AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 1/2 Gennaio/Febbraio 2002
Editoriale
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Forum Architettura/spazio pubblico/dettaglio interventi di Franco Raggi, Emilio Battisti, Pietro Derossi, Giovanna Franco Repellini, Vittorio Introini, Alessandro e Francesco Mendini, Cristiano Toraldo di Francia Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Varese
Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti
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Argomenti
Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Roberta Castiglioni, Paola Giaconia
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Concorsi
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Professione e aggiornamento Legislazione Normative e Tecniche
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Informazione Dagli Ordini Stampa Libri, riviste e media Internet Mostre e Seminari
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Indici e tassi
Direttore Responsabile: Emiliano Campari Direttore: Maurizio Carones
Segreteria: Augusta Campo Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - Fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@planet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl Viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano Tel. 02 300391 r.a. - Fax 02 30039300 e-mail: formalo@tin.it Impaginazione Chiara Giuliani Fotolito Marf-Progetto Fotolito, Milano Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova m.fto (AL)
Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 19.350 copie In copertina: via Rossetti a Milano (foto di Marco Introini) Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL
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Sommario
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti consulta.al@planet.it Presidente e Tesoriere: Emiliano Campari; Vice Presidente: Daniela Volpi; Segretario: Giuseppe Rossi; Consiglieri: Umberto Baratto, Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Stefano Castiglioni, Sergio Cavalieri, Simone Cola, Ferruccio Favaron Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 http://www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 http://www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Guido Dallamano, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 http://www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Gianfranco Bellesini; Segretario: Franco Andreu; Tesoriere: Gianfranco Bellesini; Consiglieri: Marco Brambilla, Giovanni Cavalleri, Gianfredo Mazzotta, Marco Ortalli, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 13.6.03) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 http://www.cr.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticremona@archiworld.it Informazioni utenti: infocremona@archiworld.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 http://www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 http://www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 http://www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guarnieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 http://www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza e segreteria: architettimilano@archiworld.it Informazioni utenti: infomilano@archiworld.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Giulio Barazzetta, Maurizio Carones, Arturo Cecchini, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Marco Ferreri, Jacopo Gardella, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza (Termine del mandato: 15.10.01) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 http://www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Gianni M. Colosetti, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 http://www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 http://www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Stefano Castiglioni; Segretario: Riccardo Papa; Tesoriere: Pietro Minoli; Consiglieri: Claudio Baracca, Enrico Berté, Maria Chiara Bianchi, Antonio Bistoletti, Emanuele Brazzelli, Claudio Castiglioni, Orazio Cavallo, Gabriele Filippini, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)
Maurizio Carones
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Editoriale
In questo numero di “ AL” , a circa un anno dal suo rinnovamento editoriale, sono introdotte alcune modifiche alla struttura e al progetto grafico, modifiche che speriamo utili ad un graduale miglioramento della pubblicazione e che interpretano anche suggerimenti ed indicazioni raccolti nel corso di questo periodo. I cambiamenti più evidenti riguardano l’introduzione di una nuova sezione - denominata Argomenti - nella quale sarà possibile trattare questioni già affrontate in numeri precedenti, anticiparne altre annunciando il tema di un successivo Forum, oppure pubblicare con maggiore agilità articoli legati a singoli temi specifici. Un altro cambiamento riguarda la rubrica Dagli Ordini, alla quale si è data, sia per impostazione grafica che per collocazione nell’ambito della Sezione Informazione, maggiore evidenza, in relazione alla intenzione di dare adeguato risalto alle attività svolte dai singoli Ordini provinciali. Venendo al tema di questo numero, esso riguarda la progettazione del particolare nello spazio pubblico. Tema che, nell’affrontare i vari oggetti del lavoro degli architetti, si inscrive nel più generale proposito di dedicare attenzione anche alle questioni che riguardano il progetto alla scala del particolare, del dettaglio. Scala che ha una relazione con una tradizione, antica, ma anche recente, particolarmente riferibile al contesto lombardo e che riguarda l’attività di molti architetti sui temi dell’” arredo urbano” , dell’” architettura degli interni” , del “ design” : categorie tutte per alcuni versi di difficile definizione ma che, d’altra parte, individuano invece un preciso problema scalare del progetto. Argomento sul quale cercheremo di tornare e che oggi affrontiamo con un Forum coordinato da Franco Raggi che propone di indagare come il progetto del dettaglio riguardi lo spazio pubblico. Questione che - come si vede dai diversi interventi, ma anche dalla eloquente raccolta iconografica di Marco Introini - è sotto i nostri occhi tutti i giorni, sia di cittadini che di architetti e che sembra essere tema a cui si debba dedicare una sempre maggiore attenzione. Ciò in quella direzione, confermata anche dai più recenti studi urbani, nella quale il progetto non debba riguardare solo il costruito ma anche lo spazio aperto. Nella progettazione degli spazi pubblici è infatti evidente che ci sia ancora molto da fare, così come nella progressiva costruzione di una coscienza civile dell’uso di questi spazi e nella sensibilizzazione degli amministratori - questione che riguarda anche la “ manutenzione” , attività che ha spesso difficoltà ad essere gestita ed è poco affrontata da un punto di vista teorico, sia come componente intrinseca del progetto che come attività da programmare progettualmente. Tutti temi che dal contributo progettuale degli architetti possono trarre utili momenti progressivi.
Architettura/spazio pubblico/dettaglio
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Il Forum di questo numero affronta il tema del disegno del progetto del particolare nello spazio pubblico, ovvero della scala del dettaglio come campo di applicazione importante nel lavoro dell’architetto. Questa dimensione metropolitana appare spesso come una “ terra di nessuno” compresa tra la scala dell’architettura e quelle dell’urbanistica, nella quale la possibilità di progetto si manifesta in modo estemporaneo e scoordinato e che ha trovato nella ambigua pratica del cosiddetto “arredo urbano” la sua definizione progettuale e commerciale. La possibilità di riqualificare e ricucire una forma organica e coordinata di identità per questa varia casistica di spazi e temi urbani è sicuramente un problema che coinvolge il progetto architettonico, ma specialmente deve indurre la consapevolezza che attraverso un’accurata e specifica progettazione di dettaglio è possibile realizzare una rilettura e una interpretazione di parti di città in continua trasformazione fisica e d’uso. Ringraziamo Franco Raggi, architetto e designer, coordinatore della Commissione Cultura della Consulta degli Ordini degli Architetti Lombardi, che ha curato e introdotto il Forum invitando a esprimere le loro opinioni: Emilio Battisti, Pietro Derossi, Vittorio Introini, Alessandro e Francesco Mendini e Cristiano Toraldo di Francia in qualità di architetti liberi professionisti e Giovanna Franco Repellini quale direttore, tra il luglio 1999 e l’agosto 2001, del Settore Arredo Urbano del Comune di Milano. Il dettaglio di architettura e il progetto dello spazio pubblico di Franco Raggi Il progetto d’architettura riguarda la scala dell’edificio e dell’insieme di edifici che costruiscono la dimensione urbana, ma anche la scala dello spazio pubblico e la dimensione metropolitana dello spazio collettivo. Che esso riguardi luoghi aperti o coperti, strade o piazze tale spazio è oggi generalmente percepito e vissuto dalla collettività come un luogo di bassa qualità ambientale e di assenza di progetto. Strade, Piazze, Strutture di servizio, Infrastrutture minori del trasporto, piccoli giardini, attrezzature varie, costituiscono il vasto e variegato popolo di spazi tra le architetture (piccole architetture a loro volta e spesso oggetti urbani di una certa dimensione), che nella pratica amministrativa si realizzano per progetti separati e spesso occasionali. Su questo argomento abbiamo sollecitato alcune riflessioni. In una ipotetica e arbitraria classificazione delle scale e dei soggetti del progetto architettonico urbano immagino una zona nebulosa, compresa e quasi schiacciata tra la generalità geometrica ed astratta dell’urbanistica bidimensionale e la concreta solidità del costruito architettonico tridimensionale. Questo spazio quasi involon-
tario, ottenuto per sottrazione, per accostamenti e stratificazioni successive è di fatto spazio percepito e vissuto, luogo della complessità urbana, punto di incontro e di contatto fisico ravvicinato per mezzo del quale la collettività, usa la città come spazio pubblico. Manufatto indefinibile e vago lo spazio pubblico conosce negli ultimi anni degradi, e abbandoni, dimenticanze e mediocrità che contribuiscono non poco alla dequalificazione della vita urbana e alla riduzione del senso di identità ed appartenenza individuale alla città. Questa condizione di assenza o di degrado dello spazio civile riguarda due scale del progetto: sia quella generale del disegno urbano come rapporto consapevole e voluto di volumi, spazi e linguaggi, sia quello della progettazione minuta di dettaglio di tutti quegli elementi “ non architettonici” che connettono e significano la sostanza dello spazio pubblico. Come non ricordare, ad esempio, la austera milanese solidità dei pavé in granito rosa, dei massicci cordoli in pietra, delle pavimentazioni in porfido o in “ rissada” così familiari e ancora oggi presenti a macchia di leopardo nella città; o il severo catalogo di panchine, fontanelle, lampioni, recinzioni, paracarri, di forma non invadente ma necessaria e capaci di rifinire più che definire un’identità di luogo civile. La dialettica e la armonizzazione tra queste due scale del progetto architettonico ci sembra oggi un argomento di interesse. Tantopiù quando, a questa rarefazione progettuale e concettuale, si è risposto spesso in modo banalmente amministrativo, arredando gli spazi pubblici attraverso occasionali cataloghi di complementi di “ arredo urbano” , parola già quest’ultima sufficientemente equivoca e responsabile dell’ingresso dozzinale del concetto di “ design” nella costruzione dell’immagine dello spazio pubblico. Se aggiungiamo la pesante complicità dell’incremento vertiginoso della segnaletica stradale, sia orizzontale che verticale, constatiamo che lo spazio pubblico si è visto sottrarre sempre più la possibilità di essere pensato e progettato mentre è stato per miopia consegnato alla pratica dell’affastellamento semantico senza possibilità di dialogo tra le parti. Riaffermare la necessità di una progettazione qualitativa e coordinata (strade, illuminazione, segnaletica, infrastrutture, attrezzature etc.) significa restituire allo strumento del progetto la sua necessaria funzione di coordinamento. Significa rilevare criticamente la schizofrenia della compartimentazione della attività pubblica che vede spesso un fare e disfare successivo di diversi operatori sullo stesso luogo in totale reciproca sordità e catastrofica autonomia. Si potrà infine obiettare che il progressivo arretramento qualitativo del disegno dello spazio pubblico è anche l’effetto di una pervasiva attività vandalistica di danneggiamento e distruzione. E’ sicuramente vero, tanto che alcuni anni fa, in un breve scritto, immaginavo para-
Emilio Battisti e Silvano Tintori, Sistemazione dell’area di San Lorenzo a Milano. Veduta dell’area d’intervento (foto: Guia Sambonet).
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dossalmente il futuro del progetto dell’arredo urbano secondo i requisiti del design di guerra, pesante, indistruttibile, inamovibile ed eterno. Come ogni paradosso suggeriva che la soluzione non è mai per contrapposizione, ma per cooptazione, nel senso che la cultura (si fa per dire) del vandalismo prospera dove è assente la cultura della manutenzione e la sua rappresentazione qualitativa. Come ognuno sa, dove è già sporco ci si sente più autorizzati a sporcare, dove è già brutto si può aggiungere, senza colpa, ulteriore bruttezza. Negli ultimi tempi tuttavia si è registrata una attenzione diversa sul tema della riqualificazione dello spazio urbano che ha prodotto, non solo a Milano, alcuni interven-
ti concreti che hanno suscitato critiche e consensi e dei quali pubblichiamo qualche immagine non chè alcune riflessioni di chi li ha progettati. Per tornare al tema di questo Forum ci preme sottolineare che la qualità o la discutibilità di questi interventi è sicuramente legata alla concezione generale dello spazio ma anche e in larga misura alla qualità del dettaglio costruttivo alla originalità e non casualità delle scelte formali e linguistiche, alla capacità del progettista di riferirsi in maniera equilibrata e sensibile all’immaginario collettivo, alla memoria e anche alla contemporaneità, proponendo attraverso il progetto e i suoi dettagli una rilettura dello spazio urbano stesso e della sua ragione collettiva.
La riqualificazione dello spazio urbano di Emilio Battisti
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I concorsi di architettura per riqualificare spazi pubblici sono sempre più numerosi. Molte Amministrazioni comunali, dotate di strumenti urbanistici spesso inadeguati, che non consentono, quindi, di mettere mano a sostanziali trasformazioni dell’impianto urbano e che, in pratica, non possono quasi mai agire attraverso consistenti interventi di demolizione e ricostruzione, oppure con sostanziali integrazioni volumetriche per rimediare a situazioni spazialmente mal congegnate ricorrono sempre più spesso a programmi di riqualificazione degli spazi pubblici attraverso l’arredo urbano. Con questo termine si indicano tutti quegli interventi di rifunzionalizzazione e abbellimento attuabili a prescindere dalla normativa urbanistica vigente, che non alterano l’assetto volumetrico e l’insieme dei fattori sottoposti al rispetto di parametri urbanistici. Non intendo soffermarmi su quanto sia limitativa questa modalità di affrontare i problemi delle nostre città. Come ben sappiamo, in esse i motivi di disagio sono sostanzialmente causati da situazioni di incoerenza e incompiutezza che derivano dal modo in cui si è data in passato attuazione agli strumenti urbanistici. Arretramenti e scarti improvvisi delle cortine edilizie, strade che risultano interrotte da corpi di fabbrica, sventramenti causati da opere stradali previste in strumenti urbanistici non più vigenti, cui i successivi piani non hanno saputo porre rimedio; vuoti e lacune nel tessuto urbano risultato delle competenze contraddittorie di uffici urbanistici, soprintendenze, organi di tutela del paesaggio che hanno agito non coordinatamente. A situazioni di questo tipo nessun intervento di arredo potrà mai restituire il carattere e la dignità di cui uno spazio urbano, per essere considerato tale, dovrebbe essere dotato. Ciò detto, dovendo affrontare il problema dell’arredo urbano e delle modalità in cui esso si qualifica in termini di contenuto progettuale, farò riferimento ad alcune recenti esperienze di progettazione di spazi pubblici. Nella generalità dei casi, l’aspetto più importante da considerare per riqualificare uno spazio urbano è quello del traffico, e in particolare del rapporto tra movimento dei veicoli pubblici e privati rispetto agli spazi effettivamente a disposizione dei cittadini. A differenza di quanto avviene all’estero, la nostra normativa non consente di far convivere il mezzo pubblico con i pedoni all’interno delle aree urbane pedonalizzate. Ciò comporta di dover interrompere con transennature spazi urbani la cui fondamentale qualità dovrebbe essere quella di risultare percorribili a piedi senza limitazioni e ostacoli. Per quanto possa sembrare poco rilevante, uno spazio urbano nel quale non ci sono marciapiedi e corsie di traffico si offre al pedone come un territorio effettivamente disponibile e praticabile, nel quale esprimere un comportamento libero, socializzante e contemplativo, in rapporto non puramente strumentale e funzionale con la città. Un grave ostacolo ad attuare interventi nei quali i pedoni possono convivere senza impedimenti con i mezzi pubblici nelle aree pedonalizzate è rappresentato dalla nostra normativa del Codice della strada e dal modo restrittivo in cui è interpretata. Si fa più riferimento a essa al fine di salvaguardare i funzionari e i conducenti di tram e autobus rispetto a possibili responsabilità in caso di incidente che a tutelare il comfort e la sicurezza dei cittadini. Da questa normativa applicata burocraticamente deriva anche la segnaletica stradale ridondante e pervasiva che interferisce molto gravemente, sia fisicamente che visivamente, spesso vanifi-
cando ogni proposito di qualificare l’ambiente urbano. Non sono convinto della necessità di avere del verde all’interno di ambienti urbani densamente edificati: il verde dovrebbe essere una presenza rilevante all’interno di boulevard di notevole ampiezza, nei parchi e nei giardini pubblici, al centro delle grandi piazze e reso facilmente accessibile ai cittadini che si muovono a piedi. Il verde che si trova in strade urbane troppo strette e con edifici molto alti assume un portamento innaturale perché la chioma degli alberi non può espandersi ma deve spingersi verso l’alto per cercare di raggiungere la luce, togliendola agli edifici. Ma in molti casi il verde, e in particolare le cortine di alberi, rappresentano l’unico mezzo a disposizione del progettista per ovviare a gravi inadeguatezze dell’ambiente urbano, simulando volumi architettonici o schermando presenze edilizie incoerenti e indesiderate. Purtroppo, anche in questo caso i condizionamenti non mancano: la presenza nel sottosuolo di parcheggi, sottoservizi, cunicoli, impianti sempre più diffusi e caotici, rende problematico mettere a dimora essenze arboree di una certa importanza. Un ulteriore aspetto di particolare rilevanza è rappresentato dall’illuminazione pubblica. Nei luoghi di maggior interesse storico monumentale è invalso l’uso di illuminare gli edifici più importanti per valorizzarne la presenza. Quella che in passato rappresentava una modalità per far partecipare l’ambiente urbano e i suoi monumenti ai fasti delle più importanti ricorrenze, illuminando a festa gli edifici con allestimenti che duravano poche ore, si è trasformata nella stucchevole consuetudine di dover percepire ogni sera molti dei luoghi più significativi delle nostre città come scenario urbano da son et lumière. La recente polemica suscitata dal modo in cui è stato illuminato il Castello Sforzesco è la dimostrazione del fatto che questi interventi richiedono una grande sensibilità e senso della misura. Anche se si è molto discusso soprattutto del Castello, ci sono altri interventi dello stesso tipo che riguardano i più importanti monumenti di Milano che richiederebbero di essere riconsiderati. Ma anche alcuni parchi cittadini che, oltre a essere recintati con cancellate, sono stati illuminati a giorno come se fossero degli aeroporti. Rispettando le esigenze di comfort e sicurezza, che dipendono dal vivere in un ambiente sufficientemente illuminato, negli spazi pubblici l’illuminazione dovrebbe essere modulata in modo tale da non alterare il carattere dei luoghi. Sorge, tuttavia, una contraddizione che deriva dal fatto che quelle stesse attrezzature, che servono per illuminare e che di notte si manifestano soprattutto attraverso il loro effetto luminoso, di giorno si presentano come oggetti muti e spesso ingombranti all’interno di uno scenario che spesso non riesce a integrarle appropriatamente. Il proposito di risolvere il problema attraverso il design, affinando l’estetica dell’apparecchio di illuminazione, si rivela spesso controproducente. Pochissimi sono, inoltre, gli apparecchi illuminanti che presentano una versatilità di applicazione tale da consentire di adattarsi alle variegate situazioni dei nostri centri storici. Non è ancora stata inventata una apparecchiatura per la pubblica illuminazione che illumini di notte e sparisca quando non serve, come i fari di certe macchine sportive che compaiono solo quando vengono accesi. Quando si interviene in ambiente storico ci si ritrova al centro della grave contraddizione di dover rispettare, da un lato i caratteri originari del luogo e di favorirne, dall’altro, una migliore vivibilità da parte dei cittadini, riorganizzandolo e innovandolo.
to delle colonne, e lì rimase per quasi cinquant’anni senza che alcuno avesse niente da obiettare. Quando il nostro progetto riportò il tram sul tracciato originario ossia all’esterno delle colonne, si ebbe una infuocata polemica perché non avremmo avuto il dovuto riguardo per una delle vestigia più importanti di Milano. Evidentemente, la pluriennale consuetudine a vedere il tram arrampicarsi su una rampa che ostruiva l’incrocio tra corso di Porta Ticinese e via Pio IV, irrompere sul sagrato della Basilica di San Lorenzo, fare fermata davanti alla statua di Costantino e proseguire scodando vistosamente in una curva a “ S” per riuscire a infilarsi nel fornice centrale della medievale Porta Ticinese non aveva suscitato alcuna reazione nelle anime belle che si mobilitarono, non appena vennero a sapere che la linea tranviaria sarebbe stata riportata sul tracciato lungo il quale i tram avevano circolato fin dagli ultimi anni dell’Ottocento quando erano ancora trainati dai cavalli. Nella generalità dei casi un intervento di arredo urbano non si rivela quasi mai possibile semplicemente rinnovando le pavimentazioni, disponendo delle panchine e sistemando qualche aiola; bisogna sempre considerare questioni di regime di proprietà dei suoli, di viabilità e traffico, di illuminazione e verde pubblico. Lo spazio urbano, prima di poter essere “ arredato” , deve essere ristrutturato e per fare ciò bisogna investire una serie di competenze che per lunga consuetudine amministrativa si sono rese reciprocamente autonome con regole di comportamento e normative proprie. Più che all’arredo urbano bisognerebbe, quindi, riferirsi alla qualità urbana e sotto questa definizione dovrebbero effettivamente coordinarsi tutte le competenze che necessariamente concorrono a determinare la qualità e vivibilità delle nostre città. Il piano “0” della città di Pietro Derossi Ho sempre pensato che il piano “ 0” della città sia tanto importante quanto le facciate delle case. Il piano “ 0” è il piano della strada, dei marciapiedi, dei giardini, ecc. Il piano “ 0” è quello che si guarda di più perché quasi sempre si cammina a testa bassa per vedere “ dove si mettono i piedi” . Materiali, colori, tombini, griglie, base dei lampioni, prati verdi; non è anche questa la città? Il piano “ 0” è per la più parte, di proprietà del pubblico: è spazio pubblico. Né mio, né tuo, aperto, disponibile, sconfinato. La strada è il luogo dell’avventura, delle occasioni, degli incontri inattesi. Le strade legano il mondo, ci dicono che siamo in molti, diversi, vicini e lontani e anche raggiungibili. Se si pensa bene ogni strada non unisce mai, fa il giro del mondo. È anche la strada di Charlie Chaplin che porta verso un avvenire radioso. Pochi architetti dicono “ ho fatto una bella Strada, ho vinto il concorso per una strada” . Ci sono concorsi per le piazze. Sono più facili perché le piazze finiscono. Ma dove fermare un progetto di una strada che fa il giro del mondo? La casa sta nella strada. Un indirizzo. Ci sono gli indirizzi buoni (good address) e gli indirizzi cattivi difficili da riscattare ma non impossibili. Creare un “ good address” . Piano, piano è come una conquista. La strada è di più della casa anche perché è una via di fuga. È uscito e non è più tornato. Certo si è perso per strada. Oggi è di moda l’arte nelle strade. Viene qualche dubbio. Chi si vuole impossessare di questo splendido patrimonio che sono gli spazi pubblici? Gli artisti se lo meritano, oppure bisogna cacciarli perché vogliono impadronirsi del
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È nel saper comporre queste contraddittorie esigenze che si manifesta la vera competenza e sensibilità del progettista. Nello svolgere il suo compito egli è spesso condizionato dalle Soprintendenze che intervengono con totale discrezionalità imponendo soluzioni ispirate a criteri di tutela dell’ambiente storico e dei monumenti, ma spesso si risolvono in stucchevoli effetti di falsificazione. Nel nostro Paese siamo ancora molto lontani da una cultura che ci consenta di apprezzare l’inserimento di un’opera di architettura moderna in un ambiente storico. Dato che i più recenti significativi esperimenti in questo campo furono realizzati in epoca fascista, la cultura di sinistra ha operato una specie di rifiuto-rimozione della questione, mentre quella di destra non sembra sapersi riscattare da un miope conservatorismo. Va, tuttavia, considerato che lo spazio urbano più di qualunque edificio sia privato che pubblico, proprio a causa del carattere generalizzato e non selettivo della sua utilizzazione da parte di tutti i cittadini, necessita di essere concepito in funzione del più alto grado di accettabilità socioculturale. Ogni architetto dovrebbe porsi questa finalità quando progetta e ogni cittadino, indipendentemente dal proprio grado di cultura, dovrebbe avere la possibilità di riconoscersi nello spazio pubblico che frequenta e di sentirsi a proprio agio. Non c’è, quindi, molto da sbizzarrirsi per manifestare la propria volontà di forma senza rischiare di ritrovarsi duramente contestati da comportamenti di rifiuto a frequentare certi luoghi da parte dei cittadini, malgrado l’attenzione e l’impegno posto nel progettarli. Semmai, ci sarebbe finalmente da considerare un altro fenomeno che si presenta con sempre maggiore urgenza: è l’ormai articolata composizione etnica dell’universo sociale al quale apparteniamo. Dovremmo essere in grado di offrire all’interno dello spazio pubblico delle nostre città, in condizioni non marginali o segregate, spazi per l’aggregazione sociale dei gruppi etnici presenti, ove essi possano ritrovarsi mantenendo vive le proprie tradizioni e, al contempo, offrirsi a occasioni di reciproca conoscenza, che rappresenta l’unico modo per favorire l’integrazione sociale nel rispetto reciproco e nelle prospettive di una società multietnica che non ha nessuna possibilità né motivazione sociale ed etica per essere evitata. Supponendo che si possano risolvere le questioni di impostazione generale di cui abbiamo parlato, i problemi da affrontare in subordine sono soprattutto legati alla scelta dei materiali e dei cosiddetti complementi d’arredo. Con questi ultimi ci si ritrova a fare i conti con la questione del design e con le problematiche di qualità, misura e caratterizzazione che le relative scelte implicano. Sono pochi i casi in cui il progettista ha saputo intervenire su tutti gli aspetti, armonizzando alle differenti scale i vari elementi. I due atteggiamenti più frequenti sono da una parte di occupare lo spazio pubblico con strutture ingombranti e complesse che ne snaturano i requisiti spaziali originari, dall’altra di fare prevalere elementi decorativi alterando i caratteri ambientali in modo spesso immotivato e arbitrario. Bisogna anche considerare che molti luoghi della città, per quanto degradati, sono accettati e apprezzati dalle persone che li usano e ne conservano memoria storica, e la loro repentina modificazione ingenera reazioni difficilmente comprensibili. Citerò un esempio di questo strano fenomeno. La linea tranviaria lungo corso di Porta Ticinese, nel 1953, fu “ provvisoriamente” spostata a tagliare in due il sagrato di San Lorenzo per consentire i lavori di consolidamen-
mistero dell’andare, del tornare, del fuggire, ecc. Il movimento moderno classico voleva abolire le strade: si pensava che fossero spazi impuri, rumorosi, inquinati (ed era vero e oggi è ancora più vero) ma subito come alternativa alle strade venivano proposti ampi prati incolti, grandi viali alberati e slarghi abbandonati. In fondo è una soluzione più anarchica, potrebbe abolire una gerarchizzazione e pensare il cittadino come un nomade alla ricerca del sole. La razionalità è primitiva? La razionalità è banale? Nella razionalità c’è un po’ di vigliaccheria? È difficile designare lo spazio “ 0” se è parte dello spazio pubblico privo di padroni e con troppi padroni. Quale è
Pietro Derossi, Sistemazione dell’area davanti al palazzo dell’Arte a Milano. Veduta della nuova piazza con un “ albero delle parole” (foto: Paolo Rosselli).
la committenza di un progetto per lo spazio pubblico? Il Sindaco? I cittadini? Gli intellettuali addetti al settore? Tutto troppo largo, nessuno da accontentare, nessuno a cui dedicare un abbraccio di solidarietà. Eppure lo spazio pubblico è magico, perché è li che appare il senso del mistero del mondo (Dio), è lì che questo problema non trova risposta. Forse è proprio un’architettura del dettaglio. Piccoli oggetti, piccoli settori, li si considera una resistenza. Il dettaglio ferma il mio interesse per il luogo e perciò ferma
provvisoriamente l’andare indistinto della metropoli. Lo ferma per un attimo di riflessione per ridare vita all’attesa. Lo spazio pubblico, con il suo dettaglio forzatamente presente, avvolge l’architettura, la fa diventare tridimensionale, mette in crisi (o ironizza) le assialità, uccide la sostanza, apre al processo. Il processo della vita che immette l’architettura nel delirio della provvisorietà in barba agli architetti e ai critici alla ricerca di Verità (editoriali).
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Sotto a sinistra: Angelo Bugatti, Sistemazione dell’area di piazza Tirana a Milano. Veduta del modello. Sotto a destra: Claudia Montevecchi, Francesca Marchetti e Marta Bastianellp, Sistemazione dell’area di piazza Anita Garibaldi a Milano. Veduta del modello.
