AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 12 Dicembre 2002
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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Roberta Castiglioni Segreteria: Augusta Campo Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Fotolito Marf-Progetto Fotolito, Milano Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 22.100 copie In copertina: Alfred Eisenstaedt, Palchi alla Scala di Milano, 1932. Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL
Editoriale
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Forum La Scala: lavori in corso documento del Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano; interventi di Adalberto Del Bo, Emilio Pizzi, Roberta Castiglioni
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Argomenti
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Concorsi
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Professione e aggiornamento Legislazione Strumenti
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Informazione Dagli Ordini Dalle Istituzioni Lettere Stampa Mostre e Seminari Libri, riviste e media
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Itinerari
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Indici e tassi
Sommario
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola, Ferruccio Favaron Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Guido Dallamano, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Gianfranco Bellesini; Segretario: Franco Andreu; Tesoriere: Gianfranco Bellesini; Consiglieri: Marco Brambilla, Giovanni Cavalleri, Gianfredo Mazzotta, Marco Ortalli, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 13.6.03) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guarnieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Giulio Barazzetta, Maurizio Carones, Arturo Cecchini, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Marco Ferreri, Jacopo Gardella, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza (Termine del mandato: 15.10.01) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Gianni M. Colosetti, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)
Maurizio Carones
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La complessa vicenda dei progetti che in questi anni hanno riguardato le trasformazioni del Teatro alla Scala – sia quello di Piermarini che quello degli Arcimboldi – è stata seguita, come noto, dagli organismi istituzionali di rappresentanza degli architetti, attraverso differenti prese di posizione, richieste di chiarimenti all’amministrazione pubblica, approfondimenti legali e ricorsi amministrativi. Tutto ciò ha rappresentato un importantissimo passaggio di una strategia più ampia che vede coinvolti gli Ordini in una promozione delle procedure concorsuali quale strumento per sostenere la qualità dell’architettura come caratteristica saliente di un confronto costante con il complesso della società civile. Ci è sembrato dunque giusto dedicare uno spazio sul numero di dicembre di “AL” alla vicenda attuale dei lavori alla Scala, proprio perché è ormai da mesi che a Milano, ma non solo, le rappresentanze amministrative, politiche, culturali, i mezzi di comunicazione, le associazioni e i cittadini dibattono con passione sui lavori di ristrutturazione del teatro milanese. Pensiamo che, dal punto di vista dell’architettura, questo dibattito possa essere considerato un fatto positivo: uno degli edifici simbolici della città si sta trasformando, e la città ne discute animatamente. Da qui alcune considerazioni. La prima riguarda l’impressione che parte delle attuali discussioni debbano essere inscritte nella costante polemica fra “antichi” e “moderni”, fra chi è contrario alla trasformazione e chi invece a questa è favorevole: una sorta di topos del dibattito sulla città, che, immancabilmente, ritorna – anche nei discorsi dei tecnici – in modi a volte un po’ troppo codificati quando si interviene su un edificio diventato un’icona urbana. Ciò riguarda evidentemente il modo di intendere il progetto e sappiamo come anche progetti esemplari abbiano dovuto passare il vaglio di tale discussione. Un’altra considerazione riguarda il modo in cui si discute del progetto in sé: va infatti osservato che esporre un progetto, qualunque esso sia, e indirettamente il suo progettista, chiunque esso sia, ad una sorta di referendum, all’insegna della semplicistica alternativa tra “favorevoli” e “contrari”, non sia un buon servizio reso alla architettura, quando il rischio più serio è che – come si è visto anche in altre recenti occasioni – siano proprio il progetto od il progettista a passare presso l’opinione pubblica quali i principali responsabili di procedure invece tutte decise da altri. E qui si viene al problema delle procedure. Sembra infatti più pertinente alla vicenda della trasformazione della Scala promuovere una seria discussione sull’analisi delle procedure che hanno portato quei determinati progetti ad essere lo strumento tecnico per modificare il teatro, secondo precisi programmi elaborati nel corso di parecchi anni dall’amministrazione pubblica. È auspicabile infatti che, anche al di là dalle indicazioni normative sui concorsi, talvolta considerate come fastidiosi problemi da risolvere, le amministrazioni pubbliche promuovano il più possibile la pubblicità dei procedimenti e delle scelte programmatiche e progettuali, soprattutto quando si tratti di edifici della importanza simbolica, storica, urbana e funzionale della Scala. In questo senso anche la questione stessa della frammentazione dell’incarico in progetti separati, oggetto nel caso specifico di differenti interpretazioni, propone l’urgenza di un’approfondita riflessione sui modi di costruzione del progetto contemporaneo che non può essere risolta, né in un senso né nell’altro, in modi sbrigativi. In ultimo è forse opportuno sottolineare come l’attenzione della città a volte sembri tutta rivolta ad alcuni casi particolari, alle trasformazioni di alcune piazze, a certi monumenti che non “piacciono”, quando la stessa città, senza troppe discussioni e dibattiti, si sta ricostruendo in alcune sue vastissime aree – le famose aree ormai ex “dismesse” – definendo là, in alcuni luoghi di cui molti non conoscono neppure l’ubicazione, il suo futuro urbano. Non è che allora il problema della ristrutturazione della Scala sia una discussione che coinvolga soprattutto nel commosso ricordo collettivo di un teatro ricostruito che celebrava con Toscanini la sua rinascita? Forse un po’ di questa “emozione” della società civile sarebbe giusto che fosse rivolta ad una discussione su questa nuova città “senza piano”, anch’essa, in un certo senso, in fase di ricostruzione.
La Scala: lavori in corso
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Dedicare un Forum alla questione del restauro e ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano ha significato occuparsi di un importante progetto, non solo per la città di Milano, ma per tutti coloro che apprezzano la grandezza di questo teatro lirico. L’avvio dei lavori, a partire dallo scorso marzo, dopo un travagliato iter progettuale avviato nel 1990, viene giudicato dall’Amministrazione comunale, dalla Fondazione Scala e dai tecnici che hanno contribuito al progetto, un grande successo, che permetterà di realizzare “ una struttura teatrale moderna ed efficiente” . La stessa vicenda in altri suscita dubbi e perplessità, sia dal punto di vista delle scelte progettuali perseguite, sia da quello delle procedure amministrative adottate. Avremmo voluto affrontare la trattazione di questo discusso tema secondo due aspetti, quello strettamente progettuale e quello istituzionale: perciò abbiamo invitato l’Ordine degli Architetti di Milano e i tecnici, che hanno redatto i diversi progetti, ad esprimere le loro posizioni. In attesa di una sentenza del Tar per il ricorso presentato da alcune associazioni, che chiedevano di bloccare il restauro del teatro, le parti direttamente coinvolte non hanno però ritenuto opportuno pronunciarsi. La sentenza è stata emessa pochi giorni prima della chiusura del numero, ma i tempi editoriali non ci hanno permesso di attendere gli interventi richiesti. Pertanto, oltre il parere dell’Ordine di Milano, pubblichiamo le posizioni di due consiglieri, Adalberto Del Bo ed Emilio Pizzi.
