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trimestrale di informazione degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Lombardi
ii trimestre 2014
restauro contemporaneo 2.0 CASA DELLA CERVETTA
villa Bini
EDIFICIO IN VIA QUADRONNO
PISCINA COMO NUOTO
Palazzo della Permanente Mobili
TORRE GALFA
Convento San Giuseppe
EX SEDE BCI
CAVALCAVIA SCARAMPO MONTECENERI
VILLA BUGANZA
EDIFICIO DEI BENI STABILI
VIADOTTO DEI PARCHI
Quartiere IACP
CASERMA VVFF
CRAL MOTO GUZZI
QUARTO CAGNINO
ISTITUTO MARCHIONDI
EX FINANZA
CONDOMINIO SASAC
CONVENTO SAN GIUSEPPE
CARTIERA BURGO
RESIDENZE MINERVA
QUARTIERE IACP
CENTRO CONTROLLO RAI
ISTITUTO SANTA TERESA
CASA SFORZA
MUSEI DEL CASTELLO SFoRZESCO
VILLA MERLO
COMPLESSO SAN BIAGIO
Ordini degli Architetti P.P.C. delle Province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza e della Brianza, Pavia, Sondrio, Varese Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori - via Solferino 19, 20121 Milano - ISSN 1825-8182
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TRIMESTRALE di informazione degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori Lombardi
Direttore Responsabile Angelo Monti Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori www.consultalombardia.archiworld.it www.architettilombardia.com Redazione Igor Maglica (caporedattore) Daniela Villa Direzione e Redazione via Solferino 19 20121 Milano tel. 0229002165 fax 0263618903 redazione@consulta-al.it Progetto grafico 46xy studio, Milano Impaginazione 46xy studio, Milano
Ii TRIMESTRE 2014
RESTAURO CONTEMPORANEO 2.0 4 fare il punto di Angelo Monti 5 RESTAURO CONTEMPORANEO 2.0 di Chiara Rostagno 6 CONSERVARE CONTEMPORANEO di Andrea Canziani 6 CONOSCERE PER TUTELARE. IL CENSIMENTO DELL’ARCHITETTURA DEL SECONDO NOVECENTO IN LOMBARDIA di Andrea Costa 8 INTERVISTA AD AMEDEO BELLINI, FRANCESCO CANALI e CARLO CAPPONI a cura di Chiara Rostagno
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ESEMPI DI ARCHITETTURE LOMBARDE DEL SECONDO NOVECENTO: COMO a cura di Chiara Occhipinti LECCO a cura di Diego Toluzzo LODI a cura di Paola Mori MANTOVA a cura di Giorgio-Sebastiano Bertoni e Andrea Cattalani MILANO a cura di Franceso de Agostini e Stefano Suriano MONZA E BRIANZA a cura di Maria Grazia Angiolini PAVIA a cura di Vittorio Prina
Copertina Restauro Contemporaneo, 46xy Pubblicità Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori
Autorizzazione Tribunale n. 27 del 20.1.1971 Distribuzione a livello nazionale. La rivista viene inviata gratuitamente, in forma digitale, a tutti gli architetti iscritti agli Ordini degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Lombardia aderenti alla Consulta che abbiano rilasciato l’autorizzazione a: liberatoria@architettilombardia.com Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti PPC, né la Redazione di “AL” Il tema del numero 498 è stato curato da Chiara Rostagno.
speciale lombardia 28 28 29 30
EVENTI FORMATIVI DI CONSULTA: I LAVORI PROSEGUONO di Margherita Mojoli RIPENSARE L’EDILIZIA SCOLASTICA di Marcella Datei IL CONTENIMENTO DEL CONSUMO DEL SUOLO di Augusto Colombo EFFICIENZA ENERGETICA E SOLUZIONI IMPIANTISTICHE INNOVATIVE PER L’EDILIZIA di Margherita Mojoli
progetti 32 IL NUOVO PAC, UGUALE E DIVERSO Ignazio e Jacopo Gardella, ricostruzione del Padiglione d’Arte Contemporanea della Galleria d’Arte Moderna (PAC), Milano di Jacopo Gardella
professione 40 RECUPERO DI AREE URBANE DISMESSE O DA VALORIZZARE di Roberto Gamba 43 LA NULLITÀ DEGLI ATTI DI TRASFERIMENTO DI IMMOBILI IRREGOLARI di Walter Fumagalli
Quarantatreesimo anno Chiuso in Redazione 20 ottobre 2014
omnibus 44 fondamenti PER IMMAGINARE IL FUTURO di Daniela Villa 47 NEWS
Il gruppo di Consulta è su Facebook
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RESTAURO CONTEMPORANEO 2.0
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fare il punto ANGELO MONTI
In anni di necessario ripensamento delle strategie urbane e dei modelli di costruzione della città, a partire dalla valorizzazione del recupero e della rigenerazione della struttura esistente, ci è sembrato singolare che proprio il confronto sulla cultura e la tecnica del progetto “nuovo” verso l’esistente sia risultato spesso tema sotto traccia. Per questo, senza presunzione, ma certi di incontrare l’adesione dei lettori, abbiamo ritenuto atto “dovuto” predisporre questo numero monografico sul tema del restauro. Non può essere certo ambizione di una pubblicazione risolvere questo ritardo, ma l’auspicio è che le riflessioni, anche dissonanti e originali, raccolte in queste pagine, costituiscano uno stimolo al riesame critico e dialettico. Inutile ripercorrere le questioni, i dubbi, le incertezze che il confronto con il valore storico, scientifico e artistico dell’esistente pone ad ogni progetto della contemporaneità. Parole come “patrimonio” e le sue ormai abbondanti esonda-
zioni linguistiche, argomenti come la relazione tra società attuale e passato, comprese le derive nostalgiche o consumistiche da un lato e l’equivoco tecnologico dall’altro, ci sollecitano a riflettere quale sia la strada per appropriarsi del passato nella misura giusta, sapendo andare oltre. A curare questo delicato numero abbiamo chiamato Chiara Rostagno, sensibile storica e architetto impegnato come funzionario di soprintendenza, a cui abbiamo chiesto una visione critica degli orizzonti disciplinari. Ci piacerebbe ne scaturisse un confronto, attraverso cui interrogarci come poter rimuovere statici approcci conservativi, senza cancellare il senso che “abita” i progetti del moderno. Sarebbe interessante, in futuro, ampliare questa riflessione non solo alle opere riconosciute come “autoriali”, ma al capitolo di quella edilizia “banale” che il progetto contemporaneo è chiamato a re-iniettare di funzioni, significati e strutture formali.
Mario Asnago e Claudio Vender, edifici dell’isolato tra via Albricci e piazza Velasca, Milano, 1939-58. Foto di Stefano Suriano. Alle pp. 2-3: la Torre Galfa e il grattacielo Pirelli visti dalla Torre Diamante (nuovo centro direzionale, area Garibaldi-Repubblica, Milano). Foto di Stefano Suriano.
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Angelo Monti Presidente della Consulta regionale lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori e direttore di “AL”.
RESTAURO CONTEMPORANEO 2.0 CHIARA ROSTAGNO
Non ci sono dubbi in merito al valore e alla necessità di cura dell’architettura contemporanea. Eppure i termini “valore” e “cura” applicati a tale patrimonio sono lontani dalla quiete che contraddistingue gli ambiti del sapere acquisiti dal fare e dal sentire comune. Tale calma non corrisponde all’istanza di cura dell’architettura contemporanea che è oggetto di “devozioni” non comprimibili sia in una nozione univoca di valore e sia in un atteggiamento di tutela compiuto. Nel rapporto con tali opere permangono equivoci al riguardo delle ragioni e delle finalità della loro tutela. Equivoci o volute ambiguità riconducibili a dicotomie che solcano indelebilmente le prassi e il dibattito e che possiamo delineare attraverso alcune opposizioni imperanti: fra vero e verosimile, tra edificio e progetto, fra immagine e materia e fra arte e produzione industriale (in cui si annidano insistite antinomie fra unico e seriale e tra autentico e stratificazione). Si tratta di dubbi e di complessità che vale la pena affrontare con limpidezza, affidando il compito di schiuderne il senso ad alcune riflessioni di architettura lontane dalla desueta opposizione – questa sì – fra architetti e conservatori. La congiunzione capace di saldare l’opposizione fra progetto e conservazione, può essere affidata alla capacità di “ascoltare l’edificio” – usando Gio Ponti – e mettendo alla prova l’efficacia dell’aforisma, caro a Mario Manieri Elia, secondo il quale “conoscere è un fare, un trasformare” (1). Prescindendo dal nostro punto di vista, nel dialogo con l’opera di architettura contemporanea è ancor più necessario affermare – rispetto al patrimonio storico – il “protagonismo della conoscenza”: “come tramite, come medium di interazione”, capace di supplire alla mancanza della distanza feconda tra l’oggetto e l’osservatore contemporaneo. Stupisce che nello scorrere col pensiero le pratiche correnti, insistano atteggiamenti che potremmo dire “neoplatonici” nel confronto con l’opera di architettura contemporanea. Assunta come oggetto di venerazione pura, la materia dell’architettura contemporanea appare incapace di soffrire – di decadere – incapace di vivere e di ospitare l’inevitabile mutamento che accompagna l’adattamento di un’opera al tempo, all’accumulazione dei segni della storia e alla stratificazione di testimonianze. Ma la venerazione e l’idolatria sono un atteggiamento fatale e sottraggono all’oggetto della propria devozione la possibilità di vivere: violandone la capacità di espressione e, allo stesso tempo, l’attitudine a parlarci. Per ascoltarlo (2) occorre prestare cura alla sostanza materiale dell’architettura: luogo documentale per eccellenza, capace di arricchirsi quotidianamente di senso e di attestare il continuo adattamento dell’architettura al suo obiettivo cardine, che è l’uso. Ascoltarlo significa condurre un confronto
con l’opera ponendosi all’estremità del pensiero di un maestro dello sguardo come Tafuri: senza cadere nell’inganno di un “annullamento del soggetto per idolatria dell’oggetto” (3). L’autenticità non sottrae l’oggetto alla sua inevitabile trasformabilità: alla sua evoluzione, alla sua vita. “Si tratta, in fondo, di prendere atto che l’ambiente della vita umana, con tutti i segni della storia e le stratificazioni delle memorie che vi sono depositati è un corpo vivo (…) Ed è in queste tracce osservate nel loro significato e nella stratificazione dei significati assunti nel tempo – come segni del rapporto con gli uomini e con lo scorrere degli eventi – che potremmo riconoscere qualità e autenticità” (4). L’escatologia impossibile (eppure dirimente) di Ponti si presta al principio: “il presente non esiste, c’è solo un futuro che istantaneamente si fa continuamente passato: noi siamo in quell’attimo”. Ponendo attenzione a quest’attimo un altro mito cade per sempre: la neutralità presunta della conservazione. Un progetto non è mai privo di effetti e la stessa conservazione integrale è una scelta densa di conseguenze. Questo è il terreno dell’architettura ed è, per antonomasia, il luogo dell’architetto, della consapevolezza degli esiti di un progetto che non teme di percorrere i “miti” sentieri della manutenzione e del riordino (5). Lo spazio desolato nel quale si immaginava, sul principio degli anni Novanta, un “conflitto inevitabile” tra lo sguardo architettonico e il rigore analitico del restauro per la scelta di quali dati (fasi) trattenere nella processualità della materia è oramai abbandonato. Lo iato fra ricerca e progetto è reciso da tempo. Il progetto è conoscenza della forma e della materia e si fonda sui significati dell’opera sulla quale interviene: l’opposizione fra vero e verosimile (fra progetto e opera reale, usando termini elementari) perde di senso. Il progetto si compie nel destino della costruzione nel tempo, trattiene nella materia mutevoli immagini, assegna valore autentico alle stratificazioni. In questo risiede una grande difficoltà: perché è difficile compiere il “dialogo” con un dato del passato non remoto, senza il conforto della distanza temporale che distende e rende densa di significato una lettura retrospettiva. Ma accettare l’inevitabile mutamento delle cose non significa strumentalizzare l’alterazione. Equivale a capirne l’opportunità e la necessità rispetto alle ragioni del vivere. Nel difficile lavoro sul contemporaneo nella scelta dei dati testimoniali da trattenere è cruciale il confronto aperto fra istanze differenti (anche in conflitto, perché no?) che escono dallo stretto recinto dell’architettura per comprendere – inevitabilmente – l’esperienza molteplice della contemporaneità (usi, circostanze, abitanti, culture): ovvero la vita. Un confronto sempre “esaltante e vitale”, da condurre a più voci e senza paure: diremmo noi oggi 2.0.
Chiara Rostagno architetto PhD, è Funzionario Architetto presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano con il ruolo di funzionario di zona, membro di commissioni consultive e di collaudo, nonché progettista e direttore dei lavori di interventi di restauro. Dal 1999 è Docente incaricato al Politecnico di Milano dove insegna Museology, Art and Restoration Criticism presso la Scuola di Architettura e Società - Architecture. Dal 1995 è autrice di libri, di contributi a convegni e di articoli su riviste di settore e testate divulgative sui temi del restauro (architettonico e urbano) e della storia dell’architettura contemporanea.
Note 1. Mario Manieri Elia, “La conservazione: opera differita”, in “Casabella” n. 582, sett. 1992, p. 45. 2. Gio Ponti, Amate l’Architettura, Società editrice cooperativa Cusl, Milano, 2004, p. 236. 3. Manfredo Tafuri (intervista a cura di Chiara Baglione e Bruno Pedretti), “Storia, conservazione, restauro”, in “Casabella” n. 580; pp. 23-26. 4. Sulla conoscenza dei significati, si veda sempre Mario Manieri Elia, pp. 43-45. 5. Di grande interesse il colloquio a distanza fra Alberto Artioli e Amedeo Bellini. Si veda: A. Artioli e A. Bellini, “Milano. Per favore. Un po’ di pietà per la pietà Rondanini”, in “Corriere della Sera” del 31.3.2014.
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CONSERVARE CONTEMPORANEO ANDREA CANZIANI
Negli ultimi due decenni il dibattito sul patrimonio del XX secolo mostra che la conservazione delle memorie della modernità sta cambiando: affronta nuove sfide e si evolve in un nuovo e più articolato discorso interdisciplinare. Il primo cambiamento è connesso al continuo spostarsi della soglia della nostra attenzione storica. Cominciando a includere il secondo dopoguerra nella categoria del patrimonio storico abbiamo ampliato enormemente il numero degli edifici che avrebbe senso conservare e abbiamo compresso il tempo necessario a considerarli degni di protezione. Non affrontiamo più solo la salvaguardia di pochi capolavori, quei “monumenti moderni” fissati dal loro valore iconico in un’aura mitica e nella condizione di non cambiare mai, ma innumerevoli architetture fragili e spesso contraddittorie per i nostri strumenti concettuali. La loro ancora debole presenza storica accentua una condizione conflittuale tra l’essere dell’opera in sé e il suo valore di patrimonio. Un’altra sfida riguarda il contesto culturale in cui agiamo come professionisti e come abitanti. I temi della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica hanno progressivamente coinvolto il patrimonio storico. Il suo valore testimoniale sembra non poter bilanciare da solo le ragioni economiche ed energetiche. In questo contesto la conservazione opera in una cultura patrimoniale debole, da cui non riesce a trarre sufficiente sostegno. La sostenibilità intesa come banale risparmio energetico ne oscura nozioni molto più significative e appropriate al patrimonio culturale, per il quale il valore di testimonianza è la vera risorsa
importante e non rinnovabile da garantire alle generazioni future (1). Già questi due soli cambiamenti rendono evidente che il futuro del patrimonio moderno è nel confronto tra la sua natura di eredità e la sua evoluzione. E questo è il territorio del progetto contemporaneo. Ciò ovviamente non significa che si propenda per una libera ri-progettazione e che la conservazione debba cedere il passo alla trasformazione, guidata magari dal mero adeguamento normativo. Tutt’altro. Conservare significa governare la possibilità del cambiamento. Un nuovo restauro per il moderno dovrebbe farsi carico di tutta la stratificazione storica che questi edifici offrono e di tutte le possibilità che comportano il suo mantenimento e il suo arricchimento. Per fare questo, come ben argomenta Bruno Reichlin nelle sue riflessioni sulla conservazione del moderno: “il progetto comincia facendo storia” (2) e mettendo il progettista nelle condizioni di sentire tutto il fascino della modernità e la responsabilità di intervenire sul divenire del patrimonio culturale. Un’opera si trasforma in monumento storico solo attraverso il riconoscimento e la reinterpretazione. Purtroppo la domanda più frequente è ancora “come” ripristino anziché “perché” conservo, dimenticando che non ci sono operazioni tecniche indipendenti dai fini. Agli architetti invece è richiesta la consapevolezza che la conservazione del patrimonio moderno è un’operazione culturale complessa, non riducibile a un mero problema di tecniche. Proviamo allora a introdurre una lettura più articolata di alcuni problemi di conservazione dell’ar-
CONOSCERE PER TUTELARE
IL CENSIMENTO DELL’ARCHITETTURA DEL SECONDO NOVECENTO IN LOMBARDIA PROMOSSO DA MINISTERO BENI CULTURALI E REGIONE CON LA COLLABORAZIONE DEL POLITECNICO DI MILANO Poche tra le opere di Ponti, Gardella, Figini e Pollini, Magistretti, Albini, per citare solo alcuni autori, sono tutelate. E quando lo sono, come nel caso del Marchiondi di Vittoriano Viganò, nessuno sembra disposto a investire nel loro restauro. A questo si aggiungono gli effetti delle nuove normative edilizie e di trasformazioni urbanistiche che, non di rado, consentono alterazioni profonde se non addirittura la demolizione. Si tratta quindi di un patrimonio architettonico a rischio, per il quale è necessario interrogarsi sui possibili strumenti di tutela. Il vincolo monumentale rimane quello più efficace, ma non sempre è applicabile, in quanto limitato alle opere la cui
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Un’opera si trasforma in monumento storico solo attraverso il riconoscimento e la reinterpretazione
Andrea Canziani Segretario generale di DOCOMOMO Italia e dell’International Specialist Committee on Education and Theory di DOCOMOMO International. Insegna Restauro Architettonico al Politecnico di Milano ed è Architetto della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria.