In basso: Corvino & Multari Architetti ass., Sistemazione dell’area di piazzale Gabrio Rosa/viale Omero a Milano. Veduta del modello.
locazione di monumenti d’arte e di fontane, ed infine il riordino, l’unificazione tipologica e il redesign dei vari manufatti di arredo urbano presenti in città. Su ognuno di questi punti si sono intraprese varie iniziative degne di essere illustrate, che nel giro di qualche anno dovrebbero apportare un sostanziale riordino del suolo pubblico. Mi soffermo però sui lavori di riqualificazione di aree urbane che hanno comportato un grosso sforzo sia professionale che finanziario. Nel centro, (cito solo alcuni interventi) si è completata l’area di piazza Cordusio e via Dante, si sono ripavimentate alcune vie di Brera, si è collocata la fontana del Castello, si è risistemata l’area di San Lorenzo con il progetto degli Architetti Emilio Battisti e SilvanoTintori e si è rifatta la pavimentazione di piazza Scala (progetto definitivo di Paolo
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L’Amministrazione e il riordino del suolo pubblico di Giovanna Franco Repellini Sono stata Direttore del Settore Arredo Urbano del Comune di Milano da luglio del 1999 ad agosto del 2001, chiamata dall’Amministrazione come dirigente esterno con contratto a termine. Si è identificato fin dall’inizio, in accordo con la Giunta, un programma che prevedeva alcune direttrici generali di intervento: in particolare il recupero della qualità storica del centro, la riqualificazione delle periferie, il restauro e la nuova col-
Portoghesi). Ma se i lavori di riqualificazione del centro storico erano partiti già da alcuni anni, completamente nuovo è stato il programma e l’intervento nelle periferie della città, che si è avvalso dell’importante strumento dei concorsi che, nell’anno Duemila, ha visto la premiazione di cinque vincitori per cinque piazze di periferia. Accanto a questi si è proceduto con incarichi di progettazione diretti (mantenendosi sotto la soglia dei 40.000 Euro) ad architetti che hanno lavorato in collaborazione con gli uffici per la riqualificazione di altre quattro aree. Le piazze erano state scelte con criteri guida: alcune in quanto caratteristiche di piccoli centri storici di vecchi quartieri incorporati nella città (Baggio, Affori, Crescenzago, Greco, Bovisa) altre per il fatto di essere aree prive di identità urbana o addirittura con caratteristiche di degrado (piazzale Gabrio Rosa e piazza Tirana, il quartiere Gratosoglio e il quartiere Olmi). In tutti i casi si chiedeva un progetto di valorizzazione dei siti che ridisegnasse la forma degli spazi con nuove pavimentazioni, con l’introduzione di verde e collocazione di oggetti di arredo di buon design, il rifacimento dell’impianto di illuminazione e, nella maggioranza dei casi, sono state chieste e collocate nuove fontane. Durante la progettazione si sono cercati materiali di pavimentazione che, pur mantenendosi in costi limitati, fossero soddisfacenti da un punto di vista estetico e tecnico per robustezza e spessore del lastrico, che nelle zone pedonali è stato tenuto sempre di 6 cm (per inciso molte pavimentazioni di Barcellona con spessore 34 cm sono oggi danneggiate). I progetti preliminari sono stati approvati nel luglio 2000, i progetti esecutivi deliberati nel novembre 2000, gli appalti nel primo semestre successivo ed i lavori sono iniziati nel luglio-settembre del 2001. I progetti relativi agli spazi pubblici sono molto complessi per la pluralità delle funzioni che devono affrontare e quindi per la pluralità dei soggetti coinvolti sia all’interno delle Amministrazioni e degli Enti che nei confronti dei cittadini. Il progetto architettonico della pavimentazione e degli arredi è infatti solo uno all’interno di una serie di progetti che riguardano il rifacimento dei servizi del sottosuolo, la ridefinizione della viabilità e la segnaletica conseguente, la risistemazione del verde e gli impianti di irrigazione, il progetto illuminotecni-
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co e gli impianti delle fontane. Su ognuno di questi temi devono essere prodotte tavole specifiche concordate punto per punto con gli uffici (quando queste verifiche non vengono fatte o non sono precise, succedono sempre dei guai che possono successivamente danneggiare i progetti e i lavori). Infine tutte nove le piazze sono state presentate con plastici nelle assemblee di zona. Èstata un’esperienza molto interessante anche se difficile. La critica fondamentale ai progetti era relativa alla diminuzione dei posti macchina. Nonostante ci si sia sforzati di mantenere il numero più alto possibile di stalli, compatibilmente alle necessità del luogo, quello della sosta resta sempre un argomento del contendere, sul quale molti cittadini, soprattutto maschi in età lavorativa, sono piuttosto agguerriti (donne e anziani tendono a preferire l’ampliamento degli spazi verdi e pedonali). L’altro motivo di critica costante era che l’Amministrazione spendeva soldi per “ abbellimenti” quando nel quartiere c’erano problemi molto più importanti e determinanti per la qualità della vita, quali mancanza di autorimesse interrate, traffico convulso, edilizia popolare scadente. A questo proposito si è fatto notare che i progetti sullo spazio pubblico possono essere volani di riqualificazione complessiva delle aree circostanti, perché trascinano altre tematiche: ad esempio, a seguito del nostro intervento, nel quartiere Olmi si sta procedendo con il progetto di rifacimento dell’intera rete fognaria. Resta una domanda a cui rispondo brevemente: come sapere se i progetti funzionano? Al termine dei lavori si possono rilevare degli indicatori del buon esito dell’operazione che consistono nella mancanza di proteste (le lodi e i consensi sono molto rari, quando tutto tace vuol dire che funziona) nell’aumento della vivibilità della zona (aumento del flusso delle persone e apertura di nuovi negozi), la facilità nella manutenzione e, dato che può essere stimato più o meno positivo, aumento del valore immobiliare degli edifici con conseguente incremento di lavori di restauro delle facciate. Questo è accaduto nel centro storico e occorrerà verificare se si avranno analoghi fenomeni nelle periferie. Città - M useo Vivente di Vittorio Introini Le seguenti considerazioni propongono criteri orientativi per la soluzione di un problema che non trova ambiti istituzionali di indirizzo e di responsabilizzazione, esso vive la contraddizione della casualità di crescita da un lato accettata come male incurabile della città contemporanea, ed a volte letto in chiave poetica esaltante l’estetica del “ disadorno” o delle “ sensazioni” , confondendo la sollecitazione emotiva dell’immagine con il dramma dell’esistenza. Il tentativo condotto in direzione opposta alle teorie del “ caos” applicate all’architettura continua a credere nella positività e continuità del progetto, teso alla definizione dello spazio di intervento, nella pluralità dell’arte nella dialettica delle singolarità fisionomiche da attribuire ai luoghi nel divenire delle relazioni. In tali ipotesi la ricerca estetica estesa all’intero ventaglio delle arti storiche e contemporanee diviene la sfida al “ non luogo” , cioè allo spazio privo di immagine e di possibilità comunicative, e attua il processo di modernizzazione della (albertiana) città-edificio, luogo deputato al consumo dell’ arte, nell’assunzione in positivo della tendenza post-industriale indirizzata all’utilizzo delle risorse artistiche nel rispetto dell’originarietà culturale, nella proiezione della storia, nella contemporaneità documentante l’insieme delle sperimentazioni. La fenomenologia del vuoto si presenta in modo composito, all’assenza di definizione morfologica si affiancano componenti di profilo sociologico, di opportunità d’uso della città, di appiattimento della comunicazione, di limiti locali di fruizione. Queste considerazioni definiscono l’attenzione da porsi allo spazio della analisi e del progetto coincidente con la totalità del corpo urbano. La risoluzione dei “ vuoti” costituisce il dato iniziale e finale di un
programma unitario che presuppone la loro lettura, classificazione analitica, gerarchia indirizzata alla risignificazione degli spazi, alla definizione delle potenziali identità coordinate alla scala urbana ed alla mobilità territoriale. La visione sistemica antitetica ai processi episodici ed aggregativi, che hanno costruito le periferie e le negatività conseguenti, identificherà una strategia totalizzante affidata alle relazioni semiologiche della storia con il presente in una concezione che connette la centralità storica con l’esterno ed il paesaggio extra-urbano. I criteri d’intervento saranno condizionati dalla variabilità delle situazioni sia sul piano teorico sia sul piano tecnico e materico. Nelle aggregazioni periferiche il luogo segnico del progetto assume valori di primarietà interpretative delle vocazioni alle identità, metamorfizzando il degrado e l’abbandono per divenire protagonista ed interprete della nuova città. L’enunciato criterio di stabilire fisionomie dialettiche presuppone l’individuazione di rapporti correlati nella griglia di governo dilatata all’intero corpo urbano. Il passaggio successivo più problematico della ricerca consiste nel superamento del luogo comune rappresentato dal cosiddetto arredo urbano e ridotto al “ piastrellismo di architetti piastrellisti o piastrellatori” . La sintesi disciplinare che si va definendo nell’obbiettivo finale non è attribuibile alla sola architettura in quanto sottende una processualità composita di settori dell’arte non comunicanti. La povertà del reale suggerisce l’occasione di ricomposizione di ambiti culturali un tempo interrelati in un’unica matrice ed oggi separati. D’altro canto la stessa idea di natura e della sua “ invenzione” stenta ad individuare una interpretazione contemporanea che superi la dualità classicismo-romanticismo che in modo alterno ha caratterizzato la poetica del progetto. La stessa corrente Organicista del Movimento Moderno si è affidata ad una sorta di spontaneismo passivo e non analitico. Il processo di storicizzazione, che in questi ultimi decenni ha recato un sostanziale contributo esegetico con il rinnovamento dei contenuti della storiografia, esteso alla analisi del Naturalismo, potrebbe aprire orizzonti di attualità all’idea di natura, nella consapevolezza che tale tema non ha trovato ampie risonanze nel Movimento Moderno, preoccupato da altre valenze ideologiche. La rifondazione della progettualità urbana nei punti nevralgici è l’occasione per riflettere sulla unitarietà dell’arte concepita nello spirito fondativo originario delle Accademie storiche e dominato dall’intensità del dibattito tra i settori in esso rappresentati. Il riferimento all’Accademie vuole celebrare l’abitudine al dialogo superando l’appiattimento attuale. Il palinsesto delle arti è rappresentabile dalla loro totalità storica e contemporanea espressa da nuove tecnologie informatiche, multimediali, materiche. L’arte legata alla vita, al territorio e non solo custodita nei musei, entra a titolo obbligatorio nella realtà nella sua estetica con linguaggi eterogenei riconducibili al divenire dialettico del pensiero. In queste situazioni la sopravvivenza dell’” urbano” è affidata alla coscienza della pluralità e della polisemia delle forme artistiche. Questo atteggiamento presuppone l’invenzione di nuove tipologie connaturate agli spazi collettivi. Ricomporre l’ordine attraverso l’arte significa anche superare le contraddizioni tra le aree previlegiate dalla sedimentazione storica del capitale ed il “ nuovo” povero, frammentario, incompiuto, ma legittimato a superare la fase preurbana e a fondare la contemporaneità. Due stazioni della metropolitana di Napoli di Alessandro e Francesco Mendini La metropolitana di Napoli si sta ampliando, nella nuova linea ci sono due stazioni progettate dal nostro studio in sequenza una con l’altra. Per la prima stazione realizza-
SCHEDA TECNICA Progetto architettonico e coordinamento opere d’arte: Atelier Mendini (Alessandro e Francesco Mendini), progetto con Andrea Balzari, Filippo Ferrari, Bruno Gregori, Alex Mocika, Sergio Sinopoli, Sam Stone, Lorena Vieyra, Marisa Alegria Vinha, Barbara Zanotta Artisti invitati: Renato Barisani, Luca Castellano, Riccardo Dalisi, Lucio Del Pezzo, Enzo Cucchi, Santolo De Luca, Nino Longobardi, Ugo Marano, Fulvia Mendini, Alex Mocika, Raffaella Nappo, Mimmo e Salvatore Paladino, Gloria Pastore, Augusto Perez, Mimmo Rotella, Anna Sargenti, Gianni Pisani, Perino & Vele, Ernesto Tatafiore
Consulenza critica: Achille Bonito Oliva Collaborazione organizzativa per gli artisti: Giusi Laurino Coordinamento cantierizzazione opere d’arte: Renato Fasanaro Restauro della Cappella Neoclassica: Sovrintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici, Ugo Carughi; Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici, Laura Giusti Restauro dei resti del Ponte Romano: Sovrintendenza Archeologica delle Provincie di Napoli e Caserta, Giuseppe Vecchio. Progetto di restauro: Michele Varchetta Concessionario: Metropolitana di Napoli Concedente: Comune di Napoli Coordinamento progetto: Metropolitana Milanese Consorzio esecutore stazione Salvator Rosa: MetroSud Consorzio esecutore stazione Mater Dei: Comena Illuminazione pubblica: Enel Sole Mosaici: Bisazza, Vicenza
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Atelier Mendini (Alessandro e Francesco Mendini), La stazione Salvator Rosa della metropolitana di Napoli. Veduta della piazza.
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ta, Salvator Rosa, ci siamo trovati a lavorare in un tessuto urbano estremamente deteriorato in un luogo di grande speculazione edilizia degli anni ‘60 e ‘70, pertanto in una specie di orrido urbano, una enorme fossa di frontespizi, così che all’inizio era arduo affrontare il tema. Sottoterra la nostra nuova stazione è molto moderna; a quota stradale invece ci siamo capillarmente adattati a qualificare il tessuto urbano esistente. Abbiamo poi pensato di fare una specie di panoramica degli artisti napoletani contemporanei inserendoli nel nostro contesto ed abbiamo accettato, indipendentemente dal loro gergo, sulla base di una selezione di qualità generale e con la consulenza di Achille Bonito Oliva, vari linguaggi artistici, e li abbiamo collocati in punti appropriati del progetto. Da parte nostra l’intenzione è stata più che di selezionare l’artista, quella di includerlo intimamente nella composizione dell’architettura. C’è un frontespizio blu con una grande mano metallica di Mimmo Paladino, dove dalle finestre abusive aperte sulla parete cieca escono come dei drappi da processione irrigiditi in lamina d’oro. Ancora un frontespizio con un grande mosaico di Mimmo Rotella (sono stati scelti anche alcuni autori non napoletani). Su un muro-scenario sono collocate delle grandi maschere alate di Dalisi. Nella discesa verso i binari, vi è una grossa ceramica ad altorilievo fatta a Vietri da Enzo Cucchi in pannelli di un metro per un metro. Una specie di obelisco è di una giovane artista, Raffaella Nappo, che lavora con la fibra di carbonio, poi due opere di un giovane artista belga Alex Mocika. Ci sono anche opere di due altri giovani napoletani, Perino e Vele, che hanno incluso carcasse di auto Fiat 500 nel materiale di carta pesta che sono abituati ad usare. Il chiosco per un ascensore è piastrellato da Lucio Del Pezzo, poi un mosaico del vecchio artista Ernesto Barisani, che è un po’ il padre di tutti gli artisti napoletani contemporanei. Gli altri artisti sono: Luca Castellano, Santolo De Luca, Lello Esposito, Nino Longobardi, Ugo Marano, Fulvia Mendini, Salvatore Paladino, Gloria Pastore, Augusto Perez, Anna Sargenti, Quintino Scolavino, Gianni Pisani, Ernesto Tatafiore, Natalino Zullo. L’ipotesi è che un nodo di intenso interscambio quale è una stazione, possa fungere anche da museo di transito, all’aperto. Questa opera esprime un concetto generale di arredamento urbano cui da tempo stiamo lavorando. La scena urbana, infatti, ha un obiettivo preciso, consiste nel progetto del bello e delle forme degli spazi pubblici. A questa utopia del bello nella città ci riferiamo con l’idea di andare oltre all’idea tardo funzionalista dell’arredo urbano. Le piazze, le strade, i mercati, le passeggiate e i loro allestimenti vanno considerate come opere estetiche, come spezzoni di teatro esterno dotati di senso emotivo e antropologico, adatti a coinvolgersi profondamente con gli abitanti, ad essere dei palcoscenici per i cittadini. L’architetto, il designer, l’artista, lo scenografo, il grafico, il progettista delle luci, sono gli operatori di queste opere integrate, siano esse grandi o piccole. Il cosiddetto arredo urbano moderno e contemporaneo arriva da tutt’altra cultura. Sembra proprio che i suoi elementi e oggetti costitutivi siano stati progressivamrente castigati e succhiati al ruolo sterile di funzioni aride, tanto quanto è arida la vita quotidiana che l’uomo della megalopoli svolge nel suo piatto reiterarsi monodimensionale privo di ritualità. Panchine, cestini, pensiline, autobus, paracarri, fioriere, eccetera, sono come dei freddi naufraghi in una realtà urbana che li respinge e che velocemente li trasforma in rifiuti. Per ritrovare la sua motivazione profonda, la radice del suo essere, il disegno urbano deve attingere e collegarsi a culture precedenti a quelle industriali. In sostanza, l’arredo della città deve porsi come scenografia.
Si tratta del preciso genere di un’architettura non destinata a contenere, fatta di quinte, di pavimenti, di chioschi, ed anche di singoli oggetti. E dell’architettura ha proprio il compito, che è quello di accogliere, di creare simpatia e voglia di una frequentazione colta, ovvero cerimoniale e ammirata. I giardini barocchi, le fontane di Roma, le piazze medievali, gli spazi zen sono i referenti lontani di questo atteggiamento progettuale. E poi la presenza di opere d’arte nella città, un sistema di punti nodali ad alta intensità emotiva, adatti a fare da referenti emblematici per il cittadino che si deve spostare: un patch-work estetico e visivo. Il riordino della Piazza della Stazione a Firenze di Cristiano Toraldo di Francia Quando nella primavera del 1985 fui incaricato del progetto di arredo urbano della Piazza della Stazione di S. Maria Novella a Firenze, la Piazza già si avviava ad essere quel “ non luogo” che insieme alla Galleria interna della Stazione, avrebbe costituito uno dei nodi urbani di maggior interesse e frequentazione della città. Rifiutai di conseguenza l’idea che la riqualificazione della piazza potesse essere solo un problema di arredo, ma affrontai con l’amministrazione uno studio preliminare sullo stato dei flussi e degli spazi di sosta e di incontro, che risultavano oramai troppo sovrapposti e indistinti. Del resto la strada ferrata, entrata nel 1865 fin nel cuore del centro storico, con progressivi ingrandimenti della Stazione di testa aveva scardinato e distrutto il tessuto urbano circostante sostituendolo con vuoti e edifici in stile ‘900 di scala romana. A chi si ponesse ad esaminare quell’insieme di spazi retrostanti l’abside di S. Maria Novella per riconoscervi la tipologia urbana della Piazza rimarrebbe deluso, riconoscendo nell’edificio della stazione il primo “ oggetto” moderno circondato da una sequenza di vuoti. Scrive Francesco Gurrieri nel catalogo Tre architetture degli Anni Trenta: “ La stazione di S. Maria Novella sorge alle spalle dell’omonima chiesa, entro il perimetro a suo tempo rigidamente stabilito dal bando di concorso, che obbligava alla creazione di uno spazio (non ci sentiamo di definirlo proprio piazza), antistante all’edificio stesso, in aperta contraddizione con il tessuto urbanistico circostante. L’equilibrio tra piazza S. Maria Novella e piazza dell’Unità si ruppe, sbilanciato irrimediabilmente dallo squarcio sgangherato aperto con la demolizione di via Valfonda, che andava da piazza dell’Unità all’attuale piazza Adua. La situazione fu poi aggravata dalla sequenza di edifici realizzati per dare una sistemazione definitiva al nuovo spazio venutosi a creare. Furono questi un vero campionario di mediocrità e malcostume architettonico, che dimostrò quanto poco avesse realmente inciso nel tessuto italiano l’estenuante polemica che aveva accompagnato il concorso per la Stazione” . L’edificio del fabbricato viaggiatori è quindi circondato da tre ampi spazi: via Alamanni, la vera e propria piazza tra l’edificio e l’abside della chiesa e via Valfonda fino all’attuale piazza Adua, ognuno con caratteristiche decisamente diverse. Il progetto nasce come operazione di sintesi tra una serie di materiali, parte già presenti nel sito come memoria o come dato di fatto, altri da inventare ma in certo qual modo già intuibili nelle direttrici urbane del luogo. La prima operazione, mirata al riordino dei flussi, è stata quella di raccogliere una serie di fermate di ben 14 linee urbane lungo due strutture protette ai lati opposti della Galleria di testa della Stazione, creando due Terminal scambiatori che rispondono con differenti tipologie agli spazi urbani nei quali si collocano.
La seconda è stata quella di raccogliere nello spazio del Terminal lungo via Valfonda, che usufruisce di una piattaforma alberata, residuo di indiscriminate demolizioni dei fronti edilizi storici e dell’arretramento dei nuovi, una serie di altre funzioni che fino ad allora avevano occupato in maniera precaria la Piazza: un ufficio informazioni del Comune, un ufficio abbonamenti dell’Ataf, una biglietteria, una rivendita di giornali, servizi telefonici e altri piccoli esercizi commerciali. Questa scelta ci ha permesso di creare un’isola pedonale attrezzata, che occupa una fascia di ben 160 metri di lunghezza, come avere portato all’esterno un’altra piattaforma della Stazione in parallelo ai binari, questa volta
invece a protezione dai flussi del traffico veicolare intenso che la lambiscono. La scelta dei materiali e dei dettagli del Terminal è stata fatta con l’intenzione di costituire un collegamento con le scelte che avevano caratterizzato il disegno degli spazi interni della Stazione: questi ultimi si distinguono per varietà e vivacità dei materiali e dei colori dall’involucro monocromo in pietra forte, che dialoga direttamente con le strutture petrose dell’abside della Chiesa di S. Maria Novella. Così questa piccola architettura del Terminal mette in opera materiali e dettagli che tentano un rapporto diretto e sensuale con chi aspetta distratto e stressato il passaggio da un mezzo ad un altro, trovandosi in una
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Cristiano Toraldo di Francia con Andrea Noferi, Sistemazione dell’area della Piazza della Stazione a Firenze. Dettaglio del basamento in via Valfonda (foto: Mario Ciampi).
condizione limite e un po’ ibrida di esterno-interno. Abbiamo cercato un rapporto di scala più umano, che esprimesse una critica alle dimensioni istituzionali degli edifici delle Assicurazioni costruiti dopo le demolizioni ed una alternativa agli slarghi anonimi che questi hanno introdotto nel tessuto urbano, ricercando invece un rapporto con le dimensioni medioevali degli spazi urbani Fiorentini dove gli inserti monumentali sono sempre come dice Vittorio Savi “ incastrati” nella fabbrica urbana.
La proliferazione di segni, oggetti, attrezzature, volumi ed altro, segna la città con un percorso puntiforme, casuale e continuo. Non sembra insensato volgere uno sguardo trasversale e parziale verso questo catalogo involontario che, sommando nel tempo necessità senza progetto e progetti senza necessità, deforma i luoghi della città consegnando lo spazio pubblico
alla categoria del magazzino e del provvisorio. Marco Introini ha vagato senza meta nello spazio metropolitano (di Milano) cogliendo una surreale ed esteticamente stimolante serie di sguardi che nella loro catalogica freddezza affermano la presenza di un problema o comunque l’assenza di una visione, quella del progetto. (F. R.)
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1. via Rossetti. 2. piazzale Arduino. 3. piazza Giulio Cesare. 4. via Pisani. 5. piazza della Repubblica. 6. piazzale Lodi.
7. piazza Erculea. 8. via Pisani. 9. piazza De Angeli. 10. piazza Giulio Cesare. 11. via San Barnaba. 12. piazzale Accursio.
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13. piazzale Accursio. 14. piazzale Accursio. 15. largo Camus. 16. piazza De Angeli. 17. piazza Sempione.
18. piazza della Vetra. 19. piazza Sempione. 20. piazzale Arduino. 21. piazza De Angeli. 22. piazza Leonardo da Vinci.
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23. piazzale Accursio. 24. piazza De Angeli. 25. viale Migliara. 26. via XX Settembre. 27. via Bonardi.
28. largo V Alpini. 29. via Terzaghi. 30. via Predil. 31. largo V Alpini. 32. piazza De Angeli.
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Como a cura di Roberta Fasola
Il dettaglio di architettura e il progetto dello spazio pubblico
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Prima di affrontare la delicata questione sulla definizione del livello di approfondimento di scala da adottare nel progetto dello spazio pubblico, credo sia fondamentale analizzare e comprendere le condizioni entro le quali si sviluppa il “ fare architettonico contemporaneo” . Innanzitutto occorre porre attenzione su come la tendenza in atto di accreditare all’urbanistica tutte le colpe del mancato corretto sviluppo delle nostre città, ha finito col far cadere in una sorta di empasse la progettualità, e questo grazie anche alla presenza di una critica decisamente non costruttiva e che, al contrario, dovrebbe invece prendere riconoscibilità e consistenza dal reale: spunto dal quale o contro il quale far emergere una co-
Mathias Goeritz e Luis Barragan, Torri satellite, Città del Messico 1967 (foto tratta da “ Casabella” , n. 690, giugno 2001).
scienza progettuale più attenta. Una lettura critica del contesto, cioè, come garante di un corretto gesto progettuale che sia, a sua volta, capace di comprendere il luogo e, dove necessario, di riordinarlo. Negli ultimi anni vi è stato sicuramente un forte aumento di interesse nei confronti del contesto inteso in tutti i suoi aspetti (storici, paesistici, sociali, culturali, di espansione): un luogo cioè identificato da memorie stratificate. Purtroppo questa acquisita coscienza non è stata in grado di impedire, sia alla città in genere che agli spazi pubblici in particolare, di crescere e mutarsi in maniera acritica, indifferenti ai luoghi ed alle strutture delle condizioni insediative, dando così vita a fenomeni di “ atopia orientata” : “ orientata da principi insediativi alternativi a quelli del luogo” (V. Gregotti). Progetti mirati unicamente a ripetere modelli di comportamento e di funzionamento, capaci solo di perdere in maniera totalitaria la loro funzione di aggregazione spaziale oltre che sociale. La crisi della nozione di “ dimensione” intesa come difficoltà di individuazione del livello di approfondimento della scala progettuale, ha portato all’individuazione di uno spazio accidentale, eterogeneo in cui tutte le sue componenti contribuiscono ad una dannosa trasfigurazione urbana. È necessario, per questo, combattere quel fenomeno psicologico tipico ed esclusivo della città identificato da Simmel nel “ Blasè” , inteso non solo come incapacità di avvertire la differenza di valore tra gli oggetti che la identificano, ma, addirittura, di percepire tale significato come nullo, indifferente. “ Esse appiono al blasè in una tinta uniformemente grigia e smorta e nessuna merita di essere anteposta alle altre” (G. Simmel, Brucke und Tur, tradotto da T. Maldonado in Tecnica e cultura). Ma è proprio la stessa atopicità ad offrire lo spunto principale per affrontare una ricerca di valore dello spazio pubblico, trasformando il vuoto - inteso come assenza di principi fondativi - che lo identifica, in elemento colloquiale nei confronti del contesto, rimandando immediatamente alla sensibilità del progettista, punto nodale tra le ipotesi del progetto ed il suo farsi forma. Le delicate questioni legate al rapporto forma-funzione, che hanno dominato il dibattito critico degli anni ’60, si vedono rilette e reinterpretate oggi dalla psicologia, dalla sociologia e dall’antropologia, quali componenti fondamentali all’interno del processo progettuale: un qualsiasi elemento (la piazza, la strada, anche un oggetto di arredo urbano) implica un utilizzo, a livello sia di fruibilità fisica legata al suo utilizzo che sociologica legata alla percezione del suo valore, che si rifletterà sempre e comunque nell’intorno dello spazio in cui verrà inserito, nonché sui comportamenti di chi ne usufruirà. Esso, in pratica, potrà operare in due distinte direzioni: • La prima che lo vede unificarsi ai modelli comportmentali esistenti e propri del luogo di utilizzo; • La seconda che lo vedrà rinnegare gli stessi, proponendone una modificazione, attraverso l’introduzione di nuovi modelli relazionali. Le Torri Satellite di Goeritz e Barragan possono costituire un significativo esempio di questa seconda teoria, in quanto, essendo contemporaneamente architettura, pittura e scultura, divengono soggetto emozionale in grado di sovvertire la realtà delle cose, attraverso la loro percezione cinetica, sempre mutevole con il movimento dello spettatore. Lettura occidentale dello spazio olonico giapponese, percepibile in maniera sempre mutevole attraverso la sua percorribilià. La delicata questione della scala di dettaglio alla quale il progettista dovrà accedere, dovrà essere tale per cui il progetto riesca ad assolvere alle funzioni di aggregazio-
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Cremona a cura di Massimo Masotti
Qualità urbana nell’immagine della città Con la Variante al P.R.G., approvato recentemente e descritto sull’ultimo numero di “ Urbanistica Quaderni” n. 32, dedicato interamente a Cremona, si comprende come, dopo una lunga fase di espansione della città nel territorio, sia ora necessario concentrarsi sull’esistente tentando di recuperare le potenzialità nascoste degli spazi urbani, sia attraverso “ progetti guida” riguardanti i grandi vuoti inutilizzati, sia attraverso opere di “ abbellimento” con la progettazione del dettaglio urbano, finalizzati entrambi al recupero dell’identità e della qualità urbana. A tale scopo, studi e indagini sono stati condotti dal Laboratorio per il Recupero del Centro Storico, diretto dagli architetti Lamberto Rossi e Barbara Croce, istituito presso il Settore Pianificazione del Comune di Cremona con lo scopo di definire un piano-programma per il centro storico, dal quale sono nati i primi strumenti destinati alla revisione e riqualificazione dello spazio pubblico. La necessità di recuperare la qualità della città attraverso una progettazione definita in diverse scale, dallo studio urbanistico al dettaglio di arredo urbano, nasce dall’iniziativa dell’allora assessore, arch. Massimo Terzi, che ha visto in Cremona una città piena di risorse che, se opportunamente valorizzate, anche attraverso una migliore qualità architettonica, sarebbero in grado di attrarre non solo turisti ma anche eventi culturali e iniziative di altro genere. La fase di progettazione puntuale è stata affrontata dall’Ufficio Qualità Urbana, creato appositamente durante il Laboratorio per il Recupero del Centro Storico, coordinato dall’arch Cristina Tonoli e dal direttore di settore arch. Fulvia Delfino. L’Ufficio si è avvalso della consulenza dell’arch. Barbara Croce per quanto riguarda la redazione dei regolamenti edilizi per la qualità urbana, la progettazione dell’arredo urbano e gli studi sulle tinteggiature degli intonaci. Il corposo lavoro di ricerca e progettazione svolto da questo ufficio si è concretizzato nella formulazione di un insieme di proposte che tengono conto di uno studio più approfondito degli spazi, sulla base di un concetto legato alla “ qualità urbana” . Questo implica, oltre alla progettazione dei singoli elementi da inserire come arredo urbano, anche la progettazione della pavimentazione stradale, dei percorsi pedonali protetti e degli spazi per la sosta; la manutenzione delle facciate attraverso l’uso appropriato dei colori, sia dal punto di vista della composizione chimica che dal punto di vista cromatico; la progettazione dell’illuminazione, oltre che il corretto uso di segnaletiche ed insegne. Questi interventi tendono ad ottenere unitarietà e riconoscibilità dello spazio pubblico in una sorta di lettura continua, intesa come sequenza di elementi che identificano lo spazio stesso, e creano una definita “ immagine della città” . Così è stato inteso il progetto che guiderà la futura riqualificazione delle piazze cremonesi: alcuni esempi già realizzati riguardano Piazza Antonella e Piazza Sant’Agata. Le piazze vengono viste come stanze collegate da percorsi strutturati nella città, per i quali risulta necessario un filo conduttore costituito dagli elementi di arredo adeguatamente collocati al fine di creare un intorno armonico di riferimenti visuali. Riguardo la progettazione di questi ultimi, sono stati studiati e realizzati elementi uniformi e riconoscibili nella forma e nei materiali, che di fatto generano, grazie ai caratteri ricorrenti, un richiamo reciproco tra uno spazio pubblico e l’altro. La progettazione si è concentrata principalmente su elementi come il cestino per la carta, la fio-
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ne, per le quali un luogo pubblico deve essere pensato: aggregazione intesa sia a livello dell’impianto urbano (quindi si parlerà di relazioni con il contesto), che a livello sociale, superando così il valore del singolo gesto progettuale e rivolgendosi alla necessità di operare attraverso una soluzione organica che sia in grado di assorbire e recuperare le tematiche di volta in volta offerte dal luogo. Si dovrà, in pratica, sviluppare la capacità di studio delle singole parti in rapporto all’immagine globale del progetto che, tradotto in termini pratici, significa andare verso una più piccola scala del dettaglio: dal generale al particolare e viceversa, attraverso un’azione simultanea e reciproca di procedimenti, continuo rimando ad un fare progettuale sempre vigile ed attento alle esigenze del contesto. E questo, sostanzialmente, significa un ritorno all’ordine. In questa direzione è andata, ad esempio, la ricerca Minimal, la quale si è affidata al principio della semplicità per andare verso l’individuazione della natura essenziale delle cose e della verità. I particolari del progetto sono paragonati a vocaboli che mantengono il loro significato originario, indipendentemente dalla sequenza logica con cui vengono composti, mentre per mezzo della loro lettura consequenziale contribuiscono a dare significato all’insieme. Altro significativo esempio, questa volta però riguardante il campo più specifico dell’arte, cioè offerto dall’opera di Mondrian: anch’egli, infatti, andava verso la ricerca della pura realtà: una realtà non fenomenica ma spirituale, privata di tutte le sue qualità accidentali, riducendo in tal modo gli elementi del suo problema ai due fondamentali della linea e del colore; lo spazio diviene bianco, nero e grigio, la forma rossa, blu o gialla. “ Verticali ed orizzontali come espressione di due forze opposte la cui azione reciproca costituisce la vita” (Piet Mondrian). Riflettendo su quanto appena detto e ritornando allo specifico caso della progettazione dello spazio pubblico, credo che questo significhi porre maggiore attenzione sia verso il dettaglio che verso la scelta dell’utilizzo dei materiali, che dovranno così essere in grado di conferire una ritrovata qualità al progetto. Il concetto di qualità appare, in tal senso, strettamente connesso con quello di semplicità, intesa come semplicità di lettura e di interpretazione, e non come ridondante ricchezza e forzata ricerca del particolare. Lo stesso Simmel ha ampiamente affrontato la tematica del rapporto privazione-sazietà nella percezione, evidenziando come spesso la città sia percepita e non appercepita, e questo perché i messaggi sono troppi e non troppo pochi. Ed è dalla riflessione sulla città che lo spazio pubblico vuole, deve essere ripensato quale elemento aggregante e socializzante ed è attraverso la lettura dei suoi particolari (si ricorda che per definizione “ particolare è ciò che attiene una parte” ) che si dovrà riconoscere la qualità della lettura d’insieme dell’intero progetto: è il nove rosso di Chermayeff nella 57° strada di Manhattan, anagrafico di un edificio, che perde il suo stato di crittogramma per farsi plastico e divenire segno nel disordine metropolitano.
