AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi
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FORUM Luce e città interventi di Piero Castiglioni, Gianclaudio Di Cintio, Cinzia Ferrara, Ennico Nonni, Marinella Patetta Quattro domande a... Antoine Buchet
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FORUM ORDINI Cremona Lecco Mantova Milano Monza e Brianza Pavia Varese
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OSSERVATORIO Argomenti Conversazioni Concorsi Libri Mostre
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PROFESSIONE Legislazione Normative e tecniche Organizzazione professionale Strumenti
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INFORMAZIONE Dagli Ordini Lettere
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INDICI E TASSI
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12 DICEMBRE 2006
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Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)
Maurizio Carones
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Così come si è fatto in altre occasioni, questo numero è dedicato ad uno di quei particolari campi nei quali, soprattutto negli ultimi anni, si declina l’attività degli architetti. Il progetto della luce costituisce infatti uno di quegli “specialismi” che si stanno sempre più affermando nella nostra professione. Il progettista dell’illuminazione – o lighting designer, come talvolta si preferisce dire – sviluppa un’attività particolare, relativa ad aspetti tecnici che richiedono una specifica preparazione, in rapporto a tecnologie, normative e sensibilità notevolmente sviluppate negli ultimi tempi. Anche in questo caso si ripropone una sorta di opposizione fra chi ritiene che un architetto “generalista” possa progettare tutto e chi invece pensa che esistano specializzazioni particolari, relative ad aspetti peculiari del progetto di architettura. Opposizione probabilmente semplicistica, alla quale è forse più utile sostituire un atteggiamento di prudente attenzione che, come in un doppio gioco, porti a sondare i vari campi di un sapere sempre più specializzato, conservando allo stesso tempo la convinzione che il nostro continui ad essere un lavoro fondato sulla convergenza di differenti saperi, delle cui differenze si alimenta, mantenendo il comune fine del progetto. Se è noto che l’ambito della progettazione della luce negli ultimi anni ha sviluppato particolari competenze, che solo una adeguata specializzazione può definire, è altrettanto vero che esso appartiene pienamente al campo dell’architettura, così come la storia ha più volte mostrato. In questo senso è importante notare come il tema della progettazione della luce venga qui particolarmente sviluppato in relazione alla scala urbana. Il progetto dell’illuminazione della città, in rapporto con le disposizioni legislative che prevedono che le amministrazioni comunali della Regione Lombardia si dotino di un Piano Urbano della Luce, costituisce infatti un’occasione per le amministrazioni pubbliche e per i progettisti - di affrontare con adeguata qualità progettuale un aspetto utile alla più generale riqualificazione del nostro territorio. Noti esempi hanno già dimostrato come una buona progettazione dell’illuminazione della città possa costituire un importante elemento di ridefinizione del paesaggio urbano. Allo stesso tempo, è interessante riconoscere come, anche in questo caso, la specializzazione e la definizione di diversi approcci e strumentazioni nella descrizione della città e del territorio stiano progressivamente portando alla codificazione di differenti strumenti di pianificazione, ciascuno riferito ad una questione precisa, ad una tecnica particolare. Oltre alla tradizionale pianificazione costituita dall’analisi delle forme urbane ed architettoniche, dello studio delle funzioni, si va infatti gradualmente definendo una pianificazione fatta da una somma di sguardi particolari, legati ad aspetti specifici. Tale pianificazione richiederà che, ancora una volta, temi specifici e necessità generali del progetto siano in grado di tendere allo stesso obiettivo.
Luce e città
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Nel Forum di questo numero intervengono Piero Castiglioni, architetto lighting designer, Gianclaudio Di Cintio, segretario coordinatore della Commissione Parcelle dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Milano, Cinzia Ferrara, architetto lighting designer, Ennio Nonni, architetto e urbanista, dirigente del Comune di Faenza, Marinella Patetta, architetto lighting designer. Antoine Bouchet, direttore di Eclairage Public (Direzione Illuminazione pubblica) di Lione, ha risposto a quattro domande di Cinzia Ferrara. Ringraziamo tutti i partecipanti per la loro collaborazione.
Luci nella città di Piero Castiglioni
La progettazione illuminotecnica inerente ai centri storici presenta problematiche che rientrano in quelle più ampie del progetto di arredo urbano, usando un termine non proprio adatto ma comunque assai più elegante del neologismo anglosassone di “city beautification”. Rispetto al progetto architettonico l’illuminazione contiene una doppia caratteristica: il controllo e la distribuzione della luce nello spazio e l’impatto visivo degli apparecchi. Quest’ultimo in generale costituisce il tema di maggior attenzione da parte degli organi di tutela del patrimonio e, più in generale da tutti i cittadini; attenzione che spesso, ahimè, degenera in pudori ingiustificati espressi dalle pubbliche amministrazioni e dalla società civile: si cede alla tentazione dell’utilizzo di lanterne o lampioni che costituiscono un triplo falso storico. Il primo falso è assolutamente di tipo filologico in quanto prima della seconda metà dell’Ottocento non esisteva nei centri cittadini, salvo rare eccezioni, alcuna illuminazione pubblica, il secondo è costituito dal fatto che le lanterne normalmente utilizzate sono di impronta vagamente settecentesca e quindi in relazione ad un periodo storico ristretto e connotato. Il terzo falso è tecnologico, poiché le stesse erano progettate per proteggere la fiamma dal vento e smaltire appropriatamente il calore emesso. Pudori quindi tanto più assurdi se ci riferiamo ad altri elementi assai più importanti dimensionalmente di una lampada e che compongono il paesaggio urbano anche nelle zone monumentali, come edicole o cabine telefoniche: quale buontempone o sciagurato potrebbe pensare di utilizzare in piazza del Duomo a Milano cabine telefoniche in stile gotico o barocche a Roma in piazza Navona? Buona norma credo sia utilizzare apparecchi di dimensioni contenute, poco disegnati, senza cedimenti decorativistici, evitando sfere od ombrelli, e collocarli il più possibile in posizioni discrete rispetto agli edifici ed agli altri elementi urbani. Il secondo aspetto, quello del controllo e della distribuzione della luce, viene molto spesso trascurato e ritenuto meno importante del primo, contiene invece elementi altrettanto importanti che sono legati alla tecnologia ed alla cultura allo stesso tempo. Produrre macchie, ombre troppo marcate, incrementare i contrasti, appiattire le
profondità, snaturare i colori con sorgenti con emissione cromatica decisamente connotata e satura, sono solo alcuni degli innumerevoli errori in cui si può cadere in una realizzazione illuminotecnica. Ciò è particolarmente ancor più grave quando il soggetto interessato è di notevole rilevanza storica e artistica: qui la progettazione si sposta dal campo estetico a quello etico, con evidenti maggiori responsabilità. Altri due fattori, inoltre, rientrano nella stessa tematica: il controllo dell’emissione onde limitare l’inquinamento luminoso ed il contenimento dell’energia assorbita dai corpi illuminanti. L’atteggiamento progettuale nei confronti dei centri urbani non è diverso da quello tenuto per ogni altro progetto di illuminazione. Soprattutto per le nostre città con elevati contenuti artistici, cresciute spesso tra le contraddizioni e le casualità delle stratificazioni di storia, è necessario mantenere una visione unitaria, considerare il tessuto urbano un’unica entità di elementi compositi. Nell’intervento effettuato nella città di Mantova si è tenuto conto di questi princìpi etici ed estetici. Oggetto dell’operazione: il percorso gonzaghesco costituito dall’asse che collega Palazzo Te a Castel San Giorgio, con estensione, quindi a tutto il centro storico, ai rii e a quelle, che con orribile terminologia, vengono chiamate le “emergenze verticali” (cupole e campanili). Abbiamo fatto numerosi sopralluoghi, rilievi fotografici e toponomastici e ci siamo resi conto che, come spesso, nelle nostre città, la necessità prioritaria consiste nel fare ordine: liberare le facciate da stratificazioni di cavi, unificare le temperature di colore delle sorgenti e la tipologia degli apparecchi (spesso un vero campionario). La città è un succedersi di abitazioni “umili”, di botteghe, di palazzi nobiliari, di chiese, si snoda in strade e stradine, si apre su larghi e piazze: riteniamo che la luce debba offrire lo stesso servizio “imparziale” di lettura a tutto il complesso, con ottima qualità per temperatura di colore e resa cromatica, con buon valore di illuminamento sia sui piani di calpestio che sui piani verticali per la piacevolezza del passeggio, suggerire delle chiavi di lettura con piccoli accenti su facciate, tabernacoli, particolari scorci, rendere vive di luce le vie d’acqua... La città intesa come casa comune di tutti i cittadini, ricca di storia e di monumenti, non monumento essa stessa. Luce in questo caso come servizio e non manifestazione di protagonismo: effetti di luce teatrale, l’illuminazione “monumentale”, così come le luminarie natalizie, possono costituire un evento, un momento di festa, non la quotidianità.
Pianificare e progettare la luce di Gianclaudio Di Cintio
Il tema del “Piano Urbano della Luce” trattato in questo numero è stato motivo di ampio dibattito all’interno della “Commissione Parcelle” dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Milano presieduta da Gemma Skof.
Le immagini che illustrano il numero si riferiscono alla città di Lione e ci sono state cortesemente fornite dalla Direction Eclairage Public che ringraziamo.
FORUM GLI INTERVENTI
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Expérimentations étudiantes. ©Michel Djaoui. Concepteur: Grand atelier de l’ile d’Abeau.
Gemma Skof e Carlo Lanza della “Commissione Tariffe” contribuiscono alla trattazione dell’argomento con due contributi riferiti agli aspetti contrattuali e tariffari nella sezione “Organizzazione Professionale” di questo numero di “AL”. Argomento sempre più coinvolgente a livello culturale e di estrema sensibilità per gli aspetti progettuali propriamente creativi e funzionali: migliorare la fruizione dei centri urbani e dei luoghi esterni di aggregazione e, per tutti gli elementi dimensionali tipici di un calcolo illuminotecnico quali la limitazione dell’inquinamento luminoso e ottico, il problema del risparmio energetico e l’economicità nella gestione degli impianti. In architettura è sempre stata presente la consapevolezza del ruolo della luce, dai grandi spazi come musei, alberghi, edifici storici, al servizio primario delle nostre città. Ma è la pubblica illuminazione quale strumento di orientamento e di individuazione di trame caratterizzanti, di percorsi; attraverso l’impiego di sorgenti con diversa dominante cromatica nelle diverse tipologie di strade o, in alcuni casi, di percorsi come le penetrazioni verso il centro città che si va affermando come tema di una più accurata pianificazione territoriale. Purtroppo, non sempre la luce viene progettata pensando al territorio urbano nella sua complessità ed articola-
zione: gli impianti vengono spesso realizzati sotto la spinta di necessità contingenti o di occasionali disponibilità economiche e, così, la luce diventa un elemento disorganico ed eterogeneo, curandone, e non sempre con la dovuta competenza, i soli aspetti tecnologici. Per eliminare questa criticità e risolvere anche economicamente l’esigenza di ottimizzare gli interventi sulla pubblica illuminazione, programmandoli nel tempo, parlare di Pianificazione della Luce non è più considerata una stravaganza. Con l’entrata in vigore della L.R. 17/2000 i Comuni della Lombardia dovranno obbligatoriamente dotarsi di un nuovo strumento di pianificazione urbana: il Piano Urbano della Luce (P.R.I.C.), in grado di integrarsi con altri strumenti come il Piano di Governo del Territorio, i Piani Particolareggiati, i Piani di Recupero, il Piano Urbano del Traffico, il Piano del Colore ed il Piano Energetico ed armonizzare, così, l’illuminazione con la crescita e le trasformazioni dell’organismo urbano evitando realizzazioni frazionate ed episodiche con conseguenti sprechi di risorse pubbliche. Nel rispetto della normativa vigente in materia di illuminazione pubblica, il Piano Urbano della Luce verrà ad avere una parte analitica, una parte propositiva e una gestionale, per arrivare a dotare la città di tecniche e tipologie grazie alle quali gli scenari notturni urbani potranno essere più fruibili, funzionali e suggestivi.
Fête des lumières 2005. Colline de Fourvière. ©Michel Djaoui. Concepteur: D. Fontaine/R. Vigneron.
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Lighting designer Risale a circa venti anni fa l’interesse per il “progetto luce” ed era argomento riservato agli ingegneri elettrotecnici ed impiantistici, ora è materia studiata nella Facoltà di Architettura ed ha assunto un aspetto interdisciplinare e complesso, implica l’interpretazione dello spazio, la tecnica fotometrica, le sorgenti luminose, gli apparecchi e le proprietà e diventa elemento di design: inserita nella materia, mescolata a emissioni colorate per suscitare nuove emozioni. Colui che volesse definire chi è il lighting designer – o se si preferisce l’illuminotecnico – e quali sono le figure professionali che possono ricoprire questo ruolo, intraprenderebbe un compito difficile. Moltissimi sono gli ambiti in cui questa professione si svolge, dagli ambienti domestici a quelli commerciali, sportivi, fino a toccare temi più propriamente inerenti la città. In questo grande universo in cui la sensibilità, l’esperienza, le conoscenze tecniche, insomma la cultura di ogni professionista costituiscono senza dubbio il bagaglio di ognuno, è un rapporto fiduciario quello che, come ogni libera professione, si stabilisce fra committenza e professionista. È comunque doveroso precisare che nel caso in cui la Pubblica Amministrazione affidi ad un soggetto l’incarico di redigere un progetto di illuminotecnica e/o di redigere i conseguenti lavori, questi non può che essere un professionista iscritto ad un Ordine o ad un Albo professionale riconosciuto.
7 FORUM GLI INTERVENTI
• La parte analitica: ha finalità di “fotografare” lo stato di fatto dell’illuminazione esistente in modo da avere un quadro generale che permetta di individuare le priorità di intervento. Si noti che sovente i vecchi impianti richiedono cospicue spese per il mantenimento di modesti gradi di efficienza degli impianti; • la parte progettuale: si individuano nel tessuto urbano le aree che si ritengono omogenee sotto il profilo illuminotecnico, osservando la tipologia degli spazi urbani e le loro destinazioni d’uso; • la parte gestionale: indica come prioritaria la ricerca di soluzioni progettuali e tecnologie idonee a ridurre al minimo l’incidenza dei consumi energetici, pur perseguendo la qualità. Considerato che la Legge della Regione Lombardia 38 del 2004 affida ad una variante allo strumento urbanistico generale l’approvazione del Piano Urbano della Luce, appare evidente che la redazione di un Piano Urbano della Luce non può che appartenere alle competenze specifiche degli architetti. Infatti, solo un’attenzione alle questioni urbanistiche, arricchita da una sensibilità ai fattori ambientali, edilizi e di arredo, che solo un architetto possiede, può rendere efficace una pianificazione della luce nell’ambito territoriale. L’impegno progettuale potrà avere un profilo interdisciplinare da sviluppare in parallelo con il lighting designer, in quanto coinvolge elementi dimensionali tipici di un calcolo illuminotecnico.
Eglise St. Paul. ©Direction Eclairage Public. Concepteur: Roland Jéol/Direction Eclairage Public.
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Conseguentemente l’attività del progettista illuminotecnico viene regolata da tutte le leggi, decreti e norme concernenti, per esempio, le professioni di Architetto e di Ingegnere, sia per quanto riguarda la deontologia che la tutela dell’esercizio delle professioni stesse. È evidente che alcuni fattori quali la presenza di normative UNI che regolano l’illuminazione di interni e di esterni, richiamata direttamente o indirettamente da leggi e decreti vigenti, impone, di fatto, l’esistenza di una figura professionale che sia in grado di redigere un progetto che contenga oltre agli aspetti progettuali più propriamente creativi e funzionali anche tutti gli elementi dimensionali tipici di un calcolo illuminotecnico. Appare chiaro, quindi, come la progettazione illuminotecnica rientri nel campo delle prestazioni concettuali interdisciplinari ed il lavoro di un lighting designer non potrà che svolgersi in parallelo con quello dell’architetto, con studi, disegni, sezioni, prospetti, disegni tecnici e meccanici.
Piani della luce di Cinzia Ferrara
L’entrata in vigore della L.R. Lombardia 17/2000 e successive modifiche obbliga i comuni a dotarsi del “Piano urbano della Luce”, cioè di uno strumento specifico di pianificazione e programmazione progettuale e gestionale dell’illuminazione pubblica, il cui fine principale è quello di organizzare l’insieme degli interventi pianificandone tempi e modalità. Si tratta di una sorta di progetto preliminare sull’illuminazione pubblica che fotografa lo stato e la qualità della luce urbana, ipotizza gli adeguamenti normativi, definisce le migliorie da attuarsi e stabilisce i principali criteri da applicare alle nuove aree. Pur essendo questo uno strumento di grande utilità per la pubblica amministrazione, anche perché finalmente inquadra l’intero territorio comunale e non solo porzioni di esso (viene infatti definito nel testo legislativo quale parte integrante dello strumento urbanistico generale), molti comuni l’hanno interpretato in modo decisamente riduttivo. Troppo spesso infatti non si sono colte le opportunità che questo strumento è in grado di offrire sprecando questa occasione con soluzioni veloci ed economiche in modo da adempiere “in qualche modo” agli obblighi di legge. Il Piano della Luce non è solo un adempimento, esso costituisce una possibilità ed un’occasione importante per far crescere la propria città, per migliorare la leggibilità del paesaggio urbano e rendere più vivibili gli spazi pubblici. La città è il prodotto di una moltitudine di fattori in continua evoluzione che ne trasformano i lineamenti principali così come i dettagli. In questa continua trasformazione l’illuminazione segue un disegno urbano che è un ordine aperto in continuo sviluppo: la luce può dare identità, struttura, significato. Il Piano della Luce definisce uno
scenario luminoso della città, una visione notturna che mette in scena il paesaggio urbano e i suoi componenti. Esso organizza la luce degli spazi pubblici seguendo le funzioni (transito o soggiorno), il ruolo di ogni sua parte all’interno del territorio (storico, residenziale, turistico, amministrativo, veicolare) i loro collegamenti e le interazioni. La luce da strumento funzionale teso a garantire una percezione dello spazio più sicuro diviene il mezzo attraverso il quale costruire una visione globale della città notturna ed il Piano lo strumento che delinea un’ipotesi di sviluppo degli interventi di illuminazione nell’area comunale. Compito di un Piano della Luce è quello di restituire alla città i suoi panorami notturni, la visione degli spazi, delle quinte e dei fondali, delle case e dei monumenti insigni, del verde ornamentale e dei giardini, di facilitare l’orientamento, di svelare le caratteristiche peculiari della città attraverso un’illuminazione efficiente del sistema viario, un’illuminazione dedicata di soggetti e siti di particolare pregio ambientale o architettonico. In questo senso anche le ultime integrazioni e modifiche alla L.R.17/2000, e in particolare quelle del dicembre 2004 esplicitano ed estendono le finalità del piano, ampliandone gli obiettivi. L’Art. 10 sintetizza e ne chiarisce i principali: • limitazione dell’inquinamento luminoso e ottico; • economia di gestione degli impianti attraverso la razionalizzazione dei costi di esercizio, anche con il ricorso a energia autoctona da fonti rinnovabili, e di manutenzione; • risparmio energetico mediante l’impiego di apparecchi e lampade ad alta efficienza, tali da favorire minori potenze installate per chilometro ed elevati interassi tra i singoli punti luce, e di dispositivi di controllo e regolazione del flusso luminoso; • sicurezza delle persone e dei veicoli mediante una corretta e razionale illuminazione e la prevenzione dei fenomeni di abbagliamento visivo; • migliore fruizione dei centri urbani e dei luoghi esterni di aggregazione, dei beni ambientali, monumentali e architettonici; • realizzazione di linee di alimentazione dedicate. Non di minore rilievo sono i vantaggi economici che ne possono derivare, quali ad esempio quello di razionalizzazione delle opere di manutenzione, riduzione delle spese di funzionamento grazie all’impiego di tecnologie a risparmio energetico, economie di costruzione dovute alla razionalizzazione ed alla maggiore contestualità degli interventi. Ma la legge non si ferma qui, infatti la L.R. 38/04 all’Art. 4 stabilisce in maniera univoca che ogni progetto illuminotecnico inerente opere da realizzarsi in esterno, relative all’illuminazione pubblica, deve essere redatto da un professionista abilitato che attesti il rispetto della L.R. 17/00 e successive modifiche. Ciò significa che per ogni impianto di illuminazione esterna, anche a scopo pubblicitario, deve essere autorizzato un progetto specifico.
FORUM GLI INTERVENTI
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La Sucrière. ©Michel Djaoui. Concepteur: Light Cible.
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Faenza. Dall’urbanistica all’arredo urbano: un percorso coerente di Ennio Nonni
L’insegnamento classico dell’urbanistica, nel pensare e progettare il territorio per parti, è stato, ed è ancora in molti casi, la vera rovina nell’approccio al disegno urbano: la zonizzazione della città e il progetto ottenuto mediante una serie di piani hanno nascosto, in primo luogo, l’assenza di una coerente identità urbana e, conseguentemente, le vere responsabilità soggettive per i mediocri risultati concreti. Questo tipo di approccio ha contaminato tutte le scale di lavoro fino ad arrivare al cosiddetto “Arredo urbano”. Fanno tenerezza i Piani di arredo urbano intesi come il livello finale in cui la creatività di progettisti che pensano di lasciare il segno, si materializza in nuove forme di lampioni, pavimentazioni cromatiche, luci incassate nei marciapiedi, fioriere, panchine, fittoni, delle più varie forme e materiali. A Faenza, città della Romagna famosa nel mondo per le ceramiche con una superba impronta neoclassica, si è perseguito un metodo di lavoro opposto: nessun piano del colore, delle pavimentazioni, dell’arredo generale o specifico che sia, a cui affidare la risposta ad una esigenza, che non è di disegno ma di identità di una città. Il momento in cui si deve trovare coerenza e identità non può che essere quello del “Piano” inteso come progetto dalle lunghe prospettive, ben lontano dal grigiore razionalista di quei PRG in cui prevale l’aspetto burocraticoamministrativo rivestito da norme che non fanno intravedere la benché minima simulazione concretizzabile. Il ragionamento su quale estetica urbana dovesse avere Faenza parte da lontano, dalla pianificazione, ed è un filo che coerentemente si srotola, senza strappi e ricuciture. Se non si partisse dalle strategie generali (dall’urbanistica) non ci sarebbe una chiara visione di ciò che si vuole perseguire, col risultato, nella gestione, di procedere in ordine sparso; è frequente nei Comuni che uffici diversi abbiano estetiche diverse, perseguendo magari un personale punto di vista ed evidenziando, in questo ondeggiare, l’assenza di una’idea condivisa e forte di città. Il progetto di arredo urbano, a Faenza, discende dalla storia stessa della città; non operazioni di addizione di elementi di arredo, bensì un costante progetto di sottrazione con l’obiettivo di esaltare la scena urbana senza la casuale confusione di “pezzi d’arredo”. Senza enfasi, ma con coerenza, è un lavoro di progettazione quotidiano che ha prodotto risultati nel medio periodo e che non trascura di affrontare le moderne esigenze impiantistiche. Il repertorio delle iniziative chiarisce l’importanza e la coerenza del progetto che è partito affrontando, prima, le anomalie più eclatanti, per poi scendere anche nei dettagli. Nel centro storico oltre 100 insegne a bandiera che alteravano le lunghe viste degli isolati sono state rimosse e ora il centro è interamente sgombro; le segnalazioni di
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Fête des lumières 1999. Hôtel du Grand Lyon (Courly). ©Tristan Deschamps. Concepteur: M. Piaulet/G. Lyon/E. Public.
negozi ed attività sono state ricondotte nell’ambito usuale della vetrina, nel vano portinsegna. Le numerose composizioni di grandi fioriere in cemento poste a delimitazioni di strade nei pressi della piazza, sono state smantellate e sostituite da un fittone in ghisa “modello Faenza” in uso ai primi del ’900; è stata l’occasione, unitamente alla ripresa di una seduta in ghisa e legno “modello Faenza”, per riattivare una elegantissima produzione, sospesa dal dopoguerra. Recentemente, per consentire l’accesso alle zone centrali a traffico limitato sono stati introdotti alcuni piccoli fittoni a scomparsa che si alzano e si abbassano in orari prestabiliti, svolgendo un’azione più efficace degli ingombranti cartelli stradali. Fino a poco tempo fa Faenza era costellata di cavi aerei per l’illuminazione pubblica con i relativi corpi illuminanti posti nella mezzaria stradale; gradualmente procedendo per ambiti omogenei questa invasiva soluzione è stata sostituita da fari nascosti sottogronda, mentre negli stretti vicoli è stato installato un lampione a braccio (non da catalogo bensì un nuovo corpo “modello Faenza”) che garantisce una illuminazione meglio rapportata alla strada; il lavoro è stato poi completato con la rimozione dei cavi aerei. Ma l’illuminazione della monumentale, neoclassica piazza faentina, con doppi portici affrontati, non poteva essere risolta con la ripetizione dei sistemi citati; uno spazio unico, eccezionale esigeva un progetto innovativo. E così
Mario Nanni (Viabizzuno) nel 2001 ha progettato per lo specifico luogo “Luna Nascente”; un sistema motorizzato che consente ad un proiettore da esterni di apparire e scomparire a seconda delle necessità e che, collegato a un software, permette l’impostazione di molteplici scenari luminosi. I bellissimi monumenti della piazza faentina, che abbracciano tutte le epoche, dal medioevo all’800 sono rimasti visivamente intatti; e la piazza è illuminata quando serve, con una quantità di luce adeguata a seconda dell’uso e degli orari. Anche in questo caso l’oggetto si ritrae; scompare, per fare emergere l’architettura; una scena urbana che viene esaltata ulteriormente dalla sobrietà delle pavimentazioni monocrome in pietra di Luserna a forte spessore, bandendo dal vocabolario architettonico le scontate divagazioni di ciottoli, cordoli, invenzioni di tagli e materiali che poco hanno a che vedere con la città storica. La regolamentazione, unitamente a una capillare concertazione con gli operatori, ha interessato anche i condizionatori di aria che non vengono più installati all’esterno degli edifici, le parabole che vengono mimetizzate sui tetti e comunque non devono essere visibili dagli spazi pubblici, e i numeri civici, che riprendono un modello dei primi del ’900, in ceramica, in tutto il territorio comunale. Il Comune di Faenza è stato fra i primi in Italia, svariati anni fa, ad emanare un regolamento inerente le installazioni di telefonia mobile che ha consentito di evitare impianti in
Fête des lumières 2003. Place des Terreaux. ©Michel Djaoui. Concepteur: Zone d’Ombra/Skertzo.
centro storico e in altre zone di pregio; in altri ambiti, l’indirizzo è stato quello di ricercare per queste nuove torri della tecnologia soluzioni moderne di design urbano. Questa complessità e variabilità di argomenti è stata ricompresa anche nel Piano Strategico del Centro Storico, approvato dal Consiglio Comunale, che ha, così, ulteriormente ribadito l’indirizzo faentino sull’arredo della città per gli anni a venire, al fine di evitare stonature. Con le opportune diversità di approccio progettuale fra centro e periferia, nel tempo le differenze si vedranno sempre più: differenze fra le città che perseguono l’eleganza urbana in un’ottica di potente minimalismo e quelle che, invece, guardano alle mode e, rinunciando ad una propria identità, sbandano in una confusione di oggetti, mascherati da inutili necessità.
