AL 10, 2005

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

PRESENTAZIONE Davide Boni

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EDITORIALE Stefano Castiglioni

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LINEE GUIDA Interventi di Giulia Rota, Gian Angelo Bravo, Anna Rossi, Marco Prusicki

Direttore Responsabile Stefano Castiglioni Direttore Maurizio Carones

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Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Sara Gilardelli Martina Landsberger Direzione e Redazione via Solferino 19 – 20121 Milano tel. 0229002165 – fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it

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Progetto grafico Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa Mancosu Editore spa via Alfredo Fusco 71/a – 00136 Roma tel. 06 35192255 – fax 06 35192260 e-mail: mancosueditore@mancosueditore.it http://www.mancosueditore.it Concessionaria per la Pubblicità via Alfredo Fusco 65 – 00136 Roma tel. 06 35192280 – fax 06 35192269 e-mail: isi.spa@mancosueditore.it Agente pubblicità per il Triveneto: Mass Media – Giacomo Lorenzini via Silvio Pellico 1 – 35129 Padova – tel. 049 8088866 per la Lombardia: Media Target – Michele Schiattone viale Italia 348 – 20099 Sesto S. Giovanni, Milano tel. 02 22476935 Graphic Point – Alessandro Martinenghi via Haussmann 11/d – 26900 Lodi tel. 0371 32158 – cell. 335 5258146 per le Marche: Elisabetta Arena via del Mare 59 – 62019 Recanati, Macerata tel. 071 7573099 – cell. 335 8134146 per il centro sud: Alexander Tourjansky via Francesco Satolli 30 – 00165 Roma – tel. 06 630427 Stampa ati spa – Pomezia, Roma Rivista mensile: Spedizione in a.p. – 45% art. 2 comma 20/b – Legge 662/96 – Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 29.000 copie Abbonamento annuale (valido solo per gli iscritti agli Ordini) € 3,00 Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la Redazione di AL

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LE ESPERIENZE DEI COMUNI La redazione del Piano dei Servizi Milano L’inquadramento territoriale del Comune Cucciago (Como) Robbiate (Lecco) I servizi esistenti sul territorio Abbiategrasso (Milano) Cesate (Milano) Identificare i bisogni di servizi Parabiago (Milano) Lazzate (Milano) Verano Brianza (Milano) Como La valorizzazione delle aree verdi Lodi L’offerta e la domanda di servizi Desenzano del Garda (Brescia) Mantova Quali strumenti per il governo del Piano Rozzano (Milano) Cremona Limbiate (Milano) TAVOLA ROTONDA Interventi di Francesco Karrer, Marianella Sclavi, Manuela Ricci, Sandra Bonfiglioli, Stefano Castiglioni, Marco Engel, Fausto Curti

10 OTTOBRE 2005

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Territorio e Urbanistica

Assessore al Territorio e Urbanistica Davide Boni Direzione Generale Territorio e Urbanistica Direttore Generale: ing. Mario Nova via Sassetti 32/34, 20124 Milano www.regione.lombardia.it UnitĂ Organizzativa Pianificazione Territoriale e Urbana Dirigente: arch. Gian Angelo Bravo Struttura Recupero e Sviluppo Urbano Dirigente: arch. Diego Terruzzi UnitĂ Operativa Progetti di Trasformazione e Recupero Urbano Responsabile: arch. Mario Covelli tel. 02 6765 4321 / 5336 fax 02 6765 6093 e-mail: mario_covelli@regione.lombardia.it


Davide Boni Assessore al Territorio e Urbanistica Regione Lombardia

3 PRESENTAZIONE

Coinvolgimento e confronto: è il percorso che il mio Assessorato sta conducendo, a partire dal mio insediamento, in merito alle scelte di pianificazione territoriale per arrivare già nel 2005, ai necessari affinamenti della nuova legge regionale sull’urbanistica e per garantire l’efficacia dell’azione degli enti pubblici e la rispondenza alle esigenze del territorio e alla sua salvaguardia. Una serie di incontri e di audizioni, che vedono protagonisti tutti gli operatori del settore, Enti Locali e Ordini professionali. Un primo risultato è stato colto all’inizio di agosto, con l’approvazione, da parte della Giunta Regionale, delle modifiche di legge riguardanti i sottotetti: un provvedimento che completa il quadro normativo di governo del territorio, dà certezze agli operatori e ai cittadini, con norme chiare e precise, decisamente orientate a favorire le esigenze delle famiglie. Riferimento essenziale per le politiche dei prossimi anni sarà la rivalutazione delle identità locali, in un quadro generale dominato certo dal principio di sussidarietà, cardine di ogni processo devolutivo, ma che non deve diventare sinonimo di “deregulation” totale. Occorrono strumenti di controllo soprattutto per evitare abusi e scempi edilizi, che metterebbero a grave rischio la qualità della vita dei cittadini lombardi. Compatibilità fra ambiente e sviluppo, dunque, con l’obiettivo primario di salvaguardare e valorizzare la bellezza del nostro territorio. E poi occorre utilizzare al meglio i mezzi già a disposizione dalla legislazione regionale, quali il “Piano dei Servizi.” La Legge 12 sul governo del territorio riconferma e conferisce autonoma dignità a questo strumento, introdotto nella legislazione lombarda con la Legge 1/2001, che aveva delineato il Piano dei Servizi come elaborato obbligatorio del Piano Regolatore Generale, per l’attuazione di una concreta politica dei servizi di interesse pubblico. Con tale legge lo standard urbanistico era stato ripensato, passando da un disegno astratto e onnicomprensivo della rete dei servizi alla redazione di un progetto coerente ed integrato di offerta, valutato nella sua fattibilità, con funzione, oltre che di soddisfazione della domanda, di effettiva qualificazione di un territorio e di sostegno alla sua competitività. Il Piano dei Servizi rappresenta ora il punto di partenza e di arrivo dell’azione dei diversi soggetti che operano nel campo dei servizi alla popolazione e alle imprese e, in quanto tale, costituisce il punto di equilibrio tra domanda ed offerta di servizi, cioè l’offerta sostenibile, con il concorso di tutti i soggetti (pubblici, privati, terzo settore, no profit) chiamati a concorrere alla sua realizzazione. È garanzia, inoltre, di trasparenza delle operazioni, in quanto fornisce certezze al promotore derivanti dalla conoscenza di obiettivi ed esigenze generali o di specifiche parti di città, utili alla concezione dei progetti di intervento. Il Piano dei Servizi si configura quindi come uno strumento principalmente di programma: atto che coordina ed orienta plurimi centri di spesa in funzione di finalità ed obiettivi di sviluppo predeterminati, pur avendo ricadute anche in termini di disegno del territorio, in quanto struttura portante del sistema urbano e, in particolare, dello spazio pubblico della città.


Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 31.3.06) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 14.12.05) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Quintino G. Cerutti, Maura Lenti, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 30.6.05)


“AL” aveva già dedicato 3 anni fa un numero al problema del Piano dei Servizi a seguito sia della pubblicazione della L.R. 1/2001 (che dopo un iter controverso con ripetute eccezioni sollevate dal Commissario di Governo era entrata in vigore sancendo il criterio dello “standard qualitativo”), sia soprattutto della successiva delibera G. R. del 21/12/2001 “Criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi” che ne aveva prefigurato, e per così dire anticipato, i successivi sviluppi. La scelta di riaffrontare detto tema è stata dettata dalla considerazione che il Piano dei Servizi, così come ora definito dall’Art. 9 della L.R. 12/2005 non appare affatto una semplice trasposizione nella nuova Legge Regionale Urbanistica di quello che era stato in precedenza definito come “elaborato obbligatorio del PRG”, ma costituisce piuttosto un ulteriore sviluppo, o più propriamente, “la componente strutturale del nuovo Piano di Governo del Territorio”. In proposito basti solo rilevare che, se in precedenza era stato introdotto il superamento dello “standard quantitativo”, ora viene sostanzialmente modificato il “concetto stesso di standard” nel senso di “sistema comprensivo della totalità della gamma di servizi di interesse generale” (sia pubblici che privati). Si tratta di una concezione di servizio non più coincidente con quella di dotazione di aree, ma nemmeno con quella di specifiche strutture, in quanto di fatto appare estensibile ad una tipologia di opzioni e soluzioni di soddisfacimento del bisogno pubblico, tendenzialmente illimitata. Se il grado di libertà metodologica configura indubbiamente un’ampia scelta di opportunità, tuttavia non può non produrre un certo disorientamento un testo legislativo che si limita a criteri di massima, obiettivi perseguibili e in sostanza a fornire “linee guida” senza le certezze e la rassicurante “copertura” di parametri convenzionali e codificati. Va inoltre osservato come un inevitabile ulteriore adeguamento potrebbe determinarsi in conseguenza dell’emanazione della Legge quadro nazionale del territorio (ormai in dirittura d’arrivo) che prevede lo sdoppiamento del “Piano urbanistico comunale” in “strutturale” e “operativo” (secondo il modello già proposto dall’I.N.U.) a differenza dell’articolazione in tre atti del P.G.T. della Regione Lombardia. Non è dunque da escludere sin d’ora un ulteriore prossimo adeguamento della Legge Urbanistica Regionale, in ossequio al carattere “concorrente” della materia, con la fusione del primo atto del P.G.T. e cioè del “Documento di Piano” con il secondo (il “Piano dei Servizi”) in un’unica elaborazione riassuntiva, assimilabile al sopracitato “Piano Strutturale”. In realtà per la legislazione del territorio è in corso un complesso processo di ridefinizione concettuale che non consente allo stato attuale di circoscriverne direzioni e limiti: come riferimenti applicativi possibili restano solo i riscontri di una sperimentazione attenta e dell’esito di esperienze esemplari da promuovere e diffondere. Stefano Castiglioni Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Piano dei Servizi: un percorso da completare


Linee Guida per la Città dei Servizi

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L’Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici della Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia ha presentato il 31 marzo 2005 nella manifestazione “Progetto Città” il risultato di un lavoro svolto nell’ambito dell’attività di monitoraggio sulla attuazione da parte dei Comuni di quanto previsto dall’Art. 7 della Legge Regionale 1/2001 (oggi abrogata dall’Art. 104 della L.R. 12/2005) relativamente alla redazione del Piano dei Servizi. Tale lavoro si è concretizzato con la redazione di un manuale operativo “Piano dei Servizi – Linee guida alla redazione”, che descrive le possibili fasi di elaborazione di un prodotto che si è dimostrato complesso e che, se non opportunamente predisposto, può portare ad un mero adempimento burocratico, privo di reali effetti sulla capacità di governance degli Enti Locali. Nell’ambito del convegno è stata distribuita una bozza di stampa del manuale e sono state presentate alcune esperienze comunali, ritenute rappresentative del processo per la redazione del Piano dei Servizi. Tale strumento diviene uno degli elementi costitutivi del nuovo Piano di Governo del Territorio Comunale. Mario Covelli, Unità operativa Supporto alle Amministrazioni Locali per la redazione del Piano dei Servizi, Regione Lombardia

Perché è fondamentale occuparsi dei Servizi? Presentazione del manuale: “Il Piano dei Servizi: Linee Guida alla redazione” di Giulia Rota Dirigente Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici, Regione Lombardia

Presento qui il risultato di un lavoro cui hanno partecipato, unitamente alla Regione Lombardia, Direzione generale Territorio e Urbanistica – Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici, il Dipartimento Interateneo di Pianificazione Territoriale e Urbanistica dell’Università La Sapienza di Roma (prof. Francesco Karrer e prof. Manuela Ricci), i Comuni di Abbiategrasso e Limbiate e due dottorande del Dipartimento BEST della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Nell’ambito del lavoro di monitoraggio sull’attuazione da parte dei comuni di quanto previsto dall’Art. 6 della Legge Regionale 1/2001, oggi abrogata, relativamente alla redazione del Piano dei Servizi si è evidenziata la necessità di supportare i Comuni stessi con un manuale operativo, che descrivesse le possibili fasi di un lavoro che si è dimostrato complesso e che facilmente è scaduto in un adempimento burocratico, privo di reali effetti sulla capacità di governance degli enti locali. Tale lavoro risulta tanto più opportuno oggi, a seguito della recentissima approvazione della nuova Legge Regionale n. 12 del 16/3/2005 “Legge per il Governo del

Territorio”, nel cui ambito il Piano dei Servizi assume la dignità di atto autonomo, costitutivo del Piano di Governo del Territorio dei Comuni. Le linee guida sono costituite da un manualetto, di cui viene distribuita oggi una bozza di stampa, che contiene, nell’ambito di un percorso descritto per fasi, alcune indicazioni metodologiche di approccio al lavoro di redazione del Piano dei Servizi, nonché la sintesi di alcune esperienze operative. Una versione informatizzata del testo è stata inserita in internet, all’indirizzo web www.ppurb.it. Tale versione è un ipertesto e consente di linkare, attraverso parole chiave del testo base, a una serie di testi e documenti di approfondimento, che saranno via via aggiornati. Si fornisce così l’opportunità, a chi lo desideri, di reperire elementi di approfondimento delle tematiche trattate. L’intenzione, ambiziosa, sarebbe quella, nel futuro, di costituire intorno alle “linee guida” un repertorio delle migliori pratiche, che costituisca riferimento e stimolo alla crescita di una cultura amministrativa orientata alla nuova funzione di governance, cui gli enti locali sono chiamati. Lo scenario internazionale, infatti, sta evolvendo da un modello di globalizzazione, nel quale erano dominanti l’uniformità e omogeneità dei prodotti e dei comportamenti, a un modello di competizione multilocale, nel quale diventa strategica la valorizzazione dei diversi sistemi socio-economici-territoriali. In questa prospettiva la pubblica amministrazione locale deve assumere sempre più il ruolo di promotore dello sviluppo territoriale, tramite il sostegno a progetti e accordi con imprese, istituzioni finanziare ed altri soggetti economici e sociali. L’ente locale è chiamato, inoltre, a creare le infrastrutture materiali e immateriali, i servizi appunto, che costituiscono i fattori di successo per le aree sulle quali si estende la sua competenza. La tematica dei “servizi” è, inoltre, oggi elemento centrale di quelle politiche di coesione ed integrazione che l’Unione Europea richiama come indispensabili per una reale competitività. La competitività, infatti, è strettamente dipendente dal contenimento dei costi delle transazioni, che a loro volta dipendono dal livello di coesione e integrazione delle popolazioni nei territori, in quanto ne limita la conflittualità. Da qui emerge l’importanza di un’azione degli enti locali che sappia compiere il salto qualitativo dall’erogazione diretta di servizi all’effettiva risposta ai bisogni di una società sempre più caratterizzata da unicità dei soggetti, differenziazione e complessità. Tale salto qualitativo dipende in larga misura dalla capacità delle amministrazioni locali di esercitare, da un lato, un ruolo di ascolto dei bisogni dei propri cittadini e, dall’altro, una funzione di coordinamento e integrazione delle possibili fonti di risposta. Preparazione adeguata e competenze multidisciplinari non tradizionali sono indispensabili per poter affrontare efficacemente queste nuove sfide. L’importanza di fatto-


Il sistema del verde: connessione tra il territorio rurale e la città di Gian Angelo Bravo Dirigente Unità Organizzativa Pianificazione e Programmazione Territoriale, Regione Lombardia

Nel 2001 la Regione Lombardia ha approvato il Piano Territoriale Paesistico regionale affermando il principio che la tutela, la valorizzazione e il miglioramento del paesaggio è obiettivo proprio dei diversi livelli di governo del territorio. In sintonia con la Convenzione Europea per il Paesaggio, il Piano riconosce che il miglioramento della qualità paesistica del territorio è un passaggio fondamentale nel miglioramento dei luoghi dell’abitare e quindi della qualità della vita tout court. Per questo i diversi enti e attori che agiscono sul territorio sono chiamati a farsene carico sia nello svolgimento delle loro attività di pianificazione urbanistica e territoriale che in quelle di progettazione degli interventi. In questo quadro l’attenta pianificazione e progettazione degli spazi aperti e delle aree verdi assume un ruolo strategico nella valorizzazione paesistica sia del paesaggio urbano che di quello extraurbano. Ruolo non sempre riconosciuto e attribuito in modo esplicito dagli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale e spesso trascurato dai progetti di trasformazione. Alla fine del 2001 la Direzione Territorio e Urbanistica ha affidato all’IReR un incarico di ricerca finalizzato ad indagare i possibili contenuti di “Linee Guida per la valorizzazione delle aree verdi, con particolare riferimento alle aree di connessione urbana”. La finalità della ricerca era quella di veri-

ficare come la pianificazione e progettazione del sistema delle aree verdi, quale componente del più ampio sistema degli spazi aperti, potesse contribuire a definire nuove solidarietà città-campagna e offrire nuove opportunità di valorizzazione e riqualificazione delle aree di frangia urbana. La ricerca si è sviluppata a partire dall’esame di alcune esperienze significative italiane ed estere per indagare poi la possibile applicazione a livello locale delle indicazioni contenute nel Piano Territoriale Paesistico Regionale, tenendo presenti le possibili sinergie con altri documenti di indirizzo regionali, tra i quali anche quelli riferiti al territorio rurale, ed ha proceduto sulla base di due principali ipotesi di lavoro: • l’approccio intersettoriale con specifica attenzione anche agli aspetti ecosistemici del paesaggio; • l’approccio locale quale punto di partenza per una piena valorizzazione delle identità locali. I risultati della ricerca sono stati discussi all’interno della Direzione Territorio e Urbanistica nel corso del 2003 e nel gennaio 2004 è stato presentato alla Giunta Regionale il Documento finale di Linee Guida quale utile contributo conoscitivo e metodologico per la pianificazione e progettazione integrata delle aree verdi, indirizzato a progettisti ed enti locali ma anche ad operatori e cittadini. Nel 2005 il Documento viene pubblicato corredato da due importanti allegati: una selezione dei casi studio più significativi e una simulazione di applicazione dell’approccio metodologico proposto su di un caso concreto, per dare concretezza anche tramite rappresentazioni cartografiche e iconografiche alle parole. Le riflessioni sviluppate appaiono oggi quanto mai attuali alla luce della nuova Legge per il Governo del Territorio e in particolare in riferimento all’impostazione del Piano dei Servizi per la parte relativa alla progettazione e programmazione degli interventi sul verde e sugli spazi pubblici più in generale. I vantaggi di un approccio paesistico al tema appaiono quanto mai manifesti: • procedere secondo un approccio intersettoriale che legge a sistema nelle loro interconnessioni aspetti naturali e storico-culturali del paesaggio, indagando le relazioni strutturali, simboliche e percettive che li legano; • partire dai caratteri propri di un luogo per capirne le relazioni con il contesto paesistico di riferimento; • studiare il contesto paesistico per cogliere con più chiarezza peculiarità e potenzialità di valorizzazione dei diversi luoghi.

