ottobre 2004
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Nuove tecniche di rappresentazione
Mensile di informazione degli Architetti Lombardi Ordini degli Architetti delle Province di: Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Pavia Sondrio Varese
Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti via Solferino, 19 - 20121 Milano Anno 27 - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano
AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 10 Ottobre 2004
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Forum Nuove tecniche di rappresentazione interventi di Marco Brizzi, Manlio Brusatin, Maria Cristina Loi, Livio Sacchi, Vittorio Ugo Bergamo Brescia Como Lecco M antova M ilano Pavia Varese
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Argomenti
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Concorsi
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Professione e aggiornamento Legislazione Normative e tecniche Strumenti
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Informazione Dagli Ordini Lettere Stampa Libri, riviste e media M ostre e seminari
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Indici e tassi
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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni
Editoriale
Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Martina Landsberger, Mina Fiore Assistente di Redazione: Irina Casali Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Concessionaria di Pubblicità: Profashion srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 30039330 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: profashion@gruppodg.com Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 24.100 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 In copertina: Villard5. Gruppo di progetto Brownlee, Gautreau, Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno. Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL
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Sommario
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Maurizio Carones
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Editoriale
Sino a circa dieci anni fa usare calcolatori elettronici nel lavoro dell’architetto era considerato utile ma non indispensabile. Oggi è molto difficile – se non per una precisa scelta ideologica – immaginare di svolgere il nostro lavoro senza utilizzare il computer, la rete Internet e numerosi programmi elettronici per conoscere, scrivere, progettare, disegnare, comunicare. In questi ultimi anni il nostro lavoro, probabilmente più di quello di altre professioni, sta partecipando senza riserve a quella evoluzione integrale delle tecnologie che interessa nel complesso la società. Ciò, da un lato, perché l’attività dell’architetto è particolarmente connessa alla questione della rappresentazione ed il computer proprio in questo campo ha portato profonde modificazioni e, dall’altro, probabilmente, anche per quella caratteristica insita nel nostro mestiere che è il costante confronto con la contemporaneità. Come sempre ci sono i favorevoli ed i contrari, i nostalgici del lapis ed i fautori della definitiva smaterializzazione, anche se è difficile potersi dichiarare contrari all’evoluzione tecnologica: è un po’ come quando si sente raccontare che qualcuno non voleva usare il “ frigidaire” . Che lo si voglia o no infatti le nuove tecnologie elettroniche hanno portato cambiamenti che è inevitabile riconoscere, sia di tipo logistico che di tipo più strettamente metodologico. La scomparsa dei grandi tavoli da disegno (i “ tecnigrafi” ) con la conseguente riduzione degli spazi fisici del lavoro, la completa trasformazione del problema dell’archivio (“ hard disk” sempre più capienti, gli spazi di memoria elettronica che sostituiscono le stanze della memoria) stanno modificando i luoghi del nostro lavoro. La perdita di una manualità diretta (dello schizzo, ad esempio), la rappresentazione che privilegia gli aspetti più percettivi (il “ 3D” e le “ animazioni” ), la continua modificabilità del progetto (la proliferazione delle versioni), la pretesa di non fissare la scala delle rappresentazioni (alcuni progetti sono disegnati in scala 1:1), l’uso di componenti già disegnati (sorta di collage elettronico), la tendenza alla ripetizione ed alla moltiplicazione (conseguenza compositiva di alcune funzioni dei programmi elettronici di disegno) propongono invece riflessioni sulle stesse modalità di costruzione del progetto, in rapporto anche ad aspetti di natura economica e costruttiva. Sembra un elenco impossibile da concludere. Tutto ciò porta qualità al progetto? Come al solito, la risposta è variabile in relazione alla capacità di sfruttare i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione, considerando che in ogni caso il progetto ha sempre stabilito un rapporto positivo, di continuo scambio con gli strumenti di rappresentazione. Sta a noi utilizzare al meglio tali risorse, anche per riuscire a spiegare sempre meglio alla società i risultati del nostro lavoro, rendendolo sempre più autorevole perché compreso, anche se non necessariamente condiviso. In questo senso le nuove tecnologie costituiscono un’arma a doppio taglio: da una parte le nuove possibilità di rappresentazione del progetto in termini di simulazione (“ realtà virtuale” , sorta di ossimoro ormai entrato nel nostro linguaggio) offrono possibilità di comunicazione non del tutto sondate (si pensi all’uso dei video), dall’altra il progetto rischia sempre più di avvicinarsi agli accattivanti messaggi di comunicazione commerciale televisiva, in cui spesso l’architettura è usata come fondale significante (mulini bianchi e musei argentei). Il forum di AL dibatte sulla questione da differenti ed autorevoli punti di vista, il nostro mestiere continua e, forse, è sempre lo stesso.
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ll Forum di questo numero è composto dagli interventi di Marco Brizzi, professore a contratto presso il corso di laurea in Progettazione Multimediale della Facoltà di Architettura di Valle Giulia, Università La Sapienza di Roma e direttore della rivista on line Arch’it, Manlio Brusatin, saggista e professore di Storia dell’arte contemporanea alla Facoltà del Design del Politecnico di Milano, Maria Cristina Loi, ricercatrice in Storia dell’architettura presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Livio Sacchi, professore straordinario nell’area disciplinare del disegno presso la stessa Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi “ G. D’Annunzio” di Chieti e Pescara, Vittorio Ugo, professore ordinario di Teoria e storia dei metodi di rappresentazione presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano. Si è scelto, inoltre, di illustrare gli interventi con i disegni dei progetti degli studenti che hanno partecipato alla quinta edizione di Villard, seminario di progettazione itinerante, poiché spesso sono proprio gli studenti i più aggiornati e migliori utlizzatori di questi nuovi strumenti di rappresentazione. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.
L’architetto dietro lo schermo di Marco Brizzi La cultura occidentale sta vivendo un momento di transizione. Il passaggio da una società industriale ad una società dell’informazione, nel delineare nuovi campi di applicazione, tende a ridefinire le aree d’intervento per numerosi ambiti professionali, producendo nello stesso tempo nuove forme e nuovi mezzi espressivi. L’architettura, nel suo campo specifico, ha davanti a sé una trasformazione che va dai sistemi per la progettazione ai mezzi di comunicazione e visualizzazione del progetto. Come la televisione ha modificato negli ultimi anni il modo d’intendere l’informazione, così il digitale sta probabilmente modificando il nostro modo d’intendere l’architettura. In particolar modo la presenza del mezzo visivo, specialmente se associata allo sviluppo delle tecnologie digitali, sembra in grado di indicare alcune interessanti linee di ricerca applicativa, anticipando le manifestazioni di una rivoluzione che è appena cominciata. Da circa un secolo gli architetti conoscono la fascinazione del cinema, le sue potenzialità espressive, la capacità di articolare inedite narrazioni all’interno di costruzioni spazio-temporali. Ma se il cinema ha stimolato intere generazioni di pubblico, anche modificando sensibilmente il modo di percepire la rappresentazione dello spazio costruito, occorre riconoscere che in fin dei conti solo pochi
architetti hanno mostrato in tanti anni piena confidenza con la rappresentazione cinematografica. Certamente in molti si sono cimentati nell’uso della cinepresa per analizzare e per rappresentare le dinamiche urbane (il periodo delle avanguardie storiche è in questo senso ricco di sperimentazioni e denso di illusioni) e importanti ricerche sono state avviate sull’uso dell’immagine in movimento per descrivere e studiare oggetti artistici e architettonici (penso ai Critofilm di Ragghianti); ma in qualche modo, suo malgrado, l’architettura ha beneficiato solo marginalmente delle potenzialità e delle risorse espressive caratteristiche delle documentazioni e delle rappresentazioni dinamiche. “ Ho comprato una cinepresa che la Kodak vendeva a 6F per vendere pellicola ai cretini come me. Poi ho notato che affidando le emozioni ad un obiettivo dimenticavo di vivere; e questo era grave. Ho lasciato perdere la Kodak ed ho preso il lapis, il taccuino, e da lì ho sempre disegnato, dovunque, anche sul metro. Disegno sempre per notare. Scrivo perché se passa dalla mano alla testa è notato ma se passa dal dito sul pulsante della cinepresa alla pellicola io non sono stato al gioco” : così Le Corbusier, documentato in uno splendido video realizzato qualche anno fa da Jacques Barsac. Oggi gli architetti hanno la possibilità di “ stare al gioco” ; possono usare il video non solo per leggere l’architettura, ma anche per rappresentarla e, soprattutto, per esprimere e far vedere delle soluzioni progettuali. In questo senso lo strumento video tende ad assumere un ruolo forse non lontano da quello che poteva avere il disegno dell’architetto. Visualizzare l’architettura attraverso lo schermo significa mostrare idee, progetti, spazi, architetture usando un mezzo di larga comunicazione e di pubblica fruizione. I sistemi digitali favoriscono infatti una rappresentazione dinamica tale da permettere, tanto all’architetto quanto allo studente, di anticipare soluzioni architettoniche non ancora costruite, di render visibili architetture non più esistenti, oppure mai esistite. Molti studenti affidano i loro progetti a tali mezzi espressivi, e altrettanto fanno gli architetti che riconoscono nel video uno strumento di grande efficacia nello studio e nella pubblica comunicazione dell’architettura, scoprendo rinnovate potenzialità nell’uso di un mezzo che da molto tempo parla di architettura, ma quasi mai per bocca di architetti. Tutto questo porta ad una riconsiderazione dei mezzi d’informazione e di diffusione del sapere architettonico. Ciò che è valso e vale per la carta stampata probabilmente conoscerà presto altri percorsi capaci di esprimere contenuti e valori diversi. Se l’architettura si trova al punto d’incontro tra tecnologia e cultura, allora le nuove tecnologie di comunicazione potranno fornire importanti spunti di riflessione per lo sviluppo dell’architettura e per la sua visualizzazione. Per ora, senza volersi spingere troppo oltre, non ci resta che stare a guardare.
Gruppo di progetto Ciurleo, Coco, Del Popolo, Facoltà di Architettura di Reggio Calabria.
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Il blob design. Disegno e progetto nella seconda modernità di Manlio Brusatin Nessun dubbio che il passaggio dal progetto eseguito a mano, durato fino agli anni Ottanta, rispetto a quello digitale (nei vari Cad, Autocad, Autodesk...) rappresenti la rivoluzione copernicana dei sistemi di rappresentazione, ai nostri fini più importante della video scrittura. A più di dieci anni dallo stupore esercitato dal rendering e dalla varie rappresentazioni virtuali, possiamo rimpiangere le vecchie rappresentazioni grafiche, anche quelle illusorie e spettrali con l’applicazione maniacale della teoria delle ombre? È possibile. Negli elaborati originali “ su lucido” l’apporto manuale era diventato enormemente ripetitivo e con le copie “ a lenzuolo” il tempo diventava illimitato per ogni variazione, anche minima, del progetto. Si può dire che tutto quel tempo speso non nel progetto ma nel prodotto grafico-cartaceo era un delitto? Può dirlo chi l’ha sperimentato, a disegnare con il parallelografo in legno, il tiralinee affilato, il bastoncino di china con acqua distillata, il Teatro Carlo Felice, nel progetto non
realizzato di Carlo Scarpa, alla fine degli anni Sessanta, come chi scrive. Ora si vedono in giro per le nostre città i primi risultati diffusi delle costruzioni interamente elaborate con processi digitali. E non solo alla prima impressione si presentano piuttosto impoveriti e deludenti rispetto alla loro rappresentazione progettuale. Ciò che non succedeva per le architetture realizzate negli anni prima e dopo la seconda guerra, che mostravano un’immagine ricca di dettaglio e di sapere costruttivo, accanto a progetti molto poveri di segno. Ora è l’inverso, progetti molto ricchi di segno manifestano delle realizzazioni povere di qualità rispetto alla loro virtualità. Un’apparente precisione del disegno computerizzato, di fronte alla prova del fuoco dell’esecuzione, mostra i segni di una forte mancanza di dettaglio, meglio, di una vera mancanza d’occhio nel taglio nella congiunzione delle superfici, nel collegamento a terra o nel coronamento dell’edificio verso il cielo. Il decostruttivismo architettonico, che è un progetto senza dettaglio, ha ingigantito il ruolo dell’oggetto artistico (e dell’autore) in sé, ma deve ricercare una tecnologia sorprendentemente esperta per riuscire a produrre quel-
Villard5 Intitolato alla memoria dell’abate francese e didatta itinerante Villard d’Honnecourt, il seminario di progettazione itinerante “ Villard” ogni anno seleziona circa ottanta studenti in varie facoltà di architettura – Venezia, Genova, Pescara, Roma 3, Ascoli Piceno, Parma, Napoli, Reggio Calabria e Palermo – e un gruppo di borsisti segnalati dalla Triennale di Milano, e li porta in giro per l’Italia a conoscere le altre città e le altre realtà accademiche, invitando ad ogni tappa, docenti e architetti con culture di esperienze diverse a presentare il proprio lavoro e a dialogare con tutti i partecipanti. In questa quinta edizione, il seminario ha affrontato lo studio della condizione urbana di Genova, riconoscendone il carattere esemplare e la condizione-limite capace di mostrare nel modo più esplicito e paradossale alcuni meccanismi di trasformazione della città contemporanea. L’attenzione è stata concentrata sul ponente genovese (le zone di Voltri, Multedo, Cornigliano e San Benigno), osservando la relazione tra città e porto nelle aree della produzione, dello scambio, delle merci: luoghi di profonde trasformazioni infrastrutturali che costruiscono la figura della città senza determinarne l’immagine che i turisti consumano, ma costringendo a ripensare l’idea di metropoli industriale contemporanea. Gabriele Mastrigli
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l’oggetto “ in grande” . Il progetto decostruttivo “ nasce” infatti dalla impossibilità di essere rappresentato se non con programmi digitali di configurazione tridimensionale. Ora soprattutto gli studenti si divertono a creare con questi programmi forme che non stanno in piedi, in gergo blob, che servono soprattutto nel design per un esercizio formale. La creazione di una forma tradizionale tridimensionale presume da sempre che uno sappia realizzarla, anche se non manualmente, nelle sue varie fasi. Il blob è una forma che non segue più una funzione ma una finzione e quindi ha mille modi di realizzarsi in un’infinità di materiali possibili e di costruttori qualsiasi. In questo modo la costruzione rispetto ai materiali e ai realizzatori è un’estesa metafora all’interno dello stato dell’arte dove soggetti e oggetti possono essere scambiati in un gioco dove percezione si sostituisce a ricezione, come nel contemporaneo può esserci un’agricoltura senza contadini, degli artisti senza quadri, dei navigatori senza navi… Un tempo una grandissima mole di progetti disegnati e non realizzati erano in realtà perfettamente realizzabili da chi li disegnava e progettava. Ora il progetto, il grande progetto high-tech o decostruttivo (con molta più tecnologia) è realizzabile quasi esclusivamente a prescindere dal progettista. Questa è una ragione per cui gli stessi architetti sono responsabili di realizzazioni pienamente riuscite e di altre che distruggerebbero con le loro mani, ma che purtroppo rimangono degli orrori davanti a tutti – mai successo in passato. Architetture che fortunosamente si distruggono da se stesse perché un eccesso di tecnologia non può essere impiantato in un deserto di tecnologia. Il deserto avrà la meglio. Le architetture che fanno i conti solo con lo spazio ma non corrispondono al tempo (ma solo al loro) e al luogo, spariranno da se stesse. James S. Ackerman ha inneggiato in un recente libro (Architettura e disegno. La rappresentazione da Vitruvio a Gehry, Electa, Milano, 2003) alle nuove e immense possibilità di due architetti come Peter Eisenman e in particolare Frank O. Gehry che si sono affidati da subito alla progettazione digitale, con i risultati che si vedono. L’architettura del Guggenheim di Bilbao dipende da Frank O. Gehry non più di un’idea perfettamente disegnata come un oggetto d’arte. La realizzazione infatti è di un costruttore che si costruisce con abilità tutti i suoi punti satellitari, e si provvede poi di materiali aerospaziali da cantieri in rottamazione. La rappresentazione del disegno virtuale crea soprattutto l’illusorietà della costruzione istantanea, per qualsiasi spettatore anche addetto, con animazioni molto più efficaci di qualsiasi modello o prospettiva a volo d’uccello che producevano l’immagine-giocattolo di ciò che si sarebbe potuto – ma si sarebbe solo potuto. Più che l’architettura di nuova costruzione, che risulta piuttosto deludente rispetto all’immagine del computer (una chiesa assomiglierà a uno stadio e uno stadio a una
Gruppo di progetto Amico, Brullo, Falzone, FacoltĂ di Architettura di Reggio Calabria. Gruppo di progetto Di Maio, Terraciano, Valdo, IUAV, Venezia.
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Gruppo di progetto Fortunato, Latorre, Mastrangelo, FacoltĂ di Architettura di Pescara.
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Il disegno di architettura di Maria Cristina Loi Nel 1990 nasceva “ Il Disegno di Architettura” , la prima rivista italiana interamente dedicata al disegno, nelle sue molteplici valenze, come strumento di studio, di riflessione, di verifica progettuale e come insostituibile documento di indagine storiografica. La pubblicazione di disegni di architettura inediti, italiani, databili fino al chiudersi del XIX secolo, conservati in archivi italiani e stranieri, è stato uno dei primi obiettivi della rivista. Ma non
solo. Il suo fondatore, Luciano Patetta, oltre ad offrire un nuovo strumento operativo alla comunità scientifica internazionale, rendendo conto di archivi, collezioni, nuove acquisizioni, frutto delle ricerche più recenti, voleva anche aprire un dibattito per individuare problemi e raccogliere proposte, stimolare la riflessione sull’importanza dell’uso del disegno di architettura per gli studi storici, denunciare la carenza di repertori sistematici e promuoverne la catalogazione. Voleva, in ultima analisi, non affermare la priorità o attribuire un valore autonomo al disegno di architettura rispetto alle altre fonti storiche e documentarie, ma, al contrario, contribuire a favorirne il suo uso. Con questo spirito, tra la funzione di bollettino d’informazione – utilissimo per individuare fondi e archivi poco noti e per conoscere l’opera grafica di architetti “ minori” , magari attivi in aree periferiche rispetto ai grandi centri artistici dal Rinascimento all’Ottocento – e quella di terreno di discussione sui temi più generali legati al disegno di architettura, la rivista è cresciuta negli anni, registrando non solo approfondimenti e precisazioni, frutto di studi decennali, ma raccogliendo contributi di studiosi anche molto giovani e quindi gli esiti di tesi di laurea o di dottorato, o di pioneristici progetti di ricerca in Italia e all’estero. La struttura della rivista è rimasta pressoché invariata negli anni: interviste, indagini, commenti su temi generali, seguite dalle segnalazioni di nuovi fondi o raccolte, da schede e contributi monografici e, infine, dalle recensioni. Le interviste a storici dell’architettura hanno contribuito ad inquadrare il ruolo del disegno nel lavoro di alcuni tra i massimi architetti del Rinascimento, da Francesco di Giorgio a Bramante, a Palladio e ad individuare, nel corso del tempo, i passaggi chiave nell’uso del disegno, anche in relazione all’uso sincronico di altri strumenti di verifica e progettuali, come ad esempio, nel Rinascimento, i modelli in cera e in legno. Le recensioni di monografie, cataloghi di mostre, testi critici, hanno riguardato volumi in cui il tema del disegno di architettura era centrale. Ricordiamo inoltre un’indagine presso gli Archivi di Stato italiani, avviata per comprendere i principali problemi di conservazione e di uso del materiale cartaceo, antico e facilmente deperibile, dati dal sovraffollamento delle sale di studio e dalla mancanza, quasi sempre, di norme a tutela di questo prezioso patrimonio. Alcuni numeri monografici sono stati dedicati alle incisioni, alle grandi raccolte di disegni milanesi e, l’ultimo in ordine di tempo, a Leon Battista Alberti, in occasione delle celebrazioni per il seicentesimo anniversario della nascita. Il più importante contributo della rivista è stato forse quello di rendere il senso della ricerca storica. Innanzitutto perché, ogni qualvolta un nuovo disegno va ad aggiungersi a un corpus già noto, si rende necessaria un’operazione di revisione delle ipotesi già elaborate. Un solo foglio, infatti, può rimettere in discussione le precedenti ricostruzioni sulla storia di un edificio, può sciogliere dubbi, o, al contrario, obbligare a riscrivere una storia completamente nuova. Inoltre, la possibilità di mettere a confronto modi diversi di disegnare da parte di architetti coevi, o di verificare l’insistenza su alcuni temi progettuali, o ancora, riscontrare l’attenzione costante, nel tempo, verso determinati edifici dell’antichità, offre lo stimolo per importanti riflessioni che arricchiscono la ricerca storica. L’introduzione, nel 2001, della pubblicazione di disegni di architetti contemporanei ha segnato una svolta. È stato
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chiesa), il disegno automatizzato sta sorprendentemente conquistando due opposti campi. Il restauro e il design. L’architettura antica, in larghissima misura modulare, la linea simmetrica, il dettaglio ripetuto raggiungono qui il più esatto sistema di rappresentazione. Ma in realtà si tratta di un’architettura già realizzata che viene disegnata e rappresentata – come nemmeno il suo architetto avrebbe fatto. Esecuzione e rappresentazione hanno un grande risultato nel trattamento e nell’analisi dei dettagli dove le funzioni originarie e soprattutto le variazioni hanno tracciato mappe e segni che possono essere letti solo nel disegno digitale di rilievo. Per la stessa ragione, il piccolo oggetto di design o l’oggetto più grande, che è fatto di piccole parti, è privilegiato dall’operazione di montaggio e smontaggio del disegno tridimensionale che un tempo si doveva fare a mente per arrivare a un’immagine voluta, restando però in casi frequenti un’icona assolutamente priva di fascino estetico e di vera anticipazione di un risultato. La rappresentazione trimensionale non ha raggiunto pienamentete la quarta dimensione del colore, che è la qualità dell’oggetto. Spesso il kitsch cromatico di queste simulazioni non conosce nemmeno i più elementari accostamenti dei colori primari e dei complementari, che un primitivo o un bambino di cinque anni sa risolvere perfettamente, anche se poi dimenticherà completamente. Anche la web o net art ormai da dieci anni ripropone senza saperlo ciò che Boccioni e i futuristi, Kandinskij e gli astratti hanno fatto all’inizio del Novecento, nei loro quadri. Per contro i sistemi grafici introdotti recentemente “ a mano libera in digitale” fanno riemergere architetture paleotecnologiche i cui esempi cominciano a spuntare accanto all’architettura vernacolare, che non è semplicemente una riedizione folklorica, ma un riesame di materiali di sempre dove il bio fa arretrare il tech o ne propone un’analisi dei fondamenti e soprattutto un destino più umano. Attraverso una simulazione spinta di modelli che hanno nella rappresentazione virtuale le variazioni cromatiche accanto alle luci dinamiche e variabili nei rapporti interno-esterno, si propongono principi di costruzione come germinazione. Architetti come Richard Leplastrier e Ville Hara propongono biografie non eroiche ma etico-estetiche. Cioè il contrario degli “ archistars” che hanno fatto il bello e il brutto possibile e hanno spostato il disegno fuori dal progetto per la meraviglia della società dello spettacolo e il progetto fuori dal disegno in una costruzione fuori dal mondo, delegata ai soli poteri dell’immagine e all’immagine dei poteri. Dopo la decostruzione, che non ci è mai piaciuta e che si è fatalmente fermata l’11 settembre (anche con la sua commemorazione), il “ futuro del classico” in architettura mostra ancora una prospettiva virtuale quanto naturale, dinnanzi alla seconda modernità. Ancora un po’ di Grecia S.V.P.
Gruppo di progetto Barattucci, Damiani, Trolio, Facoltà di Architettura di Pescara.
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infatti ritenuto opportuno dare spazio al tema del disegno di architettura oggi, alla luce di quella vera e propria rivoluzione che dobbiamo definire l’uso del computer. I primi articoli hanno riguardato il lavoro di Aldo Rossi, Mario Botta, Giorgio Grassi, Guido Canella, Alessandro Anselmi, Umberto Riva, Augusto Romano Burelli e Paola Gennaro, Antonio Monestiroli, Rafael Moneo. Attraverso le loro stesse parole, o quelle di altri storici e architetti, si sta aprendo un terreno di discussione che favorisce il confronto sul nuovo modo di usare lo strumento del disegno, e quindi, in ultima analisi, di progettare in questi ultimi trent’anni. L’abbandono della matita e della penna, ovvero, il loro uso limitato ad alcuni momenti della progettazione, e l’uso esteso della macchina per l’approfondimento progettuale, sono delle costanti, tranne rarissime eccezioni (è il caso di Umberto Riva, ancora tenacemente legato all’uso di matita e tecnigrafo), ma l’esplodere e il moltiplicarsi di nuove potenzialità nei modi di rappresentazione ha influito sull’iter progettuale e sul pensiero dei singoli architetti in modi completamente diversi. Il disegno di architettura oggi è definitivamente cam-
biato, ma Rafael Moneo, in una lunga intervista rilasciata nel 2003, ad esempio, ha sottolineato con grande fiducia che l’avvento del computer ha segnato una svolta paragonabile a quella avvenuta, nel Rinascimento, con l’introduzione della prospettiva. E lo schizzo rimane, per lui come per altri, uno dei momenti più importanti, il vero e imprescindibile atto creativo di fronte a un nuovo progetto.
Liquefare, liquidare di Livio Sacchi La progettualità architettonica contemporanea è uscita evidentemente rivoluzionata dall’ormai abbastanza sedimentato avvento del digitale. Una rivoluzione che, in una prima fase, ha visto contrapporsi i fautori del “ vecchio” a quelli del “ nuovo” , in una sorta di aggiornato gioco delle parti che ricorda la vecchia querelle des anciens et des modernes. Ben presto, da parte degli an-
Gruppo di progetto Pagnano, Facoltà di Architettura di Napoli.
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ciens, cioè dei “ tradizionalisti” , detrattori del digitale, ci si è però resi conto che non era possibile continuare a osteggiare ciò che di fatto aveva, su quasi tutti i fronti, vinto. Simmetricamente, da parte dei modernes, cioè degli “ innovatori” , entusiastici propugnatori del digitale, ci si è resi conto che una cosa è la progettazione per i concorsi di idee, la circolazione in rete o le pagine di una rivista, tutto ciò che potremmo insomma chiamare gli “ effetti speciali” , e una cosa la progettazione ai fini della produzione architettonica: la creatività fondata sul digitale non è, ovviamente, garanzia di buona architettura, così come tanta buona architettura continua, altrettanto ovviamente, a derivare da una progettualità affatto disgiunta da ogni utilizzo conformativo del digitale. Naturalmente ciò non vuol dire che la rivoluzione non sia avvenuta, né che, all’interno della sfera digitale, non siano stati disegnati alcuni straordinari progetti cui hanno fatto seguito altrettanto straordinarie realizzazioni (1). Dal punto di vista didattico, l’avvento del digitale ha avuto effetti, se è possibile, ancor più evidenti. L’area discipli-
nare della rappresentazione (un’anomalia tutta italiana), pur con le lentezze e le disfunzioni della nostra università, ne è uscita sostanzialmente rinnovata e il suo appeal nei confronti degli studenti fortemente accresciuto. Laboratori digitali si sono diffusi in molte delle nostre scuole d’architettura, con risultati spesso interessanti. Nuovi corsi di laurea si sono e si stanno caratterizzando in questa direzione, conquistando rapidamente un gran numero d’iscritti. Lo stesso vale per le tesi di laurea, i dottorati e la ricerca in genere. Non a caso, in un intervento sulla crisi degli spazi teorici e operativi della composizione architettonica, Franco Purini – citando esplicitamente il lavoro portato avanti da alcuni docenti a Roma “ Valle Giulia” , a Milano e a Pescara – osserva che “ il disegno è ... riuscito, abbracciando con esiti spesso sorprendenti le risorse del mondo digitale, ... a costruire un orizzonte sperimentale ormai del tutto coincidente nella sua ampiezza con quello della composizione architettonica e urbana” (2). La rappresentazione dell’architettura è dunque radicalmente cambiata: sia quella che procede dall’esistente,
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cioè il disegno di rilievo, sia quella che precede ciò che esisterà, cioè il disegno di progetto. E se è vero che non c’è elaborato 2 o 3D che non sarebbe stato possibile redigere con metodi tradizionali, sia pur con tempi e costi difficilmente competitivi e sostenibili, è anche vero che la grafica digitale ha comunque portato all’interno del disegno di progetto ciò che non era storicamente mai esistito: le animazioni e quindi la possibilità di “ navigare” all’interno di uno spazio architettonico e urbano soltanto progettato proprio come se fosse già stato effettivamente realizzato. Si tratta dell’applicazione al progetto di quanto auspicato da Bruno Zevi per la documentazione del fattore “ tempo” in architettura: “ qui è l’uomo che, muovendosi nell’edificio, studiandolo dai successivi punti di vista, crea, per così dire, la quarta dimensione, dona allo spazio la sua realtà integrale” (3). E quando, affermando che “ la cinematografia sta entrando nella didattica” , lo stesso Zevi esprimeva insoddisfazione per i limiti di essa, limiti che la rendono incapace di rappresentare la pluralità dei cammini possibili all’interno o attorno a un’architettura, sembra quasi anticipare la domanda per una navigazione interattiva dello spazio (4). Ma il più significativo effetto dell’avvento del digitale è stato, a ben guardare, il sensibile spostamento dei confini dell’operatività architettonica: la nozione di architettura si è oggi allargata rispetto a quella di un tempo. E, all’interno delle scuole, la sfera d’interesse complessiva risulta sensibilmente ampliata a pressoché tutti gli ambiti del design, della grafica e della comunicazione visiva. A ciò si aggiunge un indotto ancor più notevole sul piano generalissimo della creatività: il digitale coincide, sempre più, con l’orizzonte estetico del nostro tempo, con il nostro Zeitgeist: un momento di chiaro predominio della categoria dell’estetico che sembra compiere ciò che Filiberto Menna aveva delineato come Profezia di una società estetica. Un processo caratterizzato da sperimentalità estrema, che si spinge, come direbbe Deleuze, fino al superamento del limite, di una soglia oltre la quale c’è, forse, un diverso stato ontologico. Un concetto che sembra segnare ogni manifestazione del pensiero contemporaneo, ma che costituisce anche una sfida all’attuale marginalità dell’architettura e ai confini – psicologici quanto fisici – che la storia sembra averle assegnato, in un radicale sforzo di liberazione e rifondazione di ogni precostituito modello di pensiero e di giudizio. Resta da vedere quanto ciò sia effettivamente in grado di incidere sulla qualità architettonica, di penetrare lo specifico dell’ideazione e della costruzione dello spazio architettonico e se quella da più parti proclamata “ liquefazione” della modernità non coincida invece con una sua progressiva “ liquidazione” : ma ci sembra che si tratti di rischi che vale senz’altro la pena di correre (5).
Note 1. Cfr. R. De Fusco, L. Sacchi, “ Il codice dei “ limiti” . L’architettura alla fine del secolo XX” , in R. De Fusco, Storia dell’architettura contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2000. Cfr., in particolare, il paragrafo “ La linea telematica” , pp. 713-728. 2. F. Purini, “ Le spalle al muro” , 2003. Jive Forums, Congresso di Torino: cfr. http://www.arc-dottorati.it/forum/view. 3. B. Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino, 1948, p. 27. 4. Cfr. B. Zevi, ivi, p. 47. 5. Cfr.L. Sacchi, “ Liquid Room” , in Architettura e cultura digitale, a cura di L. Sacchi e M. Unali, Skira, Milano, 2003, pp. 211-217. Si rinvia, in particolare, alla nozione di “spazio liquido” (P. Virilio), di “architettura liquida” (I. de Sola Morales) e di “modernità liquida” (Z. Bauman).
“L’essenza della tecnica non ha nulla di tecnico” di Vittorio Ugo Il titolo, citazione da Heidegger, è una sorta di esergo. Nel suo Architettura, tecnica, finalità, Vittorio Gregotti pone correttamente il tema della tecnica in rapporto al costruire e all’abitare; e in Tecnica e architettura, Emanuele Severino indica nella scissione tra tecnica e riflessione teoretica la causa principale della crisi dello sviluppo occidentale. Il problema teleologico non può essere eluso; non si può non interrogarsi, insieme, sul ruolo della tecnica e su quello della rappresentazione, nei rapporti reciproci e col progetto. Per un architetto, rappresentare non significa in primo luogo dar da vedere, ma conoscere; la sua finalità primaria non è quella di comunicare un progetto prima concepito in qualche recondita regione della mente, ma quella di costruirlo. Progettare e rappresentare non sono processi separabili, così come – almeno da Wittgenstein in poi – il pensiero non è separabile dal linguaggio; si pensa nella propria lingua, per il suo tramite e secondo la sua struttura. E, a differenza dell’architettura costruita, la rappresentazione è un linguaggio nel cui ambito si articolano i luoghi del progetto. Basti ricordare l’assoluta coerenza tra lo spazio prospettico con le relative regole geometriche e le architetture rinascimentali o quella tra l’assonometria e le opere neoplastiche. Prima finalità delle forme della rappresentazione – briglia e morso, per usare la terminologia leonardesca – è dunque quella di porsi come pensiero e struttura di uno spazio al cui interno prendono forma le materie del progetto. È precisamente nella rappresentazione che l’insieme discorsivo della teoria, della critica, della storia, delle proposizioni scientifiche, dei giudizi estetici… si trans-forma in cosa edificata, in struttura dell’abitare; è soltanto per il suo tramite che possono corrispondersi in modo coerente la fabrica e la ratiocinatio di cui parla Vitruvio o Les mots et les choses di cui ha magistralmente scritto Michel Foucault. D’altra parte, la polisemia del termine rappresentazione è fonte di molte ambiguità: se ne hanno almeno due distinti significati, che invece il tedesco distingue bene: il primo, Darstellung, limita la rappresentazione al campo grafico-visivo, certamente riduttivo rispetto alla tensione progettuale dello stesso termine “ disegno” ; il secondo, Vorstellung, contiene invece una dimensione concettuale e teoretica, denota una rappresentazione in quanto esito della elaborazione culturale e dell’interpretazione del dato percettivo, quindi forma autentica di conoscenza. In sintesi, si può forse dire che la prima riguarda l’immagine, mentre la seconda coglie la forma nella sua strutturazione profonda. A questa nozione i Greci davano il nome di skhêma. Sin dal Rinascimento viviamo in un periodo dominato dall’immagine; e “ L’epoca dell’immagine del mondo” è il titolo del secondo capitolo degli Holzwege nel quale Heidegger scrive: “ Un senso del tutto diverso dal percepire greco ha il moderno rappresentare. (...) Il tratto fondamentale del Mondo Moderno è la conquista del mondo risolto in immagine” . Questo distacco dai modi del pensiero greco ha condotto al pericoloso cortocircuito tra forma e immagine, sfociando infine nel completo dominio della seconda sulla prima e svuotando pertanto l’architettura dei suoi contenuti essenziali. Intendendo, come appare ovvio, per “ nuove tecniche”
Gruppo di progetto, Mattinghello, Facoltà di Architettura di Genova.
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della rappresentazione quelle informatiche, ci si chiede se esse raggiungano la dignità delle “ forme simboliche” di cui parlano Cassirer e Panofsky e come mai, diversamente da quanto è avvenuto per la prospettiva, ad esse non corrisponda ancora alcuna specifica produzione artistica. Ma occorre fare una distinzione di base. Nessuno può contestare l’estrema versatilità strumentale del computer nei settori della firmitas e della utilitas, delle elaborazioni pratiche, dei computi, del rilievo metrico, etc. Molto diversamente vanno invece le cose per quanto concerne la venustas, i modi del progetto, il pensiero dello spazio, l’interpretazione dei monumenti, l’estetica, la conoscenza. Mirabolanti effetti speciali, rendering, fotorealismo, modellazione solida... in realtà nascondono un vuoto di contenuti, un’assenza di critica e una po-
vertà espressiva direttamente proporzionali, appunto, al prevalere dell’immagine sulla forma, della Darstellung sulla Vorstellung. Si è di fronte a una nuova forma di accademia. Loos era orgoglioso che i suoi spazi non facessero “ alcun effetto in fotografia” ; e già Philibert de l’Orme metteva in guardia dai dessins fardés degli architetti-pittori. Devastante è infine l’uso del computer nella didattica. Incapace di disegnare, lo studente lo è anche di formare lo spazio, di seguire la logica delle costruzioni geometriche, di interpretare: tende a produrre immagini fini a se stesse, a rappresentare il “ come appare” , piuttosto che il “ come è fatto” dell’edificio. Inoltre, colmo dell’alienazione, adopera uno strumento del quale di norma ignora il funzionamento, tanto hard che soft!
