AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi
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EDITORIALE FORUM Idee di città interventi di Franco Purini, Gianni Biondillo, Elio Franzini, Agostino Petrillo
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INFORMAZIONE Dagli Ordini
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INDICI E TASSI
1/2 GENNAIO/FEBBRAIO 2007
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: segreteria@consulta-al.it Presidente: Giuseppe Rossi; Vice Presidenti: Achille Bonardi, Ferruccio Favaron, Giorgio Tognon; Segretario: Sergio Cavalieri; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Emiliano Campari, Stefano Castiglioni, Angelo Monti, Biancalisa Semoli, Giuseppe Sgrò, Daniela Volpi
Errata corrige Al seguito di un disguido, nei numeri 10, 11 e 12 (2006), non è stato riportato l’aggiornamento relativo all’attuale composizione del Consiglio dell’Ordine di Bergamo già correttamente pubblicato sul numero 8/9. Ci scusiamo per l’inconveniente.
Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidenti: Paola Frigeni, Angelo Mambretti; Segretario: Elena Zoppetti; Tesoriere: Gianfranco Bergamo; Consiglieri: Matteo Calvi, Enrico Cavagnari, Stefano Cremaschi, Vittorio Gandolfi, Alessandro Pellegrini, Attilio Pizzigoni, Francesca Rossi, Mario Salvetti, Italo Scaravaggi, Carolina Ternullo (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Stefania Annovazzi, Umberto Baratto, Franco Cerudelli, Laura Dalé, Antonio Erculani, Paola Faroni, Franco Maffeis, Donatella Paterlini, Silvia Pedergnaga, Enzo Renon, Roberto Saleri (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Angelo Monti; Vice Presidente: Chiara Rostagno; Segretario: Margherita Mojoli; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Angelo Avedano, Antonio Beltrame, Alessandro Cappelletti, Laura Cappelletti, Enrico Nava, Michele Pierpaoli, Andrea Pozzi (Termine del mandato: 15.3.2010) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Gian Paolo Scaratti; Segretario: Federica Fappani; Tesoriere: Luigi Fabbri; Consiglieri: Luigi Agazzi, Giuseppe Coti, Davide Cremonesi, Antonio Lanzi, Fiorenzo Lodi, Fabio Rossi, Paola Samanni (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.ordinearchitettilecco.it Presidenza, segreteria e informazioni: ordinearchitettilecco@tin.it Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidenti: Massimo Dell’Oro, Elio Mauri; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. Spreafico; Consiglieri: Ileana Benegiamo, Fernando Dè Flumeri, Massimo Mazzoleni, Elena Todeschini, Diego Toluzzo, Alessandra Valsecchi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Antonio Muzzi, Massimo Pavesi, Fabretta Sammartino, Ferdinando Vanelli (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Enrico Rossini; Tesoriere: Manuela Novellini; Consiglieri: Lara Gandolfi, Cristiano Guernieri, Filippo Mantovani, Giuseppe Menestò, Sandro Piacentini, Alberta Stevanoni, Luca Rinaldi, Nadir Tarana (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidenti: Marco Engel, Silvano Tintori; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Adalberto Del Bo, Alessandra Messori, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Alberto Scarzella, Giovanni Edoardo Zanaboni, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 20.12.2009) Ordine di Monza e della Brianza, fax 039 3309869 www.ordinearchitetti.mb.it Segreteria: segreteria@ordinearchitetti.mb.it Presidente: Biancalisa Semoli; Vice Presidenti: Massimo Caprotti, Alberto Poratelli; Segretario: Pietro Giovanni CicardI; Tesoriere: Paolo Vaghi; Consigliere: Angelo Dugnani, Ezio Fodri, Clara Malosio, Maria Rosa Merati, Fabiola Molteni, Roberta Oltolini, Federico Pella, Giovanna Perego, Francesco Redaelli, Francesco Repishti (Termine del mandato: 1.2.2010) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.ordinearchitettipavia.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Fabiano Conti, Maria C. 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Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)
Maurizio Carones
3 EDITORIALE
L’attenzione alla città, particolarmente viva negli ultimi tempi, si rinnova anche a partire dai differenti sguardi che si dedicano alla sua descrizione. Lo sguardo politico, ad esempio, rileva – talvolta con una certa sorpresa – come le città siano i luoghi in cui con più evidenza e drammaticità si manifestano le tensioni e i conflitti sociali del nostro tempo, quello sociologico registra i cambiamenti dell’abitare le città, riconoscendovi modalità complesse e impreviste, quello igienico-ambientale segnala i livelli di degrado dell’ambiente urbano, quello letterario e delle arti figurative usa spesso la città come scena in cui ambientare le vicende dell’uomo contemporaneo. La nostra società e le sue differenti espressioni sembrano quasi identificarsi nella città: luogo dal quale guardare il mondo attraverso una particolare prospettiva. Non solo per quantità ma soprattutto per modalità, la città diventa misura del mondo. Architettura e urbanistica, d’altra parte, colgono nell’aspetto quantitativo della città, nella sua estensione in alcuni casi senza limiti riconoscibili, una nuova dimensione dell’applicazione disciplinare, dimensione che mette in crisi la precisa distinzione fra categorie consolidate come architettura, città e territorio per proporre modalità di intervento che oscillano fra queste differenti scale del progetto. In questo senso la recente Biennale di Venezia ha riproposto all’attenzione generale una riflessione sulla città come fenomeno globale. Città molto diverse, messe in relazione a partire da una considerazione quantitativa, manifestano analogie e convergenze sulla criticità delle grandi aree urbane del pianeta, segnalandole come luoghi ove esercitare la più alta attenzione progettuale. Se quindi le differenti discipline discutono della città, rendendola in un certo senso metafora della contemporaneità e strumento di lettura del nostro tempo, è anche possibile pensare che la città di domani sia in buona parte già in fase di costruzione, sotto i nostri occhi. In questo numero di “AL”, in coerenza con l’impostazione della nostra rivista che cerca sempre di offrire una esemplificazione riferita alla scala regionale delle questioni trattate, svolgiamo una sorta di ricognizione nei territori delle dodici province lombarde. Una possibile verifica di che cosa il territorio oggi sia in grado di testimoniare della reale costruzione della città, delle sue trasformazioni, dei progetti in atto, delle idee di città che si stanno affermando. Ciò a partire proprio da un riferimento alla recente Biennale veneziana, promosso dallo scritto introduttivo di Franco Purini, che a Venezia ha curato su questo tema il Padiglione Italia e dal contributo di noti studiosi di altre discipline. Purini, nel suo scritto, invita gli architetti – e non solo – a “riprendersi la città” attraverso il progetto. Invito che le nostre discipline, con fiducia, possono raccogliere, in relazione a quella tradizione di studi che ha posto il problema della città, della sua forma, come luogo ove rinvenire il senso più profondo dell’architettura.
Idee di città
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Nel Forum di questo numero intervengono Franco Purini, professore ordinario di Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura “Valle Giulia” dell’Università La Sapienza di Roma, Gianni Biondillo, architetto e scrittore, Elio Franzini, professore ordinario di Estetica e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Agostino Petrillo, docente di Sociologia urbana al Politecnico di Milano. Ringraziamo tutti i partecipanti per la loro collaborazione.
Riprendersi la città di Franco Purini
L’opinione prevalsa in questi ultimi anni sul futuro della città – una opinione sostenuta anche da autorevoli architetti – si può riassumere nella convinzione che non sia più possibile controllare l’evoluzione degli insediamenti umani. In effetti si tende a credere che le città, a partire dalle megalopoli fino ai piccoli centri, debbano ormai la loro evoluzione a processi che riguardano quasi esclusivamente la sfera del mercato e del consumo. Soggette a logiche puramente economiche, accelerate oltre ogni limite dalla globalizzazione, le città, impegnate in modo sempre più consistente in una competizione che le oppone l’una all’altra, hanno rinunciato a modificarsi sulla base di autentici progetti urbani abbandonandosi, spesso euforicamente, ai meccanismi finanziari e speculativi inverati dalle parole real estate, sigla sempre più presente e determinante. A fronte di questo arretramento del progetto urbano l’architettura si limita a intervenire caso per caso, secondo modalità legate alla convenienza degli investitori facendosi così, al massimo, landmark, mediabuilding, un’architettura-spettacolo spesso al limite dell’installazione. Un’architettura che ha rinunciato persino ad essere elemento provocatorio e antipolare nei confronti della città accettando di trasformarsi in un evento, molte volte effimero, e in un veicolo pubblicitario. All’interno di questa situazione l’insieme delle conoscenze che qualche anno fa veniva chiamato scienza urbana ha vissuto un declino che sembra irreversibile. Scomparsi o confinati in un’area residuale gli studi che indagano sulla struttura della città a partire dal suo tracciato per poi affrontare il problema delle relazioni, sempre molteplici e variabili, tra il tracciato stesso e la materia edilizia che lo sostanzia, sono emersi altri saperi piuttosto distanti, se non lontani o alternativi rispetto a quello urbanistico e architettonico. In effetti la riflessione sulla città è oggi dominata principalmente dalla sociologia e dall’antropologia, discipline alleate sia all’arte, divenuta un ulteriore e fondamentale spazio discorsivo sulla città, sia alla geopolitica, ovvero a quello sguardo attento alle questioni più complesse e di più vasta portata che riguardano gli equilibri mondiali. Aggiungendo a tutto ciò la componente della geografia urbana si ottiene un orizzonte conoscitivo quanto mai complesso ma anche intrinsecamente
contraddittorio, nel quale uno spiccato sincretismo concettuale si associa a un gusto pronunciato per il frammento intuitivo. Echi situazionisti si sommano a illuminazioni eterotopiche, mentre l’ambigua dimensione dei non-luoghi viene contraddetta da una lettura di ciò che è ancora un luogo, a sua volta ibridata da elementi narrativi. In tale contesto la città come entità fisica è messa in ombra, mentre ciò che prevale è l’interesse per le relazioni tra le forze che agiscono sulla città, i flussi comunicativi che la attraversano, i processi di ogni tipo che la coinvolgono, le valenze estetiche che i vari linguaggi urbani producono. Il tutto in una atmosfera ansiogena immersa nel clima di un’emergenza continua. Va anche considerato che, nelle rare occasioni in cui si procede ancora a un’analisi della condizione urbana dal punto di vista dell’urbanistica e dell’architettura, si finisce il più delle volte con il considerare i risultati di questa indagine direttamente come ciò a cui deve tendere il progetto. Un progetto che rinuncia in questo modo a quel plusvalore differenziale per il quale esso non si limita a riprodurre l’esistente ma lo sottopone a uno scarto innovativo, iscrivendolo in una vitale differenza rispetto alla situazione in cui esso era in una fase precedente. C’è comunque da chiarire che non è tanto preoccupante che la sociologia, l’antropologia, l’arte, la geopolitica si siano conquistate un ruolo importante nello studio delle città – cosa di indubbia validità perché aumenta sicuramente l’insieme delle conoscenze e dei punti di vista su di esse – quanto il fatto che tali discipline, come si diceva qualche rigo addietro, abbiano di fatto emarginato i saperi relativi in modo specifico agli insediamenti urbani. Riassumendo in altro modo ciò che si è appena scritto, lo scambio tra le varie discipline, ma anche il loro sovrapporsi o il trascorrere l’una nell’altra sono importanti e necessari, ma solo fino a quando non fanno sì che un problema rimanga insoluto. Oltre questo limite essi si trasformano in una difficoltà, se non proprio in un problema che non ha soluzioni. Nel caso delle città è avvenuto proprio questo. La proliferazione di interpretazioni multidisciplinari si è risolta nell’eclisse del progetto urbano, esautorando gli urbanisti e gli architetti dal prefigurare il futuro delle città separandoli anche dall’opinione pubblica, che nel migliore dei casi li assimila oggi a stilisti o a protagonisti dell’universo mediatico. Quanto esposto finora si può riassumere nel fatto che sia la scienza urbana, sia il progetto urbano e conseguentemente l’architettura, intesa come una risposta coerente e motivata a una serie di problemi che la città pone nel suo continuo evolvere hanno visto drasticamente ridursi il loro spazio. Una delle conseguenze più gravi e vistose di questa situazione è la scomparsa di quelle corrispondenze strutturali tra la città e l’architettura che assicuravano all’ambiente urbano una fisionomia precisa, conseguente e duratura. La situazione appena descritta impone indubbiamente una serie di scelte tese a restituire alla riflessione analitica, nonché alla elaborazione teorica e progettuale uno
Franco Purini con Margherita Petranzan, Nicola Marzot, Livio Sacchi e la collaborazione di Francesco Menegatti, schema planimetrico della città di Vema.
maria-Laezza, Liverani e Molteni, Ma O, Antonella Mari, Masstudio, Stefano Milani, Modulo quattro, Tomaso Monestiroli e Massimo Ferrari, OBR – Open Building Research, Gianfranco Sanna, Andrea Stipa, Studio Eu, Alberto Ulisse – Vema nasce dal desiderio e dalla esigenza di riprendersi la città mentre dimostra, nonostante i limiti di una simulazione progettuale, quanta immaginazione concreta e quanta energia immaginativa possano essere dispiegate dagli architetti dell’ultima generazione per raggiungere questo essenziale obiettivo.
La città di chi? di Gianni Biondillo
Vivo una profonda contraddizione, lo voglio ammettere. Sono stato contattato dalla redazione di “AL” in quanto scrittore. Devo portare un’idea di città dal punto di vista dello scrittore, di chi, nei suoi romanzi, ha parlato di periferie, di città, di territorio e di chi lo abita. Ma, ecco la contraddizione, io sono, nella vita di tutti i giorni, un architetto, iscritto all’Ordine di Milano (n. iscr. 10133), con studio professionale, con progetti in atto. Il mio è quel che si dice un “conflitto d’interessi”. Non riesco a pensare alla città senza che la mia deformazione professionale, quella che è definita sulla carta d’identità, faccia capolino. Ma forse proprio il mio stare un po’ in mezzo fra le due attività mi fa capire meglio le aderenze e le inevitabili divergenze fra i due sguardi sul mondo. Le aderenze sono presto dette: dell’immensa serie di cose concrete, fisiche, materiali che la letteratura descrive da sempre, l’architettura, i manufatti architettonici, gli interni, sono di gran lunga i più osservati e i più descritti. La vera ragione di questa straordinaria fortuna letteraria sta nel fatto che per i poeti, i letterati, gli umanisti, l’architettura ha il grande dono della concretezza. Essi subiscono da sempre il fascino dell’oggettivo: l’architettura è realtà, fa realtà. Descrivere palazzi, abitazioni, città, è il modo più chiaro, più oggettivo, per rappresentare il rapporto tutto culturale e artificiale col mondo fisico e col tempo. L’architettura è logica. Il comportamento dei costruttori è sensato. Il muro che cresce mattone dopo mattone è simbolo per antonomasia, nel discorso sul metodo di Cartesio, della solidità di un pensiero razionale.
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spazio rinnovato e una vera incidenza nei processi di trasformazione della città. Occorre infatti ricominciare a studiare la città in quanto sistema di manufatti fisici e non solo come luogo di relazioni e di processi; va riaffermata con urgenza la necessità del progetto urbano come messa a punto di un quadro di esigenze e di conformità generali da premettere agli interventi architettonici; c’è bisogno infine di ritrovare la capacità di esprimere in termini di linguaggio il rapporto tra architettura e città, considerata come un esito, che dovrebbe essere sempre positivo e creativo, dei conflitti che agitano la società costituendone il nucleo più dinamico. Per quanto riguarda il rapporto tra architettura e città c’è da ricordare che proprio a tale relazione, vissuta con intensità e continuità, l’architettura italiana moderna deve il suo carattere principale. Curando il Padiglione Italiano alla X Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia del 2006 chi scrive ha cercato di intervenire all’interno del quadro problematico tratteggiato in questo scritto procedendo secondo le direzioni indicate nel paragrafo precedente. Vema, una nuova città collocata tra Verona e Mantova in prossimità dell’incrocio dei due corridoi ferroviari transeuropei Lisbona-Kiev e Berlino-Palermo, è un’ipotesi insediativa avanzata che si propone di superare il modello della città diffusa. Un modello che è stato sicuramente importante perché ha attivato il territorio punto per punto ma che oggi produce più svantaggi che risorse. Il corpo disperso della città diffusa va oggi polarizzato per mezzo di una serie di nuove centralità che lo mettano in grado di riconfigurare la propria struttura dando ad essa una gerarchia riconoscibile e una autentica e operante riconoscibilità delle sue parti. Vema è una città di fondazione, ma anche una città ideale, una città innovativa e una città utopica. Innovativa perché essa si propone come uno strumento per quella che Richard Florida ha definito la classe creativa, ovvero quel ceto nato all’interno della condizione postmoderna e della globalizzazione in grado di effettuare connessioni incrociate tra i saperi che la modernità teneva separati; utopica nel senso indicato da Ernesto Rogers quando ha coniato lo slogan “utopia della realtà”. Affidata a venti gruppi di giovani – Avatar, Dogma | Office/Pier Vittorio Aureli, Lorenzo Capobianco, Elastico spa+3, Giuseppe Fallacara, Santi Giunta, Iotti e Pavarani, Moreno-Santa-
Questo numero di AL è illustrato con una selezione di immagini realizzate da Davide Garagnani, giovane fotografo bolognese (1980), che ringraziamo per la collaborazione. Dopo una serie d’esperienze teatrali inizia a interessarsi alla fotografia realizzando foto di
scena. Approda, successivamente, a ricerche concernenti l’urbanistica e lo spazio urbano nella sua quotidianità (da qui le foto pubblicate). Attualmente svolge la propria attività a Torino sviluppando studi e ricerche sulle “tracce umane” nei vuoti urbani.
L’architettura crea il reale, non lo contraddice; neppure forse nei casi antitetici di un futuro ipotetico “avanguardistico-utopistico” (ma pur sempre razionale, è una realtà a venire, comunque possibile) o nell’ipotesi dell’eredità di un passato giunto a noi ormai ruderizzato. Un rudere che se è anti-funzionale in senso stretto è comunque denso, carico di memoria. L’architettura è per la letteratura, in ogni caso e non solo nell’ipotesi del rudere, depositaria di memoria, e questo da sempre. Francesco Orlando, nel suo fondamentale Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, rileva però fra il tardo Settecento e il primo Ottocento come uno scatto storico che amplifica le descrizioni in generale di oggetti desueti (reliquie, rarità, robaccia) e in particolare di edifici e architetture del passato, descrizioni che si fanno sempre più frequenti e minuziose. Questo scatto storico coincide “con l’epoca in cui rivoluzione industriale inglese e rivoluzione politica francese imposero al mondo i modelli maturi di una razionalizzazione laica avviata da due secoli, e che in altri due secoli avrebbe irriconoscibilmente cambiato la faccia della terra”. È il periodo, per noi architetti, della nascita del restauro; è il passaggio epocale prodotto dall’illuminismo e dalla rivoluzione industriale (e quindi del potere incontrastato della classe borghese, della sua razionalizzazione capitalista e laica del mondo) che, creando una profonda cesura col passato, muterà radicalmente la nostra attuale percezione della realtà: gli architetti e i letterati, vivendo un analogo codice
interpretativo del mondo in quanto rappresentanti della stessa classe sociale, se ne interessano, fanno proprio il discorso sia cercando un disperato e impossibile recupero stilistico delle forme del passato (neogotico, neoromanico, ecc.) che un vero e proprio recupero “delle cose” (attraverso minuziosi rilievi sia scritti che disegnati). Quella che Auerbach, in Mimesis, reputa una vera e propria conquista degli scrittori degli anni Trenta e Quaranta del secolo XIX è analoga a quella di molti disegnatori e architetti dello stesso periodo: finalmente nelle loro rappresentazioni della realtà anche gli oggetti più umili, quotidiani, brutti, vengono non solo descritti minuziosamente ma presi pienamente sul serio. Da questo momento storico in avanti l’architettura nella letteratura ha sempre un’accezione positiva solo in quanto depositaria di memoria, ne è anzi il simbolo stesso: dà dimensione storica al tempo mettendo a confronto il tempo della memoria personale (solipsista, o di una generazione) con quello che giunge alla soglia dell’inumano geologico; il tempo della rovina che passa (ritorna?) dalla storia (cultura) alla natura. Ed ecco profilarsi quelle che prima ho chiamato le divergenze fra i due sguardi sul mondo. Da dopo il mutamento sociale, storico ed economico del XIX secolo, l’architettura e la letteratura non viaggeranno più insieme. L’architettura si porrà da una parte, diverrà il più esplicito esempio di razionalizzazione lottizzatrice della cultura dominante – vero e proprio mezzo, pratico e simbolico, di trasformazione del reale da parte della cultura dominante, maschera autorappresentativa del “potere” – e dall’altra parte la letteratura, che in antitesi si porrà come il luogo del represso e dell’escluso: e proprio nella sua ansia a criticare la società borghese farà ancora una volta dell’architettura la metafora regina per parlare delle aberrazioni del reale. Anche le utopie letterarie si trasformeranno in scenari futuri sempre più negativi, con città sempre meno ideali. Non basta più la “ragione” architettonica a creare le salde basi di una società giusta, anzi la città, nella sua regolarità geometrica diviene (vedi tutta la letteratura fantascientifica del XX secolo, chiaramente anti-utopista) sempre più aberrante, terribile, inumana. In realtà la letteratura non conosce appieno l’intima tragedia dell’architettura moderna, un’architettura frustrata, spesso solo disegnata, continuamente inespressa, o espressa solo per inutili monumenti. Questa ignoranza (se non odio) da parte della letteratura dell’architettura moderna, collima pienamente con l’indifferenza nei confronti dell’architettura da parte dell’“uomo medio”. Non dimentichiamoci, però, che l’architetto è anche, e molto, un lettore. Lo sguardo fra le due discipline è reciproco e spesso crea curiosi feed back. C’è, ad esempio, una pretesa taumaturgica da parte della collettività nei confronti del fare architettonico, che molto viene dalla letteratura utopistica dei secoli scorsi, la quale a sua volta ha formato un’intera generazione di progettisti che su quel sogno – di una architettura
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che da sé in quanto ben fatta, ben pensata, avrebbe risolto i problemi di un’intera società – ha operato, utopisticamente. Cosa significa tutto ciò? Ci sono distanze incolmabili e confini che devono restare netti, per come la vedo io. La città di uno scrittore è sempre la città che c’è, mai davvero quella che sarà. Lo “sguardo oltre”, il progetto, è la differenza che caratterizza l’architetto. La città reale è sempre palinsesto, punto di partenza, luogo di mutamento, cantiere. Ma, al contempo, ormai la nostra disciplina ha compreso che la vastità e la complessità dell’agire urbano, le conseguenze sul sociale, sul simbolico, sul vissuto, sono, in ogni caso ingovernabili dall’hic et nunc di un progetto. La linea che si traccia, da qui, non sapremo mai davvero dove arriva, e in che forma. L’esperienza del passato può aiutare a ipotizzare scenari, ma nulla di più. Ecco, però, che il ruolo della letteratura si fa incombente. Lo sguardo dello scrittore sul territorio è uno sguardo che, spesso, restituisce dignità al marginale, all’escluso. Gli ridona senso, crea mito attorno a dinamiche sociali e urbane impensabili, non progettabili a priori. La letteratura è critica del presente, è cartina di tornasole del progetto urbano, è la coscienza di una società. Su quello sguardo, su quella critica operativa che è in effetti la letteratura, si formerà la capacità di connessione, di consapevolezza della complessità percepita da tutti, non ultimi proprio gli architetti. I quali da quelle pagine, lette non solo come orpello estetico, dovranno saper partire per meglio intendere il mondo dove hanno intenzione di operare. Lasciando i loro segni esposti alle intemperie, e agli sguardi della scrittura.
Lo stile della città contemporanea di Elio Franzini
Paul Valéry afferma, nel dialogo Eupalinos, che vi sono nelle nostre città edifici muti, edifici che parlano ed edifici che cantano. I primi servono soltanto per funzioni pratiche, i secondi uniscono alla funzionalità la piacevolezza: ma solo quelli che cantano sono in grado di incarnare una dimensione più profonda, quella che sembra mancare alla città contemporanea, vittima di troppo numerose stratificazioni di maniere costruttive. Questa dimensione potrebbe prendere il nome di stile, che è ciò che forse la città contemporanea deve recuperare. Lo stile è la capacità di afferrare il flusso “oscillante” delle variazioni dell’apparire, apparentemente inafferrabile, cogliendo il senso del nostro mondo vitale, dello spazio che abitiamo, costituendo per noi un progressivo arricchimento di senso e una progressiva formazione di senso. Il grande storico delle immagini Aby Warburg sosteneva che “l’essere delle immagini” consisteva nel formare uno stile, che è poi la capacità di esibire delle “sopravvivenze”. Per cui, applicando questo principio alla storicità delle nostre città, il compito è quello di fondare tali sopravvivenze,
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traccia del nostro passato, e quindi della nostra stessa storia, all’interno di un quadro che sia “simbolico”, che riconcili cioè in un tessuto unitario le differenze stilistiche che il tempo ha disegnato. Così, far divenire lo stile possibile della città contemporanea il simbolo di una sorta di “riconciliazione con differenza”, segno di un’eccedenza che è più dialogo che opposizione, rende possibile che suo tramite si giochi un confronto paradigmatico che ha nell’architettura un suo privilegiato orizzonte di interrogazione: simbolo che si pone come possibilità funzionale e al tempo stesso morfogenetica per rifondare il senso classico della modernità. Di questo stile, della ricerca di questo stile che deve cercare nell’oggi quelle sopravvivenze che rendano possibile un dialogo con la tradizione, l’architettura è un’esibizione privilegiata perché non incarna un’astratta verità ontologica, bensì il divenire stesso delle forme nelle loro molteplici funzionalità. Dobbiamo dunque essere consapevoli che viviamo in quello che il poeta Hoelderlin chiamava “tempo della povertà”: perché, là dove mancano culture dominanti, e unitarie nella loro volontà di dominio, ideologie o fedi capaci di tutto inglobare, e di rendere il dialogo una questione “interna”, e non un confronto con il mondo, la capacità di rinnovare gli orizzonti teorici e progettuali è imbrigliata, se non imprigionata, e ondeggia tra l’assolutismo diabolico e l’altrettanto diabolica retorica della chiacchiera e del futile. Il tempo della povertà ha la sua bellezza, come è giusto che sia, dal momento che, come scrive Baudelaire, “siccome ogni secolo e ogni popolo ha avuto la propria bellezza, noi dobbiamo avere per forza la nostra”. Nell’epoca delle “folle”, in cui nelle strade delle nostre città circolano “tipi umani” estremamente differenziati, di cui è difficile costituire una “tipologia”, non si può pensare che la bellezza della città medesima sia un’entità
astratta, da queste folle lontana. La modernità, scrive Baudelaire, “è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile”. In questo contesto la bellezza della città, per riprendere Stendhal, è una promessa di felicità, non un possesso sicuro: una promessa che si confronta con le situazioni contingenti che la società ha costruito, con il trucco, l’artificiale, con tutti quegli elementi che fanno parte della quotidianità e che non possono venire scotomizzati per non perdere la realtà stessa e il suo senso. La bellezza non è apparizione trionfante della verità, bensì esibizione di una natura simbolica, e dunque “trucco” della realtà, deformazione sublime, come scrive Baudelaire, della natura. Per segnalare come questo carattere fondativo della bellezza, attraversato dalla contingenza, possa ancora esistere nella città contemporanea bisogna forse concludere che chi la costruisce deve essere in grado di recuperare il suo senso “classico”. Classico che indica soltanto un fondamento assiologico che tuttavia conosce la dinamicità della forma e la sua capacità di essere momento di incontro tra differenze, tra parti che organicamente sanno costituire un intero. Il valore intersoggettivo di questa dimensione è dato dal porsi di fronte a noi – come oggetto di reciproca interrogazione – di sensi complessi e stratificati che, nella loro dimensione storica, sono nuclei di qualità intrinseca, che nella loro presenza possiedono la propria forza sintetica e sono oggetto di un’interpretazione non arbitraria, ma che gira sempre intorno alle cose, approfondendo uno sguardo senziente che impara a vedere ciò che le cose stesse sono, anche là dove non mostrano. Da ciò deriva una semplice conclusione. In primo luogo l’antico, il classico, il simbolo stesso, non sono, non possono più essere, approdi sicuri, certezze di un presente che in sé si esaurisce, bensì nostalgia di qual-
cosa cui sempre di nuovo si tende, cercando un’unità che non è mai stata realizzata, ed è la ricerca del senso stesso del percorso, della volontà di costruire, anche oggi, nella nostra contemporaneità, forme capaci di senso, forme in grado di comunicare con le dimensioni del tempo, di esibire punti di vista non univoci, che vedano negli edifici non presenze mute, ma invito sempre rinnovato a uno scambio di differenti visioni in grado di confrontarsi e integrarsi, voci dialogiche alla ricerca di ritmi comuni.