L’Ordine degli architetti, la Scala e l’architettura a M ilano documento approvato a maggioranza nella seduta del 25.11.02. dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano Il tema della qualità degli spazi e degli edifici nella città di Milano è emerso faticosamente negli ultimi anni attraverso il dibattito sui progetti dei grandi interventi di trasformazione e in presenza di una continua attività edilizia minore, sempre più percepibile da tutti i cittadini. Si tratta di una battaglia culturale e politica volta a rilanciare con forza il principio che la qualità dell’architettura va promossa attraverso politiche esemplari nel settore della costruzione e a ribadire che il tema deve tornare questione centrale del dibattito cittadino. Da tempo questo punto di vista è sostenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Milano con l’obiettivo di giungere, attraverso la promozione del dibattito sull’architettura e sulle trasformazioni del territorio, ad una maggiore sensibilizzazione dei committenti, degli operatori e dei cittadini sulla importanza del patrimonio ar-
chitettonico promuovendone la riconoscibilità, la comprensibilità e quindi una maggiore considerazione. Aspetto non secondario di questo dibattito è quello sulle scelte di progetti e progettisti e di come si giunga all’affidamento degli incarichi professionali. Quando il committente è pubblico e l’opera è di rilevante interesse collettivo la procedura dell’affidamento di un progetto, oltre che rispettare gli obblighi di legge, deve essere trasparente e coerente con gli interessi collettivi. Le ultime vicende del progetto Scala Piermarini ci obbligano oggi a ritornare anche sull’argomento del teatro degli Arcimboldi per chiarire la nostra posizione. Riepiloghiamo alcuni fatti. Nel 1996 il Comune di Milano, nel quadro della generale ristrutturazione del Teatro alla Scala che vedeva l’accordo della Fondazione Teatro alla Scala, degli operatori tra i quali Milano Centrale - Pirelli R.E., e dello stesso Comune, deliberò di costruire un nuovo teatro di 2.300 posti conosciuto come Scala-bis prima e come Arcimboldi poi nell’ambito del nuovo insediamento progettato nell’ex-area industriale Pirelli-Bicocca. Il nuovo teatro avrebbe ospitato le attività della Scala per il tempo necessario all’esecuzione dei lavori di restauro dell’edificio del Piermarini. Non tutti furono d’accordo su questa delibera e tra gli altri l’Ordine degli Architetti di Milano. In primo luogo contestammo che una così importante opera pubblica fosse intrapresa senza una programmazione urbanistica e senza una preventiva analisi della congruità della sua collocazione in rapporto al sistema dell’area metropolitana di Milano. In secondo luogo mettemmo in evidenza che l’incarico di progettazione fu assegnato con procedure che ignoravano le direttive europee in vigore, le quali vietano di assegnare la progettazione di opere pubbliche di valore superiore alla soglia di rilevanza comunitaria e finanziate con denaro in maggior parte pubblico senza procedure di evidenza pubblica: ovvero attraverso una gara o un concorso di architettura. Sulla natura dell’opera e sulle procedure di assegnazione dell’incarico l’Ordine presentò ricorsi al T.A.R. il quale alla fine del 1998, dopo una lunga e complessa battaglia legale, ad una settimana dall’inizio dei lavori sospese il cantiere per la costruzione del teatro. Il Consiglio di Stato nel febbraio 1999 annullò la delibera del T.A.R. e sbloccò il cantiere: i lavori ripresero nell’aprile dello stesso anno. Gli atti furono rimessi alla Corte di Giustizia Europea. L’Amministrazione Comunale replicò duramente contro l’Ordine, assicurando la correttezza del procedimento e proseguì i lavori con l’obiettivo di terminarli entro il 2001. La Corte di Giustizia Europea diede ragione all’Ordine di Milano. Ci mise molto tempo ma nell’aprile del 2000 confermò che le procedure applicate avevano violato le direttive europee.
Siamo a disposizione degli aventi diritto per le eventuali fonti iconografiche non identificate. Veduta del cantiere (foto tratta dal filmato di “ Striscia la notizia” , trasmesso il 18.11.2002).
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Il Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Milano si trovò allora nella condizione di poter decidere di procedere giudizialmente con un’istanza di sospensiva per richiedere la chiusura del cantiere. Il Consiglio deliberò di non proseguire nell’azione intrapresa perché la richiesta di sospensiva avrebbe solo paralizzato la prosecuzione di un’opera ormai quasi conclusa - danneggiando la città e i suoi cittadini in prima persona - oltre ad infondere nella opinione pubblica l’impressione che ci fosse dell’ostilità preconcetta contro l’Amministrazione, contro il progettista e contro il teatro. L’obiettivo infatti non era quello di fermare un cantiere o di demolire ciò che era già stato costruito o di non far costruire il teatro, ma di fare chiarezza su una questione sostanziale in difesa sia delle leggi comunitarie che regolano il mercato sia degli architetti e della loro professione. Si volle stigmatizzare inoltre il modo con cui l’Amministrazione aveva affrontato la realizzazione di una così importante opera pubblica ignorando le direttive comuni-
tarie e senza passare attraverso un concorso di architettura con il quale avrebbe potuto, aprendo alle grandi potenzialità culturali e professionali, ottenere la migliore qualità dell’opera stessa. Ci si accontentò dunque della vittoria sul piano giuridico, confidando che un così chiaro e preciso precedente giurisprudenziale avrebbe costituito un importante riferimento per altri casi analoghi nazionali e non solo milanesi. La conclusione della vicenda del teatro degli Arcimboldi è dello scorso mese di giugno. Con una lettera la Commissione Europea ci informò che le autorità del Comune di Milano avevano comunicato che la costruzione del teatro Arcimboldi era stata terminata nel 2001 e che già a partire dal gennaio 2002 il teatro aveva intrapreso la sua attività ma che immediatamente dopo la sentenza si erano adeguate ai princìpi espressi dalla stessa e che da quel momento in poi il rilascio delle concessioni edilizie per opere pubbliche di valore superiore alla soglia comuni-
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Una serata di gala.