Rassegna software
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Precisione e rapidità del disegno, possibilità di ripetuta modifica, riproduzione a qualsiasi scala ed efficacia di visualizzazione, sono gli elementi base che inducono alla scelta di sistemi di disegno automatico per la rappresentazione del progetto di architettura. Tuttavia, di fronte alla moltitudine di programmi presenti sul mercato, al costante aggiornamento, alle campagne delle case di produzione sulla presunta semplicità d’uso, è difficile orientarsi. I software impiegati più frequentemente in campo architettonico si possono classificare, secondo il tipo di funzioni offerte, in cinque macrocategorie. • Software di progettazione CAD Rientrano in questa categoria i software che possiamo definire “ generalisti” perché forniscono funzioni di progettazione di base valide per tutti i settori applicativi: il più diffuso è AutoCAD, utilizzato soprattutto per le sue funzioni di rappresentazione 2D e i cui file, definiti DWG, sono considerati uno standard per l’interscambio dei disegni. AutoCAD è impiegato anche per la modellazione 3D (modellazione solida e non per superfici) e comprende anche un modulo elementare di rendering. In genere per i progetti in 3D è utilizzato come “ motore grafico” , mentre il rendering viene fatto esportando i file in altri sistemi specializzati, come analizzato in seguito. • Software per la progettazione di tipo parametrico Le funzioni parametriche permettono la modifica geometrica di una componente e di quelle ad essa relazionate in modo da valutare rapidamente soluzioni diverse al variare delle ipotesi e degli obiettivi. É una modalità progettuale completamente nuova per il settore edilizio/architettonico perchè richiede la definizione dei parametri e delle regole compositive di tutte le componenti del progetto. Appartengono a questa categoria Autodesk Revit, che include le funzioni di modellazione delle informazioni edili tramite un motore tridimensionale totalmente parametrico; ArchiCAD, con cui è possibile realizzare modelli da cui ottenere gli elenchi degli elementi costruttivi ai fini del computo dei materiali e dei preventivi di costo, e generare rendering e animazioni; Allplan, che consente di spostarsi tra scansione, schizzo a mano libera, progettazione 3D per oggetti, computo, animazione e produzione di elaborati esecutivi. • Software per la modellazione solida e la visualizzazione Si tratta di programmi che, sebbene includano anche le funzioni del disegno bidimensionale, sono specifici per la modellazione 3D, dalla quale vengono poi ricavate le proiezioni ortogonali quasi in automatico. Prevedono avanzate funzioni di rendering, navigazione e anche animazione. 3D Studio Max è utilizzato da chi produce film, video ed effetti speciali, ma anche da esperti di modellazione nel campo dell’architettura, dell’ingegneria e del design; 3D Studio Viz gestisce
allo stesso modo di Max il modello, il rendering, le luci, i materiali e le telecamere, ma è più adatto al mondo architettonico: contiene librerie di elementi utili (porte, finestre, scale, terreno) e può agevolmente scambiare dati con AutoCAD, per implementare le caratteristiche di rendering che mancano a questo software; Alias/Maya e Softimage 3D sono dedicati a progettazione nel campo del design, animazioni ed effetti speciali di alto livello, ma, per la capacità di texturizzazione e visualizzazione fotorealistica, impiegati anche per il progetto di architettura; Lightwave possiede le medesime funzioni, ma a un livello meno complesso, con un’interfaccia più semplice e con una maggior rapidità di resa del modello. Realsoft 3D e Rhinoceros, offrono una struttura simile a quella dei sistemi CAD; il primo possiede una velocità di rendering che lo rende adatto a modellare progetti meccanici e architettonici con accuratezza di dettaglio; Rhino consente invece la modellazione flessibile mediante NURBS di qualsiasi forma (da quella geometrica architettonica a quella organica del disegno industriale) e la navigazione tridimensionale. • Software per la comunicazione del progetto Con gli strumenti CAD 3D spesso si ottengono immagini che richiedono, per la resa finale e la presentazione del progetto, un’elaborazione successiva. Accanto a programmi di grafica 2D, come ad esempio Photoshop – software per il trattamento delle immagini con possibilità di introdurre effetti speciali, forme e testo – vi sono programmi specifici per la renderizzazione fotorealistica e l’animazione dei modelli architettonici digitali. Cinema 4D e Art-lantis ambientano il progetto aggiungendo luci, materiali realistici, textures, personaggi ed effetti atmosferici; Lightscape è specifico per la progettazione e il calcolo della luce secondo parametri di tipo fisico, per un controllo scientifico – non solo percettivo – del progetto di illuminazione; Piranesi lavora sull’immagine 2D come appartenesse a un ambiente 3D, agendo sulle varie componenti (con sfumature, effetti di colore e di luce) secondo le rispettive profondità ed inserendo elementi, come arredi, vegetazione, persone, che si adattano a loro volta allo spazio tridimensionale. • Software di realtà virtuale e simulazione immersiva I termini Virtual Reality (VR) e Virtual Environments (VE) sono usati in maniera intercambiabile per riferirsi alla visualizzazione interattiva di modelli 3D, sempre più impiegata nella rete per l’immersione nello spazio virtuale, la manipolazione diretta del progetto, l’ottenimento di informazioni in tempo reale e la progettazione collaborativa. Più che di software, in questo caso è appropriato parlare di linguaggi o formati di visualizzazione, ovvero strumenti per il trasferimento in rete delle informazioni statiche e dinamiche dei modelli 3D e per l’intervento diretto sulle loro geometrie. Diffuse ancora
tra un ristretto numero di utenti esperti, queste tecnologie (tra le altre, VRML, Metastream/Viewport, Shockwave 3D) consentono un’alta qualità grafica del rendering, unita a velocità di trasmissione dei dati e possibilità di interazione. Muovendosi dalla semplice linea al complesso modello tridimensionale, dalla costruzione al video, tra questi e altri programmi i progettisti possono scegliere lo strumento più adatto per
la rappresentazione digitale delle proprie architetture. La tendenza attuale spinge alla raffigurazione elettronica di dati progettuali non più rigidi, ma modificabili; utili, oltre che per la descrizione, anche per la sperimentazione e il controllo delle diverse ipotesi progettuali; organizzati in database di informazioni edili interconnesse e consultabili in ogni momento. A cura di Mina Fiore
Spot on Schools Sono sette anni ormai che “ Beyond Media” , festival internazionale di architettura in video di Firenze (evento patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, promosso dal Dipartimento di Tecnologie dell’Architettura e Design Pierluigi Spadolini dell’Università degli Studi di Firenze, curato da Marco Brizzi e organizzato da iMage), misura l’incidenza dello sviluppo dei sistemi multimediali sulla produzione architettonica contemporanea. L’edizione 2003 di “ Beyond Media” ha ospitato per la prima volta un’esposizione dedicata ad alcune tra le più prestigiose scuole di architettura al mondo: un’indagine sul ruolo che giocano i media in ambito didattico, all’interno della cultura del progetto architettonico. La mostra “ Spot on Schools. Architecture Schools and Media” (Firenze, Stazione Leopolda, Spazio Alcatraz, dal 2 al 12 ottobre 2003, a cura di Paola Giaconia) ha offerto una prima ricognizione delle più avanzate linee di ricerca didattica. Ha mostrato i recenti sviluppi, in ambito universitario, delle tecnologie digitali applicate alla ricerca progettuale. I lavori e le ricerche messi in mostra dalle 19 scuole invitate hanno mostrato tutti, seppur nella loro diversità, come i nuovi strumenti digitali abbiano già rivoluzionato l’ambito disciplinare dell’architettura. La mostra ha così raccolto, accanto alle più radicali forme di elaborazione grafica risultate da ricerche nel settore della comunicazione visiva dell’architettura, gli esiti di nuove metodologie progettuali che fanno affidamento, già nella fase ideativa, a software dell’ultima generazione che consentono uno stravolgimento delle più consuete modalità di produzione dell’architettura, con significative conseguenze nella definizione del campo di applicazione e delle configurazioni progettuali. I lavori esposti nella mostra hanno dimostrato che, superata la fase dell’accondiscendenza nei confronti delle soluzioni preconfezionate offerte dai media, c’è la volontà di passare alla ricerca delle applicazioni. La scuola tradizionale, quella che già nell’era analogica faceva ostentazione del bel disegno, sembra conoscere una sostanziale ridefinizione. Si è trattato di un’indagine ampia e preliminare, rivolta a un panorama mondiale mutevole e in pieno sviluppo che non teme di svelare i propri ambiti di eterogeneità e – nelle sue manifestazioni più radicali e spregiudicate – spesso anche di indeterminazione. I lavori esposti sono presentati nel catalogo ufficiale della mostra:
Paola Giaconia (a cura di), Spot on Schools, Mandragora, Firenze, 2003 (testo in inglese, pp. 96, € 10,00). La prossima edizione di “ Spot on Schools” , che avrà luogo a Firenze durante il prossimo festival di architettura in video, è prevista per la primavera del 2005. Per informazioni si può contattare iM age all’ indirizzo email image@architettura.it e seguire gli aggiornamenti sul sito www.architettura.it/festival Le scuole invitate e che hanno partecipato all’edizione 2003 di “ Spot on Schools” sono: – The Bartlett, Faculty of the Built Environment, UCL, London, UK – Clemson University, School of Architecture, South Carolina, USA – Columbia University, Graduate School of Architecture, Planning and Preservation, New York, USA – Ecole Spéciale d’Architecture (ESA), Paris, France – Escola Tècnica i Superior d’Arquitectura La Salle, Universitat Ramon Llull, Barcelona, Spain – Georgia Institute of Technology, Atlanta, Georgia, USA – Interaction Design Institute, Ivrea, Italy – Kunsthochschule für Medien Köln (KHM), Department of Hybrid Space, Cologne, Germany – National Chiao Tung University, College of Architecture, Hsinchu, Taiwan – RMIT University, SIAL (Spatial Information Architecture Laboratory), School of Architecture + Design, Melbourne, Australia – SCI-Arc, Southern California Institute of Architecture, Los Angeles, California, USA – Delft University of Technology, Faculty of Architecture, Hyperbody Research Group (HRG), The Netherlands – UC Berkeley, Department of Architecture, College of Environmental Design, California, USA – UCLA, Department of Architecture and Urban Design, Los Angeles, California, USA – UCLA, Department of Design | Media Arts, Los Angeles, California, USA – UC San Diego, CRCA, Center for Research in Computing and the Arts, San Diego California, USA – Università di Camerino, Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, EIDOLAB, Laboratorio di Eidomatica, Italy – Università La Sapienza, Prima Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni, Roma, Italy – University of Auckland, School of Architecture, New Zealand
a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini
Il computer nello studio professionale Parlare dell’utilizzo dei computer per lo svolgimento dell’attività professionale dell’architetto oggi, a qualche decennio ormai dalla loro comparsa, potrebbe sembrare anacronistico. In realtà il costante progresso compiuto dall’informatica, unito ad una sempre maggiore potenza dei calcolatori e ad una sempre maggior semplicità d’utilizzo, mantiene di grande attualità questo argomento. I prodotti offerti dal mercato sono sempre più raffinati e si sono sviluppati in molteplici direzioni per cercare di soddisfare le diverse esigenze dei progettisti, non più solo quindi CAD per il disegno e il rilievo, ma strumenti sempre più avanzati di progettazione integrata che investono tutte le aree tematiche dalla restituzione grafica, alla contabilità, all’animazione e all’organizzazione dello studio professionale. Basti pensare agli enormi investimenti sostenuti dalle case produttrici di software per assicurarsi quote di mercato ancora inesplorate. Il PC non è più quindi solamente uno strumento che semplifica e ottimizza l’esecuzione degli elaborati grafici, o che permette di redigere con facilità relazioni, testi e quant’altro, ma si pone come vero e proprio partner per tutti gli aspetti del nostro lavoro. Software sempre più evoluti hanno l’ambizione di svolgere funzioni di controllo nella progettazione in maniera automatica, di poter ottimizzare le risorse umane del singolo studio, di gestire il controllo della qualità del prodotto finale e del processo creativo passo per passo. Non da ultimo le nuove potenzialità di internet hanno ulteriormente influito sulla pratica professionale aprendo una nuova serie di possibili scenari legati soprattutto all’abbattimento delle barriere fisiche e temporali e alle mutate modalità di interazione tra più soggetti coinvolti nel medesimo lavoro ed alla diffusione capillare ed in tempo reale delle informazioni. In pratica è impossibile, quanto inutile, elencare tutte le novità presenti in questo settore o cercare di intravedere possibili futuri sviluppi in quanto le potenzialità sembrano illimitate soprattutto se consideriamo la relativamente giovane età dei personal computer. Si pensi per esempio solamente alla innovativa tecnologia IP-phone basata sulla possibilità di comunicare con apparecchi telefonici che utilizzano indirizzi IP dedicati e le cui tariffe vengono pagate a seconda dei byte utilizzati invece che del tempo. Internet, posta elettronica e strumenti informatici in generale sono, per esempio, sempre più utilizzati e ormai indispensabili anche per i nostri Ordini Professionali. Le stesse modalità di corresponsione degli incarichi pubblici mediante concorsi di progettazione in forma anonima hanno contribuito ad un utilizzo sempre più spinto del PC e di strumenti all’avanguardia per poter presentare nella maniera più consona i risultati del proprio lavoro intellettuale. L’esperienza condotta nella Provincia di Bergamo nell’ambito dei concorsi di architettura lo conferma in maniera inequivocabile, come si può desumere dalle numerose pubblicazioni che seguono tali iniziative. L’utilizzo di rendering sempre più realistici e accattivanti e di una grafica altamente sofisticata contribuiscono certamente ad aumentare la chiarezza e la leggibilità della rappresentazione architettonica a vantaggio dei committenti
in primo luogo, ma anche degli esecutori delle opere e non da ultimi, dei progettisti. Rendering, animazione grafica, foto-ritocco e quant’altro messo a disposizione dall’informatica acquisiscono un’ulteriore connotazione positiva se si considera come tali strumenti sono oggi utilizzati facilmente sia da studi professionali più conosciuti e composti da più professionisti che da giovani architetti all’inizio della loro carriera professionale che possono così confrontarsi con chi ha più esperienza di loro ad armi pari e mettere in campo tutta la loro competenza e voglia di fare. Penso a quanto è accaduto recentemente nella Provincia di Bergamo con i concorsi per l’Ospedale Nuovo di Bergamo, il complesso scolastico di Costa Volpino e la Casa Riposo a Vertova, le cui immagini più significative sono inserite in un cd edito dalla Consulta Lombarda degli Architetti e presentato recentemente al congresso nazionale di Bari, ma anche ad altre esperienze di concorsi forse meno noti, ma non per questo meno interessanti, aventi per oggetto i più svariati temi che vanno dalla sistemazione della piazza comunale, alla progettazione di una pista ciclabile, alla ristrutturazione di immobili per attività culturali, all’ideazione di una particolare cartellonistica da predisporre per percorsi culturali legati alle peculiarità del territorio bergamasco. Quanto sopra esposto ha cercato di delineare i contorni di un argomento che irrimediabilmente coinvolge tutti senza pretese di esaustività e senza voler dare giudizi di sorta, volendo solamente cogliere l’occasione per riflettere ancora una volta sulla direzione che la nostra professione ha ormai chiaramente preso e suggerire spunti per future considerazioni sul tema. Non dimentichiamo comunque che l’architetto esercita, come già detto, una professione intellettuale e proprio questa peculiarità del suo lavoro secondo alcuni sarebbe limitata dalle macchine, viste come orribili mostri meccanici senza inventiva e più come traditori che traduttori dell’idea originale nel progetto architettonico. Non si può negare inoltre che, come sempre accade, nuovi strumenti di lavoro portano con sé anche una serie di nuovi problemi da risolvere, spesso anche più complessi e per i quali c’è bisogno di personale qualificato. Si pensi solamente alla problematiche legate alla privacy degli elaborati e alla sicurezza dei dati informatici che occupano ormai gran parte delle nostre risorse. La querelle su dove finisca la mano dell’architetto e dove cominci il mouse del nostro PC rimane aperta. Certo è che ad oggi non si può fare a meno del computer non solo nella pratica professionale, ma anche in tantissime altre situazioni della vita quotidiana che con questa si interfacciano e per restare al passo con i tempi ci si deve adeguare ai nuovi modi di lavorare e ai nuovi strumenti di lavoro. Matteo Calvi coordinatore della Commissione Informazione ed Internet dell’Ordine degli Architetti di Bergamo
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Bergamo
Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli
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Abbiamo chiesto di svolgere il tema affrontato in questo numero della rivista, al collega Marcello Mori, membro della Commissione Cultura dell’Ordine di Brescia e della Commissione Internet della Consulta per l’Ordine di Brescia, nonché curatore dei contenuti del prontuario su cd, pubblicato assieme alla rivista dell’Ordine, quale persona particolarmente addentro alle problematiche informatiche relative alla professione. P. T.
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Strumenti per il progetto Nella continua evoluzione tecnologica degli strumenti messi a disposizione dei disegnatori e dei progettisti (tra i quali corre una precisa differenza), ci si chiede da più parti se e come tali strumenti abbiano modificato l’approccio al disegno ed alla progettazione ed influenzato la qualità del prodotto finale. Come tutte le cose inventate dall’uomo, esse possono portare ad un prodotto migliore ma anche peggiore a seconda di come vengono utilizzate e di quali speranze o aspettative vengono in esse riposte. Al computer, che è mero e più veloce esecutore delle istruzioni che gli vengono impartite, possiamo solamente riconoscere la capacità di effettuare controlli e verifiche, soprattutto nei casi della statica, assolutamente affidabili; ciò ci consente una certa tranquillità e ci permette di impegnare il nostro tempo in altri settori della progettazione più edificanti e gradevoli, senza nulla togliere, ovviamente, agli strutturisti. Ed ancora, nel campo dei computi, possiamo ottenere velocemente distinte di materiali e quant’altro, ma non possiamo aspettarci che il computer ci segnali che abbiamo inavvertitamente dimenticato le inferriate alle finestre o un termosifone aggiuntivo perché il committente, futuro inquilino, soffre particolarmente il freddo. Una ventina d’anni fa, in un computer grande quanto una stanza, vennero inseriti innumerevoli progetti di case di architetti ed ingegneri di fama mondiale, e venne “ chiesto” all’elaboratore di inventare quella che, nell’intenzione, avrebbe dovuto essere la casa “ ideale” . Ne venne fuori una casetta, con classica copertura a due spioventi, che denota e rimarca l’insostituibilità dell’uomo, del suo intuito, del suo gusto e del suo estro creativo. Fin qui quelli che sono, e rimarranno, i servigi oggi indispensabili ed insostituibili offertici dalla tecnologia, ma anche impostici da una committenza e da un mercato sempre più esigenti. È solo un ricordo (e forse è meglio così) la figura del progettista al quale, quasi con deferenza, il cliente si rivolgeva riponendo in esso la massima ed incondizionata fiducia: oggi chiede più soluzioni (talvolta disparate fra loro), e spesso entra nel merito delle scelte progettuali solamente per mirare al massimo risparmio. E, soprattutto, questo atteggiamento è sostenuto dalla convinzione che il lavoro del progettista sia diventato più facile e meno oneroso proprio perché quest’ultimo si è dotato di strumenti che lo agevolano nel compimento del suo incarico: nessuna valenza viene data agli “ oneri accessori” (pratiche burocratiche, ecc.), che
di anno in anno rappresentano una sempre maggior percentuale dei costi complessivi di un progetto. Appurato quindi, volenti o nolenti, che il tecnigrafo ed il rapidograph sono stati ampiamente sostituiti dal computer e dal mouse, stiamo passando ad una ulteriore fase, che sembrerebbe indicare un cambiamento anche nel modo di progettare. L’evoluzione dei programmi grafici, frutto di precise istanze di un mercato e di una società che puntano sull’immagine quale strumento principe di comunicazione, sta offrendo sistemi di rappresentazione sempre più sofisticati ed accattivanti, che in molti si chiedono se influenzeranno, o già influenzano, le metodologie e le modalità progettuali, nonché la qualità del risultato finale. Nel settore della meccanica e del design industriale ed automobilistico, che dispongono di strumenti sicuramente evoluti, questo è già avvenuto: nella creazione dell’oggetto l’aspetto fisico, la scelta dei materiali, la funzionalità e la tenuta strutturale vanno di pari passo, portando ad un prodotto che soddisfa in modo equilibrato queste ed altre esigenze. La “ casa” è una “ macchina” certamente più complessa: ancora oggi chiama in causa figure professionali diverse (architetti, ingegneri, geometri, geologi, impiantisti, costruttori, ecc.) ed è al di là dal venire il raggiungimento di una totale integrazione. Il problema non è infatti il poter disporre, oggi o in futuro, di strumenti di progettazione in 3D più o meno efficienti, bensì il cambiamento della struttura dello studio professionale tradizionalmente inteso. E questo non cambiamento si riflette sui risultati dell’utilizzo dei programmi in 3D, che spesso sono veramente “ poveri” : alla forma accattivante, ai colori, alle luci ed alle ambientazioni non sempre corrisponde altrettanta sostanza, ed all’atto pratico la “ macchina” realizzata si presenta assai diversa. Teniamo in giusta considerazione, come al tempo ed ancora oggi qualcuno fa con i plastici ed i modellini, questi strumenti, ma non pretendiamo che facciano ciò che noi, ancora, non sappiamo fare. Marcello Mori
a cura di Roberta Fasola
La scelta di chiedere un intervento, in merito alla tematica trattata dalla rivista AL in questo numero, all’arch. Marco Castelletti è stata fortemente influenzata del fatto che è stato uno tra i primi professionisti nella provincia di Como ad usare il computer come strumento di rappresentazione grafica e non più solo come mero accessorio in grado di ottimizzare il lavoro; lavorando da subito in questa direzione è arrivato in tal senso ad analizzare e ad approfondire sempre più quello che è il delicato rapporto tra segno grafico e qualità architettonica; processo, questo, che Lo ha portato a vincere concorsi di un certo livello. Il Suo intervento vuole essere in tal senso testimonianza esaustiva di come la grafica non debba sostituirsi al processo architettonico, ma diventare semplicemente parte integrante e chiarificatrice di esso. R. F.
Dalla matita al mouse La rivoluzione informatica nel campo dell’architettura ha prodotto, alla fine degli anni ’80, una radicale trasformazione nell’esercizio della professione con evidenti riflessi sia nella gestione dell’attività che nella produzione dei servizi. Le generazioni coinvolte hanno reagito e si sono adattate a tale trasformazione in maniera differente. La necessità di apprendere un nuovo modo di rappresentazione e di elaborazione dei disegni ha costretto gli architetti ad un inevitabile aggiornamento. Il cambiamento è stato graduale e correlato alle possibilità di rappresentazione dei computer e dei programmi, in continua evoluzione. A fronte di sensibili investimenti, alla fine degli anni ‘80, i computer e i programmi non davano ancora grandi possibilità di rappresentazione e il loro uso è stato limitato per alcuni anni al processo progettuale legato all’elaborazione di disegni con tecniche bidimensionali che sostituivano il disegno a tecnigrafo con evidenti vantaggi legati alla produzione degli esecutivi. Solo l’avvento di programmi più evoluti e di macchine più performanti che permettevano la rap-
presentazione tridimensionale, l’uso dei colori e il trattamento delle immagini ha reso possibile utilizzarli nei concorsi di architettura nei quali sono richieste tecniche di rappresentazione differenti. Nell’ambito del disegno, l’avvento del digitale, ha modificato il rapporto tra l’architetto e i suoi tradizionali strumenti di lavoro con l’introduzione di un nuovo soggetto: il computer. Se prima le modalità di rappresentazione erano strettamente legate alle capacità manuali, per la semplicità degli strumenti utilizzati, oggi si fondano sul binomio “ operatoremacchina” nel quale lo strumento riveste un’importanza fondamentale in relazione alle sue possibili prestazioni. Nondimeno il rapporto tra operatore e macchina ha generato una curiosa “ sindrome da computer” che tende ad umanizzare lo strumento di lavoro come terzo soggetto dal quale dipende il risultato della rappresentazione. Questo cambiamento non ha generalmente influito sul processo di ideazione progettuale, ancora oggi eseguito con l’ausilio di schizzi e modelli, ma solo sulle modalità di rappresentazione, quindi il computer utilizzato come strumento di disegno e di verifica delle idee progettuali con le possibilità offerte dai sistemi che consentono oggi di verificare e calcolare forme sempre più complesse. Queste hanno modificato l’elaborazione del progetto e hanno creato la necessità di un progetto di comunicazione. Ciò è evidente nella stesura di un progetto di concorso che è la sintesi di due momenti correlati: l’ideazione del progetto come ricerca delle soluzioni più aderenti alle richieste del bando e la rappresentazione dell’idea come modo migliore per rappresentare e rendere leggibili tali soluzioni. Ciò pone la necessità di un progetto grafico di rappresentazione che deve rendere chiara ed evidente l’idea del progetto in modo che la sua lettura da parte della giuria sia immediata e chiara. Si intuisce come il racconto dell’idea, attuato dal progetto grafico di rappresentazione, rivesta un’importanza fondamentale in rapporto al giudizio dei commissari che tante volte viene necessariamente espresso in tempi brevi senza percepire l’evoluzione che ha portato il progettista alla soluzione prescelta. Occorre quindi la capacità di sapere cogliere le modalità più efficaci di rappresentazione del progetto in relazione a ciò che si vuole esprimere e alle idee da trasmettere ed il computer ha allargato tale possibilità fino alla simulazione virtuale (rendering fotorealistici e video) nella quale l’idea viene rappresentata nella situazione finale come se fosse già esistente. La produzione di queste tecniche di rappresentazione comporta l’utilizzo di macchine e programmi sempre più potenti per l’elaborazione degli innumerevoli dati in gioco e ha creato un mercato di nuovi professionisti in grado di offrire i propri servizi agli studi di architettura. La padronanza dei mezzi di rappresentazione e di comunicazione, sempre più complessi ed evoluti, impone un continuo aggiornamento nella conoscenza sia dell’hardware che dei software e pone una riflessione sul graduale distacco tra chi idea il progetto e chi lo rappresenta. Marco Castelletti
Boris Podrecca, Sandro Benedetti, Polistudio Studio Tecnico Associato, Te.Co Studio Associato di Ingegneria e Architettura, Nier Ingegneria, Sajni e Zambetti, Marco Castelletti, Concorso per la Nuova Sede della Regione Lombardia.
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Como
Lecco a cura di Maria Elisabetta Ripamonti
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Il prof. Pierangelo Boltri è titolare di due interessanti incarichi alla Facoltà di Ingegneria Edile-Architettura presso il polo universitario di Lecco: quello di “ Disegno dell’architettura” e quello di “ Disegno e laboratorio CAD” nell’insegnamento integrato di “ Disegno, tecnologia degli elementi costruttivi e laboratorio CAD” del corso di studi di Edilizia. Lo ringrazio vivamente per l’ampia panoramica offerta sulle nuove tecniche di rappresentazione. Da diversi anni si occupa di qualità della progettazione edile e architettonica, sia a livello di ricerca universitaria, sia a livello normativo, in sede UNI - Ente Italiano di Unificazione. Attualmente si è dedicato alla costituzione del Capitolo italiano dello IAI-International Alliance for Interoperability, l’associazione che si occupa di promuovere l’interoperabilità dei software di progetto, della quale l’Associazione dell’Ordine degli Architetti ed Ingegneri della Provincia di Lecco è uno dei soci fondatori. A tal proposito ci spiega: “ Gli strumenti informatici possono avere una forte influenza sulla qualità della progettazione, se hanno però certe caratteristiche. A tale problema sto lavorando insieme a professionisti con conoscenze specifiche sull’information technology, come il dottore di ricerca architetto Vittorio Caffi, recentemente nominato Coordinatore tecnico del Capitolo italiano dello IAI-International Alliance for Interoperability” . M. E. R.
Disegnare con il computer La rappresentazione grafica nell’ambito della progettazione edile e architettonica può essere eseguita sia con le cosiddette tecniche tradizionali manuali (utilizzando strumenti come il tecnigrafo, il compasso, ecc.), sia con le tecniche informatizzate elettroniche (utilizzando il computer, il plotter, ecc.). Entrambe le tecniche producono delle “ proiezioni” degli elementi geometrici o, meglio, della componente geometrica o morfologica, del progetto, completata da indicazioni simboliche, scritture, evocazioni di materiali ed effetti visivi (rendering). La progettazione è caratterizzata, a qualunque livello di sviluppo del progetto, da due momenti caratteristici: quello della ricerca e definizione delle scelte e quello della loro comunicazione e documentazione. I due momenti possono richiedere l’uso di tecniche diverse per svolgere rapidamente e con efficacia i propri compiti. In ogni caso sappiamo che il disegno a mano è più diretto, meno condizionato e più in grado di seguire e materializzare (visivamente) in modo rapido il pensiero, sia analitico che creativo, nel momento in cui si produce. Il disegno informatizzato è preciso, in grado di visualizzare rapidamente gli elementi geometrici definiti in base alle decisioni prese, secondo le caratteristiche proprie dello strumento informatico, cioé del programma software. Volendo soffermarci su quest’ultimo i tipi di software sono il CAD2D e i CAD3D/4D, che servono per rappresentazioni grafiche bidimensionali (rappresentazioni di tipo tecnico, connotate da un certo livello di astrazione/schematizzazione) e di modellazione (rappresentazioni 3D più o meno realistiche). Tra i CAD 3D/4D vi sono quelli definiti Object Oriented che creano veri e propri oggetti (non solo linee e superfici, ma
un muro, una finestra, un pilastro) caratterizzati da informazioni di varia natura: da quelle puramente geometriche ai dati sulle caratteristiche di materiali e finiture, ai costi e tempi delle lavorazioni. A seconda del livello di caratterizzazione con cui gli oggetti sono definibili, un software CAD 3D Object Oriented può essere in grado di rappresentare l’edificio come sistema in quanto può determinare di esso una sorta di modello tridimensionale sulla base dei componenti che lo costituiscono come oggetti, compresi gli spazi. Tale modello è quindi un archivio integrato di progetto (gli anglosassoni parlano di IPDB - Integrated Project Database), utile per eseguire simulazioni progettuali di diversa natura a partire dalle informazioni contenute negli oggetti del modello (simulazioni energetiche o strutturali oppure simulazioni temporali delle fasi di cantiere con un CAD 4D). Accanto a questi vi sono i software per il rendering e per la grafica pittorica o fotoritocco, cioè per la creazione di immagini realistiche e/o a effetto per la presentazione dei progetti. Vi sono poi i software per la realizzazione di animazioni e quelli per la realtà virtuale e il desktop publishing. Il prodotto finale ha caratteristiche molto diverse poiché destinato a usi diversi e a operatori diversi (l’immagine fotorealistica per il committente o il disegno di cantiere per l’impresa). Facendo considerazioni sulla realtà lecchese credo che non vi siano ragioni per ritenere che questa provincia sia diversa da quella italiana in generale. Sarebbe molto interessante, magari in collaborazione con gli ordini professionali, fare un sondaggio su come le cosiddette “ nuove tecnologie” siano effettivamente utilizzate dai professionisti. Fatto con obiettivi non specificamente promozionali, il sondaggio potrebbe sortire almeno un primo effetto di far riflettere i professionisti sul proprio modo di lavorare. In ogni caso si può dire che esistono studi che utilizzano le nuove tecniche più o meno approfonditamente e studi che non le utilizzano affatto, anche se certamente tutti usano programmi di scrittura e di calcolo. Negli studi professionali di costituzione meno recente si può ritrovare sia l’uso (direi, la consuetudine) delle tecniche manuali per certi aspetti del progetto o da parte di certe persone, sia l’uso delle tecnologie informatiche. Anche perché queste ultime sono spesso espressamente richieste dai committenti o sono sollecitate dai nuovi collaboratori. Negli studi più recenti, le nuove tecnologie sono spesso presenti in esclusiva. Credo però che, tra quelli che le utilizzano, pochi siano in grado di sfruttarne appieno le potenzialità. Questo accade soprattutto per la mancanza di tempo per un approfondimento e un addestramento. A volte anche per un’incapacità di scostarsi da quelle che sono le pratiche tradizionali: effettivamente l’utilizzo del CAD nella sola versione 2D, come tecnigrafo elettronico, senza sfruttarne appieno le possibilità di esplorazione e di approfondimento progettuale, è un aspetto tipico del modo con cui le nuove tecniche sono utilizzate. Mentre tra i più giovani, soprattutto tra i collaboratori, vi é molto entusiasmo per i risultati rapidi e brillanti che si possono ottenere con l’uso dei più recenti software. Ritengo che i piccoli studi con risorse economiche limitate tentino spesso di acquisire un minimo di competenze sulle nuove tecnologie al proprio interno, avvalendosi, quando possibile, della collaborazione di persone che ne sono in possesso o cercando di trovare il tempo per formarsele studiando. Gli studi medio-grandi spesso affidano volentieri a professionisti esterni questo tipo di lavoro per potersi dedicare maggiormente alle scelte, ai dimensionamenti e alle verifiche di progetto e alla direzione lavori. Penso che questo avvenga a seconda delle opportunità, in modo flessibile, anche in relazione alla fase o al livello del progetto (preliminare, definitivo, esecutivo). Infine, gli studi di grandi di-
zioni ritenute pertinenti. D’altro canto il lavoro progettuale, per sfruttare efficacemente le possibilità delle nuove tecniche, deve essere organizzato e programmato in modo rigoroso. I grossi limiti, secondo me, risiedono ancora, nonostante i passi avanti che si sono fatti, nella macchinosità e complessità delle operazioni richieste per ottenere certi risultati con certi software. Poi vi è un altro aspetto: ogni software ha una sua logica di lavoro. Quando si impara a lavorare con uno strumento è difficile poi usarne uno diverso, si resta legati ad esso per il rischio di fare confusione passando da uno strumento all’altro. Tutto sommato però si tratta di inconvenienti comuni a tutti gli strumenti in evoluzione. I miglioramenti dovrebbero indirizzarsi verso delle prestazioni che, già adesso, sono in parte disponibili, ma che occorre siano completamente disponibili e che si avvalgano di procedure più semplificate. Si tratta delle prestazioni che consentono di correlare i dati di un file grafico con altri documenti (per esempio con disegni di dettaglio, con specifiche tecniche, con relazioni tecniche, capitolati, ecc.), di accedere direttamente ai dati in essi contenuti, di aggiornare facilmente gli archivi grafici, di riutilizzare i dati, anche per le fasi successive a quelle di progettazione e costruzione dell’edificio. L’architetto Caffi, docente del Laboratorio di Informatica grafica al Corso di studi di Ingegneria Edile - Architettura, che svolge ricerche nel campo delle information technology afferma che i creatori di software parlano di ambiente BIM – Building Integrated Modeling – l’acronimo che secondo alcuni potrebbe sostituire il termine CAD nel mondo dell’edilizia. Un ambiente BIM dovrebbe permettere di inserire/accedere/analizzare i dati informativi del progetto, condividere l’informazione tra i membri di un gruppo di lavoro, assicurare l’aggiornamento dell’informazione condivisa, permettere al singolo operatore di ritrovare facilmente e lavorare con i dati pertinenti al suo ambito disciplinare, garantire l’integrità e la proprietà dell’informazione nei confronti di chi effettivamente l’ha ideata ed elaborata. Ci si chiede quali competenze specifiche legate ai nuovi sistemi di rappresentazione dovrebbe fornire l’università o quanto ancora si dovrà puntare sull’ambito prettamente compositivo. Rispondo facendo una semplice considerazione: poiché si tratta di strumenti in continua evoluzione tecnica, è chiaro che l’università non può stare dietro alle ultime novità creando competenze troppo specializzate. Anche perché si deve tenere presente che una direzione evolutiva di tali strumenti mira alla semplificazione delle procedure, avvicinandole sempre di più all’utente. Si può pensare ad una formazione su due piani: quello della conoscenza di metodi generali e quello della conoscenza e pratica di strumenti particolari. Questi ultimi anche continuamente da aggiornare, se necessario. I metodi generali vanno dalla conoscenza dei metodi di proiezione, alla conoscenza dei criteri di comunicazione delle informazioni tecniche (norme grafiche, coordinamento delle informazioni, ecc.) per il progetto. I metodi di proiezione devono essere visti non sotto l’aspetto esecutivo, ma come i presupposti geometrici che i programmi informatici traducono in operazioni digitali. Gli strumenti particolari dovranno essere classificati secondo criteri necessariamente provvisori a causa del loro continuo sviluppo e dovrebbero essere conosciuti nelle loro caratteristiche generali significative. Le esperienze di laboratorio potrebbero essere fatte o utilizzando più prodotti informatici, mettendoli a confronto, oppure prodotti coordinati in grado di produrre un risultato complessivo soddisfacente e completo sotto l’aspetto della comunicazione grafica. L’ambito compositivo dovrebbe forse cambiare nome (e col
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mensioni particolarmente organizzati e le Società di ingegneria, si possono permettere e ritengono conveniente gestire direttamente questo aspetto del lavoro per evitare le complicazioni e i rischi di una gestione da coordinare nel progetto. Condivido il fatto che i costi dei nuovi software siano proibitivi. Ci si lamenta, credo giustamente, soprattutto dei frequenti aggiornamenti del software che le case produttrici in un certo senso “ impongono liberamente” ai clienti. Infatti, se è chiaro che tale aggiornamento è lasciato alla decisione del cliente, di fatto vi è spesso obbligato, sia per la necessità o speranza di risolvere problemi congeniti del software (anche se spesso ad aggiornamento seguono nuovi problemi), ma soprattutto per la necessità di garantirsi la possibilità di scambiare file nel medesimo formato con collaboratori esterni. Debbo infine osservare che al problema dell’uso efficace delle tecniche di rappresentazione del progetto si affianca quello, particolarmente attuale e più complesso, dei suoi nuovi contenuti informativi e del modo in cui presentarli, documentarli e coordinarli, così come richiesto dalla Legge 109 legge quadro in materia di Lavori Pubblici, per i diversi livelli di sviluppo del progetto e per la sua verifica. Mi è stato chiesto quanto incida la tecnica di rappresentazione sul risultato finale del progetto: questa è una domanda opportuna che induce a riflettere. Certo che, se tra i risultati finali di un progetto vi è la sua approvazione, non vi è dubbio che una rappresentazione coinvolgente e accattivante ottenuta con le nuove tecniche è meglio. Come del resto accadeva una volta quando si aveva in studio un buon disegnatore di rendering, e non solo ... È chiaro che un potenziamento dei mezzi di rappresentazione può indurre ad una enfatizzazione dell’aspetto visivo della rappresentazione stessa e al conseguente possibile oscuramento dei problemi distributivi e costruttivi. In ogni caso il problema riguarda soprattutto il committente, perché gli altri operatori sono indotti, prima o poi, a restituire al progettista i problemi non risolti o risolti male. Ribadisco quindi l’importanza di un argomento accennato precedentemente: quello dei contenuti informativi, nuovi e meno nuovi, del disegno di progetto, cioé del modo in cui presentarli e documentarli. Una delle qualità più evidenti di un progetto è la capacità di mostrare chiaramente e completamente le scelte contenute e di dimostrarne la validità attraverso informazioni efficaci, con una comunicazione adeguata alla complessità e all’originalità delle scelte. Pensiamo a come è cambiato il modo di progettare a seguito dell’avvento delle nuove tecnologie, la grande facilità con cui si possono produrre, riprodurre, modificare e integrare i disegni può far sì che si tenda a conservare il tipo di scelte progettuali (ricercando l’innovazione solo nell’acquisto di un nuovo strumento di rappresentazione). Oppure può dare più tempo al progettista di ricercare scelte progettuali di maggiore qualità. Come sempre, dipende dalla (buona) volontà del progettista. Il problema, credo, riguardi soprattutto la formazione universitaria: non bisogna dare l’illusione agli allievi che, mettendo insieme tanti segni grafici, facilmente copiabili e inseribili, si faccia un disegno (di progetto) e mettendo insieme tanti disegni (cioé tante rappresentazioni da tanti punti di vista), magari con tanto colore, si faccia un progetto. Gli aspetti positivi nella nuove tecniche sono diversi e tra loro conseguenti. Innanzitutto la riduzione dei costi e dei tempi di esecuzione dei disegni e quindi di elaborazione dei progetti. Ne consegue la possibilità di sviluppare e di approfondire adeguatamente le scelte di progetto. Inoltre si può utilizzare agilmente il “ lavoro progettuale” pregresso (a patto che gli archivi di progetto vengano organizzati razionalmente a tal fine), attraverso la riproduzione di solu-
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nome un certo atteggiamento) e, riferendosi chiaramente alla fase progettuale del processo edilizio, studiare la prefigurazione della sintesi finale tra gli ambiti distributivi interni ed esterni agli edifici e quelli tecnologici del progetto, visti nel contesto dell’intervento. Sono le sintesi caratteristiche del progetto preliminare e, in parte, di quello definitivo. È chiaro che gli strumenti per la rappresentazione di tale sintesi durante la sua elaborazione devono essere già disponibili nel momento in cui viene studiata. Si tratta comunque di due ambiti disciplinari da tenere, oggi ancora più, nettamente separati; proprio per evitare che la “ composizione” risulti essere una creazione in qualche modo evocabile dai riti magici offerti dallo strumento informatico. Per concludere ritengo importante accennare all’adesione dell’associazione degli Ordini degli Architetti ed Ingegneri della Provincia di Lecco alla costituente sezione italiana dell’IAI. La partecipazione dell’Associazione degli Ordini degli Architetti ed Ingegneri della Provincia di Lecco come Soci Fondatori alla costituzione del Capitolo italiano dello IAI (International Alliance for Interoperabiltiy) ha, a mio avviso, una grande rilevanza. È un chiaro segnale, potrei dire politico, verso il sostegno di quelle attività rivolte allo sviluppo delle attività progettuali sia sul versante della qualità (del progetto e dell’organismo di progettazione), sia su quello dell’efficienza delle attività progettuali, anche nei confronti delle commesse e dei concorsi internazionali. Chi fosse interessato a conoscere più a fondo il Capitolo italiano dello IAI può digitare www.unipv.it/iai L’unificazione dei linguaggi informatici che è tra gli obiettivi fondamentali di questa Associazione è fondamentale per: • far sì che tutti parlino lo stesso linguaggio e quindi possano comunicare; • scambiare informazione senza perdita di dati e senza il bisogno di particolari controlli e correzioni; • ridurre al minimo necessario i tempi di scambio delle informazioni; • assicurare la coerenza e l’aggiornamento delle informazioni condivise da un gruppo di progetto; • garantire un migliore approfondimento progettuale, grazie a una migliore possibilità di integrazione tra progettista e consulenti; • far sì che le informazioni e le prescrizioni del progetto trasmesse a chi dovrà realizzarlo siano conformi alle intenzioni di committenza e progettista; • produrre una base dati utile a supporto del “ ciclo di vita” dell’edificio (l’IPDB); • agevolare l’inserimento nel progetto dei prodotti utilizzati, con tutte le loro caratteristiche già in grado di interfacciarsi con i programmi di calcolo.
all’interno di programmi CAD, Autocad, VectorWorks, che sono utili per una visualizzazione 3D immediata del progetto, dagli altri programmi che hanno come fine la rappresentazione, 3DstudioMax, Rhino, Cinema4D, StrataVision. Essi sono utili alla creazione di immagini per la comunicazione del progetto al cliente o al pubblico; in caso ad esempio di concorsi, hanno librerie di simboli per il completamento dell’immagine. Quasi tutte le aziende produttrici di forniture per l’edilizia, inoltre, mettono a disposizione dei progettisti le librerie 2D e 3D dei loro prodotti. Questo facilita lo scambio delle informazioni dimensionali dei prodotti e facilita il loro collocamento nei progetti. Molto acutamente Boni afferma che la distinzione principale tra i vari nuovi strumenti sia il loro fine: “ Penso che in un caso, sistemi CAD, il fine sia l’opera costruita, nel secondo, 3DstudioMax ecc., sia l’immagine. Da questa distinzione derivano due professioni: il progettista, che utilizza i sistemi CAD come se fossero un tecnigrafo tecnologico e l’illustratore, che partendo da file CAD elabora immagini per la visualizzazione realistica del progetto” . Ci spiega che occorre considerare il diverso approccio alle nuove tecniche: la generazione degli attuali quarantenni è stata sfiorata dall’innovazione della professione che l’informatizzazione ha prodotto. Alcuni si sono adeguati, aggiornandosi attraverso programmi d’istruzione privati, generalmente organizzati dalle ditte produttrici dei software, altri si avvalgono di professionisti esterni che offrono il servizio di elaborazione digitale. Con una considerazione molto interessante Boni ci spiega come sia cambiato l’approccio alla progettazione: “ Un tempo chi non sapeva disegnare, chi non aveva una buona mano si diceva, difficilmente si avvicinava a questa professione. Gli strumenti digitali fanno del disegno una tecnica e non un talento. Questa è la libertà decisamente maggiore” . Egli ritiene che la difficoltà maggiore, più dell’aspetto economico, per gli studi di progettazione sia la capacità di utilizzare una workstation completa di sistemi di stampa in formato A2, (il cui investimento si aggira intorno ai 10.000 euro), ma, una volta imparati gli strumenti del disegno digitale, il risparmio, in termini di tempo diviene notevole, soprattutto per le fasi di aggiornamento. Altro aspetto significativo nell’organizzazione del lavoro è la possibilità di verifica delle strutture e di catalogazione di materiali anche se afferma: “ È la magia di vedere l’opera finita che in fondo affascina” . Continua Roberto Boni: “ Un tempo la reazione del committente alle nuove tecniche di rappresentazione era stupore, ora con la diffusione di intrattenimenti dove la realtà virtuale è la componente principale, pensa che la visualizzazione 3D sia un’operazione automatica del computer e non una difficile alchimia tra tecnica, sensibilità del progettista e ore di lavoro uomo/computer” .