esecuzione risale a oltre settant’anni (se di proprietà pubblica) o cinquanta (proprietà privata). La tutela del diritto d’autore non ha la stessa forza, mentre la tutela paesaggistica riguarda solo l’aspetto esteriore degli edifici. Gli stessi Piani di Governo del Territorio potrebbero disciplinare in maniera più precisa gli interventi sulle opere di architettura moderna, ma bisogna riconoscere che l’attenzione verso questo patrimonio da parte della pianificazione urbanistica è ancora limitata. Al di là degli strumenti normativi, la miglior tutela è quella data dalla conoscenza diffusa. Tanto più il valore di questa architettura sarà condiviso da committenti, progettisti, amministratori pubblici e cittadini, tanto più sarà possibile salvaguardarla e valorizzarla. È con questo obiettivo che, nel dicembre del 2012, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee e Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia) e Regione Lombardia (Direzione Generale
chitettura del XX secolo, tra cui probabilmente il più impegnativo è la conservazione dell’originalità materiale. Il tema dell’autenticità non può essere archiviato semplicemente come una strana mania di storici e conservatori. Sebbene la riproducibilità sia un dato intrinseco di molti elementi moderni e sebbene non si riesca a leggere un valore di rarità in ciò che è ancora parte del nostro mondo costruttivo, tutti i più recenti e migliori restauri hanno dimostrato che i materiali e la loro messa in opera sono i portatori di un orizzonte conoscitivo ricchissimo (3). Tutte informazioni che non possiamo trovare in nessuna fedele, ma illusoria, riproduzione. Certo da un lato la fragilità dei materiali moderni e dall’altro il loro antiestetico invecchiamento possono comportare problemi notevoli. È ampiamente riconosciuto che la natura innovativa è la ragione di una breve durabilità, spesso molto più breve di quanto progettato. Ciò vale anche per dettagli tecnologici poco efficienti, che sono molto comuni come conseguenza della sperimentazione e della ricerca di forme minimali. Si potrebbe documentare e poi correggere “l’errore”, ma potremmo anche progettare la cura e l’assidua manutenzione di questi elementi fragili ma significativi. L’idea di poter correggere il passato mette, peraltro, in evidenza che qualsiasi intervento implica una decisione tra due estremi: evidenti modifiche o minuziose false riproduzioni, guidate dall’idea di perpetuare una pura immagine. Ma nel mezzo esiste anche lo spazio di una progettazione che, mantenendo la propria contemporaneità, sappia adattarsi all’espressione modernista, senza imporsi, senza pregiudicare la materia storica e le tracce del suo invecchiamento, senza cedere all’apparentemente facile pratica di un ritorno alla forma originale. Perseguire un’autenticità concettuale o
iconica invece di un’autenticità materiale, porta inevitabilmente a discutibili processi di ricostruzione e falsificazione. L’impossibile ritorno all’origine, che cancella senza pensare ogni segno del passaggio nel tempo, trasforma un’architettura in un oggetto museale sterile. Oggi un tale approccio, che purtroppo ha avuto molta fortuna sul moderno, è sempre più messo in discussione. Il superamento dell’idea che il restauro del moderno configurasse una disciplina con regole diverse da quelle applicabili all’antico, ha aperto la strada alla conservazione come strategia strettamente legata alla possibilità di lasciare all’edificio la sua ricchezza storica, con prestazioni adeguate a reali standard di vita e un alto valore culturale condiviso, che bilanci pienamente ogni prestazione mancante. Una strategia di lungo termine per opere fragili, in cui la cura e la manutenzione sono elementi del progetto contemporaneo. Il futuro dei tanti frammenti del nostro patrimonio moderno è prezioso perché la memoria del secolo appena trascorso è il luogo delle nostre radici, dei fondamenti della contemporaneità che si è creata assorbendo quella modernità. Non è un caso che questi siano i temi dell’attuale 14. Mostra Internazionale di Architettura, curata da un Rem Koolhas da molto tempo curioso del rapporto tra progetto e patrimonio. Questo ci ricorda che la qualità dell’intervento è proporzionale alla conoscenza dell’architettura. Storia dell’arte, storia del costruire, storia sociale, antropologia dovrebbero contribuire alle basi di una progettazione consapevole e alla creazione di nuovi valori patrimoniali. Purtroppo queste competenze non fanno parte del curriculum formativo delle nostre scuole di architettura, il che ci richiede una riflessione che coinvolga l’educazione e la formazione continua a cui siamo oggi chiamati.
Istruzione, Formazione e Cultura) hanno sottoscritto un “Accordo Tecnico” per lo svolgimento della ricerca “L’architettura in Lombardia dal 1945 ad oggi. Selezione delle opere di rilevante interesse storico-artistico”, che si inserisce nel più ampio progetto di Censimento dell’architettura italiana del secondo Novecento, avviato dal Ministero nel 2002. La prima fase del lavoro, affidata al Politecnico di Milano, si era concentrata su Milano e provincia. L’Accordo consente ora di estendere la catalogazione all’intero territorio lombardo, grazie a una rinnovata collaborazione con il Politecnico (Dipartimenti di Design e DAStU, responsabili scientifici Fulvio Irace e Maurizio Boriani). Nella primavera del 2013 sono stati messi a bando due assegni di ricerca (affidati a Manuela Leoni e Maria Beatrice Servi) e avviato il lavoro, che si è avvalso anche della collaborazione delle Soprintendenze per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano e Brescia e Archivistica. La selezione delle opere si basa su una collaudata metodologia
Note 1. Si rimanda tra altri a: Modern and Sustainable, in “DOCOMOMO Journal”, n. 44, 2011. 2. B. Reichlin, B. Pedretti (cur.), Riuso del patrimonio architettonico, Mendrisio Academy Press - Silvana Editoriale, Mendrisio, 2011. 3. Uno su tutti, recentemente assurto agli onori delle cronache per la sua iscrizione nell’UNESCO World Heritage List, è la fabbrica Van Nelle a Rotterdam, restaurata nel 1999-2004. J. Molenaar et al. (cur.), Van Nelle. Monument in Progress, De Hef Publishers, Rotterdam, 2005.
messa a punto dal Ministero, che tiene conto sia della loro fortuna critica, sia della rilevanza per il contesto locale. Importanti sono stati inoltre i suggerimenti forniti dagli Ordini degli Architetti attraverso i loro delegati. La ricerca si concluderà tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 con la creazione di due banche dati online, liberamente consultabili su www.sitap.beniculturali.it/architetture (portale nazionale delle architetture italiane del secondo Novecento) e www.lombardiabeniculturali.it (portale regionale dei beni culturali), composte da circa cinquecento schede di edifici e quartieri ritenuti di “rilevante interesse storico artistico”. Questa catalogazione va intesa come un sistema aperto, che non si esaurirà con questa ricerca, ma potrà incrementarsi nei prossimi anni grazie a nuove collaborazioni istituzionali, sfruttando gli stessi sistemi informatici e modelli di valutazione. Andrea Costa, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia
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come una freccia.
Intervista ad Amedeo Bellini, Francesco Canali e Carlo Capponi A CURA DI CHIARA ROSTAGNO Come una freccia librata: così un pensiero dovrebbe poter essere formulato per cogliere − in un attimo – l’obiettivo. Allora indugiando lungo questa traiettoria ideale del pensiero intorno al restauro contemporaneo dovremmo dire: nulla si sottrae allo scorrere del tempo, alla meccanica delle stratificazioni, alla corruzione, ovvero alla sublimazione del corpo (conteso fra fragilità e musealizzazione). Per quanto perfetta, aurea e pura possa essere un’architettura o un’opera d’arte contemporanea nulla potrà sottrarla al suo inevitabile destino: corrompersi, stratificarsi, invecchiare e financo cadere. A questo punto, con altrettanta gelida fermezza dovremmo saper dire che tali stratificazioni appartengono alla accumulazione delle storie e dei significati. Dovremmo saper dire, con voce ferma, che seppure non intenzionali e incoerenti tali segni apocrifi hanno − forse anche solo in nuce − una forma di bellezza che attiene al loro senso e non solo alla loro forma. Se seguiamo la freccia del nostro pensiero non possiamo cedere ad inganni: perché la consonanza che ci lega a tali episodi di architettura supera il sapiente e rigoroso gioco dei volumi e le pieghe della materia ed è capace di commuoverci per le storie che sono parte integrante del documento architettonico. Proprio così. Mentre rimaniamo fermi, con il polso e con lo sguardo, nell’intento di sferrare il “colpo” ci rendiamo conto che il nostro obiettivo non è come ci aspettavamo. O meglio che si è trasfigurato, ed è oramai lontano dalla nitidezza documentale dei disegni e dei repertori fotografici d’autore. Ha assorbito la vita. Estrema o forse fatale conseguenza di quel tempus-pŏris da cui deriva: del vivere assieme che è radice stessa del termine “contemporaneo”. Per questo amare l’architettura contemporanea significa cercarla attraverso una cultura storica e una profonda conoscenza delle tecniche e dei materiali usati nel XX secolo. Comprendiamo in questi casi, non senza un senso di vertigine, che la distanza che Henri-Irénée Marrou incalzava tra storico e dato da interpretare è l’humus dell’accadere e che proprio questa temperie di dati e di fatti che la materia della fabbrica contemporanea ci restituisce è il luogo del nostro vivere contemporaneo, del progetto, del fabbricare. In questa luce, come ben dice Bruno Reichlin, la storia dell’architettura è una storia di umanità e questa consapevolezza richiede “una conoscenza dell’architettura molto carnale e non astrattamente estetizzante”. Allora in questa nostra ricerca incessante di un rapporto con tale patrimonio e il senso del costruire è bene parlare a palinsesto, senza paure. Come dicevo a Francesco Canali, è un dialogo che sorprende. Per la difficoltà: non per le domande (forse persino banali), ma per le questioni in gioco che il cosiddet8
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to “fare consapevole” lascia emergere. C’è da pensare veramente che questo grande sforzo (tentativo di dialogo reale che queste pagine restituiscono) possa essere denso di conseguenze proprio in un momento che vede affiorare nuovamente le opposte ragioni (fazioni?) dei novatori e dei conservatori. Per la limpidezza delle risposte: lusso che si concede chi ha l’abitudine del “mestiere”, data dalla consapevolezza di prendere le proprie decisioni giorno per giorno, senza la possibilità di linee nette e irreali (quelle delle sole teorie). Senza lasciarsi sedurre, cioè da posizioni assunte a priori ma “lasciandosi portare” dal fare architettura. Per la capacità: indole di puntualizzare il pensiero senza le molte perifrasi che allontanano spesso l’architettura dalla realtà delle cose e del vivere. Come una freccia, appunto. Nel poema di Maurice Scève suggerito alla nostra memoria da Charlotte Perriand nel racconto retrospettivo della propria esperienza di architetto, troviamo l’essenza dell’utopico legame che, con frequenza, possiamo rintracciare nell’attuale culto dell’architettura contemporanea: intesa quale oggetto di venerazione sottratto al decadimento, alla morte e – dopo tutto – alla vita. In questa luce l’architettura contemporanea è assimilabile ad una sorta di “Délie” dei nostri giorni. Amedeo Bellini: Il culto dell’antico, in altri tempi, è riconducibile a una venerazione di carattere ideale o riferita a modelli astratti. Diffido da letture simili, certo affascinanti e che ben si addicono alla letteratura o alla poesia, ma che hanno poca attinenza con l’Architettura e con la sua vita reale. L’idea, anche un po’ brutale, che ho maturato nel corso degli anni è che parte della critica d’arte, sia architettonica e sia applicata alle arti figurative, non abbia molto a che vedere con l’oggetto di cui parla. È una sorta di “autocostruzione” autoreferenziale, che offre una serie splendida di esperienze emotive – che possono anche arricchire il nostro modo di interloquire con l’opera d’arte – ma che non possiedono un nesso con l’opera reale e questa osservazione è particolarmente calzante per la critica contemporanea. C’è stato un momento nella nostra storia, quello del passaggio da una critica fondamentalmente positivista alla critica idealista, in cui v’è stata una profonda cesura, una sorta d’incomprensione profonda, fra critici e uomini di cultura. L’incomprensione fra Gustavo Giovannoni e Giulio Carlo Argan è in tal senso eloquente: in Architetture di pensiero e pensieri sull’architettura. Giovannoni stigmatizza una frase del celebre storico e critico d’arte come “priva di senso”, perché formulata come una sorta di pensiero poetico, mancante di nessi con l’architettura reale alla quale era riferita.
Souffrir non souffrir, Vivre sans vivre, Mourir sans mourir Maurice Scéve
Amedeo Bellini architetto e storico dell’architettura, ha fondato e diretto la Scuola di specializzazione in Restauro dei monumenti. Nel 2012 il Politecnico di Milano ha ospitato la sua Lectio Magistralis. Francesco Canali partner e progettista dello studio di architettura Canali associati di Parma. Carlo Capponi architetto, è delegato arcivescovile per i rapporti con le soprintendenze e responsabile dell’Ufficio beni culturali diocesiano di Milano.
Gio Ponti, Pier Luigi Nervi, Grattacielo Pirelli, Milano, 1955-60. Foto di Stefano Suriano.
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Venendo al moderno e alla sua presunta intangibilità occorre precisare sin dal principio che una tale posizione di pensiero smentisce le stesse basi culturali del movimento moderno: che vorrebbero essere riposte in un atteggiamento filosofico di tipo antimentafisico – ora di esistenzialismo, ora di fenomenologia. In questo senso occorre smentire l’interpretazione che vincola l’espressione moderna alla contingenza: istanza che respingiamo anche perché nel moderno c’è un anelito al prolungamento della vita. Il moderno è architettura: ovvero spazio fruibile, che vive nel tempo, si consuma e si modifica. Se vogliamo mantenerlo nel tempo e prolungare la sua permanenza, occorre la manutenzione che – in questo specifico caso richiede più attenzione rispetto all’architettura tradizionale. Questo non per una caratteristica propria del moderno, ma per caratteristiche legate all’uso di prodotti industriali. Un altro aspetto è che vivere l’architettura moderna è faticoso, perché si è partecipi di un progetto totale, determinato e conformato per l’uomo, che talvolta ne rimane rapito e si depriva della propria libertà, ovvero omette di lasciare il proprio segno, anche il 10
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più lieve: come un quadro collocato ad una parete. Io non ne sarei capace. L’architettura contemporanea viene sovente colta come un’espressione intangibile, come espressione a-temporale, per la quale l’immagine “estatica” del compimento dell’atto costruttivo pare poter e dover permanere senza limiti, insensibile al trascorrere del tempo e all’inevitabile cambiamento che è condizione stessa della conservazione. AB: Interpretare l’opera d’arte come un oggetto destinato a una esistenza a-temporale significa dare un’interpretazione idealista, e io non credo all’interpretazione dell’opera d’arte in questi termini. L’idealismo, nel momento in cui identifica una sorta di autonomia dell’opera d’arte, in realtà, in tutte le sue versioni, ci consegna una descrizione perfetta di “quel momento” in cui l’autore di un’opera esercita la propria libertà. Potrebbe soddisfare esigenze pratiche o manifestare delle idee in modi e ne sceglie uno. E questo “uno” potrebbe avere caratteristiche di novità e di eccezionalità tali da porsi di fronte alla nostra coscienza con un’esigenza di considerazione
Giuseppe Terragni, casa Giuliani-Frigerio, Como, 1939-40. Foto di Isabella Sassi.
