AL 11, 2005

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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FORUM Architettura della religione interventi di Gianfranco Ravasi, Giuseppe Arosio, Guido Morpurgo, Rosario Pasquini, Giancarlo Santi Tre domande a… Paolo Portoghesi Offerta formativa e informativa

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OSSERVATORIO Argomenti Conversazioni Concorsi Riletture Libri Mostre

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PROFESSIONE Legislazione Normative e tecniche Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini

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INDICI E TASSI

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Direttore Responsabile Stefano Castiglioni Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Martina Landsberger, Caterina Lazzari Direzione e Redazione via Solferino 19 – 20121 Milano tel. 0229002165 – fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa Mancosu Editore spa via Alfredo Fusco 71/a – 00136 Roma tel. 06 35192255 – fax 06 35192260 e-mail: mancosueditore@mancosueditore.it http://www.mancosueditore.it Concessionaria per la Pubblicità via Alfredo Fusco 65 – 00136 Roma tel. 06 35192280 – fax 06 35192269 e-mail: isi.spa@mancosueditore.it Sales Manager Gianluca Antonucci Fabrizio Moi Agente pubblicità per il nord Italia: Giacomo Lorenzini (Mass Media) Francesca Forrer Alessandro Martinenghi (Graphic Point) Massimo Aureli per il centro Italia: Elisabetta Arena Alexander Tourjansky Stampa ati spa – Pomezia, Roma Rivista mensile: Spedizione in a.p. – 45% art. 2 comma 20/b – Legge 662/96 – Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 29.000 copie Prezzo singola copia: € 3,00 Abbonamento annuale (10 numeri): € 20,00 Abbonamento riservato agli Iscritti degli Ordini della Lombardia: € 3,00 Informazioni: tel. 06.351921 In copertina Luciano Baldessari, Cappella S. Lucia a Caravate (Va), 1962-66 (foto: Giorgio Casali). Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL

EDITORIALE

11 NOVEMBRE 2005

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 31.3.06) Ordine di Cremona, tel. 0372 535422 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Luigi Fabbri; Consiglieri: Edoardo Casadei, Federica Fappani (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 14.12.05) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Quintino G. Cerutti, Maura Lenti, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 30.6.05)


Il luogo di culto, l’architettura del sacro rappresentano sicuramente per il progettista, oggi come ieri, una sfida impegnativa e ambita: si tratta infatti di dare una risposta formale non a bisogni materiali o ad aspetti funzionali, ma di tradurre in opera edilizia un’esigenza dello spirito, di realizzare uno spazio d’incontro comunitario che esprima il senso del sacro e del trascendente. Il tempio, per il suo significato di offerta e testimonianza di fede, ha sempre in passato, ben più di altre tipologie, costituito espressione dell’arte e della cultura di una comunità: non è casuale infatti che, fin dalle origini, la storia stessa dell’architettura possa essere quasi integralmente delineata proprio attingendo alle testimonianze rese da costruzioni sacre. Ed è questa una estesa sequenza riscontrabile sin dalle città sacre dell’antico Egitto (articolate secondo una rigida gerarchia di casta), che ancora oggi riescono a comunicare un’estaticità pervasa da un profondo senso della vita ultraterrena, al tempio ebraico (espressione di un’ansia messianica), fino alle testimonianze eccelse quanto diffuse della cristianità che nel corso del medioevo raccoglieva la città attorno all’“impresa limite” della cattedrale a cui era affidato il compito di rappresentarla nel modo e nella forma più compiuta e intensa. Difficile resta invece ritrovare i segni dell’architettura della fede nella dimensione metropolitana odierna: il carattere della città degli ultimi decenni è oggettivamente riconducibile prevalentemente al soddisfacimento di bisogni di massa a scapito di una reale socialità, soggetta pertanto ad una progressiva erosione. Comunque anche il nostro controverso modello di civiltà non ha mancato nel secolo scorso di offrire elevatissime espressioni di architettura: basti solo considerare la Sagrada Familia di Gaudí, la cappella di Ronchamp di Le Corbusier o la Chiesa-Tenda dell’Autostrada di Michelucci. Va rilevato inoltre che l’Architettura del Sacro può costituire la chiave di lettura per comprendere e tracciare la storia della città mediante una ricerca che necessariamente porta a identificare due riferimenti essenziali: l’abitazione e il luogo di culto, il cui rapporto ha da sempre influenzato non solo la forma delle città e dei luoghi significativi, ma ha contraddistinto il rapporto tra lo spazio celebrativo e quello della quotidianità, la relazione tra simbolo e concretezza, tra ideale e praticità. Templi o chiese da un lato e dimore dall’altro, nella loro relazione, restano infatti la testimonianza più immediata e diretta delle aspirazioni, della cultura e della religiosità di un sistema sociale nel suo contesto storico e territoriale. Si tratta di una concezione o meglio di una scelta a rivedere la storia dell’arte e dell’architettura secondo un percorso unitario, articolato nei termini di un dualismo essenziale, sempre riconoscibile nei diversi modelli di civiltà: da un lato l’uomo nel suo spazio fisico (tramite la casa) e dall’altro l’Entità soprannaturale (tramite il tempio) per rileggere correttamente e compiutamente il passato, per cogliere la continuità temporale dalle origini dei tempi a oggi e quindi per prospettare il futuro, sgombrando il campo da categorie accademiche e sovrastrutture culturali che la storia del resto provvede poi sempre a ridimensionare o a rimuovere inesorabilmente. Stefano Castiglioni Presidente della Consulta Lombarda degli Ordini degli Architetti

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L’architettura della fede


Architettura della religione

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Nel Forum di questo numero intervengono mons. Gianfranco Ravasi, Prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana; mons. Giuseppe Arosio Direttore emerito ufficio Nuove chiese Diocesi di Milano; Guido Morpurgo architetto; Rosario Pasquini àbdu r-Rahmàn, Direttore del Messaggero dell’Islàm, periodico culturale del Centro Islamico di Milano e Lombardia; mons. Giancarlo Santi, già Direttore dell’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici della C.E.I.. L’architetto Paolo Portoghesi ha risposto a tre domande di Maurizio Carones. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

Lo spazio sacro nella tradizione cristiana di Gianfranco Ravasi

“Ai tuoi servi sono care le pietre di Sion” (Salmo 102,15). Questa professione d’amore dell’antico salmista potrebbe essere anche il motto della tradizione cristiana che allo spazio sacro ha riservato sempre un rilievo straordinario, a partire dalla “pietra” del S. Sepolcro, segno della resurrezione di Cristo, attorno alla quale è sorto uno dei templi emblematici dell’intera cristianità. Tra l’altro, è curioso che simbolicamente le tre religioni monoteistiche si àncorino a Gerusalemme attorno a tre pietre sacre, il Muro Occidentale (detto popolarmente “del Pianto”), segno del tempio salomonico per gli ebrei, la roccia dell’ascensione al cielo di Maometto nella moschea di Omar e, appunto, la pietra ribaltata del S. Sepolcro per il cristianesimo. Certo è che, senza la spiritualità e la liturgia cristiana, la storia dell’architettura sarebbe stata ben più misera: pensiamo solo al nitore delle basiliche paleocristiane, alla raffinatezza di quelle bizantine, alla monumentalità del romanico, alla mistica del gotico, alla solarità delle chiese rinascimentali, alla sontuosità di quelle barocche, all’armonia degli edifici sacri settecenteschi, alla neoclassicità dell’Ottocento, per giungere alla sobria purezza di alcune realizzazioni contemporanee (un esempio per tutte, l’affascinante chiesa di Le Corbusier a Ronchamp). C’è, dunque, nel cristianesimo, una celebrazione costante dello spazio come sede aperta al divino, partendo proprio da quel tempio supremo che è il cosmo. Un grande storico della teologia, Marie-Dominique Chenu (1895-1990), al termine della sua vita si rammaricava di aver riservato troppo poco spazio alle arti sia letterarie sia figurative sia architettoniche nella sua storia del pensiero religioso, perché “esse non sono soltanto illustrazioni estetiche ma veri soggetti teologici”. Dall’anonimato in cui si relegavano i grandi costruttori di cattedrali basterebbe solo fare emergere, a titolo esemplificativo, un genio architettonico e artistico come l’abate Sugero di Saint-Denis (XIII sec.). Detto questo, c’è però nella concezione cristiana una componente molto pesante che sposta il baricentro teologico dallo spazio al tempo. Nell’ultima pagina neotestamentaria, quando Giovanni il Veggente si affaccia sulla planimetria della nuova Gerusalemme della perfezione e

della pienezza, si trova di fronte ad un dato a prima vista sconcertante: “Non vidi in essa alcun tempio perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio” (Apocalisse 21,22). Tra Dio e uomo non è più necessaria nessuna mediazione spaziale; l’incontro è ormai tra persone, si incrocia la vita divina con quella umana in modo diretto. Da questa scoperta potremmo risalire a ritroso attraverso una sequenza di scene altrettanto inattese. Immaginiamo di rincorrere questo filo rosso afferrandolo al capo estremo opposto. Davide decide di erigere un tempio nella capitale appena costituita, Gerusalemme, così da avere anche Dio come cittadino nel suo regno. Ma ecco la sorprendente risposta oracolare negativa emessa dal profeta Nathan: il re non costruirà nessuna “casa” a Dio ma sarà il Signore a dare una “casa” a Davide: “Te il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore” (2 Samuele 7,11). In ebraico si gioca sulla ambivalenza del termine bayit, “casa” e “casato”. Dio, quindi, allo spazio sacro di una casa-tempio preferisce la presenza in una casa-casato, ossia nella storia di un popolo, nella dinastia davidica che si colorerà di tonalità messianiche. Certo, lo spazio non è dissacrato. Il figlio di Davide, Salomone, innalzerà un tempio che la Bibbia descrive con ammirata enfasi. Eppure quando egli sta pronunziando la sua preghiera di consacrazione, dovrà necessariamente interrogarsi così: “Ma è proprio vero che Dio può abitare sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!” (1 Re 8,27). Il tempio, allora, è solo l’ambito di un incontro personale e vitale (non per nulla si parla nella Bibbia di “tenda dell’incontro”) che vede Dio chinarsi “dal luogo della sua dimora, dal cielo” della sua trascendenza verso il popolo che accorre nel santuario di Sion con la realtà della sua storia sofferta della quale si elencano i vari drammi. I profeti giungeranno al punto di minare le fondamenta religiose del tempio e del suo culto, qualora esso si riduca ad essere solo uno spazio magico-sacrale, dissociato dall’impegno etico-esistenziale, affidato a una presenza meramente e ipocritamente rituale. Basti solo, tra i tanti passi profetici di analogo tenore, leggere questo paragrafo del profeta Amos (VIII sec. a.C.): “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni. Anche se voi mi offrite olocausti io non accetto i vostri doni. Le vittime grasse di pacificazione neppure le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti, il suono delle vostre arpe non riesco a sopportarlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne!” (5,21-24). Ma entriamo nel cristianesimo in modo diretto. Cristo, come ogni buon ebreo, ama il tempio gerosolimitano. Non esita a impugnare una sferza e a menare fendenti contro i mercanti che lo profanano con i loro commerci, ne frequenta le liturgie durante le varie solennità, come faranno anche i suoi discepoli che si riserveranno persino un loro spazio nell’area del cosiddetto “Portico di Salomone”. Eppure lo stesso Cristo in quel meriggio


Luigi Figini e Gino Pollini, chiesa della Madonna dei Poveri a Milano, 1952-54 (foto: MART, Archivio del ‘900, fondo Figini-Pollini).


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Ignazio Gardella, chiesa di Sant’Enrico a Bogliano, S. Donato Milanese, 1963-66.

assolato al pozzo di Giacobbe, davanti al monte Garizim, luogo sacro della comunità dei samaritani, non teme di dire alla donna che sta attingendo acqua: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre (…) È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Giovanni 4,21-24). Ci sarà un’ulteriore svolta che insedierà la presenza divina nella stessa “carne” dell’umanità attraverso la persona di Cristo, come dichiara il celebre prologo del Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (1,14), con evidente rimando alla “tenda” del tempio di Sion. Gesù sarà anche più esplicito: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo farò risorgere”. E l’evangelista Giovanni annota: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (2,19.21). Paolo andrà oltre e, scrivendo ai cristiani di Corinto, affermerà: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi (…) Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (I, 6,19-20). “Un tempio di pietre vive”, quindi, come scriverà san Pietro, “impiegate per la costruzione di un edificio spirituale” (I, 2,5), un santuario non estrinseco, materiale e spaziale, bensì esistenziale, un tempio nel tempo. Il tempio architettonico sarà, quindi, sempre necessario, ma dovrà avere in sé una funzione di simbolo: non sarà più un elemento sacrale intangibile e magico, ma solo il segno necessario di una presenza divina nella storia e nella vita dell’umanità. Per questo, una volta raggiunta la pienezza della comunione tra divino e umano, il tempio nella Gerusalemme celeste, la città della speranza, si dissolverà e “Dio sarà tutto in tutti” (1 Corinzi 15,28).

L’architettura delle chiese di Giuseppe Arosio

Mai come in questo ultimo ventennio è stato vivo l’interesse per la progettazione di eventuali chiese da parte degli architetti, a dispetto della secolarizzazione e dell’allontanamento dalla pratica religiosa da parte dei tanti giovani. E non è solo il desiderio di progettare per lavorare, ad accendere l’interesse, bensì lo spessore culturale del tema. Progettare una chiesa è il sogno di ogni architetto. Tuttavia non è così semplice come può sembrare. Gli edifici-chiesa riflettono, infatti, la teologia, la liturgia, l’ecclesiologia dell’epoca in cui furono edificati. Le chiese non sono templi cristiani che si sono sostituiti ai templi pagani, che tutti ricordiamo nel mondo greco e romano. E nemmeno sono la continuazione del tempio di Gerusalemme, frequentato, purificato e pianto da Gesù Cristo prima della sua distruzione nel 70 d.C. Gesù segna la fine dei templi che esprimevano il desiderio degli uomini di entrare in contatto con la divinità. Lui, Gesù, è l’incontro tra Dio e l’uomo: Lui è il vero e nuovo tempio. Quanti credono in lui e lo seguono formano il nuovo tempio; la “ecclesia”: sono le pietre vive di questo nuovo tempio, che si chiama perciò “chiesa”. Qui sta la rivoluzione cristiana, la novità che fa unica e diversa la chiesa dei cristiani. Potrebbe essere fuorviante assimilare per una vago irenismo la chiesa cristiana ad una moschea, ad una pagoda o ad una sinagoga, anche se in quegli edifici si radunano persone a pregare o ad ascoltare sermoni. La chiesa cristiana è una comunità che si raduna attorno all’altare dell’Eucarestia e della Parola, chiamata dallo Spirito Santo, più che dalla dignità del celebrante o dalla bravura del predicatore.


Gio Ponti, chiesa di S. Francesco d’Assisi al Fopponino a Milano, 1964 (foto Francesca Fagnano).

È naturale che una comunità fatta di persone, occupa uno spazio che nei secoli si è strutturato in varie forme architettoniche, a seconda del concetto liturgico o ecclesiologico che si voleva sottolineare in quel determinato periodo. Ecco allora la varietà di stili e di piante, longitudinali o circolari, a croce greca piuttosto che latina, con separazioni tra il presbiterio e il popolo orante. Ecco allora il romanico od il gotico, il rinascimentale o il barocco, le chiese cattedrali (sede del Vescovo) e le chiese dei monasteri… sempre chiese, ma con diversa strutturazione dello spazio interno. Perché le chiese dell’oggi non sono più come quelle di un tempo, del tempo della nostra infanzia? Perché è avvenuto il Concilio Vaticano II, che il 4 dicembre 1963 ha promulgato la Costituzione Liturgica, che sigilla nella coscienza del Magistero della Chiesa la fine del medioevo nella liturgia, a causa soprattutto del fatto che la comunità recupera il proprio rango di soggetto e di titolare dell’azione liturgica, dopo che era caduto in dimenticanza per quasi un millennio. La parola programmatica del concilio per la liturgia è “partecipazione attiva”, “tutti i fedeli devono essere condotti a una piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, a cui il popolo cristiano in forza del Battesimo è autorizzato e obbligato” (S.C.14). La riforma liturgica voluta dal concilio (già peraltro presente e operante in ristrette comunità della Germania fin dagli anni ’30) non consisterà solo nel cambio della lingua latina o nel capovolgimento degli altari, abbattendo preziose balaustre, ma conservando il protagonismo presbiterale. Il Card. Lercaro di Bologna ha definito “rivoluzionaria” questa svolta sulla natura della comunità e della sua autocoscienza. L’Ufficio di “maestro, sacerdote e pasto-

re” spetta d’ora innanzi all’intera comunità, mentre prima era riservato quasi esclusivamente a vescovi e sacerdoti. Nella seconda metà del ’900 c’è stato grande fermento architettonico attorno al tema chiesa: era finita la guerra che tante distruzioni aveva arrecato e si era instaurato un flusso migratorio da Sud a Nord, spingendo le rispettive diocesi delle zone più industriali ad affrontare il problema di nuove chiese. La diocesi di Colonia ha costruito ben 600 chiese ed anche la Diocesi di Milano ha edificato 300 chiese nuove nella seconda metà del secolo appena trascorso. Roma, Torino, Bologna… hanno dovuto anch’esse affrontare tale problema. Gli anni ’50/’60 segnarono l’esplosione della creatività unitamente al buon livello estetico-architettonico. Va dato atto ai tre grandi cardinali di Colonia, Bologna e Milano di aver chiamato o lasciato spazio agli architetti emergenti in quell’epoca. Fu l’epoca di Schwarz, Steffan, Bohm, Dahinden, Aalto, Le Corbusier, Magistretti, Gardella, Caccia Dominioni, Figini e Pollini, De Carli… Negli anni ’70 entrò la stanchezza e la contestazione anche religiosa: ci fu un momento di esitazione sulla strada da percorrere a motivo di fraintendimenti dello stesso Concilio Ecumenico Vaticano II. Negli anni ’80, con l’avvento di Papa Woytila ed a Milano del Card. Martini, ritornò fiducia e sicurezza nell’affrontare il problema architettonico delle nuove chiese. Mentre in Europa e in gran parte d’Italia, il fenomeno migratorio cessava e gli insediamenti si stabilizzavano, a Milano si riprese il problema “Nuove Chiese” e gli si diede nuovo slancio. Sotto l’episcopato di Martini si sono costruite un centinaio di nuove chiese e si è cercato di chiamare a collaborare molti bei nomi dell’architettura contemporanea,

FORUM GLI INTERVENTI

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Le immagini che illustrano il forum di questo numero si riferiscono a edifici di culto cattolico degli anni Cinquanta e Sessanta realizzati in Lombardia. Sono questi gli anni in cui la liturgia cattolica viene per così dire “riformata” e la sua rappresentazione è affidata a importanti architetti che, in Italia, stanno occupandosi della Ricostruzione delle città. Le immagini

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anche tramite concorsi nazionali ed internazionali. Sono così venuti alla ribalta del tema “chiesa” Ponti, Botta, Gregotti, Galantino, Contini, Rossi, Podrecca, Gabetti-Isola, Zucchi, Bozzini, Selleri ed in Italia, Meier, Piano, Fuksas... L’attuale fase socio-religiosa impone un rallentamento non tanto per problemi finanziari quanto per la stabilizzazione degli insediamenti abitativi e per il calo di sacerdoti dediti alla pastorale parrocchiale. La decisione di costruire nuove chiese o strutture parrocchiali viene soppesata profondamente. I parroci sottopongono al giudizio del Vescovo, supportato da tanti organismi consultivi, il problema e in accordo con le varie Curie affidano il progetto o direttamente ad un architetto oppure tramite concorso di idee. Attivo è invece il problema dell’adattamento delle antiche chiese alle nuove esigenze liturgiche nel rispetto o nella valorizzazione dei beni artistici e culturali. Questo può avvenire vivendo la liturgia della parrocchia, condividendo i problemi e studiando le soluzioni alla luce delle costituzioni liturgiche. Il multi-culturalismo e la plurietnicità non devono farci smarrire la fierezza della nostra cultura e fede. Dobbiamo aprirci alle nuove presenze, senza perdere la nostra proposta di fede e di vita. L’architettura del sacro, vanto della nostra patria e dei nostri più umili paesi, deve rialzare la testa e proporre e difendere con linguaggio attuale quelli che sono i valori religiosi della nostra cultura.

Sinagoghe in Lombardia: qui e altrove di Guido Morpurgo

La sinagoga è un tema architettonico decisamente atipico. Luogo di preghiera degli Ebrei, si ritiene istituito durante l’esilio babilonese dopo la distruzione del primo Tempio, anche se, secondo la tradizione ebraica, risale ai tempi del patriarca Giacobbe. Il Beth ha-keneset, “casa dell’incontro”, è sempre stato il luogo di riunione della comunità, cuore pulsante dell’Ebraismo nella Diaspora. L’assenza di un vero e proprio modello architettonico di riferimento e l’essere rimasto in Italia, fino all’emancipazione, uno spazio che appartiene al mondo dell’interno, rende la sinagoga storica contesa tra la dimensione domestica e quella “pubblica”, se così si può definire la condizione d’esistenza delle comunità ebraiche, di fatto segregate e necessariamente chiuse su se stesse. La sinagoga come edificio è nel nostro Paese una conquista tarda, che segna un passaggio talmente radicale da potersi quasi considerare un tema a sé stante. Spazi celati In Italia la sinagoga è fino all’Ottocento uno scrigno nascosto che custodisce il Libro, spazio d’eccellenza confitto all’interno del tessuto urbano, nel cuore del ghetto. Sorta di interno dell’interno, mai direttamente accessibile dalla strada, è sempre situato in locali spesso ricavati,

scelte provengono in parte da archivi istituzionali (Archivio Figini Pollini del Mart di Rovereto) oppure da archivi privati quali l’archivio Baldessari, Gardella. Le fotografie del progetto di Gio Ponti sono state eseguite per questa occasione da Francesca Fagnano e quelle relative alla chiesa di Pino Pizzigoni da Lucia Pizzigoni. Ringraziamo tutti per la partecipazione e la collaborazione.