Pierangelo Boltri M. E. R.
A colloquio con Roberto Boni Ringrazio Roberto Boni, professore a contratto di Disegno Industriale e di Disegno Industriale per la Comunicazione Visiva presso il Politecnico di Milano, a colloquio con il quale sono emerse interessanti considerazioni che in questa sede citeremo in sintesi. L’ambito accademico è, a suo parere, quello in cui si cerca di sperimentare principalmente il linguaggio compositivo, supportato da tutte le tecniche, tradizionali o tecnologicamente avanzate, per la sua visualizzazione. L’architetto Boni distingue gli strumenti di rappresentazione
a cura di Sergio Cavalieri
Strumenti da disegnare e strumenti per progettare Mi si chiede una riflessione sul se e come le nuove tecnologie di rappresentazione abbiano influito sul progetto di architettura: questo è il tema della seguente riflessione. Come per molti altri strumenti del fare professionale, anche i nuovi strumenti di rappresentazione hanno soppiantato i precedenti per una sostanziale economia dei tempi di produzione. La maggior velocità di esecuzione delle procedure, più o meno meccaniche, sarebbe quindi il motivo primo di una vera e propria “ rivoluzione della rappresentazione architettonica” quale quella a cui abbiamo assistito nel campo dell’architettura negli ultimi vent’anni. È un dato di fatto che nei luoghi deputati alla produzione architettonica i vecchi tecnigrafi, un tempo simboli di una faticosa operatività quanto di una autenticità ed unicità del risultato, siano stati oramai relegati al ruolo di semplici piani di appoggio. A soppiantarli pressoché completamente sono state le “ macchine per il disegno” passando però in molti casi dallo statuto di strumentazione di ausilio della rappresentazione (l’acronimo inglese CAD con il quale si è soliti definire i numerosi programmi di disegno computerizzato significa Computer Aided Design cioè “ Disegno Assistito dal Computer” ), a quello di strumentazione per la progettazione. La rivoluzione informatica nel campo dell’architettura si è imposta come una sorta di “ musa inquietante” - la definizione è di Luca Scarlini (1): sostituendo le operazioni meccaniche a quelle manuali il computer ha di fatto sconfinato dal campo precipuo per il quale era stato pensato, cioè l’assistentato nella fase della rappresentazione, al campo dell’ideazione architettonica offrendosi come facile e pericoloso strumento di progettazione. In parallelo ai molteplici vantaggi offerti dal computer vi sarebbero altrettanti “ effetti collaterali” il più grave dei quali sarebbe una certa tendenza alla facile emulazione di popolari e diffusi linguaggi dell’architettura corrente. Molte teorie della ricerca architettonica contemporanea hanno trovato nelle tecnologie informatiche la base per una proliferazione di metodologie compositive oramai completamente automatizzate la cui produzione è ben più vicina alla “ serie” del prodotto industriale che non al “ pezzo unico” dell’” officina artigianale” quale dovrebbe essere quella dello studio di architettura. Il rischio più grave che oggi corre il progettista è quello di lasciarsi sfuggire il controllo della composizione formale (l’ideazione è per antonomasia operazione mentale assolutamente non riducibile a processi automatizzati) affidandola totalmente allo strumento informatico, inseguendo erroneamente il credo dell’equazione “ computer uguale moderno” . Oggigiorno basta infatti l’ausilio di un computer, anche non troppo sofisticato e potente, per emulare facilmente ed efficacemente i vari protagonisti dell’architettura contemporanea: nel panorama architettonico nazionale si affacciano così giovani progettisti che aspirano e diventano “ in sedicesimo” dei provetti Koolhaas, Hadid o Eisenman, amplificandone la popolarità ed aumentandone la diffusione del movimento di tendenza, ma annullando le differenze specifiche delle culture locali. Ma soprattutto ciò che si sente maggiormente è l’assenza del portato contenutistico cioè l’impalcatura teorica che sorregge l’espressione poetica senza la quale l’architettura sfocia nel formalismo.
Analogamente a quanto accade in altri settori, il computer favorisce l’omogeneizzazione dei linguaggi e conseguentemente alimenta il fenomeno della globalizzazione. Conseguenza di ciò è anche un incremento della virtualizzazione dell’architettura: l’opera architettonica tende ad essere ridotta ad immagine e la sua pratica, il progetto, ad esercizio di riproduzione infinita e tecnica. L’architettura è perciò soggetta al rischio che Benjamin individuava per l’opera d’arte, cioè la perdita dell’aura una volta entrata nell’apparato riproduttivo mediatico del video, del cinema, dell’arte, e non ultimo del computer. Si verificherebbe oggi una situazione di erronea utilizzazione della tecnologia: pericolo che Primo Levi ne Il versificatore in chiave ironica, grottesca e metaforica rilevava nella poesia: narrando di un poeta che, scontrandosi con una macchina ideata per scrivere versi (il Versificatore elettronico), dopo averla testata decide di acquistarla diventandone completamente dipendente e finendo paradossalmente per attribuirne il merito della sua stessa testimonianza (2). Se ciò non è accaduto per la scrittura, tanto è che la macchina che si utilizza si chiama da scrivere e non per scrivere, si è verificato nell’architettura, in cui l’utilizzo sarebbe non da disegnare ma addirittura per progettare. Non credo che il problema sia recriminare una certa autonomia dell’architettura dalla sua rappresentazione, – senza l’espressione dei segni non sarebbe possibile materializzare ciò che è stato ideato – quanto porre attenzione che gli strumenti di rappresentazione non diventino essi stessi strumenti di progettazione: non è possibile scindere completamente la fase della prefigurazione o ideazione dell’architettura da quella della trasformazione in segni convenzionali, ma deve essere riconoscibile un rapporto di subordinanza. A mio avviso il vero plusvalore rappresentato dal computer sta nel supporto offerto nella verifica e controllo dell’architettura nella fase della prefigurazione (così come potrebbe verificarsi con i plastici di studio). Solo in seconda istanza, ed utilizzato come puro mezzo per la rappresentazione finale, entrano in campo i vantaggi pratici di velocità, riutilizzo, riproduzione, stampa, eccetera. Non si vuole qui pateticamente, nostalgicamente e anacronisticamente rimpiangere i vecchi arnesi della rappresentazione quanto invitare il lettore ad un utilizzo corretto e meno meccanico dell’informatica applicata all’architettura. Al pari del soggettivo linguaggio architettonico, da sempre costruito in modo indipendente dai sistemi di rappresentazione, ogni architetto dovrebbe porsi come obiettivo quello dell’individuazione di una soggettiva “ espressione rappresentativa della poetica” senza che quest’ultima a ritroso influenzi il linguaggio stesso in modo incontrollato. Il computer è oramai strumento insostituibile nel mondo professionale; ma proprio perchè tende all’omologazione rappresentativa, l’invito è quello di cercare, all’interno delle moltiplicate potenzialità offerte, la propria personale via all’espressione del progetto di architettura. Enrico Prandi docente incaricato presso la Facoltà di Architettura di Parma
Note 1. Cfr. Luca Scarlini, La musa inquietante. Il computer e l’immaginario contemporaneo, Cortina, Milano, 2003. 2. Primo Levi, Storie naturali, Einaudi, Torino, 1966.
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Mantova
Milano a cura di Roberto Gamba
Tecniche di rappresentazione
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Per esemplificare quale grande evoluzione stiano avendo oggi i sistemi e le tecniche di rappresentazione del progetto – fatte salve le considerazioni sulla qualità del disegno, sul rapporto tra stile espressivo e stile del costruito – sono state chieste testimonianze a due studi di architettura milanesi sul loro modo di operare. Alla luce del successo professionale che entrambi conseguono, essi sembrano distinguersi in base a differenti atteggiamenti operativi. Il primo di essi – lo studio Gregotti associati – è proiettato a livello internazionale e cura progetti che riguardano varie città europee; inoltre, dalla parte opposta del globo, segue la pianificazione e costruzione, in Cina, di intere città. In questo ambito, potrebbe essere considerato esponente di un’evoluzione in senso tradizionale, dei metodi di rappresentazione tecnica e prospettica. Lo studio continua, infatti, a produrre disegni e documenti di progetto come d’abitudine; utilizzando dell’avanguardia tecnologica elettronica strumenti e attrezzature che si adattano al livello di qualità e di rapidità esecutiva oggi richiesto al progettista. L’impiego del computer per la redazione degli elaborati rende d’altra parte possibile l’utilizzo di tecnologie di telecomunicazione, che consentono una trasmissione immediata delle immagini e dei documenti di progetto, anche a distanze intercontinentali. Guido Morpurgo, associato dello studio, è l’autore del contributo qui proposto. L’altro studio, Park Associati, fondato nel 1999 da Filippo Pagliani e Michele Rossi, si definisce “un parco nel quale sviluppare idee e progetti, un laboratorio di idee, libero da stilemi e attento alle potenzialità della multimedialità, della tecnologia e della sperimentazione sui materiali” . Coerentemente con la sua natura di luogo di sperimentazione, fa della partecipazione ai concorsi anche internazionali l’occasione per favorire la continua generazione di idee e stimoli. Tra le sue realizzazioni, vanno citate a Milano, il Nordest Cafè, la sede Lehman Brothers, negozi per Morgan Stainley e Acqua di Parma; a Milano, Bari, Roma, Ginevra, negozi e padiglioni per Telecom; in varie città europee centri finanziari di Credit Suisse; a Roma, l’atrio del MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo. R. G.
Il disegno architettonico: mezzo di comunicazione o strumento di riflessione? Lo sviluppo dell’esperienza progettuale dello studio Gregotti Associati è indissolubilmente legato alla codificazione di un apparato figurativo che, attraverso cinquant’anni di attività, è sempre stato proposto come luogo privilegiato della traduzione dei princìpi architettonici. Il punto di vista introdotto dalle grandi prospettive a volo d’uccello al tratto che si sviluppa a partire dagli anni ’70 (concorsi per lo ZEN, per l’Università di Firenze e della Calabria) fino alle due fasi
del concorso Bicocca degli anni ’80, non costituisce semplicemente una sostanziale novità figurativa, proponendo la sintesi dell’approccio multiscalare che Gregotti e Associati riformulano sulla base dell’eredità del Moderno. Le scelte figurative traducono il principio dell’integrazione tra città e architettura, tra idea di progetto e spazialità urbana, con cui descrivere nuovi luoghi e manufatti: il principio insediativo è così sinteticamente definito in un’economia di mezzi espressivi e comunicativi. È in tal senso che il rapporto disegno-produzione nel progetto si propone di stabilire un controllo dell’ambiente, del contesto, attraverso un processo metodologico unitario: non si tratta di puro funzionalismo descrittivo, quanto di mettere a punto un appa-
Gregotti Associati International Spa con Commins Acoustic Workshop, Davis Langton, OTH Méditérranée, Scene, TRIBU: Salle de Spectacle Sextius Mirabeau, Aix-en-Provence, 2003-04.
rato di segni visivi che sono pensieri architettonici sulla modificazione contestuale. Con l’introduzione dell’informatica, il linguaggio figurativo e di conseguenza l’intero sistema di rappresentazione dello studio sono stati gradualmente modificati. Oltre alle implicazioni derivanti dalla riduzione drastica dei tempi di produzione dello stesso progetto (cui corrisponde l’accelerazione dell’elaborazione grafica), necessarie a formalizzare le fasi tecniche del processo di approvazione amministrativa dei progetti e soprattutto di elaborazione degli esecutivi, è soprattutto il mondo del rendering ad essersi rivelato al contempo utile e difficile da intercettare. Le viste realizzate al computer si sono perfezionate con sorprendenti risultati nei progetti che abbiamo sviluppato negli ultimi anni, ma le possibilità grafiche dello strumento tecnico si sono rivelate difficili da controllare, tendendo ad una sorta di relativa autonomia grafica, che può scadere in una forma di omogeneizzazione sotto il profilo del linguaggio di rappresentazione. Si è dunque cercato di utilizzare le potenzialità di prefigurazione dello strumento per verificare lo sviluppo del progetto, evitando così di relegare il rendering unicamente alla veicolazione dell’immagine finale. L’effetto di finitezza che le viste computerizzate trasmettono, tende infatti a spostare il significato di ciò che si vuole rappresentare sul piano iconico, aspetto che purtroppo è spesso potenziato nel mondo dell’architettura per forzare l’immagine del progetto. Nonostante sia sostanzialmente non riproducibile a computer il senso di scavo e di stratificazione rappreso nel disegno manuale, strumento di riflessione e luogo riassuntivo delle esperienze precedenti, accogliamo le possibilità offerte dalla tecnologia informatica del rendering quale strumento di comunicazione, ma senza rinunciare alla necessaria distanza critica che serve per evitare di confondere i mezzi dell’architettura con i propri fini. Guido Morpurgo
La pratica filmica nella progettazione architettonica contemporanea “ Nel suo lavoro, il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l’operatore invece penetra profondamente nel tessuto dei dati. Le immagini che entrambi ottengono sono enormemente diverse. Quella del pittore è totale, quella dell’operatore è multiformemente frammentata, e le sue parti si compongono secondo una legge nuova. Così la rappresentazione filmica della realtà è per l’uomo moderno incomparabilmente più significativa, poiché, precisamente sulla base della sua intensa penetrazione mediante l’apparecchiatura, gli offre quell’aspetto, libero dall’apparecchiatura, che egli può legittimamente richiedere dall’opera d’arte” .
nell’architettura contemporanea permeata da un dinamismo imprendibile coadiuvato da tali e recenti evoluzioni nelle tecniche di rappresentazione da aver esasperato l’aspetto dell’immagine rispetto ai contenuti stessi. Anche la velocità di comunicazione – e mail – ha modificato il modo di relazionarsi in architettura, eliminando il confronto e, perché no, lo scontro, trasformando ogni contatto tra progettisti e studi in puro scambio d’informazioni, fino a trasformare i vari website, cui si dedica un’attenta progettazione ad hoc, in prontuari per ogni genere di progetto. Tornando alla rappresentazione, come si diceva, la pratica legata all’utilizzo di software bidimensionali non ha comportato delle modifiche sostanziali in una metodologia rivolta alla
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Nei primi anni Novanta i computer fanno il proprio ingresso negli studi di architettura: macchine destinate a trasformare in brevissimo tempo la pratica stessa della progettazione architettonica, se non altro per la facile capacità di raccogliere un numero infinito di informazioni e dati da riversare con straordinaria efficienza e precisione di esecuzione su supporti video e cartacei. Forse all’inizio questi macchinari apparvero, attraverso software di progettazione bidimensionale, come naturali innovazioni in un’idea evolutiva del disegno, di un metodo collaudato nei secoli del progettare l’architettura, lungi dall’intervenire nell’iter del progetto vero e proprio, nella sua concezione e ideazione; solo più tardi i computer hanno permesso di superare questa visione, quando cioè l’accelerazione di immissione sul mercato di nuovi software si è fatta talmente esasperata da imporre un cambiamento nei percorsi progettuali. Da quel momento il modo di rappresentare ha subito tali modificazioni da giungere a coinvolgere persino le relazioni tra progettisti e committenza. Agli esordi, dunque, il disegno digitale prende semplicemente il posto delle lunghe elaborazioni grafiche del disegno manuale, appropriandosi gradualmente del controllo del progetto e delle modifiche ad esso apportabili, sempre più rapide e snelle; scompaiono gradualmente gli odori ammoniaci tipici dei rotoli da eliocopie e anche sul piano dell’organizzazione spaziale degli studi avvengono le prime evidenti trasformazioni: l’ordine delle postazioni è meno personale e individuale perché i computer con i loro sistemi e le relative applicazioni vanno velocemente a sostituire gli ingombranti tavoli da disegno, gli “ archeologici” tecnigrafi dalle caratteristiche righe parallele e perpendicolari. Si modifica, insomma, la geografia stessa degli studi di architettura, il rapporto con lo spazio e con la luce divengono secondari rispetto al ruolo che rivestivano per il disegno “ tradizionale” , comportando un’estrema libertà anche nella definizione di questi “ laboratori di idee e di strutture” che possono essere declinati nelle più innumerevoli tipologie: dal ristretto spazio un po’ bohemien in edifici storici o di archeologia industriale, all’appartamento anni Cinquanta – come vuole la migliore tradizione della ricostruzione milanese dei Gardella, De Carlo, Magistretti, per passare all’infinita serie di loft un po’ anni ‘80, fino all’edificio appositamente realizzato o, ancora di più, al grande contenitore trasparente. Così luogo, spazi e metodo cambiano, e come tutto questo sia avvenuto in tempi brevissimi è sotto gli occhi di tutti, tanto che oggi la fisionomia stessa di uno studio di architettura è difficilmente riconducibile ad un tipo, ma piuttosto si tratta di un contenitore “ personalizzato” , così come accade sempre più in generale
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Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1955
Frame estratto dal video per il progetto Financial Centre Credit Suisse di Francoforte, 2001.
Frame estratto dal video per il progetto dell’atrio del Maxxi - Museo delle Arti del XXI Secolo - Roma, 2004.
pratica progettuale attraverso il disegno e i modelli di studio, ma è l’introduzione di tecniche legate alla composizione tridimensionale che ha determinato la svolta nella logica costruttiva del progetto architettonico, accorciando sempre di più i tempi di simulazione, di calcolo e di visualizzazione. I cosiddetti software 3D da cui i famigerati rendering – riproduzioni virtuali che superano per “ concretezza” le possibili realtà proposte dalla bidimensionalità del disegno – sono oggi parte integrante della progettazione e della rappresentazione architettonica tanto quanto le tavole e i modelli. In tal senso i rendering possono arrivare persino a sostituire i plastici stessi, perché più praticabili, veloci nella realizzazione e nelle modifiche e soprattutto leggibili da parte della committenza, sempre in difficoltà nell’interpretare il disegno tecnico e pronta ad apportare proposte talvolta irrealizzabili. Ma i sistemi di rappresentazione hanno nel tempo subito ulteriori evoluzioni appropriandosi di espressioni, tecnologie e metodi mutuati da ambiti e specificità differenti. In tempi di video art, di corto e medio metraggi e di cinema sempre più intensamente rea-
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lizzato e tecnologicamente avanzato come poteva l’architettura non essere influenzata dall’immagine in movimento? Così all’informatizzazione “ classica” dell’architettura anni Novanta si è man mano affiancata la realizzazione dei video, una metodologia che va ben oltre i precedenti sistemi di rappresentazione e che più d’ogni altra permette di penetrare il progetto laddove l’occhio non può raggiungere i meandri del modello che diviene a propria volta la maquette per le riprese, così come accade nelle realizzazioni cinematografiche. Che il video poi diventi necessario al controllo sempre più approfondito del progetto è cosa evidente anche a noi progettisti tanto da essere ormai pratica corrente. All’interno di Park Associati ad esempio, il progetto viene quasi sempre analizzato secondo un approfondimento per gradi che va dal disegno bidimensionale al modello di studio in tecniche miste – cartoncino, balsa, metallo, plexi – alla realizzazione del modello 3D (con la possibilità di “ entrare” e manipolare in diretta il progetto) per concludersi nell’ideazione del video che ogni volta assume caratteristiche differenti. Ogni progetto necessita gradi di approfondimento diversi a seconda delle caratteristiche proprie: il video permette di incanalare la rappresentazione ed approfondire l’analisi di alcuni contenuti prediligendoli rispetto ad altri grazie anche a zoomate e continue variazioni di scala che permettono visioni generali e macroscopiche così come minutamente dettagliate. Il video introduce, inoltre, la possibilità di “ aprire” delle cartelle di approfondimento che, come filesinformatici, vivono di una propria autonomia organizzate anche con linguaggi differenziati rispetto al documento principale: si può operare attraverso il suono, la grafica ed effetti di montaggio particolari come la sovrapposizione di immagini e di filmati in movimento. La costruzione 3D e la visualizzazione istantanea per immagini ha ulteriormente e notevolmente modificato l’iter progettuale, permettendo riletture e modifiche costanti, richiedendo all’architetto di rivestire, talvolta, anche il ruolo di regista, nonché sceneggiatore – dettagli, zoomate e quant’altro per una lettura tutta personale del progetto, continuamente modificabile col variare dei punti di vista – e finendo inevitabilmente per interferire significativamente nel rapporto con la committenza, il cui approccio al progetto, si fa più partecipe e consapevole. Insomma, si può pensare che la rappresentazione filmica della realtà si addica di più e meglio alla condizione contemporanea, essa, infatti, se trasposta nel mondo dell’architettura, da un lato, permette al cliente o al critico una lettura frammentata delle opere, dall’altro al progettista una proposta attraverso la frammentazione dei concetti. Viene da chiedersi se tutto questo non abbia tolto un po’ di “ autorevolezza” alla professione dell’architetto, dando sempre più spazio al cliente ed alle sue esigenze di capire il progetto a fronte di un investimento: per certo, si è gradualmente affievolita la magia della trasformazione dal disegno immaginifico alla realizzazione in scala reale, come se nell’evoluzione naturale del progetto ci fosse sempre più necessità delle capacità tecniche di controllo del progettista a garanzia della corretta realizzazione a discapito di quelle di garante in difesa di un disegno su carta. Filippo Pagliani, Park Associati
Pavia a cura di Vittorio Prina
Numerose sono le recenti pubblicazioni che analizzano il rapporto tra disegno e progetto di architettura nel corso della storia. Tuttavia l’inesorabile, massiccio e ormai irrinunciabile utilizzo attuale del supporto informatico per la restituzione grafica del progetto di architettura non è ancora stato sufficientemente studiato. Risultati eccellenti si contrappongono a prove mediocri. Molti progetti contemporanei non si potrebbero disegnare e quindi realizzare senza il disegno computerizzato anche se è inutile negare che spesso tale strumento influenza alcune scelte progettuali; inoltre un velo di uniformità caratterizza spesso il disegno di progetti tra loro assai diversi (quest’ultimo aspetto è maggiormente evidente nei fotomontaggi e nelle restituzioni a tre dimensioni). È auspicabile un futuro numero di “ AL” dedicato al disegno “ tradizionale” , all’importanza del suo utilizzo e alle inevitabili trasformazioni causate dalla convivenza con la restituzione informatizzata. In molti studi di architettura l’idea di progetto viene ancora inizialmente espressa con schizzi a mano libera e con tecniche tradizionali ed in seguito elaborata con interventi a mano libera su disegni restituiti informaticamente. Giancarlo Floridi indaga su debolezze e pregi del rapporto tra disegno informatizzato e progetto evidenziando caratteristiche, equivoci, potenzialità evidenti o meno, complessità auspicabili ed anche componenti psicologiche che influenzano chi si trova di fronte ad “ un infinito spazio senza scala” . Leonardo Scarparo analizza da un punto di vista tecnico le possibilità offerte dalla realizzazione di filmati video, descrivendo passaggi (story board, scelta degli ambienti da rappresentare, della luce dei materiali, ecc.) che sono affini alla produzione cinematografica (regia, location, fotografia, scenografia, montaggio, ecc.). V. P.
Esattezza e indeterminazione nell’uso del computer Viene da considerare, nel rapporto tra informatica ed architettura, l’inconsistenza fisica delle operazioni con cui (in un rapporto inverso) si suppone di inserire l’architettura dentro ad un computer. Per se stesso il calcolatore produce industrialmente, con inesorabile freddezza, la riduzione numerica di materie ed altra natura, rappresentando in realtà (nonostante equivoci recenti e diffusi di produzione, creduta automatica, di forme più o meno felici), un mero strumento di scrittura, di disegno. Contando su algide intelligenze, il calcolatore, schivata la semplificazione, la massificazione, (una piccola percentuale di architetti cinesi disegna la maggior percentuale di edifici al mondo) può trovare nella concettualizzazione la possibilità di tradurre o esprimere anche architetture. Il disegno al computer, come sistema di segni semplici, sembra produrre nell’esattezza, propria della macchina, da una parte una riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti, diagrammi con cui compiere operazioni, e dall’al-
Lewis Carrol, Through the looking mirror. Alice in wonderland, London, 1914.
tra rappresenta lo sforzo dei segni per render conto con la maggiore precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose. Nel disegno la possibilità di concettualizzazione ed astrazione, viene anche dall’assenza di tracce (nel fare e nel suo opposto, nel correggere: Ctrl+Z! ). Lo schermo nero di un infinito spazio senza scala, che non sia quella dei byte utilizzati, si copre di segni, di una scrittura da ideogramma, linee come monosillabi nel campo della voce, disegni fatti di operazioni perfette (si annullano errori) quanto per l’ideogramma è quella della punta celata ovvero dell’assenza di tracce. La presenza di esattezza e indeterminazione fisica dei segni computer aided introduce l’infinito spazio dell’1:1, dove piccolo e vasto coincidono, dando la possibilità unica di rappresentare, controllare la realtà attraverso un disegno che corrisponda alle sue dimensioni. Un po’ come succedeva con la perfezione della rappresentazione (appunto) cartografica descritta da J. L. Borges nella Storia universale dell’infamia, 1975, a proposito delle carte dell’Impero: i cartografi giungono a rappresentare la carta alla stessa scala dell’Impero medesimo, facendo coincidere il disegno della città alla città stessa, punto per punto, coprendo poi interamente il territorio fisico, il paesaggio, che si identifica così interamente con la propria rappresentazione. L’assenza di scala del computer, necessariamente man aided, cercando di contenere l’architettura, sembra produrre la negazione di cadute piramidali dei progetti dal 1:50.000 all’1:20 ad esempio, in successive gerarchizzazioni e progressive perdite di senso o incongruenze, permettendo la corrispondenza di insieme e dettaglio, riconducendo l’opera finalmente no detail alla traduzione di un’idea, alla rappresentazione efficace del concetto. Sui computer degli studi migliori, c’è una coerente corrispondenza tra il dettaglio della sezione costruttiva e l’inserimento del progetto nel paesaggio ad esempio nello stesso disegno, nello stesso file, costruendosi contemporaneamente senza precedenze e se mai con coerenti corrispondenze (vedi Steven Holl a Lake Witney, Federico Soriano a Bilbao, ecc.). Questa dualità tra idea e rappresentazione, trova nel computer lo spazio virtuale (l’assenza di fisicità delle immagini di Autocad, di Photoshop, ecc.) capace di supportare anche il paradosso (di scala, di peso, di colore, attraverso la simulazione) inteso anche come superamento del concetto di differenza e contraddizione. Quasi sul piano del subcosciente, come nel Paese di Alice, oltre lo schermo del computer non è più operativa la dualità platonica che oppone il sensibile all’intelligibile, la materia alle idee. Il computer sembra permettere di descrivere precisamente
Lewis Carrol, The Bellman’s blank Ocean Chart, in: The hunting of the snark, London, 1928.
Walter de Maria, Mile-Long drawing 2 parallel chalk lines, 1° apart, Mohave Desert, California, 1968.
la complessità dei problemi architettonici (senza oscurare la loro dipendenza dalla realtà fisica ed i suoi parametri commensurabili! ) e attuarsi come strumento di analisi, capace di riflettere la complessità della realtà e di una avanzata descrizione della stessa. Giancarlo Floridi
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L’animazione 3D nel progetto architettonico Nell’era digitale, ormai la richiesta di realizzazione di immagini fotorealistiche e soprattutto di filmati video virtuali come supporto al disegno CAD, sono diventati un elemento necessario per il completamento della proposta progettuale. Gli strumenti oggi disponibili sono molteplici e fortunatamente più alla portata di tutti rispetto ad un passato dove tali tecnologie erano solo per pochi, sia per quanto riguarda l’aspetto economico, che per la complessità dell’utilizzo. Era infatti necessario avvalersi di esperti del settore e di super
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Le immagini si riferiscono ad un vano scala circolare di un palazzo storico di Milano soggetto al vincolo della Soprintendenza delle Belle Arti, nel quale dovrà essere installato un impianto ascensore. Nella ricostruzione digitale dell’intervento sono stati riprodotti tutti i dettagli (porte, gradini, stucchi ed affreschi, ringhiere, cornicioni e bassorilievi) al fine di rendere l’impatto il più realistico possibile.