elevata. Ma questo non descrive un’opera d’arte. E anche quando tale enunciazione ne andasse a descrivere una caratteristica sarebbe sempre un solo aspetto particolare, che non è detto sia fondamentale per descriverla. La categoria dell’intangibilità può forse applicarsi all’opera destinata alla sola contemplazione ma non può certo essere assunta per un’opera destinata all’uso, come l’architettura. C’è poi un aspetto che riguarda l’uso delle architetture. Il desiderio di tutela, di conservazione, di intangibilità – ovvero di ritorno alla perfezione primitiva – si fonda sulla prevalenza di un interesse collettivo e culturale rispetto alla libertà di colui che ne compie l’uso. Noi, con il tempo, abbiamo molto esteso questo concetto, questa legittima pretesa. C’è però un ambito, quello della legittima configurazione di uno spazio secondo le proprie esigenze di vita, che è una conquista della cultura moderna. L’uomo, il cittadino – non suddito – ha il diritto di ricercare un proprio modello di vita nei limiti in cui ciò non danneggia altri. E non c’è dubbio che questo si eserciti anche modellando e conformando gli spazi in cui vive, l’architettura. Un oggetto che può rappresentare per una persona un valore sentimentale, un valore che è legato alla propria esperienza di vita e che è dotato di un valore culturale che, se trasferito dallo spazio privato a quello pubblico, può assumere il valore di bene culturale pubblico. È sempre difficile trovare il punto di intersezione e di equilibrio tra queste due esigenze. In un recente incontro di Do.co.mo.mo si è posto il tema della “fragilità” degli interni dell’architettura contemporanea, ma la questione sulla quale riflettere è la fragilità degli interni dell’architettura toutcourt, proprio perché sono luoghi di vita e luoghi di stratificazione, per antonomasia. Anche l’accumulazione di segni incongruenti, dal punto di vista formale, possiede valore di memoria e di documento materiale. Di fronte al moderno occorre pertanto maturare la capacità di accettare l’inevitabilità della trasformazione degli interni, salvo in casi decisamente specifici, come quelli degli edifici a destinazione pubblica. In questo caso il mantenimento dell’architettura degli spazi interni trova una sua possibilità di applicazione in rapporto sia a una inevitabile modificazione delle funzioni e al problema della non riparabilità di certi elementi dell’architettura contemporanea. Il tema della non riparabilità si vincola alla necessità della sostituzione, rispetto alla quale possiamo ricondurci a parametri operativi di carattere generale: evitare la falsificazione, tendere a un inserimento riconoscibile, evitare che le nuove inserzioni siano prevaricanti rispetto al contesto. A mio parere c’è una modalità dell’agire che possiamo applicare alle differenti espressioni della cultura architettonica, ciò che muta è la modalità di costruzione delle relazioni fra intervento attuale e dato esistente. Questo significa accettare anche la presenza di “in-
congruenze” sul piano formale. Ma tali incongruenze cessano di essere tali nella misura in cui io colgo il valore dell’architettura quale “luogo delle relazioni”, della cultura nel tempo. Questo vale anche per il moderno e occorre imparare a vederlo in queste condizioni, secondo più punti di vista. Il giudizio complessivo che io devo dare rispetto ad un intervento di conservazione risiede nell’entità della permanenza di tutti gli spetti che l’architettura esprime e non solo nel suo valore formale, che è certo determinate. C’è una dimensione contemplativa nell’architettura contemporanea di grande evidenza: il confronto con i suoi volumi è, talvolta, capace di produrre un impatto emotivo straordinario che deriva anche dall’ammirazione della sua forma. Permangono alcuni equivoci al riguardo della conservazione dell’architettura contemporanea che potremmo comprimere in alcune opposizioni imperanti fra vero e verosimile. Vero è, per la cultura della conservazione, l’edificio, l’architettura colta nella sua corporeità attuale e dato processuale. Verosimile è da alcuni inteso come il progetto primigenio, come stato non obliterabile. AB: Chi la pensa in questo secondo modo legittima la realizzazione differita di un’opera, anche in termini di ripristino. In questa luce il caso del Padiglione di Barcellona di Ludwig Mies van der Rohe è d’interesse. L’opera ha perduto di senso in quanto documento materiale: ne è stata tradita la sapienza costruttiva dell’autore, i caratteri materici, le condizioni di ambiente. Pur tuttavia si percepisce una conformazione dello spazio che è coinvolgente ed è emozionante nella misura in cui è capace di evocare la rivoluzione che quel progetto ha saputo innescare rispetto al modo tradizionale di fare un’architettura. Rimane l’idea di una cosa che non riesci più a concepire come un’architettura autentica e in uso. Nell’affrontare la dicotomia fra reale e progetto occorre sin dal principio precisare che un progetto non realizzabile non è architettura. Un’architettura è la sua consistenza materiale ed è anche un insieme di esperienze precedenti che si sono tradotte in critica, descrizione, comunicazione e che noi conosciamo e che influenzano il nostro modo di vedere quell’architettura. Allo stesso modo in cui siamo influenzati dalla nostra cultura del progetto. L’architettura è anche l’insieme di questi dati immateriali, dunque, la fruizione è parte della creazione e non c’è nessun motivo per il quale il progetto debba prevalere necessariamente su questa serie straordinaria di dati anche perché – e ne abbiamo esperienza in più di un caso – quando un progettista rimette mano ad una sua architettura modificata non la riporta all’origine, ma prende semmai atto delle trasformazioni avvenute e ne apporta altre. Nessun progettista torna mai indietro: giustamente. Il modernismo soffre di alcune semplificazioni che sono anche causa di queste posizioni radicali e delle acribie che è possibile leggere nelle opposizioni che sono tipiche del dibattito attuale e che sono opposi498 | 2014
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zioni che potremmo dire idealiste. Non si può separare l’immagine dalla materia. E il fatto che queste posizioni siano in auge a oltre cinquant’anni dall’ingresso idealismo in Architettura stupisce anche perché l’uomo – sarà un suo limite – non può che esprimersi se non attraverso mezzi materiali. È trascorso del tempo da quando intervistando Elémire Zolla intorno al restauro, poiché mi interessava il suo pensiero profondamente antistoricista, egli mi ha espresso il suo entusiasmo per la realtà virtuale e l’informatica – ovvero dalla possibilità dell’esperienza a prescindere dalla materia – come nel caso di una esperienza sensoriale (solo virtuale) di bellezza. Ma il rapporto con la bellezza e l’opera d’arte non può essere unicamente un’esperienza sensoriale perché sarebbe una riduzione. Quando contempli un’opera d’arte, o hai esperienza di uno spazio architettonico, interviene una pluralità di cose: le vicende individuali, la cultura, i modi di lettura e anche le preferenze personali che ci rendono più o meno sensibili ad un’opera e ci restituisce una sensazione estetica. Questo vale sempre nel confronto con l’opera d’arte ed ha grande valore. Talvolta c’è qualcosa di intraducibile che ci attrae, che ci pone in sintonia con un’opera, con un autore e ci porta a distinguerlo, a coglierlo anche fra una moltitudine. Quindi, chi riduce il moderno a una immagine immutabile, spiritualizzata e priva di materia non lo vede come potrebbe. Così come nell’opposizione tra arte e produzione industriale dobbiamo approfondire il senso che tali termini assumono oggi, ovvero se con “arte” intendiamo un’espressione immodificabile e inimitabile o se, invece, abbiamo l’attitudine a cogliere l’arte nella sua complessità. Se il nostro punto di vista è quest’ultimo, allora possiamo rintracciare anche nei prodotti dei processi industriali e ripetitivi aspetti che possono essere “unici”. Ma la questione cardine è il senso della ripetitività. Al di fuori di un determinato periodo storico riprodurre un oggetto non ha senso. Questo rimette in primo piano, anche nel rapporto con il dato contemporaneo, l’esperienza storica. Non ci sono mai due pezzi uguali nella produzione industriale. Quindi, ciascuno è unico ed essenzialmente irriproducibile. Il progetto non può che fondarsi sulla conoscenza e comprensione dei significati dell’opera sulla quale si interviene. Pur tuttavia quando il progetto riguarda il destino di un’opera di architettura contemporanea rintracciamo un’opposizione imperante fra vero e verosimile. Cos’è il vero (è l’architettura?)? Cosa è verosimile (è il progetto?)? Francesco Canali: Come ogni opera dell’ingegno e della creatività dell’Uomo, l’organizzazione di uno spazio, cioè una Architettura, prende le mosse dall’ideazione di chi ha potuto o dovuto concepirla, cioè dal Progetto: ma tuttavia è la sensibilità di coloro che poi quello spazio vivono, che dà a quella stessa Architettura il suo significato più vero. Con 14
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questo vorrei dire solo che le categorie del vero e del verosimile sono dunque, a ben guardare, forse quelle meno adatte per avviare la riflessione sul rapporto fra progetto e realizzazione, quasi per chiarire da subito che la strada che stiamo cercando con queste nostre riflessioni è una strada che in realtà deve essere costruita ogni volta, senza la possibilità di ripercorrerne una già tracciata. Piuttosto si dovrebbe allora forse ragionare in termini di avvenuta (o meno) esecuzione dell’opera in linea con il progetto iniziale. Ma, detto questo, inevitabilmente il punto di partenza non può che essere ciò che esiste, ciò che è realizzato. Ogni esigenza di intervento su di un’architettura esistente deve quindi, cominciare dal conoscere ciò che esiste, dal comprenderlo. Assumendosi poi la responsabilità di concepire e organizzare le operazioni da compiere su di esso: reinterpretazione, adeguamento, trasformazione o restauro che siano. Prezioso il ruolo che le Istituzioni preposte al controllo di questo processo possono svolgere, laddove tale ruolo si risolva in quello che gli argini hanno, piuttosto che in quello della diga. Ancora: nel preparare l’intervento certo può essere fondamentale risalire al progetto originario. Se questo esiste, se è intellegibile, se davvero rappresentava il punto d’arrivo delle riflessioni del Progettista (che, per inciso, se l’anagrafe lo consente, dovrebbe essere l’unico titolato a intervenire sull’opera da lui ideata, laddove questa sia ritenuta tale – cioè un’opera – dal senso comune). In buona sostanza, mi pare vano aspirare alla possibilità d’individuare un approccio “corretto” al recupero di un’architettura contemporanea (ma anche antica!): il Senso di responsabilità, la Preparazione e – mi si perdoni – l’Etica delle figure coinvolte sono gli unici riferimenti a disposizione. L’inevitabile trasformazione della materia (per effetto sia delle stratificazioni e sia dello stesso scorrere del tempo) è sovente colta come un agile espediente per legittimare atteggiamenti progettuali orientati (distrattamente o ostinatamente) alla trasformazione dell’esistente. Quale lieve (o grave) legame esiste fra conservazione, mutamento e progetto? FC: Conservazione, mutamento, progetto: la differenza fra tali categorie è profonda. Perché profondamente diverso è l’approccio. La Conservazione dedica tutte le energie intellettuali di chi concepisce e di chi esegue un intervento al prolungamento della vita dell’opera con le stesse caratteristiche che questa possiede a un certo momento della sua vita: materiali e spaziali (e già per decidere quale sia tale momento, a volte si cade in confusione...). Come ad arrestare il tempo, contrastandone la tendenza a modificare l’architettura; ma si dovrebbe aggiungere anche: gli uomini che la vivono ed i loro stili di vita. È un approccio quasi scientifico che può, se esasperato, condurre a una forma di fanatismo. Il Progetto, da parte sua, si dovrebbe invece riproporre una consapevole modifica dello stato dell’ar-
Alle pp. 12-13: Mario Asnago e Claudio Vender, edificio per abitazioni Belvedere, Como, 1963. Foto di Isabella Sassi.
chitettura: interpretandone le potenzialità, immaginando adattamenti, studiando la possibilità di mettere in armonia un’Architettura, concepita e realizzata magari solo alcuni decenni prima (ma anche qualche secolo!), con le esigenze degli uomini che quegli spazi devono vivere: sempre però rispettando l’opera sulla quale si interviene. Cercando un equilibrio, quasi sempre difficile, a volte impossibile, fra la natura intima dello spazio e degli edifici sui quali si interviene e le esigenze attuali: contingenti, ma in alcuni casi determinanti per la possibilità di sopravvivenza di quell’Architettura. Ascoltando e comprendendo, prima di tutto, proprio questa: e accettando l’improbo compito di cercare di far sì che possa di nuovo parlare ai propri contemporanei con un linguaggio diverso da quello originario, ma che continui a far riflettere su diversi e originali rapporti con il tessuto urbano, su oggi dimenticate qualità e organizzazione degli spazi interni. in generale, a raccontare e testimoniare la fluidità delle vicende umane, che astrattamente chiamiamo Storia. Certo non esiste una differenza di valore fra la pratica della Conservazione e quella del Progetto. Sono ugualmente impegnative, ugualmente si fanno carico di aggiungere valore a un’Architettura nelle condizioni nelle quali si trova. Il Progetto è però più difficile, perché mette tutte le figure coinvolte in dialogo con la propria coscienza, individuale e collettiva: e pretende difficili risposte. Mentre il Mutamento, che di per sé è tutto, temo non sia nulla, almeno se messo a confronto con Conservazione e Progetto: potremmo forse così chiamare Mutamento tutta quella infinita teoria di attività casuali, né carne né pesce, perfettamente in linea con il Secondo Principio della Termodinamica. La fragilità presunta dell’architettura contemporanea trova il suo archetipo nello spazio sacro che pare incapace di accumulare il tributo di valore dell’esperienza quotidiana di fede. Sino all’avvento del movimento moderno tra estetica della liturgia − con le sue proprie evoluzioni − e architettura dello spazio sacro si coglie una ontologica capacità di coincidenze e sedimentazioni. Quali sono le ragioni del distacco attuale? Carlo Capponi: Più che distacco ravvedo una incapacità inclusiva. Ciò che appare ai nostri occhi come elemento finito è, in realtà, una somma di interventi stratificatisi nel tempo. I luoghi di culto hanno più che perseverato nella via della addizione che della sottrazione. Cornici marmoree rinascimentali ospitano tele del leggiadro barocchetto senza che nessuno trovi irriverente la cosa o così anomala e stridente da chiederne la separazione. L’immissione di nuovi Poli liturgici – croce, altare, ambone, sede – sostanzialmente è, al contrario, sentita come una violazione di un equilibrio che si vuole ammantare di una aurea sacrale, e perciò inviolabile, immutabile perché dato. Forse, quello che si prende spesso ad esempio paradigmatico, l’esperienza delle chiese nuove in area germanica, esperienza alla cui radi-
ce si trova, specie per la sua stretta collaborazione con gli architetti Emil Steffan e Rudolf Schwarz, il pensiero del teologo Romano Guardini e le ricerche dei monasteri benedettini e belgi, è ciò che poi è accaduto anche da noi nel periodo in cui la ricerca del Movimento liturgico era condivisa tra le personalità più attente al pensiero teologico, anche prima della stessa indizione del Concilio da parte di Giovanni XXIII nel giorno di Natale del 1961. Il Movimento liturgico, la cui nascita viene collegata ad un congresso, su altre tematiche, tenutosi a Malines nel 1909 – anche se solo nel 1956 si ebbe il primo “Congresso internazionale di liturgia pastorale”, ai cui partecipanti, Pio XII indirizzò un saluto – più che una forma associativa costituita è stato un sentimento condiviso in maniera trasversale che, a partire dallo studio dei formulari liturgici antichi e da ciò che si poteva ricostruire sulle celebrazioni eucaristiche dei primi secoli, ha portato ad una riscoperta delle origini del rito, chiedendone la liberazione da superfetazioni di tipo storico o devozionale, che nulla avevano a che fare con il mandato di Gesù come tra-
Mario Asnago e Claudio Vender, edificio per abitazioni Belvedere, Como, 1963. Foto di Isabella Sassi.
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Fabio Filzi, Franco Albini, Renato Camus, Giancarlo Palanti, quartiere IFCP, testate su viale Argonne, Milano, 1935-38. Foto di Stefano Suriano.
smesso dai primi secoli. Era desiderio di molti che la celebrazione cultuale non fosse più solo azione del sacerdote a cui il popolo assisteva passivamente, ma azione condivisa, anche se con compiti ben distinti ma complementari. La celebrazione doveva essere vera scuola di formazione alla fede, secondo l’antico detto “Lex orandi lex credendi”. Dalla riflessione teologica si passò, poi, alla ricerca anche di forme dell’arte, con la nascita della “Scuola di pittura” del monastero tedesco di Beuron, la rinascita del canto monodico in specie per merito della comunità benedettina di Solesmes. Merito del Movimento Liturgico fu trasformare lo studio della ritualità liturgica da una rigida esecuzione di azioni a una ricerca dei fondamenti primi di questi gesti e delle stesse parole che il sacerdote attuava. La necessità di avere anche spazi e fin abiti più vicini alla “nobile semplicità” delle origini liberandosi di orpelli della tradizione barocca e settecentesca, 16
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fece fare ampi passi anche all’architettura europea e, poi, italiana. Si pensi alle opere degli architetti Giovanni Muzio, Mario Baciocchi, Ignazio Gardella, Gio Ponti, Giuseppe Polvara, che, pur operando prima dell’ecumenica assise romana, hanno costruito edifici in cui il dibattito del Movimento liturgico ha lasciato profondi e significativi solchi. Ponti e Muzio, legati all’esperienza viva del movimento laicale cattolico, il primo fu per anni collaboratore attivo del quotidiano cattolico “L’Italia”, e del secondo è ben nota la frequentazione con i Francescani, furono gli antesignani di questo comune sentire. Polvara fondò anche un istituto di religiosi consacrati dediti sia alla realizzazione di oggetti per il culto, che alla formazione degli artisti, mediante la milanese “Scuola Beato Angelico”. Figure eminenti del clero italiano, particolarmente attente a questo ambito, furono Ildefonso Schuster, monaco benedettino e poi Ar-
civescovo di Milano, Giacomo Lercaro Arcivescovo Cardinale di Bologna, Padre – come amava farsi chiamare – Michele Pellegrino a Torino, e – ancora prima di essere arcivescovo milanese – Giovan Battista Montini, poi papa Paolo VI, legato alle esperienze monastiche di lingua tedesca. Ma fin dal 1914 uno strumento italiano riconosciuto, e ancora oggi edito, è la “Rivista Liturgica” del Monastero benedettino di Finale Ligure. Assai meritevole e ancora riferimento importante è “Costruttori di chiese” volume, più volte rieditato, di un sacerdote siciliano, mons. Crispino Valenziano, che ha unito i propri profondi studi di liturgia ad una passione per la nuova architettura. Con lui dobbiamo ricordare le opere di mons. Carlo Chenis, prematuramente scomparso, e l’ancora attivo domenicano Giacomo Grasso. Occorre anche fare riferimento ai convegni liturgici internazionali che si tengono al Monastero di Bose, celebre comunità il cui priore è Enzo Bianchi. Se distacco oggi c’è, come chiude la sua domanda, è nella separazione “di fatto”, nonostante le richieste esplicite da parte della committenza ecclesiastica, tra il progettare dell’architetto e le indicazioni dell’esperto in Liturgia, membro effettivo ed obbligatorio, dei gruppi di progettazione. Pur riconoscendo altissimo valore al fare dell’architettura, se gli artefici sono indifferenti a ciò per cui è destinata l’opera, questa rischia di restare una valida esperienza solo concettuale che, declinata nella realtà, perde – ai loro occhi – di interesse. È, forse, quella che si definiva la Scuola dell’architettura di carta. Cioè, quello che interessa è il farsi del progetto, indipendentemente da come questo poi venga vissuto dai fruitori a cui è primariamente destinato. In questo ravvedo la negazione di uno spazio che da luogo comune, viene trasformato, proprio per celebrarvi un’azione comunitaria, unica ma ripetibile, così come richiesto ai discepoli da Gesù stesso al termine del suo cammino gerosolimitano. Lo spazio contemporaneo modellato in Domus ecclesiae è fuor di dubbio un monumento dal valore polisenso. In tale pluralità di valori la scelta fra conservazione e adeguamento alla vita e al celebrare cristiano pone questioni di grande rilievo. CC: La difficolta del, così detto, adeguamento liturgico pone oggi, ancora, a cinquant’anni dalla promulgazione del testo del Concilio Vaticano II, differenti domande che fanno confermare come questo moto sia legato ai fondamentali dell’essere uomo. La stessa disciplina teologica si è strutturata in sezioni di studio, e in Facoltà, specializzate nello studio dei plurimi aspetti culturali, prima che celebrativi, in mero senso rubricistico, della Liturgia. La consapevolezza dell’eredità di un passato, giunto a noi sostanzialmente immutato nella gestualità, ma non nella forma concreta dell’arte, pone di continuo grandi attenzioni sul valore delle cose concrete che si vogliono “adeguare”, quali altari, amboni, o intere aule assembleari. La celebrazione è certo immutata, nella sostanza, ma il volume ar-
chitettonico lo è. Per una corretta posizione, proprio dal punto di vista della conservazione, basti leggere le norme del trattato di s. Carlo Borromeo, spesso citate senza averle lette. Tutto è lasciato al giudizio del Tecnico perito che deve eseguire un progetto dato, per un luogo concreto, con tutte le implicazioni che questo può portare. Dall’altro molti elementi sacralizzati dallo scorrere del tempo, nascevano da semplici esigenze funzionali di sicurezza o di igiene. Come non teniamo più gli spazi tecnologici di servizio all’abitazione, bagni e cucine ad esempio, fuori dai locali della casa vera e propria, così è processo arbitrario – cioè illogico e antistorico – pretendere di non mutare i luoghi della liturgia come ci sono stati consegnati. La richiesta di attenzione è però da porsi sulla qualità del progetto. Qualità che deve evidenziarsi sia nel percorso di studio per arrivare a una nuova soluzione – sempre che sia fattibile – che nella ricerca di materiali e tecnologie almeno pari, in dignità e qualità, a quelle che si sono trovate. La non considerazione di finiture, penso ai pavimenti ad esempio, ritenuti brutti o di poco valore solo perché consumati o di poche decine di anni or sono, non deve portare ai due estremi che sono la distruzione con un impiego di materiali più consoni ad aree commerciali, come neppure in una “gelida” riproposizione degli stessi. Le grandi difficoltà nel processo di adeguamento liturgico, sono dettate dalla natura interna del rito riscoperto. Ci sono arrivate chiese in cui la partecipazione alla celebrazione della Messa era, da parte del popolo, un’azione più di tipo normativo e all’interno della quale erano “lecitamente” svolte altre ritualità devozionali, ad esempio la recita del Rosario, letture di testi pii, visite ad altari dedicati a santi, ecc., come si può vedere dai molti esempi dell’arte figurativa. Il Concilio ha riportato la celebrazione eucaristica come azione comune di tutti i partecipanti e non solo del sacerdote e perciò con importanti modificazioni anche di posizionamento sia dei Poli liturgici che dei fedeli, sacerdote e popolo, con traslazioni significative all’interno dello spazio architettonico e con la conseguenza di “perdita” di alcune aree precedentemente anche importanti, che devono essere ricollocate nel loro “senso” celebrativo. Dobbiamo oggi lamentare la perdita di singoli elementi dell’architettura antica come, uno per tutti, le balaustre poste a delimitare le due aree principali di aula e presbiterio, come la distruzione di pulpiti lignei a torto ritenuti superati. La costruzione delle chiese nuove, in un momento di grande sviluppo urbano come fu quello del secondo dopo guerra, rifletteva già, almeno per i grandi progettisti i pensieri del Movimento liturgico, anche se lo svolgimento del Rito era ancora fermo a modalità tridentine. Penso ai sempre più frequenti amboni/pulpito rivolti al popolo, doppi secondo le indicazioni delle Rubriche che richiamavano le letture dei testi biblici ai due angoli opposti della Mensa, rivolta all’abside o, nella migliore delle ipotesi ad est. Rimando alla chiesa milanese della Madonna dei poveri di Figini e Pollini o a quella di Ignazio Gardella al quartiere INA di Cesate.
