solo alcuni degli argomenti trattati nei suoi dieci anni di pubblicazioni: Torino “ville industrielle”(4/98) curato dal gruppo di Lucetta Zorgno, straordinaria protagonista del nostro gruppo, prematuramente scomparsa; Salvaguardia e progetto. Le ragioni del moderno in Italia, un bilancio sullo stato della tutela in Italia (10-11/02); gli ultimi dedicati alla salvaguardia dell’eredità costruita di tre protagonisti del moderno italiano: Franco Albini (15/04), Carlo Scarpa (17/05) e Giuseppe Vaccaro (18/05). Nel 1999 l’Assemblea dei soci decise di fondare sezioni locali con l’obiettivo di allargare la base degli iscritti e di promuovere programmi di ricerca inerenti specifici contesti regionali. In particolare sul tema della documentazione DOCOMOMO Italia ha mostrato l’interesse ad ampliare i confini della storiografia tradizionale per accogliere le eterogenee espressioni dell’esperienza del caso nazionale. Nel 1996 ha segnalato a Bratislava una International Selection di diciotto opere che, realizzate in un arco temporale di circa quarant’anni di storia, dal 1916 al 1958, puntualizzano la peculiarità del moderno in Italia: dalla “macchina” del Lingotto, attraverso le realizzazioni futuriste e le opere simboliche del Ventennio, sino ai monumenti della Ricostruzione. La selezione è pubblicata nel 2000 da 010 Publishers, nel volume, curato da Dennis Sharp e Catherine Cooke, The Modern Movement in Architecture. Selections from the DOCOMOMO Registers.

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moderna come bene da tutelare sarà la cura assidua. Questo allora non è più un problema di progetto di restauro, ma di conservazione in quanto coordinamento di attività coerenti e programmate, come vuole l’Art. 29 del Codice dei beni culturali. Così definita, la conservazione richiede un approccio sistemico di più larga visione, che ci riporta ai temi della sostenibilità, e quindi alle responsabilità del settore edilizio come grande consumatore di risorse non rinnovabili: in termini di energia, di materiali, di risorse culturali. Il contributo della disciplina conservazione riguarda quindi l’approccio sistemico, e non è riducibile al trattamento delle superfici.


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Como a cura di Roberta Fasola Pietro Lingeri, Casa per Artista tipo “C”.

Restauro del moderno in provincia di Como: un’importante occasione sull’Isola Comacina Il moltiplicarsi a Como di studi e pubblicazioni sull’architettura razionalista a partire da quel giro di boa rappresentato dalle recenti celebrazioni per il centenario della nascita di Giuseppe Terragni (si ricordano il volume Oltre Terragni di Fabio Cani e Chiara Rostagno, promosso dall’Ordine degli Architetti, la monografia Pietro Lingeri a cura di Chiara Baglione e Elisabetta Susani e, più recentemente, il “Quaderno dell’Archivio Cattaneo” Casa Cattaneo a Cernobbio, curato da Nicoletta Ossanna Cavadini), se da un lato ha aumentato la consapevolezza della singolare ricchezza che la provincia comasca vanta sul suo territorio, ha ampliato anche le occasioni per constatare come esistano, accanto a esempi di eccellenza, situazioni in cui al riscoperto o rimarcato valore culturale di un oggetto architettonico fa riscontro, nei fatti, un preoccupante stato di conservazione del bene. Questo incremento della sfera di ciò che consideriamo degno di interesse obbliga ad aumentare in misura congrua gli sforzi per raggiungere la piena valorizzazione di tale patrimonio, ancor più doverosa quando siano a vario titolo coinvolti soggetti pubblici. Un esempio positivo in questo senso viene dall’Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) “Magistri Comacini” che sta interessando le Case per Artista sull’Isola Comacina di Pietro Lingeri, fino a poco tempo fa esempio emblematico di abbandono ed incuria. L’AQST “Magistri Comacini”, promosso dalla Regione Lombardia e operativo dal gennaio 2005, nasce come strumento di programmazione negoziata destinato a coordinare gli interventi previsti nel cosiddetto “progetto di sistema culturale integrato del Distretto dell’Isola Comacina” sviluppato dalla Provincia di Como e finanziato dalla Fondazione Cariplo. Tale progetto punta sulla Cultura come fattore di identità e di sviluppo per il territorio e si realizza attraverso una serie di interventi articolati che possano favorire non solo una migliore conservazione, ma anche un’adeguata valorizzazione e promozione del patrimonio architettonico e ambientale compreso nell’area del Centro Lago e della Valle Intelvi. Tra i numerosi interventi su edifici riconosciuti dall’AQST come elementi nodali di sviluppo dell’area, il Novecento è rappresentato da villa Bernasconi a Cernobbio e dalle Case per Artista di Lingeri sull’Isola Comacina. Le tre case, progettate e realizzate tra il 1938 ed il 1941 al termine di una lunga vicenda che aveva preso le mosse dal concorso indetto venti anni prima dall’Accademia di Brera per il Piano Regolatore dell’Isola, erano state destinate ad ospitare artisti provenienti tanto dal

Pietro Lingeri, Casa per Artista tipo “C”. Vista dal lago delle Case per Artista in un’immagine d’epoca.

Belgio (l’isola era stata donata all’Italia dal re Alberto I che ne era proprietario) quanto dall’Ateneo milanese. Le case soffrono una paradossale condizione di marginalità territoriale in un contesto ambientale universalmente celebrato; inutilizzate da alcuni anni, versano in un pessimo stato di conservazione caratterizzato dalla presenza di diversi fenomeni di degrado favoriti dalla mancanza di manutenzione e da frequenti atti di vandalismo. Nel corso degli ultimi anni numerosi sono stati gli appelli per la conservazione di questi edifici e l’occasione per interromperne la lunga fase di abbandono sembra finalmente giunta grazie a questo progetto di valorizzazione di “beni culturali su scala territoriale”. La progettazione dell’intervento di conservazione, che ha preso avvio da uno studio approfondito dei tre edifici, ha potuto avvalersi dei risultati emersi da una tesi di laurea sulle Case per Artista discussa presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano; i dati raccolti e l’analisi dello stato di conservazione degli elementi hanno indirizzato le scelte operative del progetto esecutivo, che è già stato approvato dalla competente Soprintendenza. Ovviamente l’intervento si inserisce in una più ampia serie di iniziative, sempre all’interno degli obiettivi dell’AQST, mirate a valorizzare e rendere fruibile l’intero complesso ambientale e monumentale dell’Isola Comacina. Il restauro delle Case per Artista vede impegnato in prima fila, in qualità di soggetto attuatore e stazione appaltante, il Comune di Ossuccio, in forza di una convenzione stipulata con la Fondazione Isola Comacina, proprietaria degli immobili. I finanziamenti concessi da Fondazione Cariplo, Regione Lombardia e Provincia di Como consentiranno di portare a compimento un pro-


17 Le ex Colonie Cremonesi del Po in una foto d’epoca.

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getto di conservazione capace di garantire il necessario adeguamento dei tre edifici che torneranno ad ospitare artisti e potranno nuovamente essere meta di visitatori. Contemporaneamente all’esecuzione dell’intervento, all’interno dell’Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale viene sviluppato anche un adeguato piano di gestione che definisce non solo le strategie di promozione, ma anche le modalità di gestione e manutenzione degli immobili. Sulla scorta di quanto realizzato attraverso l’AQST “Magistri Comacini”, è auspicabile che anche futuri progetti di valorizzazione del territorio riconoscano in espressioni trascurate del Razionalismo comasco elementi attorno ai quali tessere nuove e articolate strategie di intervento: il pensiero corre immediatamente all’Asilo Garbagnati di Cesare Cattaneo ad Asnago di Cermenate (richiamato negli “Itinerari” d’architettura del numero 6 di “AL”), da troppo tempo in una condizione che oscilla tra il parziale disuso e un adattamento degli ambienti ad altre funzioni non sempre rispettose della materia dell’edificio. Andrea Bonavita e Marco Leoni

Cremona a cura di Fiorenzo Lodi

Le “Ex Colonie Cremonesi del Po” in via del Sale Le origini del complesso – noto con la denominazione di “Colonie padane” – risalgono agli anni della prima guerra mondiale, quando l’impossibilità di trasferire i bambini presso le stazioni marine e montane per applicare la cura climatica portò alla costruzione delle prime strutture in legno lungo le rive del fiume Po. Nascono così le “Colonie Cremonesi del Po”, poi dedicate alla “Regina Margherita di Savoia” e, dal 1932, intitolate anche “Colonie balilla Roberto Farinacci”, dal nome del gerarca che ne ha promosso l’edificazione in forme moderne. Progettate insieme al parco che le circonda dall’ingegner Carlo Gaudenzi sono state completate nel 1938. Sono costituite da una struttura puntiforme in calcestruzzo armato alta due piani e articolata secondo un impianto semicircolare sovrastato da un’alta torre. Il piano terra ospitava spogliatoi, servizi, docce, dispensa, lavanderia e deposito del carbone, mentre il primo piano era occupato dalle cucine, dal vasto refettorio, dai servizi, dall’infermeria e dalla direzione. Oggi la struttura appartiene al Comune di Cremona, è affittata ad associazioni sportive, dopolavoro e depositi al piano terra, e a una discoteca al piano superiore.

Ex Colonie Cremonesi del Po, lo stato di degrado.

I segni del degrado sono diffusi, dal distacco superficiale dell’intonaco alla presenza di patina biologica e incrostazioni, da cavillature e fessurazioni degli spigoli dei pilastri alla caduta del copriferro per pilastri e travi. Alcuni serramenti in legno sono in stato di marcescenza, mentre quelli in ferro presentano macchie di ruggine. Sono necessari un intervento conservativo e l’inserimento di nuove funzioni più consone alle potenzialità del sito. Maria Teresa Feraboli


Lodi

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a cura di Antonino Negrini

Silvana Garufi, l’autrice dell’articolo, è architetto direttore coordinatore presso la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Milano; attualmente responsabile di zona del territorio di Lodi e provincia; delegato Unesco per il sito di Crespi d’Adda; membro delegato Commissione Lavori Pubblici della Regione Lombardia; socio fondatore e responsabile area nord dell’Associazione RURALIA (architettura e paesaggio rurale); socio collaboratore di associazioni di volontariato per il restauro e per il paesaggio. A. N.

Restauro e riconoscibilità All’Università mi ripetevano che l’Architettura ha una dimensione in più rispetto alle altre arti: la pittura due, la scultura tre e l’architettura quattro perché si aggiunge alle tre dimensioni spaziali la variabile “tempo”; inoltre è l’unica che produce manufatti in cui si può entrare per goderla con tutti i cinque sensi: vedere, toccare, annusare, sentire e gustare. L’Architettura, dunque, è un atto che racchiude in sé gusto, storia e morale perché materia, struttura, forze, spazio interno e presenza esterna rappresentano le sue componenti fondamentali, senza tralasciare la componente tempo che col suo trascorrere aggiunge fascino o degrado alle costruzioni secondo il buon o cattivo uso che si è fatto del tempo stesso. È questo insieme di fattori che non dobbiamo mai dimenticare quando ci apprestiamo “a mettere mano” ad un manufatto già esistente. Ben sapendo che l’uomo costruisce principalmente per soddisfare le esigenze della quotidianità, non dobbiamo soffermarci solo a questo livello di comprensione perché non è difficile verificare che in ogni epoca l’uomo è stato in grado di produrre manufatti che hanno saputo coniugare il buon costruito con le forme architettoniche e con il contesto esterno; quando ciò è avvenuto allora è possibile che siamo in presenza di un’opera d’arte. La permanenza di tali caratteristiche nei manufatti architettonici ci consente di individuare le architetture di ogni tempo che dobbiamo aver cura di trasmettere alle generazioni future; per non perdere la memoria delle nostre radici e per poter rileggere la storia attraverso le sue testimonianze materiali. Diventa necessario dunque tutelare e conservare questi manufatti; le teorie sulla conservazione che si sono sviluppate e trasformate nel tempo hanno, comunque, sempre affidato al restauro la funzione di conservare il più possibile l’autenticità dell’opera

d’arte e di tutto ciò che ha valore storico e documentale. L’odierna filosofia del restauro tende sempre più al rispetto dello stato di fatto dei manufatti edilizi, delle loro componenti artistiche e documentarie, della loro consistenza e autenticità materica. Ne consegue una persistente “volontà conservativa che nei suoi termini generali può essere intesa anche come espressione di una consapevolezza sempre più diffusa e condivisa dei valori di appartenenza e di identità oltre che di intrinseca qualità artistica, inscritti nelle opere di architettura maggiori e minori, del passato storico di ogni realtà locale. Dalla conoscenza approfondita del patrimonio storico è nato, infatti, il rispetto e l’ammirazione per l’antico, rispetto ed ammirazione sempre presenti, almeno in linea di principio, nella vita culturale contemporanea, tanto da costituire un fenomeno tutto moderno, coerente con la storicità del nostro sapere” come suole ripetere Maria Antonietta Crippa nel corso delle sue lezioni. Purtroppo oggi la teoria e la prassi rappresentano mondi distanti tra loro e gli esempi che ci circondano e che passano sotto il nome di “restauro” non sono sempre edificanti. Il perdurare di uno stato confusionale circa la comprensione dei termini: restauro, recupero, ripristino, manutenzione ordinaria e straordinaria portano alla inevitabile conclusione che oggi non si segue alcun principio; si restaura molto e male improvvisando gli interventi; operando, in corso d’opera, scelte non meditate; senza studi preliminari, senza progetto se non nei “casi eccellenti” in cui si opera su edifici monumentali. Negli ultimi dieci anni si è iniziato a parlare anche di “restauro del moderno”, dove con questo termine si faceva riferimento alle opere del Movimento Moderno, ma via via che il dibattito e la bibliografia sull’argomento sono andati ampliandosi, con questo termine ci si riferisce sempre più al restauro delle opere di tutto il XX secolo. Per il restauro di tali opere non si vede motivo di divergere dalle indicazioni metodologiche del restauro delle opere antiche; anche per queste ultime vige il principio della riconoscibilità e della identità dei manufatti, anche attraverso l’integrità materica. Pertanto, un accurato studio del manufatto sia approfondendo l’idea progettuale sia studiando le caratteristiche dei materiali messi in opera si rende necessario per non tradire gli intenti del progettista. Calandoci nella realtà del territorio lodigiano, il restauro del moderno diventa un argomento difficile principalmente perché manca la conoscenza necessaria all’individuazione dell’edificato moderno di pregio; spesso nei confronti di edifici del Novecento se ne sottovaluta l’importanza e se ne autorizza la demolizione come è accaduto a vari edifici Liberty, di cui la città di Lodi è particolarmente ricca; solo di recente è stato fatto un censimento degli edifici moderni ad opera di Margherita Cerri (Il lodigiano nel novecento: l’architettura, Franco Angeli), e si spera che tale operazione possa rappresentare un primo passo verso il riconoscimento di valore anche di edifici edificati nel secolo scorso. Non esiste una casistica attendibile di edifici moderni restaurati e pertanto cito solo due esempi per mostrare il diverso approccio con cui è stato affrontato il problema:


• l’ex Area di servizio in via Dalmazia progettata da Muzio che, dismessa la funzione iniziale, è stata recentemente utilizzata come area di parcheggio privato e pertanto delimitata da una recinzione che, per preservare la proprietà privata da intrusioni di estranei, danneggia la godibilità del manufatto e nega la completa leggibilità dell’aerea pensilina; • la contigua costruzione, sede dell’ASTEM, tipico edificio del periodo del fascio, in laterizio con caratteristico ingresso enfatizzato da una esedra con esili pilastrini in mattoni. Recenti opere di adeguamento hanno permesso di ripristinare la funzionalità del tetto e delle fontane esterne con zampillo ai lati della costruzione; unica aggiunta al progetto iniziale, l’inevitabile pedana per l’eliminazione delle barrire architettoniche. Ritengo che a conclusione di queste brevi note potrebbe essere di interesse prendere in considerazione l’apertura di un dibattito sul giusto modo di procedere quando il problema del restauro si presenterà ad esempio per il centro della Banca Italiana opera di Renzo Piano. Silvana Garufi

Mantova a cura di Nadir Tarana

Sul restauro del moderno L’ultimo quarto del secolo scorso ha purtroppo segnato la distruzione di un considerevole numero di edifici moderni, anche pubblici: le pratiche del “riuso” degli anni ’70 e, successivamente, del recupero, sono state applicate generalmente ad edifici storici, con esclusione del Novecento, e hanno comportato spesso modalità di intervento peraltro poco rispettose degli edifici stessi, con risultati mediocri: non parliamo poi dei Piani di recupero che, a dispetto della definizione, sono piani di demolizione e ricostruzione con aumento di volume… “Un concetto che purtroppo non è passato nella mentalità comune è il seguente: nella storia dell’arte non esiste progresso. Ogni momento storico ha una sua validità che non è confrontabile con nessun altro momento storico. Lo storico ha il dovere di prestare lo stesso tipo di cura per tutte le epoche che gli sono affidate andando oltre interessi personali e gusti soggettivi” (M. A. Crippa). Nel 1980, da studente universitario, alle mie rimostranze per l’annunciata demolizione della palestra delle scuole – edificio di fine Ottocento modificato in epoca fascista e non privo di pregio, che affacciava sulla piazza del mio paese, il Soprintendente dell’epoca si sorprese della mia

sfiducia per il nuovo che sarebbe stato costruito, con grande soddisfazione degli amministratori presenti: l’edificio fu chiaramente demolito e sostituito da una colata di cemento sproporzionata e di mediocre qualità. Oggi l’atteggiamento delle Soprintendenze è spesso fin troppo rigido, anche se non uniforme: quello che si fa – o che si può fare – in Emilia Romagna, per esempio, il modo di operare è molto diverso da quello della Lombardia, sarebbe opportuno un comportamento più omogeneo. Il passaggio, per gli edifici novecenteschi, da vecchi modi di operare al restauro incontra, però, problemi di vario genere: essi sono spesso sottodimensionati dal punto di vista strutturale, almeno in relazione alle nuove norme. Analoghi problemi sono determinati dalle mutate esigenze di carattere impiantistico e dalla normativa sul contenimento energetico, con pareti scarsamente coibentate. Gli adeguamenti possono spesso comportare pesanti interventi sugli edifici o comunque visivamente invadenti. Esiste poi un problema di preparazione degli operatori perché spesso in questo tipo di interventi non si può disporre di restauratori esperti, ma di manovalanza ordinaria non adeguatamente preparata, nemmeno per i lavori correnti. Il restauro richiede poi una oculata scelta dei materiali da impiegare nelle finiture: molti produttori di materiali per il recupero di strutture in c.a. o comunque per il consolidamento di edifici moderni propongono spesso soluzioni con risultati che tendono a travisare i caratteri originari, in particolare per quanto concerne la “pelle” degli edifici, che è poi quello che si vede esternamente. È, comunque, giusto ed opportuno prestare la stessa attenzione alla città del Novecento, come già si fa, o si dovrebbe fare, per gli edifici di epoche precedenti; anche se detto in altro contesto, merita citare Giorgio La Pira: “Storia e civiltà si trascrivono e si fissano, per così dire, quasi pietrificandosi, nelle mura, nei templi, nei palazzi, nelle case, nelle officine, nelle scuole, negli ospedali… Le generazioni presenti non hanno il diritto di distruggere un patrimonio a loro consegnato in vista delle generazioni future”. Chiaramente occorre agire con senso critico, non tutto merita di essere salvato: l’edilizia speculativa, e non solo quella, è sovente di scadente qualità costruttiva, oltre che architettonica. Gabriele Vittorio Ruffi

Milano a cura di Roberto Gamba

I contributi sul tema, raccolti nella provincia, riguardano segnalazioni, l’indicazione di un corso di specializzazione specifico e un restauro eseguito. Esemplificano la moltepli-

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Un esempio di architettura liberty a Lodi. Giovanni Muzio, sede dell’ASTEM, Lodi.


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cità degli aspetti che l’argomento offre, data anche la quantità di opere contemporanee che, attorno a Milano, vanno ricordate, o messe in evidenza per una valorizzazione. Nel comune di Arese, meritano attenzione due edifici, con analoga destinazione e attualmente con analogo e incerto destino, che sono entrati nella storia di questo territorio, sia per la loro qualità architettonica, che per il ruolo svolto, quali sedi di una delle più importanti industrie nazionali, l’Alfa Romeo. Si tratta della sede del Centro Tecnico, opera di Ignazio Gardella (concorso 1968, realizzazione 1969) e del Centro Direzionale, opera di Antonio Cassi Ramelli (con Vittore Ceretti, Gustavo e Vito Latis, Marco Finzi, Edoardo Nova, Pietro Porcinai; 1967-76). Il prof. Pierfranco Galliani (lab.pro@mail.polimi.it – www.restaurodelmoderno.polimi.it) presenta qui di seguito le edizioni del master in “Restauro del Moderno”, proposto gli scorsi anni al Politecnico di Milano. Una scheda tecnico descrittiva presenta i lavori di recupero, eseguiti al Gallaratese sulla prima e più nota opera, che ha aperto la stagione del “post moderno”.