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riera, il reggi-bicicletta e i dissuasori; quest’ultimi realizzati come elementi componibili con quattro possibilità di posa: il paletto singolo, il paletto con la catena o con la transenna e il paletto dotato di sostegno per le biciclette. Gli elementi sono realizzati in fusione di acciaio verniciata a polvere, in colore grigio “ canna di fucile” o verde scuro. Uno degli obiettivi della ricerca effettuata dall’Ufficio Qualità Urbana, nel corso del Laboratorio, è stato quello di realizzare uno strumento di supporto nella collocazione corretta degli elementi di arredo urbano. Con la stesura del “ Regolamento edilizio della qualità urbana” , oggi in fase di approvazione, si è cercato di affiancare al quadro normativo, schemi e immagini come esempi di possibili interventi. Il Regolamento è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali contiene specifiche disposizioni riferite ai temi affrontati: per la realizzazione di insegne, targhe, vetrine e tende; si prevedono limiti dimensionali per la loro installazione, le posizioni rispetto alla facciata dell’edificio, nonché i materiali e i colori che possono essere usati, in modo da non risultare invasivi rispetto alle prospettive che si creano negli spazi della città storica. Per l’occupazione del suolo pubblico si definiscono i casi in cui è consentito il plateatico e le tipologie degli arredi, oltre ai materiali e colori; per i colori e le finiture di facciata, è stato formulato un insieme di indicazioni e orientamenti, in attesa della possibilità di realizzare un piano del colore vero e proprio con valore vincolante per il centro storico. L’aspetto interessante di quest’ultimo regolamento riguarda l’uso del colore nella progettazione della città in quanto fattore determinante della percezione spaziale, che integrato e affiancato alla progettazione del dettaglio dello spazio urbano, ne evidenzia le qualità. Come strumento di supporto per i progettisti e integrazione ai Regolamenti, è stata realizzata la “ Tavolozza dei colori della città di Cremona” , contenente le indicazioni per i colori delle facciate e degli elementi complementari di finitura, basate su un attento monitoraggio delle coloriture del centro storico, sia attraverso campioni prelevati in loco che dai documenti storici forniti dall’Archivio di Stato di Cremona. Questo lavoro che è durato complessivamente circa tre anni, è stato affrontato e redatto dall’Ufficio Qualità Urbana del Comune di Cremona. Un prestigioso riconoscimento ufficiale al lavoro svolto è stato l’assegnazione del Premio Nazionale “ Torre di Guinigi” per la riqualificazione urbana, consegnato a Lucca nell’estate 2001, durante la rassegna “ Arredare la città” . Stefania Manni
Lecco a cura di Carmen Carabus
Da un giovane architetto, da un giornalista e da una paesaggista: dialogo sul tema “Il dettaglio nella progettazione dello spazio pubblico” Il dettaglio nel progetto dello spazio pubblico ci obbliga a riflettere sull’argomento generale dello spazio. Progettare uno spazio mutevole, flessibile e polivalente che vede come protagonista l’abitante del luogo o il passeggero. Tutta la scenografia che corrisponde allo spazio pubblico deve, attraverso la sua funzione principale, dare una precisa caratteristica determinante per il luogo; se nei centri storici è prevalente la netta divisione fra privato e pubblico, negli spazi moderni si progetta pensando alla successione di spazi intermedi che generano lo spazio principale, siano questi le piazze, parchi, vie, ecc. Le considerazioni del giovane architetto sulle problematiche progettuali aprono un dibattito complesso e lungo da definire, mentre il giornalista propone le sue vedute sul dettaglio nell’ambito concreto della città di Lecco e la paesaggista propone un’alternativa metodologica sperimentale sul modello progettuale e la sua riuscita attraverso il disegno condiviso. Le tematiche affrontate sembrano distanti una dall’altra mentre il tema del dettaglio come valore intrinseco nella progettazione è stato considerato nell’insieme senza differenziazioni, vale a dire che la sua importanza e il suo successo dipendono dalla realizzazione del progetto generale; il dettaglio è parte integrante del progetto ed è un momento di classificazione per raggiungere una determinata qualità progettuale. Il dettaglio avrà il suo valore in base alla scelta del materiale, all’uso del colore, alla vibrazione che provoca un progetto d’illuminazione, alla convivenza con elementi verdi, elementi che richiedono un’attenzione particolare alla quantità, per ottenere un equilibrio dello spazio costruito, sia esso verde o edificato. La funzionalità è in rapporto diretto ad una praticità dello spazio architettonico rivelandosi come una condizionante estetica, e dipende dalla forza generatrice del progettista far prevalere le sue motivazioni per “ conquistare” il cambiamento. C.C.
La figura dell’architetto nella progettazione dello spazio pubblico
Prototipo di paletto con funzione associata di reggibicicletta: applicazione in Piazza della Pace a Cremona.
Affrontare in maniera sinceramente moderna la progettazione dello spazio urbano inteso come spazio pubblico, permetterebbe alla nostra architettura di uscire da quella dimensione di scarsa reattività, di torpore, in cui, anche per colpa di noi architetti, è stata relegata. Indubbiamente non siamo stati in grado di rispondere ed interpretare, in maniera adeguata, ai nuovi stimoli e cambiamenti. C’è stata poca apertura verso nuovi problemi, verso nuove modalità con cui affrontarli. Spesso poi dell’architettura contemporanea si ha un’opinione negativa che porta, di riflesso, a rivalutare il passato. Non perché il moderno sia un non valore in assoluto, ma perché i valori della modernità restano soffocati in interventi progettuali che non riescono a comunicare con la collettività. Indubbiamente è difficile riordinare e animare la città di oggi, una città, tra l’altro, caratterizzata dal fenomeno del no-
Bruno Cesana (architetto)
Il “dettaglio” come fattore di più ampio respiro, parte essenziale del “sistema citta” Discutere sul valore del “ dettaglio” nella progettazione dello spazio pubblico sarebbe a prima vista compito esclusivo degli addetti ai lavori. Ma proprio perché “ pubblico” questo spazio deve altresì rispondere alle esigenze dell’utenza finale - l’insieme dei cittadini - secondo parametri di funzionalità e di un certo “ gusto” comune. Pertanto il pensare uno spazio pubblico chiama ad una doverosa sinergia fra specialisti e amministratori, anche nel rispetto delle numerose normative vigenti in materia. Su un più vasto piano culturale, quindi la valenza del termine “ dettaglio” può finire col riguardare ben più del singolo particolare estetico o dei materiali da impiegare. Ricorriamo ad una prima provocazione citando un esempio tutto lecchese: il centro Meridiana. La struttura polivalente sembra rispondere bene ai compiti per i quali è stata progettata: centro commerciale, area di sosta per le autovetture e - quando sarà il momento - polo del Terziario. Fra le funzioni della struttura gioca un ruolo fondamentale quella di vasto parcheggio gratuito per la cittadinanza, che così può raggiungere la via Digione e quindi il centro cittadino. Se consideriamo la Meridiana ed il centro come una sorta di “ sistema integrato” , non possiamo assolutamente non rilevare l’assoluta insufficienza di un “ dettaglio” : la via Carlo Porta. Qui il degrado è tangibile: l’illuminazione si rivela carente ed in passato sono stati lamentati - nelle ore serali e notturne - anche problemi di scarsa sicurezza per l’uten-
te. Non di meno il corso del torrente Caldone non aiuta a risollevare, con i suoi miasmi, il traballante quadro generale. Ad ogni nevicata la strada, in assenza di tempestivi interventi, diviene una pericolosa pista di pattinaggio per i numerosi pedoni e studenti. Seconda provocazione: e se anche la città nel suo insieme venisse configurandosi come un continuo, secolare “ Intervento pubblico” ? Accettando questa premessa emerge l’importanza assunta dai tanti “ dettagli” urbanistici che ne costituiscono le tessere del mosaico. Si torna al ragionamento iniziale, che chiama in causa cittadini, amministratori, politici ed ovviamente urbanisti ed architetti. Daniele Grione (giornalista)
Il disegno condiviso nello spazio urbano Parleremo dell’azione condivisa nel progetto del nuovo spazio esteriore. Bisogna pensare che è un lavoro di gruppo e interdisciplinare. Togliere dalla mente del progettista il pensiero che lo spazio collettivo sia un problema soltanto suo, rendersi conto che la costruzione dell’habitat e del suo intorno è un problema collettivo, utilizzando un disegno partecipato. Ènecessario definire una metodologia che permetta di capire come il disegno di un parco, di una piazza, di un piccolo spazio o di un qualsiasi spazio urbano, possa arrivare ad essere amato, vissuto e curato dagli abitanti del luogo. L’analisi ha due parti: 1. Una parte teorica o inquadramento concettuale. Interviste ad utenti e il rapporto abitante-ambiente saranno presi in considerazione per il disegno. Non c’è ricerca scientifica che possa offrire una teoria unica che spieghi la interazione abitante-ambiente nella sua totalità. Si può parlare di: - Percezione: che è molto significativa per l’utente; - Luogo proprio: come spazio vissuto come luogo familiare; - Potenzialità di utilizzo: le persone sono creative, con capacità di fantasticare, sognare e progettare il mondo soggettivo dell’intorno; - Preferenza ambientale: riferito alla conoscenza emotiva che segnala se c’è qualche elementoche possa piacere o meno. Innumerevoli ricerche confermano che la bellezza quotidiana è una necessità basilare dell’essere umano, indipendentemente dal suo livello socio-economico. Dalle caratteristiche dell’Ambiente, che incidono sulle preferenze degli utenti, ci sono delle persone che danno priorità agli ambienti naturali piuttosto che a quelli costruiti. Elementi preferiti: acqua e vegetazione. 2. Una parte pratica: strumentazione tramite immagini. Si utilizzano due metodi: I disegni in gruppo, nei quali si invitano persone di età simili e si propone uno spazio urbano ideale, che esprima il desiderio di vivere quello spazio. La presentazione d’immagini mediante fotografie dei luoghi concreti o disegni, secondo un ordine prestabilito, a cui l’utente deve rispondere con 5 alternative; mi piace molto, mi piace, non mi piace, ecc. In entrambi i metodi i commenti si registrano e si fa una sintesi che si rispetterà nel disegno architettonico e paesaggistico. Il progetto di uno spazio pubblico non deve dimenticare, nell’insieme, di stabilire punti di accessibilità alle persone disabili. Creare spazi attraverso la gestione di partecipazione, in apparenza complica il lavoro del singolo progettista, invece risulta una esperienza sociale di successo perché lavorare con i propri utenti assicura una migliore appropriazione e senso di appartenenza del sito. Martha Manzella (architetto paesaggista e docente)
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madismo interno. Tutti si affannano a correre, non c’è più tempo per sostare in piazza; ecco perché facciamo fatica ad immaginarne di nuove. In questo modo però acuiamo sempre più il distacco tra edificio e spazio pubblico, che perde la sua peculiare funzione di connettivo tra le parti di città, il suo essere “ scena” per la vita degli abitanti, per il fluire della vita e dell’immagine sociale. D’altro canto l’architettura è società, non esiste senza la gente, con le sue aspettative e i suoi bisogni. Una società che è sempre più poliedrica e che porterà alla necessità, da parte nostra, di utilizzare un linguaggio multiplo, cioè non un collage di linguaggi, bensì un linguaggio molteplice. Molti interventi sullo spazio urbano, sia nelle piccole che nelle grandi città, hanno fallito perché compiuti senza capacità di dialogo con l’esistente, alterando i principi insediativi consolidati, o utilizzando uno stile mimetico, o facendosi paladini, abusivi, di un’esibita e modaiola modernità. La strada da seguire, invece, più dura ma più stimolante, è quella di aprire un fattivo dialogo con l’esistente su cui si opera, dove le differenze assumono il ruolo di materiale essenziale per il progetto. In questo modo non si perde mai di vista il fatto che fare architettura implica sempre e comunque rendere un servizio agli abitanti. Ecco perché è una scelta di responsabilità quella delle forme, dei colori, dei materiali, ed elementi quali la trasparenza, la leggerezza, la vibrazione della luce, che dovranno assumere un ruolo decisivo all’interno del processo compositivo. Noi architetti, soprattutto nella progettazione dello spazio pubblico, non possiamo più fingere di continuare a vivere e a praticare la nostra professione in un sistema equilibrato, coerente, chiuso. Dobbiamo accettare la complessità, tracciare di volta in volta, come in un ipertesto, la strada dell’intervento progettuale a cui ci si sta dedicando. Indubbiamente tutto ciò può anche spaventare, angosciare, ma è l’unico modo moderno, a mio avviso, affinché la nostra figura, all’interno della società, torni ad emergere e a giocare un ruolo preponderante.
Lodi a cura di Antonino Negrini
L’importanza del particolare
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Ogni progetto è un messaggio grafico indirizzato agli esecutori dell’opera, per guidarli correttamente alla realizzazione di ciò che noi abbiamo immaginato sulla carta e, ancor prima, nella nostra mente. Normalmente il progetto è contemporaneamente permanente ed emergente, in quanto ha elementi che si ripetono, ma nello stesso tempo vuole esprimere qualche cosa di nuovo. Il dettaglio è un elemento fondamentale nello sviluppo del progetto, con il quale l’architetto ha dovuto sempre confrontarsi; con esso, tra l’altro, costituisce studio indispensabile per garantire la fedele esecuzione dell’opera progettata. Il dettaglio edile, d’arredo o il design, sono aspetti che, in tutto od in parte, comunemente accompagnano l’architetto durante gli anni di lavoro, rappresentando una delle componenti fondamentali di analisi e verifica delle opere progettate. Nel campo edile, il particolare è di indispensabile elaborazione per la redazione di un progetto esecutivo; solo con lo studio di tutti i particolari possiamo controllare il progetto e verificarne la sua effettiva esecutività e soltanto con il dettaglio sottoponiamo a verifica il nostro progetto. Sempre tramite il dettaglio, dotiamo l’impresa esecutrice di uno strumento preciso, che non lascia dubbi o spazi ad interpretazioni sull’opera da realizzare e nel contempo permettiamo un’efficace controllo sulla stessa. Spesso, l’apprendimento dell’elaborazione del particolare, avviene con l’esperienza maturata prevalentemente in cantiere, per quanto riguarda le opere edili, o seguendo il processo di realizzazione, per gli altri manufatti; l’università, infatti, non sempre prepara a sufficienza l’architetto (e non solo l’architetto) allo studio del dettaglio, che propone un vero e proprio universo di soluzioni. I manuali, nel passato come oggi, sono sempre stati di grande aiuto per risolvere i problemi legati al dettaglio; soprattutto a fronte di libri o pubblicazioni specialistiche di un certo spessore, dove sembra che il valore d’uso, le leggi, i regolamenti e la normativa in genere emanata in materia, assuma più importanza dell’aspetto realizzativo, fondamentale per la concezione architettonica. R. Gabetti, C. Olmo e E. Tamagno nel loro lavoro Contributi alla formazione di una storia dell’edilizia del Piemonte, nei secoli XIX e XX, rilevano come “ i tentativi compiuti di superare la contraddizione tra idea di architettura e prodotto architettonico, tra scienze che studiano la concezione dell’opera e scienze che studiano la sua realizzazione, per arrivare a cogliere la particolarità - anche tecnica - del prodotto architettonico, rispetto alla molteplicità dei componenti di cui sembra costituito, costituiscono gli sforzi teorici indubbiamente più interessanti compiuti dalla critica architettonica in questo secolo” . Quando il dettaglio riguarda lo Spazio Pubblico, il suo studio assume maggiore importanza, in quanto ciò che l’architetto progetta diventa di interesse comune: l’esito finale dell’opera è legato anche a tale aspetto. È lecito domandarsi: Il risultato funzionale od estetico, peraltro legato al dettaglio, è libero arbitrio dell’architetto e/o dell’Ente Pubblico? Ammesso il primo caso, è giusto che gli utenti debbano
sottostare alle decisioni artistiche di un individuo anche se di provata capacità? Ovvero nel secondo caso, è giusto che un’architetto sia semplicemente un esecutore materiale delle scelte completamente operate da altri? Forse la verità stà nel mezzo. Non ci si poneva certamente queste domande a Firenze durante il Rinascimento, quando le corporazioni delle arti e dei mestieri detenevano il potere e non tanto diverso accadeva nelle altre città italiane dove il potere era detenuto dal signore, una complessa personalità di mecenate munifico e sospettoso tiranno, despota temibile ma anche appassionato studioso della cultura classica. Tali soggetti commissionavano le loro costruzioni all’architetto, che le progettava rispettando i canoni desunti dallo studio degli antichi monumenti, sulla base della teoria della progettazione elaborata dal Vitruvio e sull’assidua ricerca matematica e geometrica delle proporzioni e l’applicazione rigorosa della prospettiva. Oggi ci troviamo di fronte alla più totale libertà di espressione, su di un territorio ad alto valore storico-culturale, che dovrebbe condizionare la scelta di un particolare dettaglio tra le più svariate scelte progettuali ed estetiche. Da un punto di vista grafico questo a volte viene studiato appositamente, in altre viene adottato quell’elemento costituito e già definito che meglio si adatta alla scelta progettuale operata, oppure lo si elabora per adattarlo al particolare studiato. Tutto sembra che si svolga più in fretta rispetto al passato, ed i motivi sono da ricercare oltre che nel risultato, fondamentale per gli Enti Pubblici e quindi i politici che conferiscono l’incarico; nell’aspetto economico, sempre più incidente e subordinato ai ribassi di gara ammessi dopo l’emanazione della nuova legge e relativo regolamento sui Lavori Pubblici. Ma tutto ciò è a favore dell’architettura? A.N.
a cura di Nadir Tarana
L’interpretazione del vuoto: spazi aperti dentro la città di M antova All’interno della città sono presenti diversi luoghi, strade, incroci e piazze dove lo spazio aperto è percepito dalla collettività come un momento di mancanza di qualità progettuale. La consapevolezza della scarsa qualità urbana di questi spazi, nasce in primo luogo dal considerarli essenzialmente snodi del complesso sistema viabilistico cittadino. Secondo questo approccio infatti, la configurazione fisica di questi spazi diventa espressione e risoluzione di una unica problematica legata agli spetti della mobilità urbana. Non entrano in gioco quindi tutti i parametri presenti nel tradizionale progetto di architettura: modificazione, spazio, contesto, permanenza, storia… Anzi dal punto di vista temporale questi interventi si configurano come soluzioni-non-definitive, in quanto la viabilità cittadina sembra essere destinata ad una perenne trasformazione, poiché si tratta di un aspetto rilevante della mediazione politica, e quindi caratterizzato da un orizzonte di tempo estremamente limitato rispetto ai tempi della costruzione fisica della città. Questi interventi quindi, vengono spesso messi in pratica adottando elementi pre-formati, compresi tra il variegato mondo dell’arredo urbano e della segnaletica. Facilità di spostamento e riposizionamento, sono caratteristiche peculiari degli elementi impiegati, in funzione delle rapide modifiche del sistema cittadino del traffico. Gli spazi aperti si popolano in questo modo di una serie di attrezzature (colonnine in cemento, tabelle, frecce direzionali, parchimetri, elementi per la raccolta dei rifiuti, fioriere, ecc.) che alla fine costituiscono elementi ricorrenti del paesaggio urbano. Il design di questi elementi rivela un notevole grado di approfondimento delle caratteristiche costruttive e di produzione. Ma si tratta di un aspetto di dettaglio proprio dell’oggetto, di natura industriale, che si può cogliere attraverso la tecnologia digitale del parchimetro o il raffinato design delle cunette rallentamacchine, ecc., e cioè nella qualità tecnologica che caratterizza ognuno di questi elementi. Nulla a che vedere con il tema del dettaglio del progetto dello spazio aperto, oggetto di questo numero di “ AL” . È paradossale infatti notare come l’avanzatissimo livello di progettazione e costruzione di questi elementi, non produca nessuna qualità urbana, anzi, ne suscita l’esatto opposto, e cioè un notevole livello di straniamento. Una tale sofisticata serie di elementi tecnologici è stata studiata infatti al solo fine di indicare, fermare, delimitare, rallentare, e cioè, di indicare tutta una serie di operazioni necessarie al regolare movimento di mezzi e persone dentro uno spazio urbano. Il livello di informazioni prodotto costruisce dentro questo spazio un nuovo linguaggio artificiale, un nuovo sistema semantico che si sovrappone e cancella la comunicazione propria di quel “ luogo” . Ma questo risultato è diffuso ovunque in quanto la concezione dei sistemi di traffico, basati sull’analisi dinamica dei flussi di persone e cose, tende a proporre soluzio-
ni al movimento nello spazio fisico costruito, dimenticando gli aspetti dello “ stare” in un “ luogo” , anzi ha trasformato ogni “ luogo” specifico in “ spazio” generico. In questo modo gli oggetti architettonici utilizzati nella definizione dello “ spazio” si sono dovuti trasformare in segni, attrezzature al servizio della mobilità urbana con un elevato e veloce grado di riconoscibilità, senza nessun tipo di rapporto con il contesto esistente, ma secondo una omologia unificante diffusa nel centro come nella periferia. La polemica non è contro l’utilizzo di questi elementi, ma è necessario riflettere come in pratica molti spazi urbani siano semplicemente “ risolti” mediante l’utilizzo tout court della segnaletica o dell’arredo urbano, in assenza di un’idea progettuale complessiva sulla formafunzione di quel determinato spazio. La definizione architettonica dello spazio aperto risulta quindi un obiettivo difficile da raggiungere entro un arco di tempo limitato; nella maggior parte dei casi non si prevedono né concorsi di idee, né di progettazione, né tantomeno si cerca di affidare un incarico diretto, ma sostanzialmente viene perseguita, attraverso gli uffici tecnici, una urbanistica derivata dal codice della strada, giuridicamente fondata, tecnicamente ineccepibile, politicamente equilibrata. In questo modo vengono rimandate molte scelte urbanistiche e questi spazi vivono quasi una condizione di attesa perenne. Nel tessuto della città storica invece sono evidenti e diffuse le tracce di un’attenzione alla qualità degli spazi aperti, alla definizione fisica del suolo calpestabile, attraver-
Elementi d’arredo urbano a Mantova.
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Mantova
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so l’utilizzo di materiali semplici secondo tipologie e metodi di impiego connaturati con la specifica funzione. Questo atteggiamento ha prodotto esempi di altissima qualità urbana dove la costruzione dello spazio aperto è stata contemporanea alla realizzazione delle architetture. Non vi è separazione tra i pieni ed i vuoti, ma continuità fisica e temporale. Non è percepibile quindi nessuna frattura o separazione tra spazio ed architettura, carattere proprio della modernità, che spesso interrompe come abbiamo visto anche il tessuto edilizio della città storica. La considerazione di tutti gli aspetti del problema progettuale ha prodotto un caso interessante nella definizione dello spazio aperto di viale Risorgimento. In questo caso l’utilizzo della componentistica preformata propria dell’arredo urbano (pavimentazioni, griglie, panche, ecc.), dell’illuminotecnica, e la salvaguardia del verde esistente, ha trasformato uno degli spazi più anonimi situato tra la città storica e la prima periferia. Una concezione semplice e chiara del sistema viabilità-parcheggi-mobilità pedonale è stata trasformata in un pezzo di città mediante l’utilizzo di soluzioni tipologiche proprie. In questo caso si può essere in disaccordo con il prodotto specifico impiegato (panchina, lampione, griglia), ma questo non mina la bontà del progetto urbanistico, che riconfigura in maniera intelligente e permanente lo spazio aperto tra le due parti di città. Il concetto di permanenza appare importante poiché finalmente in questo caso le soluzioni adottate evocano una visione definitiva del problema e della sua risoluzione, in contrasto con gli esempi precedenti. La questione posta nel Forum di questo numero di “ AL” a proposito della progettazione di dettaglio porta inevitabilmente a riflettere sul fatto che comunque le occasioni concrete per definire in maniera precisa la configurazione dello spazio aperto sono delle eccezioni, legate a volte all’eccezionalità del sito, a volte alla lungimiranza di una amministrazione, all’impegno di un associazione,... I piani per l’arredo urbano infatti sono spesso una raccolta di indicazioni o troppo generiche o troppo specifiche, e nella maggior parte dei casi non si esplicitano come un progetto di architettura: questo perché il carattere unificante che li caratterizza non coglie spesso le infinite suggestioni, differenze e valenze di ogni luogo, nell’ansia di mettere a sistema una rete riconoscibile di spazi urbani, attraverso una concezione spaziale omogenea. Nemmeno la normativa urbanistica è in grado di occuparsi di questi aspetti poiché si rivolge principalmente agli aspetti urbanistico-edilizi del costruito, e quando si occupa del vuoto, lo fa esclusivamente in termini quantitativi secondo i concetti puramente giuridici di standard, distanze, fasce di rispetto, ecc... Se il nostro fine è il dettaglio occorre perciò ripensare a nuovi strumenti di progetto, controllo e gestione, nei quali la forma dello spazio urbano sia il soggetto principale e non accessorio.
Milano a cura di Antonio Borghi e Roberto Gamba
Le piazze di M ilano Per questo numero di “ AL” , dedicato all’architettura di dettaglio nello spazio pubblico milanese, abbiamo selezionato una serie di realizzazioni particolarmente significative nel panorama urbano milanese che illustriamo con immagini e testi tratti da diverse pubblicazioni. Proponiamo in tal modo una rassegna di opere e relative relazioni tecniche che illustrano lo stato dell’arte di quella (esigua) parte delle modificazioni dello spazio pubblico milanese realizzate tramite un progetto di architettura. Qualunque sia il giudizio di ognuno sulla singola opera ci pare in questo modo di evidenziare l’importanza di attuare queste trasformazioni con competenza e responsabilità, ovvero demandandone la progettazione a chi ne ha le specifiche competenze, come è accaduto nei casi riportati. A.B. Sistemazione di Piazza Duca d’Aosta Carlo Chambry, Antonio Zanuso, William Pascoe, 1988 Questo progetto è uscito vincitore da un concorso che riguardava la sistemazione dell’area attorno alla Stazione Centrale fino a piazza Repubblica. La pavimentazione traccia al suolo il ribaltamento del fronte dell’edificio dello Stacchini, articolando lo spazio in vari ambiti funzionali (accesso alle linee metropolitane, pensiline per i taxi, aree di transito e di sosta) integrando gli elementi di arredo urbano preesistenti (lampioni, alberature) con nuovi elementi appositamente disegnati in una nuova composizione di sapore “ rinascimentale” . Il progetto fa propria la grande scala dello scenario architettonico in cui si inserisce, dedicando particolare attenzione alla gestione di grandi flussi di utenti giornalieri e alla valorizzazione del prospetto della stazione. Non ne sono stati realizzate parti importanti quali le pensiline per l’attesa e la seconda rotonda per i taxi, la sistemazione del fronte della Stazione, e la sistemazione di via Vittor Pisani con una doppia fila di alberi, nuovi apparecchi illuminanti e tendaggi a piano terra. (A.B.)