Le fotografie che illustrano la prima parte del numero 498 di “AL” sono opera di Isabella Sassi e Stefano Suriano. ISABELLA SASSI Laureata all’Università IUAV di Venezia, segue i corsi di fotografia di Guido Guidi e Lewis Baltz. Dal 2005 realizza servizi fotografici di architettura, interni e design e lavora in ambito universitario a Milano e in Ticino, dove tiene lezioni e seminari sulla fotografia, intesa come metodo di indagine dello spazio abitato. Nel 2013 cura la mostra fotografica di Guido Guidi “La Tomba Brion di Carlo Scarpa” esposta all’Accademia di architettura di Mendrisio ed espone in occasione dell’Open Day del Chilometro della Conoscenza di Como il progetto fotografico “Occupazione Artistica”. www.isabellasassi.com STEFANO SURIANO Ha svolto attività didattica come cultore della materia presso il Politecnico di Torino, partecipando a seminari e workshop internazionali. Alla libera professione affianca la consulenza a numerosi progetti culturali che hanno come tema il rapporto tra architettura e città. Dal 2008 lavora al progetto “Itinerari di Architettura milanese” dell’Ordine degli APPC di Milano. Nel 2010 e nel 2013 ha ricevuto da Touring Club Italiano l’incarico di consulenza per la scrittura dei contenuti per la nuova segnaletica monumentale della città di Milano. Ha curato, per “Abitare”, Il professionismo colto nel dopoguerra e Lo studio BBPR e Milano. Le fotografie qui pubblicate costituiscono parte della sua più ampia e personale ricerca sull’architettura moderna a Milano.
Nelle pagine seguenti: Carlo Aymonino, Aldo Rossi, complesso residenziale Monte Amiata, quartiere Gallaratese 2, Milano, 1967-74. Foto di Stefano Suriano.
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Esempi di architetture lombarde del secondo Novecento Le immagini sono tratte dai progetti selezionati degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta che sono attualmente interessati da fenomeni di degrado, da opere di conservazione o di ampliamento.
I lavori qui di seguito illustrati nascono dalla volontà della Consulta di promuovere l’opera di conoscenza che gli Ordini, nel corso degli anni, attraverso varie e molteplici iniziative, hanno intrapreso per tutelare e valorizzare il vasto patrimonio architettonico della regione. I brevi testi introduttivi, corredati da alcune immagini e relative didascalie, sono stati predisposti dai delegati degli Ordini dando precedenza a opere d’architettura non ancora restaurate. L’insieme costituisce un prezioso documento sull’architettura lombarda del secondo ’900 da divulgare e promuovere presso le più importanti istituzioni ed enti della regione, per testimoniare il nostro contributo nella valorizzazione di un così importante periodo dell’architettura lombarda
COMO a cura di Chiara Occhipinti delegato dell’Ordine presso il Mibact
Elenco delle opere 01. Ico Parisi, (con Gianpaolo Allevi e Luisa Aiani Parisi; mosaici di Mario Radice e scultura di Francesco Somaini), villa Bini a Monteolimpino, Como, 1952. 02. Renato Radici, (con mosaici di Lucio Fontana), Palazzo della Permanente Mobili, Cantù,1955. 03. Gabriele Giussani, edificio residenziale in via Borsieri, Como, 1955-57. 04. Mario Asnago e Claudio Vender, Edificio dei beni stabili, Cantù, 1961. 05. Luciano Trolli, piscina “Como Nuoto” (ora “Luciano Trolli”) a Villa Geno, Como, 1951-72.
L’esperienza razionalista comasca dell’inizio del Novecento ha assunto un’importanza di livello nazionale e mondiale, ha segnato il disegno del territorio e ha indicato una precisa tradizione architettonica locale. L’Ordine degli Architetti PPC di Como prosegue l’opera di valorizzazione del suo patrimonio architettonico, già cominciata con le innumerevoli iniziative rivolte allo studio dell’opera di Terragni, Lingeri, Cattaneo; il sostegno alle pubblicazioni (Oltre Terragni. La cultura del razionalismo a Como negli anni Trenta e La costruzione della città di Como 1933-1937), oppure con le mostre (Tracce del futuro. Il cuore razionalista di Como e Cesare Cattaneo) che ne sono i principali esiti. Questa volta lo sguardo si sposta all’architettura del secondo Novecento: si tratta di una scelta precisa che vede nella conoscenza del patrimonio locale la prima forma di tutela per l’architettura. Il giudizio architettonico che si attribuisce agli edifici passa attraverso una prima selezione fatta a partire da alcuni dati “oggettivi” (pubblicazioni, premi, importanza dell’autore) e una seconda che si misura con giudizi di natura architettonica, con aspetti di innovazione tipologica, per passare a quelli di tipo stilistico e tecnologico.
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Lo studio tende a estendere la conoscenza degli edifici e degli autori: da una parte guardando all’opera di alcuni architetti locali, dall’altra cercando di soffermarsi su tutto il territorio provinciale, selezionando non solo opere comasche, ma anche quelle collocate nei centri minori, riportando così alla luce un tessuto denso di qualità. La scelta delle opere, e quindi degli autori, è necessa-
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riamente una summa del vasto panorama presente. Agli edifici di Mario Asnago e Claudio Vender, Vico Magistretti, Piero Bottoni, Luigi Caccia Dominioni, si aggiungono quelli legati al lavoro incessante di Adolfo dell’Acqua, Gianni ed Enrico Mantero, Ico Parisi, Luciano Trolli. Ed è su questo secondo nucleo di edifici e di autori che il lavoro dell’Ordine si è concentrato, poiché riguarda opere in molti casi sconosciute, che hanno subìto spesso manomissio-
ni, oppure versano attualmente in stato di abbandono. Emergono così le esperienze edilizie dell’Ina Casa sia a Como Monte Olimpino che a Menaggio e a Lomazzo. Oppure, l’edilizia scolastica che anche in anni recenti mostra un’intensa ricerca estesa a tutto il territorio provinciale e alla quale hanno partecipato moltissimi autori come ad esempio Luigi Zuccoli, Gianni ed Enrico Mantero, Fulvio Cappelletti, Antonio de Santis.
06. Enrico Mantero, scuola elementare e materna, Olgiate Comasco, 1971. L’edificio è stato ampliato nel 2007 con il progetto della palestra a cura dello Studio Quattroassociati con S. Mugnani.
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a cura di Diego Toluzzo delegato dell’Ordine presso il Mibact
Il lavoro di ricerca è stato svolto in collegamento con gli enti territoriali (es. Comune di Lecco) per verificare e, ovviamente, avere a disposizione quel materiale che difficilmente risulta recuperabile dalle fonti e dai canali solitamente utilizzati per far riferimento a opere o personaggi (perché difficilmente vi appaiono quelli meno noti o meno pubblicati), oltre a far riferimento a libri e riviste specialistiche come ulteriore verifica. Come Ordine abbiamo cercato di evidenziare architetti/personaggi di chiaro riferimento sul territorio così come le opere che, seppur progettate da “non lecchesi”, risultano rilevanti sia per le precipue caratteristiche architettoniche, sia per quanto hanno generato nel contesto (paesaggio/territorio urbano). L’elenco delle opere, avendo deciso il periodo che va dal secondo dopoguerra ad oggi, è notevole seppure, purtroppo, nella schedatura Mibac non sarà possibile ricomprenderle tutte e quanto segnalato non è certo esaustivo dell’intero patrimonio esistente. Patrimonio che, sebbene riferibile a un territorio che ha avuto una propria “connotazione” come capoluogo solo dal 1994, è di certo stato interessato da influenze comasche e bergamasche di maggior omogeneità culturale identificativa, derivata anche da riferimenti storici consolidati (la scissione da Como e l’accorpamento con alcuni Comuni della provincia di Bergamo). Di fatto, invece, si può dire che l’inizio di una propria identità sia avvenuto con l’Ottocento grazie all’industrializzazione del ferro (esplosa poi negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso) e che, conseguentemente all’espandersi del fenomeno legato alla borghesia derivante, ha prodotto i maggiori e più noti interventi architettonici, a cui hanno seguito anche interventi pubblici e di edilizia sociale
(scuole, ospedali, edifici di rappresentanza di enti). All’iniziale schedatura già esistente sono stati segnalati una serie di opere tra cui: l’ex Finanza (inizialmente edificio polifunzionale Infail) di Piero Bottoni; tra i vari edifici realizzati per la Moto Guzzi a Mandello del Lario, il Cral di Elio Fasoli; la scuola a Sala di Calolziocorte di Giuseppe Gambirasio; il condominio in via S. Francesco d’Assisi a Merate di Gustavo Prandoni; il condominio in via Bovara a Lecco dello Studio GPA Monti; la villa Buganza a Santa Maria Hoè di Salvati e Tresoldi. Abbiamo segnalato, nei periodi in cui vi era minor indicazione (rispetto all’iniziale schedatura), quanto rilevabile, mentre sono state altresì individuate una serie di opere “recenti” (dal ’90 ad oggi) che meritano particolare attenzione al fine di evitarne modificazioni o alterazioni. Quanto sopra si inquadra nell’indirizzo, partito nel 2009, delle due pubblicazioni del nostro Ordine: Architetti e architetture fra le due guerre (2009); Alcuni architetti (2013). A cui seguirà, essendo in fase di redazione, un ulteriore volume relativo ad architetti lecchesi.
07. Piero Bottoni, ex Finanza (inizialmente edificio polifunzionale Inail) in corso Martiri a Lecco, 1939-44. 08. Elio Fasoli, Cral (Circolo ricreativo assistenza lavoratori) Moto Guzzi, Mandello del Lario, 1956. 09. Giuseppe Gambirasio, scuola elementare, frazione Sala di Calolziocorte, 1968. 10. Gustavo Prandoni, condominio in via S. Francesco d’Assisi a Merate, 1975. 11. Studio GPA Monti, condominio in via Bovara a Lecco, 1958-61. 12. Salvati e Tresoldi, villa Buganza in via Giovanni XXIII, a Santa Maria Hoè, 1981.
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LODI a cura di Paola Mori delegato dell’Ordine presso il Mibact
13. Condominio SASAC, Lodi, 1962. 14. Ferruccio Rozza, Ospedale Maggiore, Lodi, 1964-65. 15. Ferruccio Rozza, Convento San Giuseppe, Lodi, località Torretta, 1967. 16. Bruno Bozzini, Paolo Mascheroni, Ettore Tadi, Quartiere IACP, Lodi, 1972-76.
All’inizio del 2011 si è costituito all’interno dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Lodi il “Gruppo ’900” per lo studio dell’architettura lodigiana del secolo XX. Il Gruppo è nato per partecipare all’attività promossa in quell’anno dalla “Commissione ’900” della Consulta regionale lombarda degli Ordini degli Architetti PPC. Anche a Lodi si sono aperti momenti di dibattito molto partecipati in relazione ad alcuni esempi di architetture dei primi decenni del ’900; la discussione ha posto la questione delle modalità di intervento e di quale sia il corretto equilibrio tra le esigenze della tutela e quelle del riuso. Il lavoro ha avuto inizio da un’indispensabile ricognizione storica degli edifici dell’epoca e il periodo di ricerca scelto è stato quello tra le due guerre: Giovanni Muzio, garage Barnabone, Lodi, 1933 e istituto magistrale “Maffeo Vegio”, Lodi, 1935; Enrico Griffini, Eugenio Faludi, istituto Fanciullezza, Lodi, 1933-34; Pietro Grignani, villa Bianchi, Lodi, 1933-35; Gio Ponti, villa Marmont, Cervignano d’Adda, 1940-43. In seguito il lavoro si è esteso anche a edifici della seconda metà del ’900, che attualmente sono ancora in fase di censimento. Gli edifici oggetto di studio sono stati selezionati in base ai seguenti criteri: • interventi che mostrino una qualità architettonica significativa in relazione al panorama nazionale dell’epoca;
• progetti di personalità di rilievo nel panorama regionale o nazionale; • opere che abbiano caratterizzato il contesto urbano. Le finalità che il nostro progetto persegue sono molteplici: sviluppare la conoscenza di un periodo storico e delle sue testimonianze architettoniche, divulgare queste conoscenze, sensibilizzare i cittadini, le amministrazioni, i professionisti, diventare elemento catalizzatore delle sinergie tra le varie associazioni/enti che sul nostro territorio si occupano del patrimonio architettonico, organizzare conferenze e laboratori, promuovere una progettualità adeguata e attenta alla qualità attraverso la definizione di linee guida per gli interventi, promuovere concorsi sul tema della conservazione e del riuso e anche della nuova progettazione. Il “Gruppo ’900 Lodi” − Eleonora Ariano, Margherita Cerri, Stefano D’Aniello, Gio Gozzi, Emanuele Grecchi, Alda Grossi, Laura Lombardi, Riccardo Macchioni, Mariateresa Monteverdi, Paola Mori, Enrico Oldini, Angelo Reccagni, Victor Riboldi − ha tra le proprie finalità anche quella di organizzare mostre ed eventi sul tema dell’architettura del secolo scorso, tappe di un percorso di ricerca che si vorrebbe continui nel tempo attraverso tutti quelli che vorranno prenderne parte.
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MANTOVA a cura di Giorgio-Sebastiano Bertoni e Andrea Cattalani delegati dell’Ordine presso il Mibact
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Dismessa con l’Unità d’Italia la funzione di città-fortezza e progettata la sua vocazione a città d’arte, nel secondo dopoguerra Mantova e la sua provincia da prettamente agricole divengono un centro industriale. La dinamica situazione economica e la conseguente antropizzazione del territorio generano la necessità di insediare residenze e servizi, pianificando attività produttive che trovano nel polo chimico un eccezionale volano. Le trasformazioni si susseguono. Giungono a compimento i restauri “creativi” del centro storico, tesi a evidenziare il carattere medievale della città comunale, con gli interventi di trasformazione delle piazze
centrali. Contemporaneamente le ferite della guerra vengono risanate con la ricostruzione di interi edifici nell’importante contesto monumentale. Il tema delle preesistenze è affrontato con esiti storicisti, che si proporranno come modello per un lungo periodo successivo. Negli anni ’50-’60 si terminano le grandi operazioni edilizie iniziate durante la guerra − non differentemente da quanto già accade altrove – con il completamento e la saturazione del tessuto urbano. Vengono insediati nelle aree di margine ampi complessi residenziali dove l’iniziativa pubblica gioca un ruolo fondamentale. La città, centrale rispetto a tutte le infrastrutture
17. Maria Cittadini, Giacomo Elifani, Iginio Chellini, Caserma VVFF a Mantova, 1953-55. 18. Enzo Mastruzzi, Attalo Poldi, Ricciardo Campagnari, Fernando Cazzaniga, Casa della Cervetta a Mantova, 1954. 19. Aldo Andreani, ex sede Banca Commerciale Italiana, Mantova, 1954. 20. Mario Paniconi, Giulio Pediconi, isolato residenziale INA, via Portazzolo / piazza S. Giovanni / via Finzi / via XXV aprile, Mantova, 1954. 21. Pier Luigi Nervi, Cartiera Burgo, Mantova, 1960-64. Foto di Giorgio-Sebastiano Bertoni. 20
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dell’area, vede negli anni successivi intensificarsi il dibattito sulla propria espansione limitata dalla geografia dei tre laghi. A differenza di altri capoluoghi la forma urbana rimane così sostanzialmente inalterata e nuovi spazi sono trovati, nel bene o nel male, al di là dell’acqua. Sulla base di questo racconto, il gruppo di lavoro (formato, inoltre, da Cinzia Calanca, Silvia Cavalca e Silvia Schiavetti) ha focalizzato il proprio lavoro su alcune categorie di riferimento − restauro urbano, industria, rapporto con l’acqua, trasformazioni urbanistiche − atte a cogliere i caratteri salienti dell’architettura contemporanea locale, per descriverne il valore e provare a darne una classificazione ragionata.