taria sarebbe stato subordinato a procedura di evidenza pubblica, escludendo infine che in futuro potessero venire a determinarsi situazioni di contrasto con la normativa comunitaria. La Commissione Europea dunque, preso atto del riconoscimento dell’inadempimento comunitario e in virtù della promessa di non ripetere analoghe violazioni per il futuro, ha ritenuto di archiviare il caso.
dure che si avvalgono dell’ambiguità e della discrezionalità della legislazione. Oltre al restauro della Scala, altri progetti in fase di realizzazione, come il Castello Sforzesco e Palazzo Reale, testimoniano di sostanziali incertezze di indirizzo, mentre in altri casi (Beic, Arengario, Ansaldo e alcune altre occasioni) l’Amministrazione comunale ha scelto la strada del concorso.
Che dire? Che ci risiamo con la Scala. Le procedure adottate per la ristrutturazione del teatro dal Comune di Milano e formalizzate nel luglio 2000, mentre si svolgeva la vicenda Arcimboldi e già si era a conoscenza della sentenza della Corte di Giustizia Europea, sono ancora una volta oggetto di contestazione. L’Amministrazione Comunale milanese ha conferito l’incarico della progettazione definitiva (sulla cui base viene svolta, in questo caso, la gara d’appalto) frazionando in più incarichi specialistici il progetto complessivo e scegliendo il nome dei progettisti dall’elenco predisposto dal Comune di Milano. Ci si sarebbe aspettati una attenzione particolare per un problema così delicato come quello relativo alla ristrutturazione del teatro lirico più importante del mondo: che fosse bandito un concorso internazionale di progettazione (come indica la Merloni, trattandosi senza dubbio di lavori di particolare rilevanza sotto il profilo architettonico, ambientale, storico ed artistico) promuovendo, in ogni caso, un dibattito aperto a tutti, cittadini ed addetti ai lavori. Invece, come è stato da più parti rilevato, il progetto e il programma della sua attivazione è stato illustrato a giochi fatti e tuttora permane sul cantiere una singolare e inspiegabile copertura. Come Ordine degli Architetti rileviamo che, malgrado l’impegno pubblicamente preso a seguito della sentenza sul caso Scala-Bis/Arcimboldi, l’Amministrazione Comunale di Milano abbia adottato per la realizzazione di un progetto di straordinaria rilevanza architettonica proce-
Il Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Milano riafferma che il concorso di architettura, garantendo l’ampia partecipazione dei progettisti nel contesto di un continuo dibattito sulla trasformazione della città, costituisce la necessaria e insostituibile occasione per: • stimolare la committenza e gli operatori ad assumere un ruolo attivo nel miglioramento della qualità degli interventi; • promuovere la qualità dell’architettura attraverso la selezione dei progetti; • attuare il principio della trasparenza nell’affidamento degli incarichi; • estendere l’informazione ai cittadini rendendoli partecipi del dibattito culturale che ha sotteso le scelte riaffermando il ruolo centrale del progetto e della professione dell’architetto; • contribuire concretamente ad avviare una svolta radicale nei criteri di gestione delle nostre città e del territorio italiano, restituendo loro quella riconoscibilità che oggi hanno certamente perduto. Riaffermando ancora una volta la necessità di una linea di comportamento chiara da parte dell’Amministrazione Comunale e ampiamente condivisa dalla comunità cittadina, proseguiamo nel programma di una costante verifica sui temi dell’architettura della città, impegnandoci a promuovere un incontro pubblico dal quale possa emergere un confronto tra chi opera nella realtà politica e amministrativa e chi opera in quella professionale, avendo come obiettivo la qualità della città e della vita dei suoi cittadini.
Il bis della Scala-bis di Adalberto Del Bo
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15 agosto 1943.
Il comunicato dell’Ordine di Milano, steso non senza caustica ironia, suscitò le ire dei destinatari la cui reazione passò dalle consuete accuse di corporativismo e di lobbysmo a quelle più livide e sciocche di una supposta invidia fino ad arrivare agli insulti all’intera categoria da parte di celebrati imprenditori (“ questa degli architetti è una vera mascalzonata, roba da cialtroni” ) e, come è noto, perfino alle querele: si trattava, dunque, di lesa maestà ed il consiglio dato agli architetti era, sostanzialmente, di lasciar perdere cose troppo grandi per loro. Sappiamo come è andata a finire e quante energie siano state spese per arrivare alla Bacchettata europea agli Arcimboldi, come titolavano i giornali nel luglio 2001. Rimane sempre lo sconcerto per aver dovuto ricorrere alla giustizia europea per stabilire che un edificio di uso pubblico, costruito su un terreno di proprietà pubblica e pagato con danaro pubblico è un’opera pubblica e che, quindi, come tale, viene sottomesso alla regole europee in materia, ivi comprese le modalità di incarico. La questione attuale è di tipo differente; non vi sono dubbi sulla natura pubblica dell’opera e non vi sono rapporti con privati; ma numerose sono le domande poste da diverse parti, domande alle quali sarebbe opportuno che si rispondesse sul piano della cultura dell’amministrare e di un rapporto responsabile con la città che vuole riavere al più presto il suo Teatro. Per quale motivo non è stato bandito un concorso di progettazione vista la straordinaria importanza dell’opera, come richiede la Merloni? Se non si ritiene questo il caso per un concorso, per quale altra opera si può pensare che il Comune di Milano ne debba proporre? E comunque, scartato, pur inspiegabilmente, il concorso, perché suddividere gli incarichi ed evitare di affidare la ristrutturazione di un’opera unica come la Scala ad un collaudato gruppo di professionisti individuato tra le candidature di una gara di tipo europeo (come l’importo totale del lavoro progettuale avrebbe imposto)? E ancora: per quale motivo i professionisti in questione sono stati scelti dagli elenchi del Comune e non attraverso la procedura del bando che garantisce la pubblicità della gara, trattandosi, inoltre, dell’attribuzione dell’incarico per il progetto definitivo, quello sulla cui base è stato bandito un così gigantesco appalto? E poi: è forse un caso che incarichi di questa importanza siano stati attribuiti a pochi giorni