Le città cambieranno il mondo? di Agostino Petrillo
L’ultima Biennale si è chiusa sull’interrogativo: le città cambieranno il mondo? Mi pare un interrogativo retorico, dietro cui si possono leggere al tempo stesso una constatazione e una speranza: la prima è che il mondo ha cambiato le città e la seconda che le città potrebbero cambiare il mondo. Il mondo ha cambiato, in effetti, le città: sotto la spinta della globalizzazione il destino metropolitano dell’umanità, il “farsi città del pianeta”, appena intuito e presagito all’inizio del Novecento, è diventato condizione comune per gli uomini del terzo millennio: la maggioranza dell’umanità già vive e sempre più vivrà in grandi agglomerazioni urbane. Non è un processo indolore: l’urbanizzazione accelerata che caratterizza vaste zone dell’Asia e più recentemente anche dell’Africa, è una crescita selvaggia e a tratti disumana, che avviene al prezzo della distruzione di legami consolidati e di sistemi di vita tradizionali e sperimentati, cui non fa riscontro alcuna certezza di una vita migliore per chi si trasferisce nelle grandi città. Le speranze di emancipazione spesso naufragano negli slums che le circondano, e il
processo non è certo concluso: le previsioni delle Nazioni Unite ci dicono che nei prossimi trenta anni la popolazione urbana crescerà di altri due miliardi di persone, mentre la popolazione rurale rimarrà tendenzialmente stabile. Ma anche le città del mondo sviluppato sono profondamente mutate: in esse sono andate prendendo forma realtà sociali e produttive estremamente dissimili dal passato e si sono strutturate modalità diverse di organizzazione, di funzionamento e di regolamentazione della vita degli abitanti. Non sempre ne siamo consapevoli. L’abitudine ce le fa guardare con gli occhi di sempre, ma è un sorta di presbiopia dovuta a un eccesso di prossimità che ci impedisce di vedere i cambiamenti continui – grandi e minuti – che le rendono diverse da quel che erano. Le grandi concentrazioni urbane hanno ritrovato centralità e importanza nell’economia planetaria, giungendo a modificare gli equilibri geopolitici. L’affermarsi di una nuova gerarchia di città, che non è più quella tradizionale che divideva i grandi centri del Nord da quelli del Sud del mondo, fa sì che le metropoli “si parlino” molto più liberamente di quanto non facevano in passato, diventando nodi e punti centrali di una nuova rete che organizza economia e conoscenza. Il venire meno delle vecchie subordinazioni non schiude però automaticamente orizzonti egualitari ai rapporti tra grandi centri. Si disegna un network che ritaglia certo nuovi raccordi e intreccia continuamente nuove relazioni, ma al tempo stesso discrimina, divide le zone privilegiate dai territori che rimangono ai margini o vengono relegati negli interstizi della tela di ragno che avvolge il pianeta. Ma al di là della constatazione che le città “producono”, oggi, il mondo, riproponendone anche le dimensioni di separatezza, le divisioni, gli squilibri, e che in esse vive e si perpetua il volubile spirito del capitalismo attuale, dato che proprio le città presiedono in buona parte alla ineguale
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ripartizione delle ricchezze, c’è anche qualcosa d’altro, che fa balenare la possibilità di uno sviluppo diverso. Le città potrebbero cambiare il mondo: in esse si concentrano enormi capacità produttive, cooperative, gli uomini là lavorano insieme. Nelle metropoli attuali la trama di un progetto comune prende sempre più nettamente forma e si delinea non solo all’interno delle città stesse, nel forgiarsi delle forze creative che divengono decisive per lo sviluppo, ma anche nelle relazioni che intercorrono tra città e città. Rapporti segnati da una dialettica complessa che implica insieme competizione e complementarietà. In questo senso l’intreccio, la connessione sempre maggiore, interna ed esterna, prospetta la possibilità di un futuro che sia più giusto e meno diviso di quanto non sia il presente. In questo moltiplicarsi dei contatti, delle relazioni umane, dei momenti della cooperazione sociale, si cela anche la possibilità di un’evoluzione diversa. Questa è la cifra e l’enigma della metropoli contemporanea, la possibile chiave “hegeliana” delle stridenti contraddizioni che in essa albergano. Questioni non semplici: la teoria sembra esitare di fronte all’enorme mole di problemi che si prospettano. I pronostici sono discordi: le metropoli del XXI secolo potrebbero rappresentare tanto il momento di passaggio ad un capitalismo ancora più spietato, dominato da un “arcipelago di isole del benessere” in cui si concentrerebbe il potere economico, finanziario e decisionale, circondate però da oceani di povertà e marginalità, quanto i fattori decisivi del progressivo crescere di una maggiore integrazione mondiale. Tra di esse vive una relazionalità che va al di là dei confini nazionali, che potrebbe farne i primi elementi di un nuovo sistema di organizzazione planetaria, le tessere del mosaico di una “costellazione post-nazionale” ancora in via di definizione. La partita è aperta, anche se tra gli studiosi sembra per il momento prevalere un certo pessimismo: negli ultimi anni sono state sottolineate con crescente preoccupazione le tendenze alla frammentazione attualmente all’opera, sia su di un piano geopolitico più generale sia all’interno delle metropoli stesse. Nelle grandi agglomerazioni si comincerebbero a distinguere zone “globalizzate” in cui regna il benessere, e che sarebbero connesse alla grande rete transnazionale delle città, e zone “marginali” in cui predominerebbero povertà, tribalismo e violenza. In questo confuso coesistere di tendenze opposte vanno cercate le risposte che veramente ci importano, si disegnano i diversi futuri urbani possibili. Al di là delle prospettive catastrofiste o di un ottimismo tutto astratto, sta anche a noi cercare di definire il quadro di uno spazio in cui ci piacerebbe vivere, batterci e adoperarci per la sua realizzazione. Il futuro delle città si deciderà non solo in virtù delle competenze dei tecnici, architetti, urbanisti, geografi, sociologi, ma anche sul terreno di una maggiore consapevolezza delle poste in gioco e della loro importanza. Ma questo vuol dire parlare di politica, piccola e quotidiana certo, ma soprattutto grande...
Bergamo
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a cura di Gianfranco Bergamo e Alessandro Pellegrini
Il visitatore che giunge a Bergamo, da tempo immemore, alzando lo sguardo è attratto dal profilo di Città alta, con i suoi colli, la cinta muraria eretta dai veneziani, ed un impianto architettonico caratterizzato da vie strette racchiuse tra alte cortine di edifici. La sua immagine è immutata e pare bloccata nel tempo. Ai suoi piedi si muove però e si sviluppa una città dinamica ed in continua espansione. L’area dello scalo ferroviario è forse uno dei luoghi, ormai inglobati dall’ampliamento a sud dell’abitato, che offrirà l’occasione di pensare ad un grande progetto di trasformazione e riqualificazione di un ampio brano di città. Per questa ragione, abbiamo chiesto al direttore della soc. Porta Sud Spa. (nata dalla collaborazione tra Comune, Provincia, Camera di Commercio di Bergamo e Rete Ferroviaria Italiana spa con l’intento di riqualificare l’area dello scalo ferroviario) di illustrarci gli obbiettivi programmatici di intervento che la società si prefigge di raggiungere. G. B.
L’orizzonte Sud di Bergamo La città di Bergamo ha di fronte una sfida che l’accompagna da diversi decenni: riqualificare gli ambiti a ridosso della stazione e del suo scalo, che in parte ospitano strutture industriali dismesse, attraverso il volano rappresentato da una superficie di circa 135.000 mq, attualmente sede di attività delle ferrovie e che potrà essere messa in gioco per la valorizzazione urbanistica della città. Si tratta di una situazione che accomuna Bergamo a molte città europee, attraversate da linee ferroviarie e con la presenza di scali merci di dimensioni rilevanti e poco utilizzati. Porta Sud è la società che oggi è chiamata a cogliere questa sfida e ad aprire un insieme di opportunità per cittadini, imprese ed istituzioni, nella consapevolezza che quanto più la città sarà in grado di valorizzare i propri talenti, compresa la propria forma urbis, tanto più essa sarà attrattiva per le persone e catalizzatrice di investimenti. È necessario soddisfare le diffuse esigenze, che provengono dalla comunità bergamasca, di coniugare al meglio la forte identità locale con quella di rifornire il territorio di quei servizi la cui dimensione e scala debordano il solo bacino urbano e comprensoriale: aeroporto, infrastrutture stradali, fiera, nosocomi, università, sistema produttivo diffuso, turismo. Il progetto urbanistico, che Porta Sud si sta accingendo ad elaborare, parte dalla considerazione che migliorare il sistema della mobilità cittadina ed il suo rapporto con
Scalo Porta Sud, vista.
quello provinciale e regionale rappresenti un elemento catalizzatore per un importante intervento di riorganizzazione urbana. Il cuore dell’operazione consiste nel riconoscimento del ruolo centrale che potrà avere il polo di interscambio fra vari tipi di vettore per il trasporto collettivo di persone, integrato con un sistema di parcheggi, percorsi pedonali e ciclabili, zone destinate alla sola mobilità pubblica e residenziale e con un potenziale collegamento ferroviario/tranviario con l’aeroporto di Orio al Serio. L’idea è quella di generare una nuova polarità urbana, che sia in grado di offrire interessi aggiuntivi a crescenti flussi di persone rispetto a quelli della città storica, integrando perfettamente i sistemi infrastrutturali fra loro, ma anche di essere effettivamente aderente ai bisogni reali della collettività. Per queste ragioni la necessità di superare la “barriera fisica e psicologica” costituita dalle linee ferroviarie avrà come principali riferimenti progettuali soprattutto quelli francesi della zona Seine Rive Gauche a Parigi e degli sviluppi di “Euralille” e “Euralille 2” a Lille, senza però dimenticare le possibilità offerte dalle “stazioni ponte” che caratterizzano, ad esempio, le architetture della stazione di Basilea ed il progetto della nuova stazione di Roma Tiburtina. È, però, evidente che il campo dove si determinerà il futuro dell’iniziativa sarà anche quello della sua sostenibilità economico-finanziaria, che non potrà prescindere da un’adeguata perequazione degli oneri e delle redditività innescate dalla riqualificazione delle aree ferroviarie. Ivan Baroncioni direttore di Porta Sud Spa
Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli
Una città per vivere Brescia non ha più confini, in astratto è un’affermazione che può sembrare positiva, ma, perse le mura, scavalcata la ferrovia che la limitava a sud, la città edificata è dilagata a macchia d’olio fino a congiungersi e a confondersi con i comuni limitrofi. In teoria le amministrazioni hanno tentato di governare lo sviluppo, ma in pratica il processo di trasformazione urbana è stato largamente abbandonato alla forza dei meccanismi economici e produttivi. L’attuale Amministrazione, attraverso la redazione e la pubblicazione del “Bilancio sociale di metà mandato 2003-05” riassume e sintetizza quali sono stati gli obiettivi
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soprattutto pubblici, ma anche ai tempi, o meglio al tempo: “Cronoarmonie per la città futura” è il titolo di un ciclo di nove conferenze, tenutosi dal 10 al 17 novembre 2006, promosso da Comune e Regione, durante il quale si è riflettuto sul rapporto del passare del tempo ed il mutare dell’assetto urbano, sulla percezione delle tempistiche cittadine, sull’armonia tra il tempo del cittadino e quello della città; lo scopo è di giungere alla messa a punto del piano territoriale dei tempi e degli orari, previsto dallo statuto del Comune. Pensando al ridisegno delle strade della città e al tempo, non posso non pensare ai lavori che ormai da alcuni anni, in fasi successive, hanno trasformato viale Bornata, ingresso alla città da ovest: sei rotonde e tre semafori in poco più di un chilometro, a sevizio prevalentemente del comparto Borgo Wührer, (recupero ed ampliamento della vecchia fabbrica della birra, con alloggi ed attività commerciali). Due corsie per senso di marcia più la pista ciclabile, delimitata da un bindello in granito annegato nell’asfalto e interamente dipinto con la riga bianca, che evidentemente sulla pietra risalta di più che sull’asfalto. Non posso non pensare alle interminabili code che si sono formate, ed alla somma di migliaia di mezze ore perse in attesa. Tempo che neppure un’amministrazione virtuosa come l’attuale potrà restituirci. P. T.
Como a cura di Roberta Fasola
… piccoli lampi trasposti su carta come esperimento per raccogliere opinioni non esaustive del tema proposto: sensazioni tradotte in parole, immagini, suoni e colori; idee in grado di offrire nuovi stimoli, quali punto di partenza per discutere sul futuro della nostra città. R. F.
Pensieri di città… “... per questa città, dove vivo e nella quale ho trascorso tanta parte della mia vita, nutro sentimenti contrastanti. Forse non la amo abbastanza o forse non la amo come si meriterebbe. Forse Como è stata troppo di mio padre
FORUM ORDINI
perseguiti, la motivazione di determinate scelte, nonché i risultati sino ad ora conseguiti in vari settori, per dar conto alla cittadinanza di quanto sia stato fatto e si debba ancora fare, in termini non strettamente economici di bilancio. Per quanto riguarda il settore Territorio e Ambiente, vengono così sintetizzati gli impegni dell’Amministrazione nei confronti dei cittadini: “I temi connessi alla riqualificazione urbana attraversano la città contemporanea, in particolare l’ampia città ‘diffusa’, ed attengono essenzialmente ai suoi spazi aperti, alle strade, alle piazze, ai marciapiedi, ai giardini che hanno bisogno di operazioni di manutenzione, ripristino e talora di un generale ridisegno, che ne coinvolga anche gli arredi, i materiali e l’illuminazione. Il sistema ambientale rappresenta la ricchezza di una città: i vuoti connessi alle estensioni della montagna e della pianura, ai parchi e ai giardini, sono gli elementi della salvaguardia sia fisica che psicologica della vita attuale. In questo ambito, gli obiettivi dell’Amministrazione sono principalmente l’estensione della quantità di verde pubblico tramite la realizzazione di nuovi parchi e giardini, il miglioramento qualitativo degli spazi pubblici esistenti quali piazze, aree pedonali sia in centro storico sia nelle periferie, la ristrutturazione e manutenzione straordinaria del verde pubblico esistente, la realizzazione di piste ciclabili nuove con l’intento di creare una rete, per quanto possibile, senza soluzione di continuità. Il centro storico costituisce priorità di intervento dell’Amministrazione come riconoscimento del suo servizio di vero fulcro cittadino, luogo di memoria e luogo di socialità, patrimonio della quotidianità dei bresciani. In questi anni l’Amministrazione si è posta l’obiettivo di valorizzare il centro storico attraverso interventi strutturali di recupero di un’adeguata qualità urbana e di incremento delle dotazioni ed infrastrutture. In tema di governo e sviluppo del territorio non si può prescindere dal nuovo Piano Regolatore Generale (PRG) che comprende, in un disegno organico e programmatico, numerose diverse azioni, tese a rinnovare e trasformare la città, affinché sia più rispondente alle attese della comunità. La città trova in questo strumento nuove regole, al tempo stesso meno rigide e costrittive delle precedenti ma più attente al mutare della città, nuovi progetti per la trasformazione di importanti ambiti urbani, nuovi programmi di lungo periodo che struttureranno la città sia sul versante del trasporto pubblico (metrobus) e privato (gli adeguamenti della rete stradale e i parcheggi) sia su quello della tutela e della valorizzazione ambientale. Si creeranno nuove opportunità sia per la residenza (Sanpolino e Violino) sia per il lavoro (Piano per gli insediamenti produttivi). In tale senso il nuovo PRG rappresenta un vero e proprio progetto urbano: “Se il piano Morini disegnava la città per ‘lavorare’ e se il piano Benevolo proseguiva con la città per ‘abitare’ (S. Polo), il PRG 2002 ‘progetta la città per vivere’” (dalla relazione illustrativa del Piano regolatore generale 2002-04). Una città per vivere, dunque con attenzione agli spazi,
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perché io possa sentirla altrettanto mia. Forse sono irriconoscente, ma per queste case, per questi pochi monumenti, per questo lago irrequieto provo gli stessi sentimenti che sento per il mio corpo: non mi piace anche se riconosco che fino ad ora è stato un rifugio efficiente e servizievole”. Giuliano Collina La città dipinta, Enzo Pifferi Ed., Como, 2000 Se amare vuol dire non vedere i difetti dell’amata. IO NON AMO LA MIA CITTÀ. Giuliano Collina ottobre 2006 È ancora possibile riflettere sull’identità di questa nostra città? Credo proprio di sì e paradossalmente proprio ora, nel corso di mutazioni profonde sia della sua dimensione fisica sia della sua struttura economica. Penso che la ricerca di identità passi attraverso una progettualità critica e coraggiosa dello spazio pubblico, fatta di regole e di dialogo non episodico con il contesto, la sua memoria, le attese e le emozioni dei suoi abitanti. Capace, ancora, di porsi in relazione con i suoi spazi disomogenei, o “sprecati”, o solo dimenticati. Anche Como deve scegliere a quale città appartenere: se, rileggendo Calvino, “… a quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri o quelle in cui i desideri o riescono a cancellare le città o ne sono cancellati”. Angelo Monti architetto, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Como Il futuro del nostro Paese si gioca sulle città, o sapremo modernizzarle oppure saremo emarginati. E si badi bene, non è solo questione di congestione, di inquinamento, di problemi di vivibilità, è anche questione di renderle funzionali ai bisogni nuovi e diversi del nostro tempo. L’economia moderna è un’economia prevalentemente urbana che si alimenta di funzioni urbane. Ed è proprio partendo da questa considerazione che ci si deve muovere, individuando la vocazione della città di Como, decidendo come recuperare le periferie, quali funzioni collocare nel centro storico, come utilizzare le aree dimesse, come affrontare il problema della infrastrutturazione. In un simile quadro diventa imprescindibile l’esigenza di un incontro tra pubblico e privato, in un rapporto che, pur nella salvaguardia dell’identità di ognuna delle due parti, sia sempre meno conflittuale e sempre più collaborativo. Questa è la vera sfida sulla quale si gioca la nuova qualità urbana ed il futuro della nostra città. Valentino Carboncini imprenditore e presidente del Collegio delle Imprese edili di Como
Stella. Cielo. Monte. Acqua. Lago. Luogo. Pietra. Uomo. Fondazione. Como. Struttura. Cardo. Decumano. Luogo pubblico. Piazza. Mura. Torre. Porta. Porto. Chiesa. Palazzo. Pubblico. Cortile. Strada. Cielo ritagliato. Proiezione in pietra. Ombra. Luce. Memoria. Confronto. Contemporaneo. Arte. Architettura. Architettura come spazio, anima, educata, silenziosa, non urlata, ordinatrice, che genera emozioni; l’uomo al centro. L’architettura che ordina la città. L’architettura ha intrinseca la capacità di modificare, reinterpretare il luogo. Marco Vido architetto Como, la bella addormentata – come qualcuno l’ha definita – si è risvegliata e sembra smaniosa di correre verso una nuova bellezza. Finalmente. Dopo un lungo sonno, nuovi quartieri a misura d’uomo, laboratori di sviluppo urbano, sorgeranno presto nell’area industriale dismessa dell’ex Ticosa e nel parco dell’Ospedale Sant’Anna. Dopo un lungo sonno, tornano a splendere gioielli come Palazzo Natta e il Chiostro di S. Abbondio. Rinascono pezzi importanti di città da restituire ai comaschi perché possano viverli con pienezza. Resta un sogno da realizzare: abbattere i cancelli che chiudono il secolare parco urbano del San Martino e insediarvi la cittadella universitaria. Anna Veronelli assessore alle Politiche Educative, all’Università e ai Tempi della città, Comune di Como La città è un corpo vivo e sensibile, pretende tutte le attenzioni e, al tempo stesso, esige che non si trascuri di pensare al suo futuro. Giuseppe Santangelo assessore all’Urbanistica del Comune di Como Nei luoghi indugia il ricordo di chi li ha abitati, vi ha lavorato e ha lasciato le tracce della propria opera. Como, che avverto come la “mia” città, è un luogo memoriale in cui il tempo accumula il corpo e l’intelligenza delle contemporaneità susseguitisi dalla sua fondazione e sopraggiungenti. La città è, a ben guardare, una congerie di “città”: diacroniche, coeve, contrastanti, silenziose, partecipate, impercettibili, esibite, ripresentate, dimenticate, enunciate. La città – inseguendo un’idea cara a Cesare Cattaneo – s’abbraccia al suo paesaggio e al suo lago. Qui – ricorrendo a Ore italiane di Henry James – “ Tutto è irreale, fittizio, elegante e indolente, predisposto a insidiare in modo subdolo ogni rigido convincimento”. Dannazione e delizia di sentirsi – tornando a Cattaneo – “un comasco cento per cento”. Chiara Rostagno architetto, vicepresidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Como
Cremona
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Isabella Sassi, Corrispondenze, 2006.
Le nostre città o metropoli sono veramente ormai prive di valori culturali ed estetici? La presenza nelle metropoli di contesti sociali degradati, che sembrano ormai fuori controllo a livello di sicurezza, e che incidono negativamente sull’importanza del genius loci, possono essere un grido di allarme anche per i centri minori? Nel dibattito architettonico di programmazione territoriale è ormai chiaro che la molteplicità di figure professionali multidisciplinari può garantire una qualità di sviluppo anche socio-economico, che avvantaggi sia centri minori, che metropoli. Il coordinatore di tutte queste funzioni è una figura istituzionale che sappia tessere relazioni sia tecniche che sociali. Un esempio è l’architetto Fiorenzo Lodi, abitualmente curatore di questa rubrica, qui intervistato nelle vesti di Assessore all’Urbanistica di Soresina, comune medio della provincia di Cremona. S. Z.
Intervista a Fiorenzo Lodi
Pino Musi, Dan Graham a Como.
Mi sono abituato a dare un nome ai tombini, a cantare con le fontane e a salutare il sole quando stacca il suo turno: ci lascia un cielo sporco di cognac. (…) Benvenuti nell’ora delle poesie, nell’ora delle porcherie, con i ghirigori al neon che si credono i re del mondo e trasformano la via in una grossa caramella (…) Davide Van De Sfroos Benvenuti (Il ragazzo e le sue scarpe) tratto da Perdonato dalle lucertole, Edlin, Milano
Paese, città o metropoli? ... Libera scelta! Ognuno deve essere libero di scegliere il contesto urbano preferito e in sintonia con il suo modus vivendi; sono i paesi, le città e le metropoli che devono modificarsi in funzione di quella che è la richiesta sociale. L’annullamento delle distanze attraverso i moderni mezzi di mobilità e comunicazione fa sì che la dislocazione di taluni sevizi non influisca più sulla scelta della collocazione residenziale e per tanto i cittadini dovrebbero sentirsi liberi di scegliere dove meglio dimorare. Il progresso non deve essere inteso solo come globalizzazione economica e dei consumi, ma come processo evolutivo della specie alla ricerca del pieno soddisfacimento dei bisogni primari. Mi spiego meglio, la casa (intesa come luogo di riparo notturno) ha perso gradatamente il significato originario evolvendo sia esteriormente che al suo interno, ma per giungere a cosa? Dove arriverà il concetto di casa o meglio di case? È proprio l’insieme delle residenze che costituiranno poi la città che verrà. Lei parla di tipologia domestica o ambiente domestico in grado di creare il contesto urbano, ma non crede che il territorio urbanizzato non sia basato solo sul soddisfacimento di bisogni primari, ma sulla forte identità dei luoghi, quel genius loci così presente nei nostri centri minori?