N.T.
Fotomontaggio del progetto.
“ Lo scavo del pozzo di areazione della metropolitana a ridosso del sagrato della Basilica degli Apostoli ha reso necessario il ridisegno complessivo della piazza (…). Il progetto ricompone i dislivelli della piazza attraverso la pavimentazione disegnata secondo due linee di pendenza, che confluiscono nel compluvio di una caditoia in granito. La piazza viene pavimentata in cubetti di porfido 6 x 6 posati a correre. La lunga traccia della caditoia mette in relazione i due interventi principali del progetto: il nuovo sagrato della Basilica e l’area piantumata a bagolari sull’altro estremo della piazza. Il nuovo sagrato in grani-
Pianta, prospetto e sezione del basamento della statua.
to, leggermente rialzato sulla trama della piazza in porfido, riequilibra a terra la mole imponente della Trivulzia e restituisce alla chiesa una zona di rispetto; la forma trapezoidale è il risultato del suo adeguarsi alle pendenze del terreno (…). La griglia, in ferro e ottone, di copertura del pozzo di areazione (…), episodio funzionale nelle adiacenze del sagrato, è stata pensata come fosse un livello archeologico precedente, scavata (da 31 cm a 7 cm secondo le variazioni di pendenza) sotto la quota della piazza e perimetrata da lastre di marmo verde apuano e granito di Montorfano. Il secondo intervento riguarda la formazione, sul lato opposto della piazza, di un’area piantumata a bagolari (…) filtro all’alta facciata del dopoguerra. I due bagolari collocati sulla curva terminale del marciapiede che divide la piazza dal Corso, conducono al nuovo basamento ovale della statua di San Ulderico (…) rialzata di 50 cm e restituita a nuova centralità. La nuova giacitura della statua, leggermente ruotata in direzione del sagrato, introduce un nuovo rapporto con la chiesa. L’ovale, solcato da una canalina alimentata da una fontanella in bronzo, riporta alla memoria l’originale collocazione della statua su un antico ponte del naviglio; dal basamento della statua l’acqua defluisce nella caditoia.” (da: Umberto Riva; Sistemazioni urbane, Officina, Roma, 1993)
Progetto di riqualificazione di piazzale Cadorna e nuova facciata della sede delle Ferrovie Nord Milano Gae Aulenti con Marco Buffoni, 1998-2000 “ Il piazzale Cadorna è stato un complesso crocevia di strade ad alta densità di traffico, con spazi verdi di risulta e piccole strutture commerciali attestate all’ingresso della stazione: lo spazio aveva perso, nel tempo, il suo significato di ‘luogo pubblico’ ed era solamente un luogo di transito veloce, di attraversamento e soste piratesche dei veicoli: la sensazione che se ne riceveva era di grande disordine e disorientamento. Si è voluto quindi ridefinire la figura della piazza attraverso la razionalizzazione della circolazione automobilistica ed il disegno di uno spazio pubblico contemporaneamente di sosta e di transito pedonale verso la stazione, le linee della metropolitana, i bus, i tram, i taxi, stabilendo, quali elementi determinanti la geometria complessiva, le gerarchie spaziali ed assiali esistenti. Il nuovo schema di circolazione dirige i flussi di traffico verso un’unica rotonda centrale di smistamento, il disegno della quale è determinato da un lato dalla prosecuzione e ricostituzione del Foro Bonaparte con il suo calibro stradale e con le sue piante laterali riconnettendolo a via Paleocapa per ritrovare il suo ruolo di elemento di grande carattere per il disegno di Milano; dall’altra dalla prosecuzione dell’asse Castello Sforzesco-via Minghetti: il risultato è la semplificazione e la regolamentazione dei flussi veicolari e della loro velocità (...) oltre ad una maggiore chiarezza del disegno planimetrico complessivo. La rotonda e gli ‘scarti’ di smistamento della circolazione sono riempiti d’acqua, per segnalarli meglio e per impedire soste abusive di autoveicoli. La rotonda centrale, via Boccaccio e la continuità del Foro Bonaparte, determinano uno spazio pubblico pedonale, pavimentato in lastre di granito, dimensionalmente più ampio del precedente e, soprattutto, non più frammentato da aree di sosta e dalla circolazione veicolare collegata. Tale spazio è parzialmente coperto da una struttura in alluminio e vetro, sorretta da una serie di colonne in ferro con capitello e da travi rivestite in lamiera, disposte secondo una maglia quadrata determinata dagli assi principali della piazza. La struttura si innalza a completare la facciata dell’edificio delle FNM, le colonne, che assumono un ordine gigante, fanno da coronamento alle nuove partiture di rivestimento alternate in lamiera e vetro colorato. La scultura di Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen è stata appositamente studiata dagli artisti per Piazzale Cadorna, fa parte del loro programma ‘Large Scale Projects’ che riguarda le principali città di tutto il mondo ed è la prima realizzata in Italia. Alta 18 metri, in acciaio inox e vetroresina, la scultura si trova con l’Ago e il Filo sull’Asse di via Minghetti, mentre il Nodo fuoriesce dall’acqua sull’asse di via Carducci.” (dalla relazione di progetto)
La struttura in ferro e vetro di fronte all’edificio delle FNM (foto: Guia Sambonet).
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Sistemazione della piazza San Nazaro in Brolo Umberto Riva, 1992
Sistemazione dell’area di San Lorenzo Emilio Battisti e Silvano Tintori, concorso 1987, realizzazione parziale 1998-99
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“ Nel 1986 il Comune di Milano ha bandito il Concorso nazionale per la sistemazione dell’area di San Lorenzo che si è concluso con la premiazione a pari merito del gruppo di Emilio Battisti e di Silvano Tintori. Dieci anni dopo il Comune ha assegnato l’incarico per la redazione del piano particolareggiato. L’area da progettare, che originariamente si estendeva all’intero isolato compreso tra via Mora, via De Amicis e piazza Vetra, è stata nel frattempo drasticamente ridimensionata. Il piano infine proposto ha cercato di ricucire una situazione urbana del tutto incoerente, funestata dal susseguirsi di interventi parziali e incompiuti, affrontando finalmente la questione del tracciato tranviario che tagliava in due il sagrato della basilica, dove era stato ‘provvisoriamente’ spostato fin dagli anni Cinquanta per consentire il consolidamento delle colonne. Partendo dal presupposto che l’area d’intervento potesse essere pedonalizzata, il piano individua una trama di percorsi che recupera quel poco ce ancora resta dei terraggi, strade di servizio al naviglio e propone la ricostruzione della cortina edilizia, oggi interrotta, del grande isolato antistante la basilica. (…) Nel vuoto compreso tra il sagrato e la porta medievale pesantemente rimaneggiata dal Boito, è stata ricavata la ‘piazza laica’. Gli spazi pubblici sono stati progettati perseguendo un’ambientazione consona al particolare valore storico del luogo, giustapponendo materiali della tradizione locale e ricorrendo a pochi complementi, lampioni e sedute.” (Emilio Battisti, “ Casabella” n. 690, giugno 2001)
Planimetria dell’intervento.
Nuovo chiosco polifunzionale di piazza Cordusio Antonio Citterio con Patricia Viel “ I lavori riguardano la costruzione di un nuovo chiosco polifunzionale con pensilina situato a Milano in Piazza Cordusio, di proprietà della Società ATM “ Azienda Trasporti Municipali” . Il chiosco è costituito da un volume di forma ellittica, suddiviso al suo interno in quattro ambienti destinati rispettivamente: ufficio graduato, spazio per gli agenti di scorta, servizio igienico di pertinenza e locale informazioni aperto al pubblico. A completamento del chiosco è prevista una pensilina destinata alla sosta dei passeggeri in attesa. (...) Per quanto riguarda il chiosco polifunzionale occorre fare
Vista del chiosco.
una piccola premessa in merito alle linee guida che hanno portato alla realizzazione del presente progetto; in particolare il chiosco è stato progettato nell’intento di garantire una facile rimozione dello stesso, vista la concessione in precario, pur garantendo l’impermeabilità all’aria e all’acqua necessarie per ottenere l’agibilità dei locali. (...) la struttura del chiosco è stata progettata completamente in appoggio alla pavimentazione in pietra esistente e di recente realizzazione (…). Per ridurre le lavorazioni sul posto, dove visto l’ubicazione sarebbero più difficoltose, si è pensato di assemblare i vari profili in acciaio del tamponamento perimetrale, formando dei conci che comprendono ciascuno tre segmenti. Questi conci collegati fra loro costituiranno il perimetro del chiosco che dovrà risultare di forma ellittica. L’assemblaggio in officina garantirà inoltre un maggiore controllo della calibratura dei vari conci fra loro, oltre alla qualità delle saldature e permetterà inoltre di procedere alla verniciatura in modo da arrivare in cantiere pronti al montaggio mediante viti e bulloni. (...) La copertura del chiosco sarà composta, oltre che dai profili in acciaio con funzione portante, da pannelli sandwich coibentati e sovrastante strato impermeabile in lamiera, formante intercapedine ventilata necessaria a migliorare l’isolamento termico della stessa. Èstato inoltre previsto di realizzare la copertura della pensilina con vetri stratificati 5+5 PVB 0.76, di cui quello inferiore serigrafato con disegno a righe di colore bianco (…), in modo da ridurre la radiazione solare sul chiosco e formare barriera visiva per gli edifici confinanti e prospettanti verso la pensilina. (...) Si fa presente, visto i principi guida del progetto che hanno portato alla realizzazione di una struttura totalmente in appoggio, che sarà necessario realizzare una piccola rampa in lamiera per il raccordo della pavimentazione della piazza con il pavimento interno del locale aperto al pubblico (…).” (da: Relazione tecnica. Schema costruttivo e modalità del montaggio)
“ Prima della sua pedonalizzazione e sistemazione a verde, piazza San Babila era assediata dal traffico e dal rumore. Oggi è possibile sostarvi e ammirare i palazzi anni Trenta, porticati alla milanese, che la circondano, unici nel loro genere. Inoltre la piazza è un ottimo punto di partenza per lo shopping. Luigi Caccia Dominioni è progettista molto apprezzato per il razionalismo quieto e mediato, per l’attenzione al proporzionamento di pieni e vuoti e ai trattamento delle superfici in relazione all’incidenza della luce. È stato definito ‘il decano della tra-
Schizzi di studio.
dizione architettonica lombarda’, ma purtroppo - almeno per coloro che si ispiravano ai suoi primi eleganti lavori - ha completamente cambiato stile ed è stato contagiato dalla ricerca oggi in voga di elementi monumentali e populistici. Il proposito di trasformare questa piazza in un giardino pedonale è certamente un contributo positivo alla vivibilità della città, ma l’assemblaggio di fontane, bacini, aiuole ed altri accessori appare invadente e sovraccarica.” (da: Thomas Muirhead, Milan. A guide to recent architecture, ellipsis Könemann, London/Köln, 1998; traduzione di A.B.)
Riqualificazione della piazza Gerusalemme a Milano. Progetto: Società Metropolitana Milanese con Gpg Emgineering Progetto architettonico: Fausto Colombo e Lorenzo Forges Davanzati Collaborazione agrotecnica: Valentina Forges Davanzati Opera scultorea: Andrea Forges Davanzati Secondo l’Amministrazione comunale di Milano, gli interventi di riqualificazione dell’arredo urbano, in corso in alcune aree periferiche, non hanno la pretesa di risolvere le situazioni di disagio sociale, ma l’esperienza consolidata dimostra che il miglioramento della qualità urbana invoglia i cittadini a trascorrere maggior tempo negli spazi pubblici. La Giunta ha affidato alla MM l’incarico per la progettazione esecutiva di 4 piazze e fra queste quello della piazza Gerusalemme, che è in fase di ultimazione. La piazza Gerusalemme costituisce un punto di riferimento per i quartieri residenziali fra il corso Sempione e la via Cenisio; risulta interessata sul lato nord dal progetto della metrotranvia ovest - Garibaldi-Axum e l’operazione vuole pertanto anticiparne le conseguenze. Vengono così modificati gli allineamenti della viabilità per realizzare una maggiore integrazione fra giardino, funzioni scolastiche e residenze, con una adeguata fruibilità pedonale. In più, l’intervento si va ad estendere lungo i marciapiedi, posti sul fronte degli edifici scolastici di via Monviso e di via Mantegna. Nuovi margini verso la strada sono stati imposti da tale obiettivo e il progetto li realizza con una cancellata decorativa, montata su un muretto di mattoni, inoltre con una duna, sul lato verso via Poliziano e via Mussi, che ha funzione anche di barriera acustica; infine con un rinforzo visivo di tre portali, sui tre vertici di ingresso del parco, costituiti da pilastri a sezione circolare in mattoni a vista (trattati con vernice antiscritta) e con parti superiori in acciaio inox verniciato. Lo spazio in questione ha forma triangolare, è coerente al margine della via Poliziano, con il lato maggiore e con la via Mussi e Mantegna, sui lati minori. Il piccolo parco urbano, che già c’era, era formato da due aree piantumate con Tigli, Celtis, Aceri, Platani e Prunus, tutti di altezza variabile tra i dodici e i quindici metri. In adiacenza al confine con gli spazi privati, dove si nasconde un discontinuo e irregolare muro di cinta, è stata prevista invece una struttura a sostegno del pergolato, formata da montanti di acciaio verniciato, che sostengono la struttura metallica di partenza dei rampicanti e, a finire, da correntini di legno di larice, ancorati sul muro di cinta. Il muretto di margine in mattoni grossoni forti è stato restaurato e completato ed è stata posta in opera una cancellata (villetta reale, a pannelli mudulari, in parte fatti con barrotto, in parte con pezzi in fusione di lega). La pavimentazione è in mattoni posati a disegno, su sottofondo leggermente armato, con cordoli e divisioni a riquadri in pietra naturale. Tale pavimentazione viene estesa anche ai marciapiedi di via Mantegna e via Monviso, dove viene rifatta anche la recinzione, al fine di ricollegarli alla sistemazione di tutta la piazza. Nelle aree destinate al gioco dei bambini, che comprendono alcuni giochi fissi, in mattoni a vista (“ labirinto” e “ zigurat” - base 5x5 m) e alcuni giochi in legno di nuova fornitura, sono state realizzate delle zone di pavimentazione “ smorza cadute” , contenute in cordonature in gomma. Al centro c’è un chiosco (di tipo standardizzato), comple-
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Piazza San Babila Luigi Caccia Dominioni, 1997
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to di allacciamento idrico-elettrico-fognario, con funzione ancora da definire e una fontanella modello “ Milano” . Sul versante della Via Mantegna è stata realizzata da Andrea Forges Davanzati anche una scultura, intitolata “ Equilibrio” , su una colonna alta 5 metri, di dimensioni 2x2 metri. È costituita da tre strutture geometriche, imperniate tra loro secondo lo schema di un giunto cardanico. I tubi di acciaio inossidabile calandrato sono contrappesati internamente in modo da autosostenersi in piano e sorreggere la colonna centrale che si deve poter muovere liberamente. La scultura viene dotata di un perno saldato alla base, da collocarsi sulla sommità della colonna. L’anello di maggior diametro, in posizione asimmetrica, ne aumenta l’idea di rotazione. Ricorda i modelli leonardeschi, il giroscopio, gli strumenti nautici, la sfera armillare o i modelli atomici; è un elogio alla scienza dell’uomo, in uno dei principi meccanici più antichi e sorprendenti. La struttura diventa leggibile anche a distanza, diventando un simbolo di ascesa verso l’alto, un segno di progresso e di tecnica del nuovo millennio. Tutta l’area viene dotata di 38 panchine in acciaio smaltato a fuoco, posate su basamenti di mattoni a vista. A integrazione delle specie arboree esistenti, sono stati posati nuovi alberi di alto fusto (Acer negundo, Platanus hispanica, Prunus pissardi) e tutta l’area a verde viene dotata di impianto di irrigazione automatico, a piaggia ed a goccia. L’illuminazione è interamente sostituita, con impianto base di lampioni, a scopo anche segnaletico, alti 6 metri, di tipo scenografico. Il progetto ha previsto altresì la risistemazione dei servizi del sottosuolo. R.G.
Veduta della piazza (foto: Gianluca Widmer) e planimetria.
Varese a cura di Enrico Berté e Claudio Castiglioni
Lo spazio pubblico tra sentimento e funzione. L’architettura dello spazio pubblico è diventata negli ultimi anni un tema fondamentale nella progettazione della qualità urbana. La trasformazione degli spazi “ vuoti” nelle nostre città assume sempre maggiormente importanza in quanto luoghi potenzialmente utili ed espressione massima della scena urbana. Oggi purtroppo le piazze, le strade, gli spazi aperti in genere hanno mutato significato, molto differenti dall’agorà a cielo scoperto dove ci si riuniva nelle antiche città greche; sono semplici zone di stazionamento automobilistico scevre da qualsiasi significato d’incontro per feste popolari, sembrano essere sempre più abbandonate dal “ corpo“ che le percorre. Per ritrovare quest’antico significato dobbiamo soffermarci ad ascoltare la città, è qui che si traggono i principi per progettare luoghi felici. L’ascolto di due condizioni inseparabili ed in stretto rapporto tra loro quali “ l’internità” come luogo principe dell’abitare, e “ l’esternità” come luogo dello stare e dell’andare (piazze, strade, viali alberati ecc.), devono ritrovarsi nel progetto della città. A conferma di ciò Ernst Bloch definiva che la qualità della città italiana si attuasse dalla “ mescolanza di interno privato e di esterno pubblico degli spazi urbani” . (1) “ Gli androni, i porticati, i cortili, i patii, le porte e le finestre concorrono a costruire la spazialità della strada che in essi si dilata e si rallenta. All’invito a proseguire si intreccia l’invito alla sosta; e da questa duplice tensione nasce la sensazione che la strada sia fatta da una successione di stanze” . (2) La negazione di tutto ciò si ravvisa in ciò che è accaduto nella storia della città dai primi del Novecento sino ad oggi. La strada urbana come elemento sociale determinante muta nell’uso e nelle sue caratteristiche morfologiche con l’affermarsi della metropoli contemporanea. “ Sono proprio gli spazi deputati alle relazioni a divenire luogo della massima imposizione dei comportamenti: valga per tutti il riferimento alle mutazioni intervenute nell’uso e nelle caratteristiche morfologiche di un elemento costitutivo dello spazio urbano quale è la strada” . (3) Le indicazioni dei PRG, la normativa urbanistica vigente non sono strumenti sufficienti per la progettazione degli spazi aperti. Cosa intendiamo per qualità progettuale? La capacità di saper interpretare il genius loci di ogni spazio aperto, di individuarne le potenzialità, di creare armonia, bellezza e funzionalità. Elementi questi che hanno prodotto la composizione di quegli spazi aperti che pur appartenendo al passato sono oggi ancora vitali ed esempio di grande progettazione. Forse potrebbe sembrare una banalità ma se oggi ci guardiamo intorno la progettazione degli spazi aperti in genere non ha prodotto grandi esempi se non esperienze specifiche di architettura del paesaggio come per esempio Martha Schwartz, che ha saputo trasformare spazi anonimi in luoghi di scena urbana coniugando l’aspetto estetico progettuale con quello socio-funzionale. L’organizzazione degli spazi oggi si attua attraverso costruzioni di edifici sempre maggiormente isolati, senza alcun legame dialogico tra un elemento e l’altro. Da sempre le piazze raccoglievano gli edifici più importanti della città che facevano da sfondo e cornice allo
Carlo Scarpa, ingresso dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia.
banalità dei blocchetti e dell’arredo urbano dei cataloghi pronti all’uso. Penso ai ritmi e alle proporzioni di certi dettagli di Piazza San Marco a Venezia, Piazza Ducale a Vigevano, Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno e, per giungere ai giorni nostri, il progetto di riqualificazione del centro storico di Verona di Boris Podrecca. Sono questi, attualizzati, i ritmi, le proporzioni ed i dettagli che nei nostri progetti dobbiamo cercare di evocare. Note: 1. Ernst Bloch, Verfremdungen II (Geographica), Frankfurt a. M., 1965; Ed. it. Geographica, Marietti, Genova, p. 171. 2. Giancarlo Consonni, Dalla radura alla rete, Unicopli, Milano, 2000, p. 72. 3. Giancarlo Consonni, L’internità dell’esterno. Scritti sull’abitare e il costruire, Clup, Milano, 1989, p. 40. 4. Camillo Sitte, L’arte di Costruire la città, Jaca Book, Milano, 1980, p. 30. 5. Sergio Los (a cura di), Carlo Scarpa, Taschen, 1994, p. 27.
Emanuele Brazzelli Giuliana Gatti Laura Gianetti
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spazio che racchiudevano, “ provvedevano a quei bisogni pratici due o tre piazze principali, a seconda dell’importanza e del tipo di comune” . (4) È proprio in questa visione di uno spazio pubblico che sempre maggiormente ha perso significato che si pone centrale anche il tema del dettaglio. Ma senza ombra di dubbio si pone conseguentemente alla progettazione e riqualificazione dello spazio contenente. Non sempre la semplice sostituzione del manto bituminoso con delle pavimentazioni nobili, degli acciottolati, dei lastroni di pietra, dei porfidi, può essere sufficiente per restituire all’uso urbano luoghi inospitali o addirittura ostili. Solo interventi di grande sensibilità possono riscattare un non luogo. Maestro di dettaglio fu è e sarà Carlo Scarpa, colui che fece rivivere la cultura artigiana che si stava perdendo. “ Le sue cerniere, i suoi giunti tra colonne binate esemplificano la raffinata tecnologia degli apparecchi scientifici, i tagli nei pannelli e le sagome a dentelli esemplificano le specchiature e le trabeazioni dell’architettura classica. (…) “ le opere scarpiane esemplificano i ritmi, gli andamenti, le testure, nel senso che ne condividono tali proprietà e ne rendono eloquente la pertinenza.“ (5) Penso agli spazi pubblici dei nostri paesi spesso condannati all’umiliazione della frettolosa superficialità e alle righe ortogonali dei parcheggi a pagamento. Forse sarebbe auspicabile che per ogni sistema urbano, piazze, strade, fosse bandito un concorso di architettura e che sul destino dei luoghi dello stare e dell’andare, le amministrazioni potessero essere stimolate dal lavoro di quei professionisti che ancora non si arrendono alla
A cura della Redazione
Urbanistica in Lombardia. Il convegno della Consulta
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La sera del 13 dicembre 2001 verrà ricordata a Milano non tanto perché coincide con la festa di Santa Lucia - ” il giorno più corto che ci sia” - ma per la bufera di neve che ha messo in ginocchio la Lombardia, il traffico stradale, ferroviario ed aereo. Per l’indomani, 14 dicembre, era programmato il Convegno della Consulta Regionale. L’oggettiva difficoltà di trasferimento fece subito temere agli organizzatori dell’iniziativa un flop pauroso. Invece, gli architetti lombardi si sono mobilitati e hanno onorato l’impegno di essere presenti. Il loro coraggio è stato premiato da un incontro ricco di sollecitazioni e di interessanti spunti di riflessione. L’argomento del Convegno era un approfondimento del testo delle Linee guida emanate dalla Regione in vista della prospettata riforma urbanistica lombarda. Gli organizzatori avevano puntato su un taglio volutamente critico, anche un po’ provocatorio, ma finalizzato esclusivamente a sollecitare chiarimenti, in uno spirito di collaborazione tra gli architetti e l’Assessorato regionale al Territorio. I principi delle Linee guida Dopo l’introduzione ai lavori, svolta dal Presidente della Consulta, Emiliano Campari, a vivacizzare l’apertura del Convegno è stato l’intervento del prof. Gianni Beltrame, Docente di urbanistica al Politecnico, “ padre” riconosciuto della vigente legge urbanistica regionale, la 51 dell’aprile 1975. Commentando i principi ispiratori delle Linee guida, non ha mancato di definirli principi di buona amministrazione, di scarsa rilevanza per i temi dell’urbanistica e del territorio; e ha invocato qualche passaggio successivo, di puntualizzazione e di approfondimento, prima di arrivare all’articolato della nuova legge di riforma. Di segno opposto i commenti di due protagonisti della stesura del testo delle Linee guida: la prof.ssa Cristina Treu, Prorettore del Politecnico e l’ing. Gianni Verga (autore della celebre - o contestata? - legge Verga) oggi Assessore al Territorio del Comune di Milano. A loro giudizio, sono finiti i tempi della verifica puntuale dei piani, secondo una logica aritmetica; è invece essenziale responsabilizzare le Amministrazioni, alla luce delle singole situazioni locali, per finalizzare gli strumenti urbanistici alle effettive realizzazioni di opere capaci di trasformare il territorio utilizzando le risorse pubbliche e private senza una gerarchia preordinata. I livelli di pianificazione La discussione si è poi indirizzata sui livelli di pianificazione, dopo aver rilevato il clima di confusione attuale, provocato dalla coesistenza di un numero impressionante di strumenti di pianificazione vigenti nel territorio lombardo. Il prof. Angelo Bugatti, Docente di Composizione architettonica urbana presso l’Università di Pavia, ha segnalato che la Regione si pone come obiettivo la chiarezza delle procedure e degli strumenti, la chiarezza dei ruoli e dei tempi. Ha puntualizzato che il Piano Regolatore deve essere un documento di inquadramento che tenga conto delle “ invarianti” strutturali, del Piano dei Servizi e del Piano delle opere pubbliche. La concretizzazione del Piano Regolatore si realizza mediante Piani Attuativi e Piani di Settore. La compatibilità delle scelte urbanistiche è diretta responsabilità del Comune. Ha suscitato particolare interesse l’intervento del prof. Luigi Mazza, Docente di tecnica urbanistica al Politecnico, che ha sostenuto l’opportunità di affidare ai Comuni il controllo del territorio, costringendo gli altri livelli istituzionali (Provincia, Regione) ad organizzare le proprie strategie attraverso un continuo confronto, rinunciando alla formazione di Piani cogenti. Vale a dire che il Comune è l’unico depositario delle re-
gole, anche di quelle di ordine superiore, le quali però non devono essere calate dall’alto, ma essere discusse e accolte in uno spirito di autentica sussidiarietà. Il Piano dei Servizi - gli standards Il prof. Enrico Maria Tacci, architetto e sociologo, ha svolto una riflessione sul Piano dei Servizi, valutando la gerarchia dei suoi significati (strumento in prevalenza urbanistico o prevalentemente finanziario?), la sua dimensione (comunale o distrettuale?) i suoi limiti (servizi primari, con affidamento alla Provincia dei servizi di secondo livello). Quanto agli standards, ha richiamato la differenza tra misure quantitative e livelli qualitativi, estendendo poi il ragionamento alla qualità del territorio inteso non nella dimensione fisica di spazio, ma in quella più sociale di luogo dove la comunità vive i propri riti. L’arch. Giulia Rota, Dirigente dell’ufficio Urbanistica regionale, dopo aver annunciato la prossima pubblicazione del documento ufficiale per la redazione del Piano dei Servizi, ha esteso il discorso sullo standard urbanistico, domandandosi se sia ancora valido come parametro di misurazione della qualità urbana ovvero se sia un termine obsoleto. Lo standard riproposto dalla recente normativa regionale è per metà destinato al verde; per l’altra parte è lasciata ai Comuni la facoltà di valutare a quali servizi devono assolvere prioritariamente. Il concetto di standard, poi, viene collegato al concetto di servizio: l’assistenza domiciliare agli anziani, per esempio, è un servizio, ma non è quantificabile come standard. Perequazione, concertazione, partecipazione, sostenibilità L’ultimo segmento del Convegno è stato dedicato ad approfondire i concetti di perequazione, concertazione, partecipazione, sostenibilità. L’avv. Giuseppe Sala, esperto di diritto urbanistico, ha delineato il quadro normativo nel quale ci muoviamo evidenziando le diverse competenze di Stato e Regione in materia di ambiente, territorio e paesaggio. Ha poi collegato il concetto di perequazione alle risorse economiche in grado di attivarla. La sussidiarietà deve essere efficace, per dare risposte ad un bisogno; ed efficiente, in base a principi di economicità e fattibilità. Il discorso si è poi allargato alla partecipazione e ai sistemi di controllo dell’operato amministrativo. Il dott. Piero Torretta, Presidente Assimpredil, ha svolto una serie di considerazioni di ordine pratico, rilevandole circostanze che di fatto frenano le possibilità di interventi edilizi rapidi ed efficaci. Ha invocato la certezza della pianificazione e la sufficienza dell’adesione a maggioranza qualificata delle proprietà che costituiscono l’ambito dei Piani Attuativi. L’operatività imprenditoriale non è agevolata, anzi è frenata, sia dagli aspetti legislativi sia da quelli fiscali, a differenza di altri Paesi europei dove la fiscalizzazione è incentivo o disincentivo degli investimenti in rapporto agli ambiti previsti dalla pianificazione. Ha poi fatto una digressione sulla sentenza della Corte di Giustizia europea sul caso della progettazione della Scala-bis di Milano: tale sentenza - ha sostenuto - estende a tutti gli interventi di urbanizzazione di un certo livello previsti in un Piano Attuativo la necessità di ricorrere al concorso pubblico, con grave danno per l’operatore. Ha concluso il Convegno l’intervento dell’arch. Leopoldo Freyrie, Vicepresidente del C.N.A., che non ha mancato di contraddire il dott. Torretta sul tema della Scala-bis, richiamando che un’opera di urbanizzazione di elevato significato, come quella, sia patrimonio della collettività e che questa sola abbia il diritto di affidarne il progetto e la realizzazione con i criteri e nel rispetto delle regole europee. A queste brevi note riassuntive farà seguito la predisposizione degli Atti che saranno pubblicati prossimamente su “ AL” . Sono impegnati nella redazione del testo definitivo Claudio Maffiolini e Paolo Gatti, incaricati dell’organizzazione del Convegno, e i coordinatori dei quattro moduli: Claudio Baracca, Stefano Castiglioni, Marco Engel e Gianfredo Mazzotta. Claudio Maffiolini
A cura di Roberto Gamba
Concorso di idee per la riqualificazione della Piazza Libertà di Urgnano (Bg) da grandi cariatidi) e lungo l’ex vallo murario, oggi divenuto anello stradale, una Rocca di impianto quadrato, con ponti, cortine merlate, torri, fossato - iniziata nel 1354, per ordine dell’arcivescovo Giovanni Visconti, poi divenuta veneziana e del Colleoni). Per il concorso si richiedevano due tavole UNI A0; i premi erano di 10, 6 e 4 milioni di lire. La Giuria comprendeva Enzo Togni, Giorgio Pandolfi, Gianluigi Rossi, Gianandrea Vecchi, Giuseppe Rossi, Achille Bonardi, Ermanno Gatti, Silvano Martinelli, Gian Marco Baldelli, Alberto Abondio.