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La piega che va assumendo la questione della ristrutturazione del Teatro alla Scala si profila sempre più, sommata alla vicenda Scala-bis, come caso emblematico della tormentata vicenda della programmazione, progettazione e costruzione dell’opera pubblica nel nostro paese dal dopo tangentopoli ai nostri giorni; per la Scala-bis/Arcimboldi, si è trattato dell’impiego di procedure fuorilegge mentre il caso in questione riguarda una applicazione quanto meno disinvolta e borderline della normativa della legge sui lavori pubblici per la ristrutturazione dell’edificio più rappresentativo della città. Come d’obbligo, saranno i giudici ad esprimersi sulla liceità delle procedure impiegate per la ristrutturazione dell’opera del Piermarini; in questa sede la questione interessa soprattutto il piano della politica culturale e del rapporto con la città, gli aspetti decisivi della vita civile che riguardano l’architettura e le trasformazioni urbane. La vicenda Scala-bis (come confermato da una rilettura degli articoli dell’epoca, oggi davvero spassosa per la conclamata incompetenza sparsa con arroganza e a piene mani da sdegnati amministratori e imprenditori e relativo stuolo di principi del foro) ha riguardato il tentativo, operato da una inedita alleanza tra pubblico e privato, di aggirare le regole della (allora recentissima) legge sui lavori pubblici che, seppur con il forte limite di una visione unicamente tecnicistica, si è posta l’obiettivo di riordinare (anche sulla scorta obbligata delle direttive europee) il quadro normativo nazionale, messo del tutto in crisi dalle pratiche di tangentopoli. L’alleanza tra l’amministrazione milanese e una schiera influente e forte di privati era destinata ad inaugurare un connubio “ virtuoso e moderno” che intendeva andare oltre “ i lacci e laccioli dello Stato” mettendo insieme le ingiustificabili e paradossali urgenze invocate per un centenario (quello verdiano), il grave stato di abbandono della struttura del maggior teatro del mondo, i seri problemi immobiliari del più grosso investimento in atto nel nord Italia, le necessità di immagine di una giunta poco concludente e prossima alle elezioni, l’uso demagogico e snobistico del teatro d’opera in periferia, la lunga depressione edilizia che bloccava la città da troppo tempo, l’inevitabile spruzzata di orgoglio milanesone del sempre pericoloso ghe pensi mi e dell’unione che fa la forza. In una visione così dinamicamente pionieristica e meneghina della sfida e del tirarsi su le maniche, le regole e le procedure previste dalle leggi nazionali ed europee, il calcolo delle spese pubbliche e private, gli attori da coinvolgere nell’operazione, ecc. sono sembrati dettagli, pignolerie, meschinerie che il ritrovato entusiasmo di circoli, giornali e sostenitori vari non poteva che condannare (e per giunta con sospetto), considerando inoltre che tutto ciò veniva fatto nel sacro nome dell’arte (quella musicale). Altrettanto ininfluenti erano: la disponibilità in città di diversi teatri chiusi e adatti alla transitoria bisogna, la mancanza di qualsivoglia programmazione urbanistica che motivasse la scelta localizzativa, la necessità di dar luogo, semmai, ad un centro teatrale integrato dalla presenza dei laboratori e delle scuole per poter costruire nella periferia un luogo vivo di produzione artistica, la mancanza di trasporti pubblici nella zona prescelta, la dimensione ridottissima dell’area a disposizione e di quella destinabile ai parcheggi, l’incerto destino per l’utilizzo successivo del teatro, il parere contrario di molti architetti e intellettuali milanesi, la evidente natura pienamente pubblica dell’intervento.
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dall’entrata in vigore del regolamento della Merloni? Ancora: per quale motivo utilizzare, per un caso così delicato, la procedura dell’appalto integrato per il quale si affida alla responsabilità dell’impresa il progetto esecutivo, ancorché questo debba essere obbligatoriamente fedele in tutto al definitivo? Come è stato possibile decidere di bandire un appalto di questa importanza e dimensione in assenza del parere della Sovrintendenza quando il Regolamento prescrive per l’approvazione l’acquisizione di tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge, necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto?; Come è stato possibile variare il progetto esecutivo in modo così sostanziale con nuovi volumi esterni quando è espressamente stabilito che l’esecutivo non può prevedere alcuna variazione alla qualità e alle quantità delle lavorazioni previste nel progetto definitivo? Si potrebbero aggiungere anche altre domande in circolazione sulle fasi più recenti delle demolizioni e del cantiere ma già queste sono sufficienti per temere ragionevolmente un nuovo grosso pasticcio. È evidente, quindi, che il problema di fondo riguarda il modo con il quale le amministrazioni pubbliche tendono a gestire operazioni di questa natura: emerge la difficoltà ad assumersi la responsabilità piena di una politica della trasformazione urbana, ovvero di volere e saper sommare alla responsabilità delle decisioni la necessità di garantire un confronto aperto che veda coinvolta la città rappresentata dalle sue varie componenti. Il sistema di invocare strumentalmente l’urgenza per evitare di sottoporre nei modi dovuti alla città i problemi e le soluzioni si è sempre rivelato una falsa scorciatoia che ingigantisce i pasticci e allunga i tempi. Oggi occorre una presa d’atto del fatto che, in tempi così difficili per le città, è indispensabile saper porre con fiducia i problemi alla cultura, chiamando a raccolta le forze disponibili in modo da poter selezionare le idee migliori. Per restare nel tema, è evidente che a Milano si deve cambiar musica.
La Scala: un restauro straordinario per un luogo straordinario di Emilio Pizzi La vicenda del restauro del Teatro alla Scala di Milano è parte inscindibile della storia dei restauri della Scala. Non è infatti possibile parlare degli interventi attuali senza conoscere la continuità di un rinnovamento che questo teatro ha vissuto negli anni sapendo sopravvivere al tempo e conquistandosi una fama internazionale senza precedenti. Il corpo edilizio del teatro che si è tramandato sino ai giorni nostri è infatti il risultato di un incessante lavoro di modificazione che ha attraversato i secoli attraverso demolizioni, aggiunte, sopraelevazioni. Un lavoro ininterrotto che ha modificato l’aspetto, i colori delle finiture, la forma degli spazi del teatro e le condizioni per il loro uso: persino l’immagine esteriore dall’originale progetto del Piermarini ha subito continui cambiamenti. Paradossalmente invece tutte le polemiche che hanno alimentato un dibattito molto spesso scomposto sulle pagine dei quotidiani si muovono per lo più sull’onda emotiva di una idea di conservazione di per sé antitetica a questa realtà di trasformazioni che misura la perenne vitalità del teatro nel tempo.