FORUM ORDINI
a cura di Susy Zagheni
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La forte identità dei luoghi si sta scontrando gradualmente con i costi per mantenerla; i residenti nei piccoli centri, che da più generazioni li vivono e ne difendono gli aspetti socio-culturali, si trovano a combattere sempre più frequentemente con fenomeni che vorrebbero ridurli a meri dormitori o riusi temporanei per le più svariate necessità e interessi, senza alcuna attenzione all’uomo, alle tradizioni e alla storia locale. Il mutare delle esigenze porta alla trasformazione dei piccoli centri che perdono velocemente tutti quei servizi indispensabili alla loro sopravvivenza. Gli amministratori, per attuare una palingenesi non vedono altra possibilità che rivolgersi al settore edilizio, nella speranza di nuovi e freschi introiti in grado di salvare una situazione oramai irrimediabile; tempo due generazioni il genius loci sarà completamente distrutto, a meno che la ragione prevalga sulla politica e che la fusione dei piccoli comuni fra loro possa portare ad una programmazione seria e al superamento della mentalità di avere, in loco, per ogni campanile tutti i servizi. Ma la città come dovrà essere? A nostra misura, frase oramai logora, ma attuale, perché mai realizzata. Questa città potrà realizzarsi quando saranno espulse dal suo interno tutte quelle attività che interferiscono con la qualità della vita, per assurdo si potrebbe parlare di una disneyland per adulti (con teatri, palestre e quanto altro per un buon uso del tempo libero) disseminata di casette basse, singole, con soli mezzi di trasporto pubblico o gratuiti e senza emissioni inquinanti e come uniche attività lavorative ammesse quelle del settore terziario e dell’artigianato di servizio.
no, e dovrebbe azzerare le distanze; si pensi alle ore passate sulla metropolitana o un qualsiasi mezzo pubblico, soli tra una moltitudine, intenti a non incrociare sguardi per non invadere l’altrui privacy, muti, con i pensieri più disparati e tentando di indovinare cosa pensano gli altri. Solo questo giustificherebbe l’uso della propria automobile per gli spostamenti in città, con una piacevole radio accesa sul genere musicale preferito o meglio conversando con un amico. L’urbanistica è ancora in fase preistorica, se l’urbanistica non evolverà in socio-urbanistica al centro della programmazione ci saranno solo interessi economici e non l’uomo. La domanda cui si dovrà rispondere nel futuro sarà: soddisfatti i bisogni primari è necessario soddisfare i bisogni secondari o evolversi culturalmente? Esempio: è necessario e migliorativo trasferirsi dall’appartamento in condominio alla villetta a schiera? È realmente un miglioramento della qualità della vita o semplicemente una nuova cementificazione? È meglio risiedere in un complesso edilizio o in un complesso architettonico? È in grado l’architettura e l’urbanistica di incidere sulla qualità della vita proponendo città a misura di bambino, uomo e anziano?
Una città diffusa dove non si ha controllo sugli spazi pubblici, che sono gli unici luoghi in grado di coagulare la gente? La sicurezza dei centri è un’altra importante questione sul tavolo dei problemi da risolvere. La costante perdita d’importanza dell’agorà dipende soprattutto da questo; il riappropriarsi dei grandi spazi pubblici è una sfida quotidiana che tutte le amministrazioni combattono nel tentativo di ridare ai cittadini quelle aree ormai terra di nessuno specialmente nelle ore serali e notturne. La soluzione migliore è che la gente anziché rinchiudersi in casa di fronte ad un televisore esca e si confronti con i suoi simili e non attraverso un dibattito Tv.
Ma attualmente cosa si può fare per applicare questi concetti al nostro tessuto urbano? Ritornando al presente penso che la nuova Legge Lombarda per il Governo del Territorio sia un buon inizio, anche alla luce dei presupposti che stanno animando la stesura del Piano Territoriale Regionale basato sulla Valutazione Ambientale Strategica. Considerando il fatto che la grande maggioranza dei comuni lombardi è di piccole o piccolissime dimensioni, è importante che gli amministratori non si arrocchino dietro annose visioni campanilistiche, che non diano per scontate le risorse esistenti sul loro territorio, che tengano sempre come obiettivo primario il miglioramento della qualità della vita, che abbiano una visione territoriale allargata alle realtà limitrofe, che comprendano la necessità di suddividere i servizi e le attività economiche su bacini molto più vasti dei loro comuni, che inizino ad interagire creando e partecipando a realtà di macro ambito senza fini speculativi o politici e, come fine ultimo, considerino il loro comune come parte integrante di un tessuto urbano che deve rinnovarsi per offrire quei servizi altrimenti non sostenibili per fondersi in future realtà capaci di competere con le grandi città e le metropoli per offrire un punto di vista alternativo alla visione della vita.
È stato risolto il rapporto tra la forma della società e la tipologia dell’architettura così presente nel dibattito della città e nella pianificazione urbanistica? La pianificazione urbanistica è legata ai concetti sviluppatisi negli anni Settanta – Ottanta, con la suddivisione planare dei vari settori produttivi, residenziali e del tempo libero, sviluppata su pianta geometrica romana e destinata a ghettizzare l’individuo a seconda dei propri interessi. Una moderna pianificazione dovrebbe tendere all’integrazione dell’individuo nel tessuto sociale e urba-
Una pianificazione senza fini speculativi e politici come si realizza con la perequazione presente ormai in tutte le programmazioni territoriali? Parliamo dei diritti edificatori come trasformazione e conservazione del piano di assetto morfologico? In questo caso la responsabilità è solo politica, infatti dipende solo ed esclusivamente dalle indicazioni che gli amministratori danno ai loro tecnici di fiducia e di conseguenza dalle capacità dei tecnici di guidare nelle scelte gli amministratori.
a cura di Antonino Negrini
L’architetto Vinicio Portioli, è responsabile del Settore Urbanistica/Edilizia Privata/Ecologia ed Ambiente del Comune di Codogno (Lo), membro in varie commissioni di alcuni comuni del Lodigiano, progettista e direttore lavori di diverse opere pubbliche realizzate, e urbanista. Ing. Luca Bucci, libero professionista, urbanista e progettista, ha maturato la sua esperienza sia in ambito privato che pubblico. Per il comune di Sant’Angelo Lodigiano, tra i vari incarichi, ha partecipato al progetto per la ristrutturazione del palazzo Delmati, costruzione risalente al Seicento, futura sede del Municipio. A. N.
Codogno: crescita basata su elementi paesaggistici Edifici residenziali, negozi, scuole, impianti sportivi, spazi pubblici, verde e piste ciclabili. Una grande sfida per rivendicare il proprio ruolo di centralità del sud del Lodigiano della città di Codogno attraverso la promozione di un nuovo modello urbano che avvii una strategia volta alla riorganizzazione del territorio dal punto di vista infrastrutturale, morfologico e dell’uso dello spazio. La competitività e l’attrattiva di una città dipendono, oggi più che mai, dalla qualità dei suoi servizi, dall’insieme della qualità insediativa, nonché dalla possibilità di offrire opportunità di connessioni estese ad ambiti metropolitani esterni. Il nuovo modello urbano, proposto dal Documento di Inquadramento per le Politiche Urbane, promuove una strategia generale per la città in grado di rafforzare, rilanciare, e rideterminare il ruolo e i modi di espressione di questa centralità locale, indirizzando lo sguardo alle potenzialità inespresse e alle opportunità latenti, il tutto senza perdere di vista l’aspetto della qualità. Si è andati oltre le tradizionali zonizzazioni e i semplici indici quantitativi, tipici del vecchio modo di fare urbanistica, e si è cercato di dotarsi di una strategia integrata di sviluppo che coniughi gli aspetti insediativi, infrastrutturali, ambientali, con le condizioni economiche e le risorse pubbliche e private. Viene individuato un nuovo modello urbano a “croce” costituito da quattro vasti ambiti integrati, singolarmente tematizzati, con il centro posto sugli attuali spazi dismessi intorno alla ferrovia al fine di ricomporre i due versanti della città, oggi interrotti dalla stessa. Il modello rovescia l’attuale asse di sviluppo nord/ovest, con una nuova strategia di riequilibrio verso il sud della
città, al fine di ricondensare la forma urbana (oggi tendente alla disgregazione), di riqualificarne le parti e i settori penalizzati. Condizione necessaria al successo di detto modello, affinché si verifichi un uso appropriato delle risorse disponibili, è la convergenza tra le scelte urbanistiche e le scelte di mobilità. Nodo focale e strategico delle trasformazioni urbane di Codogno diviene l’ambito della stazione, che viene identificato quale nodo polifunzionale, in grado, attraverso l’interscambio e l’intermodalità di valorizzare la centralità di Codogno. Il Documento, quindi, grazie all’innovativo modello di approdo di cui sopra, e ai nuovi sistemi infrastrutturali fa assumere ai vecchi tracciati urbani il valore e il significato di strada urbana di passeggio e di connessione con gli edifici pubblici principali e monumentali della città. I nuovi tracciati “costruiscono” così una nuova parte di città in ambiti dimenticati o di risulta, aggregando vecchie preesistenze (impianto fieristico) e disponendo nuovi elementi di valore urbano (impianti sportivi, parchi, nuovi edifici commerciali e terziari del nodo della stazione, parcheggi) quali capisaldi del nuovo “centro della periferia”. Contrariamente alle disposizioni dispersive a bassa densità della parte nord della città, il Piano propone, per questo settore della città, matrici dispositive proprie della città “compatta” in grado di integrarsi con la parte consolidata del centro storico sia dal punto di vista della sua densità, sia dal rapporto con la strada e con gli spazi pubblici. Ciò permetterà di trasformare l’attuale periferia in uno spazio urbano nuovo, una parte di città contemporanea, profondamente legata alla struttura consolidata da precise disposizioni morfologiche e da nuovi, ma coerenti livelli di artificializzazione. Il Piano prevede per questa parte di città, l’insediamento di importanti presenze edilizie i cui ambiti trasformativi sono organizzati in Unità Organiche d’Intervento autosostenibili, che non necessitano della realizzazione delle altre per funzionare, ma partecipano, una volta attivate, alla costruzione di un impianto infrastrutturale che fa parte di un sistema più ampio che interessa tutta la città. Vengono previsti insediamenti a destinazione residenziale per una volumetria complessiva pari a circa 350.000 mc (118.000 mq), per una capacità insediativa residenziale teorica di circa 2.350 abitanti.
Masterplan del Comune di Codogno.
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Lodi
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La quota di attività diverse dalla residenza, in termini di slp, è pari al 18%, di cui il 5% con destinazione terziaria e il 13% per attività commerciali. Le aree destinate ai sistemi ambientali, quali il bosco urbano, la fitodepurazione e i corridoi ambientali hanno una superficie di ben 1.500.000 mq. Appare evidente, quindi, che la più importante caratteristica programmatica proposta dal Piano consiste nella ricerca della “qualità urbana” attraverso un attento disegno progettuale degli spazi pubblici e di relazione tra gli edifici e le infrastrutture. Gli spazi tra le parti assumono più importanza delle parti stesse e sono trasformati da meri interstizi tra gli elementi edificati a sistemi complessi generatori di forma urbana. La sfida di questa nuova idea di città consiste quindi nella costruzione di un sistema strutturale basato su elementi paesaggistici in grado di contenere una maggiore flessibilità e adattamento del disegno urbano alle dinamiche future, al contrario di molti piani urbanistici degli ultimi decenni che hanno affidato agli elementi edificati la parte esclusiva di essi. Vinicio Portioli
Sant’Angelo Lodigiano: la restituzione della qualità urbana Sant’Angelo Lodigiano si trova oggi nella condizione favorevole nella quale le energie della società si riescono a catalizzare per modificare lo spazio in cui vive adattandolo alle sue nuove esigenze. Come in molte altre realtà italiane, gli ultimi venti anni del secolo scorso hanno portato, da una parte ad una importante espansione che ha ampliato i confini urbani; dall’altra, nelle aree del nucleo di antica formazione, un periodo di progressivo impoverimento nelle modalità d’uso e di banalizzazione dei caratteri dei manufatti che ne costituivano il paesaggio costruito. Questo processo è stato invertito per una rinnovata sensibilità che la collettività ha espresso nei confronti dei luoghi centrali della città nei quali si è sempre identificata. L’osservazione degli spazi dove la gente si incontra, passeggia, passa parte del tempo libero “in pubblico”, ha costituito la premessa per avvicinarsi a modi di vita e consuetudini d’uso dello spazio, e ha rappresentato una delle letture preliminari per l’elaborazione di una strategia complessiva di messa a sistema e di rivitalizzazione del nucleo di Sant’Angelo Lodigiano intrapresa dalla Amministrazione Comunale. Un’ampia tipologia di interventi, che coinvolgono edifici storici e spazi oggi privi di connessioni con il tessuto circostante, restituirà alla città edifici pubblici, museali, di culto, oltre a piazze e strade rinnovate con nuove relazioni di forte continuità. In questo quadro si situa la riqualificazione dell’asse commerciale di via Cabrini che, da un’attenta osserva-
Sant’Angelo Lodigiano, planimetria con indicate le relazioni tra luoghi pubblici.
zione dei suoi diversi modi d’uso, ridisegna il suolo e gli arredi dialogando in modo serrato con gli edifici di pregio che si affacciano sulla strada e con la casa natale di Santa Madre Cabrini. Il recupero in corso dello storico Ospedale Dalmati, destinato alla nuova sede municipale, segna la riappropriazione da parte della città di un complesso edilizio fortemente legato alla memoria collettiva e di valore architettonico che, inoltre, pone le premesse per l’apertura degli spazi aperti e dei giardini che costeggiano le mura spagnole. Gli interventi sul Ponte del Lambro collegano in modo appropriato le parti di città separate dal fiume e il restauro della Cascina Ortaglia; oltre che ampliare significativamente l’offerta di spazi espositivi e museali in un edificio di grande suggestione, colllegano il giardino del Castello alle piazze centrali. La Cittadella dei Servizi è l’occasione per riqualificare degli spazi aperti di connessione con il centro storico insieme alla realizzazione di un complesso destinato alla nuova biblioteca, a spazi espositivi, alla sede di enti e associazioni pubbliche. Infine, il riuso del complesso di San Giorgio restituisce un immobile di pregio nelle immediate vicinanze del Castello. Queste iniziative tracciano una nuova mappa delle centralità della città, più diffuse all’interno del tessuto urbano di antica formazione ed arricchite di nuovi spazi che ospiteranno occasioni di ritrovo collettivo. L’articolazione d’usi aperti alla cittadinanza, la posizione degli interventi in punti nodali e l’attenzione per la costruzione dello spazio fisico che materialmente costituisce la città percepita da chi la abita, concorrono a restituire la qualità urbana e la complessità che caratterizzerà nel prossimo futuro gli spazi più vitali di Sant’Angelo Lodigiano. Luca Bucci
a cura di Nadir Tarana
Verso un’idea partecipata di città: il Piano strategico di Mantova Mantova ha deciso di intraprendere un percorso di pianificazione strategica per affrontare il proprio futuro. L’iniziativa è promossa dal Comune, ma non si tratta soltanto di uno strumento d’azione dell’Amministrazione: il Piano strategico si configura come un processo di lavoro aperto, che coinvolge tutte le forze economiche, culturali e sociali della città per definire in maniera condivisa le linee di sviluppo della comunità locale. Il percorso di pianificazione strategica è un processo di democrazia deliberativa attraverso la quale la città, nel suo insieme, è chiamata a costruire il “disegno strategico” del territorio, definendo gli spazi dell’azione collettiva nel lungo periodo, aumentando la capacità progettuale sviluppata dalla città a livello locale, regionale e globale e migliorando l’offerta di beni collettivi. Il Piano strategico è uno strumento di intervento sul tessuto urbano e sociale che si situa in uno scenario ampio nel quale si stanno verificando mutamenti significativi: le città italiane, in particolare quelle di dimensioni medie e medio-piccole, stanno affrontando un delicato percorso di cambiamento. Le difficoltà nel governare le città aumentano, poiché le diverse funzioni economiche e sociali soggette a regolazione o controllo da parte dell’attore pubblico diventano più complesse e si sviluppano su aree territoriali più ampie dei confini della città stessa. Il governo della città non coincide più con i suoi confini amministrativi, ma richiede di concentrare l’attenzione su reti sempre più estese, affollate da un vasto numero di attori pubblici e privati. Inoltre, il ruolo economico dello Stato si riduce e la competizione tra città aumenta: negli ultimi anni la funzione politica delle città ha incrementato la sua importanza non solo come riferimento importante per l’identità dei cittadini, ma anche come scenario per un’economia locale che utilizza le risorse del territorio e le reti urbane come trampolino per affrontare la competizione globale. Le forze economiche sono attratte da territori che offrono situazioni ambientali migliori sotto il profilo delle infrastrutture, dei servizi, della qualità della vita, dell’ambiente culturale e sociale. Con la caduta delle barriere protettive (storiche, politiche, geografiche, istituzionali) aumenta la mobilità dei capitali, delle imprese, dei servizi: le rendite di posizione acquisite nel passato sono oggi sfidate da una crescente competizione tra città, intese come soggetti collettivi che si dotano di strategie condivise per acquisire e consolidare “vantaggi specifici”. Non esistono ricette valide per tutti i territori in base alle mode o ai settori emergenti del momento: ciò che è valido per un territorio non è in molti
casi applicabile in un altro. Le storie di successo ci insegnano che le strategie vincenti sono quelle che partono dalle caratteristiche specifiche dei sistemi locali, dalla loro storia e dalle risorse – materiali e immateriali – presenti. L’obiettivo diventa quindi quello di coordinare le diverse funzioni verso obiettivi condivisi per sviluppare parallelamente gli aspetti economici, quelli sociali e quelli culturali. Ma per far questo non bastano gli strumenti tradizionali di pianificazione: è necessario individuare strumenti che siano sistemici e sempre più inclusivi, e che prevedano il crescente coinvolgimento di tutti gli attori presenti nel territorio. L’obiettivo principale del Piano strategico è quello di stabilire una maggiore coesione tra i cittadini, tra le parti sociali, tra gli interessi presenti nel territorio, attraverso la delineazione di un processo creativo in cui ciascun soggetto coinvolto, portatore di uno specifico modo di definire problemi, priorità e domande, contribuisca a creare una visione della comunità locale e a ridefinirne l’identità. Il Piano strategico individua delle “visioni al futuro” che sono capaci di generare processi di apprendimento e di accrescere la consapevolezza dell’identità locale. Infatti, all’interno della cornice rappresentata da queste idee condivise, gli attori sceglieranno processi e percorsi che possano andare nella direzione desiderata verso la meta valida per tutti e incorporata nel Piano. Proprio per la sua natura di forma di concertazione orientata su orizzonti temporali ampi il Piano strategico si configura come un processo in continua evoluzione, che non si esaurisce in un documento valido una volta per tutte, in una mera somma di progetti o – peggio – in un “libro dei sogni”, un’astratta raccolta di buone intenzioni per il futuro. Il Piano strategico è diverso dal Piano regolatore, lo strumento normativo comunale volto a definire i limiti dell’attività edificatoria nel territorio comunale. Il Piano strategico non è infatti un atto amministrativo, ma è frutto di una scelta politica volta a creare arene democratiche per disegnare assieme, concretamente e fattivamente, il futuro della città. In questi termini, il Piano strategico non riguarda soltanto gli aspetti urbanistici e territoriali ma anche gli altri aspetti essenziali della vita cittadina dal punto di vista sociale, economico, culturale. I progetti che saranno ricompresi nel Piano strategico guarderanno ad un arco temporale ampio, definibile in un periodo di 15-20 anni: il tempo necessario per realizzare delle strategie concrete che abbiano un impatto significativo e duraturo sulla città. E naturalmente si deve tener conto di trasformazioni che richiedono un tempo ancora maggiore. Per sua natura il Piano strategico si presenta come concentrato sul futuro, ma non per questo trascura di considerare i problemi quotidiani dei cittadini: esso intende occuparsene con la consapevolezza che soltanto intervenendo in modo sistemico e complessivo su ciò che a vario titolo determina quei problemi quotidiani sia possibile dare loro una soluzione definitiva. Per realizzare alcune scelte e dar luogo ad alcuni progetti (di minore complessità e di maggiore urgenza) si può (si deve) partire subito dopo l’approvazione
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Mantova
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Matteo Vairo, progetto per l’area di Fiera Catena.
del Piano da parte della città. Per progetti a media ed alta complessità sarà invece certamente necessaria una fase di progettazione più lunga e soprattutto la programmazione di tempi di realizzazione assai più distesi. Un aspetto fondamentale del Piano riguarda poi l’ambito spaziale della sua applicazione: come insegnano le esperienze europee ed italiane di successo, nessun Piano strategico si limita all’ambito ristretto del Comune promotore. In particolare, nel caso di Mantova la presenza dei laghi ha portato a una fortissima commistione di flussi e funzioni tra il Comune capoluogo e la cintura periurbana, definendo una città allargata che condivide problematiche, tensioni e che necessita di soluzioni comuni. Superare i confini amministrativi è quindi una necessità se si vogliono attuare strategie in grado di avere un impatto significativo sul territorio e sui suoi abitanti: ecco perché il riferimento spaziale del Piano strategico è quello dell’intera area metropolitana della Grande Mantova, intesa come un soggetto unico che necessita di attivare forme di coordinamento e spazi di partecipazione stabili ed efficaci. Partendo dalla Grande Mantova, cioè dal territorio dei Comuni di Bagnolo, Bigarello, Borgoforte, Castel d’Ario, Castellucchio, Curtatone, Mantova, Marmirolo, Porto Mantovano, Rodigo, Roncoferraro, Roverbella, S. Giorgio, Virgilio, il Piano si occuperà inoltre di stabilire forme di interazione strategica con altri luoghi (sistemi locali della Provincia, aree urbane, regioni vaste) che sono – o saranno in futuro – importanti partner di sviluppo per la città allargata. Gruppo di lavoro del Piano strategico della Città di Mantova
Milano a cura di Roberto Gamba
Il PGT come strumento di programmazione La maggior parte dei comuni della provincia di Milano esprime le proprie ambizioni urbanistiche, che cercano di prefigurare uno sviluppo sostenibile e dinamico del terri-
torio e della comunità, attraverso documenti programmatici: oppure con relazioni di intenti allegate ai Piani di Governo del Territorio che, in vari casi, si stanno oggi redigendo. Il PGT, istituito con la LR 11 marzo 2005 n. 12, diverrà lo strumento principe per la definizione delle linee guida fondamentali e di dettaglio dello sviluppo urbanistico di un ambito territoriale. Nelle intenzioni della maggior parte di coloro che lo promuovono esso si ispira al criterio della sostenibilità, intesa come garanzia di crescita del benessere dei cittadini e di salvaguardia dei diritti delle future generazioni. Esso si compone di un documento di piano, di un piano dei servizi e di un piano delle regole. Numerosi comuni, anche dopo aver accolto suggerimenti e proposte da parte delle rispettive cittadinanze, stanno predisponendo questo strumento, che può essere definito un vero e proprio organizzatore di idee per lo sviluppo e l’innovazione della crescita cittadina e nello stesso tempo un’occasione di razionalizzazione e coordinamento con i princìpi ispiratori del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), a cui deve necessariamente fare riferimento. Nella provincia di Milano, Buccinasco è stato il primo Comune a dotarsene e i suoi elaborati programmi ne affermano la volontà di migliorare i servizi, di mantenere e valorizzare il sistema agricolo, di recuperare il sistema idrografico minore, di riqualificare le centralità urbane e il sistema degli spazi pubblici, di recuperare e conservare i nuclei di origine rurale, di rendere efficiente il sistema della mobilità. Azioni fondamentali vengono ritenute quelle del recupero e del rispetto degli spazi di socialità; la qualità dell’abitare e la politica della casa; il soddisfacimento della domanda di edilizia in affitto. Pur non prevedendo nessun consumo di suolo, l’intento è quello di un’azione finalizzata al recupero e alla riqualificazione degli elementi di degrado. Esprime poi l’intenzione di salvaguardare, valorizzare e supportare la realtà produttiva, formata da piccole e medie imprese, non incoraggiandone la dismissione a vantaggio di nuovi spazi di edificazione residenziale. Il programma che si è posto il Comune e il sindaco di Abbiategrasso idealizza la trasformazione della città, come luogo del cambiamento fisico e sociale. A tutti deve essere garantito uno standard di servizi di qualità e non sono più quindi possibili ipotesi che prevedano ulteriori espansioni periferiche, se non di limitato completamento e di cucitura di slabbrati margini edificati, al di là dei limiti del Naviglio e del Parco del Ticino. Le aree più importanti dovranno essere definite con il ricorso allo strumento del concorso di idee. Ad un rapporto monocentrico con Milano, va sostituita una logica policentrica che valorizzi le risorse locali. Verso il capoluogo deve essere mantenuto lo spazio di verde che impedisce alla grande città di espandere la propria periferia. Deve essere favorito un uso anche turistico dell’asta del Naviglio
Grande, valorizzato il centro storico, recuperati gli edifici storici di Castelletto, come scelta strategica e prioritaria. L’Amministrazione comunale di Pieve Emanuele, per prima nel sud Milano, ha avviato il procedimento per la predisposizione del Piano di governo del territorio. Il PGT incentiverà: le iniziative dei privati che riqualificano il territorio e ricorrono alla bioedilizia, il superamento dell’esproprio come mezzo per il Comune di reperire i terreni necessari alla pubblica utilità, l’introduzione del principio mai applicato della maggior equità della pianificazione urbanistica. La scommessa che si pone Pero riguarderà la riprogettazione di un territorio dove la qualità dell’ambiente, della città e della vita possano avere spazi e attenzioni. La strategia si basa su quattro presupposti: riduzione dell’inquinamento ambientale ed atmosferico, miglioramento della mobilità, realizzazione di grandi aree verdi, recupero del tessuto urbano ed industriale. Per quanto riguarda il capoluogo invece, la manifestazione di idee e di proposte di trasformazione di parti di città si sussegue. In particolare, alla Biennale di Venezia una mostra, dal titolo Le città nella città. Costruire oggi la Milano del futuro ha visto esposti progetti di sviluppo immobiliare, presentati dal “Gruppo Risanamento”: il nuovo quartiere Milano Santa Giulia progettato da Norman Foster, affiancato dalla riqualificazione dell’ex area Falck a Sesto San Giovanni firmata da Renzo Piano. Essi affrontano il tema del recupero e della trasformazione di aree un tempo industriali. Il primo progetto è concepito come una “città nella città”, dotata di servizi e infrastrutture (parco, un centro congressi da 8 mila posti, alberghi, una chiesa, collegamenti ferroviari, tramviari e con l’aeroporto), collegata con il centro storico e con l’esterno. Per il secondo è prevista la realizzazione di un nuovo quartiere, che si estenderà tra rovine industriali e case di 12-30 m di altezza, immerse in un parco di oltre 1 milione di mq e che opererà una “ricucitura” tra due parti di Sesto San Giovanni divise dalla ferrovia e dalle ex aree industriali Falck. La nuova stazione ferroviaria è stata concepita come una piazza urbana pensile. Pietro Valle, infine, ha inviato un suo contributo che illustra i princìpi ispiratori del progetto urbanistico di riqualificazione dell’area del Portello a Milano. R. G.
Attraversare le differenze Nel redigere il progetto urbanistico di riqualificazione dell’ex-area industriale del Portello attraverso lo strumento del PGT, ci siamo confrontati con specifiche peculiarità che segnano l’operare nella realtà contemporanea di Milano: • l’assenza di un’idea generale di città che renda confrontabili le sue parti e, di conseguenza, i progetti;
Studio Valle (Ud), piano per l’area del Portello a Milano, planivolumetrico.