Luce e identità degli spazi urbani di Marinella Patetta
L’impostazione che può dare un Piano della luce, il corretto intervento sui centri storici e su qualunque spazio aperto della nostra città sono fondamentali soprattutto per migliorare in modo diffuso la qualità dello spazio abitato. All’interno di un tema vasto, serio ed impegnativo come quello di Luce e Città sembrava interessante sottolineare anche un aspetto che esula da quella che possiamo defi-
nire come “illuminazione funzionale”. Un aspetto un po’ particolare legato alla grandissima capacità della luce di trasformare la percezione di uno spazio, di essere elemento progettuale che aiuta nella riqualificazione o nella riscoperta di luoghi della città. Capacità di trasformazione che ho potuto sperimentare personalmente durante la realizzazione di un evento svoltosi a Milano in occasione dell’Euroluce 2005 (1). In quella occasione sono state realizzate quattro installazioni luminose localizzate in un quartiere centrale della città lungo un percorso comodamente percorribile a piedi. I quattro interventi, hanno visto la partecipazione di altrettanti gruppi di lavoro composti da “cittadini” di diversa formazione (scrittori, giornalisti, imprenditori, fotografi, architetti, galleristi, psicologi…) e coordinati ognuno da un critico di design e da un lighting designer i quali avevano il compito di tradurre in un progetto gli spunti emersi durante una serie di incontri. Proprio attraverso il contributo di persone non esperte di illuminazione, ma certamente utenti qualificati ad esprimere una propria idea di luce per la loro città, si è cercato di definire/esprimere per ogni “location” una interpretazione di luce che non partisse da un approccio puramente funzionale, ma fosse anche una libera espressione di sogno, di immaginario che quel luogo suggeriva. Conseguentemente anche attraverso l’utilizzo di elementi/oggetti luminosi un po’ diversi dal canonico apparecchio di illuminazione per spazi urbani.
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Parc de Gerland. ©Direction Eclairage Public. Concepteur: LEA.
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Bene, al di là del risultato, che credo sia stato comunque molto interessante, la cosa più significativa sono stati i commenti dei passanti e degli abitanti del quartiere contenti di quelle installazioni, che riscoprivano e mettevano in luce piazze, chiostri, vie normalmente percorse senza interesse e totalmente prive di attrattiva, soprattutto la sera. Molti si chiedevano perché quelle installazione non potevano essere la normalità. Perché non potevano durare. Questa per me è stata la dimostrazione che luoghi sconosciuti o poco notati si trasformavano in punti focali, luoghi di passeggio e di ritrovo anche al solo scopo di guardare, fruire di una condizione di luce diversa. Certamente questa non è certo stata né la prima né l’u-
nica esperienza in questo senso. Parlando di eventi temporanei si può citare il Luminale di Francoforte evento anch’esso associato ad una manifestazione fieristica del settore (2), in occasione della quale vengono realizzate più di cento installazioni in vari punti della città oggetto di visite guidate per tutta la durata della manifestazione. Così come, anche se con un taglio nettamente più artistico, Luci d’Artista a Torino. Più interessanti ancora però rimangono, a mio giudizio, esperienze di carattere permanente realizzate in diverse parti del mondo e che hanno dimostrato come il progetto di luce su di un edificio o su di un quartiere, magari un tempo sede di attività produttive ormai dismesse, possa
Note 1. Cielo Aperto (S)punti di luce a Milano in occasione dell’Euroluce 2005. 2. Light+ Building – Francoforte. Testi AA. VV., Milano Luci a Cielo Aperto/ Lights in the blue, Charta, Milano, 2005. Vincent Laganier, Lumières architecturales en France, Editions AS-Collections “Scéno +”, Paris, 2004. Motoko Ishii, Light to infinity, Libroport Co. Ltd., Tokyo, 1991. P. A. de Chassy-Poulay, P. Delaporte et J. Turrell, Lux: le monde en lumière, Seuil: Turner & Turner, Paris, 2003. Roger Narboni, La lumière et le paysage, Le Moniteur, Paris, 2003. Roger Narboni, La lumière urbane: eclairer les espaces publics, Le Moniteur, Paris, 1995.
ridare vita al quel luogo creando un nuovo interesse per quelle zone. Pensiamo agli interventi di illuminazione legati a grandi cantieri dove gli spazi in costruzione (Quartier des Pentes – Lyon), o le grandi gru (Chantier de Paris Rive Gauche) diventano luogo di interesse ancora prima che i lavori siano terminati. Alla riqualificazione/trasformazione di spazi come quelli dei Docks a Port Saint Nazaire o a zone destinate alla demolizione che invece diventano quinte e sfondi per luce e colore, l’ossatura portante di un materiale più leggero e diverso, ma altamente suggestivo come la luce (Raisio – Finlandia). Occasioni dove la luce è stata utilizzata non solo per assolvere problemi di sicurezza, ma per rendere più
Siti: • Euroluce 2005 Cielo Aperto (S)punti di luce a Milano in www.apilitalia.it • Chantier de Paris Rive Gauche - Francia, di Roger Narboni in www.lightingacademy.org – Lighting Projects • Raiso, Finlandia, di Honkonen Vesa & Julle Oksanen in www.vesahonkonenarchitects.com/ – Urban Planning • Tribute in Light – New York USA, di Paul Marantz in www.fmsp.com/port_16.htm • “Port Saint Nazaire - Docks” in www.lightingacademy.org Lighting Projects www.mairie-saintnazaire.fr/pages/vivre-a-saint-nazaire/tourisme-et-loisirs/nuits-des-docks.php • Luci di artista a Torino in www.comune.torino.it/artecultura /luciartista/ • 7 stanze d’autore – Luminarie a Palermo 07/09 2005 in www.kalsart.com • Luminale 06 a Francoforte in www.light-building.messefrankfurt.com/frankfurt/en/home.html • Workshop organizzato da ELDA in Alingsas in www.alingsas.se
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attrattiva ed invitante una zona. Attrattiva che può assumere alle volte anche la valenza di un vero volano economico. Come per esempio l’illuminazione, certamente spettacolare, della Tokio Tower che oltre ad incrementare un interesse turistico ha incrementato le vendite degli appartamenti nelle zone limitrofe. Oppure ad interventi che riescono ad assumere e a restituire un enorme carattere simbolico come la ricostruzione con la luce delle Torri Gemelle (Tribute in Light). Gli esempi possono essere molteplici, purtroppo non molti in Italia. Credo che questo tipo di approccio, attraverso anche la sperimentazione di modalità espressive diverse, sia molto interessante e positivo per aumentare la sensibilità dei cittadini non solo verso la propria città e i suoi spazi, ma anche verso un materiale di progetto così importante come è la luce. Quanti spazi abbiamo nelle nostre città nei quali potrebbe valere la pena sperimentare, magari con qualche deroga ai regolamenti?
Fresque lumière 2002. Parc Tête d’Or, Grand Serre. ©Direction Eclairage Public. Concepteur: Direction Eclairage Public.
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Antoine Buchet C. F. L’esperienza di Lione costituisce senza dubbio un esempio per molte città che ora promuovono iniziative simili. Come e quando avete capito che la luce poteva diventare un elemento di arricchimento e valorizzazione per la città? A. B. La vera presa di coscienza risale al 1989, anno in cui la Municipalità di Lione manifestò per la prima volta la volontà di riconoscere alla luce una funzione non soltanto di sicurezza urbana. Nel corso di viaggi e missioni all’estero, i dirigenti politici lionesi poterono constatare come alcune città fossero riuscite a valorizzare ed abbellire la propria immagine notturna attraverso un differente impiego della luce; decisero così di tentare la stessa strada a Lione. Tale presa di coscienza non trovò però alcun esempio forte a livello europeo, visto che in quegli anni – fatta forse eccezione per Budapest – erano davvero poche le realtà urbane dotate di un piano di illuminazione dei monumenti cittadini. Il progetto iniziale prevedeva la sola realizzazione di un percorso fluviale notturno, riproponendo il modello già applicato nei pressi di una diga a monte di Lione dove le lampade ad incandescenza sistemate lungo le sponde del fiume Rodano si illuminavano al passaggio delle imbarcazioni. La consapevolezza della ricchezza naturale ed architettonica della nostra città ci spinse poi ad allontanarci dai fiumi e ad individuare un gran numero di altri siti e panorami sulle colline e nel cuore della città. Nei sei mesi successivi le cose procedettero piuttosto rapidamente e ci furono commissionate numerose realizzazioni: la Municipalità intendeva, infatti, rispettare la tradizione secondo cui l’inaugurazione delle nuove illuminazioni doveva coincidere con la Festa delle Luci dell’8 dicembre. L’entusiasmo col quale la popolazione lionese accolse in quell’occasione le innovazioni introdotte nel paesaggio notturno cittadino legittimò la scelta politica e ci spronò a proseguire nella realizzazione di un panorama luminoso. Nel corso del primo anno ci interessammo alle sponde dei fiumi, ad alcuni ponti, alla collina di Fourvière, all’Hôtel Dieu e alle Università. Ai primi mesi in cui ci limitammo ad eseguire le decisioni politiche della Municipalità, seguì ben presto l’esigenza di instaurare una profonda riflessione sul ruolo rivestito dalla luce all’interno del nostro contesto urbano. Tale riflessione, condotta dalla Divisione Municipale dell’illuminazione pubblica in collaborazione con l’Agenzia per l’urbanistica ed un pool di architetti, sfociò nel primo piano illuminazione della città di Lione.
C. F. Alla luce dell’esperienza pionieristica di questi anni, quale crede possa essere l’evoluzione di Lione? A. B. Nel 2004 abbiamo ritenuto opportuno considerare il primo piano di illuminazione come quasi completato. Ci siamo quindi interrogati sulla futura politica in materia di illuminazione urbana, sul ruolo che la luce rivestirà nei prossimi dieci anni. Una più ampia riflessione politica in merito ai settori su cui la città di Lione intende puntare nel prossimo decennio per consolidare la propria immagine internazionale ha riconosciuto – accanto al settore tessile e alla ricerca medica – il ruolo pionieristico ed il peso dell’esperienza lionese in materia di illuminazione cittadina, legittimando così la nostra riflessione, quanto finora realizzato ed i progetti futuri. Il nuovo piano di illuminazione si basa su un approccio aperto a riflessioni ed apporti esterni, lontano quindi dall’aspetto prettamente politico e dalla rigidità del primo piano voluto e definito dalla Municipalità. Come auspicato dall’attuale Assessore all’Urbanistica Gilles Bunat, il nuovo piano di illuminazione è nato dal confronto e dalla concertazione tra le idee e le opinioni di grandi gruppi di lavoro interprofessionali formati da architetti, urbanisti, paesaggisti, filosofi, storici ed artisti. Il nuovo piano di illuminazione si articola intorno a tre assi: • il consolidamento e l’arricchimento della cosiddetta armatura perenne, con particolare attenzione alla valorizzazione delle porte d’ingresso alla città (la Sala 3000 di Renzo Piano, il Museo delle Confluenze, le torri del quartiere della Duchère); • un approccio territoriale della luce: diversamente dalla visione globale del primo piano, lo sviluppo della città impone oggi una riflessione per grandi territori di intervento (nuovo quartiere delle Confluenze, quartiere commerciale della ¨Part-Dieu); • un approccio a livello dei singoli quartieri: necessità di intavolare una riflessione intorno all’identità e al funzionamento dei singoli quartieri, così da adattare l’illuminazione alle abitudini e ai ritmi della gente che li abita. Fino ad oggi i lavori di illuminazione hanno interessato principalmente gli edifici ed i monumenti cittadini; nei prossimi anni vorremmo trattare in modo più qualitativo i luoghi di vita dei lionesi (vie pedonali, parchi, piazze, corti interne di edifici, ecc.), così da realizzare delle installazioni in stretta relazione con la quotidianità della città.
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Quattro domande a…
Fête des lumières 2005. Parcours Lumières. ©Michel Djaoui. Concepteur: Direction Eclairage Public/Flash Rapyd.
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C. F. Alle città che cominciano ora ad intraprendere iniziative simili a quelle che Lione ha portato avanti da anni, cosa consiglierebbe? A. B. Il successo di iniziative simili è legato anzitutto e profondamente alla presenza e al coinvolgimento di una forte volontà politica. Sul piano pratico dell’esecuzione, la determinazione istituzionale deve naturalmente poter contare su una direzione dei lavori capace di assicurare la continuità del progetto, di favorire la riflessione e l’interazione tra gli operatori coinvolti, di motivare le squadre di lavoro, di adattare il progetto iniziale ed il metodo di intervento agli eventuali cambiamenti tecnologici sopravvenuti. Credo sia altrettanto importante non dimenticare mai che, al di là di un quadro fisso e prestabilito, ogni piano illuminazione è il risultato di una combinazione di apporti e di riflessioni, di competenze, di esperienze e di persone. C. F. Quali ritiene siano i più importanti aspetti da tenere in conto quando si affronta l’illuminazione pubblica di una città? A. B. La valorizzazione e la teatralizzazione della città attraverso la luce conoscono e devono sempre conoscere dei limiti: quando si ha a che fare con la luce, è necessario interrogarsi sempre sul ruolo e la funzione dell’illuminazione, sul suo senso ultimo. Non esistono modelli prestabiliti ai quali ispirarsi; è la propria sensibilità che entra in gioco. Resta inoltre importante considerare e cercare di prevedere, fin dalle fasi iniziali di ogni progetto, i necessari lavori e costi per la manutenzione delle installazioni nel corso degli anni di utilizzazione.
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Cremona a cura di Fiorenzo Lodi
Una città in luce Illuminare una città di notte significa regalarle una nuova immagine, dare forma ai suoi edifici facendo rivivere il suo passato e la sua testimonianza storica. Ma elaborare un progetto di questo tipo significa anche ridare alla città un nuovo volto, un aspetto diverso da quello che siamo abituati a vedere di giorno, reinterpretando spazi e architetture in una dimensione sempre più proiettata al futuro. Il piano per l’illuminazione di Cremona, realizzato nel 1999 dall’ingegnere francese Roland Jeol in collaborazione con l’Azienda Energetica Municipale, è uno di quegli interventi che attraverso lo studio della città e dei suoi elementi essenziali ha cercato di dar vita ad un ambiente di qualità superiore, creare un polo di attrazione per il turismo, ma anche garantire un luogo stimolante per chi ci vive e ci lavora. Il progetto di luce di Cremona appartiene ad una serie di interventi di recupero-riqualificazione della città e previsti da una variante di PRG che hanno permesso anche la risistemazione di piazza Cavour come sede originaria del mercato cittadino e la valorizzazione di piazza Duomo e dintorni con un attento studio sull’illuminazione. Jeol in questo senso ha cercato di interpretare il significato complessivo dei vari luoghi per dare loro una coerenza formale e un’immagine creativa. Il piano ha individuato gli spazi e le prospettive più idonee al sistema di illuminazione seguendo progressivamente la riqualificazione del centro storico, con ampliamenti della zona pedonale e la riprogettazione di zone significative anche dal punto di vista architettonico e artistico. L’Atelier Jeol in Italia è attivo a Roma con la società “Illumina Design” e, accanto ad interventi in alcune città italiane (oltre Cremona, anche Torino, Pisa e Lucca), ha ideato altri importanti interventi in Europa e nel mondo (per il centro storico di Lione, il museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, il ponte Vasco de Gama a Lisbona, per citarne alcuni). A Cremona lo studio condotto dall’ingegnere francese ha permesso di individuare quattro luoghi fondamentali di luce: la piazza, il battistero, il palazzo del Comune ed altri edifici ad arcate. La piazza, da sempre centro della città, sua sintesi culturale ed estetica, diventa luogo d’incontro e di relazione sociale, una quinta scenica dove gli edifici, vestiti di una nuova luce, si presentano come i veri protagonisti. Jeol utilizza differenti tecniche per illuminare questi elementi: sulla cattedrale le luci non mostrano mai il peso e il volume della massa architettonica, anzi ogni traccia di gravità viene tolta alla ricerca del vuoto. Tutti gli elementi
plastici invece non vengono illuminati direttamente, ma per contrasto, acquistando così la massima leggerezza. Nel battistero viene esaltato il volume monolitico con una luce radente e quasi uniforme che si oppone volutamente all’illuminazione calibrata e puntuale del palazzo del Comune e del palazzo dei Militi. Laddove il luogo non presenta elementi che per importanza possano sovrastare lo spazio pubbliIl Duomo illuminato co vero e proprio la luce (foto Scalella). viene diffusa in modo omogeneo, per far emergere le superfici dei palazzi e le pavimentazioni (come in piazza Cavour), più che le forme plastiche. Ecco quindi che i volumi, gli spigoli, gli scorci non sono più gli stessi, la città di notte indossa un abito lucente che rende i suoi spazi accoglienti e vitali, segno di una identità forte e di una nuova carica culturale ed artistica. Non si è trattato di un approccio conservativo, né si può parlare di vera e propria innovazione, anzi forse già dopo sette anni alcune cose andrebbero riviste e aggiornate secondo nuove norme, ma questo progetto ha ben altri meriti. Ha avuto la volontà e le forza di risvegliare Cremona dal suo torpore, scuoterla dalla sua staticità e restituirle un’identità nuova, che va al di là di una semplice ricerca di comfort urbano e che invita la città stessa a mettersi in discussione e a dichiarare ciò che prima avrebbe potuto rimanere nel buio. Camilla Girelli
Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti
Abbiamo chiesto al collega architetto Gianni Ronchetti che da anni si occupa di progettazione illuminotecnica di esporre alcune considerazioni legate al tema della luce nella nostra città. L’abbiamo invitato ad illustrarci che cosa, a suo parere, significhi lavorare e progettare con la luce, quale sia il suo rapporto con l’architettura, quale il legame tra la luce e colui che la percepisce. L’accenno a Lecco ed alla sua vocazione turistica ha condotto Ronchetti a sottolineare i punti focali sui quali occorrerebbe intervenire concretamente per consentire alla luce di
svolgere il suo ruolo primario nella progettazione della città e nella promozione di spazi deputati alla vita pubblica. Consapevoli che molto lavoro si debba svolgere nella nostra provincia al fine di sensibilizzare amministrazioni comunali spesso poco attente alla “quarta dimensione dell’architettura”, ringraziamo Gianni Ronchetti per il suo contributo.
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M. E. R.
Luci per la città Molto, moltissimo si scrive sull’illuminazione, ma affinché l’argomento acquisisca l’importanza che merita sono spesso utilizzati concetti sofisticati nella comune considerazione che più la dimensione è rilevante, più è considerata degna di nota. Io, al contrario, vorrei usare una terminologia semplice proprio come è semplice la stessa luce. Ritengo che chi studia la luce debba umilmente vivere l’ambiente in cui è chiamato ad operare, deve saperlo ascoltare, saper udire le sue voci, saper vivere le sue trasformazioni e osservare le sue mutazioni di luminosità e colore. È fondamentale esercitare questi atti di amore sentendosi parte dell’ambito in cui si va ad intervenire. L’umiltà permette di raccogliere queste sensazioni e di tradurle in progetti in modo che la luce divenga un tutt’uno con l’ambiente, sua parte integrante. La luce è nell’ambiente e non sull’ambiente; come accade in natura ci sono parti delicate, altre appena accennate, altre ancora prorompenti. Le sfumature di luce e di colore sono da pensare coerentemente con le possibili variazioni cromatiche di tempi, spazi e volumi e, se vogliamo, anche di quelle delle stagioni. Vi è la possibilità, quindi, di vivere la luce artificiale come il passaggio da quella naturale a quella delle ore serali e notturne. Questa “nuova” luce dal crepuscolo prende possesso della città e, in suo omaggio, si adegua alle sue esigenze. La luce dovrebbe invitare a vivere gli spazi in modi diversi in rapporto agli orari, consentendo un dialogo fra chi usufruisce degli spazi e ciò che questi rappresentano; la luce invita a fermarsi, a vivere e godere degli ambienti. Perché allora non pensare a una luce dinamica che segua queste esigenze e porti il visitatore in un ambiente che senta proprio? Con il trascorrere delle ore una luce meno intensa ha la possibilità di far apparire alcune presenze che, nelle ore di maggiore convulsione, non si ha il tempo, o forse la voglia, di ammirare. Tali presenze luminose infondono nel nostro spirito un poco di magia e di fantasia, sino al momento in cui la luce lentamente si addormenta insieme alla città. Alcuni timidi esempi di interventi di illuminazione si cominciano a vedere nella nostra provincia. Si dovrebbe
G. Ronchetti, Comune di Sottomarina (Chioggia).
partire da un concetto di illuminazione che non utilizza necessariamente pali e corpi illuminanti che per troppo tempo si sono appropriati di una scena che a loro non compete. Osserviamo, infatti, un panorama di stili e di forme ampio e variopinto. L’architettura è l’ambiente! A Lecco vi è la contemporanea presenza di diverse situazioni, il lago, le piazze, i portici, il centro storico, alcune importanti emergenze, lo svolgersi di eventi. L’invito per la nostra città è la ricerca di una luce che esalti un ambiente così difficilmente riscontrabile, un contesto che di notte dovrebbe non solo partecipare alla vita della città, ma comunicare alla città la sua presenza. Un buon progetto di illuminazione nella nostra città dovrebbe essere in grado di fare dialogare i vari ambiti, utilizzando una luce non più statica bensì dinamica, dovrebbe potere seguire la vita che vi si svolge adeguandosi alle sue esigenze, ai suoi colori. Dovremmo saper creare un percorso di luce nella città, una sorta di guida luminosa che conduce in zone dove si sta svolgendo un evento particolare; al tempo stesso la luce dovrebbe rendere omaggio a contesti particolarmente significativi non solo sul lungolago ma, anche, nel centro della vita cittadina. Intendo la luce come trasporto e comunicazione, in grado di porre l’accento su alcuni angoli della città senza essere né teatrale, né scenografica. Così come ogni mattino presenta la luce naturale che di notte non c’è, la luce progettata, artificiale, crea effetti magici e suggestivi capaci di modificarsi e di modularsi in maniera differente, allo stesso modo la stessa luce naturale cambia nell’arco del giorno. È da sempre un sogno che a Lecco si potrebbe realizzare… Gianni Ronchetti
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Mantova a cura di Nadir Tarana
La gestione dell’illuminotecnica in una multiutility pubblica Tea spa è la società che si occupa dei servizi energetici, ambientali e idrici in gran parte dei comuni della provincia di Mantova. L’illuminazione pubblica è l’ultima tessera del mosaico che, assieme al Servizio Teleriscaldamento e Gestione Impianti Termici costituisce il settore “Energia Tea”. I punti luce gestiti da Tea sono circa 15 mila: 7.000 sul territorio del Comune di Mantova, gli altri divisi su altri comuni della provincia (Suzzara, Curtatone, Virgilio, Quingentole e Magnacavallo) per un totale di circa 2.200 kW di potenza installata. Gestione integrata, attenzione verso il risparmio energetico, contenimento della dispersione del flusso luminoso, studio per l’ambiente urbano e
Veduta notturna del Rio.