Antonio Cassi Ramelli con Vittore Ceretti, Gustavo e Vito Latis, Marco Finzi, Edoardo Nova, Pietro Porcinai, Centro Direzionale dell’Alfa Romeo di Arese.

R. G.

Master in “Restauro del Moderno” Master universitario di II livello “Restauro del Moderno – Istruttoria e progetto per la tutela e il recupero di architetture del XX secolo” Politecnico di Milano – Facoltà di Architettura e Società – Facoltà di Ingegneria Edile – Architettura – Dipartimento di Architettura e Pianificazione direttore: prof. Maria Antonietta Crippa vicedirettore: prof. Pierfranco Galliani tutor: prof. Ferdinando Zanzottera Le finalità formative del Master sono: • conferire una capacità di riconoscimento delle peculiarità innovatrici della modernità in architettura e delle più appropriate tecniche, per un corretto restauro; • confermare la valenza strategica del progetto, nell’ambito del restauro e del recupero architettonico, quale processo di valorizzazione selettiva delle risorse culturali e fisiche del territorio contemporaneo, la cui recente storia esse testimoniano anche dal punto di vista economico e produttivo. Il Master si relaziona ai seguenti ambiti scientifico-professionali: “Storia e Conservazione” (storia dell’architettura, restauro, diagnostica); “Recupero del Costruito” (progettazione architettonica e urbana, rappresentazione multimediale); “Tecnologie e Materiali” (tecnologie dell’architettura, chimica dei materiali, interventi strutturali e impiantistici); “Legislazione e Valutazione” (legislazione per i beni culturali, valutazione economica dei progetti). Ha durata un anno. Prevede formazione in aula, laboratorio, stage, studio individuale per un totale di 1.500 ore/studente pari a 60 crediti formativi.

Ignazio Gardella, Centro Tecnico dell’Alfa Romeo di Arese.

Edizioni organizzate: 2004 – autofinanziamento con sostegno Regione Lombardia 2005/06 – finanziamento Fondo Sociale Europeo – organizzazione d’intesa con DARC – patrocinio Consulta Lombarda degli Ordini degli Architetti: 2007 – senza i finanziamenti della Regione non è certo che il corso venga riproposto. Pierfranco Galliani

Lavori di manutenzione dell’edificio di Aldo Rossi al quartiere Gallaratese L’intervento di manutenzione straordinaria riguarda la celebre stecca d’abitazione di Aldo Rossi – terminata nel 1973 – all’interno del complesso Monte Amiata, concepito da Carlo Aymonino, quale presidio architettonico urbano alla periferia nord occidentale di Milano. Il risanamento (1998-99) fu attuato poiché il manufatto presentava imponenti fenomeni di deterioramento e invecchiamento delle superfici intonacate e vari inconvenienti verificatisi negli anni. I fenomeni di degrado erano stati analizzati da una corposa indagine diagnostica, svolta nel 1996 da Sergio Croce e da Emilio Pizzi con lo Studio M.S.C.. Essa ascriveva le cause soprattutto all’inconsistenza dei


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Veduta dell’edificio restaurato.

Dettaglio di progetto del restauro del condominio Monte Amiata – corpo “d”.

Si è provveduto alla sostituzione di alcune porte in ferro e dei venti finestroni a crociera, chiusi da rete metallica. (estratto dalla relazione di progetto) Restauro del condominio Monte Amiata – corpo “d” progetto e D.L.: arch. Massimo Fortis, ing. Giacomo Mori responsabile per la sicurezza: ing. Federico Kalchschmidt collaboratori: Paola Trombetta, Gustavo Zani impresa: Gruppo S.I.M.E. Spa, Milano responsabili di cantiere: Gianni Degennaro, Massimiliano Mapelli

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supporti murari, alla mancanza di isolamento termico e ad un’esecuzione approssimativa. Devastante, dal punto di vista architettonico, il quadro delle alterazioni prodotte dai provvedimenti adottati e dal mancato rispetto dei regolamenti condominiali: • sostituzione della rete di distribuzione dell’impianto termico, con tubazioni appese all’intradosso del solaio e mascherate da un controsoffitto in doghe di alluminio, che alterava le proporzioni del porticato e introduceva un materiale completamente estraneo; • realizzazione di una protesi in profilati di acciaio, attorno ai colonnoni centrali, eseguita con provvedimento d’urgenza, in seguito a vistosi fenomeni di cedimento statico dei solai soprastanti; • rifacimento di una porzione della copertura piana e inserimento di tre pluviali esterni; • chiusura abusiva di oltre il 40% delle logge. Gli interventi effettuati, appaltati alla ditta S.I.M.E. hanno comportato una spesa di circa 620.000 euro. Sulle superfici esterne che presentavano un’alta percentuale (25/30%) di parti intonacate cadute o scollate dal supporto (a causa dell’impiego originario di semplici mattoni forati per i tamponamenti e la stesa di un intonaco di cemento privo di calce) è stata operata una battitura, asportazione delle parti incoerenti, idrosabbiatura, risarcimento degli intonaci rimossi con malta speciale antiritiro, primer, rasatura in due passate con interposta rete in fibra di vetro. Per il restauro dei c.a. e dei voltini, è stata eseguita una asportazione delle parti ammalorate, liberazione e pulizia dei ferri arrugginiti, applicazione di passivante inibitore della corrosione e ricostituzione del calcestruzzo con malta a ritiro compensato. La finitura ai silicati sulle superfici esterne, precedentemente sottoposte a rasatura, è avvenuta con pittura al quarzo. La finitura originaria era data da un intonaco grezzo, simile a un rustico fine, tinteggiato con un’idropittura biancastra; si è optato per una grana media simile, per effetto, all’intonaco originario. Più complessa è stata la calibratura del colore: Aldo Rossi avrebbe voluto questo edificio finito con il solo intonaco civile, senza tinteggiatura; si è cercato così un punto di bianco grigiastro plausibile. I parapetti pieni dei ballatoi e delle logge erano privi di copertine, cosa che aveva prodotto danni in diversi punti. L’applicazione di una copertina a sporgere in pietra o in lamiera avrebbe alterato la nettezza di taglio delle aperture, vero e proprio connotato stilistico della costruzione. Sono state collocate così lastre di “bianco di Verona” a filo parete, con sotto un gocciolatoio in lamina di alluminio verniciato. In origine la copertura piana, non coibentata, era protetta da una pavimentazione in lastre di cemento e graniglia, successivamente coperta da una seconda guaina. L’intervento è stato limitato alla posa di uno strato coibente, protetto da una membrana doppia con finitura ardesiata. Le scossaline e le copertine in lamiera di ferro verniciata sono state sostituite con elementi simili in alluminio preverniciato.


Mario Asnago, Claudio Vender, complesso di case coloniche “Tenuta Castello”, Torre Vecchia Pia, Pavia, 1937.

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Pavia a cura di Vittorio Prina

“Qualità diffusa” nel restauro del moderno Scritti e iniziative, seminari e corsi accademici relativi al restauro del moderno si succedono sempre più numerosi, non solo su pubblicazioni di settore, ma anche su quotidiani e riviste allegate. I migliori club moscoviti, unitamente alla sua casa-studio, realizzati da Konstantin Mel’nikov negli anni Venti sono in attesa di un sapiente restauro. Si è cominciato a discutere sulle questioni relative alla tutela ed alla necessità di interventi coordinati al quartiere milanese QT8 (1). Complessa è la casistica delle metodologie a seconda che si intervenga su capolavori assoluti, che peraltro necessitano di adeguamenti normativi e funzionali, su esempi meno noti ma non meno importanti, su complessi e quartieri da gestire in maniera unitaria con rilevanti implicazioni sociali e urbane. Ho recentemente dedicato una pubblicazione ad uno dei migliori esempi del razionalismo europeo, il Sanatorio Zonnestraal a Hilversum di Jan Duiker (2), parzialmente restaurato da Wessel de Jonge con Hubert-Jan Henket, con un progetto in equilibrio sapiente tra recupero filologico e nuovi calibrati interventi dovuti sia ad esigenze normative che motivate da nuove funzioni (3), che penso possa essere considerato un esempio paradigmatico. De Jonge ha anche restaurato la celebre fabbrica Van Nelle a Rotterdam di Brinkman e Van der Vlugt, trasformata in un innovativo centro di lavoro e attività per aziende e studi di architetti ed artisti, dotata di spazi sia per la vita in comune che per eventi pubblici, riportando a nuova vita le caratteristiche architettoniche e spaziali essenziali. In provincia di Pavia numerosi sono gli esempi (4) sui quali occorrerebbe intervenire; sempre più numerose sono peraltro le pubblicazioni dedicate all’architettura moderna nelle singole province, che riportano alla luce sia capolavori che una sorta di “qualità diffusa” costituita da numerosissimi edifici di ottima qualità architettonica che caratterizzano il nostro paesaggio. Cito solo i principali. Primo tra tutti l’Idroscalo, una delle prime opere di Giuseppe Pagano Pogatschnig del 1925-26, della quale ho ritrovato le copie originali dei disegni, che giace lungo le rive del Ticino all’apice sud-est del centro storico in stato di avanzato degrado, oggetto in passato di qualche maldestro intervento. L’ex centro Assistenza Materna e Infantile “Emilia Bossi Gregotti” a Mortara di Luciano Baldessari del 1932-33, parzialmente compromesso da un consistente ampliamento che ha modificato l’aspetto volumetrico ed il rapporto con il giardino unitamente a modifiche interne ed

alla sostituzione dei serramenti del salone originariamente caratterizzati da un sofisticato meccanismo di scorrimento verticale. L’ex Casa del Fascio (ora sede degli Uffici Finanziari) a Voghera di Eugenio e Carlo Mollino del 1934 mostra i volumi esterni conservati, mentre gli spazi interni sono ormai persi irrimediabilmente a meno di una vasta opera di ricostruzione. Un complesso architettonico ancora ben conservato (nonostante un volume rialzato di un piano) è l’ex Casa dell’Opera Nazionale Balilla a Pavia di Carlo Alberto Sacchi del 1934-36, ampliato successivamente dal Sacchi insieme ad Eliseo Mocchi, che si auspica sia filologicamente restaurata al fine di evitare importanti perdite simili, ad esempio, a quelle riportate a seguito degli interventi effettuati all’Istituto Tecnico Bordoni a Pavia di Mario Ridolfi e Wolfango Frankl del 1935-37. Numerosi sono gli edifici di qualità da tutelare realizzati da Carlo Alberto Sacchi in Pavia e nei comuni limitrofi. Altro piccolo capolavoro è costituito dal complesso di case coloniche “Tenuta Castello” a Torre Vecchia Pia di Asnago e Vender del 1937: sino a pochi anni or sono ancora decentemente conservato (nonostante diffusi micro-interventi); attualmente è stato modificato a causa della realizzazione di due negozi posti agli angoli esterni del grande portale di ingresso, oltre ad ulteriori modifiche e ad un degrado diffuso. Assai interessante è il complesso costituito da Casa del Comune, scuola elementare “Principe di Napoli” e palestra civica a Landriano di Filippo Pozzi del 1936-39, in parte rimaneggiato, ma sul quale si potrebbe intervenire ancora con ottimi risultati. Da non dimenticare sono anche: il prototipo di casa rurale di Gaetano Ciocca nei pressi della cascina Valbona a Garlasco del 1935, che nonostante il completo abbandono ed una superfetazione laterale, conserva magicamente intatta la struttura originaria compresa la parete


Filippo Pozzi, Casa del Comune, scuola elementare “Principe di Napoli” e palestra civica, Landriano, Pavia, 1936-39.

V. P. Note 1. “la Repubblica”, 22 luglio 2006. 2. V. Prina, Jan Duiker Sanatorio Zonnestraal a Hilversum, Firenze, 2006. 3. V. Prina, Il sanatorium Zonnestraal restaurato, in “Abitare” n. 461, maggio 2006, pp. 140-48. 4. V. Prina, Pavia Moderna Architettura moderna in Pavia e provincia 1925-1980, Edizioni Cardano, Pavia, 2003.

Varese a cura di Enrico Bertè

Restauro del moderno Desidero prendere in esame in particolare alcune tipologie d’interventi fatti dal dopoguerra ad oggi nella provincia di Varese. Come è noto restaurare significa rifare alcune parti mancanti oppure rimettere a nuovo, nelle condizioni originarie, edifici costruiti nel passato. Prenderò in considerazione il restauro del moderno per gli edifici con date di costruzione prima dell’anno 1956, edifici pertanto non vincolati. Gli interventi fatti, nel corso di mezzo secolo, se si dovessero

E. B.

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attrezzata interna, quasi fosse in attesa di divenire un prototipo di restauro del moderno; l’asilo nido “Sanner”, unico frammento realizzato di un complesso scolastico progettato a Robbio Lomellina dai BBPR nel 1938-41; la “Casa del viticultore” a Castàna di Ignazio Gardella del 1944-47; la Villa “Merlo” a Vigevano dei BBPR del 194749; l’ampliamento delle Officine Necchi a Pavia di Marco Zanuso del 1960-61; l’Edificio residenziale in via Bellocchio a Voghera di Gio Ponti del 1964; la Scuola Media a Broni di Aldo Rossi con Gianni Braghieri del 1979-83; molti edifici realizzati da Giovanni Rota a Vigevano. L’ex Palazzo dell’Impero, ora Palazzo delle Esposizioni, a Vigevano di Eugenio Faludi del 1937-38 è stato parzialmente riqualificato ed è in attesa di un più consistente intervento di restauro. Villa Crespi ai Ronchi di Vigevano, capolavoro di Giuseppe De Finetti del 1928-43, è fortunatamente splendidamente conservata (nonostante le modifiche alle cucine).

analizzare con quel senso di responsabilità e con quella minima dose di cultura estetica, suggerirebbero di tralasciare di scrivere nel merito, perché alcuni dei casi più eclatanti (e non solo nella provincia di Varese) sono i seguenti: • vecchi fabbricati interamente rivestiti con strutture metalliche e doghe, edifici solitamente adibiti per l’esposizione e per la vendita di mobilia o di altri generi; • ripitturazione delle facciate mediante l’adozione di idropitture per esterni e di rivestimenti plastici di vario tipo; • ristrutturazione parziale o completa di edifici per aumentarne appetibilità nel mercato edilizio all’epoca dei lavori di ristrutturazione, oppure per migliorarne l’adattabilità ai proprietari od agli affittuari del fabbricato, con destinazione d’uso residenziale od a uffici. A tutelare gli interventi sopra elencati mancano le più elementari regole. Infatti, gli interventi del restauro del moderno sono interventi che, normalmente, vengono effettuati con lo strumento della Denuncia d’Inizio Attività, e quindi in numerosi casi, con la progettazione e la direzione dei lavori di liberi professionisti laureati o diplomati, di culture diverse quasi sempre senza la partecipazione o l’informazione del primo progettista dell’opera. Un altro problema da evidenziare è quello del deterioramento delle facciate degli edifici nonché il degrado dei materiali adottati, il più delle volte a causa di un manifesto errato concetto di “spendere con signorilità” per i materiali di pavimentazioni e di rivestimenti ali interno dei vani, a scapito tante volte dei rivestimenti delle facciate esterne. Graniti, marmi, ceppi e cosi via, per decenni hanno resistito al degrado e le facciate si sono assai bene conservate nel tempo. Lo stesso clinker, di buona qualità, assai in uso negli anni Sessanta, ha resistito con decoro al degradamento, mentre così non si può dire per alcuni cosiddetti materiali commercialmente più poveri, posti in opera spesso senza un’adeguata preparazione e con una tecnica non sempre idonea all’opera od alla situazione meteorologica locale. Nelle città e nei paesi rispetto a decenni orsono è oggi più rispettata la riqualificazione del patrimonio edilizio perché il clima culturale, a tutela dell’ambiente, è certamente migliorato. Ma purtroppo c’è ancora chi vede negl’interventi edilizi soltanto l’arricchimento e quindi è sensibile soltanto all’utile inteso come profitto e pertanto crede nel concetto “meno si spende più si guadagna”. A mio avviso, si dovrebbe punire chi così ragiona, avendo suscitato nei cittadini, che transitano in certe strade o piazze un’impressione estetica sgradevole, punire chi commette tale violazione per reato estetico contro la collettività. Forse è un’utopia. Ancora una volta mi viene alla mente ciò che sosteneva Le Corbusier a proposito di due contenuti, per lo più indipendenti, che possono tuttavia coincidere e fondersi felicemente nell’opera d'arte: il sentimento dell’artista e la sua fantasia. E non è un’utopia.


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Città Visibili La X Biennale di Architettura curata Richard Burdett – professore di architettura e urbanistica alla London School of Economics – mette al centro la città come sistema complesso. La mostra sottolinea che soluzioni parziali non risolvono problemi globali – intesi nel senso di diffusi e d’insieme. La specializzazione ha prodotto saperi mirati e individui capaci di affrontare problemi specifici, ad alta difficoltà tecnica e tecnologica, ma altrettanto impreparati a collocare le questioni dentro un quadro di relazioni più ampio. Ora, l’interpretazione dei singoli elementi nella loro connessione reciproca è un’esigenza imprescindibile, poiché l’uomo è costitutivamente complesso. Le città detengono un alto tasso di complessità e il loro incremento esponenziale pone di fronte a preoccupazioni di difficoltà crescente. L’approccio alle aree urbanizzate richiede dunque un criterio adeguato alla natura del problema. Se la matematica con i modelli caotici ha evidenziato un metodo che risponde a questo fattore – già in uso nelle scienze economiche e socio-psicologiche – molte discipline pensano ancora a comparti divisi. Quando Burdett dice che “la costruzione di marciapiedi e fognature in una baraccopoli è un importante atto architettonico, più importante di un atto architettonico aulico come il Guggenheim di Bilbao”, sottolinea che l’oggetto irrelato, quand’anche bello, non serve. Perché è la forma delle città che modifica la vita delle persone che ci vivono. Servono più vita urbana costruita attorno ad infrastrutture, che soli “oggetti di architettura”. Si deve guardare alla città in modo più “integrato”, quando bisogna decidere cosa e dove costruire. Negli ultimi vent’anni c’è “un’eccessiva attenzione all’oggetto che viene insegnata e praticata nelle scuole di architettura senza capire il contesto”. L’ultima Biennale guarda i problemi concreti della società contemporanea, evidenziando le trasformazioni in atto e il ruolo futuro delle aree urbanizzate.

Burdett promuove un’“architettura democratica”, studiando il modo in cui “le nuove forme di progettazione urbana possono promuovere la giustizia e l’equità sociale”. I casi virtuosi qui testimoniati – dalla riqualificazione della bidonville di Caracas, alla riorganizzazione del traffico e degli spazi pubblici a Londra, all’edificazione della zona portuale come risorsa per le sue comunità a New York – pongono al centro la sostenibilità ambientale e sociale, l’interazione tra culture e il valore collettivo dell’architettura. Con la mappatura di 16 grandi aree metropolitane di 4 continenti – con foto, filmati, statistiche demografiche e topografiche, immagini satellitari, foto aeree e mappe morfologiche – l’esposizione delle Corderie costituisce il cuore della mostra. Le sale sono ordinate per continenti lungo l’asse centrale; tra una zona e l’altra vi sono aree tematiche su tendenze globali, mobilità, densità e luoghi pubblici, che danno un quadro comparativo sulla

dinamica del mutamento urbano. Se il 50% della popolazione mondiale vive negli spazi urbani (solo un secolo fa era il 10% e sarà il 75% nel 2050); se si moltiplicano le megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti; se le città assorbono il 75% dell’energia consumata nel mondo… La domanda è: come intervenire per creare un mutamento positivo? Si tratta di un a-priori di ogni intervento progettuale, se è vero che la responsabilità delle proprie azioni è direttamente proporzionale all’impatto che producono sulla realtà. E se le colpe di tanti cattivi interventi è motivo di biasimo, è altrettanto motivo di speranza il peso che l’architettura può avere nel miglioramento della vita dell’uomo. Come afferma Burdett, “la nostra era urbana è problematica e trabocca di sfide impellenti, ma anche promettenti, in quanto offre l’opportunità di ripensare i significati, le funzioni, le capacità e le virtù delle diverse forme e strategie urbane”.