1° classificato Elena Priscilla Zanardi, Maurizio Sensalari, Tiziana Signoretti, Pietro Zanardi, Tomaso Zanardi
semicircolare che poi si apre ad abbracciare nella sua estensione l’intera piazza. Per il porticato Ovest, nello spirito della conservazione dell’esistente, si prevede il ripristino della particolare pavimentazione in formelle rettangolari. Per tutta la piazza si è scelta un’illuminazione dal basso, che crea effetto scenografico ed ambientazione emotivamente coinvolgente. Si prevedono livelli diversificati di illuminazione: per i porticati, la retro-illuminazione delle colonne, con elementi a incasso nella pavimentazione, a riflettore piano in vetro acidato, a emissione di luce nei toni caldi del giallo, che valorizza i vuoti degli archi e mette in ombra le parti murarie del colonnato. Per evidenziare invece le zone di sosta sveicolare (parcheggi), si propongono piccoli led luminosi, carrabili con calotta in alluminio pressofuso e diffusore in policarbonato, perimetrati da un “ anello” in granito Montorfano. Le geometrie degli edifici monumentali (chiesa, campanile ed edificio con colon-
di nuova introduzione, la fontana - è elemento di primaria importanza nella creazione della qualità dell’intervento ed è - nella vivibilità dello spazio urbano - elemento di aggregazione, punto d’incontro e di riferimento. Il manufatto, a pianta circolare, richiama nella sua disposizione planimetrica la sezione orizzontale di uno dei livelli della torre campanaria. Prevede perimetralmente una fascia piana che possa fungere da seduta ed un camminamento interno al suo perimetro.
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Concorsi
Il concorso era finalizzato ad acquisire idee in grado di riproporre un’immagine urbana qualificata della piazza Libertà di Urgnano (progettazione degli spazi; progettazione architettonica con indicazione degli elementi di arredo e di pubblica illuminazione). La cittadina, in provincia di Bergamo, ha una struttura urbanistica di stampo medioevale, con al centro la Parrocchiale, ricostruita tra il 1762 e il 1874, a fianco un isolato campanile cilindrico del Cagnola (le sue forme neoclassiche sono divise in cinque settori proporzionalmente dimensionati, l’ultimo sostenuto
nato retrostante) verranno inoltre esaltate con appositi riflettori, con parabola riflettente asimmetrica, ad emissione di luce chiara. Per la facciata dell’ex municipio - che diventerà la sede della biblioteca comunale - così come quelle dell’ex chiesa di S. Giuseppe e della chiesa dell’Addolorata, si prevede la collocazione di elementi illuminanti analoghi a quelli sopra descritti per l’illuminazione dei portici, ma ad emissione di luce bianca. La presenza dell’acqua - che prende forma in un elemento architettonico
Nello spirito della conservazione dell’esistente si è ritenuto di proporre il mantenimento del “ medaglione” decorativo centrale (1959, Arch. Luigi Angelini), realizzato in acciottolato, che rappresenta lo stemma comunale. La conformazione raccolta ma irregolare della piazza ha indotto a pensare ad una trama di pavimentazione che potesse inserirsi ovunque, senza dover rispettare rigidi schemi, simmetrie e vincoli imposti dagli ingombri degli edifici. L’impostazione compositiva della pavimentazione consente infatti di riproporla “ senza limiti” , permettendo di penetrare nelle vie e nei vicoli limitrofi e di “ staccare” laddove si voglia interrompere la trama stessa. È proposta totalmente in materiale lapideo naturale in lastre rettangolari. Il “ medaglione” viene riperimetrato con una “ fascia”
2° classificato Andrea Walter Ghia L’idea guida dell’intera progettazione sul piano formale si è tradotta nel disegno di linee non parallele organizzate attraverso una scansione, apparentemente casuale, dello spazio pubblico. L’andamento proposto non privilegia alcun asse principale di simmetria, risultando così in grado di rapportarsi e dialogare tanto con gli angoli retti degli spigoli dei palazzi aggettanti sulla piazza, quanto con la forma semicircolare del sagrato esistente. Si propone un intervento orientato a chiarire le preesistenze non negando la presenza del nuo-
vo, ma smorzandone i caratteri meno riconducibili all’aspetto della piazza. Sulle tracce dell’antica intersezione tra cardo e decumano, viene rimodellato il carattere di piazza e ricostruita l’identità cittadina. La necessità di una moderazione della velocità da parte delle autovetture si traduce nella demarcazione pavimentale delle linee di “ cucitura dello spazio” poste perpendicolarmente al senso di marcia. Queste ultime proprio in virtù del cambio di materiale, blocchetti di calcestruzzo pressovibrato per la sede stradale e ciottolato per le linee di cucitura, risultano segnare il passaggio delle automobili funzionando cosi da dissuasori di velocità.
1° classificato Gruppoprogetti Corvino & Multari Architetti Associati collaboratori: G. Chiappetta, I. Galli, G. Tomasello, G. Casillo, M. Natale, M. Poerio, M. Polito Il tema compositivo del progetto vincitore è la conservazione a vista della teoria di travi che caratterizzano la sala e la proposizione
dell’ingresso principale dall’esterno direttamente da Piazza Duca d’Aosta. Un taglio nel giardino pensile, lungo il fronte della collina permette l’accesso al foyer dal livello strada e costituisce un elemento di riconoscibilità. La Piazza antistante viene riformulata come foyer all’aperto, luogo per l’afflusso e deflusso dei visitatori.
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Concorsi
3° classificato Di Cambi, Scatena, Turini Il progetto sostanzialmente propone di rendere pedonale quella parte di piazza della Libertà su cui si affacciano la Chiesa e i porticati, limitandosi, per il resto, alla sola ottimizzazione degli spazi adibiti a parcheggio. Sulla parte pedonale viene proposta una generale ripavimentazione dai tracciati semplici e simbolici: il grande arco separa il virtuale sagrato della Chie-
sa dal resto della piazza mentre la raggiera da un lato sottolinea l’emergenza della Chiesa stessa, dall’altro la proietta verso gli edifici della piazza e verso le sue strade. La nuova composizione viene poi completata da alcuni elementi di arredo urbano e segnatamente da una piccola “ microarchitettura” , la cui presenza si scorge all’arrivo alla piazza da via Rocca, che si suggerisce come un piccolo spazio coperto da adibire a varie funzioni di interesse comune.
Concorso di progettazione per il Palazzo della Regione, ex-grattacielo Pirelli Parte terza - Lotto B - Il Centro Congressi Il lotto B riguardava la realizzazione di una nuova Sala Congressi nei circa 1000 mq sottostanti la cosiddetta “ collina” del Pirellone, il basamento sulla cui copertura si trova l’ingresso principale. Tema del progetto era la realizzazione di una sala accessibile dall’interno del Grattacielo per eventi istituzionali, e accessibile al pubblico direttamente dall’esterno. I lavori, iniziati nell’agosto 2001, do-
2° classificato Ermanno Ranzani Il progetto prevedeva un segnale forte per il nuovo accesso di fronte all’edificio esistente: un nuovo corpo di fabbrica nel quale si ospitavano i vani tecnici serventi il Centro Congressi, occasione per evidenziare all’esterno l’intervento
con un linguaggio architettonico contemporaneo. L’eredità dei progettisti veniva in questo modo raccolta in modo articolato, a livello di contenuti, andando al di là della pura conservazione della forma originaria. Di questo avviso non era la Soprintendenza, che ha ritenuto la proposta inaccettabile.
po la presentazione della DIA, dovrebbero essere completati entro il 2002, con una spesa di circa cinque miliardi. Lo studio Gruppoprogetti sta seguendo i lavori che finalmente restituiranno questa parte del Pirellone all’uso per il quale era stato concepito. Ci sembra opportuno recensire tutti i progetti premiati, nonostante l’evidente ritardo, e saremo lieti prossimamente di parlare della realizzazione in corso.
3° classificato Emilio Battisti collaboratori: G. Barilani, F. Battisti, A. Crippa, M. Di Lauro, N. Petrucci, B. Rivolta, M. Ruggiu; consulenti: P. Rizzatto e D. Vanetti L’accesso dall’esterno è laterale, da via Galvani, segnato da una discreta pensilina a ventaglio in acciaio e vetro. La sala congressi, contenuta al di
sotto della trama di portali, è concepita in modo da non interferire, né occultare il tema architettonico della struttura. Lasciando in evidenza nel soffitto la travatura incrociata e, lungo il lato sinistro, i caratteristici piedritti. La sala e delimitata dal lato opposto alla hall da ampi ambulacri a sezione variabile, che consentono di assegnare a ciascuna sala ben distinte aree di pertinenza.
Legislazione a cura di Walter Fumagalli
Ci sono voluti più di cinque anni dall’entrata in vigore della legge 11 febbraio 1994 n. 109 per avere un quadro completo della disciplina delle attività di programmazione e di progettazione delle opere pubbliche. L’articolo 3 della legge n. 109/1994, il quale demandava alla potestà regolamentare del Governo la disciplina della materia, ha infatti avuto piena attuazione solo con l’entrata in vigore del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554. In particolare, la programmazione è disciplinata dall’articolo 14 della legge n. 109/1994 (così come sostituito dall’articolo 4.1 della legge 18 novembre 1998 n. 415) e dal capo I del D.P.R. n. 554/1999. Il citato articolo 14 delle legge n. 109/1994 dispone, al primo comma, che “ l’attività di realizzazione dei lavori di cui alla presente legge si svolge sulla base di un programma triennale e di suoi aggiornamenti annuali che i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a) predispongono ed approvano (…) unitamente all’elenco dei lavori da realizzare nell’anno stesso” . I richiamati soggetti sono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici, compresi quelli economici, gli enti e le amministrazioni locali, le loro associazioni e consorzi nonché gli altri organismi di diritto pubblico. Il primo comma dell’articolo 13 del D.P.R. n. 554/1999 specifica che il programma triennale viene redatto ogni anno, aggiornando quello approvato l’anno precedente, e che, per quanto attiene alle amministrazioni diverse dallo Stato, esso deve essere deliberato contestualmente al bilancio di previsione ed al bilancio pluriennale, ai quali deve essere allegato. Più precisamente, l’approvazione del programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali avviene secondo il seguente procedimento: • l’amministrazione interessata predispone lo schema del programma o del relativo aggiornamento entro il 30 settembre di ogni anno (articolo 13.3 del D.P.R. n. 554/1999, articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 21 giugno 2000); • tale schema, ai fini della sua pubblicità e della trasparenza amministrativa, viene pubblicato mediante affissione nella sede dell’amministrazione procedente, per un periodo di almeno 60 giorni (articolo 14.2 della legge n. 109/1994 ed articolo 10.1 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 21 giugno 2000); • l’articolo 14 della legge n. 109/1994, nella sua originaria formulazione, prevedeva che durante il periodo di pubblicazione chiunque potesse formulare osservazioni e proposte sulle quali l’organo competente si sarebbe dovuto pronunciare in sede di approvazione del programma; nell’attuale testo dell’articolo 14, sostituito dall’articolo 4.1 della legge 18 novembre 1998 n. 415, non vi è più alcuna traccia della possibilità di presentare osservazioni e proposte, tuttavia si ritiene che tale facoltà sia ancora ammessa, al-
trimenti non si vede quale scopo potrebbe avere la pubblicazione dello schema del programma; • il programma triennale ed il relativo aggiornamento vengono approvati contestualmente all’approvazione del bilancio di previsione e del bilancio pluriennale dell’ente interessato (articolo 13.1 del D.P.R. n. 554/1999). L’elenco annuale dei lavori viene approvato unitamente al programma triennale ovvero ai suoi aggiornamenti annuali (articolo 13.4 del D.P.R. n. 554/1999) e l’inserimento di una determinata opera in tale elenco è subordinata, ai sensi del sesto comma dell’articolo 14 della legge n. 109/1994, alla “ previa approvazione della progettazione preliminare, redatta ai sensi dell’articolo 16, salvo che per i lavori di manutenzione, per i quali è sufficiente l’indicazione degli interventi accompagnata dalla stima sommaria dei costi” . Per i Comuni, ai sensi dell’articolo 14.8 della legge n. 109/1994, il progetto preliminare deve essere conforme agli strumenti urbanistici vigenti o adottati fermo restando che “ per motivate ragioni di pubblico interesse si applicano le disposizioni dell’articolo 1, commi quarto e quinto, della legge 3 gennaio 1978 n. 1, e successive modificazioni e dell’articolo 27, comma 5, della legge 8 giugno 1990 n. 142” . L’inserimento del progetto di un’opera nell’elenco annuale assume inoltre una precisa valenza anche da un punto di vista strettamente economico, visto che “ i lavori non ricompresi nell’elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo (interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari ovvero da altri atti amministrativi adottati a livello statale o regionale, n.d.r.) non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni” (articolo 14.10 della legge n. 109/1994). La disciplina della programmazione di opere pubbliche, come visto, è strettamente legata alle vicende della loro progettazione. Quest’ultima si suddivide, come previsto dall’articolo 16 della legge n. 109/1994 (così come sostituito dall’articolo 5-quinques della legge 2 giugno 1995 n. 216), secondo tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, in progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo. Tale suddivisione è confermata dal secondo comma dell’articolo 15 del D.P.R. n. 554/1999, secondo cui “ il progetto è redatto (…) secondo tre progressivi livelli di definizione: preliminare, definitivo ed esecutivo. I tre livelli costituiscono una suddivisione di contenuti che tra loro interagiscono e si sviluppano senza soluzione di continuità” . Il progetto preliminare Esso riveste un ruolo determinante nella disciplina della progettazione, poiché definisce “ le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire” e consiste “ in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle eventuali soluzioni possibili” , scelta che deve essere operata tenendo conto, tra l’altro, dei profili ambientali e della fattibilità amministrativa e tecnica, accertata mediante le indispensabili indagini di prima approssimazione (articolo 16.3
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La programmazione e la progettazione delle opere pubbliche
della legge n. 109/1994). Il D.P.R. n. 554/1999, con gli articoli che vanno dal 18 al 23, disciplina poi in dettaglio i contenuti di tale progetto, individuando compiutamente gli elaborati di cui esso deve essere composto. Come visto, inoltre, la sua approvazione è condizione necessaria ai fini dell’inserimento dell’opera nell’elenco annuale dei lavori pubblici.
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Il progetto definitivo Esso deve essere frutto di un approfondimento del progetto preliminare, in quanto individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel medesimo progetto preliminare, e deve contenere tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni. In particolare, esso consiste in una relazione descrittiva nella quale devono essere contenuti, fra l’altro, lo studio di impatto ambientale ove previsto, gli studi e le indagini preliminari con riguardo alla natura ed alle caratteristiche dell’opera, studi ed indagini che, con particolare riferimento a quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico e chimico, devono essere condotti ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo. Il D.P.R. n. 554/1999, con gli articoli dal 25 al 34, disciplina in dettaglio i contenuti di tale progetto, individuando compiutamente gli elaborati di cui esso è composto. L’approvazione dello stesso da parte di un determinato organo dell’ente pubblico competente “ equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori” (articolo 14.13 della legge n. 109/1994) ed impone pertanto la fissazione dei termini per l’inizio e per l’ultimazione dei lavori e delle espropriazioni. Il progetto esecutivo Esso deve essere redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo. Gli articoli dal 35 al 45 del D.P.R. n. 554/1999 disciplinano in dettaglio i contenuti di tale progetto, individuando gli elaborati di cui esso è composto. In definitiva, il legislatore ha previsto un procedimento che comporta un progressivo affinamento dei progetti, al fine di consentire agli organi della pubblica amministrazione di essere pienamente consapevoli delle scelte effettuate, e di evitare così l’attuazione di progetti estemporanei o irrealizzabili con sperpero di denaro pubblico, in omaggio ai principi di economicità, buon andamento ed imparzialità della azione della pubblica amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione. La scansione progressiva dei tre tipi di progetto non può essere derogata o alterata, perché essa risponde espressamente alla necessità di assicurare, ai sensi dell’articolo 16.1 della legge n. 109/1994, “ a) la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative; b) la conformità alle norme urbanistiche ed ambientali; c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti nel quadro normativo nazionale e comunitario” .
è ovviamente sfuggita la disciplina dell’attività di programmazione e di progettazione delle opere pubbliche. Allo stato, tale attività si sviluppa in diverse fasi che possono essere ordinate in una sequenza così articolata: • approvazione del programma triennale dei lavori pubblici e dei suoi aggiornamenti annuali (articolo 4.1 della legge 18 novembre 1998 n. 415); • approvazione del progetto preliminare di ciascuna opera pubblica (articolo 4.6 della legge n. 415/1998 in relazione all’articolo 16.1 della legge 11 febbraio 1994 n. 109); • approvazione dell’elenco annuale dei lavori pubblici (articolo 4.1 della legge n. 415/1998); • approvazione del progetto definitivo delle opere di cui sia stato approvato il progetto preliminare (articolo 16.1 della legge n. 109/1994); • approvazione del progetto esecutivo delle opere di cui sia stato approvato il progetto definitivo (articolo 16.1 della legge n. 109/1994). Ovviamente, ciascuno di questi atti rientra nella specifica sfera di attribuzioni di un determinato organo dell’ente pubblico competente. Ma quali sono gli organi cui spetta di approvare i progetti, allorquando si tratta di realizzare un’opera comunale? Anche la disciplina di questa materia è stata oggetto negli anni di una complessa evoluzione, della quale può essere interessante tentare di ricostruire le principali vicende prendendo le mosse dalla legge 8 giugno 1990 n. 142 con cui venne ridefinito l’ordinamento delle autonomie locali, per arrivare al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 con cui è stato approvato il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, ed infine al D.P.R. 8 giugno 2001 n.327 mediante il quale è stato approvato il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, la cui entrata in vigore è stata peraltro rinviata al 30 giugno 2002, in virtù dell’articolo 5 del decreto legge 23 novembre 2001 n. 411. La legge 8 giugno 1990 n. 142 Nella sua veste originaria, l’articolo 32 della legge n. 142/1990 non menzionava l’approvazione dei progetti fra gli atti di competenza del consiglio comunale, per cui generalmente detta competenza veniva fatta rientrare nella sfera di attribuzioni della giunta comunale ai sensi dell’articolo 35 della medesima legge (alla lettera, “ la giunta compie tutti gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco (…), degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti” ). La legge 11 febbraio 1994 n. 109 Nel ridisciplinare in maniera organica la progettazione delle opere pubbliche, la legge n. 109/1994 ridisciplinava anche le competenze degli organi comunali, e con l’articolo 15 modificava l’articolo 32, lettera “ b” , della legge n. 142/1990, attribuendo al consiglio comunale pure il compito di approvare i “ progetti di opere pubbliche” .
Massimiliano Manganiello
A chi spetta approvare i progetti delle opere comunali? Negli ultimi dieci anni la disciplina relativa alla realizzazione delle opere pubbliche è stata oggetto di un’evoluzione non sempre improntata a criteri di coerenza, finalizzata da un lato a recepire le direttive impartite sull’argomento dalla Comunità europea, e dall’altro a snellire ed accelerare le relative procedure. A questa evoluzione non
Il decreto legge 3 aprile 1995 n. 101 Passavano pochi mesi, però, ed entrava in vigore il decreto legge 3 aprile 1995 n. 101 il cui articolo 5 quater (introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995 n. 216) sostituiva completamente la lettera “ b” dell’articolo 32, e nel fare ciò limitava la competenza del consiglio comunale all’approvazione dei “ progetti preliminari di opere pubbliche” , restituendo quindi implicitamente alla giunta l’approvazione dei progetti definitivi ed esecutivi. La legge 18 novembre 1998 n. 415 La disciplina della materia subiva poi un ulteriore cambiamento a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 415/1998. L’articolo 4 di
Il decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 Èentrato quindi in vigore l’articolo 42, lettera “ b” , del decreto legislativo n. 267/2000, il quale da un lato ha escluso nuovamente l’approvazione dei progetti dai compiti del consiglio comunale, ma dall’altro ha ribadito la competenza del consiglio stesso in tema di approvazione dei “ piani territoriali ed urbanistici” , confermando così implicitamente le disposizioni dettate dall’articolo 4, terzo comma, della legge n. 415/1998 (non è certo un caso, del resto, che l’articolo 274 del decreto in esame, al punto “ mm” , abbia abrogato il secondo comma dell’articolo 4 della legge n. 415/1998, ma nulla abbia disposto in merito al successivo terzo comma del medesimo articolo 4, confermando così la vigenza). L’articolo 107 del decreto n. 267/2000, inoltre, ha confermato la competenza dei dirigenti ad attuare gli obiettivi ed i programmi definiti dagli organi politici, e ciò anche mediante l’assunzione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno. Si può quindi ritenere che, allorquando sussistano questi presupposti, anche gli atti di approvazione dei progetti delle opere pubbliche possano essere ricondotti nella competenza dei dirigenti. Il D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 Il D.P.R. n. 327/2001, infine, prevede l’abrogazione dell’intero articolo 1 della legge n. 1/1978 (articolo 58, n. 108), ed al contempo fissa queste regole per disciplinare l’approvazione dei progetti di opere pubbliche difformi dalle previsioni degli strumenti urbanistici: • premesso che i vincoli preordinati all’esproprio contenuti nei piani regolatori hanno la durata di cinque anni (articolo 9.2) e che, se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità delle opere da essi previste, detti vincoli decadono (articolo 9.3), “ nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il consiglio comunale può motivatamente disporre che siano realizzate sul bene vincolato opere pub-
bliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico regionale (rectius, comunale) non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia” (articolo 9.5); • “ quando l’opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, l’approvazione del progetto definitivo da parte del consiglio comunale costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico” (articolo 19.1), e “ se la regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia” (articolo 19.4). Mettendo dunque a confronto questa normativa con il contenuto dell’articolo 42, lettera “ b” , del decreto legislativo n. 267/2000, sembra logico concludere che il D.P.R. 327/2001, una volta entrato in vigore, sottrarrà al consiglio comunale ogni competenza in tema di approvazione dei progetti di opere pubbliche, salva l’approvazione dei progetti definitivi di quelle opere che risultino non conformi alle previsioni urbanistiche applicabili. Salva questa eccezione, dunque, spetterà alla giunta e ai dirigenti, secondo il criterio di ripartizione stabilito dal D.P.R. n. 267/2000, approvare tutti gli altri progetti, e dare così attuazione alle decisioni formalizzate dal consiglio con l’approvazione dei programmi triennali e degli elenchi annuali dei lavori pubblici. Walter Fumagalli
Rassegna a cura di Camillo Onorato B.U.R.L. 1° Suppl. Straordinario al n. 49 del 4.12.2001 D.G.R. 9 novembre 2001 - n. 7/6754 L.r. 30 novembre 1983, n. 86 e successive modifiche, art. 34 Ampliamento del Parco Locale di Interesse Sovracomunale “Grugnotorto-Villoresi”, Comune di Nova Milanese (Mi) La Giunta Comunale delibera di ampliare il perimetro del Parco Locale di Interesse Sovracomunale “ Grugnotorto-Villoresi” con l’inserimento del territorio del Comune di Nova Milanese. Inoltre, viene dato atto che le prescrizioni attinenti le modalità di pianificazione e gestione del Parco così ampliato sono quelle già previste dal d.p.g.r. 13 novembre 2000 n. 28227, “ Modalità di Pianificazione e gestione del Parco Locale di Interesse Sovracomunale Grugnotorto-Villoresi“ . B.U.R.L. 1° Suppl. Ordinario al n. 48 del 27.11.2001 L.r. 23 novembre 2001 - n. 18 Interpretazione autentica ed integrazione della L. r. 15 luglio 1996, n. 15 “Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti” ed interpretazione autentica della L. r. 19 novembre 1999, n. 22 “Recupero di immobili e nuovi parcheggi: norme urbanistico-edilizie per agevolare l’utilizzazione degli incentivi fiscali in Lombardia” IL consiglio Regionale ha approvato la seguente legge regionale: All’art. 1 la parola “ esistente“ di cui all’art. 1 comma 2 della l.r. 15 luglio 1996 n. 15 “ Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti“ è da intendersi riferita al momento della domanda di concessione edilizia ovvero alla denuncia di inizio attività; all’art. 2 integra l’art. 1 comma 4 aggiungendo alle parole “ degli edifici” di cui al comma 2 dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura; all’art. 3 l’espressione “ tutti gli interventi edilizi“ di cui all’art 4, comma 3, della legge regionale 10 novembre 1999, n. 22 “ Recupero di immobili e nuovi parcheggi: norme urbanistico-edilizie per agevolare l’utilizzazione degli incentivi fiscali in Lombardia“ è da intendersi riferita agli interventi di ristrutturazione edilizia, di ampliamento e di nuova costruzione.
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quest’ultima, al secondo comma, modificava anzitutto l’articolo 32, lettera “ b” , della legge n. 142/1990, eliminando dalle competenze del consiglio comunale ogni riferimento all’approvazione dei progetti di opere pubbliche. Al contempo, però, lo stesso articolo 4, al terzo comma, sostituiva come segue l’articolo 1, quarto e quinto comma, della legge 3 gennaio 1978 n. 1: • “ nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, l’approvazione dei progetti preliminari di lavori pubblici da parte del consiglio comunale, e dei conseguenti progetti definitivi ed esecutivi di lavori pubblici da parte della giunta comunale, anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano, non comporta necessità di varianti allo strumento urbanistico medesimo sempre che ciò non determini modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standard urbanistici minimi da norme nazionali o regionali” (quarto comma); • “ nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi oppure sono destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e che sono regolamentate con standard minimi da norme nazionali o regionali, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto preliminare e la deliberazione della giunta comunale di approvazione del progetto definitivo ed esecutivo costituiscono adozione di variante degli strumenti stessi (...)” (quinto comma). Da queste disposizioni sembrava quindi inevitabile desumere che di regola l’approvazione di un progetto preliminare, al pari dell’approvazione di un progetto definitivo e di un progetto esecutivo, spettava alla giunta comunale, ma che in via eccezionale rientrava nella competenza del consiglio, allorquando l’opera non coincideva con le previsioni dello strumento urbanistico vigente.
Normative e tecniche a cura di Emilio Pizzi e Tiziana Poli
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Sistemi di scarico delle acque meteoriche. Criteri di progettazione, collaudo e gestione
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di Matteo Fiori* In Italia è presente da alcuni anni una normativa dedicata alla progettazione idraulica di alcuni componenti il sistema in oggetto: la norma UNI 9184 “ Sistemi di scarico delle acque meteoriche” . La norma si applica ai sistemi di scarico delle acque meteoriche incidenti sulle coperture degli edifici, strade di accesso e cortili. Non è valevole per la progettazione di impianti collettori a livello urbano. La norma fornisce informazioni riguardanti la progettazione idraulica di converse, di canali di gronda, di pluviali e di collettori orizzontali. In particolare i principali contenuti sono i seguenti: • composizione di un sistema di raccolta delle acque meteoriche; • criteri di progettazione; • prescrizione per l’esecuzione; • materiali e componenti; • elaborati grafici; • collaudo; • criteri di gestione e manutenzione. Vengono anche date indicazioni e riferimenti che riguardano i criteri di scelta dei materiali normalmente utilizzati per questi elementi. Si fa notare che, in alcuni casi, essa fa riferimento alla UNI 9183 “ Sistemi di scarico delle acque usate” in quanto i criteri proposti sono i medesimi. Il titolo delle norma riporta, molto correttamente, il termine “ sistema” ; infatti, come in moltissimi altri casi, è necessario effettuare una progettazione che consideri ogni elemento dell’oggetto come parte di un insieme. Questa è la condizione che permette al sistema di funzionare correttamente. Se anche un solo singolo elemento fosse sottodimensionato, tutto il sistema ne risentirebbe in maniera negativa. Criteri di progettazione Il processo di progettazione indicato nella norma è di notevole semplicità e non richiede complessi calcoli. I passi del processo sono i seguenti: • Individuazione della posizione dei pluviali, in relazione alla geometria dell’edificio, alle pendenze da realizzare ed alla possibilità di sviluppo della rete suborizzontale che raccoglie i pluviali alla base dell’edificio. • Individuazione del materiale con il quale verranno realizzati i pluviali, in relazione a scelte architettoniche e di durabilità. La scelta è inoltre importante in quanto la portata del pluviale dipende dalla scabrezza del materiale.