Poco si parla delle esigenze che hanno portato ad affrontare quest’ennesima opera di rinnovamento. Quasi nessuno affronta la complessità del progetto che si è oggi resa indispensabile per conquistare una maggiore funzionalità della struttura e soprattutto per rinnovare la meccanica di scena. Vi è un rischio di confusione che non aiuta a comprendere fino in fondo questo momento importante della storia del teatro. Vi è di tutto: da chi approfitta dalla vicenda per una propria visibilità politica, vi è chi sostiene l’idea di un concorso di progettazione senza tener conto che in un restauro conservativo il risultato visibile alla fine corrisponde alla realtà dell’oggetto restaurato, vi è chi si affanna a invocare vizi procedurali di ogni genere complice la difficoltà interpretativa di norme e leggi vigenti, vi è ancora chi vorrebbe costruire un grande cartamodello alla scala reale degli interventi edilizi da realizzare da sottoporre a referendum. Tesi avverse e a favore si sprecano sullo sfondo di una conoscenza del tutto superficiale delle problematiche coinvolte. Ma la vera confusione è quella che confonde sempre più aspetti sovrastrutturali che riguardano l’idea del teatro per come è andata consolidandosi nell’ immaginario collettivo, con gli aspetti materiali che riguardano viceversa le vicende edilizie del teatro, il suo stato di salute le sue imprescindibili necessità di adeguamento. Come è noto il processo di rinnovamento del teatro ha origini antiche e discende proprio dal complesso delle opere di trasformazioni attuate negli anni. Già nel 1807 dopo soli ventinove anni dalla inaugurazione, avvenuta il 3 agosto 1778, il teatro viene rinnovato completamente nell’apparato decorativo della sala e soprattutto viene ampliato il palcoscenico occupando parte dell’area di un monastero attiguo al teatro. Pochi anni più tardi nel 1813 in occasione dei lavori di rettifica della Contrada San Giuseppe, ora via Verdi, viene completato il fianco del teatro fino a quel momento rimasto a rustico. Nel 1828 le finiture a stucco di questo fronte sulla Contrada San Giuseppe sono sostituite da modanature in pietra di Viggiù. Nuovamente nel 1830 viene rinnovato l’apparato decorativo della sala. Nello stesso anno viene eretto in fregio al teatro il Casinò Ricordi su disegno di Giacomo Tazzini. Nel 1835 il fronte del teatro viene modificato con due nuovi vestiboli su progetto di Pietro Pestagalli con l’aggiunta di due corpi laterali bassi, coperti da terrazzi. Nel 1881 vengono effettuati lavori di rinnovamento degli interni e dei prospetti esterni su Contrada San Giuseppe con l’apertura di uscite antincendio. Nel 1907 vengono condotti lavori in sterro per l’abbassamento dell’orchestra allo scopo di ricavare la cassa armonica del Golfo Mistico; inoltre viene completata la trasformazione della quinta serie di palchi in galleria. Nel 1913 la facciata su via Verdi viene nuovamente sottoposta ad un intervento di pulizia e nuova pitturazione. Nello stesso anno viene inaugurato il Museo Teatrale della Scala nell’ex Casinò Ricordi. Nel 1920 viene arretrata la ribalta lasciando libero lo spazio per il palco mobile dell’orchestra. Contemporaneamente viene realizzato l’ammodernamento del palcoscenico e dei suoi servizi meccanici ed elettrici. Nuovi interventi sulle facciate con la smerigliatura della pietra vengono condotti nel 1933. A seguito del bombardamento del agosto del 1943 vengono avviati importanti lavori di ammodernamento del teatro ad opera dell’Ing. Luigi Lorenzo Secchi con profonde modifiche nell’apparato decorativo dell’atrio e dei ridotti. Nel 1955 viene ricavata in uno stabile attiguo la Piccola Scala: un teatro capace di 500 posti unitamente ad aule di studio. Nel 1956 vengono inaugurati il nuovo atrio ed il nuovo ridotto della
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I lavori per la riedificazione (da: Comune di Milano, Milano 1945-1955, 1955).
platea del teatro progettati dall’Ing. Secchi. A partire dagli anni ‘60 si susseguono molteplici interventi di rifacimento delle finiture (il soffitto a volta della sala nel 1966) e di realizzazione di spazi aggiuntivi in relazione alle necessità di espansione e di adeguamento dei servizi tecnologici del teatro attraverso la creazione di sopralzi e lo sfruttamento degli ambienti esistenti nel sedime occupato dal teatro che ormai si dilata dalla via Verdi alla via Filodrammatici. La storia recente ci consegna la realtà di una struttura profondamente compromessa, in cui i continui rifacimenti ed adeguamenti delle reti impiantistiche hanno finito per minare il corpo edilizio del teatro sempre più ca-
rente sotto il profilo della sicurezza. Nonostante questa difficile condizione di lavoro il teatro è riuscito a sopravvivere in questi anni convivendo con situazioni ben oltre i limiti dell’agibilità e soprattutto con una macchina scenica, ritenuta un capolavoro dell’ingegneria teatrale all’epoca della sua realizzazione, ma ora non più adeguata alle continue esigenze di rinnovamento dell’apparato scenico. Ed è proprio da questa difficile decisione di sostituzione del cuore funzionale del teatro che ha preso le mosse il complesso processo di rinnovamento che ha portato dapprima alla realizzazione della nuova sede agli Arcimboldi ed al trasferimento della attività teatrale e successiva-
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Veduta del cantiere (foto tratta dal filmato di “ Striscia la notizia” , trasmesso il 18.11.2002).