Pino Pizzigoni, chiesa dell’Immacolata a Longuelo (Bg), 1961-66, (foto: Lucia Pizzigoni).

FORUM GLI INTERVENTI

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di volta in volta adattati, con copertura propria (al di sopra non possono esserci abitazioni o altre attività). Pur avendo ognuna una propria identità e specificità, le sinagoghe storiche lombarde, come del resto quelle italiane in generale, non presentano una precisa e univoca codificazione stilistica, né alcuno specifico carattere regionalistico riconoscibile. Attraverso l’apparato decorativo dell’arredo, rimandano tutte ad un orizzonte remoto, tramandato dalla tradizione scritta e orale, ma mai “disegnata”. Il divieto per le immagini sacre trova infatti una sorta di corrispondenza nell’assenza di una forma di rappresentazione grafica che superi la decorazione astratta: il rituale è centrato, l’orientamento è l’est, tanto basta. La sinagoga, regno della Parola, è composta da due elementi principali: l’Aron-ha-kodesh (armadio-arca variamente decorato) che contiene i Sefer Torah (rotoli di pergamena scritti a mano che costituiscono il Pentateuco) collocato a ridosso del lato volto verso Gerusalemme, e il Duchan (pulpito per l’Ufficiante), posto di fronte all’Aron. La divisione tra uomini e donne è ottenuta attraverso una fitta grata, oppure mediante la collocazione del matroneo in un soppalco all’intorno della sala stessa. Le sedute per gli astanti, nelle sinagoghe antiche si tratta spesso di panche, sono disposte in maniera diversa secondo il rito e la situazione specifica delle sala, comunque all’intorno dell’Aron. L’interpretazione della tradizione tramandata dal “Rito italiano” tradotto nelle liturgie dalla complessa simbologia logografica dell’Ebraico antico e filtrata dai racconti familiari, si rapprende negli arredi classicheggianti e d’invenzione del Settecento. È questo il secolo in cui si stabilizza l’immagine della sinagoga italiana: sempre diversa, ma sempre riconoscibile in quanto figura densa, descritta da un apparato decorativo micrografico affettuoso e rassicurante, quasi domestico. In quanto interni, queste sinagoghe sono delle preziose e ideali “sezioni” delle comunità ebraiche, con una non sottovalutabile aura da “scena fissa”, che sembra curiosamente derivare dall’architettura teatrale, opportunamente miniaturizzata e trasfigurata. La presenza ebraica in Lombardia ha origini lontane, testimoniata dalle lapidi di età repubblicana ritrovate nella romana Brixia. La costanza e la diffusione della vita ebraica nella regione, documentata con continuità a partire dal Medioevo, corrisponde ad una complessiva situazione di tolleranza che, in quanto tale, si è spesso e rapidamente trasformata in odio e persecuzione, che dagli infamanti e vergognosi processi e provvedimenti antisemiti, culmina nell’espulsione dal Ducato di Milano (1597). Questa drammatica frattura interrompe la presenza degli ebrei nel capoluogo fino alla fine dell’Ottocento. Ma, paradossalmente, la vita ebraica si consolida proprio nel Cinquecento in altre parti della regione: nella sola area mantovana gli ebrei sono insediati in 48 località. Di questa presenza capillare restano oggi solo alcune tracce: antiche sinagoghe o parti di esse sono visibili a Pomponesco, Rivarolo Mantovano, Viadana.

Sinagoghe-edifici Con l’emancipazione la sinagoga diventa edificio. In mancanza di un modello di riferimento, la tensione all’autorappresentazione delle principali comunità italiane è quasi sempre interpretata dagli architetti come libera rielaborazione della chiesa: sulla scena urbana ottocentesca in rapida trasformazione compaiono edifici eclettici tendenzialmente autonomi, con piante a croce greca o basilicale, connotati da un monumentalismo prudente, ma fiero della propria visibilità. Oltre a Roma, Trieste, Firenze e Torino dove però l’ardita e inedita mole Antonelliana ha ben altro respiro (fin troppo se si considera che la Comunità Ebraica locale è costretta a rinunciarvi per evitare il fallimento), anche Milano realizza il suo Tempio centrale. La sinagoga di via Guastalla, inaugurata nel 1892 su progetto di Luca Beltrami, presenta una pianta basilicale a tre navate. L’eclettismo tardo ottocentesco ricostituisce, in forma decisamente più sobria rispetto ai casi di Trieste e Firenze, i riferimenti ad un oriente fantastico e lontano, che appare citato a frammenti, quasi a risarcire simbolicamente la nostalgia per il perduto orizzonte geografico primigenio. Nel Tempio di Milano e nelle altre sinagogheedificio italiane di questo periodo, si incontrano le benjaminiane “dimore oniriche del collettivo” con una nuova condizione cosmopolita, che le connota come spazi dei transiti di persone e idee, producendo un’atmosfera di “trasloco”, che sembra incosapevolmente anticipare la disgregazione della comunità ebraica italiana che sarebbe avvenuta con la persecuzione nazifascista e la Shoah. La metonimia della sinagoga da interno celato nel ghetto in spazio cosmopolita offerto alla città, vanifica il tradizionale ambiente quasi privato delle antiche sinagoghe settecentesche, che tuttavia sopravvive in provincia. Il rimando più immediato è Sabbioneta, dove solo 70 anni prima di via Guastalla, l’architetto Visioli (lo stesso dell’incompiuta sala ottagonale di Viadana) realizza un prezioso, piccolo e luminoso capolavoro neoclassicheggiante, denso di colti riferimenti, in particolare nell’Aron “colonnato”, immaginato come ideale riduzione di un mitico e remoto Tempio di Salomone (gli stucchi del 1840 sono dello svizzero Pietro Bolla). Anche a Mantova, dove delle sei sinagoghe ancora esistenti alla fine dell’Ottocento, epoca contrassegnata dagli abbattimenti-rimozioni dei ghetti, resta la sinagoga Norsa, che viene ricostruita nella sua veste settecentesca agli inizi del Novecento. Bagliori del Moderno Nel 1946 la Comunità Ebraica di Milano indice un concorso per la ricostruzione della sinagoga di via Guastalla, distrutta durante i bombardamenti del ’43. Eugenio Gentili Tedeschi e Manfredo D’Urbino vincono con un progetto che prende le distanze da ogni tentazione mimetica. Il Tempio centrale inaugurato nel 1953 segna una svolta nella vicenda delle sinagoghe lombarde e, più in generale, in quelle italiane; svolta caratterizzata da un’inaspettata


Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, chiesa Matri Misericordiae, Baranzate (Mi), 1956-57, (foto: Giorgio Casali).

Cosa è una Moschea di Rosario Pasquini

La moschea è un edificio in cui si svolgono le pratiche religiose dell’Islàm e specialmente il rito congregazionale di adorazione. Fu lo stesso Profeta Muhàmmad a fondare la prima moschea a Medina, nell’anno 622 dell’era volgare (anno 1° dell’Egira), quando in quella città si trasferì, per ordine di Dio (Allàh è la parola araba che significa Uno, Unico e Uni-personale, Dio-Creatore di tutte le realtà dell’universo, sia animate che inanimate). La parola italiana “moschea” deriva dal verbo arabo “sàgiada”, che significa prosternarsi mettendo la fronte per terra, attraverso la deformazione ispanica “meschita” della parola araba “màs-id” (luogo della prosternazione). La moschea primitiva è un ampio cortile recintato, con piccole costruzioni in legno addossate al muro, di cui quelle poste verso La Mecca destinate al culto e le altre ad abitazione. La moschea, oltre ad essere sede di attività religiosa, è centro della vita sociale della comunità musulmana ed anche, al tempo del Profeta e dei Califfi, sede di attività politica e diplomatica. Nei primi tempi dell’espansione islamica, la pianta schematica di una moschea consta di un grande cortile di forma rettangolare, al cui centro sorge una fontana, destinata alle abluzioni dei fedeli. Intorno al cortile corre

un porticato semplice o multiplo, coperto con un tetto o con una caratteristica serie di cupolette. Sul lato del rettangolo perpendicolare alla direzione in cui si trova La Mecca c’è una nicchia, chiamata in arabo “al-mihrab”, che indica la direzione della Mecca (“al-qìblah”) verso la quale i fedeli devono orientarsi nell’esecuzione del rito d’adorazione. Alla destra della “nicchia direzionale” (“almihràb”), rialzato dal pavimento, c’è un elemento di arredo della moschea, chiamato “al-minbar”, che è costituito da una scala che porta ad un podio con un sedile, da cui il predicatore del rito di adorazione congregazionale del venerdì fa la predica ai fedeli (la predica si chiama “alkhutbah”). Ogni moschea, poi, ha uno o più minareti. In tempi successivi la moschea si caratterizza in forma di grande sala per il rito di adorazione, ricoperta a tetto, a volta, a cupola; in qualche caso, il muro esterno di recinzione è fortificato per la difesa dei fedeli da eventuali attacchi. Intorno all’anno Mille, gli architetti musulmani introducono la costruzione in mattoni. Le prime moschee edificate con il mattone vengono realizzate in oriente, dove viene usato l’arco a sesto acuto; in un secondo momento si comincia a costruirne in occidente, dove divengono caratteristici l’arco a pieno centro e quello a ferro di cavallo. Dopo il Mille, nell’area dominata dai Turchi, la moschea incomincia ad essere progettata e realizzata come edificio composito, culminante in una grande cupola, costruita sopra la sala centrale piramidale. Nel 1453 Costantinopoli, conquistata dal sultano turco Mehmet II, diventa la capitale dell’Impero ottomano. La grandiosità di Santa Sofia, benché le sue strutture siano in condizioni di spaventoso degrado alla caduta dell’Impero bizantino, dopo le devastazioni subite ad opera dei predoni della quarta crociata (i cavalli di San Marco a Venezia provengono dal saccheggio di Costantinopoli), si impone agli architetti. Nei secoli successivi, la Basilica viene presa a modello dagli architetti, i quali accentuano nelle moschee la composizione planimetrica e lo schema volumetrico piramidale, dato dallo sviluppo degli arconi, delle volte a semibacino e della cupola centrale. L’edificio, nel suo complesso architettonico, assume una forza ed una compattezza mai raggiunte fino ad allora, che culminano, verso la fine del XVI sec., nella Moschea di Solimano il Magnifico a Istanbul e nella Moschea di Selim ad Adrianopoli. Le costruzioni più recenti ricalcano, più o meno, gli schemi tradizionali. Il minareto La parola italiana “minareto” deriva dall’arabo “al-manarah”, torre portante una luce, cioé un faro. La caratteristica torre della moschea, avente presso la sommità una terrazza sporgente, da cui il “muezzin” invita i fedeli al rito d’adorazione, si chiama “al-ma’zanah”, cioé il luogo da cui viene fatto “al-anzana” (la chiamata al rito) da “almu’azzin” (il convocatore al rito). Nella lingua italiana è la parola minareto quella che indica la torre della chiamata al rito d’adorazione.

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milanesità in cui si fondono lo “Stile” pontiano che denuncia la provenienza di Gentili, con una sofisticata ricerca di espressività. La facciata del Beltrami, unica parte sopravissuta, viene restaurata all’esterno e conservata all’interno come struggente e melanconico resto, denso della memoria per una Comunità dilaniata dalla Shoah. Pur mantenendo la tripartizione originaria, i progettisti del nuovo Tempio di Milano ricollocano il Duchan al centro e ricostruiscono, in fondo alla grande aula, l’Aron come “stanza meravigliosa” foderata in marmo rosso. Lo spazio è circondato al piano superiore da un ampio matroneo a sbalzo, protetto da una balaustra in marmo di Candoglia. Purtroppo la ricostruzione del ’53 ha subito forti alterazioni alla fine degli anni ’90, che rendono non più riconoscibile l’identità originaria del progetto di ricostruzione. Gentili Tedeschi ha realizzato nel 1986 un altro interessante esperimento, che sembra ancora capace di ricostituire l’atmosfera raccolta delle sinagoghe storiche. Il nucleo comunitario degli ebrei di origine persiana Noam di via Montecuccoli, è stato progettato come “un pezzo di paese”: unità modulari aggregate formano una struttura edilizia che si isola dal contesto urbano circostante, ricostituendo un ideale villaggio ebraico tradizionale. L’architettura e il tema stesso del complesso “Noam”, con il garbato richiamo all’opera di Kahn, attuano simultaneamente la fondazione del luogo come condizione di stabilità e il riferimento alla precarietà della migrazione incessante, ad un altrove possibile, emblema della Diaspora.


Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, chiesa Matri Misericordiae, Baranzate (Mi), 1956-57, (foto: Giorgio Casali).

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I minareti vengono introdotti nel VII sec. nella forma a base quadrata, tipo che poi ha diffusione anche nel Magreb (Marocco) e nell’Andalusia (Spagna musulmana). Al centro della terrazza finale si erge un’altra piccola torre, anch’essa a pianta quadrata con una copertura a forma di piramide o a cupola semisferica. Il minareto a pianta ottagonale prevale, in principio, nelle regioni iraniche. Fra il 1100 e il 1200 fa la sua comparsa il minareto cilindrico a pianta circolare, esile e snello, che porta presso la sommità una piattaforma, pure essa circolare e sporgente a sbalzo, sormontata da un altro piccolo cilindro, coperto con una cupola semisferica o con la caratteristica “cupola a bulbo”. Nell’Impero ottomano il minareto cilindrico acquista snellezza e lievita con terminazioni appuntite a cono. Interessanti sono i due esemplari di torri-minareto con scala a spirale esterna, delle quali la più imponente si trova a Samarrà in Iràq e l’altra nella moschea di Ibn Tulun al Cairo. I minareti di solito sono presenti a coppie, ma, sovente, nelle moschee se ne hanno più di due. La posizione primitiva nelle moschee era sull’asse della navata e sul lato del cortile opposto a quello in cui era ricavato il “mihrab”; in seguito vennero posti sugli angoli del cortile (e allora furono in numero di tre o quattro), oppure ai lati del portale (minareti a coppia) per accentuarne la posizione e la monumentalità. Masgidu-r-Rahmàn (la Moschea del Misericordioso) È la prima costruzione definibile dal punto di vista architettonico come moschea (con cupola e minareto) realizzata in Italia, dopo la demolizione della moschea Giàmi di Lucera dei Saraceni, nella distruzione di quella città delle Puglie ed il massacro di tutta la sua popolazione musulmana, eseguiti da Carlo d’Angiò nel 1269 con la “crociata angioina”, indetta da Papa Clemente IV. La “Moschea del sommamente Misericordioso” è stata inaugurata nel giorno 12 di Shawwàl 1408 dell’Egira, corrispondente al 28 maggio 1988, dall’Emiro del Centro Islamico, dott. Alì Abu Shwaima. Moschea e minareto insistono su un terreno di 658 mq, in località Lavanderie di Segrate, al confine di Milano. La costruzione occupa una superficie coperta di 128 mq ed è composta da un vestibolo, una sala di preghiera, un ambiente per i servizi ed il minareto. Le coperture sono a cupola, rivestite in lastre di rame. La cupola della moschea ha un diametro di metri 6 ed altezza in chiave di metri 10; quella del minareto ha un diametro di metri 2,25, altezza in chiave metri 15. La “Moschea del Misericordioso” si trova al confine di Milano con il Comune di Segrate, nel territorio nel quale, intimamente legato alla Moschea, ha sede il Centro Islamico di Milano e Lombardia, che ne é titolare. È l’unico luogo di culto islamico che realizza la forma architettonica della moschea tradizionale nell’Italia settentrionale.


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In una società fondata sul pluralismo politico, culturale, religioso, dove sono in vigore gli Articoli 19 e 21 della Carta costituzionale repubblicana, anche la componente socio-culturale di religione musulmana, in via di formazione, ha pieno titolo per la realizzazione architettonica di luoghi di culto in ogni realtà urbana, dove la dimensione della presenza islamica sia qualitativamente e quantitativamente rilevante, in quanto l’aspetto essenziale dell’identità islamica è la pratica individuale e congregazionale del rito d’adorazione, la cui sede “monumentale” di carattere pubblico è la moschea. Benchè tutta la terra sia “luogo di adorazione”, come disse il Profeta. Il luogo dove si svolge il rito di adorazione che non sia moschea si chiama musàlla.

I concorsi per le chiese nuove in Italia nel secolo XX di Giancarlo Santi

Nel corso del secolo XX, in Italia, sono state progettate e costruite numerose chiese cattoliche. Per la precisione sono state costruite numerose chiese parrocchiali, spesso inserite in complessi di varia estensione, comprendenti l’abitazione del o dei sacerdoti, delle suore, del personale addetto alla cura della chiesa, uffici parrocchiali, aule per il catechismo, locali per le attività formative, culturali e ricreative, spazi all’aperto attrezzati per il tempo libero. Secondo alcuni storici il punto di partenza del grande impegno progettuale della Chiesa in Italia può essere fatto coincidere con il 1860; l’unità d’Italia ha segnato l’avvio delle grandi trasformazioni che hanno poi caratterizzato la fisionomia dell’Italia moderna: unificazione, crescita demografica, urbanizzazione, industrializzazione e post-industrializzazione; la costruzione di nuove chiese, parallela alla creazione di nuove parrocchie, si può considerare uno tra i segni più evidenti del profondo legame che unisce la Chiesa e la società italiana in epoca contemporanea. Il fenomeno delle chiese costruite in Italia a partire dal 1860 è attualmente oggetto di una ricerca che si dovrebbe concludere nel 2006; per ora, quindi, non disponiamo di informazioni complete in merito; si può stimare, tuttavia, che nella seconda metà del XX secolo siano stati costruiti almeno 5000 nuovi complessi parrocchiali, con la media di 100 ogni anno, situati in prevalenza nelle aree di recente urbanizzazione. In generale l’affidamento del progetto delle nuove chiese è avvenuto su incarico diretto del committente, senza alcun concorso. Non si può dire tuttavia che l’istituto del concorso sia stato totalmente ignorato; è certo che lo si è utilizzato raramente. In attesa di conoscere l’esito di una ricerca attualmente in corso dedicata a questo specifico argomento, si può stimare, ottimisticamente, che i progetti affidati mediante concorso siano nell’ordine dell’1% delle chiese costruite. Per rimanere nell’ambito delle informazioni di carattere generale sui concorsi per

chiese nuove in Italia sembra che l’adozione del concorso abbia conosciuto una particolare, anche se molto relativa, fortuna in tre periodi del secolo XX: negli anni ’30 in corrispondenza con le grandi iniziative edilizie e urbanistiche promosse dal Governo dell’epoca; negli anni ’50, in piena ricostruzione post bellica, e negli anni ’90 per iniziativa di alcune diocesi come Roma e Milano e per iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana. Va rilevato inoltre che l’iniziativa del concorso è da attribuire sia agli enti ecclesiastici sia alla Pubblica Amministrazione e che ciascuno dei due soggetti ha perseguito obiettivi specifici, non sempre coincidenti. Le autorità ecclesiastiche, in particolare, hanno perseguito obiettivi promozionali; mediante i concorsi, cioè, esse, hanno inteso soprattutto divulgare le proprie iniziative in campo architettonico ritenendo che esse fossero poco note o poco apprezzate; il miglioramento della qualità dell’architettura, invece, non era considerato tra gli obiettivi di primaria importanza. Quanto ai soggetti ecclesiastici che hanno promosso concorsi, occorre precisare che si tratta quasi sempre delle diocesi; per la precisione sono state le curie diocesane che hanno gestito per intero queste iniziative. La Conferenza Episcopale Italiana negli anni 1998, 1999 e 2000 ha bandito ogni anno tre concorsi per la progettazione di tre nuovi complessi parrocchiali. In qualche caso anche le parrocchie hanno bandito concorsi; ricordo, ad esempio, il caso della parrocchia di Desio, in diocesi di Milano, che negli anni ’90 ha bandito un concorso, vinto dallo studio Gabetti-Isola. Segnalo che nel 2005 la diocesi di Cesena ha completato l’iter di un concorso, mentre la diocesi di Roma ne sta avviando tre e la diocesi di Milano, a sua volta, si sta impegnando in una nuova iniziativa concorsuale. I concorsi più recenti sono stati aperti alla libera partecipazione dei professionisti, senza limiti se non di tipo territoriale; in alcuni casi, infatti, sono stati ammessi solo i professionisti residenti nel territorio del comune, della provincia o della regione. Come si è detto in precedenza raramente gli enti ecclesiastici hanno fatto ricorso al concorso “a invito”. In questo caso la selezione degli architetti da invitare è il risultato di una valutazione operata da “saggi” scelti dagli enti banditori. In particolare, i criteri per selezionare i professionisti da invitare tengono conto di: competenza professionale accumulata, disponibilità a rispettare i programmi e le disponibilità finanziarie, disponibilità a collaborare con il committente, con gli artisti e i liturgisti impegnati nella progettazione. Non vi sono stati privilegi né esclusioni sulla base di tendenze o scuole di pensiero. I bandi di concorso utilizzati sono quelli proposti dall’Ordine degli Architetti con le necessarie e opportune variazioni e modifiche. Da quanto risulta, le giurie dei concorsi sono state composte sulla base dei criteri indicati dall’Ordine degli Architetti: la maggioranza dei membri delle giurie giudicanti, perciò, era composta da laureati in architettura. Il problema più delicato che mi è sembrato