Per fare un esempio, la superficie servita da un pluviale ø125, con altezza di pioggia di 180 mm/h, varia dai circa 300 mq per il rame, ai 328 mq per il Pvc fino ai 345 mq per la ghisa. • Determinazione delle caratteristiche geometriche dei pluviali, in relazione alla superficie da essi servita, all’altezza di pioggia ed al materiale. Vengono utilizzate le tabelle presenti in allegato alla normativa, per ognuna delle quali viene qui presentato un estratto (tabelle 1 e 2). La progettazione deve essere sempre in favore di sicurezza: definita la superficie da drenare, il diametro commerciale del pluviale sarà quello che rientrerà nella classe superiore. Per altezze di pioggia differenti (o per pluviale di sezione differente) da quelle indicate, vale la linearità della relazione. Per esempio: un pluviale di diametro ø100, per altezza di pioggia di 360 mm/h, drenerà metà della superficie drenata per altezza di pioggia di 180 mm/h. L’altezza di pioggia è un dato che viene individuato tramite gli annuari delle statistiche meteorologiche dell’Istat o da altre fonti istituzionali, per la località di interesse o per quella con caratteristiche meteorologiche simili. Il dato da utilizzare è quello relativo al massimo del singolo evento di pioggia, con un periodo di non ritorno di 10 anni. • Determinazione delle caratteristiche geometriche dei canali di gronda e/o delle converse, in relazione a scelte architettoniche. Viene prima definita la pendenza; successivamente, utilizzando ancora le tabelle presenti in normativa (estratto in tabella 3), valide per forma semicircolare del canale di gronda, il diametro della stessa. Note relative alla progettazione Si forniscono di seguito alcune note essenziali ai fini di una corretta progettazione del sistema. • Nota 1: sistema di pendenze della copertura. Se questa è una caratteristica intrinseca delle coperture discontinue, è molto importante anche per quelle continue ad andamento suborizzontale. Infatti è consigliata una pendenza di almeno 1% , al fine di evitare che, per deformazioni della struttura o per esecuzioni non corrette dello strato di tenuta all’acqua, vi siano ristagni di acqua che provocherebbero degradi accelerati degli strati di tenuta e/o di rivestimento. • Nota 2: tipologia di suddivisione della copertura (per coperture piane). È consigliabile suddividere la copertura in tanti triangoli ognuno dei quali abbia pendenze dirette verso un unico punto nel quale è situato il pluviale, al fine di evitare inutili sovraspessori ed inutili manutenzioni di canali di bordo (situazione che si attiverebbe qualora si effettuasse una suddivisione in quadrangoli). • Nota 3: tipologia di superficie che viene drenata. I dati indicati in queste note sono validi per superfici non
Esempio di calcolo Di seguito viene riportato un esempio applicativo per il dimensionamento di un sistema di smaltimento delle acque. Dati di progetto Sia data una copertura rettangolare ad unica inclinazione, con superficie di 400 mq, situata in una zona con altezza di pioggia, su un periodo di non ritorno di 10 anni, di 180 mm/h. Si vuole dimensionare il sistema di smaltimento delle acqua. Si ipotizza, vista l’unica inclinazione, la presenza di un solo canale di gronda munito di due pluviali, in rame, uno per estremo. La superficie servita da ciascun pluviale è quindi di: 400 mq/2 = 200 mq
Diametro esterno [mm] 60 80 100 120 140
Altezza di pioggia 60 [mm/h] 145 310 560 895 1310
120 [mm/h] 72 155 280 447 655
180 [mm/h] 48 103 187 298 437
Tab. 1 - Superfici servite da pluviali in rame e lamiera zincata.
Diametro esterno [mm] 63 75 110 125 140
Altezza di pioggia 60 [mm/h] 155 300 545 985 1305
120 [mm/h] 77 150 262 492 652
180 [mm/h] 52 100 182 328 435
Tab. 2 - Superfici servite da pluviali in PVC o PE ad.
Diametro nominale [mm] 75 100 150 200 250
Pendenza 0,5% 18 40 100 220 400
1% 25 55 150 300 550
2% 35 80 200 430 780
Tab. 3 - Superfici servite da canali di gronda semicircolari. Terminologia essenziale (glossario) Acque meteoriche: acque di pioggia direttamente incidenti sulle superfici prese in considerazione ed anche acque della stessa origine che, provenendo da aree circostanti, possono interessare le medesime superfici per scorrimento superficiale. Altezza di pioggia: quantità di pioggia, misurata in millimetri, che cade in un’ora. Sistema: insieme di più impianti ed apparecchiature in grado di fornire prestazioni complete. Per esempio un sistema di smaltimento include i bocchettoni, i pluviali ed i collettori per il convogliamento delle acque meteoriche, gli eventuali impianti di sollevamento delle acque sotto quota. Bibliografia M. Fiori, F. Re Cecconi, La progettazione degli impianti di scarico per edifici residenziali, Maggioli, Rimini, 1999 (con CD-rom contenente un programma di dimensionamento degli elementi del sistema di raccolta delle acque meteoriche) S. Monducci, Raccolta e Smaltimento delle acque piovane, in Manuale di progettazione edilizia, vol. II, Hoepli, Milano, 1994
Schema semplificato della copertura.
Criteri di dimensionamento in funzione delle differenti tipologie di pluviale Dalla tabella 1, per altezza di pioggia di 180 mm/h, si ha che un pluviale ø100 drena una superficie di 187 mq, un pluviale ø120 drena una superficie di 298 mq. A favore di sicurezza si sceglie quindi il diametro superiore. Il canale di gronda, con forma semicircolare, viene suddiviso in due tratti, entrambi con pendenze dell’1% . La superficie servita da ciascun tratto uguaglia quindi quella del pluviale. Utilizzando la tabella 3, per altezza di pioggia di 180 mm/h e superficie di 200 mq, si ha quindi un diametro di 200 mm (sempre in favore di sicurezza).
Normativa tecnica di riferimento UNI 9183, Sistemi di scarico delle acque usate. Criteri di progettazione, collaudo e gestione UNI 9184, Sistemi di scarico delle acque meteoriche. Criteri di progettazione, collaudo e gestione D.T.U. 40.5, Travaux d’èvacuation des eaux pluviales (Le norme Uni sono emanate dall’UNI, Ente nazionale italiano di unificazione. Le norme D.T.U. (Documents techniques unifiès) sono emanate dall’AFNOR, Association française de normalisation) Siti di riferimento UNI, Ente nazionale italiano di unificazione: www.uni.com ISTAT, Istituto italiano di statistica: www.istat.it AFNOR, Association française de normalisation: www.afnor.fr * BE Group Politecnico di Milano, Professore a contratto presso la Facoltà di Ingegneria
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corrugate e non autodrenanti, per le quali è necessario considerare coefficienti riduttivi variabili tra 0 (coperture perfettamente autodrenanti, per es. giardino pensile) e 1 (coperture perfettamente lisce, per es. copertura con strato di tenuta in Pvc). • Nota 4: corretta computazione di tutti quegli elementi che possono concorrere alla portata di pluviali o canali di gronda. La presenza di facciate, terrazze o altri elementi direttamente prospicienti la copertura aumenta il carico di acqua verso un pluviale o un canale di gronda in quanto, il vento provoca il percolamento di acqua su tali superfici. Ne deriva la necessità di introdurre queste ultime nel calcolo. Se si fosse in presenza di una sola superficie verticale essa viene computata per metà, se, invece, si fosse in presenza di due superfici ad angolo, ciascuna di esse viene computata per un terzo. • Nota 5: “ troppo pieno” . Al fine di evitare che, in caso di eventi eccezionali si abbia una tracimazione di acqua dai normali percorsi di raccolta dell’acqua, è consigliabile inserire un elemento di troppo pieno, con diametro di almeno 80 mm.
Dagli Ordini
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Ordine di Bergamo tel. 035 219705
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Bergamo Coordinamento per le iniziative culturali. Viaggio culturale effettuato il 1° dicembre 2001 a Roma (Collaborazione: Italcementi Group sponsor tecnico dell’opera, con intervento dell’ingegner Gennaro Guala responsabile del C.T.G.) Una giornata di sole ha favorito il viaggio permettendo agli architetti bergamaschi in visita di poter visionare pienamente la grande chiesa in costruzione. Nella tarda mattinata i partecipanti sono stati accolti dall’ingegner G. Guala, progettista strutturale, e accompagnati anche dall’ingegner Marco Verdina di Bergamo, hanno inizialmente visitato lo stabilimento della ditta di prefabbricazione Edilgori, presente il titolare, produttrice degli innovativi pannelli prefabbricati a doppia curvatura costituenti le tre grandi “ vele” in c.a. bianco TX Millennium prodotto dall’Italcementi. Si è approfondito il complesso processo produttivo in stabilimento data la singolarità dei pannelli. In seguito i visitatori sono stati ospitati nel cantiere dell’impresa generale costruttrice Lamaro Appalti S.pA. ove in una conferenza esplicativa dell’ing. Guala e ing. Verdina, si sono documentate le innovative modalità di assemblaggio e montaggio in cantiere degli elementi precedentemente realizzati nello stabilimento di prefabbricazione. Si è assistito alla dimostrazione delle attrezzature e macchine originali e complesse studiate dal C.T.G. dell’Italcementi Group. Queste macchine pur realizzate con tutte le modalità tecniche e materiali di moderna concezione, riportano alla memoria le macchine utilizzate nei raggiungere, attraverso le incastellature realizzate, la sommità delle tre “ vele” e di lassù, all’imbrunire, ammirare le luci di Roma. L’appuntamento è per una visita ulteriore a lavori finiti (2002-03) per ammirare la chiesa nella sua interezza e per una analisi più appropriata sull’opera sia sotto l’ottica dell’architettura che della liturgia. Per il momento si può ritenere che la chiesa, pur autoreferenziale, sia
permeata da una fortissima carica simbolica indirizzata ad una fruibilità ecumenica. La visita culturale degli architetti bergamaschi è proseguita il giorno successivo, sulla via del rientro, con la sosta a Firenze per ammirare le ardite volute concepite dall’arch. Giovanni Michelucci per la chiesa dedicata a San Giovanni Battista, in lato all’autostrada del Sole. Impregnata di un solenne simbolismo, non è azzardato sostenere che quest’opera abbia un alto valore teurgico. Nel pomeriggio si è raggiunta Riola di Vergato (Bo) per la visita alla chiesa dedicata a S. Maria Assunta progettata tra il 1965 e il 1966 dal grande architetto finlandese Alvar Aalto, il quale diede indicazioni precise sul luogo dove sarebbe dovuta sorgere la chiesa. Si dovette attendere il 1976 per dare inizio ai lavori pochi mesi dopo la scomparsa del maestro che fino all’ultimo si occupò dei dettagli di progettazione. I lavori furono seguiti dalla moglie architetto Elissa e dai suoi collaboratori e la costruzione della chiesa nel 1978. Mancava l’originale campanile che è stato realizzato nel 1996 rispettando i disegni originari. La chiesa di A. Aalto in Riola, unica chiesa cattolica da egli progettata, volutamente radicata nel contesto territoriale, affascinante per le sue volute ardite e pure che rimandano allo “ Spirito del Romanico” , può essere considerata un vero e proprio testamento spirituale del maestro finlandese, come per Le Corbusier fu la cappella di Rochamp (progetto 1950-52, esecuzione 1953-55). È un raro esempio di chiesa impregnata sia di Verità che di Bellezza, organizzata sui fuochi della liturgia così come riformata dal Concilio Vaticano II. La pratica culturale dominante misconosce quest’opera, come sottovaluta quasi tutta l’architettura di questo grande maestro. Il visitatore veramente aperto alla spiritualità può sentirsi stimolato ad intraprendere un autonomo percorso mistagogico. Antonio Cortinovis Co-coordinatore Commissione Cultura
Brescia I pomeriggi in San Barnaba: La città e i suoi simboli. Architettura e Architettura L’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Brescia ha dato avvio ad un rapporto collaborativo con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Brescia per l’organizzazione di un ciclo di incontri pubblici dedicati all’architettura. L’evento dal titolo La città ed i suoi simboli. Architettura e architettura avrà luogo a Brescia, presso l’Auditorium di S. Barnaba, nel periodo aprile-maggio 2002. L’iniziativa di proporre un dibattito dedicato ai percorsi dell’architettura contemporanea si pone in continuità con una serie di altre iniziative, promosse dall’Amministrazione locale, quali occasioni di approfondimento culturale per la cittadinanza. Lo svolgimento de “ I pomeriggi in San Barnaba” nello stesso luogo, giorno ed ora, rappresenta infatti una sorta di appuntamento abituale per il pubblico intellettuale bresciano. Il programma propone un ciclo di 8 incontri che si svolgeranno secondo la formula dell’intervista pubblica e della conversazione tematica tra due relatori ospitati. Agli incontri sono stati invitati alcuni dei più importanti architetti nazionali ed internazionali, dei quali anticipiamo a titolo d’esempio solo alcuni nomi contattati e la cui partecipazione appare quasi certa: Leonardo Benevolo, Oriol Bohigas, Vittorio Gregotti, Rem Koolhaas, Rafael Moneo, Alfonso Natalini, Luigi Snozzi, Gino Vallle, Franco Purini. A margine dell’iniziativa e con il fine di “ ampliarne” la visibilità, si prevede inoltre di dare vita ad alcuni eventi collaterali, quali: la pubblicazione degli atti da parte di una rivista del settore, una mostra degli architetti invitati, incontri con gli amministratori e con i colleghi, workshop, ecc. L’Ordine, in particolare attraverso l’attività del Dipartimento Cultura, si è attivato con il massimo impegno per l’organizzazione dell’evento, che rappresenta una importante occasione per intraprendere un nuovo rapporto cooperativo tra professionisti ed istituzioni e per avvicinare il pubblico alle problematiche ed ai volti dell’architettura. La struttura definitiva del programma con i temi dei singoli incontri è ancora in corso di perfezionamento. È comunque già possibile anticipare che il dibattito volgerà un breve sguardo alla realtà locale, interessata da consistenti trasformazioni urbanistiche ed architettoniche, mentre maggiore spazio verrà dedicato ad una riflessione generale sul futuro dell’architettura, anche alla luce attuale dei tragici eventi di New York. L’architetto del terzo millennio, infatti, trovandosi ad operare in una società del consumo e dei valori virtuali, deve sempre più imporsi per la realizzazione di manufatti in cui tro-
Milano Deliberazioni della 90a Seduta di Consiglio del 26.11.2001 Domande di prima iscrizione presentate nel mese di novembre 2001 (n. 38, di cui 29 architetti unicamente l.p. e 9 architetti che svolgono altra professione): 12630, Aiello, Enrico, 7.3.1969, Rho; 12619, Antonioli, Daniele Piero Mario, 15.3.1974, Milano; 12645, Attanasio, Francesco, 26.2.1961, Sapri; 12632, Attolini, Edgardo, 25.2.1970, Brindisi; 12615, Bassi, Antonio, 26.6.1973, Legnano; 12622, Bendo, Andrea, 6.3.1969, Sesto S. Giovanni; 12618, Besana, Erica, 16.3.1972, Milano; 12607, Bredolo, Michela Cristina, 31.3.1973, Milano; 12637, Cidri, Emanuela Sara, 22.9.1973, Milano; 12633, De Vita, Caterina, 15.6.1974, Milano; 12646, Filippone, Maria Antonietta, 6.9.1966, Frigento; 12642, Fumagalli, Diego, 21.11.1971, Milano; 12635, Galbiati, Silvia Giulia Silvana, 30.11.1970, Milano; 12639, Ghidoni, Barbara, 12.12.1974, Scandiano; 12611, Ghislieri Marazzi, Luigi Filippo, 25.11.1966, Roma; 12616, Gioia, Lisa, 23.6.1975, Melzo; 12629, Giunta, Felice, 23.7.1971, Milano; 12638, Giussani, Giuseppe, 19.12.1971, Giussano; 12613, Grassi, Marco, 31.3.1966, Milano; 12643, Isonni, Bruno, 15.4.1971, Garbagnate Milanese; 12609, Lombardi, Sara, 20.6.1976, Cuggiono; 12624, Manfredi, Carlo, 11.12.1972, Milano; 12641, Marchesotti, Magda Maria, 23.5.1976, Magenta; 12628, Marescotti, Fabrizio, 13.9.1970, Milano; 12636, Marini Leandri, Andrea, 30.1.1972, Roma; 12614, Mella, Antonio, 2.12.1970, Milano; 12608, Mira, Paolo, 27.5.1971, Busto Arsizio; 12620, Morrone, Fabrizio, 3.6.1970, Milano; 12623, Mussi, Manlio, 30.3.1973, Monza; 12625, Paracchini, Erica, 15.6.1970, Milano; 12640, Pasini, Michele, 14.4.1975, Brescia; 12610, Perego, Paola, 14.7.1972, Monza; 12626, Piacentini, Patrizia, 24.7.1973, Milano; 12617, Pinna Berchet, Barbara, 23.2.1973, Lecco; 12627, Ponticiello, Nicola, 13.7.1972, Napoli; 12621, Realmonte, Achille Nicolò, 24.12.1969, Conversano; 12644, Reverberi, Marta, 2.3.1972, Monza; 12612, Rossi, Wandella, 8.4.1971, Milano; 12631, Salvadori, Elena, 18.11.1974, Melzo; 12647, Sculli, Donatella, 27.12.1967, Reggio Calabria; 12634, Sguinzi, Romano Maria, 9.8.1967, Gaggiano; 12648, Testaquatra, Arnaldo, 9.9.1968, Caltanissetta. Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Francesco Attanasio da Salerno; Maria Antonietta Filippone da Avellino; Donatella Sculli da Padova; Arnaldo Testaquatra da Caltanissetta. Cancellazione su richiesta: Arcisio Cighetti; cancellazione per morte: Leonello Pica. Inoltre: Rilascio di n. 4 nulla osta per trasferimento ad altro Albo: Gloria Enrica Cerliani a Roma; Alice De Andreis a Imperia; Domenico Laganà a Varese; Lucia Vitari a Firenze. Deliberazioni della 92a Seduta di Consiglio del 17.12.2001 Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Matteo Fiore da Palermo.
Cancellazioni su richiesta: Francesco Bargiggia; Manila Laura Cardosi; Andrea Ermolli; Nicoletta Vittoria Gandini; Renata Gatti; Luciana Genolini; Dario Pietro Naddeo; Biagio Nigretti(* ); Paola Enrica Piazza; Patrizia Russo Cardone; Pietro Troglio. Cancellazioni per trasferimento ad altro Albo: Riccardo Borzì (26.10.01) a Savona; Ivana Colombo (27.2.01), Silvia Coppo in Morini (6.9.01) e Fernando Antonio Del Verme (18.4.01) a Bergamo; Domenico Laganà (11.12.01) a Varese. Inserimento nell’Albo d’Onore: Biagio Nigretti. Designazioni Studio Comm. dr. Luigi Perego, Cologno Monzese (Mi) Richiesta di nomina di arbitro unico/collegio arbitrale. Il Consiglio dell’Ordine ha nominato, quale “ terzo arbitro” per la controversia in oggetto, il Sigfrido Losavio. dott. arch. Riccardo Licari, Capo Dip. Servizi Tecnici di Ateneo, Politecnico di Milano Nomina Commissione Giudicatrice - Licitazione privata per l’affidamento in concessione e gestione del complesso immobiliare “ Daniel’s Hotel” , destinato a residenza per studenti universitari. Il Consiglio dell’Ordine ha nominato la seguente rosa di professionisti: Maria Cristina Borgogna, Guido Fochi, Michela Locati, Enrico Magistretti, Giorgio Ponti, Pierluigi Raule, Maria Redaelli, Gaspare Safina, Roberto Summer. geom. Paolo Tempesta, Ufficio Tecnico del Comune di Cassinetta di Lugagnano (Mi) Segnalazione nominativi per nomina membri Commissione Edilizia Comunale. Il Consiglio ha designato la seguente terna di professionisti: Anna Ferrari, Riccardo Innocente, Milena Maria Navone. dr. arch. Francesca Dicorato, Comune di Segrate (Mi) Commissione Giudicatrice per concorsi di progettazione relativi alle seguenti opere: Riqualificazione ingresso quartiere Villaggio Ambrosiano, Sistemazione strada di arroccamento Quartiere Lavanderie e nuovo controviale Cassanese/Miglioli. Il Consiglio dell’Ordine ha nominato la seguente terna di professionisti: Alberto Mioni, Antonio Piva, Vittorio Rigamonti. dr. Fiorenzo Manocchi, Sindaco del Comune di Veduggio con Colzano (Mi); sig. P.E. Renzo Anzil, Responsabile del Procedimento Concorso di idee per progettazione nuova sede municipale. Il Consiglio ha nominato quale rappresentante dell’Ordine in seno alla Commissione Giudicatrice relativa al concorso in oggetto Raffaella Lorenza Neri. Impresa Francesco Tarasco, Nova Milanese (Mi) Terna per collaudo di opere in c.a. relative alla costruzione di una palazzina composta di quattro appartamenti e villetta disposta su due piani, costruita in aderenza alla palazzina, in Lazzate – via G. Galilei. Con riferimento alla Vostra richie-
sta si comunica la seguente terna di professionisti: Giovanni Arosio, Giancarlo Colombo, Roberto Vittorio Pozzi. IN/ARCH, Istituto Nazionale di Architettura, Milano Bando di concorso per la progettazione di spazi pubblici a Milano “ Milano nuove piazze 2001” . Si comunica che il Consiglio dell’Ordine ha nominato i seguenti professionisti per la composizione della Commissione Giudicatrice del concorso in oggetto: Angelo Torricelli (Membro Effettivo), Michele Faglia (Membro Supplente). Impresa Edilnord s.r.l., Lissone (Mi) Terna per collaudo di opere in c.a. relative alla ristrutturazione di un edificio industriale da erigersi in Desio. Il Consiglio dell’Ordine nomina la seguente terna di professionisti: Maurizio Ceriani, Pierino Ferdinando Rossi, Paolo Zago. Ill.mo Sig. Rettore del Politecnico di Milano; Segreteria della Facoltà di Architettura Campus Leonardo Si comunica il nominativo del rappresentante dell’Ordine per la sessione degli esami di Laurea in PTUA nel giorno 20.12.2001: Ezio Didone. Ill.mo Sig. Rettore del Politecnico di Milano; Prof. Alberto Seassaro, Preside della III Facoltà di Architettura – Design, Politecnico di Milano Si comunicano i nominativi dei rappresentanti dell’Ordine per la sessione degli esami di Laurea in Disegno Industriale nei giorni 17-18 dicembre 2001 (n. 6 Commissioni): Fausto Colombo, Francisca Ponti (Ponti Ferrari), Elena Buffoni, Annalisa Barbieri, Matteo Pietro Casati, Silvana Caffaro Rore. Ill.mo Sig. Rettore del Politecnico di Milano; Segreteria della Facoltà di Architettura di Milano-Bovisa Si comunicano i nominativi dei rappresentanti dell’Ordine per la sessione degli esami di Laurea in Architettura nei giorni 19-20 dicembre 2001 (n. 4 Commissioni): Gian Paolo Guzzetti, Ia Commissione; Mario Airaghi, IIa Commissione; Claudio Sangiorgi, IIIa Commissione; Paola Garbuglio, IVa Commissione. Ill.mo Sig. Rettore del Politecnico di Milano; Segreteria della Facoltà di Architettura Campus Leonardo Si comunicano i nominativi dei rappresentanti dell’Ordine per la sessione degli esami di Laurea in Architettura nei giorni 19-20 dicembre 2001 (n. 17 Commissioni): Sandro Verga, Ia Commissione; Nicoletta Pellerito, IIa Commissione; Eugenio Vendramet, IIIa Commissione; Pietro Nicolini, IVa Commissione; Fabio Butera, Va Commissione; Letizia Lionello, VIa Commissione; Flavio G. Conti, VIIa Commissione; Claudio Salocchi, VIIIa Commissione; Riccardo Nava, IXa Commissione; Giulio Renato Zucchi, Xa Commissione; Nadia A. Castelli, XIa Commissione; Romolo Bertani, XIIa Commissione; Claudio Corna, XIIIa Commissione; Pieluigi Raule, XIVa Commissione; Lorenzo Sparago, XVa Commissione; Bruno Lorenzo Romani, XVIa Commissione; Lorenzo Baroni, XVIIa Commissione.
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Informazione
vino il giusto equilibrio forma e funzione ed in cui la buona organizzazione contrasti il disordine del mondo reale degli oggetti; in altre parole deve lottare per conferire alla buona architettura il compito importante, che va al di là del campo disciplinare, della difesa della realtà. Inoltre, accanto a questa caduta generale dei valori si impone una nuova crisi nel mondo dell’architettura: l’attacco terroristico delle Twin Towers a Manhattan, colpendo i simboli di uno stile di vita ed una civiltà, pare decretare la fine di un certo “ modo di costruire” ed impone una necessaria riflessione sugli sviluppi futuri delle città. Data la rilevanza dell’iniziativa e l’interesse che auspichiamo suscitare nel pubblico non solo bresciano, con l’uscita del prossimo numero di “ AL” verranno fornite ulteriori informazioni del programma dettagliato del convegno, comprensivo di date e titoli degli incontri.
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Informazione
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a cura di Manuela Oglialoro
Ricostruzione di M anhattan, nessun candidato italiano (da “ Il Sole 24 Ore” del 28.11.2001) Anche le imprese italiane possono partecipare alla ricostruzione del distretto finanziario di New York devastato dagli attentati dell’11 settembre, ma, a quanto sembra, nessuno si è ancora fatto avanti. “ Non c’è una legge che impedisca alle imprese di costruzioni italiane di partecipare agli appalti per la ricostruzione” . L’appello è lanciato alle aziende italiane da Charles Gargano, presidente dell’Agenzia per la ricostruzione dell’area sud di Manhattan, la zona in cui sorgeva il World Trade Center. L’agenzia sarà responsabile del coordinamento di appalti per quasi 20 miliardi di dollari.
Appalti
M ilano
La corte di giustizia del Lussemburgo boccia l’articolo 21 sui criteri di valutazione delle offerte anomale da parte delle stazioni appaltanti. Ue: “Merloniter fuorilegge” (da “ Il Sole 24 Ore” del 28.11.2001) Un’impresa ha il diritto di giustificare gli elementi della propria offerta attraverso un contraddittorio, prima di essere esclusa da una gara d’appalto per avere presentato una proposta considerata anormalmente bassa. E le argomentazioni adducibili per motivare l’importo finale possono essere di qualsiasi genere e non necessariamente limitate ai tre campi ammessi in Italia: economicità del procedimento di costruzione, soluzioni tecniche adottate o condizioni particolarmente favorevoli di cui gode l’offerente. A queste conclusioni è giunta la Corte di Giustizia europea con una sentenza che impone la revisione dei metodi di applicazione delle leggi italiane sugli appalti. I giudici si sono espressi su questo tema sull’onda di due controversie riguardanti aziende che, per offerte considerate anomale, sono state escluse da appalti per lavori Anas.
Così cambierà l’area attorno alla Centrale (da “ Il Giornale” del 30.11.2001) La Stazione Centrale, progettata da Ulisse Tacchini nel periodo 192431, rappresenta uno dei biglietti da visita più significativi della città, quotidianamente visto da migliaia di persone. A parlare della sistemazione urbanistica dell’area e il relativo recupero degli spazi dismessi, il Comune di Milano assieme al Consiglio della Zona 2 ha organizzato un convegno dal titolo “ La Porta d’Italia sull’Europa, Settant’anni di vita dalla sua costruzione” . L’incontro è stato tenuto dagli architetti Marco Albini e Matteo Vitali della Facoltà di Ingegneria e Architettura del Politecnico di Milano, che hanno spiegato il progetto della nuova proposta della sistemazione della piazza antistante la Stazione, i relativi collegamenti con la metropolitana, le piazze laterali e i parcheggi esterni e interni, pensati nei sotterranei.
Rassegna
Costruzioni Proposta la costituzione di istituti certificatori. Qualità, immobili con il bollino blu (da “ Italia Oggi” del 7.11.2001) Istituti per la certificazione della qualità degli immobili costituiti tra Confedilizia e Fiaip. Questa la proposta che il presidente confederale ha lanciato al forum nazionale degli agenti professionali svoltosi a Bologna. Il presidente ha proposto la creazione di osservatori sul mercato immobiliare tra Confedilizia e Fiaip nonché il coinvolgimento degli agenti immobiliari professionali nelle aste giudiziarie. Il presidente, Sforza Fogliani ha così dichiarato: “ Nel settore immobiliare è ora di fare chiarezza. Non c’è più spazio per controllati e controllori. Occorre che la qualità degli immobili in vendita sia certificata dai consumatori e rappresentanti dei futuri proprietari oltre che dagli esperti agenti professionali.”