Spazi aperti, verde e paesaggio per la qualità dell’abitare

di Anna Rossi Struttura Piano Paesistico, Regione Lombardia Gli Indirizzi di tutela del Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.) affidano ai piani urbanistici e territoriali il compito di “individuare le azioni e i progetti atti a tutelare

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ri quali le capacità di relazione, lo scambio informativo e l’integrazione richiedono di focalizzare l’attenzione non tanto verso l’adeguamento delle competenze professionali tradizionali, quanto piuttosto verso l’orientamento ad un nuovo sistema di riferimenti. Ciò che appare necessario è, infatti, imparare a ragionare diversamente e questo, nel contesto delle competenze di pianificazione, significa superare approcci teorici centrati sull’astrazione, valorizzando l’esperienza in campo, l’osservazione delle dinamiche attivate e la sperimentazione di nuove competenze concrete sulla base delle pratiche quotidiane. I protagonisti del convegno sono le amministrazioni comunali, che abbiamo chiamato a testimoniare, secondo un filo logico che segue le fasi delle “linee guida”, le esperienze concrete messe in atto sia nell’ambito della redazione del proprio Piano dei Servizi, che di altre pratiche ad esso riconducibili per le modalità di approccio. Il dibattito che seguirà tenterà di fare il punto sul valore delle esperienze in corso e sulla loro reale operatività e tenterà di aprire nuove finestre sulle dimensioni temporali delle politiche dei servizi e sull’importanza dei processi partecipativi nella formulazione di decisioni efficaci, in quanto condivise.


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i diversi tipi di presenze e strutture verdi caratterizzanti il paesaggio, urbano ed extraurbano, e a garantirne la messa a sistema nel disegno del verde locale e territoriale”. La Direzione generale Territorio e Urbanistica con l’incarico di ricerca all’IReR su possibili “Linee Guida per la valorizzazione delle aree verdi, con particolare riferimento alle aree di connessione urbana” ha avviato un’approfondita riflessione sul rapporto verde, paesaggio e qualità dei luoghi dell’abitare. In particolare ha cercato di individuare un percorso metodologico da proporre ad enti locali e progettisti per rendere operativa ed efficace la messa a sistema e la valorizzazione delle aree verdi: • partendo dall’attenta lettura dei caratteri dei diversi paesaggi locali; • mettendo in sinergia i diversi atti di indirizzo e criteri regionali; • facendo tesoro dei risultati di esperienze già condotte in Italia e all’estero su questo tema anche sotto il profilo attuativo e gestionale. L’approccio proposto si fonda su alcuni assunti base di un certo rilievo che vale la pena ricordare e rimarcare, non appaiono infatti scontati: • le aree verdi sono da leggersi quale componente del più ampio sistema degli spazi aperti; • il sistema degli spazi aperti nel suo complesso può assumere il ruolo di ordinatore del disegno urbano e territoriale; • l’attenta progettazione degli spazi aperti e del verde può divenire momento e strumento per la valorizzazione, ricostituzione e re-interpretazione delle relazioni fisiche, visive, strutturali e simboliche tra i diversi luoghi e le diverse componenti del paesaggio. Impostare il tema su questi assunti permette di assegnare alla pianificazione e progettazione delle aree verdi un ruolo strategico nel miglioramento del paesaggio urbano, a partire dai caratteri dello spazio pubblico o pubblicamente fruibile, riconnettendo la città al suo territorio. Nello stesso tempo permette di valorizzare il paesaggio agrario ed extraurbano ma anche di porlo a confronto e in dialogo costruttivo con la città. Leggere la città con il suo territorio permette altresì di valorizzare o assegnare nuovi significati alle relazioni che legano o possono legare tra loro i diversi centri, nuclei edificati e poli urbani, ma anche valorizzare al meglio le strutture morfologiche ed ecosistemiche del paesaggio naturale. Ed è soprattutto nelle aree di frangia urbana e per quei brani di territorio “dimenticati” dai processi di urbanizzazione e infrastrutturazione del territorio che si aprono in quest’ottica le maggiori opportunità di qualificazione o riqualificazione. Come precisato nel P.T.P.R., una “lettura della tessitura del territorio agricolo e degli spazi aperti, contestuale a quella delle regole di organizzazione del tessuto urbano” diviene quanto mai importante nei territori caratterizzati dalla mancanza di saldatura tra paesaggio urbano e paesaggio rurale, nelle aree contraddistinte dal degrado e dalla marginalizzazione fisica e funzionale, vale a dire in quei luoghi in cui il primo obiettivo paesisti-

co è il recupero dell’identità fisica, culturale e visiva. È proprio a partire dagli spazi aperti che in questi ambiti si aprono nuove possibilità di caratterizzazione paesistica e di dialogo e integrazione tra spazio urbano e spazio rurale. L’approccio paesistico, che permette di leggere i luoghi nella loro complessità e allo stesso tempo evidenziarne le peculiarità specifiche, è stato ritenuto particolarmente efficace nell’impostazione di un percorso che permetta di mettere a sistema, in un “disegno alto”, interventi di ricomposizione della rete ecologica capillare e interventi di valorizzazione della struttura storica del territorio, azioni volte a migliorare le opportunità di fruizione e progetti di riqualificazione di ambiti degradati e marginali. Un percorso che considera i grandi sistemi di paesaggio avendo sempre presente il punto di vista locale.

Le linee guida per “la valorizzazione delle aree verdi”

di Marco Prusicki Professore associato di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano Per impostare una politica locale di valorizzazione degli spazi aperti e del verde coerente con gli obiettivi generali già delineati, a nostro parere occorre innanzitutto condividere tre obiettivi: • correlare strettamente la pianificazione e la progettazione degli spazi aperti e delle aree verdi del territorio considerato, al progetto di paesaggio delineato alle scale superiori (regionale, provinciale), fondato sulla ricostituzione di una rete ecologica capillare connessa al sistema del verde territoriale esteso e sulla tutela/valorizzazione della struttura storica del territorio; • ristabilire un rapporto equilibrato e virtuoso tra “sistema del verde” e “sistema complessivo delle acque”, riconoscendone il ruolo fondamentale nella strutturazione del territorio e nel sostenerne i processi vitali; • sperimentare modalità e strumenti operativi (di accompagnamento al processo pianificatorio e attuativo) che siano idonei a sviluppare nelle diverse situazioni specifiche, modelli insediativi autosostenibili. Il processo di valorizzazione degli spazi aperti e del verde si costruirà quindi a partire soprattutto dal recupero “critico” dell’esistente, ponendo particolare attenzione: • ai capisaldi della struttura ambientale e paesistica consolidata, agli elementi di lunga durata del territorio considerato; • a tutti gli elementi di criticità che possono essere virtuosamente trasformati: dagli elementi del sistema delle acque che presentano un elevato rischio idraulico e inquinologico, agli specchi d’acqua residuali; dalle bonifiche agricole a bassa produttività, alle aree inedificate in attesa di essere urbanizzate; dalle aree industriali dismesse, alle parti del tessuto urbano morfologicamente e


linee generali di trasformazione del territorio che si intendono perseguire, e sull’attivazione di procedure interattive attraverso le quali coinvolgere i diversi soggetti interessati nelle scelte, per la fase progettuale le linee guida propongono di ricorrere all’elaborazione di due strumenti che andrebbero resi fortemente complementari tra loro: • lo scenario strategico di valorizzazione degli spazi aperti proposto come strumento guida principale per la pianificazione, progettazione, gestione e controllo degli interventi sul sistema del verde, che si basa sull’individuazione degli elementi e dei sistemi di elementi dello spazio aperto significativi nei diversi contesti, e sulla valutazione delle politiche locali in atto; • il Piano del verde, capace di tradurre e specificare i contenuti strategici generali formulati per i diversi ambiti di intervento, in un’ottica di superamento della logica degli interventi settoriali sul verde che tendono ad affrontare le diverse occasioni progettuali in se stesse, e di fornire indicazioni operative generali e puntuali per la progettazione e la realizzazione, l’attuazione e la gestione, per il controllo delle iniziative pubbliche e private che hanno rilevanza nell’ambito territoriale considerato, definendo gli opportuni riferimenti tecnici anche attraverso la creazione di “repertori di esempi” e/o di “interventi tipo” individuati per ambiti locali.

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funzionalmente degradate; dai tracciati dequalificati della trama agricola o insediativa che suggeriscono possibili prolungamenti nel territorio, all’indeterminatezza delle relazioni visive fra emergenze naturali o edilizie. Tali elementi possono essere utilizzati per definire una “rete” che dal territorio aperto penetri nelle aree urbanizzate seguendo preferibilmente le linee dei corsi d’acqua e i tracciati della viabilità storica. Questa rete può consentire la riscoperta e il recupero di luoghi, di segni e di manufatti significativi, fornendo nuove opportunità per lo sviluppo di attività culturali, per il tempo libero e lo svago. Lungo le maglie di questa rete, nelle diverse situazioni insediative, le parti del paesaggio possono essere ricomposte in sistemi di spazi aperti che, attraverso opportuni interventi, non solo assumano una maggiore valenza ambientale, ma possano costituire le direttrici privilegiate per ricondurre a coerenza e integrare tra loro i possibili interventi di recupero e riqualificazione del costruito. Sono sistemi articolati lungo “corridoi” di connessione tra i tessuti urbani e il territorio aperto che si sviluppano attraverso gli “ambiti” di particolare pregio naturalistico da salvaguardare o le aree di degrado paesistico da recuperare alla fruizione, che ridisegnano i “margini” delle aree urbanizzate incuneandosi al loro interno per riqualificarle in sintonia con le loro regole morfologiche. Questi divengono i “nodi” del sistema: vasti spazi aperti a diversi livelli di fruizione che comprendono presenze naturalistiche da tutelare, parti di paesaggio da riprogettare, aree agricole da riqualificare, aree verdi anche di piccola dimensione interne ai tessuti urbani consolidati da ridefinire in coerenza con il sistema complessivo di riferimento. Per ciò che attiene alle pratiche analitiche, l’approccio proposto (locale e ecosistemico) non solo ha comportato la necessità di superare i tradizionali criteri di classificazione degli spazi aperti e delle aree verdi, ancora troppo spesso basata sulle destinazioni d’uso e/o su semplici parametri dimensionali, ma anche la necessità di descrivere e interpretare la struttura degli spazi aperti e delle loro forme di organizzazione spaziale in relazione alla specificità dei diversi paesaggi (urbani, periurbani, rurali e naturali) di cui costituiscono elementi fondamentali ed entro i quali gli stessi elementi costitutivi assumono valenze diverse; è stata quindi innanzitutto formulata un’ipotesi di classificazione degli “spazi verdi”, le cui categorie sono state definite in relazione alle diverse concezioni (di città, di territorio, di paesaggio) di cui essi sono espressione tangibile. L’approccio proposto ha reso anche necessario individuare modalità e strumenti operativi da affiancare a quelli abituali, capaci di sviluppare efficacemente, nei diversi contesti, il difficile processo di messa a punto di un nuovo modello insediativo autosostenibile. Con riferimento a metodologie ormai largamente sperimentate, fondate sulla predisposizione di elaborati non vincolanti, ma capaci di rappresentare sinteticamente le


Milano Piano di Governo del Territorio

LE ESPERIENZE DEI COMUNI

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Progettisti Responsabile del Procedimento: Giovanni Oggioni (Direttore del Settore Pianificazione Urbanistica Generale del Comune di Milano); Coordinatore: Marino Bottini (Responsabile del Servizio di Coordinamento Pianificazione Generale del Comune di Milano) Consulenza giuridica: A. Brambilla; Consulenza urbanistica generale e settoriale: L. Cima, F. Pomilio, P. Riganti, P. Roccatagliata, I. Romanini, B. Vielmi; Gruppo operativo: A. Bigatti, C. Lucotti, S. Muscarino, L. Pallotta; Elaborazioni: S. Cutrupi, N. Dall’Asta, P. Esposito, C. Paoletto, M. Pialorsi, F. Pozzi

Cronologia luglio 2003, delibera di Giunta Comunale; dicembre 2004, progetto preliminare; in corso, Piano di Governo del Territorio Milano Superficie territoriale: 181,77 kmq Popolazione residente: 1.340.418 ab Densità demografica: 7.373 ab/kmq

In applicazione della L.R. 12/2005, il Comune di Milano sta predisponendo il Piano dei Servizi, come parte costitutiva del nuovo Piano di Governo del Territorio. La costruzione del Piano dei Servizi si basa sull’analisi dei servizi di livello locale e sovralocale, in riferimento alla dotazione esistente (nei caratteri di qualità, fruibilità, accessibilità) e al fabbisogno rilevabile. Il Piano individua il Catalogo dei servizi di interesse pubblico e generale ovvero l’offerta attuale nella realtà milanese, censita all’interno di un database georeferenziato che raccoglie caratteristiche quanti /qualitative dei servizi. Inoltre, il


A fianco: il Catalogo dei servizi di interesse pubblico o generale. È una prima individuazione delle attività che possono considerarsi “di servizio” per la città ed i suoi fruitori: rappresentano un insieme molto ampio di funzioni, aggiornabili nonché modificabili nel tempo. Il Catalogo ha le caratteristiche di un elenco che censisce i servizi distinti in: categorie (sanità, istruzione, cultura, servizi socio-sanitari, ecc.), tipologie (p.e. asili nido) e sottotipologie (p.e. nidi e micronidi).

I servizi e il verde di livello locale e le Aree Locali di Servizio. Come unità territoriali di riferimento per l’analisi e la valutazione dei servizi locali o di quartiere, vengono assunte le Aree Locali di Servizio (ALS). Queste sono subaree delle zone di decentramento, e vengono definite anche come aree di pedonalità sicura nell’accessibilità ai servizi.