MILANO Ogni azione di restauro e conservazione, in specie del moderno, è orientata inesorabilmente, oltre che alla conoscenza del patrimonio architettonico, alla valorizzazione dell’identità civile di cui la città è portatrice e di cui è espressione collettiva. Ciò è tanto più significativo in una realtà come quella milanese, dove la produzione architettonica di tutto il ’900, ma in particolar modo del secondo dopoguerra, è stata per quantità e qualità elemento trainante di rilevanza internazionale della rinascita culturale ed economica italiana. Vi è uno stretto legame tra alcune delle attività culturali promosse dall’Ordine degli Architetti PPC di Milano e Provincia e della sua Fondazione e la valorizzazione del patrimonio architettonico moderno. Un lavoro di ricognizione e studio del territorio urbano milanese che emerge con forza attraverso la rete nelle sezioni “Itinerari” e “Milano che cambia” del sito, a comporre una possibile mappa degli edifici (http://www.ordinearchitetti.mi.it/ it/mappe/mappaedifici) a documentazione delle dinamiche passate e presenti del tessuto urbano costruito. In particolare, gli “Itinerari di architettura milanese” (http://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerari) costituiscono da circa dieci anni un progetto
teso a promuovere la conoscenza dell’architettura del Novecento, nel convincimento che un progressivo affinamento della capacità di osservazione che uno sguardo disciplinare può promuovere – non solo presso gli architetti, ma più in generale nei confronti della società – possa evidenziare il valore fondamentalmente collettivo dell’architettura. Questo processo avviene attraverso periodiche visite guidate o mediante la rete, attraverso il database presente sul sito. Più in generale, nel merito delle iniziative promosse dall’Ordine di Milano, è importante segnalare anche i diversi incontri che in questi anni sono stati dedicati al tema del restauro del moderno. Tali occasioni hanno fatto emergere alcune tematizzazioni (http://www. ordinearchitetti.mi.it/it/notizie/dettaglio/5530recupero-del-moderno-che-fare-) che di seguito cerchiamo di esprimere attraverso alcuni esempi rappresentativi, a costruzione di una delle possibili catalogazioni che, se sistematizzate a scala regionale, saranno di utile compendio ad orientare i professionisti nel loro operato riguardo il più che mai attuale tema del costruire sul costruito, ovvero il futuro sempre più presente delle nostre città. Il restauro implica
a cura di Francesco de Agostini caporedattore pagina web dell’Ordine e Stefano Suriano sezione “Itinerari”, Fondazione dell’Ordine
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22. Luigi Mattioni, Eugenio ed Ermenegildo Soncini, grattacielo per uffici e abitazioni in piazza della Repubblica 32, Milano, 1950-55. 23. Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti, Aldo Favini, chiesa Mater Misericordiae in via della Conciliazione 22/24, Baranzate, 1956-58. 24. Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti, edificio per abitazioni in via Quadronno 24, Milano, 1959-60. 25. BBPR, restauro dei Musei del Castello Sforzesco, Milano, 1956-63. 26. Aldo Rossi, edificio residenziale al quartiere Gallaratese, via Enrico Falck 53, Milano, 1969-70. 27. Vincenzo Montaldo (coordinatore), quartiere Quarto Cagnino, Milano, 1967-73. Foto di Alessandro Sartori. 28. Silvano Zorzi, Viadotto dei Parchi, tangenziale est di Milano, 1973. 29. Silvano Zorzi, cavalcavia Scarampo Monteceneri, viale Monte Ceneri, Milano, 1959.
il reinserimento nel circuito dell’uso del monumento – moderno o meno – laddove il rispetto dell’opera e la sua conoscenza sappiano dialogare con le istanze del suo essere parte del quotidiano, della città e dei suoi cittadini. Restauri filologici con innovazione tecnologica A partire dall’esperienza del restauro effettuato tra il 2002 e il 2004 per il Grattacielo Pirelli, in cui la scientificità delle scelte effettuate ha mantenuto per quanto possibile le specifiche costruttive e la leggerezza dei materiali e delle superfici originarie, la selezione comprende la Torre Breda (1950-55) di Luigi Mattioni, Eugenio ed Ermenegildo Soncini, la Torre Ve-
lasca (1951-58) dello studio BBPR con A. Danusso, e la chiesa Mater Misericordiae a Baranzate di Bollate (1956-58) di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, di cui è in corso un’attenta opera di restauro e adeguamento. Esemplare il caso dell’edificio per abitazioni in via Quadronno (1959-60), ancora di Mangiarotti e Morassutti, dove l’intervento rispettoso dei criteri costruttivi e dei materiali ha contribuito a rimetterne in luce l’originalità nel panorama milanese della fine degli anni Cinquanta. Buon esito, infine, sembrano aver avuto i recenti recuperi dell’edificio Campari (1965-67) di Eugenio ed Ermenegildo Soncini, e il Residence Porta Nuova (1973) di Marco Zanuso, entrambi ad opera di Park Associati.
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Prevalenza della rendita sulla tutela Da poco conclusa invece la ristrutturazione di casa Tognella al Parco (1947-48) di Ignazio Gardella, tra i più alti esempi del moderno, in cui ha sollevato non poche perplessità la modifica della sagoma di copertura utile a consentire l’abitabilità del sottotetto e l’utilizzo di nuovi materiali a fronte del possibile recupero degli originali. Una vicenda simile accomuna alcuni edifici per uffici in cui l’alterazione dei rapporti spaziali e la sostituzione degli infissi ha snaturato il carattere originario degli stessi: tra gli altri, l’edificio per uffici in corso Europa (1955-57), di Vico Magistretti, il complesso per uffici ed abitazioni in corso Vittorio Emanuele (1968-72), dello studio BBPR − dove addirittura il vuoto della distribuzione collettiva della galleria pedonale viene privatizzato e reso abitabile − e la riconversione degli ex uffici Loro & Parisini (1951-57) di Luigi Caccia Dominioni. Recente e intensa, inoltre, la querelle sulla nuova configurazione del celebre allestimento dello studio BBPR ai Musei del Castello (1956-63) per il previsto spostamento della Pietà Rondanini, giustificato un po’ semplicisticamente con l’obbiettivo di una più massiccia accessibilità al turismo “mordi e fuggi” del capolavoro Michelangiolesco. Dal singolo edificio alla scala urbana In relazione ai significativi interventi di residenza popolare del dopoguerra è determinante allargare la scala di intervento dal singolo edificio al quartiere. A partire dal QT8, in cui si sono manifestate problematiche derivanti dalla mancanza di una regia unitaria, e dal Mangiagalli II, in cui si è perduta l’eleganza derivante dai materiali e dalle scelte progettuali originarie, si giunge fino agli anni Sessanta, con il complesso residenziale Monte Amiata al Gallaratese (1967-74), di Carlo Aymonino e Aldo Rossi, e l’assai
dibattuto Quarto Cagnino (1967-73), oggetto di un recente intervento di ristrutturazione complessiva che ha suscitato un ampio dibattito tenutosi a più riprese presso la sede dell’Ordine milanese. Infrastrutture Di non secondaria importanza è anche il tema delle infrastrutture, che annovera non soltanto la complessa vicenda delle Stazioni della Metropolitana Milanese (1962-69) di Franco Albini e Franca Helg, le diverse stazioni ferroviarie – la Stazione Nord (1957-58), oggetto di restyling da parte di Gae Aulenti nel 2000, la Stazione Centrale (1925-31) di Ulisse Stacchini, il cui impianto è stato completamente ridefinito nel 2010, la Stazione Garibaldi (1956-63) di Giulio Minoletti e Eugenio Gentili Tedeschi – ma anche alcune recenti riqualificazioni, quali quelle del Cavalcavia Scarampo Monteceneri (1959) o del Viadotto dei Parchi (1973) di Silvano Zorzi. Un caso a parte costituisce il concorso per il Velodromo Maspes-Vigorelli, con il recente concorso internazionale di progettazione indetto dal Comune e tradito da un intempestivo intervento della Soprintendenza. Merita attenzione, infine, la Stazione di servizio Agip in piazzale Accursio (195153) di Mario Bacciocchi, in attesa di un necessario intervento di conservazione.
30. Vittoriano Viganò, Istituto Marchiondi Spagliardi in via Noale 1, Milano, 1953-58. 31. Melchiorre Bega, torre Galfa in via Gustavo Fara 41, Milano, 1956-59. Foto di Stefano Suriano.
Caso a sé, si potrebbe dire, costituiscono l’Istituto Marchiondi Spagliardi (1953-58) di Vittoriano Viganò, complesso di cui il Politecnico di Milano ha progettato il recupero a destinazione residenziale studentesca, ma in cui il costo finale supera l’economia dell’operazione preventivata, e la Torre Galfa (195659) di Melchiorre Bega, assurta alle cronache per un tentativo di uso autogestito, che da tempo dovrebbe essere sottoposto a recupero ma che langue nelle inerzie di un grave fallimento aziendale.
MONZA E BRIANZA L’Ordine degli Architetti PPC di Monza e Brianza ha accolto con molto interesse la richiesta di collaborazione fatta, lo scorso giugno 2013, dal MIBAC e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, per il progetto di ricerca “L’architettura in Lombardia dal 1945 ad oggi: selezione delle opere di rilevante interesse storico artistico”, ritenendo di grande importanza la diffusione della conoscenza del patrimonio architettonico presente sul territorio provinciale. Tanto più perché dell’edificato di più recente costruzione poco si sa, quanto sia e dove sia, non esistendo ad oggi un vero riconoscimento di tutte quelle personalità che con le loro opere abbiano saputo intervenire apportando nuove idee e nuovi stimoli nella realtà territoriale della Brianza. E mentre si conoscono le realizzazioni degli architetti di chiara fama, poco è dato di sapere di tutto quel costruito che dal dopoguerra in poi è stato il frutto del lavoro di professionisti locali “meno famosi” ma che, con la stessa passione e serietà per la disciplina dell’architettura, hanno
contribuito a tessere l’immagine dei nostri comuni. Da alcuni anni un gruppo di lavoro della Commissione Cultura-Università si è fatto carico di un progettoricerca, denominato “Guida dell’Architettura”, per l’individuazione di tutte le realizzazioni sia di edilizia pubblica che privata che abbiano in qualche modo aggiunto valore, dal punto di vista storico-culturale, ai differenti ambiti urbani e paesaggistici del territorio provinciale. La ricerca ha portato alla stesura di 84 schede identificative di edifici o complessi architettonici delle quali circa 40 sono state completate con un testo di commento all’opera. Una successiva selezione ha portato all’individuazione di 20 progetti tra i più significativi presenti in provincia. Sono questi ultimi a essere stati riportati nell’elenco della scheda redatta per “L’Architettura in Lombardia da 1945 ad oggi. Selezione delle opere di rilevante interesse storico-artistico”. Le realizzazioni segnalate spaziano dall’edilizia residenziale, sia pubblica che privata (Ina–Casa, ville, palazzine pluriplano), all’edilizia industriale, a
a cura di Maria Grazia Angiolini consigliere dell’Ordine
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32. Mario Asnago, Claudio Vender, scuola elementare (1935) con ampliamento (1959) e scuola media unificata (1964-68) a Barlassina. 33. Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, centro controllo RAI, parco della Villa Reale, Monza, 1954. 34. Luigi Caccia Dominioni, scuola di avviamento professionale e scuola media, Vimercate, 1955-60. 35. Luigi Caccia Dominioni, complesso parrocchiale di San Biagio, Monza, 1965-70. 36. Ernesto Griffini, Dario Montagni, edificio per abitazioni, Monza, 1967. 37. Angelo Mangiarotti, edificio per abitazioni, Monza, 1972.
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quella scolastica, alle chiese e complessi parrocchiali, fino ad altri edifici di uso pubblico come la Facoltà di Medicina e Chirurgia a Monza e l’ampliamento del Municipio di Limbiate. Autori di queste opere sono gli architetti: G. Ponti, con A. Fornaroli e A. Rosselli, M. Asnago e C. Vender, F. Drugman, L. Ricci A. Mangiarotti, I. Gardella, L. Caccia Dominioni, J. Dahinden, V. Magistretti e G. Aulenti, A. Rossi, M. Bellini, R. Gabetti e A. Isola, M. Botta, R. Dorigati, A. Citterio, V. Gregotti, G. Canella e M. Achilli. Si riporta di seguito un elenco di edifici tutt’ora utiliz-
zati e in discreto grado di conservazione che possono essere oggetto di progetti e interventi di restauro: scuola elementare, con ampliamento e scuola media unificata a Barlassina, di Mario Asnago e Claudio Vender; centro controllo RAI al parco della Villa Reale di Ponti, Fornaroli e Rosselli; scuola di avviamento professionale e scuola media a Vimercate e complesso parrocchiale di San Biagio di Luigi Caccia Dominioni; edificio per abitazioni a Monza di Ernesto Griffini e Dario Montagni; edificio per abitazioni a Monza di Angelo Mangiarotti.
PAVIA a cura di Vittorio Prina delegato dell’Ordine presso il Mibact
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Da anni (ormai decenni) mi occupo della ricerca di architetture dal Movimento Moderno al contemporaneo “nascoste” in Pavia e nella sua provincia con articoli, itinerari e un libro che nel 2003, per la prima volta, ha riunito le principali opere: Pavia Moderna. Architettura moderna in Pavia e Provincia
1925-1980 (ed. Cardano, Pavia). Penso che il libro stesso sia stato in parte base (pavese) della fondamentale opera di ricerca svolta per il Mibac relativamente alle opere del secondo Novecento in Lombardia dal 1945 ad oggi. Basta scorrere i nomi dei principali “Maestri” per
38. BBPR, villa Merlo, Vigevano, 1947. 39. Bruno Ravasi, allestimento della sezione del romanico (sale VII, VIII, X, XI), Castello Visconteo, Pavia, 1950-54. 40. Vittorio Gregotti, con G. Stoppino e L. Meneghetti, casa Sforza, Stradella, 1953. 41. Giovanni Muzio, chiesa della Madonna di Caravaggio, Pavia, 1956. Foto di Marco Introini. 42. Ottavio Bonomi, istituto religioso S. Teresa (ora pensionato universitario S. G. Bosco), Pavia, 1962. 43. Ottavio Bonomi, complesso residenziale Minerva, Pavia, 1966.
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rendersi conto del prezioso tesoro architettonico che si cela nelle provincie: Giuseppe Pagano, Giuseppe De Finetti, Carlo Mollino, Mario Ridolfi e Wolfgang Frankl, Ignazio Gardella, Gaetano Ciocca, Piero Bottoni, BBPR, Guglielmo Ulrich, Giovanni Muzio, Luciano Baldessari, Mario Asnago e Claudio Vender, Eugenio Faludi, Gio Ponti, Marco Zanuso, Luigi Caccia Dominioni, Gregotti-Meneghetti-Stoppino, Aldo Rossi, Giancarlo De Carlo, Studio Nizzoli, Eugenio Gentili Tedeschi, Vito e Gustavi Latis, Guido Canella, Antonio Monestiroli… Il lavoro di ricerca è ancora lungo e da completare con l’analisi di opere, ad esempio, di Antonio Cassi Ramelli, Vito e Gustavo Latis, Guglielmo Mozzoni e altri. Mi riallaccio ancora al termine decarliano di “qualità diffusa”, che ho già citato in precedenti scritti, per indicare che, unitamente all’opera dei Maestri, sono presenti architetture di progettisti meno conosciuti, ma di indubbia capacità, che hanno qualificato le città e il territorio della nostra provincia: Carlo Alberto Sacchi, Eliseo Mocchi, Carlo Morandotti, Giovanni Rota, Bruno Ravasi, Ottavio Bonomi, Duilio Chiandussi, Ernesto Aleati, Giuseppe Massari, Gianfranco Testa. Il mio lavoro di ricerca e studio finalizzato al completamento del quadro di opere fondamentali, al fine di colmare le inevitabili lacune e di protrarsi sino ai nostri giorni, prosegue con un programma di fascicoli-itinerari tematici, dedicati sia ai Maestri in generale che ai singoli progettisti. Fascicoli che studiosi, semplici appassionati o turisti, si possano infilare in tasca alla ricerca di percorsi dedicati all’architettura moderna e contemporanea lungo il territorio della nostra provincia. Il tema del restauro del moderno e del contemporaneo è fondamentale e troppo complesso da affrontare in poche righe. Di fatto ha ormai raggiunto un’urgenza, anche culturale, che assume la connotazione dell’emergenza: gran parte delle opere citate sono state, infatti, oggetto di scriteriati “restauri”, di trasformazioni che le rendono irriconoscibili, di abbandoni che hanno ormai trasformato alcune architetture allo stato di rudere.