Bloccata mansarda selvaggia. Gli architetti: copriamo le terrazze. Il Comune dice no (da “ la Repubblica” del 6.12.2001) A Milano nel giro di un mese si è combattuta la guerra dei sottotetti, un conflitto sommerso e silenzioso che poteva alzare la città di un piano regalando volumetrie a buon mercato. Il Consiglio Regionale ha dato un’interpretazione della legge del 1999 sul “ Recupero di immobili e nuovi parcheggi” , cioè un parere vincolante sull’applicazione di una norma: l’espressione “ tutti gli interventi edilizi” contenuta nella legge “ è da intendersi riferita agli interventi di ristrutturazione edilizia, di ampliamento e di nuova costruzione” . Mettendo in relazione con il regolamento edilizio del Comune in materia di sottotetti, gli architetti hanno letto la situazione così: se prima si potevano recuperare i sottotetti esistenti, ora si possono recuperare anche quelli in progetto. Ma in Comune a chi proponeva radicali trasformazioni edilizie è stato risposto che sovrano è il piano regolatore: “ il tetto nuovo costruito in luogo della terrazza crea volume-
tria, ma se questa non è prevista dal piano regolatore, la nuova edificazione non è ammessa” . Approvata la delibera quadro, progetti sbloccati. Città della moda, sì del Consiglio per l’area Garibaldi-Repubblica (da “ la Repubblica” del 27.11.2001) Il Consiglio comunale ha approvato la delibera che sblocca il contenzioso sulle ex varesine, e di conseguenza anche i tanti progetti di tutta l’area. Arriveranno dunque la Città della Moda, la nuova sede per la Regione al posto del Pirellone. E poi palazzi a uso residenziale, un nuovo giardino pubblico, parcheggi. La giunta Albertini promette che ora tutti questi progetti per l’area Garibaldi andranno avanti in fretta: cantieri aperti entro fine 2002. Tutta la sistemazione di quei 350mila metri quadri è rimasta bloccata dalla vertenza legale sull’area delle ex varesine, per il contenzioso che vedeva il Comune contro il proprietario, il costruttore Bruno De Mico. La delibera approvata dal Consiglio Comunale risolve questo punto: l’aula ha licenziato una variante urbanistica per le ex Varesine (230mila metri quadrati sui 350mila di tutta l’area Garibaldi-Repubblica) dove si definiscono le volumetrie di quello che si potrà edificare. Di fatto, questo passaggio sblocca anche tutto il resto dell’area Garibaldi-Repubblica. Dieci cubi di vetro e acciaio per il nuovo polo. Il progetto dell’area Rho-Pero è stato realizzato dallo staff interno della Fiera e aprirà i battenti entro il 2004 (da “ Il Giornale” del 11.12.2001) Dieci prefabbricati in acciaio vetro e cemento armato. Colore dominante: grigio. All’esterno, ogni padiglione ha due scaloni a chiocciola che ricordano quelli di vetro del Portello. Sopra, un timpano in acciaio e vetro tale e quale a quello che domina l’ingresso dei Padiglioni del Portello, come ideale collegamento che lega la vecchia alla nuova Fiera. All’interno, un tunnel che corre per 950 metri e che collega i padiglioni, attraverso un tapis roulant e una navetta elettrica. Il progetto per il nuovo insediamento di Rho-Pero è la base di partenza. Ma alla fine potrebbe essere leggermente diverso da quello che ora appare. Quello che non potrà essere cambiato è la superficie vendibile che dovrà rigorosamente essere di 200mila metri quadrati. Opere pubbliche Grandi opere, le Regioni al contrattacco. La conferenza dei Presidenti chiede al Governo intese frontali sugli interventi e sul “piano strategico” (da “ Il Sole 24 Ore” del 8.12.2001) Non mancano gli spazi per arrivare all’accordo. Ma certo è che alcune Regioni governate dal centro sinistra hanno già pronti i ricorsi per sollevare la questione di costituzionalità davanti alla Con-
sulta. Per la legge obiettivo, Il ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi ha detto di voler portare il programma al CIPE, ma l’accordo pieno non c’è con tutte le regioni. A muovere rilievi di costituzionalità alla legge obiettivo è in realtà la Conferenza dei Presidenti delle Regioni all’unanimità. Un documento approvato chiede modifiche alla legge obiettivo per armonizzarla con l’assetto dello stato nato dalla riforma federalista della Costituzione. Ordini Mano tesa ai professionisti dal Governo. Riconosciuto il ruolo al tavolo della concertazione. Fini promette interventi a favore delle Casse previdenziali (da “ Il Sole 24 Ore” del 13.12.2001) La festa del Professional day, dopo aver riempito i duemila posti del Teatro Brancaccio di Roma con i Presidenti dei Consigli nazionali, degli ordini territoriali e delle Casse di Previdenza, è finita a Palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha rassicurato la delegazione dei professionisti - guidata da Emilio Nicola Buccico, Presidente del Cup, il comitato degli Ordini e dei Collegi - circa il riconoscimento del ruolo politico e sociale. Per assicurare il dialogo tra Governo e professionisti Berlusconi sta pensando di istituire a Palazzo Chigi una struttura ad hoc. “ Si è registrata sintonia - ha assicurato Buccico - anche per quanto riguarda i principi della legge quadro e sulle questioni che riguardano le Casse” , dall’abolizione della tassazione sui realizzi degli investimenti alla possibilità di gestire la previdenza complementare. Provincia Monza, 50mila pendolari aspettano il metrò. La nuova linea collegata alla M1 ridurrà il traffico che ogni giorno si riversa su Milano (dal “ Corriere della Sera” del 16.11.2001) Dal cuore di Milano al centro di Monza in mezz’ora; dalla periferia SudEst a quella Nord-Ovest della città in meno di un quarto d’ora: La “ terra promessa” dei pendolari monzesi (quasi 50mila persone, secondo le proiezioni di uno studio regionale del 1992) o degli altri che semplicemente attraversano la città, ha la forma di un ferro di cavallo lungo circa 8 chilometri e dal costo ingente: 729 miliardi (376,5 milioni di Euro). Se l’accordo raggiunto fra Regione e Ministero delle infrastrutture diventerà operativo, a traghettare i pendolari monzesi verso Milano sarà una metropolitana “ leggera” che avrà come capolinea l’area dismessa dell’ex caserma IV Novembre, a Ovest e una stazione di interscambio con il prolungamento della M1, da Sesto sino al peduncolo della tangenziale Monza-Rho (al confine fra Cinisello e Monza), a Est. Secondo l’Atm, questa tratta dovrebbe essere attuata entro il 2005.
a cura di Antonio Borghi SOS Scala Crescono le preoccupazioni per il futuro della Scala. Cristina Jucker vi accennava nel suo articolo La Scala al Restauro - Legno acustico in Platea, rivoluzione dietro il sipario, sul supplemento domenicale de “ Il Sole 24 Ore” del 2 dicembre. Dopo aver ricordato che “ La scelta del Comune di Milano, proprietario del teatro lirico, è stata quella dell’appalto ‘integrato’: un’offerta basata sul progetto definitivo, lasciando all’impresa vincitrice il compito di mettere a punto il progetto esecutivo. E così il Consorzio cooperative costruzioni (Ccc), che nell’ottobre scorso si è aggiudicato l’appalto messo in gara dal Comune per circa 49 milioni di Euro, ha affidato il progetto esecutivo a Mario Botta, l’architetto svizzero (ma di madre italiana) le cui opere sono sparse in tutto il mondo.” Proseguiva poi affermando che “ Resta la grande incognita dell’acustica. Sarà danneggiata dalla ristrutturazione? Alcuni allarmi sono già stati lanciati. Ma Scala e Comune di Milano hanno messo le mani avanti. È stato fatto un rilievo puntuale della situazione attuale dell’acustica. Finiti i lavori ne verrà eseguito un altro e i due risultati saranno messi a confronto. In teoria, però, non dovrebbe cambiare nulla, almeno non in peggio” . Di queste dichiarazioni, a dire il vero piuttosto vaghe, non è rimasto soddisfatto Uto Ughi, il quale, sette giorni dopo, è intervenuto nella stessa sede con un appello intitolato Aiuto, il restauro uccide la musica, che riportiamo di seguito. “ Sta succedendo una cosa terribile in Italia, da alcuni anni: si sta sistematicamente distruggendo l’acustica dei nostri teatri. Stanno assassinando i nostri naturali musei della musica, stanno rovinando il nostro patrimonio culturale. Nessuno ne parla. Io ho scritto al ministro della cultura, Urbani, ma non ho ancora ricevuto risposta. E dunque lancio questo appello sperando che qualcosa succeda. A noi musicisti che giriamo per concerti in tutte le sale del mondo, capita di ritornare in teatri dove in passato avevamo già suonato e di non ritrovare più quel colore che conoscevamo: di colpo abbiamo l’impressione di trovarci chiusi in scatole sorde, dove il suono non passa, non corre, non vibra, non risponde più ai nostri strumenti. E tutto questo perché? Per quelle terribili norme anti-incendio. Da quando sono state promulgate, in Italia è stato tutto un correre ai restauri dei nostri vecchi teatri. Ma i lavori, anziché affidati a tecnici competenti, sono stati messi in mano a tecnici senza professionalità, e soprattutto privi delle minime competenze acustiche. Co-
sì sono stati modificati i palcoscenici e sono state alterate le misure che proprio secondo dei rapporti matematici reggevano le risonanze e le sonorità degli interni. E poi in abbondanza tutto è stato ricoperto di moquette, tende, tappeti… Quei lavori fatti per proteggere i teatri dagli incendi, in realtà li hanno completamente distrutti. Li hanno snaturati perché hanno tolto loro il suono. Se portate via alla musica il suono, è come togliere a un quadro il colore. E così, non solo in Italia negli ultimi cinquant’anni non sono
Alle legittime preoccupazioni per il cuore artistico della Scala si aggiungono a mio parere quelle per il suo ruolo urbano. Vediamo che tipo di proposte vengono avanzate da autorevoli settori della pubblica amministrazione. Le riporta Rossella Verga il 22 novembre nella Cronaca di Milano del “ Corriere della Sera” nell’articolo intitolato La Scala se ne va, luci per evitare la crisi - L’assessore al commercio: scenografie e colori in piazza, vogliamo attrarre ancora i turisti. Ecco la proposta nel dettaglio: “ Luci alla Scala. Colorate,
do champagne. ‘Ma l’operazione delle luci dinamiche - assicura Predolin - potrebbe essere portata a termine in un paio di mesi, con l’aiuto dell’Aem, e con un progetto realizzato da esperti del settore’. Il responsabile del Commercio immagina ‘luci colorate e giochi scenografici in continua evoluzione’. Ma si potrebbe pensare anche di proporre immagini luminose, penso ai personaggi della storia milanese o della Milano verdiana.“ A questo punto penso che Piermarini si sia rivoltato nella tomba mentre Verdi ha già chiesto che le
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state costruite nuove sale da concerto, ma i nostri bei teatri - che erano dei gioielli, gli stranieri venivano in Italia per ammirarli - sono stati assassinati. Vorrei fare un confronto con un paese che abbiamo di fronte: la Spagna. Lì, non solo ogni città, ma ogni cittadina negli ultimi anni ha visto nascere un proprio auditorium. Saragozza, Murcia, Valencia, Santander, e naturalmente Madrid e Barcellona, sono state dotate di nuove sale da concerto: bellissime, dall’acustica perfetta. Hanno chiamato dei tecnici giapponesi, tutto è arrivato in porto in tempi rapidi e senza bisogno di correzioni a posteriori. Per i musicisti oggi è una gioia suonare nelle sale spagnole: è come suonare nella Philharmonie di Berlino. Da noi è una vergogna: i nostri auditori sono dei cinematografi. I teatri non ci sono più. Devo fare dei nomi? Mi vengono subito in mente i teatri di Cremona, Trieste, Ravenna, Messina, Perugia… Ma ce ne sono decine e decine. Quando sento parlare di lavori di restauro, ormai penso solo: addio, anche quel teatro è perso. Ormai ne ho visti troppi, con il legno imbottito di cemento, con i parquet che hanno sotto venti centimetri di polistirolo. In quelle sale non si può più fare una nota. Anche la sala Verdi del Conservatorio di Milano, che era perfetta, una delle migliori in Italia, ha perso il cinquanta per cento della sua sonorità, grazie alla ristrutturazione. E non parliamo dell’estetica, perché ritroviamo certe bruttezze da cinema di periferia. E la Scala? Adesso chiude anche lei, per lavori. Io mi auguro solo che Muti, che è un musicista non insensibile al suono, la tenga sotto le sue cure in prima persona. Che vigili perché non venga snaturato il suono. Altrimenti sarebbe una catastrofe.”
dinamiche, scenografiche. Come al Castello, ma con la speranza che non si accendano anche le stesse polemiche. L’assessore al commercio Roberto Predolin, scrive al Sindaco e ai colleghi Salvatore Carruba (Cultura) e Giovanni Bozzetti (Turismo). Lancia il grido d’allarme: il teatro trasloca per il restauro, la zona perde la sua ‘attrazione fatale’ e, in cifre, circa il quaranta per cento dei turisti. Inevitabile il pianto dei commercianti, che minacciano di chiudere bottega alle sette di sera, lasciando in abbandono uno dei gioielli del centro. Ed ecco, allora, la proposta di Predolin: ‘Caro Gabriele, diamo vita nelle ore serali a giochi di luci nella piazza.’ L’idea, per dirla tutta, è arrivata dai commercianti, ma l’assessore l’ha fatta sua con entusiasmo. ‘Mi è piaciuta subito - conferma - e ho deciso di sostenerla e di perfezionarla, suggerendo di prevedere anche un sottofondo discreto di musica classica.’ L’assessore al Commercio avanza anche altre ipotesi. ‘Ad esempio si potrebbe utilizzare l’Ottagono - dice - programmando collegamenti video con alcuni spettacoli in scena al teatro degli Arcimboldi. Non è neppure da scartare - incalza - l’idea di proiezioni su uno schermo mobile di alcuni spezzoni delle opere, sempre in diretta con la Bicocca’. L’assessore tuttavia si rende conto, prosegue Rossella Verga nella cronaca, che l’alto costo di un eventuale maxischermo, da piazzarsi magari sulla facciata del Piermarini o comunque sulla piazza, potrebbe bloccare o rallentare l’intero progetto di rilancio. Così come appare ‘leggermente più complicato’ sistemare schermi in tutti i locali della zona e garantire agli avventori la possibilità di seguire gli spettacoli in diretta, bevendo un caffè o sorseggian-
sue spoglie vengano traslate oltralpe, ma chissà invece come sarà contento il maestro Muti ad essere trasmesso in tutti i bar della zona, in diretta come il grande fratello. In attesa che la facciata della Scala venga ammodernata come quella del teatro Smeraldo, non è lecito distogliere lo sguardo, perché evidentemente questa è una componente importante della cultura progettuale che plasma lo spazio pubblico milanese contemporaneo. Vediamo infine uno dei giudizi che esprime la cronista nei trafiletti che illustrano i recenti interventi di illuminazione in città, intitolati Città illuminata: “ L’alba in centrale dello scultore inglese Richter collocata davanti alla stazione centrale dalla giunta sarà spostata. Chiamata ‘la branda’ la struttura in fibre ottiche è stata criticata anche dal sottosegretario Sgarbi. Probabilmente troverà posto in periferia.” Ammesso che le critiche di Sgarbi e l’appellativo “ la branda” possano costituire elementi di giudizio dell’opera in questione, ricordiamo a Rossella Verga che l’autore dell’Alba di Milano è un architetto inglese, incaricato a seguito di un concorso internazionale che ha registrato una larghissima e qualificata partecipazione, con una giuria altrettanto qualificata e prestigiosa e che si chiama Ian Ritchie. Non mi è chiaro invece l’accenno alla prossima collocazione dell’opera in periferia: si riferisce alla circostanza che una branda in più può far comodo in un quartiere dormitorio o presuppone forse che la periferia di Milano sia una discarica dove rottamare ferri vecchi?
Informazione
Riletture
Libri,riviste e media a cura della Redazione
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Rassegna di Giulia Miele
Informazione
Stefano Moroni Pianificazione del territorio. Ragioni, bisogni, responsabilità Città Studi Ed., Torino, 2001 pp. 212, € 20,14 Bernard Tschumi Event cities 2 MIT Press , USA, 2001 pp. 692, € 35.00 F. Boscacci, R. Camagni, G. P. Corda, A. Moretti Mobilità, modelli insediativi ed efficienza territoriale Franco Angeli, Milano, 2001 pp. 144, € 18,59 Antonella Mari (a cura di) Steven Holl Edilstampa, Roma, 2001 pp. 152, € 15,49 Marco Brizzi (a cura di) Michele Saee Instances of space Mandragora, Firenze, 2001 pp. 48, € 2,58 Giuseppe Semeraro Oneri della sicurezza e appalti pubblici Epc libri, Roma, 2001 pp. 112, € 15,49 Gianni Carlo Sciolla (a cura di) Atlante dell’arte (due volumi) Utet, Torino, 2001 pp. 952, € 289,22 Stefano Marsella, Paolo Mirabelli Accessibilità e sicurezza dei luoghi di lavoro Il Sole 24 Ore, Milano, 2001 pp. 286, € 29,95 Renato Vismara Protezione ambientale. Criteri e tecniche per la pianificazione territoriale Esselibri - Simone, Napoli, 2001 pp. 352, € 20,66 Letizia Galli (a cura di) Dialoghi con la materia dell’architettura. Dieci anni della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti Unicopli, Milano, 2001 pp. 528, € 20,66
Milano da guardare
Architettura italiana del dopoguerra
Progettisti: assicurazioni professionali
Antologia iconografica di fine secolo, il libro, fatto con la riconoscibile passione dell’architetto, propone una galleria di fotografie in bianco e nero - in gran parte opera degli stessi autori - di edifici milanesi degli ultimi cento anni. Il voluminoso libro - di utilità documentaria e itineraria - è composto da una breve premessa e da centinaia di schede che per ogni edificio presentano fotografie, dati e ubicazione ed, in qualche caso, piante, prospetti e nota descrittiva. Ulteriore esempio di come nella pubblicistica sia sempre più stretto il rapporto fra fotografia e architettura - qui viene indicato nella possibilità di fotografare o meno gli edifici, in un certo senso nella loro attuale fotogenicità, oppure nella possibilità di reperire immagini d’archivio, uno dei criteri seguiti per la selezione - il libro manifesta anche il ruolo, evidente nella divisione per decenni proposta nell’indice, riconosciuto all’architettura degli anni ’50 e ’60. Gli edifici di quel periodo occupano circa un terzo del totale di quelli presentati ed in essi sembra venir individuato implicitamente il riferimento di una via milanese all’architettura. Ma la città costruita da Asnago e Vender, Caccia Dominioni, Gardella, e da molti altri grandi architetti milanesi, con la sua caratteristica qualità, è ancora la Milano di oggi? Oppure i temi salienti dell’architettura milanese, piuttosto che nella faticosa ricerca nei più recenti edifici di quella stessa qualità, non sono piuttosto coglibili anche per relazione con un’altra scala, come forse gli stessi estremi del secolo individuati dagli autori - il Cordusio e la Bicocca - sembrano indicare? Ad un ragionamento contemporaneo sulla qualità dell’architettura e del singolo edificio è forse oggi comunque utile partire anche da un pensiero sulla città e dai modi per interpretarla.
Il volume, numero monografico della rivista spagnola “ 2G” , esplora la condizione culturale, la “ continuità” e la “ crisi” che caratterizzano l’architettura italiana durante il difficile periodo della ricostruzione. I due saggi introduttivi, a firma di Luca Molinari e Paolo Scrivano, presentano la condizione culturale di forte cambiamento che caratterizza l’Italia in quegli anni. Si tratta di un periodo complesso e contraddittorio, caratterizzato da una trasformazione radicale della struttura fisica, sociale ed economica del paese. Luca Molinari parla tuttavia di “ continuità di personaggi, temi e modelli con le esperienze prebelliche che verranno progressivamente rielaborati, assimilati e trasformati sotto la spinta radicale di una nuova fase politica, economica e culturale italiana.” Paolo Scrivano si sofferma in particolare sulla “ attualizzazione” della cultura architettonica in quegli anni rispetto alle esperienze internazionali, grazie anche al ruolo di mediatori svolto da personaggi quali Ernesto Nathan Rogers e Bruno Zevi; al compito di divulgazione portato avanti da riviste quali “ Metron” , “ Casabella-continuità” , “ Domus” e “ Urbanistica” ; alla presentazione di testi originariamente pubblicati negli Stati Uniti o in altri paesi e tradotti in lingua italiana (si pensi alle pubblicazioni realizzate da Edizioni di Comunità dei testi di Lewis Mumford e Erwin Anton Gutkind). Seguono le schede di sedici opere realizzate nel dopoguerra in Italia, dal Monumento delle Fosse Ardeatine a Roma del 1944-47 alla Chiesa di Santa Maria di Lardarello a Pisa di Michelucci del 1956-59; tutte corredate da una puntuale descrizione critica e illustrate con le belle foto a colori di Francesco Jodice. Il testo conclusivo a firma di Marco De Michelis, infine, presenta delle osservazioni sull’architettura italiana alla fine del secolo.
Il volume cerca di fare chiarezza nel settore delle assicurazioni professionali per i Progettisti, ancora caratterizzato da scarsa conoscenza. Gli autori, avvalendosi della esperienza maturata nella loro collaborazione con la Zurich Italia, hanno cercato di realizzare uno strumento che non vuol essere un semplice inquadramento teorico, ma quasi un manuale operativo, con il tentativo di dare una chiara esemplificazione di quanto accade a livello assicurativo, sia nella fase precedente alla progettazione, sia nella fase successiva. L’analisi parte dalla presa d’atto del radicale cambiamento della professionalità richiesta al Progettista. Si sottolinea come, all’interno del percorso evolutivo intrapreso dalla legislazione sia italiana che europea, la direzione sia quella della riduzione dei rischi sul luogo di lavoro e della responsabilità dei soggetti coinvolti nelle varie fasi del processo di progettazione ed esecuzione dei lavori. In quest’ottica è visto anche l’obbligo di assicurazione introdotto dalla Legge Merloni che, al di là delle contestazioni e dei dubbi ancora irrisolti, assegna alla figura del professionista responsabilità sempre maggiori e ben definite per legge. Una parte del libro è dedicata al problema dell’assicurazione per chi si occupa di sicurezza nei cantieri temporanei e mobili (D.Lgs. 494/96) e di sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 626/94). La casistica ancora troppo scarsa ha forse reso difficile un vero confronto tra le offerte delle diverse compagnie di assicurazione; ciononostante l’analisi effettuata è senz’altro utile per fare il punto rispetto ad una situazione ancora molto fluida.
Paola Giaconia
N. Fiore, G. Schieppati, P. Gabasio, F. Salvaneschi, D. Cattaneo I progettisti e le assicurazioni. M anuale di orientamento alla legislazione e alle applicazioni pratiche Il Sole 24 Ore, Milano, 2001 pp. 170, € 14,98
Maurizio Carones
Giuliana Gramigna, Sergio Mazza M ilano. Un secolo di architettura milanese dal Cordusio alla Bicocca Ulrico Hoepli, Milano, 2001 pp. 589, € 57,00
Luca Molinari, Paolo Scrivano Arquitectura italiana de la posguerra in “ 2G” n. 15, 2000 (spagnolo, inglese) Gustavo Gili, Barcellona pp. 144, € 23,74
Annalisa Scandroglio
Giovani architetti in mostra
Architettura ed ecologia
L’architettura di Los Angeles
L’occasione dei restauri compiuti negli ultimi venticinque anni e qui pubblicati, relativi alle architetture costruite in Lombardia all’epoca di Bramante ci danno la possibilità di verificare il particolare rapporto che si instaura fra architetture descritte e architetture costruite. Nei loro trattati Alberti e Filarete raccontano un possibile modo di costruire la città attraverso i suoi monumenti, definendo le regole, indicando i temi e tipi della costruzione. Tempio a pianta centrale ed edifici a corte sono gli elementi che Filarete usa per descrivere la sua città ideale: Sforzinda, ma sono anche quelli che adopera nella composizione dei suoi edifici realizzati, come nel caso dell’Ospedale maggiore. Che non sia un esperienza isolata è testimoniato dalla raccolta di esempi illustrati, presenti a Milano e in Lombardia, che appartengono alla generalità di questi due tipi: tempio e corte. È nella costruzione che possiamo, ancora una volta, verificare come in ognuno di questi monumenti alla conferma di una regola codificata e condivisa si affianchi l’autonomia formale di ogni singolo edificio rispetto agli altri. Da una parte troviamo una coincidenza tra sistema costruttivo e scelta tipologica che accomuna la ricerca sul tempio a pianta centrale, dall’altra questa ricerca si concretizza nella particolarità delle singole esperienze. Partendo da questo presupposto possiamo analizzare gli edifici costruiti in Lombardia alla fine del ‘400, dove Bramante e i suoi contemporanei operavano, partendo dall’esperienza costruttiva del luogo ma all’interno di una più generale volontà di ridefinizione dei principi su cui fondare il pensiero architettonico. Attraverso questa duplice volontà si è definito un pensiero riconoscibile e condiviso che ha portato alla costruzione vera e propria di ciò che era stato teorizzato e descritto nei trattati di architettura.
Catalogo della mostra “ Prospettive di Architettura, mostra di architettura per architetti under 40” tenutasi nelle sale del “ Museo del Tessile e della Tradizione Industriale “ di Busto Arsizio (Va) nel mese di novembre 2000. La mostra dedicata al lavoro degli architetti under 40 anni iscritti agli Ordini di Como e Varese offriva una panoramica sul mondo professionale degli architetti insubrici dell’ultima generazione. Le tavole in formato A0, presentavano i 38 progetti selezionati attraverso un concorso da una giuria qualificata comprendenti opere realizzate, concorsi ed oggetti di design. Il catalogo, presentato nelle sale del complesso “ Tecnocity” di Busto Arsizio il 30 novembre 2001, consta di 180 pagine in formato 20 per 20 rilegato con una bella spirale d’acciaio e copertina di cartone rigido. Il catalogo, oltre a mostrare i progetti dei giovani colleghi, riporta anche un breve curriculum con foto degli autori e indirizzi dei relativi studi. La pubblicazione si presenta con una veste grafica accattivante ed innovativa a due colori, blu ed arancione, che con freschezza invita a scorrere i lavori tutti accompagnati da interessanti relazioni illustrative. Il catalogo è introdotto dagli interventi dei presidenti di Varese, Stefano Castiglioni, e di Como, Franco Butti, e dal coordinatore della mostra e curatore del catalogo Emanuele Brazzelli. La pubblicazione, frutto di una collaborazione tra gli Ordini di Como e di Varese, ha l’ambizione di innalzare il livello di esigenza della committenza sia pubblica che privata e promuovere la qualità architettonica tentando di avvicinare i giovani professionisti ad un pubblico più vasto generalmente non molto interessato alle mostre di architettura. La pubblicazione ha ricevuto il patrocinio della Consulta Regionale degli Ordini Lombardi, del consiglio nazionale degli architetti e della Città di Busto Arsizio.
Questo volume, completamente riformulato rispetto alla prima edizione, offre agli architetti un manuale di facile consultazione, utile per orientare le proprie scelte di progettazione in base a principi ispirati alla bio-architettura. Il libro raccoglie un vasto repertorio di prodotti, di materiali ed arredi che consentono di realizzare una casa sana e armoniosa, partendo però da una fondamentale consapevolezza, e cioè che “ il prodotto ecologico” non esiste e non esistono nemmeno materiali “ non nocivi in modo assoluto o astratto” . In questo senso si può operare in direzione di un’architettura rispettosa della salute e dell’ecologia, intervenendo con opportuni “ accorgimenti migliorativi” che rendano le nostre condizioni di vita ottimali, dal punto di vista del benessere ambientale. Vengono proposti alcuni spunti di riflessione su un modo di progettare che tenga conto sia di fattori bioclimatici, sia di elementi di armonia generale, in rapporto alla natura e all’ordine universale delle cose. Sono richiamati anche concetti che si ispirano alla filosofia e alle discipline orientali, quali la pratica cinese del Feng Shui, l’arte del “ disporre le cose” , e alla concezione indiana del Vastu, la “ scienza della casa” appartenente all’antica tradizione vedica. Oltre a una concezione di armonia universale e spirituale è auspicabile che l’edificio risponda anche a dei canoni estetici, di equilibrio e di proporzione. Per cui, il progetto architettonico deve tenere conto di uno studio delle forme che ne assicuri bellezza e armonia compositive. Trattando dell’armonia delle proporzioni viene ripresa la regola della “ proporzione aurea” , a cui si ispira anche il titolo del manuale “ Verde aureo” , come ricerca di quei rapporti di simmetria e di equilibrio presenti nelle forme della natura, studiati fin dall’antichità ed applicati all’arte e alla musica.
Se negli anni Trenta Londra poteva essere descritta con i termini di unique city – dato il suo sviluppo urbano caratterizzato da una dispersione talmente forte da farla allontanare completamente dalla tradizionale immagine di città dotata di centro ben riconoscibile – oggi è probabilmente Los Angeles, con il suo paesaggio frazionato in nuclei eterogenei, metropoli multietnica per eccellenza e crocevia di varie forze di sviluppo, a poter aspirare a questo ruolo. Modello urbano tanto complesso e apparentemente indecifrabile da poter essere compreso solo “ confusamente e a sprazzi” , come afferma F. Scott Fitzgerald, dagli anni Sessanta Los Angeles comincia ad affascinare gli studiosi, come Kevin Lynch che in The Image of the City conduce un’indagine sulla leggibilità della città per arrivare, negli anni Novanta, a Mike Davis che, severo e acuto interprete dell’urbanisitica della megalopoli californiana, prospetta nei suoi scritti un cupo futuro verso cui la città sembra quasi inesorabilmente proiettata. Questa guida offre un agile e attuale contributo alla conoscenza del complesso tessuto urbano della città californiana. Il saggio introduttivo di Paola Giaconia ripercorre le tappe più significative della storia urbanistica e architettonica di Los Angeles, a partire dall’originale insediamento coloniale spagnolo del 1781, caratterizzato dall’ordine rigoroso della sua maglia ortogonale, fino all’attuale fase di effervescente sviluppo che vede il downtown come area privilegiata di intervento. Seguono cinque itinerari di visita che guidano il lettore attraverso altrettante zone della città e comprendono le opere di Wright, Schindler e Neutra per arrivare ai lavori più recenti di Morphosis, Moss e Gehry; ogni edificio è introdotto da una scheda descrittiva e corredato da un’immagine (foto o disegno) rappresentativa.