• l’operare per un cliente privato che ha richiesto un impianto fatto di parti sviluppabili (e commerciabili) per fasi le quali potessero mantenere una reciproca autonomia. Il rischio era quello della frammentazione del nuovo intervento in enclaves chiuse in se stesse e non comunicanti (né fisicamente né socialmente) con l’intorno, sintomo questo di una progressiva “suburbanizzazione” della città che, se perseguita, avrebbe portato al paradossale ritorno di uno zoning che pone interventi dispersi in una città vista come tabula rasa. Il problema è stato affrontato caratterizzando le parti del piano come “brani” di architettura fortemente connotati, relazionandole all’esistente con spazi pubblici condivisi che ne modifichino l’attuale isolamento, e collegandole tra loro con una rete di percorsi pedonali che superano le barriere infrastrutturali che dividono l’area. Elementi fondanti del piano sono infatti: • una grande piazza a ventaglio che ricontestualizza l’edificio della Fiera di Mario Bellini all’interno di un nuovo recinto urbano segnato da tre edifici terziari; • un asse pedonale che, partendo dalla Fiera, supera viale Serra e collega due quartieri residenziali, un nuovo parco urbano e la zona di piazzale Accursio; • una seconda piazza, quella dell’Aggregato Commerciale, che caratterizza lo sbocco dei nuovi interventi nei quartieri a nord dell’area. Anche in questo altro terminale, il tema del centro commerciale è stato trattato come un pezzo di città dove si privilegiano le aree pedonali (con portici e loggia) e la loro estensione nell’esistente. Lo spazio pubblico e il movimento pedonale sono quindi princìpi insediativi che collegano parti (di progetto ed esistenti) diverse e non le isolano mai in se stesse. I pieni possono evolversi nel tempo, ma fanno riferimento a una “forma del vuoto” che ne garantisce la relazione in tutte le fasi di realizzazione del piano urbanistico. Il percorrere gli
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spazi a piedi diviene misura e orientamento della città, permettendone un’accessibilità prima impensabile. Per ottenere questa continuità, particolare attenzione è stata posta nel gestire il traffico carrabile con parcheggi posti al di sotto gli spazi pubblici e con ulteriori episodi spaziali che segnano la loro continuità coi percorsi pedonali (è il tema della piastra perforata coperta da loggiati che caratterizza entrambe le piazze della Fiera e dell’Aggregato Commerciale e dei piani inclinati che legano i diversi flussi). Il progetto inserisce i blocchi edilizi in un paesaggio artificiale segnato dalla continuità pedonale tra diversi livelli. La città per parti si confronta quindi con una figurazione cinetica che le relaziona attraverso la durata e il movimento. Questa gestione della distanza è capace di annettere il vuoto urbano in una strategia di relazione e non lo riduce mai a un intervallo neutrale tra episodi costruiti non collegati. Il lavoro sulla nuova Milano diviene quindi progettare l’attraversamento delle differenze, o meglio, definire un passaggio che inviti all’esperienza del confronto tra le parti. Pietro Valle
Monza e Brianza a cura di Francesco Redaelli e Francesco Repishti
Michele Faglia, architetto e sindaco di Monza dal giugno 2002, è presidente dell’Assemblea dei sindaci dei comuni della nuova Provincia di Monza e della Brianza. Ritenendolo l’interlocutore istituzionale più adatto per discutere delle prospettive di sviluppo di Monza e del suo territorio di competenza, gli rivolgiamo alcune domande a riguardo. F. Redaelli
Un’idea di città per Monza e la Brianza Monza e la Brianza sono da sempre interessate dal dibattito sui destini dell’area metropolitana milanese. Ancora oggi, in occasione delle grandi scelte di pianificazione alla scala territoriale, sentiamo riproposti slogan quali “la grande Milano” o la “città infinita”, che sembrerebbero ridurre la Brianza in un’indifferenziata periferia metropolitana. In quale modo ritieni possibile che l’occasione rappresentata dall’istituzione della nuova Provincia possa permettere a Monza e al suo territorio di emanciparsi da Milano e di riscoprire un ruolo autonomo in un quadro di relazioni autenticamente policentrico? Negli ultimi decenni Monza ha avuto un rapporto molto subordinato con Milano, mentre ha forse dialogato poco
Comune di Monza, Piano di Governo del Territorio. Individuazione dei servizi strategici.
con le città capoluogo pedemontane, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia. Credo che questi rapporti con le città del second’ordine debbano essere coltivati e perseguiti come obiettivo politico. Il Piano d’Area della Brianza in corso di redazione dovrà collocarsi all’interno di una visione policentrica che deve interessare sia tutta l’area metropolitana milanese, sia la Brianza al suo interno. In questo senso i sindaci della Brianza hanno chiesto che si tenga conto delle diversità che caratterizzano il loro territorio, articolato in tre aree distinte, orientale, centrale, occidentale, contraddistinte da differenti identità e dalla presenza di città importanti, oltre Monza, quali Vimercate, Desio, Seregno, Cesano Maderno. Monza ha da sempre instaurato salde relazioni con il suo territorio: da quando nella piazza di mercato del “pratum magnum” si riversavano i prodotti delle campagne; da quando le manifatture tessili e i cappellifici occupavano migliaia di operai provenienti ogni giorno da tutto il territorio circostante attraverso le prime linee ferroviarie e le tramvie. A partire dal dopoguerra Monza è stata interessata da una progressiva trasformazione da centro produttivo a città dalla forte vocazione terziario-residenziale, da una sorta di chiusura su se stessa e sulle proprie rendite immobiliari. Oggi come ritieni possibile che Monza, trasformata istituzionalmente nel capoluogo di un territorio storicamente di sua pertinenza, possa riaprirsi, come già nel passato, alla Brianza e alle sue molteplici realtà ? Penso che qualcosa stia già succedendo, ed in questo senso la legge istitutiva della nuova Provincia ha senz’altro aiutato. La costituzione dell’Assemblea dei sindaci della Brianza ha permesso rapporti di collaborazione tra Comuni sempre più intensi. Sono tanti i progetti già avviati: le società dei servizi, le “Agende 21” che coinvolgono a rete più di quaranta Comuni, le agenzie di sviluppo, il sistema della cultura. In un quadro di questo tipo penso che Monza debba puntare il suo futuro sull’aspet-
Rimanendo nell’ambito dei servizi, non ritieni che l’importanza del tema costituito dalla nuova sede della Provincia presso l’area della Caserma IV Novembre avrebbe richiesto la promozione di un concorso di idee che ne definisse i caratteri architettonici e d’impianto? Sono d’accordo con te, però purtroppo questa strada non è stato possibile percorrerla, in quanto diversi erano gli attori coinvolti nel progetto e troppo ristretti erano i tempi a disposizione. La sommatoria dei diversi contributi provenienti dagli enti coinvolti ha prodotto un progetto che inevitabilmente sconta la mancanza di una visione d’insieme. Oggi l’urbanistica monzese deve ancora fare i conti con un Piano Regolatore vigente redatto da Piccinato nel lontano 1964, dimensionato su un numero di abitanti praticamente doppio rispetto quello attuale. Nel corso del suo mandato l’amministrazione comunale in carica ha promosso la revisione dello strumento urbanistico della città. Potresti parlarci delle linee guida e dell’idea di città alla quale si ispira il nuovo Piano di Governo del Territorio oggi in discussione? Innanzitutto il Piano riconosce questo ruolo di Monza come città capoluogo, quindi come città di riferimento per i servizi primari. Poi, pone una certa attenzione alla qualità della vita intesa come giusto rapporto tra spazi edificati e spazi non edificati, riconoscendo alla città quella varietà, quella biodiversità, quelle risorse storiche, ambientali e naturalistiche, che le permettono di distinguersi dagli altri centri dell’hinterland milanese. Dopo anni durante i quali la città si è espansa sviluppando interi quartieri monofunzionali in senso residenziale, il Piano esprime la necessità di una diversificazione di funzioni al suo interno, con una grande attenzione al recupero delle aree dismesse, nel tentativo di rivitalizzare il tessuto urbano dal suo interno senza andare a consumare altre aree libere. Infine, il Piano esprime una visione di città aperta, di città che accoglie e che si integra con differenti culture, religioni, matrici ideologiche. Nel corso dei secoli Monza è stata capace di esprimere esperienze significative in campo culturale, penso per esempio alla stagione delle Biennali monzesi negli anni Venti che hanno avuto una risonanza di scala almeno nazionale. In che stato si trova oggi il sistema della cultura in città, e quali pensi possano essere le prospettive di sviluppo? Per quanto riguarda i luoghi dello spettacolo, mentre è diminuito il numero delle sale cinematografiche presenti
in città, è però aumentato il numero delle rassegne teatrali, sei, accompagnate da una vera e propria produzione di spettacoli teatrali presso il “Binario 7” all’”Urban Center”. Inoltre è già stato finanziato il recupero dell’edificio ex Enel in via Galvani come “Casa delle arti” che ospiterà le associazioni teatrali e musicali, mentre la “Cittadella dei giovani e della cultura” sarà concepita come un grande parco urbano attraverso la riscoperta delle aree del vecchio macello, dove verranno ospitate nuove funzioni legate all’intrattenimento giovanile. Per quanto concerne gli spazi espositivi, è già in corso di realizzazione il “Museo della città” presso la casa degli Umiliati, ed è stato indetto un concorso di idee per la progettazione di un “Museo del lavoro“ nell’area dell’ex cotonificio Cederna. Concludo ricordando come il Parco di Monza, in occasione del suo duecentenario, è diventato un contenitore eccezionale di eventi legati all’arte contemporanea, nel tentativo di aprire la città a nuovi linguaggi e a nuove esperienze di comunicazione.
Pavia a cura di Vittorio Prina
Pavia: prospettive di sviluppo urbanistico Dopo circa dieci anni di elaborazione, nel 2003 è entrato in vigore il nuovo PRG, redatto dallo Studio Gregotti Associati. Il Piano Regolatore, integrato sotto il profilo strategico dal Programma del Sindaco, si propone i seguenti obiettivi: • favorire sviluppo sostenibile e qualità dell’abitare e del vivere; • promuovere programmazione e concertazione come metodo di governo del territorio; • invertire la tendenza al declino demografico e alla stagnazione economico-occupazionale, rilanciando il ruolo del capoluogo alla scala provinciale; • articolare le politiche e interventi in relazione alle differenti parti della città (tutela e valorizzazione del centro storico, completamento e riqualificazione delle periferie, trasformazione delle aree dismesse e sottoutilizzate); • riqualificare il sistema dei servizi in ragione delle profonde trasformazioni socio-economiche vissute dalla città negli ultimi decenni. Sotto il profilo quantitativo il PRG prevede la realizzazione di circa 10.000 nuovi vani residenziali, corrispondenti a circa 7.500 abitanti, ovvero un incremento di circa il 10% della popolazione attuale. Questo corrisponde alla possibilità di realizzazione di circa 350.000 mq di slp residenziale di nuova edificazione, che si stima possa svolgersi nell’arco di un decennio. Per quanto riguarda le altre attività, cioè terziarie, commerciali e produttive il
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to dei servizi, avendo ormai perso la sua storica vocazione produttiva. Si tratta forse di riattualizzare un ruolo come città dei servizi che ha già ricoperto nel periodo dell’industrializzazione, ritornando ad essere centro di riferimento per il suo territorio.
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PRG prevede nelle aree oggetto di nuova edificazione la realizzazione di circa 131.000 mq di slp. Pur muovendo quantità edilizie non trascurabili, sotto il profilo morfologico il PRG vigente prevede in prevalenza interventi di ricucitura del tessuto esistente, mediante il recupero di aree dismesse e il completamento di spazi interstiziali, con caratteristiche analoghe a quelle dell’intorno, di cui si cerca di non mutare gli equilibri. Anche l’intervento di espansione di maggiore dimensione, lo sviluppo residenziale alla Cascina Pelizza riprende l’impostazione tipica (da “città giardino”) delle zone residenziali esterne cittadine, valutate positivamente dagli abitanti. Le attuazioni in corso Il PRG vigente prevede modalità semplificate di trasformazione urbanistica, con frequente ricorso alla procedura della concessione edilizia convenzionata. Questo ha permesso, nel solo corso del 2005, di approvare interventi di trasformazione urbanistica per circa 115.000 mq di slp residenziale. Anche l’attività edilizia non è da meno. Nel solo corso del 2005 sono stati rilasciati permessi di costruire per circa 113.000 mq di slp, di cui solo 25.000 in attuazione di piani urbanistici, mentre sono stati rilasciati oltre 800 provvedimenti di recupero del patrimonio edilizio esistente. Tali trend sono confermati nel primo semestre 2006. Confrontando poi i due dati (piani urbanistici e permessi di costruire edilizi), si può stimare che si stia formando un’“onda” di attuazione di interventi, i cui risultati concreti, sia sotto forma di cantieri che di nuovi edifici, si stanno già vedendo e ancor più si apprezzeranno nei prossimi tempi. Le nuove iniziative L’Amministrazione nel prossimo futuro intende seguire tre linee di lavoro. • Attuazione e aggiornamento del PRG vigente. Tale attività si sta esplicando sia attraverso concessioni edilizie convenzionate (in primo luogo le cosiddette “schede normative” previste dal PRG, riguardanti una molteplicità di ambiti, per lo più, come precedentemente ricordato, interstiziali) sia attraverso varianti parziali al PRG (entro le quali spiccano quelle finalizzate alla realizzazione di servizi, come il Villaggio dell’Accoglienza o quelli inclusi nei Contratti di Quartiere) sia attraverso “stralci attuativi” (in particolare il completamento del Piano degli Insediamenti Produttivi al Bivio Vela) sia attraverso adeguamenti regolamentari (variante parziale delle NTA, tesa soprattutto ad estendere l’istituto della cosiddetta “perequazione”, stesura del nuovo Regolamento Edilizio, limitazione del campo di applicazione della normativa riguardante il recupero dei sottotetti esistenti) o tributari (aggiornamento di costo di costruzione e oneri, monetizzazione delle aree a standard). • Grandi interventi riguardanti le aree di trasformazione. Dopo la recente approvazione del Programma Integrato d’Intervento (PII) sull’area ex Marelli tra la stazione ferrovia-
Area residenziale Cascina Pelizza. Planimetria.
ria e il centro storico (circa 12.500 mq di slp terziaria e residenziale), sta giungendo a compimento l’iter procedurale riguardante il PII dell’area ex Snia nella periferia est (circa 100.000 mq di slp, con destinazione residenziale, commerciale e terziario-produttiva, corredata da nuovi servizi scolastici e per il quartiere e da una nuova viabilità). Analogamente si sta completando l’iter procedurale concernente un importante intervento commerciale (8.100 mq di slp di vendita) riguardante l’area ex Fiat sulla Vigentina a nord, che prevede, oltre alla riqualificazione viaria del comparto, anche la cessione di un’area attrezzata per ospitare spettacoli viaggianti. Infine, nuove proposte si stanno formalizzando per l’area ex Neca (circa 50.000 mq di slp su 80.000 mq), in localizzazione strategica in prossimità della stazione, sulla quale si prevede l’insediamento di strutture congressuali-ricettivo-espositive, uffici e residenza, accanto, anche in questo caso, a importanti sistemazioni viarie). • Piano di Governo del Territorio Infine, è stato avviato il procedimento di formazione del nuovo PGT (Piano di Governo del Territorio), per adeguarsi alla LR 12/05. Secondo le intenzioni dell’Amministrazione, tradotte entro un accurato piano di lavoro, non si tratta di fare un nuovo PRG, quanto di tradurre gli obiettivi e le procedure del piano del 2003 nella nuova normativa, cogliendo l’occasione, dopo la fase di rodaggio, per farne la “messa a punto”, facilitando le procedure e agevolando il perseguimento degli obiettivi, in particolare per quanto riguarda: - l’attuazione dei servizi, mediante l’estensione del meccanismo della perequazione; - la riqualificazione delle periferie, con un’attenzione particolare al tema della casa; - le relazioni con le funzioni eccellenti (in particolare Università e sistema sanitario). In grande sintesi, potremmo dire che Pavia è vissuta a lungo come una “bella addormentata”, ovvero una città con grandi potenzialità, per il notevole centro storico, la presenza di funzioni eccellenti quali l’Università e gli Ospedali, la buona accessibilità autostradale e ferrovia-
Franco Sacchi assessore all’Urbanistica del Comune di Pavia
Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni
Il contributo di Varese è redatto da Gaetano Lisciandra ed ha come oggetto il recupero urbano di un esteso e pregiato tratto di costa del Lago Maggiore. L’intervento riguarda, in particolare, la conversione di un’ampia area industriale affacciata sul porto e localizzata all’interno dell’abitato di Laveno Mombello. C. C.
Piano di Recupero dell’area dell’ex Ceramica Lago L’obiettivo che ci siamo posti nel definire l’assetto urbanistico dell’intervento che interessa l’area, di quasi 30.000 mq, in riva al lago Maggiore, precedentemente occupata da un complesso industriale, è stato quello di reinventare, in chiave moderna, i modelli insediativi del passato. Siamo stati particolarmente attenti alle tipologie, alle forme, ai materiali, ai colori, attraverso una progettazione di dettaglio degli edifici e degli spazi di relazione che, nelle loro conformazioni e interazioni, compongono il complesso. Gli edifici coniugano diversità individuale e unità stilistica, modernità di stile e tradizione con lo scopo di dar vita ad un complesso che, senza rinunciare a una propria caratterizzazione espressiva, si propone di essere vario, di dialogare con il contesto e di riprendere, innovandoli e reinterpretandoli, i linguaggi e le forme della tradizione architettonica “colta” delle ville e dei palazzi, di cui il lago Maggiore è ricchissimo. Gli edifici declinano in modi e forme leggermente diverse il tipo della “casa con affaccio sul lago”, con variazioni sul tema sviluppate sulla stessa tonalità e sullo stesso ritmo compositivo. Di qui i loggiati, le terrazze, i pergolati, gli arretramenti, gli andamenti orizzontali con qualche improvvi-
sa verticalità delle torrette che arricchiscono lo sky-line. Di qui i colori caldi e il verde tappezzante che screzia i muri e addolcisce le forme architettoniche. Il progetto è anche attento alla memoria del complesso industriale della Ceramica Lago di cui conserva l’affaccio storicamente più significativo dietro il quale si sviluppa l’edificio alberghiero. Quest’ultimo mantiene, in funzione di basamento, la vecchia facciata dell’edificio storico per poi alzarsi in arretrato da essa in successivi gradoni tappezzati di verde discendente a richiamare, anche in questo caso, esempi in cui l’architettura si integra con il verde che si trovano frequentemente sul lago Maggiore. Il caso senza dubbio più interessante è quello della villa dell’Isolabella. In tal modo le due parti della costruzione, quella storica e quella moderna, convivono senza falsificazioni e confusioni, risultando chiaramente leggibili nella loro differenza di materiali e stili, mentre sono tra di loro funzionalmente integrate. Non visibile dal lago, sul retro dell’albergo, è stato previsto un grande spazio dove possono sostare, scaricare e rigirare i mezzi operativi e i pullman. Dal piazzale le automobili possono anche accedere ai parcheggi coperti. A parziale copertura di tale spazio esterno e ad arricchimento del percorso in quota che porta al lago e al Parco delle Torrazze, è stata prevista una maglia di putrelle che sostengono alternativamente vasche con fiori, erba e piante e grigliati che, nel mentre aerano gli spazi sottostanti, consentono alla copertura di essere praticabile. Appena oltre l’albergo, in direzione ovest, è stata prevista l’attrezzatura per l’alaggio delle barche, direttamente connesso con il centro velico e il retrostante deposito. Altrettanta cura è stata dedicata alla progettazione dello spazio di relazione. Un sistema di percorsi continui attraversa in piano (a quota + 7,00) tutto l’insediamento con numerose discese e salite che collegano la piazza e il lungo lago con la parte alta del paese. Si è riproposta in tal modo una delle caratteristiche peculiari degli insediamenti storici, nei quali lo spazio pubblico e semipubblico è inframmezzato agli edifici. Si sono coperti i parcheggi con terrazze a gradoni, sistemate a giardino, secondo una tipologia assai diffusa nelle ville che si affacciano sul lago con ampie terrazze decorate dal verde di giardini formali. Ad essi si richiamano questi giardini che coprono i parcheggi, con la particolarità di ospitare alberi da frutto, di grande allegria, quando esplode la loro colorata fioritura. Nella progettazione del verde si è seguito il criterio generale di utilizzare piante possibilmente autoctone o naturalizzate, prevalentemente acidofile, e indicate per climi miti. Piante sempreverdi sono affiancate a quelle a foglia caduca, e le essenze da fiore sono scelte in funzione delle diverse stagionalità di fioritura, in modo da avere una continuità di profumi e di colori in ogni periodo dell’anno. Gaetano Lisciandra
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ria, grandi risorse ambientali come il Ticino, il Naviglio e la valle della Vernavola, finora non valorizzate appieno. Ma è anche una “bella addormentata” che si sta risvegliando, con un Piano che funziona, una rilevante attività in corso e davanti a sé buone prospettive per uno sviluppo equilibrato.
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Sguardi sulla città Si è tenuta a Como la seconda edizione di “Sguardi sulla Città” (www.sguardisullacitta.it), un convegno organizzato dalla Commissione Cultura del Distretto 2040 Rotaract con il patrocinio del Comune di Como, dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Como e con il sostegno della Provincia di Como, di Univercomo, e di Bellotti, Castiglioni, e Tre-P & Tre-Più Porte. Alla giornata, svoltasi lo scorso 14 ottobre a Villa Gallia, hanno partecipato sei relatori: Marco Casamonti (direttore di “Area”), Franco Purini e Cino Zucchi, Elio Franzini, professore di estetica e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Sandro Scarrocchia per l’Accademia di Brera, e Claudio Sabatino, fotografo, in rappresentanza anche di Gabriele Basilico. La scelta dei relatori è stata volutamente eterogenea: l’intento non è stato, infatti, quello di affrontare univocamente il tema della città, ma di visualizzare diverse modalità di osservazione, intersecare i punti di vista, e riunire i diversi approcci artistici all’interno di uno stesso argomento. A fare da filo conduttore è stato il rapporto tra arte, estetica ed architettura: i relatori si sono soffermati in particolare sull’importanza del valore estetico nella costruzione del paesaggio urbano, interrogandosi sulla sua variabilità storica, sull’interazione tra le sue componenti artistiche e tecniche e sul suo rapporto con l’idea di stile. Secondo Elio Franzini, che ha aperto il ciclo degli interventi, è proprio questo ultimo aspetto a differenziare quelli che Paul Valéry ha definito gli edifici che “cantano”, rispetto a quelli che semplicemente “parlano” o che sono “muti”. Lo stile, il punto più alto che l’arte può raggiungere, rappresenta la vera manifestazione della bellezza, che va quindi intesa come un’esperienza non statica ma dinamica, da reinterpretare costantemente attraverso le varie dimensioni della storicità. Le “Scattered Cities” di Gabrie-
le Basilico, protagoniste della successiva presentazione, hanno mostrato le periferie urbane interpretandole come luoghi di confine, aperte alla sperimentazione e in continua mutazione: la loro mancanza di identità e la ripetizione seriale di alcune componenti le rendono spazi indefiniti che sembrano appartenere ad un’unica grande città. Nella sua slideshow fotografica, Claudio Sabatino ha ripreso queste tematiche in un’originale lettura del paesaggio napoletano, un paesaggio in cui il percorso delle statue votive sembra segnare un immaginario confine tra centro e periferia, e in cui gli spazi “all’esterno” assomigliano più a “deserti lontani” che a luoghi da abitare. Attraverso un’analisi di alcune opere di Franco Albini, Ignazio Gardella, Mario Ridolfi e dei BBPR, Marco Casamonti ha invece analizzato il rapporto con la storia nel dibattito italiano del dopoguerra, ribadendo l’importanza per l’architettura di creare un rapporto critico, e quindi “anche oppositivo, non neces-
sariamente nostalgico”, con la città e con le sue preesistenze, mostrando poi in che modo queste riflessioni abbiano caratterizzato la sua attività di progettazione e di ricerca. Sandro Scarrocchia, in rappresentanza dell’Accademia di Brera, ha parlato della riappropriazione della città e della condizione urbana attraverso l’intervento artistico, facendo notare come da alcuni anni, non solo grazie ad artisti-architetti come Calatrava, Cantafora, Gehry, Libeskind, ma anche per l’assunzione di un fare artistico nel fare architettura, come nelle opere di Baldeweg, Eisenman, Hadid o Rossi, il suo rapporto con l’arte sia tornato in primo piano. “L’architettura è un’arte”, ha sostenuto anche Franco Purini, ma per quanto il rapporto tra arte e architettura si ponga soprattutto all’interno dell’architettura stessa, questo non le impedisce di coltivare relazioni ulteriori ed “esterne” con le altre arti. Purini ha poi evidenziato quanto oggi, in campo architettoni-
co, siano diventate importanti anche le tematiche della comunicazione, che va quindi intesa come una vera e propria arte. Nell’intervento che ha chiuso la giornata, Cino Zucchi ha mostrato, infine, gli effetti che un eccesso di tecnicismo o di storicismo possono produrre nella città contemporanea, sollevando un interrogativo: in un processo di funzionalizzazione in cui c’è posto per tutto, non stiamo perdendo la “serendipity”, la possibilità di trovare qualcosa per strada mentre stavamo cercando qualcos’altro? Matteo Moscatelli
Nel 1999 è entrata in vigore la Legge Regionale 22, che ha consentito la variazione dei colmi e dell’inclinazione delle falde del tetto, per rendere abitabili i sottotetti. In seguito, nel 2003, il Consiglio comunale ha votato un emendamento che prevedeva l’impossibilità di realizzare sottotetti negli edifici costruiti prima del 1940, col fine di tutelare i palazzi più antichi. Ora, la norma è cambiata. Dopo tre anni, il 19 ottobre scorso, è stata approvata la delibera relativa alle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del comune di Milano, che elimina questo vincolo, pur continuando a preservare alcuni edifici del centro, catalogati come rilevanti dal punto di vista urbanistico, e a sottoporre tutti gli interventi ai criteri di impatto paesaggistico, istituiti già dal 2004, dalla Commissione edilizia. Si riapre nuovamente, sui quotidiani lombardi, il vivace dibattito sulla questione dei sottotetti a Milano. “Piazza Cordusio merita una visita, come caso vergognoso fra tanti. Parlo dei sottotetti. Tutte balle che il centro storico fosse immune dal 2003”, esordisce Lodovico Meneghetti, docente del Politecnico di Milano, nella lettera pubblicata nella rubrica “dalla parte del cittadino” del “Corriere della Sera”. Con queste parole Meneghetti evidenzia il proprio disappunto rispetto ai sopralzi realizzati sui palazzi storici, citando diversi casi sotto gli occhi di tutti, portati avanti solamente col fine di ottenere nuovi e lucrosi affitti, mentre la normativa di tutela era già in vigore. Il curatore della rubrica, Giangiacomo Schiavi, concordando con le osservazioni presentate da Meneghetti, evidenzia quanto sia facile ricadere in un “nuovo scempio di Milano”, togliendo un vincolo inserito proprio per fermare e regolare situazioni “ai limiti dell’abusivismo”. “Segnali d’allarme e richiami a maggiori controlli ce ne sono stati, anche se l’Ordine degli architetti è rimasto zitto, forse perché queste ristrutturazioni danno lavoro a una nutrita schiera dell’albo”, continua Schiavi, lamentando una tendenza al
laissez-faire manifestata, a suo parere, soprattutto dai sovrintendenti, aggiungendo che “a volte le rigidità e i formalismi delle leggi comunali sono un ostacolo al buon senso. Ma quando si va oltre qualcuno dovrebbe muoversi”. Il presidente dell’Ordine degli Architetti di Milano, Daniela Volpi, nella lettera di risposta inviata a Schiavi, pubblicata integralmente nella rubrica “Forum Ordini” a pag. 47, sottolinea la reale situazione: “una preoccupante mancanza di informazione dei media”, ricordando tutte le occasioni in cui l’Ordine si è manifestato attento e attivo rispetto al tema dei sottotetti, “rivolgendosi di volta in volta sia alle Istituzioni con contributi di vario genere sia ai cittadini e agli addetti ai lavori attraverso i giornali e con la partecipazione e l’organizzazione di convegni e dibattiti”. “In ogni caso sia chiaro che l’Ordine non può sostituirsi al legislatore né tantomeno alle Amministrazioni Regionale e Comunale, ma deve limitarsi a dare il proprio contributo quando richiesto”, continua Volpi, augurandosi, infine, che “la discussione possa proseguire e indurre l’Amministrazione a riflettere”. Resta aperta la domanda: cosa accadrà adesso con l’abolizione del vincolo? Cinzia Lepido
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TBvs alla Bovisa
Per i cittadini milanesi la Bovisa è il luogo costruito dai recinti delle fabbriche e contraddistinto da gasometri e ciminiere. È il quartiere di Mario Sironi, delle sue periferie “desolate” e deserte. Oggi, la Bovisa è cambiata; ha subito un’ulteriore trasformazione aggiuntasi a quella di una una decina d’anni fa che ha portato una parte del Politecnico ad insediarsi qui, in un’area ben servita dalle infrastrutture. Nelle vicinanze della stazione Bovisa delle Ferrovie Nord e di quella di Villapizzone del Passante ferroviario, la Triennale di Milano ha deciso di ampliare la propria sede “storica” (quasi contemporaneamente si è aperta anche una sede a Tokyo). 2000 mq di spazio espositivo destinati all’arte contemporanea sono stati recuperati dove un tempo sorgevano capannoni di fabbriche dismesse.