Paolo Portoghesi M. C. Nella sua attività professionale Lei ha anche affrontato il tema dell’architettura religiosa, talvolta con esiti progettuali assunti a ruolo di esempio. Che rapporto hanno queste architetture con il suo lavoro in senso più generale? Sono esperienze con caratteri di particolare specificità? P. P. Il tema delle architetture religiose è tra le esperienze progettuali quella che più mi ha coinvolto, nel senso che, mentre la qualità architettonica in molti temi non è indispensabile, nell’edificio religioso è un’esigenza fondamentale. Nell’ambito della mia opera rappresenta il momento di maggior impegno. Come professore, da cinque anni, tratto come tema la chiesa o lo spazio sacro in generale. M. C. Nelle diverse epoche e società le architetture religiose sono quasi sempre state fra le più alte esemplificazioni delle arti del periodo, conseguenza determinata anche dalle caratteristiche di un potere religioso che si costituiva solitamente come uno dei committenti più colti e con maggiori risorse economiche. Nelle nostre società il potere religioso che tipo di committente è? P. P. Chiaramente non esiste più questo rapporto diretto con il potere astratto, esiste un potere religioso gestito in modo separato dal potere laico e senza la forza economica di un tempo; oggi le chiese sono finanziate dalla CEI attraverso “l’8 per mille”, budget di solito insufficiente per realizzare un programma coerente. L’edificio religioso ha perso il carattere dominante che aveva rispetto al panorama edilizio della città. Già lo aveva perso all’inizio della società industriale, tant’è vero che Pugin, nel suo famoso libro sui Contrasts, illustra la città pre-industriale con una simbologia evidente, culminante nell’edificio religioso; illustra poi la città industriale dove, invece, manca una gerarchia di strutture edilizie e l’edificio religioso scompare. Oggi noi viviamo questa scomparsa, nel senso che, rispetto ai volumi edilizi del tessuto normale delle città, una chiesa, per avere il valore che aveva nel Medio Evo in rapporto al tessuto di allora, dovrebbe essere un grattacielo, cosa ovviamente non compatibile con i programmi economici delle istituzioni religiose. Il problema non è più quello di esprimere il tema dominante della città, ma quello di esprimere una smagliatura del tessuto edilizio. Adopero spesso questa parola perché ritengo che il tessuto edilizio, soprattutto nel-

le periferie, abbia assunto un carattere omogeneo nella sua caoticità, nel suo ordine formale privo di vita. Rispetto a questo tessuto, l’edificio religioso deve rappresentare un invito alla meditazione: deve essere una smagliatura, perché la città tende a nascondere i problemi fondamentali dell’esistenza, tende a ridurre tutto a contrasti, a rapporti economici e di potere, escludendo dall’argomento di meditazione i grandi problemi della ragione della vita e della morte, i grandi problemi del pensiero religioso. In questo tessuto della città occorre che l’edificio religioso sia carico di diversità. Tuttavia, questa diversità non deve ostentare un finto protagonismo, deve essere diversità nell’umiltà. M. C. Le architetture religiose nella città contemporanea non sembrano svolgere quel determinante ruolo urbano che interpretavano nella città storica. Salvo rari casi, non sono un elemento ordinatore anche per il mutato rapporto, all’interno della città, fra monumenti e costruzione urbana, fra spazi pubblici e usi collettivi. Qual è la sua opinione? P. P. Evidentemente, per conquistarsi una presenza concreta, forte, nel tessuto urbano, occorre che l’edificio s’imponga non per una differenza superficiale, con gesti scomposti, ma collegandosi con il tessuto urbano e allo stesso tempo differenziandosene fortemente. Essenziale è anche la scala umana. Per esempio, gran parte delle attuali strutture residenziali sono fuori scala e obbediscono a esigenze di carattere economicistico. Di fronte a questa città, che nasce sulla base d’un piano esclusivamente economico, l’edificio religioso deve differenziarsi per la sua natura che tende a sorpassare questa logica. Tutto ciò richiede evidentemente l’intervento dell’arte, nel senso tradizionale della parola: se c’è un momento in cui la costruzione dell’edificio religioso richiede una strategia precisa di carattere artistico, universalistico, espressivo, è proprio questo. Tuttavia, non si tratta di gridare ai sordi, ma di adeguare la parola dell’architettura a coloro che devono riceverla: un discorso che sia recepibile dai fruitori e che annunzi un momento di riflessione, un momento di silenzio. Ecco, un silenzio che non sempre può essere reale, perché la città è piena di rumori; ma il silenzio sappiamo che non è soltanto un fatto acustico, è anche un fatto visivo. Uno dei temi centrali dell’edilizia religiosa è proprio il silenzio, il silenzio e la luce.

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Tre domande a…


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Ignazio Gardella, chiesa di San Franceso a Cesate (Mi), 1956

di rilevare nelle attività delle giurie è la difficoltà “culturale” di mettere intorno a un tavolo e far collaborare specialisti in discipline diverse e raramente comunicanti come liturgisti, sacerdoti, ingegneri, architetti, critici d’arte: risultava in genere piuttosto faticoso arrivare a una valutazione comune e condivisa di tutti gli aspetti dei progetti in esame. Il criterio prevalente di valutazione era costituito dalla “qualità architettonica”, anche se nel caso specifico il rischio che si è corso di frequente è stato di tenere in secondo piano o sottovalutare aspetti assai rilevanti come la qualità liturgica, la qualità economica e la durabilità. È importante tenere presente che i concorsi per le chiese nuove intendevano identificare progetti completi e molto ben definiti anche dal punto di vista iconografico, rispettosi dei parametri edilizi ed economici predefiniti. I progetti prescelti sono stati tutti realizzati o sono in corso di realizzazione. In altri termini i concorsi avevano una finalità assolutamente concreta. È il caso inoltre di ricordare che i concorsi si proponevano di stimolare gli architetti e gli artisti ad assimilare lo spirito della riforma liturgica promossa dal Concilio Ecumenico Vaticano II (196265). Lo stesso Concilio, e la cosa è molto rilevante, ha anche aperto decisamente le porte della Chiesa cattolica ai linguaggi artistici e architettonici della contemporaneità. Le aree destinate agli insediamenti parrocchiali sono in genere di qualità urbanistica assai modesta. Si tratta in genere di aree “di risulta” individuate dai Comuni su suggerimento delle diocesi e concesse agli enti ecclesiastici con molte titubanze e dopo estenuanti trattative. In più di un caso i Comuni, oltre a imporre “di fatto” ai complessi parrocchiali il carattere della marginalità, in forma più o meno esplicita, hanno imposto anche quello della limitata identificabilità.

L’esperienza dei concorsi per la progettazione delle chiese nuove, per quanto esigua, è da considerare molto significativa; essa, infatti, mentre ha messo in evidenza alcuni problemi che travagliano la società, l’architettura e la Chiesa, nelle rispettive condizioni, ha consentito di coinvolgere il mondo professionale, le università, le diocesi intorno a un progetto di grande significato culturale oltre che ecclesiale. Superate alcune comprensibili difficoltà iniziali, gli enti ecclesiastici potrebbero tranquillamente utilizzare l’istituto del concorso con molta maggiore larghezza e fiducia di quanto hanno fatto sino ad oggi. Riterrei addirittura opportuno che i progetti delle chiese, così come quelli di tutti gli edifici pubblici, fossero di regola scelti mediante concorso. Non vedo ostacoli di alcun genere di fronte a questa proposta che, oltretutto ha il pregio di essere pienamente inserita nella tradizione italiana; al contrario, vedo solo vantaggi. Ciò sarebbe estremamente vantaggioso in primo luogo per favorire la qualità dell’architettura e la trasparenza delle procedure di affidamento degli incarichi; in secondo luogo costituirebbe un grande contributo al dialogo tra la Chiesa e la società in Italia; in terzo luogo sarebbe un concreto segnale della stima che la Chiesa nutre per l’architettura e le arti. Segnalo per il particolare interesse e per la convergenza di impostazione il numero 2005/2 della rivista milanese “Ambrosius”, dedicato a “L’edificio chiesa: orientamenti e percorsi per costruirlo”, con contributi di A. B. Del Guercio, M. Luzi, C. Magnoli, G. Ottolini, G. Poma, P. Sequeri, D. Tettamanzi. Il numero contiene anche una proposta di “bando di concorso” per le nuove chiese della diocesi di Milano.


Master in Teologia e architettura di chiese (36 cfu) Facoltà Teologica dell’Italia Centrale 50139 Firenze – via Cosimo il Vecchio 26 Durata 28.10.2005 – 24.2.2007 Informazioni tel: 055428221; 3283116585 e-mail: infomaster@ftic.it www.ftic.it Direttore del corso D. Gianni Cioli Consiglio Direttivo P. V. Mauro (vicedirettore), D. A. Jacopozzi, F. Rossi Prodi, P. Zermani Progetto formativo Dopo la positiva esperienza della prima (2003-05), la Facoltà teologica dell’Italia centrale propone una nuova edizione del master in Teologia e architettura di chiese. Il master si rivolge ai professionisti che vogliono operare negli ambiti della progettazione, del restauro e dell’adeguamento liturgico delle chiese fornendo loro una formazione teologico-liturgica e una formazione storico-architettonica e progettuale. L’intento del master è quello di fornire una conoscenza biblica, liturgica ed ecclesiologica di base, un panorama adeguato degli sviluppi storici e delle principali realizzazioni contemporanee dell’architettura religiosa cristiana, e una competenza specialistica delle tematiche relative alla progettazione, alla realizzazione, alla conservazione, al restauro e all’adeguamento degli edifici ecclesiastici in considerazione delle linee e delle esigenze della liturgia rinnovata dal Concilio Vaticano II. Il piano di studi prevede un carico di lavoro di 1.500 ore, di cui 504 in aula per lezioni e laboratori di progettazione, per la durata di 3 semestri. La direzione del master provvederà a trasmettere a tutte le curie diocesane d’Italia l’elenco degli allievi che avranno conseguito il diploma. L’iniziativa gode dell’alto patronato della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa Cattolica e della Conferenza Episcopale Italiana. Master in Adeguamento progettazione e riprogettazione di chiese (master II livello – 60 cfu) Università di Roma “La Sapienza” Facoltà d’Architettura Valle Giulia

Durata sospensione termini Informazioni tel. 0649919293 e-mail: masterPCH@uniroma1.it www.masterpch.it Direttore del corso Giuseppe Mongelli Consiglio Direttivo G. Carbonara, S. Curuni, A.M. Giovenale, A. Ippolito, A. Michetti, G. Mongelli, M. Morlacchi, M. Petreschi, G. Santi, S. Mavilio (Segretario) Progetto formativo Scopo del master è di consentire l’approfondimento delle tematiche della progettazione, dell’adeguamento liturgico, statico, artistico degli edifici ecclesiastici, della gestione del processo realizzativo e dell’iter amministrativo. Il master è un corso annuale, rivolto ai possessori di laurea specialistica e a coloro che sono in possesso di un diploma di laurea quinquennale in Architettura o in Ingegneria Edile, conseguito in base al vecchio e nuovo ordinamento. Il corso è finalizzato, in particolare, a sviluppare nei partecipanti quella cultura storica, liturgica e tecnicoprofessionale necessaria a svolgere con padronanza la loro attività professionale e imprenditoriale, in tale ambito d’interessi. Il master risponde alla domanda d’alta formazione culturale e professionale, presente e potenziale, collegata allo sviluppo della ricerca relativa alla progettazione, riprogettazione ed all’adeguamento, degli edifici per il culto. Il master è un corso annuale della durata di 1.500 ore complessive, divise in diversi moduli, integrati fra insegnamento frontale, lavoro riservato ai seminari, alle esercitazioni pratiche, agli stage, alla redazione di elaborati progettuali, alle attività di studio individuale e di autoapprendimento. Al completamento del corso degli studi, sulla base dei risultati degli esami relativi ai diversi moduli, dopo lo svolgimento della prova finale e a seguito del giudizio espresso da un’apposita Commissione per la valutazione finale, è conferito il Diploma di master universitario di II livello in Progettazione ed adeguamento di chiese. Riviste di settore La pubblicistica ha cominciato ad interessarsi dell’architettura ecclesiale negli anni ’90 in occasione dei preparativi per il Giubileo del 2000, seguendo la necessità espressa dalla Chiesa di costruire nuovi edifici per il culto (ricordiamo i Con-

corsi CEI per nuovi centri parrocchiali al nord, al centro ed al sud, i cui risultati sono raccolti da tre supplementi di “Casabella” e l’esperienza delle 50 Chiese per Roma) di cui l’edificio di Richard Meier a Tor Tre Teste ne è solo la vedette mediatica. Nello scorso decennio sono state quindi inaugurate due riviste, “Ecclesia. Arte, architettura e comunicazione”, edita dalla stessa Ecclesia srl, e “Chiesa Oggi. Architettura e comunicazione”, della Di Baio editore. Interessante notare come nei sottotitoli di entrambe le testate ricorrano i termini “architettura” e “comunicazione”. Delle due, però, solo quest’ultima continua ancor oggi la pubblicazione, mentre la prima è sopravvissuta solo qualche anno. “Chiesa Oggi” è stata anche la promotrice lo scorso anno, in collaborazione con il CNA, del concorso “Sagrati d’Italia”, pensato per stimolare il dibattito sugli spazi comuni e di limite tra la città secolarizzata e l’edificio sacro cristiano. Parlando di riviste italiane non sì può ignorare la fondamentale esperienza di “Chiesa e Quartiere”, rivista pubblicata a Bologna dal 1956 al 1968 quale organo di informazione del Centro di studio e informazione per l’architettura sacra. L’importanza di questa rivista risiede nelle ragioni stesse che portano alla sua pubblicazione ed alla sua chiusura. Essa non seguì una logica di richieste di mercato, ma espresse la necessità di comunicazione (e questa volta la parola “comunicazione” testimonia una vera e propria urgenza) di un’esperienza unica, vissuta dalla comunità bolognese animata dal suo arcivescovo cardinal Lercaro negli anni che prepararono ed immediatamente seguirono il Concilio Vaticano II, momento topico della storia della Chiesa nel Novecento e conseguentemente anche dell’architettura dei suoi edifici. Le questioni pastorali, teologiche e liturgiche s’intrecciarono con il dibattito sull’architettura moderna (basti pensare ai contributi di Luigi Figini o dei fratelli Gresleri, schierati in prima linea nell’animare la rivista ed il Centro di studio) giungendo al fondamentale risultato di legittimare un’architettura sacra moderna: l’unica opera di Alvar Aalto in Italia, la chiesa di Riola lungo la Porrettana, ci ricorda in modo tangibile gli sforzi compiuti ed i risultati raggiunti. Pur se conclusa da quasi quarant’anni, l’esperienza bolognese di Lercaro, testimoniata dai 47 numeri di “Chiesa e Quartiere”, rimane un passaggio fondamentale per chi si occupa di architettura sacra, e non solo in Italia. Gabrio Rossi

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Offerta formativa e informativa


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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis e Gabrio Rossi

Nuove chiese ed adeguamenti liturgici Le nuove chiese, non a caso annoverate tra le opere di urbanizzazione, vanno di pari passo con la crescita della popolazione insediata sul territorio. L’inurbamento negli ultimi dieci anni ha interessato più i comuni limitrofi al capoluogo che la città stessa; infatti le tre chiese consacrate negli ultimi dodici mesi sono a Seriate, Dalmine e Sorisole, mentre una quarta è in costruzione a Curno. A Seriate l’architetto svizzero Mario Botta ha progettato il Centro Pastorale Beato Papa Giovanni XXIII in località Paderno; qui, il quartiere sorto negli ultimi anni, ha reso insufficiente la piccola chiesa campestre che storicamente serviva le poche case sparse. La lunga fase di progettazione, iniziata nel 1994, si è conclusa l’8 maggio del 2004 con la consacrazione della chiesa: un massiccio torrione rivestito all’esterno di marmo rosso di Verona e all’interno da un’abbagliante lamina d’oro, tanto da dover ridurre al minimo l’intervento artistico dello scultore Giuliano Vangi. L’edificio ha già fatto molto parlare di sé, complice il suo progettista che non perde occasione per presentarsi quale unico paladino dell’architettura cristiana. Diverso è il caso di Guzzanica di Dalmine, dove il successivo 12 settembre è stata consacrata un’altra chiesa dedicata al Beato Giovanni XXIII, progettista l’ingegnere Raffaele Carrara e artista Francesco Coter, guadagnandosi ben poco spazio sulla stampa locale. Altra storia ancora per la chiesa a Petosino, frazione del comune di Sorisole, frutto questa volta di un concorso regionale indetto nel 2000 cui hanno partecipato più di 140 gruppi e che è stato vinto dall’architetto Remo Dorigati, professore al Politecnico di Milano, che ha realizza-

Mario Botta, Centro Pastorale Beato Papa Giovanni XXIII, Seriate.

to l’opera avvalendosi dell’artista pavese Sergio Alberti. Mentre i primi due interventi sono centri parrocchiali, dotati delle strutture necessarie alla vita quotidiana di una nuova parrocchia, quali campi sportivi, aule per il catechismo, bar, saloni e abitazione del parroco; a Petosino, invece, la necessità della comunità locale era limitata ad una nuova aula liturgica di maggiori dimensioni. L’inserimento di questa chiesa in un tessuto urbano già consolidato è dunque più delicato che non nel caso di un nuovo brano di città di cui si possono controllare anche gli altri elementi urbanistici. La scelta del progettista per la soluzione di un’aula ipogea permette di affiancare la nuova chiesa a quella storica, ricavando un secondo sagrato a cerniera dei due edifici. Senza voler esprimere alcun giudizio critico, visitando queste chiese si può notare un uso della luce naturale molto intensa che elimina la penombra dallo spazio sacro contemporaneo. Un cantiere ancora in corso, si trova anch’esso alle porte di Bergamo, più precisamente alla Marigolda di Curno e per il prossimo anno è previsto il completamento della chiesa dedicata all’Annunciazione, opera di due giovani colleghi, gli architetti Angelo Agazzi e Angela Giovanna Amico. Se tante chiese sono da costruire dove la popolazione aumenta, non ci si deve dimenticare, parlando di architettura cristiana, della necessità degli adeguamenti liturgici delle chiese storiche. Come ogni edificio, infatti, anche la chiesa è costruita per l’uomo che vi deve abitare, e il modo di abitare nel tempo si evolve, rendendo necessario modifiche nell’uso dello spazio. La necessità di adeguamento segue i mutamenti nei riti che vi si devono celebrare. Studiando la storia già sappiamo che il Concilio di Trento, ponendo l’accento sull’importanza dell’Eucarestia in polemica con le chiese della Riforma, ha portato modifiche radicali nell’impianto delle chiese. Il Concilio Vaticano II ha invece recuperato l’importanza della Liturgia della Parola e della partecipazione di tutta l’Assemblea al rito,


stimolando altrettanti cambiamenti. Alla luce di queste brevi considerazioni risulta facile capire che il progetto di adeguamento della zona presbiteriale della cattedrale cittadina, anch’esso in programma per il prossimo anno, sarebbe altamente simbolico ed auspicabile. Il progetto è dell’architetto Pasquale Culotta, professore dell’Università di Palermo che da anni approfondisce il tema dell’adeguamento liturgico (si veda, ad esempio, il concorso per il presbiterio del Duomo di Pisa) e il liturgista che lo segue è Crispino Valenziano, che ha già collaborato con Renzo Piano per il santuario di Padre Pio. Le persone sono indubbiamente competenti e di grande levatura scientifica, ma mettere mano a un edificio storico vuol dire convincere la Soprintendenza che una chiesa non è solo un monumento intoccabile ma è anche, e soprattutto, uno spazio per il rito e ne deve seguire l’evoluzione. Il risultato finale non dipenderà, quindi, solo da committenza e progettisti. Dopo gli effetti mediatici della chiesa progettata da Botta, ci attende un altro anno ricco di nuove architetture ecclesiali che, si spera, saranno costruite per la comunità e non per il progettista.

FORUM ORDINI

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G. R.

Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli Copertina del catalogo, edizione 2002.

Pulchra Ecclesia: rassegna di arti per lo spazio sacro Come contributo a questo numero della rivista abbiamo pensato di dar conto di una manifestazione fieristica giunta quest’anno alla sua terza edizione: Pulchra Ecclesia Rassegna di Cultura, Arti e Servizi per lo spazio sacro e il mondo ecclesiastico, che si è svolta presso la Fiera di Brescia dall’8 all’11 ottobre 2005. L’appuntamento, che nasce sotto i patrocini della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, della Consulta Nazionale per i Beni Ecclesiastici Cei e delle diocesi di Brescia, Bergamo e Cremona, si rivolge a tutti coloro che operano, a livello nazionale, nell’ambito del cantiere-chiesa fornendo un’opportunità di incontro con la committenza ecclesiastica, dando un panorama il più esauriente possibile, visto che la Chiesa Cattolica, con decine di nuovi edifici innalzati ogni anno, rappresenta uno dei più grandi cantieri aperti della Penisola. Aspetto fieristico e mercantile quindi, ma non solo: il cuore pulsante di Pulchra Ecclesia rimane comunque lo spazio culturale, articolato in un susseguirsi di mostre, convegni e workshop.