mente all’avvio dei lavori di restauro attualmente in corso sul teatro. Un restauro che la soprintendenza per i Beni Architettonici e Monumentali ha inteso non solo nella conservazione dei caratteri originari del manufatto del Piermarini ma soprattutto nella salvaguardia del valore del bene immateriale che esso rappresenta attraverso la sua rinnovata capacità di produrre cultura. Per questo si è ritenuto indispensabile l’inserimento di una nuova macchina più articolata e versatile nella trasformazione dello spazio scenico e la completa riorganizzazione degli ambienti funzionali in cui tutti gli operatori del teatro possano dare il meglio del loro prezioso contributo ad una realtà teatrale di livello mondiale. Il progetto definitivo delle opere di restauro è stato messo a punto da un équipe multidisciplinare di progettisti scelti dall’Amministrazione Comunale sulla base dell’elenco dei professionisti qualificati dall’amministrazione con bando aperto. Il progetto mantenendo immutati i fronti esistenti lungo le vie Verdi e Filodrammatici conserva integralmente i caratteri esteriori della immagine attuale del teatro operando attraverso una razionalizzazione degli spazi interni ed un completo rifacimento di tutti i sistemi impiantistici meccanici ed elettrici esistenti. Un progetto soprattutto orientato ad assicurare una nuova funzionalità della struttura del palcoscenico attraverso il rinnovo della meccanica e di tutti gli spazi di servizio ad essa interconnessi. In particolare diversamente da quanto realizzato nella sede degli Arcimboldi la nuova macchina scenica progettata dall’Ing. Malgrande approfitta dello spazio laterale ricavato dove un tempo era ubicata la Piccola Scala per introdurre un sistema di piattaforme scorrevoli orizzontalmente in modo da ritrarre le scene, introducendo così un ulteriore grado di flessibilità oltre a quanto già consentito dal sistema delle piattaforme mobili della fossa scenica che si sprofonderà per oltre 18 metri dal piano del palcoscenico e dalla meccanica alta resa ancor più complessa da un doppio sistema di graticcie. Il notevole aumento del numero di coloro che operano attualmente in modo stabile nel Teatro alla Scala ha reso inoltre necessari nuovi spazi con spogliatoi, camerini, sale prova più numerosi ed ampi rispetto a quelli ospitati nella struttura esistente. Il progetto di Mario Botta chiamato dall’Associazione Temporanea di imprese, aggiudicataria dell’appalto delle
opere, alla redazione del progetto esecutivo, prende le mosse da questo quadro articolato di esigenze e di aspettative della collettività. Con grande attenzione e misura affronta la complessa realtà del manufatto alla ricerca di una ricomposizione unitaria dei caratteri architettonici dei nuovi volumi necessari attraverso la riscoperta di nuovi rapporti con la città. Proprio in questo senso il volume della torre scenica, viene liberato dal soffocamento dei volumi che le erano cresciuti accanto negli anni ricuperando tutta la chiarezza del primitivo impianto assiale che caratterizzava il progetto del Piermarini. Sullo stesso asse, nella parte retrostante, il corpo della torre scenica accoglie la successione verticale delle sale di prova per corpo di ballo e orchestra in modo da ricostruire un sistema organico di relazioni e di usi flessibili dello spazio attualmente perduti nell’intricato sistema di percorsi, scale e scalette che interconnettono il labirinto di ambienti esistenti dove ogni regola funzionale sembra essere andata perduta. Nella porzione di fabbricato che si allinea lungo la via Filodrammatici, quasi a sottolineare questa operazione di pulizia architettonica, l’insieme delle superfetazioni realizzate al di sopra dei tetti viene riordinato e riassunto in un unico volume autonomo di forma ellittica posto anch’esso a recuperare l’assialità del corpo di fabbrica parallelo al corpo del teatro, che si origina dal fronte del Casinò Ricordi parallelo. Un volume misterioso ed astratto in cui le aperture verranno mascherate da una tessitura di elementi in pietra verticali, immaginato, come suggerisce Botta “ per contrastare le parti figurative delle architetture del Piermarini e di quelle ottocentesche lungo la via Filodrammatici” . Grazie ad una struttura reticolare in acciaio il nuovo volume viene sollevato e leggermente distaccato rispetto al filo delle coperture del corpo ottocentesco. Un volume rivolto ad evocare la riorganizzazione degli spazi sottostanti che si allineano lungo la via Filodrammatici e soprattutto la presenza del nuovo vuoto che andrà ad arricchire lateralmente lo spazio scenico ricavato là dove oggi è ubicata la sala abbandonata della Piccola Scala. Al piano terra la corte interclusa alle spalle del Casinò Ricordi viene liberata dalle superfetazioni ed aperta verso l’altro a ridare nuova trasparenza e luminosità agli ambienti che furono dello storico ristorante Biffi. Negli spazi interni il progetto penetra nella struttura logorata dal tempo e sembra liberarne lo spirito vitale disegnando nuove regole funzionali e soprattutto nuovi legami per gli ambienti che si raccolgono attorno al grande vuoto dello spazio scenico. Contemporaneamente in ossequio a quanto previsto nel progetto definitivo viene avviato il restauro del corpo monumentale del teatro con il ripristino delle finiture antiche e l’adeguamento delle reti tecnologiche esistenti. Ma è soprattutto alla città che il progetto si rivolge quasi a rinnovare il bisogno di riscoperta d’antichi legami grazie ad una architettura conclusa e definita nelle sue linee essenziali, capace di salvaguardare il fascino e la memoria della struttura antica del teatro. Le superfici in pietra del grande volume cubico che emergerà al di sopra dei fronti conservati, esistenti, verranno trattate con una tessitura di aperture quadrate, che diverranno punti luminosi la notte, a riscoprire nella magia di questa trasfigurazione che sembra annullare la realtà materiale del manufatto, il segno delicato ed immaginifico del ritorno della Scala nella sua sede storica.