Completano questa X edizione: la mostra a cura di Franco Purini, La città nuova. Italia-y-2026. Invito a Vema, città ideale pensata tra Verona e Mantova; il progetto Sensi Contemporanei, con le sezioni di Venezia, CIttà di Pietra, a cura di Claudio D’Amato Guerrieri e Palermo, CittàPorto, a cura di Rinio Bruttomesso (entrambe affrontano aspetti del tema città in relazione alle città del Sud Italia, una come restauro del paesaggio, l’altra nel rapporto tra le città e i loro porti). Ai Giardini, tra le proposte dei padiglioni nazionali, segnaliamo quella francese, giapponese e della Gran Bretagna che, in modi differenti, affermano la centralità della figura umana, il bisogno di creatività e immaginazione, come a dire che senza persone non ci sono città vivibili, ma mostri di cemento, come i palazzi descritti all’entrata del padiglione Italia, con muri che grondano sangue. Irina Casali


Pavia si è finalmente riappropriata dei propri spazi pubblici: un’imponente massa di 250.000 persone ha pacificamente invaso la città dal 6 al 10 settembre, durante i cinque giorni di eventi, convegni, conferenze, incontri culturali, mostre, laboratori, concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche e di videoclips, mercati a tema, degustazioni, visite guidate, presentazioni e altro, diffusi nei luoghi nodali del centro storico e culminati con la notte bianca: più di 90 iniziative proposte dalla prima edizione del Festival dei Saperi nell’ambito del programma triennale di Pavia Città Internazionale dei Saperi organizzato dal Comune e dall’Università di Pavia. Margherita Hack, Piergiorio Odifreddi, Carlo Alberto Redi, Edoardo Sanguineti, Arturo Carlo Quintavalle, Umberto Galimberti sono solo alcuni dei partecipanti. Vero e proprio “asse portante” della manifestazione sono il logo, l’immagine coordinata e l’allestimento urbano progettati da Italo Lupi, Ico Migliore e Mara Servetto. Il logo costituisce un omaggio a Erberto Carboni, antesignano negli anni ’40 e ’50 del linguaggio moderno della comunicazione visiva: la citazione della testa stilizzata in bianco e nero è stata rielaborata con un labirintico cervello, quale tributo ai “sapienti” di Pavia, ed animata dalla variabilità di sfere in cinque colori. L’immagine coordinata (manifesti, pubblicazioni, allestimento urbano, ecc.) prende l’avvio dall’uso del bianco e nero per arric-

Quale umanità? Un italiano su due crede che gli animali abbiano un’anima. Il 6° Festival Filosofia di Modena Carpi e Sassuolo (15-17 settembre) ha affrontato il rapporto tra umani e altri esseri, quando al confine tra uomo e animale si somma la nuova frontiera tra uomo “naturale” e “artificiale”. Se l’uomo non è più al centro della natura: com’è cambiato il rapporto con gli altri viventi? Vi

chirsi con l’articolato impiego dei cinque colori tematici – verde acido, blu viola, rosso magenta, arancio e giallo – e con l’uso del lettering vario e inaspettato. L’allestimento prevede due livelli di intervento: il primo di identificazione dei luoghi sede della manifestazione utilizzando l’installazione di bandiere monocromatiche basate sulla riproposizione del marchio quale fil rouge che si snoda tra i luoghi che ospitano i numerosi eventi in programma, dal Castello al Ponte Vecchio, passando per il Broletto, l’Università, il teatro Fraschini e la zona universitaria del Cravino. Il secondo livello, relativo all’integrazione ed alla comunicazione, è definito da grandi strutture segnaletiche che ospitano librerie di libero scambio (“bookcrossing”) posizionate nella zona centrale della città e pensate come punti di incontro e aggregazione tra i cittadini, il grande numero di studenti universitari e il pubblico internazionale presente per la manifestazione. Vittorio Prina hanno risposto l’antropologo P. Descola, allievo di Lévi-Strauss; padre E. Bianchi, esegeta biblico che sottolinea la condizione di creatura comune a uomini e animali; il sociologo B. Latur che vede la relazione tra uomini, piante e animali in un quadro ecologico-politico di doveri reciproci tra democrazia e scienza; il filosofo E. Bencivenga che mette in evidenza come l’umanità comprenda ogni forma di vita. H. Altan, biofisico, ha proposto

un’analisi comparativa sui paradigmi dell’origine della vita tra esegesi biblica e scienza. L’antropologo M. Sharis ha esaminato il rapporto tra razionalità e natura umana. Il filosofo T. Todorov ha riflettuto sul destino dell’umanesimo a partire dalla Shoah ed E. Balibar sugli “usi attuali“ del razzismo. Sui modelli femminili di Eva, Penelope e Pàrvati sono intervenuti R. De Monticelli, E. Canterella e G. Boccali. La filosofa Muraro si è soffermata sull’ordine simbolico della maternità. Sulla condizione umana, il concetto di persona e l’educazione dell’umanità hanno discusso R. Bodei, C. Wulf, V. Melchiorre e S. Natoli. Mentre S. Rodotà, S. Veca e C. Galli hanno trattato i diritti umani, tra universalismo e multiculturalismo. Il genetista L. L. Cavalli Sforza ha illuminato il rapporto tra evoluzione biologica e culturale. Trai i 180 appuntamenti, quasi tutti gratuiti: concerti, mostre, spettacoli, film e 7 menù filosofici per ripercorrere l’evoluzione dell’uomo, dalla caccia all’agricoltura. Al Campo di Fossoli –

Bologna città del libro d’arte Il cuore storico di Bologna ha ospitato dal 15 al 17 settembre 2006 la terza edizione di Artelibro – Festival del libro d’arte, che ha richiamato gli appassionati ed esperti del libro d’arte, da collezione e d’antiquariato. Dibattiti, incontri, presentazioni e letture, tutti ad ingesso libero, hanno accompagnato l’esposizione dei libri d’arte a cui hanno partecipato più di 200 editori e librai italiani e stranieri, nella cornice del Palazzo Re Enzo e del Podestà, ma anche nei musei, nelle biblioteche e in alcune sale prestigiose della città. Novità di questa edizione è stata la sezione dedicata al libro

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da cui partirono in 5 mila per i Lager nazisti – una mostra sull’uso mediatico della sofferenza umana. Un’immensa tela ispirata ai diritti dell’uomo è stata realizzata dal pubblico. Tra le novità i distributori automatici di “Paginette”, ovvero, libretti d’autore: al prezzo di un caffé si riceve cibo per la mente. Se avessero la stessa diffusione dell’espresso… I. C. da “collezione” e di antiquariato, ospitata dal Cortile dell’Archiginnasio e realizzata con la collaborazione dell’Associazione Librai Antiquari d’Italia. Il ricco programma culturale si è articolato in numerosi e diversificati filoni: antiquariato e bibliofilia, per approfondire il rapporto fra tutela del patrimonio librario e libertà di commercio; architettura, con dibattiti legati al tema della forma urbis nel terzo millennio, dei musei d’arte contemporanea e delle stazioni ferroviarie; arte antica e contemporanea; arte e comunicazione attraverso i media giornalistici e televisivi, con la presentazione del master in Management Culturale Internazionale promosso dall’Università di Genova; artelibro per i ragazzi con diversi laboratori creativi; binomi illustri tra personaggi noti di oggi che presentano pubblicazioni o conversazioni dedicate a personaggi illustri del passato; design, brevetti e collezioni; fotografia; iconografie e simboli artistici e religiosi. Anna Ramoni

OSSERVATORIO ARGOMENTI

Pavia: Festival dei Saperi


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La mente in festa a Sarzana Dal 1° al 3 settembre Sarzana ha ospitato la terza edizione del Festival della mente, il primo festival europeo dedicato alla creatività: 41 spettacoli, tra cui 9 per bambini, dislocati tra la fortezza Firmafede, il Teatro degli impavidi, il chiostro di S. Francesco e piazza Matteotti. La manifestazione diretta da Giulia Cogoli e Raffaele Cardone ha coinvolto scienziati, filosofi, attori, poeti, scrittori, musicisti e architetti, tutti invitati a raccontare il come e perché del processo creativo. A seguito della lectio magistralis di apertura dello scrittore Alessandro Piperno, che ha messo a confronto Primo Levi e Nabokov, ognuno dei protagonisti ha proposto un intervento ad hoc pensato per l’occasione ed è

Parolario06

poi rimasto agli incontri degli altri, dando vita ad una circolarità di esperienze e pensiero. Su questa contaminazione si basa la creatività. Come spiega l’organizzatrice, gli stessi protagonisti del festival diventano consulenti delle edizioni successive. Tra i partecipanti Michele de Lucchi che ha parlato di creatività senza nominarla mai, con la performance “Quando la si nomina svanisce”. Luciana Littizzetto ha svelato come nascono i suoi personaggi; il pianista e scrittore Stuard Jacoff ha spiegato il sistema equabile, un sistema di accordatura che ha fatto discutere Leonardo, Cartesio, Keplero e Bach; il neuroscienziato Giacomo Rizzolato ha illustrato la teoria dei “neuroni a specchio” che mostrano il legame tra azione e pensiero; il neurologo e chef Sanchez Romera ha chiarito l’influenza del colore nella scelta del cibo. Nadia Fusini, biografa di Virginia Woolf, ha raccontato cosa accade scrivendo una biografia, dove resoconto e scoperta di sé si sovrappongono; il matematico Piergiorgio Odifreddi ha letto brani da i Dialoghi sui massimi sistemi del Mondo di Galileo e il filosofo Duccio Demetrio, in compagnia di pochi eletti, ha passeggiato tra le colline per scrivere alla luce delle torce. Un’iniziativa che “fa pensare molto” – partita con 12.000 presenze, ne ha registrate 20.000 l’anno scorso e 28.000 quest’anno – se, come afferma l’assessore genovese Anna Castellano, “senza creatività le città non hanno futuro”. I. C.

Parolario è la manifestazione culturale che ormai da sei anni si svolge a cavallo dei mesi di agosto e settembre sulle rive del lago di Como, da cui deriva il gioco di parole del titolo: paro-lario. Quest’ultimo non è solo il titolo di una delle tante fiere del libro delle svariate città d’Italia, bensì anche il nome di un’associazione culturale cittadina. L’appuntamento di fine estate, da semplice mostra del libro, negli anni, ha sempre più rafforzato il suo carattere di incontro culturale e scambio tra le varie discipline “d’arte”; quest’anno il titolo della manifestazione era ambizioso: “Sguardi d’Europa”. Quale migliore occasione di questo luogo per riflettere sul rapporto tra la cultura mediterranea e quella transalpina. Gli appuntamenti che hanno costruito quest’asse ideale sono stati tantissimi. I temi sono stati quelli del racconto, della narrativa, poesia, cinema, musica e del pensiero; dal primo pomeriggio fino a notte inoltrata i vari luoghi ospitanti della città (Piazza Cavour, Broletto, Biblioteca Comunale, ed il Liceo classico) divenivano centri della divulgazione e a volte anche della discussione. Ma quest’anno si è voluto anche guardare all’Europa (quella geografica e culturale non quella politica); infatti alcuni incontri si sono svolti nella vicina città di

Cinque giorni per la letteratura Si è svolta dal 6 al 10 settembre la decima edizione del Festivaletteratura di Mantova, manifestazione ricca di proposte (più di 250) per tutti i gusti e tutte le età, per le vie e le piazze della città. Un grande successo di pubblico ha premiato questa decima edizione, con 60 mila biglietti venduti e 10 mila presenze agli eventi gratuiti. Incontri con autori, reading, spettacoli, concerti, visite guidate hanno coinvolto amanti della lettura e curiosi alla scoperta e al confronto con scrittori, musicisti ed attori. Per l’occasione sono stati messi a disposizione, oltre a quelli storici, anche nuovi spazi, tra cui palazzi monumentali e giardini privati, che hanno fatto da

Lugano, oltre confine a conferma del titolo scelto come la volontà di stabilire relazioni di conoscenza. Il tentativo è stato quello di presentare a noi cittadini un’Europa non politica ma culturale fatta di differenti saperi e di principi comuni, una terra attraversata da localismi espressivi, come alcuni poeti della nostra regione, fino a temi universali ed imprescindibili per ogni cultura come per esempio il tema trattato dal filosofo Carlo Sini riguardante il “Gioco del silenzio”. E da un gioco per grandi anche uno per bambini dal titolo a “Spasso per l’Europa”, un racconto per piccoli futuri abitanti. Il tema del futuro apre una finestra sul passato, l’incontro con Franco Cardini dal titolo “Le radici perdute dell’Europa”, ha trattato proprio questo argomento. La cultura europea vuole dire conoscere anche il territorio, un’incontro su questo tema è stato quello sull’ “Atlante delle Alpi, monumento naturale e morfologico del vecchio continente”. Ora l’appuntamento è rinnovato all’anno prossimo, nel frattempo abbiamo un anno di tempo per conoscere e riflettere su tutte le cose dette e sentite in questo appuntamento di parolario06. Francesco Fallavollita


letteratura, le letterature migranti, la cultura balcanica, la città e il rapporto tra centro e periferia, la guerra, i viaggi, le grandi questioni ambientali….

Il “mondo”di Eugenio Turri

A. R.

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Il senso della bellezza “Architettura di rara bellezza”, è il titolo e il tema del terzo Festival dell’Architettura (23 – 29 ottobre) che questo anno, diversamente dalle scorse edizioni, ha visto coinvolte non solamente la città di Parma ma anche Modena e Reggio Emilia. Un festival per così dire policentrico, che ha scelto di “riorganizzarsi” lungo il tratto occidentale della via Emilia concentrando le numerose iniziative in singoli punti strategici di ognuna di esse – scelti anche in funzione di una loro valorizzazione – in modo da garantire una facile e comoda accessibilità ad ogni singolo evento (ognuno dei luoghi è, infatti, raggiungibile in meno di venti minuti di treno e con una breve camminata). Secondo questa ottica cinque mostre si sono svolte al Foro Boario di Modena, cinque nei chiostri di san Domenico di Reggio Emilia e dieci nell’area Pilotta/Teatro Farnese – San Ludovico – Camera di Commercio a Parma. Carlo Quintelli, direttore del Festival, dice che lo scopo è mettere in risalto il ruolo della ricerca nel progetto di architettura. E la ricerca è appunto il tema intorno a cui si è organizzata anche questa edizione del Festival che, proprio per questo motivo, è nato e si è relazionato, in tutti i suoi

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diversi eventi e in tutte e tre le edizioni, con l’Università. Secondo questo obiettivo, le mostre sono state “progettate” a partire dalla precisa individuazione del tema da svolgere e tenendo sempre ben presente il carattere divulgativo che le stesse dovevano avere. Anche il tema che ha contraddistinto questa edizione ha inteso manifestare questa necessità di ricerca propria dell’architettura. La bellezza di cui si parla nel titolo, infatti, non è da intendersi in senso estetico (canone oggi continuamente evocato dalla committenza). La bellezza (concetto diverso da quello generico di bello) di cui si è voluto indagare il ruolo, è quella “civile” che permette la definizione dell’identità dell’architettura. Operazione questa che non può essere compiuta se non a partire da un lungo e faticoso processo razionale. Anche in questa edizione il Festival ha puntato, parallelamente all’architettura, sulla contaminazione fra le arti, chiamando quindi, ad esprimersi, filosofi, intellettuali, fotografi, e soprattutto artisti, in particolare, Claudio Parmiggiani, che, con una propria installazione, eseguita ad hoc, ha reinterpretato lo spazio del Teatro Farnese alla Pilotta. Martina Landsberger

“Dobbiamo cercare di salvare luoghi per mezzo di uomini, non salvare luoghi per mezzo di vincoli”, sono queste le parole pronunciate da Domenico Luciani, direttore della Fondazione Benetton, a conclusione del convegno dedicato alla figura di Eugenio Turri – “giornate di studio Eugenio Turri” – convegno tenutosi a Cavaion il 1° e 2 luglio scorso. Obiettivo degli organizzatori è stato quello di ricostruire da un lato il percorso scientifico e letterario di Turri, scrittore, esploratore e geografo, scomparso nella primavera del 2005, che ha, a lungo, vissuto a Cavaion, e dall’altro indagare lo stato in cui versa lo studio e la ricerca sul paesaggio e la sua conoscenza. Rendere consapevoli i singoli cittadini dell’importanza della salvaguardia del territorio e della natura, questo è stato l’insegnamento che Turri, con la sua lunga attività di pubblicista e di professore (ha insegnato Geografia del Paesaggio al Politecnico di Milano), di viaggiatore e di fotografo, ma soprattutto di cittadino, ha cercato di diffondere nella cultura del nostro Paese. Turri ha cominciato la propria attività negli anni Cinquanta come giornalista, “reporter”, inviato dal Touring Club Italiano

e come collaboratore di riviste culturali italiane fra cui il “Mondo” di Marco Pannunzio. Durante questi primi anni ha avuto la possibilità di individuare i temi che maggiormente lo avrebbero interessato: la forma della terra, la geologia, il cosiddetto “Terzo Mondo” con le sue popolazioni nomadi e i territori desertici, senza tralasciare l’attenzione per la propria terra d’origine che negli anni studia con grande attenzione dimostrando in tal modo un particolare radicamento al proprio territorio. Gli studi sul paesaggio veneto delle ville, luogo rimasto quasi intatto fino ad un secolo fa, e oggi completamente trasformato dall’urbanizzazione, e, fra l’altro, sua terra d’origine, sono un documento dell’attenzione che ha avuto per il territorio italiano. Al convegno hanno partecipato studiosi e colleghi, ma soprattutto “amici”, che, come si trovassero in una riunione informale, hanno cercato di mettere in luce le varie facce della ricerca di Turri e i suoi numerosi interessi, cosa che “sarebbe piaciuta ad Eugenio”, come ha sottolineato Albano Marcarini, urbanista milanese e coordinatore della mattinata del sabato. M. L.

OSSERVATORIO ARGOMENTI

cornice allo spettacolo della cultura e della letteratura. Oltre ai numerosi appuntamenti per bambini e ragazzi, eventi speciali sono stati dedicati a temi specifici: la cartografia, Dante, i film ambientati nei luoghi della


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sia metodologico che di ricerca; come un colto giocoliere di parole, ma intriso di senso reale, Acuto attraversa con la curiosità della conoscenza e l’esercizio del

Recupero del Museo della seta Sono iniziati a giugno i lavori per il recupero del Civico Museo della seta Abegg a Garlate. Il Museo, nato nel 1953 ad opera dei setaioli svizzeri Abegg, è un museo di archeologia industriale serica situato in una filanda degli inizi dell’Ottocento e donato al Comune nel 1976. La ristrutturazione dell’edificio, costituito da quattro corpi di fabbrica disposti a quadrilatero, è curata dall’architetto Glicerio Pontiggia e permetterà di ampliare lo spazio espositivo, passando da 390 a 1090 mq. Verranno ricavati, inoltre, un laboratorio didattico, una biblioteca tematica, un punto di ristoro e alcuni depositi. Il progetto riguarda anche un nuovo allestimento espositivo (per il quale non è però stato ancora individuato un progettista) per i 500 oggetti

F. F.

Fra le case di Le Corbusier

attualmente in mostra ed una nuova catalogazione per gli altri oggetti in deposito. La raccolta comprende macchine, oggetti e documenti sulla gelsibachicoltura, sulla prima fase di lavorazione della seta, sulla torcitura e sulle tecnologie seriche in uso dal XVII secolo ad oggi, in buona parte provenienti dalle stesse manifatture Abegg. A. R.

Ricerca progettuale di Antonio Acuto Presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, si è svolta, tra maggio e giugno, una mostra sul lavoro accademico, di ricerca e professionale dell’architetto e professore Antonio Acuto. Entrando nell’aula, il colpo d’occhio è dato dai grandi plastici che sono il frutto di un lavoro collettivo svoltosi in occasione di tesi di laurea e lavori di ricerca. Questi ultimi hanno come tema luoghi e città diverse: Mantova, Reggio Emilia, Parma e il polo universitario pisano, per citarne solo alcuni. Come disse lo stesso Antonio Acuto, in occasione di uno dei suoi densi e appassionati interventi pubblici, questa è la dimensione del “progetto inattuale”, di un progetto che crede e si “auto-alimenta” nel suo potere trasformativo a tutte le scale. Un progetto che parte dalle linee rotte della storia, dalle contraddizioni e dalle questioni reali, assumendole non come dati inequivocabili del progetto ma come pura materia da manipolare. Le scale di lavoro, per Acuto, sono una convenzione, semplicemente riducibili a fattori di comprensione e progettazione

contraddittorio ogni tema, vedendone il potenziale progettuale e la continuità del fare umano.

del mondo; lui stesso ha lasciato schizzi di studio – esposti nella mostra – dove sono tracciate triangolazioni a scala mondiale, immaginando i luoghi attraversati come possibili approdi della trasformazione e dell’uso umano; come nel caso della Città Ticino, compresa tra le Alpi e il Po, o il linguaggio della composizione architettonica, come nell’edificio pubblico di Sale Marasino del 2004, sul Lago d’Iseo. I prospetti di quest’aula testimoniano la sua sensibilità profonda verso la diversità e la costruzione di relazioni tramite l’architettura. “Relazioni”, la parola che più descrive il suo lavoro,

Il progetto di costruzione di una sorta di museo transnazionale dedicato agli edifici residenziali realizzati da Le Corbusier, tutelato dall’Unesco, si sta realizzando con l’apertura al pubblico della Maison Blanche o Villa Jeanneret-Perret e con quella della casa bifamiliare realizzata dal Maestro al Weissenhof di Stoccarda nel 1926-27, prevista per il prossimo autunno. Il 28 ottobre scorso, infatti, a La Chaux des Fonds, città natale di Le Corbusier, sulle montagne svizzere del Giura, dopo un restauro avviato grazie all’intervento dell’Association Maison Blanche (www.villa-blanche.ch) fondata nel 2000 appositamente per acquisire, restaurare e valorizzare la villa disabitata dal 1994 e messa in vendita, è stata aperta al pubblico la prima casa progettata e realizzata dal giovane Charles Edouard Jeanneret per i genitori. I restauri, realizzati tramite finanziamenti pubblici e privati, hanno mirato a riportare la casa e il giardino all’assetto originario degli anni 1912-19, e si sono occupati di predisporre alcuni locali interni all’edificio per l’esposizione e la consultazione di documenti relativi all’opera di Le Corbusier.