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IL RESOCONTO DI TRE INCONTRI PROMOSSI DAGLI ORDINI E CONSULTA
Eventi formativi di Consulta: i lavori proseguono Proseguono, con grande riscontro di partecipazione e attesa da parte degli iscritti, gli eventi formativi degli Ordini messi a disposizione per il Piano Offerta Formativa di Consulta. A oltre nove mesi dall’inizio dell’obbligo formativo si fanno i primi bilanci e ci si rende conto di quanto lo strumento del webinar, erogato grazie alla Piattaforma di Consulta, sia stato di utilità per tutti gli Ordini, anche nella gestione delle grandi pressioni da parte degli iscritti per ottemperare all’obbligo introdotto dal 1 gennaio 2014. Fino ad ora, infatti, grazie al coordinamento regionale e alla cooperazione tra gli Ordini aderenti a Consulta, sono stati erogati oltre 50.000 crediti formativi a titolo gratuito solo sul Canale Consulta (e altri 40.000 verranno erogati entro fine anno, anche attraverso la sinergica collaborazione attivata mediante sottoscrizione di Convenzioni con altri enti, tra cui ANIT, SDA Bocconi, ACMA). Margherita Mojoli
Ripensare l’edilizia scolastica
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luoghi della crescita. Dall’edilizia scolastica agli spazi per l’apprendimento” è il titolo del convegno promosso dall’Ordine degli Architetti PPC di Bergamo insieme con la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti PPC, mirato ad intervenire nel confronto tra i soggetti che contribuiscono al disegno degli spazi educativi in cui si formano le nostre giovani generazioni. L’occasione è stata data dalla scelta del governo di ripensare al ruolo che la scuola può avere nella ripresa di competitività del nostro paese, con la creazione da parte del Consiglio dei Ministri di una Unità di Missione dedicata alla gestione di un fondo per il finanziamento della riqualifi-
cazione del patrimonio scolastico. Era da tempo che non si parlava di luoghi per l’educazione in termini propositivi e programmatici. Di questo ne è una prova la pubblicazione dell’indagine, decisamente desolante, del CENSIS sulla condizione del nostro patrimonio scolastico. Ricordiamo anche che è del 1975 l’ultimo decreto attuativo sui criteri di progettazione delle scuole che reca indicazioni oggi inattuali sui rapporti quantitativi tra studenti e superfici, senza entrare nel cuore delle relazioni che si intrecciano all’interno di questi luoghi. Da allora nulla più è stato ufficialmente detto sulle modalità di approccio progettuale al tema dell’edilizia scolastica. Ci è sembrato importante dare un quadro articolato di come, a nostro avviso, sia necessario affrontare ambiti di questa rilevanza nella convinzione che la partecipazione alla realizzazione delle opere pubbliche sia una grande responsabilità. Abbiamo voluto pensare a un’occasione per farci ascoltare, per poter spiegare perché in un disegno di questo tipo il ruolo di noi architetti ė determinante; vogliamo riportare il senso del “progetto” quale elemento centrale per la buona riuscita dell’opera, per far sì che questo interesse diventi l’occasione per lasciare un segno significativo nelle nostre città e nella formazione dei nostri ragazzi. Volendo citare una recente intervista ad Álvaro Siza: “l’architettura potrà essere agonistica se ci sarà l’opportunità (…); l’architettura (NdR: in Portogallo) è stata intesa come un servizio rivolto alla maggioranza delle persone e non a un principe. Questa condizione non è stata costante, a volte è rara e in questo momento c’è una scarsità di lavoro che non permette agli architetti quelle opportunità per fare con coscienza qualcosa di importante.” Come Ordini vorremmo che questa opportunità venisse colta e tradotta in vero stimolo e grande segnale di un sistema che cambia, un sistema che sfrutta queste occasioni per costruire segni positivi sulla città e nella vita della nostra comunità. Abbiamo così intrecciato profili e contributi diversi, abbiamo invitato chi ha potuto raccontare esperienze importanti dentro e fuori dal nostro paese. Il quadro che è emerso crediamo si possa riassumere in una semplice considerazione: i casi stranieri che gli stessi relatori hanno descritto, l’architetto Teresa Heitor (vicedirettore del Programma di Modernizzazione della Scuola Secondaria in Portogallo) e l’architetto Hendrik Sauter (dirigente della municipalità di Berna, responsabile del programma di recupero e ristrutturazione del comprensorio della città di Berna), tracciano un processo strutturale che, al di là dell’interesse indubbio delle singole realizzazioni, disegna un quadro di rin-
Speciale Lombardia novamento su larga scala; i casi virtuosi realizzati in Italia, analizzati dall’architetto Carlo Cappai (Studio C+S) e dall’architetto Tomas Ghisellini, costituiscono casi isolati, ancorché ricchissimi di stimoli, legati spesso ad una committenza anche pubblica e illuminata. Sono spesso solo le amministrazioni sensibili che costruiscono intorno a un’opera scolastica un approfondimento necessario, anche sotto il profilo pedagogico, degli spazi per la didattica e che sono consapevoli dell’importanza di far crescere i nostri figli in spazi di qualità, spazi che possano stimolare e indurre anche, e soprattutto, una crescita culturale. In questo senso gli studi della dottoressa Beate Weyland (ricercatore in Didattica e Pedagogia Speciale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano), che hanno messo in luce quanto sia indispensabile
Il contenimento del consumo di suolo
È del 1975 l’ultimo decreto sui criteri di progettazione delle scuole che reca indicazioni oggi inattuali. affrontare queste opere con maturità e consapevolezza, sono stati molto apprezzati. Vorremmo che la qualità degli spazi della vita di tutti fosse un chiaro obiettivo e che i meccanismi descritti per arrivarvi potessero essere acquisiti anche da noi. A questo fine abbiamo avuto il piacere di avere tra i relatori il professor Roberto Balzani (componente dell’Unità di Missione per l’edilizia scolastica della Presidenza del Consiglio dei Ministri) il quale con accuratezza ha descritto i termini del lavoro che l’Unità si appresta ad attivare. Balzani ha voluto ascoltare con attenzione i relatori e in particolare l’invito del presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, l’architetto Leopoldo Freyrie, a sfruttare anche in questa fase di programmazione le competenze della categoria. Ci si augura che la giornata, ricca di stimoli, possa aver raggiunto gli scopi per la quale è stata pensata. Marcella Datei vicepresidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Bergamo Evento formativo promosso dall’Ordine di Bergamo e Consulta I luoghi della crescita. Dall’edilizia scolastica agli spazi per l’apprendimento Bergamo, 19 giugno 2014
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n vista dell’approvazione delle modifiche alla LR 12/2005 da parte della Regione Lombardia, prosegue il dibattito sulla limitazione del consumo del suolo. Lo scorso 7 Luglio si è tenuto a Monza un seminario organizzato da ANCI Lombardia che ha visto la partecipazione e il coinvolgimento sia di politici e tecnici, sia di esponenti del settore imprenditoriale, dell’ambientalismo e del mondo delle professioni, rappresentato qui dagli architetti. In linea generale l’argomento della riduzione del consumo di suolo è ormai ampiamente condiviso (in Regione sono stati presentati diversi PdL), tuttavia sono emerse varie visioni da parte degli operatori. ANCI sostiene che il tema debba essere trattato in una più estesa revisione della LR 12/05 e che debba affrontare la questione dei rapporti tra i diversi livelli istituzionali, evitando procedure gerarchiche “a cascata”, optando invece sulle “responsabilità” delle autonomie locali. A tal fine, pur richiamando il concetto di autonomia, è stata evidenziata l’opportunità di una programmazione d’area vasta ove gli enti, in forma associata, siano disponibili a ridurre il fenomeno della “reiterazione e polverizzazione” dei Piani, causato dall’alto numero di piccoli Comuni. Si è riaffermata l’esigenza di norme semplificate e più efficaci, esprimendo alcune criticità sulle
regole proposte inerenti alla compensazione, la perequazione e la rigenerazione. Gli amministratori intervenuti hanno affermato che i Comuni devono mantenere la capacità di programmare e pianificare, ma che occorrono norme d’immediata applicazione in grado di favorire, in progressione, sia la riduzione del consumo di suolo sia il recupero del patrimonio esistente e degli “spazi residui”. La Regione, nella figura dell’Assessore Viviana Beccalossi, ha evidenziato come la Lombardia, quale prima regione agricola nazionale, richieda un elevato bisogno di suolo coltivabile, ma ha anche sottolineato come i PGT prevedano un consumo di “ca. 500 milioni di mq per un milione ca. di nuovi abitanti previsti” e perciò “la Giunta si è volutamente attivata in anteprima senza attendere iniziative nazionali”. Gli esperti e consulenti hanno specificato come, rispetto al passato, il ruolo strategico delle zone agricole e il concetto
Gli architetti hanno ribadito la necessità di norme sintetiche, chiare, con tempi rapidi e certi di applicazione.
di “chi inquina paga” siano già espressi nell’attuale LR 12/05, e che il consumo del suolo non sia solo un aspetto “normativo”, ma soprattutto di natura fisico-ambientale, comportante un diverso modo di pianificare. Hanno inoltre evidenziato alcuni elementi di potenziale criticità, ad esempio sul metodo d’applicazione delle compensazioni, le cui concentrazioni quantitative possono far perdere l’obiettivo pubblico, o sulla definizione, l’utilizzo e la valorizzazione di suolo libero all’interno degli spazi già urbanizzati da rigenerare. L’intervento di ANCE Lombardia, pur concordando sulla necessità della conservazione della risorsa “suolo”, ha ribadito il mantenimento dei diritti acquisiti degli operatori rilevando come ora sia “quasi impossibile”, per cause strumentali o burocratiche, agire sistematicamente sul costruito e ha auspicato una differenziazione tipologica dei suoli inedificati per poter almeno intervenire su aree non agro-produttive o prive di valenza ambientale. Gli architetti, sottolineando come non si possa più proseguire così come fatto finora, perché “è necessario l’uso e non lo spreco di suolo, costruendo la città nella città”, hanno menzionato la necessità di una regolamentazione dell’uso del suolo e hanno citato il proprio impegno attivato già da anni a livello nazionale con il programma Ri.U.So. per la revisione di leggi e norme sulla rigenerazione urbana, vista quale vero tema del rinnovamento competitivo di parti di città, sia in termini energetici, qualitativi, paesaggistici, che di utilizzo del territorio. Mentre a livello regionale sul tema del contenimento hanno ribadito una revisione della LR 12/05 con la necessità di norme sintetiche, chiare, con tempi rapidi e certi di applicazione. L’intervento di Legambiente ha rilevato come anche la Regione nel passato abbia contribuito a un elevato consumo di suolo, poiché l’aver seguito e sostenuto il modello della mobilità privata ha portato a una notevole infrastrutturazione, favorendo così il fenomeno dello sprawl. È stato evidenziato come tale modello, per motivi energetico–strutturali, sia ormai superato: è la città consolidata il soggetto a cui apportare iniziative d’intervento. Augusto Colombo architetto iscritto all’Ordine degli Architetti PPC di Lecco Intervento di Consulta al Convegno Promosso da Anci Lombardia Contenimento del consumo di suolo e revisione L.R. 12/2005. Obiettivi e percorsi amministrativi da condividere Monza, 7 luglio 2014
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Efficienza energetica e soluzioni impiantistiche innovative per l’edilizia
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l corso “Efficienza energetica e soluzioni impiantistiche innovative per l’edilizia”, svoltosi lo scorso 22 luglio, organizzato dall’Ordine degli APPC di Como per il Piano Offerta Formativa di Consulta, in collaborazione col Dipartimento ABC del Politecnico di Milano, ha affrontato una panoramica sul quadro normativo vigente e sulle peculiarità che contraddistinguono gli edifici a “energia quasi zero”, entrando nel dettaglio delle strategie che possono essere adottate già in fase preliminare per una progettazione energeticamente efficiente, sia dal punto di vista dell’ottimizzazione dell’involucro edilizio, sia mediante l’integrazione di impianti tecnologici ad alta efficienza e alimentati mediante l’uso di fonti energetiche rinnovabili, citando ed analizzando anche alcuni esempi realizzati. L'obiettivo prefissato era la sensibilizzazione alla problematica dell’efficienza energetica, nell'ottica di indirizzare gli iscritti verso una progettazione consapevole degli edifici. Ulteriore obiettivo è stato contribuire alla definizione di soluzioni regolamentari, tecnico-impiantistiche e linee guida per la progettazione, alla luce dei vincoli normativi e dei requisiti di cost-optimality. Il corso, della durata di otto ore (primo esperimento di questa tipologia formativa inserito nel POF di Consulta) è stato suddiviso in due momenti distinti nel corso della stessa giornata: durante le prime quattro ore il prof. Niccolò Aste (architetto) e il ricercatore Claudio Del Pero (ingegnere) hanno affrontato le tematiche energetiche partendo da un excursus normativo ed elencando le principali criticità rispetto alla stato dell’arte nella progettazione oggi, e le possibili azioni innovative apportabili per indirizzare il settore edile verso quella che viene definita “NZEB” ovvero Net Zero Energy Buildings. Nella seconda parte del corso, con l’ing. Mario Maistrello e l’arch. Manlio Mazzon, si sono toccati argomenti di carattere più tecnico, affrontando anche le questioni impiantistiche nel dettaglio. In particolare Niccolò Aste ha più volte sottolineato come la “questione energetica” nel suo complesso, debba essere correttamente trattata dall’architetto professionista, e non, come spesso avviene oggi, demandata a “materia da termotecnico o impiantista”. La progettazione deve tornare ad essere funzionale anche alla performance complessiva dell’edificio, quindi studiata ed integrata con la parte compositiva. Oc-
corre che il progettista abbia competenze sufficienti per valutare le diverse tematiche energetiche e sapere affrontare le scelte più corrette; occorre che le sappia “controllare”, non che le subisca come condizioni “a contorno”. È da questo importante concetto che si arriva a definire quello che è fondamentale per un corretto approccio al tema dell’efficienza, ovvero il “progetto integrato”. La necessità di tornare a considerare semplici regole alla base di una corretta progettazione sin dalle fasi preliminari (cosa peraltro ben nota ai grandi maestri di architettura), come una corretta esposizione e le esigenze effettive degli utenti in base alla funzione e l’analisi della latitudine a cui si sta intervenendo, porta i professionisti a dover riflettere su come sia necessario ripartire da semplici regole di buona prassi per potere ottenere edifici performanti dal punto di vista energetico. Troppo spesso, per fare un esempio, ci troviamo di fronte a edifici moderni che, nel tentativo di diventare espressione di un linguaggio considerato contemporaneo (le grandi facciate vetrate), divengono complessi energivori sui quali è necessario intervenire a posteriori per renderli vivibili (si pensi al raffrescamento estivo, fondamentale anche alle nostre latitudini quanto il riscaldamento invernale, ma spesso trascurato in fase progettuale). La nostra normativa regionale, attraverso lo strumento della Certificazione Energetica, con software basato, sin dalla sua ideazione, sugli aspetti legati alle performance dell’edificio nella stagione fredda, non aiuta il progettista ad affrontare correttamente il tema del raffrescamento estivo. Il paradosso di un edificio in Classe A in regione Lombardia, magari con ampie superfici vetrate “alla moda” e impianti di riscaldamento performanti, ma che necessariamente deve disperdere grandi quantità di energia per il raffrescamento estivo, è purtroppo all’ordine del giorno. Le analisi di settore ormai da anni fanno emergere che le attività antropiche sull’ambiente sono quelle che creano le problematiche più grandi di innalzamento del livello di CO2 con il conseguente aumento delle temperature globali del pianeta, e che il tessuto residenziale e terziario insieme (la stragrande maggioranza dell’oggetto della nostra progettazione) contribuiscono in modo rilevante sugli alti consumi ancora in essere.