computer, ricordo appunto che per l’esposizione della mia tesi nel dicembre del 1989 utilizzai un computer della Silicon Graphics del costo allora pari a circa 200.000.000 delle vecchie lire ed il software di Explorer del costo circa di 100.000.000 delle vecchie lire, il tutto messo a disposizione dal Politecnico di Milano e supportato da un ingegnere informatico. Il risultato ottenuto allora con un impegno economico spropositato, sarebbe oggi ottenibile con un semplice Pc ed un programma CAD con il rendering per una spesa almeno 20 volte inferiore. Oggi lo scenario è ben diverso, esistono infatti programmi software per il rendering e l’animazione che richiedono un sacrificio limitato per ottenere dei risultati soddisfacenti, è importante però far presente che animazioni o immagini 3D con modelli molto complessi, richiedono ancora sforzi considerevoli sia per l’impiego di personale specializzato, sia per la dotazione hardware, indispensabile a raggiungere un livello di definizione elevato. Esistono all’occorrenza strutture specializzate per la realizzazione di immagini e filmati video professionali, le stesse, infatti, sono in grado di sviluppare sia il modello 3D partendo da elaborati CAD 2D, e sia il rendering e l’animazione ricevendo l’elaborato CAD in formato 3D; in questo caso, deve essere posta particolare attenzione sulla metodologia e precisione nella realizzazione delle geometrie. È importante sapere che per ogni secondo di filmato sono necessari dai 25 ai 30 fotogrammi, 25 per il sistema PAL e 30 per il formato NTSC, in relazione alla complessità del progetto possono essere necessari dai 30 secondi ai 30 minuti per ogni fotogramma (questa stima è molto sommaria, in quanto le variabili che determinano i tempi sono molteplici), quindi per ottenere un filmato di 30 secondi saranno necessari 750 fotogrammi per il formato PAL e 900 per il formato NTSC, di conseguenza, i tempi che si otterranno saranno determinati dalla moltiplicazione del tempo necessario per un singolo fotogramma applicato al totale dei fotogrammi. Come precedentemente citato, il tempo di calcolo è determinato da molti fattori, non solamente dalla dimensione del modello 3D, ma da molti altri elementi come meglio descritto nell’elenco sotto indicato: • la quantità di poligoni di cui è composto il modello CAD, poiché al momento del rendering in realtà le superfici sono scomposte in poligoni triangolari, quindi la quantità di poligoni incide sui tempi di calcolo; • la quantità e la tipologia di luci impiegate nella scena; • la dimensione e le quantità delle texture (mappe); • il metodo di rendering (raytracing, radiosità o altro); • gli effetti impiegati (ombre, rifrazioni, riflessioni ecc.); • il numero dei fotogrammi che determinano il tempo del filmato video; • e ultimo, ma di principale importanza, la potenza del computer impiegato, la frequenza del processore; in effetti si nota molta differenza se si utilizzano computer con il doppio processore, meglio ancora computer di tecnologia Xeon o AMD Opteron a 64 bit, è inoltre importante anche la memoria Ram, con dotazioni da 1 Gbyte a 3 Gbyte. Non ho citato la scheda grafica, che, pur essendo importantissima nella fase di stesura del progetto CAD, lo è molto meno nella fase di calcolo, quindi avere una scheda molto potente per realizzare un filmato non gioca un ruolo fondamentale, infatti, nella realizzazione di alcuni filmati, ho potuto costatare quanta differenza in termini di tempo di calcolo ci fosse utilizzando un Pc con due processori invece di uno. Non ho riscontrato invece una differenza importante, nell’avviare il calcolo di un filmato video con l’utilizzo di un Pc con scheda grafica potente e singolo processore, rispetto ad un Pc con stesse caratteristiche ma scheda grafica poco performante. Per ovviare al problema dei tempi, a volte molto lunghi per
luminazione dà il tocco finale alla scena; porre attenzione alla trama della mappa che compone la texture: materiali composti da colori, tipo vernici, pitture sono di semplice realizzazione, ma materiali quali legno, mosaici, pavimentazioni, rivestimenti, tappezzerie con disegnati dei motivi, richiedono l’esecuzione dell’intera superficie su cui verrà applicato il materiale. Per la realizzazione dei pannelli corrispondenti alle superfici da rivestire, sarà necessario utilizzare un programma di fotoritocco; le tecniche da utilizzare per l’impostazione della mappa da applicare sono svariate, dall’acquisizione con lo scanner del materiale, alla foto digitale del motivo o alla creazione direttamente con il programma pittorico. Completata l’applicazione dei materiali e verificato che nelle immagini di rendering il risultato è quello desiderato, si può procedere all’impostazione del percorso per il filmato video finale. È preferibile calcolare singolarmente i fotogrammi che compongono l’animazione e in una prima fase non in modalità rendering ma wireframe, riducendo così drasticamente i tempi ed avendo modo comunque di verificare eventuali errori nel percorso del filmato, appurato che il tutto è corretto, si può procedere al calcolo definitivo del filmato, questa fase è demandata totalmente al computer. La presentazione al committente del filmato video, darà una sicura gratificazione del tempo dedicato; è, infatti un sistema molto comunicativo e di indubbia chiarezza, sicuramente vengono eliminate tutte le incertezze sulla comprensione del progetto. Sono stati fatti dei passi veramente enormi sulla tecnologia applicata in questi settori, non ultima la stampante 3D per la realizzazione del modellino in gesso, comprendente tutti i dettagli che sono stati disegnati nel modello 3D. È sufficiente fornire il file in formato stereolitografia STL alle società che dispongono di questo dispositivo, ed ottenere in un giorno o due uno splendido plastico del progetto con tutti i dettagli fino ai minimi particolari. Per visualizzare la tecnologia utilizzata dalla stampante 3D ci si può collegare al sito www.zcorp.com o collegarsi al sito www.cmf.it per ottenere una prova gratuita di realizzazione di un modello 3D. Non v’è dubbio che oggi disponiamo di strumentazioni molto sofisticate e di elevato contenuto tecnologico, stampanti 3D, realtà virtuale e sicuramente il futuro ci riserverà ancora sorprese fantastiche, oggi considerate fantascienza. Una cosa però è certa: la creatività e la professionalità del progettista sono ancora insostituibili. Leonardo Scarparo
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la realizzazione di filmati video virtuali, sono già presenti sul mercato alcune società che offrono la possibilità di inviare il file via internet e di effettuare il calcolo utilizzando fino a 400 computer collegati tra loro, questo sistema definito Render Farm permette di ottenere una riduzione di 400 volte il tempo necessario per il calcolo. Una di queste società è raggiungibile collegandosi al sito www.respower.com Ora che sono state introdotte delle terminologie, delle tecniche e delle caratteristiche ottimali per la realizzazione di filmati video virtuali, passerò ad illustrare da dove iniziare e come procedere correttamente per ottenere un rendering o meglio un’animazione 3D del progetto che abbiamo in mente o che il committente ci richiede. La linea guida è tassativamente il messaggio che l’animazione o l’immagine deve trasmettere a chi lo osserva, quindi quale obiettivo voglio ottenere presentando il progetto utilizzando tale tecnica. Nel caso di una o più immagini fisse, sarà necessario determinare quale inquadratura potrà meglio comunicare al committente, o a chi osserverà le immagini, quello che loro si aspettano, facendo molta attenzione che un’immagine fissa può essere osservata per più tempo ed in questo caso eventuali errori sono più facilmente individuabili, quindi andrà posta molta attenzione nella definizione di quei dettagli che sono il tema principale del progetto, trascurando gli elementi di minore importanza. La regola è un po’ diversa nel caso di un’animazione 3D: l’importanza in questo caso è molto accentrata sul percorso del filmato video, ciò che si deve vedere e ciò che non è essenziale ai fini di una percezione del messaggio che il filmato deve trasmettere al committente. È fondamentale realizzare uno storyboard, facendo particolare attenzione al tempo necessario per percorrere un determinato tragitto, permettendo così la corretta percezione degli elementi caratterizzanti il progetto. Molte volte si utilizza una tecnica molto semplice, quella di stampare la planimetria 2D del progetto interessato all’animazione, successivamente tracciare il percorso che s’intende eseguire, utilizzando un semplice pennarello, individuando così quali sono gli ambienti che saranno oggetto dell’animazione, tralasciando quindi, quelli che non saranno osservati. Questa tecnica permette di risparmiare tempo nella successiva realizzazione del modello 3D, disegnando solamente gli elementi coinvolti nel percorso. Una volta preparato il modello tridimensionale, utilizzando qualsiasi prodotto CAD 3D, si può passare alla fase di studio della luce; si consiglia di effettuare le prove senza l’applicazione dei materiali, solo colore o con toni di grigio, poiché l’utilizzo di molte luci comporta un tempo di calcolo maggiore: più apparecchi illuminanti sono presenti nella scena, più elevato sarà il tempo d’elaborazione, quindi è preferibile applicare i materiali (texture) quando le immagini di rendering di prova dell’illuminazione hanno raggiunto un livello soddisfacente. Nel caso si utilizzi il metodo di calcolo del rendering raytracing, è infatti giustificato l’utilizzo di più luci rispetto alla realtà, alcune scene richiedono l’impiego di decine di luci, per ottenere un effetto realistico. Diverso è il caso utilizzando il rendering con il calcolo della radiosità; sarà sufficiente posizionare la fonte luminosa come dovrebbe essere nella realtà, a questo punto il programma procederà a calcolare il rimbalzo dei raggi luminosi, illuminando correttamente ogni punto raggiunto dalla luce. Questo metodo di calcolo, che in effetti rende più facile il posizionamento delle fonti luminose, richiede però molta attenzione nella realizzazione del modello 3D ed una tempistica maggiore, ma il risultato finale giustifica l’attesa. L’applicazione dei materiali (texture), successivamente all’il-
Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni
Nuovi strumenti, metodi sorpassati
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Decretare che i nuovi strumenti di lavoro abbiano migliorato la qualità della progettazione è, probabilmente, azzardato, viceversa si può asserire che, in conseguenza delle nuove tecnologie, sono cambiate molte delle abitudini e dei modi del lavoro professionale. L’introduzione dell’uso dei CAD sembra avere influito più sulle tecniche di rappresentazione grafica che sui processi metodologici. Il computer ha sostituito il tecnigrafo, ma non ha significativamente inciso sui metodi d’analisi, sintesi e proposizione progettuale. Osservando il lavoro di molti colleghi, di diversa età anagrafica ed esperienza professionale, a Varese come in qualsiasi altro luogo, si nota che il computer è sostanzialmente utilizzato come supporto tecnico alla rappresentazione, quasi mai come ausilio per approfondire la conoscenza del manufatto progettuale in nuce o l’impatto che lo stesso produrrà nel contesto reale; verifiche per cui, viceversa, molti software offrono interessanti opzioni. Va notato che non è corretto equiparare tra loro tutti i software in commercio, esistono profonde differenze tecnologiche che sostanziano il diverso livello di ausilio progettuale che si può ricavare dal sistema utilizzato. Nel considerare le facoltà proprie di un programma di progettazione e, quindi, la sua capacità di rendere un servizio che vada oltre la mera restituzione grafica, non si può prescindere dal valutare se, per esempio, si tratti di un programma bi- o tri-dimensionale e, quindi, se consente di verificare la dimensione temporale dell’oggetto progettato. Solo una minoranza di professionisti sembra utilizzare tutte le potenzialità che derivano da programmi che travalicano la mera rappresentazione grafica. È dimostrata l’esistenza di un rapporto di reciprocità tra tecniche di disegno e fondamenti progettuali, conseguentemente, pare legittimo attendersi sviluppi, anche di metodo, dall’utilizzo di strumenti rivoluzionari come quelli contemporanei. Discriminante è l’impiego del computer come ausilio per l’elaborazione del processo progettuale e non quale mero strumento di redazione del prodotto finito. Si deve tenere conto che esistono tempi di assimilazione fisiologica assai più ampi di quelli propri dell’evoluzione tecnologica. A dimostrazione di questa dicotomia è sufficiente osservare quanto succede da alcuni anni anche nella nostra Provincia. Nell’universo professionale si affacciano nuovi ruoli differenziati e specializzati: molti studi, composti solitamente da giovani colleghi, si perfezionano nell’offerta di servizi informatici ad altri colleghi più dediti alle attività di costruzione. Modelli animati e rendering d’impatto visivo (non sempre lodevole) diventano un accessorio indispensabile di qualsiasi progetto. Nella misura in cui questi elaborati sono utilizzati esclusivamente per illustrare il prodotto finale e sono, per di più, realizzati da studi esterni, non potranno mai incidere sulla sostanza del progetto, non forniranno mai nuovi dati conoscitivi al processo progettuale.
Utilizzare le facoltà di un computer, per imbellettare un progetto, è simile a realizzare un raffinatissimo modello in massello di legno per illustrare un’opera “ correntemente” progettata sulla carta. Viceversa, il modello virtuale di un’opera consente di effettuare, con efficacia e costi relativamente contenuti, alcune utili simulazioni. A titolo d’esempio si può citare la possibilità per cui, dotandosi le Amministrazioni di modelli virtuali del territorio di loro competenza, sarebbe possibile verificare, con immediata efficacia, l’impatto prodotto su di esso dalle nuove opere. Simili possibilità sono certamente alla portata d’apparecchiature accessibili a tanti enti (si pensi all’efficacia di simulazione di cui sono dotati i comuni videogiochi) e potrebbero costituire la premessa di un’utile applicazione dei nuovi strumenti ma, soprattutto, di una ritrovata qualità progettuale. C. C.
A cura della Redazione
Una stupefacente collezione
Genova, Capitale Europea della Cultura per il 2004, negli ultimi mesi dell’anno ha ancora da offrire molte mostre e manifestazioni, alcune delle quali si protrarranno fino a gennaio 2005. L’intera iniziativa verte sulla promozione dell’identità cittadina – come intreccio di arte, cultura, scienza e tecnologia – ma soprattutto sugli effetti di rinnovamento urbano che sortiscono da una valorizzazione dell’immagine culturale. Da un lato, dunque, le mostre con la loro temporaneità, dall’altro gli interventi strutturali che mutano in modo permanente la città. Proseguono la mostra dedicata all’opera di Piano (Porta Siberia, fino all’1 ottobre) e l’esposizione I transatlantici (Galata, Museo del Mare, fino al 9 gennaio 2005), excursus tra storia e valenza simbolica delle grandi navi tra ‘800 e ‘900: nel primo caso, l’opera di uno dei protagonisti della trasformazione dell’area nevralgica del waterfront; nell’altro, l’occasione per concentrarsi su un brano della storia marittima di Genova e visitare gli spazi del nuovo Museo del Mare, sistemazione dell’antico edificio dell’arsenale ad opera di Consuegra, che regala alla città uno dei primi musei navali d’Europa. Si apre invece questo mese l’attesa mostra Arti & Architettura, 19002000 (Palazzo Ducale, 2 ottobre 2004 - 9 gennaio 2005), curata da Germano Celant, coordinatore artistico dell’intero programma di Genova 2004. Contaminazioni tra architettura e arti visive, design, letteratura, musica, teatro. Le opere, selezionate per la loro forte valenza iconica, coprono l’arco temporale di un secolo, spaziando dalle avanguardie storiche, fino al postmodernismo e alla ricerca estetica contemporanea. Anche in questo caso l’evento “ invade” la città, in cortili
e piazze, con un’apposita sezione dedicata ad allestimenti effimeri, il cui confine ondeggia tra il linguaggio artistico e quello architettonico. Simbolo dell’iniziativa è il celebre Teatro del Mondo di Aldo Rossi – emblema della Biennale di Venezia del 1979-80, andato poi perduto – ricostruito a grandezza naturale grazie al recupero del progetto originale e ormeggiato al Porto Antico. Il design è invece al centro di Medesign: forme del Mediterraneo (Palazzo della Borsa, via XX Settembre 44, 8 novembre - 12 dicembre 2004), proposta di oggetti del passato, della contemporaneità e del futuro, legati al tema della “ mediterraneità” , con uno sguardo particolare sulla ricca produzione ligure; in parallelo, l’apertura di numerosi spazi espositivi per una scoperta dei luoghi del design cittadino. Ancora l’accento sul rinnovamento di Genova nella rete delle città europee in trasformazione, con Urban reGENeration (Loggia della Mercanzia, 12 novembre 2004 - 9 gennaio 2005), cui si accompagnano La città delle immagini, concorso internazionale di cortometraggi e Città in rete, workshop e forum con i maggiori attori della rigenerazione europea. Tra le altre iniziative, è da citare infine Attraversare Genova. Presenze e passaggi nella cultura della città, 1960-1990 (Magazzini del Cotone, 21 ottobre - 31 dicembre 2004), esposizione di opere lasciate da personaggi internazionali (artisti, cantautori, architetti) che hanno attraversato la città: in linea con gli eventi di Genova 2004, esperienze transitorie che hanno depositato qualcosa di stabile nella città e nella sua cultura.
Il tema del museo, dal punto di vista progettuale, oggi più che mai, non è un tema semplice. Infatti non è possibile, affrontarlo senza tenere conto del rapporto che intercorre fra l’architettura del “ luogo” , dell’edificio, e la natura del suo contenuto. Pensiamo, infatti, a cosa significhi, oggi, esporre arte contemporanea, cioè opere di dimensioni e “ fattura” completamente diverse da quelle di un tempo.
pagna del nord di Italia o appositamente comprati dai rigattieri e nei mercatini dei paesi, nel corso di un’intera vita. Il Museo comincerà a costruirsi quando Ettore Guatelli sentirà la necessità di mettere in mostra tutto questo materiale. Pian pianino gran parte della casa, la sua casa, verrà letteralmente occupata dalla collezione, che riempirà ogni singolo angolo utilizzabile, pareti e soffitti, porte e vani delle finestre.
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Argomenti
Genova 2004: cosa resta
Mina Fiore
Museo Guatelli, vista del “ salone” .
Una delle opere esposte nella mostra “ Arti & Architettura” : Gehry e Oldenburg, Binoculars, edificio a uffici Chiat/Day, Venice (USA).
È a partire da questa considerazione che credo valga la pena visitare uno dei più “ incredibili” musei che si possono incontrare: il Museo Guatelli situato in una casa colonica del comune di Ozzano Taro, in provincia di Parma. Innanzitutto, due parole sulla figura di Ettore Guatelli, fondatore e ideatore di questa raccolta. Figlio di contadini, Guatelli, si accorge presto di non essere adatto al lavoro dei campi e decide quindi di studiare privatamente. Con non poche difficoltà si diploma come maestro e, durante la guerra, comincia la sua attività di insegnamento. Parallelamente inizia a raccogliere il materiale con cui costruirà la “ sua” collezione. Perché proprio di una “ raccolta” si tratta. Una collezione di oggetti di uso comune, rinvenuti nella cam-
Ciò che stupisce non è tanto la quantità di materiale esposto (30.000 pezzi e un intero “ giacimento” di oggetti ancora da catalogare) ma la modalità e la qualità dell’esposizione. A uno sguardo superficiale, infatti, i muri ricoperti di lime di ogni foggia e misura, piuttosto che il battente della porta rivestito di serrature, o ancora la stanza riempita di scatole di latta non sono da leggere esclusivamente come la testimonianza di un patrimonio di oggetti documento di un particolare momento della vita del nostro paese, ma piuttosto come la capacità di individuare delle categorie tipologiche anche fra gli oggetti, mettendo in evidenza come le variazioni all’interno di un tipo consolidato siano infinite. In questa organizzazione tipologica del materiale, Guatelli
svela il suo interesse per la conoscenza e la rappresentazione, successiva, della realtà dell’uomo. Ed è proprio per questa capacità rappresentativa che rimaniamo sorpresi. Questo maestro elementare con grande rigore e con una precisa idea di ordine disegnava in terra, sul pavimento, la composizione che, successivamente, come accadeva negli antichi affreschi, avrebbe trasferito sulla superficie verticale del muro. È la sua capacità compositiva a meravigliare, a far sì che ogni singola stanza di questa semplice casa di campagna si trasformi in una vera
Martina Landsberger
parente realismo, Petrus dunque non duplica la città esistente, la ricostruisce: architettando sottili slittamenti deterritorializza Milano per insediare la sua visione urbana sul terreno di una tensione profonda fra architettura e città, memoria e progetto. “ Milano Milano” è il titolo dell’e-
Museo Ettore Guatelli Ozzano Taro (Collecchio), Parma via Nazionale 130 tel. 0521333601 e-mail: info@museoguatelli.it
METAMORPH mutazioni dello spazio vivente tra forme e metafore organiche
sposizione, ovvero due volte Milano, la città reale e il suo doppio, cioè la città rappresentata da Petrus, ma della “ Milano” reale nella “ Milano” di Petrus non c’è semplice eco, ma una profonda e complessa riflessione... Sonia Milone
Milano-Milano: andata e ritorno
Argomenti
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e propria installazione, in un “ bosco delle meraviglie” . “ Far parlare gli oggetti in armonia, come si trattasse di un concerto più che di un museo” , questo era l’obiettivo di Ettore Guatelli. Un obiettivo sicuramente raggiunto.
Alcuni dipinti di Marco Petrus esposti nella mostra. Si inaugura il 7 ottobre presso la Fondazione Piero Portaluppi (con catalogo edito da Skira e presentazione di Philippe Daverio) la mostra dedicata a Marco Petrus, pittore da sempre concentrato sul tema del paesaggio urbano. Accostando edificio dipinto e immagine del referente esterno ben localizzato attraverso una mappa, le 34 opere esposte, tutte del 2004, si presentano come le tappe di un itinerario che attraversa la città intrecciando realtà e rappresentazione, per soffermarsi su alcuni degli episodi architettonici più interessanti della storia milanese. La Milano esplorata da Petrus circoscrive, infatti, un territorio culturale ben preciso che inizia in via Galvani con le scuole progettate da Camillo Boito, passa per i luoghi più significativi del modernismo lombardo degli anni ‘30-’40 (dalla Cà bruta al Palazzo dell’Arte, dal Palazzo del Toro alla Torre Ponti-Lancia, dal Palazzo per uffici della Montecatini alla Casa Rustici di Terragni e Lingeri, dalla casa d’abitazione di Minoletti in piazzale Istria a quella di Tito Varisco in via Teodosio) e termina di fronte al Pirellone e alla Torre Velasca.
Ma nessun sole sorge o tramonta dietro queste architetture dipinte, nessuna forma di vita traspare da questi edifici disabitati, la città dilagante della contemporaneità non riesce a lambirli, si infrange contro la levigatezza delle loro facciate e si ritrae fino a scomparire. Nell’opera di Petrus l’architettura subisce un processo di astrazione (nel senso etimologico del termine di estrazione dalla realtà contingente) e di distillazione che ha nella geometria il suo filtro e la sua essenza, di purificazione per ritrovare intatta la forza dell’idea, la sfera incontaminata del progetto. L’unica “ zona” concessa a queste architetture consiste nella bellezza del loro disegno metafisicamente sospeso al di là dello spazio, ma anche al di là del tempo. ” Monumenti” del modernismo lombardo, queste opere, in quanto tali, dovrebbero custodire la memoria di una tradizione, il senso di una identità collettiva, ma di fatto sono così sradicate, lontane da ogni contesto e da qualsiasi presente in cui possano risignificarsi che sembrano perdere proprio il potere di tramandare, assumendo l’aria di reliquie in una città fantasma. Al di là del suo ap-
La 9° Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, diretta da Kurt W. Forster (12 settembre - 7 novembre 2004), affronta i cambiamenti in atto nell’architettura contemporanea nel campo della teoria e della pratica progettuale e nell’uso delle nuove tecnologie costruttive, come specchio di più vasti e complessivi mutamenti epocali. Ispirata alla metamorfosi degli organismi viventi, METAMORPH esplora su scala planetaria le manifestazioni di queste trasformazioni rispetto alla nuova iper-scala di progetti, l’aura degli edifici, i materiali di nuova risposta, i cambiamenti paesaggistici e la riqualificazione delle città portuali. I due luoghi principali della mostra – le Corderie dell’Arsenale e il Padiglione Italia ai Giardini –, in virtù del loro distinto carattere strutturale, presentano una dinamica espositiva contrastante e complementare. Da una parte, le Corderie – spazio fortemente direzionale – illustrano la storia delle opere che hanno trasformato il panorama disciplinare dell’architettura a partire dagli anni Settanta: da Peter Eisenman (coi suoi automatismi terrestri), Frank O. Gehry (con gli edifici che si trasformano in pesci), Aldo Rossi (l’architettura come memoria) e James Stirling (il collage costruttivista) fino alle ultime tendenze e realizzazioni, mettendo a confronto passato e futuro in una visione temporale del cambiamento. Dall’altra, il Padiglione Italia – teatro di molteplici esperienze – grazie alle installazioni commissionate appositamente ai diversi progettisti, mette a fuoco temi e luoghi dei mutamenti contemporanei, suggerendo al visitatore un’esperienza sincronica e contemplativa dei fenomeni colti come atmosfere, in una dimensione a spirale. Di grande impatto la serie di quaranta Concert Hall, che va dalle opere capitali di Hans Scharoun, Le Corbusier e Iannis Xenakis e Jøenr Ut-
zon, fino alla Disney Concert Hall di Gehry, summa summarum dell’evoluzione della sale da concerto. Un’occasione per riflettere sulle recenti costruzioni in cui si privilegiano superfici piegate e incurvate. Esempi di un’architettura aperta all’utilizzo di materiali dalle proprietà variabili e reattive, che cambia natura: strutture organiche dalle forme curvilinee, che avvicinano le funzioni dei loro involucri a quelle di membrane viventi. All’interno del Padiglione Italia, la sezione Notizie dall’interno – curata da Mirko Zardini – raccoglie architetture di interni di recente realizzazione (uffici, case, edifici pubblici), riunendo l’attività di una quarantina di architetti italiani. Il terzo spazio, Città d’acqua – sotto la direzione di Rinio Bruttomesso – presenta i progetti di rinascita di alcune tra le principali città d’acqua del mondo, da Bilbao a Buenos Aires, da Lione a Seoul. Struttura galleggiante sul bacino dell’Arsenale, il padiglione è fatto a somiglianza e metafora di Venezia: città immateriale, fluttuante e flessibile, dove l’acqua diviene simbolo della vita e della sua metamorfosi. La sezione fotografica Morphing Lights, Floating Shadows – a cura di Nanni Baltzer – presenta le opere di oltre sessanta fotografi articolate in diverse tappe, ciascuna in relazione con un filone tematico esposto. La mostra ospita complessivamente 45 paesi, presentando i lavori di 170 studi di architettura, oltre 200 progetti, più di 150 fotografie, video e installazioni speciali. L’allestimento e l’immagine della most ra sono curat i dallo st udio newyorkese Asymptote. Saranno assegnati da Giurie Internazionali un Leone d’oro alla Carriera, un Leone d’oro per la Migliore Presentazione, un Leone d’oro per il Progetto più promettente di un Giovane Architetto, un Leone d’oro “ Città d’Acqua” . Irina Casali
a cura di Antonio Borghi
Intervista a David Chipperfield Tra gli architetti dello star system che negli ultimi anni lavorano per Milano David Chipperfield è certamente tra i meno propensi ai clamori mediatici. I suoi modi sono sobri, pacati ed eleganti come i suoi progetti, le parole misurate e senza retorica. Ancora una volta dobbiamo
ringraziare Luca Molinari per averlo invitato a presentare in Triennale lo stato di avanzamento del nuovo Palazzo di Giustizia di Salerno, nel ciclo di conferenze Cantieri aperti. L’occasione era particolarmente interessante anche per la presenza degli amministratori locali e dei rappresentanti della committenza, che hanno contribuito a fornire un quadro completo dell’iter progettuale. • La David Chipperfield Architects è uno studio radicato a Londra e a Berlino, ma attivo in tutto il mondo e che si affida a professionalità provenienti di molti paesi diversi. Quando iniziate a pensare un progetto in un paese straniero che non conoscete, come riuscite a stabilire una relazione con la cultura locale, quali sono i vostri riferimenti di metodo? • Per rispondere posso partire dall’esempio di Salerno, città che non conoscevo prima di partecipare al concorso. In questo caso l’area di progetto era uno scalo ferroviario abbandonato, un pezzo di città dimenticato con un carattere industriale piuttosto anonimo. Segnata da importanti infrastrutture e isolata dal resto del contesto urbano, questo tipo di situazione urbanistica si presenta in molte città in diversi contesti: avrebbe potuto essere in una qualsiasi città del nord Europa. Avevamo quindi il paradosso di un’area anonima in una città estremamente connotata da tutti i punti di vista come Salerno. Interpretato a grandi linee il contesto urbano ho iniziato a riflettere sul tema di progetto chiedendomi: da dove potrei iniziare per immaginare un nuovo Palazzo di Giustizia? E sono andato alla ricerca di idee che riguardano da un lato il tema di progetto e dall’altro il luogo specifico. Nel periodo del concorso [1994, ai
tempi di mani pulite ndr] il tema dell’amministrazione della giustizia era particolarmente sentito in Italia. Con i suoi settanta mila metri quadrati di superficie il brief di progetto prevedeva la realizzazione dell’edificio più grande della città collocato per di più in posizione molto visibile. Per questo ho pensato che questo edificio doveva essere vissuto come un luogo pubblico e non come una macchina tecnico-amministrativa. Volevo mettere in discussione l’aspetto intimidatorio e il senso di autorità che inducono solitamente questi edifici. La questione principale era rendere il più umano possibile un così grande complesso di burocrazia, attraverso alcuni princìpi che riguardano la rappresentazione dell’edificio, il suo impatto visivo, e il suo impianto distributivo in relazione a un lotto particolarmente difficile a causa del suo sviluppo lineare. Per questo ho pensato di creare una sequenza di volumi articolati collegati tra loro non dai soliti corridoi, ma da una serie di spazi porticati, sfruttando il clima mite della città, e dotarli di giardini, disegnati dal belga Peter Wirtz e ispirati al celebre chiostro di Santa Chiara. Questo ragionamento porta una caratterizzazione all’interno di un luogo relativamente anonimo e lo lega al suo contesto, perché questa sequenza di cortili all’aperto non è pensabile a Londra, in Germania e forse nemmeno a Milano. Un altro elemento di relazione col contesto è la scelta dei colori e dei materiali. Nel caso di Salerno abbiamo scelto tonalità di giallo, rosso e marrone per il cemento pigmentato dei pannelli prefabbricati della facciata. La pigmentazione si ottiene mescolando al calcestruzzo frammenti di terracotta di diversi colori, materiale di riciclo a basso costo. Il porticato e le pavimentazioni sono in cemento pigmentato nero, con riferimento alle eleganti pavimentazioni tradizionali in pietra basaltina che troviamo spesso nelle città della Campania. • Il vostro studio lavora in tutto il mondo e molti progetti importanti sono proprio in Italia: oltre al Palazzo di Giustizia di Salerno sono avviati i lavori per l’ampliamento del cimitero di San Michele a Venezia ed è in stato avanzato la progettazione di due importanti complessi museali a Milano e Verona. Quali sono secondo la sua esperienza le maggiori difficoltà che un architetto deve affrontare nel nostro contesto? • Anche in questo caso preferisco rispondere con l’esempio di Salerno, dove stiamo avendo tante soddisfazioni, ma a prezzo di una lotta durissima. La procedura d’appalto ha portato a conferire l’incarico con uno sconto del 31% sulla stima dei costi richiamata nel bando di concorso. La stima risale al 1992, il che significa avere a disposizione un budget praticamente dimezzato. Questa situazione va a danno dell’impresa di costruzione oltre che degli architetti e costituisce un enorme handicap che ha reso molto difficile
l’avvio del cantiere, che di solito è tra le fasi più semplici di un progetto. Un altro ostacolo che abbiamo trovato sulla nostra strada è quello dei ricorsi giudiziari. Per ben due volte uno dei raggruppamenti concorrenti ci ha accusato di non aver rispettato il bando chiedendo che fossimo squalificati. Questo è assurdo dopo che la legge prevede molti strumenti per garantire la trasparenza dell’aggiudicazione e la giuria ha preso la sua decisione. Infatti, i due ricorsi si sono rivelati immotivati, ma abbiamo dovuto comunque sostenere cinquanta mila euro di spese legali oltre alla perdita di tempo. Il sistema dei ricorsi che bloccano i cantieri è un serio ostacolo alla realizzazione di progetti in Italia. Spesso pensiamo che sarebbe meglio adattare un progetto in base a una diversa interpretazione delle esigenze di un committente o alle caratteristiche di un luogo introducendo delle modifiche, ma alla fine preferiamo non farlo per paura dei ricorsi e questo va a danno dell’architettura. Del resto è risaputo che la maggior parte di questi ricorsi sono solo un espediente per ottenere somme di denaro col ricatto del blocco dei lavori. Se in Italia non fosse così facile fare ricorsi sarebbe forse un paese del tutto diverso. Gli architetti dovrebbero dare l’esempio in questo senso e smetterla per primi di fare ricorsi contro colleghi. • Che misure avete adottato per andare avanti nel cantiere nonostante i tagli al budget? • Abbiamo cercato di sfruttare i fattori a nostro favore, primo fra tutti la serietà dell’impresa, la Romagnoli, che ha dimostrato di avere interesse a realizzare il progetto nel migliore dei modi. Inoltre, potevamo contare sul supporto della città di Salerno della sua pubblica amministrazione che per capacità ed efficienza non ha niente da invidiare a quelle del nord dell’Italia. A livello architettonico abbiamo basato il progetto su poche qualità fondamentali che non potevano essere compromesse in fase di progettazione esecutiva dalle riduzioni del budget. Per questo ci siamo affidati ad un elemento costruttivo, il pannello prefabbricato in cemento armato che si ripete su tutta la facciata, studiandolo in ogni suo dettaglio per una resa ottimale anche in economia. Le dimensioni e la solidità di questo elemento danno una qualità tettonica e scultorea all’edificio, oltre ad una grande inerzia termica che facilità l’impiego della ventilazione naturale per lunghi periodi dell’anno. Il problema principale dei pannelli prefabbricati sono i giunti, che siamo riusciti a nascondere ponendo i grandi serramenti tra un pannello e l’altro sul filo interno in modo da tenerli all’ombra nei periodi di maggior soleggiamento e sottolineare lo spessore della facciata. Questi pannelli hanno una qualità plastica molto forte, un aspetto arcaico, sono veramente belli e rispecchiano fedelmente la logica costruttiva dell’edificio. Messa al sicuro la realizzazione
dei pannelli l’edificio potrà sopportare eventuali carenze e imperfezioni dovute ai tagli di spesa. In ogni caso Franco Purini ha detto che le mie architetture saranno delle bellissime rovine, e questo lo ritengo un gran complimento. • I problemi legati al sistema degli appalti sono il sintomo dello scarso interesse della politica italiana per la qualità dell’architettura. Quali sono secondo lei gli strumenti per riportare la qualità dell’architettura al centro del dibattito politico e culturale? • Il migliore argomento a favore dell’architettura è la buona architettura. Serve l’evidenza dei fatti, il buon esempio da seguire anche per promuovere le nuove generazioni che si trovano di fronte una situazione molto difficile. In particolare in Italia bisogna dare alle giovani generazioni la possibilità di progettare e mettersi concretamente alla prova sul terreno dell’architettura.
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Argomenti
Conversazioni
A cura di Roberto Gamba
Bergamo: premio di architettura Città dei mille
Concorsi
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Il concorso era rivolto agli architetti iscritti agli Ordini della Lombardia, che non avevano compiuto quaranta anni al 30 giugno 2003. Si chiedevano idee e proposte progettuali per ridefinire l’architettura di otto ambiti microurbanistici, individuati a Bergamo Alta, lungo un “ Percorso delle Architetture e dei Servizi” . Questo potrebbe rivitalizzare il versante nord di Città Alta, dotando la città di nuove strutture con il duplice obiettivo di rigenerarne il tessuto urbano e di amplificarne le potenzialità. I concorrenti erano liberi di formulare le loro ipotesi prescindendo dalle norme di legge tecniche di attuazione e di regolamento edilizio vigenti, senza limiti dimensionali volumetrici, di altezza, di superficie coperta o di qualsiasi altro tipo. Potevano inoltre reinterpretare e arricchire i temi, secondo la loro personale visione della città e secondo quello ritenuto liberamente essere una corretta metodologia di inserimento di nuove architetture in un contesto storico come quello di Città Alta. Era richiesta una tavola formato A0 con approfondimenti con piante, sezioni, prospetti, viste, schizzi, inserimento prospettico dell’intervento (rendering) sulla base fotografica fornita dal bando; inoltre la relazione. Come obiettivo di accessibilità è stato assunto quello di favorire la connessione più immediata possibile tra la rete delle autostrade e
strade urbane a scorrimento veloce con l’area monumentale pedonalizzata di Città Alta. Nel quadro di queste indicazioni generali il bando ipotizzava che l’accessibilità al nucleo storico avvenisse da nord, attraverso una bretella di congiunzione alla circonvallazione Fabriciano, sottopassando l’asse stradale di via Baioni e dalla circonvallazione al costituendo sistema A4-Brebemi-Pedemontana, della rete autostradale regionale e nazionale. Nei terrapieni alla base dei bastioni settentrionali in corrispondenza dell’approdo della “ bretella” si ipotizzava la localizzazione di un forte nucleo di stazionamento per autoveicoli, collegato alla quota pedonale superiore attraverso delle risalite meccanizzate che affiorino dal sottosuolo direttamente nel mezzo del tessuto urbano della città storica. La giuria era composta da Tobia Scarpa, presidente; da Pierluigi Buzzanca, Domenico Bosatelli, Barbara Asperti, Giorgio Cavagnis, Joseph di Pasquale, Narno Poli; supplenti Achille Bonardi, Dario Mangiò. Per ogni ambito, è stato proclamato un vincitore (premi di 2.500 euro) e, tra tutti quelli presentati, sono stati segnalati dieci progetti. Una mostra è stata allestita in febbraio nell’ex Teatro Sociale in Città Alta. Di seguito sono illustrati gli ambiti individuati, i temi progettuali e relativi progetti premiati.
1. IL PERCORSO DEI PORTICI L’itinerario da S. Agostino attraverso via di Porta Dipinta collega tutti gli interventi fino a Piazza Mascheroni. Nei due punti terminali sono previste due risalite meccanizzate provenienti dai parcheggi. Il progetto consiste da un lato nel caratterizzare dal punto di vista dell’arredo urbano il percorso (pavimentazione, materiali, sedute) e dall’altro nella progettazione di veri e propri manufatti (portici) che caratterizzino il percorso e dove indicato risolvano alcuni episodi urbani (facciata e spazio adiacente alla Chiesa di Sant’Andrea).
lontà di conglobare ed integrare in un progetto unitario elementi d’innovazione ed elementi storicotradizionali. Ad unificare e conferire unità, pur nell’eterogeneità, è previsto un inserto di pavimentazione che guidi, come indicatore di direzione, il visitatore lungo il percorso. È come una fascia larga circa cm125 in lastre di porfido di dimensioni crescenti dal centro verso l’esterno; corre lungo tutto il percorso a raso costeggiando ora l’uno ora l’altro lato della strada, a seconda dei punti e delle direzioni d’interesse. Il fulcro dell’inserto è rappresentato da una fila centrale di cubetti di marmo bianco di Carrara, intesa idealmente come linea-guida generatrice del tracciato. In corrispondenza dei portici la linea mediana si trasforma in “ guida di luce” con effetto scenografico, grazie all’inserimento nello spessore predisposto per il cubetto di marmo di Carrara di un sistema di illuminazione a fibre ottiche. Il portico è studiato come quinta architettonica con lo scopo di configurarsi come elemento di “ ricucitura urbana” , ricostituendo la
Progetto vincitore Maria Cristina Brembilla (Bergamo), Elena Cassia La planimetria del percorso proposta individua le “ infrastrutture leggere” per il collegamento con la città bassa esistenti (funicolare) e di ipotetica realizzazione (risalite meccanizzate), l’ubicazione dei nuovi episodi progettuali previsti dal bando e i siti d’interesse storico pre-esistenti per indicare la vo-
cortina edificata laddove il percorso si sfrangia perdendo unitarietà e direzione. Lo sviluppo di tale elemento è modulare per garantire l’adattabilità alle più svariate possibilità di ubicazione, moltiplicando il modulo o limitandolo ad una sola campata. L’andamento planimetrico è volutamente mosso (a scalare) per sottolineare la novità rispetto all’impianto consolidato dal percorso più fluido, contrapponendosi alla cortina continua delle strutture storiche. Il portico proposto rielabora, in-
fatti, il tema dei portali degli edifici che si rincorrono lungo le strade della città antica e il tema civico delle logge come luogo di incontro e di passeggio. Il ricorso ad elementi morfologici della tradizione (es. arco a tutto sesto, lesene) è motivato dalla volontà di un’integrazione formale con il “ linguaggio storicizzato delle architetture esistenti” . Tali elementi sono reinterpretati in chiave moderna grazie all’uso di materiali contemporanei e alla stilizzazione delle forme decorative (es. capitelli, lesene).
Progetto vincitore Samanta Cantini (Alzano Lombardo), Fulvia Giorgioni, Ilaria Gurian, Rossana Rovelli, Federica Sala Il progetto di un parco simbolo del ciclo della vita è nato dall’esigenza di creare un percorso che non fosse mero luogo di passaggio, ma luogo di sosta e di esperienze sensoriali differenziate a seconda delle età cui le varie zone tematiche sono dedicate. Il polo civico, segno netto e geometrico costituito da biblioteca, asilo nido e ludoteca, è stato quindi posizionato nella “ conca” , dove il terreno è prevalentemente pianeggiante. Sul versante laterale della collina il “ percorso della vita” attraversa il nuovo parco seguendo l’andamento delle curve di livello e mantenendo buona parte dei terrazzamenti attualmente presenti. Tra i due elementi, quale solido legame tra parco, Città Bassa e Città
Alta si pone la risalita meccanizzata, che recide seccamente la collina e vi si insinua fino a sbucare in piazza Mascheroni. Le scale mobili e gli ascensori, sono inseriti in alte pareti di pietra che si incuneano nel terreno e ripropongono, nella loro “ monoliticità” , il tema delle mura, elemento distintivo della città di Bergamo. L’accesso al nuovo parco avviene da Porta S. Lorenzo, dalla quale una piazza di ampio respiro conduce da un lato all’asilo nido e al percorso pedonale e dall’altro alla biblioteca e alla risalita meccanizzata. Sulla piazza d’ingresso si affacciano gli edifici dell’asilo nido e della ludoteca, da un lato, e della biblioteca dall’altro. Accanto all’asilo si pone il corpo della ludoteca, un piccolo cubo di legno e vetro dedicato sia ai bambini sia agli adulti. La biblioteca è un edificio dalla forma sinuosa, che si incastra nella collina diventando parte di essa. Il percorso pedonale è elemento di passaggio e di collegamento tra episodi legati alle diverse età dell’uomo, che inducono alla sosta suscitando suggestione, curiosità, divertimento. Sono state individuate quattro fasce di età: dalla prima infanzia all’età della scuola, all’adolescenza, alla maturità. A ognuna di esse è stato dedicato un giardino. Il primo è segnalato da un tunnel di verde, buio e stretto, con presenza di acqua, di giochi colorati, di un grande faggio. Proseguendo il percorso si raggiunge il “ giardino elementare” , una serie di terrazzamenti, realizzati tramite grandi vasche di terra rivestite in corten che contengono essenze officinali e aromatiche autoctone,
quali salvia, rosmarino, melissa, valeriana, fragole, more, mirtilli, ecc. Successivamente si attraversa il “ giardino tocca-sensi” che si rivolge specificamente agli adolescenti. Il “ parco della vita” si conclude nel “ giardino alle mura” , rivolto prevalentemente all’età della maturità. Questo tratto del percorso abbraccia l’edificio storico della polveriera, trasformata in una “ camera oscura” sede di allestimenti e proiezioni temporanei.