Analogamente si sta operando a Stoccarda dove lo spazio interno della casa di Rathenaustrasse 3 è stato in parte ricostruito secondo i disegni e la versione del 1927, mentre invece il secondo appartamento è stato destinato ad accogliere la documentazione relativa alla realizzazione della Weissenhofsiedlung. In questa sorta di itinerario fra le case di Le Corbusier è possibile inserire anche Villa la Roche, sorta di casamuseo, e l’attuale ricostruzione, nel parco della Triennale di Milano, del Cabanon che Le Corbusier progetta per se stesso sulle scogliere di Roquebrune Cap Martin. Minimo comune denominatore delle diverse iniziative è la scelta di un metodo progettuale basato, secondo Claude Prelorenzo, segretario della Fondation Le Corbusier, sul “rilievo e ridisegno dello spazio architettonico degli interni, assunti quali momenti fondamentali negli studi preliminari e attuati in diversi edifici attraverso un programma promosso dalla Fondation e coordinato da Bruno Reichlin”. M. L.


a cura di Roberto Gamba

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febbraio – giugno 2006 Il concorso di progettazione è stato promosso nel febbraio scorso da RFI (Rete Ferroviaria Italiana), la società dell’infrastruttura delle Ferrovie dello Stato, con l’obiettivo di riqualificare le arcate dei viadotti cittadini, fra cui quello in corso di realizzazione per il collegamento tra Milano Centrale e l’aeroporto di Malpensa e per individuare soluzioni per l’abbattimento del rumore e per un riuso degli spazi “disegnati” dal viadotto. La commissione che ha giudi-

cato i progetti, presieduta da Silvano Tintori, era composta da Mario Bellini, Mariano Cocchetti, Enrico Leopardi, Luca Lepore, Giovanni Oggioni, Bartolo Di Nuzzo. I 38 progetti giunti alla fase finale del concorso (su 99 iscritti) sono stati esposti, presso l’Urban Center di Milano, in Galleria Vittorio Emanuele. Oltre ai tre premiati, sono stati segnalati i progetti di Francesco Librizzi, con Aldo Turchetti, Massimo Tepedino; Alfonso Corredor, con Luisa Olgiati, Leonor Paredes, Roberto Cantucci.

1° classificato (foto 1-3) Gaetano Selleri (Milano), Raffaele Selleri, Benedetto Selleri collaboratori: Stefano Bianchi, Stefano Diene, Elena Guiscardo

Le barriere fonoassorbenti sono realizzate con manufatti di produzione industriale, con la parte inferiore cieca, la parte superiore trasparente. L’immagine complessiva della soluzione è quella di un frammento di “bastione”. Sotto i viadotti si sviluppa un sistema di spazi e percorsi, una galleria pedonale coperta, con volumi commerciali e attrezzature pubbliche (attività sportive, centro benessere, biblioteca, ristoranti). Lungo il viadotto si trovano parcheggi e una nuova darsena per il canottaggio, collegata col naviglio Martesana. La zona a sud viene collegata alla passeggiata lungo la Martesana tramite un nuovo ponte ciclopedonale.

Il fronte nord del viadotto viene trattato realizzando una controfacciata continua in mattoni, con un percorso di servizio in quota e fioriera sommitale. Al piede del fronte sud e ovest è previsto, invece, un ampio terrapieno, piantumato a prato e con essenze arbustive miste, digradante, contenuto da murature in c.a., con finitura in pietra naturale; sostituito, alle testate da un grande pergolato in ferro. 1

2° classificato (foto 4-6) Filippo Spaini (Roma), Carlo Margheriti La linea ferroviaria, con la costruzione delle barriere antirumore, assume dimensione fisica e ruolo urbano di grande struttura architettonica: se da un lato abbatte il rumore, dall’altro può creare un nuovo elemento di frattura. Si deve sviluppare il concetto di una barriera a pelle sensibile, modificabile dall’interazione con gli abitanti del luogo e con l’idea di offrire, più che un prodotto, un sistema tecnologico flessibile. È costituita da tre 4

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elementi: lo scheletro (struttura portante in acciaio) e il guscio (schermo acustico), parti rigide del progetto; la pelle, superficie esterna variabile, agganciata allo scheletro e alla struttura dei due viadotti. È possibile agganciare qualsiasi tipo di pelle al montante della barriera: vegetazione, membrane, elementi rigidi ed anche apparecchi di illuminazione. Il progetto propone un parco che riunisca in un unico paesaggio il viadotto, i negozi, le residenze, le preesistenze storiche, con le Arcate fulcro dello spazio pubblico centrale.

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Milano: concorso “Arcate di Greco” per riqualificare i viadotti ferroviari


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Riqualificazione di una piazza e della ex scuola elementare di Roccafranca (Brescia)

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3° classificato (foto 7-8) Ludovica De Falco (Roma), Alessandro Cambi, Francesco Marinelli, Paolo Mezzalana collaboratori: Alice Perugini, Justyna Morawska, Marco De Angelis La progettazione delle barriere antirumore, sui lati della ferrovia, è occasione per proporre un approccio metodologico ad un tema tecnologico specifico. Nell’estetica della città contemporanea, l’infrastruttura ha smesso di essere percepita come elemento negativo da tempo: le “arterie” stabiliscono relazioni dirette con gli spazi urbani. 7

Milano è storicamente composta di tracce: le mura difensive, il sistema dei Navigli, le infrastrutture dei primi del Novecento. L’idea del progetto è proprio di ricreare attraverso i segni e le geometrie elementari del sistema delle barriere fonoassorbenti uno spazio urbano di ricucitura dei vari elementi che lo compongono e del tessuto circostante. Il luogo viene ridisegnato attraverso un sistema di spinte, pressioni, che modificano la percezione dell’ambiente, reinventando i rapporti di scala, in un dialogo contrastato con la natura e l’architettura preesistente.

dicembre 2005 – marzo 2006 Obiettivo del concorso di idee è la riqualificazione della piazza Europa di Roccafranca, dell’attuale sede municipale, da destinare a sede delle associazioni, biblioteca e informagiovani e la riqualificazione dell’area dell’edificio ex scuola elementare, da destinare a nuova sede municipale, con realizzazione di attività commerciali (residenziali – viabilità e connettivo). Le ipotesi progettuali dovevano fornire indicazioni distributive, tecniche ed architettoniche, affrontando in particolare le problematiche del mantenimento della distribuzione attuale delle vie e della piazza, con eventuale diversa regolamentazione del traffico veicolare; l’uso polifun-

zionale (mostre – incontri – spettacoli – eventi); l’adattamento dell’attuale sede municipale come sede di associazioni, biblioteca e informagiovani; la nuova sede municipale (con salvaguardia della struttura attuale adibita ad ex scuola elementare o con eventuali demolizioni); la realizzazione di un’area destinata ad attività commerciale residenziale; qualità funzionale e rappresentativa dell’insieme e delle singole componenti; la riduzione e razionalizzazione dei costi gestionali dell’intervento. L’importo dei premi era di 3.000, 2.000 e 1.000 euro. La Giuria era composta da Umberto Antonelli, Vincenzo Campiotti, Ercole Grisoli, Giovanni Paneroni, Angelo Venturini.

1° classificato (foto 9-11) Tullio Lazzarini (Chiari – Bs) Antonio Ceribelli, Ercole Fanottoli, Francesco Zorzi, Claudio Longinotti

la elementare, il progetto prevede la creazione di una nuova piazza porticata ad est, nella quale accogliere tutte le funzioni permanenti (il municipio, i negozi, il bar, le residenze) e temporanee (il mercato settimanale all’aperto). Il nuovo edificio municipale prevede, a piano terra uffici; al secondo piano la sala polivalente per conferenze e sala consiglio. Il bar e la sovrastante terrazza conglobano il serbatoio dell’acquedotto, sulla cui copertura si prevede un giardino pensile. Il corpo delle case a schiera s’incastra nel corpo di costruzione del municipio.

Il progetto mira a formare due spazi antistanti gli edifici pubblici, con caratteristiche di unico spazio, attraversato dall’attuale via S.S. Gervasio e Protasio. La strada rimane quindi nella sua attuale sede, ma viene rialzata a livello dei due spazi. In piazza Europa, l’attuale sede municipale viene ricondotta all’originaria configurazione a verde. Con la demolizione della scuo9

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3° classificato (foto 14-15) Società Europroject (Bagnolo Mella): progettisti Guido Rossini, Tarcisio Alduini, Marco Bonera, Alessandro Gambaretti, Pierluigi Marchesi, Giuseppe Garatti

2° classificato (foto 12-13) Micaela Bonomessi (Milano) L’ex municipio, che verrà destinato a biblioteca e a sede per le associazioni, si colloca in modo frontale rispetto all’edificiocorte, destinato a residenza e al commercio. Il nuovo municipio è posizionato tra gli altri due, in modo da completare il recinto della corte. Ad enfatizzare e definire la corte, sono stati pensati dei murirecinto, costruiti in mattoni facciavista, in cui si inseriscono, nascono e addossano il municipio e l’edificio commerciale e

residenziale; alcuni setti murari generatori della piazza e dei fabbricati fuoriescono da detto “muro-recinto”. Il linguaggio architettonico che unisce i tre elementi principali è la compenetrazione di elementi vetrati; l’incastro di volumi liberi vetrati con una parete materica costituisce una costante all’interno del progetto. La piazza è organizzata a partire dai setti murari degli edifici, che prolungandosi vanno a generare le linee guida della pavimentazione, dei cambi di livello, della presenza dell’elemento acqua.

Il progetto prevede la creazione di una grande piazza, porticata sui tre lati chiusi. Perimetralmente verranno realizzati la nuova sede del Municipio, l’area commerciale e la sala civica polifunzionale. Verrà posta al vertice della piazza una nuova torre civica con fontana, utilizzabile per le comunicazioni e gli avvisi.

Il nuovo municipio sarà su tre livelli, di cui due fuori terra, con porticato antistante a doppia altezza e copertura a doppia falda in lastre di rame. Sarà realizzata una porzione di volume con destinazione commerciale, ad un piano, con copertura a falda unica inclinata, avente la parte più alta rivolta verso la piazza e con un porticato, che si collegherà alla torre civica e al rimanente portico. Sul terzo lato, il progetto prevede un nuovo corpo destinato a sala polifunzionale. L’unico blocco della residenza prevede quattro piani di cui tre fuori terra, con 21 appartamenti.

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a cura di Antonio Borghi

foto: Gerald Bruneau – Agenzia Neri

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Intervista a Gae Aulenti Fin dagli anni di formazione al Politecnico di Milano Gae Aulenti si è trovata al centro del dibattito architettonico internazionale e la sua attività progettuale si è applicata all’architettura, al design, alla scenografia teatrale e all’allestimento museale con lo stesso impegno. Per questo mi pare utile iniziare ricordando il periodo trascorso nella redazione di “Casabella” diretta da Ernesto N. Rogers. Dopo i primi numeri di “Casabella” diretti da Rogers – dove Gregotti era redattore – mi fu affidata l’impaginazione della rivista. Essendomi da poco laureata in architettura non potevo farmi sfuggire l’occasione di partecipare al dibattito che aveva luogo in quella redazione dove ogni giorno si riunivano i professionisti e gli intellettuali più in vista del dopoguerra. Accompagnavo il lavoro grafico alle letture e alle riunioni di redazione. L’impaginazione per me era un pretesto, ma nel tempo si rivelò un tema centrale, oggetto di molte discussioni cui partecipava tutto lo staff. Infine la grafica che proponevo ebbe un riscontro positivo, sia all’interno della redazione che da parte dei lettori e per me era occasione di studio dell’architettura, quindi lo ricordo come un periodo di grande soddisfazione.

Nella sua monografia (a cura di Margherita Petranzan ed edita da Skira-Rizzoli) una sezione di progetti è dedicata alle categorie di erranza e radicamento, tema molto attuale nella società nomade di oggi. Il mio studio è in piazza San Marco da trent’anni e prima stavamo in via Annunciata, per cui sono molto legata a questa zona di Milano. Per motivi professionali invece sono nomade da molti anni, anche perché molti dei nostri lavori sono acquisiti per concorso e in Italia di concorsi per molto tempo ce ne sono stati pochi. Così mi sono trovata a lavorare a Parigi, a Barcellona, a San Francisco e anche adesso stiamo lavorando per concorsi internazionali all’estero. Mi piace lavorare in paesi lontani, mi piace partire e poi mi piace ritornare. In trent’anni che lavora in questa zona avrà visto molti cambiamenti. Come trova oggi il suo quartiere? Trovo che siano cambiate più le persone che non il quartiere in se. C’è molta più gente, soprattutto giovani e quindi c’è più vivacità rispetto a venti o trenta anni fa. Ma è una vitalità diversa da quella che ho vissuto nella mia giovinezza, quando frequentavo le lezioni all’Accademia di Brera mentre studiavo architettura al Politecnico. Allora si avvertiva una forte tensione culturale, e al bar Jamaica si incontravano Emilio Tadini, Piero Manzoni e molti altri giovani artisti e architetti. C’era meno gente, meno locali pubblici e meno giovani che venivano per passare del tempo libero, mentre oggi c’è uno stare insieme principalmente legato al tempo libero. Nel 2000 l’inaugurazione di piazza Cadorna fu accolta da opinioni discordanti: apprezzamenti per il linguaggio architettonico, critiche per un intervento che era sembrato calato dall’alto in un contesto irrisolto dal punto di vista urbanistico. A distanza di qualche anno come sente questa piazza quando la attraversa? Gli aspetti più importanti di questo progetto sono due: aver ristabilito la continuità del Foro Bonaparte rispetto

alla condizione di svincolo automobilistico cui era stata ridotta la piazza e l’aver ricollegato via Carducci con via Mengoni, ripristinando l’antico asse che portava al Castello. Le maggiori critiche erano rivolte alla conduzione del traffico che ne sarebbe risultato ostacolato, mentre invece è stato riordinato con un disegno che tiene conto dell’impianto urbano originale. Tra l’altro Cadorna era stata oggetto di vari studi e progetti che prevedevano il riordino e la copertura delle Ferrovie Nord, cui invece non si è potuto procedere; quindi il nostro è stato un intervento parziale. Il programma prevedeva il riordino dello snodo infrastrutturale – che coinvolgeva metropolitana, ferrovia, mezzi pubblici di superficie e traffico veicolare – e la nuova sistemazione delle attività commerciali fino ad allora ospitate in baracche disordinate. Era inoltre prevista l’istallazione di un’opera d’arte e per questa ho pensato a Claes Oldenburg che ha lavorato a grande scala in molte città europee ed americane riuscendo a coglierne lo spirito. Per questo mi sono consultata anche con Germano Celant che ha invitato Oldenburg a Milano e al quale, a seguito di un sopralluogo, indicai il punto dove a mio parere doveva sorgere l’opera. Così è nato “L’ago e il filo” che mi sembra un’opera ben riuscita e non smette di far discutere di sé. La scultura di Oldenburg allude all’importanza della moda nella città di Milano. Al contrario le sue architetture hanno una solidità e stabilità che le rivela totalmente indifferenti allo scorrere delle mode. Sono convinta che tra moda e architettura non ci debba essere un rapporto troppo stretto. Allo stesso modo ritengo che la cultura dell’effimero, quella che io chiamo la “civiltà dei gazebo”, sia tra i fenomeni più dannosi e volgari per la città. L’invasione della città da parte di strutture temporanee è come riempirla di spazzatura. Gli allestimenti temporanei permettono di effettuare sperimentazioni che difficilmente si possono fare nella progettazione architettonica. Lei ad esempio si è occupata spesso di scenografia: che rapporto c’è tra architettura e scenografia?

Sono due categorie completamente differenti, non solo perché una è duratura e l’altra invece non lo è, ma soprattutto per il rapporto che la scenografia deve instaurare con il testo. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare più volte con Ronconi, che ritengo il maggior regista italiano, ma anche con Costa Gavras e con musicisti come Berio e Stockhausen e ogni volta i testi letterari o musicali si sono rivelati ricchissimi di spunti progettuali. Progettare una scenografia significa far emergere dal testo le sue suggestioni – con un lavoro analitico in qualche modo simile alla fondazione di un edificio – e dar loro forma. Alla fine il lavoro sulla parola scritta ha molto arricchito il mio vocabolario architettonico, rendendomi più consapevole dei mille significati che può avere una porta, una parete, un colore o una luce. Una parte consistente della sua attività è dedicata all’allestimento museale che potrebbe rappresentare un trait d’union tra il lavoro di architetto e quello dello scenografo. Non sono d’accordo, anzi, mi pare evidente che l’architettura di un museo e l’allestimento di una mostra temporanea siano due cose molto diverse tra loro. Nel caso di una mostra temporanea bisogna illustrare un punto di vista particolare, il più delle volte risultato di un lungo lavoro di ricerca, valorizzando in modo specifico materiali inediti o che comunque vengono interpretati in modo inedito. L’allestimento deve dare il maggior risalto ai temi dell’esposizione e con questo esaurisce il suo compito, tenendo conto della sua durata limitata. All’opposto un museo è una vera e propria architettura, che instaura un rapporto durevole con il luogo in cui sorge e con la collezione che dovrà ospitare. Nel suo lavoro questo atteggiamento si rispecchia in allestimenti museali molto solidi e “architettonici”, che non hanno niente di effimero. Cosa direbbe a chi afferma l’obsolescenza del museo come contenitore di arte e cultura, a chi lo vede come una istituzione vecchia ed inutile?