Quest’anno in conformità e sintonia con l’Anno Eucaristico proclamato dalla Chiesa, si è ritenuto di incentrare, per quanto possibile, la riflessione di artisti, architetti, aziende del settore e del pubblico, sull’Eucaristia nelle sue varie evidenze teologiche, liturgiche, iconografiche. Asse portante sarà la mostra Fabrica Ecclesia nella quale verranno illustrate, per mezzo di disegni e modelli originali, le più significative realizzazioni nell’ambito dell’architettura sacra contemporanea internazionale (autori quali Botta, Meier, Piano, Ando, Siza, Gregotti e altri), mentre un focus particolare verrà riservato alle problematiche architettoniche e iconografiche del tabernacolo, della Sacra custodia e della cappella del Santissimo. Altra mostra evento sarà Il concilio Vaticano nell’arte, esposizione di capolavori della pittura e della scultura sacra del XX secolo, a cura dell’Associazione Arte e Spiritualità di Brescia, nella ricorrenza del quarantennale del Concilio. Ricco è pure il calendario di incontri che si svolgeranno durante l’esposizione fieristica tra i cui temi citiamo “Luce e Liturgia” e “Quale estetica per la chiesa del nuovo millennio?”. Tornando ora, per un momento, a quanto proposto nelle precedenti edizioni della manifestazione (2001 e 2002),


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che si sono svolte presso il polo fieristico di Montichiari, ricordiamo come tra le ambizioni di Pulchra Ecclesia vi sia quella di stimolare un dibattito, attraverso concorsi di idee e premi, perché dall’incontro di visioni e intenzioni tra “chierici e laici” possano nascere modelli e tipologie “raccomandabili” per le chiese di oggi. La prima esperienza di concorso si è svolta nel 2002, con un bando, rivolto agli architetti dell’Ordine di Brescia, per il progetto della pavimentazione della chiesa di Sant’Angela Merici nel quartiere di San Polo, tema suggerito dalla volontà del prof. Carlo Chenis (segretario della Pontificia Commissione di Arte Sacra del Vaticano) di ripensare con l’attuale sensibilità la grande tradizione iconografica delle pavimentazioni bizantine e altomedievali dove figurazione ed astrazione si intrecciavano. L’ambizione di bandire, nelle successive edizioni, concorsi nazionali di architettura in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Brescia, per promuovere e costruire nuove chiese, non sembra essersi concretizzata nel 2005, ma ne resta aperta la possibilità per i prossimi appuntamenti, già fissati per il 2006 e il 2008. P. T.

Como a cura di Roberta Fasola

Incontro con monsignor Signorelli Cambiano le tematiche e le specifiche professionali delle persone intervistate, ma, ancora una volta, si torna a parlare di Concorsi. Questo è infatti il tema emerso sin da subito alla domanda fatta al monsignor Signorelli “come vengono fatte le commesse per le architetture religiose”, ricordando i Concorsi di Lipomo (vinto dall’ing. Biscotti e dall’arch. Noè nell’88) e di Sondrio (vinto dall’ing. Damiano Cattaneo con l’arch. Polin nel 1990). Monsignor Signorelli, già direttore dell’Ufficio Diocesano di Arte Sacra di Como e professore all’Accademia di Belle Arti di Como, ritiene, infatti, che lo strumento del concorso sia un ottimo metodo per selezionare i progettisti di nuovi complessi parrocchiali anche se presenta al tempo stesso alcune difficoltà. In ogni caso il problema locale oggi può dirsi superato, dal momento che, dopo alcuni decenni di attività edilizia, i bisogni di nuovi luoghi di culto sono stati soddisfatti. Invero, al forte incremento di popolazione del dopo guerra è seguito il blocco demografico: la sola città di Como dal 1931 al 1967 si era quasi raddoppiata, sia per fattori naturali che per l’immigrazione, quindi ha avuto inizio la recessione. Nel frattempo si erano formati o potenziati alcuni quartieri attorno al capoluogo o ai bor-

ghi di tutte le quattro provincie cui si estende la diocesi alpino-lariana. Di conseguenza la Curia dovette affrontare i problemi che questo forte sbalzo di popolazione comportava: già con il vescovo mons. Macchi e con i suoi successori si dovettero dotare di strutture adeguate alcune vecchie parrocchie del circondario, nonchè istituirne di nuove: Tavernola aveva avuto la chiesa di Cristo Re nel 1937 e Lora quella dei Santi Simone e Giuda nel 1942, mentre nel dopoguerra sorsero tutta una serie di altre chiese. La nuova parrocchiale costruita in Valleggio dai Cappuccini vicino all’antico S. Giuseppe, è il primo esempio di spazio concepito in modo nuovo, con intenzioni simboliche nella forma globale, nella pianta e nell’alzato (1967). La chiesa di Ponte Chiasso (1966) e le due grandi cappelle dei seminari, d’altra parte, appaiono caratterizzate da presbiteri inquadrati a modo di ampi boccascena, dove i riti ricordano le antiche sacre rappresentazioni; o il Santuario del Prodigio del 1968 e la chiesa di S. Agata del 1969, quale esperimento innovativo. Nel 1972 si inaugurano le parrocchiali di Prestino e di Muggiò, a cui segue l’ultima prova data da Lipomo con il già citato concorso. Il rapporto tra curia e periferia, per quel che riguarda l’edilizia di culto non è univoco. Accanto a certe diocesi, dove le iniziative vengono accentrate negli specifici uffici curiali che hanno a disposizione architetti regolarmente stipendiati, altre (è il caso di Como) lasciano l’iniziativa alle parrocchie, pur sempre assistite dal Consiglio e dall’approvazione definitiva. Sostanzialmente la questione dell’affidamento degli incarichi – che il più delle volte riguardano restauri e manutenzione straordinaria – (numerosi ed importanti restauri si sono attuati ovunque, ma sono particolarmente da citare quelli seguiti all’alluvione in provincia di Sondrio e alla relativa “Legge 1991 Valtellina”) si risolve nel fatto che il parroco evidenzia le necessità del caso e, col Consiglio Parrocchiale, individua architetto ed impresa situati nella zona; quindi presenta progetto e piano di finanziamento ai competenti uffici di curia per le verifiche di carattere sia liturgicopastorale che estetico-progettuale, per l’ottenimento dell’approvazione conclusiva. Seguendo poi l’iter burocratico (accordo cardinal Ruini – ministro Beni Culturali) l’Ufficio d’Arte Sacra ritrasmette la pratica alle soprintendenza interessate ed attende che queste la confermino. Attualmente si registra un leggero incremento della popolazione che farebbe pensare a nuove necessità, la realtà è che questo è dovuto alla sempre maggiore presenza di immigrati stranieri, quindi non riallacciabile necessariamente alla religione cristiana. Per quanto riguarda nello specifico le altre confessioni, si registrano solo poche chiese protestanti: una a Como, in via Rusconi in falso romanico, risalente a circa un secolo fa e attualmente chiusa, una a Tremezzo (risalente ai primi anni del secolo scorso); una costruzione recente a Colico, usata dai Testimoni di Geova; si rammenta un altro locale adattato per Pentecostali in via Borgo Vico. Rima-


R. F. con mons. Giuliano Signorelli

Cremona

E oggi? Abbiamo chiesto al responsabile dell’Ufficio Diocesano Beni Culturali di Cremona, don Achille Bonazzi, come avviene attualmente la procedura per la costruzione di nuove chiese: “I nuovi edifici di culto vengono decisi dal mons. Vescovo, sentito l’Economo Diocesano. Esiste, a livello nazionale, un fondo ad hoc (presso l’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici) proprio per la costruzione di nuovi edifici di culto. A livello Diocesano esiste la Commissione Chiese Nuove di cui fanno parte, oltre all’Ordinario (Vicario Generale) anche alcuni parroci e alcuni professionisti”. Di norma si assegna l’incarico attraverso un bando di concorso a inviti. Gli aspetti fondamentali richiesti per le nuove chiese sono essenzialmente il rispetto della normativa liturgica (nella Commissione che valuta è presente un rappresentante dell’Ufficio Liturgico) e l’inserimento nel tessuto territoriale. Oggi la Chiesa privilegia la tipologia a pianta centrale, che consente una migliore partecipazione della comunità. Non ininfluente risulta anche il problema della gestione, con particolare riguardo al riscaldamento invernale e alla climatizzazione estiva. Per dare concretezza al discorso illustreremo due chiese di Cremona del ’900: la prima, la chiesa di S. Ambrogio di Giovanni Muzio degli anni ’30; la seconda, la chiesa di S. Giuseppe del quartiere Cambonino, realizzata negli anni ’90. Il convento dei santi Ambrogio e Antonio di Giovanni Muzio Si tratta di uno degli ultimi interventi di architettura moderna realizzati a Cremona. I frati minori francescani

a cura di Massimo Masotti

Architettura religiosa a Cremona Uno dei temi su cui è più serrato il confronto tra gli architetti contemporanei è senz’altro l’edificio di culto. In Italia, due esempi su tutti: la chiesa di Riola di Alvar Aalto e S. Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci. Sono chiese, queste, che hanno fatto scuola e che hanno tracciato una forte linea di demarcazione tra passato e presente. Soprattutto la Chapelle Notre-Dame du Haut di Le Corbusier a Ronchamp: spiritualità e modernità fuse in un unicum irripetibile. La progettazione di edifici di culto che coniughi il linguaggio contemporaneo con la forte spiritualità della funzione non è cosa semplice. Un tempo la costruzione delle chiese dipendeva da committenti illuminati e danarosi, che facevano proprie le istanze spirituali della popolazione e le traducevano in manufatti che rappresentassero il gusto architettonico del momento.

Giovanni Muzio, chiesa e convento di S. Ambrogio; santuario di S. Antonio, 1936.

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ne insoluta la richiesta di una moschea per i musulmani, che fruiscono però di un comune locale. Si ricorda che, essendo gli elementi distintivi di un luogo religioso sia di tipo interno che esterno, fondamentale è il rapporto tra l’edificio e il contesto, con tutti i campi di relazione a esso annessi, quali il sagrato o gli spazi per la circolazione e la sosta. Troppo spesso il traffico moderno ha finito col devastare quei luoghi intermedi fra “le attività esteriori degli affari e quelle interiori dell’anima”: chiese e cattedrali sono state concepite per avere una piazza, anche se di limitato respiro, che però lasciava la sorpresa della rivelazione improvvisa. Purtroppo il non aver difeso spesso questi sagrati ha permesso che diventassero luogo rumoroso e pericoloso (è il caso di S. Rocco, S. Salvatore e Sant’Orsola), privando la comunità cristiana di un luogo per una sosta rasserenante, introduttiva all’incontro religioso. Proprio l’importanza di avere uno spazio pubblico della religione relazionato al luogo in cui si trova inserito l’edificio religioso, è stata recentemente sottolineata dal primo premio nazionale di idee di architettura “I sagrati d’Italia”, bandito dal CNA con la rivista “Chiesa oggi. Architettura e comunicazione”, dove, tra l’altro, è stato segnalato un lavoro della Provincia di Como – la chiesa della Beata Vergine Addolorata in piazza Marconi a Luisago – ad opera dell’arch. Fabio Bianchi e dell’arch. Antonio Albertini.


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affidarono nel 1936 il progetto della nuova chiesa a Giovanni Muzio, già autore a quel tempo del palazzo della Triennale di Milano e dell’Università Cattolica. Per la chiesa si conoscono anche due progetti firmati da due noti architetti cremonesi dell’epoca: Vito Rastelli e Aldo Ranzi. Muzio, per S. Ambrogio, sceglie lo schema della basilica paleocristiana e lo arricchisce di portici e sala riunioni. Il materiale costruttivo scelto è il cotto a vista, utilizzato come rivestimento della struttura portante in cemento armato. La suggestione del cotto colpirà anche l’architetto Carlo Cocchia per la costruzione di Palazzo dell’Arte a Cremona. La facciata della chiesa è sobria: sei alte colonne segnano il portico d’ingresso. L’interno, a navata unica, è semplice e lineare. La copertura è un originale susseguirsi di volte a botte, poste trasversalmente rispetto alla navata principale. Grande attenzione per il rapporto con il contesto: la chiesa è posta parallelamente alla strada, originando una sequenza di luoghi (chiesa, santuario, sala riunioni) e spazi (il sagrato) ordinati dallo stesso motivo architettonico del cotto a vista.

allarga, aumentando l’effetto ascensionale della struttura. L’interno è a pianta quadrata con la disposizione radiale dei banchi attorno all’altare. La centralità dell’altare è sottolineata dalla convergenza degli archi in legno lamellare che sostengono la copertura e dall’assialità con l’ingresso principale. Sul lato destro della chiesa, adiacenti all’aula principale e collegati direttamente ad essa, troviamo la cappella invernale e la sagrestia. Sul fondo, a fare da “ali” all’altare, troviamo la cappella del Santissimo Sacramento e la cappella con il fonte battesimale. Grande cura nel progetto è stata dedicata all’acustica e alla luce naturale. L’edificio è realizzato in muratura in blocchi di calcestruzzo colorato a superficie martellinata, con tre diverse tonalità di colore che conferiscono plasticità alle superfici esterne. È indubbiamente un intervento che ha colmato un vuoto urbano del quartiere e ha ridato qualità architettonica anche al contesto in cui è stato inserito, testimonianza efficace di come si possano realizzare interventi architettonicamente di buon livello anche in zone periferiche.

La chiesa di S. Giuseppe nel quartiere Cambonino A Cremona, un bell’esempio di architettura religiosa realizzata negli ultimi anni è sicuramente il Centro Parrocchiale S. Giuseppe di Piazza Aldo Moro, nell’area del quartiere Cambonino. Il progetto dell’architetto Paola Morandi e dell’Ing. Gianni Morandi è risultato vincitore del concorso a inviti indetto dalla Curia di Cremona nel 1995. Il bando chiedeva di evitare la frantumazione dello spazio complessivo e di creare un ambiente unico ad aula in linea con i nuovi princìpi di progettazione, orientati a mettere i fedeli nelle migliori condizioni di vista e di ascolto della liturgia. La facciata principale è concava e si apre su un porticato coperto da lastre di cristallo trasparente, inquadrato in un’ampia arcata che taglia orizzontalmente il fronte. Nello spazio tra la concavità della facciata e l’arcata del portico spicca il campanile, una sobria ma intelligente interpretazione in chiave moderna della torre campanaria classica. La pianta, a forma di “L”, è alta 27 m e nella parte finale si

M. M.

Paola Morandi, Gianni Morandi, chiesa di S. Giuseppe, 1995.

Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti

Spirale di fede La realizzazione della nuova chiesa dello Spirito Santo a Valmadrera deriva dall’esigenza di dotare il paese di un nuovo spazio per le funzioni religiose in una zona periferica rispetto al nucleo storico dove è già localizzata la chiesa parrocchiale e in ausilio alla chiesetta di S. Rocco, insufficiente rispetto al numero di fedeli delle funzioni domenicali. Il contesto edilizio circostante la nuova chiesa è caratterizzato dalla presenza prevalente di edifici di edilizia economica e popolare le cui soluzioni architettoniche risultano decisamente eterogenee. Progettata dall’architetto Giuliano Amigoni, che con l’occasione nuovamente ringrazio per la disponibilità, la chiesa viene inaugurata nel 1992 e sorge su un’area di circa 10.000 mq ceduta alla Parrocchia dall’Amministrazione Comunale. Il volume totale del nuovo edificio religioso è di 5.110 mc sviluppati su una superficie coperta di 850 mq ed ha una capienza di 400 persone. Grazie all’ottima acustica è spesso utilizzata per concerti. Splendida è la vista delle montagne lecchesi che fanno da cornice all’area dove è localizzata la chiesa. L’architetto Amigoni spiega come abbia preso spunto proprio dalle montagne circostanti per la scelta dei materiali della nuova costruzione: “Lo scenario montano ha suggerito più che il


Giuliano Amigoni, chiesa dello Spirito Santo a Valmadrera, 1992.

disegno, i rivestimenti in pietra. L’aula emerge dallo zoccolo di pietra come uno sperone che sorge dalla roccia. Così la chiesa dà l’idea di poggiare sulla solidità della roccia”. Continua l’architetto Amigoni: “L’intento non è stato quello di mimetizzare la chiesa all’interno di un contesto urbano rinunciando agli elementi di decisa caratterizzazione, ma di dare un segno nella città della presenza del divino”. L’idea della spirale che caratterizza l’impianto planimetrico della chiesa di Amigoni sembra essere riuscito egregiamente a soddisfare l’aspetto sociale che la chiesa deve rivestire, chiesa come realtà aperta e pronta ad accogliere il popolo di Dio in cammino unito al bisogno di luogo sacro di incontro con Dio. Il divino è al culmine della spirale, il punto focale cui l’uomo giunge dopo il cammino. Dall’ingresso principale, preceduto da un ampio portico che costituisce una sorta di passaggio che conduce al luogo sacro e che invita al raccoglimento, il fedele percorre un basso deambulatorio (dell’altezza di 4.50 m) in suggestiva penombra prima di giungere all’aula le cui pareti salgono sino a 10,5 metri rischiarate dalla luce zenitale. Lo sguardo del fedele è accompagnato verso il presbiterio dalla linea del soffitto che dall’aula scende verso l’altare accentuandone la centralità. Anche le pareti laterali convergono verso questo punto focale. Un cono di luce penetra dall’altra vetrata verso il presbiterio quasi a rappresentare la presenza di Dio che giunge dall’alto a incontrare i fedeli che hanno percorso un lungo cammino passando per la spirale della vita e della quotidianità. Trovo sia particolarmente ingegnoso anche l’aver pensato all’accesso alla chiesa non in prossimità della strada principale dove il traffico è più frenetico, ma da una stradina secondaria. L’articolato sagrato della chiesa sembra rammentare da subito l’idea del percorso verso il luogo sacro, il cammino è in leggera salita verso il verde alberato. L’accesso da una via secondaria consente di non presentare al fedele una facciata principale ma lo invita a percorrere il perimetro della chiesa per scoprire prospettive e visuali differenti. L’idea della spirale ha il duplice significato di confluenza verso un centro (lo si nota passando dall’esterno all’interno) e di dilatazione verso un esterno. Osservando la chiesa dello Spirito Santo dall’esterno, notiamo, infatti,

come dal campanile si dipartano i muri di pietra digradanti che avvolgono l’aula emergente da questi ultimi. La spirale si dilata e si allarga ad accogliere i fedeli. Anche se alcune curve della prima ipotesi progettuale hanno lasciato il posto alle linee spezzate della soluzione definitiva, diverse sono le linee tondeggianti che costituiscono le pareti della chiesa. Queste ultime sono rivestite esternamente da pietra di Credaro a vista mentre all’interno sono in intonaco bianco. Amigoni ha scelto bei serramenti in color ferro bruno e un manto di copertura in rame. La copertura dell’aula è realizzata con travi in legno lamellare mentre i pavimenti sono in cotto e beola verde levigata. La luce all’interno gioca un egregio ruolo di quarta dimensione dell’architettura; ben modulata è in grado d’incuriosire il fedele, di condurlo al raccoglimento evidenziando, al tempo stesso, punti focali quali il presbiterio e l’altare laterale dedicato alla Madonna. La luce sembra essere il tramite tra Dio e la sua creatura. Amigoni racconta di aver avuto un ottimo rapporto con la committenza e si ritiene soddisfatto dell’apprezzamento dei fedeli. Ricorda con simpatia l’espressione di commento di un prete: “Una chiesa moderna che non fa rimpiangere le chiese romaniche!”. “Ho trovato entusiasmante - afferma - affrontare la progettazione di una chiesa anche se ho convissuto con la consapevolezza di essere inadeguato. Dio è la bellezza assoluta, ed ogni soluzione trovata per un’architettura sacra sembra necessiti sempre di maggior dignità, decoro, bellezza rispetto a qualsiasi altro tema architettonico”. Il progettista sembra, comunque, essere riuscito a soddisfare l’esigenza di una chiesa come luogo in cui ricordare e celebrare il miracoloso incontro tra Dio e l’uomo e come spazio sacro dove vivere, incontrarsi, comunicare e camminare insieme. Ritengo doveroso ricordare come questo bell’esempio d’architettura sacra del nostro territorio sia stato esposto alla mostra internazionale, patrocinata dalla Conferenza Episcopale Italiana, Architettura per lo spazio sacro allestita alla Galleria d’arte Moderna a Bologna nel 1996. M. E. R.

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Lodi

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a cura di Antonino Negrini

L’arte e la città: riflessioni a cielo aperto Il tema è stato affrontato dallo storico, scrittore e poeta del lodigiano, Giuseppe Pettinari. Autore di articoli storici comparsi sul “Cittadino”, di vari libri che riguardano il nostro territorio o le sue origini, sempre attento e disposto a battersi per tutto quello che rappresenta la storia e la cultura del lodigiano, lo ringrazio vivamente per la sua preziosa collaborazione. A. N.