Laura Gianetti
Manuela Oglialoro
AA.VV., Emanuele Brazzelli (a cura di) Prospettive di Architettura catalogo della mostra Editrice L’Ammonitore Varese, 2001
Serena Omodeo Salè Il nuovo Verdeaureo dell’architettura Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2001 pp. 860, € 61,97
Ilario Boniello
Rosa Auletta Marrucci (a cura di) Bramante in Lombardia. Restauri 1974-2000 Skira, Milano, 2001 pp. 78, € 20,66
Monika Milic
Paola Giaconia Los Angeles. Città Unica Testo&Immagine, Torino 2001 pp. 96, € 12,39
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La costruzione di un trattato
Internet a cura di Anette Tosto
sign. L’Archivio del design dal 1945 ad oggi è un motore di ricerca che consente la consultazione rapida all’interno di un ricco database ordinato per categorie: nomi, prodotti, materiali e tecniche, fonti, argomenti. Infine selezionando l’ultima icona è possibile conoscere gli altri servizi offerti da Design-Italia, come la catalogazione, archiviazione e digitalizzazione elettronica di archivi grafici e fotografici
ADI - Associazione per il Disegno Industriale www.adi-design.org
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La qualità del design italiano: appunti dal web L’offerta di siti dedicati al design è vastissima. Le aziende utilizzano internet come vetrina per la promozione dei propri prodotti e numerosi indirizzi permettono di conoscere i protagonisti, le ricerche, le tendenze in atto. La presenza dell’Italia conferma la sua lunga tradizione di qualità. In particolare la realtà milanese si pone come uno dei più attivi e interessanti laboratori di idee nel campo del design, dalla storica attività della Triennale (sul sito www.triennale.it è possibile trovare tutte le informazioni sulla Collezione permanente del Design italiano, ospitata dalla Facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano) a quella del Salone del Mobile, evento di rilievo all’interno del circuito fieristico internazionale del settore (i programmi delle singole edizioni sono aggiornati dal COSMIT sul sito (www.isaloni.it) per finire alla cospicua attività delle numerose scuole di progettazione, che fa di Milano uno dei luoghi maggiormente riconosciuti per la formazione professionale.
Design-Italia www.design-italia.it Design-Italia è un importante punto di riferimento sulla rete. Si tratta di un portale molto completo costantemente aggiornato che può offrire indicazioni e spunti di ricerca interessanti per chi si occupa di design. Per avere libero accesso a tutti i contenuti occorre diventare member e sottoscrivere un abbonamento annuale (le condizioni di pagamento sono differenziate per tipologie, con riduzioni particolari per studenti, aziende e soci di istituzioni). Il sito è molto articolato ed è organizzato in quattro grandi aree: Il Magazine offre una serie di approfondimenti selezionati, un’agenda degli appuntamenti legati al mondo del design e un elenco di links utili suddivisi per tipologie. Un’area news informa sulle principali notizie e descrive brevemente gli eventi svolti. La sezione Design shop si rivolge all’e-commerce di prodotti di de-
Il sito documenta il lavoro dell’ADI, l’associazione che dal 1956 riunisce progettisti, ricercatori e imprese, promuovendo il dibattito culturale intorno alle tematiche del design. Le sezioni illustrano le caratteristiche dell’associazione, dagli obiettivi all’organizzazione operativa (statuto, regolamento nazionale, organigramma) fino ai servizi offerti (il Giuri del design, il Registro dei progetti, la Commissione per i problemi professionali, il Centro di informazione sui materiali, la Biblioteca “ Roberto Sambonet” e la fototeca storica) Una pagina descrive il Premio Compasso d’Oro e consente di scaricare il file del regolamento. Ai soci è riservata l’area forum ed una bacheca per la segnalazione dei principali appuntamenti. Dal sito è possibile inoltre consultare in formato pdf. Il bollettino ADI news. Infine dalla barra di navigazione inferiore si accede alle informazioni più pratiche come le modalità di iscrizione, le notizie sulla sede e i nominativi dei responsabili da contattare.
Centro Legno Arredo Cantù - www.clac00.it Il Centro Legno Arredo Cantù è una società di servizi che opera dal 1992 nel contesto della Brianza comasca e milanese e si propone di diffondere la cultura del progetto. Il sito riassume le caratteristiche e la struttura del centro e descrive le ricerche e i progetti portati avanti nel corso degli anni. Una apposita sezione descrive il distretto industriale del legno-arredo e attraverso una banca-dati permette di conoscere in dettaglio le aziende, i servizi ed i prodotti. Il CLAC comprende al suo interno una struttura espositiva, la Galleria del Design e dell’Arredamento, con sede a Cantù, che affianca alla collezione permanente del Premio Compasso d’Oro una serie di mostre temporanee dedicate a temi specifici. Alla pagina www.clac00.it/galleria/intgal1.html è possibile trovare tutti i riferimenti sulle attività svolte, le pubblicazioni curate e una scheda informativa sulla biblioteca del centro.
Per quanto riguarda le organizzazioni di categoria, attraverso internet è possibile interagire con le singole associazioni e conoscerne le attività. Il CNAD, Consiglio nazionale delle associazioni per il design è presente sul sito di Aditoscana www.adt.net, mentre a scala internazionale, sulle pagine di www.icsid.org si possono trovare le informazioni sull’International Council of Societies of Industrial Design, l’organismo che riunisce le associazioni professionali per il design nel mondo. Tra gli spazi online dedicati al de-
sign, si segnala w w w.designboom.com, un giovane magazine realizzato in Italia e pubblicato in lingua inglese, che propone fra l’altro una serie di interviste ai più importanti designers. Infine un interessante approfondimento si può trovare all’indirizzo www.educational.rai.it/lezionididesign. Il sito raccoglie le puntate della trasmissione televisiva della RAI Lezioni di design e offre attraverso i temi affrontati, i profili dei principali protagonisti e un elenco di oggetti, un vasto affresco della storia del design italiano.
Rinnovato uso dei teatri storici Quinto colloquio di musicologia del saggiatore musicale Università degli Studi di Bologna 23-25 novembre 2001
a cura di Ilario Boniello, Martina Landsberger, Carlo Ravagnati
Rassegna mostre
Rassegna seminari
Ritrovare i comenses, archeologia urbana a Como Milano, Cripta di Santa Maria della Vittoria, via De Amicis 11 15 gennaio - 14 marzo 2002
BEGroup. Politecnico di Milano Corsi di aggiornamento: • Coperture piane e impermeabilizzazioni sottoquota: La realizzazione dei sistemi di impermeabilizzazione 7-9 marzo 2002 • Patologia e recupero delle facciate esistenti: Corso base: Degrado, patologia e tecnologie di intervento 13 marzo-24 aprile 2002 Corso avanzato 1: La perizia diagnostica 8-9 maggio 2002 Corso avanzato 2: La documentazione di progetto dell’intervento 22 maggio - 12 giugno 2002 sede: VI Fac. di Ingegneria e Architettura, Politecnico di Milano direttore: Enrico De Angelis tel. 0223996015, Matteo Fiori e-mail: matteo.fiori@polimi.it
Salone del Restauro 2002 Ferrara 4-7 aprile 2002 www.salonedelrestauro.com Jean Nouvel. Produzione Centre Pompidou Milano, Palazzo della Triennale, viale Alemagna 6 13 febbraio - 5 maggio 2002 tel. 02 799 382 www.triennale.it Un designer alla corte della Regina Vittoria… Cristopher Dresser Milano, Palazzo della Triennale, viale Alemagna 6 30 ottobre 2001 - 30 marzo 2002 Ernst Ludwig Kirchner Milano, Fondazione Mazzotta, Foro Bonaparte 50 22 febbraio - 9 giugno 2002 tel. 02 878197 Vincenzo Foppa, un protagonista del Rinascimento Brescia, Museo Santa Giulia, via Musei 81/b 3 marzo - 2 giugno 2002 tel. 030 2977800 Disegni di Architettura Italiana dal dopoguerra ad oggi Prato, Scuderie Medicee di Poggio a Caiano, via Cancellieri 4 9 febbraio - 1 aprile 2002 tel. 055 87011 Marcello D’Olivo (1921-1991). Archituttura e arte Udine, Galleria d’arte moderna Chiesa di San Francesco 18 gennaio - 28 aprile 2002 www.comune.udine.it
Master in ingegneria del suolo ed delle acque Cremona, Politecnico di Milano, Centro per lo sviluppo del Polo di Cremona, via Sesto 41 21 gennaio - 20 dicembre 2002 tel. 0372 567700 www.cremona.polimi.it/msa/ Domus Academy Milano, via Savona 97 • Master in I-Design 9 gennaio - 5 dicembre 2002 • Master in Urban Management 14 febbraio 2002 - 5 dicembre 2002 www.domac.it/dasite/mainita.htm Ambiente e architettura. Aree dismesse e connessioni urbane Cremona, Politecnico di Milano 23 febbraio - 15 marzo 2002 tel. 02 23995523, Marco Lucchini e mail: marco.lucchini@polimi.it Il progetto dello spazio pubblico Lucca, Società Lucchese per la Formazione e gli Studi Universitari, via Antonio Gramsci 7 febbraio - 22 giugno 2002 tel. 0583 469729 www.celsius.lucca.it/ Master in progettazione ambientale Milano, Politecnico di Milano, via Durando 10 31 gennaio - 29 novembre 2002 tel. 02 23995742 www.aiapp.net/news.asp
Un itinerario tra i teatri antecedenti il 1930 mostra la messa in scena dell’inconsapevolezza rispetto al valore simbolico e culturale di alcuni luoghi storici. In particolare modo i teatri storici “ minori” , un tempo spazi della società e di identità culturale, oggi divengono sempre di più luoghi dell’abbandono e dell’oblio, rovine in attesa di essere spensieratamente sostituite o “ parcheggi” nei quali collocare altri simboli che non hanno niente di collettivo, non esprimendo nessuna tensione culturale e sociale. Da un anno una ricerca sostenuta dalla neonata Associazione Teatri Storici, a sua volta fortemente voluta dall’As.Li.Co. (Associazione Lirica Concertistica) presentata a fine novembre all’Università di Bologna all’interno del V Colloquio di Musicologia, sta costruendo un apparato conoscitivo per documentare la presenza di questi edifici e per elaborare strategie capaci, ove possibile, di fornire elementi per riattivarne un uso legato al loro specifico valore. Non si tratta dunque di una semplice catalogazione, ovvero di un’operazione di tipo documentativo-museale e conservativa, ma di un tentativo di riassegnare a queste delicate e complesse macchine architettoniche e musicali un ruolo attivo. Una sorta di inventario del patrimonio architettonico dei teatri di tradizione: una ricerca architettonica, sociale e musicale per ora incentrata sul territorio lombardo, ma col progetto di coinvolgere tutte le regioni italiane e con l’intento di raccogliere informazioni sia sulle realtà teatrali in attività sia in particolare sugli spazi che attendono di essere “ ritrovati” e riattivati come luoghi di rappresentazione. “ Teatri in opera” sottende un’ambivalenza. Se da una parte sottolinea l’ambito privilegiato d’indagine riferito ai teatri legati alla lirica, dall’altra vuole evidenziare la necessità di un’opera di sensibilizzazione rispetto a questo patrimonio artisti-
co, sociale e culturale. L’indagine intende ripristinare il contatto tra il territorio - inteso in senso geografico e sociale - e il patrimonio teatrale che gli appartiene, attraverso un’opera di sensibilizzazione/ri-appropriazione che, contrastando l’attuale tendenza a cancellare le tracce del proprio passato culturale, si propone una doppia progettualità per rendere visibili condizioni apparentemente invisibili o forse “ solo” dimenticate, attraverso un’operazione di riattivazione e non di appropriazione indebita o avvilente riutilizzo per altri usi. Esistono situazioni limite niente affatto rare di teatri storici divenuti depositi di merce varia, banche o immensi show-room dove l’estetica del nuovo, del consumo, spesso sostituisce la memoria. Un progetto conoscitivo, una geografia dei luoghi teatrali che si concretizza nella realizzazione di una mappatura di un possibile sistema territoriale di tipologie degli spazi trattati e delle produzioni, e un progetto d’uso per riattivare le realtà teatrali “ scoperte” . La ricerca immagina usi legati ad un ritrovato sistema teatrale nell’ottica non semplicemente urbana, ma territoriale in termini di programmazione e di fruibilità, legata ad un più facile accesso ai luoghi della rappresentazione. Si propone di far conoscere, attraverso l’occasione teatrale specifica, un sistema di luoghi e culture che vadano oltre l’ambito teatrale inteso in senso stretto. All’interno di un arcipelago di piccoli teatri, è possibile pensare ad un utilizzo legato al valore aggiunto di ogni spazio, anche coinvolgendo strutture ed enti pubblici e privati interessati alla costruzione di eventi culturali di rilievo. L’interazione di queste proposte avvicina i termini di un’eventuale e auspicabile riattivazione dei teatri storici, luoghi di rappresentazione e di aggregazione ancora riconoscibili e identificabili all’interno di tessuti urbani e sociali, seppure oramai appiattiti da un processo di globalizzazione che tende ad annullare le differenze di tempo - ciò che è vecchio rimane solo come monumento - e di luoghi; le specificità si perdono, soffocate dall’appiattimento dei comportamenti e dall’uniformità dei desideri. Annalisa de Curtis
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Informazione
Mostre e seminari
Metodologie della architettura alpina Architettura Alpina Contemporanea conferenza del 6 ottobre 2001 Castione della Presolana
Informazione
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Non molto tempo fa la visione loosiana attraverso la vallata alpina, o forse meglio illuminazione, relegava l’architetto in condizione di sradicato cittadino. Con lo svanire del confine cittadino, l’architettura sradicata ha imparato a conquistare il territorio operando per sovrapposizioni e false lusinghe: ora più che mai, grazie a ricerche eclettiche come quelle condotte dal gruppo di Multiplicity, ci si rende conto di come attorno alle Alpi, a ridosso dei principali corridoi infrastrutturali che attraversano da nord a sud il continente europeo, nei territori della Carinzia, nel Ticino, attorno a Zurigo, a sud dei Vosgi, in parti delle vallate francesi ed italiane, stia emergendo un habitat urbano completamente nuovo e non autoctono. È in scena sovente una Naturalità Perfetta: recintata, completamente panoramica, senza retri, senza aree di risulta, curata nei dettagli, precisa nelle differenze, la Natura sembra ormai un prodotto di sintesi preciso nei dettagli, costruito in laboratori asettici per rispondere alle richieste di un pubblico sempre più esigente. Essa quasi è fotografia di se, quasi è un’immagine del desiderio presa da riviste patinate, ormai scaduta in status symbol privo di connotazioni private ed emotive. L’architettura qui si abbandona ad essere esercizio anestetico di panorama tipico, opportunamente tecnicizzato e troppe volte deviato per volontà di una committenza benestante ancorata a stereotipi vacanzieri. Ecco che allora pare giusto riflettere sull’architettura alpina e sulla sua particolarità, perché questa si presenta preminentemente come disciplina territoriale dato l’alto valore del contesto. Ma proprio perché disciplina territoriale, e perciò specchio profondo di una condizione umana e così di un’intera cultura, bisogna scendere fino alla profondità del problema per scoprire le falle di ogni regionalismo critico ormai
sedimentato in falsa retorica e rigenerare, ripartendo ancora una volta da zero, i veri fondamenti della tipicità insediativa, in questo caso alpina. È questo è appunto l’incipit da cui si è mosso il convegno Architettura Alpina Contemporanea, tenutosi a Castione della Presolana il 6 ottobre 2001, attraversando gli studi antropologici di Ivan Fassin e l’esperienza tipologica tradizionale, non difficilmente definibile di vita, di Luigi Dematteis. Ma non bisogna diment icare che qualsiasi analisi storica non può che avere il valore unico di presupposto iniziale. Riportando il discorso a termini contemporanei ci si accorge di come una corretta disciplina architettonica alpina si mostri utile strumento per riflettere sui mutamenti profondi che stanno percorrendo l’architettura e con essa la società umana, come ben dimostra, avvicinandosi ad una metodologia herzog&demeuroniana, lo studio grigionese Jungling & Hagmann presente al convegno. E, in conclusione del convegno, ricordando Tabù e tradizione nella costruzione montana di Mollino, i progetti dell’atelier V. Bearth dell’Accademia di Architettura di M endrisio, esempio di ben riuscito connubio tra conoscenza/rest rizione del problema e espressività personale. Così nasce l’augurio che qualsiasi analisi di questa particolare disciplina architettonica giunga non a una tipologizzazione alpina ma alla definizione sopratutto di un metodo e di un approccio che si rivela dover essere per necessità emotivo, personale e strettamente critico. Qualsiasi esercizio architettonico (regionale in particolare), infatti, si dimostra essere più una riflessione sulle proprie esigenze, sulla propria individualità e sul suo incontro con le difficoltà progettuali che una ricerca di stilemi adatti all’occasione generica di una costruzione. Il rischio è sempre quello di creare un modello, qualcosa di assolutamente non reale, piuttosto ideale in quanto generico, e proprio per questo assolutamente non adatto ad esprimere condizioni che, come quelle montane, sono strettamente legate alle necessità sociali, geomorfologiche e politiche, di uno specifico luogo (genius loci dicevano gli antichi romani). Allora, dopo la consapevolezza, potremo abbandonarci ai modelli purché a guidarci sia stata solo la nostra personalissima capacità critica. Silvano Martinelli Alessandro Martinelli
Nordic Thirties Architecture Nineteen Thirties Nordic Architecture D.P.A. del Politecnico di Milano I Facoltà di Architettura 8-24 ottobre 2001 (mostra) 21 ottobre 2001 (convegno) La mostra e la conferenza internazionale ” Nineteen Thirties Nordic Architecture” che si sono recentemente concluse al Politecnico di Milano, offrono l’occasione per riflettere nuovamente su alcuni temi oggi emarginati dal dibattito sull’architettura. La mostra, che parte dai materiali pubblicati sul numero 77(1999) di “ Rassegna” curato da Gennaro Postiglione, restituisce i primi passi dell’architettura “ funzionalista” nei paesi nordici. Raggruppate per temi, sono presentate le immagini dell’esposizione internazionale di Stoccolma del 1930, il design d’oggetti per la casa, gli interventi urbanistici di nuova concezione e le tante strutture balneari realizzate in Scandinavia proprio in questo periodo. Interventi esemplari di una società che si stava trasformando, che stava in parte mutando l’uso dei propri spazi e le proprie abitudini di vita. Sta forse in questo il principale motivo d’interesse della mostra, nell’indicare come il passaggio al moderno sia stato in quei paesi essenzialmente, un passaggio attraverso un’idea nuova di società, prima che stile internazionale, etica dell’abitare e ricerca di un ruolo nuovo per l’architettura. Attento alla “ promozione dell’individuo” come ci suggerisce lo stesso Postiglione - il progetto moderno nel norden investe “ non solo i luoghi dell’abitare e gli oggetti d’uso, ma anche i luoghi dello svago” , all’interno di un più generale rinnovamento della politica, del welfare, dei tempi di lavoro, della società.
Un processo culturale complesso, che in quel momento si stava mettendo in moto e che la mostra restituisce con chiarezza, anche se non amplia purtroppo i materiali già apparsi su “ Rassegna” . Questa forse l’unica pecca imputabile ai curatori, riparata in parte dal convegno - di cui a breve verranno pubblicati gli atti - soprattutto grazie agli interventi di Nils-Ole Lund, Ola Wedebrunn e Petur Armannsson concentrati nella messa a fuoco e disamina critica di specifici caratteri comuni a tutta l’architettura nordica. Le vicende, inoltre, che caratterizzano l’architettura nordica degli anni Trenta, assumono per la cultura italiana un valore maggiore che per altri contesti geografici, ovvero la possibilità che i manufatti nordici offrono, di poter rivedere alcuni tratti della propria (italiana) cultura architettonica e ambientale attraverso gli occhi dello “ straniero” . Infatti, nonostante il nuovo stile funzionalista tragga origine dall’architettura mittleuropea degli anni Venti, è il mondo della classicità che impregna in maniera profonda l’opera e il pensiero dei maestri nordici. Una classicità “ mediterranea” vissuta in prima persona, come testimoniano i carnets di viaggio, gli album di fotografie, i blocchi di appunti e note di E. G. Asplund, A. Aalto, A. Jacobsen, per citare solo alcuni dei principali interpreti dell’architettura nordica della prima metà del ‘900. Ripensare infine ai contenuti etici e sociali dell’architettura nella propria pratica quotidiana di progettisti, alla luce dell’esperienza dei maestri nordici, forse questo è il maggiore degli stimoli che si ricava dall’osservare opere come il Cimitero sud di Stoccolma di Asplund e Lewerentz o la meno nota Scuola del suono a Copenaghen di Gottlob, per citare due esempi fra tanti possibili. Giulio Padovani
Massimo Campigli Museo della Permanente Milano, via Turati sino al 27 gennaio 2002 A distanza di 34 anni dalla mostra organizzata a Palazzo Reale, l’opera di Massimo Campigli torna a Milano con una rassegna di 140 opere esposte alla Permanente. Una mostra che permette di apprezzare la grande ossessione su pochi temi e la costante ricerca che caratterizza l’intera opera di Campigli. Un’ossessione che, fatta eccezione per alcune opere giovanili del periodo parigino, si esprime su due aspetti problematici principali. Da una parte è il problema della tecnica pittorica, dall’altra quello della composizione: potremmo dire i problemi della materia e della tecnica compositiva. Il primo fa leva sul complesso rapporto che Campigli sviluppa con la pittura murale e con l’architettura. Il secondo, invece, è da leggere in relazione all’attività di collezionista di opere d’arte primitiva che l’artista sviluppa lungo tutta la vita. Per ciascuno di questi problemi vorrei cercare di stabilire nessi con alcuni aspetti propri dei riferimenti assunti da Campigli e analizzare il processo di formazione dell’opera, fornirne cioè un’interpretazione di carattere generale e per questo utile alla comprensione dell’opera stessa ed alla sua prosecuzione. Ciò significa pensare che l’opera non si chiuda mai definitivamente in sé, ma partecipi alla costruzione di un materiale sempre aperto, sempre disponibile alla produzione di altre opere. In questo la pittura di Campigli ne è testimonianza. Prima occorre però concordare una definizione di materia e di tecnica compositiva. La prima riguarda la materia fisica, i materiali di cui si compone, il suo essere fisicamente l’opera; la seconda definisce invece il modo di formare e di disporre la materia stessa, il procedimento, la composizione, lo stile. La tecnica pittorica, che Campigli
deriva direttamente dalla pittura in affresco, produce un primo impatto nella sfera materiale e investe la scala cromatica, la materialità cementizia del tratto sulla tela, la sovrapposizione di materiali e di colori. Un secondo impatto attiene alla sfera compositiva investendo il rapporto tra il piano del fondo che spesso si dispone su quello delle figure producendo una bidimensionalità astratta, memore delle incisioni rupestri e delle pitture primitive, ma anche della spazialità compressa dei ritratti di Piero. Già nella cornice che abita il rettangolo della tela vi è un indizio dell’assenza dello spazio tridimensionale: non vi è un dentro e un fuori, uno spettacolo ed uno spettatore. Tutto è compresente sul piano della tela. A volte sono le stesse figure a fungere da cornice. La lezione di Velasquez e di Picasso nelle loro Meninas è proseguita in una contrazione e in un’economia di segno propria della modernità. Questa complessità espressa nella composizione delle figure sulla tela si arricchisce di diversi temi, attraverso la ripetizione di schemi già ritrovati nelle opere della sua collezione di arte antica, di cui pochi esemplari sono presenti nella mostra. È interessante notare che tale collezione è dominata da opere scultoree lignee e da maschere, oggetti tridimensionali che tuttavia richiedono un punto di osservazione privilegiato. Solo la vista frontale permette infatti di apprezzare le trame, le tessiture di figure doppie che si intrecciano o le composizioni nelle quali la figura e lo sfondo disegnano entrambi sagome precise di animali o di volti. Elementi compositivi che trovano una traduzione nelle figure femminili di Campigli. Vorrei qui ricorrere ad un solo esempio: il tema della misura, espresso dalla ricerca di una sorta di modulo. La reiterazione di una sagoma femminile che si deforma sino a confondersi con idoli, maschere, oggetti domestici arcaici, diviene l’elemento attraverso il quale Campigli misura lo spazio e lo rappresenta, oppure lo duplica e lo specchia, o ancora lo confonde. Carlo Ravagnati
Il recinto come limite Francisco e Manuel Aires Mateus. Entro i limiti Cernobbio, Casa Cattaneo 23 novembre - 2 dicembre 2001 Una mostra dal titolo ricco di aspettative ci ha spinto una sera d’inverno nella bellissima casa di Cesare Cattaneo sul lago di Como, qui Francisco e Manuel Aires Meteus, giovani architetti di Lisbona under 40, mostravano il loro lavoro di “ architetture entro il limite” . Limite, termine tanto frequente quanto controverso del dibattito architettonico contemporaneo, il cui senso sembra sfuggire il più delle volte ad una stretta logica architettonica. Nella mostra di Cernobbio, allestita all’interno di uno degli appartamenti della casa Cattaneo recentemente restaurata con grande attenzione, il limite è qualcosa che si avvicina più al concetto architettonico di recinto. Sono qui presentati dei progetti, perlopiù case unifamiliari, in cui il tema del recinto sembra essere il principio denominatore del progetto. Recinto come principio d’individuazione di un luogo, come atto primordiale e istintivo dell’essere umano che precede il fare stesso dell’architettura. Il recinto esclude per far proprio ciò che delimita; de-limitare uno spazio naturale attraverso l’elemento architettonico del recinto significa circoscrivere una porzione di natura sia come atto difensivo, ma soprattutto come appropriazione di una parte di natura stessa. Nel progetto della casa a tre corti Mies ci insegna in maniera mirabile che l’elemento recinto ha la capacità di definire il senso della casa; all’interno di un muro di mattoni la casa si costrui-
sce come il luogo delle relazione tra spazi aperti e spazi chiusi coperti da un tetto. Diversamente nella casa costruita dai Mateus ad Alenquer, piccolo borgo rurale, il recinto, costruito dai muri esterni della vecchia casa, definisce il luogo entro cui il nuovo volume della casa si inserisce; volume che pur insediandosi in un luogo definito e precisato formalmente, mantiene la sua autonomia formale, come se tra le due parti esistesse una sorta di estraneità che si coglie in maniera più evidente negli spazi interstiziali che risultano dall’inserimento del nuovo volume dentro il recinto. La casa ad Alvade-Alentejo come pure quella a Melides-Grandola sembrano essere variazioni sul tipo della domus romana, anche se rinunciano entrambe a quel principio di stretta relazione tra spazi coperti e spazi aperti che lo stesso Le Corbusier aveva annotato a Pompei schizzando l’atrium della Casa del Noce e la pianta della Casa del Poeta Tragico. I progetti per queste case sembrano esprimere una dichiarazione d’impossibilità di poter ripensare la casa unifamiliare introversa partendo dal principio compositivo dell’unità tra spazi coperti e spazi aperti, in cui la porzione di natura entri a far parte dell’unità della casa stessa. È come se il recinto fosse in questi progetti più un “ limite” cui contrapporsi che l’elemento di definizione del progetto stesso. Un’attenzione particolare va data alla giovane Associazione Archivio Cattaneo, nata nel giugno 2000, che con gran dedizione porta avanti una proficua iniziativa culturale, con un ricco calendario di mostre e convegni sul tema “ Il linguaggio moderno e l’esperienza architettonica contemporanea nella casa d’abitazione” . Paolo Rizzo
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Informazione
Tecnica e composizione di Massimo Campigli
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno
Gennaio Febbraio
1999
1360 1370 1380 1358,71 1361,22 1363,73 1368,75 1371,26 1371,26 1373,78 1373,78 1377,54 1380,05 1385,08 1386,33 1390 1400 1410 1420 1387,59 1393,87 1397,63 1398,89 1402,66 1407,68 1410,19 1410,19 1412,70 1416,47 1422,75 1424,01 1430 1440 1450 1430,28 1435,31 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1447,86 1447,86 1449,12 1452,89 1455,4 1456,65
2000 2001
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
2002
2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978)
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Anno
Gennaio Febbraio
1999
470 470,23 471,10 480 480,23 482,40
2000 2001
Marzo
Aprile
Maggio
novembre 1978: base 100 Giugno
Luglio
dicembre 1978:100,72
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
471,97
473,71 474,58 474,58 475,45 475,45 476,75 477,62 479,36 479,79 490 483,70 484,14 485,44 487,18 488,05 488,05 488,92 490,22 492,40 492,83 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 503,70 504,13
Indici e tassi
2002
3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)
anno 1995: base 100
Anno
Gennaio Febbraio
Giugno
2001 2002
109,30 109,69
Marzo
Aprile
Maggio
Luglio
giugno 1996: 104,2
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
109,78 110,17 110,46 110,55 110,65 110,65 110,74 111,03 111,22 111,32
3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno
Gennaio Febbraio
2001 2002
100,44 100,79
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Gennaio Febbraio
2001 2002
105,26 105,63
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
100,88 101,23 101,49 101,58 101,67 101,67 101,76 102,02 102,20 102,29
4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno
dicembre 2000: 113,4
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
anno 1999: base 100
gennaio 1999: 108,2
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
105,73 106,09 106,37 106,46 106,56 106,56 106,65 106,93 107,11 107,20
5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno 2001 103,07
anno 1995: base 100
1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08
1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51
novembre 1995: 110,6
1999 2000 2001 111,52 113,89 117,39
7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
gennaio 2001: 110,5
2002
6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
anno 2001: base 100
2001 108,65
2002
anno 1997: base 100
febbraio 1997: 105,2
2002
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1993, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa
Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.
della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U.
14.4.1999 n° 86) dal 14.4.1999 10.11.1999 n° 264) dal 10.11.1999 8.2.2000 n° 31) dal 9.2.2000 3.5.2000 n° 101) dal 4.5.2000 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001
Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria dell’Ordine.
2,5% 3% 3,25% 3,75% 4,25% 4,50% 4,75% 4,5% 4,25% 3,75% 3,25%
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).
Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.