Marc Augè ha affermato in una recente pubblicazione che i musei della contemporaneità sono come le agenzie di viaggio, intendendo forse che la facilità degli spostamenti e il diffondersi del turismo ha trasformato tutto il mondo in una grande esposizione. Se vogliamo prendere in considerazione questa metafora dobbiamo comunque tener conto come nelle mappe del turismo i musei abbiano grande importanza, al pari delle bellezze naturali, dei tesori archeologici o delle attrezzature per il divertimento. Il museo resta comunque un luogo di elaborazione fondamentale per l’evolversi di ogni identità culturale. Tra i suoi allestimenti più recenti c’è stato quello della mostra Arte-Architettura curata da Germano Celant a Genova. Non è questa la sede per affrontare un tema così ampio, ma le vorrei chiedere come è arrivata alla decisione di dipingere le volte del seminterrato di Palazzo Ducale con una vernice color argento? Ci siamo trovati di fronte a una condizione architettonica molto difficile: ambienti bassi, appena ristrutturati e non ancora pronti ad accogliere una esposizione. Per questo abbiamo creato delle contropareti sulle pareti laterali e attorno ai pilastri per il passaggio degli impianti, mentre le volte dovevano essere libere. Per alleggerirle potevo usare un grigio qualsiasi, invece ho preferito il grigio argento, anche perché gli intonaci erano tutti nuovi, non c’erano affreschi né vincoli di alcun tipo e alla fine il risultato mi è sembrato soddisfacente. Celant ha dato una originale definizione dei suoi allestimenti museali che mi pare sia

valida anche per il suo lavoro di architetto: “Le architetture museali ed espositive di Gae mi appaiono come strumenti di riflessione sugli effetti di senso sia dell’arte sia dell’architettura. Funzionano da immagini di ribaltamento, quanto da condensazione delle fluttuazioni visuali e spaziali, creano un nucleo comprensivo che funziona da specchio, (...) esalta il senso quanto il nonsenso di un’esposizione come di un edificio. Un sapere architettonico che non crede nell’assoluto, ma nella circolarità critica”. Si riconosce in queste affermazioni? Prendiamo ad esempio una esposizione temporanea dove il luogo è solo un pretesto, mentre ciò che conta è il contenuto dell’esposizione. In questo caso è la museografia ad assumere la massima importanza: la sequenza espositiva dei materiali, le relazioni che si creano tra loro e con il contesto fisico contingente. Questa relazione è strettissima ed è per questo che noi per prima cosa disegniamo in scala ogni oggetto che farà parte dell’esposizione. Lo scopo di un allestimento temporaneo è impregnare uno spazio neutro, per un periodo di tempo limitato, del contenuto critico di quella mostra. Forse è questo il lavoro cui si riferisce Celant quando parla di “immagini di ribaltamento” e sono d’accordo quando dice che in un allestimento è necessario ”esaltare sia il senso che il non senso”. Io la definirei una particolare forma di realismo dei suoi progetti. Un realismo caratterizzato dalla riflessione del contesto e del programma all’interno del progetto stesso, nel bene e nel male, il contrario della citazione. Prendiamo ad esempio alcuni importanti spazi pubblici: piazza Cadorna è un collage di forme, materiali e stili diversi che rispecchiano le dissonanze del pluralismo milanese; la sistemazione della piazza antistante la Stazione Leopolda e il nuovo accesso alla Stazione di Santa Maria Novella hanno un equilibrio classico e un po’ rustico di carattere toscano, mentre le stazioni della metropolitana di Napoli in piazza Dante e piaz-

za Cavour interpretano con forza il calore, la luce e la densità di quella città. Questi esempi non sono veramente così diversi tra loro, se teniamo conto che sono i terreni di fondazione che determinano le modalità di apparizione della nuova architettura, dalla morfologia alla scelta dei materiali. A me non interessa l’architettura tecnologica che ripropone in ogni situazione gi stessi materiali “d’avanguardia”. Preferisco sperimentare con materiali che mi vengono suggeriti dal luogo, sulla base del lavoro analitico che è sempre necessario prima di affrontare qualsiasi tema. Il progetto finale è assimilabile ad una sintesi, che convive nel progetto con il momento dell’analisi. Sono due passaggi necessari dai quali risulta il progetto. Nel mio studio ogni progetto è uno sforzo considerevole, perché ogni volta ricominciamo da capo e se qualcuno ritrova caratteri simili e costanti nei miei lavori, questo non è voluto. Ho sempre evitato la costruzione di un vocabolario, non voglio che i miei lavori siano riconoscibili. Parliamo di uno dei suoi progetti più recenti: il Palavela di Torino. Immagino sia stata un’esperienza diversa da quelle museali oppure dei progetti urbani di cui abbiamo parlato. In questo caso i tempi erano molto stretti e l’arrivo delle Olimpiadi avrà creato grandi tensioni. Il Palavela doveva essere consegnato un anno prima delle Olimpiadi, perché vi si tenevano i mondiali di pattinaggio, che sono stati anche un rodaggio e una messa a punto dell’impianto. Il tema del concorso si è rivelato particolarmente difficile fin dall’inizio. Si chiedeva che dopo la ristrutturazione la struttura potesse ospitare diecimila persone, ma questo era fisicamente impossibile. Quindi abbiamo dovuto costruire un edificio completamente nuovo sotto la vela, senza toccarla, ma essendone fortemente condizionati nella geometria e nelle dimensioni. Il Palavela è il primo impianto di questo tipo che non è non simmetrico secondo i due assi, e aveva molti altri vincoli che hanno reso molto difficile la progettazio-

ne, ma allo stesso tempo hanno anche conferito allo spazio interno una ricchezza che gli altri palazzetti dello sport non hanno. Inoltre il fatto di costruire sotto una copertura esistente poneva dei limiti rispetto alla definizione dei volumi, che non ricevendo la luce e le sue ombre, abbiamo voluto sottolineare con il colore. Non le piacerebbe trasmettere agli studenti delle scuole di architettura queste sue esperienze? All’inizio della mia carriera ho lavorato anche in Università: prima come assistente di Samonà a Venezia, poi di Rogers a Milano. Quando Rogers ci ha lasciato alla fine degli anni Sessanta, ci fu una specie di censimento al Politecnico per cui bisognava dichiarare se si aveva intenzione di dedicarsi alla professione o all’insegnamento. Io decisi di dedicarmi alla professione e negli anni a seguire mi sono attenuta a questa decisione. Quasi tutti i miei colleghi di allora dichiararono invece di voler proseguire nella carriera accademica e proseguirono tranquillamente a fare entrambe le cose. Ogni tanto qualche collega mi ha chiesto di assumere una cattedra: me lo chiese ad esempio Moneo quando era direttore della Scuola di Architettura di Harvard e ne fui lusingata, ma non ho mai avuto la tentazione di cambiare mestiere. Certamente mi piace fare conferenze nelle varie università, nei centri culturali e sono stata Visiting Professor un po’ in tutto il mondo. L’insegnamento secondo me è una alternativa alla professione, non è conciliabile all’attività di progettista e alla conduzione di uno studio. Nonostante i numerosi e prestigiosi incarichi il suo studio ha mantenuto negli anni una dimensione abbastanza ridotta, direi quasi artigianale. Non ho mai voluto ingrandire lo studio oltre questa misura perché non ho voluto diventare una manager. Io voglio disegnare e mi sono organizzata di conseguenza: ho una efficiente rete di ingegneri e consulenti specializzati con i quali ho accumulato molte esperienze di collaborazione, soprattutto nei grandi progetti, sia in Italia che all’estero.

33 OSSERVATORIO CONVERSAZIONI

Un museo è inutile se è concepito nel modo sbagliato, come purtroppo fanno anche alcuni colleghi. Un museo non è un contenitore, ma il luogo che ospita una collezione e il lavoro di restauro e conservazione che l’accompagna insieme alla riflessione critica sulle opere. In questo senso il museo è un luogo di produzione dal quale emergono visioni critiche sempre nuove.


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La distinzione della qualità Nicholas Adams Skidmore, Owings & Merril, SOM dal 1936 Electa, Milano, 2006 pp 340, € 100,00 Se il John Hancock di Chicago è la copertina, la prima foto aprendo il libro ritrae persone affacciate ai solai del cantiere della Chase Manhattan a New York, 1959. Il soggetto dell’immagine sono, assieme, gli innumerevoli artefici e l’edificio nella sua nuda struttura. Sulla pagina di fronte leggiamo: “Questo libro è dedicato a coloro che hanno scavato le fondazioni, incollato le scritte sui disegni, tagliato la balsa dei modelli, messo a punto il software dei computer, e i cui nomi non trovano posto in un lavoro del genere (...) studiare SOM ci obbliga a ricordare che la realizzazione dell’architettura si fonda sul lavoro di squadra, sulla cooperazione istituzionale e sulla continuità fra generazioni di architetti”. Non avremmo potuto attenderci di meglio per cogliere il senso del lavoro collettivo, non solo la divisione del lavoro organizzata nella produzione del più grande studio del mondo. Questo studio esemplare su

SOM esce in un (lungo) momento dell’architettura del nostro Paese che ci vede impegnati a riconoscere il cambiamento in atto nel mestiere. Un tempo in cui è sempre più necessario rendersi conto della propria condizione, riflettere sui modi di produzione del progetto e dell’architettura. Dopo Albert Khan, Perret e Pouillon, è forse giunto il momento di comprendere anche altre esperienze contemporanee e confrontarsi con esse. Nicholas Adams si fa carico di una scelta di 27 opere su 10.000 prodotte tra il 1946 e il 1990. Una scelta ben situata nella tradizione aperta dalla mostra sull’architettura americana del MoMA di Hitchcock e Drexler del 1952, in cui di SOM compaiono la Lever House e un bel complesso residenziale di Oack Ridge accanto alle opere dei Maestri – FLW e Mies per tutti – e di altri come Abramovitz, Belluschi, Eames, Soriano, ecc. Qui Johnson affermava che “l’architettura moderna ha raggiunto la maturità” e che essa è ora “semplicemente la continua, cosciente, risoluta distinzione della qualità dalla mediocrità”. È proprio questa “maturità” che Adams mette in rappresentazione nel suo costante dispiegarsi in 45 anni, indagando nel lavoro collettivo, interrogando le opere alla ricerca del carattere dello studio e dei

profili dei progettisti. Un dispiegamento che sarebbe ben altra cosa se mettessimo banalmente in serie i volumi dei decennali della produzione di SOM. Giulio Barazzetta

Un fare (in)attuale Paolo Marconi Il recupero della Bellezza Skira, Milano, 2005 pp. 178, € 29,00

L’utilizzo del termine “bellezza” – sospeso tra etica ed estetica dell’operare e del mestiere – porta ad aprire una consistente serie di questioni legate alla condizione attuale dell’architettura. Parlare di recupero della bellezza, porta a renderci conto di quanto i nostri paesaggi abbiano subito i graffi continui della speculazione, di politiche sbagliate e dell’incompetenza dei tecnici. Paolo Marconi è una figura che potremmo definire inattuale: di quelle che oggi scarseggiano in nome della vanità e dell’autoreferenzialità. Storico dell’architettura prima ancora che architetto, egli mostra abilmente in questo suo ultimo lavoro come solo un solido impianto culturale debba essere considerato l’efficace strumento del saper fare e dell’operare nei contesti storici, con la consapevolezza della necessità di cogliere opportunità di recupero senza cadere nella naïveté di un conservazionismo immobilizzante e a tutti i costi. Il modo di Marconi

di rapportarsi con la storia delle città e degli edifici non fa altro che confermare una dichiarazione corbusieriana: “confesso di aver avuto un solo maestro; una sola disciplina: lo studio del passato”. E infatti, gli strumenti che l’autore usa sono quelli antichi: l’osservazione del fenomeno, il disegno come scrittura della memoria e la filologia come scoperta. Il volume si compone di varie parti che insieme danno luogo a uno sfaccettato spaccato della disciplina: a partire dalla bellezza dei paesaggi si arriva a una panoramica sulle concezioni del restauro in Italia e nel mondo e a un possibile scenario su chi saranno i futuri abitanti dei nostri borghi passando attraverso temi come la filologia, il falso d’arte ed architettura e su come il mestiere del restauratore, in realtà, non sia altro che un modo possibile di essere, in primis, architetti. Il tutto è nutrito da numerose immagini, interessanti disegni e rilievi, e da numerosi esempi. Si tratta, secondo Marconi, di riscoprire l’altezza della disciplina investendo di progettualità colta anche l’attività di recupero e capire l’urgenza di ristabilire quella tèchne greca propria dell’architettura anziché lasciare posto a quello che Enzo Mari definisce il cretinismo della creatività. Carlo Gandolfi

In viaggio con Montalbano AA. VV. I luoghi di Montalbano. Una guida Sellerio, Palermo, 2006 pp. 286, € 14,00 Cinque giovani architetti siciliani, appassionati di Andrea Camilleri, si sono divertiti a ricercare e ripercorrere i territori in cui sono ambientati i romanzi che hanno come protagonista il celebre commissario Salvo Montalbano. Il frutto della loro indagine è questa coinvolgente “guida” ai luoghi reali/immaginari di cui lo scrittore siciliano dissemina i suoi libri, angoli di Sicilia celati e trasfigurati dalla penna di Camilleri, ma tutti riconducibili alla realtà della provincia di Agrigento.


Anna Ramoni

Governo del territorio lombardo Pierluigi Nobile, Fortunato Pagano (a cura di) Lombardia. Legge per il governo del territorio. L.R. 11 marzo 2005, n. 12 Il Sole 24 Ore, Milano, 2006 pp.178, € 25,00 (con CD-Rom)

In assenza di una riforma urbanistica a livello nazionale, molte regioni, già dagli anni Ottanta, hanno cominciato a produrre una propria legislazione. Attualmente la produzione giuridica regionale attraversa una fase di revisione di alcuni dei testi precedentemente emanati per redigere corpi normativi che si allineano ai contenuti più recenti emersi nel dibattito urbanistico, con riferimento, in particolare, a talune proposte avanzate negli anni Novanta dall’Istituto Nazionale di Urbanistica. I temi che caratterizzano la nuova produzione normativa sono, da una parte, l’adesione al modello di pianificazione urbanistica costituito dalla relazione tra piano strutturale e piano operativo, dall’altra il ricorso ai criteri della perequazione e compensazione con l’obiettivo di raggiungere una dotazione di aree pubbliche che i comuni possano utilizzare nella realizzazione di servizi. Questi aspetti hanno ispirato le novità sostanziali della nuova Legge lombarda per quanto attiene al profilo dell’inedito strumento urbanistico, il Piano di Governo del Territorio e i suoi rapporti con gli altri strumenti della pianificazione attuativa. Altre problematiche sono state prese in considerazione e hanno trovato un’aggiornata definizione nella Legge: si è delineata una nuova disciplina degli standard e del Piano dei servizi, si sono rivisti i rapporti tra pianificazione comunale e altri livelli di pianificazione, si è valorizzata la programmazione negoziata, è stata sancita la valutazione ambientale dei piani, si è introdotta una nuova concezione delle aree agricole nella pianificazione territoriale. La regolazione normativa ha interessato anche la Denuncia di Inizio Attività. Questo volume nasce con l’intento di offrire una traccia per

Manuela Oglialoro

Il lago e le sue descrizioni Maria Elisabetta Dulbecco Luino e il suo lago Unicopli, Milano, 2006 pp. 144, € 10,00 Il piccolo libro appartiene alla collana “Le città letterarie”, diretta da Alberto Giorgio Cassani e Marco Vitale per l’editore Unicopli, di cui costituisce il ventisettesimo titolo. L’indagine del campo fra letteratura e città è sempre utile, anche dal punto di vista dell’architettura, poiché consente di ritrovare nella descrizione letteraria alcune questioni che riguardano il progetto del territorio e della città. La letteratura ha quasi sempre la necessità di definire un ambito spaziale nel quale far svolgere le vicende narrate, altre volte è la stessa

descrizione di un territorio a diventare l’oggetto della narrazione, come ad esempio nelle descrizioni di viaggio. Da tutte queste descrizioni derivano sistemi di rappresentazione del territorio e della città che, pur rimanendo ancora nell’ambito della letteratura, hanno un alto interesse per l’architettura proprio perché essa può confrontarsi, nella direzione del progetto, con gli stessi temi che emergono da quelle pagine. In questo senso, dal libro di Maria Elisabetta Dulbecco risultano evidenti alcune chiavi di lettura dell’opera di Piero Chiara che corrispondono a importanti temi descrittivi del territorio del Lago Maggiore: il ruolo geografico dell'acqua, la forma della costa, la casa come elemento di osservazione del territorio, il segno caratterizzante delle infrastrutture, il valore urbano di alcuni particolari spazi pubblici. Per Chiara, con una intenzionale limitazione del campo di descrizione, il lago e Luino diventano allora “misura del mondo, parametro per conoscere e capire ciò che si svolgeva altrove”. Paesaggi che costantemente ripropongono anche l'inevitabile rapporto con la città – che sia Milano o Parigi – considerata come necessario complemento della “provincia”, sia dal punto di vista della vita sociale che da quello dell’architettura e del territorio. Senza uno sguardo urbano è infatti forse impossibile riguardare al territorio contemporaneo cogliendone le bellezze, ma anche i contrasti. Il territorio, attraverso la letteratura, ancora una volta sembra dunque proporre utili confronti per il progetto, attività fondata sull’analisi e quindi sulla descrizione dei luoghi. Maurizio Carones

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Otto itinerari, uno per ciascun romanzo di cui è protagonista il funzionario di polizia (La forma dell’acqua, Il cane di terracotta, Il ladro di merendine, La voce del violino, La gita a Tindari, Il giro di boa, La pazienza del ragno), conducono alla scoperta di vicoli, piazze, ville e bar della Vigata e Montelusa letterarie (in realtà Porto Empedocle ed Agrigento), in una sorta di atlante, con tanto di fotografie e mappe, che tiene insieme realtà e finzione. Alcune schede descrivono molti dei luoghi evocati dai romanzi: strade, abitazioni, edifici pubblici, piazze, trattorie, ma anche spiagge e panorami che fanno da sfondo ai delitti e successive indagini del commissario, coinvolgendo il lettore nell’atmosfera poliziesca delle sue avventure. Non manca, infine, una sezione dedicata ai luoghi della fiction televisiva, che è però ambientata nel ragusano, in un’area di grande pregio paesaggistico e culturale (è patrimonio dell’Unesco), ma forse troppo “patinata” per il commissario Montalbano, che vive in una terra brulla, aspra, spesso ferita dall’abusivismo. Nata come guida ai luoghi letterari, dunque immaginati, nel suo rintracciare i toponimi veri sotto quelli falsi, diviene, quindi, una guida al paesaggio reale della Sicilia sud-occidentale in cui Camilleri è nato.

la conoscenza critica della nuova Legge lombarda, altresì vuole costituire una guida per orientare amministratori e professionisti nello sviluppare le potenzialità del nuovo strumento. Gli argomenti trattati si riferiscono alle parti del dettato legislativo che illustrano le norme urbanistiche e le funzioni relative alla programmazione e pianificazione territoriale, non affrontando direttamente le disposizioni contenute nel testo di legge, rispetto all’attività edilizia, ai beni paesaggistici e alla pianificazione paesistica. Alcuni dei materiali raccolti sono stati presentati nell’ambito di un corso di aggiornamento sui contenuti della Legge 12/2005 organizzato dala Sezione lombarda dell’INU nella primavera del 2005.


a cura di Sonia Milone

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Alberti a Mantova Leon Battista Alberti e l’architettura Mantova, Casa del Mantenga 16 settembre 2006 – 14 gennaio 2007 La mostra Leon Battista Alberti e l’architettura in corso a Mantova chiude, con un approfondimento sulle architetture costruite, il trittico delle mostre (le due precedenti sono state La Roma di Leon

ticolazione sintattica del precedente disegno di Michelozzo). Ad ogni ambiente le emozioni della scoperta, del ritrovamento e della possibile perdita definitiva dell’architettura (la distruzione bellica del Tempio Malatestiano) si susseguono, travolgendo le diverse interpretazioni e divenendo infine esortazioni al dialogo con l’antico nell’operare presente. Il catalogo (tra gli altri, il saggio di Frommel sul S. Andrea) restituisce uno stato antologico, necessariamente parziale e da ridiscutere, degli studi storici sull’opera del grande architetto, la cui evocata presenza s’impone, infine a noi, attraverso le opere (ed è questo il merito più grande delle celebrazioni), piuttosto che con toni didascalici con un interrogativo morale e fondante: Quid tum.

Come già avvenuto a Parigi, Washington e New York, anche in Italia il Dadaismo celebra i novant’anni dalla sua nascita: il Castello Visconteo di Pavia ospiterà fino al 17 dicembre una

curata da Achille Bonito Oliva, ripercorre la straordinaria carica vitale e trasgressiva degli albori del movimento: qui il valore di Dada è quello di una sola parola, mai detta ma quasi urlata per distruggere metaforicamente e con ironia una società oppressa dalla guerra e dalle ideologie. La scelta delle opere già di per sé cerca di riproporre la comunanza degli spiriti e degli intenti espressa però in una straordinaria vivacità e differenza di linguaggi: dai ready-made di Duchamp e Man Ray, in cui lo status di arte dà nuova visibilità all’oggetto di uso quotidiano, agli oli di Jean Crotti, che ancora raccolgono l’eredità di Cézanne, ai fotogrammi di Moholy-Nagy, vere e proprie scritture di luce. Nell’immobilità di questi gesti non si genera un rinnovamento, ma si dà inizio a un punto di vista, ancora vivo in tutte le neoavanguardie nate dopo il 1945. È proprio questo il tema cui la seconda parte della mostra è dedicata: l’arte sin-tetica, ovvero una presa di coscienza profonda che scardina la specificità del linguaggio artistico, che rinuncia all’atteggiamento estetico per essere prima di tutto etico. Il senso di Dada viene sviluppato e arricchito di nuovi sensi in un nuovo contesto: l’immagine della bandiera americana si trasforma in un supporto-manifesto contro le violenze attuate dall’America stessa; Joseph Beuys ci offre una rosa in un vaso ma anche la

selezione di opere del movimento nato a Zurigo nel 1916, offrendoci la possibilità di riflettere sul ruolo dell’arte oggi e sulle sue premesse storiche. Una prima parte della mostra,

fotografia della stessa rosa nello stesso vaso, quasi a voler criticare il sogno di democratizzazione attuata dalla nostra società fatta di immagini; Kolar costruisce degli anti-collages con

Stefano Cusatelli

Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento e Leon Battista Alberti. La biblioteca di un umanista) organizzate dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del VI centenario della sua nascita. Gli ambienti della casa che fu di Mantegna, in contemporanea con la grande esposizione di Palazzo Tè, scandiscono intorno al cortile cilindrico, frutto tangibile delle discussioni sulla casa romana, attraverso diverse sezioni (Gli inizi, Ferrara, Rimini, Firenze, Mantova), i trasferimenti e la progressione operativa dell’antico maestro, quasi novello ospite. Ai curatori va il merito di aver evitato, pur nella impellenza della sintesi, la proposta di univoche interpretazioni in favore della presentazione di singoli documenti quali segnali dei diversi possibili percorsi interpretativi (tra tutti il disegno di S. Sebastiano del Labacco). Agli strumenti storici tradizionali si affiancano una serie di animazioni elettroniche, condotte sulla base di rilievi tridimensionali dell’Università di Ferrara, esempio eccellente di come le tecniche di rappresentazione più moderne possano costituire uno strumento analitico primario (si veda a questo proposito la restituzione della Santissima Annunziata in cui appare manifesto il procedimento albertiano di riar-

Contemporaneità del Dadaismo DADADA. Dada e dadaismi del contemporaneo 1916-2006 Pavia, Castello Visconteo 7 settembre – 17 dicembre 2006

immagini celebri sulla scia della Gioconda baffuta di Duchamp e John Furnival, similmente a Kurt Schwitters, usa cartacce scritte destinate alla spazzatura per ricoprirvi i suoi manichini. Se Man Ray nel 1958 di chiedeva se il Dadaismo fosse morto, noi non possiamo rispondere che con un’altra domanda: in quale senso il Dadaismo può ancora vivere? Francesca Fagnano