Skyline notturno della città.
l’attenzione verso i siti architettonici e monumentali di cui la città è ricca, sottintendono un servizio che cura l’illuminazione dalla progettazione alla manutenzione ordinaria e straordinaria a 360 gradi. Un ciclo chiuso che è prova delle capacità di Tea di affrontare la questione della luce sotto tutti gli aspetti con particolare attenzione verso le problematiche energetiche ed ambientali più attuali. Gestione impegnativa che, però, ha portato Mantova tra le prime dieci città nella graduatoria nazionale 2005 di Legambiente relativamente all’efficienza energetica nell’illuminazione pubblica. La gestione di due impianti fotovoltaici da 20 kW ciascuno (ed un terzo in fase di realizzazione), oltre ad un impianto di produzione elettrica da 860 kW da biogas di discarica di RSU, completano l’impegno della Società verso l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili. L’attenzione al risparmio energetico e la riduzione del flusso luminoso disperso verso l’alto, così come indicato dal protocollo di Kyoto e dalla Legge della Regione Lombardia n. 17/2000 e s.m.i., negli ultimi anni sono diventati punto di riferimento nella gestione degli impianti di illuminazione da parte di Tea. Impegno che si concretizza in fase di progettazione e realizzazione dei nuovi impianti che permettono di adottare soluzioni con il miglior compromesso tra la quantità e qualità di luce emesse e potenza installata. Esempi
sono la recente realizzazione di un percorso ciclopedonale sulle rive dei laghi di Mantova a bassissimo impatto ambientale ed utilizzando dispositivi illuminanti a Led (260 apparecchi, 1.200 W installati, lunghezza 2.100 m), l’installazione di regolatori di flusso che riducono i livelli di illuminamento nelle ore di minor traffico e la riqualificazione dell’illuminazione dei Comuni di Quingentole e Mangnacavallo (circa 700 punti luce) con la completa eliminazione delle lampade al mercurio e l’annullamento del flusso luminoso emesso verso l’alto. Alberto Ghidorzi e Stefano Merzi Ballini Tea spa Divisione Energia
Milano a cura di Roberto Gamba
L’indagine effettuata sul tema di questo numero di “AL”, ha consentito di raccogliere il contributo di uno dei produttori di apparecchi (per interni e esterni) più noti in Italia, l’ingegner Giorgio Castaldi (Castaldi Illuminazione di Trezzano sul Naviglio), che ha espresso le sue opinioni in merito, portando ad esempio alcune realizzazioni significative. Sono, inoltre, state prese in esame le attività degli enti pubblici, preposti in città, alla gestione degli impianti, rilevando per esempio che il Comune di Milano dispone di un “Ufficio Illuminazione Pubblica”, a cui compete la manutenzione e la realizzazione degli impianti, tramite la gestione del contratto di servizio con la società A.E.M. L’ufficio ha sede in via Pirelli, 39 - al 16° piano e ne è responsabile Massimiliano Papetti. Altra società che opera nel mercato dell’illuminazione pubblica e artistica è Enel So.l.e. (più di 4.000 Comuni italiani – gestione di oltre 1.800.000 punti luce – 1.300 comuni in Lombardia, la quasi totalità dei comuni della provincia di Milano). I suoi servizi di base possono comprendere il censimento, la catalogazione informatica degli impianti, la cartografia, il progetto di Piano Regolatore dell’Illuminazione Comunale (P.R.I.C.), gestione, ottimizzazione dei contratti di fornitura di energia elettrica, pronto intervento, manutenzione. R. G.
“De urbis claritate”: come ottenerla Per non generare risultati di ordinaria tristezza e di modesta banalità l’illuminazione cittadina dovrà essere “architettonica”, nel senso migliore del termine, inserendosi
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Cino Zucchi, riqualificazione degli spazi pubblici di via Basso al quartiere Gratosoglio.
armoniosamente, di giorno come di notte, nel contesto urbano e architettonico. Occorre quindi un buon regista che sappia progettare e “pre-vedere” cioè immaginare con la sua mente, come l’impianto dovrà apparire a realizzazione avvenuta. La funzione del tecnico puro sarà invece quella di mettersi al servizio di questa idea progettuale fornendo al progettista architettonico l’apporto della sua specifica esperienza e competenza. L’illuminazione non dovrà essere né piatta né troppo uniforme ma sarà “scenica”, tenendo ben presente che vi sarà uno “spettatore–osservatore” che con i suoi occhi valuterà il risultato estetico e visivo. L’illuminazione correttamente scenica non sarà mai abbagliante. Lo spettatore che si gode la scena la vede ben illuminata ma senza essere offeso dalla vista accecante delle sorgenti luminose. Quello di abbagliare è l’errore più grave e imperdonabile che si possa commettere ed il progettista dovrà prestare la migliore attenzione a questo aspetto del problema, troppe volte trascurato e vilipeso. Sono purtroppo molto numerosi gli esempi di impianti accecanti e brutalmente violenti, molto più “inquinanti” e dannosi per la qualità dell’ambiente urbano che non, poniamo, la facciata di un bell’edificio storico morbidamente illuminata dal basso verso l’alto (contra legem). Anche una corretta resa del colore sarà molto importante. Qui occorre distruggere i falsi miti tecnici. Non esistono solo le lampade al sodio ad alta pressione, così ampiamente usate per illuminare in modo pedestremente funzionale le nostre città. Il progresso tecnico consente oggi di avvalersi di un’ampia scelta di sorgenti luminose (tipicamente le lampade ad alogenuri metallici e quelle fluorescenti compatte) esemplari sotto il profilo energetico, in grado di assicurare rendimenti equivalenti (soprattutto in termini di luce
Fausto Colombo e Lorenzo Forges Davanzati, progetto di illuminazione e arredo lungo il percorso della metrotramvia.
riflessa che è quella che noi effettivamente vediamo) o superiori a quelli delle lampade al sodio con una resa cromatica molto buona. Quindi niente dogmi o diktat, ma un intelligente giudizio critico correlato al contesto dall’ambiente da illuminare. Le leggi regionali emanate in materia di “inquinamento luminoso” sono uno strumento troppo primitivo che, partendo da un assunto molto condivisibile di sobrietà energetica e di controllo dell’emissione luminosa (abbagliante o sprecata), arrivano a conclusioni troppo semplicistiche ed esageratamente vincolanti. Le leggi in materia tecnica sono il più delle volte un errore. Molto meglio le “raccomandazioni” cioè semplici linee guida da seguire in una tecnica che è in continua e molto rapida evoluzione. Il buon tecnico dovrà aiutare in modo intelligente il progettista architettonico indirizzandolo verso le scelte più appropriate ma senza vincolarlo in modo dogmatico con idee preconcette. Il committente, cioè la pubblica amministrazione dovrà anch’essa fidarsi del suo progettista e giudicare a cose fatte “vedendo” la qualità del lavoro svolto senza imporre soluzioni a priori. E l’Azienda energetica? Di solito si occupa della parte esecutiva e manutentiva dell’impianto nella quale ha
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BMMC, Marta Bastianello, Francesca Marchetta, Claudia Montevecchi, Parco Anita Garibaldi a Baggio.
grande esperienza e capacità anche se, negli ultimi tempi, l’assegnare i lavori in subappalto ai costi più bassi, ha grandemente depresso la qualità dei lavori eseguiti ed azzerato l’efficiente manutenzione. Sovente l’Azienda energetica ha anche funzioni di progettista e in tal caso può risentire negativamente della necessità di uniformare e razionalizzare al massimo gli impianti. La cucina dell’esercito non può certo essere paragonata a quella di un ristorante di qualità. Dobbiamo quindi valutare in quale contesto urbano ci troviamo e decidere di conseguenza. Quanto all’uso migliore e alla scelta degli apparecchi, nessuno meglio del costruttore, è in grado di affiancare il progettista. Il buon costruttore deve saper correttamente interpretare la sua idea e fornire gli apparecchi più appropriati per realizzarla. È quindi parte essenziale per una buona riuscita del progetto. In conclusione, solo dal corretto rapporto e dall’intelligente collaborazione tra committente, progettista, società energetica e costruttore nascono i migliori risultati che saranno poi sotto gli occhi di tutti perché nulla più di un buon impianto di illuminazione aiuta a vedere ed è destinato ad essere visto. Giorgio Castaldi
Milano: illuminazione e città AEM gestisce l’esercizio e la manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica e di regolazione del traffico di Milano e si occupa della progettazione di nuovi impianti, affiancata da progettisti e designer esterni. A Milano i punti luce sono oltre 120.000, di cui circa 80.000 su palo, 468 torri faro; 77 i siti architettonici illuminati, 707 gli impianti semaforici. AEM cura altresì alcuni sistemi di video sorveglianza in due parchi pubblici cittadini (Sempione e Parco delle
Azienda Energetica Milanese, Milano, via Guido D’Arezzo.
Cave). Offre servizi di gestione ad altre amministrazioni comunali. Dispone di più di venti specialisti illuminotecnici. Attualmente è impegnata nella realizzazione del Piano Urbano della Luce per Milano. Ha realizzato nel 2004 il P.U.L. di San Donato Milanese che coinvolge circa 5000 punti luce. Nel 2002 ha ultimato per il Duomo di Milano il nuovo impianto di illuminazione di gala (progetto redatto da LED Studio Associato di C. Ferrara e P. Palladino). Da AEM (progetto elettrico) e da Philips Lighting (progettista Duilio Passariello), nel 2000, è stato realizzato il sistema illuminotecnico esterno del Castello Sforzesco, esempio sperimentale (e discusso) di “luce dinamica”, composto di 1000 proiettori, controllati nell’intensità e nel colore da computer. Le parti interessate dall’illuminazione “dinamica” sono il perimetro delle mura, la facciata principale, le torri circolari del Carmine e di Santo Spirito, la Torre del Filarete e il percorso della Ghirlanda. R. G.
a cura di Francesco Redaelli e Francesco Repishti
Illuminazione e spazi pubblici Quando nel 1838 in occasione dell’incoronazione di Ferdinando d’Austria e della «permanenza delle Reali Maestà» venne bandita la prima gara di appalto per la fornitura in opera di 84 fanali per l’illuminazione della città di Monza, lo sviluppo dell’illuminazione stradale e la sua funzione di servizio pubblico stava segnando l’inizio di una nuova epoca, l’avvio di un processo di trasformazione dell’ambiente urbano e del suo uso. Da una illuminazione che permetteva di leggere per strada il giornale, l’obiettivo si spostò poi verso il desiderio e il bisogno di illuminare non più la sola via, ma tutta la città. L’Amministrazione comunale decise così di avviare definitivamente la prima illuminazione pubblica elettrica della città e le scarne motivazioni a questa scelta si soffermarono sulla sicurezza delle persone, dei beni e del traffico veicolare. Nessuno, tra gli allora consiglieri presenti, si era probabilmente posto il problema di quali spazi illuminare e a quali nuove funzioni potessero rispondere una volta illuminati. Anche la stessa immagine della città non ne veniva coinvolta. Il motivo di una effettiva mancanza di rapporto tra l’aspetto tecnologico e l’idea di città dipendeva dal fatto che non si era di fronte a un singolo gesto, quanto a un processo che coinvolgeva l’intero progresso urbano: le pavimentazioni stradali, la tubature del gas, l’acqua potabile, la forza motrice, le linee del servizio telefonico, la posa dei binari del servizio tranviario… Oggi, dopo oltre un secolo, una frenesia antimodernista coinvolge le amministrazioni nel ridisegno di quegli stessi spazi pubblici. I recenti interventi che hanno portato al ridisegno di molti degli spazi pubblici di Monza e dei comuni della provincia hanno però palesato due diverse condizioni su cui occorre riflettere: da una parte appare sempre più indiscusso il fatto che uno dei maggiori problemi della frammentata città contemporanea non sia più la carenza di spazi aperti, quanto l’eccesso e l’assenza di definizione di questi; il secondo che esistono ancora pochi casi di illuminazione di qualità, realizzati seguendo un vero e proprio piano della luce. Certamente non spetta solo agli illuminotecnici definire il ruolo degli spazi aperti della città notturna, tuttavia appare necessaria una riflessione su alcuni degli ultimi interventi. Per esempio a Monza non può sfuggire l’abbagliante sistemazione di piazza San Paolo, né la penombra artificiale della piazza a San Rocco, né le anonime illuminazioni realizzate negli altri comuni tutte impostate su un livello medio di illuminazione delle strade, unico parametro progettuale, studiato e imposto per permettere agli automobilisti di riconoscere “chiaramente”, senza travolgerli, i pedoni urbani. L’approccio all’urbanità notturna è, di fatto, notevolmen-
te cambiato, sebbene risponda ancora ai problemi della visibilità e della sicurezza per i quali era stato creato. Alla luce non è più affidato il solo compito di rivelare, quanto quelli di evocare, di suggerire percezioni, di suscitare emozioni, di sottolineare un’identità, di costruire un’immagine, guidare, segnalare, informare. L’oscurità della notte è il supporto a un’opera decisamente “reale”, finalizzata a dare immagine a una idea. Certamente, oggi, l’approccio “funzionalista” (adozione di uno standard medio di illuminazione) è superato, ma alla luce non è riconosciuto un giusto valore e a distanza di anni l’illuminazione notturna sembra ancora inseguire due suggestioni. Da un lato l’esaltazione degli elementi di rappresentatività che connotano lo spazio come luogo di riferimento per la vita pubblica. Dall’altro la sottolineatura con atti minimi e piccoli spostamenti di senso della percezione dello spazio pubblico, secondo una logica di metamorfosi, nell’intento di suscitare una sensazione di intimità protetta a chi lo percorre. Potrebbe così delinearsi una nuova tradizione affidata alla luce e un reale cambiamento di senso: la capacità della luce notturna a costruire l’identità urbana nella quale far convivere ripetizioni e differenze, luoghi aperti e luoghi chiusi, pubblico e privato, uso individuale e collettivo. Di fatto un’espressività progettuale in grado di riempire un vuoto e di restituire un’identità che la struttura discontinua, frammentata della città diurna non è più in grado di affermare. Una capacità “rappresentativa” dell’urbanità (o di un’idea di urbanità) e “creativa” del concetto di paesaggio urbano, non più raggiungibile nell’immagine diurna e, paradossalmente, svincolate dalla stessa architettura perché invisibile. F. Repishti
Pavia a cura di Vittorio Prina
In questo numero Gianfranco Cella, già responsabile tecnico per la Lombardia della società So.l.e. del gruppo Enel e progettista della maggior parte degli interventi innovativi di illuminazione in Pavia, sintetizza alcuni delle principali realizzazioni. V. P.
Riqualificazione degli impianti di illuminazione in Pavia del centro storico A partire dalla metà degli anni Novanta l’Amministrazione comunale di Pavia ha richiesto a So.l.e. (Società luce
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Monza e Brianza
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Corso Strada Nuova, illuminazione con proiettori sottogronda e lampade a vapori di alogenuri metallici.
Chiesa di San Francesco, illuminazione con lampade a vapori di sodio e vapori di alogenuri metallici.
elettrica del gruppo Enel) una serie articolata di interventi volta ad incrementare il livello di illuminamento medio della città, che comprende la realizzazione di nuovi impianti e il rifacimento e potenziamento di quelli esistenti ormai obsoleti. Le linee di indirizzo di questo piano intervengono su quattro nodi fondamentali: gli assi viari attorno al centro storico e le vie di penetrazione alla città; il centro storico; aree verdi e giardini; aree ancora prive di un adeguato servizio di illuminazione pubblica.
da alti edifici relativamente alle esigenze di maggior controllo del flusso luminoso.
I fattori che determinano la qualità dell’impianto di illuminazione pubblica in un centro storico sono: livello adeguato di illuminamento sulla strada, sui piani verticali ad altezza d’uomo per rendere confortevole il movimento e la sosta dei pedoni e sugli edifici; sufficiente schermatura dei centri luminosi per evitare problemi di abbagliamento; buona resa cromatica (per restituire un colore naturale agli oggetti illuminati); oneri di esercizio compatibili con le esigenze di un pubblico servizio. Sono state evitate soluzioni che prevedono l’installazione di apparecchi cosiddetti “in stile”, ad eccezione di pochi casi in cui si è riusciti a riadattare modelli autentici già in esercizio, e soluzioni in contrasto con le forme e le linee di un centro storico; non sono stati adottati apparecchi illuminanti di tipo stradale collocati su bracci o mensole, ingombranti e poco adattabili ad apparecchi collocati in vie strette affiancate
Tipologia e principali caratteristiche degli impianti esistenti Gli impianti esistenti sono stati realizzati più di 30-40 anni fa, sono costituiti in maggioranza da lampade ad incandescenza o a vapori di mercurio e apparecchi illuminanti con rifrattore a gonnella, appesi a funi metalliche tesate tra le pareti degli edifici. Il colore della luce degli impianti ad incandescenza è gradevole e i nuovi impianti mantengono la medesima temperatura di colore (3000-3200 °K), mentre le lampade al sodio ad alta pressione esistenti hanno un’emissione luminosa inadeguata per la scarsa resa cromatica. Le vie del centro storico che sono state prese in considerazione per l’intervento non hanno tutte caratteristiche omogenee per dimensioni, traffico, attività commerciali e vita sociale; questo ha determinato una suddivisione delle strade in tre categorie con diversi livelli di illuminamento (20-25 lux, 12-16 lux, 8-10 lux). Disposizione dei centri luminosi Ad eccezione di rari casi nei quali è assente l’adeguato supporto, è stata prevista l’installazione dei centri luminosi sugli edifici prospicienti le vie, in prevalenza sotto gronda in posizione maggiormente nascosta alla vista. In tal modo gli apparecchi illuminanti sono meno visibili
Gli apparecchi illuminanti adottati Sono proiettori di forma rettangolare, di dimensioni contenute, con apparato riflettente e apparecchiature ausiliarie contenute in un unico involucro; il volume del corpo illuminante per lampade inferiori a 150 W raramente superano i 12 dm; per uniformità con l’ambiente è stato scelto un colore scuro. Le prestazioni fotometriche dei proiettori sono idonee a contenere il fascio di luce in senso trasversale, per illuminare moderatamente le pareti degli edifici antistanti, mentre lo stesso si allarga in senso longitudinale al fine di aumentare il passo delle sorgenti luminose. Nelle piazze sono stati adottati proiettori asimmetrici con superficie diffondente parallela al piano orizzontale (come previsto dalla LR 17/2000) che permettono di alzare il fascio luminoso di almeno 45°. L’illuminazione dei monumenti prevede proiettori a fascio circolare di modesta apertura (10-15°). Nel vano che ospita la lampada la minima classe d’ermeticità è IP 65, il vano accessori è provvisto di pressacavi. Il riflettore è di alluminio purissimo (titolo 99,90) e ha uno spessore minimo di 0,9 mm. protetto da uno strato di ossido anodico di almeno 2 micron. Per soddisfare i requisiti di qualità della luce ritenuti inderogabili (ottima resa dei colori, Ra>80 e tonalità di luce calda: temperatura di colore T = 3.000°K) si è optato per lampade a vapori di alogenuri che uniscono il vantaggio di una buona efficienza luminosa ad una discreta durata. Piazza Della Vittoria La metodologia progettuale complessiva si può riassumere nei seguenti punti: installazione del minor numero possibile di proiettori; utilizzo di apparecchi di illuminazione di dimensioni contenute, compatibilmente con i vincoli installativi, e poco invasivi; contenimento degli effetti ambientali di abbagliamento e inquinamento luminoso; resa fedele dei colori. L’elaborazione del progetto illuminotecnico ha tenuto conto della necessità di rendere poco visibili i centri luminosi all’occhio del visitatore durante il giorno e, in particolar modo, di notte. Sono state utilizzate lampade del tipo ad alogenuri metallici, con temperatura di colore pari a 4.000° K e lampade al sodio ad alta pressione con temperatura di colore pari a 2.000° K; le prime adottate per la una maggior fedeltà nella resa dei colori, le seconde per mettere in risalto l’antico mattone, sottolineando le diverse epoche dei monumenti. La loro potenza totale è di circa 10 kW. La modesta
potenza richiesta è dovuta alla notevole efficienza delle lampade e all’ottimizzazione del flusso luminoso, resa possibile dalle qualità ottiche dei proiettori impiegati. Il livello medio d’illuminamento in esercizio è di 20 lux sul piano di calpestio, mentre tenendo conto che la piazza è un luogo di ritrovo dei cittadini, l’illuminamento verticale e semi cilindrico risulta di buon livello. Sui muri perimetrali delle case che si affacciano sulla piazza, ove possibile, sono stati posizionati apparecchi sotto gronda per ottenere un buon illuminamento lungo il piano orizzontale senza creare fenomeni di abbagliamento. La cupola del Duomo Si scorge anche dalla periferia della città emergendo dai tetti delle case circostanti. Il chiaro colore dei marmi che ne rivestono la sommità si staglia nel cielo, diventando punto di riferimento per chi deve raggiungere il centro della città; per questo motivo la temperatura di colore delle sorgenti luminose, la potenza delle lampade ed il tipo di proiettore adottato hanno determinato un’illuminazione che rende visibile il monumento, nelle notti con atmosfera tersa, da tutto il territorio comunale. La soluzione adottata prevede tre proiettori a fascio concentrante con lampada a vapori di alogenuri da 1.000 W 4.200 K posti su edifici che circondano la cupola. Gianfranco Cella
Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni
L’Ordine di Varese fornisce due contributi: il primo compie una sintetica carrellata di alcuni esempi realizzati o in svolgimento nella Provincia di Varese, il secondo riassume una specifica esperienza compiuta da un collega in un ambito geografico molto diverso da quello di residenza. C. C.
Progetti di luce per Varese Sul territorio della Provincia di Varese non sono presenti impianti di illuminazione esterna di rilevanza ma si possono citare alcuni recenti interventi di un certo interesse e di particolare risoluzione. Si segnala il nuovo impianto di illuminazione del lungolago di Angera, compreso tra piazza Garibaldi e piazzale Volta, realizzato nel 2005 con apparecchi di illuminazione
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durante il giorno, evitando l’impatto di corpi estranei che potrebbero deturpare le originali caratteristiche architettoniche dei luoghi. L’altezza e il passo degli apparecchi illuminanti sono stati studiati in funzione dei livelli di illuminamento voluti e del grado di uniformità desiderata, nonché delle possibilità permesse dagli edifici esistenti.
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Sacro Monte di Varese, via del Santuario, Cappella IV.
cablati con lampade agli ioduri metallici installati su pali di altezza 4,75 e 6 m. Particolarità dell’impianto è l’utilizzo di regolatori di tensione che permettono di variare il flusso luminoso delle lampade, nelle ore durante le quali non è necessario avere la massima intensità luminosa, consentendo un buon risparmio energetico e garantendo comunque le condizioni di visibilità e sicurezza necessarie al traffico veicolare e pedonale. Altro esempio è la nuova illuminazione di piazza della Libertà del comune di Ternate, realizzata nell’ambito delle opere di sistemazione ambientale e architettonica del centro storico, realizzata in due lotti tra gli anni 2004 e 2005. Per l’intervento sono state utilizzate lanterne con ottica cut-off installate su pali di altezza pari a 5 m cablate con lampade ai vapori di sodio ad alta pressione in grado di ricreare nel centro storico scenari notturni fruibili, funzionali, suggestivi, nel rispetto della normativa esi-
stente in materia di illuminazione pubblica e nel contempo traducibili in un grande risparmio energetico. L’elevata efficienza luminosa di tale lampada consente, infatti, di limitare la potenza elettrica installata ed assorbita, contenendo quindi i costi di esercizio. Il rifacimento dell’illuminazione del centro storico di Varese, compreso tra vicolo S. Michele e piazza Monte Grappa, è stato realizzato con apparecchi di illuminazione, dotati di ottica simmetrica, installati su tesate fissate sugli edifici e cablati con lampade ai vapori di sodio ad alta pressione. Sempre di un certo interesse risulta anche il rifacimento dell’illuminazione di viale Milano nel Comune di Gallarate la cui illuminazione, in sostituzione dell’ormai obsoleto impianto esistente, è stata realizzata con apparecchi illuminanti, installati su pali di altezza 10 m, con ottica di tipo stradale ad elevate prestazioni fotometriche. Tale impianto è certamente un valido esempio di come si possano ottenere, tra i punti luce, interdistanze molto importanti che arrivano fino ad oltre tre volte e mezza l’altezza dei sostegni. Interventi futuri o in corso di realizzazione da segnalare sono: • il progetto, i cui lavori saranno realizzati probabilmente a cavallo tra la fine di quest’anno e l’estate del 2007, della via Del Santuario che porta da Varese al santuario del Sacro Monte. Il progetto è teso a rendere “sicura” la via Sacra nelle ore serali e notturne mediante una illuminazione non invasiva che determina una suggestiva “guida di luce” che snodandosi lungo il percorso “costruisce” spazi luminosi di sosta in prossimità delle quattordici cappelle. Tale soluzione è ottenuta con l’utilizzo di apparecchi di illuminazione da incasso dalla forma e dall’installazione discreta che, sfruttando le componenti indirette del flusso luminoso, consentano di risolvere i problemi funzionali del sito. • il progetto, redatto nel 2004, dell’illuminazione architettonica del Castello Borromeo denominato Rocca di Angera, approvato ma non realizzato per mancanza di fondi; • la nuova illuminazione di Piazza Matteotti nel comune di Gavirate nella quale saranno installati apparecchi di illuminazione che montano una particolare microottica, studiata appositamente per lampade con bruciatore ceramico, caratterizzati da una particolare forma che ricorda quella degli alberi detta “fitoforma”. Stefano Caligara
Progetti di luce da Varese Fino a tutto il XVIII secolo, il buio che calava sulle città era contrastato da poche fiammelle che diffondevano una luce incerta; successivamente si passò all’illuminazione ad olio, poi a gas, sino a giungere, dalla seconda metà dell’Ottocento, all’illuminazione elettrica. Lo sviluppo dell’illuminazione corrisponde alla trasformazione dell’ambiente urbano e del suo uso: con la luce le
Francesco Lucchese
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Progetto di illuminazione di piazza del Municipio nel Comune di Pace del Mela (Messina).