Chiesa vecchia e chiesa nuova Il titolo si presta all’ambiguità, non si riferisce certo all’aspetto istituzionale della Chiesa, ma va inteso in senso architettonico. L’uso dei termini “vecchia” e “nuova” è proprio della gente, dei fedeli che fruiscono del luogo di culto. È interessante cogliere come viene vissuta questa dualità, in modo particolare in un piccolo centro lodigiano, un tempo eminentemente rurale. È ciò che è avvenuto a Sordio, piccolo comune in provincia di Lodi che, fino agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso, contava 350400 abitanti. La chiesa a quei tempi era ubicata ai margini del paese, poco distante da una grande arteria statale: la via Emilia. Fu ristrutturata nel 1669 e, nel contempo orientata con l’abside a ovest; l’edificio precedente aveva un orientamento classico, con l’abside posta a est: sono tuttora evidenti le tracce di questa variazione. Della chiesa antecedente si hanno poche notizie storiche, si sa che si trattava di una semplice cappella con la dedicazione, altrettanto antica, all’apostolo S. Bartolomeo, che tuttora conservata. L’edificio arrivato fino a noi, è costituito da un’unica aula e un piccolo campanile posto a ridosso della facciata e che, nell’edificio precedente doveva corrispondere alla zona della sacrestia, ciò a riprova della variazione di orientamento dell’edificio. Vi sono ancora custoditi alcuni arredi lignei realizzati a cavallo fra ’600 e ’700. Il coro è opera del Regale e Piacentino, mentre di Antonio Lanzani è il confessionale, la Sacristia e la Cantoria è attribuita allo stesso autore da Alessandra Baroni nella sua recente tesi di laurea. I fedeli di Sordio erano usi assistere alle funzioni religiose fra le panche della piccola e unica navata, che era al livello più basso della costruzione. Per accedere al presbiterio vi erano tre gradini, lo stesso poi era delimitato dalla

balaustra, al centro di questa vi era un piccolo cancello, che durante le funzioni veniva regolarmente “serrato”. La cantoria stava in alto, in fondo alla chiesa, di modo che i canti scendevano a pioggia sull’assemblea; il celebrante tuonava la sua predica dall’alto del pulpito, posto a metà altezza sulla parete di sinistra, verso l’altare. Anche l’occupazione della navata da parte dei fedeli, era rigidamente osservata. A sinistra le donne e a destra gli uomini; in tempi lontani erano separati da un telo lungo tutta la navata a evitare la minima possibilità di eventuali sguardi peccaminosi. Davanti, verso l’altare, prendevano posto i ragazzi più piccoli e, andando giù verso l’ingresso, aumentava gradatamente l’età fino a circa metà chiesa, dove le panche si dividevano per lasciare libero l’accesso alle due cappelle laterali. Nella parte posteriore vi erano i giovani, quindi gli uomini sposati e gli anziani. Lo stesso valeva anche a sinistra, per le donne. Nel presbiterio, oltre al celebrante naturalmente, potevano esserci i chierichetti e, per lo stretto necessario, il sacrestano, e nessun altro. Alle donne era letteralmente proibito accedervi anche se non vi erano celebrazioni. Al presbiterio ci si poteva accostare solamente per ricevere la Comunione, ma solo all’esterno della balaustra, stando rigorosamente in ginocchio e a capo chino. I notabili del paese anche in chiesa occupavano una posizione di riguardo e bene in vista, in panche contrassegnate dal proprio nome, con relativo titolo. Tutte queste usanze, vecchie magari di secoli ma ancora vive nella memoria, pian piano si andarono allentando nel tempo anche se tutto ciò era ancora in vigore agli inizi degli ultimi anni Sessanta. La vecchia chiesa di Sordio era ormai insufficiente, dato il cospicuo incremento della popolazione, che in breve tempo ha raggiunto i 2.400 abitanti; così, nell’aprile del 1992 sono inziati i lavori per la costruzione di un nuovo edificio, ultimato quattro anni più tardi. La dedicazione della nuova chiesa è avvenuta il 14 settembre 1996. Progettata dall’arch. Luigi Lorisi, è stata realizzata tenendo conto dei fattori ambientali ed adottando una specifica simbologia. Sono stati impiegati materiali tipici del Lodigiano come il legno ed il cotto. Il legno è stato impiegato nella realizzazione del soffitto, sorretto da tre grandi travi in legno lamellare; il cotto, il famoso “cotto lombardo”, richiama le facciate delle chiese locali più antiche, da quelle più piccole, di campagna, alle abbazie e alle cattedrali. La sala della chiesa è a pianta ellittica con, esterni ma comunicanti con la stessa, due corpi cilindrici che ospitano, il battistero a sinistra e la penitenzieria, a destra. Anche il presbiterio è di forma ellittica, è più piccolo della sala con cui si fonde per intersezione delle parti di minor curvatura. L’abside è svasata verso l’alto, permettendo così l’originale soluzione d’illuminare con luce naturale il presbiterio. In merito alla simbologia sono da segnalare le dodici colonne, simbolo degli Apostoli, che sorreggono il finto matroneo che corre in alto, lungo tutta la grande ellisse;


25 le colonne sono disposte su tre ordini, con riferimento alla Santa Trinità. Il battistero e la penitenzieria sono posti all’esterno della grande aula: si rifanno a un’antica tradizione che ingiungeva la “purificazione” prima di essere ammessi all’assemblea. Sul pavimento, passatoie di granito di colore diverso rispetto al pavimento, si dipartono da questi due luoghi o momenti, e confluiscono simbolicamente verso l’altare. L’evento è rimarcato anche dalle grandi travi in legno lamellare che costituiscono il soffitto. “Abbiamo cercato di rispettare l’impostazione di un corretto simbolismo liturgico – osservò il progettista – disponendo in sostanza a triangolo l’altare, il presbiterio e la penitenzieria, instaurando un legame anche architettonico fra i momenti della celebrazione, dell’iniziazione e del raccoglimento e della contrizione. Tutto ruota attorno all’altare”. “Per quanto riguarda i materiali di costruzione – continua Lorisi – ho tentato di rifarmi in modo scrupoloso alla più tipica tradizione padana, con un recupero della memoria storica locale dell’architettura religiosa. Per i rivestimenti esterni ho scelto un abbinamento fra mattone rosato a vista e rame. Ritengo siano fra i materiali più idonei per la protezione dalle intemperie, in più creano effetti cromatici molto suggestivi. Per gli interni, ho invece preferito optare per due tonalità di calcare compatto, mentre la struttura portante della copertura a volta è stata realizzata in legno lamellare opportunamente trattato”. In merito alla “vivibilità” emergono immediate alcune considerazioni, sollecitate anche da come è stato vissuto in pratica dai fedeli il passaggio dal vecchio al nuovo edificio. A differenza della vecchia chiesa, nella nuova i fedeli non prendono posto nella navata allontanandosi dall’altare, epicentro del rito ma, l’assemblea, grazie alla conformazione dell’edificio circonda e, in un certo senso, abbraccia altare e celebrante. Tra i fedeli e il presbiterio non vi sono più segni di confine, ma un’apertura totale, simbolo di maggior partecipazione, come richiesto dal Concilio Vaticano II. Anche la postazione della corale è nella stessa sala, a livello dei fedeli e, pur avendo una sua ben precisa collocazione, non è in alcun modo isolata dall’assemblea. Questo per favorire, sollecitare la partecipazione di tutti al canto durante le celebrazioni. L’impatto avuto dai fedeli con il nuovo e più moderno edificio ecclesiale, è stato per i più tutt’altro che entusiasmante. È stata vissuta una sorta di non affezione dovuta alla novità architettonica, in genere si tende ad assimilare le nuove chiese a “capannoni industriali”, a “discoteche” o ad altro ancora. Successivamente, col

Pianta e veduta della chiesa parrocchiale di Sordio (Lo).

tempo e la frequentazione ci si sente più partecipi, quasi più protagonisti, grazie anche alle innovazioni liturgiche più coinvolgenti. Dopo nove anni dalla sua dedicazione, a Sordio, pur permanendo forti legami affettivi col vecchio edificio, l’accettazione del nuovo è ormai un dato di fatto e la sacralità del luogo, che rappresenta eminentemente un fatto interiore per ognuno, è stata decisamente acquisita e sentita. Giuseppe Pettinari

Mantova a cura di Sergio Cavalieri

L’architettura religiosa nel mantovano Il contesto mantovano non ha presentato negli ultimi anni grandi novità in fatto di architetture religiose. Le dimensioni contenute del nostro capoluogo di provincia e la grande eredità lasciataci da nomi quali Leon Battista Alberti e Giulio Romano, hanno probabilmente scoraggiato progetti architettonici o qualunque forma di “confronto” con le realtà (capolavori) già costruiti (la Basilica di S. Andrea e il Duomo). Risalgono agli anni ’80 gli ultimi interventi di nuova costruzione di Chiese cattoliche nell’hinterland mantovano (la Chiesa nuova di Virgilio e quella di Cittadella). La modalità di espansione urbana dei centri limitrofi alla città, sempre sviluppatisi attorno a centri preesistenti con lottizzazioni contenute (che quindi non richiedevano conte-

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Chiesa di S. Giuseppe: facciata principale.


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stualmente la realizzazione di servizi complessi e articolati), non ha visto la necessità, da parte delle diverse amministrazioni comunali, di costruire nuovi edifici religiosi. Proprio per questo quindi i principali interventi sono stati quelli necessari per la manutenzione e il restauro di alcuni dei più importanti edifici per il culto presenti in città e nel territorio. Tali interventi sono stati affidati, con incarico diretto da parte della Curia, a professionisti locali noti perché già in possesso di una qualificata specializzazione in interventi di restauro conservativo (considerati anche i consistenti vincoli presenti sui singoli edifici). Questo il caso dei già citati Duomo e Sant’Andrea, oltre che del Santuario delle Grazie o della chiesa di San Barnaba. Come in buona parte delle città italiane anche a Mantova esistono parecchie chiese ormai sconsacrate e inutilizzate: un patrimonio relativamente al quale solo in pochi casi è stato avviato un processo di riqualificazione globale che fosse in grado di trasformare questi grandi contenitori storici, in nuove “polarità urbane”. Uno dei casi più interessanti risulta quello di Santa Paola, convento e chiesa attualmente riconvertiti per ospitare un istituto professionale. In casi come questi l’affidamento d’incarico è avvenuto direttamente da parte dell’ente che gestisce il complesso riconvertito. Caso simile sempre in città risulta l’ex convento di San Francesco progressivamente riconvertito a sede dell’attuale Università di Mantova. A completare un quadro in cui mancano edifici di nuova costruzione, e pochi sono stati fino ad oggi gli interventi di riqualificazione del patrimonio storico, si aggiungono una serie di interventi sviluppati a corredo di alcuni centri religiosi dell’hinterland mantovano: si tratta per lo più della sistemazione delle piazze e dei sagrati antistanti le chiese poste in periferia. Questi nella maggior parte dei casi partono dall’iniziativa delle amministrazioni pubbliche (ovviamente con il beneplacito delle parrocchie) e che quindi seguono i canali di affidamento di incarico degli appalti pubblici (si tratta per lo più di incarichi sotto soglia con affidamento a curriculum). Questo il caso delle nuove piazze di Virgilio e Rodigo, oltre che del sagrato di San Silvestro. Marco Caprini

Milano a cura di Roberto Gamba

L’arte e la città: riflessioni a cielo aperto Nella vastità dell’area milanese, l’architettura religiosa si manifesta sotto multiformi aspetti. Di attualità e di novità per la nostra società civile sono le costruzioni, proprie di confessioni non cristiane.

La Chiesa cattolica naturalmente vede diffondersi le sue strutture: di queste andrebbero con più attenzione considerati particolari, stili e vicende esecutive. Fra le realizzazioni più recenti nella Diocesi di Milano, si possono ricordare in costruzione: a Mombretto di Mediglia, la Beata Vergine del Rosario; a Seguro di Settimo Milanese, San Giorgio; a Senato Castelletto, la Beata Vergine di Fatima e Santa Rita; tra le chiese in appalto: a Meriggia di Gallarate, la chiesa di Gesù Divin Lavoratore; a Zivido di San Giuliano Milanese, Santa Maria; a Pioltello Seggiano, Beata Vergine Assunta. Inoltre chiese sono in progetto al quartiere Stellando di Rho; a Sesto S. Giovanni; a Milano, Quarto Oggiaro e ai Ronchetti; al quartiere San Bernardo di Nova Milanese; a Trezzano sul Naviglio. I contributi qui pubblicati ci sono stati inviati da Raffaele Selleri, autore della nuova chiesa dei Santi Monica e Agostino, a Valleambrosia di Rozzano. Da Massimo Martelli, che brevemente cita due sue esperienze di progetto, per le quali ha considerato il tema della monumentalità, riferito a edifici di culto, per i quali, almeno in Italia, non sono codificate particolari regole di funzionalizzazione liturgica. Da mons. Gianfranco Poma, che presiede, presso la Diocesi milanese, la “Commissione per le Nuove Chiese e le Strutture religiose del territorio”. Questa ha il compito di promuovere attenzioni intorno all’edificio-chiesa, di farvi convergere i diversi linguaggi teologici, liturgici, antropologici ed estetici; di identificare metodi e criteri per conseguire una raccomandabile qualità. I suoi componenti (Vincenzo Barbante, Andrea Del Guercio, don Claudio Magnoli, Gianni Ottolini, Pierangelo Squeri, consulente Giuseppe Arosio) ritengono che, fatte salve condizioni e ragioni particolari, per i progetti sia normalmente da preferire la via del concorso a inviti. Per questo è stato studiato un documento operativo, che sia di guida per le corrette procedure del caso. Il suo apporto viene svolto offrendo tracce tematiche, rispetto agli orientamenti ecclesiali, alla simbolicità, alla funzionalità liturgica, all’iconografia, all’arte e alla collocazione nelle dinamiche urbanistiche. R. G.

“Il vero tempio è formato dal raccogliersi della comunità” La chiesa rappresenta l’energia di questo venire a raccolta, di questo concentrarsi in uno del molteplice. Chiesa ha questo significato essenzialmente spirituale, nessun significato costruttivo-tettonico esteriore. Chiesa è il riunirsi di coloro che sono stati chiamati, il ritrovarsi degli “eletti”. L’architettura del tempio dovrà esprimere esotericamente questo “movimento”, questa trasformazione: la trasfigurazione dell’individuo disperso in “chiamato”, che dà vita con altri “figli della chiamata” alla comunità. Perciò la Chiesa dovrà apparire da lontano per richiamare, costituire uno spazio che, da un lato sappia


la marginalità e, peggio, la casualità e l’estraneità della chiesa costruita nel contesto urbano è norma e, spesso, anche quando condizioni favorevoli del territorio potrebbero permettere soluzioni urbanistiche interessanti, massima è la disattenzione di tutti coloro che dovrebbero vigilare il corretto sviluppo urbano: amministratori e uffici tecnici in primis ma anche i professionisti urbanisti e architetti. La assai lodata chiesa di Meier a Roma è forse l’esempio più eclatante di quanto sopra si afferma: il bell’oggetto si cala nel periferico contesto come un curioso meteorite. Ma il disagio cui si è accennato, come si sa, non riguarda la sola architettura sacra, anche se questo tema è più delicato di altri, ma investe in genere le complesse tematiche delle nostre città nel loro tumultuoso disordinato crescere. Vedute della chiesa dei Santi Monica e Agostino, a Valleambrosia di Rozzano (progetto di Raffaele Selleri, Gaetano Selleri, Elena Manara Selleri).

recingere e proteggere (un’arca, una nave), ma, dall’altro, anche liberare, sprigionare nuova nostalgia, ad-tendere, aprirsi tutto all’ad-veniens. Questo è il drama dell’architettura sacra: punto d’arrivo, meta, immagine della comunità raggiunta, e insieme, ad un tempo, momento del pellegrinaggio, tappa, porto, passaggio. L’interno stesso della Chiesa dovrà essere in sé pellegrinaggio. Nella Chiesa il “chiamato” è ancora e anzitutto pellegrino. Nella Chiesa egli non cessa di andare, di dovere andare. Il tempio deve avere saldissima radice (non potrà la sua essere un’architettura senza Patria e senza terra), eppure la sua radice affonda in quello spazio immaginale dove confluiscono le fondamenta di tutti i templi e tutti insieme fan tutti cenno all’inesauribile sempre avvenire del Dio.” La citazione che prendo quasi integralmente da un editoriale che Massimo Cacciari ebbe a scrivere per “Casabella” (dic/gen 1996/97) esprime molto bene l’essere dell’architettura “Sacra” di ogni tempo e moderna in particolare. Questo essere dell’architettura sacra dei nostri giorni è, negli esempi migliori, ben presente e da non sottovalutare come, con giudizi affrettati, si tende a fare. Basti ricordare v le chiese tedesche di Rudolf Schwarz, quelle di Ple cnik in Slovenia, l’esperienza olandese di Dom Hans van der Laan, Jorn Utzon a Copenhagen, l’unicum di Ronchamp. Come non ricordare accanto a questi massimi esempi stranieri anche la nostra esperienza italiana e milanese in particolare? Muzio dagli anni Trenta ai Cinquanta, Figini e Pollini della “Madonna dei poveri”, Mangiarotti e Morassuti della chiesa di Baranzate. Per contro molto problematico ai nostri giorni è il rapporto tra disegno della città e architettura sacra. Purtroppo

Raffaele Selleri

Nuova monumentalità per gli edifici di culto Gli edifici a carattere religioso hanno sempre rappresentato, sia per la necessità di determinare l’importanza e la potenza del culto e della devozione che per l’essere manufatti emergenti e distinguibili, la massima espressione della monumentalità e della ricchezza dell’architettura. Per questo motivo il progetto di un edificio religioso rappresenta per il mestiere dell’architetto un’occasione di “libera espressione”, privo di vincoli funzionali nella composizione architettonica. Nello svolgere il compito di costruire una piccola Chiesa Evangelica Pentecostale ADI in Arona (No), ho cercato di determinarne il carattere monumentale, servendomi di tutti gli strumenti dell’architettura moderna e dei riferimenti ai Maestri. Ugualmente ho fatto per un progetto di alcuni anni orsono, commissionatomi per un centro multireligioso a Milano, costituito da una moschea, da un’agorà ebraica e da una chiesa cattolica. Considero oltretutto che, per la mancanza di adeguati finanziamenti, sempre più è necessario ricorrere a un’esatta proporzionalità dei volumi e della luce, con lo scopo di dare un decoro a muri che non più sono ricchi di fregi o altro. I nuovi edifici di culto, come tutti gli edifici pubblici, possono essere occasione di rilettura dell’architettura, di espressione e di dialogo con lo spazio. Anche se, a volte, però troppa libertà e assenza di vincoli, può degenerare in un modernismo privo di emozioni durature nel tempo. Massimo Martelli

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Obiettivi e metodo della commissione nuove chiese All’architetto benedettino Hans van der Laan è attribuita la seguente affermazione: “Le chiese sono vere dimore umane, che noi costruiamo però non per abitarvi, ma per esprimere l’abitare insieme con Dio. Tuttavia, per poter adempiere nel migliore dei modi la loro funzione liturgica, che consiste nell’essere segno, devono essere forme eminenti dell’habitat umano” (da: mons. Giancarlo Santi, in “Nuove chiese tre”, 2001, Electa, p. 3). Così, a seguito delle linee di aggiornamento tracciate dal Concilio Vaticano II, architetti, liturgisti e artisti, insieme con i pastori delle comunità cristiane hanno tentato anche nel territorio della Diocesi di Milano di dar corpo a un patrimonio progettuale, che oggi costituisce un riferimento di assai differente intensità e persuasività, ma in ogni caso prezioso per nuove realizzazioni, culturalmente sempre più consapevoli e coerenti. Alla “Commissione per le Nuove Chiese e le Strutture religiose del territorio” è affidato l’incarico di promuovere una cultura e una prassi che attualizzino consapevolmente la tradizione cristiana dell’edificio-chiesa e degli eventuali annessi centri di azione pastorale. Due sono i livelli sui quali essa è chiamata a dispiegare i suoi interventi. Il primo è quello di propiziare, presso le diverse istituzioni formative interessate, un pacato e stimolante confronto interdisciplinare tra le competenze dell’architettura, dell’impiantistica, dell’arredo e dell’arte e quelle teologico-storico-liturgiche. Già sono sorte collaborazioni promettenti, che in qualche modo stanno superando l’episodicità e si avviano a strutturarsi sistematicamente: si sono stabiliti contatti significativi di proficuo ascolto reciproco, tra la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, gli Organismi Pastorali diocesani (con il Seminario in primo piano), il Politecnico di Milano e il Dipartimento di Arte Sacra dell’Accademia di Brera. Il secondo livello è quello di favorire una sinergia di lavoro, offrendone un metodo, sia alla committenza (chiamata a “dirsi” e poi a “dire” le proprie attese), sia agli operatori invitati alla progettazione; cosicché fin dall’inizio lo studio di “idee” circa un progetto da realizzare possa svolgersi con forza unitaria e coerenza rispetto alla natura dell’edificio, alle ragioni pastorali cui esso deve corrispondere e a un armonico inserimento urbanistico. Il “finis operis” è la presenza viva e riconoscibile di questo edificio-segno della nitida vocazione degli uomini a riconoscere il valore spirituale e civile di quello che a loro è proposto nell’assemblea eucaristica. Suggerire, così, una disciplina di intenti e di meditate collaborazioni sembra una via percorribile da tutti con novità di stile, capace di garantire al tempo stesso proprietà e rigore, oltre all’auspicabile libertà di ispirazione delle rispettive competenze e dei diversi linguaggi che, reciprocamente ascoltandosi, imparano a integrarsi nell’autorevolezza unitaria dell’opera.

Siamo convinti che un esercizio così impostato è davvero promettente: esso, infatti, fa crescere l’esperienza in intuito ed efficacia, proprio grazie alla condivisa vigilanza culturale e alla passione critica di più voci e di variegate sensibilità. Se si fa attenzione alla composizione della Commissione, si riscontrerà che essa, proprio per favorire gli intendimenti sopra descritti, riflette la presenza delle più qualificate espressioni istituzionali delle ricerca e della formazione nei rispettivi campi chiamati a cooperare. mons. Gianfranco Poma

Pavia a cura di Vittorio Prina

In questo numero Remo Dorigati, ordinario di Composizione presso il Politecnico di Milano con studio in Pavia, descrive le sue esperienze relative alla progettazione di edifici religiosi. Remo Dorigati e il suo Studio OdA Associati si sono classificati al 2° posto al “Concorso di idee per la realizzazione di una cappella con annesse opere parrocchiali in Pavia zona Ticinello” nel 1994 e hanno vinto il “Concorso per il Progetto nuova chiesa parrocchiale di Petosino (Bg)” del 2001, opera conclusa e consacrata nel maggio 2005; è in corso di ultimazione il progetto del 1995 della chiesa con sottostante centro convegni per la “Comunità Casa del Giovane” a Pavia. V. P.

Una chiesa ipogea: un’esperienza di architettura Quando si progetta una chiesa ci si immerge in un mondo carico di memorie. Tutta la storia dell’architettura è attraversata dai luoghi di culto che hanno sempre rappresentato lo spirito che ha unito le differenti comunità. La storia del cristianesimo è segnata da un continuo processo di modificazione dello spazio assembleare e tuttavia una struttura profonda resiste immutata nei secoli. Nonostante le modificazioni formali della liturgia religiosa permane sempre un nucleo potente che è comune a tutti i luoghi di culto. Si tratta della presenza del Divino e lo spazio che lo accoglie si impregna del senso dell’attesa e si identifica con l’assemblea dei fedeli. Questa chiesa è fatta per il popolo di Petosino perché in essa si riconosca. Entro la realtà locale e il suo territorio, si sono innestati valori che trascendono la specificità del luogo e, allo stesso tempo, le proprietà del territorio hanno alimentato la sua forma.