Piano contiene l’analisi del sistema della mobilità: le situazioni di potenzialità e criticità attuali, la programmazione in corso, l’accessibilità dei servizi. Il tema della domanda è affrontato considerando: l’analisi dei fabbisogni per tipologie di servizi; l’analisi dei fabbisogni riferita alla dimensione del quartiere (delle aree locali di servizio). L’analisi tiene conto delle caratteristiche delle strutture esistenti e della popolazione servita/non servita, utilizzando parametri e informazioni riferiti a ciascuna tipologia di servizio. Per ogni area locale si analizzano: le caratteristiche dell’area e dei servizi presenti; le risorse territoriali disponibili e

accessibili; le criticità della dotazione dei servizi; le opportunità per la nuova programmazione. Il Piano non mira alla localizzazione puntuale di nuovi servizi (esclusi quelli già in programmazione), ma ha l’obiettivo di fornire una base conoscitiva ed indicazioni adeguate per la nuova programmazione. Le indicazioni derivano da un insieme di criteri che vengono forniti per la realizzazione di nuovi servizi e per il potenziamento delle attrezzature esistenti: rispondere alla domanda esistente e prevista attraverso un utilizzo delle risorse territoriali disponibili e accessibili nonché attraverso la

creazione di sistemi integrati di servizi. È dato un peso rilevante all’impostazione di un metodo organizzativo in grado di accompagnare il Piano nelle fasi di costruzione e applicazione delle conoscenze relative ai servizi esistenti e programmati. L’organizzazione coinvolge una rete di lavoro che accompagnerà il Piano nella sua attuazione/aggiornamento e che costituisce un importante punto di partenza per l’avvio di una procedura che dovrà essere consolidata e condivisa all’interno dell’Amministrazione e con le istituzioni, pubbliche e private, coinvolte nelle politiche dei servizi della città e della regione urbana.

LA REDAZIONE DEL PIANO DEI SERVIZI

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Cucciago (Como) Revisione del Piano Regolatore Generale

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Progettisti TP4 Associati – Angelo Avedano, Barbara Laria, Roberto Laria, Giorgio Motta Cronologia marzo 2002, adozione agosto 2003, approvazione Cucciago (Como) Superficie territoriale: 4,96 kmq Popolazione residente: 3.215 ab Densità demografica: 648 ab/kmq

Il Piano dei Servizi del Comune di Cucciago, elaborato in concomitanza alla Revisione Generale del Piano Regolatore, è stato uno dei primi Piani presentati in Regione Lombardia. Il Piano dei Servizi è stato redatto alla fine del 2001 ed adottato, unitamente alla Variante Generale al Piano Regolatore nel mese di marzo del 2002, a soli due mesi dalla pubblicazione, da parte della Regione, della circolare contenente i “Criteri orientativi” per la redazione del Piano stesso. Il lavoro che viene presentato è relativo alla prima delle fasi che hanno guidato la stesura del Piano: la fase di inquadramento territoriale, di particolare rilevanza anche


A fianco: inquadramento territoriale. Questa tavola di inquadramento territoriale illustra le principali caratteristiche geografiche e paesistiche del Comune di Cucciago. Si tratta di un Comune posto in una fascia collinare, a circa 350 m s.l.m. Rientra nell’ambito del Canturino e della Brianza Comasca e fa parte del costituendo Parco sovracomunale della Brughiera. Vengono qui illustrate le principali vie di comunicazione viabilistiche e ferroviarie e i principali Parchi presenti sul territorio.

I servizi indagati. La tavola illustra quali sono stati i servizi per i quali si è ritenuto indispensabile considerare un ambito più vasto di quello del Comune di Cucciago: Mobilità e trasporti; Istruzione secondaria superiore; Sanità; Assistenza anziani; Giustizia e sedi staccate degli uffici finanziari dello Stato; Attrezzature sportive; Servizi tecnologici; Sistema del verde; Grande distribuzione.

nel caso di Comuni di limitate dimensioni. Al fine di poter meglio individuare il complesso delle esigenze e delle necessità di servizi della popolazione di Cucciago si è ritenuto opportuno inquadrare il Comune in un ambito territoriale più vasto ed individuare i servizi, o meglio, il sistema dei servizi di cui il territorio è dotato ed il suo grado di fruibilità ed accessibilità da parte dei cittadini. È infatti impensabile che un Comune di limitate dimensioni, poco più di tremila abitanti, sia in grado di offrire risposta positiva ad ogni tipo di richiesta, dall’istruzione superiore all’assistenza ospedaliera, dalle case di riposo alle strutture

sportive e così via. E quand’anche, paradossalmente, fosse in grado di farlo si assisterebbe ad un inutile ed antieconomico proliferare di strutture che finirebbero per creare un irrazionale sperpero di risorse ed energie. Dal punto di vista geografico il comune di Cucciago è collocato in una fascia territoriale densamente popolata, nelle immediate vicinanze del Comune capoluogo di provincia. Particolarmente significativo è il ruolo che esercita la città di Cantù che, in questo ambito territoriale rappresenta una polarità di fortissima attrazione. Cantù infatti dispone di una dotazione di servizi di

carattere sovracomunale di buon livello, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Va notato infine che particolarmente stretti sono tradizionalmente i rapporti che legano Cucciago a Cantù anche perché i due Comuni sono collegati, anche in termini fisici, da un edificato che non presenta soluzioni di continuità.

L’INQUADRAMENTO TERRITORIALE DEL COMUNE

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Robbiate (Lecco) Piano Regolatore Generale

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Progettisti Consulente scientifico: Giancarlo Motta (Politecnico di Torino) Progettisti: Ivano Bonetti, Maurizio Carones, Antonia Pizzigoni Collaboratori: L. Arlati, B. Colombo, D. Crevenna, G. Enni, E. Moroni, R. Viscardi Cronologia agosto 2003, adozione Robbiate (Lecco) Superficie territoriale: 4,70 kmq Popolazione residente: 5.057 ab Densità demografica: 1.075 ab/kmq

La progettualità della carta Il PRG di Robbiate sperimenta la centralità della carta nelle pratiche descrittive e progettuali del Piano facendo leva sulla progettualità della rappresentazione cartografica e promuovendone una diversa e più operativa valorizzazione. La carta isola i diversi aspetti del reale rappresentandoli in figure differenti, rendendo utilizzabili gli apporti di diverse discipline. Questa, che è da sempre una caratteristica della rappresentazione cartografica, è oggi esaltata e resa facilmente praticabile dalla struttura a strati della cartografia informatizzata. La particolarità delle carte tematiche può diventare uno strumento che va ben


A fianco: le Carte dei luoghi urbani. Sono presenti due sistemi di luoghi pubblici: il primo, di antica formazione, corrisponde alle piazze che si aprono agli incroci stradali negli antichi nuclei; il secondo, più recente, lungo la via Milano ha i caratteri di una attuale strada mercato. Il progetto conferma il ruolo urbano sia delle piazze negli antichi nuclei sia dell’asse della via Milano prevedendone tuttavia un allargamento della sezione con viali, aree di sosta e cesure trasversali che aprono la vista sul paesaggio circostante.

Le Carte della residenza. Le soglie storiche elaborate sullo sviluppo della residenza mettono in evidenza una crescita che segue la rete delle antiche strade campestri. Più che a una nuova forma urbana il progetto si può ricondurre a una rimessa in gioco della forma del territorio agrario capace di risolvere, attraverso elementi diversi come la costruzione di piste ciclabili o l’allargamento delle sedi stradali, le contraddizioni che sono state prodotte da un uso dell’antica rete viaria non attenta alle nuove destinazioni.

oltre quello di una semplice modalità descrittiva, facendo emergere aspetti della costruzione del territorio capaci di porsi come premessa ai diversi progetti. Cartografia e Progetto di Piano L’Amministrazione ha posto tre questioni prioritarie: il contenimento di nuove espansione di edilizia residenziale e la valorizzazione di quella esistente; l’organizzazione di un sistema di giardini e parchi pubblici appoggiato quelli esistenti, ai campi sportivi e alle aree di parco regionale comprese nel territorio comunale; l’importanza che i luoghi pubblici hanno in una struttura insediativa dispersa co-

me è quella di Robbiate e dei Comuni vicini. Ad ognuno dei temi il Piano risponde con la stesura di un progetto specifico. Le Carte della residenza, le Carte degli spazi verdi, le Carte dei luoghi urbani costituiscono tre progetti per tre scenari differenti. Ogni progetto dà una risposta completa ed esauriente ai problemi sollevati, definendo la forma che il luogo assumerebbe se il particolare tema posto fosse portato, dal punto di vista progettuale, alle sue conseguenze estreme. Compiutezza dei progetti e flessibilità del Piano I progetti parziali si applicano a ciascun

tema in modo non mediato dal rapporto con gli altri, consentendo di esplorare le potenzialità di ogni scenario progettuale. Ciò costituisce uno strumento di consapevolezza amministrativa e di controllo dei processi di trasformazione del territorio e dei suoi insediamenti. Alla precisione dei progetti riferiti alle tematiche principali, supportati dalle rispettive tecniche di elaborazione cartografica, fa riscontro infatti l’estrema flessibilità delle scelte urbanistiche che, attivando e combinando parti di questi progetti, risponde ai punti programmatici dell’Amministrazione, ma anche alle necessità di progressivo aggiornamento, ai cambi di strategia.

L’INQUADRAMENTO TERRITORIALE DEL COMUNE

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Abbiategrasso (Milano) Piano dei Servizi

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Progettisti Coordinatore e progettista: Marino Pizzigoni (dirigente Settore Gestione del Territorio); Consulente progettista: Emilio Guastamacchia Gruppo di lavoro: L. Ferrari, G. Lazzaro, A. Belloni, A. Vaghi, V. Sandretti con A. Fossati (Sindaco) e G. De Tomasi (Assessore Sviluppo del Territorio); hanno inoltre collaborato: A. Ambrosini, E. Bianchi, A. Bordoni, L. Bravi, A. Carrozza, F. Ciceri, F. Cucchi, P. De Togni, G. De Santis, G. Frangiamone, M. Invernizzi, F. Lamonaca, S. Lentini, M. Magatti, O. Morani, G. Panizza, G. Perucca, M. Rossi, A. Saino, A. Scaglia, E. Scalera, M. Vigato,

con E. M. Tacchi (Laboratorio di Ricerca e Intervento Sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Cronologia in corso di adozione Abbiategrasso (Milano) Superficie territoriale: 47,05 kmq Popolazione residente: 29.500 ab Densità demografica: 627 ab/kmq

L’impianto metodologico del Piano ha voluto superare il tradizionale approccio al tema degli standard urbanistici. Occorre premettere che il metodo utilizzato è stato costantemente oggetto di discussione e verifica nell’ambito del protocollo di intesa sottoscritto nel dicembre 2002, tra la Regione Lombardia e le Amministrazioni Comunali di Abbiategrasso, Legnano e Limbiate. È stata rivolta particolare attenzione a tre percorsi conoscitivi paralleli: l’inquadramento territoriale per comprendere e verificare il ruolo assunto dal Comune rispetto ai territori contermini, l’analisi della domanda sociale di servizi per esplorare i bisogni dei cit-


A fianco: le fasi di redazione del Piano dei Servizi: descrivere i territori analizzando il quadro sovracomunale e il contesto sociale e demografico locale; indagare la domanda sociale attraverso questionari; esplorare l’offerta di servizi esistenti attraverso caratteristiche e distribuzione territoriale; valutare la qualità dei servizi ovvero delle attrezzature, dei luoghi e delle prestazioni offerte; confrontare analisi, progetti e piano già in essere sul territorio; programmare le azioni e le opportunità.

La valutazione qualitativa dei servizi è stata restituita attraverso cartografie di sintesi, come quella sul sistema del verde, nelle quali emergono oltre ai giudizi qualitativi rispetto alle caratteristiche e al contesto anche gli elementi che concorrono o influiscono sulla determinazione del livello qualitativo (piste ciclabili, corsi d’acqua, fattori di pressione ambientale) e i tre differenti raggi assunti per valutare accessibilità e interazione spaziale dei servizi rispetto al contesto.

I SERVIZI ESISTENTI SUL TERRITORIO

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tadini e, infine, l’analisi dell’offerta dei servizi esistenti con la quale si è avviato un processo di identificazione e di valutazione qualitativa sia delle attrezzature o dei luoghi deputati all’erogazione dei servizi che delle attività o prestazioni offerte ai singoli utenti. In questa direzione si inquadra la scelta di assumere il “servizio” quale sommatoria di due diverse componenti: l’attrezzatura intesa come struttura fisica che ospita e l’attività che ente, associazione o privato offrono all’utente. Questo per dare risposta a tre ordini di problemi: il superamento della logica riduttiva degli standard che rivolgeva attenzione alla sola

area o attrezzatura destinata a servizi pubblici e/o di uso pubblico; il fatto che all’interno della stessa attrezzatura possono essere ospitate più attività; infine il fatto che molte attività non fanno riferimento ad alcuna attrezzatura (le cosiddette attività “aspaziali” quali l’assistenza domiciliare o il buono sociale). A partire da queste premesse l’identificazione dei servizi esistenti ha preso avvio da una nuova articolazione degli stessi, secondo nove aree tematiche individuate a partire dalla suddivisione del D.M. 1444/1968, cui ha fatto seguito la valutazione del livello qualitativo di ogni singola attrezzatura e attività con riferimento alle

caratteristiche, all’accessibilità, all’interazione spaziale o ancora all’indice di penetrazione, al grado di affollamento o all’indice di polarità. In merito alla valutazione qualitativa occorre sottolineare che per ciascuna area tematica sono stati individuati specifici indicatori (differenti per attrezzature ed attività) rispetto ai quali è stato altresì definito il livello minimo di qualità cui ogni attrezzatura o attività deve fare riferimento anche sulla base di specifiche normative o prescrizioni tecnico-progettuali.


Cesate (Milano) Piano dei Servizi, studi preparatori

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Progettisti Carlo Lanza, Alessandro Barzaghi, Nicole Alessandra Lanza Cronologia In corso di adozione Cesate (Milano) Superficie territoriale: 5,69 kmq Popolazione residente: 13.002 ab DensitĂ demografica: 2.285 ab/kmq

L’analisi, utile alla predisposizione di una specifica variante del Piano Regolatore Generale, nasce dallo studio del rapporto tra evoluzione della popolazione e i servizi presenti sul territorio del comune di Cesate. Gli elaborati, necessari per assicurare omogeneità e leggibilità al Piano dei Servizi, comprendono: inquadramento territoriale del Comune con specifico riferimento al sistema generale dei servizi; relazione descrittiva (correlata da elaborati grafici) contenente, sulla base di schede di indagine appositamente predisposte e fatte compilare agli operatori dei diversi servizi, il quadro conoscitivo dei servizi presenti sul territorio, la valutazio-


A fianco: il Piano dei Servizi contiene in allegato 4 tavole. La prima individua le nuove proposte di azzonamento dei servizi, omogenee alle esigenze individuate. Nella seconda sono evidenziate le aree che non sarebbero più necessarie, secondo legge, in relazione alla quantificazione degli standard. Nella terza tavola si evidenzia la relazione tra le linee di trasporto pubblico e le aree dei servizi esistenti

e dei nuovi servizi proposti, vengono individuate le principali linee di trasporto pubblico e se ne propone l’adeguamento. Nella quarta tavola sono segnate le aree considerate come standard attuale; il calcolo porta a considerare che le aree esistenti già saturano la necessità richiesta dalla Legge Regionale.

I SERVIZI ESISTENTI SUL TERRITORIO

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ne dei bisogni locali, il livello di soddisfazione della domanda, le nuove previsioni, il programma di riqualificazione dei servizi esistenti e il programma di fattibilità e di gestione di quelli previsti nell’arco temporale corrispondente alla durata del Piano; relazione illustrativa delle modalità di calcolo adottate per i servizi riconosciuti standard, in relazione alla capacità insediativa di Piano. In particolare l’analisi dei servizi è stata condotta puntualmente rispetto a 16 temi che riguardano le diverse tipologie individuate: popolazione, attività alimentari, attrezzature generali, attività collettive, culto, impianti tecnologici, istruzione,

parcheggi residenziali e produttivi, sanità, servizi alla persona, verde residenziale e produttivo, associazioni, commercio, agenzie, mercato ambulante, ristoro. Tali temi sono organizzati anche per mappe tematiche a diverse scale, utili alla georeferenziazione dei servizi e per schede analitiche atte a definire quantità e qualità di ogni servizio offerto. Essendo fondamentale legare la struttura della popolazione all’offerta dei servizi, secondo chiavi di lettura del servizio non più solo quantitative ma qualitative, il processo di analisi prende le mosse dalla costruzione di mappe tematiche, suddivise per fasce d’età, dove gli abitanti sono

dislocati sul territorio del Comune rispetto al proprio domicilio, così da capire quali scelte operare per i servizi tipicamente legati alle categorie d’età individuate: basti pensare ai diversi gradi delle scuole o ai servizi sanitari per gli anziani. La georeferenziazione di ogni cittadino, legata ad una categoria rappresentata dall’età anagrafica, è necessaria per fornire all’Amministrazione Comunale un valido strumento per una congrua ed equa distribuzione delle risorse.