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città si aprono alla vita sociale. Di notte la luce enfatizza la scenografia urbana. Con la luce si interpretano le forme della città e si valorizza il genius loci; snodi, percorsi, volumi, superfici sono elementi da mettere in risalto grazie ad un progetto non-standardizzato della luce. Luce “per l’architettura” e “nell’architettura”. La luce esprime la notte, il carattere e l’emozione dei luoghi costruiti per il giorno. A queste riflessioni si rifà il progetto illuminotecnico (redatto dall’autore) per la piazza del Municipio a Pace del Mela, in Provincia di Messina. La luce è organizzata per punti distanziati in modo tale da cogliere lo spazio aperto: la piazza. La luce è posizionata a pavimento (luci segnapercorsi) ed è diffusa, tramite pali, nella zona alta; nessuna delle sorgenti luminose è visibile. Il progetto illuminotecnico ha preso forma partendo dalle esigenze del luogo, il clima particolarmente mite favorisce la frequentazione per diversi mesi dell’anno, l’illuminazione per punti con intensità limitata, a livello sia basso, sia elevato ma non ad altezza uomo, permette la protezione da insetti e zanzare. L’intensità debole della luce enfatizza la quinta scenica: la facciata del municipio la cui rilevante architettura, fortemente illuminata, diventa la vera fonte luminosa sita a grande distanza dalle sedute della piazza.
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Albini, Gardella, Mollino: tre figure al centro dell’“anomalia” italiana Tre architetti nati nel 1905, Franco Albini, Ignazio Gardella, Carlo Mollino. Tre figure centrali di quella che ha costituito l’anomalia dell’architettura italiana del Novecento, prima nell’interpretare gli ideali della modernità e poi nel ricostruire dopo la guerra un diverso orizzonte. Il centenario della nascita viene celebrato con un anno di ritardo da tre mostre, quelle di Albini e Mollino già aperte alla Triennale di Milano e all’Archivio di Stato di Torino, quella di Gardella destinata ad aprire il 24 novembre al Palazzo Ducale di Genova. Ma come dimenticare che il 1905 era anche stato l’anno di nascita a Napoli di Luigi Cosenza, e il 1904 di Giuseppe Terragni e Mario Ridolfi? E che molti altri erano nati in un arco ravvicinato di anni, formando una generazione inquieta ma fortunata, destinata a svolgere un ruolo e ad assumere un peso? Sono state esperienze, le loro, cariche di accentuazioni e ricerche individuali, ma viste sulla distanza, legate in modo profondo a un sentimento e a una cultura comuni. Albini e Gardella, pur così diversi tra loro, possono agli esordi essere ricondotti all’insegnamento di Edoardo Persico e alla sua visione di un’architettura classica non letterale, ma rarefatta e depurata: quella visione che aveva fissato nel bellissimo Salone della Vittoria realizzato alla Triennale di Milano del 1936, trasfigurato in un tempio astratto e luminoso. Di Persico, Albini avrebbe ripreso quasi alla lettera gli allestimenti basandoli sul ritmo puro del telaio e sul suo senso di profondità, ma accentuando (scriveva Samonà) “l’esilità filiforme di strutture che hanno ridotto all’essenziale la loro struttura materiale”. Gardella avrebbe testimoniato lo stesso purismo nel nitido progetto per una torre-belvedere in piazza Duomo a Milano (1934) e con più densità di tessiture, di materie e di colori nel Dispensario di Alessandria (1936-38). Dopo la guerra Gardella ha costruito una serie di case in cui ha rotto la compattezza e la
linearità della scatola edilizia e sperimentato diversi “tipi” formali, ma legandoli a un sentimento forte e a un’idea delle città, mai meccanicamente dedotta ma poeticamente ricomposta ed inventata. Ma è anche finito, specie nella veneziana Casa alle Zattere (1954-58), in giochi sempre più abili e virtuosistici di composizioni e di decori, sino ad imboccare strade in apparenza senza sbocco. Eppure, è stato quello dei tre più capace di reggere la prova del tempo e di tornare con sapienza a un’ispirazione e a un’essenzialità originarie, come nei progetti di grande forza e rigore per il teatro civico di Vicenza (1969 e 1979). Albini ha invece dato le sue prove migliori sul tema civile dei musei, carico di valenze metaforiche, perché attraverso di esso veniva esplorando e sperimentando quel rapporto con l’antico e con la storia urbana, che era difficile praticare su ampia scala nel corpo delle città. Dunque, era ancora il nesso e il conflitto con la storia quello che alla fine indagava, anche se attraverso magici distacchi e sospensioni. Ma dopo i suoi progetti più carichi di tensione e in particolare dopo il Tesoro di San Lorenzo a Genova (1952-56), avrebbe visto crollare un quadro e un mondo e si sarebbe perduto in prove di carattere professionale. Mollino, così profondamente torinese, era figura rispetto agli altri assai singolare, tanto che la critica più che sull’architettura ha continuato a insistere sul personaggio. “No, non c’era in lui nulla di continuo, di previsto, di prevedibile: questo atteggiamento gli piaceva molto e lo coltivava con fedeltà, proprio per quel suo affanno di stupire sé e gli altri con gesti immotivati (…) sul palcoscenico della vita si muoveva come un attore – un attore caratterista – con scatti quasi da marionetta, che pareva avere appreso dai futuristi, dai secondi futuristi. Ma alla labilità dei gesti preferiva poi sempre la stabilità delle opere”, scriveva Roberto Gabetti in un ritratto breve e acuto. E infatti dietro l’eccentricità riposava la
solidità di una cultura neopositivista ereditata, prima che dal padre ingegnere, dal milieu tecnico cittadino, legata al manuale, alla definizione del canone, al rigore costruttivo. Ma come sempre a Torino, essa non escludeva l’esasperazione espressiva, ma la assumeva come contraltare e come sponda, sia nei progetti d’anteguerra che nelle grandi opere realizzate in seguito nel centro urbano. Resta tuttavia da interrogarsi sul carattere e sul significato delle mostre. Oggi assistiamo nel campo dell’architettura, e ancor più nel campo dell’arte, a un’inflazione e quasi a una dilapidazione espositiva. Le mostre sono diventate eventi promozionali utili a richiamare pubblico e turismo, di cui valutare in primo luogo le ricadute economiche e gli effetti sul piano della propaganda e dell’immagine; poche volte corrispondono a uno sforzo di studio e di ricerca approfondito. Eppure, negli ultimi decenni si erano tenute in Europa diverse e importanti mostre di architettura che ave-
vano indicato una diversa possibilità, attingendo a una vastità e a una complessità di fonti prima sconosciuta. Nascevano da una politica di lunga lena e di respiro, che alle spalle aveva istituti scientifici, università, politecnici, archivi, musei, basata sul lavoro paziente di gruppi di studiosi e su risorse adeguate. Mostre non occasionali e non risolte a priori nell’effimero, ma legate a una tensione culturale e di ricerca. Da questo punto di vista, non sono uguali tra loro le tre mostre: e quella più fondata scientificamente è quella di Mollino, anche se sarebbe stato interessante darle una diversa apertura di dibattito. L’architettura è una parte determinante della nostra esperienza storica e della nostra cultura; è triste trattarne con certa improvvisazione, per poi puntellarla con allestimenti più o meno abili e ridurla alla logica del made in Italy e della sua propaganda. Bisognerebbe che queste esposizioni servissero almeno a riaccendere una discussione sopita e ad alimentare le ricerche dei giovani.
Il tema del colore nell’architettura storica, dopo una stagione di grande fortuna e un progressivo disinteresse, torna al centro del dibattito in occasione di alcuni seminari voluti ed organizzati dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano nel mese di ottobre, (13-20-27) presso la Sala delle Colonne in via De Amicis 11. Tre giornate di studio in cui si confrontano presupposti teorici ed esperienze progettuali, tecniche di diagnosi e pratiche di cantiere, in un confronto aperto tra professionisti, studiosi e funzionari della Soprintendenza stessa. Le esperienze presentate spaziano dal singolo edificio “monumentale” sino al costruito diffuso storico, dai “piani del colore” alla didattica dello stesso, offrendo una interessante fotografia dello stato dell’arte di una questione che non sembra ancora del tutto affrontata nella sua complessità e che offre una varietà di posizioni teoriche, tutte rispettabili per rigore metodologico anche se non sempre condivisibili. Il “fantasma” del ripristino dello status quo ante, ormai quasi sconfitto per lo meno nella pratica del cosiddetto restauro architettonico, aleggia infatti ancora sulla questione delle cromie dei fronti storici, tanto più quando si interviene a scala urbana. Ci si riferisce, in particolare, a quei Piani del colore che scelgono di far divenire “operante” la ricerca storico-archivistica, selezionando, tra tutti i volti possibili della città, quello del
“primitivo splendore”. Anche se prive di forme di degrado sostanziali, le superfici dell’architettura storica vengono riportate ad uno stato ritenuto falsamente originario, operando una sorta di correzione alla storia della città successiva al periodo arbitrariamente prescelto. Va ricordato, ad onor del vero, che a strumenti quali quelli appena citati, si sono recentemente affiancate modalità di lavoro che colgono aspetti quali la percezione del colore legata al contesto urbano ed alle caratteristiche architettoniche del singolo edificio, migliorano gli aspetti gestionali concedendo margini di libertà al cittadino attraverso una puntuale consulenza degli uffici preposti, impongono l’analisi del degrado dei fronti subordinando eventuali interventi di ricoloritura allo stato di conservazione della fabbrica, curano la reale compatibilità tra i materiali esistenti e quelli di nuova realizzazione. Una svolta, questa, nella direzione del rispetto per il palinsesto-città, per il suo farsi diacronico, per promuovere la conservazione del colore come materia così come il tempo lo ha tramandato al presente. Susanna Bortolotto Mariacristina Giambruno
La città racconta il territorio A Milano, dal 15 settembre al 27 dicembre, via Dante e piazza Cordusio ospitano le fotografie aeree di Attini e Bertinetti nella mostra “Italia emozioni dal cielo”. Le immagini ritraggono spazi suggestivi, naturali e artificiali, dell’Italia di oggi e raccontano, attraverso sintetiche didascalie, aneddoti che spaziano dall’architettura, all’economia, alla sociologia. Patrocinata dal-
l’Unesco, l’esposizione si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore del patrimonio artistico italiano. Anche se la visione dall’alto non ci stupisce più, rimane il pretesto per recuperare una dimensione esclusiva del territorio, da mettere alla portata di tutti. In questo senso i numerosi gadget, disponibili nel grande tendone del bookshop, sono parte integrante dell’evento. Fruibile sette
giorni su sette e ventiquattrore su ventiquattro, l’esposizione è in se un opera d’arte legata alla città. Le grandi cartoline, illuminate di notte, si stagliano sulla sagoma
del castello e invitano i numerosi passanti a riflettere sul valore del nostro paese. Valentina Casadei
Rotterdam 2007 city show È l’architettura il fil rouge che legherà gli innumerevoli eventi e manifestazioni che animeranno la città di Rotterdam nel 2007. Come preannunciato alla Biennale di Venezia e segnalato dalle coloratissime borse distribuite al pubblico in occasione della Vernice, la città olandese dedica, infatti, il 2007 all’architettura. Il programma completo sarà disponibile on line sul sito www.rotterdam2007.nl all’inizio del prossimo anno, ma alcune iniziative sono già state rese note: • una mostra sulle architetture della notte e gli edifici luminosi; • un audiotour per conoscere la storia di 40 opere dell’architettura moderna, tra cui musei, negozi, ristoranti e teatri; • un concorso per artisti, designer ed architetti, chiamati a progettare un “capriccio architettonico”, una struttura partico-
larmente originale e senza una precisa destinazione funzionale, che verrà successivamente realizzata nell’area portuale; • il festival wimby! (welcome into my backyard!) durante il quale verranno presentati i progetti per un futuro migliore e più vivibile all’interno del quartiere Hoogvliet; • una mostra su Le Corbusier ed in particolare sui suoi libri, dipinti, disegni e progetti di elementi d’arredamento; • la terza edizione della Biennale Internazionale di Architettura di Rotterdam, organizzata dal Berlage Institute e che avrà come tema “la produzione della città contemporanea”. La manifestazione sembra, dunque, un’importante occasione per riflettere sulle ultime tendenze dell’architettura e sulle trasformazioni della città. Anna Ramoni
OSSERVATORIO ARGOMENTI
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I colori in architettura
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Filosofia per capire il mondo Capire ciò che accade, leggere la realtà nel suo valore simbolico, a questo serve la filosofia. Architetti, medici, ingegneri, biologi vanno a scuola di “estetica ed ermeneutica delle forme simboliche”, come recita il titolo del master post laurea promosso dall’Università di Firenze. I filosofi si sa sono in cima alle classifiche dei laureati più occupati, ricercati in posti chiave da aziende di ogni tipo, che hanno compreso che chi è capace di un’analisi filosofica dei problemi fa il suo lavoro in modo più consapevole, più critico, s’interroga sul senso e sui fini e risulta più creativo. In un mondo schiacciato dalla specializzazione, l’approccio complesso della filosofia è un antidoto contro la semplificazione culturale dominante. E oggi siamo tutti chiamati ad interrogarci sul significato di ciò che ci circonda, a prendere posizione in ogni campo, dalla scienza all’arte, dalla religione alla bioe-
tica. Se non vogliamo essere appiattiti dai puri fatti, subendoli passivamente, ma desideriamo comprenderli e interpretarli, per sapere dove stiamo andando e perchè. Il corso, diretto da Sergio Givone, è iniziato il 24 novembre, con 35 allievi tra laureati in economia, ingegneria, scienze agrarie, beni culturali, scienze della formazione, lettere e filosofia; tra gli iscritti anche due architetti. Irina Casali
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Rinascita del Marchiondi Negli ultimi mesi diversi quotidiani hanno pubblicato alcuni interventi sulla “questione Marchiondi”. L’edificio, capolavoro brutalista di Vittoriano Viganó, è balzato ad agosto agli onori della cronaca a partire da una denuncia dello stato di degrado dell’Istituto sulle colonne de “Il Giornale”. In quell’occasione l’assessore al Demanio prometteva interventi per affidare la
struttura ad un istituto che potesse essere interessato a gestirlo in concessione, previa ristrutturazione. Con lo sgombero effettuato dalle forze dell’ordine a metà settembre, Gian Antonio Stella, sulle pagine del Corriere della Sera, ha ripercorso la vicenda dell’ex-Marchiondi, appartenente al demanio comunale e chiuso dal 1970. In stato di abbandono da allora e periodicamente occupato da extra-comunitari, nel 2003 sembrava dovesse
essere dato in concessione all’International School of Milan, un istituto privato oggi distribuito tra più sedi. Ma ad un certo punto i meccanismi della macchina burocratica si sono fatti sempre più lenti e l’asta per la cessione non ha mai avuto luogo. Nel febbraio di quest’anno il Comune ha indetto un nuovo bando per l’affitto della struttura: si è presentato un solo concorrente, il Consorzio di Cooperative sociali. Immediata la replica di Palazzo Marino, che conferma di aver assegnato a giugno la riqualificazione al succitato Consorzio: nasceranno strutture per il turi-
smo culturale, un ostello, un pensionato universitario, una casa per ragazze-madri, spazi per convegni e attività formative, impianti sportivi, aree verdi ed un centro aggregativo. Per rispondere efficacemente ai bisogni della città potrebbe essere creata un’intesa tra Comune e Consorzio per la coprogettazione dei servizi. Sembra dunque possibile sperare in un futuro migliore per l’ex-Istituto Marchiondi, di cui un modellino è addirittura esposto al Moma di New York, da rifugio per i senza tetto a nuova risorsa per Milano. A. R.
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Prodotti per una nuova architettura? È da poco calato il sipario su Cersaie 2006. Il primo grande appuntamento fieristico d’autunno che, se da una parte continua ad essere rappresentazione di un comparto che è uno dei fiori all’occhiello della produzione italiana – il settore ceramico italiano è da sempre sinonimo di qualità tecnica ed estetica – dall’altra rappresenta un po’ la cartina di tornasole dell’appeal che la nostra industria ha a livello non solo europeo, ma anche, e soprattutto, mondiale. Al di là degli aspetti tecnico-formali dei prodotti presentati e dell’afflusso di visitatori, in crescita rispetto all’edizione precedente, ci piace soffermarci su un’apparentemente secondaria novità di questa edizione. Per la prima volta, infatti, nel sottotitolo della manifestazione è stata inserita la parola architettura. Cersaie è diventato, così, il “Salone Internazionale della ceramica per l’architettura e l’arredobagno”. Un salto concettuale non da poco. Un prodotto storicamente concepito e percepito come da finitura assurge al più nobile rango –
almeno nelle intenzioni degli organizzatori – di elemento costruttivo vero e proprio. Da tempo, del resto, la stessa Assopiastrelle spingeva i propri associati in questa direzione. Un percorso iniziato tempo fa e che ha trovato compimento nell’edizione di quest’anno. A rimarcare la svolta, il convegno inaugurale, dal titolo “Visioni per una nuova architettura”, che ha visto la presenza di Thom Mayne e Massimiliano Fuksas. Il perché della scelta non è facile da individuarsi. Un tentativo per acquistare attrattività nei confronti di un bacino d’utenza professionale, i tanto ricercati architetti, numericamente estremamente interessante e spesso fondamentale nella decisione d’acquisto del consumatore finale? La percezione che un prodotto “di” e “per” l’architettura abbia maggior valore per il mercato? La volontà di trovare un nuovo valore aggiunto al prodotto che aiuti ad affrontare un mercato sempre più internazionalmente competitivo? Difficile a dirsi. Probabilmente si tratta di un mix di questi fattori. Nei fatti, comunque, passata apparentemente la “febbre da design”, il comparto dell’edilizia strizza l’oc-
di un evento ad hoc o almeno di un convegno con la partecipazione di un progettista più o meno famoso. Non ci resta che aspettare ulteriori sviluppi. Sarebbe comunque un peccato perdere l’occasione per una contaminazione produttiva tra settori – quello industriale e quello progettuale in particolare – sicuramente positiva per tutti. Architetti compresi. Carla Icardi dell’evento, attraverso le possibilità di amplificazione dei sensi offerte dalla tecnologia, permetta di stupire, entusiasmare e coinvolgere, senza perdere però
Led graffiti: architettura interattiva Con l’inasprirsi delle misure anti-graffiti e, a New York, il varo di una legge che rende il writing un reato punibile con il carcere, si è accelerata la ricerca di tecniche e materiali alternativi. È nato così il collettivo Graffiti Research Lab, che ha elaborato un graffito elettrificato tramite l’uso di un alimentatore, e disegnato su una base di vernice magnetica e spray conducente, per portare l’energia ai led. Sulla scia di questa svolta si sono diffusi i led graffiti, creati con colorati led magnetici e attaccati su superfici ferrose e collegati ad una batteria. Basta individuare l’obiettivo e prendere la mira, eventualmente componendoli in scritte luminose. Le maggiori città statunitensi sono state rallegrate dal fenomeno, insieme agli eventi di
di vista il suo obiettivo primario: la comunicazione culturale e scientifica. Veronica Vignati
SAIE: le città si confrontano Interactive Architecture, costituitti da proiezioni pirata, a volte anche con finalità socio-politiche, che trasformano l’aspetto di palazzi e monumenti. Questi “attacchi” spesso si trasformano in happening, coinvolgendo il pubblico che viene invitato a “bombardare” con i led le varie superfici metalliche. La novità non è esclusivamente statunitense, ma sbarca anche in Europa grazie a due festival: L’ars Electronica in Austria e il Nuart in Norvegia. A. R.
Realtà virtuale: cultura e quotidiano Si è svolta a Torino, dal 17 al 20 ottobre, la settima edizione di Virtuality Conference, la manifestazione che attraverso show, conferenze e workshop, è diventata ormai un’irrinunciabile occasione di incontro e aggiornamento per tutti gli operatori e gli appassionati di computer grafica, effetti speciali, animazione, simulazione e videogiochi. Personaggi del calibro di Mark Sagar (che ha trasformato le espressioni dell’attore Andy Serkis in quelle del gigantesco King Kong) e della giovanissima Jessica Giampietro McMackin (alla quale si deve Cars, l’ultima creazione della Pixar) hanno accompagnato un pubblico entusiasta, doppio rispetto alle
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precedenti edizioni, attraverso le nuove frontiere dell’animazione e dei VFX. Grande interesse ha suscitato anche l’intervento di Takeo Igarashi, “il mago dell’interattività”, che, con alcune dimostrazioni, ha illustrato la sua idea di interfaccia interattiva intelligente, che permette di costruire e modellare liberamente forme semplicemente sfiorando uno schermo. All’interno della manifestazione si è svolto anche il VI Convegno tecnico scientifico di MIMOS (Movimento Italiano Modellazione & Simulazione). Tra i temi trattati durante il convegno “il museo virtuale”: un museo che, dice Davide Borra, coordinatore
In occasione della 42° edizione del SAIE, Salone internazionale dell’edilizia, tenutosi ad ottobre a Bologna, si è svolto un interessante convegno sul tema: “L’Italia si trasforma: città in competizione”. Con la partecipazione di esperti di fama internazionale quali Vittorio Gregotti ed Oriol Bohigas, ma anche giovani architetti emergenti (Marco Casamonti di Archea Associati, Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori di Studio Labics, Alfonso Femia dello studio 5+1AA), il convegno ha rappresentato l’occasione per focalizzare l’attenzione sulle trasformazioni urbane e sugli interventi che stanno cambiando le città italiane, modificando il modo di vivere, i sistemi di relazione, le opportunità di sviluppo e lavoro. Le città italiane, chiamate a confrontarsi con quelle europee più all’avanguardia, fanno sempre più spesso ricorso agli strumenti propri del marketing per pianificare il proprio sviluppo, e per rilanciare la propria immagine e riqualificare i propri spazi si avvalgono
di strumenti urbanistici innovativi, come i piani strategici e i concorsi di progettazione, in cui emergono non di rado progetti caratterizzati dalla sostenibilità e dall’impiego di risorse rinnovabili. Il processo di trasformazione, che coinvolge città grandi e medie, è stato illustrato nell’area “Cuore mostra”, con l’esposizione di alcuni casi di studio raccontati attraverso immagini e modellini: Torino, Milano, Reggio Emilia, Bologna, Genova, Siena, Roma e Napoli hanno illustrato così i loro programmi di riqualificazione, ripresi anche nel volume di approfondimento che ha raccolto i casi anche di altre città e delle loro trasformazioni. Quanto emerge dalle varie esperienze descritte è la necessità di un’idea politica forte, di un visione strategica da parte dell’operatore pubblico, di obiettivi condivisi, al fine di concertare interventi multidisciplinari e convogliare risorse private verso obiettivi pubblici. A. R.