Penso che uno degli aspetti più complessi della progettazione di chiese contemporanee sia quella di assumere le indicazioni generali, come emergono dai documenti della CEI, valide per ogni realtà e, allo stesso tempo, non rinunciare al carattere specifico del luogo e dei suoi abitanti. Devo riconoscere che le norme fissate dalla CEI per la progettazione delle nuove chiese sono un eccellente esempio di come formulare i requisiti di uno spazio senza cadere nella trappola di forme predefinite. Per questo, la liturgia, le sue modalità, i suoi ritmi e la sua sacralità danno spazio a più possibili interpretazioni. Da parte di alcuni membri della commissione diocesana vi era stata la richiesta di uno schema più avvolgente rispetto l’altare. Tuttavia il luogo, che saliva verso il monte, suggeriva un impianto ad aula allungata. Alla fine lo schema ha mantenuto l’asse centrale, che collega altare ed entrata, come fatto fisico, ma anche liturgico. Questo carattere viene accentuato dal fatto che il “nartece” o vestibolo di entrata è sopraelevato e bisogna scendere alcuni gradini per accedere al piano della chiesa (fatto ricorrente in molte chiese romaniche e paleocristiane). In realtà, nell’interpretazione del significato degli spazi e dei loro significati simbolici, oggi vi è una pluralità di posizioni. Uno dei temi più significativi come quello dell’altare, ad esempio, si muove entro un insieme di valori e memorie che vanno dal concetto di ara sacrificale, ereditato dalla tradizione pre-cristiana, sino al concetto di mensa che rinvia all’ultima cena e alla liturgia del pane e del vino. Qui si è optato per il tema della pietra come allusione anche alla solidità su cui è costruita la chiesa. Lo stesso vale per il battistero e per le forme legate alla liturgia dell’aspersione o dell’immersione. In tal senso per me è stato importante un dialogo continuo con il parroco del paese poiché molte scelte nascono da modalità e consuetudini che più facilmente si identificano con una cultura del luogo e con antiche usanze e sensibilità. La nuova chiesa ipogea si misura con il carattere topografico del luogo formato da un grande prato che sale verso la montagna. Essa è scavata nella terra. Questo semplice atto ha fatto emergere tutta una serie di memorie di cripte e catacombe che nell’antichità avevano segnato modalità diverse di accogliere e riunirsi in un luogo che sta sotto o dentro il suolo. Ma anche l’idea di entrare e cercare la “pietra su cui fondare la nuova chiesa”. Il grande muro di massi ciclopici rappresenta in modo efficace il rapporto con il paesaggio locale che, salendo dal fondovalle, è disegnato da grandi muri di sostegno e terrazzamenti. Qui il suolo del prato esistente

Remo Dorigati, chiesa a Petosino (Bg), Comune di Sorisole.

nasconde il tetto. La sua modellazione svela con discrezione la massa sommersa tramite un’alta croce piantata nella parte estrema. La maggior difficoltà del progetto è consistita nel costruire un edificio di ampie dimensioni nei pressi dell’antico piccolo santuario, che tuttavia doveva mantenere i suoi caratteri di simbolo dell’antico borgo. Per questo è stato proposto un sistema ipogeo. La nuova presenza si affianca alla vecchia producendo un sistema di due sagrati collegati fra loro e connessi al paese da un nuovo percorso. La massa del battistero è l’icona che parla della nuova presenza e che fa scoprire le due chiese per lenta successione. Da lontano, affiora dal conoide del prato una croce in ferro, che diventa il segno di riferimento a scala territoriale, senza entrare in conflitto con il campanile esistente e con la memoria della piccola chiesa. Progettare una chiesa è assai diverso dal progettare un’università, una fabbrica o un centro commerciale. Lo spazio di una chiesa non è compresso entro schemi funzionali rigidi. Lo spazio è tutto legato ad una ritualità fatta di parole, segni e significati spirituali. Per questo lo spazio diviene centrale e non vi è nessun alibi funzionale o tecnologico per la sua cattiva risoluzione. È assolutamente unico progettare uno spazio in cui si espande il suono e la parola e tutto deve significare la presenza del Divino. Tutto è pregno di simboli che si sono stratificati nella storia e ogni atto formale, per quanto insignificante, nella liturgia cattolica, si carica di una moltitudine di memorie e di valori che sono radicati in una profonda tradizione. Un’ultima nota. Ancora ho dovuto sentire le polemiche sterili e fuori luogo sul fatto che un architetto laico non sarebbe in grado di comprendere la spiritualità di un luogo di culto e i significati profondi di una liturgia. A parte il costante dialogo che ho avuto che le autorità ecclesiastiche per cui ogni più piccolo dettaglio è stato tema di discussione e confronto e che, già in fase di concorso, venisse richiesto esplicitamente il coinvolgimento di un esperto liturgico, che è stato fondamentale per una

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corretta interpretazione del preciso significato di una chiesa contemporanea, credo che sia del tutto estraneo alla nostra professione, e forse anche offensivo, sostenere che solo l’appartenenza ad un credo (religioso, politico, culturale, ecc.) possa legittimare la qualità dell’opera. È noto che questo spesso accade in altri contesti. Ma per fortuna, le autorità ecclesiastiche che indicono un concorso di architettura per la progettazione di nuove e vecchie chiese non richiedono, nel bando, il certificato di battesimo. E credo che un buon architetto debba essere in grado di entrare nello spirito delle cose che progetta con la semplicità di chi vuol capire la complessità e i significati delle questioni che gli vengono poste. Remo Dorigati

Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

“Il tempio come episodio limite dall’architettura”: riflessioni di Enrico Castiglioni Enrico (detto Richino) Castiglioni, nato a Busto Arsizio (Va) nel 1914 e scomparso il 16.11.2000, si è laureato nel 1937 in Ingegneria civile, ottenendo poi nel 1939 l’abilitazione alla professione d’architetto. È stato assistente al Politecnico di Milano e professore incaricato del corso di “Storia e teoria dello spazio teatrale”, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica; dal 1971 al 1977 è stato presidente dell’Ordine degli Architetti di Varese, svolgendo sempre una intensa attività professionale dove l’interesse e l’impegno per l’architettura religiosa è stata una caratteristica saliente se non dominante. In proposito, tra i suoi più significativi progetti ci si limita a ricordare la nuova chiesa parrocchiale di Prospiano a Gorla Minore nel 1962, la ricostruzione del Presbiterio e della Cappella del S.S. Sacramento nella chiesa dei Frati Minori in Busto A. nel 1968-73 (con Stefano Castiglioni), il restauro dell’Eremo di Santa Caterina del Sasso a Leggiuno sul Lago Maggiore dal 1978 al 1986 e numerosissimi progetti non realizzati tra cui il Concorso per il Santuario di Siracusa nel 1957, la nuova chiesa parrocchiale di Sant’Anna a Busto A. (1963) e di Suna a Verbania nel 1964. Il “tempio come episodio limite dell’Architettura” ha costituito il tema di un corso tenuto presso la Scuola di Comunicazioni sociali, presso l’Università Cattolica di Milano, diretta dall’amico prof. Mario Apollonio. Da detto testo sono stati estratti i brevi passi sottoriportati particolarmente significativi ed attuali.

Progetto di Basilica, interno (1953).

“Il tempio è atto – con carattere gratuito – della comunità che si esprime nella materialità della costruzione. Questo gratuito non significa arbitrario, ma ne è proprio l’opposto. Quindi il tempio deve essere pur sempre qualche cosa che si fa tempio. Il tempio è il luogo dell’azione corale partecipata della comunità. Quindi il carattere del tempio si rifà ogni volta al carattere della comunità. È sempre un’urgenza fondamentale di un gruppo umano che dà vita alla comunità. È la difesa della libertà politica del gruppo, o è la spinta verso nuove estensioni, o è una volontà di egemonia civica, o è una ragione di cultura, o è una consapevolezza etica e morale. L’azione assume le forme della lotta per l’indipendenza, del nazionalismo, della lotta di casta o di classe, o dell’egemonia politica, o dell’apostolato missionario. Così il tempio fu la rocca regale, fu il santuario delle alleanze di una gente, fu l’assemblea di un popolo, fu la reggia e il convegno di una casta, fu il salotto di una classe dirigente, fu il teatro di un fasto, fu il ricovero ospitale, fu il cenacolo: cioè fu, ogni volta, il luogo che identifica l’azione della comunità, del gruppo umano. Ma ogni volta e sempre fu tempio per una volontà di trascendere la rocca, il santuario, l’assemblea, la reggia, il salotto, il teatro, il ricovero, il cenacolo; di trascendere il carattere e la funzione in un incanto, per una contemplazione che diventava offerta, atto gratuito della comunità. Per cui la rocca, il santuario, l’assemblea, la sala, il teatro, l’ospizio e il cenacolo si sono fatti tempio; (…) Per questo la storia dei templi è la storia delle comunità umane. Qualsiasi comunità ha il suo cemento, l’elemento attivatore, in un’urgenza morale, partecipata dal gruppo umano. Per essa la comunità prende vita e con essa si afferma; con il suo allentarsi e cedere nelle coscienze, la comunità decade, la sua azione perde mordente e i suoi atti collettivi si vuotano di valore (…). La società e la cultura che sono senza tempio sono la cultura e la società delle astrazioni intellettuali, che hanno perso il contatto con la vita, con la concretezza della persona, che hanno negato la persona per il mito dell’anonimo, che hanno disperso la virtù per il mito dell’onore, che hanno negato la coscienza per il mito della rispettabilità e dell’onorabilità, che hanno negato la comunità del tempio per i miti della patria, della razza, della classe. Hanno negato il trascendente per l’utile. La creatura prediletta di questa cultura è la società anonima che dietro una sigla propone di trarre il profitto ed eludere le responsabilità; la sua prudenza è il risparmio che illude di trarre il profitto rinunciando ad amministrare.


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Progetto della chiesa di Sant’Anna, Busto Arsizio, (1963).

Chiesa di Prospiano, vista frontale e dell’interno (1962).

È la cultura che usa ancora i termini della morale, della coscienza, della persona e della comunità disancorati dalla fonte da cui prendono significato: significa un continuo astrarre dalla vita, disporre gli atti in schemi convenzionali, in ideali vuoti, un camminare dietro cartelli che hanno scritto viva qualche cosa, una solitudine delle folle che è spaventosa perché è un gran vuoto dentro la coscienza. Un gran vuoto, perché abbiamo ormai visto franare tutti gli ideali: la patria, l’onore, la solidarietà, la rispettabilità; abbiamo visto la truffa che stava dietro al risparmio, l’egoismo dentro la società anonima, la vuota retorica della patria, l’inconsistenza degli intellettualismi, che tutti eludono la vita. (…) La cultura che ha distrutto l’unità morale dell’uomo, ha disperso il cemento della comunità, ha impedito la parola, il comunicare. Gli uni e gli altri parlano e non capiscono: le stesse parole dicono cose diverse, e l’economico, dove ancora si ritrovano, non è parola, è naturalità sorda e muta. È la nostra cultura che non sa dare alla società il ritmo della comunità (solo nei momenti atroci della guerra la natura umana serra gli uomini in comunità a difesa della stessa esistenza). È la cultura, senza parola, della solitudine: ciascuno è con la sua coscienza e con le sue azioni”. a cura di Claudio Castiglioni

Progetto per chiesa parrocchiale di Suna, (1964).


a cura di Walter Fumagalli

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Le attrezzature religiose Fin dal 1968 la normativa urbanistica ha qualificato le attrezzature religiose come strutture di servizio per le comunità locali. Già l’Articolo 3 del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, infatti, le menzionava fra le attrezzature di interesse comune realizzabili nelle aree di standard. Dopo qualche anno, l’Articolo 44 della Legge 22 ottobre 1971 n. 865 sviluppava questo concetto qualificando le attrezzature religiose come opere di urbanizzazione secondaria, mentre in Lombardia l’Articolo 22 della Legge Regionale 15 aprile 1975 n. 51 ne confermava la realizzabilità sulle aree di standard. La Legge Regionale 9 maggio 1992 n. 20 dettava poi alcune regole preordinate a promuovere la realizzazione e la conservazione delle attrezzature religiose. La Legge Regionale 11 marzo 2005 n. 12, da ultimo, ha abrogato tanto la Legge Regionale n. 51/1975 quanto la Legge Regionale n. 20/1992, ed ha dedicato all’argomento l’intero Capo III del Titolo IV. In piena sintonia con i tempi, la nuova Legge pone in primo piano la religione cattolica rispetto alle altre confessioni religiose: a questo proposito può essere utile confrontare l’Articolo 1 della Legge 20/1992 con l’Articolo 70 della Legge 12/2005. L’Articolo 1 stabiliva che “la regione e i comuni lombardi concorrono a promuovere (…) la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa cattolica, e delle altre confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell’Articolo 8, terzo comma, della Costituzione, e che già abbiano una presenza organizzata nell’ambito dei comuni ove potranno essere realizzati gli interventi previsti dalla presente Legge”. L’Articolo 70, invece, dispone al primo

comma che “la regione ed i comuni concorrono a promuovere (…) la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa cattolica”, e solo al secondo comma aggiunge che “le disposizioni del presente capo si applicano anche agli enti delle altre confessioni religiose come tali qualificate in base a criteri desumibili dall’ordinamento ed aventi una presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune ove siano effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo, ed i cui statuti esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e previa stipulazione di convenzione tra il comune e le confessioni interessate”. I comuni sono quindi tenuti a promuovere nel proprio territorio, sempre e comunque, la realizzazione delle attrezzature destinate ai servizi religiosi della Chiesa cattolica, mentre per gli enti appartenenti ad altre confessioni devono esperire una nutrita serie di verifiche: • devono accertare se tali confessioni possano essere qualificate come “confessioni religiose”, applicando a tal fine non meglio precisati “criteri desumibili dall’ordinamento”; • in caso di risposta positiva, devono verificare se esse godano di una “presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune” (non basta più, quindi, la “presenza organizzata” prevista dalla Legge Regionale 20/1992); • superato anche questo scoglio, devono stabilire se gli statuti degli enti “esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali”; • ed infine, deve essere stipulata una “convenzione tra il comune e le confessioni interessate”, il cui contenuto resta peraltro tutto da decidere. Insomma, una vera e propria corsa ad ostacoli, nel corso della quale vengono riservati all’amministrazione comunale margini di discrezionalità quanto mai ampi: forse questa evidente disparità di trattamento fra confessioni religiose potrebbe porta-

re alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa regionale, per contrasto con gli Articoli 3 e 8 della Costituzione. La Legge Regionale promuove la realizzazione delle attrezzature religiose sia attraverso la disciplina degli strumenti di pianificazione comunale, sia reperendo le necessarie risorse finanziarie. A tal fine, l’Articolo 71.1 sostanzialmente conferma l’elenco contenuto nell’Articolo 2.1 della Legge Regionale 20/1992 (qui sotto, le differenze sono riportate in corsivo), e quindi qualifica come attrezzature religiose: • “gli immobili destinati al culto anche se articolati in più edifici compresa l’area destinata a sagrato”; • “gli immobili destinati all’abitazione dei ministri del culto, del personale di servizio, nonché quelli destinati ad attività di formazione religiosa”; • “nell’esercizio del ministero pastorale, gli immobili adibiti ad attività educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro compresi gli immobili e le attrezzature fisse destinate alle attività di oratorio e similari che non abbiano fini di lucro”. Tutte queste attrezzature, sono altresì qualificate come opere di urbanizzazione secondaria (Articolo 71.2). La pianificazione comunale L’Articolo 72 della Legge attribuisce al Piano dei Servizi i seguenti compiti: • tenuto conto delle istanze che siano state presentate dagli enti religiosi, e comunque sulla base delle esigenze locali accertate dal comune in sede di istruttoria, deve individuare e disciplinare le aree su cui già insistono attrezzature religiose, e quelle riservate alla realizzazione di nuove attrezzature religiose; • in particolare, qualunque sia la dotazione di attrezzature religiose già esistenti nel territorio comunale, deve reperire aree per l’insediamento di nuove attrezzature religiose nelle porzioni di territorio in cui sia prevista la realizzazione di nuovi insediamenti residenziali, e qualora l’ente interessato lo richieda deve localizzarle preferibilmente in continuità con quelle esistenti;


I finanziamenti L’Articolo 73 stabilisce che una parte degli oneri di urbanizzazione secondaria incassati ogni anno dai comuni devono essere utilizzati per le attrezzature religiose, fermo restando che tale forma di finanziamento è da considerare del tutto autonoma e distinta rispetto ad ogni altra eventuale

contribuzione pubblica (Articolo 70.3). Ai sensi dell’Articolo 73.1 (che ha innovato considerevolmente le disposizioni dettate in materia dall’Articolo 4 della Legge 20/1992), a tal fine ogni anno i comuni devono accantonare in un apposito fondo una quota non inferiore all’8% dell’importo ottenuto sommando: • gli oneri di urbanizzazione secondaria relativi a tutti i permessi di costruire rilasciati nel corso dell’anno precedente, ed a tutte le denunce di inizio di attività onerose presentate nel medesimo anno; • il valore delle opere di urbanizzazione realizzate dai privati a scomputo totale o parziale degli oneri di urbanizzazione secondaria (la norma non spiega se si debba tenere conto dell’intero valore di tali opere, o solo della parte di esso scomputata dagli oneri); • il valore delle aree cedute al comune per la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria (la norma non precisa se si debbano prendere in considerazione solo le cessioni a titolo oneroso o anche quelle a titolo gratuito; essa non indica quale metodo di calcolo debba essere adottato per determinare tale valore, soprattutto nel caso di cessioni a titolo gratuito; e comunque sfugge la logica per cui debba essere versata agli enti religiosi una somma commisurata non agli importi incassati dal comune, bensì a quelli che il comune ha speso per acquistare le aree di urbanizzazione secondaria); • “ogni altro provento destinato per legge o per atto amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione”. Le somme così accantonate devono essere messe a disposizione degli enti religiosi, affinché questi possano realizzare le attrezzature per servizi religiosi, possano acquistare le aree necessarie, e possano realizzare sulle attrezzature esistenti interventi di manutenzione, di restauro, di ristrutturazione edilizia, di ampliamento o di dotazione di impianti. Per vedersi assegnare questi finanziamenti, le competenti autorità religiose devono presentare entro il 30 giugno di ogni anno un programma di massi-

ma degli interventi che intendono effettuare, corredato delle relative previsioni di spesa, dando a tal fine priorità alle opere di restauro e di risanamento conservativo degli edifici esistenti. Nel caso in cui non vengano presentate richieste, il fondo viene utilizzato per la realizzazione di altre opere di urbanizzazione secondaria. Se invece vengono presentate istanze, il comune deve anzitutto individuare gli interventi che, rientrando fra quelli previsti dalla legge, possono essere ammessi al finanziamento, dopo di che entro il 30 novembre di ogni anno ripartisce le somme a disposizione fra gli enti che ne abbiano fatta richiesta, “tenuto conto della consistenza ed incidenza sociale nel comune delle rispettive confessioni religiose”. Una volta divenuta esecutiva la delibera di approvazione del bilancio di previsione, entro i successivi trenta giorni il comune deve corrispondere i contributi agli enti assegnatari, i quali entro i successivi tre anni devono utilizzarli, ed entro sei mesi dall’ultimazione dei relativi lavori devono trasmettere al comune una relazione che documenti le spese sostenute (la legge non specifica che cosa succede, se entro il termine di legge i contributi rimangono in tutto o in parte inutilizzati, oppure vengono utilizzati ma le relative opere non vengono ultimate). Anche gli edifici di culto e le altre attrezzature religiose interamente costruiti con i predetti contributi devono essere assoggettati ad un vincolo di destinazione per un periodo di vent’anni decorrente dall’erogazione del contributo, mediante atto di vincolo da trascrivere nei registri immobiliari. Nel caso in cui, nel corso di tale periodo, la destinazione d’uso venga mutata, il contributo deve essere rimborsato al comune. Resta da chiedersi per quale ragione il vincolo di destinazione debba valere unicamente per le opere realizzate “interamente” con il contributo pubblico, e non anche per quelle realizzate solo “parzialmente” grazie a tale contributo. W. F.