Parabiago (Milano) Piano Regolatore Scolastico Partecipato

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Progettisti ABCittà società cooperativa sociale – onlus Gruppo di lavoro: Camilla Mele, Marcello Archetti, Marco Pietripaoli Cronologia ottobre 2003, adozione febbraio 2005, approvazione Parabiago (Milano) Superficie territoriale: 14 kmq Popolazione residente: 24.436 ab Densità demografica: 1.745 ab/kmq

ABCittà, cooperativa sociale esperta in strategia della partecipazione, ha condotto una ricognizione sul territorio finalizzata a raccogliere dati e informazioni utili allo sviluppo dei servizi esistenti nell’area socio-educativa e alla programmazione mirata di interventi rivolti alla popolazione in età 0-15. La ricerca si è proposta di esplorare, attraverso strumenti quantitativi e qualitativi, sia il livello dei bisogni della popolazione (genitori, famiglie, operatori) che quello delle risorse esistenti (esplicite e implicite, utilizzate e sottoutilizzate) relative a spazi, competenze, ruoli e figure professionali. Le fasi del processo di ricerca hanno pre-


Due delle numerose schede di analisi e sintesi dei dati sulle strutture scolastiche e sulle percezioni degli interlocutori privilegiati.

IDENTIFICARE I BISOGNI DI SERVIZI

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visto: costituzione di un Tavolo di Progetto interistituzionale; attivazione di un Tavolo Tecnico; condivisione degli obiettivi della Ricerca con i testimoni privilegiati; elaborazione di schede di analisi della struttura fisica, umana e sociale delle dieci scuole pubbliche analizzate; elaborazione della previsione per il 2011 per età sul totale della popolazione residente e a seguito dei nuovi progetti di urbanizzazione avviati; interviste agli interlocutori privilegiati; analisi dati, elaborazione quadri sinottici comparati; elaborazione proposte progettuali e condivisione con il Tavolo di Lavoro interistituzionale.

Piano d’intervento strategico Azioni a breve termine: coinvolgimento dei ragazzi nel lavoro di mappatura delle fragilità/risorse presenti nelle scuole. Azioni a medio-lungo termine: consultazioni pubbliche che prevedano la partecipazione attiva di insegnanti-allievi-genitori-tecnici per la definizione delle funzioni e delle caratteristiche di alcuni spazi delle scuole. Piano d’intervento strutturale Azioni a breve termine: attuazione di interventi di messa a norma e manutenzione straordinaria delle strutture in tutte le scuole. Azioni a medio-lungo termine: ampliamenti strutturali al fine di migliorare

la qualità funzionale degli edifici scolastici più “sofferenti”. Nuove edificazioni Azioni a breve termine: trasferimento di alcuni alunni dalle scuole più congestionate alle scuole con maggiore disponibilità di spazio. Azioni a medio-lungo termine: costruzione di una nuova scuola con spazi sperimentali e multifunzionali nella zona di Villastanza. Per la nuova scuola è proposto l’utilizzo di tecnologie costruttive innovative e sostenibili e l’adozione di un piano di mobilità con una rete di percorsi sicuri di collegamento tra le aree di nuove espansione e le diverse scuole.


Lazzate (Milano) Fondo Ricostituzione Infrastrutture Sociali Lombardia 22

Progettisti Studio Associato Architetti Corbetta Redaelli Cronologia agosto 2002, inizio lavori luglio 2003, fine lavori Lazzate (Mllano) Superficie territoriale: 5,30 kmq Popolazione residente: 6.864 ab Densità demografica: 1.295 ab/kmq

Lazzate dispone già delle principali aree ed attrezzature per l’erogazione dei servizi definiti dagli standard urbanistici. L’Amministrazione Comunale è però da tempo impegnata nell’individuare e soddisfare altri bisogni espressi da una popolazione che abita un territorio a prevalente vocazione residenziale, con forti connotazioni ambientali e storiche. Sono bisogni nuovi, non esattamente riferibili agli standard urbanistici anche se incidono sulla qualità della vita: qualità della vita che può essere ulteriormente elevata migliorando l’organizzazione urbana, per acquisire il più alto “valore aggiunto” che un paese più equilibrato e com-


A fianco: riqualificazione di alcune vie e spazi pubblici del Centro Storico: Planimetria di Progetto.

Zona A – Centri e Nuclei Storici: Modalità d’Intervento.

IDENTIFICARE I BISOGNI DI SERVIZI

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patibile, è in grado di garantire, soddisfacendo ancora meglio ai diritti di cittadinanza dei residenti. L’organizzazione urbana di Lazzate e quindi la qualità della vita dei suoi cittadini, si può innanzitutto migliorare se si riqualifica l’esistente e se in particolare, si recupera il suo patrimonio storico, perché in questo modo si valorizza l’identità storico-culturale di Lazzate, soddisfacendo al bisogno primario dei suoi cittadini di riconoscersi nel loro paese per poter abitare ancora meglio, pur lavorando o studiando altrove. In questa prospettiva, l’Amministrazione Comunale ha elaborato il progetto

“Lazzate 2005”, che ha attivato procedure e promosso interventi pubblici e privati di recupero del centro storico, contestuali ed immediati, ribaltando l’approccio tradizionale dell’urbanistica, che ha sempre subordinato e per lo più rinviato la riqualificazione del patrimonio pubblico nei centri storici, al versamento dei contributi da parte degli operatori privati. In attuazione del progetto “Lazzate 2005”, il Comune ha quindi per primo riqualificato gli spazi pubblici, anche acquistando e demolendo edifici incompatibili ed ha così invogliato i privati cittadini a promuovere quasi per emulazione

interventi di restauro, manutenzione e ristrutturazione edilizia dei loro immobili che sono risultati a quel punto inadeguati nel loro contesto, perché nel frattempo riqualificato dal Comune. Il progetto “Lazzate 2005” è ancora in fase di completamento ma si è già rivelato un progetto di immediata attuazione in quanto strumento al tempo stesso di pianificazione e di programmazione degli interventi ed un progetto condiviso in quanto rispondente ad uno dei bisogni nuovi ed emergenti di cui in premessa: il suo soddisfacimento ha sicuramente rafforzato l’immagine di Lazzate quale città dei servizi.


Verano Brianza (Milano) Piano dei Servizi

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Progettisti Roberto Rizzini con Walter Maffenini, Lia Sanicola Cronologia luglio 2005, adozione ottobre 2005, approvazione programmata Verano Brianza (Milano) Superficie territoriale: 3,49 kmq Popolazione residente: 8.968 ab (3.372 famiglie) Densità demografica: 2.570 ab/kmq

La nuova Legge Regionale Lombarda introduce, attraverso il Piano dei Servizi, una nuova metodologia nella ricerca e predisposizione di spazi e servizi adeguati ai bisogni della popolazione locale; improntata ad un maggior realismo, essa cerca di coniugare, a scala locale e fuori da astratti schemi burocratici, la risposta che l’ente pubblico è in grado di dare alle effettive necessità. La possibilità di introdurre nella pianificazione del territorio criteri e categorie culturali tradizionalmente esclusi nell’astratta legislazione previgente, ha spinto il comune di Verano Brianza ad utilizzare metodologie e tecnologie innovative,


A fianco: la tavola rappresenta la densità territoriale delle famiglie residenti nel comune. È stato privilegiato il parametro famiglie rispetto al parametro abitante perché descrive in modo più efficace sia la realtà sociale sia il fabbisogno abitativo.

La tavola rappresenta la densità territoriale degli addetti nel settore. È stata utilizzata, come per tutte le altre analisi, la densità anziché il valore assoluto al fine di rappresentare non solo l’entità e la localizzazione, ma anche la distribuzione spaziale del parametro considerato.

IDENTIFICARE I BISOGNI DI SERVIZI

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oggi disponibili, per l’identificazione, la quantificazione e la previsione dei bisogni e dei fabbisogni di servizi per i propri abitanti; in particolare ha potuto introdurre a livello pubblico-istituzionale tre fattori di assoluta rilevanza nella pianificazione del territorio: • il tempo, inteso non solo come aderenza al concreto essere delle cose (hic et nunc), ma come criterio di verifica, cioè di giudizio sull’effettiva attendibilità delle proposte formulate nella pianificazione; • lo spazio comune, cioè l’uso comune per bisogni di interesse pubblico e generale, di spazi che possono essere di pro-

prietà di un privato come di un ente pubblico e tuttavia utili, nel concreto, per rispondere a bisogni collettivi; • un rapporto diretto e interattivo tra pubblica amministrazione e popolazione locale che, attraverso metodologie statistiche e sociologiche adeguate, è in grado di identificare in tempi brevi la mappa dei bisogni via via emergenti nel contesto del territorio comunale. In questo convegno sono illustrate sinteticamente le metodologie utilizzate per riconoscere i bisogni espressi dalla popolazione residente: La professoressa Lia Sanicola illustra l’utilizzo dei focus group per dare voce alle

forze sociali organizzate; il prof. Walter Maffenini descrive la tecnologia statistica utilizzata per far emergere le percezioni dei bisogni e le aspettative espresse dalla popolazione.


Como Piano dei Servizi

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Progettisti Responsabili consulenza scientifica: Valeria Erba, Laura Pogliani Gruppo di lavoro: A. Arcidiacono, G. Calmanti, G. Franchi con M. Palumbo, R. Rampini, M. Rossetti, D. Spiller Cronologia In corso di adozione Como Superficie territoriale: 35,13 kmq Popolazione residente: 83.016 ab Densità demografica: 2.363 ab/kmq

Il processo di elaborazione del Piano dei Servizi del Comune di Como è giunto agli inizi di marzo 2005 ad un’importante tappa nella definizione del progetto definitivo, costituita dalla redazione e consegna degli elaborati grafici e normativi della Bozza. L’esperienza del Piano dei Servizi di Como, che si confronta con le scelte del Piano Regolatore Generale vigente (approvato nel 2001) consente, per quanto tuttora in corso, di proporre alcune riflessioni su due momenti che hanno assunto un ruolo rilevante nel processo di costruzione del nuovo strumento. Il primo riguarda il tema della definizione


A fianco: schema di struttura e azioni strategiche. Il “Piano manifesto” definisce, secondo un’articolazione in sistemi territoriali, gli elementi insediativi, dei servizi, ambientali e infrastrutturali che costituiscono le componenti fondative e le priorità per la costruzione della città pubblica, su cui si innestano le azioni strategiche e gli interventi progettuali locali del Piano dei Servizi.

Progetto e programma locale. Gli elaborati del “Progetto e programma locale” individuano le azioni, le prestazioni e gli obiettivi da assumere per riqualificare, differenziare e incrementare l’offerta dei servizi nelle diverse realtà locali, definendo il disegno urbanistico degli spazi collettivi e indicando le opportunità e le necessità in materia di “standard di qualità” sulla base dei bisogni specifici espressi dalle nove Circoscrizioni.

IDENTIFICARE I BISOGNI DI SERVIZI

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dei bisogni locali. Un obiettivo centrale nella definizione della componente analitico-conoscitiva del Piano, perseguito non solo a partire da una verifica dell’accessibilità, della fruibilità e del dimensionamento dei servizi esistenti, (affrontata ampliando il campo di indagine anche a forme di servizi aspaziali “diffusi” sul territorio e ad attrezzature di proprietà e/o gestione privata) e delle dinamiche demografiche e socio-economiche, ma attraverso il coinvolgimento diretto e consapevole di una popolazione allargata, messa in condizione con modalità di “ascolto” e di “comunicazione” meno codificate (Forum tematici e contributi delle

nove Circoscrizioni) di esprimere i propri bisogni per il welfare locale. Il secondo passaggio nodale del processo di costruzione del Piano dei Servizi si è costituito nell’elaborazione di un quadro strutturale preliminare (“Schema di struttura e azioni strategiche”), inteso come scenario di lungo termine che individua, in coerenza con gli strumenti di programmazione settoriale (Programma triennale delle opere pubbliche, Programma dei parcheggi, ecc.), gli elementi della “struttura territoriale” riferiti ai sistemi insediativi, infrastrutturali e ambientali e seleziona un set di “azioni strategiche” che vanno a costituire le priorità dell’azio-

ne pubblica nella costruzione della “città dei servizi”. Un “Piano manifesto” che si configura pertanto come quadro di riferimento e di coerenze per la costruzione delle azioni progettuali e programmatorie del Piano dei Servizi, espresse nel “Progetto e programma locale” e al tempo stesso per la valutazione di tutte le proposte di trasformazione urbana attuabili sia con strumenti ordinari che con programmi complessi, reso ancora più indispensabile dalla necessità di superare alcune scelte del P.R.G. vigente.


Lodi Rapporto sul verde

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Progettista Giampiero Spinelli Collaboratori: E. Comelli, E. Cazzaniga Cronologia marzo 2005, consegnato documento finale Lodi Superficie territoriale: 41,42 kmq Popolazione residente: 42.400 ab Densità demografica: 1.024 ab/kmq

Partendo dalla specificità del contesto territoriale e dei caratteri della struttura urbana della città di Lodi il “Rapporto sul verde”, oltre ad un’analisi approfondita della “situazione di partenza” del verde urbano (aspetti quantitativi, caratteristiche tipologiche, fruibilità e grado di attrezzature, accessibilità, distribuzione territoriale, ecc.), fornisce all’Amministrazione Comunale gli elementi conoscitivi indispensabili per la definizione di una “politica del verde” che, superando una logica di tipo puramente settoriale, si proponga come strumento per interventi di qualificazione complessiva dello spazio urbano.


A fianco: individuazione e classificazione delle aree. In verde sono indicate le “Aree prevalentemente destinate alla fruizione diretta” (gruppo A): “Centralità verdi” (A1), “Giardini di quartiere” (A2), “Verde diffuso” (A3). In giallo le “Aree prevalentemente non destinate alla fruizione diretta” (gruppo B): “Arredo e qualificazione del paesaggio e delle percorrenze urbane” (B1), “Rinaturalizzazione dell’ambiente urbano” (B2). Il perimetro di maggiore spessore indica le aree destinate a più rilevanti interventi di qualificazione o trasformazione.

Schemi e progetti campione. I “progetti campione” propongono soluzioni morfologiche e funzionali connesse alle potenzialità delle aree ed ai differenti caratteri del contesto, e descrivono, con un adeguato corredo di immagini, i differenti tipi di spazi verdi che possono essere realizzati. La tavola descrive tre degli ambienti proposti (il lungofiume, la fascia alberata e il grande prato), suggerendone caratteri e possibilità fruitive.

Per consentire una corretta individuazione delle modalità di intervento, delle priorità e delle caratteristiche degli interventi da programmare, il “Rapporto”: • opera una classificazione “di base” di tutte le aree di verde pubblico (esistenti e previste) indagandone le potenzialità e il possibile “ruolo” nella costruzione di un sistema leggibile e pienamente fruibile del verde e dello spazio aperto urbano; • definisce parametri di costo al mq, calcolati in relazione alla dimensione delle aree ed alle differenti “categorie” (qualificazione morfologica e spaziale; qualificazione funzionale; copertura vegetale) e “gradi di intensità” degli interventi da prevedere;

• propone una classificazione “operativa” di tutte le aree ancora da realizzare e delle aree esistenti da riqualificare, individuando, attraverso l’attribuzione di specifici “punteggi”, le differenti categorie e gradi di intervento da prevedere e giungendo ad una stima di massima dei costi complessivi per ciascuno dei differenti comparti urbani individuati; • fornisce indicazioni di metodo per la programmazione degli interventi nonchè schemi morfologici e soluzioni progettuali relativamente ad alcune aree di particolare interesse; le proposte progettuali intendono esemplificare soluzioni tipologiche e modalità di fruizione strettamente con-

nesse alle differenti potenzialità delle aree ed ai caratteri del contesto e, oltre a rispondere alle specifiche funzioni che il verde pubblico è tradizionalmente chiamato a svolgere, sono finalizzate a qualificare le “aree verdi” come potenziali “infrastrutture della socialità” ed elementi di identità dei differenti comparti urbani.

LA VALORIZZAZIONE DELLE AREE VERDI

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Desenzano del Garda (Brescia) Piano dei Servizi

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Progettisti Responsabile consulenza scientifica: Valeria Erba Gruppo di lavoro: A. Arcidiacono, G. Calmanti, G. Franchi, L. Pogliani con M. Palumbo, R. Rampini, M. Rossetti Cronologia gennaio 2005, adozione: in corso, osservazioni per l’approvazione Desenzano del Garda (Brescia) Superficie territoriale: 44,02 kmq Popolazione residente: 25.573 ab Densità demografica: 580 ab/kmq

L’elaborazione del Piano dei Servizi di Desenzano del Garda si inserisce all’interno di un più ampio processo di revisione degli strumenti urbanistici comunali che, ricominciato dopo fasi alterne alla metà del 2002, si è recentemente concluso nel marzo 2005, con l’adozione in Consiglio Comunale del nuovo Piano Regolatore Generale e del Piano dei Servizi ad esso allegato ai sensi della L.R. 1/2001. Un aspetto del processo di costruzione del nuovo Piano dei Servizi appare particolarmente interessante e utile per una riflessione sulle relazioni tra domanda ed offerta nell’elaborazione del progetto della città dei servizi: l’opportunità cioè di


A fianco: Progetto di assetto. Gli “Schemi di assetto” definiscono l’impianto spaziale e le prescrizioni di carattere urbanistico e ambientale che ogni Area di Trasformazione deve garantire nell’ambito dell’intervento. Le indicazioni grafiche orientative sono supportate da una relazione che illustra gli obiettivi e gli elementi irrinunciabili nel disegno dello spazio collettivo, relativamente ai parchi, alle centralità pubbliche, alle connessioni verdi, ai percorsi pedonali e alle aree di mitigazione ambientale.