2003 Odissea della Scala. Dalla stampa
■ Un articolo di Vittorio Testa, intitolato La Scala del Duemila, su “ la Repubblica” del 27 luglio 1996 preannunciava i dubbi e le perplessità che sarebbero cresciuti nel tempo. Testa scriveva: “ Da anni ormai Milano si è condannata a una sorta di ergastolo civico, a una paralisi davanti alla quale far fronte alla normalità diventa una sfida epocale. Ora è la volta di ‘Scala Duemila’. E il maestro Riccardo Muti non fa mistero di temere che l’operazione possa avviarsi a un epilogo senza fine: ‘Scala Duemila? Speriamo che non diventi una 2001 Odissea nello spazio’. (…) Tutto, periodicamente, diventa emergenza (...) Adesso è arrivato il momento della Scala, l’ultimo mito rimasto in dote alla ‘milanesità’ (...) Di questo simbolo, per decenni Milano si è nutrita, si è data lustro: ma nessuno ha mai pensato ad ammodernare le strutture, il palcoscenico. (...) Il nuovo sovrintendente, Carlo Fontana, e il nuovo sindaco, il 1eghista Marco Formentini, si sono trovati il bel lascito di una Scala tanto famosa quanto obsoleta e il conseguente compito di dover fare in poco tempo quel che non si è fatto in trent’anni. La giunta comunale ha approvato il piano ‘Scala Duemila’. E cioè: costruzione di un nuovo teatro, alla Bicocca, periferia postindustriale che la Pirelli, chiusa la fabbrica, sta trasformando in un’area con abitazioni e il nuovo Polo universitario. Chiusura della Scala e rifacimento del palcoscenico; ristrutturazione dell’ex fabbrica dell’Ansaldo, da destinare a sede dei laboratori scaligeri. Trasloco degli spettacoli, a partire dalla stagione 1999, nel nuovo teatro. Ritorno nella sala del Piermarini per il 2001, l’anno delle grandi celebrazioni per il centenario verdiano. Occorrono 120 miliardi, per il reperimento dei quali il sindaco ostenta tranquillità, ma soprattutto tempi certi per le varie realizzazioni: e su questo aspetto temporale, la tragicomica e scandalosa storia del Piccolo teatro in perenne fase di ultimazione da 18 anni, mette i
brividi” . Con una domanda si concludeva l’articolo: “ Dunque questa nuova sfida milanese è di quelle decisive. Il fallimento avrebbe conseguenze forse irrecuperabili. Perché se umiliasse anche la Scala, Milano ferirebbe a morte parte della sua storia e della sua anima, e la sua stessa credibilità. Agli occhi del mondo, infatti, può esistere una Milano senza Scala?” ■ In un’intervista di Manuela Campari pubblicata su “ la Repubblica” il 9 settembre 1996, Carlo Fontana, sovrintendente alla Scala, chiariva le motivazioni di questa “ trilogia di interventi” , e definiva l’inadeguatezza del vecchio palcoscenico dell’edificio del Piermarini “ un’emergenza che sottolineo da almeno cinque anni. Da qui nasce l’intero progetto Scala 2000. (...) Se si vogliono esaltare le potenzialità artistiche del teatro, bisogna adeguare il palcoscenico e i laboratori, creare quindi le condizioni per una più razionale macchina produttiva. A lavori ultimati, avremo tre palcoscenici uguali: per le prove di scena all’Ansaldo, alla Scala, alla Bicocca. Tempi di produzione e costi verranno ridotti. E si potrà pensare a un ampliamento della programmazione, rispondendo finalmente a una domanda di pubblico che ora, per circa il 30 per cento, resta inevasa.” ■ Il progetto ‘Scala 2000’, dunque, stabilì la dipendenza dell’intervento di ristrutturazione dell’edificio del Piermarini dalla costruzione di quella che, allora, veniva chiamata Scala-Bis, attuale Teatro degli Arcimboldi. La sua vicenda è ormai nota: l’opera fu realizzata con un contributo di 27 miliardi della Pirelli, cifra da destinare al Comune di Milano a scomputo degli oneri di urbanizzazione per gli interventi edilizi eseguiti alla Bicocca. Il progetto, messo a disposizione dalla multinazionale, fu firmato dall’architetto Vittorio Gregotti, che curò anche la direzione lavori. L’intera vicenda fu segnata da complicazioni burocratiche riguardanti gli accordi tra il Comune, la Pirelli e la Fondazione Cariplo, che contribuì con un finanziamento di 10 miliardi, da perplessità sulla necessità di un’operazione tanto costosa, dai ricorsi dell’Ordine degli Architetti contro le procedure di affidamento diretto di opere pubbliche e da forti contrasti politici. In questo difficile clima si svolse la fase di approvazione del progetto Scala 2001: la delibera “ programmatoria” passò l’esame del consiglio comunale il 13 settembre 1996, ma l’approvazione definitiva si bloccò fra le polemiche, i ricorsi e le denunce. Gli equivoci erano molti: in quella delibera si prevedeva che per il teatro settecentesco del Piermarini si sarebbe
Giuseppe Piermarini, facciata del teatro alla Scala. Incisione di Mercoli.
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Teatro alla Scala di Milano: oggi va in scena la sua più grande opera di restauro e ristrutturazione dai tempi dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che affidò il progetto all’architetto Giuseppe Piermarini, dopo l’incendio del vecchio Ducale nel 1776. Il nuovo teatro, costruito al posto della chiesa trecentesca di S. Maria della Scala, venne inaugurato nel 1778. La lunga e complessa programmazione dell’intervento di ristrutturazione, iniziata nel 1991, è stata oggetto di polemiche e dibattiti nel mondo della politica e della cultura. Attraverso le pagine dei maggiori quotidiani possiamo ripercorrere le tappe di questa odissea, oggi non ancora conclusa.
Giuseppe Piermarini, sezione trasversale del Teatro alla Scala. Incisione di Mercoli.
Giuseppe Piermarini, sezione longitudinale del Teatro alla Scala. Incisione di Mercoli. indetto un concorso internazionale, ma proprio in quei giorni venne resa pubblica una vecchia delibera, approvata nel ’91 dalla giunta Pillitteri, che affidava a cinque professori del Politecnico, tra cui l’architetto Migliacci e l’ingegner Martinez y Cabrera, un progetto di ristrutturazione del Teatro alla Scala. Il progetto prevedeva la costruzione di tre palchi mobili, da effettuarsi senza l’interruzione della programmazione teatrale: fu pagato, ma mai realizzato perché giudicato impraticabile. Elisabetta Soglio scriveva sul “ Corriere della Sera” del 15 ottobre 1996: “ Un nuovo mistero crea l’ennesimo intoppo all’operazione voluta dalla giunta Formentini per il nuovo teatro alla Bicocca. Il Pds ha presentato ieri un’interrogazione urgente in cui ricorda, dati e date alla mano, che dal ‘90 ad
oggi le varie amministrazioni comunali hanno speso 2 miliardi e 385 milioni per pagare i progetti esecutivi per la ristrutturazione del Piermarini, sede storica della Scala, e dei Padiglioni dell’Ansaldo. Come se nulla di tutto questo fosse mai stato voluto, commissionato, approvato e pagato, la giunta Formentini ha ricominciato l’operazione da capo, affidandosi alla Pirelli che ha proposto un nuovo progetto esecutivo per la Scala-uno e l’operazione Scala-due alla Bicocca” . Per questa vicenda il senatore di An Riccardo De Corato presentò un esposto alla Corte dei Conti nel gennaio del 1997. ■ Nel frattempo l’amministrazione comunale stanziava fondi per gli interventi tampone più urgenti alla Scala, come quello di 1 miliardo e duecento milioni per rifare com-
Teatro alla Scala vista da via Santa Margherita, litografia miniata 1850. Raccolta Stampe sec. XIX A. Bertarelli, Milano.