OSSERVATORIO ARGOMENTI
chio, almeno formalmente, all’architettura. Sin qui nulla di male. Il rischio che ci pare di intravedere è che si tratti di una mera operazione di marketing. In sostanza, che dietro agli slogan non ci sia una reale ricerca in questa direzione, e questo non farebbe bene né all’edilizia né all’architettura. Il percorso, comunque, è già tracciato. Ogni manifestazione fieristica di settore si sta dotando di almeno una mostra tematica sull’argomento,
a cura di Antonio Borghi
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Intervista ad Anna Maria Pozzo L’architetto Anna Maria Pozzo si occupa di edilizia sociale in qualità di direttore tecnico di Federcasa e porta avanti ricerche in questo settore a livello nazionale ed europeo. Quali sono più precisamente i suoi compiti? Federcasa riunisce gli ex-Istituti delle case popolari che nelle varie regioni hanno assunto nomi diversi, come le Aler in Lombardia. La funzione di dirigente tecnico comporta l’assistenza a questi enti nella gestione degli interventi, dalla progettazione all’appalto dei lavori sul loro patrimonio. Oltre a questo, mi occupo delle relazioni internazionali seguendo l’attività dell’associazione europea degli enti dell’edilizia sociale, il Cecodhas, e quella del CEEP (European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest), l’associazione delle società pubbliche di servizio locale. Inoltre, mi occupo delle politiche di internazionalizzazione di Federcasa che prevedono l’avvio di rapporti anche fuori dall’Unione Europea, ad esempio con il Brasile e la Cina. Nei decenni scorsi in Italia ci si è occupati poco di edilizia sociale, mentre oggi è tornato ad essere un tema molto dibattuto. Da cosa nasce questo nuovo interesse? Per un lungo periodo il problema della casa in Italia era stato rimosso a causa di una errata valutazione dei dati del censimento del ’91, da cui risultava che in Italia c’era una sovrabbondanza di abitazioni rispetto al numero delle famiglie. Di conseguenza l’attenzione si è spostata sul tema della qualità degli insediamenti e la riqualificazione urbana. Se da un lato questo atteggiamento ha prodotto alcuni esiti positivi, ha però fatto trascurare dinamiche sociali di grande portata. Negli ultimi anni ci si è, infatti, resi conto che questo numero di case, teoricamente sovrabbondanti, in realtà non rispondeva più ai bisogni reali. In particolare, è stata sottovalutata l’evolu-
zione delle dinamiche famigliari, la loro fragilità e progressiva frammentazione, e non sono state prese in considerazione le domande dei giovani. Contemporaneamente sono cresciuti i flussi di immigrazione facendo improvvisamente esplodere la domanda sulla base di fenomeni solo parzialmente non prevedibili. L’errore di valutazione dei dati statistici ha portato nel 1998 all’eliminazione dei fondi Gescal, di cui oggi dobbiamo pagare le conseguenze. Quel fondo consentiva, infatti, una alimentazione consistente degli interventi fuori dal bilancio dello Stato e a seguito della sua eliminazione non è stato sostituito da un nuovo meccanismo di finanziamento. Le situazioni drammatiche che si sono create soprattutto nelle grandi città hanno dunque riportato il tema della casa al centro dell’attenzione in un momento di generale scarsità di risorse. Il trasferimento delle competenze dallo Stato alle regioni contribuisce a queste difficoltà in quanto le regioni non hanno una fiscalità autonoma, in grado di reperire risorse sufficienti per risolvere il problema. Da quando ci si è resi conto della necessità di nuove politiche per la casa come ha reagito l’apparato amministrativo e legislativo nazionale? Attualmente le reazioni sono ancora confuse, caratterizzate da provvedimenti sporadici. Continua l’oscillazione tra le politiche per la proprietà e quelle dell’affitto, una caratteristica della politica italiana da più di cinquant’anni. Il risultato è stato un’erosione della quota in affitto che ha raggiunto le soglie limite rispetto alla media dei paesi europei. Se è vero che in molti paesi europei si sta dedicando maggiore attenzione al sostegno della proprietà, si tende comunque a non far scendere la quota dello stock in affitto al di sotto del 25-30%. In Italia siamo sotto al 20% e questo crea nel mercato dell’affitto una tensione che non trova risposte. Si entra in un circuito perverso per cui famiglie che non avrebbero le risorse per acquistare casa vi sono quasi costrette e molte banche iniziano a lamentare l’insolvenza di persone che hanno acceso mutui, ma non
riescono a farvi fronte. Il problema dell’alloggio diventa acuto non solo per le famiglie a basso reddito che vivono in affitto, ma anche per famiglie che pareva avessero trovato una soluzione nella proprietà. Il Governo centrale ha risposto finora solo con provvedimenti tampone. Indipendentemente dall’orientamento politico, fino ad oggi ci si è limitati allo stanziamento di pochi fondi per rimediare alle situazioni drammatiche come gli sfratti, senza affrontare il problema alla radice. Un esempio sono stati i “buoni” per gli alloggi agli sfrattati. A causa del meccanismo inefficace che era stato posto in essere non si è nemmeno riusciti a spendere i cento milioni di euro che erano stati stanziati. Vedremo cosa porterà il piano straordinario predisposto dall’attuale Governo, ma dalle premesse possiamo già dire che non si tratta di provvedimenti efficaci per la soluzione del problema a lungo termine. Ci possiamo aspettare qualche aiuto concreto o almeno qualche indicazione in materia dalla Comunità Europea? L’Unione Europea non ha competenza sulle politiche per la casa, quindi non ci si può aspettare molto. Nella nuova generazione di Fondi strutturali 2007-2013 c’è stato un primo passo in questa direzione, ma in fase di negoziazione con gli stati membri si è profilata una soluzione che non aiuta i vecchi stati membri come l’Italia. Le poche risorse disponibili per il finanziamento dell’alloggio andranno, infatti, quasi esclusivamente a beneficio dei nuovi 10 paesi membri, con un’apertura forse anche eccessiva che ha portato ad un ulteriore irrigidimento nei confronti dell’Europa dei quindici. In pratica, nel nostro paese, i fondi strutturali seguiranno lo stesso regime della tornata precedente e potranno quindi essere destinati solo a interventi collaterali all’edilizia residenziale. Potranno essere finanziati interventi trasversali per il miglioramento del comportamento energetico e per la riqualificazione degli spazi aperti, ma non ci saranno fondi diretti destinati alla costruzione o manutenzione di alloggi.
La Commissione europea, in collaborazione con la Banca d’Investimento Europea (BEI) e con quella del Consiglio d’Europa (CEB) sta mettendo a punto un nuovo strumento finanziario, che però è ancora tutto da definire. Vedremo se le condizioni che verranno offerte saranno accessibili all’edilizia sociale come la intendiamo oggi. Infatti, in Italia, l’edilizia sociale ha spesso difficoltà a trovare un equilibrio finanziario interno e quindi a essere finanziata tramite l’accesso al credito, seppure agevolato. Per consentire queste nuove forme di finanziamento è necessario cambiare le regole dell’edilizia sociale, adeguando i canoni e i meccanismi di compensazione che non funzionano più. Altrimenti sarà molto difficile fruire anche di queste nuove opportunità. A Milano si trova il patrimonio di edilizia sociale più ingente del Paese e forse d’Europa, gestito dall’Aler. Questa città si è spesso posta come territorio di sperimentazione nell’ambito delle politiche per la casa e anche oggi sta mettendo in pratica alcune nuove iniziative. Dal suo punto di vista vede delle novità interessanti? Non conosco la realtà milanese abbastanza a fondo per poter rispondere, ma posso dire senz’altro che Milano è stato un luogo di sperimentazione molto interessante, sia sul piano dell’architettura che sul piano dei modelli di intervento. Il suo patrimonio corrisponde grossomodo a un decimo dell’edilizia sociale nazionale. Le esperienze recenti vedono un gran fermento di iniziative per introdurre nuovi modelli di housing sociale sulle quali mi permetto di esprimere alcune perplessità in quanto non sono modelli confrontabili con quelli praticati dalle Aler. Il problema di fondo è che lo Stato e le regioni devono ancora definire chiaramente cosa intendono per housing sociale; una definizione che ci viene richiesta anche dalla Commissione europea se vogliamo usufruire dell’esenzione della notifica degli aiuti di Stato. In Italia non c’è più chiarezza su cosa sia l’edilizia sociale. Da una parte abbia-
Ma non vi sono nemmeno delle proposte a livello nazionale per una nuova definizione per l’alloggio sociale? Il nuovo Governo ha diviso le competenze tra due ministeri: quello delle infrastrutture e quello per le politiche sociali ed è quest’ultimo che sta studiando una nuova proposta di criteri da discutere con le regioni. Se da un lato il trasferimento delle competenze è indice di maggiore attenzione, dall’altro pone il rischio di ghettizzazione delle politiche per la casa. Io credo che la risposta più adeguata sia quella di politiche articolate, aperte anche alle richieste dei ceti intermedi, che in questo momento hanno difficoltà ad accedere al mercato, soprattutto nelle grandi città. Vedremo come questi due ministeri coordineranno le loro competenze, le iniziative che verranno varate e i criteri che verranno adottati, sperando che non siano troppo restrittivi. Se così fosse l’edilizia sociale si avvierebbe ad una grave marginalizzazione, perché l’unica risorsa a disposizione degli enti sarebbe la vendita del patrimonio, che produce l’assottigliamento dello stock sociale fino al suo esaurimento. La scarsità di risorse per l’edilizia sociale induce anche degrado urbano. Quali sono le strategie più opportune per tutelare e perseguire la qualità dell’edilizia sociale, cui è legato il destino di intere parti di città? La strada che è stata avviata e che vede il recupero del patrimonio residenziale sociale legato alla riqualificazione urbana è un percorso obbligato perché è l’unico in grado di affrontare a tutto campo le problematiche dell’edilizia sociale: dalla lotta alla disoccupazione al sostegno degli anziani, dalle politiche per i giovani a quelle per l’inclusione degli immigrati. Affrontare questi temi in modo isolato e settoriale
non può dare risposte adeguate ai problemi della gente che abita i quartieri di edilizia sociale. È necessario agire in modo integrato anche perché in questo modo si possono generare risorse aggiuntive dal punto di vista finanziario, attivando reciproche convenienze tra il settore pubblico e quello privato. Per fare un esempio l’innalzamento della qualità in un quartiere di edilizia sociale porta ad un aumento della rendita in tutto il vicinato, e viceversa. Da anni stiamo studiando come mettere a frutto il potenziale innalzamento della rendita anche per il settore pubblico. In questo campo l’Italia è all’avanguardia, avendo già introdotto negli interventi sul patrimonio di edilizia sociale una sofisticata ingegneria finanziaria che ha portato già i primi buoni risultati. Indubbiamente bisogna continuare su questa strada. Lei ha lavorato alcuni anni nella segreteria del concorso Europan promuovendo i concorsi per giovani architetti in tutti i paesi europei. Ritiene che il concorso di progettazione possa rientrare tra gli strumenti delle politiche integrate di intervento o si tratta di un meccanismo superato? Credo che questo strumento in Italia sia usato troppo poco e spesso in modo errato, perché si è commesso l’errore di trasformarlo in un percorso burocratico. Se avessimo fatto più attenzione a quello che succedeva in altri paesi, come ad esempio in Francia, avremmo visto come il concorso di progettazione sia diventato una prassi generalizzata in tutte le commesse pubbliche da ormai più di vent’anni, e come nel tempo la modalità concorsuale si sia evoluta, per cercare forme più agili e spedite, meno impegnative sia per l’amministrazione che per i professionisti. L’eccessivo ricorso ai concorsi costringe, infatti, i professionisti a sforzi eccessivi se non si è capaci di introdurre forme di concorso più leggere, proporzionali al tipo di intervento che si intende fare. La riduzione a due sole tipologie che si è operata in Italia – concorso di idee da una parte e concorso di progettazione dall’altra – è una eccessi-
va semplificazione che non corrisponde alle esigenze del committente pubblico o privato che sia. Il concorso di idee delega all’architetto scelte che sono proprie dell’amministrazione, per cui spesso il progetto si arena di fronte all’emergere di nuovi orientamenti. Innanzitutto, l’amministrazione deve assumersi le proprie responsabilità sulle scelte strategiche: solo allora il progettista potrà fondare il suo progetto su solide basi. L’architetto non può essere in grado di cogliere la complessità delle politiche che stanno alla base di un intervento e il contesto in cui si dovrà calare. Non è questo il suo mestiere. Il concorso di progettazione va adattato alla scala del progetto, consentendo forme di selezione più agili, ad esempio attraverso workshop ed ex-tempore. Soluzioni che impegnino poche risorse, sia per il professionista, che per l’amministrazione, e che consentano di scegliere sulla base della capacità dell’architetto di mettersi in sintonia con il committente. Non dimentichiamo che il rapporto tra committente e architetto non può essere delegato ad un percorso burocratico e a una giuria esterna. È un rapporto di fiducia come quello tra paziente e medico e se manca la fiducia i progetti di concorso sono destinati a rimanere nel cassetto. La sfida è trovare formule che consentano quel giusto livello di discrezionalità che è indispensabile per avere un buon prodotto e a questo proposito anche gli Oordini professionali potrebbero dare un contributo determinante.
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mo le Aler che rischiano di essere confinate nel ghetto delle case ai più poveri, da gestire in condizioni di diseconomicità; all’altro un cosiddetto housing sociale che si avvicina fin troppo alle regole del mercato. A mio parere la soluzione va cercata in una via di mezzo tra questi due estremi.
a cura di Roberto Gamba
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Due concorsi di progettazione scolastica a Bareggio (Milano) gennaio – marzo 2006 Il comune della cittadina in provincia di Milano ha la necessità di consolidare le strutture per la scuola per l’Infanzia, in località San Martino. Ha così bandito un doppio concorso, uno per l’ampliamento del complesso scolastico esistente in via Mirabello, l’altro per una soluzione alternativa che preveda la costruzione di un nuovo edificio, in un’area attualmente destinata a parco urbano di quartiere. L’attuale complesso di San Martino è articolato in scuola media di 3 classi; scuola elementare; giardino per le attività all’aperto della scuola media ed elementare; giardino riservato alle attività all’aperto della scuola per l’infanzia; cucina e refettorio al piano seminterrato; auditorium; palestra. Le idee per il primo concorso di ampliamento dovevano confermare la localizzazione della scuola media; prevedere 19 aule per la scuola elementare; 9 classi, gli spazi previsti per le attività libere e di gruppo, per la scuola per l’infanzia; nonché le strutture accessorie della palestra, refettorio e auditorium. Per entrambi i concorsi erano richieste due tavole in formato A0. La giuria, per il primo concorso (ampliamento), era composta da Antonello Boatti, Carlo Alberti, Elvio Leonardi, Maria Chiara Brusatori. Oltre ai progetti qui di seguito presentati, ha proclamato 4° classificato, il gruppo di Anna Sacchetti, Andrea Sili Scavalli; 5° classificato, Roberto Altini; 6° classificato, Marco Brajkovic; 7° classificato, il gruppo di Giulio Boati, Marco Bovati, Stefano
Capitanio, Luca Berta, Mario Vittorio Serini, Matteo Cattabeni, Elena Migliorati, Simona Albani, Andrea Colombo, Ester Dedè; 8° classificato, Paolo Torresan; 9° classificato, il gruppo di Simone De Munari, Federica Avanza, Nando Bertolini, Alberto Bocchi, Paolo Magnani. La giuria del concorso per la nuova costruzione era composta da Rosaldo Bonicalzi, Carlo Alberti, Linda Poletti, Giuseppina Pisati. Oltre ai progetti qui di seguito presentati, ha proclamato 3° classificato ex aequo, il gruppo di Alessandra Cantarano, Rosella Turchi, Fabio Viscardi, Angelo Lacerenza, Michele Lisena, Barbara Regali; 4° classificato, il gruppo di Giovanni Amici, Cesare Porroni, Matteo Ceccarelli, Daniele Del Prete; 5° classificato, il gruppo di Vittorio Uccelli, Simone Cagozzi, Loredana Carrabs, Paola Daolio; 6° classificato, il gruppo di Filippo Carnevale, Ilaria Vizzardi, Luca Fusini; 7° classificato, il gruppo di Valter Fabio Filippetti, Antonio Dattilo, Enrico Costa, Carmine Carfa, Elisa Crimi, Valerio Morabito, Emanuela Smiglak, Martino Miliardi; 8° classificato, il gruppo di Alessandro Amirante, Enrico Fop, Andrea Quarello, Sara Latina, Debora Ghiselli; 9° classificato, il gruppo di Giuseppe Auguadro, Andrea Borghi, Ramon Busi, Gabriele Lobaccaro, Francesco Marroni, Stefano Sangalli, Marcello Pari, Giulio Zani. Per entrambi i concorsi non sono stati individuati primi premi e l’amministrazione comunale, ringraziando i concorrenti partecipanti, per la realizzazione delle opere si è riservata una decisione.
SCUOLA DI MIRABELLO 2° classificato ex aequo (foto 1-3) Alessandro Lensi (Pavia), Alessandro Maria Latocca (Milano), Luca Volontè (Milano) L’intervento si sviluppa con due corpi in linea che, da un lato, riprendono il rapporto con la strada lungo via Madonna Assunta, valorizzandone l’attuale ingresso secondario, dal-
l’altro creano un collegamento e un riutilizzo di tre aule della scuola esistente formando un continuo architettonico chiaro e semplice ove gli spazi per le attività speciali sono in posizione strategica. Tale disposizione determina la creazione di una corte interna ad uso esclusivo ed in relazione visiva diretta con l’interno. Gli spazi per le attività
libere, adattabili alla didattica con pannelli a libro, sono connessi con relazioni visive giocose (oblò casuali) lungo i percorsi di distribuzione. Tutte le zone per le attività libere e speciali avranno esposizione a sud, coadiuvata
da grandi sopraluce per l’apporto termico nelle stagioni fredde, funzionando da ‘estrattori’ di aria calda nel periodo estivo. L’edificio verrà realizzato con tecnologie tradizionali ed un’attenzione all’uso del legno e del colore.
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2° classificato ex aequo (foto 4-6) Roberto Gamba (Milano), Francesco Ferdenzi, Domenico Polimeni, collaboratore Matteo Turati Si costruisce un corpo di fabbrica parzialmente elevato a due piani, che si affaccia, con le aule della scuola materna e con uno spazio a corte aperta, caratterizzato da un imponente pergolato a colonne e travi di legno
lamellare, su una porzione di giardino. Prendendo atto che la richiesta espressa di una struttura di scuola materna di ben nove aule non è lieve, da un punto di vista dimensionale, la composizione, per preservare il più possibile gli spazi a giardino, definisce una “manica”, ove sono allineate al piano terra 6 aule e al piano superiore altre tre aule. Mentre al piano terra i bimbi potranno uscire diretta-
gio del custode. L’altro cortile aperto, che si forma con la congiunzione di questo nuovo corpo con il fabbricato della scuola esistente, è utilizzabile anche per l’accessibilità carraia di servizio e “completa” e configura l’affaccio dei volumi nel verde.
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mente in giardino, da ciascuna sezione; quelli del primo piano usufruiranno di due terrazze pergolate. Nell’ala che, invece, si congiunge agli edifici esistenti, vengono localizzati spazi di ampliamento della mensa; gli spogliatoi della palestra; l’allog4
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3° classificato (foto 7-8) Igor Maggiolini (Bareggio), Maurizio Merlotti, Fabio Pravettoni, Alberto Mattarozzi, Daniele Merini, Andrea Palmieri, Matteo Rossetti Da sempre l’architettura si costruisce in due modi possibili: per applicazione di volta in volta diversa di un modello architettonico ben preciso (è il caso di costruzioni di manufatti ex novo), o per trasformazione, per ampliamenti e per rifacimenti. In questo caso il tema dell’ampliamento è particolarmente difficile e intrigante: l’architettura della scuola esistente, che si mostra orgogliosa in tutta la sua nobile povertà, non poteva giustificare un progetto di continuità tra vecchio e nuovo e nemmeno, di
fronte alla tortuosità dell’esistente, poteva reggere un’idea unificatrice, tendente ad armonizzare, nel senso della venustas, e regolare il complesso di edifici. La proposta vorrebbe astrarsi così dalla complessità di relazioni che intercorrono tra le diverse parti del plesso, attraverso l’assenza, o il rifiuto, almeno nel suo sviluppo in elevato, del confronto diretto con il costruito. L’ampliamento è quindi pensato come una piastra gradonata: una grande copertura verde, bucata in più punti da patii quadrati, composta da piani aventi altezze differenti rispetto alla quota del parco. Una piastra che è al tempo stesso copertura della nuova scuola e parte integrante, e percorribile, del parco.
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SCUOLA IN LOCALITÀ SAN MARTINO 2° classificato (foto 9-11) Adalberto Del Bo (Milano), Elisabetta Cozzi, Paolo Bassi collaboratori: Maurizio Mennuni, Stefano Perego L’area destinata alla nuova scuola è parte di una vasta zona pubblica la cui sistemazione può consentire di connotare architettonicamente la definizione di un’ampia parte dell’abitato di Bareggio. A questo fine, l’idea generale del progetto ha inteso coniugare il tema specifico dell’edificio scolastico con il più generale tema urbano proposto dal concorso, individuando un complesso edilizio la cui
struttura risulta in grado di riverberare all’esterno l’ordine architettonico suo proprio, nonché la ricchezza degli elementi nei quali si svolge la vita organizzata dei bambini. L’esposizione delle nove sezioni verso sud risponde alla necessità obbligata di orientare le aule nel modo migliore e consente di stabilire un rapporto diretto con la parte a verde, costituita dall’insieme dei giardini interni al lotto e più in generale dall’intera area del parco pubblico, l’effettivo ambito con il quale la nuova scuola si rapporta dal punto di vista architettonico e urbano diventandone l’elemento distintivo.
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3° classificato ex aequo (foto 12-14) Donatella Basilio (Milano), Andrea Politi (Pavia)
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L’area di progetto è inserita in un contesto caratterizzato da insediamenti tipici della zona di espansione, ma ancora connotata da elementi di naturalità. L’aspetto funzionale della scuola per l’infanzia porta a ragionare su alcune figure dell’architettura: il recinto, il patio, il basamento. Bassi parallelepipedi, che contengono le aule e le diverse attività a loro legate, formano e inquadrano una serie di cortili, riparati dal recinto. È il recinto il vero prospetto, l’ele-
mento che si relaziona con l’immediato intorno, che delimita l’intera area variando, a seconda delle relazioni da esprimere, il suo andamento, piegandosi, alzandosi per far intravedere o per indicare in maniera chiara gli ingressi, gli spazi aperti e quelli chiusi. L’articolazione spaziale del complesso si scopre poco a poco percorrendo l’atrio, il ricreatorio comune, gli spazi delle attività libere e le aule, filtrate dagli spogliatoi e infine i patii… La continua successione di spazi edificati e di spazi aperti diventa la matrice di un principio insediativo.
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Nuovo complesso scolastico per Esine (Brescia) gennaio – febbraio 2006 Obiettivo del concorso di idee era la realizzazione del nuovo plesso scolastico (scuola materna, elementare e media), completo di tutti i servizi necessari, quali laboratori, uffici, parcheggi, aree verdi, percorsi carrai e pedonali. Le ipotesi progettuali dovevano affrontare, in particolare, l’inserimento dell’intervento nel contesto urbanistico esistente, studiando i collegamenti con l’adiacente palestra e con la biblioteca posta sul lato opposto della via e curando l’urba-
nizzazione lungo un’altra via. I candidati dovevano sviluppare una soluzione ideativa, non un fuorviante esercizio di precisione grafica ascrivibile a gradi avanzati di progettazione quali quelli definitivi ed esecutivi. Erano richieste due tavole in formato A0. I premi sono stati di euro 4.000, al secondo euro 2.000, al terzo euro 1.000. La giuria era composta da Giuseppe Federici, presidente, con Paolo Ventura, Michela Nodari, Riccardo Pellegrini.
1° classificato (foto 15-18) Diego Belpietro, (Brescia), Paolo Terramoccia, Collaboratori: Camilla Rinaldi, Francesco Fogazzi, Marco Orizio consulenti: Stefania Bruni, Chiara Gaffurini
li della materna, connessi tra loro da tre grandi atrii vetrati. In questo modo verrà lasciato libero il lato sud verso la palestra, per permettere l’ottimale orientamento dell’edificio, allo scopo di avere facciate illuminate naturalmente e cortili soleggiati. Il numero di piani aumenta con l’avanzare dell’età degli alunni: un piano unico per la materna, due per l’elementare, fino a tre per gli alunni delle medie. Le diverse altezze dei piani si compensano con gli edifici nell’immediato intorno creando un continuum armonico di volumi: l’asilo resta basso sul campo sportivo, le elementari seguono le abitazioni di due piani dislocate a nord e i tre piani delle medie incontrano l’alto volume della palestra e delle abitazioni ad ovest.
Lo spazio a disposizione è piuttosto esiguo: l’edificio di progetto occupa il più possibile l’area di intervento, seguendo con il profilo i confini, ma sviluppandosi per lo più in altezza al fine di ottenere al livello del suolo grandi spazi a verde. L’intero volume, identificato dal quadrilatero irregolare di confine, si scompone in quattro blocchi, due dei quali ospitano i locali delle scuole elementari, uno quelli delle medie e l’ultimo quel-
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2° classificato (foto 19-21) Dario Lambertenghi (Esine), Dario Gheza, Alessandro Stofler collaboratori: Giuliana Camosci, Flavio Pianeti Il progetto ha portato alla definizione di un edificio a corte aperta con tre piani fuori terra. Al piano interrato è stata collocata la palestra. Una pensilina metallica collega il parcheggio interrato su via Manzoni con la palestra e il nuovo edificio scolastico, delimitando un percorso pedonale. Il basamento dell’edificio è rive-
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stito con lastre di porfido camuno fino all’altezza del primo piano e da un rivestimento metallico coibentato nella parte aggettante degli spazi della scuola materna, collocata al piano terra dell’ala sud della corte. Le pareti del primo e secondo piano sono costituite da laterizio con un isolamento a cappotto. La copertura, ad esclusione delle due parti su piloties caratterizzate da un tetto piano metallico, è costituita da un tetto inclinato realizzato con pannelli metallici coibentati. Le pavimentazioni esterne sono previste in cubetti di porfido.
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3° classificato (foto 22-24) Camillo Botticini (Brescia), Nicola Martinoli, Germana Gavazzoni Verso la strada sono collocati 20 parcheggi temporanei. Un portico a sbalzo protegge chi accede alle tre scuole. Gli spazi delle aule e dei corridoi si aprono con vetrate continue su patii verdi. Il primo blocco edilizio a partire da est presenta le aule delle scuole medie in uno spazio a doppia altezza che si rivolge alla grande corte. Tutti gli spazi sono costruiti su un modulo strutturale di 7 x 7 metri, caratterizzato da un sistema di setti e pareti di controvento in calcestruzzo armato.