Interventi di Progetto prioritari. La tavola restituisce in maniera simbolica gli interventi di progetto ritenuti prioritari dall’Amministrazione nel breve termine relativamente a quattro categorie di opere: strutture e aree per attrezzature pubbliche; interventi per la mobilità; interventi sull’ambiente; interventi di riqualificazione del centro urbano e delle periferie.

affrontare in maniera integrata la dimensione pianificatoria e progettuale (l’acquisizione delle aree e il disegno dello spazio collettivo) con la dimensione programmatoria (gli interventi prioritari), definita in base alle reali risorse a disposizione dell’Amministrazione e in coerenza con gli altri strumenti di programmazione pubblica (Programma triennale delle opere pubbliche). Il disegno urbanistico definito dal Piano dei Servizi nel “Progetto di assetto” è reso possibile dall’acquisizione di aree “pubbliche” avvalendosi di un meccanismo attuativo di tipo perequativo e introducendo incentivi volumetrici per l’edilizia

sociale, e viene orientato attraverso regole ed indirizzi urbanistici e ambientali prestazionali per la costruzione dello spazio collettivo nelle Aree di Trasformazione privata. Sull’impianto spaziale definito dal disegno del Piano si innesta l’insieme degli interventi programmati già in atto (contemplati dal bilancio comunale) e di quelli considerati di realizzazione prioritaria, e rappresentati nell’elaborato “Interventi di progetto prioritari”, perché qualificanti l’azione amministrativa, al fine di caratterizzare l’impegno pubblico nel settore dei servizi, soprattutto di tipo sportivo e scolastico, in alcuni ambiti periferici da riqualificare. In questa logica il Piano

dei Servizi si configura come una “carta” degli impegni dell’Amministrazione verso i propri elettori, comprendente l’insieme delle opere e dei progetti programmato nel quinquennio, ma anche le regole di tale programmazione, cui partecipa in maniera essenziale il contributo dei privati; regole progettuali da un lato e attuative-gestionali dall’altro.

L’OFFERTA E LA DOMANDA DI SERVIZI

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Mantova Piano dei Servizi

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Progettisti Coordinamento Istituzionale: Stefano Montanari Dirigente Responsabile: V. Picinelli Consulente Tecnico: M. C. Treu, V. Borachia, A. Solimando, P. Dilda, V. Giavarini Consulente Giuridico: M. L. D’Ettorre Gruppo di lavoro: M. Celona, A. Zanellini, N. Leorati, F. Paini, V. Cantarelli, M. Palmieri, M. Guernieri Cronologia febbraio 2004, adozione settembre 2004, approvazione

Mantova Superficie territoriale: 63,95 kmq Popolazione residente: 47.820 ab Densità demografica: 747,77 ab/kmq

Il Piano dei Servizi è l’atto conclusivo di un processo iniziato nel 1999 con l’avvio degli studi preliminari alla redazione del Documento Direttore, che nel caso di Mantova assume anche il carattere di Documento d’Inquadramento, ai sensi della L.R. 9/1999 (ora abrogata, i cui principi sono ripresi dalla Legge per il Governo del Territorio 12/2005 nello strumento del Documento di Piano – artt. 8 e 87). Il Piano dei Servizi è inteso come progetto della struttura pubblica e della rete urbana del sistema dei servizi, quale elemento regolatore tra le strategie di sviluppo individuate nel Documento d’Inquadramento e l’attuazione mediante i Piani Attuativi.


A fianco: la struttura della città pubblica.

Il Piano Regolatore Generale.

Inoltre, il Piano dei Servizi guida le diverse forme di collaborazione tra pubblico e privato, attraverso convenzioni o altre forme di accordo, nella salvaguardia dell’interesse pubblico o generale. In questo contesto, di particolare interesse risulta la revisione delle Norme Tecniche di Attuazione in adeguamento ai principi della L.R. 1/2001 e ripresi nella nuova normativa, con particolare riferimento alle aree destinate a “standard”, nella nuova accezione del termine. Le norme del Piano dei Servizi, oltre al “tradizionale” standard (zona F1) per le Aree ed attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale di proprietà pub-

blica e/o soggette a vincolo preordinato all’esproprio, hanno introdotto il concetto, più innovativo, delle aree di proprietà privata destinate a servizi (zona F2) Aree per attrezzature e servizi privati di interesse pubblico o generale, all’interno delle quali è ampliato il ventaglio di destinazioni funzionali comprese nella categoria “servizi” e sono incluse anche attività solitamente non comprese, come ad esempio le strutture ricettive, consentendo, così, il più ampio spazio al perseguimento degli obiettivi di sviluppo del territorio. Per tali aree vige una duplice opportunità di scelta normativa: da una parte la disciplina ordinaria di zona, dall’altra quella incentivante

all’asservimento/accreditamento convenzionato dell’area all’uso pubblico, ai fini del computo della dotazione di standard. Un’ulteriore innovazione riguarda l’ammissibilità della destinazione d’uso a servizi in tutte le zone omogenee, a condizione che le attività stesse risultino in concreto compatibili con la destinazione principale di zona.

L’OFFERTA E LA DOMANDA DI SERVIZI

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Rozzano (Milano) Atto di indirizzo sulle politiche urbanistiche

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Progettisti Ambrogio Baldi, dirigente Direzione programmazione e gestione del territorio del Comune di Rozzano Cronologia febbraio 2000, incarico luglio 2000, approvazione documento Rozzano (Milano) Superficie territoriale: 12,00 kmq Popolazione residente: 38.500 ab Densità demografica: 3.208 ab/kmq

Il Comune di Rozzano, interessato negli anni ’60 da grossi fenomeni migratori, è sempre stato impossibilitato a risolvere i propri problemi di dotazione di servizi basandosi su standard predefiniti e ciò per le caratteristiche intrinseche della struttura della popolazione. Lo standard che poteva soddisfare in linea teorica i bisogni del 1971 è certamente inadeguato nel 2004: ad esempio, la fascia di età 0-10 anni, cioè gli utenti della scuola materna e delle scuole elementari, è passata dal 25% al 10% della popolazione mentre gli ultracinquantenni sono passati dal 12% al 36% del totale. Discorso analogo può essere fatto per la


A fianco: planimetria inerente l’atto di indirizzo sulle politiche urbanistiche.

Struttura della popolazione divisa per classi di età.

popolazione teorica insediabile che a Rozzano per 25 anni è rimasta stabile intorno ai 38.000 abitanti nonostante nel periodo siano stati edificati più di un milione di metri cubi di nuova residenza Stante tale fenomeno si è scelto di ricorrere alla programmazione negoziata ritenendo di poter così verificare i bisogni reali della popolazione legati alla frazione d’intervento e soprattutto di avere una certezza nei tempi di realizzazione. Le prime esperienze di piani complessi per il Comune sono stati due P.R.U. con i quali si è intervenuti sul quartiere ALER, ove abitano oltre 19.000 dei 38.000 cittadini, ottenendo il risultato di riqualificare

un terzo degli stabili, di dotare la zona di nuovi servizi, di ridisegnare la viabilità e soprattutto di creare percorsi sicuri all’interno di una vasta zona della città ove i percorsi pedonali erano nella loro totalità promiscui con quelli carrabili. Tesaurizzata l’esperienza dei P.R.U. si è deciso di proseguire sulla strada della programmazione negoziata facendo ricorso ai P.I.I. con una strategia inusuale che in larga parte ha precorso il “Piano dei Servizi”: in pratica l’Ente ha adottato un “Documento quadro” a maglie molto larghe, in modo da non precludersi opportunità favorevoli, ma parallelamente il Consiglio Comunale ha approvato un

“Atto di indirizzo sulle politiche urbanistiche” dove oltre alle linee di sviluppo venivano precisati i nuovi servizi necessari ad ogni singola frazione della città nell’ambito di durata in carica dell’Amministrazione. In attuazione di questa strategia si è giunti all’approvazione di tre P.I.I. ognuno dei quali ha risolto i principali problemi evidenziati nell’atto di indirizzo per la frazione di riferimento nonché alla stipula con la Regione di un “Contratto di Quartiere” teso a risolvere i problemi lasciati in sospeso dai primi P.R.U.

QUALI STRUMENTI PER IL GOVERNO DEL PIANO

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Cremona Piano Territoriale degli Orari

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Progettisti Marco Mareggi, Valerio Demaldè Dirigente referente: Maurilio Segalini, Comune di Cremona Cronologia aprile 1999, adozione e approvazione Cremona Superficie territoriale: 69,7 kmq Popolazione residente: 71.398 ab Densità demografica: 1.024 ab/kmq

Cremona ha avviato politiche temporali urbane nel 1998, richiamandosi alle leggi che assegnano al Sindaco il coordinamento degli orari dei servizi cittadini (L. 142/1990, L. 53/2000, L.R. 28/2004). Il Piano territoriale degli orari è strumento innovativo della pianificazione comunale che non interviene tanto sulla dimensione spaziale del territorio, ma ne regola la fruizione armonizzando i tempi di vita cittadini. L’importanza di strumenti di gestione – istituzionali e tecnici – delle politiche temporali e del mettere il tema nell’agenda politica cittadina, è stata compresa attraverso la sperimentazione di modifiche orarie e temporali agendo per progetti.


A fianco: carta tematica dei percorsi museali del centro storico di Cremona, con attività commerciali disponibili all’apertura domenicale, musei cittadini coinvolti nella sperimentazione di orario continuato domenicale, parcheggi, aree verdi collegate, flussi turistici.

Carta cronografica On/Off degli orari degli esercizi commerciali e dei servizi in Via Palestro il mercoledì durante l’anno scolastico.

Tra questi si segnalano ad esempio: Il mercoledì del cittadino con apertura degli sportelli ad orario continuato degli uffici al pubblico. I tempi della scuola: trasformazione degli orari, dei calendari scolastici e delle problematiche connesse alle zone urbane con presenza scolastica, attraverso progetti integrati e non solo azioni orarie. Orari del commercio: sere d’estate e aperture domenicali, orari di apertura prolungati serali e festivi dei negozi e pubblici esercizi cittadini, con cicli di animazione nel centro storico. Turismo e cultura: Cremona di domenica: è stato promosso l’orario continuato di apertura dei musei comunali cittadini

nei giorni festivi e sono stati attrezzati dei percorsi urbani. I progetti avviati sono trasversali al tema della qualità dei servizi e della qualità della vita e, pur rivolgendosi a settori e soggetti diversi, vogliono rappresentare una risposta alle istanze e ai problemi dei cittadini, dei pendolari, degli studenti, dei lavoratori, delle donne, degli operatori economici e dei city users. L’esperienza del Piano territoriale degli orari si può anche leggere come utile strumento di governance del territorio, ovvero come un tentativo di coinvolgere nel meccanismo delle decisioni sul territorio soggetti diversi, i quali tutti concorrono ai proces-

si di trasformazione e utilizzazione dello spazio, ma non sono adeguatamente riconosciuti. Le politiche dei tempi sono strategiche perché attraverso queste si possono mettere in atto contemporaneamente più azioni: migliore organizzazione della giornata, risparmiare tempo, evitare spostamenti inutili, armonizzare gli orari degli sportelli, mettere in sicurezza le strade delle scuole, flessibilizzare gli orari di lavoro.

QUALI STRUMENTI PER IL GOVERNO DEL PIANO

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Limbiate (Milano) Piano dei Servizi

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Progettisti Coordinatore e progettista: Franco Zinna (dirigente Settore Tecnico Comune di Limbiate) Gruppo di lavoro: L. Ferrari (consulente progettista), L. Mestrone, M. Giammarrusti, R. Canuto, S. Pierro, I. Cadei, G. Massetti, M. Curcio, G. Cogliati, A. Bittoni, S. Fiori, con Enrico M. Tacchi (Laboratorio di Ricerca e Intervento Sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Cronologia in fase di adozione

Limbiate (Milano) Superficie territoriale: 12,40 kmq Popolazione residente: 32.654 ab Densità demografica: 2.633 ab/kmq

Il tentativo di innovare le modalità con cui l’Amministrazione Comunale affronta il sistema dei servizi che eroga sul proprio territorio e, soprattutto, le stesse modalità di promozione e miglioramento dell’offerta ha rappresentato senza dubbio un obiettivo e una motivazione molto forte all’interno del lungo processo di redazione del Piano. È opportuno richiamare che l’elaborazione del Piano è avvenuta nell’ambito del protocollo di intesa sottoscritto nel dicembre 2002 tra la Regione Lombardia e i comuni di Abbiategrasso, Limbiate e Legnano. Un tentativo di innovazione e di cambiamento che ha spinto a ricercare ed a sperimentare anche nuove


A fianco: la possibilità di identificare e confrontare domanda sociale, offerta di servizi, azioni e progetti in corso sul territorio, consente di individuare gli specifici campi in cui devono svilupparsi azioni e politiche dei diversi settori dell’Amministrazione oltre alle relazioni che devono intercorrere tra i soggetti che partecipano al processo decisionale e attuativo, mettendo in luce anche l’esigenza di individuare nei possibili interventi di trasformazione le risorse necessarie a dare attuazione alle scelte.

Il progetto di realizzazione di un servizio di trasporto pubblico per l’Ospedale di Garbagnate Milanese rappresenta un’efficace dimostrazione della nuova logica con cui l’Amministrazione intende affrontare e gestire la complessità del sistema dei servizi esistenti. Definite le caratteristiche e quantificato il costo, il nuovo servizio viene individuato quale standard qualitativo di un nuovo intervento di trasformazione che la stessa Amministrazione mira a promuovere nell’ambito di un’area a standard non attuata.

modalità di coordinamento, gestione e governo dell’azione e della pratica amministrativa pubblica. La prima si riferisce innanzitutto al coordinamento tra i soggetti e le azioni a cui gli stessi si dedicano, partendo dal presupposto che il Piano dei Servizi non venga concepito solo come opportunità per liberare aree vincolate a standard ma, al contrario, come opportunità per aprire lo sguardo alla totalità dei servizi erogati fino a ricomprendere tipologie di servizio da sempre ritenute estranee all’urbanistica o ancora quei servizi che non trovano riferimenti fisici sul territorio e che, per contro, contribuiscono in maggior misura

al soddisfacimento dei bisogni propri dei cittadini residenti. Fatto proprio questo convincimento, l’elaborazione del Piano (slegata dal processo di revisione del P.R.G. vigente) ha agito in modo significativo sulle dinamiche intersettoriali interne all’Ente, coinvolgendo nel corso del lungo processo tutti i responsabili dei diversi settori comunali, attivando percorsi sinergici di confronto e co-progettazione e avviando percorsi di integrazione fra i diversi strumenti di programmazione disponibili. La seconda modalità riguarda invece il governo delle azioni individuate dal Piano e la loro concreta attuazione. È entro que-

st’ottica che il piano ha rivolto attenzione a tutti i possibili interventi di trasformazione futura. È pensato e immaginato in questo senso il progetto relativo alla realizzazione di un servizio di trasporto pubblico per l’Ospedale di Garbagnate Milanese. Definite le caratteristiche del servizio e quantificato il costo complessivo, il servizio di trasporto è stato dunque identificato quale standard qualitativo dell’intervento di trasformazione che dovrà comunque garantire standard in cessione nella misura stabilita dal P.R.G. vigente.