Quale elemento di chiusura del parco si pone un anfiteatro all’aperto, in cui hanno luogo eventi teatrali, musicali e culturali. I gradoni prendono forma dalla stessa morfologia del terreno e sono realizzati con lastre di pietra semplicemente appoggiati sul prato. L’accesso è garantito, oltre che dal percorso del parco, anche da due pontili-belvedere che lo collegano direttamente a Città Alta.
3. PIAZZA DELLA ROCCA Era prevista la progettazione dell’edificio di fronte all’ingresso della Rocca a completamento della cortina urbana sulla relativa piazzetta contenente ai piani maggiormente accessibili dal pubblico degli spazi commerciali (bookshop/bar ristorante), mentre ai piani superiori degli spazi destinati ad uffici amministrativi del museo/archivi.
golare e compatto rivestito di pietra naturale, mentre al primo piano, l’ordine rustico della pietra viene sostituito da quello più astratto dell’intonaco. A questo livello una loggia panoramica taglia il volume dell’edificio e diviene elemento determinante del prospetto sulla piazza. Al piano terra l’edificio contiene un bar direttamente accessibile dalla piazza e l’atrio di ingresso alla quota superiore della sala conferenze: percorso un ballatoio rettilneo si arriva alla platea (circa 160 posti) che scende fino alla quota del piano seminterrato (-3,40 m). A questo livello, oltre alla parte bassa della sala e ai locali tecnici e di servizio, si trovano un bookshop e gli ambienti per le esposizioni temporanee. L’edificio si chiude in copertura con la loggia e con un teatro all’aperto per piccole manifestazioni. Il progetto prevede un secondo edificio a fruizione più privata, che si configura come un volume in linea intonacato in accordo con i colori dell’edilizia circostante; completa la cortina edilizia (via alla Rocca) e risolve il salto di quota tra questa e il corpo basso della sala conferenze. I due nuovi edifici sono comunicanti esclusivamente al primo livello (+5,00 m) lungo la loggia panoramica, mentre a piano terra uno scalone strombato collega la piazza al piano più basso della sala conferenze. Il progetto si completa con un belvedere sistemato a prato e sviluppato su tre piani inclinati nei quali riposizionare opportunamente le alberature esistenti. Un percorso all’aperto (addossato al muro basso esistente), muovendo dalla piazza per tornare ad essa, borda il belvedere, collega, interseca e avvolge tutte le parti del progetto e ne definisce il margine a sud.
Progetto vincitore Gianluca Sortino (Romano di Lombardia) Il progetto per la nuova piazza della Rocca mira alla costruzione dello spazio affinché lo si possa contemplare, mediante la definizione di un percorso che diviene occasione di un’esperienza visiva e offre punti di vista privilegiati sull’intorno: la città della storia – Città Alta – e la città contemporanea. Il nuovo edificio piega e altera il suo perimetro ricalcando le giaciture e i confini degli isolati e dei recinti esistenti. Ad enfatizzare tale rapporto, il progetto prevede di inserire nella pavimentazione attuale delle strisce di lastre di pietra che, come delle fratture, introducono un ritmo, segnano ed elencano le misure del piano pavimentato e lo suddividono in isole poligonali. Il margine nord della piazza è il massiccio basamento alto circa 5 metri sul quale appoggiano e si costruiscono gli edifici della Rocca e il Parco delle Rimembranze. Il nuovo edificio ripropone, in modo più celato, la medesima contrapposizione tra ciò che sta sotto e ciò che sta sopra, assumendo come determinante per la sua sezione trasversale proprio la quota del Parco. Fino all’altezza di 5 metri, infatti, l’edificio è un volume irre-
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2. PARCO DEI M ILLE Vi era prevista la progettazione di un parco definendone le zone arborate, i tracciati pedonali/ciclabili; l’integrazione di questo con un piccolo nucleo civico in prossimità di porta Garibaldi: un asilo nido, una piccola biblioteca per bambini, una ludoteca, una certa quota di servizi igienici e di chioschi con funzioni varie; infine una ipotesi per la localizzazione di una risalita dai parcheggi che congiunga Porta Garibaldi con piazza Mascheroni. Era possibile, inoltre, proporre idee per l’arredo urbano con soluzioni integrate e coordinate per gettacarte, illuminazione pavimentale, sedute, dissuasori.
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4. BIBLIOTECA DI VIA AQUILA NERA Si chiedeva il completamento della cortina edilizia risolvendo architettonicamente la facciata cieca dell’edificio su via Aquila Nera; l’ampliamento della biblioteca sopra i reperti archeologici con un nuovo ingresso e spazi previsti per la consultazione a scaffale chiuso, prevalentemente rivolta a ricercatori e specialisti; la sistemazione dello slargo su via San Lorenzo. Progetto vincitore Jacopo Veronelli (Milano); collaboratori Alessandra Bortolozzo e Federico Favero Il lavoro parte dalla fisicità del luogo, dal suo essere un digradare di volumi, un aprirsi continuo di prospettive verso le colline attorno alla città. Caratterizzante il sito è la plasticità degli elementi che lo delimitano: masse piene, volumi importanti, la pietra, il cotto, gli intonaci, colori caldi. Sono state creati dei segmenti, che costituiscono dei portali, delle cornici in grado di proporre nuovi
scorci della città, percorsi che aprono nuovi punti di osservazione. Queste strutture, pensate come travi reticolari in acciaio assemblate in opera e rivestite con lamiera di alluminio microforata, coprono gli spazi dell’ampliamento e collegano il cortile del Palazzo (± 0,00 m) alla piazza del Mercato del Fieno (-7,30 m). Il progetto prevede l’impiego di materiali quali l’acciaio e l’alluminio per le travature, mentre per la struttura dei volumi chiusi si è ipotizzato l’impiego di tradizionali scheletri con pilastri in c.a. e solai in latero-cemento, debitamente rinforzati in corrispondenza dell’appoggio dei due portali che sorreggono il percorso aereo pedonale. I tamponamenti leggeri sono costituiti da facciate continue in vetro con montanti in alluminio, che risvoltano anche in orizzontale divenendo copertura in corrispondenza del vano scale ed all’accesso al piano della sala di consultazione. I tamponamenti opachi sono invece ipotizzati in blocchi di calcestruzzo intonacato per i due corpi minori così come per il lungo muro che racchiude il corpo biblioteca verso via Aquila Nera.
5. RESIDENZE IN VIA TASSIS Abitare a Bergamo Alta. È stato proposto il tema della residenza contemporanea all’interno di un contesto storico. Tre episodi tra loro collegati su via Tassis affrontano il tema del completamento di lotti irrisolti con nuove volumetrie a funzione residenziale che ipotizzino diverse soluzioni legate ad una possibile utenza presente in città alta (ad es: edifici monofamiliari, alloggi per studenti, ecc.) e consentano di individuare degli spazi per la sosta degli autoveicoli privati all’interno della proprietà. Progetto vincitore Stefano Berlendis (Bergamo), Ermes Invernizzi, Michele Locatelli e Fulvio Papponetti I tre episodi di completamento della cortina edilizia di via Tassis si inseriscono in un tessuto urbano dove la trama è serrata, le case pressate, le strade intime, il campo di visione limitato. Gli edifici che si presentano, diversificati ma omogenei, hanno la loro naturale continuità nelle strade. Gli obiettivi comuni dei tre progetti di completamento della cortina edilizia in via Tassis possono essere sintetizzati nei seguenti punti: – realizzare uno stretto legame tra edificio e lo spazio di relazione privilegiato rappresentato dalla strada. In tal senso si è cercato di reinterpretare il tema delle corti urbane che caratterizzano anche via Tassis; – proporre modelli di residenze aventi caratteri dimensionali e tipologici adatti a stili di vita contemporanea e funzionali alle specificità delle diverse utenze; – attuare il maggior numero possibile di sinergie con la trama dei percorsi urbani e con l’edificato limitrofo.
Il primo intervento è una “ corte” leggermente rialzata, che si pone in continuità con la strada adiacente, caratterizzata dalla presenza di un chiosco affacciato sulla via. All’interno della piastra semi interrata – evidenziata dal rivestimento in pietra – viene collocata l’autorimessa. I piani superiori ospitano sei appartamenti pensati affinché la loro varietà dimensionale possa offrire una composizione eterogenea di utenza: bilocale, monolocale, appartamento per famiglie, il duplex per giovani coppie. Le facciate vengono trattate in modo da permettere una lettura monolitica dell’oggetto architettonico, mentre la tensione dell’inserimento nell’area dell’edificio viene sottolineata dal vuoto lasciato tra il nuovo e l’esistente. Il secondo intervento è una residenza protetta per categorie socialmente deboli. Si tratta di cinque bilocali che ospitano temporaneamente utenze in difficoltà e di un appartamento per il personale di assistenza. Il giardino costituisce lo spazio semi privato da cui si può accedere agli ingressi degli edifici esistenti e al corpo scale condominiale del nuovo edificio. Come nell’intervento precedente, gli alloggi quando possono aprono la vista verso il colle della Maresana. Il terzo intervento è una residenza per studenti. L’edificio si colloca di testa rispetto la cortina edilizia distaccandosene e contemporaneamente costituendone la conclusione del fronte sul colle panoramico. Il progetto prevede la realizzazione di 15 camere per studenti, i servizi per gli utenti della struttura, dei locali aperti ai visitatori. Il progetto prevede l’estensione di via Tassis fino al nuovo belvedere, rendendo il giardino attualmente chiuso e non fruibile parte integrante della via stessa.
6. CONVENTO DI SAN FRANCESCO Dalla soluzione dell’affaccio su piazza Mercato del Fieno al completamento dei volumi mancanti. Si prevedeva di ripensare l’intero complesso conventuale immaginandone una destinazione museale, congressuale, espositiva; riorganizzare in tutta l’area compresa tra il convento e l’edificio ad est, uno spazio attrezzato coperto polifunzionale la cui con-
figurazione interna sia facilmente modificabile consentendo di accogliere indifferentemente: incontri, meeting, conferenze (fino a 400 persone), banchetti, spett acoli, most re, esposizioni ed eventi. Progetto vincitore Mario Redaelli e Alberto Soci (Bergamo), in collaborazione con Marcella Capobianco
zialmente a cielo aperto e parzialmente coperta e la sala polifunzionale che sfrutta le parti della chiesa che non sono state demolite, destinando la zona dell’abside a palco per i vari eventi che avranno luogo in questo grande ambiente. I due interventi sono separati da una grande parete vetrata, che pur garantendo l’isolamento acustico, concede continuità visiva all’intero spazio occupato un tempo dalle navate della chiesa. All’interno della sala polifunzionale sono stati collocati dei pannelli in rovere, agganciati alle nuove strutture, che permettono di ottimizzare la risoluzione acustica in caso di concerti o rappresentazioni teatrali. Le sedute presenti nella sala non sono fisse, in maniera tale da permetterne un assetto variabile a seconda delle esigenze. Al di sopra della sala polifunzionale e della galleria delle arti di strada è stato collocato il museo per le esposizioni temporanee, contraddistinto da un unico elemento ordinatore, su cui si innestano tutta una serie di corpi che sono le vere e proprie sale espositive. La realizzazione di una torre a completamento di un museo ha una valenza del tutto nuova ed inusuale, costituisce il “ faro” , il punto di riferimento della cultura nella città di Bergamo. Lo scheletro d’acciaio costituisce la linea guida e funge da struttura portante per la costruzione della nuova torre.
7. PIAZZA M ASCHERONI Il tema prevede il completamento della parte nord della piazza: il ripristino della consistenza volumetrica degli edifici a cortina mancanti attraverso la costruzione di un albergo sull’angolo tra Piazza
Mascheroni e via Vagine e di un piccolo nucleo del comando circondariale dei Carabinieri lungo via Vagine; l’inserimento dell’approdo della risalita meccanizzata da porta Garibaldi.
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L’intenzione progettuale è stata quella di trasformare l’ex Convento di San Francesco in un nuovo “ Polo della cultura” . L’edificio storico del Convento diviene contemporaneamente contenitore e contenuto grazie alla realizzazione di una grande copertura in vetro e acciaio che, cingendo il Chiostro delle Arche, ricrea e ripensa lo spazio esistente, trasformandolo profondamente nel suo essere, da luogo all’aperto e di passaggio ad area al chiuso e dello stare. Il cortile del Convento diviene il cuore della nuova fabbrica, risulta essere il foyer attraverso il quale è possibile accedere alle diverse aree del museo, alle sue varie sale e gallerie, ma dal quale, nel contempo, è possibile osservare da una posizione privilegiata sia il Chiostro delle Arche che parte del nuovo intervento e potrà essere così utilizzato anche come grande sala polifunzionale. Dal foyer si ha, inoltre, accesso all’area un tempo occupata dalla chiesa del Convento. È stato ristabilito l’ordine delle tre navate, restituendo la sensazione di unitarietà spaziale che si aveva nel passato. Questo è stato possibile attraverso il posizionamento, nel punto ove un tempo erano situate le colonne della chiesa demolita nel 1821, dei pilastri di sostegno delle aree espositive sovrastanti. Nel nuovo spazio creato sono stati eseguiti due interventi distinti: la galleria delle arti di strada, par-
Progetto vincitore Maurizio Di Lauro (Muggiò), in collaborazione con Prisco Ferrara ed Alessandro Zufferli
Sarpi ha voluto riproporre come lezione grammaticale. Per una lettura uniforme del prospetto è sembrato sufficiente arretrare di 1,5 m (basamento della colonna soprastante) il grande portale d’ingresso proposto nel perimetro della zoccolatura; quindi attraverso l’uso di bande frangisole in acciaio e porte d’ingresso in vetro alternato a fasce di legno, è stato riconfermato l’attuale andamento orizzontale del bugnato dell’edificio.
I materiali usati per la pavimentazione – bande di listelli di porfido alternati da fasce di pietra grigio chiaro (la rampa sopra) e quadrotti irregolari di pietra grigio scuro (la piazza sotto) – e la loro disposizione geometrica riescono ad arricchire e far leggere il segno voluto. La dimensione dell’area di gioco è di 12 x 24 m, adatto alla pratica del gioco della pallavolo e pallacanestro in ambito scolastico; ed è in grado di ospitare circa 40 atleti.
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La nuova struttura ricettiva definisce un nuovo rapporto con il suolo, rispetto alla conformazione della città alta caratterizzata da edifici chiusi verso il fronte strada in grado di evidenziare dei margini chiari fra lo spazio di uso pubblico e quello privato. Dovendo necessariamente rispettare i resti archeologici, il complesso alberghiero si posa al suolo solamente nelle aree interstiziali non occupate dai ruderi e dovendo definire il fronte edilizio, nelle restanti parti il volume si libra da terra rispondendo alla duplice necessità di ricucitura urbana e di messa a registro della volumetria della piazza attualmente indeterminata.
L’hotel sarà la più grande struttura ricettiva della Città Alta. L’ingresso pubblico al complesso avviene da piazza Mascheroni, in quanto è previsto l’approdo in piazza delle risalite meccanizzate provenienti da Porta Garibaldi, mentre da via Vagine è possibile accedere agli uffici amministrativi ed alla cucina del ristorante. L’hotel è articolato su cinque livelli per un numero complessivo di 39 camere di cui 3 singole e 4 suite. La struttura è composta da paretitravi in acciaio autoportanti rivestite da lastre di acciaio corten che per la sua consistenza materica ben si sposa con le pietre della città storica. Piazza Mascheroni è stata confermata nella sua attuale configurazione come suggerito dal bando visto i recenti lavori di sistemazione dell’area.
Progetti segnalati 2. Parco dei Mille: Dario Baratteri (Bergamo) 3. Piazza della Rocca: Elena Novetti (Bergamo) e Simona Trapletti; Barbara Ventura (Bergamo); Vanessa Bestetti (Bergamo), Sara Angela Lucia Conti, Paolo Longoni e Paolo Macchioni 8. LA PALESTRA DEL LICEO SARPI Tema è la progettazione di un nuovo edificio a funzione sportiva a completamento della struttura scolastica esistente. Gli spazi per la nuova funzione potranno essere individuati intervenendo all’interno dell’edificio sotto la quota del cortile interno, nella parte del basamento delimitato dalla semicorte. Progetto vincitore Susanna Servalli (Bergamo) in collaborazione con Francesca Mocchi La palestra proposta non si mostra, ma si abbassa di 1,26 m sotto
la quota del piano interrato e si arretra rispetto la palestra esistente fino ad incontrare le fondazioni delle quattro colonne corinzie del portico che danno sulla corte del Liceo. Questo arretramento permette di ricavare un comodo spazio d’ingresso alla palestra dalla stradina esistente, per un uso di questa anche in orari extra scolastici come richiesto dal bando. La decisione di rimanere entro i limiti del prospetto attuale è derivata inoltre dal voler rispettare la tipica disposizione a “ C” sia in pianta che in prospetto dei palazzi storici di Città Alta e che il Liceo
4. Biblioteca di via Aquila Nera: Angelo Carra (Lecco), Paolo Angelo Omassi, Emanuel Portauova, in collaborazione con Maurizio Davoli 5. Residenze in via Tassis: Sandro Mariano Biazzi Alcantara (Cremona), Stefania Manni e Paolo Pinardi, collaboratore Alessandra Azzali 6. Convento di San Francesco: Paolo Cassotti (Bergamo), Efrem Giuseppe Cortinovis, in collaborazione con Elisabeth Paganelli 7. Piazza Mascheroni: Luca Battaglia (Milano), Ulisse Gnesda, Raffaele Papadia, Mauro Prini; Federico Tranfa (Milano), Alessandra Dall’Oli, Laura Pasquini, Juan Carlos Viso Ruiz 8. La palestra del liceo Sarpi: Valeria Maffioletti (Bergamo)
Il concorso aveva per oggetto la riqualificazione della parte centrale della città, dal mantenimento della funzione storico-culturale alla prospettiva di immaginare un “ nuovo paese” . In particolare le proposte progettuali dovevano fornire soluzioni per lo spazio antistante e di accesso all’edificio ex-Filanda, per la piazza della Libertà e per le vie del centro storico, con indicazioni distributive, tecniche e architettoniche. La riqualificazione di quegli spazi deve riconfermare il ruolo storico della piazza, inteso come luogo di cultura, di aggregazione e di commercio, nel rispetto delle preesistenze storiche che da sempre caratterizzano il centro cittadino (l’edificio ex-Filanda, il Palazzo Municipale, la Chiesa Parrocchiale e la testa del fontanile Giardino). Quindi dovevano essere considerati anche gli elementi naturali esistenti (il fontanile e il parco) al fine di realizzare un’armonica integrazione.
Inoltre, gli aspetti funzionali della proposta progettuale dovevano affrontare le problematiche della riqualificazione e se necessario la rilocalizzazione, sempre nell’area della piazza, del mercato settimanale; individuare soluzioni viabilistiche che consentissero la realizzazione nel centro storico di una zona a traffico limitato, garantendo comunque la transitabilità dei mezzi pubblici, linee autobus, mezzi di soccorso e dei residenti; individuare soluzioni realizzabili per la sosta e il parcheggio delle autovetture (in particolare un parcheggio sotterraneo, per 160 posti auto); sistemare ed eventualmente rilocalizzare gli elementi già preesistenti sulla piazza: monumenti, edicola; mantenere o integrare il piano luce attualmente in corso di realizzazione; mantenere l’area di più recente intervento progettuale. La giuria era composta da Pierluigi Bulgheroni, Fabio De Castiglioni, Ottavio Di Blasi, Riccardo Gavardi e Marco Pausini.
1° classificato Giorgio Santagostino (Milano), con Jacopo Pellegrini, Teresa Figueiredo Marques, Alessandro Gasparini
lità degli spazi centrali pedonali. Nella Piazza della Libertà la circolazione veicolare è stata semplificata e ridotta all’uso per i residenti, lungo il lato nord, permettendo una unificazione dello spazio e della pavimentazione della piazza. I filari di alberi determinano tre spazi distinti anche se tra di loro collegati: lo spazio antistante la chiesa a ovest, lo spazio antistante la sede del Comune e l’area a est. La piazza esistente davanti alla filanda è ripensata in continuità con la piazza della Libertà, creando una piantata di alberi che inquadra gli edifici della filanda ristrutturata e conduce al cuore del parco, ossia al fontanile, spazio unico per Cornaredo e non solo. Questa piazza è pensata per manifestazioni pubbliche, oltre che per il mercato settimanale. Il fontanile diviene parte centrale ed elemento unificatore dei diversi spazi aperti del parco. Il parco viene letto come un’unità in cui i diversi disegni derivano da usi differenti. Si sono distinti tre ambiti di differente scala: il giardino del fontanile, il giardino for-
Il progetto relaziona in modo nuovo le preesistenze storiche: la piazza, la biblioteca, il fontanile e i due ambiti a verde già attrezzati. Gli elementi principali della proposta sono stati: la centralità data alla testa del Fontanile, che diventa stanza e porta d’accesso dal parco al centro della città, uno spazio contemplativo; la riunione dei due diversi giardini, divisi dal primo tratto del corso del fontanile, mediante riqualificazione del bosco ripariale, e la presenza di nuovi ponti pedonali; la piantata di alberi che lega il fontanile alla fontana, proposta nella piazza della Libertà e che costruisce un continuo dalla nuova biblioteca affacciata sul parco, alla sede del Comune; dal centro verde, alla via San Martino; il sottopasso (accesso anche al parcheggio sotterraneo) che risolve il conflitto tra accessibilità e mobilità carrabile, con la continuità della qua-
male e quello informale. Il giardino del fontanile è caratterizzato da una radura in declivio verso lo specchio d’acqua, circondato da siepi che determinano un’en-
clave. Il giardino formale viene arricchito da campi di gioco, potenziando così la presenza dei giochi per bambini di recente realizzazione.
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Riqualificazione di piazza della Libertà ed aree limitrofe a Cornaredo (Mi)
2° classificato Lucio Speca (Corbetta), con Maria Mimmo, Luca Spineto, Federico Tripodi La scelta che ha guidato e fondato il progetto è stata quella di ricompattare tutti gli elementi, così eterogenei, dello spazio pubblico (la chiesa, il palazzo municipale, i negozi, il verde, i monumenti, ecc.) impiegando un unico elemento che, forte e leggero al tempo stesso, consentisse una visione unitaria della piazza. Il disegno della griglia organizza e distribuisce gli elementi già esistenti e quelli di nuovo impianto previsti dal progetto e ricostituisce il rapporto tra spazio edificato e spazio libero. Una maglia ortogonale in pietra individua un sistema modulare che si estende dalla piazza al parco, diradandosi man mano che lo spazio si fa meno denso e costruito, restituendo un significato specifico ad ogni per-
sonaggio che lo abita (i monumenti, le chiese con il sagrato, il municipio e il suo ingresso, i negozi, gli alberi, gli arredi) e stabilendo gerarchie formali e d’uso tra essi. Essa costituisce anche la ricucitura concreta, oltre che teorica, tra le due parti della piazza ora separate dalla strada carrabile. Le due sponde del fontanile vengono rimodellate, riorganizzando il dislivello tra piazza e fondo del fontanile, tanto da consentire la percorribilità e la sosta almeno sulla sponda ovest dove le gradonate contengono, nello spessore delle alzate, alcuni punti luce che fanno dell’ovale una lanterna visibile di sera e nelle ore più buie dell’inverno. Sul lato opposto le gradonate sono più fitte e modellate con siepi arboree sagomate opportunamente. Lungo l’asse longitudinale della piazza è stata pure collocata una nuova fontana, in posizione più
equilibrata rispetto a quella esistente, realizzata con una doppia vasca in pietra con zampilli a raso del pelo d’acqua.
Il bordo della vasca è alto 60 centimetri in modo da poter toccare l’acqua con le mani, gioco irrinunciabile per chiunque.
3° classificato Antonio Lazzaretto (Milano), con Paolo Capponi, Luisa Santin, Marco Barin, Vincenzo Curti, Elena Maggi
ecclesia e civitas, con la compresenza delle due chiese, del municipio e dei monumenti civili e religiosi. La grande “ aia” quadrata proposta in asse all’edificio della ex Filanda, ricco delle suggestioni della tradizione manifatturiera della filatura della seta, viene connotata con forti valenze civili e definisce un limite chiaro al parco. La sua dimensione la rende utilizzabile sia per il mercato, che per manifestazioni o feste particolari. Le due piazze risultano in stretta relazione tra loro, appoggiandosi
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Il progetto intende confermare l’eccezionalità dei grandi spazi aperti che si aprono nella parte centrale del paese, ridefinendoli in modo unitario come testa urbana del vasto parco che snodandosi fino al cuore dell’abitato, lo innerva e gli conferisce doti di rara qualità spaziale. Piazza della Libertà viene ridefinita quale luogo della sintesi tra
entrambe all’asse di via San Martino/via A. Ponti la cui sede stradale nella parte centrale viene rialzata alla quota delle piazze a sottolineare la continuità tra i due episodi e la loro relazione con il grande parco. Il sistema unitario che ne deriva, sarà luogo idoneo allo svolgimento vitale, ma ordinato del mercato che settimanalmente ravviva il centro del paese. L’autorimessa sot-
terranea coincide con il sedime della grande “ aia” quadrata e si sviluppa su due piani interrati per ridurre i costi di costruzione e la porzione di suolo occupata. I materiali proposti sono porfido, granito bianco montorfano, massetti di cls di alta qualità, ghiaia; presentano caratteristiche di durabilità e facilità di manutenzione necessarie per l’utilizzo nello spazio pubblico.
Legislazione a cura di Walter Fumagalli
Ogni volta che il Governo e il Parlamento hanno deciso di cancellare con un colpo di spugna, in misura più o meno ampia, gli abusi edilizi, hanno suscitato reazioni negative che sono sfociate davanti alla Corte Costituzionale: questo è successo con l’Articolo 39 della Legge 23 dicembre 1994 n. 724, e prima ancora con il Capo IV della Legge 28 febbraio 1985 n. 47, ed in tutti e due i casi le norme contestate se la sono cavata per il rotto della cuffia. La storia si è ripetuta con l’Articolo 32 del Decreto Legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella Legge 24 novembre 2003 n. 326, ma quando è troppo è troppo e questa volta la Corte Costituzionale, pur con tutta la buona volontà, con la Sentenza n. 196 del 28 giugno 2004 (che non a caso è stata pubblicata solo dopo le elezioni europee ed amministrative) non ha potuto fare a meno di riconoscere l’incostituzionalità di buona parte delle norme che hanno regolamentato il nuovo condono edilizio. Anzi, ha fatto di più: per tentare di salvare il salvabile la Corte ha letteralmente riscritto buona parte della legge, giungendo alla conclusione che, così come riscritta, essa può superare almeno alcune delle censure di incostituzionalità sollevate nei suoi confronti. Tale decisione però, c’è da scommetterci, è solo un antipasto: con essa, infatti, la Corte si è limitata ad esaminare i ricorsi proposti da alcune Regioni, mediante i quali queste ultime avevano sostenuto che lo Stato, dettando le disposizioni contestate, aveva invaso la loro sfera di competenza. Per questo la Corte si è trovata nella necessità di dichiarare inammissibili “ le censure relative ad aspetti che non siano potenzialmente idonei a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni” : alla luce di questo criterio, per esempio, è stata giudicata inammissibile la censura con cui una Regione aveva contestato l’incostituzionalità dell’Articolo 32 in quanto, in violazione del principio di uguaglianza dei cittadini sancito dall’Articolo 3 della Costituzione, discriminerebbe fra cittadini rispettosi della legalità e cittadini che non lo siano, a tutto svantaggio dei primi. È agevole prevedere, tuttavia, che questa ed altre questioni prima o poi saranno sottoposte alla Corte non più da una Regione, bensì da un magistrato, ed in quel caso la Consulta non potrà certo esimersi dal prendere una posizione in merito. Venendo ora al contenuto specifico della Sentenza n. 196, la stessa si muove da un assunto di fondo. Secondo la legislazione vigente in materia, la realizzazione di opere edilizie abusive induce l’applicazione di sanzioni penali e di sanzioni amministrative, ed il condono edilizio “ appare essenzialmente caratterizzato dalla volontà dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilità penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edi-
lizi, ne chiedano il condono tramite i Comuni direttamente interessati” . Per quanto riguarda l’estinzione delle sanzioni penali, la competenza dello Stato non può essere messa in discussione, in quanto “ non vi è dubbio sul fatto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale (...) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità” . Tuttavia il condono non può non produrre effetti anche sul piano delle sanzioni amministrative, “ a causa dell’evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo” . Ma per quanto riguarda l’estinzione delle sanzioni amministrative, il potere legislativo dello Stato non è così ampio come quello relativo alle sanzioni penali, in quanto “ sul piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente possono imporsi all’autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e speciali, non possono che essere quelli ammissibili sulla base rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo Art. 117 Cost. e degli statuti speciali” . Da qui la conclusione che “ in riferimento alla disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, ivi compresa (...) la collaborazione al procedimento delle amministrazioni comunali), solo alcuni limitati contenuti di questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità di legislatori regionali (...) (ad esempio certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’Art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili). Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante (...) di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo” . Questa distinzione tra effetti penali ed effetti amministrativi è resa possibile dal fatto che la legislazione in esame “ non esclude la possibilità che le procedure finalizzate al conseguimento dell’esenzione della punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi” , come del resto era previsto anche dalla Legge n. 47/1985. Alla luce di queste considerazioni, la Corte Costituzionale è coerentemente giunta alla conclusione che alcune disposizioni contenute nell’Articolo 32 sono incostituzionali in quanto comprimono indebitamente l’autonomia legislativa delle Regioni, impedendo loro di fare scelte diverse da quelle del legislatore nazionale, ancorché nell’ambito dei princìpi legislativi fissati da quest’ultimo. Inizia così l’elenco delle norme ritenute incostituzionali. • a) Anzitutto “ deve essere dichiarato costituzionalmente il-
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Quel che è rimasto del condono edilizio
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legittimo (...) il comma 26 dell’Art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1” della legge (il comma 26 testé richiamato invece, seguendo una logica davvero poco comprensibile, attribuiva alle Regioni questo potere solamente per gli interventi di minore rilevanza, che fossero stati eseguiti in zone non vincolate). Questo significa che spetterà alle singole Regioni stabilire, con una legge regionale, quali tipi di abusi edilizi possono essere ammessi alla sanatoria amministrativa e quali no, e quindi finché ciascuna legge regionale non sarà stata approvata, i cittadini non sapranno se la richiesta di condono potrà portare, oltreché all’estinzione delle sanzioni penali, anche all’estinzione di quelle amministrative. • b) Secondariamente, “ analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale va pronunziata per il comma 25 dell’Art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione” . In conseguenza di ciò, spetterà alle Regioni fissare con propria legge i limiti volumetrici, comunque non superiori a quelli indicati dal comma 25 dell’Articolo 32, delle opere abusive che potranno usufruire della sanatoria amministrativa, e pertanto anche da questo punto di vista, finché ciascuna legge regionale non sarà stata approvata, i cittadini non sapranno se la richiesta di condono potrà portare, oltreché all’estinzione delle sanzioni penali, anche all’estinzione di quelle amministrative. • c) “ In terzo luogo, i possibili diversi limiti opponibili dalla legge regionale non possono non riguardare anche quelle opere situate nel territorio regionale cui i commi 14 e seguenti dell’Art. 32 rendono applicabile il condono, malgrado si tratti di beni che insistono su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale: da ciò la dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 14, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 si applichi anche a questa categoria particolare di opere” . Anche per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, pertanto, spetterà alle singole Regioni decidere con propria legge quali di esse potranno accedere alla sanatoria amministrativa e quali no. • d) “ In quarto luogo, appare del tutto incongrua, rispetto alla complessità delle scelte spettanti alle autonomie regionali, la determinazione nel comma 33 di un termine perentorio di sessanta giorni (...) entro il quale le Regioni dovrebbero esercitare il loro potere normativo; da ciò la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’inciso entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e la necessità che esso sia sostituito con il rinvio esplicito alla legge regionale di cui al comma 26” . Il citato comma 33 demanda alle Regioni il compito di emanare norme preordinate a disciplinare il procedimento relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, ed attribuisce loro la possibilità di incrementare l’ammontare dell’oblazione fino al massimo del 10% di quanto previsto nella tabella C ivi richiamata; a tal fine, esso assegnava alle Regioni il termine di “ sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (termine ormai abbondantemente scaduto). A seguito della sentenza della Corte, alle Regioni va lasciato un lasso di tempo maggiore per emanare le norme di cui sopra. • e) “ In quinto luogo, va altresì dichiarata la incostituzionalità del comma 37, nella parte in cui non prevede che la legge
regionale di cui al comma 26 possa disciplinare diversamente gli effetti del silenzio, protratto oltre il termine ivi previsto, del Comune cui gli interessati abbiano presentato la documentazione richiesta” . Il comma 37 citato stabiliva che, una volta presentata tutta la documentazione in esso elencata, il titolo abilitativo edilizio in sanatoria sarebbe stato da considerare rilasciato, se entro il 30 settembre 2006 il competente Comune non avesse adottato un provvedimento negativo. Per effetto della sentenza della Corte, con la propria legge le singole Regioni potranno disciplinare diversamente gli effetti derivanti dal silenzio dei Comuni, protratto oltre il termine di cui sopra od il diverso termine che verrà stabilito dal Legislatore. • f) “ In sesto luogo, va dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 38, nella parte in cui prevede che sia l’Allegato 1 dello stesso D.L. n. 269 del 2003, anziché la legge regionale di cui al comma 26, a determinare la misura dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento; conseguentemente, è da dichiarare costituzionalmente illegittimo lo stesso Allegato 1, nelle parti in cui determina la misura dell’anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento” . Il citato comma 38, per la parte che qui interessa, dispone che “ la misura (...) dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento, sono disciplinate nell’Allegato 1 al presente decreto” . A seguito della pronuncia della Corte, quindi, sia la misura dell’anticipazione degli “oneri concessori” che le relative modalità di versamento dovranno essere stabilite dalle singole Regioni con proprie leggi. • g) “ In settimo luogo, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’Art. 32 impugnato, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi ad opera del legislatore statale. Infatti, il necessario riconoscimento del ruolo legislativo delle regioni nella attuazione della legislazione sul condono edilizio straordinario esige, ai fini dell’operatività della normativa in esame, che il legislatore nazionale provveda alla rapida fissazione di un termine, che dovrà essere congruo perché le regioni (...) possano determinare tutte le specificazioni cui sono chiamate dall’Art. 32 – quale risultante dalla presente sentenza – sulla base del dettato costituzionale (...) Il legislatore dovrà inoltre provvedere a ridefinire i termini previsti, per gli interessati, nei commi 15 e 32 dell’Art. 32, nonché nell’Allegato 1 (...) (ciò ovviamente facendo salve le domande già presentate). È peraltro evidente che la facoltà degli interessati di presentare la domanda di condono dovrà essere esercitabile in un termine ragionevole a partire dalla scadenza del termine ultimo posto alle Regioni per l’esercizio del loro potere legislativo” . Torna qui il tema già affrontato al precedente paragrafo “ d” . Poiché alle Regioni va riconosciuto il compito di dettare una quantità di disposizioni di gran lunga maggiore di quella in origine prevista dalla legge statale, bisogna che alle stesse venga attribuita la possibilità di legiferare dopo aver operato i necessari approfondimenti, i quali non sono possibili nel ristretto termine di sessanta giorni previsto dal legislatore statale. Questo, senza contare che la maggior parte dei compiti sono stati attribuiti alle Regioni proprio dalla sentenza della Corte, la quale è intervenuta ben dopo la scadenza del termine previsto originariamente dall’Articolo 32. A seguito della decisione della Corte Costituzionale, dunque, tutti i termini previsti dall’Articolo 32 sono da ritenere superati, ed il legislatore statale deve fissare un termine congruo entro il quale le singole Regioni dovranno emanare le leggi
• h) Dopo aver doverosamente salvaguardato il potere legislativo attribuito alle Regioni dalla Costituzione, la Corte si è posta l’obiettivo di individuare le regole da applicare in caso di mancato esercizio di tale potere, ed a tal fine ha chiarito che “ nell’ipotesi limite che una Regione (...) non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine massimo prescritto, (...) non potrà che trovare applicazione la disciplina dell’Art. 32 e dell’Allegato 1 (...) (fatti salvi i nuovi termini per gli interessati)” . Buona parte delle norme oggi divenute inoperanti per effetto della decisione della Corte, pertanto, riprenderanno tutto il loro vigore se le Regioni non eserciteranno per tempo il loro potere legislativo. • i) Infine, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 49-ter introdotto dalla legge di conversione del decreto legge, che attribuiva al Prefetto il potere esclusivo di provvedere alla demolizione delle opere abusive, avendone ravvisato un contrasto con l’Articolo 118 della Costituzione “ dal momento che non si limita ad agevolare ulteriormente l’esecuzione della demolizione delle opere abusive da parte del Comune o anche, in ipotesi, a sottoporre l’attività comunale a forme di controllo sostitutivo in caso di mancata attività, ma sottrae al Comune la stessa possibilità di procedere direttamente all’esecuzione della demolizione delle opere abusive, senza che vi siano ragioni che impongano l’allocazione di tali funzioni amministrative in capo ad un organo statale” . A questo punto può essere interessante soffermarsi sulle disposizioni contenute nell’Articolo 32, che la Corte ha ritenuto di poter salvare proprio grazie alle modifiche apportate dalla stessa. Alcune Regioni avevano sostenuto l’incostituzionalità dell’intero Articolo 32 in quanto quest’ultimo, allo scopo di perseguire interessi pubblici meramente economici, avrebbe sacrificato senza rimedio la tutela dei beni ambientali e paesaggistici protetti dall’Articolo 9 della Costituzione. La Corte ha invece ritenuto che, a seguito delle modifiche apportate all’Articolo 32, quest’ultimo non violi l’Articolo 9 della Costituzione, in quanto “ il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo significativo – all’interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi” .