Speciale Lombardia La media nazionale del tessuto residenziale (che tiene conto anche degli edifici ubicati in regioni dove di fatto l’impianto di riscaldamento invernale non è previsto o necessario e quindi non è realizzato) prevede un consumo medio annuo di 110 kWh/mq per il fabbisogno energetico invernale, 30 kWh/mq annuo per ACS, 40 kWhmq annuo per gli altri usi elettrici e circa 60 kWh/ mq annuo per il raffrescamento; tutto questo, con le dovute semplificazioni, porta a dire che ogni metro quadro di edificato, allo stato dell’arte, produce circa 70 kg all’anno di CO2. Se si considerano edifici progettati secondo le tecniche energetiche contemporanee (come l’attenzione al trattamento dell’involucro e l’impianto termico performante) si arriva a ridurre di un quarto il fabbisogno energetico sia per il riscaldamento invernale che per i consumi elettrici, che per il raffrescamento. La normativa di riferimento, dai primi anni duemila in continua evoluzione, anche per ottemperare alle Direttive della Comunità Europea, porta il progettista a confrontarsi necessariamente con le tematiche energetiche, sin dalle fasi preliminari della progettazione. Nel 2011 il Decreto Romani n. 28 chiarisce quale sia la strada intrapresa anche in Italia per arrivare a progettare, nel 2020, “edifici a consumo quasi zero” e stabilisce che i nuovi edifici e le ristrutturazioni rilevanti debbano fornire una frazione di energia per il fabbisogno attraverso fonti energetiche rinnovabili (da reperire in prossimità dell'edificio), a partire da un minimo del 20% del fabbisogno energetico (2011), al 35% (2014), in crescita fino appunto all’ “energia zero” (come bilancio del sistema edificio-impianto tra l'energia in entrata e la dispersione in uscita). Nell'applicazione agli edifici, in Lombardia, escludiamo l'eolico, il moto ondoso e spes-
so (salvo alcuni casi) le biomasse (sono fonti energetiche rinnovabili tutte quelle “non fossili”). Quindi i temi su cui si deve concentrare l’attenzione sono la geotermia a bassa entalpia e lo sfruttamento dell’energia solare (presente in quantità sufficiente per garantire le prestazioni energetiche necessarie ad effettuare impianti efficienti dal punto di vista energetico). Il 90% delle soluzioni impiantistiche innovative alle nostre latitudini, e in particolare nella nostra regione, si “limitano” a prevedere l’utilizzo di impianti fotovoltaici e/o di collettori solari. Lo stato di fatto in Italia di queste due tecnologie (sia da un punto di vista tecnico che di analisi costi/benefici) non rappresenta più un’avanguardia da rincorrere faticosamente, ma di fatto è “alla portata di tutti”, anche in assenza di incentivi/detrazioni. Anche alla luce di tutte queste considerazioni è logico pensare che le soluzioni impiantistiche usate fino ad ora non siano più spendibili (sia nel rispetto della normativa, sia nel garantire standard di comfort adeguati). Un altro passo importante in termini di “questioni energetiche” è il Regolamento 244/2012 (da Direttiva Europea in recepimento), che non solo obbliga a garantire gli obiettivi per arrivare a “energia quasi zero”, ma impone anche un'analisi costi-benefici per garantire che la soluzione che il progettista propone al committente sia quella ottimale. Il concetto estremo di passive house, infatti, non è detto che sia in tutti i casi la soluzione ottimale, perchè quando ci si spinge oltre un certo livello di efficienza, il beneficio che si ottiene può essere sproporzionato rispetto ai costi dell’investimento (quindi non ottimale per l’investitore). Chi si accinge ad “abbracciare” il mondo dell’efficienza energetica oggi, quindi, si confronta con una tecnologia ormai nota
(per esempio quella legata allo sfruttamento dell’energia solare per la produzione di energia elettrica), integrabile anche negli aspetti compositivi, ma è importante che affronti correttamente una serie di questioni quali quelle di carattere strutturale, economico, quelle riguardanti le superfici da dedicare, le esposizione corrette, l’irraggiamento complessivo dell'area geografica, gli spazi a disposizione, ecc. La fattibilità per arrivare ai parametri previsti per il rispetto della normativa c'è ed è sufficiente, come già richiamato, utilizzare questo tipo di tecnologie legate allo sfruttamento dell’energia solare e avere accortezze nella trattazione dell'involucro. Da un punto di vista economico i grandi investimenti dello Stato negli anni scorsi, per esempio in termini di incentivi sul fotovoltaico, hanno prodotto sul mercato la calmierazione dei prezzi per questa tipologia di soluzioni, quindi anche da questo punto di vista l’investimento iniziale ha un “ritorno economico” in breve tempo (rispetto al periodo di via medio del sistema). Nel corso della parte finale della giornata sono state brevemente illustrate anche le principali novità a cui la progettazione energetica efficiente andrà incontro. La nuova frontiera sarà lo sviluppo di tecnologie finalizzate alla possibilità di accumulo dell’energia solare (non attualmente prevista nell’utilizzo per esempio del fotovoltaico) quando non la si utilizza, per poi approvvigionarsi dalla stessa, autoprodotta, quando se ne ha necessità: il futuro! L’incontro si è concluso con un interessante dibattito tra i docenti e i corsisti, dove è emersa da un lato la ancora scarsa conoscenza di soluzioni impiantistiche innovative e ottimali energeticamente, ma dall’altro la volontà e la comprensione del fatto che “non ci sia più tempo” per rimandare un cambio di strada. La progettazione efficiente energeticamente e gli “edifici ad energia (quasi) zero” sono, oltre che un dovere, un diritto per tutti. Si ringrazia la professionalità, la disponibilità e non da ultimo, ovviamente, le competenze dei relatori del Dipartimento ABC del Politecnico di Milano, che hanno sempre la capacità di rendere accattivanti anche argomenti ostici per gli iscritti. Margherita Mojoli consigliere dell’Ordine degli Architetti PPC di Como, coordinatore Gruppo di Lavoro Aggiornamento e Sviluppo Professionale Continuo di Consulta Evento formativo promosso dall’Ordine di Como e Consulta Efficienza energetica e soluzioni impiantistiche innovative per l’edilizia Como, 22 luglio 2014
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progetti di architettura
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IL NUOVO PAC, UGUALE E DIVERSO
Nel 1993, di fronte al problema della ricostruzione del PAC, distrutto da un attentato, ha prevalso la decisione di una restituzione puntuale dell’originale, pur sapendo che sarebbe stata una realizzazione inevitabilmente diversa, sebbene il più possibile rispettosa. milano
IGNAZIO E JACOPO GARDELLA RICOSTRUZIONE DEL PADIGLIONE D’ARTE CONTEMPORANEA DELLA GALLERIA D’ARTE MODERNA (PAC), MILANO Dopo la distruzione terroristica avvenuta venti anni fa, messi di fronte al problema della ricostruzione e di come attuarla, i pareri si dividono in due direzioni opposte: i favorevoli alla ricostruzione ed i contrari. Alcuni sostengono la necessità di rifare il Padiglione identico al precedente; altri non vogliono perdere la opportunità di progettare un padiglione interamente nuovo. È merito di Philippe Daverio, Assessore alla cultura dell’allora amministrazione Formentini, se in Giunta Comunale prevale la decisione di ricostruire integralmente e fedelmente il precedente Padiglione, potendo anche contare sull’aiuto di consistenti finanziamenti privati, tra i maggiori dei quali vanno ricordati quello
dell’Impresa Morganti e soprattutto quello della società Esselunga. Il progettista del Padiglione, l’architetto Ignazio Gardella, sa perfettamente che la ricostruzione “come era dove era” è una illusione; sa che molti materiali edili usati una volta oggi non sono più reperibili; sa che la nuova mano d’opera non è altrettanto competente quanto la vecchia; sa che la accelerata innovazione di impianti tecnici un tempo ignoti ora richiede modifiche e aggiunte murarie non facilmente occultabili; sa, infine, che nuove norme di sicurezza e di superamento delle barriere architettoniche obbligano ad introdurre nell’interno dell’edificio opere invadenti e non previste.
Fronte verso il Parco prima della distruzione. Il fronte non subisce nessuna variazione sebbene sia stata difficoltosa la fornitura del rivestimento in piastrelle smaltate posate sopra la vetrata: non essendo più in produzione piastrelle delle stesse dimensioni è stato necessario farle riprodurre espressamente.
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Pianta del piano terra e schizzo di studio.
Il progettista tuttavia non si scoraggia: è già preparato a considerare il restauro non tanto una restituzione fedele e puntuale dell’originale, quanto una realizzazione inevitabilmente diversa dall’originale, sebbene il più possibile rispettosa. È necessario e sufficiente tuttavia stabilire i limiti di tale diversità, i confini entro i quali il risultato può essere ancora accettabile; con la pena, altrimenti, di compiere un travisamento dell’opera genuina, e un suo inaccettabile tradimento. Attenendosi a questi limiti e rispettando questi confini, pur sapendoli facili da enunciare ma difficili da definire, la ricostruzione viene iniziata con fiducia e portata a termine con rapidità. Il merito va riconosciuto all’impresa I.M.G. dell’ing. De Adamich, succeduta all’impresa Morganti nelle opere di finitura e di dettaglio costruttivo. Durante il corso dei lavori non sono mancati tuttavia momenti di incertezza e di angoscia: il più drammatico dei quali, perché lesivo di un particolare pregio dell’edificio da tutti riconosciuto, era il pericolo di dover alterare 34
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Scheda tecnica Progetto: Ignazio Gardella (1947-54); Ignazio e Jacopo Gardella (1993-96)
Capriate dopo la distruzione. La distruzione dell’intero edificio non è stata causata dallo scoppio circoscritto dell’ordigno esplosivo, quanto dal collasso della intera struttura in ferro, in seguito alla fusione di un solo pilastro causata dal calore e per effetto del cedimento di una singola campata, che ha provocato il cedimento di tutte le altre a quella collegate. Non era stata, infatti, prevista, nel calcolo della struttura metallica, la posa di tiranti e di controventature che impedissero l’effetto, per altro del tutto imprevedibile, della fusione di un solo elemento portante e del successivo crollo di tutta la struttura trascinata in rovina da quell’elemento.
la lunga vetrata orizzontale aperta con pochissime interruzioni sulla vista del parco. Pericolo grande perché implicava l’intrusione di un giunto verticale in mezzo a ciascuna delle lastre di cristallo componenti la vetrata, e comportava la conseguente frammentazione in più specchiature della veduta panoramica aperta sul verde. La macchina che esegue la bordatura e sigillatura delle lastre abbinate e sovrapposte, come richiesto dalle norme termiche, può essere applicata soltanto a lastre di dimensioni sensibilmente minori di quelle originali. Si è perciò costretti a dimezzare queste ultime, raddoppiare i ritti verticali, differenziarli dai montanti esistenti, alterare il ritmo e la scansione della intera vetrata. Sarebbe stata la negazione del sottile apprezzamento espresso dal critico Giulio Carlo Argan il quale aveva acutamente colto la singolarità e la novità del panorama visto attraverso la vetrata continua e lo aveva paragonato a un paesaggio giapponese dipinto su
L’edificio distrutto visto dalla strada.
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Pianta a quota +4.20.
Due particolari costruttivi.
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Soffitto della Sala affacciata sul Parco (prima della distruzione).
Soffitto della Sala affacciata sul Parco (dopo la ricostruzione). Nel soffitto originariamente continuo, intatto e privo di accessori, si sono poi dovute introdurre le bocchette di aerazione e i binari dei faretti.
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di un lungo papiro interamente srotolato e privo di interruzioni. Il pericolo viene superato ricorrendo ad un coraggioso intervento artigianale: sigillando infatti, non a macchina, ma a mano, due lastre sovrapposte si riesce a mantenerle di larghezza esattamente pari a quella iniziale, e a non scomporre la vetrata in un numero di specchiature doppio di quello progettato. Beffa amara per una civiltà fiera della perfezione tecnologica e orgogliosa della industrializzazione avanzata; scorno bruciante per quanti devono ammettere che la nuda mano dell’uomo è capace di superare il sofisticato apparecchio meccanico. Si deve riconoscere che la riapertura del Padiglione, non identico a quello di prima ma altrettanto luminoso e accogliente, è merito di numerosi soggetti, tutti volonterosi e determinati: vanno ricordati i cittadini
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milanesi desiderosi di veder rivivere l’edificio da loro quotidianamente frequentato; i generosi sostenitori privati disposti a elargire ingenti finanziamenti; la Amministrazione Comunale rimasta ferma nel proposito di una ricostruzione la più possibile fedele; gli artigiani e i loro operai pronti a sostenere maggiori costi e maggiore fatica per eseguire un lavoro interamente manuale pur di assicurare il successo finale dell’opera; i costruttori impegnati con passione a ottenere i migliori risultati possibili; e, infine, il progettista disposto ad introdurre modifiche e varianti al proprio progetto là dove ciò si presentava necessario e opportuno. La ricostruzione del Padiglione è un esempio di impegno collettivo, di sforzo comune, di solidarietà generale, offerta con entusiasmo e disinteresse. Jacopo Gardella
Vetrata sul Parco (dopo la ricostruzione). La vetrata è composta da grandi lastre di cristallo posate tra un montante e l’altro della struttura metallica portante. Le norme termiche obbligano a sostituire le lastre semplici con doppie lastre sovrapposte; ma la macchina di saldatura e sigillatura delle lastre non poteva essere utilizzata se le lastre avessero mantenuto la eccezionale dimensione originale. Si profilava perciò il pericolo, in seguito superato, di dover dimezzare le lastre originali inserendo a metà della loro lunghezza un giunto di collegamento: la vetrata avrebbe perso il ritmo ampio e grandioso che ne fa un elemento di pregio dell’edificio.
Ballatoio e ringhiera (prima della distruzione e dopo la ricostruzione). Nella versione originale era prevista una sola bacchetta tra i montanti della ringhiera; nella versione ricostruita le bacchette, per ottemperare a norme di sicurezza, sono diventate tre.
Gradini tra piano terreno e piano rialzato (prima della distruzione) e rampa inclinata (dopo la ricostruzione). Il dislivello tra i due piani rappresentava una barriera architettonica da eliminare; in seguito essa viene superata sostituendo i gradini con una rampa inclinata.
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professione | concorsi
RECUPERO DI AREE URBANE DISMESSE O DA VALORIZZARE
Dei concorsi qui considerati, un paio di essi ha avuto come tema il recupero di aree industriali dismesse, da riconsiderare per creare anche nuove centralità urbane e determinare spazi pubblici di connessione tra diversi nuclei originari. Il concorso di Erba è stato bandito dal Comune e ha previsto la creazione di una piazza, oltre che la realizzazione di edificio polifunzionale, da attuarsi anche con il recupero di un vecchio edificio di archeologia industriale e di altri manufatti. Il concorso di Seriate, di iniziativa
privata, è stato emesso dalla società proprietaria del sito e con il coinvolgimento dell’Ordine degli Architetti PPC di Bergamo. È stato concepito secondo criteri di razionale attenzione alle esigenze di chiarezza e di concretezza dei partecipanti. Era articolato in due fasi: la prima in forma anonima era da svolgersi interamente via internet, senza consegne cartacee; la giuria e la segreteria organizzativa avevano garantito di attuare tutte le procedure tese al mantenimento dell’anonimato delle proposte concorrenti. Alla seconda fase in
RIDISEGNO DI VIA FIUME A ERBA (COMO) MAGGIO - NOVEMBRE 2013
Obiettivo di progetto è la riqualificazione urbanistica dell’ambito di trasformazione di via Fiume, attraverso un radicale ridisegno urbano delle aree produttive dismesse. Le opportunità e potenzialità di trasformazione che si possono presentare, devono creare una nuova centralità urbana, inserendosi nel più ampio disegno di politica urbanistica declinato dal PGT. Obiettivi più specifici sono la creazione di una piazza pubblica sulla via Fiume; l’individuazione di percorsi pedonali, ciclabili e carrai; la realizzazione di un edificio polifunzionale per attività culturali, eventualmente recuperando l’edificio di archeologia industriale sito nell’area ex Gasfire; la conservazione della ex cabina Enel; la progettazione di un sistema unitario di verde pubblico (cintura verde) tra il tessuto edificato esistente ed i fabbricati in progetto; lo sviluppo del tema dell’acqua; la previsione di parcheggi pubblici interrati o autosilos. I progetti selezionati dal bando potranno costituire la base di riferimento per un successivo programma integrato di intervento da parte di privati. Banditore: Comune di Erba (Como) Giuria: Massimiliano Lippi, Gianluigi Pescialli, Daniela Rigamonti, Maria Cristina Treu, Adalberto Del Bo, Franco Gerosa, Erminia Gariboldi
1° classificato ex aequo Giacomo Ortalli (Canzo - Como) - Ortalli & Verrier architects, Virginia Ortalli, studioWOK Collaboratori: Luca Pietro Gattoni, Luca Arnaboldi, Stefano Rigamonti, Federico Demolfetta
Premi: 5.000 euro (ai tre vincitori ex aequo)
1° classificato ex aequo Marco Castelletti (Erba - Como), Corrado Tagliabue, Valeria D’Amico
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1° classificato ex aequo Sergio Dinale, Paola Rigonat Hugues: Studio D:RH arch. ass. (Venezia - Como), Enrico Robazza con Carlo Pavan, Nicola Pavan
forma palese, sono stati ammessi più concorrenti, rispetto ai soli 5 previsti inizialmente. C’è poi la speranza che lo sviluppo dell’iniziativa veda il coinvolgimento dei progettisti vincitori per la redazione del futuro piano attuativo e per la realizzazione delle opere. Interessante anche il tema specificamente proposto e evidenziato nel titolo, riferito al “riuso” della struttura e non semplicemente a una generica riconversione delle aree. Infatti l’espressione di questo principio aveva l’intento di indurre i progetti a perseguire la salvaguardia della memoria
dei siti e delle lavorazioni industriali e eventualmente a mantenere, nella riqualificazione architettonica, porzioni delle strutture e dei volumi originari, come modelli morfologici e stilistici di riferimento. Il concorso di Monticello è stato ugualmente bandito ponendo come tema di progetto la valorizzazione di un patrimonio immobiliare esistente, costituito dalla Villa Greppi, con granaio, scuderie, portineria, il compendio di Casate Vecchio e il parco. L’iniziativa è stata curata da un Consorzio, costituito da 15 Comuni e due Province,
che è centro di produzione e diffusione di cultura, formazione, arte, spettacolo. L’obiettivo perseguito è stato il ripristino e il riutilizzo pubblico, anche con un’eventuale presenza di attività private. Si è infine concluso per iniziativa privata anche un altro concorso, la trasformazione di un’area di Paderno Dugnano, organizzato dalla società Mhs Mechanica Holding & Services, con la collaborazione della Fondazione Politecnico di Milano. Ai partecipanti non è stata però consentita la divulgazione dei progetti. Roberto Gamba