Lo studio Cerri ha progettato un contenitore multifunzionale, una tensostruttura, in cui ospitare esposizioni, un bookshop e un caffè-ristorante. Una sorta di piazza all’aperto, inoltre, è stata pensata per “aggregare” gli abitanti del quartiere che qui possono assistere a spettacoli come pure giocare a pallacanestro, pallavolo, calcetto, nei campi regolamentari disegnati sul pavimento. La costruzione di un nuovo spazio destinato alla cultura, aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, fino a mezzanotte, rappresenta uno dei tasselli che andrà a costituire, entro tre anni, il nuovo polo milanese per la ricerca scientifica e l’innovazione. Un luogo in cui arte e spettacolo, dipartimenti universitari, abitazioni per studenti e centri sportivi convivranno, costruendo un nuovo “centro” della città. Martina Landsberger
Alberghi e benessere Nello scorso mese di novembre, la città di Milano ha ospitato per nove giorni il master dal titolo “Progettazione alberghiera”, che si è svolto sotto la direzione tecnica di Giancarlo Marzorati, in collaborazione con Bruno Zanini, e Stefano Pediconi. Il master ha affrontato tutte le fasi successive di cui si compone la progettazione alberghiera, muovendo dall’idea iniziale fino ad arrivare ai necessari approfondimenti tecnologici, concludendosi con un workshop e con la presentazione dei lavori prodotti dai partecipanti. Il 19 novembre, in occasione della manifestazione di Vicenza, “Bené 2006 – Sentieri di benessere”, Giancarlo Marzorati, in collaborazione con Josè Barchetti e Laura Bertuccioli, ha inoltre partecipato
al forum internazionale dal titolo “Nel progetto di un albergo oggi, si può parlare di benessere?”, che ha permesso il confronto di idee, proposte e approcci di progettisti con diversi background culturali. Questi importanti approfondimenti nell’ambito del dibattito sulla qualità progettuale ed architettonica nel settore alberghiero, entrambi promossi dalla rivista di settore “Wellness Design”, sono stati un’occasione di scambio culturale e confronto, nel tentativo di colmare le lacune dell’attuale progettazione alberghiera, rispetto ad un’evoluzione del mercato che diventa sempre più esigente di servizi al passo con i tempi. C. L.
OSSERVATORIO ARGOMENTI
Sottotetti: un dibattito aperto
a cura di Antonio Borghi
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Intervista a Claudio De Albertis Oltre a occuparsi dell’impresa di famiglia dal 2000 al 2006 Claudio De Albertis è stato presidente dell’Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) ed oggi è presidente di Assimpredil (Associazione imprese edili di Milano) e ha seguito da vicino l’andamento del settore edilizio in Italia. Che ruolo gioca l’edilizia nella nostra economia? Il settore dell’edilizia rappresenta circa il 9% del prodotto interno lordo e se ne consideriamo l’indotto raggiungiamo una quota vicina al 18%. È un settore che negli ultimi otto anni ha contribuito in modo determinante all’economia del Paese: l’unico che ha sempre registrato un incremento sia in termini di crescita economica che per il numero degli addetti. I lavoratori diretti in edilizia sono ormai circa due milioni. Uno sviluppo di questo genere non si verificava in Italia dagli anni della ricostruzione nel secondo dopoguerra. Di norma l’edilizia ha un andamento ciclico piuttosto regolare su periodi di quattro-cinque anni: un ciclo di crescita di otto anni è assolutamente straordinario. E le prospettive future? Alle soglie del 2007 il settore ha un andamento ancora positivo, ma comincia ad emergere qualche motivo di preoccupazione. Da una parte si teme a causa della sua naturale ciclicità, dall’altra preoccupano alcuni provvedimenti del Governo che rischiano di colpire duramente l’attività privata, la componente più importante del nostro lavoro. L’investimento nella costruzione, circa l’82% è rappresentato dal mercato privato e solo il 18% dai lavori pubblici. È noto come i lavori pubblici, nonostante grandi programmi di investimento, sono in una situazione di stallo. Lo Stato non riesce a contenere la spesa corrente e a investire nelle infrastrutture. In questo modo aumenta il gap che ci vede separati dai principali paesi industrializzati e si alimenta un circolo vizioso
che ci impedisce di essere pienamente competitivi a livello internazionale. Quanto incide il “sistema Milano” all’interno del mercato edilizio nazionale? A Milano ha sede circa il 10% delle imprese attive in tutta Italia nonostante la perdita di competitività del capoluogo e del suo hinterland. Ad esempio è evidente che la mobilità rappresenta un grave problema sia per chi viene a Milano per lavoro, sia per chi ci vive. Se si avviassero i lavori per nuove strade e trasporti pubblici più efficienti, tutto il settore edile potrebbe trarne giovamento creando molti posti di lavoro e migliorando la qualità e la competitività del “sistema Milano”. A frenare questi investimenti è solo in parte la carenza di risorse: l’ostacolo più grave è spesso rappresentato dalla burocrazia. La responsabilità dei ritardi è causata dall’espressione di troppe competenze per la definizione di una seria programmazione degli interventi, che dovrebbe indicare con chiarezza quali sono le priorità. È un problema generale del Paese: si fanno grandi elenchi di cose da fare, ma non si riescono a stabilire le priorità con la scusa di voler accontentare tutti e in questo modo si scontentano tutti. A volte i meccanismi decisionali che governano i lavori pubblici sembrano tesi al non fare piuttosto che al fare. Molte regole andrebbero superate o riscritte, invece continuano a porre seri ostacoli all’attività edilizia. Allo scopo di recuperare questi ritardi e ridare impulso al capoluogo lombardo il Governo ha istituito il cosiddetto “tavolo per Milano”. Le imprese edilizie vi partecipano attivamente? Questo è un altro tasto dolente. Noi chiediamo da decenni di essere consultati per quanto riguarda la programmazione degli interventi sul territorio. Mi sembrerebbe naturale, visto che ogni giorno operiamo sul territorio e ne conosciamo le esigenze meglio di chiunque altro. Al contrario non veniamo quasi mai interpellati e di questo ci siamo lamentati sia con la Regione Lombardia che con il Comune di Milano. Probabil-
mente non hanno ancora ben compreso che il nostro sistema associativo non rappresenta soltanto gli interessi dei costruttori, ma comprende anche i promotori e altri operatori del settore. Mi pare che la pubblica amministrazione perda una grande occasione trascurando le nostre conoscenze e capacità di analisi del territorio. Lei è un ingegnere che partecipa attivamente al dibattito sul futuro della città, un imprenditore che ama l’architettura e la conosce bene. Per questo vorrei farle alcune domande sulle prospettive professionali di architetto e ingegnere. Come vede il futuro delle libere professioni? Non le pare che i servizi di progettazione tendano a scivolare all’interno delle imprese e a perdere la loro indipendenza? Mi sembra più un grido di allarme levato dagli Ordini professionali che una realtà di fatto, soprattutto perchè le imprese non hanno nessuna intenzione di surrogare i professionisti assumendo il ruolo di progettista. Da sempre il miglior prodotto edilizio deriva dall’accoppiamento giudizioso tra gli attori del processo. Ci sono alcune competenze di natura tecnica che sono proprie dell’impresa, soprattutto per quanto riguarda la fase esecutiva o quella dei disegni as built. Per quanto concerne la fase creativa le imprese hanno invece tutto l’interesse a collaborare con i liberi professionisti. Per questo appoggiamo la logica dell’appalto concorso e dell’appalto integrato. Come ho detto più volte agli Ordini professionali quando ero presidente dell’ANCE, sottoscriverei immediatamente una modifica legislativa che prevedesse che tutti i progetti devono essere firmati da un professionista, anzi da un libero professionista. Anche un’azienda come la nostra, dotata di una solida struttura tecnica, non ha nessuna velleità riguardo all’ideazione di un progetto di architettura. E questo vale non solo per la parte architettonica, ma anche per gli strutturali, gli impianti e così via.
Allora come mai gli architetti si sentono insidiati nel ruolo che hanno ricoperto fino ad oggi? Anche gli architetti, come tutte le figure professionali legate al mondo dell’edilizia, devono seguirne l’evoluzione. Oggi è necessario progettare in modo integrato e molte volte si ha l’impressione che il progettista architettonico non abbia le competenze, e forse nemmeno il desiderio, di gestire la complessità. Ci sono competenze tecniche economiche e gestionali che rientrano in modo naturale nell’ambito delle imprese, anche se negli ultimi tempi si è cercato di creare nuove figure professionali. Mi riferisco al Project & construction management, ma in definitiva chi meglio dell’impresa è in grado di valutare tra alternative quella economicamente più sostenibile e più efficiente nel rispetto delle sue qualità? Questi sono i temi su cui si gioca il futuro delle libere professioni. Un’altro tema da affrontare è l’affollamento del mercato. Ci sono troppi progettisti come ci sono troppe imprese e questo riguarda gli Ordini professionali, ammesso che debbano continuare ad esistere, come il nostro sistema associativo. Rispetto a delle leggi che le vedevano ingessate in funzioni anacronistiche ed inutili, le associazioni dei professionisti e delle imprese oggi sono più libere di svolgere un ruolo di rappresentanza e di servizio di cui i nostri associati hanno sempre più bisogno. Qual è la sua posizione sulle tariffe minime? Anche su questo tema ci sono molte analogie tra il mondo delle professioni e quello delle imprese. In un mercato in cui ci si misura su numeri corretti, le tariffe dovrebbero essere abolite. Purtroppo nel nostro Paese le imprese devono competere nelle gare d’appalto al prezzo più basso e questo regime crea scontri e a tentativi di regolamentazione, con una serie di problemi che non si risolvono nemmeno dando maggiore discrezionalità alle pubbliche amministrazioni. Le cosiddette stazioni appaltanti non sono dotate degli strumenti per poter valutare parallelamente questioni di prezzo, di tempi e la qualità
Come giudica le recenti trasformazioni della città di Milano? Cosa hanno in comune i grandi progetti, i mille sottotetti e le decine di nuovi parcheggi interrati nel centro della città? Milano aveva una serie di regole urbanistiche ed edilizie superate nei fatti dai processi sociali ed economici. Siccome viviamo nel Paese del dissenso programmato, dove è quasi impossibile avere il consenso su una qualsiasi iniziativa di cambiamento, siamo spesso condannati a procedere con una logica incrementale, con piccole modifiche successive. A Milano si è inseguito per decenni il mito della pianificazione – dimenticandosi che il vero nodo è nella programmazione – con il risultato di aver fallito in entrambe. Non c’è da meravigliarsi che gli interventi sul territorio siano risultati episodici. Anche le imprese edili hanno sofferto per la mancanza di coordinamento degli interventi? Milano è una città molto piccola circondata da un territorio molto ampio e il suo principale fallimento risiede nella mancata pianificazione e programmazione a scala vasta. Questo è il problema fondamentale di Milano soprattutto da quando come variabile di interpretazione delle aree metropolitane il tempo è
subentrata allo spazio. Si è perso un sacco di tempo a cercare di definire il livello di governance, trascurando di affrontare i veri problemi. Quando ci si è resi conto che fare la cittàregione era un obiettivo irraggiungibile, si sarebbero dovute creare delle alleanze strategiche su delle direttrici e concentrare lì i necessari interventi di infrastrutturazione. Questo avrebbe qualificato una serie di interventi che sono stati realizzati nella prima e seconda fascia di comuni intorno a Milano e che hanno dato accoglienza alla popolazione che se ne è andata dal capoluogo. Milano ha perso negli ultimi vent’anni più del 20% della popolazione che si è trasferita nei comuni limitrofi in insediamenti slegati dalle infrastrutture della mobilità pubblica, distribuiti a macchia di leopardo creando problemi sia fuori che dentro alla città. Nonostante questo è tornata negli ultimi anni la voglia di vivere in città e l’anno scorso per la prima volta Milano ha avuto un saldo demografico positivo. Dunque ci avviamo finalmente verso una fase positiva dello sviluppo di Milano? Ogni trasformazione deve essere monitorata con un approccio positivo. Secondo la mia esperienza, la trasformazione di una città in chiave competitiva non dipende dalla localizzazione di una grande azienda o di una attività produttiva. La trasformazione avviene nei luoghi che riescono a richiamare persone che hanno la capacità di superare le regole precostituite per costituirne delle altre sufficientemente condivise. Queste persone non hanno paura delle trasformazioni, al contrario le alimentano, le vivono in modo critico, ma le cercano e le aziende sono attratte da questi innovatori. Milano vive ancora nell’antinomia tra trasformazione e conservazione, un atteggiamento che si esprime in modo paradigmatico e paradossale nei confronti dei manufatti edilizi. E dal punto di vista architettonico come giudica il livello dei progetti realizzati di recente? Sotto il profilo architettonico le ultime trasformazioni sono state
senz’altro deludenti, ma è stato comunque positivo che ci siano state, perché hanno dato un impulso e stimolato il confronto. Milano aspira a essere nel novero delle grandi capitali mondiali, ma in realtà non lo è. Qualche tempo fa si era lanciata l’iniziativa di fare gli aparthotel, residenze temporanee per lavoratori nomadi altamente qualificati, ma quella tipologia di persone non viene a Milano. Non siamo a Roma, né tanto meno a Parigi, Londra o Shanghai. Milano è una città ancora alla ricerca di una sua identità e visione strategica, che si potrà realizzare solo quando smetterà di aver paura del cambiamento. È emblematico che le migliori trasformazioni di questa città sono avvenute al di fuori delle regole e in maniera spontanea. Mi riferisco a via Tortona e via Savona, via Mecenate, via Donatello o Lambrate. Milano è terreno di grandi opportunità per le imprese edili che devono dimostrare senso di responsabilità sociale. Cosa fanno le imprese per la città? Le imprese hanno di fronte a sé il compito fondamentale di attrezzarsi per la realizzazione di edifici ad alto risparmio energetico. Questo potrà avvenire con gradualità e col sostegno di politiche di premialità da parte del settore pubblico perché non si può pretendere che le imprese di punto in bianco si riconvertano spontaneamente. Un secondo tema è quello della riduzione dei costi di gestione dei manufatti. Il terzo tema è il miglioramento del rapporto tra il produttore e l’utilizzatore del bene edilizio, con strumenti contrattuali sempre più trasparenti. In questo modo l’impresa edile ritrova la sua centralità nella filiera delle costruzioni laddove si crea valore aggiunto, altrimenti rischia di essere emarginata. Di recente avete inaugurato un ciclo di incontri presso la sede di Ance-Assimpredil che si chiama Seven to nine, invitando personaggi del mondo della cultura ad esprimersi su temi di cultura urbana e dell’abitare. Sentiamo l’esigenza di aprirci a un dibattito con un mondo che
non è solo il nostro, con tutti coloro che parlano di territorio e di qualità. Trovo che anche di questo ci sia bisogno nella nostra città. Alimentare il dibattito, ragionare sul prodotto edilizio in relazione alla qualità della vita. Credo che anche in questo ambito ci siano molti nuovi aspetti da approfondire.
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del risultato finale. L’intero sistema è da rivedere e un tema fondamentale è senz’altro l’eccessiva apertura dell’accesso alle professioni e all’esercizio dell’attività d’impresa che ha prodotto risultati spaventosi. Basti pensare che nel nostro Paese sono iscritte alla Camera di Commercio più di 600.000 aziende edili, di cui 220.000 società di capitale. La nostra associazione ne rappresenta 20.000: evidentemente c’è qualcosa che non funziona. Lo stesso vale per i professionisti: basta guardare la massa di persone che gravita attorno alle facoltà di architettura e ingegneria. In sintesi, pur rimanendo contrario alle tariffe minime, prima di togliere di mezzo qualsiasi regolamentazione bisogna fare delle valutazioni approfondite che tengano conto della realtà in cui operiamo.
a cura di Roberto Gamba
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Riqualificazione del centro sportivo San Zeno a Cremona settembre – dicembre 2005 Il tema è la progettazione della valorizzazione e riqualificazione funzionale del centro sportivo comunale San Zeno di via Aglio a Cremona e della conseguente ridistribuzione delle funzioni. Ciò per meglio soddisfare le esigenze della base sociale della cooperativa “Centro Sportivo San Zeno” cresciuta in 15 anni da 1.500 a 3.000 soci. Il centro sportivo nella periferia nord di Cremona occupa un’area di circa 126.000 mq. Già comprende piscine, campi da tennis, un campo polivalente, campi bocce, palazzine servizi, parcheggi; campi beach-volley, bocciodromo coperto, piantumazioni; palazzetto sportivo. Attenzione doveva essere posta oltre che alla qualità architettonica e urbanistica, anche alla ricerca di una soluzione che incentivi l’utilizzo delle strutture sportive e ricreative in tutte le stagioni. Per la realizzazione doveva essere preventivata una spesa non superiore a 5.000.000 euro suddivisa in più lotti. La partecipazione era riservata a professionisti iscritti agli Ordini degli architetti, ingegneri e geometri di Cremona, Mantova, Parma, Piacenza, Lodi, Milano, Bergamo e Brescia. Ventuno sono state le proposte progettuali inviate. Erano richieste una o due tavole in formato A0. I premi sono stati di 5.000, 3.000, 2.000 euro con altri 2.000 euro a disposizione per altri progetti meritevoli. La giuria era composta da Giuseppe Torrisi (presidente), Marco Masserdotti, Emiliano Campari, Luciano Sandro Ceriali, Adriano Faciocchi, Rodolfo Verga, Andrea Manfredini, Lino Orlandini, Luisa Greci, Pierluigi Monterossa, Luigi Baldani. Oltre ai progetti qui presentati, si sono classificati: 4° ex aequo – Chiara Gorni; 4° ex aequo – Ezio Gozzetti; 6° classificato – Vincenzo Zucchi; 6° classificato – Angelo Micheli, Studio AMDL, Mauro Geroldi, Nunzia Vanna Musoni, Susi Zagheni, Mauro Gallinari.
1° classificato Maurizio Ori (Cremona), Paola Arienti, Sebastiano Brandolini, Massimo Masotti Il progetto si è posto l’obiettivo di dotare il Centro di un nuovo percorso paesaggistico ad anello che funga da “spina dorsale” e metta “in rete” le diverse attività esistenti e di progetto (piscine, calcio, tennis, jogging); di realizzare un nuovo edificio fortemente inserito nella natura, modulare ed incrementabile. Ha insistito sulla matrice naturalistica dell’area, assumendo il colatore Fregalino come confine e come presenza ambientale e rafforzando la fascia boschiva di rispetto. Le essenze prescelte rientrano prevalentemente tra gli esem-
plari tipici del bosco planiziale padano (quercia, tiglio, acero e altre ancora), con integrazione di esemplari arbustivi dal carattere più decorativo. Il nuovo edificio ospita un più ampio e baricentrico spazio bar e ristorazione, una grande sala riunioni ed un nuovo “centro benessere” (palestra, saunatermarium e piscina coperta). È stato ideato come una stecca, curvata lungo il tracciato dell’anello verde, che diviene una sorta di “attrezzatura” del percorso, che lo sormonta. Si prevede un lieve interramento dell’edificio, per rendere l’osmosi più fluida e per limitare l’impatto volumetrico del complesso. Il leggero scavo consentirà inoltre la creazione di una vasta “cavea”.
Il progetto prevede la riorganizzazione della intera area del centro sportivo, individuando fasce funzionali alle quali riserva specifiche condizioni ambientali: le aree delle attività sportive separate da quelle di soggiorno, ma protette da polveri e rumore provenienti dal traffico
attraverso una duna vegetata sulla quale si snodano percorsi in elevazione. Gli interventi edilizi conservano e valorizzano gli edifici esistenti, il blocco adiacente il mulino diviene un “borgo” destinato alle palestre, al ternario e agli spazi per i bambini. Il complesso bocciodromo-spogliatoio viene ampliato ad ospitare il bar-ristorante, la ludoteca, la sala lettura e gli spogliatoi. La piazza coperta, spazio flessibile e suggestivo, costituisce il centro di un nuovo asse sul quale vanno a collocarsi la nuova piscina olimpionica, la spiaggia e il solarium.
3° classificato Vincenzo Puglielli (Lodi), Margherita Puglielli, Cesare Senzalari, Irma Losi, Giuseppina Pellegrino, Simona Mascolo Il progetto crea una suddivisione distributiva che consente di avere una zona con strutture coperte da utilizzare tutto l’anno, e una parte per la stagione primaverile ed estiva. Si è ritenuto di sviluppare la parte edificata, collegandola con le nuove strutture previste: spazio ristoro con sale per attività ricreative e piscina coperta. Questo ampliamento consente di ottenere spazi per lo svolgimento di attività ricreative all’aperto ovvero la parte centrale
con la grande piazza completa di gradinate per spettacoli e manifestazioni. È prevista la trasformazione dell’attuale bar, connesso al Molino San Zeno, che verrebbe recuperato con la funzione di Termario. Questa parte centrale funziona da cerniera tra la parte esistente con i campi polivalenti coperti e le piscine, inserite nell’area a verde circostante adeguatamente ampliata. I campi sono inseriti alle spalle della indispensabile barriera verde a schermatura dell’adiacente tangenziale. Sono previste due nuove zone-gioco e la creazione lungo il perimetro di una pista per la corsa, illuminata durante le ore notturne.
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2° classificato Silvio Borlenghi (Crema), società H.S. Engineering, Massimiliano Torresani, Andrea Lodi, Daniele Renzi, Severgnini Marcantonio, Zaniboni Alessandro, Antonelli Marco, Fiorani Claudio
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Ampliamento del plesso scolastico di Malagnino (Cr) ottobre 2005 – gennaio 2006 Il concorso aveva per oggetto, nel centro abitato di Malagnino, in provincia di Cremona, l’ampliamento del plesso scolastico comunale (da costruire un plesso autonomo per la scuola materna e indicazioni per l’inserimento nel contesto urbanistico e ambientale), oltre a soluzioni per l’eliminazione delle barriere architettoniche. Il costo massimo di realizzazione era stato fissato in euro 500.000. I partecipanti sono stati 12; i premi di 2.400, 900 e 700 euro. I componenti della giuria erano Adriano Faciocchi, Michele De Crecchio, Maria Luisa Nanni, Maria Martinenghi. Oltre i progetti qui illustrati, si sono classificati, nell’ordine: 4° classificato - Stefano Cornacchini, Ilaria Bizzo, Nicola Montini, Isaac Fiorini, Giuseppe Paglioli, Massimo Cozzoli, Ezio Bizzo; 5° classificato - Ugo Conti; 6° classificato - Giancarlo Allen; 7° classificato - Fernanda Bocconi; 8° classificato - Giovanni Melati, Lorenzo Bocca; 9° classificato - Roberto Gandolfi, Andrea Genitori; 10° classificato - Gian Ermes Massetti; 11° classificato: - Susi Domeniconi, Marco Gobbi.
1° classificato Massimiliano Beltrami (Cremona), Gianfranco Mondini, Alessandro Laudati L’edificio attuale è il risultato di successive addizioni ad un corpo di fabbrica originario che ha generato un complesso piuttosto disarticolato. Il progetto prevede la realizzazione di un nuovo edificio strutturalmente e architettonicamente distinto da quello esistente, ma complementare ad esso, al fine di conferire una nuova regola morfologica e tipologica complessiva. Il nuovo corpo di fabbrica insieme all’edificio esi-
stente della palestra formano un porzione di edificio “a corte” con bracci ortogonali di uguale larghezza in cui risulta incastonato il blocco del fabbricato originario. Nel tracciare la giacitura dei tre bracci della corte ci si è riferiti alla regola insediativa degli edifici circostanti. Il nuovo edificio è caratterizzato nel suo insieme da una struttura portante modulare antisismica di ampie luci che consente una grande flessibilità degli spazi, da una distribuzione interna rigorosa, dall’alternanza di ampie superfici vetrate e di facciate cieche rivestite con elementi in legno.