47 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

• deve quantificare le dimensioni delle aree reperite, computando le attrezzature religiose “nella loro misura effettiva” ed inserendole nella dotazione globale di spazi per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, fermo restando che le attrezzature religiose non necessitano di essere regolamentate mediante atto di asservimento o regolamento d’uso, ancorché vengano utilizzate e gestite da enti diversi dal comune; • in più, può anche individuare e disciplinare le aree destinate alla realizzazione di attrezzature religiose di interesse sovracomunale. Le aree individuate dal Piano dei Servizi la cui proprietà sia stata acquisita dall’amministrazione comunale, devono essere cedute in proprietà o in diritto di superficie agli enti che ne abbiano fatta richiesta, ripartendole “in base alla consistenza ed incidenza sociale delle rispettive confessioni”. Ai sensi dell’Articolo 71.3, nel caso in cui le aree vengano cedute in diritto di superficie, gli edifici di culto e le altre attrezzature per servizi religiosi su di esse realizzati devono essere assoggettati ad un vincolo di destinazione per un periodo di vent’anni decorrente dal trasferimento del diritto, e ciò mediante apposito atto di vincolo da trascrivere nei registri immobiliari. Nel caso in cui, nel corso di tale periodo di vent’anni, la destinazione d’uso delle attrezzature realizzate su tali aree venga mutata, le aree stesse devono essere restituite al comune. Resta da chiedersi per quale ragione il vincolo di destinazione debba valere solo per un periodo di vent’anni, e solo per le aree cedute in diritto di superficie e non per quelle cedute in diritto di proprietà.


a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi

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misurarsi con il difficile compito di conciliare le esigenze di sviluppo del territorio e i valori culturali e i caratteri tipologici ivi riconoscibili e operanti alle diverse scale, se del caso, anche ammettendo scarti capaci di reinterpretarne lo spirito, pur adottando soluzioni innovative. Ai primi vengono in aiuto appositi momenti formativi (per esempio il 6° corso per Esperti in materia di tutela paesistico-ambientale, organizzato dalla Fondazione dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano per il mese di gennaio), strumenti normativi con finalità di linee guida esplicative (quali le schede di verifica dell’allegato C, contenuto nella Deliberazione della Giunta Regionale del 25 luglio 1997 n. 6/30194 “Deleghe

con ampi margini di discrezionalità nella formulazione di giudizi e dinieghi e che, oltre tutto, per i tempi ancora troppo lunghi con cui le pratiche sono La progressiva estensione della esaminate, vizia profondamente la nozione di vincolo, in ragione di una certezza economica degli interventi. mutata sensibilità verso la cultura Con decisioni e richieste che, a volte, materiale espressa in singoli edifici, tradiscono palesemente una fedeltà anche non di rilevanza monumentaottusa al dettato di norme o circolari, le, piuttosto che in più estesi brani senza la minima volontà di capire le del tessuto edilizio, ha comportato, oggettive difficoltà che queste comnegli ultimi anni, da un lato un proportano rispetto ad una prassi di cangressivo ampliamento dei manufatti tiere e ad un mondo di materiali che e dei contesti oggetto di esplicita rendono ormai irrecuperabili certe dichiarazione di interesse storicolavorazioni e certe finiture. artistico, dall’altro l’introduzione della Se così un comune della prima cinnozione di “automatismo” di vincolo tura milanese, anche per opere interper categorie di immobili e aree via ne a unità immobiliari, chiede una via sempre più allargate. dichiarazione – dal sapore paradosProvvedimenti quali il Decreto Legissale – del pieno rispetto del vincolo lativo 22 gennaio 2004, aeroportuale, in altri casi il n. 42, “Codice dei beni vincolo ambientale, dettato culturali e del paesaggio, da una nozione vedutistica ai sensi dell’articolo 10 e legato alla presenza di un della legge 6 luglio 2002, qualche monumento, divien. 137”, pubblicato nella ne fattore cogente di cristalGazzetta Ufficiale n. 45 lizzazione dello stato di del 24 febbraio 2004 – fatto, anche con riferimento Supplemento Ordinario a quei manufatti di cornice n. 28, o le leggi regionali che, per essere stati costrudella Regione Lombariti in altri decenni (’50/’70 dia numeri 57/85 e 18/97, soprattutto), sono pure cono ancora il più recente notati da una palese trascuprogetto di legge di ratezza dei valori che si vor“Modifiche alla LR 11 rebbero difendere e che marzo 2005, n.12, legge assurgono così – stupidaper il governo del territomente – al rango di partecirio, in materia di recupe- La facciata di via Pantano dopo l’intervento di manutenzione pi dell’intangibile quadro ro ai fini abitativi dei sot- straordinaria. oggetto di vincolo. totetti esistenti”, della Proprio con riferimento a stessa Lombardia, hanno di fatto della Regione agli Enti locali per la quest’ultima situazione, due casi esemesteso a tutto il territorio un regime di tutela del paesaggio: criteri per l’e- plari della contraddittorietà dei criteri controllo preventivo dell’attività edifi- sercizio delle funzioni amministrative di valutazione applicati dai preposti catoria, teso a garantire la qualità ai sensi della Legge Regionale 9 giu- organi di tutela, in cui lo scrivente è ambientale degli erigendi manufatti gno 1997 n. 18”), banche dati infor- stato coinvolto in qualità di direttore rispetto al genius loci dei contesti inse- matiche, predisposte dagli organismi dei lavori incaricato, sono quelli qui di diativi e territoriali entro cui questi di tutela e dai comuni ove sono regi- seguito riportati: un recente cantiere di andranno a essere collocati. strati, seppur non sempre con la manutenzione straordinaria su un ediDi fronte a tale evoluzione, se ai pro- necessaria tempestività di aggiorna- ficio per abitazioni in via Pantano, a fessionisti è richiesta una “educazio- mento, i vincoli a diverso titolo appo- Milano, opera originaria dello studio ne urbana” nel proprio operato, fon- sti su immobili e aree urbane (per Monti GPA, e un’analoga categoria data su una attenta analisi e lettura esempio, quello attivo nel portale del di intervento relativo alle facciate di dell’intorno, gli uffici tecnici e le figure comune di Milano, sotto la sezione uno stabile di civile abitazione collopreposte, a vario titolo, a verificare Mi.Porti/Info-Prg). cato in corso di Porta Ticinese, fronl’impatto ambientale delle singole Resta, tuttavia, la difficoltà di orien- talmente alla Pusterla del Boito. ipotesi progettuali, sono chiamati a tarsi in una materia inevitabilmente I vincoli operanti nel primo caso erano

Note sulla nozione di vincolo ambientale


49 PROFESSIONE NORMATIVE E TECNICHE

quelli dell’ex Ospedale Maggiore e realizzare campionature delle quali si esteriore degli edifici, anche nel caso della Basilica di S. Nazaro in Brolo. sono verificate efficacia e caratteristi- di semplice manutenzione ordinaria, L’intervento richiesto e previsto inte- che, restituendo finalmente al pro- laddove in area sottoposta a vincolo ressava solamente i rivestimenti degli gettista un ruolo di attore propositivo ambientale) e l’obbligo di mantenere aggetti realizzati in fulget; dopo diver- nella ricerca, prima, e nella scelta del- il campo delle scelte entro prefissati si sopralluoghi preliminari con i com- la soluzione, poi. Intonaco ai silicati e parametri, gli uni e gli altri vissuti, per petenti tecnici della Sovrintendenza inserimento di pietra ai contorni delle contro, come assurdi arbitrii perpee verificata l’impossibilità di trovare aperture e in fasce orizzontali hanno, trati dai competenti uffici tecnici. artigiani che, nei tempi previsti dal- così, trovato concorde gli uffici della Decisamente più sensibile, invece, il l’intervento e dalle logiche (anche Sovrintendenza anche per rapporto mondo della produzione, sia quello economiche) ad esso sottese potes- ad una più ampia visione del conte- dell’imprenditoria edile, sia quello sero replicare il rivestimento origina- sto e di altri interventi che poi erano dell’industria per le costruzioni, che rio, si ipotizzava da parte del proget- in fase di realizzazione. in questi anni, ancorché non sempre tista di realizzare gli aggetti in intona- Divergenze di opinioni e di comporta- linearmente, hanno notevolmente inveco tipo terranova, con granulometria menti, di cui quelli riportati sono para- stito nel proporre strumenti e soluzioni simile a quella del rivestimento esi- digmatici esempi, che incrementano, attenti alle ragioni della conservaziostente. A tal fine si campionavano i poi, la difficoltà di far comprendere ne o comunque dell’“ambientazione”. colori da legare alle sei campate della motivazioni e logiche di bocciature o di Basti pensare alla pubblicazione “Galafacciata rivestita in trachite. Prove e prescrizioni di finiture a committenze teo in città”, edita dall’Ance-Assimprepannelli tipo non servivano, tuttavia, già poco disposte a capire le ragioni dil, con valore di documentazione e a dissuadere l’indicazione repertorio critico per gli imperativa maturata dalla associati delle tipologie di Soprintendenza circa la recupero sottotetti messe necessità del manteniin atto negli edifici di Milamento della finitura primino, o all’opuscolo “Forte, tiva in nome, si badi bene, bello e leggero” di Aitalnon dell’intima coerenza Centroal-Qualital-Uncsaal, progettuale dell’organismo sull’uso dell’alluminio nei architettonico considerato, centri storici, o ancora alla quanto dell’immodificabilità proficua collaborazione tra del quadro al contorno coinil Comune di Verbania e volto, cui il citato rivestimenAlgalite spa, Akzo Sikkens to in fulget risultava invece spa e l’Associazione Serpalesemente estraneo. ramenti pvc Milano per la Nel secondo caso, inveredazione del quaderno “La ce, l’immobile – realizzato facciata nell’edilizia storica”. negli anni ’50 con rivestiMa in generale è tutta l’inmento a tesserine di mosa- La facciata di c.so di Porta Ticinese dopo analogo intervento. dustria per le costruzioni ico – presentava numeroche ha messo a punto se parti in fase di avanzaprodotti specifici per il to distacco e risultava profondamen- della tutela, quando queste si esercitino recupero e il restauro, con linee dedite aggredito dagli agenti atmosferici su stabili di “architettura corrente”, per il cate ai colori e alle grane di tessitura e inquinanti. In questo frangente, senso comune di scarso o nullo valore. dei nostri centri storici. Forse, allora, instauratosi un proficuo rapporto con Manca, in questo senso, da parte del- quella che si sente è la mancanza di la Soprintendenza, è stato possibile la Pubblica Amministrazione, un’ope- momenti di discussione e dibattito su per il professionista rendersi parte ra di notifica e di informazione delle esperienze concrete, allargati al comattiva nel proporre soluzioni tecniche amministrazioni degli stabili, circa la plesso di soggetti qui richiamati (ame progettuali tese a raggiungere un sussistenza del vincolo, che agevole- ministrazioni pubbliche, professionipiù armonico inserimento dell’edificio rebbe di molto il compito del profes- sti, produzione, associazioni di catenel contesto urbano dell’area, anche sionista nel fare intendere la necessità goria di inquilini e amministratori), sostituendo la tipologia del rivesti- di certi passaggi burocratici (quale ad con valore di compartecipazione delmento e le cromie delle facciate, esempio l’asseverazione – corredata le scelte e di registro delle sensibilità senza trovare opposizione tout court di documentazione fotografica e di intorno alla definizione di modalità da parte della Sovrintendenza. È relazione tecnica – che l’intervento da operative condivise. stato naturalmente necessario svilup- realizzare non comporta alterazione pare un lavoro supplementare, per dello stato dei luoghi e dell’aspetto Massimiliano Molinari


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Legge G.U n. 152 del 2.7.2005 Serie generale Decreto 20 aprile 2005 Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi dell’Art 107 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Il decreto al capo I detta le norme tecniche per le operazioni di replica. L’Art. 1 riguarda la riproduzione mediante calchi originali di sculture e di opere a rilievo, l’Art. 2 il procedimento per la realizzazione dei calchi. Il capo II definisce i princìpi generali per la riproduzione di beni culturali. L’Art. 3 precisa i criteri di autorizzazione per la riproduzione, l’Art 4 e l’Art. 5 l’istanza per la riproduzione di beni culturali e le condizioni per la diffusione. G.U n. 155 del 6.7.2005 Serie generale. Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122 Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della Legge 2 agosto 2004, n. 210 L’Art. 1 chiarisce le definizioni e le posizioni giuridiche dei soggetti interessati dal decreto. L’Art. 2 e l’Art. 3 riguardano le fiedeiussioni, l’Art. 4 l’assicurazione dell’immobile. Gli artt. successivi riguardano l’oggetto della disciplina, il diritto di prelazione, l’istituzione e la gestione di un fondo di solidarietà per gli acquirenti di beni immobili da costruire. G.U. n. 22 del 4.6.2005 3a Serie speciale Regolamento Regionale 28 febbraio 2005, n. 1 Attuazione dell’Art. 21 della Legge Regionale 12 dicembre 2003 n. 26, relativamente alle procedure di esproprio delle aree da bonificare, alle procedure ad evidenza pubblica e per la concessione di contributi a favore dei comuni per la bonifica di siti inquinati Il regolamento stabilisce i criteri di attuazione dell’Art. 21 della Legge Regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), riguardo alle procedure di esproprio delle aree da

bonificare, alle procedure ad evidenza pubblica e per la concessione di contributi a favore dei comuni per la bonifica dei siti inquinati. G.U. n. 22 del 4.6.2005 3a Serie speciale Regolamento Regionale 28 febbraio 2005, n. 2 Disciplina degli interventi di bonifica e ripristino ambientale che non richiedono autorizzazione, ai sensi dell’Art. 13 del Decreto Ministeriale 25 ottobre 1999 n. 471, in attuazione dell’Art. 17, comma 1, lettera h, della Legge Regionale 12 dicembre 2003 n. 26 Il regolamento, al fine di favorirne l’effettuazione, individua le tipologie di interventi di bonifica e ripristino ambientale che possono essere realizzati senza la preventiva autorizzazione e stabilisce i criteri, le modalità e le procedure per la loro esecuzione ai sensi della normativa vigente. G.U. n. 139 del 17.6.2005 Serie generale Decreto 18 febbraio 2005 Versamento del 50 per cento della somma dovuta a conguaglio dell’oblazione per la sanatoria degli abusi edilizi direttamente al comune interessato Il decreto stabilisce che una quota pari al 50 per cento della somma dovuta a conguaglio dell’oblazione per la sanatoria degli abusi edilizi è versata dal richiedente al comune interessato secondo le modalità stabilite dal comune stesso. La restante quota pari al 50 per cento della somma dovuta a titolo di conguaglio dell’oblazione di pertinenza dell’erario è versata con le modalità stabilite da D.M. 14 gennaio 2004 n. 14, concernente il versamento delle somme dovute a titolo di oblazione per la definizione degli illeciti edilizi. G.U. n. 143 del 22.6.2005 Serie generale Determinazione 6 aprile 2005 Appalti misti e requisiti di qualificazione (Determinazione n. 3/2005) L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in relazione a richieste di chiarimenti da parte di stazioni appaltanti in merito ai requisiti di qualificazione negli appalti misti, ritiene che nei contratti misti la normativa sui lavori pubblici trova applicazione quando i lavori costituiscono l’oggetto

principale del contratto stesso, a prescindere dalla rilevanza economica. Inoltre le disposizione della Legge 11 febbraio 1994 n. 109 e s. m. in materia di qualificazione, si applicano agli appalti misti a prescindere dal valore e dall’accessorietà degli stessi rispetto ai servizi o alle forniture. Nei bandi relativi ad appalti misti devono essere evidenziate le categorie e le classifiche relative ai lavori da eseguire. La determinazione stabilisce inoltre i requisiti delle imprese concorrenti. C. O.

Stampa Edilizia Sottotetti. La Lombardia procede (da “Italia Oggi” del 6.7.05) Il Tar Lombardia Milano ha accolto le richieste presentate dai proprietari contro le diffide a iniziare o proseguire i lavori disposte dal Comune di Milano in materia di sottotetti denunciati dopo l’entrata in vigore della Legge Regionale 12/2005. L’interpretazione del Tar è che la nuova Legge di Governo del Territorio deve ammettere il recupero dei sottotetti anche in deroga agli indici o parametri urbanistici ed edilizi. La Super Dia per il nuovo “sfonda” solo a Milano (da “Il Sole 24 Ore” del 5.9.05) L’autocertificazione in edilizia per gli interventi più rilevanti (ristrutturazioni, ampliamenti e nuove costruzioni) ha avuto successo solo a Milano, dove è arrivata a coprire nel 2004 il 92% degli interventi privati “maggiori” con punte del 96% per il recupero dei sottotetti. Nel resto d’Italia lo strumento è utilizzato solo per le ristrutturazioni. L’indagine condotta da “Edilizia e Territorio” permette di fare un quadro nazionale dell’attuazione della Super Dia a due anni dalla sua introduzione (30 giugno 2004) nel Testo Unico dell’Edilizia, modificato dalla Legge Obiettivo. Infrastrutture Al via grandi opere per 11 miliardi (da “Il Sole 24 Ore” del 30.7.05)


Serravalle, scontro Comune - Provincia sulle grandi opere (dal “Corriere della Sera” del 3.8.05) Durante l’assemblea dei soci, gli azionisti Serravalle hanno approvato, tutti tranne il Comune, un piano che prevede investimenti nel periodo pari a 440 milioni di euro. Milano avrebbe preferito un plan più pesante che prevedesse anche lo svincolo di Cascina Gobba, Molino Dorino e la riqualificazione della Rho-Monza. Normative Norme antisismiche, proroga certa (da “Edilizia e Territorio” del 1-6.8.05) Il termine (8 agosto 2005) fissato dall’Ordinanza 3431 del 3 maggio 2005 per l’entrata in vigore della normativa antisismica verrà prorogato da un altro provvedimento ad hoc della protezione civile. L’ulteriore proroga servirà ad assicurare il coordinamento temporale con il Testo Unico norme tecniche per costruzioni, di prossima emanazione. Paesaggio Condono ambientale senza guide (da “Il Sole 24 Ore” del 23.8.05) Da oltre sei mesi mancano notizie su come ottenere il condono ambientale e su quanto versare come sanzione. La legge 15 dicembre 2004, n. 308, prevede la sanatoria, penale e amministrativa, degli abusi commessi entro il 30 settembre 2004, purché si ottenga un giudizio di compatibilità paesaggistica e si versi un importo come sanzione. In Lombardia le linee guida per procedere all’accertamento della compatibilità paesistica sono state emanate nel luglio 1997, integrate con delibera della giunta regionale 8 novembre 2002. Questi criteri si basano sull’analisi descrittiva del paesaggio, il rispetto di caratteri strutturali, storici e naturali dell’area interessata, con assonanza con le peculiarità dei luoghi.

Territorio Bonifiche urgenti, lavori al via anche senza decreto definitivo (da “Edilizia e Territorio” Commenti e Norme n. 29/2005) Con un mini decreto, DM 2 maggio 2005 n. 127, il Ministero dell’Ambiente ha realizzato una nuova procedura per i lavori di bonifica urgenti. Sarà possibile ottenere dal Ministro l’autorizzazione al termine della Conferenza di servizi istruttoria senza attender il decreto interministeriale. Urbanistica La Camera approva la Legge sul Governo del Territorio (da “Edilizia e Territorio” del 4-9.7.05) La Camera ha approvato in prima lettura il Disegno di Legge sul Governo del Territorio che contiene la riforma della Legge Urbanistica del 1942. Ora il provvedimento, che accoglie molti dei princìpi presentati dalle più recenti leggi regionali, va all’esame del Senato. Alcuni degli aspetti di novità della nuova legge sono: sdoppiamento del vecchio PRG in “strutturale” e “operativo”; priorità al recupero edilizio nei piani comunali; prevalenza del potere del Comune nella pianificazione urbanistica; perequazione e compensazione definitivamente legalizzate; fiscalità urbanistica inserita con una norma delega al governo. Un motivo di scontro nel dibattito è stato quello relativo al rapporto pubblico privato e la priorità degli atti negoziali per esprimere la volontà della pubblica amministrazione. Riforma Lupi, vanno precisate le forme di accordo con i privati (da “Edilizia e Territorio” Commenti e Norme n. 30/2005) Ad un primo esame la riforma quadro, approvata dalla Camera, evidenzia il grande spazio dato alla negoziazione con i privati. Questo diventa il principio guida che sostituisce quello della pianificazione imposta dall’alto. Le procedure devono essere precisate meglio. Nasce il silenzio assenso sul permesso di costruire. Alle Regioni grande libertà di decidere in quali casi la Dia può sostituire il permesso di costruire e le attività di trasformazione. Invalicabile l’obbligo di inviare i piani comunali alla Regione (da “Edilizia e Territorio” Commenti e Norme n. 31/2005)

La norma statale che impone ai Comuni di depositare i piani attuativi alla Regione o alla Provincia è una norma quadro e non di dettaglio. Dunque, non può essere superata dalla legislazione regionale urbanistica. Lo chiarisce la sentenza n. 343 del 29 luglio 2005 della Corte Costituzionale che boccia la legge della Regione Marche in riferimento a questo tema. Il diritto di edificazione va in Borsa (da “Il Sole 24 Ore” del 1.8.05) Il Comune di Milano ha stilato un protocollo d’intesa con la Borsa immobiliare, azienda speciale della Camera di Commercio, per la creazione di una “borsa” di questi diritti e di un osservatorio sui loro prezzi. Il diritto virtuale è l’effetto macroscopico della Legge Urbanistica Lombarda n. 12/2005. Nell’Articolo 11 si introducono, infatti, i princìpi delle cosiddette “perequazione e compensazione urbanistica”, in anticipo sulla riforma nazionale delle norme sul regime dei suoli, ma dopo un’analoga rivoluzione nelle leggi di altre regioni. Milano Accordo sulle Mura spagnole (dal “Corriere della Sera” del 10.7.05) Parte il restauro delle parti residue delle Mura spagnole, costruite nel 1548 ad opera di Ferrante Gonzaga e demolite quasi totalmente tra il 1886 e il 1920. L’intervento si limiterà al restauro conservativo e al consolidamento delle mura nel tratto che va da Porta Romana fino a Porta Vigentina, in particolare tra viale Caldara, piazza Medaglie d’Oro, viale Filippetti e viale Beatrice d’Este. La sovrintendenza non ha dato il permesso per le passeggiate sui bastioni. Milano recupera le aree ferroviarie (da “ Edilizia e Territorio” del 1-6.8.05) Si propone il modello Fiera per la riqualificazione delle aree ferroviarie dimesse di Milano, e cioè gare lanciate da Fs per la vendita a operatori immobiliari, basate sul prezzo ma anche sulla qualità tecnico-progettuale dell’offerta. Questa è una delle possibilità cui Fs e Comune di Milano stanno lavorando, dopo l’accordo quadro firmato il 25 luglio per il recupero di 700 mila metri quadri di aree ex ferroviarie nel capoluogo lombardo. M. O.

51 PROFESSIONE STRUMENTI

Via libera del Cipe a un pacchetto di opere delle Legge Obiettivo per complessivi 9.861 milioni di euro. Tra queste vi sono anche le tre nuove autostrade lombarde (Milano-Brescia, Tangenziale est Milano, Pedemontana), per le quali però non è stato sciolto il nodo della copertura finanziaria.