Bioarchitettura Dalla casa alla biocasa Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica 28 maggio – 19 novembre 2006 Il titolo della mostra potrebbe suggerire un primo interrogativo e suscitare una certa curiosità in coloro che ancora non hanno avuto modo di avvicinarsi, nell’ambito specifico dell’edilizia, alle tematiche da esso sottese: la casa, essendo concepita per soddisfare le esigenze abitative dell’uomo, non dovrebbe essere già “Bio”? Non dovrebbe essere cioè costruita nel rispetto della vita che è destinata ad ospitare e nel rispetto dell’ambiente? Il percorso espositivo, articolato in ordinate sezioni, illustra in maniera sintetica ed efficace le tappe principali che hanno segnato l’evoluzione dell’ambiente domestico dalle origini ai nostri giorni e fornisce, parallelamente, dati relativi agli ormai noti scenari delle emergenze ambientali e delle necessarie politiche di contenimento dei consumi energetici finalizzate alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, tanto auspicata dal protocollo di Kyoto. Le sezioni introduttive puntano perciò l’attenzione su contenuti con i quali sempre più spesso occorrerà confrontarsi anche alla luce delle nuove disposizioni di legge più esigenti in merito alle verifiche dei consumi energetici. Temi quali il risparmio energetico (termico, elettrico) e delle risorse naturali (idriche), il comfort polisensoriale (termico, acustico, luminoso), la qualità dell’aria, la salubrità dei materiali da costruzione sono trattati in modo sistematico attraverso l’esposizione di alcune soluzioni tecnologiche adottate nei progetti Biocasa di Filca, pro-


Antonella Bellomo

America precolombiana Indoamerica Milano, Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta, Sala Castellana 17 febbraio 2006 – 29 gennaio 2007 Che fine ha fatto la Città delle Culture, ideata per dare una degna sede ai tesori dei Musei del Castello e risolvere una situazione che Federico Zeri non esitava a definire come una delle grandi vergogne italiane? Mentre Parigi sale all’attenzione mondiale inaugurando il nuovo museo sulle arti altre, Milano lascia appassire i suoi, non inferiori, capolavori nei magazzini. Così opere di inestimabile valore etnografico ed estetico, in grado di

In mostra minuscole statuine usate nei riti di fondazione e nei culti domestici e un corredo funebre con opere rappresentanti il cane, che, come nella nostra tradizione, aiutava il defunto nel suo viaggio nell’aldilà, e il gobbo, la cui deformità veniva interpretata come segno di divinità. Un breve excursus sul mondo

que a rendere fruibili le opere perlomeno attraverso mostre temporanee come quella attualmente in corso, dedicata alle culture preispaniche dell’America latina. Un percorso cronologico completo guida all’interno dell’affascinante mondo peruviano a cominciare dalle ceramiche della cultura Chavin destinate a una funzione esclusivamente religiosa, come le splendide decorazioni dei vasi volte a imitare, nel cuore delle Ande, una conchiglia sacra presente solo nei mari dell’Ecuador. Dopo il 200 a.C., con l’avvento delle coeve culture Moche e Nasca, si assiste ad una maggiore laicizzazione delle forme artistiche con la comparsa della figura umana e di scene agrarie, come nello straordinario tessuto che mostra uomini e dei antropomorfi intenti a coltivare campi. Con la successiva civiltà Huari si diffonde, per la prima volta, un unico modello di città ortogonale. La civiltà Inca inizia, a partire dal XIV sec., a conquistare un impero immenso, dando vita alla maggiore organizzazione statale dell’area andina. Popolo privo di scrittura, utilizzava per contare un raffinato sistema di cordicelle annodate, i quipu, e gli yupana in legno, di cui solo il Castello in tutta Europa conserva esemplari. L’esposizione si snoda, poi, intorno alla sezione dedicata all’area mesoamericana, incentrandosi sui temi della religione.

brasiliano con alcuni oggetti rituali e l’unica foto esistente (Luciano Bitelli) di un’iniziazione femminile conclude, infine, la mostra. Sonia Milone

Michelangelo e il progetto Benchè non sia mia professione. Michelangelo e il disegno di architettura Vicenza, Palazzo Barbaran da Porto 17 settembre – 10 dicembre 2006 Firenze, Casa Buonarroti 15 dicembre 2006 – 19 marzo 2007 A oltre quarant’anni dalla discussa mostra romana di Zevi e Portoghesi, che confrontava le opere di Michelangelo con lavori di interpretazione visiva – secondo Tafuri “una dilettantesca traduzione del linguaggio architettonico in astratti e astorici giochi architettonici”–, una nuova occasione di ammirare, senza mediazioni critiche, i disegni di architettura di Michelangelo in tutta la loro straordinaria ricchezza e attualità. La mostra prende le mosse dalla recente acquisizione alle collezioni grafiche del CISA di un disegno di Michelangelo, che viene per la

prima volta esposto in pubblico. A partire dal problema della datazione (1515, parallela alle prime committenze architettoniche), confermata anche dalla tecnica e dallo stile della rappresentazione (schizzo a mano libera a matita rossa), e dell’individuazione del soggetto, un arco trionfale (probabilmente un apparato effimero per l’ingresso di Papa Leone X a Firenze), emerge una interessante molteplicità di temi, sviluppati attraverso una selezione di 30 disegni autografi: dalla formazione di Michelangelo architetto autodidatta, al suo rapporto coi modelli antichi (le copie dal codice Coner, con attenzione tecnica ai particolari più che filologica ai monumenti nel loro complesso); dagli strumenti del disegno alle tecniche della rappresentazione, differenti per epoca e tipologie dei disegni (matita rossa o nera, penna, lavatura d’inchiostro, acquarello, biacca, inchiostro diluito, con o senza l’ausilio di righello, squadra e compasso), alle loro finalità (disegni “privati” o “dimostrativi”, con l’accento sul fervore creativo di Michelangelo che non si accontentava mai della soluzione raggiunta, ma tornava continuamente sul suo lavoro); dal rapporto con la committenza (determinante nella relazione tra disegni e modelli), a quello con le maestranze (Michelangelo prediligeva il disegno ortogonale per il controllo delle misure e ritagliava i profili in scala 1:1 come passaggio dal disegno all’architettura eseguita); fino alla dimostrazione di come il procedimento del disegno, che sovrappone graficamente idee ed elementi architettonici diversi, influisca in maniera determinante sul processo di progetto, al punto che la stessa sovrapposizione si ritrova nell’opera materialmente costruita (frontone curvo e frontone triangolare per esempio). Michele Caja e Silvia Malcovati

37 OSSERVATORIO MOSTRE

motrice ed ideatrice della mostra in collaborazione con il Museo della Scienza e della Tecnica. Non si tratta di un prototipo residenziale ma di un sistema edilizio già ampiamente collaudato sia in termini di certificazione energetica che in quelli di sostenibilità economica per l’utente finale. La mostra illustra quindi un modus operandi, divenuto standard costruttivo, di un operatore economico del settore edilizio deciso ad investire nella qualità dell’abitare a ridotto costo ambientale. Lungo il percorso è possibile, inoltre, conoscere le sconcertanti statistiche dei quotidiani consumi energetici e, attraverso alcune simulazioni multimediali che consentono di intervenire virtualmente sulla scelta di alcuni componenti edilizi, comprendere in modo efficace come le scelte consapevoli di ogni individuo rivestano un ruolo fondamentale per lo sviluppo sostenibile del nostro pianeta.

attraversare secoli ed oceani per essere donate alla città da intrepidi viaggiatori milanesi, non riescono a superare le lungaggini burocratiche tutte italiane. Nel frattempo si fa quel che si può, grazie soprattutto all’entusiasmo della giovane conservatrice delle Raccolte Extraeuropee, Carolina Orsini, decisa comun-


a cura di Walter Fumagalli

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Il nuovo testo della Legge per il Governo del Territorio A distanza di quindici mesi dalla sua entrata in vigore la Legge Regionale 11 marzo 2005 n. 12, già modificata con la Legge Regionale 27 dicembre 2005 n. 20, è stata oggetto di nuovi aggiornamenti. Con la Legge Regionale 14 luglio 2006 n. 12, entrata in vigore il 19 luglio 2006, il Consiglio regionale ha infatti apportato ulteriori modifiche all’originario testo di alcune delle disposizioni contenute nella Legge n. 12/2005. Alcune di tali modifiche appaiono di immediato interesse. I Piani Regolatori Generali non sono piani di Governo del Territorio Oggi questa constatazione potrà sembrare banale, ma prima della Legge n. 12/2006 non lo era. La Legge n. 12/2005, infatti, conteneva diverse disposizioni relativamente alle quali stabiliva che esse venissero applicate o meno a seconda delle previsioni dei Piani di Governo del Territorio, ma non teneva conto del fatto che per approvare tali piani sarebbe occorso un lasso di tempo tutt’altro che breve, e che in quel periodo sarebbero rimasti in vigore i Piani Regolatori Generali approvati precedentemente. Alcuni interpreti avevano cercato di aggirare l’ostacolo sostenendo che, prima dell’approvazione dei PGT, le predette disposizioni si sarebbero dovute applicare tenendo conto delle previsioni dei Piani Regolatori come se questi fossero Piani di Governo del Territorio, e ciò grazie a quanto stabilito dall’Articolo 100 della Legge n. 12/2005. Quest’ultima norma, in realtà, si limitava peraltro a stabilire che, “con l’entrata in vigore della presente legge, tutti i riferimenti, contenuti in disposizioni di legge statali e regionali, ai Piani Regolatori Generali e agli strumenti urbanistici comunali sono da intendersi come riferimenti agli atti del PGT”, ma si guardava bene dal

fissare la regola contraria, e cioè che tutti i riferimenti al Piano di Governo del Territorio, contenuti nella Legge n. 12/2005, andavano considerati come riferimenti ai Piani Regolatori Generali. Finalmente la Regione si è resa conto del problema, ed è corsa ai ripari modificando alcuni articoli della citata Legge n. 12/2005. • Il permesso di costruire in deroga L’Articolo 41.2 della Legge n. 12/2005 stabiliva che “la deroga (…) può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati stabiliti dal piano delle regole e dai piani attuativi”. L’Articolo 1, lettera “i”, della Legge n. 12/2006 ha modificato tale disposizione, la quale di conseguenza risulta oggi così formulata: “la deroga (…) può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati stabiliti dagli strumenti di pianificazione comunale”. • I mutamenti di destinazione d’uso L’Articolo 51 della Legge n. 12/2005 disciplinava i mutamenti di destinazione d’uso rinviando più volte ai contenuti dei Piani di Governo del Territorio. L’Articolo 1, lettera “l”, della Legge n. 12/2006 ha aggiornato questa normativa, introducendo nell’Articolo 51 della Legge n. 12/2005 il seguente comma 5 bis: “fino all’approvazione degli atti di PGT ai sensi dell’Articolo 26, commi 2 e 3, le disposizioni del presente articolo, nonché degli Articoli 52 e 53, si applicano in riferimento agli strumenti urbanistici comunali vigenti”. • Gli interventi nelle zone agricole Gli Articoli 59, 60, 61 e 62 della Legge n. 12/2005 regolavano l’utilizzazione delle aree classificate come zone agricole dai Piani di Governo del Territorio, ma nulla dicevano per quelle classificate come zone agricole dai Piani Regolatori Generali. L’Articolo 1, lettera “r”, della Legge n. 12/2006 ha introdotto nella Legge n. 12/2005 l’Articolo 62 bis, il quale stabilisce che “fino all’approvazione degli atti di PGT ai sensi dell’Articolo

26, commi 2 e 3, le disposizioni del presente titolo si applicano in riferimento alle aree classificate dagli strumenti urbanistici comunali vigenti come zone agricole”. Il procedimento di approvazione dei Piani Attuativi L’Articolo 14 della Legge n. 12/2005 disciplinava in maniera diversificata il procedimento di approvazione dei Piani Attuativi, a seconda che gli stessi fossero conformi o meno ai Piani di Governo del Territorio. Anche in questo caso, però, nulla risultava previsto in merito all’approvazione dei Piani Attuativi da parte dei comuni ancora sforniti del PGT. L’Articolo 1, lettera “c”, della Legge n. 12/2006 ha colmato questa lacuna, inserendo nell’Articolo 25 della Legge n. 12/2005 i commi 8 bis ed 8 ter. Il comma 8 bis dispone che, “fino all’adeguamento di cui all’Articolo 26, commi 2 e 3, i Piani Attuativi e loro varianti, conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti, sono adottati e approvati dalla Giunta comunale, con applicazione delle disposizioni di cui all’Articolo 14”. A proposito di questa disposizione è interessante osservare che il primo ed il quarto comma del citato Articolo 14 della Legge n. 12/2005 attribuivano alla Giunta comunale il potere di adottare e di approvare i Piani Attuativi conformi ai Piani di Governo del Territorio mentre il quinto comma le attribuiva il potere di adottare quelli in variante al PGT, e che l’Articolo 1, lettera “d”, della Legge Regionale n. 12/2006 ha modificato tali commi attribuendo detto potere al Consiglio comunale. Nello stesso momento in cui ha sottratto alla Giunta comunale il potere di approvare i Piani Attuativi conformi ai PGT, dunque, la Legge n. 12/2006 le ha attribuito quello di approvare i Piani Attuativi conformi ai PRG. Questo potrebbe apparire strano, tanto più che, secondo il testo originario del progetto di legge, il richiamato comma 8 bis riservava al Consiglio comunale, e non alla Giunta, il compito di adottare ed approvare i Piani Attuativi dei PRG.


n. 12/2005 in tale periodo è ammessa l’approvazione di Piani Attuativi in variante, il comma 8 ter sta forse a significare che detti Piani Attuativi in variante possono essere solo Piani di Zona e che quindi è preclusa la possibilità di approvare differenti Piani Attuativi in variante ai Piani Regolatori? Probabilmente questa non era la volontà del legislatore, ma il contenuto della legge non sembra lasciare molto spazio a conclusioni differenti. La Denuncia di Inizio di Attività nelle zone agricole L’Articolo 41 della Legge n. 12/2005 stabiliva che per qualunque intervento era possibile presentare, anziché una richiesta di permesso di costruire, la Denuncia di Inizio di Attività, fatta però eccezione “per gli interventi edificatori nelle aree destinate all’agricoltura, disciplinate dagli Articoli 59 e 60”. La Legge n. 12/2006 ha aggiornato questa disciplina da un lato modificando il riportato Articolo 41 (il quale oggi si limita a stabilire che “gli interventi edificatori nelle aree destinate all’agricoltura sono disciplinati dal Titolo III della parte II”), e dall’altro precisando nel primo comma del successivo Articolo 60 che nelle zone agricole sono “assentiti unicamente mediante permesso di costruire” soltanto “gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati”. D’ora in poi, quindi, gli interventi di recupero dei fabbricati posti nelle zone agricole potranno essere realizzati anche mediante Denuncia di Inizio di Attività. La durata delle misure di salvaguardia Il quarto comma dell’Articolo 36 della Legge n. 12/2005, con riferimento agli strumenti urbanistici adottati prima dell’adozione dei Piani di Governo del Territorio (per questi ultimi, le misure di salvaguardia sono regolate dal precedente Articolo 13.12), stabiliva nella prima parte che “sino all’adozione degli atti di PGT (…), in caso di contrasto dell’inter-

vento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni degli strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda stessa”, dopo di che disponeva nella seconda parte che “la misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi cinque anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico”, confermando così la regola già fissata dall’Articolo 24 della Legge Regionale 15 aprile 1975 n. 51. Allo scopo di uniformare la legislazione regionale alla norma dettata dall’Articolo 12.3 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, l’Articolo 1, lettera “h”, della Legge n. 12/2006 ha sostituito la seconda parte testé riportata stabilendo che “la misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente per la approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”. W. F.

39 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

A giustificazione di questa scelta legislativa, tuttavia, si potrebbe considerare che generalmente (anche se non sempre) i Piani Regolatori definiscono in maniera alquanto dettagliata i parametri cui devono attenersi i conseguenti Piani Attuativi, mentre l’Articolo 8.2, lettera “e”, della Legge n. 12/2005 riserva ai documenti di piano dei Piani di Governo del Territorio solo il compito di individuare gli “ambiti di trasformazione”, mentre il successivo Articolo 12.3 demanda ai Piani Attuativi il compito di fissare fra l’altro gli indici urbanistici relativi. In una certa misura, quindi, si può comprendere la decisione del legislatore di riservare alla Giunta una funzione (l’approvazione di Piani Attuativi conformi ai PRG) il cui esercizio coinvolge di solito minori margini di discrezionalità, e di attribuire invece al Consiglio comunale un potere (l’approvazione di Piani Attuativi conformi ai PGT) i cui margini di discrezionalità sono generalmente più ampi. Che poi si tratti di una scelta legislativa conforme ai princìpi della Costituzione, è tutto da discutere. Il comma 8 ter dell’Articolo 25 stabilisce a sua volta che “fino all’adeguamento di cui all’Articolo 26, commi 2 e 3, i Piani di Zona redatti ai sensi della Legge 18 aprile 1962 n. 167 (…) e gli interventi finanziati in attuazione del Programma Regionale per l’Edilizia Residenziale Pubblica (…) e relativi programmi annuali, qualora comportino variante agli strumenti urbanistici comunali vigenti, sono adottati dal Consiglio comunale e approvati secondo le disposizioni di cui all’Articolo 13, commi 4, 5, 5 bis, 7, 9, 10, 11 e 12”. Si pone a questo punto un problema interpretativo tutt’altro che trascurabile. Il comma 8 ter poc’anzi riportato individua l’organo competente ad adottare e approvare, nel periodo precedente l’approvazione dei Piani di Governo del Territorio, i Piani di Zona per l’edilizia popolare e gli interventi previsti dal programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica che costituiscano variante dei Piani Regolatori: fermo restando che ai sensi dell’Articolo 25.1 della Legge


a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi

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Nuove prescrizioni in materia di sicurezza nei cantieri edili Il tema della sicurezza in cantiere, nelle sue svariate applicazioni (non solo di prevenzione degli incidenti sul lavoro, ma anche di tutela del lavoratore in senso lato) continua ad essere di grande attualità, in conseguenza anche dei ripetuti infortuni che si registrano nel settore. Non è dunque un caso che, sia il legislatore, sia i vari enti a diverso titolo preposti a regolamentare la materia, sentano costantemente l’urgenza di chiarire meglio e circoscrivere aspetti e questioni sinora trascurati o non adeguatamente analizzati o, comunque, superati dall’evoluzione tecnologica e dalle modalità procedurali e organizzative del cantiere. Fra gli ultimi testi, che integrano il quadro normativo a tutt’oggi esistente, di particolare rilevanza sono la pubblicazione, da parte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture, della Determinazione n. 4/2006 del 26 luglio 2006, e il DL 23/2006 (cosiddetto Decreto Bersani). Determinazione n. 4/2006 La Determinazione ha per oggetto la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili relativamente agli appalti di lavori pubblici con riferimento all’applicazione dei contenuti del DPR 222/2003 (Regolamento sui contenuti minimi dei piani di sicurezza e di coordinamento), e, in particolare, dell’Art. 7 dello stesso, riguardante la stima, da effettuarsi in sede di redazione del PSC, degli oneri per la sicurezza. A tal proposito l’Autorità ribadisce quanto già contenuto nel richiamato Art. 7, comma 1 del regolamento e distingue i costi della sicurezza in due categorie: quelli contrattuali, cioè legati al particolare cantiere ed esplicitati all’interno del Piano della sicurezza e coordinamento, che non sono ribassabili rispetto agli importi fissati a base d’asta nei lavori pubblici e scontabili in quelli privati, e quelli ex lege, previsti comunque a pre-

scindere dalle peculiarità del caso singolo (Dpi, formazione, visite mediche, ecc…) e connaturati a qualsivoglia operazione edile, che invece rientrano nelle spese generali e sono passibili di ribasso e di sconto in sede di offerta. Il principio, peraltro nel solco logico dell’orientamento sinora mantenuto dal normatore in materia di sicurezza, è distinguere quanto di minimo è sempre obbligatoriamente dovuto per l’esercizio dell’ordinaria attività d’impresa nel settore delle costruzioni da ciò che la specifica occasione comporta in termini di effettiva “progettazione” della sicurezza. In tal modo viene, ad esempio, univocamente e definitivamente chiarito uno dei problemi più annosi relativo a tale ripartizione degli oneri, e cioè che il costo del ponteggio, la cui esatta realizzazione, come ben sa chi si occupa di direzione lavori, è sempre esterna ai semplici schemi delle relativa autorizzazione ministeriale ed è condizionata dai mille “accidenti” del sito e del disegno di facciata, ricade per intero negli importi da non as-