Se poi le singole leggi regionali non terranno sufficientemente conto di tali interessi pubblici, aggiungiamo noi, potranno sempre essere censurate davanti alla Corte Costituzionale per violazione del citato Articolo 9. Alcune Regioni avevano sostenuto che l’Articolo 32 violerebbe il principio di ragionevolezza desumibile dall’Articolo 3 della Costituzione, “ poiché mancherebbero del tutto quelle circostanze eccezionali che, nelle precedenti situazioni, avevano portato la Corte Costituzionale a ritenere giustificata la sanatoria; inoltre, l’irragionevolezza scaturirebbe dalla inidoneità intrinseca dello strumento rispetto agli scopi perseguiti in modo esplicito o implicito” . La Corte ha respinto tale contestazione facendo leva sul comma 2 dell’Articolo 32, “ il quale esprime (...) l’opportunità che si preveda ancora una volta un intervento straordinario di condono edilizio nelle contingenze particolari della recente entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (...), nonché dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli enti locali la politica di gestione del territorio” . Se il Testo Unico dell’edilizia non pare che abbia introdotto soverchie novità in tema di repressione dell’abusivismo edilizio, è invece vero che le nuove disposizioni del Titolo V della Costituzione hanno considerevolmente ampliato la sfera di attribuzioni delle Regioni, e così come modificato dalla Corte l’Articolo 32 finisce effettivamente per tenere conto di tale sfera di attribuzioni. Alcune Regioni avevano sostenuto che l’Articolo 32 violerebbe l’Articolo 119 della Costituzione in quanto, per poter consentire cospicue entrate a favore del bilancio statale, porrebbe a carico dei Comuni oneri ingenti, certamente non compensati dalla modesta compartecipazione al gettito derivante dalle operazioni di condono. La Corte ha respinto questa eccezione avendo ritenuto, fra l’altro, che “ l’attribuzione al legislatore regionale del potere di specificare la disciplina del condono sul piano amministrativo (...) potrà far considerare in questa legislazione regionale i profili attinenti alle conseguenze del condono sulle finanze comunali” . Ed infine, la Corte ha respinto l’eccezione di incostituzionalità del comma 35 dell’Articolo 32, sollevata da alcune Regioni, “ in quanto il particolare ruolo che viene ad essere riconosciuto ai legislatori regionali consente di ritenere soddisfatte le pretese delle ricorrenti” . Per concludere, un paio di considerazioni. Alla luce della decisione della Corte, il nuovo condono edilizio è entrato in una fase di quiescenza: i cittadini sanno per quali abusi edilizi è possibile estinguere il reato commesso, ma non sanno per quali di tali abusi sarà possibile estinguere anche le inerenti sanzioni amministrative Fino a quando le Regioni non avranno esercitato il loro potere legislativo, quindi, presentare domande di condono sarà quanto mai rischioso, oltre che difficoltoso visto che non è per nulla facile, in assenza di specifiche norme regionali, individuare le modalità di redazione di tali domande. La Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di buona parte delle norme contenute nell’Articolo 32, in quanto con esse lo Stato si è indebitamente appropriato di funzioni legislative che la Costituzione riserva invece alle Regioni. È davvero strano che tale “ peccato” di centralismo sia stato commesso da un Governo e da una maggioranza parlamentare che, fra i propri obiettivi strategici, ha posto la più ampia valorizzazione delle autonomie regionali e addirittura il federalismo! W. F.
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di loro competenza, deve fissare un termine congruo (decorrente dalla scadenza di quello assegnato alle Regioni) entro il quale i cittadini avranno la possibilità di presentare le domande di condono, deve fissare nuovi termini in sostituzione di quelli previsti dai commi 15 e 32 e dall’Allegato 1, e deve comunque far salve le richieste di condono già presentate, i cui effetti sulle sanzioni amministrative dipenderanno peraltro dal contenuto delle future leggi regionali. Allo scopo di dare esecuzione a questa parte della sentenza il Governo ha emanato il Decreto Legge 12 luglio 2004 n. 168, il quale ha stabilito che: – le leggi regionali intese a disciplinare il condono andranno approvate entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, cioè entro il 12 novembre 2004; – le richieste di condono andranno presentate entro il 10 dicembre 2004; – la seconda rata dell’oblazione e dell’anticipazione degli “ oneri di concessione” andrà versata entro il 20 dicembre 2004; – la terza rata dell’oblazione e dell’anticipazione degli “ oneri di concessione” andrà versata entro il 30 dicembre 2004.
Normative e tecniche a cura della Redazione
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Il progetto per tutti e la cultura della fruibilità Cultura, fruibilità, progetto Il mondo del lavoro richiede oggi soprattutto capacità di apprendere e di stabilire relazioni fra le cose e i fatti, quindi non è più necessario scartare le persone più deboli e più anziane come lo era quando il prestatore d’opera forniva sostanzialmente la sua capacità di eseguire il lavoro, compiendo sforzi. Le capacità intellettive e l’esperienza sono diventate un patrimonio riconosciuto da preservare e conservare; tutti gli individui, compresi i bambini e le persone anziane, sono utili alla società, non fosse altro come consumatori, e come tali hanno quindi diritto ad una vita autonoma e piena. Una vita autonoma è garantita anche dalla qualità degli spazi architettonici e dalla loro vivibilità: il ruolo del progettista deve essere quello di confrontarsi con le esigenze abitative dell’uomo, e di creare forme e spazi di qualità, fruibili in modo autonomo da parte di tutti. L’eliminazione delle barriere architettoniche rappresenta un obiettivo di grande rilevanza sociale, che va oltre un semplice atto di solidarietà e rispetto per le categorie più deboli. La costruzione di una città priva di ostacoli e accessibile a tutti, infatti, è la pietra angolare per la promozione di una nuova cultura civile che aumenta la forza e le potenzialità della società intera rendendola capace di grandi slanci anche in altri campi. Se, infatti, una città non è in grado di dare risposte concrete ai suoi abitanti più indifesi, difficilmente potrà essere capace di affrontare le altre importanti sfide che il processo di modernizzazione pone a cittadini e istituzioni. Gli strumenti per perseguire un ambiente urbano maggiormente fruibile non mancano, come ad esempio le norme sull’eliminazione delle barriere architettoniche, emanate in Italia dal 1968 in poi. Queste norme sono in genere state associate solo alla disabilità motoria permanente, e a lungo non applicate da tecnici e Amministrazioni, poiché considerate un fardello che limita la creatività e le qualità estetiche degli edifici. Poiché il quadro legislativo è ampio e variegato, con alcuni margini di discrezionalità, ho redatto per il Comune di Milano due pubblicazioni Quaderni tecnici sulla fruibilità ambientale. Guida alla progettazione senza barriere architettoniche secondo l’applicazione delle prescrizioni di legge. Edifici privati aperti al pubblico e Edifici pubblici e di edilizia residenziale pubblica reperibili presso la sede del Comune. In realtà le norme contengono dei requisiti minimi di fruibilità; al di là del loro rispetto formale, il professionista dovrebbe applicare criteri di buona progettazione che pongano particolare attenzione alle caratteristiche fisicopercettive di tutti e alle loro esigenze rispetto all’ambiente costruito. Questo implica aver recepito nella cultura progettuale
un’attenzione specifica alle esigenze dell’utente finale, il concetto di diversità e di fruibilità. Ogni progettista sa bene come la sua creatività e lungimiranza debba sempre fare i conti con le normative: norme urbanistiche e ambientali, sicurezza, inquinamento acustico, regolamenti edilizi locali. Sembra che le rampe, ad esempio, siano state introdotte per favorire l’accessibilità ai disabili motori e quindi di scarso interesse espressivo. È noto invece come nei grandi esempi di architettura il muoversi sia fattore determinante per la concezione e comprensione della stessa (vedi la Promenade architecturale di Le Corbusier). Garantire l’accessibilità del costruito non è solamente superare una differenza di quota ma è legare l’architettura al movimento. Fruibilità Cosa s’intende con il termine fruibilità? Nel dizionario Devoto-Oli, riportato nel glossario del regolamento edilizio del Comune di Milano, troviamo: “ Totale godimento e uso, riconosciuto come diritto, di un’opera d’arte, di un edificio, di un ambiente, di un servizio, senza mettere a repentaglio la propria o altrui sicurezza e senza che siano necessari particolari accorgimenti da parte del soggetto fruitore per tale utilizzo” . Con questa definizione si mettono in gioco dei concetti fondamentali: totale godimento del bene, sicurezza, assenza di accorgimenti particolari per tale godimento. Parlando di città i beni di riferimento sono gli edifici, le strade, i servizi pubblici in generale, dai telefoni ai trasporti. Parlando di progettazione i riferimenti sono le caratteristiche funzionali ed estetiche del bene, prodotto o servizio, il rispetto delle normative vigenti. Per raggiungere una situazione di confort, le diverse abilità utilizzate per svolgere le attività umane, devono essere compatibili con il mondo che ci circonda. Va infatti tenuto presente che i diversi elementi costitutivi di un edificio (collegamenti verticali, segnaletica, illuminazione, ecc.) dovrebbero fornire adeguate e diversificate risposte a una molteplicità di utenti con bisogni e abilità diverse, che cambiano per tutti nel corso della vita. L’ideale è che il progetto fornisca modalità alternative di fruizione dello spazio, e che per l’uso dei manufatti sia necessario uno sforzo psico-fisico di adattamento minimo rispetto non solo alle soglie di tolleranza, ma ad abilità umane che possono essere molto diverse: ad esempio, l’ascensore può essere apprezzato da una grande fascia di utenti, tranne da chi soffre di claustrofobia, mentre i gradini possono a volte essere preferiti alle rampe, nel caso di problemi all’articolazione della caviglia. È quindi auspicabile un approccio più olistico al tema della fruibilità, che comprenda il concetto di “ abilità” come caratteristica umana, e della sua compatibilità nell’interazione con l’ambiente in termini di usabilità e percezione. La fruibilità deve essere considerata un obiettivo neces-
Il progetto per tutti e le associazioni I temi legati alla fruibilità, alla progettazione accessibile, non sono nuovi e nascono dal mondo della disabilità, per spostarsi recentemente a livello europeo al concetto di progettazione per tutti, ovvero per la più vasta gamma di utenti possibili. L’EIDD, European Institute for Design and Disability, fondato a Dublino nel 1993 con il sostegno dell’Unione Europea nel programma Horizon, è il primo ente che nasce come network europeo per gettare un ponte progettuale tra il mondo del design e quello della disabilità. L’approccio culturale si sposta lentamente nella seconda metà degli anni ‘90 dal concetto di progetti speciali pensati per utenze speciali (Design for special needs), al concetto dell’abbattimento delle barriere (Architectural barriers free design), ad un concetto più olistico usando i termini “ Inclusive design” , “ Universal design” e attualmente “ Design for All” . Design for All significa: il progetto di ambienti, attrezzature e servizi fruibili – in condizione di autonomia – da parte di persone con esigenze e abilità diversificate. Nell’aprile 2003 EIDD ha festeggiato a Dublino il decimo anniversario dalla fondazione. L’EIDD ha membri in Irlanda, paese fondatore, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito, Ungheria ed in Italia. L’IIDD, Istituto Italiano Design e Disabilità, delegazione tematica dell’ADI Associazione per il Design Industriale, è il comitato italiano dell’EIDD. L’IIDD attualmente sta promuovendo un progetto di formazione denominato “ Cittàbile” , sul tema della fruibilità della città. L’iniziativa è stata presentata alla Triennale di Milano il 3 dicembre 2001, Giornata Europea delle persone disabili, dedicata al “ Design for All” , con un seminario introduttivo le linee guida del progetto. Con questa iniziativa si vuole stimolare un approccio progettuale che sopperisca alle carenze di un progetto “ standard” e ai limiti di un progetto “ speciale” , e sia più vicino ai postulati proposti dall’ergonomia, così che ogni ambiente/prodotto possa essere fruito dal più ampio range di popolazione possibile. Lo scopo è di diffondere la cultura dell’accessibilità nelle Università e negli Istituti di design, introducendo nelle tematiche di progettazione sull’ambiente cittadino, un’attenzione maggiore alle esigenze effettive di tutta la popolazione e non solo all’adulto-medio-sano. “ Cittàbile” si prefigge di diffondere esempi di progettazione di città più vivibili per tutti, dai quali le Amministrazioni locali possano trarre spunti per future realizzazioni. Per il 2003, anno dedicato alla disabilità, l’IIDD ha ban-
dito anche un concorso per l’assegnazione di una borsa di studio per contribuire allo sviluppo del progetto “ Cittàbile” . Attualmente il vincitore sta approfondendo il tema della tesi, sotto la guida ed il controllo di un tutor. Per promuovere la qualità architettonica sul tema del Design for All, IIDD collabora dal 2001 con il Premio alla Committenza Dedalo Minosse, nato con l’obiettivo di valorizzare il ruolo fondamentale rivestito dal committente, nella riuscita di una buona opera d’architettura. Maggiori informazioni possono essere reperite nel sito EIDD, www.design-for-all.org sezione news, sul sito ADI, www.adi-design.org sezione CafèDesign e nel sito IIDD, www.iidd.it sezione attività. Isabella Steffan Presidente IIDD
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sario per il miglioramento della qualità della vita per tutti. In quest’ottica le prestazioni richieste dalle normative antibarriere devono essere il minimo, non il massimo perseguibile.
Strumenti a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Leggi G.U n. 21 del 29.5.2004 - 3° Serie speciale Legge Regionale 10 febbraio 2004, n. 1 Criteri generali per l’assegnazione e la gestione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (Art. 3, comma 41, lettera m) L.R. n. 1/ 2000 Il titolo I delle presente legge tratta delle disposizioni generali. L’Art. 1 definisce oggetto e ambito di applicazione della legge disciplinando i criteri generali per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp) ai sensi del comma 41, lettera m, dell’Art. 3 della L.R. 5 gennaio 2000, n. 1. Sono considerati alloggi di Erp, ai fini dell’applicazione del presente regolamento, gli alloggi realizzati o recuperati da enti pubblici a totale carico o con il concorso o il contributo dello Stato o della Regione, oltre quelli acquisiti a qualunque titolo, realizzati o recuperati dagli enti locali o da enti pubblici, per le finalità sociali proprie dell’Erp, relative a soggetti aventi i requisiti per l’assegnazione e la permanenza di cui agli articoli successivi e all’allegato 1. È inoltre effettuata, ai fini del presente regolamento, una distinzione degli alloggi di Erp, escludendone talune categorie. L’Art. 2 definisce la caratteristiche del nucleo familiare, l’Art. 3 determina la situazione economica e le procedure informatiche, l’Art. 4 precisa l’anagrafe dell’utenza e del patrimonio. Il titolo II riguarda l’assegnazione degli alloggi, stabilendo con l’Art. 5 il provvedimento di assegnazione, con l’Art. 6 i bandi di assegnazione, con l’Art. 7 i criteri di presentazione della domanda. Gli articoli successivi determinano i requisiti oggettivi, la valutazione della domanda, l’indicatore dello stato di bisogno abitativo e la valutazione del periodo di residenza, la graduatoria comunale, le convenzioni, l’assegnazione degli alloggi. Il titolo III riguarda i provvedimenti estintivi dell’assegnazione, definendone l’annullamento e la decadenza. Il titolo IV tratta della gestione degli alloggi, precisando i criteri di consegna degli alloggi e la stipula del contratto di locazione, il subentro nell’assegnazione, l’ospitalità temporanea, la mobilità abitativa, l’assegnazione e gestione degli alloggi a favore delle forze dell’ordine e ai corpi speciali, l’occupazione senza titolo. Il titolo V definisce le norme finali e transitorie. G.U. n. 138 del 15.6.2004 - Serie generale Deliberazione 19 maggio 2004 Contenzioso in fase di appalto, conseguente ad una o più sospensioni dei lavori, disposte - in esito a prescrizioni degli organi preposti alla tutela dei beni culturali - per l’esecuzione di campagne di indagini archeologiche nel sottosuolo. Valutazione della possibilità di limitare gli effetti negativi di ordine economico, correlati a tale fattispecie (Determinazione n. 9/2004) L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici si è trovata sovente ad analizzare procedure d’appalto il cui espletamento, in termini di rispetto dei tempi e dei costi di esecuzione, è stato condizionato da rinvenimenti archeologici nel sottosuolo e dalle conseguenti attività di scavo e documentazione, oltre che dalle ulteriori fasi di valutazione e di adozione degli opportuni provvedimenti di conservazione; dette iniziative sono nella competenza degli organi preposti alla tutela dei beni culturali. Nei suddetti casi è risultata ricorrente la sospensione dei lavori di significativa durata, in relazione sia al tempo necessario per lo svolgimento delle indagini archeologiche, sia a quello per la redazione ed approvazione delle varianti in corso d’opera che tenessero conto del valore dei ritrovamenti e della loro possibile fruizione, salvaguardandone l’integrità. Inoltre, in tali casi, si rendono necessarie maggiori o diverse lavorazioni, che protraendosi nel tempo determinano un notevole aumento dei costi e degli oneri. L’insorgenza di tale contenzioso è legata ad una circostanza di oggettivo gravame per l’appaltatore. Di conseguenza sorge l’utilità di operare alcune riflessioni sul tema in questione, al fine di limitare le ricadute negative di ordine economico che tale occorrenza imprevista può indurre sulla procedura d’appalto in corso. È stata ravvisata l’esigenza e l’importanza di conoscere l’avviso del Ministero dei beni e delle attività culturali in ordine alle possibili iniziative da intraprendere. In sostanza il Ministero considera essenziale l’azione preventiva, e una opzione praticabile potrebbe essere quella di “ istituzionalizzare“ la presenza dei tecnici della Soprintendenza sin dalle prime fasi della progettazione, con il risul-
tato di garantire l’approccio metodologico più idoneo. Da tali considerazioni segue che, al fine di assicurare sia il rispetto di tempestività ed economicità nella procedura d’appalto, sia l’esercizio di ogni necessaria azione di tutela nell’eventualità di ritrovamenti archeologici, appare utile che le stazioni appaltanti valutino l’opportunità di coinvolgere il competente organo preposto alla tutela sin dalla fase della progettazione preliminare, studiandone le possibili modalità di concreta attuazione. Nel caso in cui il progetto di un’opera insistente su un’area soggetta a vincolo archeologico venga sottoposto all’esame della competente Soprintendenza solo all’atto della Conferenza di servizi, l’amministrazione appaltante ha l’obbligo di rendere chiaro in ogni dettaglio il progetto presentato, così da consentire all’organo di tutela l’espressione di un parere compiuto, sia esso pienamente favorevole oppure condizionato allo svolgimento di ulteriori indagini preventive. Il medesimo organo di tutela dovrà in quella sede indicare con chiarezza quali siano le condizioni da rispettare per potere dar corso all’opera programmata. Nel caso di sospensione dei lavori connessa a ritrovamenti archeologici in corso d’opera, con il rischio di ulteriori oneri dovuti al protrarsi dei lavori, si impone la massima sinergia tra la stazione appaltante e l’organo di tutela, al fine di adottare comportamenti e provvedimenti idonei. Qualora alla sospensione dei lavori abbia fatto seguito l’insorgenza di un contenzioso con l’impresa esecutrice, si precisa che la disamina delle doglianze e la conseguente valutazione non potrà prescindere dalla conoscenza di tutte le circostanze intervenute, comprese quelle suscettibili di implicare una riduzione del danno lamentato. G.U. n. 138 del 15.6.2004 - Serie generale Determinazione 25 maggio 2004 Integrazione alla determinazione del 21 aprile 2004, n. 6, riguardante indicazioni operative in ordine alla verifica triennale delle attestazioni di qualificazioni (Determinazione n. 10/2004) Sono pervenute dalle associazioni delle SOA e da alcune SOA, richieste di chiarimenti in ordine alla determinazione del 21 aprile 2004, n. 6 contenente indicazioni in materia di documentazione mediante la quale le imprese, al fine di ottenere la verifica triennale della loro attestazione, dimostrano l’esistenza dei requisiti di ordine generale da parte delle SOA (società organismi di attestazione), delle autodichiarazioni rese dalle imprese e di criteri cui devono attenersi le SOA nella loro attività di verifica dell’esistenza della capacità strutturale delle imprese. Tale determinazione prevedeva che il termine di 60 giorni, entro il quale le imprese devono richiedere l’effettuazione della verifica triennale, non è perentorio, e pertanto la richiesta può essere effettuata anche dopo la scadenza dello stesso. È stato chiesto di quanto possa essere anticipata la richiesta di verifica triennale rispetto al termine dei 60 giorni con possibile utilizzazione dei bilanci e dichiarazioni dei redditi relativi ad annualità diverse da quelle indicate nella determinazione 6/2004. Inoltre è stato richiesto all’Autorità quali debbano essere i parametri di riferimento per la verifica relativa al costo del personale e dell’ammortamento nel caso una impresa intenda integrare l’attestazione in suo possesso con nuove categorie e/o aumentare quelle esistenti, successivamente o contestualmente alla verifica triennale. Riguardo all’obbligo di acquisire il documento unico di regolarità contributiva ed i certificati del casellario giudiziale al fine di verificare le previste dichiarazioni sostitutive di atto notorio (DURC) è stato richiesto se tale obbligo sussiste, oltre che nel caso di verifica triennale, anche nel caso di rilascio dell’attestazione. In relazione al primo quesito, va rilevato che è necessario stabilire un limite alla possibilità di anticipare la verifica triennale rispetto al termine di scadenza della validità triennale dell’attestazione al fine di non effettuare il controllo sulla base di bilanci e dichiarazione dei redditi relativi anche a due anni fiscali anticipati, che porterebbe a verifiche triennali non uniformi. Riguardo al secondo quesito, sulla base di precedenti determinazioni e comunicati l’Autorità ha già espresso il proprio avviso in ordine alla possibilità di una integrazione del contratto originario avente ad oggetto la modifica dell’attestazione. In riferimento al quesito relativo al certificato di regolarità contributiva e ai certificati del casellario giudiziale, la risposta è affermativa. In ordine alle verifiche (regolarità contributiva e assenza di condanne), si è constatato che i tempi di rilascio del DURC e del certificato del casellario giudiziale, non sono coerenti con il termine di 30 giorni. Pertanto occorre prevedere un regime transitorio che permetta il rispetto del termine e la verifica del possesso dei requisiti. Premesse tali considerazioni, ad integrazione delle indicazioni di cui alla determinazione del 21 aprile 2004, n. 6, si precisa che le imprese possono richiedere l’effettuazione della verifica triennale non oltre 90 giorni antecedenti alla data di scadenza della validità triennale; è confermato che l’integrazione di una attestazione in corso di validità è effettuata con riferimento ai parametri del costo dei dipendenti e degli ammortamenti non affetti della tolleranza del 25% e con date di rilascio della prima attestazione, di scadenza verifica triennale e di scadenza finale uguali a quelle previste dalla attestazione da integrare. Si può considerare effettuata positivamente la verifica triennale o le verifiche previste per il rilascio dell’attestazione avendo acquisito le prescritte dichiarazioni sostitutive ed inoltrato la richiesta del rilascio del DURC e dei certificati del casellario giudiziale. Nel caso che il DURC e i certificati del casellario giudiziale non dimostrino il possesso dei requisiti, le SOA dovranno provvedere alla revoca della verifica triennale o del rilascio dell’attestazione. Le SOA dovranno trasmettere copie conformi all’originale delle suddette richieste. C. O.
Pubblicistica Condono La consulta salva la sanatoria a metà. Sono validi soltanto gli effetti penali. Sul resto decidono le regioni. Slitta la scadenza del 31 luglio (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 26/2004) La Corte Costituzionale ha chiarito una questione di ripartizione delle competenze fra Stato e regioni, in merito al condono edilizio. La Consulta ha “ promosso l’Articolo 32 del Decreto Legge 269/2003 per quel che riguarda l’estinzione dei reati penali, ma ha bocciato le disposizioni che fissavano regole e modalità della sanatoria” . Condono, tempi più lunghi. Sì alla sanatoria edilizia, ma spazio alle regioni (da “ Il Sole 24 Ore” del 29.6.04) La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi alcuni articoli del Decreto Legge sul condono edilizio, allungando significativamente i tempi per la chiusura della sanatoria. La Consulta ha stabilito che devono essere le singole regioni a disciplinare i limiti entro cui vi si può ricorrere. Nello stesso tempo sono state bocciate alcune leggi con le quali alcune regioni avevano tentato di contrastare la sanatoria.
L’alloggio diventa l’ufficio senza il permesso per l’uso (da “ Italia Oggi” del 30.6.04) Il mutamento di destinazione funzionale senza opere è in generale ammesso nelle regioni che non hanno legiferato al riguardo. Questo ha sancito il Tar per il Veneto, sezione II, con la sentenza n. 1262 del 30 aprile 2004. La concessione per il mutamento di destinazione d’uso, senza opere, di un appartamento da abitazione a ufficio era stata negata in quanto la nuova destinazione non sarebbe stata consentita dalla variante di Piano Regolatore. I privati avevano deciso di impugnare il provvedimento in base all’Articolo 25 della Legge n. 47/1985. Programmazione Piani triennali dei lavori pubblici, obbligo di pubblicazione on line. Lo prevede il decreto delle infrastrutture con gli schemi-tipo (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 27/2004) I programmi triennali delle opere pubbliche dovranno essere pubblicati anche via internet. Questa è una delle principali novità contenute nel decreto del Ministero delle infrastrutture che contiene gli schemi tipo per la redazione dei piani da parte delle stazioni appaltanti. Il provvedimento attua l’Articolo 14, comma 11 della Legge 109/1994 dando indicazioni alle amministrazioni sulle procedure di compilazione e approvazione dei programmi triennali che devono essere adottati entro il 15 ottobre di ogni anno.
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Direzione lavori Recupero Ristrutturazioni a tutto gas. Dopo il flop di gennaio è di nuovo boom al Nord. Ancora in affanno al Sud (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” del 21-26.6.04) A maggio l’Agenzia delle Entrate ha ricevuto da famiglie, condomini e imprese ben 41.095 comuncazioni che annunciavano l’apertura dei cantieri in regime agevolato. Il dato conferma i segnali di ripresa determinati dalla manovra d’incentivo costituita dalla proroga della riduzione dell’aliquota Iva al 10 per cento.
Edilizia Lombardia, piano di alloggi fai-da-te. All’esame il programma di edilizia in autocostruzione per le fasce svantaggiate della popolazione (da “ Italia Oggi” del 30.6.04) La Regione Lombardia, con il supporto dell’Aler, ha stabilito di verificare la fattibilità dei relativi progetti di autocostruzione, al fine di valutare l’eventualità di un piano regionale di sostegno al fai-da te in campo immobiliare. Costruirsi una casa da soli può diventare una valida alternativa per reagire all’impennata del costo degli immobili. Impatto ambientale Sui progetti a VIA non obbligatoria, l’Abruzzo porta l’Italia alla condanna (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 24/2004) I giudici della Corte di Giustizia Europea hanno emesso una sentenza di condanna per l’Italia a causa del mancato adempimento della direttiva 85/337 sulla VIA. La questione nasce dal fatto che la Regione Abruzzo non aveva svolto la verifica preliminare circa la necessità di sottoporre a VIA il progetto di una strada extraurbana. Infrastrutture Su Ansa e convenzioni autostradali il controllo resta alla Corte dei Conti (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 26/2004) Anche dopo la trasformazione dell’Anas in Spa, la Corte dei Conti continua ad esercitare la funzione di controllo della gestione finanziaria dell’ex ente pubblico, e quella di registrazione preventiva delle convenzioni con le società autostradali. Lo ha chiarito la Corte dei Conti nel documento relativo al IV atto aggiuntivo di Autostrade Spa, D.M. firmato il 25 marzo e registrato dalla Corte il 20 maggio. Procedure Restyling con uguale sagoma. Non è ristrutturazione se cambia posizione (da “ Italia Oggi” del 23.6.04) Il diverso posizionamento dell’edificio all’interno del terreno non può essere compreso nella nozione di ristrutturazione edilizia ex Art. 3 D.Lgs. n. 380/01 in quanto la norma è chiara nell’indicare che in caso di ristrutturazione non vi può mai essere modifica della sagoma. Questo è quanto ha deciso il Tar del Piemonte, Torino, sezione I, con la sentenza del 19 maggio 2004 n. 872, in merito ad una controversia su una concessione edilizia rilasciata dal Comune di Meina a un privato. Concessioni, no dei dirigenti. Illegittimo il provvedimento firmato dall’assessore (da “ Italia Oggi” del 30.6.04) Il diniego di concessione edilizia è illegittimo se il provvedimento è sottoscritto dall’assessore all’urbanistica, in quanto adottato da organo incompetente. Deve essere sempre adottato dal dirigente del competente settore ai sensi dell’Articolo 51 della Legge n. 142/90. Questo è stato precisato dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 2694 del 4.5.2004.
Sicurezza Pos e Pss, tutti i dettagli da inserire nei piani anti-infortuni delle imprese. I rischi per l’amministrazione che accetta documenti incompleti (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 24/2004) Dopo il Decreto 222 con i contenuti minimi per i piani di sicurezza nei cantieri è diventato più difficile anche per le imprese continuare nella prassi dei piani fotocopia. I documenti anti-infortuni devono, infatti, rispondere a dei requisiti minimi adattati alle caratteristiche del cantiere, devono contenere la descrizione delle specifiche attività di cantiere e le schede dei macchinari utilizzati. Urbanistica Città da rigenerare. Viaggio tra i casi di successo nell’UE. Urbanregeneration a Genova (da “ Italia Oggi” del 23.6.04) Sponsorizzata al 75% dal Comitato “ Genova 2004” , che vede Genova capitale europea della cultura per l’anno in corso, il progetto-mostra Urbanregeneration vuole mettere in risalto la capacità strategica e di promozione territoriale messa in atto dalle città candidate a rappresentare 12 nazioni europee. “Ripopolare e decentrare”. Residenze in centro, uffici nell’area metropolitana. Campos Venuti dietro l’urbanistica di Cofferati a Bologna (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 24/2004) Ripopolare la città storica con nuove funzioni residenziali destinate ai ceti deboli: immigrati, studenti, giovani, lavoratori delle fasce basse. Decentrare le funzioni terziarie, fieristiche e universitarie su scala metropolitana. Rilanciare l’edilizia sociale e una politica della casa che realizzi 7/8 mila alloggi. Sono queste alcune delle ipotesi contenute nella proposta di Sergio Cofferati a Bologna rispetto ad un cambiamento radicale nella politica urbanistica della città. L’ispiratore della proposta del nuovo Sindaco è stato Giuseppe Campos Venuti, maestro dell’urbanistica italiana, che fu assessore a Bologna dal 1960 al 1966, cominciando la programmazione dei nuovi quartieri di edilizia economico-popolare. M. O.
Professione e Aggiornamento
Risponde dei danni il direttore lavori che non ha effettuato il sopralluogo. In caso di sospensioni o varianti al progetto (da “ Edilizia e Territorio - Norme e Documenti” n. 27/2004) Il direttore lavori che non effettua il sopralluogo su un’area che ospiterà il cantiere di un’opera pubblica dovrà rispondere dei danni derivanti da una sospensione dei lavori o dalla necessità di apportare varianti al progetto. È quanto emerge dalla decisione n. 530 del 12 maggio 2004 emessa dalla sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei Conti.
Dagli Ordini
M ilano a cura di Laura Truzzi Designazioni
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• Comune di Burago di Molgora: richiesta di segnalazione elenco professionisti per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi esperti in materia di tutela paesistico-ambientale: Luigia Carla DAL PUPPO, Roberto SEVESO, Paola Maria VIOLANI. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi esperti in materia di abolizione e superamento delle barriere architettoniche: Antonio BALINI, Andrea Maria FIORENTINI. • IDI- Interior Design Institute: designazione di un rappresentante dell’Ordine esperto per prove di accertamento finale dei corsi di formazione professionale - Anno Scolastico 2003/2004 Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Guido FOCHI. • Procedimento arbitrale Società Cooperat iva a R.L. “ L’ Arca di Noè” /Sig. Alberto Rapisardi: nomina di arbitro ex art. 32 dello statuto Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Franca SCENDRATEGATTICO. • Immobiliare Multiservices S.R.L. di Varedo (Mi): richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla costruzione di un fabbricato ad uso autorimessa sito in Bovisio Masciago (Mi) Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giorgio GIAVENNI, Carlo Maria INVERNIZZI, Giuseppe RADAELLI.
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Serate di architettura
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La seconda metà di giugno ha visto intensificarsi ulteriormente il ritmo delle serate in vista della pausa estiva con i temi più diversi: di seguito la consueta sintesi degli argomenti trattati.
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• Cina-città: una nuova città per 80.000 abitanti 15 giugno 2004 È intervenuto: Augusto Cagnardi Ha condotto: Marco Engel
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Progettare una città: un evento unico. Lo studio Gregotti Associati International è stato proclamato dalla Municipalità di Shanghai vincitore del concorso per la progettazione della cosiddetta “ città italiana” di Pujiang New Town e Augusto Cagnardi, associato dello studio, è stato invitato per questa serata all´Ordine a illustrare la straordinaria e unica esperienza, sua e di tutto lo staff. Il suo è stato un racconto che si è intrecciato per oltre due ore tra gli eventi del con-
corso, attraverso lo stupore per la vittoria e lo sbigottimento per le scoperte di un Paese nuovo, culturalmente diverso dal nostro, fino alla descrizione del progetto e agli aneddoti che, puntualmente, costellano ogni viaggio di Cagnardi in Cina. Testimonianza del ricco passato coloniale e commerciale, fondata e sviluppata da stranieri tra cui inglesi, francesi e olandesi, Shangai, dopo aver recentemente realizzato più di 4.000 grattacieli, ha cambiato politica urbanistica tornando alle origini e pianificando nove grandi insediamenti urbani, ognuno dei quali ispirato a specifiche tradizioni occidentali (la città francese, olandese, americana). Senza proporre una citazione in stile, la Gregotti Associati ha scelto di disegnare la futura città con i princìpi di una vera e propria “ città di fondazione” riprendendo dalla nostra città classica la maglia ortogonale (che peraltro si ritrova anche nella tradizione cinese), entro la quale se ne sviluppa una seconda dei percorsi pedonali e una terza degli spazi pubblici e verdi. Secondo punto di forza del progetto, a parere di Cagnardi, è l´inserimento di un elemento della tradizione italiana, come la piazza, totalmente estraneo fino a questo momento alle città cinesi. La combinazione di quartieri per l´abitazione, grandi presenze architettoniche collettive, centri sportivi e aree commerciali, nonché la successione di spazi pubblici, moli fluviali, piazze e parchi, compongono una chiara sintesi urbana capace di prefigurare i caratteri autonomi della futura “ città italiana” . Fondamentale per la ricerca della futura città è stata per Cagnardi l´individuazione di punti di riferimento che potessero essere riconoscibili universalmente da genti di culture diverse: percorsi, quartieri, nodi principali, tenendo conto che la città è un continuo sovrapporsi di modifiche, un oggetto in continua evoluzione. Il primo edificio, denominato “ promotion center” , è già stato inaugurato e si prevede una durata di circa 5 anni per la realizzazione di tutta la città. Cagnardi ha concluso la serata con una “ confessione” e un auspicio: ammettendo di aver progettato tante fontane perché queste, nella tradizione popolare cinese, portano fortuna, ha espresso l´augurio che nel futuro tanti altri colleghi architetti possano fare un’esperienza così massacrante, ma così fantastica come la sua e quella del suo studio. • I beni culturali e ambientali dopo il Codice Urbani Serata organizzata con INU Lombardia 16 giugno 2004 Sono intervenuti: Daniela Volpi, Fortunato Pagano, Carla Di Francesco, Umberto Vascelli Vallara, Carlo Bertelli, Andrea Filpa, Marco Parini, Andrea Poggio, Aldo Castellano Moderatore: Marco Engel
Promosso da INU Lombardia e dall’Ordine degli Architetti, il convegno ha fornito lo spunto per un’approfondita riflessione sui presupposti teorici e sulle prospettive applicative del nuovo codice Urbani. Al tavolo dei relatori, moderati da Marco Engel, ha esordito il Presidente dell’Ordine degli Architetti, Daniela Volpi, che nel suo saluto introduttivo ha messo in guardia dal considerare il codice “ strumento innovativo e rivoluzionario” , come lo ha definito lo stesso Urbani: se è vero che dal 1933 mancavano modifiche alla legislazione e che la riforma introduce princìpi importanti (recupero paesaggistico, riconoscimento del carattere unitario della tutela, enucleazione di un demanio culturale, subordinazione della pianificazione urbanistica a quella paesaggistica), tuttavia il codice prevede procedure preoccupanti, come la verifica del valore culturale di un bene pubblico al fine della sua valorizzazione (ossia vendita), nel famigerato Articolo 12. Di qui l’appello della Volpi a una riflessione attenta sulle implicazioni della legge in funzione della richiesta di una sua modifica. Molto articolato l’intervento di Fortunato Pagano, Presidente di INU Lombardia, che ha sondato ragioni e incertezze giuridiche del codice parlando della necessità di aggiornare la disciplina, della scissione di una materia unica in due elementi (tutela e valorizzazione), dell’introduzione del principio della sussidiarietà orizzontale. Tra i limiti più gravi della normativa, il Presidente di INU ha lamentato l’assenza di criteri per i centri storici, mentre - a suo parere - il principio della verifica dell’effettivo valore culturale di un bene pubblico e la sua possibile “ gestione indiretta” con l’apporto di fondazioni private non è di per sé “ scandaloso” , anche se bisogna evitare il rischio della “ svendita” del patrimonio pubblico. I dilemmi conclusivi del suo intervento (“ vale più la tutela della valorizzazione o viceversa?” ; “ qual è lo strumento della valorizzazione?’’) hanno messo in luce alcune ambiguità del codice. Carlo Bertelli, già Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Milano, ha contribuito alla discussione ponendosi nell’ottica di chi dovrà applicare il codice, rilevando da un lato l’assenza di chiarezza nei temi generali, ad esempio quelli della legislazione concorrenziale, dall’altro la volontà di classificare nel modo più minuzioso i beni paesaggistici e culturali dando indicazioni su dettagli come colori o categorie di appartenenza di tali beni (tra cui figurano anche tutti i mezzi di trasporto di età superiore ai 75 anni! ). Al codice, che a suo giudizio rappresenta un tent at ivo comunque “ generoso” , manca una visione culturale moderna, come attesta anche linguisticamente in alcuni articoli l’uso del termine soggettivo e fuori dal tempo “ bellezza” , vocabolo di
pericolosità del criterio del silenzio assenso e i ristretti margini di manovra delle Soprintendenze, con il potere di annullamento limitato a trenta giorni. Quanto al criterio della sussidiarietà orizzontale, egli ha ribadito che non deve diventare il pretesto perché le comunità locali facciano ciò che vogliono dei beni culturali e ambientali, svendendoli e ricavandone risorse: bisogna potenziare gli strumenti di ricorso e di partecipazione. Andrea Filpa, docente di Urbanistica all’Università di Camerino, si è concentrato sulla parte terza del Codice Urbani, quella relativa alla pianificazione paesaggistica, ricavandone una valutazione sostanzialmente positiva: il nuovo piano è utile, anche se avrà difficoltà a inserirsi nel sistema della pianificazione, porta allo scoperto alcuni problemi, ma contribuirà a migliorare la qualità della pianificazione. Il piano paesistico in Italia era ormai obsoleto (risaliva al 193940), mentre il nuovo codice prevede aspetti definiti da Filpa “ stimolanti” : il principio della cooperazione tra le varie amministrazioni, quello della tutela e del recupero del paesaggio, l’obiettivo della qualità del paesaggio. Certo non mancheranno le difficoltà applicative (ad esempio, come rispettare il principio per cui il piano paesaggistico è sovraordinato agli altri?), ma sembra che la legge potrà da un lato migliorare la qualità dei servizi, dall’altro dare facoltà a certe regioni di riconfigurare il piano paesaggistico. Umberto Vascelli Vallara, dirigente della Struttura Paesistica della Regione Lombardia, si è opposto alla provocazione di Parini (“ non si sentiva l’esigenza di una legge così” ) sostenendo che il codice è utile perché pone la necessaria attenzione sul tema del paesaggio. Certo non mancano carenze, a partire dalla definizione stessa di paesaggio (“ parte omogenea del territorio i cui caratteri derivano da natura, storia o reciproche interrelazioni” ), dizione che non convince del tutto il Dirigente (discutibile, per lui, l’uso del nesso disgiuntivo o al posto del più opportuno e), molto meno efficace di quella data dalla Convenzione Europea del Paesaggio (“ parte del territorio come percepita dalla popolazione, frutto di fattori umani, naturali e delle loro reciproche relazioni” ). Ciò detto, il relatore ha posto in risalto gli aspetti positivi del codice, tra cui l’istituzione di commissioni per il paesaggio e l’estensione dei vincoli a una porzione di territorio più che raddoppiata rispetto alla Legge Galasso. Carla Di Francesco, Soprintendente Regionale ai Beni Architettonici ed Ambientali, ha ricordato come il codice sia entrato in vigore prima dell’annunciata riforma ministeriale e amministrativa, il che spiega il carattere di forte centralismo della legge. Facendo presenti la mole (200 articoli) e la comples-
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stampo illuministico e preromantico. Prima di procedere a una valutazione del codice, Aldo Castellano, docente di Storia dell’Architettura al Politecnico di Milano, ha affrontato il tema del rapporto tra tutela e valorizzazione da un punto di vista concettuale e storico. Il docente ha ricordato le esperienze legislative precedenti (Commissione Franceschini) e ha individuato alcuni snodi concettuali problematici: la ricerca del senso dei beni culturali (“ memoria da custodire e risorsa da mettere a frutto” ), la “ conoscenza imperfetta” (“ che cos’è un bene culturale?” ), la necessità di conoscere per intervenire adeguatamente e impedire depauperamento, degradazione e uso improprio dei beni, a fronte dell’esplosione della domanda di cultura in atto dagli anni ’90. Ribadendo il principio secondo il quale il valore dei beni culturali non esiste in natura, ma si “ statuisce” tra istituzioni e agenti sociali, Castellano ha concluso che il Codice Urbani è un testo contraddittorio, ancorato alla stessa logica della Commissione Franceschini (tutela senza armonizzazione delle problematiche), con allarmanti aspetti, come l’introduzione del principio del silenzio-assenso. Sono seguiti i contributi dei rappresentanti delle due maggiori associazioni di tutela del territorio, Italia Nostra e Lega Ambiente. Marco Parini, vice Presidente Nazionale di Italia Nostra, ha esordito con un giudizio pesante sul Codice Urbani: per lui è una norma di cui non si sentiva l’esigenza, approvata in maniera frettolosa e basata su princìpi preoccupanti, come quello della forte centralizzazione e del depauperamento della valenza scientifica delle Soprintendenze. Parini ha ricordato le varie leggi di tutela del patrimonio statale precedenti a questa (1909, ’39, ’42), le più recenti tappe giuridiche che hanno avviato il processo di “ valorizzazione” dei beni pubblici e le necessarie contromisure adottate. Fino a questa riforma le Soprintendenze avevano il compito di stabilire, in base a criteri scientifico-culturali, quali edifici fossero alienabili e quali no, imponendo nel primo caso ai compratori di seguire un progetto di valorizzazione, da esse stesse elaborato, pena la perdita del bene. Questo criterio garantista è oggi scavalcato (si pensi alla legge Tremonti che ha comportato la frettolosa “ svendita” di diversi edifici pubblici di interesse notevole). A proposito dell’elaborazione del nuovo piano paesaggistico, Parini ha concluso che si tratta di una scommessa e che la delega ai comuni renderà difficile il controllo sul territorio in assenza di un piano di tutela regionale. Andrea Poggio, Vice Direttore Generale di Lega Ambiente, ha posto in risalto il conflitto tra tutela e valorizzazione, la necessità di concepire la valorizzazione non esclusivamente come vendita, la
Quattro fotogrammi dal film Intrigo Internazionale.