Il nodo dei servizi funziona da parete di separazione tra gli spazi della scuola elementare e materna. Un grande spazio comune per il gioco si apre sul giardino. Le pareti sono tamponate in doppio laterizio porizzato ed isolante interno e sono completate all’esterno da una parete ventilata in legno di abete finlandese, demineralizzato (brevetto luna wood). Il solaio è in pannelli coibentati di sapisol (isolante tra due pannelli di legno già finiti al montaggio) autoportante, coperto con un sistema di verde pensile Nella copertura superiore sono introdotti “condotti di luce” con aperture verso sud che permetteranno l’illuminazione dei corridoi.
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Infrastrutture e spazi urbani Pepe Barbieri (a cura di) Infraspazi Meltemi, Roma, 2006 pp. 160, € 25,00 “Sono infraspazi i luoghi che si formano nelle reti delle infrastrutture della mobilità. Da dispositivi di servizio si stanno trasformando nei nuovi spazi pubblici della città contemporanea” scrive Pepe Barbieri, il curatore del testo che raccoglie contributi diversi sul tema del rapporto tra territori, città e infrastrutture, argomento di attualità nel quadro della disordinata estensio-
ne urbana avvenuta sotto i nostri occhi e implacabilmente in atto secondo processi all’apparenza inarrestabili. In un paese che dal secondo dopoguerra sembra aver deciso per norma di trattare l’apparato della mobilità in termini del tutto slegati da una generale pianificazione (quand’anche presente), dove tracciati autostradali, viadotti automobilistici e ferroviari, assi attrezzati e tangenziali hanno da sempre goduto di totale salvacondotto prevaricando liberamente insediamenti e territori, risulta cosa davvero positiva che siano emerse in questi ultimi anni iniziative e nuove attenzioni sull’argomento da parte di amministrazioni pubbliche nonché interessi specifici ed elaborazioni da parte di architetti e urbanisti. Il libro pubblica esempi stranieri e diversi tentativi di soluzione applicati a casi nostrani di significativa complicazione (molti nella fascia adriatica) oggetto di ricerche, progetti ed anche tesi
di laurea che costituiscono un insieme variegato ed eterogeneo di contributi, un inizio di un’attività possibile e di un ragionamento esteso che necessita di approfondimenti analitici e di fondamenti scientifici su quell’ambito della conoscenza che comprende urbanisme e architettura, un’area di sempre maggiore presenza ora che la città (lo si voglia o meno) è nel territorio e che il territorio è nella città. Non vanno dissipate le grandi lezioni dell’architettura della città e degli studi urbani (come l’ingegnosità corbuseriana dei piani di Algeri e di Rio) né va dimenticata la naturale tensione dell’architettura per l’ordine e l’organizzazione, nella speranza che gli architetti non si lascino
offuscare dalla mistica dell’espressività delle contraddizioni presenti e sappiano ancora trovare i nuovi spazi pubblici delle nostre città senza dover necessariamente ricorrere ai luoghi residuali e controversi descritti in questo interessante testo. Adalberto Del Bo
Una nuova storia del paesaggio e dei giardini Franco Panzini Progettare la Natura. Architettura del paesaggio e dei giardini dalle origini all’epoca contemporanea Zanichelli, Bologna, 2005 pp. 372, € 29,80 Dopo avere offerto un importante contributo sulla storia dei giardini pubblici europei, Franco
Panzini ora presenta una storia sintetica dell’architettura del paesaggio e dei giardini. Si tratta di un lavoro destinato a largo uso, in particolare da parte degli studenti universitari e di quanti si avvicinano allo studio dell’argomento. Panzini sa evitare i rischi comuni in un’opera del genere. Allo stesso tempo ci presenta la tematica nella sua accezione più ampia e riesce a ben delimitare il suo campo di indagine. Dedica la dovuta attenzione ai percorsi tradizionali delle storie del paesaggio e sa includere considerazioni su aspetti e luoghi meno frequentati. Evitando di costruire una storia fondata su una visione eurocentrica dell’arte dei giardini, Panzini mantiene fermo il filo conduttore del suo racconto, accennando alle realtà più diverse e lontane dall’asse essenziale della disciplina europea nella sua evoluzione storica. Un rapido sguardo al volume ci permette di vedere il risultato di questo ampliamento di prospettiva. Circa cento pagine sono dedicate al mondo premoderno – ivi incluse l’America pre-colombiana, le realtà medio orientali e l’Islam. L’epoca moderna è divisa in tre capitoli: due coprono la grande tradizione del giardino europeo moderno, in forma sintetica, ma non superficiale, mentre il terzo riguarda “le culture asiatiche”. Panzini dedica all’esperienza ottocentesca e contemporanea della costruzione del paesaggio e dei giardini l’ultima parte del volume. In “Paesaggio versus giardino” analizza il giardino inglese e il parco pubblico ottocentesco. In “La città verde” l’autore
descrive in forma diacronica le esperienze urbanistiche contemporanee più rilevanti. Un ultimo capitolo riguarda “Movimenti e personaggi del XX secolo”, una soluzione efficace per rendere conto dell’importanza e della varietà dell’esperienza contemporanea del verde. Il testo è arricchito da molte immagini e include un glossario, un’utile selezione bibliografica e un indice dei nomi e dei luoghi. Henrique Pessoa Pereira Alves
Un’altra Trieste Mauro Covacich Trieste sottosopra Laterza, Roma-Bari, 2006 pp. 122, € 9,00 Come descrivere una città? come costruire un itinerario fra i suoi luoghi? Mauro Covacich, scrittore triestino, risponde propendendo per una “chiave” autobiografica, costruita, però, secondo un preciso obiettivo: dimostrare come la sua città possa essere letta a prescindere dagli stereotipi in cui è stata per lungo tempo rinchiusa. La Trieste che noi conosciamo è la città mitteleuropea, il “ponte” fra la cultura dell’occidente e dell’oriente, il luogo di Joyce, di Svevo e dei caffé letterari. Una città ”severa” ancora influenzata dalle tradizioni e dalla cultura austriaca. Ma, esiste una Trieste parallela, una città che si è evoluta in continuità con il suo illustre passato. È in questo connubio di passato e presente che Covacich trova, e trasmet-
Martina Landsberger
Illuminare le città Donatella Ravizza Architetture in luce. Il progetto di illuminazione di esterni Franco Angeli, Milano, 2006 pp. 180, € 24,50 “Per salvaguardare l’umana condizione dell’alternarsi di luce ed ombre, è fondamentale progettare rispettando la luna, l’oscurità della notte, l’alternarsi del grande ciclo che da sempre ha scandito i tempi degli uomini, degli animali e delle piante” e più oltre “com-
Chiara Baldacci
Baldessari e Milano Graziella Leyla Ciagà (a cura di) Luciano Baldessari e Milano. Progetti e realizzazioni in Lombardia Centro di Alti Studi sulle Arti Visive – Comune di Milano, Milano, 2005 pp. 168, € 35,00
prendere la luce significa anche comprendere i diversi tipi di buio, porre attenzione alle infinite variazioni prodotte dalla luce nel suo impatto sulle cose, nel suo interagire con lo spazio, le superfici e gli oggetti che incontra. È in questa soglia, in questo confine che la misura dell’architettura, come arte dello spazio e del tempo, prende forma”. Con questa premessa Donatella Ravizza, giovane architetto, progettista illuminotecnico e docente prende in esame gli argomenti trattati, espressi nel sottotitolo e costituenti i capitoli del libro. L’esperienza didattica e il lavoro sul campo dell'autore
Il C.A.S.V.A., Centro di Alti Studi sulle Arti Visive del Comune di Milano, pubblica il quarto quaderno, confermando il suo importan-
te ruolo nella raccolta degli archivi e loro valorizzazione. La pubblicazione è dedicata ad un settore dell’opera di Luciano Baldessari che corrisponde ad una sezione dell’archivio dell’architetto – Collezione Mosca Baldessari, oggi presso il C.A.S.V.A. – nella quale è documentato, in particolare, il lavoro svolto dall’architetto a Milano e in Lombardia. La pubblicazione, a cura di Graziella Leyla Ciagà, raccoglie interventi che danno conto di diverse questioni sull’opera di Baldessari: Zita Mosca Baldessari ricostruisce con vivacità la vicenda della costituzione dell’archivio, Fulvio Irace definisce il quadro di riferimenti rispetto alla situazione milanese e alle arti in generale, la curatrice ne studia in particolare l’attenzione alle questioni tecniche e materiali e Anna Chiara Cimoli approfondisce il ruolo dell’architetto come conoscitore d’arte e nell’attività museografica. Seguono una serie di precise schede sui materiali presentati, ottime riproduzioni dei materiali d’archivio e completi apparati bibliografici. Ne risulta un volume molto ricco di chiavi di lettura, omaggio di Milano, “di quella che Baldessari, roveretano, ha sempre considerato la sua città.” Un testo quindi che, oltre a svolgere un compito documentale, si aggiunge agli studi che in questi ultimi anni hanno messo in evidenza l’importanza di Luciano Baldessari nella cultura milanese. Figura eclettica, distante da etichette e schematismi, Baldessari è personaggio esemplare del Novecento, secolo che ha percorso in modo trasversale, da vero cosmopolita. Maurizio Carones
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te, l’identità della sua città. Attraverso quindici “passeggiate”, l’autore ripercorre la propria vita e percorre, allo stesso tempo, i luoghi che più rappresentano la capacità di evoluzione della città. Dal rione di San Luigi con il suo ricreatorio – sorta di oratorio laico nato sotto il dominio austriaco e ora gestito, in ognuno dei rioni, dal comune – si passa attraverso i caffé, simbolo della trestinità, si arriva alla meticolosa descrizione del lungomare di Barcola, per inoltrarsi ancora nel grande parco dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni dove Basaglia concepì la sua rivoluzione e di cui oggi la città si è riappropriata, portando al suo interno una serie di attività pubbliche, e negando così, la “prigione” degli anni ’60. Nel libro sono presenti anche i luoghi delle “ombre” della storia: Basovizza, dove di giorno oggi si fa jogging, e di notte invece, in un tempo non poi così lontano, si correva per scappare; oppure la Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista, in Italia. Covacich descrive questi luoghi con cautela, con la consapevolezza che gli deriva dal suo ruolo di scrittore. Al di sopra di queste passeggiate aleggia la presenza dello stereotipo forse più conosciuto, e amato-odiato dai triestini: il soffio della bora che, con il suo improvviso imperversare pulisce la città e ne rafforza il rapporto con l’ambiente che la circonda, in primis con il mare che qui “è un lato della stanza. Ti alzi al mattino e sai dove stai e sai che c’è”.
producono un’esposizione semplice e piana, con un linguaggio chiaro e comprensibile sebbene ogni tema venga svolto con rigore scientifico. Un ottimo apparato illustrativo corredato da ampie didascalie fornisce un’ulteriore fonte di informazioni. Il capitolo “I criteri e la metodologia di progetto” è articolato in modo particolarmente ampio ed esauriente sia per le indicazioni strettamente illuminotecniche relative ai valori di illuminamento, controllo dell’abbagliamento, della dispersione del flusso, dell’utilizzo dei sussidi informatici ecc. ma soprattutto per l’attenzione che viene data all’architettura, alla “lettura dell’involucro”, ai vari approcci progettuali e culturali, all’attenzione del contesto in cui il progettista si trova ad operare. Il capitolo dedicato alle realizzazioni offre una significativa selezione di impianti di illuminazione urbana e monumentale realizzati negli ultimi anni da progettisti diversi, con diverse sensibilità e che hanno il comune denominatore di ben illustrare le premesse dell’autore.
a cura di Sonia Milone
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Costruire le modernità: Albini Zero Gravity. Franco Albini Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 28 settembre – 26 dicembre 2006 Zero Gravity rappresenta un nuovo modo di affrontare la persona e l’opera di Franco Albini, coetaneo di Carlo Mollino e Ignazio Gardella, dei quali quest’anno viene celebrata l’attività con tre mostre, rispettivamente a Milano, Torino e Genova, nel tentativo di comunicare al pubblico l’attualità del loro contributo. La Fondazione Triennale ha il merito di aver affidato l’allestimento a Renzo Piano, già brillante apprendista nella “bottega” del “Maestro” Albini, dimostrando così con i fatti la reale vitalità dell’insegnamento del professionista. La levità, che fin dall’intitolazione della mostra viene denunciata come uno dei tratti distintivi della progettazione albiniana, è anche un tratto comune con il Piano progettista del presente, quasi che i due, a distanza di anni, si siano passati il testimone, insieme all’approccio contemporaneamente “artigianale” e altamente tecnologico alla costruzione. Curatore scientifico della mostra è Fulvio Irace, che ha affidato l’analisi dei vari settori dell’operatività di Albini a diversi specialisti - M. Albini, S. Annichiarico, M. Baffa, F. Bucci, C. Conforti, M. Mulazzani, A. Rossari - avocando a sé lo studio dell’allestimento per la VI Triennale del 1936, la
“stanza per un uomo” accostato alla “camera in una cascina in risaia” di Carlo Mollino. L’accostamento suggerisce una lettura che li accomuna all’ombra di un’interpretazione surrealista del tema dell’abitare domestico. Il letto sospeso a due metri di altezza della “stanza per un uomo” del 1936 è seguito dalla stanza di soggiorno a due livelli con l’aerea scala sospesa esposta alla VII Triennale del 1940 e anticipa gli avvolgimenti e le sospensioni dei corpi scale per Palazzo Rosso e per gli uffici della Snam a San Donato. Omaggio diretto di Piano ad Albini, quindi, l’intera esposizione fluttua negli spazi di Palazzo dell’Arte, agganciata al soffitto da tiranti metallici che sospendono piani orizzontali trasparenti per i plastici e i disegni, mentre fungono da sostegno diretto per fotografie e progetti. All’ingresso siamo accolti da Albini in un ritratto di Sambonet, incorniciato “sospeso” alla distanza di circa un centimetro dal telaio per volontà del medesimo architetto, quasi a confermare la sua tensione interiore, particolarmente evidente negli allestimenti e nella produzione di mobili che, con la ricostruzione della libreria “Veliero”, fragile e leggera creazione del 1938, ci attende all’uscita della mostra. Maria Teresa Feraboli
Costruire le modernità: Mollino Carlo Mollino Architetto Torino, Archivio di Stato piazzetta Mollino 13 ottobre 2006 – 7 gennaio 2007 Su un rapporto di “contrastata ammirazione” pare essersi basata la difficile e fruttuosa collaborazione che Carlo Mollino trattiene all’incirca tra il 1927 e il 1937 con il padre Eugenio, competente ingegnere edile largamente coinvolto in quel processo di rinnovamento civile, industriale ed infrastrutturale che la città di Torino conosce a partire dagli anni Venti del secolo scorso. L’impronta politecnica quindi, intesa come auspicata ricerca
plina della tecnica, la sola capace di attribuire gli indispensabili valori di sincerità ed autonomia a nuovi edifici inseriti abilmente dall’architetto torinese in contesti urbani così come in vertiginosi paesaggi naturali. Matteo Baborsky per una coincidenza tra intuizione statica ed invenzione artistica, verrà così inevitabilmente a costituire l’ossatura logica del percorso artistico di Mollino, bipolarmente dimezzato tra capacità creativa e disciplina professionale. Ma se è vero che nuove tecniche costruttive producono nuove forme (si pensi alle innovazioni formali che a partire dal ’900 la tecnica del cemento armato introduce nella figurazione architettonica), possiamo a nostro modo ammettere che proprio nell’elemento strutturale (inteso come dispositivo logico di ogni buona architettura) risieda il campo d’indagine costantemente privilegiato da Mollino per verificare quella ricercata innovazione formale che ogni suo organismo architettonico in fondo finisce audacemente per ostentare. Questo risulta evidente non solo passando in rassegna i disegni e le più note architetture realizzate tra il 1933 e il 1970, messe per l’occasione in mostra dai curatori (M. Comba, C. Olmo, S. Pace) lungo un accurato percorso espositivo distribuito nei locali dell’Archivio di Stato della sua città natale, ma anche semplicemente osservando una serie di rilievi di architetture alpine che Mollino, ancora studente, realizzò allo scopo di descrivere abitazioni, stalle e dettagli costruttivi dell’architettura rurale valdostana. Appare già qui evidente come gli appoggi a forcella, i balconi a mensola, gli sbalzi e, più in generale, i sistemi costruttivi tradizionali analizzati, convergano in questa campagna di rilievi col fine ultimo di restituire e decantare lo schema statico grazie al quale, nel corso del tempo, le architetture montane hanno sapientemente preso corpo. Ecco come le forme più audaci create dall’estro indubbiamente artistico di Carlo Mollino vengono sempre domate dalla disci-
Il futuro secondo Boccioni Boccioni. Pittore scultore futurista Milano, Palazzo Reale piazza del Duomo 12 6 ottobre 2006 – 7 gennaio 2007 In quel periodo cruciale che segna la nascita dell’arte contemporanea, ogni avanguardia ha declinato a suo modo la nozione di modernità. Per il Futurismo la modernità è il dinamismo della nuova era tecnologica. Per Boccioni, però, la questione assume un significato profondo che supera la semplice celebrazione dei treni in corsa e dei miti della velocità. Non a caso, Boccioni è il solo a ripudiare con forza le sperimentazioni dei membri del gruppo inclini a interpretare il movimento come sequenza cinematica, scomponendo la durata nella fissità della successione temporale, come accade nella pellicola cinematografica. Quel che Boccioni cerca, quello che per lui significa essere moderni, è una nuova idea di spazio, elastico, vibratorio, anticartesiano, strutturato da forze dinamiche interne: “lo spazio non esiste più, la strada bagnata dalla pioggia si inabissa fino al centro della terra”. Da questa intuizione fondamentale, crea il vocabolario della nuova arte futurista, basata sui concetti di “linea-forza”, “formaforza”, “colore-forza” e la sua grammatica articolata sulla nozione di compenetrazione simultanea dei piani e dei volumi, perché non è più possibile pensare gli oggetti come elementi isolati. Ma è nella scultura, definita “arte statica” per eccellenza, che le sue ricerche trovano un importante canale di espressione. La mostra di Palazzo Reale approfondisce con taglio rigo-
i francesi su uno dei loro soggetti più cari, che emerge tutta l’originalità della sua opera. La geometria solida di una bottiglia esplode nello spazio sotto l’impeto di una forza centrifuga verticale, espandendosi in una suprema morfologia di superfici, iperboli ed ellissi generate per rotazione. È una geometria vitalistica, ricca di vibrazioni, gorghi e ombre, che lo spirito ideografico del Cubismo non avrebbe mai potuto plasmare, sia o no suo il primato del concetto di simultaneità. Sonia Milone
Musei e mercato culturale Museums: musei nel XXI secolo Roma, MAXXI 21 settembre – 29 ottobre 2006 La mostra affianca alla presentazione di edifici musei realizzati dopo il 2000 o il cui completa-
mento è previsto entro il 2010, una interessante ricerca su quelle istituzioni museali sempre più diffuse e non più identificabili con un edificio o con una struttura chiusa e compatta. La documentazione di una così accentuata molteplicità di generi, tendenze ed espressioni stimola una serie di riflessioni su come stanno cambiando il mondo dell’arte e il complesso universo dei musei contemporanei. In questi anni l’arte ha infatti dispiegato un ventaglio di ricerche così ampio da mettere in crisi la sua stessa riconoscibilità come tale, attraversata da una volontà di sfuggire ad ogni definizione che non sia mutevole ed in trasformazione, impegnando il suo pubblico in un continuo esercizio di individuazione delle varie identità che essa assume di occasione in occasione. Questo carattere eversivo convive però forzatamente con la disciplina imposta dalle necessità della comunicazione e del mercato, fattori determinanti con cui l’artista deve fare i conti in modo più consapevole e deciso che nel passato: avere successo non è un’eventualità ma la condizione stessa dell’azione dell’artista, al punto che chi non accede al mercato finisce di fatto per non appartenere al sistema dell’arte. L’arte ricava da questa condizione una significativa modificazione strutturale, nel senso che i media entrano nella sua più interna costituzione: se una cosa non è comunicata, se non diventa un evento, essa finisce per non esistere. Rispetto a questo quadro complesso, l’architettura del museo si pone in termini piuttosto ambigui, attraversata dalle stesse problematiche contraddizioni. Sul piano linguistico essa cerca di tenere il passo con la velocità e la molteplicità tipologica delle ricerche artistiche, riuscendo anche a divenire efficacemente edificiologo, ma proprio perché disinteressata a fondarsi su un tempo differente, corre il rischio di un rapido esaurirsi di significato. Sul piano dell’esperienza culturale, l’ampiezza e la natura delle superfici destinate al consumo, configurano oggi il museo come un edificio che incorpora un frammento consistente di centro commerciale, e questo ac-
cresce e non risolve il potenziale conflitto insito nell’avventura del singolo visitatore del museo, che può scegliere autonomamente le occasioni e le fasi del suo rapporto con le opere d’arte, ma può difficilmente liberarsi dal condizionamento al consumo delle merci, che accompagna come un riverbero la presenza degli oggetti artistici. Amanzio Farris
Basquiat: il jazz e l’arte The Jean Michel Basquiat show Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 20 settembre 2006 – 21 gennaio 2007 “La prima volta che incontrai Jean-Michel Basquiat aveva 18 anni e sembrava un punk. Portava i capelli in una mezza acconciatura bionda alla mohawk, una tribù di indiani d’America, rasati tranne che davanti, e indossava una vecchia tuta militare e scarpe che sembravano trovate nella spazzatura. Ma non appena apriva bocca, ti ritrovavi a conversare con un uomo colto e raffinato. Era un autodidatta quasi inquietante. C’è una scena tipica del genere fantascientifico in cui l’alieno o il robot superiore decide di assimilare l’intero contenuto della nostra cultura in un’unica seduta, solitamente di fronte a un terminale di computer o a una televisione. Lui era così. Assorbiva i quadri, i film, i dischi e i libri come una specie di apparecchio bionico di registrazione”. La descrizione di Glenn O’Brien, redattore di “Interview” e critico musicale, restituisce un Basquiat onnivoro di conoscenza, animato dall’ansia e dalla fretta di chi sa di non avere molto tempo a disposizione. Protagonista emblematico della scena newyorkese degli anni ’80, Basquiat è uno degli artisti più popolari dei nostri tempi, cui la Triennale di Milano dedica ora una delle più complete retrospettive presentate in Europa. A dispetto della sua breve esistenza – è morto nel 1988, a soli 28 anni – le sue opere, prodotte in
una sola decade, rappresentano una delle più alte testimonianze della cultura artistica pop. Gli esordi di Basquiat sono segnati, come quelli di Keith Haring, dai graffiti e dalla street art, forma di comunicazione e di espressione per uscire dal ghetto e liberare l’anima. Ecco allora i suoi aforismi e le poesie sui muri di downtown, l’esplosione di colori, i collage polimaterici, il rimando al jazz; la ricerca di un’identità che nei numerosi autoritratti svelano fragilità e ambizioni, il desiderio di affermazione come prova di esistenza. A 17 anni, al suo rientro in famiglia dopo l’ennesima fuga da casa, dice al padre: “Papà un giorno diventerò molto, molto famoso”. Avere successo è per lui un obiettivo ma anche l’origine della fine. “Basquiat è stato fatto a pezzi, – afferma il curatore Gianni Mercurio – non solo a causa della sua tendenza autodistruttiva, ma anche dai nascenti meccanismi del mercato dell’arte degli anni ’80. In pochi mesi è passato dal nulla a maneggiare quantità esorbitanti di dollari, trasformato in merce di scambio su una piazza sempre più gonfia di disponibilità economiche”. Da non perdere. Alba Cappellieri
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rosamente documentario la plastica del grande artista, disegnando un percorso che segue, opera dopo opera, la conquista di quella fusione dinamica fra oggetto e ambiente teorizzata con lucidità negli scritti. “Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente”: nascono le “sculture d’ambiente”, nasce la nuova estetica basata sulla “forma unica che dia la continuità nello spazio”. E se la mostra mette a confronto alcuni lavori giovanili di Boccioni e Picasso a testimonianza di un rapporto fatto di reciproca ammirazione e acerrima rivalità, e ancora poco chiaro a livello di contatti storici, è nello “Sviluppo di una bottiglia nello spazio” del 1912, quando Boccioni sfida
a cura di Walter Fumagalli
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blici, ai Consigli nazionali delle pro-
stanno adottando le soluzioni più
territoriali, proprio al fine di promuovere anche con le Amministrazioni regionali “una condivisa lettura dell’ordinamento di settore”, e ciò “in considerazione della grave incertezza circa le stesse fonti della disciplina legislativa, che rischia di compromettere il legale esercizio della professione e di pregiudicare gli interessi generali ad esso connessi”. Quanto all’interpretazione fatta propria dalla citata determinazione, è da rilevare che, stando alla stessa, la portata innovativa della legge “Bersani” in tema di compensi professionali degli architetti sarebbe invero assai limitata. Peraltro, com’era prevedibile, ha a sua volta suscitato vivaci reazioni da parte di chi vi ha scorto un tentativo di difesa corporativa. In ogni caso, al fine di una corretta comprensione delle problematiche giuridiche in tema di compensi professionali degli architetti conseguenti all’entrata in vigore del Decreto n. 223/2006, appare anzitutto opportuno ripercorrere brevemente le più rilevanti disposizioni vigenti in argomento antecedentemente a tale decreto, nonché le più importanti previsioni del decreto stesso. Peraltro l’esame della normativa sarà in questa sede limitato alle disposizioni rilevanti in tema di compensi professionali nell’ambito dei rapporti con soggetti privati. Ciò non perchè la legge “Bersani” non contenga disposizioni parimenti importanti (anch’esse, peraltro, di interpretazione tutt’altro che pacifica), anche relativamente ai compensi professionali nell’ambito dei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Al contrario, le problematiche concernenti la possibilità (ovvero la necessità) di applicare ancora le tariffe nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici appaiono di particolare rilevanza. La complessità di tali problematiche, rispetto alla quale le amministrazioni