QUALI STRUMENTI PER IL GOVERNO DEL PIANO

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Il valore delle esperienze in corso per il governo della città

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Pubblichiamo qui di seguito una trascrizione della Tavola rotonda tenutasi al Nuovo Polo Fiera Milano, il 31 marzo 2005 in chiusura del Convegno “Linee guida per la Città dei Servizi”. Francesco Karrer, professore ordinario di Urbanistica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, moderatore del dibattito, ha gentilmente ricostruito il susseguirsi degli interventi che riportiamo in corsivo. Francesco Karrer Nel prendere dall’arch. Rota il testimone della conduzione dei lavori vi presento i partecipanti alla tavola rotonda conclusiva. Da sinistra a destra, la prof. Manuela Ricci, che come me è docente dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. La nostra presenza qui è dovuta al fatto che da tempo svolgiamo ricerche sulla problematica del “welfare urbano”, della quale quello del “Piano dei Servizi” è un aspetto senz’altro molto significativo, e che, per conto del DIPTU, sempre dell’Università La Sapienza, abbiamo prestato assistenza alla Regione Lombardia proprio nella fase di applicazione della L.R. 1/2001. Quindi la prof. Sandra Bonfiglioli del DiAP del Politecnico di Milano, la prof. Marinella Sclavi (antropologo), anche lei del DiAP del Politecnico di Milano, l’arch. Marco Engel, esperto in pianificazione e progettazione degli spazi pubblici, l’arch. Stefano Castiglioni presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, il dott. Aurelio Ferrari, ex Sindaco di Lodi, in rappresentanza dell’ANCI Lombardia, e il prof. Fausto Curti, sempre del DiAP del Politecnico di Milano che, fra l’altro, partecipa alla rete di ricerca sul “welfare urbano” di cui ho detto all’inizio e di cui sono responsabile nazionale. La giornata è stata molto impegnativa. Abbiamo ascoltato molte relazioni che, certo non è sfuggito a nessuno, sono state presentate secondo i “passi” nei quali si può scandire il percorso di formazione di un Piano dei Servizi. Le Linee Guida oggi presentate ripercorrono dettagliatamente i vari passi, e cioè: individuazione dei bisogni; trasformazione in fabbisogni/domanda; analisi dell’offerta (sia quantitativa che qualitativa e, più generalmente, prestazionale); confronto domanda/offerta, quindi giudizio sul grado di copertura (anche sotto il profilo spaziale cioè del bilancio sociale di area, BSA, di cui un tempo); formazione del programma previa verifica del rapporto obiettivi/risorse; individuazione degli strumenti di implementazione. Intendo con tale espressione la “macchina di implementazione” del Piano e non solo la fase di attuazione dello stesso. Parlo di macchina in quanto l’implementazione di un Piano è, come noto, generalmente un processo piuttosto complesso. Nel caso del Piano dei Servizi ciò è ancora più vero in quanto la sua funzione può andare ben oltre quella che verrebbe a svolgere se fosse confinata nell’urbanistica. Già se la si vedesse davvero nella dimensione del governo del territorio – così come dobbiamo fare a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale 3/2001) e quindi della

stessa Legge Regionale 11/2005 – la sua funzione sarebbe ben più saliente. La questione della doppia natura del Piano dei Servizi è stata di sfondo ai lavori di tutta la giornata. Penso che i partecipanti alla tavola rotonda, più liberi di quelli che li hanno preceduti, potranno indagare a tutto campo su tale questione. E cioè, del Piano dei Servizi nella tradizione dell’urbanistica e nella logica di un completo ed integrato “management” dei servizi in area urbana (ma il ragionamento non sarebbe diverso nel caso dell’area vasta). Non vi sfugge che pongo enfasi sul concetto di “servizi” e non tanto su quello di “area a standard” e/o di “attrezzature”. E non solo perchè il motivo che ci vede qui riuniti è la discussione sullo strumento del Piano dei Servizi. Ma, soprattutto, perché non è stata chiarita ancora definitivamente una questione che io ritengo decisiva: può ancora sussistere l’interpretazione delle aree a standard di cui alla Legge 765/1967 e quindi al D.L. 1444/1968 con i “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep) di cui alla citata riforma costituzionale? Molti giuristi e quasi tutti gli urbanisti l’hanno ritenuta, e forse la ritengono, ancora fondata. A ben vedere non è così. Una cosa sono i livelli essenziali delle prestazioni costituzionalmente garantiti e una cosa sono le quantità e le modalità di formazione delle attrezzature nelle quali alcuni servizi vengono erogati. Alcuni servizi, e già non tutti, perchè solo alcuni servizi vengono erogati in attrezzature. Giustamente quest’oggi molti relatori hanno usato l’espressione “servizi a-spaziali” o “servizi a-fisici”, proprio per definire quei servizi che, si pensi solo a quelli a domicilio, vengono erogati fuori da attrezzature deputate ad hoc. Il tema dei “Leas” della pianificazione socio–assistenziale o dei “servizi minimi” della pianificazione del trasporto pubblico locale, sono standard in queste pianificazioni. Penso che sia chiara ora la dimensione nuova che può assumere il Piano dei Servizi e quindi la distanza che intercorre con le esperienze fatte in passato in ambiente urbanistico. Mentre sono più vicine quelle fatte pure in passato, a cavallo degli anni ’70, in materia di pianificazione sociale. Il legislatore nazionale con la proposta di legge sul governo del territorio in discussione alla Camera dei deputati, ha scelto la strada della differenziazione netta tra “Lep” ed aree a standard. Quello regionale, negli spazi di autonomia che anche la citata proposta di legge conferma, ha scelto una strada intermedia come noto, rivedendo posizioni precedenti, solo recentemente assunte. Il tema evidentemente è ancora da definire compiutamente. Forse sarebbe stato opportuno che la contaminazione operata dalla legge regionale avesse riguardato sopratutto la nuova città o quella eventualmente sottodotata di offerta di servizi, ma tant’è, lasciamo quindi che le pratiche si sviluppino per apprendere da loro e, se è il caso, correggere. Prima di chiedere ai partecipanti alla tavola rotonda di intervenire, mi piace segnalare una cosa che mi ha molto


I quattro livelli della progettazione urbana partecipata

di Marianella Sclavi, professore di Etnografia urbana e Antropologia culturale presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano Gli studi sui metodi di costruzione del consenso in una società post-moderna, prendono le mosse da alcune constatazioni che mi paiono incontrovertibili. Le riassumo. Dalla prima metà dell’800 in poi molte cose sono cambiate, per esempio si è passati dall’invenzione del telegrafo a internet. Ma i metodi indicati come i migliori per far prendere decisioni efficaci a una pluralità di attori con posizioni divergenti, sono rimasti fondamentalmente gli stessi. Consistono in una serie di procedure che garantiscono ad ognuno: di esprimere la propria posizione in riunioni assembleari, la possibilità che venga ripresa e dibattuta dagli altri, la garanzia che passerà la proposta che ottiene la maggioranza dei voti. Questi due princìpi: procedure di stampo parlamentare e principio della decisione a maggioranza, col cambiare della società e del mondo si dimostrano sempre più tragicamente inadeguati. Oggi una minoranza che sente di non essere stata ascoltata può scrivere ai giornali, fare appello ai tribunali, organizzare comitati e manifestazioni di protesta le quali possono, come spesso succede, bloccare l’esecuzione di decisioni invise e aprire lunghi processi negoziali per cambiarle a posteriori. Una volta l’esistenza di minoranze scontente era considerata un “fatto della vita” e andava d’accordo con l’opinione diffusa che per prendere decisioni di gruppo bisognava “irreggimentare il singolo”. Oggi è diventato sempre più difficile imporre decisioni a minoranze convinte di non essere state ascoltate. Inoltre le procedure di tipo parlamentare si limitano a fornire delle regole per definire l’ordine del giorno, prendere la parola, dibattere e decidere, cioè per portare la discussione da un principio a una fine. Ma non offrono nessuna garanzia che si arrivi a delle decisioni eque, sagge, efficaci e stabili. Se si rimane legati all’ottica ottocentesca, le uniche immagini che possono venire alla mente, quando si discuta di far partecipa-

re i cittadini interessati alle scelte pubbliche, sono quelle di assemblee oceaniche e disfunzionali e/o quelle di interrogarli singolarmente con sondaggi più o meno raffinati. Altre metodologie, più recenti, chiamate Large Group Interaction Methods (Lgim) hanno come scopo non solo quello di dare la parola a numeri molto elevati di cittadini, ma di mettere le persone interessate in grado di imparare reciprocamente svolgendo indagini e arrivando a individuare soluzioni in modi creativi invece che antagonistici. Per mettere a fuoco quanto questa impostazione sia innovativa e rilevante anche a livello europeo, mi pare utile distinguere quattro possibili livelli entro i quali possono collocarsi i programmi urbani partecipati e integrati. Il livello zero è quello della progettazione urbana tradizionale, delegata agli esperti e professionisti i quali ovviamente tengono conto delle direttive politiche, le quali a loro volta tengono conto dei loro principali referenti economici e sociali. È la progettazione urbana in mano a quelle che C. Wright Mills chiamava le “Elites del potere”. I teorici dei sistemi complessi (o “sistemi aperti”) definiscono questo livello “espertismo puro”, per sottolineare l’idea di una speciale classe di professionisti che mantengono il loro potere marginalizzando e alienando coloro che non fanno parte del loro campo di conoscenze (sia tecnico-professionali, che clientelari). Funziona quando si debbono prendere decisioni rapide, che non interferiscono con la distribuzione del potere e delle informazioni e quando gli esclusi sono apatici, disinteressati o antagonistici e vogliono rimanere tali. Si assume che la costruzione di common ground avviene altrove, è delegata ad altre istituzioni (la famiglia, la chiesa, la scuola, i mezzi di comunicazione di massa). Il livello uno è quello “dell’espertismo impuro”. Il processo rimane saldamente nelle mani degli esperti, i quali tuttavia riconoscono che è utile aumentare le conoscenze a loro disposizione indagando su qual è la percezione dei loro “bisogni” da parte dei vari attori sociali. Si fa largo uso di sondaggi, questionari e interviste, a volte anche di focus group. Si aprono “centri di ascolto” nei quali i soggetti possono portare le loro rimostranze e rivendicazioni. Si convocano assemblee di vario ordine e grado, “stati generali” e conferenze dei servizi. Funziona quando la conflittualità sociale è contenuta e i sensi di appartenenza sono o relegati alla vita privata o gestibili con la mediazione politica tradizionale. È una forma di paternalismo illuminato basato sull’ascolto passivo e su una strumentazione sociologica tradizionale. Il livello due ha invece come obiettivo caratterizzante quello di mettere in atto e sostenere modi di relazionarsi che favoriscono processi di apprendimento reciproco fra gli attori interessati a soluzioni di problemi che li coinvolgono in prima persona. Quindi non si tratta di limitarsi a chiedere “cosa volete?” “qual è il problema?”, ma di creare le condizioni perché i partecipanti possano costituirsi in una “comunità indagante” capace di apprendimento reciproco e di apprendimento collettivo fra co-protagonisti.

41 TAVOLA ROTONDA

colpito. Si tratta del modo in cui sono stati proposti i problemi da chi è intervenuto in precedenza. Mi sembra di aver colto come circa quindici anni di applicazione di strumenti riferibili alla programmazione negoziata non solo hanno fatto nascere sensibilità nuove per il “progetto locale” ma anche per il suo montaggio. Che si stia consolidando anche da noi la figura dell’architetto/ingegnere programmatore? Chiedo ora a Marianella Sclavi di intervenire. Ritengo che su un tema quale quello della analisi dei bisogni, delle relazioni fra questi e lo spazio, e quello, ancora, della partecipazione del pubblico nella costruzione del Piano dei Servizi, il suo contributo sarà davvero importante.


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A questo fine tutti i Large Group Interaction Methods si propongono di creare degli spazi di interazione in cui: a) è assente la minaccia di “perdere la faccia”, ambienti cui l’accoglienza reciproca sia scontata e tutti si sentano a proprio agio; b) dove le persone possono elaborare un quadro di ideali condivisi abbastanza ampio da rendere inoffensive le aree di probabile disaccordo, che verranno poi affrontate, ma in un clima di collaborazione di fondo e fiducia reciproca; c) e che contemporaneamente consenta a ciascuno di intervenire ed essere notato dagli altri come protagonista individuale. Il ruolo degli organizzatori di Lgim è quello di creare e mantenere nel tempo un clima che promuove la creazione di sentimenti di comune appartenenza fra estranei e l’instaurarsi fra loro di forme di convivenza collaborativa e di socialità nella vita quotidiana. Si tratta di approcci di ricerca-azione tipicamente “polifonici”. Sono modalità di indagine adatte a situazioni complesse, caratterizzate da fragmentazione sociale e da una diffusa conflittualità che va assunta come segno di una ancor più vasto desiderio di protagonismo. Situazioni che richiedono soluzioni innovative e la creazione di un senso di responsabilità condivisa, di coprotagonismo e comune impegno in iniziative di progettualità partecipata. Livello Tre. Mentre fra il livello zero e uno vi è da un punto di vista epistemologico una sostanziale continuità (rientrano entrambi nell’ambito di una scienza o approccio disciplinare “normale”), fra il livello uno e due vi è una netta discontinuità, un vero e proprio salto di paradigma. Questo salto riguarda sia l’epistemologia che il tipo di questioni e problemi che vengono affrontati. Con il linguaggio dell’azione ricerca, (e in particolare della actionscience di Chris Argyris e Donald Schön) ciò che ci si propone di mettere in discussione non sono tanto (o solo secondariamente) le teorie esplicite, quello che la gente comune, i professionisti o gli scienziati pensano di x, quanto le teorie-in-uso, i comportamenti e gli archi di reazioni alle reazioni dati per scontati che perpetuano a livello profondo lo status quo, limitando l’ambito delle scelte possibili e dei cambiamenti a degli adattamenti di tipo rimediale e passivo. A questo fine si inventano metodologie che predispongono contesti organizzativi tali da rendere disfunzionali i modi abituali di percepire se stessi, gli interlocutori e di affrontare i problemi, tanto che in essi questi modi abituali se riproposti provocano spontanee reazioni di fastidio e biasimo. Qui si aprono due ordini di problemi. Il primo riguarda la necessità di trovare i modi e gli spazi affinché il patrimonio di riflessività potenziale che in queste esperienze ed eventi si accumula diventi esplicito e consapevole. Il che è tutt’altro che facile perché sono in gioco emozioni, senso del sé, e un sapere in larga parte dato per scontato sul quale costruiamo i nostri sensi di appartenenza, sicurezza e prevedibilità. Sono richieste una grande delicatezza e pratica dell’ascolto attivo e in definitiva un certo grado di saggezza. D’altra parte se questo manca,

se questo apprendimento di secondo grado, circolarmente riflessivo, non si sedimenta in modo consapevole sia a livello individuale che di gruppo, questi eventi, (che oggi sono previsti in particolare nelle Agende 21 e sono usati sempre più frequentemente anche nei programmi Urban, Contratti di Quartiere e così via) diventano “carnevaleschi”. Non intendo affatto questo termine in modo dispregiativo, tutt’altro, lo intendo alla maniera di Michail Bachtin. Per Bachtin il carnevale medioevale e rinascimentale è una forma speciale di vita sociale creativa, che si manifesta nell’ambito di un proprio spazio-tempo. Il secondo ordine di problemi, riguarda quali sono non solo le competenze dei singoli, ma le istituzioni che possono gradualmente diffondere e stabilizzare come dei principi dati per scontati questo senso di riconoscimento e rispetto dell’alterità. E qui forse l’ultima istituzione alla quale uno può pensare è proprio la pubblica amministrazione, che non per caso coincide nell’immaginazione con “la burocrazia”. Cioé con il modello contrario ad ogni capacità di ascolto, di accoglienza, flessibilità, innovazione e così via. Eppure, è proprio nel corso di esperienze di Lgim quando i partecipanti toccano con mano la possibilità di una pubblica amministrazione capace di ascolto attivo, che ho sentito usare spesso il termine “motore istituzionale” per intendere che la pubblica amministrazione dovrebbe porsi come il motore che garantisce nei riguardi delle associazioni, dei cittadini, degli abitanti la continuità di quel tipo di cambiamento. In altre parole, negli spazi di libertà dissacrante aperti dai Lgim (quando vengono gestiti seriamente) può capitare ed è capitato che la pubblica amministrazione oggi venga vista come il principale potere frenante, ma anche il principale potenziale motore di una rivoluzione culturale post-moderna. F. K. Chiedo ora a Manuela Ricci di intervenire. La questione dell’integrazione del Piano dei Servizi con altri strumenti di democracy come si dice oggi è stato da lei particolarmente studiato. Mi riferisco alle relazioni possibili del Piano dei Servizi con il bilancio di un ente locale, dal bilancio sociale o a quello partecipato con il programma triennale dei lavori pubblici, ecc. Soprattutto al rapporto tra bilancio sociale, bilancio tout court e “Peg” mi sembra interessante sentire la sua opinione, ovviamente in rapporto al Piano dei Servizi.