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sità applicativa della nuova norma, la Di Francesco si è soffermata sui criteri di individuazione e alienazione, sulle verifiche di interesse, sul principio del silenzio assenso, e ha lamentato la situazione delle Soprintendenze, con poco personale e sempre più incapaci di fronteggiare la valanga di richieste di alienazione provenienti dai vari enti pubblici. La Soprintendente è convinta che la strada imboccata sia ormai senza ritorno e che il patrimonio pubblico si ridurrà molto: il Ministro stesso ha raccomandato di porre quanti più vincoli è possibile per evitare alienazioni a scopo speculativo. In un breve intervento, non previsto dal programma, il Commissario della Fondazione Cariplo ha ammonito a non demonizzare la vendita del patrimonio pubblico alle fondazioni private, le quali sopperiscono alla mancanza di fondi statali per una buona conservazione dei beni culturali, e ha richiamato il ruolo dei proprietari fondiari nella tutela del paesaggio agrario. Ha concluso Massimo Giuliani, Segretario Nazionale INU, valutando molto positivamente il seminario e definendolo “ scandaglio preciso, corretto e appassionato del codice” . Richiamandosi agli interventi precedenti, egli ha sostenuto che il Codice Urbani si può considerare come “ percolazione” dei valori culturali percepiti dai cittadini e ha fatto appello alla cultura architettonica perché sempre meglio divulghi la convinzione che i beni culturali sono un valore di per sé, indipendentemente dai ricavi delle loro eventuali valorizzazioni.
non è altro che “ Architettura senza fissa dimora” . Il progetto, curato dal critico d’arte contemporanea Alessandra Galletta e da Antonio Borghi, consigliere dell’Ordine, è stato presentato durante la serata da Borghi stesso e da Claudio Scotto, direttore artistico televisivo. Grande attenzione per i dettagli ha contraddistinto il montaggio dei brani, tratti da famosi film quali La classe operaia va in paradiso, Gente di Dublino, Novecento atto I. I relatori hanno tenuto a rilevare come il cinema sia stato in grado di creare miti che si sono impressi nella memoria collettiva, pur rappresentando spesso situazioni non reali. Allo stesso modo l’architettura crea ambienti dal potere evocativo che influiscono sulla vita di chi li abita, rimanendone, a loro volta, influenzati; tutto ciò che accade in una casa è la casa stessa. Stimolanti le situazioni filmiche proposte: dalla “ lezione” surreale di architettura di Jacques Tati in Mon Oncle, alla casa di Frank Lloyd Wright in Intrigo Internazionale, alla degradata realtà delle periferie urbane degli anni ’60 in Rocco e i sui fratelli. Particolarmente pregevole la tecnica di montaggio dei brani per analogie e contrasti. Rimane il rammarico per non aver potuto apprezzare nella sua integrità il lavoro, frutto di una ricerca e di un’elaborazione sicuramente di valore, e la curiosità per la visione integrale dei film da cui sono tratti i singoli brani cinematografici. Convenzioni
• “Architettura senza fissa dimora” proiezione del video “ Panorama 2004 - Maison Cinema” : un montaggio di scene cinematografiche sul tema dell’architettura 1 luglio 2004 Sono intervenuti: Antonio Borghi e Claudio Scotto Arduo “ montaggio” per l’ultima serata del ciclo estivo 2004 dal titolo “ Architettura senza fissa dimora” . A causa di impreviste difficoltà nella proiezione è stato visionato uno solo dei due filmati dal titolo “ Panorama 2004 - Maison Cinema” , presentati alla Triennale in occasione della Festa dell’Architettura, lasciando parzialmente sulla carta le interessanti implicazioni della serata. “ Panorama 2004 - Maison Cinema” propone un montaggio di brani cinematografici sul tema dell’architettura residenziale e degli interni. Parte integrante di un più ampio programma che prevede per il futuro una serie di monografie sul tema del Monumento e della Città intesa come paesaggio costruito, il video vuole mostrare al pubblico di addetti ai lavori e non la fondamentale importanza dell’architettura nell’ambiente che viviamo servendosi dei mezzi dell’arte cinematografica, che – nella parole di Hervè Aubron e Cyril Nyrat –
L’Ordine degli Architetti ha stipulato una convenzione con la Casa di Cura “ Domus Patrizia” che offre a tutti gli iscritti particolari sconti sulla quota sanitaria. Si ricorda inoltre che tutti i dettagli delle convenzioni stipulate sono reperibili sul sit o dell’ Ordine (www.ordinearchitetti.mi.it) settore convenzioni. Comunicazioni • Il Comune di Milano ha inviato in data 5.5.2004 al nostro Ordine, per conoscenza e divulgazione, una comunicazione in merito alle “ false attestazioni del progettista abilitato riguardo opere dichiarate di manutenzione straordinaria” . • La ASL ha inviat o in dat a 31.5.2004 al nostro Ordine, per conoscenza e divulgazione, una comunicazione in merito alla modifica delle tariffe per prestazioni richieste da terzi. Entrambe le comunicazioni sono pubblicate sul sito dell’Ordine alla pagina: www.ordinearchitetti.mi.it/ news/novità_ser-htm
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Ripartire dal tipo Il numero di gennaio-febbraio de “ L’Industria delle Costruzioni” , rivista tecnica dell’Ance, offre una panoramica dell’architettura italiana tendenziosamente attenta alle esperienze che più guardano alle correnti di gusto internazionale; a quella “ Architettura Design” , come definita nel saggio introduttivo, fortemente centrata sui problemi della forma, sulle sue valenze comunicative e di linguaggio, e in cui il singolo manufatto diviene “ l’oggetto espressivo sintomo dei tempi, (...), che si pone come evento estetico transitorio ed al limite superfluo” . Un’architettura, dunque, vicina, per genesi concettuale, al mondo dei molti media della società di massa (design, grafica, moda) e dalla forte carica emotiva e retorica, ma proprio per questo effimera e mutevole, incapace di assurgere all’esemplarità di metodo e di ragionamento – di dimensione etica – che altri movimenti del passato (si pensi al Razionalismo), internazionali sì, ma per universalità astraente dei propri princìpi profondamente radicati nel corpus della disciplina, hanno saputo incarnare. La rivista dell’Ance, in altri termini, sembra confondere l’universalità degli assunti con l’internazionalità delle applicazioni, propendendo per una sorta di riedizione aggiornata dell’International Style anni ‘60/’70, dettata dai ritmi dell’innovazione tecnologica e informatica e dalla prepotente spinta omologante, oltre che da una evidente superficialità critica; in cui i manufatti denunciano esplicitamente la valenza soggettiva e tutta autobiografica dei percorsi di ricerca dei singoli autori, quando non un palese appiattimento sui diktat della produzione. Percorsi, come sottolineato da Rafael Moneo, nel saggio “ L’idea di durata e i materiali da costruzione” , che hanno quasi rinunciato alla materialità concreta del costruito, cioè a uno dei caratteri fondanti dello statuto linguistico disciplinare, e per i quali “ il problema di una condizione effimera è privo di importanza: le idee si possono perpetuare anche con altri mezzi di comunicazione” . Un’evoluzione, dunque, quella delineata dall’” Architettura Design” , indifferente ai singoli contesti insediativi e costruita per oggetti (se non
per immagini virtuali) che esibiscono narcisisticamente la loro individualità, laddove le grandi avanguardie storiche, proprio per il respiro universalistico, che era della loro ispirazione teorica, hanno sempre conosciuto riconoscibili declinazioni nazionali e manifestato una forte attenzione, fosse anche solo di analisi, per i tessuti edificati che pure intendevano rivoluzionare. Negli stessi giorni, per casuale coincidenza, si teneva a Milano la mostra “ Disegnare nelle città. Architettura in Portogallo (2004)” , con immagini e progetti della scuola portoghese, nella cui produzione poetica percepibile, con la memoria della passione civile del Movimento Moderno, si sente distinta l’eco di tratti e caratteri tipici dell’identità nazionale. Un’indagine, quella condotta dai protagonisti della scuola, attenta al territorio e ai singoli contesti insediativi, nonché ai processi di variazione e mutazione che li coinvolgono; attenta in altri termini al peculiare genius loci, ma, proprio per questa sua incessante operazione, di messa a fuoco di un dominio circoscritto, capace di una profondità d’analisi da cui trarre spunti e intuizioni di valore universale. Non a caso, forse, nella nuova Berlino, non è Postdamer Platz, con la sua “ Architettura Design” da generico centro direzionale occidentale, a rappresentare la miglior interpretazione dello spirito tragico della città, quanto piuttosto la ben più modest a unit à residenziale “ Bonjour Tristesse” di Alvaro Siza, malinconicamente posta a ricucire un lotto d’angolo a Kreuzberg. Ora, se è certo che l’architettura italiana attraversa da anni una lacerante crisi, per ragioni anche esterne allo specifico disciplinare, non è certo con gli effetti speciali della “ Architettura Design” che si individuerà una credibile via di uscita. Occorre piuttosto ripensare con passione e intelligenza alla nostra storia e alla nostra identità, al patrimonio di studi (si pensi a Saverio Muratori e Aldo Rossi) sul territorio e sulla città che costituiscono il profilo migliore del contributo critico italiano del secondo ‘900. Solo così si riuscirà, come accade per la scuola portoghese, a riannodare un dialogo con la complessità del mondo attuale e concorrere alla nascita di nuovi e fecondi “ ismi” universali. Solo così si renderà inattuale il monito, ancora invece attualissimo, di Giuseppe Pagano: “ Il confondere l’architettura moderna con simili balorde scenografie, il credere che arte moderna significhi bizzarria o nonsenso, il pretendere l’originalità ad ogni costo là dove è sufficiente l’onestà e la buona educazione, il volersi travestire da genii mentre abbiamo bisogno di costruttori attenti, diligenti e modesti: questi sono i pericoli contro i quali sta per naufragare l’architettura moderna italiana” (“ Architettura Nazionale” , in Casabella, n.85, genn.1935). Claudio Sangiorgi Milano, giugno 2004
Rassegna a cura di Manuela Oglialoro Ambiente “Neanche il Protocollo di Kyoto salverà il clima”. M eeting di San Rossore, pessimista la Banca mondiale. Prodi: “Mosca potrebbe ratificare l’intesa” (dal “ Corriere della Sera” del 17.7.04) Il quarto meeting di San Rossore è dedicato quest’anno al cambiamento climatico. Numeroso il pubblico tra gli addetti ai lavori e i giornalisti. Il Presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, definisce quest’iniziativa come un’occasione d’incontro tra “ enti locali, movimenti e intellettuali e non certo la sede per i governi, troppo complessa da gestire” . Nel meeting sono a confronto tra loro posizioni anche molto contrastanti di scienziati e ricercatori sul problema degli sconvolgimenti climatici. Architettura I ragionieri del Territorio. Una legge contro il degrado dell’Architettura in Italia (da “ la Repubblica” del 1.7.04) Il Parlamento si prepara a discutere la “ Legge sulla qualità architettonica” che porta a compimento il lavoro della DARC, la Direzione per l’Arte e l’Architettura Contemporanea, nata nel 2000 e auspicata da Bruno Zevi. La Legge rappresenta un passaggio importante nello scenario della cultura italiana, perché porta al riconoscimento formale del valore dell’ideazione e della costruzione dell’architettura, alla quale viene finalmente riconosciuta la dignità del pubblico interesse, in attuazione dell’Art. 9 della Costituzione: “ La Repubblica promuove lo sviluppo culturale e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” . Un riconoscimento necessario ad avviare anche in Italia, come nel resto d’Europa, idonee misure di promozione e di valorizzazione della cultura del progetto di architettura contemporanea. Aree metropolitane “Subito una superfiera M ilanoTorino”. Presentato il progetto Mi-To (dal “ Corriere della Sera” del 16.7.04) Viene ripreso il progetto “ Milano-
Torino” , quel grande disegno, di cui si cominciò a parlare negli anni Sessanta, che punta a legare il territorio tra i due capoluoghi in un’unica area. Il rilancio del progetto prevede un polo universitario di livello internazionale, un distretto integrato per gli studi, la ricerca e la produzione in campo medico e biotecnologico, una forte interazione fra le due fiere commerciali. Alla base della realizzazione sono fondamentali le innovazioni del sistema dei trasporti e delle infrastrutture: nuovi collegamenti ferroviari ad alta velocità, un unico sistema aeroportuale fra Malpensa, Linate e Caselle, nuovi assi stradali intercontinentali (come il “ Corridoio 5” che unirà Lisbona a Kiev passando per Lione, Torino, Milano, Verona e Trieste). Grattacieli New York riavrà le Torri. Risorge Ground Zero. Scelto il giorno dell’Indipendenza per la posa della prima pietra per la Freedom Tower a M anhattan (da “ la Repubblica” del 3.7.04) Per New York il 4 luglio 2004 non sarà una festa dell’Indipendenza come tante altre, sarà il giorno che darà il via ai lavori per la costruzione del più alto edificio del mondo: la Freedom Tower. Quando sarà completata nel 2009, la “ FT” con i suoi 1.776 piedi (circa 541 metri) surclasserà tutte le torri asiatiche, riportando a Manhattan il primato delle torri più alte. Tre giganti di vetro in Fiera. Vince Ligresti. Albertini: “mi aspettavo più verde” (da “ la Repubblica” del 3.7.04) La torre di vetro disegnata dall’architetto Arata Isozaki per la cordata CityLife sarà alta 218 metri, quasi cento più del Pirellone, e dominerà un pezzo di città che cambia volto. Il colosso assicurativo composto da Generali e Ras si è aggiudicato l’onore-onere di ripensare l’area del polo interno fieristico, o meglio i due terzi di esso, che tra un paio d’anni diventeranno un cantiere aperto. La torre più alta di Milano sarà accompagnata da due “ gemelle” , una di 175 metri, a forma di vela, disegnata da Daniel Libeskind, l’altra, di 185 metri opera dell’artista iraniana Zaha Hadid. L’intervento è completato dal progetto firmato anche dall’italiano Pier Paolo Maggiora, comprendente il Museo
del Design e l’attuale padiglione della Fiera destinato ad ospitare attività sociali per bambini.
da oltre 100 mila mq, i nuovi grattacieli della Regione e del Comune, ma soprattutto la Città della moda.
M ilano
M ilano riqualifica l’area M ontecity. Entro la fine dell’anno partiranno a Rogoredo i primi cantieri in una zona di 1,2 milioni mq (da “ Edilizia e Territorio” del 28.6-3.7.04) I primi cantieri entro l’anno. Parte la riqualificazione dell’area MontecityRogoredo, quasi un milione e 200 mila mq nel settore sudest di Milano. Stimati investimenti privati da circa 1,6 miliardi di euro. Sono già in corso le bonifiche dell’intera area, così Milano si riappropria di un intero quartiere da tempo abbandonato che ospitava gli stabilimenti della Montedison e delle acciaierie Redaelli. Il masterplan è stato realizzato dallo studio Foster. L’altezza degli edifici è vincolata dal vicino aeroporto di Linate, ma sono previsti insediamenti residenziali, terziari e commerciali.
“L’ippodromo? Cultura spettacolo e stile”. il M inistro Urbani: “giusto conservare, ma M ilano non diventi un museo”. La soprintendente: “ambiente da difendere” (dal “ Corriere della Sera” del 17.7.04) L’ippodromo di San Siro è monumento nazionale. Il ministero per i Beni culturali ha comunicato ufficialmente lo storico riconoscimento. La richiesta del Comitato di cittadini è stata accolta grazie anche all’intervento della Soprintendenza regionale che ha giudicato la struttura un complesso di valore architettonico e culturale. Si chiude una battaglia durata tre anni per bloccare il piano di lottizzazione che avrebbe trasformato l’area verde da un milione di metri quadrati in un quartiere residenziale. “Divieti e telecamere, si parte da Papiniano”. Piano del Comune per impedire l’attraversamento della città. Zona protetta fino ai Bastioni (dal “ Corriere della Sera” del 13.7.04) Sta per essere realizzato il “ centro a spicchi” , la nuova disciplina del traffico nel centro storico. Un sistema di anelli obbligati che impedirà l’attraversamento del centro e costringerà gli automobilisti ad entrare e ad uscire dallo stesso spicchio, evitando sconfinamenti negli altri settori. La prima sperimentazione riguarderà il settore Papiniano, Olona, Carducci, Magenta, Orefici, poi si estenderà a tutta la città. Ricerche Una zona con case e tanto verde è il sogno dei piccoli architetti. Esposti in galleria i lavori del concorso riservato alle scuole medie (da “ la Repubblica” del 2.7.04) I ragazzi delle scuole medie hanno progettato la Milano che vorrebbero negli spazi (255.000 metri quadrati) della vecchia Fiera. I lavori sono esposti fino al 24 settembre all’Urban Center. Un’idea di Fondazione Fiera Milano: aprire, per la prima volta, la città dei grandi ai più piccoli. Nei progetti la Milano desiderata si presenta a metà tra un sogno a colori e una città funzionale, futurista, dove ci sia acqua, verde e tanto spazio con piste ciclabili, campi sportivi, sale giochi, ma anche biblioteche. Progetti Milano, 685 milioni per il centro. Con la sigla dell’accordo di programma partirà il recupero dell’area Garibaldi-Repubblica (da “ Edilizia e Territorio” del 21-26.6.04) Si attendono le firme delle convenzioni dei privati con il Comune per definire la tempistica delle opere di urbanizzazione per l’area GaribaldiRepubblica. Gli oltre 230 mila mq in pieno centro a Milano abbandonati da circa 50 anni sono destinati a rinascere. L’area ospiterà un parco
Provincia Restauri di Villa Reale, parte la gara. Sopralluogo a M onza di dieci architetti finalisti del concorso internazionale da 106 milioni (dal “ Corriere della Sera” del 23.6.04) Il concorso internazionale d’idee organizzato dalla Regione Lombardia e dal Comune di Monza, comproprietari della struttura, sta dunque entrando nella fase determinante. Il sindaco di Monza, Michele Faglia, commenta: “ il sopralluogo è stato deciso per permettere ai dieci prescelti di toccare con mano la situazione e iniziare a farsi un’opinione precisa su quale strada seguire per pianificare la ristrutturazione” . L’intervento riguarda la parte di reggia di proprietà dell’amministrazione monzese e della regione: un settore del corpo centrale, l’ala Nord, l’ex scuola Borsa, l’Istituto d’arte, il Teatrino, la rotonda dell’Appiani, e la cappella. Apre la casa di riposo bio-ecologica. Vernici vegetali e schermature anti elettrosmog nell’edifico di Villasanta (dal “ Corriere della Sera” del 7.5.04) La nuova residenza sanitaria assistita di Villasanta è la prima in provincia di Milano ad essere realizzata con i princìpi della bioarchitettura, disciplina di progettazione che utilizza materiali naturali. “ Prima di partire con la costruzione – racconta il progettista Salvatore Crisafulli – sono stati effettuati due studi di carattere bioecologico: un’indagine ambientale per ricercare tutte le forme geopatogene e d’inquinamento ambientale, anche da elettrosmog, presenti nel sito. Poi è stata studiata l’armonizzazione ambientale, ovvero il modo migliore di suddividere gli spazi secondo i princìpi della cromoterapia” .
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Riletture a cura di Antonio Borghi Grattacieli a M ilano La primavera-estate di quest’anno ha portato a Milano le grandi firme dell’architettura mondiale prospettando loro grandi occasioni professionali, prima tra tutte l’imminente trasformazione del Polo interno della Fiera di Milano. Gli esiti di questo concorso sono stati
stordiscono le pareti specchianti, deformate, piegate su loro stesse, in un equilibrio instabile e dunque irrealizzabili salvo sostanziali successive modifiche. Napoleone, che conosceva bene Milano, e che per Milano ha voluto straordinari progetti, spesso non realizzati, diceva che gli uomini amano il meraviglioso e che sono anche disposti a farsi ingannare pur di riconoscerlo. Ecco, qui sta il punto: da una parte c’è un bisogno diffuso di una città che sappia farci meraviglia, che sappia interpetrare i nostri desideri, le no-
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commentati a caldo sui maggiori quotidiani nazionali con vari punti di vista che è interessante porre a confronto. In ordine cronologico iniziamo con l’intervento di Antonio Monestiroli su “ la Repubblica” del 5 luglio intitolato I nuovi grattacieli nella città delle meraviglie. Non credo sia il momento per entrare nel merito dei progetti per l’area della Fiera o dei progetti da poco approvati per il nuovo palazzo della Regione, o quelli di recupero urbano, i tristissimi PRU in via di realizzazione. Milano sta attraversando uno dei momenti peggiori della sua storia recente e dunque è giusto che questo si riconosca nei suoi progetti, ormai molti, affidati per lo più ad architetti che di Milano non sanno niente e forse pensano che non ci sia gran che da sapere. Tuttavia ciò su cui non si può tacere, almeno per rispetto delle migliaia di giovani che studiano architettura a Milano e della cui formazione mi sento in certo modo responsabile, è che questi progetti per lo più senza un significato riconoscibile, siano considerati esempi di nuova architettura, di architettura “moderna”. Non solo, ma che ad ogni presentazione di ognuno di questi progetti si parli di nuovo Rinascimento. Uno slogan lanciato forse da un’agenzia pubblicitaria per abbagliare o per stordire chi ascolta o legge sui tanti giornali che fanno eco a queste parole usate con leggerezza. Abbagliare e stordire proprio come abbagliano e
stre aspirazioni, i nostri ideali, dall’altra qualcuno pensa di meravigliarci con un gioco di specchi. E questo è intollerabile. Bisogna tornare a dire cosa è l’architettura senza paura di essere considerati fuori moda e dunque di essere fuori gioco. L’essere fuori gioco in certi momenti può essere anche un segno di serietà di chi crede che l’architettura sia l’arte di costruire edifici nelle cui forme riconosciamo la nostra umanità, in cui riconosciamo i valori civili su cui si è costruita la nostra cultura, sui quali si sono costruite le nostre bellissime città italiane che, malgrado tutto, sono ancora le più belle città del mondo. Dunque è sul concetto di meraviglia che dobbiamo intenderci. Meravigliose devono essere le forme con i loro inaspettati e virtuosi “ effetti speciali”, oppure meraviglioso deve essere ciò che le forme rappresentano, ciò che rendendosi riconoscibile attraverso di loro desta appunto meraviglia? Naturalmente penso che questa sia la giusta nozione di meraviglia e purtroppo a Milano di questo secondo tipo di meraviglia c’è poco (...) Dobbiamo decidere dunque, se questo è il destino di Milano, città degli affari, e allora lasciamo pure che continui il gioco degli specchi senza rallegrarcene troppo, oppure se possiamo, ma soprattutto se vogliamo, desiderare di più. Due giorni dopo, il sette luglio, il “ Corriere della Sera” affrontava lo stesso tema in terza pagina ripor-
tando due differenti punti di vista: un commento di Vittorio Gregotti intitolato Ma il futuro di Milano non sarà dei grattacieli e una intervista all’ex direttore di “ Domus” e della Biennale Architettura Dejan Sudjic che riportiamo nell’ordine. Si è concluso da qualche giorno il concorso per l’area centrale della Fiera che verrà abbandonata alla data del compimento della nuova sede in costruzione nel nordovest di Milano. Si tratta di uno degli episodi più tristemente significativi della bassa condizione in cui vive la cultura architettonica milanese, italiana e, in parte, anche internazionale. Il concorso è stato vinto dal gruppo finanziario-assicurativo formato da Generali, Sai e Ras, tra sei concorrenti, dei quali ne erano stati scelti tre. Scrivo del gruppo finanziario vincitore perché i nomi e i progetti degli architetti chiamati dai vari gruppi a collaborare non hanno contato quasi nulla. Ha contato soltanto l’offerta economica e l’affidabilità finanziaria con cui il vincitore ha superato gli altri concorrenti. Il progetto per altro era nato fin dall’inizio sotto i peggiori auspici. Densità eccessive, scarsi spazi verdi, ampia apertura alla monetizzazione degli standard del piano, tutti elementi contro i quali erano mosse osservazioni e ricorsi sinora rimasti inascoltati. I progettisti, buoni o meno buoni, scelti tra i nomi più alla moda e sovente assai lontani dalle specifiche questioni locali, sono stati comunque utilizzati come specchietti per le allodole così come i consulenti esterni (sociologi, economisti, storici, trasportisti) il cui parere è rimasto del tutto a livello accademico. La commissione giudicatrice di un concorso dall’evidente importanza urbana era formata solo dai componenti del consiglio di amministrazione dell’ente banditore. Il disprezzo per la cultura architettonica non potrebbe essere più ampio. Naturalmente sul piano giuridico l’Ente Fiera è un privato che si comporta come meglio crede. Toccherebbe piuttosto all’autorità comunale dare il giudizio sulle qualità e opportunità pubbliche del progetto vincitore: ma questo è impossibile che avvenga con la necessaria distanza critica essendo il Comune di Milano coinvolto politicamente ed economicamente nell’affare fin dall’inizio. Ma vi sono due altre questioni. La prima è la morfologia del progetto vincitore: il progetto vincitore sembra la rappresentazione dell’” horror show” omologato dalla opinione corrente dei gusti di massa. Che si trattasse di grattacieli nessuno aveva dubbi, date le barzellette su Hyde Park (su cui per altro non affacciano grattacieli) e il provincialismo della cultura milanese che vede ancora, dopo un secolo e mezzo dal proprio apparire, negli edifici alti un segno di modernità e simbolo di orgoglio cittadino, anziché una qualunque delle soluzioni tipologiche dell’abitare.
La seconda questione è quella del valore puramente mediatico dei protagonisti vincitori apparenti, evidente omaggio all’indifferenza globalista dei contesti culturali. Non voglio certamente fare appello a dazi culturali di stampo nazionalista, ma perché le équipes scelte sono quasi tutte di architetti non italiani? La risposta potrebbe apparentemente essere semplice e cioè che architetti buoni in Italia ce ne sono ben pochi; ma forse le cose sono più complicate di così. La questione della prevalenza degli stranieri (alcuni fra loro, intendiamoci, sono ottimi architetti) nei concorsi italiani degli ultimi anni è impressionante. (...) I concorsi internazionali fanno parte della storia della modernità anche se sovente essa ne è uscita sconfitta. Ma in quegli anni i concorsi erano almeno un momento significativo dello stato della cultura architettonica e non solo un confronto professionale o di mercato urbano come oggi. Va confermato subito che le partecipazioni internazionali sono un fattore assolutamente positivo anche se la reciprocità tra le varie comunità europee non è così frequente e negli Stati Uniti i concorsi pubblici sono rarissimi. Le cause del fenomeno dei concorsi italiani sono più complicate e allo stesso tempo più modeste. Vi è naturalmente una componente di superficiale snobismo che deriva però, in generale, dalla scarsa competenza specifica di chi sceglie. Un fattore che io spero minore (anche se presente) è la discriminazione politica. Ciò che conta veramente è che la scelta della “ vedette” straniera permette di non prendere partito nel dibattito intorno alla cultura architettonica, o meglio, permette di mettersi al riparo dalle critiche locali e di fare alla fine una scelta architettonica il più possibile astratta e alleata con le mode estetiche del momento nella speranza del consenso di massa. Naturalmente gli architetti stranieri conoscono bene questa situazione a loro favorevole e cercano di utilizzarla, anche se questo li spinge talvolta a considerare, con disinvoltura, l’Italia un paese coloniale. La cultura architettonica italiana ha certamente molti vizi, ma non sono pochi i talenti tra le giovani generazioni in grado di assumere la responsabilità di una tradizione con la coscienza di tutte le sue contraddizioni: almeno a questo dovrebbero servire i grandi concorsi. Di altro avviso Dejan Sudjic che risponde alle domande di Stefano Bucci. L’Italia sta uscendo da un periodo difficile, quello in cui gli architetti volevano fare solo i designer. Queste discussioni intorno ai nuovi progetti vogliono dire innanzitutto una cosa: che gli architetti hanno di nuovo l’intenzione di tornare a fare gli architetti. E questo è un bene. Come giudica i grattacieli di Libeskind, Hadid e Isozaki per la Fiera di Milano?
Sceglie un approccio trasversale Fulvio Irace, che parla dello stesso concorso partendo dalla visita ad una mostra al Moma Queens di New York. L’articolo si intitola Il grattacielo è ancora all’altezza ed è comparso l’undici luglio sul domenicale de “ Il Sole 24 Ore” . In attesa dell’annunciata mostra di settembre alla Triennale di Milano, i milanesi che si troveranno a New York dal prossimo 16 luglio potranno valutare in anteprima uno dei tre nuovi grattacieli che nel 2014, se il Comune darà il via al progetto, sorgeranno nell’area della Fiera. Basterà andare nella sede temporanea del MoMa al Queens dove, fino a settembre, resta aperta la mostra Tall Buildings, una finestra sul panorama degli skycraper di ultima generazione, costruiti o in via di realizzazione in quest’ultimo decennio, da New York a Pechino, da Londra a Hong Kong, a Chicago a Shangai. Infatti, tra i futuri supercolossi raccolti da Terence Riley e Guy Nordenson per rinfre-
scare un mito appannato dall’attacco kamikaze dell’undici settembre 2001, spicca quello progettato dal giapponese Arata Isozaki – capofila della cordata Citylife vincitrice per il concorso milanese per il cosiddetto “ polo urbano” della Fiera – nel nodo della stazione di Ueno a Tokyo. Il “ materasso” abitato, sorretto da quattro stampelle metalliche in diagonale, che chiude la trilogia milanese della saga internazionale firmata da Daniel Libeskind e Zaha Hadid, non è altro infatti che una copia conforme della megastruttura giapponese, che finisce dunque per confermare gli interrogativi di chi ha tacciato di resa al sensazionalismo mediatico l’annunciata stagione dei grands travaux milanesi. Esempio didattico di quell’aborrito International style che qualcuno tenta oggi di riciclare con il termine di globalizzazione, il doppio grattacielo modulare di Isozaki toglie ogni dubbio sul sostanziale disinteresse del mercato immobiliare – e, purtroppo, di politici e amministratori – per ogni seria analisi del ruolo dell’architettura nella codificazione della città: come in una parodia di un film di Verdone il “ famolo strano” sembra essere infatti l’unica regola certa di una professione che ha rinunciato alla pretesa etica di governare la trasformazione riducendo il governo del territorio a un problema di audience e di massa. Tanto da far venire in mente, davanti alle pretese di una tale “ modernità” , l’acre battuta di Noel Coward in Law and Order: “ Non so dove st ia puntando Londra, ma più si alzano i grattacieli, più si abbassa la morale” . Per quanto focalizzata su un ristretto campionario di venticinque esempi, la mostra di New York è da questo punto di vista molto istruttiva: indifferente al tema del disegno urbano e a tutto ciò che comporta la problematica dell’edificio alto in tema di consapevolezza energetica, di qualità ambientale e di scenario sociale, l’analisi dei curatori si sofferma sull’ambigua nozione di grattacielo come “ metafora” , descrivendone l’impatto sull’ambiente urbano in termini di “ambizioni scultoree nella tradizione dei colossi dell’antichità”. I cartocci di Gehry per il New York Times a Manhattan, il “ vibratore” di Foster nel cuore di Londra, i bicchieri sovrapposti di SOM per la jin Mao Tower a Shangai o la “ torre tortile” di Calatrava a Malmo sono in tal senso prototipi di una ricerca che alla lettura del contesto antepone la concentrazione sulla sfida strutturale, il brivido del “limite” tipologico, il raggiungimento dell’originalità del “ segno” . Certo, la storia del grattacielo, sin dalle sue origini nel XIX secolo, è sempre vissuta sul filo di un paradosso, dove l’ansia di prestazione in altezza si sposa senza contraddizioni con la richiesta della trovata pubblicitaria e la giustificazione della concentrazione puntuale si scontra con gli
effetti opposti della congestione urbana. Se la cultura urbana americana del primo novecento vi riconosceva “ il vero simbolo di un popolo strenuo e avventuroso, fiducioso nella propria forza e nel proprio potere” , quella contemporanea non può non misurarsi con il disincanto e con la diffidenza verso la teatralizzazione di miti artificialmente creati per mobilitare l’opinione pubblica e spostare i lrito della democrazia dal piano razionale a quello simbolico ed emozionale. Proprio la culla del grattacielo, New York, ne ha dato ampia dimostrazione con il deludente dibattito sul destino di Ground Zero e con l’ancor più risibile risposta al concorso per la riprogettazione delle torri gemelle di Yamasaki, che ha messo in drammatica evidenza l’incapacità di elaborare simboli come eventi collettivi, che non risultino fondati sulla base di una cultura condivisa. A scala meno eclatante, il caso di Milano ne costituisce uteriore conferma: da una poco meditata omologazione agli stereotipi della modernità del XXI secolo si è avanzato da più parti lo slogan martellante diuna rinascita dell’orgoglio urbano misurata dal numero dei suoi grattacieli e dalla eccentricità della loro proposta formale, spostando così la discussione dal piano del progetto sul futuro della città quello ambiguo del carisma dei simboli come motori di sviluppo. Che tutto questo possa essere considerato automaticamente un nuovo “ Rinascimento” pare molto discutibile, soprattutto considerando che nel “Rinascimento storico” l’Italia delle corti esportava all’estero la cultura del nuovo mentre oggi è costretta a riciclare nelle sue città quella che gli ritorna dall’esterno. Naturalmente l’ibridazione dei contenuti fa parte della storia del gusto e contribuisce da sempre alla stratificazione che è parte costitutiva della città europea. A patto di non dimenticare però che il valore dei simboli si conquista sul campo della storia, l’unica autorizzata a sancirli nella loro autenticità: la Torre Velasca è oggi un segno che qualifica in maniera indelebile la Milano del dopoguerra; ma il suo disegno finale fu l’esito di un tormentato iter progettuale alla ricerca di una soluzione il più possibile appropriata. Né nacque da un’istanza mediatica l’icona milanese del grattacielo Pirelli, alla cui forma esatta Gio Ponti arrivò dopo molt i t ent at ivi e messe a punto, dal Predio Italia di San Paolo in Brasile alla Torre Lancia di Torino. Breve e grammaticalmente un po’ incerto il contributo di Massimiliano Fuksas su “ L’espresso” del 15 luglio, che metteva la nuova sede della Regione in prima pagina, salvo poi dedicare a tutti i grandi progetti della “ New Milano” non più di due pagine nell’interno. L’intervento si inititola Ha vinto il migliore e prende le mosse, chissà perché, dal progetto del nuovo polo fieristico di Rho-Pero.