Le esigenze di formazione di nuovi spazi didattici (aule speciali/laboratori) sono state soddisfatte proponendo un nuovo fabbricato che si connette ad est con il corpo esistente con un breve percorso vetrato opportunamente schermato. Conterrà a piano terra uno spazio polifunzionale e a piano primo due ampi spazi da adibirsi a laboratorio, suddivisi da partizioni movibili. Il nuovo fabbricato è generato dall’incastro di due volumi architettonica-
mente distinti: il blocco servizi è segnato dalla massima opacità, in contrasto con il volume principale che, viceversa, fa della trasparenza il paradigma progettuale. È privilegiato il rapporto internoesterno, in modo tale che la percezione degli spazi a verde da parte dei piccoli utenti risulti immediata. Le grandi superfici vetrate sono poi dissimulate da un sistema di brise-soleil in cotto. Il trilite murario che racchiude il volume conferisce protezione alla “fragilità” della pelle trasparente. È prevista una riqualificazione degli spazi ricreativi esterni.
3° classificato Vincenzo Zucchi (Cremona) La sfida progettuale è stata quella di integrare una parte della città, con un centro articolato da un mix di funzioni compatibili prospicienti la via Postumia. La posizione della scuola permette, col nuovo ingresso, di sottolineare la simmetria con il palazzo comunale, fulcro di aggregazione degli spazi pubblici. I nuovi volumi cercano l’allineamento con la strada comunale. La relazione tra gli elementi è generata dal portico, a protezione dell’ingresso e dalla doppia scala con scivolo.
I nuovi ambienti: open space di connessione tra la scuola materna e la scuola elementare, che dà ampiezza e immediata visuale sui piani; sala polifunzionale, corpo principale dell’edificio, che può essere isolata e stabilisce le relazioni tra la scuola ed il contesto. Una parete vetrata è l’interfaccia tra edifici e spazi aperti e consente percezione e fruizione dell’intero complesso. Gli interni: aule, palestra, cucina e mensa, vengono solo ristrutturati. Obiettivi: linee architettoniche dai contenuti semplici ed essenziali, ricerca di ottimizzare qualità, innovazione, funzionalità e costi.
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2° classificato Luigi Paolino (Turbigo, Mi), Marco Berra, Marco Cagelli
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Soleri tra natura e architettura Spinelli Luigi Paolo Soleri. Paesaggi tridimensionali Marsilio, Venezia, 2006 pp. 94, € 9,90 Il libro di Spinelli ripercorre in modo sintetico l’intera vicenda culturale di questo architetto che si laurea nel 1946 alla Facoltà di architettura del Politecnico di Torino, e trascorre poi diciotto mesi a Taliesin con Wright. Ritorna in Italia, dove realizza la fabbrica Solimene a Vietri sul Mare, un edificio che presenta in facciata una fantastica serie di forme coniche rivestite da migliaia di vasi in ceramica, e nel 1954 riparte per gli Stati Uniti. Da questo momento inizia una intensissima attività di architetto e di animatore culturale a Cosanti, nella Paradise Valley presso Scottsdale. L’attività di Soleri si muove inizialmente nel solco della tradizione wrightiana, pur differenziandosene per l’esuberanza delle forme e della decorazione. Già dai tardi anni Cinquanta Soleri studia però dense strutture insediative, con le quali prende le distanze dalla estensiva Broadacre City di Wright. Nel progetto per Mesa City (1956-64), si manifesta la volontà di creare insediamenti nei quali l’architetto dispone spazi, funzioni, flussi di relazione creando insiemi suggestivi ma anche molto artificiali. Questa tendenza a proporre strutture che testimoniano un forte interesse per l’ambiente, ma che hanno spesso un carattere autoreferenziale, caratterizza la sua ricerca degli anni seguenti, dal complesso Babel IID di The City in the Image of Man (1969), nel quale infrastrutture verticali alte da uno o due chilometri innestate su basi circolari del diametro di tre chilometri alimentate da una selva di ascensori, scale mobili, percorsi pedonali sopraelevati sono destinate a ospitare 550.000 abitanti, fino allo Hyper Building progettato per un centro di ricerca giapponese nel 1996 e localizzato nel deserto del Mojave, fra Los Angeles e Las Vegas. I progetti, gli schizzi, le riflessioni di Soleri documentati attraverso i bellissimi sketchbooks in corso di pubblicazione - rappresentano per l’architetto uno stimolo a riflettere, particolarmente per i progetti a grande scala: ci ricordano che la dimensione estetica è un dato importantissimo e ineludibile per chi faccia questo mestiere, ma anche che, come Françoise Choay ci ricordava in uno scritto del 1965, è utile riflettere “sull’irriducibile scarto tra percezione estetica e percezione dell’abitante”. Lorenzo Spagnoli
Degli ultimi
Una “classica” ricerca
AA.VV. Periferie Laterza, Bari, 2006 pp. 118, € 9,00
Michele Costanzo MVRDV. Opere e progetti 1991-2006 Skira, Milano, 2006 pp. 156, € 26,00
Nell’ottobre del 2005 bruciano le banlieues a Parigi. Esplode la rivolta e le periferie diventano visibili. E in Italia cosa succede? Qualcuno paventa si possa ripetere il fenomeno francese, si fa un gran parlare, ma in sostanza le periferie rimangono ai margini, inascoltate. Nessuno va a vedere cosa vi succede dentro. Nessuno parla con chi ci vive. Questo piccolo libro è un tentativo di portare le periferie “al centro”. Il volume a cura di Stefania Scateni, responsabile delle pagine culturali de “l’Unità”, raccoglie sei articoli pubblicati sul quotidiano che descrivono le periferie di Milano, Napoli, Bologna, Roma, Torino e Bari. Protagoniste sono le aree depresse e le persone che ci abitano. Gianni Biondillo, Giuseppe Montesano, Emidio Clementi, Beppe Sebaste, Silvio Bernelli, Nicola Lagioia ci introducono nei suburbi delle proprie città aprendo uno squarcio sul degrado urbano: un “intero sistema di esclusione legalizzata, travestita da democrazia”. I loro racconti descrivono “un confino, non un abitare umano”: luoghi senz’anima e senza bellezza, progettati da chi non ci andrebbe mai a vivere. Dove regna “un’infelicità endemica”, “inestirpabile”. Incasellati in palazzoni immani gli abitanti di un eterno “altrove”, quello dei miraggi televisivi che in dimore da fiaba trovano narcotici sostituti al vuoto di presente. Qua e là l’ombra di un’Italia che non c’è più, che resiste fuori dal tempo, con personaggi felliniani costretti in enclavi di cemento e sogni, in una “dolorosa assenza di futuro”. Ma soprattutto luoghi “di deportazione”, destinati in partenza “ai meteci, ai fuoricasta”, e tuttavia a volte persino mistificati come “interessanti” s-oggetti d’arte. Viene da chiedersi perché. “L’arte contemporanea ritaglia un pezzo da questo insieme, lo isola e lo estetizza: è lo stesso procedimento della pornografia… ma l’artista cosa sta facendo, in realtà? Sta giustificando l’orrore nella fantasticheria e lo sta rivendendo a chi lo subisce nella realtà”. Quasi a sfidare questo rischio gli scritti sono illustrati da fotografie ed opere realizzate appositamente da Annalisa Sonzogni, Gruppo Underworld, Andrea Chiesi, Laura Palmieri, Botto & Bruno, Alessandro Piva. Un libro che invita “architetti e urbanisti a uscire dai loro armadi di idee, non pontificare e progettare a distanza a tavolino”, ma a sprofondare là dove qualcuno, sopravvive, ci prova tutti i giorni. E nella lotta per restare a galla, forse, spera ancora di vivere davvero.
Se è vero che il progetto di architettura coincide con un’attività di ricerca volta alla “conoscenza” di un tema, con l’obiettivo di offrirne un’interpretazione e una prefigurazione formale, allora il “giovane” studio olandese, oggetto di questa pubblicazione, rappresenta, nel panorama architettonico, un esempio di come oggi questa possa essere compiuta. La definizione di un nuovo modo di abitare e il tema della densità sono, nella ricerca degli MVRDV, due questioni costanti, presenti sia a livello teorico che progettuale. I tre architetti, laureati a Delft nel ’90, in questo senso, paiono appartenere a quel filone “classico” dell’architettura che affida al procedimento razionale e quindi, alla ricerca di un preciso criterio metodologico, il senso del proprio lavoro. Allo stesso modo dei Maestri dell’architettura razionale, anche ogni loro progetto partecipa di un più ampio lavoro teorico e, viceversa, il lavoro teorico non può prescindere dal progetto, inteso come applicazione e sperimentazione della teoria stessa. La formulazione di una nuova “idea” di abitare fondata su una precisa differenziazione e gerarchia di spazio collettivo e privato, pare voler ripercorrere e reinterpretare, alcune esperienze della modernità (Le Corbusier, El Lissitskij, solo per fare due nomi). Quello che cambia è, se così si può chiamare, il “contesto”. Gli MVRDV intendono offrire una possibile soluzione al tema della crescita smisurata della città. Consci delle modificazioni in atto il loro obiettivo è prefigurarne una nuova forma in cui sia possibile la riconquista del territorio e dove la natura torni a giocare un ruolo determinante. Anche in questo caso le voci degli architetti del Movimento moderno paiono riaffiorare: Hilberseimer, per esempio, compare come riferimento nella costruzione della ricerca KM3 The 3D City del 2001. Non importa allora se tutto l’iter metodologico, e il progetto successivo, trovano formalizzazione in una “matrice” matematica tradotta operativamente in un software applicativo, come pure passa in secondo piano la soluzione formale di volta in volta adottata. Interessa invece l’approccio conoscitivo tradotto, ogni volta, in un’architettura riconoscibile e, teoricamente, condivisibile.
Irina Casali
Martina Landsberger
Albe Steiner, grafico al servizio del pubblico
AA. VV. Val Bavona. Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino. 17a edizione Fondazione Benetton Studi e ricerche, Treviso, 2006 pp. 80
Anna Steiner Albe Steiner Corraini, Mantova, 2006 pp. 168, € 20,00
Il Premio Carlo Scarpa per il Giardino è stato dedicato quest’anno alla Val Bavona, luogo asperrimo di montagna, nello svizzero Canton Ticino, solco breve e profondo, “orrido e ameno”, scavato dal ghiacciaio, plasmato dall’acqua e dalla pietra con i tempi della geologia. Lì, una comunità di un migliaio di abitanti ha saputo confrontarsi con la durezza della natura. Questa pubblicazione si aggiunge a quelle precedenti del premio (organizzato da Ida Frigo), con la sua confezione non elegante, ma di buona sostanza grafica e culturale, ne presenta la storia, il regolamento, la motivazione di questa assegnazione. È stata curata (con Patrizia Boschiero) da Domenico Luciani, direttore della Fondazione e presidente della giuria, con la collaborazione di studiosi e autorità locali. Offre un inquadramento cartografico del territorio; cenni geografici e morfologici, tabelle e tavole di zonizzazione; poi saggi descrittivi dei luoghi, delle costruzioni, degli elementi e delle manifestazioni fisiche della natura. Federico Balli parla dei paesi del fondovalle, di massi erratici, di sorgenti, di case, cappelle, campanili. Luigi Martini descrive storia, regole, parole degli “alpi”, i cui pascoli hanno antiche origini di esercizio, di diritto, di denominazione. Plinio Martini spiega i motivi che stanno portando all’abbandono della vita e dello sfruttamento degli alpeggi: i sentieri sono quasi completamente cancellati; molte cascine sono cadenti; i pascoli diventano sempre più pietrosi. Bruno Donati espone i risultati della ricerca, intitolata “vivere tra le pietre”, sui caratteri dell’ambiente e dell’insediamento umano in Valmaggia; riferisce sulle costruzioni sottoroccia alpine, con gli approfondimenti di Tita Carloni e di Francesco Fedele. In fondo, prima della bibliografia e del glossario, il libro spiega e commenta il Piano regolatore di salvaguardia della valle, che comprende un “manuale per la riattazione degli edifici”. Poi Michele Fazioli descrive lo stato di conservazione dei villaggi e la condizione dei valmaggesi, auspicando che la valle non diventi un museo, nel nome della salvaguardia delle tradizioni e dell’ambiente. Roberto Gamba
Questo gradevole volume, realizzato dalle Edizioni Corraini di Mantova, ci illustra la figura professionale di Albe Steiner, uno dei protagonisti (con Bruno Munari, Max Huber ed altri) nel campo della grafica non solo italiana. L’opera di Steiner, qui “esposta” cronologicamente a partire dai primi lavori del 1939, è arricchita dai brevi commenti della figlia Anna e dalle puntuali note “in rosso” della moglie Lica, sua preziosa compagna di lavoro. Completano la pubblicazione – da non intendersi come un semplice regesto di lavori “finiti” – numerosi schizzi e studi preliminari, i testi di Italo Calvino e di Anna Steiner e alcuni apparati iconografici (fotografie, quadri e disegni), testimonianza visiva di una “tenace continuità di ricerca dell’essenziale”. Quello che emerge con piacevole sorpresa dalla lettura sono le molteplici “passioni” e sfaccettature dell’uomo Steiner: quella “politica” (realizzazioni per “Il Politecnico” di Vittorini, “Il Contemporaneo”, “l’Unità”, “Rinascita”); quella antifascista (basta ricordare l’epitaffio sulla tomba di Mergozzo: “Albe Steiner partigiano”); quella dell’insegnante, pedagogo e divulgatore (tra l’altro ha ricoperto il ruolo del professore e del direttore di progettazione grafica alla Scuola del Libro dell’Umanitaria di Milano); del grafico-sperimentatore (prove di sovraimpressioni fotografiche e di sovrapposizione delle immagini), quella “privata” (le foto delle vacanze, i modelli di mobili per la casa in Messico, i lavori eseguiti per sorelle Liliana e Kitta). Meno in luce l’aspetto esplicitamente commerciale, se – nonostante le collaborazioni con la Bemberg, la Pirelli, l’Aurora, la Pierrel, l’Arflex, la “la Rinascente” – più problematico si presenta un approccio lavorativo di questo tipo visto che “il grafico che si rispetti deve ritirarsi quando capisce che il prodotto è scadente (…) non è un venditore di fumo”. Infatti, la maggior parte delle opere sono realizzate per case editrici (Feltrinelli, Zanichelli), riviste (Note fotografiche, Domus, Stile Industria, Interiors, Edilizia Moderna), enti e istituzioni (Triennale e Piccolo Teatro di Milano, Teatro popolare italiano di Roma). La grafica di Albe Steiner si può definire “concreta” o “essenziale”; all’interno della composizione vige sempre un equilibrio tra la forza espressiva (i colori, le forme, le dimensioni) e il “messaggio” da trasmettere, anche perché “il consumatore viene prima del prodotto, quindi la grafica deve essere al servizio del pubblico”. Igor Maglica
Il metodo come prassi Antonio Piva, Vittorio Prina (a cura di) Franca Helg – “La gran dama dell’architettura italiana” Franco Angeli, Milano, 2006 pp. 224, € 16,50 Il lavoro di Franca Helg è strettamente legato a quello di Franco Albini, con il quale, dai primi anni ’50, la Helg ha stabilmente collaborato, continuandone successivamente la lezione. Questo libro costituisce dunque un importante strumento per definire il suo particolare contributo alla vicenda dell’architettura italiana del ’900. Il testo, a cura di Antonio Piva e Vittorio Prina, si riferisce a un seminario tenutosi presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano nel gennaio 2006 e, oltre ai differenti interventi, comprende anche un’antologia degli scritti dell’architetto. Da tali materiali emerge distintamente la figura della Helg come una personalità dai caratteri ben definiti: il rigore metodologico, l’inclinazione didattica, l’interesse per il mestiere, la semplicità come elegante costume e attitudine, il fascino personale. Nello stesso periodo in cui il lavoro di Franco Albini è oggetto di nuove attenzioni critiche vi è dunque l’occasione di distinguere il contributo specifico di Franca Helg. Anche in questo senso sembra allora proporsi quella comunione di esperienze che caratterizza il lavoro dello studio Albini, nella cui vicenda si riconosce, da una parte, la centralità dello stesso Albini e, dall’altra, l’affermazione di un metodo in cui anche l’avvicendarsi dei protagonisti rappresenta l’adesione a una prassi condivisa. Questione che rinvia al progetto contemporaneo, caratterizzato da una frammentazione del processo progettuale che genera sempre maggior interesse verso lo studio dei procedimenti compositivi e degli aspetti logici del progetto, sui quali è realmente possibile costruire un fondato sapere disciplinare. Dal volume, anche grazie alle differenti articolazioni dei saggi che lo compongono, oltre al lavoro nelle celeberrime opere dello studio Albini-Helg, risulta il distinto contributo della Helg nella didattica, nell’interesse per il rapporto con il contesto, nella capacità di una divulgazione internazionale, nel sostenere con costanza la continuità dell’esperienza italiana rispetto al moderno. Il tutto manifesta come il lavoro di Franca Helg trovi la sua più giusta collocazione nel riconoscimento di un lavoro collettivo, nell’ambito della quale è importante analizzare e riconoscere il suo particolare e determinante apporto personale. Maurizio Carones
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Premio Scarpa in Val Bavona
a cura di Sonia Milone
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Leone Lodi scultore monumentale Leone Lodi scultore. Dal Novecento all’arte monumentale Milano, Palazzo Isimbardi e Palazzo della Triennale Crema, Museo Civico di Crema e del Cremasco 12 ottobre – 25 novembre 2006 Leone Lodi (1900-1974) fin dall’infanzia ha familiarità con gli strumenti e i segreti del mestiere di scultore, provenendo da una famiglia di artigiani del marmo di Soresina nel cremonese. Giunto a Milano, dopo la formazione artistica presso l’Accademia di Brera e la Scuola Civica del Castello, inizia a confrontarsi con la tematica monumentale, collocando sue sculture sulle facciate di importanti edifici del centro città, come il Palazzo della Borsa, per il quale realizza una serie di opere caratterizzate da un’intonazione arcaica che fa riferimento all’arte romanica. Intonazione che costituisce un filo rosso nella produzione del-
l’artista e si ritrova, spostata sulle corde del fiabesco, anche nell’altorilievo Il dono in alabastro esposto alla V Triennale del 1933 in una sala allestita dall’architetto Agnoldomenico Pica, che lo descrive come intessuto di una “grazia acerba e musicale”. È questa una delle opere più suggestive esposte alla mostra dedicata a Leone Lodi, curata da Nicoletta Colombo, che si articola in tre diverse sedi, Palazzo della Triennale e Palazzo Isimbardi a Milano e Museo Civico a Crema, e prevede due percorsi esterni, che mirano a far conoscere le opere dell’artista sul territorio. Mentre presso la Triennale di Milano sono presentati i lavori realizzati in occasione delle sto-
riche esposizioni internazionali di arti decorative – tra cui, oltre a Il dono, si segnala l’assorta Donna seduta, dalle forme corpose e primordiali, realizzata su disegno di Mario Sironi – Palazzo Isimbardi e il Museo Civico di Crema ospitano i gessi preparatori degli interventi monumentali, come i rilievi per l’Università Bocconi o le formelle con i segni zodiacali per la Borsa, e molte sculture che ripercorrono l’iter creativo dell’artista dagli anni della formazione alla maturità. Il linguaggio di Leone Lodi sa ben dialogare con la dimensione monumentale, come dimostrano le molte collaborazioni con importanti nomi dell’architettura italiana quali Giuseppe Pagano, Luciano Baldessari o Agnoldomenico Pica, ma emerge anche con note di particolare poeticità nelle opere di minori dimensioni, come Riposo e Portatrici d’acqua in cui le figure sono sospese in un attimo senza tempo, o Venere in cui la delicatezza del modellato è sottolineata da una patinatura colorata. Chiara Mari
Kounellis: spazio, composizione, materia Jannis Kounellis Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro via Solari 35 24 settembre 2006 – 11 febbraio 2007 “Ma è bellissimo questo reparto!”. Vale più di qualsiasi recensione l’esclamazione della bambina che si aggira entusiasta all’interno delle “stanze”, delimitate da spesse pareti cieche in lastre di ferro rigurgitanti carbone, alla ricerca di oggetti misteriosi e inaspettati; il termine
frammento del “Nabucco” ossessivamente ripetuto al pianoforte. Indimenticabile. “reparto” allude all’antico spazio industriale che si fonde in maniera irripetibile con le opere installate. Spazio, composizione, materia. Uno stretto corridoio ci conduce all’interno della citata sequenza di spazi – a giacitura lievemente ruotata – delimitati da setti ortogonali in pianta; due pareti diagonali determinano tensione e precise viste di scorcio. Lo spazio si apre progressivamente, profuma di caffè in polvere rovesciato su bilancine sovrapposte e sospese, si allarga in una sorta di soggiorno con giacigli in lastre di pietra posate su legni, sacchi di juta, piombo ed altro; stretti passaggi svelano spazi con vecchie campane ossidate, un muro in pietra a secco, una macchia a terra in smalto nero… Vecchie vele sospese in sequenza fanno vibrare lo spazio a tutt’altezza verso la vetrata esterna; poco più in là formelle in vetro di Murano a colori tenui posate su bilance metalliche sovrapposte sono appese alla vetrata che le illumina; una putrella verticale in ferro spessorata in sommità da fogli di carta bianca sostiene illusoriamente un soppalco; grandi pilastri-totem in forma di spirali di ferro misurano lo spazio: dal pavimento al soppalco, alle capriate metalliche e da queste al piano dello spazio interrato. Frammenti di volti in gesso su piccoli navigli in piombo navigano verso l’alto in un mare cangiante di lastre in ferro composte a parete; a parete una composizione perfetta di pieni, vuoti e ritmi complessi in pezzi di legno di traverse ferroviarie è delimitata da putrelle in ferro; morse inclinate stringono con inquietudine lastre di ferro sovrapposte spessorate da fasci di fogli di carta bianca e sacchi di juta con carbone su base in lastre di ferro… E poi una infinita gamma di tonalità uniformi e cangianti: ferro grezzo saldato fresato ossidato sgocciolato… piombo, sacchi di juta, carbone, smalto nero, legno vecchio, carne, corde, libri, vetro, pietra, polvere di caffè, tessuti consunti… e un
Vittorio Prina
Paesaggio moderno nell’arte Turner e gli impressionisti. La grande storia del paesaggio moderno in Europa Brescia, Museo di Santa Giulia via dei Musei 28 ottobre 2006 – 25 marzo 2007 Non ci sono paesaggi in oltre trentamila anni di arte paleolitica, nulla nemmeno nella pittura egizia o romana. I nostri antenati hanno a lungo percorso boschi e paesi, ma non li hanno raffigurati. Lo sguardo sulla natura non ha nulla di naturale. È sempre un fatto di cultura. Dipingere il paesaggio è stata una conquista, al pari della scoperta dei nuovi continenti, e in Occidente questa è avvenuta nel momento in cui una nuova sensibilità alle soglie del ’400 ha messo a distanza ciò che era da sempre lì vicino e famigliare. È nella Venezia di Canaletto e nell’Olanda calvinista di Vermeer che, per la prima volta, porti e città, montagne e foreste, diventano soggetti degni di essere rappresentati di per sé, non più sfondi di scene bibliche o mitologiche. Svolta epocale, che raggiunge il suo apice nell’’800 quando la pittura di paesaggio diviene genere autonomo principale e topos intorno a cui le maggiori poetiche del tempo sperimentano l’apertura di nuovi orizzonti.