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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it

Como La sicurezza nei cantieri: un lavoro attento e responsabile Sul tema si è pensato potesse essere interessante parlare con un collega che si occupa esclusivamente di questioni ad esso relative ed in particolare della Legge 626 (sicurezza sui luoghi di lavoro fissi), della Legge 222 (sicurezza sui luoghi di lavoro cantieri temporanei o mobili) e della Legge 818 (prevenzione incendi). A tal proposito si sono poste all’arch. Fabio Cancelli una serie di domande: I piani della sicurezza e coordinamento sono efficaci? I piani della sicurezza e coordinamento redatti in ottemperanza al D.Lgs. 494/96 presentavano alcuni punti lacunosi, parzialmente risolti con il D.Lgs 528. Si può comunque affermare che il D.Lgs 222/03 ha eliminato queste lacune ed ora i PSC possono sicuramente ridurre il numero degli infortuni sui cantieri. Ricordiamoci che in edilizia gli infortuni sono pochi, ma con conseguenze spesso mortali a differenza di altri settori dove gli infortuni sono più numerosi ma con conseguenze lievi. Inoltre la procedura di redigere il PSC contestualmente al progetto, a volte anche condizionando il progetto stesso, fa sì che la sicurezza sia tenuta in considerazione già durante la fase di progettazione dell’opera a tutto vantaggio delle maestranze che poi opereranno in cantiere. È più problematica la fase di progettazione o la fase di esecuzione? Sicuramente la fase di esecuzione. Il Coordinatore in fase di esecuzione si trova a gestire imprese che hanno metodi di lavoro diversi tra di loro, per questo è importante verificare sui POS dei vari soggetti che interverranno il metodo di lavoro e le attrezzature che andranno ad impiegare. Anche la prima riunione di coordinamento è importantissima, perché è proprio durante questa riunione che il coordinatore deve imporre immediatamente il proprio metodo di lavoro e la propria

personalità. Diversamente la situazione è destinata a sfuggire di mano. Come si comportano le imprese esecutrici? Esiste un paradosso. Le piccole imprese sono quelle che hanno più difficoltà a presentare la documentazione richiesta perché è intesa ancora come un accanimento burocratico. Nella maggior parte delle volte il titolare è anche un lavoratore attivo nel cantiere e pensa alla documentazione alla sera dopo l’orario di lavoro. Così facendo però le difficoltà a reperire la documentazione crescono in maniera esponenziale. Per contro però recepiscono quasi subito le indicazioni e prescrizioni fornite dal coordinatore e le mettono in pratica in un batter d’occhio. Viceversa le imprese di maggior dimensione, che adottano procedure di controllo qualità, ovvero le procedure ISO, si presentano all’inizio dei lavori con tutta la documentazione a posto. Facciamo un esempio: chiedere la consegna del DURC (n.d.r.: documento unico regolarità contributiva) ad una impresa medio grande non suscita reazioni, mentre chiedere la consegna del DURC ad una impresa piccola è veramente problematico. Per contro però nelle imprese grandi si trovano spesso altri addetti di imprese subappaltatrici ed il controllo diventa molto importante ed oneroso per il coordinatore in fase di esecuzione. Il personale cambia a secondo delle fasi di lavorazione, quindi bisogna sempre controllare che le persone presenti in cantiere siano comunque inserite nel libro matricole delle imprese sub-appaltatrici. Anche il problema della lingua oggi non è indifferente. Molti addetti appartenenti a queste aziende non sono italiani e a volte è difficile farsi comprendere. Frequentemente gli addetti presenti lavorano a cottimo e quindi è difficile reperire persone che possano attuare immediatamente quanto prescritto per le opere provvisionali inerenti la sicurezza. È importante la figura del capocantiere? Importantissima. Il capocantiere

è il vero punto di riferimento della sicurezza in cantiere. Importantissima è quindi la norma che impone al capocantiere di svolgere il suo incarico in un solo cantiere. Fino a qualche tempo fa, invece, il capocantiere dirigeva 2 o 3 cantieri contemporaneamente e sicuramente non era in grado di gestire la sicurezza nel migliore dei modi. Si stabilisce poi una sorta di reciproca fiducia tra il capocantiere ed il coordinatore in fase di esecuzione che è importantissima. I POS delle imprese sono efficaci? Dipende come sono redatti. Onestamente devo dire che, fino ad ora, posso contare sulle dita di una mano i POS che ho accettato subito. Quasi sempre ho dovuto richiedere integrazioni. Le imprese si affidano a programmi che non sono altro che una copia ridotta dei PSC e pertanto inutili. Naturalmente fino alla consegna delle integrazioni richieste l’impresa non può operare in cantiere. Ha mai bloccato un cantiere perché ritenuto pericoloso? Più volte. Quando un coordinatore in fase di esecuzione intravede una situazione di pericolo grave ed imminente deve sospendere immediatamente quella fase di lavoro e predisporre un piano di intervento con idonei dispositivi di protezione per la messa in sicurezza immediata della parte di cantiere interdetta. Il coordinatore deve anche indicare un tempo massimo entro cui procedere alla bonifica del rischio. Le ispezioni da parte degli organi competenti vengono effettuate? Nel Comasco ho ricevuto ispezioni solo da parte della Direzione Provinciale del Lavoro. Qui è necessario spezzare una lancia in favore degli ispettori. Ho sempre trovato persone preparate il cui scopo non è solo la sanzione fine a se stessa, ma è anche un ruolo di verifica e consulenza. Naturalmente poi la sanzione fa parte del loro compito e fa parte del gioco. Lo sanno tutte le parti in causa: dalle imprese ai sub-appaltatori, dal committente al coordina-


La figura del Responsabile dei lavori viene attuata? No. Anche parlando con altri colleghi ho potuto constatare che quasi mai il coordinatore assume questo incarico. Come vede l’istituzione del fascicolo del fabbricato? Il fascicolo del fabbricato è importantissimo per le imprese che andranno in seguito ad effettuare opere di manutenzione allo stabile. È importante quindi redigerlo ed aggiornarlo con la massima cura. Le progettazioni di opere provvisionali, che serviranno poi ai manutentori, non va vista come un’opera aggiuntiva, ma come un opera integrata nell’edificio. È assicurato? Certamente. È soddisfatto della sua polizza assicurativa? Parzialmente. Di solito la polizza relativa alla mansione di coordinatore per la sicurezza è un’appendice della polizza di responsabilità civile della progettazione. Per chi come me non fa il “classico architetto”, ma solo sicurezza nei luoghi di lavoro – fissi, temporanei ed antincendio – sarebbe opportuno una singola polizza ad hoc. Ma finora, magari per mia negligenza a sondare il mercato delle polizze, non ne ho trovate. La formazione è sufficiente? Ritengo che il corso di 120 ore è sufficiente a formare i coordinatori. Dal punto di vista legislativo, e non solo nel campo della sicurezza, si cerca di attribuire sempre più maggior importanza alla formazione ed informazione degli addetti. Nella sicurezza la formazione ed informazione assume un ruolo decisamente importante. A volte, comunque, anche un’ispezione costituisce di fatto una valida occasione di aggiornamento. Roberta Fasola con Fabio Cancelli

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • CONSULTA REGIONALE LOMBARDA degli Ordini degli Architetti: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice bando di gara 1° edizione della “Rassegna lombarda di architettura under 40. Nuove proposte di architettura”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Massimo FORTIS, Federico BUCCI, Giacomo BORELLA. • GS Spa.: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice “Bando di concorso per la progettazione dell’immagine esterna del fabbricato sito in Piazza Siena angolo via Moroni a Milano adibito a supermercato da utilizzare come modello per eventuali successive realizzazioni in Italia” Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Luca SCACCHETTI. • COMUNE DI DESIO: richiesta di segnalazione professionisti per nomina commissione edilizia comunale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Paola Maria DALMONTE, Luigia Carla DAL PUPPO, Roberto MEREGALLI. • COMUNE DI BAREGGIO: richiesta di segnalazione professionisti per Commissione Giudicatrice “Avviso Pubblico per la formazione della graduatoria di operatori, da indicare al C.I.ME.P, per l’assegnazione di aree per interventi di edilizia residenziale convenzionata nell’ambito del piano di zona consortile 2/BA7 di via Piave, via Madonna Pellegrina, via Rossini”. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Vincenzo MONTALDO. • Immobiliare MARGHERITA Srl. di Villa Cortese: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di un fabbricato di due piani fuori terra, un sottotetto e un seminterrato per un totale di n. 4 unità immobiliari in Comune di Parabiago -via Don Mazzolari. Si sorteggiano e si approvano i

seguenti nominativi: Roberto F. DELL’ACQUA BELLAVITIS, Antonio Mario PILLI, Luca VIVIANI. • Impresa EDILMARCHESE di Marchese Carlo & C. snc. di Ossona: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative ad un fabbricato in Ossona - via Boccaccio, angolo via Buonarroti. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Franco GALAVOTTI, Claudio Enea GIANA, Claudio MOLTENI. • Impresa Edile BEZZE GUERRINO & FIGLI Srl. di Meda: richiesta terna per collaudo di opere in c.a relative alla costruzione di una palazzina ad uso civile abitazione composta da n. 10 unità abitative in Seregno via Saba s.n.c. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Virginio BALZAROTTI, Sergio FRATI, Adriano MARIANI. • MULTIMEDIAMENTE: richiesta designazione esperti per prove di accertamento finale “Corso di Specializzazione in tecniche CAD 2D e 3D”, n. 451696 relativa al progetto “Corso di Specializzazione in Tecniche CAD 2D e 3D” n. 231265”. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Enrico Giuseppe TOGNI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il Corso di Studio in Edilizia Milano D.M. 509/99 del 22 luglio 2005. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Maura RESTELLI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Disegno Industriale del 26 luglio 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Marco Mario DUINA, Matteo Pietro CASATI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il “Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99” del 22 luglio 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Francesco ANZIVINO, Patrizia ZANELLA.

• POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 26-27 luglio 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Lucia BERGO, Adele BUGATTI, Enrico CHIAPPETTI, Sandro ROLLA. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea II livello in Disegno Industriale del 27 luglio 2005. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Massimo MALASPINA. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea “I° livello in Scienze dell’Architettura” e “I° livello in Architettura delle Costruzioni” del 21-22 luglio 2005. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Rita SICCHI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 4 luglio 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi (in ordine di commissioni): Paolo RAPETTI, Paolo GOLINELLI, Giorgio COSTANTINI, Maurizio MONTI, Massimo MAGNI, Vittorio RIGAMONTI, Claudio REATO, Alberto ZONA, Gianmarco MONTAGNA, George Alfredo LATOUR HEINSEN, Umberto ANDOLFATO, Franco GALAVOTTI, Eugenio VENDRAMET, Jacopo DELLA FONTANA. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea “Corso di Studio in Scienze dell’Architettura D.M. 509/99 del 21 luglio 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi (in ordine di commissioni): Massimo HACHEN, Marco ANDREONI, Giovanna FANNI, Corrado SERAFINI, Marco LUCCHINI, Paola COPPI, Umberto RIBONI, Valerio MONTIERI, Celestino RAINOLDI, Lorenzo BARONI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A vecchio ordinamento del 5 luglio 2005.

53 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

tore. Aumenta comunque sempre di più la percentuale di architetti che, pur avendone i requisiti, non svolgono l’attività di coordinatore perché ritenuta troppo pericolosa. Ho ricevuto pochissime ispezioni da parte delle ASL, nessuna dai Comuni.


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Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Oscar BONAFE’, Lorenzo PONTIGGIA. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea “Corso di Studi P.T.U.A D.M. 509/99” del 22 luglio 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Rodolfo GUARNASCHELLI, Giuseppe BROLLO. • ARBITRATO Enrico GALLO/ Bianca Maria GALLI: nomina terzo arbitro con funzioni di Presidente per la determinazione del valore reale di mercato delle unità immobiliari site in via Manzoni. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Laura Nicoletta BARTOLI. Serate • Panorama 2004 – Le case, i monumenti e le città attraverso la macchina da presa 28 giugno 2005 Ha presentato: Antonio Borghi A un anno dalla proiezione di Mai-

son Cinema la sede dell’Ordine ha ospitato la proiezione di Monumenti, seconda parte del progetto video Panorama 2004 a cura di Alessandra Galletta e Antonio Borghi. Proseguendo nella ricerca sulle relazioni tra cinema e architettura, questa volta l’attenzione è rivolta a come lo sguardo dei maestri del cinema si sia posato sui monumenti – architetture di identificazione collettiva di varie culture – creando a loro volta icone della cultura popolare. Un caso emblematico è la Fontana di Trevi, di cui molti conoscono le riprese di Federico Fellini con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg e pochi lo scultore progettista (Nicola Salvi). Anche questo video è suddiviso in due ‘volumi’ di un’ora circa ciascuno, aggregati per affinità tematiche e culturali. Nel primo le visioni di monumenti in Europa sono legate dal filo della ricerca della propria identità: Leni Riefenstahl cerca le origini della razza ariana tra le rovine dell’acropoli, Fellini cerca le sue tra quelle della Roma Imperiale e i monumenti del Vaticano, Ermanno Olmi nei cantieri della

Milano degli anni Sessanta, Jacques Tati cerca l’uomo nei meandri di una metropoli alienata e futurista, il signor K cerca disperatamente di salvare la propria identità nel proverbiale processo di Kafka, Vittorio De Sica fa alzare in volo su manici di scopa i milanesi su una Milano in cui sono ancora evidenti le ferite della guerra, Andrej Tarkowskij si immerge nelle acque sulfuree di Bagno Vignoni e ci arringa dalla Piazza del Campidoglio, Orson Welles fa il giro sulla ruota del Prater viennese diretto da Carol Reed, Giuseppe Tornatore ci porta alla Scala con Mastroianni, Luchino Visconti alla Fenice con Massimo Girotti, il tragico eroe di Pier Paolo Pasolini alla Stazione Centrale di Milano. Infine Luis Buñuel e di nuovo Andrej Tarkowskij ci portano a riflettere sul potere archetipico dei Monumenti. Come accadeva in Maison Cinema, anche in Monumenti i brani di un’opera particolarmente significativa uniscono i due episodi: se nel primo era stato scelto Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, questa

volta si tratta di Orson Welles con Il processo, versione cinematografica dell’incubo kafkiano nell’indimenticabile interpretazione di Anthony Perkins. Questa pellicola rappresenta un trait d’union tra la vecchia Europa e il nuovo mondo, gli Stati Uniti, dove i monumenti sono di tutt’altra natura e di conseguenza vengono rappresentati dai registi cinematografici. Il risveglio di Charlie Chaplin sul monumento in procinto di essere inaugurato e le meraviglie di ogni genere che Citizen Kane ha fatto costruire ed ammassare in Xanadu preludono infatti ad una serie di serrati inseguimenti dalla metropolitana di New York alle rampe del Guggenheim, nelle sale del Metropolitan Museum e sulla fiaccola della statua della Libertà, tra gli altorilievi ciclopici del Mount Rushmore sulla cima dell’Empire State Building. Una breve sosta con Woody Allen di fronte al Ponte di Brooklyn ci porta alla conclusione del video in cui Anthony Perkins viene trascinato fuori dalla città, il cui limite è segnato da una statua bendata.


Mercoledì 29 giugno 2005, presso la sede della Fondazione, è stato presentato il libro Un techo para vivir a cura di Pedro Lorenzo Gálligo, edizioni UPC (Universitat Politecnica de Catalunya). Il libro, presentato nel dettaglio dall’architetto Camillo Magni – membro italiano CYTED (Ciencia Y Tecnologia para El Desarollo), riporta i risultati di una ricerca realizzata dal CYTED, a partire dal 1999, sulle tecnologie per la realizzazione di coperture adeguate a soluzioni abitative a basso costo per i Paesi in via di sviluppo. A questo progetto partecipano 15 paesi latinoamericani e, a partire dal 2004, il Politecnico di Milano in qualità di “observador invitado”.

L’obiettivo del testo, così come dei progetti e dei programmi che li hanno anticipati, è il trasferimento delle tecniche, dei processi delle idee e delle metodologie per la costruzione di case a basso costo, al settore più ampio possibile di popolazione ed in particolare al settore che autogestisce – ed autocostruisce – il proprio ambiente abitativo. Questa offerta tecnologica è totalmente disinteressata, coerentemente ai princìpi di cooperazione internazionale per lo sviluppo. All’interno del libro vi sono descritte più di sessanta tecnologie attraverso l’uso di schede tecniche che consentono la comprensione dei processi costruttivi e, nel caso, l’applicazione diretta alla costruzione. A tal fine si facilita la comunicazione con i tecnici e i centri che hanno ideato ciascuna tecnica costruttiva che, a sua volta, consente di essere rinnovata e adattata a specifiche situazioni dando luogo a nuove proposte.

L’importanza quindi delle realizzazioni dei prototipi che avvengono nei laboratori non sta tanto nella concretezza della realizzazione, quanto nel fatto che possa essere ripetibile. In chiusura, l’architetto Camillo Magni, sottolinea l’importante aspetto psicologico della sperimentazione sui tetti piuttosto che su altri elementi costituenti l’abitazione. L’architetto Giuseppe Cusatelli, invitato alla serata per la sua grande esperienza di autocostruzione in Italia da oltre 25 anni, definisce il libro Un techo para vivir come un “abecedario” della tecnologia costruttiva e sottolinea l’importanza dell’esperienza dell’autocostruzione: in essa l’architetto è in rapporto diretto con l’oggetto del suo lavoro e può fare sperimentazione. I progetti di autocostruzione inoltre favoriscono l’aggregazione sociale tra la gente coinvolta.

CYTED (Ciencia Y Tecnologia para El Desarollo) è un programma Iberoamericano (Centro America, Sud America, Spagna, Portogallo) di Scienza e Tecnologia per lo Sviluppo. È un programma internazionale e multilaterale di cooperazione scientifica e tecnologica creato nel 1984 con un accordo interistituzionale tra i governi di 21 Paesi iberoamericani ed inserito formalmente dal 1995 tra i programmi di cooperazione dei vertici dei Capi di Stato dei Paesi iberoamericani. È un programma di sostegno alla cooperazione nella “ricerca e sviluppo” con lo scopo di modernizzare l’attività produttiva e di migliorare la qualità della vita dei Paesi partecipanti. Gli obiettivi sono la promozione della cooperazione nel campo della ricerca applicata e nello sviluppo tecnologico per l’ottenimento di risultati scientifici e tecnologicamente trasferibili ai sistemi produttivi locali e alle politiche sociali dei Paesi iberoamericani.

55 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

• Un techo para vivir 29 giugno 2005 Sono intervenuti: Giuseppe Cusatelli, Camillo Magni Introducono: Mariagrazia Folli, Filippo Mascaretti


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Dicembre

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

1495,58

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice-novembre 1969:100 Anno 2002 2003 2004 2005

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Febbraio Marzo Aprile 1470 1467,96 1471,72 1475,49 1510 1504,37 1509,40 1511,91 1540 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42

Maggio

Giugno 1480 1478,00 1480,51 1513,16 1514,42 1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2002 2003

INDICI E TASSI

Gennaio 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

2004 2005

1577,21 1579,72 dicembre 1978:100,72

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

509,35

511,52

512,39

512,82

513,69

514,56

515,86

517,17

517,60

522,38

523,25

523,69

524,12

525,43

526,29

527,60

528,03

529,34

529,34

532,38

533,68

534,55

535,86

536,29

537,16

537,16

537,16

538,46

538,46

541,07

542,81

543,68

544,55

545,85

546,72

508,04 520 520,64 531,94 540 540,20

Febbraio 114,97 117,46 119,28

Marzo 115,35 117,56 119,48

Aprile 115,54 117,85 119,86

anno 1995: base 100 Maggio 115,64 118,04 120,05

Giugno 115,73 118,33 120,24

Luglio 116,02 118,42 120,53

4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 106,34 108,73 110,49

Gennaio 105,46 107,58 109,25

Febbraio 105,64 107,93 109,61

Marzo 105,99 108,02 109,78

Aprile 106,17 108,28 110,14

Maggio 106,26 108,46 110,31

Luglio 106,61 108,81 110,75

6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 111,46 113,95 115,80

Luglio 111,73 114,04 116,08

2005 112,12

Gennaio 110,53 112,75 114,51

Febbraio 110,72 113,12 114,87

Marzo 111,09 113,21 115,06

Aprile 111,27 113,49 115,43

Maggio 111,36 113,67 115,61

7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

1996 105,55

2003 108,23

2004 110,40

1997 108,33

1998 110,08

1999 111,52

1998 101,81

1999 103,04

Settembre Ottobre 116,50 116,60 118,61 118,61

2000 105,51

2000 113,89

Agosto 106,79 108,99 110,93

Settembre Ottobre 107,05 107,14 108,99 108,99

2002 111,12

Novembre Dicembre 107,40 107,40 109,25 109,25

gennaio 1999: 108,20 Agosto 111,92 114,23 116,26

Settembre Ottobre 112,19 112,29 114,23 114,23

Novembre Dicembre 112,56 112,56 114,51 114,51

gennaio 2001: 110,50

novembre 1995: 110,60 2001 117,39

2002 120,07

2003 123,27

2004 116,34

2005 118,15

anno 1997: base 100

2001 108,65

Novembre Dicembre 116,89 116,89 118,90 118,90

dicembre 2000: 113,40

anno 1995: base 100

9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

giugno 1996: 104,20 Agosto 116,21 118,61 120,72

anno 2001: base 100

2002 105,42

8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

1555,86

Giugno

506,30

Gennaio 114,77 117,08 118,90

1529,48

novembre 1978: base 100

3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2003 2004 2005

Settembre Ottobre Novembre 1490 1481,77 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86

Maggio

Febbraio Marzo

538,46

Agosto

Aprile 510 510,65

Gennaio

519,78 530 530,21

Luglio

2003 113,87

2004 125,74

2005 127,70

febbraio 1997: 105,20

Interessi per ritardato pagamento

Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

10,35% 9,85% 9,10%

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

2,09% +7

Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174)

dal 1.1.2004 al 30.6.2004 2,02% +7 9,02% dal 1.7.2005 al 31.12.2005 Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

2,05% +7

9,01%

9,09% 9,05%

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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