soggettare a ribasso. Altro aspetto interessante trattato dalla Determinazione è quello relativo alla disciplina delle varianti. Il testo sottolinea il concetto che, nel caso di varianti in corso d’opera, è necessario stimare i costi della sicurezza, così come disposto nel comma 5 dell’Art. 7 del DPR 222/2003, e che per variante si intende anche la variazione progettuale in corso d’opera che si dovesse rendere necessaria per migliorare il PSC rispetto alla primitiva stesura, sia che esso contenga una vera e propria carenza di previsione, sia che esso necessiti di meri assestamenti o correttivi di dettaglio. Ciò pone l’accento sul fatto che le Imprese possano segnalare al Committente proposte di modifiche al PSC, per migliorare le condizioni di sicurezza in cantiere e che, in tali casi, i relativi costi di sicurezza debbano essere riconosciuti integralmente dalla Stazione appaltante. Il Decreto Bersani convertito in Legge 248/2006 Legato a filo doppio alla questione


fiscali da parte dell’appaltatore. Il committente diventa quindi responsabile solidale dei trattamenti retributivi e dei versamenti contributivi dovuti dall’appaltatore ai dipendenti impiegati nel contratto d’appalto, in caso di difetto di quest’ultimo. Si viene così a creare una struttura piramidale di controllo che lega subappaltatore – appaltatore – committente, nel tentativo di aumentare la tutela del lavoratore edile. Sempre al Decreto Bersani si deve poi, a partire dal 1° ottobre 2006, l’introduzione dell’obbligo di munire i lavoratori dipendenti e autonomi (che se ne dovranno munire autonomamente), in servizio presso un cantiere, di un apposito tesserino identificativo di riconoscimento, contenente foto e generalità del lavoratore e del rispettivo datore di lavoro. Si tratta di una prassi già in uso da tempo nei cantieri pubblici (anche se sovente disattesa) e che ora trova un suo livello di cogenza anche per i cantieri privati. Diviene, infine, obbligatorio per il datore di lavoro comunicare al centro per l’impiego, il giorno prima del-

l’effettivo inizio del rapporto di lavoro, l’avvenuta assunzione del lavoratore, mentre risulterà facoltà degli ispettori del lavoro o dell’Inps, qualora accertino in un cantiere l’impegno di personale non in regola superiore alla percentuale del 20% del totale dei lavoratori presenti (e il senso di tale limite, francamente appare poco chiaro, suonando quasi come una soglia di tolleranza implicita al permanere del sommerso), la sospensione del cantiere medesimo. Vanina Sartorio I COSTI DELLA SICUREZZA SECONDO L’ART. 7 COMMA 1 DEL DPR 222/2003 Nei costi della sicurezza (la cui stima dovrà essere congrua e analitica per voci singole) vanno stimati, per tutta la durata delle lavorazioni previste nel cantiere, i costi: a) degli apprestamenti previsti nel PSC; b) delle misure preventive e protettive e dei dispositivi di protezione individuale eventualmente previsti nel Psc per lavorazioni interferenti; c) degli impianti di terra e di protezione contro le scariche atmosferiche, degli impianti antincendio, degli impianti di evacuazione fumi; d) dei mezzi e servizi di protezione collettiva; e) delle procedure contenute nel PSC e previste per specifici motivi di sicurezza; f) degli eventuali interventi finalizzati alla sicurezza e richiesti per lo sfasamento spaziale o temporale delle lavorazioni interferenti; g) delle misure di coordinamento relative all’uso comune di apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione collettiva. Il costo del ponteggio, ha chiarito l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, deve essere compreso negli oneri per la sicurezza calcolati nel PSC non assoggettabili a ribasso d’asta o sconti.

41 PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE

della sicurezza in cantiere è senza dubbio anche il tema del lavoro sommerso, il quale non solo rappresenta un problema dal punto di vista fiscale, ma anche e soprattutto di diritto del lavoratore all’assistenza contributiva e assicurativa in termini di infortunio sul lavoro. L’Articolo 35, commi 28-34, del testo di legge sancisce il principio della responsabilità solidale nel contratto di subappalto, imponendo all’appaltatore un obbligo di verifica, dell’assolvimento dei pagamenti delle ritenute fiscali, dei contributi previdenziali e dei premi Inail da parte delle imprese subappaltatrici. Qualora il subappaltatore fornisca documentazione in regola al momento del pagamento del lavoro, l’appaltatore si libera dal vincolo, mentre in caso di mancata esibizione l’appaltatore è automaticamente autorizzato a non versare il corrispettivo spettante all’impresa subappaltante. Procedimento analogo, salendo in verticale, fino al committente, viene espresso dall’Art. 34, per quanto riguarda il versamento delle ritenute


a cura di Sara Gilardelli

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I nuovi obblighi per i professionisti I nuovi obblighi per i professionisti introdotti con la manovra estiva dal Decreto Bersani riguardano in sintesi: Il conto corrente bancario o postale professionale • obbligo di versamento di tutti i compensi professionali su conto corrente bancario o postale; • obbligo di effettuare le spese inerenti all’attività professionale solo con prelievi dal conto corrente bancario o postale; • obbligo di incasso solo con strumenti finanziari tracciabili (bonifico o assegno) dei compensi professionali di importo pari o superiore a 1.000; • non obbligatorietà ad aprire un conto corrente esclusivamente dedicato all’attività professionale. I versamenti dovuti dai titolari di Partita IVA • obbligo di pagamento delle imposte solo con F24 telematico dal 1° gennaio 2007 con l’abolizione dell’utilizzo del modello cartaceo. Altri obblighi fiscali • obbligo di fornire l’elenco clienti e fornitori all’Amministrazione Finanziaria; • obbligo di indicare in fattura il numero della Partita IVA del cliente. Con la Circolare dell’Agenzia delle Entrate 28/E del 4 agosto sono stati dati in 164 pagine i primi chiarimenti sul Decreto Legge 223/2006 del 4 luglio 2006 (cosiddetto “Decreto Bersani” convertito con modifica dalla L. 248/2006). Solo alcuni dei numerosi provvedimenti riguardano l’attività dei professionisti. Il conto corrente bancario o postale professionale L’Articolo 35, comma 12, del Decreto Bersani introduce delle nuove regole che impongono ai contribuenti esercenti arti e professioni di tenere uno o più conti correnti bancari o postali per la gestione dell’at-

tività professionale. Tali conti devono essere utilizzati per compiere prelevamenti per il pagamento delle spese sostenute e per far affluire obbligatoriamente i compensi riscossi nell’esercizio della funzione professionale. La circolare dell’Agenzia delle Entrate precisa, inoltre, che i suddetti conti correnti non necessariamente devono essere dedicati esclusivamente all’attività professionale, ma possono essere utilizzati anche per operazioni personali extra-professionali. Ciò significa che: • i professionisti non sono obbligati ad avere un conto corrente da utilizzare esclusivamente per operazioni riconducibili all’attività professionale; • tutti gli incassi professionali devono essere versati su conto corrente prima di essere utilizzati per sostenere i costi inerenti all’attività professionale; • i costi inerenti, anche se documentati da fattura, sono fiscalmente deducibili solo se sostenuti con prelievi effettuati dal conto corrente; i costi fatturati, ma sostenuti con liquidità non transitata sul conto corrente non sono, pertanto, fiscalmente deducibili. Ad esempio se un professionista incassa in contanti 999 € per una prestazione: egli deve in ogni caso versare i 999 € euro sul conto corrente. Poi, semmai, prelevandoli, potrà utilizzare tale cifra per le proprie esigenze personali o per sostenere spese legate alla propria attività professionale. A fianco a questi nuovi obblighi si aggiunge anche il divieto di incassare in contanti, dal 4 agosto 2006, compensi di importo pari o superiore a 1.000 €. Il professionista dovrà ricevere il compenso solo mediante strumenti finanziari tracciabili: assegni non trasferibili, bonifici, altre modalità di pagamento bancario o postale o sistemi di pagamento elettronico. Attenzione! Il limite di 1.000 € di incasso in contanti scenderà a 500 €

dal 1° luglio 2007 fino ad arrivare a 100 € a partire dal 1° luglio 2008. Versamenti dovuti dai titolari di Partita IVA Dal 1° gennaio 2007 il modello F24 dovrà essere presentato solo telematicamente. Tutti i titolari di Partita IVA (professionisti, studi associati, società), pertanto, dovranno effettuare i versamenti delle imposte e dei contributi previdenziali avvalendosi solo del modello F24 telematico e non più del modello cartaceo. Inizialmente la circolare dell’Agenzia delle Entrate 28/E del 4 agosto prevedeva l’utilizzo solo delle forme ministeriali di pagamento telematico (F24 on-line e F24 cumulativo) escludendo il servizio di corporate banking interbancario. Successivamente, con la comunicazione del 5 settembre, l’Agenzia delle Entrate ha inserito nell’elenco anche il servizio bancario confermando la validità di tre differenti canali per il pagamento telematico: • F24 on-line: consente di pagare direttamente dal sito internet Fisconline, previa richiesta del PIN ed installazione dei programmi ministeriali o di altre software house; • F24 cumulativo è utilizzabile solo da chi si avvale di professionisti abilitati; • F24 del servizio bancario Cbi consente di effettuare i pagamenti direttamente tramite servizio home banking. Qual è il canale di pagamento telematico migliore o più sicuro? Non vi è una procedura migliore o più sicura di un’altra, tutte hanno la stessa finalità: consentire il pagamento telematico delle imposte e dei contributi. La scelta, invece, deve essere fatta in funzione della tipologia di conto corrente aperto. Nella tabella vengono riportate le combinazioni possibili tra canale telematico e conto corrente alla luce di quanto sancito dalle ultime comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate (14/9) ma ci si aspetta che ulteriori chiarimenti vengano esplicitati nei mesi a venire.


TIPOLOGIA DI BANCA

F24 ON-LINE

F24 CUMULATIVO

SERVIZIO HOME BANKING

Conto corrente bancario con unico titolare o cointestato (*)

Presso banca convenzionata con l’Agenzia delle Entrate (verificare nell’elenco su www.agenziaentrate.it )

SI

SI

SI / NO (verificare nell’elenco su www.acbi.it)

Conto corrente bancario con unico titolare o cointestato (*)

Presso banca non convenzionata con l’Agenzia delle Entrate

NO

NO

come sopra

Privo di conto corrente

NO

NO

SI (utilizzando il c/c di una terza persona)

Conto corrente postale

SI

SI

SI

(*) Nel caso di conto corrente bancario contestato il contribuente, per poter utilizzare il conto sia con F24 on-line che con quello cumulativo, deve avere l’abilitazione ad operare sul conto con firma disgiunta.

Pertanto se si può scegliere il canale “F24 on-line”: 1. è necessario essere intestatario di un conto corrente acceso presso una delle banche che hanno stipulato la convenzione con l’Agenzia delle Entrate (l’elenco delle banche convenzionate è consultabile su www.agenziaentrate.it); 2. deve essere richiesto il codice PIN dal sito di Fisconline www.fisconline.agenziaentrate.it oppure presso un ufficio dell’Agenzia delle Entrate; 3. devono essere scaricati dal sito di Fisconline il programma per la compilazione del modello F24 e il programma“File Internet”, che serve alla trasformazione ed invio del file all’Agenzia delle Entrate; 4. se si utilizza un programma di compilazione del modello F24 diverso da quello messo a disposizione dal Ministero è necessario installare comunque il programma per l’invio “File Internet”, ma soprattutto il programma di controllo denominato “Pagamenti con modello F24” da applicare sui modelli prodotti con il programma non ministeriale; 5. subito dopo l’istallazione i programmi sono già utilizzabili con il codice PIN; 6. entro 24 ore dall’invio è disponibile una ricevuta nella sezione “Ricevute” del sito Fisconline accessibile con PIN. Se la ricevuta comunica lo scarto del file, per errori rilevati, è necessario preparare nuovamente il file 7. entro 10-12 giorni è disponibile sempre sul sito Fisconline la ricevuta dell’avvenuto addebito sul conto corrente; 8. dopo altri 10-12 giorni si riceve la comunicazione dell’esito dell’addebito anche su carta tramite Postel. Come si può vedere la procedura è lunga e complessa. Si consiglia, nel caso si decida di optare per tale modalità di pagamento, di utilizzare il servizio non in prossimità delle scadenze per evitare, in caso di scarto

del file, il rischio di sanzioni (3,75% o 6%), oltre agli interessi (del 2,5% annuo), per il tardivo versamento dell’imposta. Il mod. F24 Cumulativo, è un servizio di pagamento riservato solo ai professionisti abilitati ad Entratel. Diversamente dall’F24 on-line, i versamenti delle imposte non avvengono in forma diretta, ma tramite gli intermediari abilitati. Questa procedura di pagamento non prevede passaggio di denaro in contanti, né è previsto l’utilizzo di carte di credito o bancomat. Si tratta, in pratica, di una normale operazione di home banking gestita dal professionista di fiducia. I vantaggi sono i seguenti: • le scadenze dei pagamenti vengono gestite dal professionista abilitato; • viene meno, pertanto, l’incombenza del ritiro dei modelli F24 presso lo studio; • i versamenti predisposti on-line possono essere annullati fino a cinque giorni prima della data di effettivo pagamento. Se si sceglie questo canale di pagamento: • il contribuente deve essere titolare di un conto corrente presso una banca che ha stipulato una convenzione con l’Agenzia delle Entrate; • il professionista abilitato deve ricevere l’autorizzazione dal contribuente ad effettuare i versamenti; • deve essere sottoscritta una convenzione tra il professionista e l’Agenzia delle Entrate; • il pagamento telematico viene documentato con ricevuta inviata tramite Postel al contribuente. Infine, chi si avvale del canale F24 del servizio bancario Cbi, deve verificare se la banca presso la quale ha aperto il conto ha aderito al Cbi. L’elenco completo delle banche è consultabile sul sito www.acbi.it. Verificata l’adesione, si può procedere con il

pagamento dei modelli F24 tramite home banking. La procedura di pagamento varia per ogni istituto di credito, comunque, in via generale, consente di compilare ed inviare il modello F24, di effettuare il pagamento e di ricevere la comunicazione dell’invio o per e-mail o per posta. Rispetto alle altre forme di pagamento telematico questo è stato definito il più snello in quanto: • non vi è l’obbligo di avere un conto corrente presso banche convenzionate; • dà la possibilità di effettuare pagamenti di imposte relative a persone diverse rispetto al titolare del conto corrente. Pertanto il contribuente privo di conto corrente si può avvalere di una terza persona che effettua il pagamento addebitando le imposte sul proprio conto. Per questo ultimo aspetto bisogna fare però attenzione al limite imposto dalla norma antiriciclaggio che vieta il trasferimento in contanti di un importo superiore a 12.500 €. Altri obblighi fiscali Con cadenza annuale è stato introdotto l’obbligo di fornire all’Amministrazione Finanziaria esclusivamente per via telematica l’elenco dei soggetti nei confronti dei quali sono state emesse le fatture (clienti) e l’elenco dei soggetti dai quali sono stati effettuati acquisti (fornitori). Per il solo anno 2006 dovranno essere comunicati solo i clienti titolari di Partita IVA. Da qui l’obbligo di indicare la Partita IVA del cliente nelle fatture emesse. Si sottolinea che mentre andiamo in stampa sono attesi altri chiarimenti e precisazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Rosalba Pizzulo, dottore commercialista studiopizzulo@tiscali.it

43 PROFESSIONE ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE

TIPOLOGIA DI CONTO CORRENTE


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Legge G.U. n. 211 del 11.9.2006 Decreto Legislativo 25 luglio 2006, n. 257 Attuazione della Direttiva 2003/18/CE relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dall’esposizione all’amianto durante il lavoro In riferimento alla direttiva 2003/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 marzo 2003, che modifica la direttiva 83/447/CEE del Consiglio sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione all’amianto durante il lavoro, dopo il titolo VI del D.Lgs n. 626 del 1994 viene inserito il titolo VI bis. Il titolo tratta l’argomento dell’esposizione dei lavoratori contro i rischi connessi all’esposizione all’amianto. Il capo I° riguarda le disposizioni generali. Fermo restando quanto previsto dalla Legge 27 marzo 1992 n. 257, le norme del titolo si applicano alle attività lavorative che possano comportare il rischio esposizione all’amianto per i lavoratori, quali manutenzione, rimozione dell’amianto e dei materiali contenenti amianto, trattamento e smaltimento dei rifiuti e la bonifica delle aree interessate. Sono specificati gli obblighi del datore di lavoro in relazione all’individuazione della presenza di amianto. Inoltre, il datore di lavoro valuta i rischi dovuti alla polvere proveniente dall’amianto al fine di stabilire il grado di esposizione all’amianto e le misure preventive e protettive da attuare. Il decreto prevede prima dell’inizio lavori una notifica all’organo di vigilanza competente per territorio in cui sono descritte le caratteristiche dei luoghi, addetti ai lavori, modalità d’intervento. Il decreto stabilisce, inoltre, le misure igieniche da adottare nei luoghi in cui è presente l’amianto, il controllo all’esposizione, ed i valori minimi delle polveri. Sono fissati i criteri riguardanti gli interventi di demolizione o di rimozione dell’amianto. G.U. n. 185 del 10.8.2006 Serie generale Determinazione 26 luglio 2006 Sicurezza nei cantieri temporanei o mobili relativamente agli appalti di lavori pubblici. Decreto del Presidente della Repubblica n. 222/2003, Art. 131 del D.Lgs n. 163 del 12 aprile 2006 (Determinazione n. 4/06)

Il testo della determinazione fornisce le opportune disposizioni in relazione alla richiesta di chiarimenti all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture da parte di stazioni appaltanti ed associazioni di categoria in merito all’attualità del metodo di calcolo dei costi della sicurezza ed all’ascrivibilità del costo delle opere provvisionali. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 32 del 11 agosto 2006 Legge Regionale 8 agosto 2006 – 18 Conferimento di funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla L.R. 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi di interesse economico generale. Norme in materia di gestione rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche” La Legge riguarda le modifiche alle Legge regionale in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche. B.U.R.L. 2° Suppl. straordinario al n. 32 del 8 agosto 2006 D.g.r. 1 agosto 2006 – n. 8/3108 Criteri per la presentazione di progetti di cui alla L.R. 29 giugno 1998, n. 10 “Disposizioni per la valorizzazione, lo sviluppo e la tutela del territorio montano”, anno 2006 La Giunta regionale delibera di approvare l’istituzione di un “Fondo regionale della montagna per gli interventi speciali” stanziando un capitale da ripartirsi tra le Comunità montane e i Comuni montani capoluogo di provincia. La giunta regionale inoltre utilizzerà finanziamenti destinati all’attuazione di progetti ed interventi, individuazione di progetti sperimentali, assegnazione delle risorse recuperate per la realizzazione di iniziative sperimentali. I soggetti che possono usufruire dei contributi sono le Comunità montane costituite ai sensi della Legge Regionale 2 aprile 2002, n. 6 ed i Comuni montani capoluogo di provincia, esclusi dalle zone omogenee delle Comunità montane ai sensi dell’Art. 27 del D.Lgs 18 agosto 2000 n. 267. Il decreto fissa inoltre i termini e la modalità di presentazione delle domande, i criteri riguardanti la valutazione degli interventi speciali e dei progetti presentati. C. O.