“VIVERE VILLA GREPPI” A MONTICELLO BRIANZA (LECCO) MARZO - NOVEMBRE 2013
Il concorso intende promuovere l’ideazione e l’individuazione di funzioni e servizi che possano essere inseriti all’interno degli spazi di proprietà del Consorzio Villa Greppi, in modo da garantire la sopravvivenza, il ripristino e l’utilizzo del patrimonio immobiliare, in un’ottica di sostenibilità non solo dell’investimento iniziale, ma anche e soprattutto della sostenibilità nel tempo; mantenendo un utilizzo pubblico, anche se non esclusivo. L’eventuale presenza di attività private dovrà interagire e dialogare con le attività del Consorzio. Non va sottovalutata nella definizione degli spazi, delle funzioni, del loro uso, l’utilizzo di tecnologie di ultima generazione. Banditore: Consorzio Brianteo Villa Greppi di Monticello Brianza (Lecco) Promotori: Ordini degli Architetti PPC e degli Ingegneri delle Province di Como, Lecco e Monza e Brianza Giuria: Laura Malighetti, Piergiorgio Borgonovo, Luciano Crespi, Gianluigi Meroni, Alessandra Guanziroli, Luisella Garlati, Guido De Novellis, Serenella Corbetta
1° classificato Michele Stillittano (Correzzana - Monza e Brianza), Barbara Croce, Alessandro Carelli, Gabriele Corbetta Collaboratori: Enrique Mateos Serrano, Giulia Mondolfi, Daniele Capoluongo, Francesco Stillittano
Premi: 10.000, 4.000, 2.000 euro (primo, secondo, terzo classificato)
3° classificato Mario Redaelli (Lecco), Angelo Carra, Federica Riva, Daniele Melesi, Sergio Umberto Pirolo, Gemma Mauri, Andrea Melesi, Massimiliano Casati, Elio Stefanoni, Luca Sangiorgio, Barbara Casati, Maria Michela, Giuditta Melesi, Paolo Piccinini, Paolo Crippa, Luca Achille Cattaneo, Pier Paolo Ranno, Marco Ghezzi 2° classificato Silvia Beretta (Monza e Brianza), Stefan Kastner, Rossella Moioli
MASTERPLAN PER L’EX AREA INDUSTRIALE MAZZOLENI A SERIATE (BERGAMO)
1° classificato Simone Solinas - SSA Architects (Siviglia, Sassari, Cagliari), Salvatore Mario Carboni, Romina Marvaldi, Daniela Mureddu Collaboratori: Walter Cuccuru, Alina Desole, Bianca Maria Giorno, Simone Langiu, Francesca Oggiano
MARZO - DICEMBRE 2013
Il concorso di progettazione “Riuso Mazzoleni” ha richiesto l’elaborazione a livello di masterplan del progetto di riconversione del sito industriale di via Marconi di proprietà della società Mazzoleni. Il sito, con una superficie territoriale di 32.340 mq, ha subìto un processo di dismissione durato anni e conclusosi al termine del 2012. Banditore: Mazzoleni s.p.a. - Bergamo, con l’Ordine degli Architetti PPC di Bergamo Giuria: Mauro Galantino, Giovanni Pagnoncelli, Simona Viganò, Maria Rosa Ronzoni, Remo Capitanio
2° classificato Paolo Belloni - PBEB Architetti (Bergamo), Angelo Colleoni Collaboratori: Elena Brazis, Michele Todaro, Marco Carrara, Stefano Rolla, Michele Zambetti, Paolo Sterni, Giulio Spiranelli
Premi: 15.000, 5.000 euro (primo classificato, 5 finalisti)
4° classificato ex aequo Marino La Torre (Pescara) 4° classificato ex aequo Andrea Grimaldi (Roma) Menzione Giacomo Gajano Saffi Menzione Remo Dorigati - Oda Associati, Giorgio Via, Giancarlo Casubolo, Luca Colombi, Francesco Fuoco, Chiara Dorigati, Anna Magrini, Daniela Besana, Claudio Valsecchi, Oliviero Godi, Anna Brizzi, Luca De Santis, Area.22f
3° classificato ex aequo Roberto Cosenza (Milano), Emilio Caravatti, Matteo Caravatti Collaboratori: Danko Linder, Anna Laura Jeschke, Matteo Clementi, Matteo Bosetti, Massimiliano Filoramo
Menzione Antonio Serra, Diego Polese, Giovanni Oliva Menzione Studio Castiglioni & Nardi, Luca Compri Menzione Marco Castelletti
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3° classificato ex aequo Fabio Cibinel, Roberto Laurenti, Giorgio Martocchia: Modostudio arch. ass. (Roma), Dori Fodi, Mariola Blas Gonzales, Clara Varga Fernandez-Carnicero
professione
LA CORTE DI CASSAZIONE APRE UNA NUOVA PROSPETTIVA
LA NULLITÀ DEGLI ATTI DI TRASFERIMENTO DI IMMOBILI IRREGOLARI Come spesso accade, anche su questo tema si assiste alla revisione di un consolidato orientamento che si pensava definitivo
L’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 stabilisce al secondo comma che “gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (… ) relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria (… ) ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda”. In passato era stato ritenuto che la nullità prevista da questa disposizione non operasse nel caso in cui, in presenza della dichiarazione richiesta dalla norma, l’immobile fosse stato sì eseguito sulla base del titolo abilitativo indicato nel contratto, ma fosse risultato difforme dal progetto con esso approvato. La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23591 del 17 ottobre 2013, ha deciso di discostarsi da questo orientamento, e ha dichiarato nullo il contratto preliminare di compravendita di un appartamento eseguito in difformità
Prima di stipulare il contratto preliminare di un immobile è bene che si verifichi che sia stato eseguito in forza di un titolo abilitativo edilizio e che sia stato realizzato in piena conformità al progetto con esso approvato
da una licenza edilizia regolarmente rilasciata e puntualmente richiamata nell’atto. I giudici sono pervenuti a questa determinazione sia in base a considerazioni logiche, sia tenendo conto della stessa formulazione dell’articolo 40. Dal primo punto di vista hanno rilevato che “se lo scopo perseguito dal legislatore era quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico, sarebbe del tutto in contrasto con tale finalità la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico o per i quali è in corso la pratica per la loro regolarizzazione per motivi meramente formali, consentendo, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari” in quanto difformi da progetto approvato. Dal secondo punto di vista, invece, hanno sostenuto che dal tenore letterale dell’articolo 40 “è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze
non risultino dagli atti stessi”. Quanto al fatto che l’articolo 40 faccia riferimento ai contratti di trasferimento, cioè ai contratti che hanno una efficacia reale immediata, mentre il contratto preliminare ha un’efficacia semplicemente obbligatoria, in quanto di per sé non trasferisce la proprietà del bene, i giudici hanno ritenuto che questa circostanza “non elimina dal punto di vista logico che non può essere valido il contratto preliminare, il quale abbia ad oggetto la stipulazione di un contratto nullo per contrarietà alla legge”. La Corte ha quindi concluso che “non può non pervenirsi all’affermazione della nullità di un contratto preliminare che abbia ad oggetto la vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico”. Nei prossimi mesi vedremo se questa rigorosa interpretazione della legge troverà conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e darà così il via ad un nuovo orientamento “consolidato” (in questo senso va la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione II civile, 17 dicembre 2013 n. 28194), oppure se verrà smentita (in questo senso sembra invece andare la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione II civile, 7 aprile 2014 n. 8081). Per cautela, comunque, è bene che, prima di stipulare il contratto preliminare di un immobile, si verifichi non solo che quest’ultimo sia stato eseguito in forza di un titolo abilitativo edilizio, ma anche che sia stato realizzato in piena conformità al progetto con esso approvato, ed è bene altresì che nel contratto vengano indicati gli estremi di tale titolo abilitativo. In caso contrario, il rischio di sentirsi eccepire la nullità del contratto è dietro l’angolo. Walter Fumagalli
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Fondamenti per immaginare il futuro
La tanto attesa quattordicesima edizione della Biennale di Architettura, curata da Rem Koolhaas, si presenta rinnovata già nelle sue modalità organizzative: due anni di tempo per prepararla anziché uno, sei mesi di durata anziché tre. Ma le novità più attese hanno riguardato il suo contenuto: una grande biennale incentrata sulla ricerca di architettura, che va oltre la forma della rassegna di architetti e opere; la volontà di concentrarsi sulla storia e sugli elementi universali del costruire (Fundamentals è il titolo generale della 14. Mostra); l’invito rivolto ai curatori dei padiglioni nazionali (66 in totale, 10 in più rispetto al passato) a pronunciarsi su uno stesso tema, che ha contribuito a dare una dimensione unitaria all’evento; l’interesse per la realtà italiana a cui è dedicato l’intero spazio delle Corderie; la partecipazione di alcuni rappresentanti di altri festival della Biennale (Danza, Teatro, Musica e Cinema) per i quali sono stati allestiti appositi palcoscenici lungo il percorso. La mostra si compone di tre
manifestazioni complementari. Elements of Architecture, presso il Padiglione Centrale dei Giardini, presenta, quasi come in un catalogo, 15 elementi primari dell’architettura esposti in altrettante sale dedicate (dal pavimento, al muro, al corridoio, al balcone, alla scala), raccontandone la complessità e l’evoluzione storica fino ai giorni nostri. Gli elementi scelti e proposti in una nuova prospettiva dovrebbero favorire “un rigenerato rapporto tra noi, la nostra civiltà e l’architettura”, come sostiene Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia. Per questo coraggioso progetto Koolhaas si è circondato di numerosi giovani collaboratori provenienti dal suo team OMA (Office for Metropolitan Architecture) e dal suo gruppo di ricerca AMO; studenti dell’Università di Design di Harvard, studiosi italiani e di altre parti del mondo: la nuova generazione disposta a tradurre la storia in materiale d’esposizione, comprensibile a tutti. La chiave di lettura per comprendere l’interezza di questa operazione è lasciata a noi, Koolhaas non
Una grande Biennale incentrata sulla ricerca di architettura, che va oltre la forma della rassegna di architetti e opere
Fundamentals 14. Mostra Internazionale di Architettura Biennale di Venezia Venezia, Giardini/Arsenale fino al 23 novembre 2014
L’ingresso alla mostra Elements of Architecture presso il Padiglione Centrale ai Giardini. Foto di Francesco Galli.
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La sala della finestra nella mostra Elements of Architecture presso il Padiglione Centrale.
fornisce istruzioni. Absorbing Modernity. 1914-2014, è il terreno comune sul quale i vari padiglioni nazionali hanno potuto confrontarsi, illustrando nel modo a loro più incline la storia della propria modernizzazione, dalla prima Guerra Mondiale a oggi. In cento anni di guerre, cambiamenti politici, sviluppo tecnologico, globalizzazione, movimenti architettonici nazionali e internazionali, è avvenuta la transizione verso un linguaggio architettonico universale e un’estetica moderna comune, nella quale sopravvivono allo stesso tempo modalità nazionali più o meno percepibili. Quanto esposto è il bilancio di un periodo complesso che per tutti è arrivato alla fine del suo ciclo. Monditalia, allestita alle Corderie dell’Arsenale con la curatela di Ippolito Pestelllini Laparellli dello studio OMA, è un’analisi della situazione italiana, a tal punto complessa, contraddittoria e insieme affascinante da essere assunta come caso paradigmatico per le altre realtà del mondo. 41 ricognizioni preparate ad hoc, tra piccoli progetti, ricerche e rappresentazioni che raccontano storie di città e architetture o mettono a fuoco fenomeni architettonici, politici e sociali significativi, si alternano a 82 spezzoni di film italiani, tra antico e moderno. Ad accoglierci, enormi luminarie di festa di un paese del sud Italia, insieme ad alcuni particolari degli affreschi dell’Allegoria del Buongoverno del Lorenzetti, poi un enorme telo con la riproduzione del territorio italiano nella Tabula Peutingeriana (antica mappa dell’Impero Romano) si apre morbido nella navata centrale, accompagnando il visitatore lungo il percorso. Si passa dalla vicenda del padiglione per il G8 alla Maddalena, raccontata in un video dallo stesso Boeri, all’abbandono del San Giacomo degli Innocenti a Roma, dalle architetture del miracolo italiano degli
anni ’60, alle case al mare di Monica Vitti e Michelangelo Antonioni, e ancora Milano 2, il progetto utopistico della città di Zingonia, i crolli di Pompei, le discoteche degli anni ’60, le forme di ritualità religiosa, il tema del confine mobile alpino, la cultura architettonica italiana tra gli anni ’60 e ’70 di respiro internazionale. Cino Zucchi è il curatore del Padiglione Italia dal titolo Innesti /Grafting. La continua metamorfosi del nostro territorio attraverso l’“innesto” (termine preso in prestito dalla botanica per indicare un’incorporazione) del nuovo su strutture già esistenti, è vista come l’anomalo e peculiare modo italiano di assorbire la modernità, ammirato in tutto il mondo. Lo stesso padiglione è metaforicamente aperto e chiuso dalla realizzazione fisica di due grandi “innesti”: l’“archimbuto”, un enorme portale arcuato in metallo ossidato, che dilata l’ingresso alla mostra e il “nastro delle Vergini” all’uscita, una
Rem Koolhaas e la giuria.
Il Padiglione degli Stati Uniti ai Giardini.
L’ingresso alla mostra Monditalia presso le Corderie dell’Arsenale.
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lunga panca-scultura che si snoda nel Giardino delle Vergini. Opere antiche, recenti e contemporanee sono state scelte per la loro capacità di unire l’interpretazione di un contesto con l’innovazione. La mostra non segue un criterio di sviluppo lineare, ma analizza e mette in relazione singoli episodi progettuali. Zucchi assume Milano come “laboratorio del moderno”, raccontandone le vicende architettoniche degli ultimi cento anni, ma anche quelle della storia più antica, quali chiari esempi di modernizzazione applicata a una struttura urbana già esistente. C’è la Fabbrica del Duomo, il susseguirsi di progetti redatti per la Piazza a esso prospiciente, la storia della Ca’ Granda, dalla sua origine come grande ospedale, ai bombardamenti, al restauro e riuso attuale come sede dell’università. Ci sono le opere milanesi di Portaluppi, Terragni, Caccia Dominioni, Asnago e Vender, Gardella, la ricostruzione del dopoguerra, la Triennale, la città che sale modificando il suo skyline (dalla Torre Velasca ai grattacieli di Porta Nuova). E c’è Expo 2015, quale esempio di grande trasformazione ambientale e territoriale. Si prosegue con dei collage di architettura e con la rappresentazione di un grande “paesaggio contemporaneo” costituito da 85 immagini di progetti recenti selezionati per l’occasione, con in comune l’attitudine progettuale di attenzione al contesto e la capacità di intervenire con una trasformazione che ne assorbe i caratteri con un nuovo risultato. Infine, un insieme di video accostati sulla parete a formare un corale paesaggio animato per l’opera “Paesaggi Abitati”, a cura di Studio Azzurro. I video, realizzati da diversi autori e raccolti attraverso una “open call” pubblica, mostrano il rapporto tra gli spazi collettivi e la vita che li attraversa, in reciproco adattamento. In Fundamentals non c’è critica del Moderno nei confronti della storia e, viceversa, nemmeno il desiderio di liberarsi da essa; non si indagano le conseguenze dell’assorbimento della modernità sulla professione, non ci sono slogan. La direzione è data dalle scelte e dagli scarti inevitabilmente effettuati dal gruppo di lavoro. La mostra è un racconto efficace, se pur parziale, in forma di retrospettiva, che lascia la libertà di appellarci a un nuovo inizio a partire dai fondamenti ritrovati. Daniela Villa
L’opera “Paesaggi Abitati” nella mostra Innesti/Grafting presso il Padiglione Italia.
L’opera “Paesaggio Contemporaneo” e l’atrio di ingresso alla mostra.
“Archimbuto”, il grande portale in ferro che accoglie i visitatori.
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LIBRI
Segnalazioni La rivoluzione intelligente delle città (Giuliano Dall’Ò, il Mulino, Bologna, 2014, pp. 142, 11 euro): uno studio approfondito sulle maggiori realtà metropolitane europee e non, valutate in base al numero di piste ciclabili, al livello di prestazioni per salute o istruzione e alle iniziative su sostenibilità ambientale e innovazione. Il volume spiega che cosa è stato fatto e cosa si può ancora fare perché diventino sempre più smart.
CITTÀ SOSTENIBILE
Progetto Emonfur Il 30 settembre sono terminati i lavori del progetto “EMoNFUr Life” sulle foreste urbane. L’iniziativa, nata in Lombardia ma di profilo europeo, è la prima esperienza di monitoraggio ad ampio raggio delle foreste urbane e periurbane, che ha l’obiettivo di conoscere e tutelare i boschi cittadini e la loro biodiversità, quali importanti risorse ambientali. I risultati degli studi effettuati (l’inventario delle foreste lombarde urbane e periurbane, il catasto, i documenti di osservazione e i manuali) sono ora consultabili e scaricabili al sito: www.emonfur.eu PIATTAFORME VIRTUALI
Nuovi musei in rete con Google A fine agosto la Alvar Aalto Foundation ha annunciato la sua partecipazione al Google Art Project, portale nato nel 2011 come parte del più ampio Google Cultural Istitute, che attraverso la nota tecnologia Street View, consente di effettuare visite virtuali alle gallerie dei musei e delle maggiori istituzioni internazionali. Sono ora “visitabili” a 360° otto architetture di Aalto e due mostre a lui dedicate, oltre che consultabili centinaia di fotografie, disegni e ritratti in alta risoluzione. In Italia, dopo il recente
annuncio del Museo MAGA di Gallarate e del MAXXI di Roma, anche il Mart di Rovereto apre le sue stanze alla piattaforma, che sul nostro territorio conta già 41 collezioni archiviate, di cui 24 con visita virtuale integrata. EVENTI
Mi/Arch 2014 Dal 13 al 16 ottobre al Politecnico di Milano, presso l’edificio del Trifoglio progettato da Gio Ponti nel 1961 all’interno del Campus Leonardo, si è svolto Mi/Arch 2014 “Amate l’Architettura”, festival internazionale promosso dal Politecnico di cui Stefano Boeri è direttore artistico. La manifestazione per quattro giorni ha ospitato incontri, lezioni di grandi protagonisti dell’architettura nazionale e internazionale, seminari e dibattiti tra diverse generazioni di architetti, designer e studiosi che hanno avuto come tema conduttore l’appello di Ponti per un’Architettura ispirata dalla Felicità. Il programma prevedeva anche sezioni dedicate alle principali riviste di settore italiane, alle scuole di architettura e di design milanesi, ai fotografi che hanno scelto Milano come luogo di lavoro, alla critica di architettura contemporanea, oltre che visite guidate e iniziative per gli studenti.
Sketches of Milan. Sguardi d’autore sulle UniCredit Tower / An Artist’s View of the UniCredit Tower (con testi di Luca Doninelli e Walter Guadagnini, Skira, Milano, 2014, pp. 160, 29 euro): attraverso oltre cento fotografie di Sonia Marin, il volume racconta uno dei nuovi simboli architettonici di Milano realizzato dallo studio Cesar Pelli.
Alpe Adria senza, paesaggi contemporanei a Nord Est (Pietro Valle, Beit casa editrice, Trieste, 2014, pp. 212, 20 euro): una raccolta di scritti e fotografie che descrive il territorio dell’Alpe Adria nella sua forma fisica e spaziale. Si indaga l’evidenza materiale dei luoghi, poiché essa, più degli eventi, parla delle differenze che li hanno attraversati.
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