Sistema della programmazione di bilancio e Piano dei Servizi di Manuela Ricci, professore ordinario di Urbanistica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Mi sembra che nei casi presentati sia stato poco approfondito il rapporto tra sistema della programmazione di bilancio e Piano dei Servizi (PdS). La questione dell’importanza del programma dei lavori pubblici all’interno del


A proposito di scuola, vorrei ancora evidenziare un elemento emerso nell’esposizione dei casi, in particolare da parte del comune di Parabiago. La sperimentazione promossa dall’amministrazione sulla qualità degli spazi della scuola e sulla loro rispondenza o meno ai bisogni degli utenti è un’operazione di grande interesse, ma forse un po’ settoriale dal punto di vista complessivo del “servizio istruzione”. Infatti va evidenziato che forse il PdS, oltre agli spazi fisici della scuola, può/deve occuparsi anche del servizio immateriale, come sopra accennato e della sua qualità. In questo senso l’operazione di Parabiago, pur se positiva, presenta spetti di settorialità che in una visione più completa e integrata del PdS andrebbero superati. Altro elemento di estremo interesse che vorrei sottolineare è l’importanza dell’interdisciplinarietà. Dopo anni che l’“urbanistica” era diventata appannaggio esclusivo degli architetti, sembra che, con il PdS, ripartendo proprio dall’urbanistica (sua sfera di origine), si vada avanti per inglobare nel processo altre professionalità, come i sociologi, i facilitatori e altre categorie che sicuramente potranno essere di notevole supporto a un allargamento della vision del PdS. F. K. Manuela Ricci ha toccato tra i vari strumenti di governance il cosiddetto Piano dei tempi e degli orari. Si tratta, è noto, di uno strumento di regolazione della vita urbana che ovviamente ha una parentela molto stretta con quello della gestione dei servizi. È doveroso, a questo punto, dare la parola a Sandra Bonfiglioli che questo tema non solo ha studiato e studia, ma forse ha addirittura “costruito”.

Tempi e orari nel Piano dei Servizi

di Sandra Bonfiglioli, professore ordinario in Pianificazione territoriale presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano Tratterò brevemente di quattro argomenti: Può esistere una qualità prestazionale dei sevizi che non prenda in considerazione gli orari di apertura? Vi sono aspetti temporali significativi nella nuova domanda di servizi? L’Ufficio Tempi della Città può collaborare proficuamente con l’Ufficio urbanistico? Cosa mettiamo a problema nel Piano dei Servizi, i bisogni dei cittadini o il governo del territorio? Dice Francesco Karrer: • “il Piano non va pensato confinato nell’urbanistica ma nella dimensione del governo del territorio (…) Non vi sfugge che pongo enfasi al concetto di “servizi” e non tanto a quello di “area a standard” e/o di “attrezzature”; • “nascere sensibilità nuove per il ‘progetto locale’ ma anche per il suo montaggio. Che si stia consolidando anche da noi la figura dell’architetto/ingegnere programmatore?

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PdS sembra ormai un fatto scontato in quasi tutte le esperienze, proprio perché tratta di “opere fisiche”, considerata la categoria emblematica del PdS. In realtà il programma dei lavori pubblici altro non è che uno dei documenti della programmazione di bilancio (assieme al bilancio finanziario annuale e pluriennale, alla relazione previsionale e al Peg), programmazione che tratta anche dei “servizi immateriali”. Di qui emergerebbe l’esigenza di far dialogare in maniera stretta il PdS con il bilancio e quindi la necessità di definire un sistema informativo (territoriale) che sia in grado di connettere questi due strumenti per una maggiore efficienza, efficacia ed economicità dell’azione pubblica in materia. È una sfida complessa che nessun Comune ha ancora affrontato, ma che credo possa produrre un notevole valore aggiunto al significato e all’operatività del PdS. Questo tema si ricollega con un altro fondamentale emerso nella mattinata, quello che riguarda la dinamicità del PdS e della sua continua implementazione, che può essere certamente facilitata dall’esistenza di un sistema informativo. Va aggiunto che se il Comune costituisce un soggetto di erogazione diretta di servizi, esiste tutta un’altra area di servizi offerti dai privati o da altri enti pubblici. Generalmente quando si tratta di PdS ci si riferisce in prima istanza al Comune, ma è evidente l’importanza della produzione di servizi da parte di terzi per la qualità della vita della comunità insediata. È chiaro che in questo caso il Comune non può dettare le proprie regole, invadendo campi di responsabilità altrui, ma può certamente avviare dei tavoli di concertazione assumendo un ruolo di coordinamento, di verifica, di dialogo con i produttori “terzi” di servizi al fine di armonizzarne la produzione, la localizzazione, di portare al massimo livello la qualità, di rendere produttive ed efficienti le aree di intersezione e d’integrazione. A questo proposito, credo che sarebbe estremamente interessante ripercorrere, sotto questa luce, l’esperienza dei tavoli attivati in seno ai Piani dei tempi e degli orari, all’interno dei quali è stato fatto un lavoro di messa a rete dei servizi offerti da diversi soggetti con la rilevazione delle sinergie possibili e con l’attivazione di incontri tra categorie della domanda e categorie dell’offerta. Questi tavoli tanto più oggi si dimostrano importanti in quanto le cosiddette “autonomie funzionali” (ad es. scuola, università, ecc.) sono in crescita e moltiplicano la presenza sul territorio di soggetti che “autonomamente” possono decidere sull’erogazione dei propri servizi. La scuola in proposito è emblematica. Mentre nel periodo delle prime elaborazione del piano dei tempi e degli orari, gli orari di entrata e uscita delle scuole erano regolati dal Comune (d’intesa con le scuole), oggi la nuova autonomia scolastica consente ai presidi degli istituti di stabilire e regolare in piena autonomia tali orari. A questo punto la concertazione tra scuole e amministrazione diviene ancora più rilevante onde evitare che l’autonomia si trasformi in anarchia.


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(…) la distanza che c’è con le esperienze fatte in passato in ambiente urbanistico. Mentre sono più vicine quelle fatte pure in passato, a cavallo degli anni ’70, in materia di pianificazione sociale (...)”; • partecipazione del pubblico nella costruzione del Piano dei Servizi (…) in un’ottica di governance La seconda questione posta da Karrer richiama il problema della interdisciplinarità. Più facile a dirsi che a farsi. L’interdisciplinarità è stata spesso invocata ma raramente praticata. Non se ne conoscono gli statuti metodologici, ma solo pratiche empiriche. È in atto da molti anni un processo di indebolimento delle discipline che forse è premessa alla costruzione dell’interdisciplinarietà come metodo scientificamente riconosciuto. Tutto ciò sta abbattendo il legame fra disciplina e competenza a fare. E il contratto sociale fra chi fa cosa, a vantaggio di un’insensata competizione fra discipline che possono agire tutte sullo stesso campo d’azione. Per gli Uffici Tecnici degli enti locali, questo stato di cose comporta una competizione non virtuosa che aumenta solo la precarietà del quadro di riferimento. Il Piano dei Servizi rimarrà in carica agli uffici urbanistici? Non è affatto detto. Sociologi, economisti, ingegneri sono in grado di trattare il Piano con competenze adeguate. Non è problema insignificante per le Facoltà di Architettura e per gli urbanisti. L’interdisciplinarità è un problema disciplinare urgente e gli architetti/urbanisti di tradizione italiana, che hanno una disciplina già largamente orientata alla trattazione di logos diversi, possono dare un contributo significativo. Questo è il momento giusto e il Piano dei Servizi è l’occasione che fornisce alla riflessione variegati laboratori di pratiche. Tutti e tre i fuochi ricordati da Karrer sono stati affrontati dalle politiche temporali urbane. Questa disciplina, che è parte dell’urbanistica, può offrire un contributo ai problemi dell’interdisciplinarità, della partecipazione dei cittadini nel quadro più generale della governance, del Piano dei Servizi come governo del territorio. Soprattutto per quest’ultimo problema, se si costruiscono gli obiettivi prestazionali dei servizi in un’ottica oraria e temporale, allora è possibile governare attraverso uno stesso insieme di azioni sia la qualità della prestazione che ha come beneficiario il singolo cittadino, sia l’organizzazione urbana a diverse scale. Il funzionamento di una città abitata aperta su diverse scale di territori è, come ogni ambiente organizzato, esito di una duplice e organica regolazione delle relazioni spaziali e temporali che sono attivate dalle pratiche individuali e collettive di vita e lavoro, private ed istituzionali degli abitanti, stanziali o temporanei, presenti in un determinato luogo. La regolazione spaziale è compito prioritario dell’urbanistica; quella temporale è in carico alle diverse istituzioni che hanno potere di “decretare orari e calendari di apertura delle attività” quali scuole, famiglie, imprese e altro; la mobilità e i trasporti (strutture e gestione) sono i regolatori degli assetti combinati spazio-temporali.

La disciplina che sta alla base delle politiche temporali urbane viene oggi chiamata urbanistica temporale e conosce una prassi interdisciplinare con la sociologia urbana e con l’antropologia. La guida per la redazione del Piano dei Servizi è aperta ad introdurre fra la qualità delle prestazioni dei servizi il tema degli orari. Sono attivi in Lombardia alcuni cantieri di sperimentazione per integrare i due aspetti, fra cui Lodi. Presto saranno presentati i primi risultati. È semplice capire il tema degli orari. Il profilo temporale della domanda di servizi sta mutando profondamente in tre direzioni: verso la colonizzazione della notte e dei festivi per i servizi di intrattenimento e culturali; verso l’orario prolungato alla sera e alla pausa del mezzogiorno per i servizi d’interesse generale; verso l’orario flessibile e “a domanda” per i servizi alla persona; verso orari di nicchia per i servizi rari. Vi sono aspetti temporali e non solo orari ancora più significativi da prendere in considerazione nel Piano dei Servizi: • il superamento di una concezione generalista di standard prestazionale verso una differenziazione in ragione delle diverse stagioni della vita dei cittadini utenti; • la variabilità della domanda (orari e numero delle prestazioni) in ragione dei flussi di popolazioni che sono attratti a causa di attività stagionali, grandi eventi, nuovi assetti territoriali di scala vasta; • nuovi valori attribuiti alla qualità della vita che richiede prestazioni bilanciate, coordinamento di servizi, agio psicofisico, attenzione alle persone. Il Piano dei Servizi sarà un piano dove ciascun servizio si pone nell’obiettivo di customer satisfation? Per questa via non si arriva a governare il territorio e non è nella tradizione urbanistica e pertanto neppure nel suo superamento. Semmai nella sua ulteriore dissoluzione. Quale qualità e come si integra il beneficio individuale con la capacità di governare i territori abitati? Assumo l’ipotesi che questo nodo sia centrale per proseguire la nostra riflessione collettiva. In altri termini, di quale città stiamo parlando benché aperta sui territori? Riprendiamo a discutere sulla città e il suo destino attraverso il Piano dei Servizi. F. K. Hai perfettamente ragione. Rischiamo di parlare solo di servizi per la città di giorno. Dimentichiamo che la città, specie quella grande, vive 24 ore su 24. Passo la parola a Stefano Castiglioni.

A proposito della L.R. 12/2005

di Stefano Castiglioni, presidente Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti La delegificazione nella L.R. 12/2005 È sicuramente una circostanza significativa il fatto che il presente incontro avvenga nello stesso giorno dell’entrata in vigore della nuova L.R. 12/2005 “Legge Regionale per il Governo del Territorio”. Un sistema normativo


Dal P.R.G. al P.G.T. In sostanza il passaggio dal P.R.G. al P.G.T. non deve porsi come una questione nominalistica ma quale obiettivo di un vero e proprio “disegno strategico“, appunto di un “progetto urbano”: l’accento viene infatti ora posto non su normative astratte (basate su criteri schematici) ma su contenuti concreti, su progetti, su opere da realizzare effettivamente, su finalità precise da perseguire, non per garantire astratte e parziali coerenze ma per rinnovare la città, su procedure flessibili: • il “Piano di Governo del Territorio” articolato in: “Documento di Piano”, “Piano dei Servizi”, “Piano delle Regole”; • i “Piani Attuativi” e gli “Atti di programmazione negoziata con valenza territoriale” cui è affidato il compito di produrre esito e concreta attuazione; • il “Piano Territoriale Regionale” ed il “Piano di Coordinamento Territoriale Provinciale” che non configurano comunque un rapporto gerarchico e autoritario nei confronti degli ambiti comunali, bensì di reciproca interrelazione. Riferimenti essenziali È opportuno riassumere preliminarmente in una serie di linee-guida i riferimenti essenziali di cui tenere conto: • le città sono i “nuovi imprenditori” dell’Europa, hanno potenzialmente la dimensione e le caratteristiche per offrire risposte capaci di generare progetti di sviluppo con obiettivi concreti. • “Quali sono i fattori che governano il successo o il decadimento di un’area urbana?” L’ipotesi di base è che ai fini dello sviluppo economico le produzioni di beni tradizionali incidano sempre meno, dato che possono essere attuate a minimo costo anche da sistemi robotizzati o da manodopera asiatica: da sempre il vero sviluppo, e cioè l’innovazione, deriva dalle condizioni favorevoli, per produrre nuove idee, attrarre e stimolare talenti, suscitare

interesse ed entusiasmo che, in primis, proprio città e territorio devono poter garantire. In estrema sintesi occorre innescare un “circolo virtuoso” di connessione tra programmazione urbana e attuazione di opere pubbliche e private nell’ambito di un’intensa concertazione tra istituzioni pubbliche ed enti privati, tra architettura (non semplice edilizia) e governo del territorio per l’obiettivo ultimo di una migliore qualità di vita. Occorre dunque mirare a obiettivi generali e largamente condivisi (che non devono però restare allo stadio di intenti), che comportino in ogni caso l’esigenza di conciliare interessi diversi, non sempre coincidenti con quelli della società e con la tutela dell’utente. Indirizzi dell’urbanistica di nuova generazione Senza addentrarsi nel dettaglio dell’articolazione della nuova L.R. va osservato come nella stessa: • spariscano le regole rigide (per cui non si potrà più rispondere “Si condivide, si apprezza, ma la norma non lo consente”); • le regolamentazioni e le normative debbano anzi tornare a essere essenzialmente “strumenti” e non il contenuto, “il credo” della pianificazione. In sostanza “Governo del Territorio” risulta traducibile in: • normativa che presupponga le logiche della concertazione, • efficienza e rapidità dell’azione pubblica, • programmazione congiunta di investimenti pubblici e privati con valutazione preventiva della fattibilità degli interventi, • costruzione del consenso, • valorizzazione degli investimenti tramite la qualità di programmi e progetti. Per detti obiettivi è evidente come non possano sussistere riscontri automatici o riferimenti tabellari o regole generali cui agevolmente conformarsi o da reiterare. Contenuti possibili degli atti di P.G.T. In estrema sintesi si deve considerare: come il “Documento di Piano” debba significare una scelta di metodo per istituzionalizzare un dialogo, un confronto (o come si usa dire oggi, una “concertazione”) con i protagonisti dell’operare e della vita nella città, così da configurare un’effettiva scelta di democrazia urbana. In tale sede il riferimento fondamentale diverrà pertanto la delineazione di scenari prevedibili e perseguibili, con la conseguente individuazione delle caratteristiche evolutive e delle variabili negoziabili. Si tratterà dunque di svolgere una puntuale completa lettura del contesto socio-economico-ambientale, esplorare la gamma delle ipotizzabili proiezioni future, prefigurare obiettivi compatibili, focalizzare strategie praticabili avvalendosi poi idoneamente degli strumenti propriamente attuativi. Per il “Piano dei Servizi”, che costituisce una procedura in sostanza già sufficientemente sperimentata, l’attuale riduzione dello standard quantitativo da 26,5 a 18 mq/ab (ma in realtà 12 mq/ab considerando l’incidenza cubatura/abitanti

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urbanistico che promuove un approccio radicalmente innovativo per la programmazione e la pianificazione urbana, ribaltando schemi urbanistici abituali e per di più con la caratteristica di una consistente “delegificazione”, cioè della cancellazione pressoché completa del precedente assetto legislativo in materia, a sottolineare una decisa intenzionalità a “troncare i ponti con il, seppur recente, passato”. Sicuramente un “raccordo” o almeno “uno scadenziario applicativo graduale” con la precedente Legge Quadro Regionale 51/1975 avrebbe reso meno traumatico il sostanziale cambio della metodologia di gestione del territorio: si ha ragione tuttavia di ritenere che l’intendimento dei proponenti sia stato quello di impegnare i soggetti principalmente interessati (i Comuni) a formulare obiettivi e contenuti concreti di politica urbana o meglio di un “Progetto Città”, tanto sul medio che sul lungo periodo, e quindi ad abbandonare una volta per tutte la scelta di gestire la quotidianità e di amministrare a basso profilo.