Il trasferimento di gran parte della Fiera di Milano a Rho-Pero, nella prossima periferia della città, ha avuto come logica conseguenza il cambiamento di destinazione d’uso dell’area della vecchia e celebre Fiera. I terreni dove per gran parte del secolo passato si è svolta la Fiera di Milano, oggi hanno una collocazione centrale rispetto allo sviluppo dell’intera città. Niente di più naturale che prevedere un quartiere nella stessa area dove era localizzata la Fiera. I 250 mila metri quadrati a disposizione sono un piatto ghiottissimo per i developers
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di tutto il mondo, specialmente se la localizzazione è così appetibile e favorevole. Intorno al tipo di sviluppo che dovrà avere i pareri sono stati molti e discordanti. Una parte della città e della cultura urbanistica pensava che Milano dovesse avere per futuro la competizione, in altezza, con le grandi capitali del mondo. Un’altra opinione era di costruire una logica “ orizzontale” molto più legata a quartieri e a un habitat di qualità. Il bando che la Fondazione Fiera Milano ha lanciato aveva per oggetto la cessione dell’area dell’antica Fiera a un consorzio di finanza, promotori immobiliari e si doveva tenere grande attenzione alla qualità architettonica e individuare studi di architettura di rilevanza internazionale. Era ben chiaro che, selezionando i migliori progetti, in un secondo momento si sarebbe presa la decisione finale, aprendo la segretissima busta con il prezzo offerto dal gruppo. Degli otto iniziali sono stati accettati alla seconda fase soltanto cinque partecipanti al concorso. In un ulteriore passaggio si è costituita la short list di soli tre partecipanti. I finalisti sono stati: il Consorzio di assicurazioni con capogruppo Le Generali e firmatari del progetto erano Isozaki, Hadid, Libeskind e Maggiora; il Gruppo Risanamanto con Foster e Gehry e per finire il gruppo formato da Real Estate e, come progettista, Renzo Piano. Le Generali con Allianz e RAS hanno offerto la cifra più elevata. Gli architetti che partecipano al successo sono, come detto, Isozaki, Hadid, Libeskind e Maggiora. Per la Fiera un ottimo affare. Ma gli architetti dei tre raggruppamenti sono tutti di ottima qualità. Viva il migliore.
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Sono il sintomo di una tendenza mondiale. L’Italia non è il solo paese al mondo dove si costruiscono grattacieli: ci sono grattacieli in Inghilterra, Austria, Germania, Olanda. Chi parla, in questo caso, di scelte provinciali sbaglia: provinciali sono queste critiche e andare contro questa tendenza. Da cosa scaturisce questa tendenza? Direi che sta prevalendo un modello asiatico, dove i grattacieli sono diventati ormai la norma. L’importante non è soltanto l’altezza, ma che i grattacieli non siano solo scatole. Grattacieli a Milano: una scelta giusta? I grattacieli fanno parte della storia architettonica di Milano, basti pensare alla Torre Velasca e al grattacielo Pirelli. Quando BBPR e giò Ponti li hanno progettati non erano certo provinciali, ma, al contrario cercavano di adattare un modello internazionale all’idea di una modernità tutta italiana. Come mai così tanti stranieri e così pochi italiani tra i nostri progettisti? La mia risposta potrebbe essere la stessa di prima. L’Italia non è il solo paese dove lavorano architettei stranieri: mi viene in mente il caso della Tate Modern o il nuovo progetto di Tadao Ando per quello che sarà il più grande museo di Parigi. Sarebbero stati provinciali gli italiani se avessero scelto i progettisti in base alla loro nazionalità e non, come nel caso della Fiera, in base alla qualità dei loro progetti. D’altra parte è anche una questione di storia. L’architettura è fin dalle sue origini un mondo senza frontiere, dove le cattedrali gotiche venivano costruite da architetti che viaggiavano. Al loro posto, adesso, c’è un gruppo di architetti internazionali con cantieri sparsi in tutto il mondo. E poi, che nazionalità potremmo dare a Zaha Hadid, irachena con passaporto inglese, o a Richard Rogers, inglese nato a Firenze?
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Rassegna di Valentina Cristini e Giulia Miele Franco Levi Cinquant’anni prima - dalle rovine belliche alle costruzioni funzionali Testo&Immagine, Torino, 2004 pp. 126, € 20,00 Cristoforo Sergio Bertuglia, Silvia Infusino, Andrea Stanghellini Il museo educativo Franco Angeli, Milano, 2004 pp. 160, € 14,00 Achille Barzaghi Gratosoglio, vicende storiche di Gratum-Solium. Dalle origini al 2000 Marna, Milano, 2004 pp. 102, € 8,00 Paul Virilio Città panico Raffaello Cortina, Milano, 2004 pp. 130, € 9,80 AA.VV. Villa Adriana environments Libreria Clup, Milano, 2004 pp. 198, € 15,00 Lorenzo Giorgio In bicicletta nelle aree urbane. Pianificare la mobilità ciclistica con metodi moderni. Il caso Milano Libreria Clup, Milano, 2004 pp. 368, € 30,00 Aldo Nove Milano non è Milano Laterza, Roma-Bari, 2004 pp. 146, € 9,00 Alfonso Cedron 900. Edilizia moderna a Treviso Vianello, Treviso, 2004 pp. 142, € 5,00 Carlo Lanza Dall’incarico alla parcella. Guida per architetti e ingegneri con esempi di disciplinari di incarico e di parcelle Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2004 pp. 162, € 23,00, con CD rom
Tre vite al limite
Zanotta: un lungo percorso nel design
Il verde nella città di Virgilio
Uscito nelle edizioni Christian Marinotti, il libro, in buon accordo con il titolo, si pone anch’esso piuttosto al limite accostando le vite di tre artisti assai diversi tra loro: Morandi, Rossi e Rothko. Contessi, ben consapevole dell’azzardo, naviga non senza destrezza nel mare da lui stesso agitato, individuando per queste esistenze (a suo giudizio portate all’estremo) capitoli nei quali vengono sviluppate, secondo differenti livelli, dotte comparazioni tra le vite, parallelismi successivi dai quali emerge il quadro variegato e teso delle analogie e delle differenze. Si tratta di un artificio stimolante per discutere di artisti diversi anche rispetto alla critica visto che, nel caso dell’opera di Rossi, bisogna ancora avviare una discussione documentata e approfondita all’altezza del personaggio. Un’esigenza ancor più sentita a causa delle diverse posizioni che emergono in modo occasionale e frammentario nelle discussioni sul difficile momento dell’architettura italiana dove a Rossi si attribuisce principalmente il ruolo di inventore di forme o anche (nei casi peggiori) di elaboratore di immagini. Si tratta di riduzioni improponibili per definire il contributo di un intellettuale che ha avuto la forza straordinaria di rimettere in piedi l’architettura riconfigurando per essa un corpusdisciplinare e un discorso teorico in grado di restituire dignità e autonomia in tempi in cui a dettar legge erano, insieme alla sociologia e all’urbanistica del retino, le simpatie lynchane, avvisaglie eloquenti dell’americanizzazione provincialistica da confine dell’impero. Oggi, in una situazione ancor più compromessa, occorre riflettere sull’eredità lasciata da Rossi affrontandone i nodi principali tra i quali, nel dilagare del soggettivismo, decisivo appare il rapporto tra oggettività e soggettività nell’opera, questione che, più di altre, attraversa e unisce le tre vite d’artista del libro.
Nel 1984, per celebrare i primi trent’anni di vita, la prima monografia: Mobili come architetture. Il disegno della produzione Zanotta; dieci anni più tardi veniva pubblicato Universo Zanotta. A scandire ora, nel 2004, il cinquantesimo dello storico marchio esce, con la curatela di Raffaella Poletti, un saggio che porta un titolo ancor più esplicativo: Zanotta. Design per passione. Passione, per un certo modo di concepire il progetto, che è stato l’approccio distintivo di Aurelio Zanotta (cui è dedicato il testo), imprenditore attento, sensibile al fascino degli oggetti, quindi curioso, entusiasta e insieme coraggioso, come buona parte della prima generazione degli imprenditori del design italiano. Qualità per cui Alberto Alessi, nel suo scritto introduttivo al volume, parla di una classe imprenditoriale di “ creativi” . Da intendere nel caso dell’azienda Zanotta come tensione continua all’innovazione e alla sperimentazione – tecnologica, materica, formale e cromatica – nel campo dell’abitare, ma con il preciso intento di non dimenticare passate esperienze internazionali di progetto d’arredo – dal razionalismo ai primi anni ‘50 – che divengono complementari nel poliedrico catalogo di questo marchio; produzione che si dà, in tal modo, quale paradigma di un percorso storico fondante, grazie anche alle illustri collaborazioni dei migliori tra i nomi del design. Le diverse fonti e il vivace materiale iconografico (oltre ai disegni e agli schizzi) compongono nel libro una gradevole topografia culturale dell’epoca, ritmata dall’indice in sei verbi – Scommettere, Immaginare, Fare, Progettare, Confrontarsi, Comunicare –, termini chiave per sintetizzare una fase, un aspetto saliente o un’idea guida della specifica vicenda.
Il volume presentato dall’Archivio Storico del Comune di Mantova raccoglie dodici contributi che tracciano un quadro preciso dell’evoluzione storica del verde pubblico della città dal XVIII secolo fino agli anni del secondo dopoguerra. I principali spazi verdi di Mantova sono studiati in maniera approfondita: Paolo Carpeggiani e Luciano Roncai trattano la genesi della Piazza e del Bosco Virgiliani, dalla costituzione della prima durante l’occupazione francese alla fine del ‘700, alla formazione del secondo in epoca fascista. Dario Franchini illustra le travagliate vicende dell’Orto Botanico e della Scuola Agraria, mentre Isabella Comin descrive l’attività di Giuseppe Roda, progettista di varie sistemazioni a verde novecentesche. Gli autori, inoltre, non si limitano ad illustrare la genesi, le trasformazioni e l’incidenza del verde urbano fino alla definizione della città moderna, ma lo esaminano nella sua attualità di “ risorsa” per il presente. Alberta Cazzani affronta, quindi, il tema della sua conservazione, mentre Franco Comini e Giorgio Grossi ne analizzano la gestione. Claudia Bonora, Carlo Togliani e Noris Zuccoli evidenziano la necessità di un censimento come base di partenza di nuovi studi estesi alla complessa articolazione dei numerosi spazi verdi, non soltanto pubblici, che costituiscono la trama di Mantova fino ai quartieri di più recente espansione. L’opera è corredata da un ricco apparato iconografico che propone immagini provenienti dalle raccolte fotografiche e dai fondi dell’Archivio Storico del Comune, la cui importanza è sottolineata da Claudia Bonora e Annamaria Mortari. Efficace e chiarificatore è l’accostamento di tali immagini a particolari delle recenti riprese dell’ortofotopiano della città del 2003, che evidenzia lo stato attuale del verde rispetto alle sue rappresentazioni storiche.
Paola Proverbio Maria Teresa Feraboli
Adalberto Del Bo
Gianni Contessi Vite al limite. Giorgio Morandi, Aldo Rossi, M ark Rothko Christian Marinotti, Milano, 2004 pp. 284, € 20,00
Raffaella Poletti Zanotta. Design per passione Electa, Milano, 2004 pp. 176, € 80,00
A. Mortari, C. Bonora Previdi (a cura di) Parchi e giardini pubblici. Il verde a M antova dalla fine del Settecento al secondo dopoguerra Publi Paolini, Mantova, 2004 pp. 176, € 30,00
La cultura del luogo
Prove tecniche di rappresentazione
Un’idea per Milano
Nel 1936 un giovane studente dell’Accademia di Belle Arti, André Wogenscky, autore di questo bel libro, entra nell’atelier di Le Corbusier: da quel momento, al termine di un colloquio durato più di un’ora, per trent’anni continuerà a frequentarne lo studio, diventando uno dei suoi più fidati collaboratori. L’approccio con il Maestro lo stupisce: aveva letto Verso un’architettura restandone entusiasta e “ si aspettava un così grand’uomo che non si sarebbe meravigliato vedendolo alto cinque o sei metri. E invece eccolo là: è un uomo semplice e nemmeno più alto di un piccolo studente timido” . Il libro ripercorre questo lungo tratto di vita vissuta a fianco del grande architetto francese. È proprio questo susseguirsi di ricordi ad affascinare. Ciò che appare con evidenza, percorrendo queste pagine, è come in Le Corbusier non vi fosse distinzione fra vita privata e “ vita del progetto” , come cioé anche le esperienze più personali fossero vissute dal Maestro francese con lo stesso spirito che animava la sua teoria progettuale e di conseguenza la sua opera. Erano le sue stesse mani a dimostrare tutto ciò: mani grandi, forti, “ incise da grandi solchi profondi. Mani vibranti, animate (...) mani che cercavano sempre, come il suo pensiero” ; la mano che amava toccare, per scoprire e conoscere; le mani che avrebbero disegnato tutta la sua opera. Dal punto di vista della composizione il libro si costruisce secondo un “ disegno” preciso. Sono cinquanta i capitoli di cui si compone. Si tratta di brevi scritti – ognuno con un proprio titolo, riassuntivo della questione trattata – per lo più racchiudibili in un’unica facciata, quella di sinistra. Sul lato destro invece, un’immagine , un disegno o una fotografia, illustra la questione, senza “ imporsi al lettore” ma piuttosto provocando in lui “ altre visioni” , permettendo una maggiore “ comprensione di Le Corbusier” .
In tempi di manualistica esasperata sembrerebbe possibile acquistare il libretto di istruzioni per trarre il massimo vantaggio dall’approccio conoscitivo: verso un’arte, verso i suoi prodotti, verso un luogo. In realtà la conoscenza pare avere ancora e sempre uno spessore non definibile a priori (e per la verità anche a posteriori) e tanto meno comprimibile. Questo bel libro di Luisa Ferro, direttrice della collana “ Trebisonda” per i tipi di Araba Fenice, ci restituisce i risultati di uno studio ravvicinato dell’Omada filon, il movimento nato in Grecia fra le due guerre, che aveva come obiettivo l’elaborazione di nuovi linguaggi poetici fondati sullo studio del luogo e sui caratteri della tradizione greca. L’approccio apparentemente molto specifico, considerando anche la particolare attenzione al discorso architettonico, in realtà si rivela proponibile alla più svariata tipologia di lettori per la reale generalità del tema trattato. I luoghi coinvolti in questa riflessione sono Atene, Egina e Delfi, nella storia recente del recupero della classicità e della produzione moderna, di pensiero ed opere. Ed ecco che di questi luoghi si crea nel lettore un desiderio complesso, fisico e letterario ad un tempo, un desiderio di reperti e di presente. La lettura dei luoghi suggerita diventa un possibile itinerario mentale o reale, un invito ad un viaggio nelle linee di connessione tra passato e presente che ci fa riflettere sulla complessità della cultura del luogo, sull’emozione profonda del rapporto con il luogo, ben espressa dal cammeo di Federico Bucci sulla luce dell’Acropoli.
Un piccolo libro che introduce, da un punto di vista disciplinare, al rapporto tra le tecnologie elettroniche ed il progetto di architettura, partendo da una conoscenza dei presupposti matematici che hanno consentito l’affermarsi ed il progredire di queste nuove tecnologie. Gli acronimi CAD, CAE, CAM, NURBS, le locuzioni “ espressioni booleane” , “ curve di Bézier” – che ricorrono nello scritto – indicano come nel mondo della rappresentazione digitale, e più in generale dell’elettronica, si sia consolidato un sapere con il quale probabilmente non è possibile rapportarsi in modo superficiale, esclusivamente strumentale, senza cercare di approfondire, ad esempio, le conseguenze di un uso architettonico della geometria non euclidea, della topologia, dei frattali od altro ancora. Nardini nel suo libro sostiene con entusiasmo che i nuovi strumenti comportano una profonda modificazione delle modalità del progetto. “ Il CAD (...) ha contribuito a passare da un pensiero progettuale bi-dimensionale, fatto di piante, prospetti, sezioni, dettagli, ad un pensiero tridimensionale e oggettuale che, attraverso la simulazione, tende a creare dei modelli dinamici dell’idea. In questo modo il momento più caratterizzante nella verifica del progetto non è più un’operazione a posteriori, per misurare “ ex post” delle intuizioni, ma diventa un fattore adattivo, che aggiunge informazioni in un processo unico e continuo di scelta e verifica” . Questione complessa e controversa che propone una riflessione più generale su come qualsiasi tecnica di rappresentazione abbia sempre avuto stretti rapporti biunivoci con il progetto di architettura, il quale, a sua volta, da sempre, si costruisce su determinate rappresentazioni. L’introduzione di Derrik De Kerkhove, studioso del rapporto fra architettura e nuove tecnologie, inquadra autorevolmente il problema in un ambito critico. Un agile glossario conclude il libro.
Per Milano è l’espressione di un’idea per una forma della città attuale “ che porti avanti la realtà” . Un lavoro di ricerca ancorato alla metropoli lombarda in cui i quattro autori di due generazioni diverse analizzano lo stato delle cose e provano a proporre quello che definiscono come un orizzonte critico. Un progetto per un’altra immagine possibile per un territorio nel quale i centri urbani e le strade di collegamento sono divenuti luoghi e vie, cittadini di un’unica città. Chiave analitica di quest’immagine sono cartografie in cui si individua il tema della fascia trasversale del territorio lombardo che attraversa la conurbazione milanese a nord del capoluogo in cui sono insediati 2,5 dei suoi 6,5 milioni di abitanti. Una vasta area eccentrica formatasi attorno agli elementi orografici e infrastrutturali che hanno connotato i caratteri dell’insediamento. Più di un terzo della popolazione in quattro ambienti da ovest a est, compresi fra Ticino e Bergamo: Busto-Legnano-Castellanza, il Saronnese, la bassa Brianza, il territorio fra Adda e Serio, che si estende fra i due aeroporti di Malpensa e Orio al Serio. È un’idea di città che più che lineare si propone come un intreccio seriale opposto alla monocentricità milanese e alla sua figura ossessivamente radiocentrica. Questa figura si appoggia ai dati della conurbazione per quello che essa è e per come si è venuta a formare. Lavorando sui frammenti che si sono susseguiti nella produzione concreta del territorio, il progetto si declina sostanziando diversamente gli interventi nei diversi ambienti territoriali. In questo montaggio ruoli strutturanti hanno le trame viarie e le reti degli insediamenti su cui si conformano nodi e modelli, individuando finalmente vere e proprie strategie compositive. Un libro che testimonia la necessità attuale di andare oltre la descrizione per trovare il progetto della città attuale nella sua rappresentazione.
Olga Chiesa
Giulio Barazzetta Martina Landsberger
André Wogenscky Le mani di Le Corbusier Mancosu, Roma, 2004 pp. 142, € 6,00
Maurizio Carones
Luisa Ferro In Grecia archeologia architettura paesaggio Araba Fenice, Boves (Cn), 2004 pp. 206, € 16,50
Marco Nardini Design virtuale. Il digitale nel progetto Mattioli 1885, Fidenza, 2003 pp. 112, € 12,00
C. Macchi Cassia, M. Orsini, N. Privileggio, M. Secchi Per M ilano Hoepli, Milano, 2004, pp. 176, € 24,00
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Informazione
Una vita con Le Corbusier
Mostre e seminari a cura di Sonia Milone
Informazione
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Rassegna mostre
Rassegna seminari
Il futuro Polo urbano di Fiera Milano 23 settembre - 24 ottobre 2004 XX Compasso d’oro 16 settembre - 14 novembre 2004 Milano, Triennale viale Alemagna 6 www.triennale.it
• Carlo Scarpa e la fotografia corso a cura di Italo Zannier 5-9 ottobre 2004 • La nascita di Vicenza. Arte e architettura nel rinascimento vicentino 21° seminario internazionale di storia dell’architettura a cura di Maria Elisa Avagnina e Howard Burns 8-11 novembre 2004 Vicenza, CISA via Contrà Porti 11 www.cisapalladio.org
Le vie dei canti. Dipinti aborigeni contemporanei Milano, corso Monforte 39 21 settembre - 19 ottobre 2004 www.aborigena.it Pittura 70. Pittura Pittura e Astrazione Analitica Gallarate (Va), Civica Galleria d’Arte Moderna viale Milano 21 10 ottobre - 7 novembre 2004 Marco Petrus Fondazione Piero Portaluppi via Morozzo della Rocca 5 7 ottobre - 10 novembre 2004 tel. 02 36521591 Geografie della Trasformazione Biella, Cittadellarte Fondazione Pistoletto via Serralunga 27 11 giugno - 14 novembre 2004 www.cittadellarte.it L’Archipittura. Rapporti fra pittori e architetti a Como negli anni fra le due guerre Como, Pinacoteca Palazzo Volpi via Diaz 84 24 settembre - 30 novembre 2004 www.GT04.org Da Raffaello a Goya. Il ritratto nella collezione del Museo di Belle Arti di Budapest Torino, Palazzo Bricherasio via Lagrange 20 1 ottobre - 9 gennaio 2005 tel. 011 5711811
Convegno arte e architettura nella diffusione dei media Milano, Fondazione Prada via Spartaco 8 12-16 ottobre 2004 tel. 02 54670515 Sostenibilità Architettura Industria delle costruzioni Seminario conclusivo di Dottorato di ricerca in tecnologia e progetto per la qualità ambientale e scala edilizia e urbana Milano, Politecnico, Fac. di architettura e società, Aula E. N. Rogers via Ampére 2 13 ottobre 2004 (ore 14.30) tel./fax 02 23995164 • Seminari di architettura a cura di D. Vitale 14-15 ottobre 2004 • Social Housing in Europa Convegno a cura di M. Molon e G. Ottolini 22 ottobre 2004 Milano, Politecnico via Durando 10 tel. 02 23997146
In cima. Giuseppe Terragni per Margherita Sarfatti. Architetture della memoria nel ‘900 Vicenza, Museo Palladio Palazzo Barbaran da Porto via Contrà Porti 27 giugno 2004 - 9 gennaio 2005 www.cisapalladio.org
Architettura e teatro Seminario internazionale sulle relazioni fra progetto di architettura dei teatri e arti sceniche Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza 23-24 ottobre 2004 tel. 05 22458912
Turner e Venezia Venezia, Museo Correr piazza S. Marco, Ala Napoleonica 4 settembre 2004 - 23 gennaio 2005 tel. 041 2405211
Pianificazione strategica per la valorizzazione e lo sviluppo socio-economico dell’Appennino Reggiano Corso di formazione superiore post-laurea gratuito per giovani laureati disoccupati Bologna, OIKOS centro studi dell’abitare via Caprarie 5 1 novembre 2004 - 5 marzo 2005 www.oikoscentrostudi.com
L’immagine del mito tra Magna Grecia e collezionismo Milano, Palazzo Reale piazza Duomo 12 23 settembre 2004 - 9 gennaio 2005
Lo spazio in movimento
L’essenza della trasparenza
Se la città è un teatro, non spegniamo le luci Milano, Comuna Baires via Faretto 11 28 giugno 2004
Le giornate del vetro (IV edizione) Stra (Ve), Villa Foscarini Rossi 17-18 giugno 2004
Riunitisi alla Comuna Baires, Massimo Cacciari e Giulio Giorello, moderati da Bruno Pischedda, hanno discusso il tema degli spazi nella città. Cacciari ha indicato la cifra della realtà contemporanea nel dissolversi della spazialità, nella liquidazione dei luoghi: siti che si trasformano in movimento. Le postmetropoli sono zone mobili, indefinite e indefinibili, percepibili più come durata, che non spazializzabili: attività erranti che escono da un punto stabilito e diventano impalpabili atmosfere. Se l’antica città era percepita come bella – poiché pensata teleologicamente, secondo metriche stabilite volte a suscitare un sentimento di piacere nei suoi abitanti – le attuali megalopoli, perso ogni legame a strutture privilegiate di riferimento, rivelano un’assenza di visione e disegno: spinte da un forte processo d’omologazione, smarriscono la propria peculiarità in un’estetica del brutto. I confini spaziali sfuggono alla determinazione e i residenti, da cittadini – soggetti agenti e responsabili dello spazio collettivo – sono divenuti semplici utenti di servizi – come ha sottolineato Pischedda. A f ront e di un evident e e progressivo svanire di luoghi e identità degli abitanti, Giorello ha rilanciato la funzione propulsiva degli spazi, indicandoli come occasioni per porre domande sul futuro, esprimere idee, critiche ed attese. Limiti e frontiere svaniscono irreparabilmente, eppure l’urgenza di punti di riferimento non si esaurisce. Dai luoghi nascono opportunità di presa di coscienza ed elementi di richiesta civile. La sfida raccolta da Cacciari è quella di trovare luoghi altri, instabili, fluidi, evanescenti, che sfidino i tempi senza perdere la propria funzione: fare cultura. Spazi capaci di trascendere il proprio dissolvimento, se è vero, come dice Hölderlin, che “ là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva” .
Le giornate del vetro, organizzate dal gruppo editoriale Reed Business Information e giunte alla loro IV edizione, sono ormai un appuntamento fisso per progettisti, rivenditori e produttori interessati, a vario titolo, ad approfondire questioni normative e realizzative delle tecnologie della trasparenza. L’incontro di quest’anno, in collaborazione con lo IUAV di Venezia, si è tenuto nella meravigliosa cornice di Villa Foscarini Rossi, sulla riviera del Brenta, e ha affrontato cinque principali aree tematiche: “ tecnologia del vetro & architettura” , “ sicurezza in termini di safety e security” , “ strutture vetrate” , “ trasformazione del vetro piano” , “ marcatura Ce e norme Cen” . Una rassegna a 360 gradi, che ha avuto i suoi momenti di maggior interesse nella disanima della norma Uni 7697 (sicurezza per l’utenza) condotta da Enrico Ceriani di Glaverbel, nell’analisi dei metodi e criteri di calcolo statico delle vetrazioni in funzione portante (Michel Palumbo e Carlo Alberto Zerboni) e nella presentazione degli ultimi risultati della produzione e della ricerca relativamente a vetri temprati, stratificati e induriti (Guglielmo Macrelli e Matteo Schiavonato della Stazione Sperimentale del Vetro). Significativa anche, delle ombre e delle luci nell’affermarsi di una cultura normativa presso la produzione, la puntuale indagine di Mario Checchin sulla conoscenza della marcatura Ce presso i trasformatori vetrari. Un tocco di poesia e di pura emozione architettonica, sono stati, poi, introdotti dai contributi di Permasteelisa, con le sue più recenti realizzazioni, dello studio Bellini (National Gallery di Melbourne) e, soprattutto, del gruppo di artisti e maestri vetrai artefici della affascinante scultura-simbolo, in vetro di Murano, “ Le ali di Venezia” , collocata sulla punta del Bacino di San Marco, davanti alla Chiesa della Salute. Claudio Sangiorgi
Irina Casali
Progettare sezionando
L’Egitto di Winckelmann
Ancor’oggi: Giuseppe de Finetti
Peter Eisenman Il giardino dei passi perduti Verona, Museo di Castelvecchio 26 giugno - 3 ottobre 2004
Renzo Piano & Building Workshop Genova, Porto Antico Porta Siberia 16 maggio - 31 ottobre 2004
Dall’opera all’operazione. Nessuna esposizione di modelli o disegni per la prima personale italiana di un architetto come Eisenman, per il quale l’architettura è innanzitutto territorio di analisi critica, ma un’installazione che si pone come la costruzione di una riflessione sulla disciplina. Nucleo generatore della sua recente ricerca è la lettura in profondità del contesto inteso come spazio multidimensionale, topologico, in cui si intrecciano e si stratificano epoche e storie differenti. Approfondimento ermeneutico, dunque, come scavo, anzi come i 5 scavi praticati a Castelvecchio nel giardino del museo con cui l’architetto ritrova “ il tempo perduto” della storia del castello e, soprattutto, della storia del restauro di Scarpa completato proprio 40 anni prima, come trama di fondo su cui ordire incessanti riletture e continue metamorfosi. Nel “ giardino dei passi perduti” , Eisenman si mette sulle orme lasciate da Scarpa per rivisitarne l’intervento, alla ricerca delle impronte, delle direzioni dimenticate, trascurate, rimaste nascoste nelle pieghe del tempo: non più passi perduti dunque, ma rimemorati, valorizzati, orientati in una dinamica delle potenzialità e rilancio perpetuo dei processi di significazione. Passi dunque le cui orme disegnano una danza in divenire che traccia sul terreno zone di differente intensità: i sentieri dei due architetti ora si incrociano ora si biforcano, ma sicuramente si annodano fondendosi in una configurazione dinamica, in una rete ricca di risonanze e connessioni. Centro dell’installazione è la reinterpretazione del tema del rapporto tra interno ed esterno impostato da Scarpa: il pavimento della galleria viene decontestualizzato come segno dall’interno del museo per essere riterritorializzato all’esterno, nel giardino, verso la città, a metafora, forse, di un tempo che deborda da ogni lato, oltrepassando le mura del castello, i confini del museo, per aprire l’orizzonte della memoria verso altri, ulteriori spazi.
L’opera di Renzo Piano si colloca lungo l’asse di un mutamento fondativo per la concezione moderna di spazio architettonico. Si configura cioè come l’esito contemporaneo del lento processo di rinnovamento interno alle tecniche di rappresentazione che, nell’affrontare assetti spaziali sempre più complessi, sostituisce lo strumento della proiezione in pianta con quello della sezione, garantendo a quest’ultima un maggior controllo nella prefigurazione progettuale degli effetti della luce sullo spazio. Tale processo, innescato dagli architetti francesi di fine ‘700, attraversa le varie stagioni della modernità e, lambendo i complessi confini della prefigurazione digitale, si proietta nella modernità. Se la pianta di un edificio non è capace di generare e descrivere i complessi fattori che determinano uno spazio, lo strumento preposto diviene la sezione, in grado di controllare gli effetti della luce sullo spazio progettato e capace, risolvendo i nodi e gli incastri delle superfici e dei piani, di generare l’idea regolatrice dell’intero progetto. Si potrà obbiettare che non esiste sezione senza pianta ma, assumendo il complesso e più che mai attuale assioma per cui le mutazioni delle tecniche di rappresentazione si traducono in rinnovate tecniche di composizione, questa mostra ci permette d’osservare le architetture di Piano come naturale proseguimento di questa mutazione. Spaccati, elementi costruttivi, plastici, accuratissimi modelli lignei e nessun disegno (o quasi) ci accompagnano lungo una produzione improntata sul prestigio dell’elemento costruttivo e sulla sua dilatazione a scala architettonica. Resta poi abilità di un grande architetto far sì che tale salto di scala avvenga in armonia con il clima e il sito in cui ciascun progetto è collocato, evitando che l’esito di suggestioni tecnologiche si traduca nel frequente e infelice paradosso del box ipertecnologico.
Winckelmann e l’Egitto. La riscoperta dell’arte egizia nel XVIII secolo. Ligornetto (Ti), Svizzera, Museo Vela, 6 giugno -14 novembre 2004
Giuseppe de Finetti 1892 - 1952. Milano, architettura e città Milano, Facoltà di Architettura Civile via Durando 7 - 8 giugno 2004
Una mostra dedicata al rapporto tra cultura neoclassica e arte egizia, visto attraverso il pensiero del padre della storia dell’arte J. J. Winckelmann. Nove sezioni allestite nella casamuseo dello scultore ticinese Vincenzo Vela, ricostruiscono le tappe fondamentali che portarono l’Egitto in Europa, dagli obelischi della Roma Imperiale agli studi sui geroglifici in epoca rinascimentale, dai primi viaggi compiuti in età moderna al collezionismo antiquario proliferato a nord delle Alpi. Winckelmann, considerato il fondatore dell’archeologia moderna e scopritore dell’arte greca, è presentato sotto la veste inedita dell’iniziatore di studi scientifici e oggettivi sull’Antico Egitto, ai cui stili diede, per primo, una strutturazione sistematica fondata su parametri iconografici, cronologici e stilistici. Paradossalmente la riscoperta dell’arte egizia avvenne a Roma, città ricca di materiali importati in età imperiale e parallelamente di opere d’arte realizzate su modelli dell’antico Egitto. La percezione di Winckelmann dell’arte egizia è dunque in buona parte frutto della sua esperienza italiana e soprattutto romana. Le sue riflessioni e i suoi testi influiranno profondamente sulla cultura e l’arte contemporanea, il periodo classico tedesco e il classicismo europeo si richiameranno a lui come principale esponente. La mostra, ideata dallo Staatliches Museum Ägyptscher Kunst di Monaco di Baviera, è curata da A. Grimm, M. Kunze e nella tappa di Ligornetto da G. A. Mina Zevi. L’iniziativa, oltre ad essere un’ulteriore conferma della collaborazione tra Museo Vela e importanti istituzioni culturali europee, mette in luce i legami tra lo scultore Vincenzo Vela e la cultura neoclassica, e in particolare la conoscenza del pensiero di Winckelmann del quale Vela possedeva una rara edizione dell’opera completa.
Il 7 giugno si è aperto, presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, il convegno internazionale su Giuseppe de Finetti, architetto milanese allievo di Adolf Loos. La figura e l’opera di de Finetti sono state a lungo al centro dell’attenzione di un gruppo di studiosi fin dal 1969, anno di pubblicazione dell’opera incompiuta Milano risorge, uscita con il titolo Milano costruzione di una città (oggi ripubblicata, in forma anastatica, da Hoepli con una presentazione di Guido Canella), per continuare con il catalogo della mostra svoltasi alla Triennale nel 1981 (Giuseppe de Finetti. Progetti 1920-1951, elaborato dagli stessi curatori del precedente volume: Giovanni Cislaghi, Mara De Benedetti e Piergiorgio Marabelli). Gli interventi, tra loro eterogenei, hanno delineato con chiarezza l’immagine di de Finetti uomo e architetto: dal commovente Il mio Beppi di Peter Worthington, figlio americano dell’architetto, all’originale e pregnante Il diario di Thelma di Mara De Benedetti; dal puntualissimo Milano: l’architettura della città di Giovanni Cislaghi, all’emozionante “ Pensieri direttori” al nostro fianco di Cesare Pellegrini, oltre ai contributi, tra gli altri, di Guido Canella e Daniele Vitale. In concomitanza con l’apertura del seminario è uscito il secondo dei Quaderni del Dottorato in Composizione Architettonica, Giuseppe de Finetti (1892-1952). Architettura e progetto urbano curato da Francesca Floridia e Daniele Vitale, antologia di scritti di autori vari. La questione de Finetti, finalmente, torna ad essere problematica centrale nello studio della città e nella progettazione d’architettura, nonché, dal punto di vista di uno studente, imprescindibile approccio alla questione milanese; antica prospettiva innanzi ai mala tempora che – tacitamente – paiono tempestare la scena dello star system d’oggi.
Matteo Baborsky Gianluca Gelmini
Carlo Gandolfi Sonia Milone
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Informazione
Sulle tracce di Scarpa
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno 2001 2002 2003 2004
Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00
Febbraio 1435,31 1467,96 1504,37 1537,02
Marzo
Aprile Maggio Giugno 1440 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1470 1480 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1510 1509,4 1511,91 1513,16 1514,42 1540 1538,28 1542,04 1544,56 1548,32
2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2001
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2002 2003
Indici e tassi
2004
Gennaio Febbraio
Marzo
Luglio
Agosto Settembre Ottobre 1450 1447,86 1447,86 1449,12 1452,89 1490 1481,77 1484,28 1486,79 1490,56 1520 1518,19 1520,7 1524,46 1525,72
Novembre Dicembre 1455,4 1456,65 1494,33 1495,58 1529,49 1529,48
1549,58
novembre 1978: base 100
dicembre 1978:100,72
Aprile
Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82 513,69 514,56 515,86 520 519,78 520,64 522,38 523,25 523,69 524,12 525,43 526,29 527,6 528,03 530 530,21 531,94 532,38 533,68 534,55 535,86 536,29
Novembre Dicembre 503,70 504,13 517,17 517,6 529,34 529,34
3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)
anno 1995: base 100
Anno
Gennaio Febbraio
Giugno
2002 2003 2004
111,80 112,18 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24 113,43 113,62 113,91 114,2 114,29 114,77 114,97 115,35 115,54 115,64 115,73 116,02 116,21 116,50 116,60 116,89 116,89 117,08 117,46 117,56 117,85 118,04 118,33 118,42
Marzo
Aprile
Maggio
Luglio
giugno 1996: 104,2
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno 2002 2003 2004
Gennaio Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
dicembre 2000: 113,4
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
102,73 103,08 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05 104,23 104,4 104,67 104,93 105,02 105,46 105,64 105,99 106,17 106,26 106,34 106,61 106,79 107,05 107,14 107,40 107,40 107,58 107,93 108,02 108,28 108,46 108,73 108,81
4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
gennaio 1999: 108,2
Anno
Gennaio Febbraio
2002 2003 2004
107,67 108,04 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05 109,24 109,42 109,7 109,98 110,07 110,53 110,72 111,09 111,27 111,36 111,46 111,73 111,92 112,19 112,29 112,56 112,56 112,75 113,12 113,21 113,49 113,67 113,95 114,04
5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
anno 2001: base 100
gennaio 2001: 110,5
2001 2002 2003 2004 103,07 105,42 108,23 110,40
6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
Luglio
anno 1999: base 100
anno 1995: base 100
1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08
7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51
novembre 1995: 110,6
1999 2000 2001 2002 2003 2004 111,52 113,89 117,39 120,07 123,27 125,74 anno 1997: base 100
febbraio 1997: 105,2
2001 2002 2003 2004 108,65 111,12 113,87 116,34
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.
Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.
della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U.
4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%
14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003
Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “ Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
10,35% 9,85%
2,01% +7
dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
9,10%
Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)
Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160)
9,01%
dal 1.1.2004 al 30.6.2004
Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.
2,02% +7
9,02%
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).
Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.