Stampa Appalti Codice appalti, il rinvio è operativo. In vigore dal 13 luglio lo slittamento al 1° febbraio 2007 delle norme più contestate (da “Edilizia e Territorio” del 17-22.7.06) Liberalizzazione dell’appalto integrato, estensione della possibilità di ricorrere alla trattativa privata, introduzione degli istituti europei del dialogo competitivo, dell’accordo quadro e delle centrali di committenza, divieto di subappalto per l’impresa ausiliaria in caso di avvilimento. Queste le norme del Codice degli appalti la cui entrata in vigore è stata rinviata al 1° febbraio 2007. Concorsi di progettazione consigliati ma non obbligatori (da “Edilizia e Territorio-Commenti e norme” n. 27 del 10-15.7.06) Il Codice dei Contratti pubblici, D.Lgs 163/2006. dedica molte norme alla disciplina dei concorsi di progettazione. La Legge 109 non conteneva alcuna previsione specifica in materia, limitandosi a sancire la possibilità di ricorrere allo strumento. Le norme di dettaglio erano, invece, contenute nel DPR 554/1999. Ora, per lavori di particolare rilievo architettonico, ambientale, storico-artistico, le stazioni appaltanti vengono invitate a utilizzare questo strumento. Ma non si tratta di un obbligo. Beni culturali Per vincolare un bene servono prove esaustive e documentate (da “Edilizia e Territorio-Commenti e norme n. 28 del 17-22.7.06) Il ministero dei Beni culturali non può vincolare un edificio senza che la sua valenza storico-artistica sia dimostrata con dati di fatto adeguatamente comprovati. Lo ha deciso il Consiglio di Stato mettendo così la parola fine a una controversia che dura da dieci anni. Lo ha deciso il Consiglio di Stato (VI sezione) con la Sentenza n. 4088 depositata il 27 giugno 2006, respingendo l’appello del Ministero per i Beni e le attività culturali. La Soprintendenza: scoperto un quartiere artigianale sotto piazza Meda a Milano (dal “Corriere della Sera” del 8.9.06) Il sottosuolo di Milano ha restituito in piazza


Difesa del suolo Autorità di bacino, arriva la proroga. Primo sì al D.Lgs sulla delega ambientale (da “Edilizia e Territorio” del 10-15.7.06) Le autorità di bacino previste dalla Legge quadro sulla difesa del suolo e soppresse dalla delega ambientale (che ha abrogato la 183/1989) sono prorogate fino al 31 dicembre del 2006. Lo prevede lo schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Il D.Lgs correttivo dovrà essere adottato entro il 31 gennaio 2007. Paesaggio Paesaggio, è l’ora della relazione (da “Edilizia e Territorio” del 31.7.06/4.8.06) È entrato in vigore il DPCM 12 dicembre 2005 che nel suo allegato spiega quali documenti trasmettere alla pubblica amministrazione per ottenere l’autorizzazione all’intervento. L’autorizzazione preventiva è prevista dall’Art. 146 del Codice dei Beni culturali (D.Lgs 42/2004), ed è obbligatoria per tutti i proprietari, possessori o detentori di immobili o aree assoggettate a vincolo paesaggistico. L’obbligo prevede di allegare alle istanze per l’autorizzazione paesaggistica in area vincolata una dettagliata relazione, comprensiva di mappe, foto, e simulazioni digitali dell’intervento da eseguire. Professione Compensi, parte la tracciabilità. Parcelle dei professionisti pagabili in contanti solo al di sotto di mille euro (da “Il Sole 24 Ore” del 12.8.06) La manovra “d’estate” diventa effettiva con la pubblicazione della Legge di conversione 248 del 2006 (nella “Gazzetta Ufficiale” n. 186 del 11 agosto 2006 Supplemento ordinario n. 183/L). Il decre-

to sulle liberalizzazioni, volute dal ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, contiene il pacchetto sulle misure anti evasione, messo a punto dal vice ministro dell’Economia Vincenzo Visco. Le disposizioni, modificate nel corso dl passaggio parlamentare, entrano in vigore: scatta il divieto per i professionisti di incassare pagamenti in contanti per somme di almeno mille euro, mentre si azzerano le spese di chiusura dei conti correnti Bancari. Gradualmente entra in vigore anche la cancellazione dei minimi tariffari. Restauro Il restauro richiede l’appalto. Sentenza del Tar del Lazio sul caso Zetema (da “Il Sole 24 Ore” del 1.9.06) Veto del Tar Lazio per gli appalti di restauro affidati direttamente dal Comune di Roma alla Zetema Progetto cultura Arl. La Delibera della Giunta municipale n. 663 del 30 novembre 2005 con la quale assegnava il servizio “a trattativa diretta” è stata annullata dai giudici amministrativi, perché non rispetta le norme europee sulla concorrenza e quelle italiane sugli appalti di lavori pubblici. Solo attraverso una regolare procedura “a evidenza pubblica” la Giunta Veltroni avrebbe potuto assegnare i servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali. Urbanistica Piani attuativi, la Lombardia fa dietrofront: l’approvazione torna al Consiglio comunale (da “Edilizia e Territorio-Commenti e norme” n. 30 del 31.7.06/5.8.06) Dopo poco più di anno dalla sua emanazione, la nuova Legge lombarda sul Governo del Territorio, n. 12/2005, viene già ritoccata. Una delle principali novità riguarda l’iter per l’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi: la competenza torna ad essere esclusivamente del Consiglio comunale e non più della Giunta. Tale modifica può tradursi in tempi più lunghi per la conclusione dei procedimenti. Un’altra novità di rilievo riguarda la sospensione delle decisioni sui permessi di costruire in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati che ora decade dopo tre anni dall’adozione del piano stesso. M. O.

45 PROFESSIONE STRUMENTI

Meda, dove era previsto un parcheggio con 522 posti auto, una vasca con frammenti di intonaco e dipinti. Questo testimonia che sotto la città c’è una “sorta di grande archivio che conserva la memoria del passato” spiega Anna Ceresa Mori, ispettrice della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia. Per questo la Soprintendenza, già nel 2000, ha consegnato una mappa del rischio archeologico in città.


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Cremona

a cura di Fiorenzo Lodi Intervista a Lorenzo Spadolini Intervista all’architetto Guido Lorenzo Spadolini di Firenze, in merito al progetto di riqualificazione urbana area “ex pan elettric”, ora identificato come “quartiere Porta Nuova” a Crema, progettato con la collaborazione del locale studio Dossena e Bettinelli. L’intervento ha già ottenuto il premio nazionale per l’ambiente Gianfranco Merli nel 1999. L’intervista è stata realizzata a Crema in occasione di una visita ai luoghi dell’intervento. Architetto Spadolini, negli ultimi anni è sorto a Crema un complesso che ha fatto molto discutere negli ambienti professionali, quello di Porta Nuova. Quali sono state le linee guida che hanno portato alla scelta urbanistica adottata? Nell’ambito delle aree industriali dismesse è interessante notare come l’intervento sull’area ex Fiat di Firenze abbia incuriosito un’importante figura come il principe Carlo d’Inghilterra che ha portato Leon Krier a visitare la stessa area. In quel frangente, il mio personale incontro con Krier, abbinato al fatto che stavo lavorando a Tokio con Kenzo Tange, ha prodotto in me una crisi, dovuta alla nostra cultura e al diverso modo di trattare temi, in particolare il tema della residenza. Quando ho incontrato l’Impresa Bonetti, la curiosità di trattare questo argomento così delicato (mai approfondito dallo “Studio Spadolini Associati”) è stata forte. Sostenuto dalla stretta collaborazione con lo studio Dossena e Bettinelli di Crema, per la parte strettamente urbanistica, è stata approfondita la cultura dei luoghi, la piazza, la continuità della città in un’area centrale, industriale e dismessa; operazione delicata perché era necessario ricucire il tessuto urbano. Questa, secondo Lei, potrebbe essere la nuova via da seguire per la riqualificazione di zone degradate dei centri cittadini? Sicuramente si, per questo sono partito da Krier, perché ho capito l’attenzione necessaria per trattare un pezzo di città. Le doman-

de che mi sono poste sono state: da dove veniamo, come sono i nostri centri urbani, come sono le nostre periferie composte di edifici isolati. Certamente l’idea di avere pensato a una casa a cortina con passaggi permette alla gente di vivere la casa con una propria identità. Sono sempre stato contrarissimo al condominio, un’esercitazione per gli architetti. Oggi prima di tutto dobbiamo vedere i prezzi. Con lo Studio Dossena-Bettinelli abbiamo lavorato sul prezzo di vendita. Si tratta di creare un prodotto che sia vendibile, di fare un’architettura che piaccia alla gente e non solo a noi architetti. Vede, tante volte quando io passo in questo quartiere, non mi domando se mi piace o meno, ma dove comprerei. La risposta è a Crema!, ma non perché il progetto è mio. Molte volte, con Dossena e Bettinelli, ci siamo chiesti: “cosa pensiamo di questa architettura?”, effettivamente è un’architettura... un po’ troppo vernacolare, ma quello che ci ha interessato è stato inculcare nuovi concetti sulla qualità urbana a un’impresa che non aveva la nostra cultura del costruire. Siamo stati “educatori”, mi passi la parola, “culturali”, per un’impresa che era abituata a fare case per la L. 167. Perchè piace al cittadino comune? Allora, vede, prima ho realizzato Crema e poi ho fatto il Centro Commerciale di Siena Valle Scrivia. Lì ne parlano e molti, addirittura, la chiamano “la città ideale”. Di fatto non ci sono case; è un po’ un’americanata. Ma perché piace? Perché l’abbiamo pensata in rapporto al nostro modo di vivere; gli americani non volevano la piazza: io ho un po’ forzato l’idea di piazza e i “rapporti”. La parte svolta in collaborazione con lo studio di Dossena e Bettinelli è la più divertente: abbiamo

lavorato sui rapporti fra le parti: lasci stare se le finestre sono gialle o sono verdi, però il principio di fondo è che abbiamo fatto gli architetti “di rapporti”. Quando ci cammino dentro, posso dire: ma si quella torre potrebbe..., oppure i cornicioni..., perché, in un paese dove l’architettura la fanno pochi architetti, noi abbiamo fatto una scelta di fondo: il parcheggio, il negozio, lo studio medico o la casa. Abbiamo cercato di darli all’utente com’erano, specialmente negli edifici d’angolo, perché in realtà non è una cortina diritta, ma è proprio la casa movimentata, sfruttando il vivere nel sottotetto, il vivere nel terrazzo, il vivere anche l’introspezione. Perché la gente ha bisogno di compagnia, ma quello che diverte, e lo dimostra il fatto delle vendite, è che l’impresa è riuscita a fare un’operazione intelligente di contenimento dei costi, dando una casa “diversa”, perché è tornata “casa”, per cui l’utente accetta anche quella forma. Le case con il giardino… il giardino non è esageratamente dispendioso, ma è un giardino che qualifica comunque le case; il negozio fa vivere la città, perché se non ci fosse il negozio o il ristorante, mancherebbe un pezzo di città nella città. In certi casi ci siamo chiesti, forse siamo andati troppo oltre, abbiamo giocato su troppi colori? I porticati sono stati da subito una scelta? Si, perché nel momento in cui abbiamo scelto di fare la città, con un notevole rischio imprenditoriale, anche il negozio e il portico è stato indispensabile. È stato un lavoro enorme con dispendio di energie, perché se si guardava il rapporto fra progettualità e contenuti, quello che abbiamo fatto è stato convenzionare un pezzo di città, cosa molto difficile, perché vuol dire lavorare tra pubblico e privato.


E i prezzi di mercato?... Per quanto riguarda poi strettamente il mercato, si sta vendendo partendo da 1.800-2.000 euro. Nel rapporto prezzo-finiture, valutando quello che viene offerto come prodotto, credo che questa oggi potrebbe essere una strada da intraprendere a livello nazionale. Le vendite stanno andando bene, perciò avete una risposta positiva da parte dell’acquirente, ovvero della società in genere; e il rapporto pubblico–privato? A me quello che interessa maggiormente è il rapporto tra pubblico e privato. Un rapporto di convenzione è un rapporto di agreement. A chiacchiere si fa presto, ma se lei pensa che ci sono voluti due anni e mezzo solo per lavorare alla convenzione... perché le Amministrazioni sono spaventate dalle esperienze negative maturate nel passato. Quante volte il sin-

daco ha dubitato del fatto che la strada venisse completamente chiusa tramite l’apposizione di un cancello. Questo non ha senso, deve essere un pezzo di città, perché se l’Amministrazione ha portato in fondo gli impianti sportivi, era anche il caso di portare questo pezzo di città laddove era necessaria (ricucitura del tessuto urbano, n.d.r.). Comunque c’è una mentalità molto conservativa da parte delle Amministrazioni nei confronti dell’edilizia esistente, perciò è difficile fare queste operazioni di sostituzione. Ieri sera guardavo un intervento a Milano di una casa di ringhiera, se vogliamo anche interessante, ma poi ho sentito a che prezzi verranno rivendute le case… Non va bene per i canoni del mercato, cerchiamo di essere intelligenti, cosa paga oggi il mercato a Crema? È inutile che si chiamino gli architetti a fare delle cose che poi non sono commerciali. Non è che noi vogliamo, con questo nostro intervento, aprire una polemica, noi vogliamo solamente dire in maniera corretta che abbiamo lavorato ad una convenzione, abbiamo dato un servizio alla città di Crema e abbiamo dato un certo numero di alloggi che piacciono alle persone. Posso chiedere a Dossena come è stato il rapporto con l’Amministrazione con il discorso della convenzione... Molto faticoso, anche se poi è arrivato ad una conclusione decisiva. Molto faticoso appunto perché si andavano ad introdurre alcuni concetti non nuovi, concetti che stanno andando avanti da una vita, ma che erano nuovi nel rapporto con l’Amministrazione, col modo di pensare. Arch. Spadolini, torniamo al fatto che l’intervento ha fatto discutere.

Comunque mi sembra coraggioso da parte dell’impresa aver accettato e concordato un intervento di questo tipo. Il coraggio è stato di tutte e due le parti, sia dei professionisti, ma soprattutto dell’impresa. Il professionista è sempre il professionista; invece, per l’impresa il coraggio è stato ampiamente ripagato dal fatto che sugli appartamenti nel rapporto prezzo-qualità l’impresa ha centrato un’operazione boomerang… inoltre, quando gli architetti sono soddisfatti del loro prodotto..., ma visto che siamo 2 o 3 irrequieti, forse non saremo mai contenti.

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • POLITECNICO DI MILANO. Sono stati effettuati i sorteggi per le nomine dei membri dell’Ordine per le commissioni di laurea per l’anno accademico 2005-2006. In seguito alla verifica delle disponibilità si nominano i seguenti architetti: – Laurea Specialistica in P.U.P.T. del 26 luglio 2006. In ordine progressivo di commissione: Franco MISANI, Andrea GIULIANI.

– Laurea per il “Corso di Studio in Scienze dell’Architettura D.M. 509/99” del 27 luglio 2006. In ordine progressivo di commissione: Flavio COSTA, Anita BIANCHETTI, Raffaele SELLERI, Alessandro FERRARI, Tiziana Maria DE PAOLI, Pierantonio FINAZZI, Silvio RECALCATI, Enzo ZAMBIANCHI, Claudio SALOCCHI, Camillo MANFREDINI. – Laurea per il “Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99” del 27 luglio 2006. In ordine progressivo di commissione: Giacomo RIVOLTA, Giancarlo MARZORATI. – Laurea “Corso di Studi Urbanistica D.M. 509/99” del 26 luglio 2006. In ordine progressivo di commissione: Debra BALUCANI, Orazio Claudio SOLIMANDO. – Laurea Specialistica/Magistrale in Architettura dei giorni 26-27 luglio 2006: Alessandro Gianluca CONCA. – Laurea Specialistica/Magistrale in Architettura – Architettura delle Costruzioni dei giorni 26-27 luglio 2006: Roberto FERRARIN. – Laurea Triennale in Architettura delle Costruzioni dei giorni 27-28 luglio 2006: Patrizia DAL MOLIN. – Laurea Triennale in Scienze dell’Architettura dei giorni 27-28 luglio 2006: Gualtiero COLOMBO. – Laurea “Architettura degli Interni e Disegno Industriale” del 26 luglio 2006. In ordine progressivo di sub-commissione: Roberto SANZENI, Marco SCAMPORRINO, Giuseppe MAGISTRETTI, Ennio G. MANGIALAJO. – Laurea in Architettura Vecchio Ordinamento dei giorni 26-27 luglio 2006. In ordine progressivo di commissione: Marco ROBECCHI, Antonio COLAGRANDE, BIANCO Margherita, Marco BIANCHI. – Laurea Specialistica in Architettura Milano e CDS Architettura Vecchio Ordinamento del 26 luglio 2006. In ordine progressivo di commissione: Giorgio BORDIN, Antonio Mario AQUINO, Flavio LAZZATI, Raul BERTOLOTTI, Elia Emilio Pietro BONI, Daniela CARTA, Pietro BIN, Silvia CORTI, Paolo BERTINI, Claudio GRIECO, Ciro Antonio BENVENUTI, Laura Sabrina CARONNI, Elisabetta LA MONICA, Luca AUTUNNO.

47 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

Io “privato” ti finisco un oggetto, per cui la città si trova beneficiaria di un oggetto fatto dai privati, questo è stato possibile grazie alla meticolosità dell’architetto Dossena, il quale ha lavorato al problema della convenzione. Noi ci siamo posti il problema con attenzione nel fare questa operazione di rapporti inerenti il vivere del cittadino, il vivere dell’utente. Infatti, nella multisala e nell’edificio commerciale posti a nord, si intravede un’architettura di buon livello, corretta con materiali innovativi. Se il lavoro si sviluppa su questi princìpi credo che il futuro sia molto interessante. Mi fa piacere, e le faccio un complimento, che dall’Ordine degli Architetti di Cremona parta questo primo interessamento. Noi per il momento l’intervento non l’abbiamo pubblicato, perché volevamo finire la piazza e la fontana; volevamo far capire qual era il significato della nostra ricerca.

Questo intervento ha fatto discutere negli ambienti professionali? Discutere! Ben venga, se servisse anche un dibattito con una serie di diapositive per vedere gli ultimi esempi di una residenza abbinata al concetto del vivere la città e sempre in rapporto ai costi del mercato immobiliare. Ultimamente mi hanno fatto vedere un intervento fatto da queste “stelle del firmamento” dove mi dicevano: quanto può cambiare, quanto può incidere la firma di un architetto nella vendita dell’appartamento? La risposta è stata “zero”. Certi interventi come un centro congressi o il nuovo stadio fatto da Isozaki… cosa ti può esprimere sull’architettura? Io credo, invece, che la gente ha bisogno della finestra, di avere il lavabo fuori sul terrazzo, ecc..


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969

Base dell'indice-novembre 1969:100

Anno 2003

Giugno

2004 2005 2006

48

Maggio

Luglio

1513,16 1514,42 1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44 1600 1604,83 1606,09

Agosto Settembre Ottobre Novembre 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1580 1577,21 1579,72 1580,97 1583,48 1583,48 1610 1609,85 1612,37

Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982)

anno 1982: base 100

Anno 2004

Dicembre 1529,48

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

1555,86 1586,00

Gennaio 260 264,74

Febbraio Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

265,61

266,48

266,91

267,56

267,78

268,21

268,21

268,21

268,86

268,86

268,86

269,73

271,03

271,47

271,90

272,55

272,99

273,20

273,64

273,64

274,07

274,72 275,37 275,81 276,46 277,33 277,54 278,19 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto nella parte superiore delle celle

278,63

2005

INDICI E TASSI

Gennaio Febbraio Marzo Aprile 1500 1510 1501,86 1504,37 1509,40 1511,91 1530 1540 1532,00 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42 1590 1589,76 1593,53 1596,04 1599,81

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

265,82 270 270,17

2006

Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2004 2005 2006

Gennaio 117,08 118,90 121,49

Febbraio 117,46 119,28 121,78

Marzo 117,56 119,48 121,97

Aprile 117,85 119,86 122,26

anno 1995: base 100 Maggio 118,04 120,05 122,64

Giugno 118,33 120,24 122,74

Luglio 118,42 120,53 123,03

Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2004 2005 2006

Giugno 108,73 110,49 112,78

Gennaio 107,58 109,25 111,64

Febbraio 107,93 109,61 111,90

Marzo 108,02 109,78 112,08

Aprile 108,28 110,14 112,34

Maggio 108,46 110,31 112,69

Luglio 108,81 110,75 113,05

Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2004 2005 2006

Giugno 113,95 115,80 118,20

Gennaio 112,75 114,51 117,00

Febbraio 113,12 114,87 117,28

Marzo 113,21 115,06 117,46

Aprile 113,49 115,43 117,74

Maggio 113,67 115,61 118,11

Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

2003 108,23

2004 110,40

1997 108,33

1998 110,08

1999 111,52

2000 113,89

1998 101,81

Agosto 108,99 110,93 113,22

1999 103,04

2000 105,51

2001 117,39

2002 111,12

Settembre Ottobre 108,99 108,99 111,02 111,19

Novembre Dicembre 109,25 109,25 111,19 111,37

Settembre Ottobre 114,23 114,23 116,35 116,54

Novembre Dicembre 114,51 114,51 116,54 116,72

gennaio 2001: 110,50 2006 114,57 novembre 1995: 110,60 2002 120,07

2003 123,27

2003 113,87

2004 116,34

anno 1997: base 100 2001 108,65

Novembre Dicembre 118,90 118,90 121,01 121,20

gennaio 1999: 108,20 Agosto 114,23 116,26 118,66

anno 1995: base 100

Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2005 112,12

Settembre Ottobre 118,61 118,61 120,82 121,01

dicembre 2000: 113,40

anno 2001: base 100

2002 105,42

Tariffa DLgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

Luglio 114,04 116,08 118,48

giugno 1996: 104,20 Agosto 118,61 120,72 123,22

2004 125,74

2005 127,70

2006 130,48

febbraio 1997: 105,20 2005 118,15

2006 120,62

Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato)

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale Legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Articolo 9 della Tariffa. Dal 2004 determinato dalla Banca Centrale Europea Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 3,75% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 3,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 2,75% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 2,50% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003 2,00% Provv. della B.C.E. (2.3.2006) dal 8.3.2006 2,50% Provv. della B.C.E. (9.6.2006) dal 15.6.2006 2,75% Provv. della B.C.E. (3.8.2006) dal 9.8.2006 3,00% Con riferimento all’Art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

10,35% 9,85%

dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

9,10%

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

dal 1.7.2005 al 31.12.2005

2,02% +7

9,02%

dal 1.1.2006 al 30.6.2006

dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

9,01%

dal 1.7.2006 al 31.12.2006

C Per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.

2,05% +7

Comunicato (G.U. 13.1.2006 n° 10)

dal 1.1.2004 al 30.6.2004

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159)

2,09% +7

Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174)

2,25% +7

Comunicato (G.U. 10.7.2006 n° 158)

2,83% +7

9,09% 9,05% 9,25% 9,83%

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’Art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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