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variata da 100 a 150 mc) consente ora prospettive più articolate quale, esemplificativamente, la possibilità di rendere disponibili nuove aree per l’edilizia sociale abbinata (o meglio sovrapposta) a standard qualitativi (verde e servizi di vicinato) da riservare a quota 0.00 o pubblici parcheggi pluripiano ai piani interrati. Per il “Piano delle Regole” poi si dovrà conseguire l’obiettivo (non da poco) di configurare lo stesso quale “piano morfologico”, (come già definito inizialmente) e cioè tutore dell’identità dei luoghi, dei valori, del paesaggio, delle testimonianze del passato, evidenziando il distacco dagli anacronistici limiti delle tradizionali N.T.A. Il nodo della qualità edilizia Tramite lo stesso Piano delle Regole dovrà altresì essere affrontato il nodo della qualità dell’edilizia, in particolare privata (che è poi il tessuto connettivo della città), che non è stata in grado, negli ultimi decenni, di offrire un’immagine e un esito soddisfacente ma semmai (nei casi migliori!) solo una diffusa-uniforme omologazione e per la quale occorrerà stimolare con “segnali forti” quella qualità architettonica, quell’innovazione tecnologica e tipologica cui la questione energetica attribuirà a breve connotati di emergenza. Occorrerà di conseguenza impegnarsi per superare radicalmente schemi e impostazioni normative che hanno finito per generare un gap culturale, sostituendo (come già criticamente osservato) “architettura, progetto, trasformazione” con “sanatoria, completamento, ristrutturazione”, determinando una dequalificazione professionale che ha finito per dar luogo a tecnici più simili a “ragionieri del territorio” che a progettisti, a propositori di tecnologia e creatività. Attuazione della fase sperimentale A riguardo va anche rilevato che il Testo Unico di cui alla citata L.R. 12/2005 non tratta solo di legislazione urbanistica ma altresì anche della materia propriamente edilizia (sui cui contenuti varrebbe la pena di soffermarsi in dettaglio) in estensione e declinazione del relativo Testo Unico Nazionale D.P.R. 380/2001, sottolineando come nella realtà le due discipline (urbanistica ed edilizia) nella realtà debbano necessariamente confluire nell’obiettivo ultimo di dare un nuovo volto al territorio, all’habitat, alle città. Naturalmente l’applicazione del principio di sussidiarietà e la libertà metodologica ora consentiti alle municipalità da un lato comportano rilevanti opportunità, dall’altro non possono oggettivamente che configurare solo il primo passo di un percorso complesso, non scevro da rischi e conseguenze riduttive, specie in presenza delle ricadute di grandi opere infrastrutturali, se subite passivamente alla stregua di veri e propri “meteoriti ambientali” (Malpensa, TAV, Pedemontana, BreBeMi e finanche la stessa Nuova Fiera di Rho-Pero). Proprio per la considerazione che la nuova legislazione richieda l’applicazione di una necessaria fase “sperimen-

tale”, si ritiene che debba essere attivata e divulgata una selezione di prassi esemplari adottate (peraltro numericamente limitate), con puntuale valutazione delle metodiche adottate e disamina critica degli esiti conseguiti, intesi quale iniziale orientamento operativo, efficace e concreto per “Amministrare la città e il territorio prima dell’urbanistica”. F. K. Il suo ragionamento ci ha portato direttamente nel campo delle interfacce. In particolare in quella tra attrezzature pubbliche e spazio pubblico. Dò quindi la parola a Marco Engel.

Dallo “standard” urbanistico al Piano dei Servizi: il declino delle garanzie e le nuove opportunità

di Marco Engel, esperto di pianificazione e progettazione degli spazi pubblici A quattro anni dalla pubblicazione della Legge Regionale che introduce il Piano dei Servizi fra gli strumenti della pianificazione comunale è possibile trarre un primo bilancio per sviluppare le nuove linee di lavoro richieste dall’applicazione della recentissima legge per il Governo del Territorio della Lombardia. Anzitutto è necessario chiedersi cosa ha spinto in questi quattro anni le amministrazioni comunali a dotarsi del Piano dei Servizi, quando questo è avvenuto non in concomitanza con la redazione di una variante generale di P.R.G., della quale il Piano dei Servizi costituisce un contenuto obbligatorio. Ebbene non v’è dubbio che, nella maggior parte dei casi, la spinta alla produzione del Piano dei Servizi è determinata dalla decadenza dei vincoli urbanistici, la quale impone al Comune il riesame delle aree assoggettate a vincolo e il loro ridimensionamento in funzione del nuovo calcolo della capacità insediativa e di qualche maggiore preoccupazione per l’onere economico della reiterazione. Ciò che muove le amministrazioni comunali non è che in piccola parte un rinnovato interesse per la riorganizzazione del sistema dei servizi e degli spazi pubblici, ma è piuttosto l’urgenza determinata quasi ovunque dal divario fra l’estensione del territorio vincolato alla realizzazione delle attrezzature pubbliche e l’entità delle risorse economiche dei comuni. Tale divario era ed è ben noto al legislatore regionale, il quale dispone, infatti, che i comuni possano affidare ai privati la realizzazione delle attrezzature pubbliche, sollevando l’amministrazione pubblica dall’obbligo dell’acquisizione delle aree e dell’attuazione degli interventi. Con la nuova legge urbanistica l’attenzione del legislatore appare ancor più concentrata sulla sostenibilità economica dei vincoli urbanistici e della realizzazione dei servizi: vi si dispone, infatti, che solamente nel caso sia verificata l’inadeguatezza delle attrezzature pubbliche esistenti, il Comune non procede semplice-


F. K. Prima di dare la parola a Fausto Curti credo che sia utile ricordare che la Legge Finanziaria 2005 ha precisato che solo una percentuale – se non ricordo male il 30% – delle entrate dovute al versamento del contributo agli oneri di urbanizzazione può essere utilizzato per realizza-

re urbanizzazioni. Il che la dice lunga sulla natura di questo contributo. Che certamente non è quello di una tassa di scopo. Con la legge finanziaria se ne ha un’implicita, ma significativa conferma. Da ciò, e anche oltre la nota sentenza della Corte Costituzionale 179/1999, la copertura giuridica di “scambi”, alternativa al pagamento di cessioni di aree, di monetizzazioni di oneri, ecc. che sempre più spesso sono praticati.

Standard fondiario e standard prestazionale di Fausto Curti, professore di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano

Bisogna riconoscere che la Regione Lombardia ha preso atto per tempo della crisi del modello di pianificazione dei servizi tipico del P.R.G. di tradizione per avviare un’innovazione fertile anche per le altre regioni e per la riforma della legge nazionale. L’impianto presenta tuttavia alcune incongruenze che dovranno essere messe alla prova e rettificate in base agli esiti delle pratiche in corso – come si è iniziato a fare con la predisposizione collaborativa delle Linee Guida alla redazione dei Piani dei Servizi. Nel modello di zonizzazione e dimensionamento che presiedeva alla quantificazione delle aree a standard nel P.R.G. tradizionale, la capacità insediativa teorica veniva calcolata su previsioni di sviluppo astratte e – di solito – sovradimensionate, producendo conseguentemente un sovra -dimensionamento delle aree vincolate e dei relativi costi di acquisizione, tanto più inagibili col ridursi della capacità di spesa dei comuni e con la sopraggiunta sentenza sulla non reiterabilità dei vincoli pubblicistici. Pare dunque del tutto apprezzabile il legame istituito nella nuova legge regionale tra analisi della domanda reale e locale (anziché di fabbisogni medi ipotetici territorialmente indifferenziati) e concrete modalità di offerta di beni e prestazioni di pubblico interesse, che vengono negoziati nel corso del processo di trasformazione urbana, cioè in presenza di una proposta di progetto migliorabile e di condizioni di mercato note, sulla cui base procedere ad attendibili stime di convenienza degli interventi sottoposti a pubblica istruttoria. Ciò premesso conviene entrare nel merito del dispositivo, in primo luogo per convalidarne alcune cautele, quindi per suggerire aggiustamenti che possano valorizzarne un’applicazione equilibrata. È stata da più parti rilevata una contraddizione tra l’estinzione della disciplina dello standard fondiario sancita con la L.R. 1/2001 e il suo ripristino nel nuovo testo unico lombardo. Merita a riguardo osservare che l’incremento dell’indice mc/ab (da 100 a 150) e la parallela riduzione degli standard (dai 26,5 mq/ab richiesti dalla L.R. 51/75 ai 18 mq/ab del D.M. e accolti dalla nuova legge) determina comunque un dimezzamento delle aree vincolate. Prima di derubricarle interamente è bene vedere cosa i comuni sapranno

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mente a vincolare le aree necessarie per il loro adeguamento, come era nella corrente prassi urbanistica, fino alla L.R. 1/2001, ma “(...) quantifica i costi per il loro adeguamento e individua le modalità di intervento” (Art. 9, 3° comma, L.R. 12/2005). Non è più richiesto al Comune di mettere da parte, sottraendole all’eventuale edificazione, le aree che serviranno per la realizzazione degli spazi e delle attrezzature pubbliche, strade comprese, ma di valutare prioritariamente l’entità degli spazi e delle attrezzature che si può permettere di realizzare nel periodo di validità del vincolo. Per un verso questo atteggiamento di maggior concretezza economica può risultare come inevitabile conseguenza delle sentenze della Corte Costituzionale in materia di vincoli urbanistici. Per altro verso tale atteggiamento priva i comuni della capacità di progettare il proprio territorio nella prospettiva del lungo periodo, riservando spazi per l’operatività, le necessità e la cultura delle generazioni future, ciò che è naturale prerogativa di un’amministrazione pubblica. Né deve sfuggire un importante effetto collaterale dell’applicazione dello “standard” urbanistico, ancorché banalizzata da un’impostazione più contabile che progettuale. Soprattutto nelle parti più dense dell’area metropolitana milanese, lo “standard” ha fissato il limite al consumo di suolo, ha impedito che venisse completata l’edificazione dell’intero territorio comunale, poiché questo doveva rimanere riservato al verde e alle altre attrezzature pubbliche in misura proporzionata alla dimensione dell’edificato. La necessità di porre un limite invalicabile allo sviluppo dell’edificato rimane comunque un’esigenza del territorio metropolitano, alla quale sarà ora necessario rispondere con nuovi strumenti. Da una parte integrando i contenuti della panificazione di grande scala, dall’altra, forse, rimettendo mano alla produzione legislativa. Infine non deve neppure essere sottovalutata la spinta innovativa introdotta dal Piano dei Servizi nella pianificazione comunale. L’assenza di obblighi di legge nel dimensionamento dei nuovi spazi da riservare ai servizi pubblici rimanda interamente ai Comuni la responsabilità delle scelte su questa materia, che costituisce uno dei capitoli essenziali del ragionamento sulla qualità della città. Si apre forse, con le nuove disposizioni legislative, una nuova stagione per il progetto urbano a partire da uno dei suoi elementi essenziali: l’armatura pubblica della città e del suo territorio. Un progetto reso oggi drammaticamente reale, poiché costretto a confrontarsi coi limiti imposti dalla disponibilità delle risorse e quindi dall’attuabilità economica ed amministrativa delle scelte: come accade in ogni altro campo della progettazione.


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fare delle attuali eccedenze – che sono di tutto riguardo – e, se si vuole, far seguire deregolazioni radicali a un qualche processo di apprendimento amministrativo, per limitare il rischio di contenzioso e di spreco di risorse. Allo stato, non mi pare, infatti, esistano sperimentazioni mature nel trattamento perequativo delle aree reimmesse sul mercato, né modalità stabili di compartecipazione pubblico-privato nel riuso delle aree liberate dai vincoli. Un’esperienza pilota presentata oggi, che prevede la fornitura pluriennale di un servizio di trasporto pubblico in cambio dell’edificazione intensiva di un’area previamente vincolata, ha correttamente sollevato dubbi di opportunità civica se non di legittimità giuridica. Per altro verso la netta riduzione delle aree vincolate a standard equivale alla contrazione delle cessioni gratuite di suolo normalmente convenzionate nelle lottizzazioni e nei piani attuativi, o in altri termini a una detassazione dello sviluppo immobiliare che ridimensiona una leva negoziale in mano pubblica. Se l’urbanistica si orienta al mercato valorizzando le pratiche di scambio tra amministrazioni e privati è bene rammentare la necessità di regolazione pubblica della congiuntura, per non sostenere il mercato in fase espansiva e ritrovarsi senza mezzi di incentivazione in fase recessiva. D’altro canto, anche sul piano teorico, non mi pare esista una definizione solida, e ancora meno una modalità affidabile di computo, dello standard prestazionale che dovrebbe rimpiazzare lo standard fondiario (normato, bisogna ricordarlo, solo nella legislazione italiana e spagnola). Lo standard prestazionale ha avuto qualche codificazione a livello dell’edificio, qualche applicazione settoriale (per la residenza, per l’industria) a livello micro-urbanistico, ma nessuna implementazione a scala urbana – che è talora soggetta a intensi trade off nelle prestazioni tra settori e tra ambiti. Non per nulla anche il cosiddetto “standard qualitativo” non viene commisurato alle prestazioni del servizio offerto, bensì impiega un criterio di conversione (valore della superficie da cedere/costo economico dell’opera) equivalente al criterio di monetizzazione dello standard nel modello quantitativo e fondiario, che si ritiene obsoleto. C’è dunque un problema di maturazione concettuale e tecnica (oggetto di una ricerca MIUR in corso) prima che di normazione dell’indefinito. Veniamo ora ad alcune questioni tratteggiate nelle Linee Guida presentate in questo convegno. Per quanto riguarda l’analisi della domanda, l’idea di considerare non soltanto gruppi sociali identificati ex ante in base alla struttura della comunità insediata, ma anche gli attori implicati nella politica dei servizi (stockholder e stakeholder, come nelle più recenti tecniche di marketing strategico) mi pare utile non tanto per affinare il quadro esigenziale di soggetti esigenti e dotati di voce, quanto per correlare la politica dei servizi perseguita agli effetti redistributivi indotti sui detentori di stock, nonché alla disponibilità a pagare dei soggetti con interessi in gioco, almeno nel caso di servizi forniti a livelli superiori alle soglie comu-

ni. Soglie che possono essere riferite a singoli soggetti (come nei Livelli Essenziali delle politiche socio-assistenziali people oriented) ma che possono essere fatte valere in relazione alle diverse zone e ai diversi quartieri delle città, come nelle classiche politiche urbane space oriented. È infatti ammissibile una differenziazione inter-personale nella prestazione pubblica di servizi sovra-soglia, che sia opportunamente tariffata per fornire il gettito necessario a finanziare le prestazioni di base, così come è accettabile una differenziazione intra-urbana nelle dotazioni di attrezzature e amenities ambientali, opportunamente fiscalizzata per fornire risorse necessarie alla manutenzione di un decente livello qualitativo comune all’intera città e all’eventuale saldo di deficit pregressi. Infine, per quanto riguarda l’offerta, credo vada raccomandata l’introduzione del criterio del linkage, cioè di un collegamento verificabile tra impatti urbani generati dalle trasformazioni ammesse e natura e misura delle esazioni richieste, per evitare dissipazione del patrimonio pubblico in scambi ineguali pur di colmare difficoltà contingenti di bilancio, o simmetricamente atteggiamenti “estorsivi” o disparità di trattamento a scapito dei promotori. Questo consentirebbe di accantonare logiche – in genere perdenti – di acquisizione pubblica di quote di rendita immobiliare assegnata dal piano, per avviarsi (come nei sistemi negoziali maturi) verso criteri di risarcimento degli impatti ambientali e dei costi pubblici imputabili ai progetti, così da favorire la sostenibilità ambientale, sociale ed economica degli interventi in programma. F. K. Mi sembra che la tavola rotonda abbia ulteriormente arricchito questa nostra giornata di riflessione. Nei pochi minuti che abbiamo ancora a disposizione non posso certo tentare una conclusione. Fortunatamente gli organizzatori del convegno – che ringrazio ancora per l’opportunità che ci hanno fornito – non me lo hanno chiesto. Dirò solo poche cose in forma di “parole d’ordine”: il Piano dei Servizi è comunque grande parte di quel “progetto di città” che tutte le città si dovrebbero dare. Ovviamente in forma esplicita. Di recente, il sindaco di Lille, il famoso ex ministro Martine Aubry, a metà del suo mandato, ha dato alle stampe il suo Projet urbain (noto che ha usato l’espressione “urbain” e non quella di “ville”, avevo sempre ritenuto che nel primo termine prevalesse la dimensione fisico–formale della città e nel secondo quello del “senso della struttura”, dell’organizzazione che si vuole per una città), tutto giocato sull’integrazione tra soggetti e parti di città. Ecco: il Piano dei Servizi può aiutare molto in questa prospettiva. Così come può aiutare nel realizzare quell’obiettivo di semplificare, e nello stesso tempo rendere maggiormente effettuale la pianificazione, espresso con lo slogan, a livello internazionale sempre più vincente, “un territorio, un piano, un contratto”.


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