Sonia Milone
Nuove metropoli del mondo Metropoli nel mondo emergente. Architetture Messicane Contemporanee Mendrisio, Accademia di Architettura via Canavée 5 2 novembre 2006 – 29 giugno 2007
Fra ottobre 2006 e giugno 2007 l’Accademia di Architettura di Mendrisio promuove un ciclo di cinque mostre dedicate a otto metropoli del mondo emergente: Città del Messico (in corso), Mosca (14 dicembre – 25 gennaio), un confronto fra Chandigarh e Brasilia (8 febbraio – 19 marzo), Johannesburg (3 aprile – 10 maggio), e infine le tre città cinesi di Shanghai, Pechino e Nanchino (24 maggio – 29 giugno). La riflessione che attraversa l’insieme delle mostre si incentra sul tema delle nuove urbanità e sui fenomeni di trasformazione del territorio inteso nella sua globalità. Come afferma Josep Acebillo, direttore dell’Accademia, “uno dei fenomeni più cruciali e caratteristici del nostro tempo è la definitiva urbanizzazione del pianeta. Questo vale, in particolare, per lo sviluppo rapido di città e aree metropolitane d’importanza planetaria in regioni che, fino a non molto tempo fa, erano essenzialmente rurali e relativamente subordinate in un contesto socio-economico internazionale. Si tratta di un processo che racchiude molte potenzialità e speranze, ma anche problemi. Come possono l’architettura e l’urbanesimo intervenire in questo processo di trasformazione accelerata per permettere alle nuove realtà urbane di fronteggiare i problemi che emergono e massimizzare l’enorme potenziale rappresentato dai piani d’azione per lo sviluppo, l’equità, la libertà e il progresso di tutti i cittadini? Per esaminare a fondo tali questioni e per fornire possibili teorie architettoniche e urbane alternative, l’Accademia e il suo centro espositivo hanno preparato un ciclo monografico sull’argomento. Così, non solo saranno fornite informazioni preziose sulle dinamiche sociali e progettuali di varie metropoli contemporanee, ma saranno effettuati anche confronti che permetteranno di individuare le diverse logiche di sviluppo che caratterizzano aree appartenenti a continenti diversi”. La prima mostra, curata da Miquel Adria, è dedicata all’architettura messicana contemporanea. La selezione d’architetti in mostra è parte di una ricchissima e variegata realtà di
professionisti appartenenti a diverse generazioni e tendenze, dalle opere di architetti maturi come T. González de León, R. Legorreta, A. Landa e A. Quijano, a una serie d’opere recenti, frutto di una ricerca sperimentale avanzata da giovani talenti come E. Norten, B. Gómez-Pimienta, A. Kalach, J. Sánchez, M. Rocha e F. Romero, capaci di fornire risposte concettuali, stilistiche e formali anche molto diverse. Gianluca Gelmini
Il paesaggio e gli oggetti Isabella Cuccato Terra Aria Piacenza, Galleria della Associazione Amici dell’Arte via San Siro 13 28 ottobre – 9 novembre 2006 L’opera di Isabella Cuccato è stata recentemente esposta a Piacenza presso la Galleria dell’Associazione Amici dell’Arte situata nel complesso della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi. La pittrice veneta, che da molti anni vive e lavora a Milano, ha presentato un corpo unitario di opere per lo più realizzate negli ultimi anni e riunite intorno a un tema comune. I trentasei quadri a olio ripropongono e aggiornano una ricerca nota e affinata nel tempo, legata al paesaggio, agli oggetti, alla loro messa in scena. Nei quadri recenti il lavoro si concentra su un tema in parte nuovo, gli oggetti, vasi, coppe, mazzi di fiori sono disposti su semplici tavole e immersi nella luce e nell’atmosfera del paesaggio che si apre
alle loro spalle; fragili altari votivi che nascono dal ricordo di una consuetudine in uso nella campagna veneta. A questi quadri si accostano alcune opere realizzate precedentemente che affrontavano un tema affine racchiudendo la composizione in un interno domestico, entro stanze di vario colore. Affiora sempre nella pittura di Isabella Cuccato il rapporto forte con l’architettura che appartiene profondamente alla sua formazione, dopo gli studi svolti con Aldo Rossi per molti anni ha affiancato al progetto la pittura fino a scegliere definitivamente la professione di pittrice; dalla consuetudine con l’architettura i quadri derivano il rigore della composizione, lo studio dei pesi e l’attenzione alla disposizione. Ma nelle opere recenti i toni e le luci si fanno più assorti e ricercati, più velati e misteriosi, dominati da una nota livida o dorata ma sempre inquieta, lontana dalla gioia del colore, dalla luce viva e dalle ombre nette che avevano caratterizzato molte opere precedenti. Anche i paesaggi sembrano ora divenire più labili e sfuggenti, perdere certezza ed evidenza, quasi dissolti nell’atmosfera e plasmati nella sua stessa sostanza. In questa progressiva rarefazione il paesaggio rivela ancor più le proprie radici e la propria storia; è un paesaggio della pianura quello che viene descritto e indagato, irrigato e lavorato dall’uomo, segnato dalla fatica e dal ricordo. Un paesaggio della pianura padana o forse di certi coltivi assolati del meridione italiano tra la Puglia e la Sicilia. Da esso emergono le mense, i tavoli e le coppe ornate di fiori, come una sorpresa e un invito alla sosta; come un dono e un’offerta. Angelo Lorenzi
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In tale ottica si inquadra, a mio avviso, la mostra aperta a Brescia dedicata alla pittura del “paesaggio moderno in Europa”. L’esposizione si apre con l’opera di Turner e Constable, i due capostipiti del genere fuori della Francia; prosegue con il Neoclassicismo che pur perseguendo l’eco di fascinazioni idealistiche, svolge un ruolo primario per l’approfondimento dello studio della natura dal vero; si sofferma sul trionfo dell’en plain air e di un approccio libero dalle convenzioni dell’Accademia con la Scuola di Barbizon; e, infine, raggiunge la grande area dell’Impressionismo e del Post-impressionismo. A questo itinerario cronologicoverticale, la seconda parte della mostra ne interseca uno tematico-orizzontale, che condensa intorno a specifici topoi fisici differenti topoi estetici. Così, ad esempio, una medesima topografia (fiumi, campi, ecc.) viene dislocata a differenti latitudini poetiche dal naturalismo di Corot, alle metereologie trasfiguratorie di Monet, ai ribaltamenti spaziali di Van Gogh, all’analisi pointilliste di Signac. Il viaggio nella pittura di paesaggio termina con la sezione sul “giardino”, archetipico patto di armonia fra uomo e natura, che Monet con le sue ninfee informali e antinaturalistiche sconvolge, violando la secolare alleanza mimetica con l’arte. Il catalogo edito da Linea d’ombra riproduce con pregevole cura i tanti capolavori presenti, anche se i contributi teorici indulgono in analisi storiche scartando un approccio critico-comparativo che, ad avviso di chi scrive, offre chiavi di lettura essenziali per delineare la “storia culturale del paesaggio”.
a cura di Walter Fumagalli
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I corrispettivi per le opere pubbliche (prima e) dopo la Legge “Bersani” Nell’ultimo numero di questa rivista si è analizzato l’impatto della Legge “Bersani” (Legge 4 agosto 2006 n. 248 che ha convertito il Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223), sulla normativa in tema di tariffe professionali degli architetti nei rapporti con i soggetti privati. Peraltro la stessa Legge “Bersani” ha introdotto nuove e complesse problematiche anche per quanto riguarda i rapporti con gli enti pubblici ed in particolare per le attività espletate in vista della realizzazione di opere pubbliche. Uno dei principali problemi che l’interprete, e quindi anche le pubbliche amministrazioni che indicono bandi per lo svolgimento di attività connesse con la realizzazione di opere pubbliche, è chiamato da subito ad affrontare è di stabilire se l’abrogazione delle disposizioni che prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime riguardi anche il settore dei lavori pubblici, ovvero se si possa sostenere che in questa materia nulla (o quasi) è mutato. Prima di entrare nel merito della nuova normativa, è opportuno osservare che il problema della derogabilità dei minimi tariffari nei rapporti con gli enti pubblici non è certo una novità di questi ultimi tempi, dato che è sul tappeto da non meno di trent’anni. L’Articolo unico delle norme sulle tariffe degli ingegneri e degli architetti, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dalla Legge 5 maggio 1976 n. 340, aveva sancito il principio dell’inderogabilità degli onorari minimi previsti dalla tariffa professionale degli architetti, principio che tuttavia, secondo quanto chiarito dall’Articolo 6 della Legge 1° luglio 1977 n. 404, doveva “intendersi applicabile esclusivamente ai rapporti intercorrenti tra privati”. Successivamente fu emanato l’Articolo 12-bis del Decreto Legge 2 marzo 1989 n. 65, modificato dalla Legge di conversione 26 aprile
1989 n. 155, il quale prevedeva la possibilità di ridurre fino al 20 per cento i minimi di tariffa “per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque di interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici”. Il quadro normativo mutò a seguito dell’entrata in vigore dell’Articolo 17, comma 14 quater della Legge 11 febbraio 1994 n. 109, introdotto dall’Articolo 6 della Legge 18 novembre 1998 n. 415, il quale stabiliva che i corrispettivi per le attività svolte dai professionisti in riferimento alla realizzazione di opere pubbliche che sarebbero stati determinati con decreto ministeriale secondo quanto prevedeva l’Articolo 17, comma 12 ter dello stesso decreto, “sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’Articolo unico della Legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’Articolo unico della Legge 5 maggio 1976, n. 340”, sancendo la nullità di ogni patto contrario. Peraltro tale disposizione faceva espressamente salva la possibilità di deroga ai minimi tariffari entro il limite del 20 per cento di cui al citato Articolo 4, comma 12 bis, del Decreto Legge n. 65/89. In applicazione dell’Articolo 17, comma 12 ter fu emanato il Decreto ministeriale 4 aprile 2001 che ha determinato “i corrispettivi per le attività di progettazione e per le altre attività previste dall’Art. 17, comma 14-bis, della Legge 11 febbraio 1994, n. 109”. Tale Decreto ha avuto una serie di vicissitudini giudiziarie, (che per ragioni di spazio non possono essere riferite in questa sede, ma delle quali si è dato conto nei nn. 10/2003 e 12/2005 della rivista) dalle quali peraltro sembra essere uscito indenne. Con la recentissima ordinanza 30 ottobre 2006 n. 352, la Corte Costituzionale ha infatti riconosciuto la legittimità costituzionale dell’Articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94, introdotto dall’Articolo 7, comma 1 della Legge 1° agosto 2002
n. 166, il quale aveva previsto che, nelle more dell’emanazione del nuovo Decreto ministeriale di determinazione dei corrispettivi previsto dallo stesso Articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94, “continua ad applicarsi quanto previsto nel decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001”, e ciò benché al momento della pubblicazione della Legge che ha introdotto il sopra citato articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94 il Decreto ministeriale 4 aprile 2001 fosse già stato annullato dal TAR del Lazio. Nel nuovo “Codice dei contratti pubblici” (Decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163) il tema dei corrispettivi è disciplinato nei termini seguenti. L’Articolo 92, comma 2 stabilisce che “il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, determina, con proprio decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’Articolo 90, tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate”. Lo stesso comma precisa che i corrispettivi in questione “sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’Articolo unico della Legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’Articolo unico della Legge 5 maggio 1976, n. 340”, sancendo la nullità di ogni patto contrario. A sua volta l’Articolo 253 comma 17 prevede che “fino all’emanazione del Decreto di cui all’Articolo 92, comma 2, continua ad applicarsi quanto previsto nel decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001”, le cui previsioni, come detto, sono a loro volta da considerarsi “minimi inderogabili”. Sia con riferimento alle previsioni “a regime” sia relativamente a quelle valevoli in via transitoria, il Codice dei contratti prevede dunque l’inderogabilità dei corrispettivi relativi alle prestazioni professionali connesse alla realizzazione di opere pubbliche. In questo quadro normativo sono intervenute le previsioni del Decreto “Bersani”, il cui Articolo 2 comma 1, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate in sede di con-
sarebbe possibile per i soggetti indicati dall’Articolo 90 che non rientrano in questa categoria; il che sarebbe fortemente criticabile sotto il profilo della legittimità. In realtà, seguendo la logica di cui alla determinazione n. 2/06 si rischierebbe di giungere a conclusioni altrettanto paradossali. L’Articolo 92 del Codice dei contratti prevede infatti che le tabelle dei corrispettivi delle attività che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’Articolo 90 (che, come detto, non sono solo i liberi professionisti, debbano essere determinate “tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate” e che i corrispettivi in questione “sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’Articolo unico della Legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’Articolo unico della Legge 5 maggio 1976, n. 340”. Poiché le tariffe e le norme da ultimo richiamate si applicano soltanto ai liberi professionisti e non alle imprese commerciali, si potrebbe concludere che il regime di inderogabilità riguarderebbe solo i primi e non le seconde e che pertanto già il Codice dei contratti abbia introdotto proprio il “doppio regime” che, secondo la determinazione citata, sarebbe gravemente illegittimo. Pare viceversa corretto ritenere che il legislatore del Codice dei contratti, pur richiamando norme e tariffe valevoli soltanto per i liberi professionisti, abbia inteso con ciò riferirsi a tutti i soggetti, indicati al comma 1 dell’Articolo 90, abilitati a partecipare a procedure di affidamento di attività di progettazione di opere pubbliche, e quindi che in realtà non si tratti di un “doppio regime”, ma di una disciplina unitaria per tutte le
categorie di operatori. Si potrebbe dunque ritenere che analogo discorso possa valere per le previsioni della Legge “Bersani” e che pertanto l’abrogazione del principio di inderogabilità dei corrispettivi si applicherebbe nei confronti di tutti i soggetti di cui all’Articolo 90, comma 1, senza che si venga a creare alcun “doppio regime” per i liberi professionisti da un lato e per gli altri soggetti indicati dall’Articolo 90, comma 1 dall’altro. Peraltro vi sono altri aspetti, che non è possibile approfondire in questa sede, che pongono dubbi circa l’abrogazione degli Articoli 92 e 253 del Codice dei contratti da parte dell’Articolo 2 della Legge “Bersani”. Ci si riferisce in primo luogo al mancato rispetto, da parte del Decreto “Bersani” della procedura rinforzata di cui all’Articolo 1, comma 4 della Legge n. 131/2003, il quale prevede il coinvolgimento della conferenza Stato-Regioni nella definizione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente. A ciò si aggiunga che, a norma dell’Articolo 255 del Codice dei contratti “ogni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute”, il che non è avvenuto nel caso di specie. Da ultimo non pare così scontato che i “corrispettivi” disciplinati dal Codice dei contratti rientrino nella nozione di “tariffe” (i cui minimi secondo la Legge “Bersani” non sono più inderogabili). È quanto mai urgente, dunque, un intervento legislativo che faccia chiarezza sulla normativa applicabile in tema di compensi professionali connessi alla realizzazione di opere pubbliche, anche in considerazione del fatto che nel frattempo, con riferimento alla determinazione dei corrispettivi in questa materia, le amministrazioni stanno adottando le soluzioni più disparate, anche diametralmente opposte, alcune delle quali risulteranno giocoforza illegittime. Riccardo Marletta
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versione, dispone l’abrogazione delle “disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali… l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti...”. Il successivo comma 2 dello stesso Articolo 2 stabilisce poi che “nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali”. Si tratta di comprendere se le disposizioni della Legge “Bersani” abbiano comportato l’abrogazione dei sopra citati articoli 92 e 253 del Codice dei contratti. Propende per la risposta negativa il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori nella determinazione n. 2/2006 (della quale si è riferito nell’ultimo numero di questa rubrica). Ciò principalmente partendo dalla considerazione che, a norma dell’Articolo 90 del Codice dei contratti, tra i soggetti abilitati all’attività di progettazione di opere pubbliche vi sono non solo i professionisti e le società professionali di cui all’Articolo 1 della Legge n. 1815/1939, ma anche le società di ingegneria, i raggruppamenti temporanei, i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria anche in forma mista. Ora, l’Articolo 2 della Legge “Bersani” si riferisce soltanto “alle attività libero professionali e intellettuali” e tale non può essere definita ad esempio l’attività di una società di ingegneria che, secondo la determinazione sopra citata, rientrerebbe piuttosto nella categoria delle imprese commerciali. A detta di tale determinazione, pretendere di applicare la Legge “Bersani” ai corrispettivi dei liberi professionisti in questa materia significherebbe dunque creare un “doppio regime”: per le prestazioni dei liberi professionisti si potrebbe derogare al regime tariffario, mentre ciò non
a cura di Sara Gilardelli
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Organizzazione e certificazione qualità per lo studio di architettura L’evoluzione del mercato, la riforma delle libere professioni, l’introduzione di norme che per ragioni di sicurezza sociale (privacy, antiriciclaggio) sempre più coinvolgono i professionisti e ne condizionano l’attività, impongono agli studi professionali, compresi quelli di architettura, un riesame critico del proprio posizionamento e delle proprie strategie. Se aggregarsi, anche in modo non giuridicamente regolamentato, risulta essere la tendenza evolutiva degli studi di architettura in un’ottica di sostegno dell’immagine, di ottimizzazione dei costi e di miglioramento dell’efficacia operativa, creare aggregazioni ben governate ed organizzate diventa un’esigenza imprescindibile per chi voglia cavalcare in modo appropriato le nuove opportunità di sviluppo. In quest’ottica lo standard di qualità ISO 9000, soprattutto dopo la nuova impostazione data alla norma ISO 9001:2000 al fine di soddisfare anche le esigenze del mondo dei servizi, rappresenta un riferimento organizzativo semplice, ben articolato e di sicura efficacia se interpretato correttamente in relazione alle effettive esigenze e dimensioni dello studio. Pervenire alla certificazione qualità rappresenta infine un’opportunità sia per favorire i rapporti con gli enti pubblici (in occasione della partecipazione a gare di appalto) ed in generale il sostegno dell’immagine sia, e forse soprattutto, per il miglioramento nel tempo dell’efficienza e dell’efficacia dello studio. Sarebbe così auspicabile affrontare la creazione di un nuovo studio, o il riposizionamento del proprio studio già operante, in un’ottica di innovazione e di qualità, come se si trattasse di un progetto professionale, definendone gli input significativi, gli output (obiettivi) auspicati, nonché tempi, risorse ed azioni necessarie per conseguirli. Affrontare in modo progettuale la creazione o il riposizionamento di uno studio professionale significa definire i seguenti elementi fondamentali:
• Caratteristiche del contesto economico e sociale in cui si opera: – aspetti generali del contesto; – esterno allo studio (mercato, opportunità, vincoli operativi, ecc.); – interno allo studio (esperienze, storia, prerogative dei professionisti, ecc.); – aspettative dei partners; – punti forti su cui poter contare e vantaggi di cui poter godere per effetto della realizzazione del progetto; – punti critici e rischi con i quali “fare i conti”; – vincoli ai quali ci si deve condizionare. • Caratteristiche del progetto organizzativo che si vuole realizzare: – obiettivi prefissati; – risultati auspicati; – responsabilità attribuite. • Caratteristiche del processo, inteso come percorso da seguire per la realizzazione del progetto organizzativo: – risorse e condizioni necessarie; – risorse professionali necessarie; – risorse economiche necessarie; – attività da svolgere; – pianificazione. • Criteri e modalità di valutazione dei risultati ottenuti: – stato di avanzamento delle attività; – rispondenza delle attività al programma; – rispondenza dei risultati al programma; – capacità del personale rispetto alle esigenze; – procedure di misurazione di requisiti o caratteristiche. Prima di affrontare nel dettaglio le attività tipiche di uno studio di architettura “in qualità” è necessario chiarire quali sono i princìpi di base che ispirano le norme ISO 9000: 2000, di seguito elencati. • Organizzazione orientata al cliente: le organizzazioni dipendono dai propri clienti e dovrebbero pertanto capire le loro esigenze presenti e future, ottemperare ai loro requisiti e mirare a superare le loro stesse aspettative. • Leadership: i capi stabiliscono unità di intenti e di indirizzo dell’organizzazione. Essi dovrebbero creare e mantenere un ambiente interno che coinvolga pienamente il personale
nel perseguimento degli obiettivi dell’organizzazione. • Coinvolgimento del personale: le persone, a tutti i livelli, costituiscono l’essenza di un’organizzazione ed il loro pieno coinvolgimento permette di porre le loro capacità al servizio dell’organizzazione. • Approccio per processi: un risultato desiderato si ottiene con maggiore efficienza quando le relative risorse ed attività sono gestite come un processo. • Approccio sistemico alla gestione: identificare, capire e gestire un sistema di processi interconnessi, mirati a determinati obiettivi, migliora l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione. • Miglioramento continuo: il miglioramento continuo dovrebbe essere un obiettivo permanente dell’organizzazione. • Decisioni basate su dati di fatto: le decisioni efficaci si basano sull’analisi di dati ed informazioni. • Rapporti di reciproco beneficio con i fornitori: una organizzazione ed i suoi fornitori sono interdipendenti ed un rapporto di reciproco beneficio migliora, per entrambi, la capacità di creare valore. L’applicazione dei princìpi di gestione per la qualità si pone come obiettivo benefici diretti, quali: • l’identificazione e soddisfazione delle esigenze e aspettative dei clienti; • l’ottenimento delle prestazioni in modo più efficace ed efficiente; • il conseguimento, la conservazione ed il miglioramento delle prestazioni e delle capacità complessive dell’organizzazione. Ma può determinare impatto anche su: • fidelizzazione del cliente; • sviluppo dello studio attraverso le referenze di clienti soddisfatti; • risultati operativi; • flessibilità e velocità di risposta alle richieste del cliente; • comprensione e la motivazione del personale e dei professionisti verso gli obiettivi dell’organizzazione, come pure il loro coinvolgimento nel processo di miglioramento continuo. Lo standard organizzativo contenuto nella norma UNI EN ISO 9001:2000
Sviluppare un sistema qualità nell’ambito del proprio studio professionale significa pertanto: • Quanto alle responsabilità della direzione Definire chiaramente responsabilità e autorità tra i membri della struttura, mediante la redazione di uno o più organigrammi e la formalizzazione dei ruoli di responsabilità quali, a puro titolo esemplificativo, i referenti del cliente, i responsabili operativi, i responsabili del sistema informativo (privacy), i responsabili del servizio di prevenzione e protezione (sicurezza), ecc. (vedi tabella sotto). • Quanto alla gestione delle risorse (dipendenti, praticanti, collaboratori, professionisti associati) Definire i requisiti professionali delle varie funzioni per poi gestirne: selezione, formazione e addestramento, coinvolgimento e motivazione, qualificazione, monitoraggio. • Quanto all’erogazione del servizio DESCRIZIONE ATTIVITÀ (cosa, come, dove, perchè) Fare... Verificare...
CHI
QUANDO O ENTRO QUALE SCADENZA
Individuare le interazioni tra i diversi processi operativi, per evitare perdite di informazioni, colli di bottiglia e inefficienze operative. Definire e identificare con chiarezza gli incarichi ricevuti dai clienti, anche se non necessariamente in forma scritta. Pianificare le attività da svolgere mediante definizione delle scadenze, dei tempi di esecuzione e dei carichi di lavoro dei singoli collaboratori, monitorandone successivamente gli stati di avanzamento per evitare omissioni o ritardi rispetto alle previsioni. Inoltre, mentre per la gestione delle OBIETTIVO
AREA
RESPONSABILE
attività non standardizzabili (consulenze) potranno essere adottati esclusivamente “metodi” operativi definiti come progettuali, per la gestione delle attività “ricorrenti” potranno essere definite, sulla base delle esigenze riscontrate, procedure volte a definire le fasi critiche dei processi operativi al fine di azzerare i rischi di errore e ridurre progressivamente gli sprechi derivanti da correzioni, rifacimenti e rilavorazioni. • Quanto a misurazioni, analisi e miglioramento Gestire le criticità (non conformità) in modo efficiente analizzandone successivamente le cause per individuare possibili azioni di miglioramento (correttive o preventive). Monitorare lo stato di salute del sistema mediante attività coordinate di verifica e confronto nei confronti di tutte le aree di attività e di tutti i membri dell’organizzazione e successivi momenti di riesame da parte della direzione. Individuare e definire obiettivi di miglioramento misurabili in linea con IN QUANTO TEMPO
CON QUALI EVIDENZE (registrazioni della qualità)
CHECK RELATIVI
la politica le mission dello studio, monitorandone periodicamente il conseguimento sulla base di indicatori predeterminati (vedi tabella sotto). Affrontare un anno di lavoro “in qualità” può essere un buon metodo per testare (in fase iniziale) e revisionare periodicamente (a sistema avviato) le modalità di gestione del sistema organizzativo, anche se per ottenere la certificazione di qualità sono sufficienti normalmente tre mesi di attività “campionabile”. La verifica di certificazione esamina tutti gli aspetti operativi che si desidera far rientrare TEMPI
RISORSE
INDICATORE
nel sistema organizzato in relazione ai requisiti dello standard ISO 9001:2000 andando alla ricerca di evidenze di conformità. In caso di criticità non gravi vengono proposte dal valutatore opportunità per il miglioramento e solo in caso di gravi mancanze rispetto ai requisiti sopra citati può essere sospeso il rilascio del certificato fino all’adozione delle necessarie azioni correttive. Il raggiungimento della certificazione, infine, rappresenta un momento di forte coinvolgimento ed aggregazione per tutti i componenti dello studio che, se appropriatamente motivati, potranno contribuire sostanzialmente, nel tempo, al mantenimento /miglioramento degli obiettivi definiti dalla direzione. Alessandra Damiani consulente e valutatore sistemi qualità
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identifica quattro elementi criticostrategici per la gestione del sistema qualità (cosiddetti “macroprocessi”) che interagiscono tra loro in modo “circolare” nel perseguimento del continuo miglioramento dei risultati dove sia l’input che l’output si rapportano alle esigenze dei clienti (da leggersi anche come titolari, collaboratori, altre parti interessate), come requisiti in ingresso e come soddisfazione in uscita: • responsabilità della direzione; • gestione delle risorse; • erogazione del servizio; • misurazioni, analisi e miglioramento. Un’appropriata analisi dei dati di ritorno del servizio, portati all’attenzione della direzione, può consentire la definizione di obiettivi di miglioramento misurabili per una consapevole gestione, nel tempo, delle performance dell’organizzazione.
a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Legge G.U. n. 222 del 23.9.2006 Serie generale Decreto 14 settembre 2005 Norme tecniche per le costruzioni I princìpi fondamentali del decreto sono espressi dalle norme che disciplinano la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle costruzioni al fine di garantire la sicurezza e la pubblica incolumità. La realizzazione di strutture ed elementi strutturali dovranno essere progettati, realizzati, collaudati e saranno oggetto di periodiche manutenzioni, in forma economicamente sostenibile, in accordo al livello di sicurezza espresso dalle norme del decreto. Viene pertanto individuato uno “stato limite” della costruzione, inteso come valutazione verosimile della sicurezza di una costruzione. Gli “stati limite ultimi” identificano possibili crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, rischi per l’incolumità di persone, danni ambientali. Gli “stati limite di esercizio” stabiliscono i requisiti atti a garantire la condizione di esercizio di una costruzione. La “robustezza nei confronti di azioni accidentali” identifica un’azione preventiva in relazione ai danni derivanti da incendio, esplosione, urti, e conseguenze di errori umani. Il superamento di uno “stati limite ultimo” si definisce “collasso strutturale”. Il superamento di uno “stato limite di esercizio” comporta deformazioni reversibili o permanenti, ed in tal caso è definito come “stato limite del danno”. I livelli di sicurezza e le opere necessarie alla riduzione del rischio di danno, devono essere scelti dal Committente e dal Progettista in funzione all’uso e al tipo di struttura e in relazione alle possibili conseguenza del collasso. Saranno pertanto applicate in fase di progettazione misure volte a garantire la necessaria sicurezza sia con l’innalzamento dei parametri relativi alle sollecitazioni, sia nella scelta di materiali di cui sia garantita la “durabilità”. Tutti i prodotti utilizzati nelle costruzioni dovranno essere chiaramente identificati per le caratteristiche meccaniche, fisiche e chimiche e saranno garantiti tramite una certificazione di accettazione da parte del Direttore dei Lavori. Particolare rilievo assume inoltre la definizione di un “modello geotecnico” e la scelta dei parametri di compatibilità delle costruzioni al modello geologico. G.U. n. 235 del 9.10.2006 Serie generale D.Lgs 2006, n. 264 Attuazione della Direttiva 2004/54/CE in materia di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea
L’oggetto e campo di applicazione del decreto è espresso dall’Art. 1. Lo scopo è garantire un livello sufficiente di sicurezza nelle gallerie della rete stradale transeuropea. Sono pertanto adottate per la progettazione delle misure preventive volte a ridurre rischiose situazioni critiche per la vita umana, ambiente ed impianti, oltre a definire misure di protezione in caso di incidente. L’applicazione del decreto investe tutte le gallerie situate nel territorio italiano appartenenti alla rete stradale transeuropea, la cui lunghezza risulti superiore ai cinquecento metri. Il decreto non riguarda solo le gallerie allo stato di progetto o in corso di realizzazione, ma anche le gallerie già in esercizio. Sono fatte salve le disposizioni vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale in relazione alle nuove strutture ricadenti nel campo di applicazione del decreto, ovvero alle modifiche eventualmente apportate alle strutture esistenti. G.U. n. 243 del 18.10.2006 Serie generale Provvedimento 12 ottobre 2006 Modalità di esecuzione delle visure catastali Il provvedimento stabilisce i criteri e le procedure per le consultazioni di atti catastali, elaborati catastali e visure. Si riportano in seguito le disposizioni generali del provvedimento. • Le visure rilasciate dall’Agenzia del Territorio costituiscono l’informazione primaria e originale delle risultanze degli atti e degli elaborati catastali. Le stampe ottenute non contengono attestazione di conformità e non costituiscono certificazione. • Sono consultabili gli atti e gli elaborati catastali presenti nel sistema informativo dell’Agenzia del Territorio o su supporto cartaceo. • La visura degli atti e degli elaborati di cui al comma 2 è consentita a chiunque, salvo quanto previsto al comma 4. • La visura delle planimetrie delle unità immobiliari urbane è consentita, in conformità a quanto previsto dalle disposizioni vigenti, soltanto a richiesta del proprietario, del possessore, di chi ha diritti reali di godimento sull’unità immobiliare ed in genere di chi ha legittimo interesse o possa dimostrare di agire per conto di questi. • La visura degli atti e degli elaborati presenti nel sistema informativo è eseguita con modalità informatiche, con rilascio di una sola stampa a richiesta. • La visura degli atti ed elaborati disponibili su supporto cartaceo, e non presenti nel
sistema informativo, è consentita a vista, con facoltà di estrarne brevi note ed appunti. • L’utilizzo delle informazioni acquisite è consentito esclusivamente nel rispetto della normativa vigente. I servizi di visura riguardano: l’attuale per immobile; la storica per immobile; l’elenco immobili; la porzione di mappa; le planimetrie delle unità immobiliari urbane ed elaborati planimetrici degli immobili; i libretti delle misure degli atti di aggiornamento geometrico; le monografie dei punti fiduciali; gli elenchi delle coordinate dei punti fiduciali; Sono consultabili a vista: gli atti catastali su supporto cartaceo; gli atti di aggiornamento geometrico; le monografie dei punti trigonometrici catastali; gli elaborati catastali di cui al comma 1, qualora esclusivamente su supporto cartaceo. Il provvedimento infine stabilisce i criteri di richiesta del servizio e le modalità di erogazione. G.U. n. 247 del 23 ottobre 2006 Serie generale Sicurezza nei cantieri di lavori pubblici. Implementazione del casellario informatico Il Consiglio dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha emanato la Determinazione n. 4 del 26 luglio 2006 in materia di sicurezza nei cantieri edili, con particolare riguardo alla stima dei costi della sicurezza e in tema di annotazione nel Casellario. “Il Casellario informatico deve essere costantemente aggiornato con tutte le informazioni relative alla reale incidenza del fenomeno delle infrazioni degli obblighi di sicurezza nei lavori pubblici”. Le stazioni appaltanti sono pertanto tenute a comunicare gravi inosservanze rilevate nel quadro delle attività ispettive e di controllo degli organi deputati alla vigilanza dei cantieri. G.U. n. 253 del 30 ottobre 2006 Serie generale Deliberazione 6 aprile 2006 Primo programma delle infrastrutture strategiche (L 443/2001). Programma “Grandi stazioni”. Deliberazione n. 129/2006 La deliberazione si riferisce all’approvazione del progetto definitivo delle “opere complementari” relative alle principali stazioni italiane e gli stanziamenti deliberati per ciascuna di esse. L’approvazione consente la realizzazione di tutte le opere, prestazioni ed attività previste nel progetto approvato. C. O.