Riservandosi dunque di tornare sull’argomento in un successivo articolo, è anzitutto da rilevare che il comma 2 dell’Articolo unico della Legge 4 marzo 1958 n. 143, introdotto dalla Legge 5 maggio 1976 n. 340, stabiliva che “i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed a quantità, fissati dalla Legge 2 marzo 1949 n. 143 o stabiliti secondo il disposto della presente legge sono inderogabili”. L’Articolo 2 del Decreto Legge n. 223/2006, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate in sede di conversione dispone invece l’abrogazione delle “disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali (…) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”. La norma, dunque, non dispone l’abrogazione delle disposizioni che prevedono tariffe fisse o minime, ma fa venir meno l’obbligatorietà delle tariffe stesse. Il che implica che in linea generale, e salvo quanto verrà di seguito precisato, il professionista ed il cliente dovrebbero poter pattuire un compenso professionale che si collochi al di sotto dei minimi tariffari. L’innovazione apportata dalla norma rischia tuttavia di essere più apparente che reale. Si consideri, infatti che già ben prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 223/2006, l’Articolo 2233 del Codice civile riconosceva alle parti il potere di concordare liberamente l’entità dei compensi, con il solo limite che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. A ciò si aggiunga che prima dell’entrata in vigore della legge “Bersani”, come correttamente rilevato nella Determinazione n. 2/2006, la Corte
I compensi degli architetti fessioni tecniche, alle Organizzazioni svariate, non consente tuttavia di nei rapporti con i privati dopo nazionali degli operatori del settore trattare anche delle stesse in questo dei lavori pubblici, nonché agli Ordini numero della rubrica. la legge “Bersani” Con la Legge 4 agosto 2006 n. 248 è stato convertito il Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223 (c.d. decreto “Bersani”), il quale contiene disposizioni “per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali” che non hanno mancato di suscitare aspre polemiche tra gli operatori dei settori interessati. Una prima considerazione, al di là di ogni rilievo concernente il merito delle disposizioni introdotte, è che un intervento legislativo che si muove nell’ottica di una “liberalizzazione” nei rapporti tra professionisti e clienti dovrebbe comportare anche una semplificazione nei rapporti stessi. Pare invece che l’intervento legislativo in questione abbia avuto l’effetto di complicare ulteriormente un quadro normativo che già non brillava per chiarezza; ciò quanto meno con riferimento alle disposizioni che regolano i compensi spettanti agli architetti nel settore privato e in quello pubblico. Non si sfugge dunque all’impressione che ancora una volta un intervento normativo, al di là delle intenzioni del legislatore, abbia contribuito ad accrescere quel clima di incertezza del diritto che sembra caratterizzare ineluttabilmente il nostro Paese. Di ciò mostra di essere convinto anche il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che ha adottato la Determinazione n. 2/2006 (consultabile sul sito internet www.archiworld.it), la quale contiene un’approfondita disamina delle novità normative del Decreto Legge n. 223/2006 e della Legge n. 248/2006 in tema di compensi professionali degli architetti, e dell’impatto che esse hanno avuto e avranno sulla normativa fino ad ora vigente. Lo stesso Consiglio nazionale, infatti, ha deciso di sottoporre la citata Determinazione n. 2/2006 all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, al Consiglio Superiore dei Lavori Pub-
lege n. 143/1958 rappresentano il primario parametro di riferimento nei termini in cui, ai sensi dello stesso Art. 2233 c.c., le stesse costituiscono la fonte integrativa del mancato accordo tra le parti”. Se ciò significa che, sotto il profilo deontologico, di norma il compenso pattuito potrà ritenersi adeguato soltanto se sia conforme alle tariffe, comprese quelle minime, tale conclusione non può essere condivisa. Interpretando in tal modo il complesso delle disposizioni vigenti, l’Articolo 2 della legge “Bersani” in tema di tariffe l’Articolo 2 del Decreto Legge n. 223/2006 non potrebbe di fatto trovare applicazione per quanto riguarda la determinazione dei compensi spettanti agli architetti. Se è vero, infatti, che questi ultimi, sotto un profilo civilistico, sarebbero liberi di pattuire con i clienti compensi inferiori ai minimi tariffari per ciò solo potrebbero al contempo essere sanzionati sotto un profilo disciplinare; il che li porrebbe nella condizione di non poter mai “derogare” ai minimi tariffari. A nostro avviso deve correttamente ritenersi che non ogni “deroga” ai minimi tariffari comporta necessariamente una lesione della dignità e del decoro della professione, ma che la valutazione vada operata caso per caso, fermo restando che la pattuizione di un compenso irrisorio ben potrà rilevare sotto il profilo disciplinare. La circostanza che l’Articolo 2233 del Codice civile preveda il riferimento alle tariffe per la determinazione dei compensi professionali in assenza di diversa pattuizione tra le parti non pare assumere rilevanza ai fini del giudizio di adeguatezza del compenso da operare in sede disciplinare. Tale norma, infatti, non è dettata al fine di determinare la “soglia minima”
sotto la quale il compenso professionale è da considerare indecoroso, bensì al diverso scopo di prevedere una fonte sussidiaria e suppletiva della determinazione del compenso, cui ricorrere in assenza di pattuizioni tra le parti al riguardo. Un’occasione per fare chiarezza circa i criteri di valutazione dell’adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione è rappresentata dalla previsione dell’Articolo 2, comma 3 del Decreto Legge n. 223/2006. Tale norma stabilisce che le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono prescrizioni in contrasto con quelle previste al comma 1 dello stesso Articolo 2 (e dunque anche con le disposizioni in materia di tariffe), sono adeguate entro il 1° gennaio 2007, “anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali”. Pertanto fino a tale data le norme deontologiche eventualmente in contrasto con quanto previsto al comma 1 dell’Articolo 2 del Decreto Legge n. 223/2006 devono considerarsi in vigore (in tal senso si è espresso ad esempio anche il Consiglio Nazionale Forense), mentre a decorrere dal 1° gennaio 2007, in caso di mancato adeguamento al decreto, tali norme dovranno considerarsi nulle, secondo quanto espressamente sancito dall’Articolo 2, comma 3, del decreto medesimo. Riccardo Marletta
47 PROFESSIONE LEGISLAZIONE
di Cassazione aveva chiarito a più riprese che il patto in deroga ai minimi inderogabili di tariffe professionali, in difetto di una previsione espressa in tal senso, non era affetto da nullità. Secondo questo orientamento giurisprudenziale, la valutazione di adeguatezza del compenso pattuito all’attività professionale svolta poteva essere effettuata soltanto in sede di procedimento disciplinare, essendo la norma di cui all’Articolo 2233 del Codice civile finalizzata alla tutela della dignità e del decoro professionale. Il che significava che, concludendo un patto in deroga ai minimi tariffari (allora) inderogabili, il cliente non rischiava praticamente nulla, mentre l’architetto era passibile di procedimento disciplinare per il solo fatto di aver derogato ai minimi tariffari previsti per legge. Occorre quindi domandarsi che cosa sia cambiato, sotto questo particolare aspetto, con l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 223/2006. In proposito è anzitutto da rilevare che tale decreto non ha comportato l’abrogazione del comma 2 dell’Articolo 2233, e che pertanto tuttora la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Ma a chi spetta tale valutazione di adeguatezza? Con l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 223/2006, gli accordi relativi ai compensi professionali devono ritenersi (a maggior ragione) validi anche se non rispettano i minimi tariffari sotto un profilo civilistico. Ancora adesso, tuttavia, la pattuizione di un compenso inferiore ai limiti tariffari potrà assumere rilevanza dal punto di vista deontologico. Il che significa che la valutazione di adeguatezza del compenso pattuito dovrà essere effettuata dagli Ordini “di volta in volta e con riferimento al regolamento di interessi concretamente adottato dalle parti”, secondo quanto sostenuto nella Determinazione n. 2/2006. Peraltro, a detta di quest’ultima, non si potrebbe “fare a meno di ritenere che di tale valutazione le tariffe ex
a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi
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Il consolidamento di solai lignei o su putrelle nel recupero Negli interventi di recupero condotti su edifici di fine Ottocento-primi Novecento o loro porzioni, uno dei temi con cui il professionista si trova abitualmente a doversi confrontare è quello del consolidamento del solaio, in legno o su putrelle di acciaio, sovente caratterizzato da una marcata deformazione permanente dei suoi elementi portanti lignei (per il noto fenomeno “a fatica” di fluage, proprio delle fibre del legno sottoposte a carico continuato nel tempo), o comunque da una inaccettabile freccia di oscillazione conseguente alla snellezza anche in quelli su putrelle. Il classico tremore dei vetri e le crepe riscontrabili nei rivestimenti d’epoca, a pavimento e in corrispondenza delle gusce di raccordo parete/soffitto della finitura a gesso, sono il primo segnale di una situazione di salute del solaio, tale da richiedere un intervento di consolidamento dello stesso. Fra le tecniche operative finalizzate a questo scopo e di più frequente impegno si è andata progressivamente affermando, come di miglior efficacia, quella che prevede di rendere collaborante la struttura originaria dell’orizzontamento con una cappa sovrastante in cls strutturale alleggerito, mediante l’infissione di appositi connettori negli elementi portanti costituiti da travi e putrelle. Le fasi operative Si tratta di una soluzione applicabile anche nel normale cantiere di manutenzione straordinaria del singolo alloggio, non comportando particolari difficoltà sul piano logistico e dell’attrezzatura necessaria. In sintesi le fasi d’intervento da prevedere sono le seguenti: • Solaio ligneo – rimozione dei rivestimenti a pavimento esistenti e dei relativi allettamenti;
Tecnica di consolidamento di un solaio in legno provvisoriamente appeso – in fase di getto – a sovrastanti putrelle in acciaio, mediante tirantatura. Si riconoscono un elemento rompitratta organizzato nello spessore del solaio e l’alleggerimento ottenuto mediante strisce di polistirolo.
Consolidamento di solaio in putrelle e tavelloni, con esecuzione di travi di irrigidimento in spessore di solaio.
– rimozione (preferibilmente a leva e piccone, per non andare a turbare più di tanto l’assetto esistente consolidato) dello strato di sottofondo, generalmente costituito da sabbia e calce, ed eventualmente alleggerito anche con coke, pomice e financo semi di graminacee; – esecuzione di limitato scasso a muro, lungo le pareti portanti dei singoli locali, evitando di interessare le sezioni di canne fumarie che avessero a essere presenti e avvantaggiandosi delle nicchie sottofinestra, per ottenere un buon appoggio sulla muratura portante;
– pulizia dell’assito, con verifica dell’integrità delle tavole e dei sottostanti travetti in legno di castagno o altra essenza resistente; – stesura di fogli di polietilene pesante adeguatamente sovrapposti e nastrati sui lembi, per evitare il percolamento nei locali sottostanti dell’acqua di impasto del successivo getto della cappa; – infissione, mediante avvitatore di connettori di acciaio inox (in sostanza viti di adeguata sezione), con passo opportuno determinato a seguito di calcolo; più fitto all’appoggio e più rado al centro della stanza;
Carlo Sironi
Normativa di riferimento Consolidamento di solaio in putrelle e tavelloni con connettori a “L” in tondino di acciaio e rete elettrosaldata.
– stesura di fogli di rete elettrosaldata (5/6 di diametro, con maglia 15 x 15 o 20 x 20), sovrapposti per almeno due maglie; – esecuzione di getto in calcestruzzo strutturale alleggerito con argilla espansa o altro principio; – formazione nuovo sottofondo (meglio se alleggerito, sempre con argilla espansa) e posa rivestimenti a pavimento. • Solaio a putrelle e tavelloni In questo caso le operazioni, concettualmente analoghe alle precedenti, possono condurre a rimuovere il sottofondo sino alla sola quota dell’ala superiore delle putrelle, realizzando la connessione di queste con il getto collaborante sovrastante per tramite di connettori costituiti da spezzoni di tondino di circa 15 cm, ripiegati a “L” (10 + 5 cm), direttamente saldati sull’ala. In alternativa esistono sul mercato appositi connettori per l’infissione diretta su acciaio. Qualora i solai considerati presentassero luci particolamente significative, si possono poi “organizzare” dei veri e propri rompitratta, mediante la stesura di tondini paralleli (diametro circa 16) collocati centralmente rispetto al campo interessato dal consolidamento, giungendo sino alla realizzazione di autentiche travi di irrigidi-
mento, di ridotta sezione, sì da risultare contenute nell’altezza della porzione strutturale del solaio. Alcune avvertenze Nell’esecuzione di queste fasi, che ben s’intende – sono tutte da sottoporre a verifica e calcolo, quanto a diametro dei tondini, passo di infissione e altezza della cappa collaborante, si deve prestare in particolare attenzione a due questioni. La prima è la necessità, che sovente un intervento di consolidamente di un solaio reca con sé, di rivedere la quota di soglie di porte e portefinestre, per effetto del combinato portato dello spessore della cappa collaborante e del maggiore spessore del nuovo sottofondo. Un problema che può essere anche di non poco conto in corrispondenza dell’ingresso principale all’alloggio dal piano di sbarco di scale e ascensori e nei punti di accesso a balconi e terrazzi esterni, soprattutto allorquando, per la particolare destinazione dell’unità su cui si interviene, si debba rigorosamente rispettare il requisito dell’accessibilità degli spazi per profili di utenza diversamente abile. La seconda avvertenza consiste nella verifica dell’esigenza o meno, durante le fasi di getto, di prevedere una qualche forma di sostegno del solaio sino ad avvenuta maturazione dei getti.
UNI ENV 1995 Eurocodice 5. Progettazione delle strutture in legno. UNI EN 26891 Strutture in legno. Assemblaggi realizzati tramite elementi meccanici di collegamento. Princìpi generali per la determinazione delle caratteristiche di resistenza e deformabilità. UNI EN 28970 Strutture in legno. Prova di assemblaggi realizzati tramite elementi meccanici di collegamento. Prescrizioni relative alla massa volumica del legno. UNI EN 338 Legno strutturale. Classe di resistenza. UNI EN 380/00 Strutture in legno. Metodi di prova. Princìpi generali per le prove con carico statico. CNR 10016/98 “Strutture composte di acciaio e calcestruzzo. Istruzioni per l’impiego nelle costruzioni” (Bollettino Ufficiale n. 194, 14/9/2000). EUROCODICE 4 “Progettazione delle strutture composte acciaio-calcestruzzo” UNI – ENV 1994-1-1 (febbraio 1995).
49 PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE
Un problema spesso sottovalutato e che invece deve essere attentamente analizzato per dare la risposta più congrua. Non va, poi, dimenticato che l’operazione di rimozione di pavimenti e sottofondi conduce quasi inevitabilmente a un “rialzo” del solaio, con apertura di fessurazioni e cavillature nei rivestimenti di finitura delle unità sottostanti quelle oggetto d’intervento.
a cura di Sara Gilardelli
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I due interventi che seguono integrano dal punto di vista della contrattualistica e della quantificazione dei compensi professionali il Forum dedicato al Piano della Luce.
• una migliore fruizione dei centri urbani e dei luoghi esterni di aggregazione, dei beni ambientali, monumentali e architettonici; • la realizzazione di linee di alimentazione dedicate.
La disciplina contrattuale
Documenti di piano • Suddivisione del Territorio Relazioni: – relazione introduttiva sulla distribuzione del territorio comunale e la sua suddivisione in aree omogenee; – relazione tecnica sullo stato dell’inquinamento luminoso sul territorio di competenza; – relazione descrittiva delle aree a particolari destinazione, delle zone e degli edifici critici, e del contesto in cui sono inserite. Elaborati grafici: – planimetrie del territorio comunale suddiviso per aree illuminotecnicamente omogenee (compatibile con l’eventuale PRG).
Trattandosi di materia che riguarda l’esercizio delle professioni, il contratto che viene ad essere istituito per regolare i rapporti fra un committente e un professionista progettista, è meglio identificabile con il termine di convenzione, che si esplica in un disciplinare di incarico nel quale vengono identificati, oltre ai soggetti contraenti, anche l’oggetto dell’incarico, la consistenza dei documenti progettuali, la normativa a cui occorre attenersi, i termini temporali, quelli economici oltre a quant’altro necessario evidenziare a tutela delle parti firmatarie dell’atto. È indispensabile, però, precisare che nella stesura di un disciplinare di tal genere, si deve tener conto di due grandi categorie di lavoro, suddivise fra il committente privato e quello pubblico. La Legge della Regione Lombardia n. 38/04 di cui all’Articolo 10 – al punto 3 – stabilisce gli obiettivi del “piano dell’illuminazione” e dei “documenti di piano”, prestazioni che dovranno essere elencati nel disciplinare di incarico. Obiettivi del piano • la limitazione dell’inquinamento luminoso e ottico; • l’economia di gestione degli impianti attraverso la razionalizzazione dei costi di esercizio, anche con il ricorso a energia autoctona da fonti rinnovabili, e di manutenzione; • il risparmio energetico mediante l’impiego di apparecchi e lampade ad alta efficienza, tali da favorire minori potenze installate per chilometro ed elevati interassi tra i singoli punti luce, e di dispositivi di controllo e regolazione del flusso luminoso; • la sicurezza delle persone e dei veicoli mediante una corretta e razionale illuminazione e la prevenzione dei fenomeni di abbagliamento visivo;
• Rilievo degli impianti esistenti Relazioni: – relazione tecnica sullo stato degli impianti d’illuminazione pubblica esistenti e sulla loro compatibilità con la Legge 17/00 e successive integrazioni; – relazione tecnica sullo stato di fatto e sulle condizioni dei quadri e degli impianti elettrici, le loro carenze e la loro conformità alle norme vigenti in materia. Elaborati grafici: – planimetria delle sorgenti luminose esistenti; – planimetria dei punti luce e delle tipologie esistenti; – planimetria di identificazione quadri e della rete elettrica di alimentazione. • Piano territoriale d’illuminazione Relazioni: – relazione tecnica sulla classificazione del tracciato viario secondo UNI 10439 ed identificazione delle principali aree sensibili classificate secondo EN 13201; – relazione tecnica sull’indagine statistica del traffico sul territorio comu-
nale per la declassificazione permanente o nei solo orari di minor utilizzo; – relazione tecnica sulle linee guida che dettano le scelte tecniche e progettuali illuminotecniche e elettrotecniche da adottarsi per ciascuna area omogenea o specifica applicazione o contesto critico – per esempio edifici storici – e per futuri impianti d’illuminazione. È evidente che deve essere totale coerenza con la Legge regionale stessa. – relazione tecnica con proposta di riassetto illuminotecnica del territorio comunale, con specifiche e chiare disposizioni per tipologia d’impianto, per tipologia di progetto. Tipici di futuri progetti illuminotecnica minimi. Elaborati grafici: – planimetria della classificazione del tracciato viario; – planimetria del piano di riassetto del territorio dal punto di vista delle sorgenti luminose; – planimetria del piano di riassetto del territorio dal punto di vista delle tipologie di apparecchi. • Piano d’adeguamento, d’intervento e piano di manutenzione Relazione di Pianificazione: – definizione di un piano di adeguamento degli impianti a medio termine o lungo termine – obbligo di legge di adeguamento a termine – con indicazione degli investimenti e le priorità; – definizione di piani di manutenzione degli impianti. Relazione sull’Impatto Economico: – previsione di ristrutturazione con stima economica dell’intervento corredata di bilancio energetico/economico dei risparmi e identificazione delle opportunità tecnologiche che massimizza risparmio energetico. Elaborati grafici: – planimetria delle situazioni ad elevato impatto ambientale – pubbliche e private – e delle situazioni palesemente fuori legge di tipo privato e che necessitano l’adeguamento; – schede tecniche per ciascun impianto critico con proposta d’intervento.
Carlo Lanza coordinatore della Commissione Tariffa, Ordine Architetti P.P.C. di Milano
Piano urbano della luce. Ipotesi di calcolo del compenso professionale Si fa qui riferimento al contenuto degli interventi che precedono per richiamare il basilare ruolo assolto, all’interno dei rapporti professionali, dagli accordi individuati fra le parti contraenti, e di conseguenza dal disciplinare d’incarico, che tali accordi compendia e sancisce. Documento questo ultimo, si ricorda, che dovrebbe fungere da strumento primo di tutela sia del committente che del professionista, a garanzia, fra l’altro, della qualità della prestazione e della congruità dell’onorario professionale. Sul particolare tema dell’onorario, a fronte di prestazioni professionali oggi abbastanza “nuove” come quelle afferenti alla redazione di un Piano urbano della luce, è anzi doveroso considerare che solo un disciplinare d’incarico correttamente formulato e definito può facilitare e/o assicurare la regolazione, senza problemi, delle specifiche competenze professionali. Per quanto riguarda il calcolo dell’onorario per le prestazioni professionali finalizzate alla redazione di un Piano urbano della luce, si è studiata, sulla base anche dell’autorevole parere di professionisti esperti nel campo specifico, una ipotesi di soluzione che, prendendo le mosse dal principio “dell’analogia”, ha definito l’ipotetica congruità secondo alcune valutazioni. L’ipotesi di calcolo di seguito presentata non intende costituire punto di arrivo, ma piuttosto base di riferimento per quegli ulteriori eventuali approfondimenti e contributi che potranno essere suggeriti da una
realtà professionale in continua evoluzione. L’onorario per le prestazioni di cui trattasi non potrà che essere definito “a discrezione” secondo il dettato dell’Articolo 5 della Legge sulla Tariffa Professionale 2/3/49 n. 143 e successive integrazioni e modificazioni incluso il D.M. 4/4/2001 che determina le tariffe per i lavori pubblici. La quantificazione dei compensi dovrebbe far riferimento ai valori delle opere che costituiscono l’oggetto della progettazione. Se ad ogni punto luce oggetto della pianificazione, si assegna un valore parametrico di realizzazione di euro 1.770,00, per n. 10.000 punti luce che sono lo standard per una città di medie dimensioni, risulta un importo totale preventivabile delle opere di euro 17.700.000,00. Considerata una prestazione comprendente: • relazioni, planimetrie, schemi grafici; • calcolo sommario della spesa; • disciplinare elementi tecnici; dalla Tabella B e dalla Tabella A del Decreto Ministeriale 4/4/2001, per la classe e categoria III c) a cui siano aggiunte le spese e i compensi accessori conglobati, si potrebbe derivare il seguente calcolo delle competenze. Classe e categoria delle opere: III c Costo dell’opera: euro 17.700.000,00 Percentuale corrispondente di Tabella A: 6,77360% Percentuali svolte di Tabella B: – Relazioni, planimetrie, schemi grafici 0,11 – calcolo sommario spesa 0,01 – disciplinare elementi tecnici 0,02 0,14 onorario: € 17.700.000,00 x 6,77360% x 0,14= € 123.694,60 Eventuale riduzione 20% per opere pubbliche 123.694,60 x 20% = € 24.738,92 € 98.955,68
Rimborso spese e compensi accessori conglobati Art.3 D.M. 4/4/2001 123.694,60 x 24,86% = € 30.755,59
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Totale, da esporre “a discrezione”, s.e. & o. € 129.706,16 Nel caso di una significativa presenza di parti storiche della città, di particolari ambiti progettuali e di parti urbane oggetto di dettagliata attenzione progettuale, una quota proporzionale degli interventi potrebbe essere compresa nella classe e categoria I e), considerando la prestazione più propriamente di arredo. Il criterio di calcolo sopra riportato accompagnato da una nota sul Piano urbano delle luci è stato approvato dal Consiglio dell’Ordine Architetti P.P.C. della Provincia di Milano con delibera del 6 giugno 2006 e sottoposto al parere della Consulta Regionale Lombarda degli Ordine Architetti. Gemma Skof presidente coordinatore della Commissione Parcelle Ordine Architetti P.P.C. di Milano
PROFESSIONE ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE
• Strumenti accessori al Piano – documenti accessori di attuazione del piano sul territorio.
a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Legge G.U. n. 17 del 16.9.2006 Legge Regionale 14 luglio 2006 n. 12 Modifiche e integrazioni alla Legge Regionale 11 marzo 2005, n. 12 “Legge per il Governo del Territorio” Sono apportate modifiche e integrazioni alla L.R. n. 12 per il Governo del Territorio. Qui di seguito sono segnalate alcune variazioni più significative. L’Art. 1, punto c, stabilisce che “fino all’approvazione del piano territoriale regionale i comuni appartenenti a province non dotate di piano territoriale di coordinamento vigente trasmettono il documento di piano alla Regione, contemporaneamente al deposito. La Regione formula un parere vincolante in relazione ai propri indirizzi di politica territoriale, entro 120 giorni dal ricevimento della relativa documentazione, decorsi inutilmente i quali il parere si intende reso favorevolmente”. L’Art 25, comma 1 bis istituisce che “fino all’adeguamento di cui all’Art. 26, commi 2 e 3, i comuni possono procedere, altresì, all’approvazione di varianti finalizzate al perfezionamento di strumenti urbanistici già approvati dalla Regione, ovvero dagli stessi comuni, acquisita la verifica di compatibilità da parte della provincia, con esplicito rinvio a successiva disciplina integrativa”. Il comma 8 bis sancisce che “fino all’adeguamento di cui all’Art 26, commi 2 e 3, i piani attuativi e loro varianti, conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti, sono adottati e approvati dalla Giunta comunale, con applicazione delle disposizioni di cui all’Art. 14”. Inoltre, “fino all’approvazione dell’Art. 26, commi 2 e 3 i Piani di zona redatti ai sensi della Legge 18 aprile 1962, n. 167 (disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare) e gli interventi finalizzati in attuazione del programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica di cui all’Art. 3, comma 52, lettera a), della L.R. n. 1, 2000 e relativi programmi annuali, qualora comportino variante agli strumenti urbanistici comunali vigenti, sono adottati dal Consiglio comunale e approvati secondo di cui all’Art. 13”. Il comma 8 quater “gli strumenti urbanistici comunali e loro varianti approvati ai sensi dei commi 1 e 3 acquistano efficacia a seguito della pubblicazione, nel Bollettino ufficiale della Regione, dell’avviso di approvazione definitiva”.