Ambiente D.Lgs correttivo all’esame delle Regioni (da “Edilizia e Territorio” del 30.10.06 – 4.11.06) Procede a rilento il cammino del D.Lgs correttivo del Codice Ambientale, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri. Dalle Regioni erano arrivati commenti favorevoli allo schema di D.Lgs, soprattutto perché viene prevista la modifica dell’Art.195 del Codice, in tema di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani. Appalti Dall’avvocato UE via libera agli affidamenti diretti sotto soglia di progetti e DL (da “Edilizia e Territorio” – Commenti e Norme del 20-25.11.06) Si torna a parlare di Legge Merloni: l’occasione è data dalle conclusioni dell’avvocato generale sulla causa legata alla procedura di infrazione contro la Merloni-quater. Secondo tali conclusioni vengono “assolte” le norme che consentono affidamenti diretti, in quanto il mancato richiamo al rispetto dei princìpi comunitari di trasparenza e non discriminazione non viola il trattato. L’osservanza può anche essere implicita. Edilizia Vecchi edifici certificati. Il percorso sarà graduale e legato alla vendita dell’immobile (da “Il Sole 24 Ore” del 16.10.06) Le nuove norme sulla certificazione energetica ampliano il raggio d’azione. L’obbligo di misurare il consumo d’energia di un palazzo o di un singolo appartamento sarà valido non solo per tutte le nuove costruzioni: il fabbisogno andrà stimato anche per i palazzi già esistenti. Lo prevede lo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri. Un provvedimento nato per fronteggiare alcune difficoltà legate alla prima applicazione della certificazione energetica, istituita con il D.lgs 192/2005. Il Comune: sì ai sottotetti anche nei palazzi antichi. Approvato il regola-
mento che permette di costruire: “Ma non è una liberalizzazione selvaggia” (dal “Corriere della Sera” del 22.10.06) Le modifiche apportate alle Norme Tecniche di Attuazione del Piano regolatore del Comune di Milano contengono una novità: si potranno realizzare sottotetti anche negli edifici costruiti prima del 1940. Fino ad ora non era possibile. Il provvedimento riguarderà le 147 zone B2 della città, pari a 10 milioni di metri quadrati. Milano Parcheggio alla Darsena, a rischio la Conca di Leonardo. I Comitati dei Navigli: ricorreremo al Tar (dal “Corriere della Sera” del 8.10.06) Neppure l’ultimo ritrovamento, la “Conca di Viarenna”, capolavoro di ingegneria per il sollevamento delle imbarcazioni datato 1439 e nota finora agli studiosi solo grazie alla descrizione di Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico, è bastato a fermare il progetto parcheggi in Darsena. I Comitati dei Navigli minacciano un ricorso al Tar. Cruciale è il mancato rispetto del vincolo di tutela. Il Parcheggio Darsena prevede 713 posti a rotazione, più 350 destinati ai residenti. L’Assessore al traffico, Croci, spiega che una commissione di esperti seguirà lo sviluppo dei lavori alla luce dell’impatto paesaggistico, in ragione del pregio storico e monumentale della zona. “Navigli fino alla Fiera, torri e verde: l’Expo a Milano”. Ufficializzata dal Governo la candidatura del 2015, ma si dovrà battere la concorrenza di Mosca e Smirne (dal “Corriere della Sera” del 28.10.06) L’Italia ha ufficialmente un candidato per la grande esposizione universale. Il dossier Milano ha convinto il Governo, adesso Milano dovrà battere la concorrenza delle altre città del mondo. Ma questa Expo cambierà anche il volto della città. È prevista la realizzazione della torre della Fiera di Pero-Rho e di due itinerari che collegheranno la Darsena al sito dell’Expo, ognuno della lunghezza di 20 chilometri. Il primo sfrutterà l’acqua dei Navigli con l’antico progetto di renderli navigabili. Il secondo è una via di terra che sarà percorribile a piedi o in bicicletta. Urbanistica Infrastrutture, fondazioni e logistica nell’edizione 2006 di Urbanpromo
(da “Edilizia e Territorio” – numero monografico su Urbanpromo 2006 del 6-11.11.06) La terza edizione di Urbanpromo, mostra dedicata al marketing urbano, si è svolta a Venezia con convegni e seminari che hanno visto la partecipazione di soggetti istituzionali e provenienti dal mondo accademico. La mostra ha ospitato duecento progetti e novanta espositori. I temi presentati ruotano principalmente intorno a tre assi: i progetti di riqualificazione urbana; le iniziative per potenziare i sistemi infrastrutturali e logistici; la promozione dello sviluppo locale. Ritorna l’argomento dei grandi corridoi europei e delle sue implicazioni nello sviluppo locale. Provincia di Milano: in gara 410 idee per rendere più vivibile l’area metropolitana (da “Edilizia e Territorio” – numero monografico su Urbanpromo 2006 del 6-11.11.06) Sono 410 i progetti del concorso Città di Città bandito dalla Provincia di Milano allo scopo di mettere a confronto proposte ed esperienze finalizzate a migliorare la vivibilità dell’area metropolitana. Di questi, 249 sono idee progettuali e 153 sono esperienze in atto. Tutti i progetti sono stati presentati a Urbanpromo e avranno grande visibilità anche con una mostra organizzata alla Triennale di Milano, all’interno della Festa dell’Architettura. Lombardia: incarichi per nuovi PRG. La Regione assegna 1,5 milioni di euro ai piccoli Comuni (da “Edilizia e Territorio” del 23-28.10.06) Piccolo sostegno della Regione Lombardia alla progettazione dei piani di governo del territorio introdotti dalla Legge 12/2005. È stato assegnato ai Comuni un primo finanziamento per 1,5 milioni di euro, in gran parte per centri con meno di duemila abitanti e raccolti in consorzio. Sono state oltre 750 le domande di finanziamento per elaborare i piani strutturali. Si prevede un costo complessivo di progettazione di circa sei milioni di euro. Intanto la Regione si prepara ad approvare criteri di semplificazione nella pianificazione territoriale per i Comuni sotto i cinquemila abitanti. Un provvedimento che dovrebbe far abbassare i costi di progettazione. M. O.
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Milano
a cura di Laura Truzzi Designazioni • Politecnico di Milano Sono stati effettuati i sorteggi per le nomine dei membri dell’Ordine per le commissioni di laurea per l’anno accademico 2005-2006. In seguito alla verifica delle disponibilità si nominano i seguenti architetti: – Laurea in Architettura vecchio ordinamento del 23 ottobre 2006: III Commissione: Margherita BIANCO. – Laurea in Architettura vecchio ordinamento del 24 ottobre 2006: II Commissione: Chiara Maria FREYRIE; IV Commissione: Paolo FRIGIERI. – Laurea in Architettura degli Interni e Disegno Industriale del 26 settembre 2006. In ordine di sub-commissione: Roberto SANZENI, Daniele Riccardo NAVA, Giuseppe MAGISTRETTI – Laurea Magistrale – Design degli Interni del 23 ottobre 2006. I Commissione: Anna Teresa RITACCO. – Laurea Triennale in Scienze dell’Architettura del 26 settembre 2006. I Commissione: Sabrina GRECO. – Laurea Triennale in Architettura delle Costruzioni del 26 settembre 2006. I Commissione: Valeria Giacoma ARMANI. – Laurea Specialistica/Magistrale in Architettura del 24 ottobre 2006. I Commissione: Roberto FERRARIN. – Laurea “Corso di Studi Urbanistica D.M. 509/99” del giorno 26 settembre 2006. In ordine di commissione: Giampaolo MARTINO, Orazio Claudio SOLIMANDO. – Laurea per il CDS in Architettura e Produzione Edilizia – Milano D.M. 509/99 del 27 settembre 2006. I Commissione: Renato DEGIORGI. – Laurea per il Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99 del 27 settembre 2006. In ordine di Commissione: Marco FRASSINELLI, Giancarlo MARZORATI. – Comune di VANZAGHELLO: richiesta di nominativi di professionisti per l’istituzione della Commissione per il paesaggio ai sensi dell’Art. 81 della R.L. n. 12 del 11 marzo 2005.
Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Claudio Fabrizio CAVALCA, Sergio CONTI, Fulvio MOSCA. Invitiamo gli iscritti a consultare periodicamente il sito www.ordinearchitetti.mi.it/news per tutte le nuove convenzioni e quelle già in atto con l’Ordine degli Architetti Serate • Villanueva e la sua scuola 9 novembre 2006 Ha presentato: Franco Raggi Hanno partecipato: German Fuenmayor, Joel Sanz Carlos Raúl Villanueva è senza dubbio l’architetto che vanta il maggior numero di opere in tutto il Venezuela. Di lui, poco conosciuto in Italia nonostante sia stato un grande Maestro dell’architettura moderna, ne ha parlato un suo allievo, Joel Sanz, presso la sede dell’Ordine, il 9 novembre scorso. Franco Raggi, Consigliere dell’Ordine, ha introdotto la serata definendola “un discorso sulla modernità dove vedremo la ricerca un po’ “caraibica” di declinare il razionalismo moderno”. La parola passa allora a German Fuenmayor, architetto venezuelano che lavora e vive a Milano dal
1985, che dichiara di ritenersi ancora oggi un allievo di Villanueva, come tantissimi suoi colleghi venezuelani. Pur avendo eseguito il percorso opposto rispetto al grande Maestro che dall’Europa (nasce a Londra nel 1900) si trasferisce in Venezuela, a Caracas (dove muore nel 1975) Fuenmayor, allievo a sua volta di Joel Sanz, si è formato come architetto sulla scuola di Villanueva, che ancora oggi rimane uno dei maggiori esempi per i giovani studenti. Joel Sanz, professore di composizione all’università di Caracas e vincitore del Premio nazionale di Architettura nel 2000, presenta alla serata, con l’aiuto delle fotografie delle realizzazioni, l’opera di Villanueva nel dettaglio e soprattutto le sue lezioni d’architettura: “Luce e ombra, Materia e forma, Interno ed esterno, Tradizione e modernità, Informalità e rigore”. Lezioni che Sanz stesso ha scoperto in più di trent’anni di studi e di approfondimenti autodefinendosi un “curioso fanatico della produzione architettonica” senza i pregiudizi che hanno accompagnato i suoi predecessori. Importantissimo, per Sanz, è che l’opera di Villanueva e le sue lezioni di architettura stiano ancora oggi formando i giovani architetti. Nel suo Paese, chiunque, a modo suo e nel momento più appropriato del proprio percorso
• Over 50 29 novembre 2006 Il 29 novembre scorso è stato presentato il libro 55/05. Cinquant’anni di professione. La provincia di Milano e i suoi architetti edito da Electa di cui già abbiamo pubblicato una recensione nel numero precedente. Con una breve cerimonia conclusiva sono state consegnate alcune copie del volume e una medaglia a ciascun architetto celebrato. A proposito dei sottotetti Pubblichiamo qui di seguito la lettera che il presidente dell’Ordine degli Architetti di Milano, Daniela Volpi, ha inviato a Giangiacomo Schiavi in risposta all’articolo pubblicato nella rubrica “dalla parte del cittadino” del Corriere della Sera il 27/10/2006 sul tema dei sottotetti a Milano. Milano, 6 novembre 2006 Prot.n. 061174 Egr. dott. Giangiacomo Schiavi Corriere della Sera Milano
e p.c. Egr. prof. Lodovico Meneghetti Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Politecnico di Milano Milano Egr.dott. Schiavi Leggiamo sul Corriere di venerdì 27 ottobre la sua risposta all’arch. Meneghetti riguardo alla questione dei sottotetti a Milano. L’affermazione “l’Ordine degli architetti è rimasto zitto” contenuta nel suo scritto non corrisponde ai fatti e rivela una preoccupante mancanza di informazione dei media. L’Ordine degli architetti, non è mai rimasto zitto. Già nell’aprile del 2000 infatti la consapevolezza di quello che sarebbe potuto accadere con la pubblicazione della seconda legge regionale sul recupero dei sottotetti (22/99) aveva spinto la Commissione di studio sul regolamento Edilizio istituita dall’Ordine a trasmettere all’Osservatorio Edilizio del Comune di Milano una nota relativa, tra l’altro, allo stravolgimento dell’art. 7 del R.E., relativo all’ambiente urbano e alla qualità dell’abitato, a causa della nuova facoltà introdotta dalla legge di modificare i colmi e le pendenze delle falde in tutta la Regione. Nell’ottobre del 2001, poiché le nefaste conseguenze delle L.R. 15/96 e 22/99 erano sempre più visibili sugli edifici della città, gli Ordini lombardi avevano dedicato al problema un intero numero della propria rivista “AL”. Nel luglio del 2003, in seguito alla modifica degli artt. 18 e 18bis delle N.T.A. (Norme Tecniche di Attuazione), l’Ordine aveva inviato al Comune la richiesta che “gli interventi edilizi relativi al recupero dei sottotetti a fini abitativi non potessero comportare alterazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde dei tetti” e che “qualora detti interventi avessero comportato la realizzazione di nuove aperture o l’inserimento di elementi architettonici nuovi, questi dovevano essere riconosciuti rispettosi dei caratteri architettonici dell’immobile e del suo contesto ambientale da parte della Commissione Edilizia integrata”. Nel gennaio del 2004 in occasione del dibattito “Le mani sulla
città” organizzato al Teatro Franco Parenti dal gruppo consiliare Verdi Lista Civica dell’Arancia che vide la presenza di diverse istituzioni, l’Ordine partecipò con un intervento nel quale ribadiva che la legge 22/99 avrebbe dovuto essere pesantemente modificata, se non addirittura abrogata, in quanto la qualità complessiva degli interventi di recupero dei sottotetti era ormai tale da rendere inaccettabile l’impatto che questi determinavano sull’immagine della scena urbana milanese. Il 19 aprile dello stesso anno il quotidiano “la Repubblica” pubblicò un mio contributo al dibattito in corso sulla proposta del Comune di organizzare “corsi di estetica per gli architetti”, nel quale ricordavo che ”la legge 15 e la 22 non l’hanno voluta gli architetti ma gli stessi amministratori e i legislatori regionali i quali, in nome del contenimento del consumo di territorio, avevano aperto la strada alla speculazione e concesso a tutti indistintamente di mettere le mani sulla città senza ostacoli e senza freni.” Alla fine dello stesso mese, preceduta da un comunicato stampa, l’Ordine organizzò una serata di dibattito pubblico intitolata “Sottotetti-una città coi capelli ritti”. La serata, ospiti della quale, tra gli altri, Gianni Verga, Gae Aulenti e Marco Romano, attraverso testimonianze, opinioni e illustrazione di casi esemplari, si concentrò sugli evidenti problemi di salvaguardia del territorio che le leggi regionali avevano cercato di scavalcare consentendo il recupero dei sottotetti, nonché sui rischi e sulle conseguenze che la speculazione e una cattiva interpretazione delle norme potevano portare ai palazzi e a tutta la città di Milano. Nel luglio del 2005, in vista della riscrittura degli art. 63, 64 e 65, attinenti il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti della nuova legge regionale sul governo del territorio (l.r12) l’Ordine inviò, dopo una vivace discussione con il neo assessore al territorio Davide Boni avvenuta nella sede della Regione, un documento contenente principi guida che proponeva, tra l’altro, di limitare la facoltà di recupero ai sottotetti realizzati entro il 31 di marzo 2005, data di pubblicazione della legge.
Nel settembre dello stesso anno, a seguito della pubblicazione da parte del Comune di Milano dell’avvio del procedimento di formazione del Piano di Governo del Territorio, abbiamo inviato al Comune “suggerimenti e proposte” riguardanti vari temi del piano, tra i quali il riuso dei sottotetti a fini abitativi. Il mese successivo, a seguito del progetto di legge n. 415 contenente la riscrittura degli art. 63 64 e 65 sopra citati, l’Ordine ha inviato all’On. Roberto Formigoni, agli Assessori regionali e ai Gruppi Consiliari un documento contenente una ferma presa di posizione sulla materia dei sottotetti, che sintetizzava le critiche precedentemente formulate, in coerenza con gli orientamenti già pubblicamente espressi. Da quanto sommariamente fin qui ricordato Lei potrà constatare che l’Ordine si è ripetutamente e in diverse occasioni espresso sulla questione dei sottotetti, rivolgendosi di volta in volta sia alle Istituzioni con contributi di vario genere sia ai cittadini e agli addetti lavori attraverso i giornali e con la partecipazione e l’organizzazione di convegni e dibattiti. In ogni caso sia chiaro che l’Ordine non può sostituirsi al legislatore né tantomeno alle Amministrazioni Regionale e Comunale, ma deve limitarsi a dare il proprio contributo quando richiesto, esprimendo poi liberamente e nelle sedi opportune le proprie opinioni e sollecitando dibattiti, cosa che abbiamo sempre fatto, anche se la nostra attività spesso non ha prodotto gli effetti desiderati. Ci auguriamo che la discussione possa proseguire e indurre l’Amministrazione a riflettere sulle tesi espresse recentemente su questo stesso giornale dall’Assessore Masseroli a difesa di una estensione, quanto mai inquietante, degli interventi consentiti dalla legge nel centro storico di Milano. Siamo disposti, qualora fosse di suo interesse, a fornirLe la documentazione di tutto quanto sopra detto e, sperando di poter avviare con Lei un utile rapporto di scambio di opinioni, La salutiamo cordialmente p. il Consiglio dell’Ordine il Presidente dr. arch. Daniela Volpi
47 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI
formativo e professionale, sta riconoscendo che le lezioni del Maestro sono ancora valide. C’è una sorta di “sottomissione intellettuale” all’opera di Villanueva che continua ad essere il paradigma architettonico in Venezuela. Franco Raggi quindi ringrazia Joel Sanz per averci fatto scoprire questo grande Maestro che sembra smontare il “monolitismo” dell’architettura moderna: per lui la diversità è organizzata attraverso la frammentazione della griglia sulla quale era impostato lo schema progettuale. La griglia, infatti, che sembra determinare la pianta, scompare nel realizzato in quanto Villanueva progetta anche gli spazi tra gli edifici proponendo “l’inatteso” come risultato finale. Chiudono la serata alcuni interventi del pubblico che ampliano ulteriormente il valore di Villaneuva; infatti alcuni tra i presenti hanno avuto occasione di conoscerlo quando, all’inizio della sua carriera, viveva in Europa e l’hanno letteralmente definito un Principe dell’Architettura.
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969
Base dell'indice-novembre 1969:100
Anno 2003
Giugno
2004 2005 2006
48
Maggio
Luglio
1513,16 1514,42 1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44 1600 1604,83 1606,09
Agosto Settembre Ottobre Novembre 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1580 1577,21 1579,72 1580,97 1583,48 1583,48 1610 1600 1609,85 1612,37 1612,37 1609,85
Tariffa stati di consistenza (in vigore dal dicembre 1982)
anno 1982: base 100
Anno 2004
Dicembre 1529,48
G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA
1555,86 1586,00
Gennaio 260 264,74
Febbraio Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre Ottobre
Novembre Dicembre
265,61
266,48
266,91
267,56
267,78
268,21
268,21
268,21
268,86
268,86
268,86
269,73
271,03
271,47
271,90
272,55
272,99
273,20
273,64
273,64
274,07
274,72 275,37 275,81 276,46 277,33 277,54 278,19 n.b. I valori da applicare sono quelli in neretto nella parte superiore delle celle
278,63
278,63
278,19
2005
INDICI E TASSI
Gennaio Febbraio Marzo Aprile 1500 1510 1501,86 1504,37 1509,40 1511,91 1530 1540 1532,00 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42 1590 1589,76 1593,53 1596,04 1599,81
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)
265,82 270 270,17
2006
Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2004 2005 2006
Gennaio 117,08 118,90 121,49
Febbraio 117,46 119,28 121,78
Marzo 117,56 119,48 121,97
Aprile 117,85 119,86 122,26
anno 1995: base 100 Maggio 118,04 120,05 122,64
Giugno 118,33 120,24 122,74
Luglio 118,42 120,53 123,03
Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 2000: base 100
Anno 2004 2005 2006
Giugno 108,73 110,49 112,78
Gennaio 107,58 109,25 111,64
Febbraio 107,93 109,61 111,90
Marzo 108,02 109,78 112,08
Aprile 108,28 110,14 112,34
Maggio 108,46 110,31 112,69
Luglio 108,81 110,75 113,05
Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 1999: base 100
Anno 2004 2005 2006
Giugno 113,95 115,80 118,20
Gennaio 112,75 114,51 117,00
Febbraio 113,12 114,87 117,28
Marzo 113,21 115,06 117,46
Aprile 113,49 115,43 117,74
Maggio 113,67 115,61 118,11
Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2001 103,07
2003 108,23
2004 110,40
1997 108,33
1998 110,08
1999 111,52
2000 113,89
1998 101,81
Agosto 108,99 110,93 113,22
1999 103,04
2000 105,51
2001 117,39
2002 111,12
Novembre Dicembre 118,90 118,90 121,01 121,20
Settembre 108,99 111,02 113,22
Ottobre 108,99 111,19 113,05
Novembre Dicembre 109,25 109,25 111,19 111,37
Settembre 114,23 116,35 118,66
Ottobre 114,23 116,54 118,48
Novembre Dicembre 114,51 114,51 116,54 116,72
gennaio 2001: 110,50 2006 114,57 novembre 1995: 110,60 2002 120,07
2003 123,27
2003 113,87
2004 116,34
anno 1997: base 100 2001 108,65
Ottobre 118,61 121,01 123,03
gennaio 1999: 108,20 Agosto 114,23 116,26 118,66
anno 1995: base 100
Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2005 112,12
Settembre 118,61 120,82 123,22
dicembre 2000: 113,40
anno 2001: base 100
2002 105,42
Tariffa DLgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
Luglio 114,04 116,08 118,48
giugno 1996: 104,20 Agosto 118,61 120,72 123,22
2004 125,74
2005 127,70
2006 130,48
febbraio 1997: 105,20 2005 118,15
2006 120,62
Tariffa P.P.A. (si tralascia questo indice in quanto non più applicato)
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale Legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Articolo 9 della Tariffa. Dal 2004 determinato dalla Banca Centrale Europea Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 3,25% Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 2,75% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 2,50% Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003 2,00% Provv. della B.C.E. (2.3.2006) dal 8.3.2006 2,50% Provv. della B.C.E. (9.6.2006) dal 15.6.2006 2,75% Provv. della B.C.E. (3.8.2006) dal 9.8.2006 3,00% Provv. della B.C.E. (5.10.2006) dal 11.10.2006 3,25% Con riferimento all’Art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
10,35% 9,85%
dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
9,10%
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)
Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005
dal 1.7.2005 al 31.12.2005
2,02% +7
9,02%
dal 1.1.2006 al 30.6.2006
dal 1.7.2004 al 31.12.2004
2,01% +7
9,01%
dal 1.7.2006 al 31.12.2006
C Per valori precedenti consultare il sito internet del proprio Ordine.
2,05% +7
Comunicato (G.U. 13.1.2006 n° 10)
dal 1.1.2004 al 30.6.2004
Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159)
2,09% +7
Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174)
2,25% +7
Comunicato (G.U. 10.7.2006 n° 158)
2,83% +7
9,09% 9,05% 9,25% 9,83%
Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’Art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.