Il comma 8 quinques “fino all’adeguamento di cui all’Art. 26, commi 2 e 3, i comuni, con deliberazione del Consiglio comunale analiticamente motivata, possono procedere alla correzione di errori materiali e a rettifiche dei PRG vigenti, non costituenti variante agli stessi. Gli atti di correzione e rettifica sono depositati, presso la segreteria comunale, inviati per conoscenza alla Provincia e alla Giunta regionale ed acquistano efficacia a seguito della pubblicazione, nel Bollettino ufficiale della Regione, dell’avviso di approvazione e di deposito, da effettuarsi a cura del comune”. Il punto h “la misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente per la approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”. B.U.R.L. 2° Suppl. straordinario al n. 38 del 21 settembre 2006 D.d.u.o. 14 settembre 2006 – n. 10052 Approvazione del bando per il finanziamento di interventi di coordinamento e sviluppo di sistemi integrai di beni e servizi culturali, anno 2006 Il dirigente della U.O. Programmazione ha approvato il bando per il finanziamento di interventi di coordinamento e sviluppo di sistemi integrati di beni e servizi culturali per l’anno 2006. Il bando è finalizzato a promuovere lo sviluppo di sistemi integrati di beni e servizi culturali. Riguardo alle tipologie di intervento vengono individuati: progetti edilizi per la realizzazione di nuovi edifici o di recupero di beni immobili non vincolati ex D.Lgs 42/04 con destinazione culturale; allestimenti di musei, biblioteche, teatri, cinema e altri centri culturali; restauro di beni mobili musealizzati; progetti di coordinamento di beni, servizi e attività culturali; progetti di sviluppo e implementazione di sistemi informativi su beni culturali e biblioteche di enti pubblici; studi di fattibilità per la realizzazione di sistemi culturali integrati; progetti di digitalizzazione sui beni culturali. I soggetti beneficiari sono i soggetti pubblici e le università. Il decreto stabilisce inoltre l’entità del contributo. B.U.R.L. 2° Suppl. straordinario al n. 38 del 21 settembre 2006 D.d.s. 14 settembre 2006 – n. 10053
Approvazione del bando per il finanziamento di interventi di valorizzazione del patrimonio culturale, anno 2006 Il dirigente della Struttura Conservazione e restauro dei beni culturali ha approvato il bando per il finanziamento di interventi di valorizzazione del patrimonio culturale per l’anno 2006. Finalità del bando è promuovere gli interventi di riqualificazione e valorizzazione del patrimonio storico-architettonico lombardo. Le tipologie di intervento riguardano progetti di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, adeguamento tecnologico e ristrutturazione edilizia relativi a beni immobili e/o complessi architettonici vincolati ai sensi del D.Lgs del 22 gennaio 2004 n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” e destinati ad uso pubblico con finalità culturali. Il bando stabilisce le risorse regionali, i soggetti beneficiari pubblici e privati che abbiano disponibilità del bene oggetto dell’intervento e l’entità del contributo. C. O.
Stampa Appalti Revisione prezzi ammessa solo per circostanze imprevedibili (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 39 del 9-14.10.06) Regola generale dell’appalto è l’invariabilità del prezzo stabilito tra le parti; questo principio si riferisce alla caratteristica tipica del contratto d’appalto, ossia la gestione a proprio rischio dell’opera o del servizio. Tuttavia, negli appalti pubblici e privati la modificazione dell’importo è ammissibile solo a seguito di una circostanza imprevedibile, cioè solo quella circostanza “che deve sottrarsi ad un’oculata e diligente previsione, effettuata secondo una seria e attenta valutazione della situazione esistente al momento in cui si conclude il contratto d’appalto e delle sue ragionevoli possibilità di sviluppo”. Con la Legge 30 dicembre 2004, n. 311 è stata introdotta la possibilità di derogare allo strumento del prezzo e ottenere la revisione dei prezzi. Il comma 550 dell’Articolo 1 della Finanziaria 2005, che ha integrato l’Articolo 26 della Legge
Beni culturali Abusi su beni vincolati, guida all’applicazione delle sanzioni penali e amministrative (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 39 del 9-14.10.06) Con le ultime modifiche al Codice Urbani non sono più possibili indennizzi per sanare abusi paesaggistici. L’unica strada resta il ripristino della situazione precedente l’abuso. Soltanto per piccoli abusi è consentito chiedere l’accertamento della compatibilità paesaggistica. In questo caso l’abuso viene compensato con il pagamento di una somma. L’Articolo 167 è una delle disposizioni più incisivamente modificate dal decreto legislativo correttivo (D.Lgs 24 marzo 2006, n. 157).
Edilizia Risparmio energetico, via al business. Sgravio sugli interventi che riducono i consumi (da “Edilizia e Territorio” del 9-14.10.06) Le spese per la riqualificazione energetica degli edifici sostenute nel 2007 potranno godere di una detrazione del 55%. Lo prevede il Ddl Finanziaria 2006 che punta a ridurre i consumi. Confermato lo sgravio del 36% per le ristrutturazioni edilizie, che varrà per tutto il 2007. Beneficeranno degli incentivi al risparmio energetico quattro categorie di interventi: quelli finalizzati alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti; i lavori relativi alle strutture opache verticali e orizzontali allo scopo di ridurre dispersioni; l’installazione di pannelli solari e la sostituzione delle caldaie tradizionali con impianti a condensazione. La concessione di questi sconti è subordinata all’asseverazione da parte di un tecnico abilitato. Confermata la data del 8 ottobre per l’entrata in vigore del “bollino verde” degli immobili (da “Edilizia e Territorio” del 9-14.10.06) Niente proroga per la certificazione energetica degli edifici. Al posto del rinvio, Bersani ha portato al Consiglio dei ministri un decreto che modifica il D.Lgs
192/2005, ovvero la norma che ha introdotto l’obbligo, nelle compravendite di nuovi edifici, di allegare anche il certificato. In attesa delle linee guida, l’onere di attestare il “costo” energetico degli edifici ricadrà sulle spalle del progettista o del D.L. Ma questa non è l’unica novità: con lo stesso provvedimento, Bersani includerà, tra gli immobili che dovranno misurare il proprio rendimento energetico, non più solo quelli di nuova costruzione ma anche quelli già esistenti. Norme tecniche Con le norme tecniche sulle costruzioni aumentano i compiti del D.L. (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 39 del 9-14.10.06) Vengono esaminati i nuovi compiti e le responsabilità della figura del direttore lavori previsti dal Decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 14 settembre 2005, recante “Norme tecniche per le costruzioni”, vigente dal 23 ottobre 2005, che raccoglie in un corpus organico la normativa tecnica per la progettazione e realizzazione dei manufatti edilizi. Il Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri ha analizzato tutti i doveri che incombono sul direttore lavori. Amianto, rilevazione necessaria nelle manutenzioni (da “Edilizia e Territorio – Commenti e Norme” n. 37 del 25-30.9.06) Dal 26 settembre con l’entrata in vigore del D.Lgs 257/2006 sulla protezione dei lavoratori dall’amianto, scatta l’obbligo dei datori di lavoro, prima di intraprendere lavori di demolizione o di manutenzione, di adottare qualsiasi misura necessaria per individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto. Se sussiste il minimo dubbio è necessario applicare le disposizioni previste dal Decreto. Paesaggio Le Regioni non aggiornano al Codice Urbani i documenti paesistici (da “Edilizia e Territorio” del 18-23.9.06) I piani paesistici esistono, ma sono vecchi e in gran parte approvati prima dell’entrata in vigore del Codice Urbani (1.5.2004). I piani sono stati redatti sulla base della Legge Galasso e la nuova legge ha profondamente riformato la
disciplina paesistica: i piani devono riguardare l’intera regione e devono occuparsi del recupero delle aree degradate. A questa riforma le regioni devono adeguarsi entro il 1° maggio 2008. L’aggiornamento procede a rilento. Professione Architetti in piazza, rischio politico (da “Italia Oggi” del 11.10.06) I professionisti vessati dai provvedimenti dell’esecutivo protestano. Il Parlamento ha introdotto leggi che stravolgono delicati equilibri e ruoli, non solo con l’abolizione delle tariffe di riferimento, ma anche con il ricorso crescente ai lavori in concessione, all’appalto integrato e con l’attribuzione di funzioni progettuali ai costruttori. Sono state tolte garanzie essenziali per gli utenti e la qualità al prodotto del processo del costruire. Sono elencate tutte le questioni aperte, dalla liberalizzazione al TFR. M. O.
53 PROFESSIONE STRUMENTI
Merloni, introducendo i commi dal 4-bis al 4-septies, prevede la revisione dei prezzi a causa di una circostanza eccezionale.
INFORMAZIONE DAGLI ORDINI
54
Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Monza e della Brianza fax: 039 3309869 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it
Milano
a cura di Laura Truzzi Designazioni • Supercondominio Comprensorio Milano Tre: richiesta di terna per Commissione Tecnica. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Gianfilippo BROVIA, Corneliu CHITESCU, Andrea Maria FIORENTINI. • Procedimento arbitrale avv. Luca Santa Maria/arch. Giovanna Cattaneo: richiesta professionista per nomina terzo arbitro. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Patrizia VILLA. • Comune di Motta Visconti: richiesta di professionisti per il bando di selezione dei componenti esterni della Commissione per il Paesaggio. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: – Esperti in Progettazione Architettonica: Giampiero ATTANASIO e Paolo CAPPONI; – Esperto in Progettazione Urbanistica: Narciso CHIGNOLI; – Esperto in Materia di Tutela Paesaggistica: Carlo CATACCHIO. • Comune di Milano, Consiglio di Zona 3: richiesta di rappresentanti per Commissione Concessioni Edilizie. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Enrico MARTEGANI, Massimo PARIANI. Il nostro passato presente Si presenta il 29 novembre, presso la sede dell’Ordine di Milano, il volume 55/05. Cinquant’anni di professione. La provincia di Milano e i suoi architetti, edito da Electa. Questa pubblicazione, fortemente voluta dall’Ordine milanese, è una raccolta atipica di opere e di esperienze di progetto. Atipica perché il criterio di selezione dei soggetti “in scena” non ha pretese critiche. L’unico criterio è stato semplicemente quello di raccogliere testimonianze da parte degli architetti – che hanno voluto rispondere all’appello – iscritti all’Ordine di Milano prima del 1955. Un criterio geografico (Milano) e cronologico (ante 1955). Quasi un’indagine statistica per scoprire (nel senso di svelare) l’operato dei nostri fratelli maggiori.
La pubblicazione si apre con alcune riflessioni di critici e consiglieri dell’Ordine. Il cuore della pubblicazione, il vero documento, è però costituito dalle 80 schede redatte dai singoli professionisti. Schede richieste dai redattori dell’Ordine nell’autunno del 2005 con il solo limite quantitativo di 1000 battute e di 5 immagini. Sono curricula tradizionali e non, racconti in prosa, elenchi sintetici. I testi sono stati trasferiti sul volume esattamente come sono stati ricevuti in redazione. Il risultato è una curiosa termografia, mosaico di esperienze e immagini molto diverse. Sorprende la trasversalità dei campi di interesse, la varietà di commesse, la molteplicità dei linguaggi. Si scopre che tanta Milano è stata costruita da loro, si dà un nome agli autori di edifici che abbiamo visto spesso e forse solo di corsa dal tram. Ma si scopre anche che loro hanno molto viaggiato, che hanno costruito e conosciuto mondi diversi e lontani da questo nostro orticello milanese. Dopo aver visto, letto e percepito tanta diversità, all’occhio attento non sfuggirà che esiste una matrice che accomuna questi ottanta architetti. Molti racconti iniziano parlando della scuola: il Politecnico degli anni prima della seconda guerra, la scuola di Gio Ponti, di Giovanni Muzio, di Piero Portaluppi, di Ernesto Nathan Rogers, di Antonio Cassi Ramelli, di Renato Camus, di Achille Castiglioni. Sono ripetuti sistematicamente i nomi dei docenti: sempre gli stessi, presenze forti, incontri determinanti per il resto della vita a detta dei più. Emerge il ritratto di una scuola che forma in modo indelebile. Una scuola che sa trasmettere, entusiasmare e proiettare verso l’esterno. Ricorrenti sono i nomi di maestri e professori presso cui fare pratica, naturale prolungamento dei tavoli del Politecnico, fra questi: Franco Albini, Marco Zanuso, Ignazio Gardella, i BBPR. Temi ricorrenti sono i CIAM, le Triennali, le case per lo IACP. Tanti i premi citati, le menzioni, i Compassi d’Oro, i riconoscimenti in Italia e all’estero. Si intuiscono rapporti di elezione
fra architetti e aziende: è questo il terreno dove cresce il germe del design, che oggi rende Milano famosa come sua indiscussa capitale, oggetto di vanto per la malridotta economia nazionale. Tanti i progetti per l’industria, le infrastrutture, i PRG, ma è il tema dell’abitare quello più citato. Case, case, case. Il nodo culturale, storico e sociale della casa nel dopoguerra lascia un segno profondo: costruire la casa dell’uomo, la macchina per abitare, o forse più semplicemente “una casa per tutti”. Parallelamente si percepisce il valore sacrale della cultura degli interni. L’esercizio della professione non limita un costante e diffuso appoggio all’istituzione che li ha formati: molti di loro insegnano al Politecnico, così come molti partecipano attivamente alla vita dell’Ordine. È singolare la commistione di linguaggi diversi, usati per raccontare storie professionali, ma anche storie di vita, di incontri, di collaborazioni, di progetti realizzati e non. Tutte le testimonianze parlano di cultura del progetto, più che di cultura del costruito. Ne esce un ritratto solido, dove i veri protagonisti non sono i prodigi dei pochi entrati nello star-system, ma i progetti dei molti professionisti, i progetti del giorno dopo giorno, silenziosi, immanenti, fatti di edifici, interni e prodotti che hanno cambiato le nostre vite senza schiamazzo, in punta di piedi. Numericamente scarsa, ma di rilievo, la presenza femminile. È a loro che potremmo dare la parola per prime: architetti – sostantivo plurale maschile – ma pur sempre signore… Cecilia Avogadro
Dopo trent’anni di parole, la questione sulla riforma del nostro Ordinamento Professionale sembra essere arrivata al dunque. Infatti, dopo l’approvazione del Decreto Legge Bersani la politica si è accorta che esistiamo e che andiamo regolamentati “a dovere”: Prima “La Margherita”(1) e subito a ruota “La Casa delle Libertà”(2) si sono prodigate depositando i loro disegni di legge. Se tutto ciò fosse mirato a darci strumenti operativi che avessero il presupposto di fare della nostra categoria un punto di riferimento di alta professionalità, non potremmo che plaudire a tutto questo prodigarsi politico… ma, purtroppo, così non è, ed è alquanto fastidioso che il CUP non abbia preso posizione netta contro le citate proposte di legge. Stiamo infatti per cadere tra le mani di teorici che, tra l’altro, non hanno una reale conoscenza della materia trattata, il che aggrava il tutto. Sembra che si ripeta quanto succede in campo sanitario, laddove sono i manager preparati per gestire economicamente le strutture ospedaliere a fare le scelte dei primari di reparto, trascurando le reali esigenze del malato. E noi, caro direttore, siamo certamente ammalati e lo siamo da tempo, alla mercè di clienti che non pagano, di enti pubblici che attraverso leggi particolarmente castranti (vedi Merloni) tagliano fuori la maggior parte degli architetti (soprattutto chi non ha alti fatturati). Siamo talmente malati che le proposte di legge nascondono nei meandri delle parole un fine ben preciso: portarci all’eutanasia. Lo Stato poi ci reputa cittadini talmente incapaci di intendere e di volere che deve preoccuparsi di organizzare il planning della nostra vita! Siamo talmente incapaci da sfociare nella pericolosità sociale, ed ecco che dobbiamo essere costretti a seguire dei corsi di formazione obbli-
Ringraziando dello spazio concessomi, saluto cordialmente. Alberto Scarzella Consigliere Ordine degli APPC di Milano Milano, ottobre 2006 Note 1. Clicca http://www.camera.it/_dati /leg15/lavori/stampati/pdf/15PDL000 7000.pdf 2. Clicca http://www.camera.it/_dati /leg15/lavori/stampati/pdf/15PDL001 1990.pdf
Mi pento, o no Ognuno di noi ha di che pentirsi e io mi pento: – di avere studiato (frequentando scuole ed Università, senza sussidi, perché non erano di moda), quando il “diritto allo studio” era “dovere di studiare”; – di avere servito la Patria (come si chiamava l’Italia quando, per l’età, mi chiamarono a vestire la divisa del soldato); – di avere servito un ideale di libertà, e dato il mio modesto contributo per ottenere la liberta per tutti; – di essermi laureato in Architettura e di non avere continuato una carriera universitaria, che mi era stata offerta dai docenti degli anni Cinquanta; – di non avere seguito la carriera politica (fui invitato a candidarmi per la Costituente); – di essermi dedicato all’amministrazione del mio paese (senza stipendio, come usava a quel tempo); – di avere donate progetti di edifici pubblici costruiti (asilonido, oratorio, casa di riposo, restauro di opere pubbliche e chiese, consulenze varie agli uffici tecnici); – di avere militato nella Democrazia Cristiana, per quanto di “bene essa ha dato al Paese (dal 1942 agii anni ‘60) e non penso di poter essere biasimato; – di avere esercitato un’onesta attività professionale e di avere insegnato, dov’è stato possibile, ad osservare la morale cristiana; – di avere tentato di insegnare onestà professionale e rispetto per il nobile mestiere di Architetto. Non mi pento di essere sempre stato lontano da qualsiasi intrallazzo per emergere. Mi viene spontanea una domanda: dopo tutto questo pentimento, potrò aspirare ad essere trattato come un “colIaboratore di giustizia”? Pietro Campora Broni, ottobre 2006
55 INFORMAZIONE LETTERE
Se non segui i corsi sei cancellato dall’Albo
gatoria annuali per meglio comprendere cosa significhi l’“essere professionista!” L’Italia è uno Stato democratico, dunque in nome della libertà d’azione, potremmo anche non frequentare questi corsi, ed ecco il ricatto della radiazione dall’Albo per cinque anni! Considerando che questi articoli inseriti nei progetti di legge della Margherita e della CDL conferiscono all’Ordine professionale che conosciamo la possibilità di essere trasformato in un organismo di vera e propria valenza corporativa, assolutamente incompatibile con la sua particolare natura di struttura inter partes ad iscrizione obbligatoria, non si può non pretendere che il CNAPPC esprima un vibrato parere negativo come ha già fatto il Consiglio dell’Ordine degli architetti di Milano nel documento redatto a commento della situazione che si è andata creando con la pubblicazione dei citati testi di legge. Del resto non è assolutamente condivisibile la radiazione dall’Albo anche alla luce di quanto sancito dalla nostra Costituzione. • Art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Le proposte di legge negano di fatto tale principio costituzionale. • Art. 35: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Bisogna quindi lavorare sui significati del concetto di “formazione”, non obbligando, ma stimolando ad accrescerla sempre di più. Detto ciò, sarebbe curioso sapere se i nostri parlamentari si direbbero favorevoli ad un articolo di legge così conformato: ll professionista che assume il titolo di On. parlamentare, di sindaco o di assessore viene cancellato dall’Albo per l’intero periodo del suo mandato. Terminato il mandato stesso, volendo ritornare ad esercitare la professione, il suddetto ex politico dovrebbe obbligatoriamente frequentare tanti anni di corsi d’aggiornamento quanti quelli passati a fare politica attiva.
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969
Base dell'indice-novembre 1969:100
Anno 2003
Giugno
2004 2005 2006
56
Maggio
Luglio
1513,16 1514,42 1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44 1600 1604,83 1606,09
Agosto Settembre Ottobre Novembre 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1580 1577,21 1579,72 1580,97 1583,48 1583,48 1610 1609,85 1612,37 1612,37
Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982)
anno 1982: base 100
Anno 2004
Dicembre 1529,48
G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA
1555,86 1586,00
Gennaio 260 264,74
Febbraio Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre Ottobre
Novembre Dicembre
265,61
266,48
266,91
267,56
267,78
268,21
268,21
268,21
268,86
268,86
268,86
269,73
271,03
271,47
271,90
272,55
272,99
273,20
273,64
273,64
274,07
274,72 275,37 275,81 276,46 277,33 277,54 278,19 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto nella parte superiore delle celle
278,63
278,63
2005
INDICI E TASSI
Gennaio Febbraio Marzo Aprile 1500 1510 1501,86 1504,37 1509,40 1511,91 1530 1540 1532,00 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42 1590 1589,76 1593,53 1596,04 1599,81
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)
265,82 270 270,17
2006
Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2004 2005 2006
Gennaio 117,08 118,90 121,49
Febbraio 117,46 119,28 121,78
Marzo 117,56 119,48 121,97
Aprile 117,85 119,86 122,26
anno 1995: base 100 Maggio 118,04 120,05 122,64
Giugno 118,33 120,24 122,74
Luglio 118,42 120,53 123,03
Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 2000: base 100
Anno 2004 2005 2006
Giugno 108,73 110,49 112,78
Gennaio 107,58 109,25 111,64
Febbraio 107,93 109,61 111,90
Marzo 108,02 109,78 112,08
Aprile 108,28 110,14 112,34
Maggio 108,46 110,31 112,69
Luglio 108,81 110,75 113,05
Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 1999: base 100
Anno 2004 2005 2006
Giugno 113,95 115,80 118,20
Gennaio 112,75 114,51 117,00
Febbraio 113,12 114,87 117,28
Marzo 113,21 115,06 117,46
Aprile 113,49 115,43 117,74
Maggio 113,67 115,61 118,11
Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2001 103,07
2003 108,23
2004 110,40
1997 108,33
1998 110,08
1999 111,52
2000 113,89
1998 101,81
Agosto 108,99 110,93 113,22
1999 103,04
2000 105,51
2001 117,39
2002 111,12
Settembre Ottobre 108,99 108,99 111,02 111,19 113,22
Novembre Dicembre 109,25 109,25 111,19 111,37
Settembre Ottobre 114,23 114,23 116,35 116,54 118,66
Novembre Dicembre 114,51 114,51 116,54 116,72
gennaio 2001: 110,50 2006 114,57 novembre 1995: 110,60 2002 120,07
2003 123,27
2003 113,87
2004 116,34
anno 1997: base 100 2001 108,65
Novembre Dicembre 118,90 118,90 121,01 121,20
gennaio 1999: 108,20 Agosto 114,23 116,26 118,66
anno 1995: base 100
Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2005 112,12
Settembre Ottobre 118,61 118,61 120,82 121,01 123,22
dicembre 2000: 113,40
anno 2001: base 100
2002 105,42
Tariffa DLgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
Luglio 114,04 116,08 118,48
giugno 1996: 104,20 Agosto 118,61 120,72 123,22
2004 125,74
2005 127,70
2006 130,48
febbraio 1997: 105,20 2005 118,15
2006 120,62
Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato)
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale Legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Articolo 9 della Tariffa. Dal 2004 determinato dalla Banca Centrale Europea Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 3,75% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 3,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 2,75% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 2,50% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003 2,00% Provv. della B.C.E. (2.3.2006) dal 8.3.2006 2,50% Provv. della B.C.E. (9.6.2006) dal 15.6.2006 2,75% Provv. della B.C.E. (3.8.2006) dal 9.8.2006 3,00% Con riferimento all’Art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
10,35% 9,85%
dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
9,10%
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)
Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005
dal 1.7.2005 al 31.12.2005
2,02% +7
9,02%
dal 1.1.2006 al 30.6.2006
dal 1.7.2004 al 31.12.2004
2,01% +7
9,01%
dal 1.7.2006 al 31.12.2006
C Per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.
2,05% +7
Comunicato (G.U. 13.1.2006 n° 10)
dal 1.1.2004 al 30.6.2004
Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159)
2,09% +7
Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174)
2,25% +7
Comunicato (G.U. 10.7.2006 n° 158)
2,83% +7
9,09% 9,05% 9,25% 9,83%
Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’Art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.