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Giuseppe Piermarini, pianta del pianterreno del Teatro alla Scala. Incisione di Mercoli.
Pianta al piano del ridotto dei palchi, in alto a sinistra la Piccola Scala; pianta al piano della platea aggiornata al 1970.
pletamente il tetto. L’operazione Scala 2001, che faceva del rispetto dei tempi la sua condizione essenziale, fra ricorsi, veti incrociati e infiniti passaggi burocratici non fu portata a termine dalla giunta Formentini, che fu costretta a “ passare la palla” alla giunta di centro destra del sindaco Gabriele Albertini, nella primavera del 1997.
Arcimboldi occorreva una gara internazionale e quindi il Comune di Milano, affidando l’opera direttamente ai privati, aveva violato la direttiva europea. La decisione dei giudici europei giunse troppo tardi per avere ripercussioni sul cantiere e il nuovo teatro fu inaugurato, come da programma, il 19 gennaio 2002.
■ Laura Matteucci scriveva su “ Mattina” , vecchio inserto de “ l’Unità” , il 4 luglio 1997: “ In Comune riparte l’operazione Bicocca, dove la Scala si trasferirà non più tra il ’99 e il 2001, ma dal 2001 al 2003.” La giornalista proseguiva commentando: “ Più rassegnato che soddisfatto il vicesindaco Riccardo De Corato, che da consigliere di An aveva battagliato parecchio contro l’operazione Pirelli: ‘Ormai, le procedure pregresse – dice – non ci danno la possibilità di annullare tutto. Se lo facessimo, la Pirelli aprirebbe con l’amministrazione un contenzioso miliardario. E io non me la sento proprio di mettere il Comune in una condizione simile’.” A conclusione leggevamo: “ Il vero cambiamento, in realtà, pare consistere nel fatto che la Scala festeggerà il centenario verdiano sempre nella sede del Piermarini, invece che completamente ristrutturata, soltanto rimessa un po’ in sesto qua e là. (…) Durante le ferie estive verranno realizzati alcuni interventi di manutenzione straordinaria. Per i quali, oltretutto, la giunta ha intenzione di servirsi dei vecchi progetti di Migliacci e Cabrera, che Fontana aveva già accantonato” .
■ Il grande progetto Scala 2001 proseguiva. I laboratori all’Ansaldo debuttarono nel febbraio del 2001, dopo tre anni di restauro, condotto dall’ingegner Franco Malgrande, direttore dell’allestimento scenico della Scala, con il supporto della Pirelli. Venivano così riconsegnati 19.000 metri quadrati di spazio di una storica fabbrica milanese, in cui avrebbero lavorato 150 artigiani e operai per la costruzione delle scenografie della Scala.
■ La giunta Albertini si mise subito al lavoro. Nel dicembre ‘97 venne approvata dal Polo una delibera che annullava quella di settembre ‘96 della giunta Formentini: il progetto “ Scala bis” da costruire alla Bicocca, concepito come un teatro all’italiana con platea piccola e tante file di palchi, veniva sostituito con il progetto del Teatro degli Arcimboldi, auditorium alla tedesca da 2.500 spettatori, con grande platea e due piani di gallerie. Nei mesi successivi il progetto venne definitivamente approvato e, nell’ottobre del 1998 il Comune rilasciò le concessioni edilizie necessarie: questi permessi vennero sospesi nel dicembre dello stesso anno, ad una settimana dall’inizio previsto dei lavori, a causa di un ricorso al Tar da parte dell’Ordine degli Architetti di Milano, per il mancato rispetto delle normative comunitarie sull’affidamento degli incarichi di opere pubbliche. Il Tar chiamò in causa la Corte europea di Giustizia; nel frattempo il cantiere venne sbloccato, nel febbraio del 1999, dal Consiglio di Stato e si diede inizio alla costruzione del nuovo teatro. A pochi mesi dal termine dell’opera, il 12 luglio 2001, dopo più di tre anni da quel ricorso, la Corte europea di Giustizia pronunciò l’attesa sentenza: per la progettazione e la costruzione del nuovo teatro degli
■ Riguardo al terzo e più importante intervento del progetto ‘Scala 2001’, quello di ristrutturazione dell’edificio piermariniano, il progetto definitivo venne approvato con una delibera comunale il 16 marzo 2000, in attesa di acquisire il parere della Soprintendenza e venne ufficialmente presentato dall’amministrazione comunale all’inizio di aprile. Un articolo di Pierluigi Panza, pubblicato il giorno 5 sul “ Corriere della Sera” , comunicava la notizia: “ Dal gennaio 2002 al settembre 2004 il Teatro alla Scala chiuderà per restauri. Saranno investiti 108 miliardi per un intervento conservativo della sala e per il rifacimento del palco, dei servizi e degli impianti. (...) Da oggi vengono pubblicati i bandi per l’appalto. Le ditte potranno rispondere entro maggio. A luglio sarà annunciato il vincitore che, fatti salvi eventuali ricorsi al Tar, avrà quattro mesi per presentare i progetti esecutivi. (...) Il progetto è stato presentato ieri dal sindaco Gabriele Albertini (...). Mentre la sala sarà sottoposta a restauro conservativo, con sostituzione delle poltroncine e della copertura del pavimento, il palcoscenico sarà completamente rifatto. Una scelta dolorosa, ma necessaria per adeguarlo alle tecniche odierne. (...) La riorganizzazione della torre e dei servizi di scena verrà realizzata attraverso la demolizione di tutti i corpi retrostanti il sipario e la realizzazione di un nuovo volume di tre metri più alto dell’attuale. - Il vicesindaco De Corato spiegava - ‘Il nuovo spazio scenico sarà una ‘T’ di 1600 metri quadrati, tra palcoscenico, retropalco e spazio laterale’, ricavato, quest’ultimo, con la cancellazione dell’ex Piccola Scala. Intorno ad esso troveranno collocazione i nuovi uffici e camerini e, ai piani superiori, quattro sale prove. Per la realizzazione degli uffici è prevista la demolizione dell’edificio a fianco dell’ex Casino Ricordi. Il progetto conservativo dell’area monumentale prevede invece il recupero del foyer, del ridotto, della sala e dell’ex Casino Ricordi. Al
■ Furono immediati gli appelli allarmati di chi pensava che si stesse avviando la distruzione di un patrimonio da difendere e si rischiasse di rovinare l’acustica perfetta della Scala: si costituì anche un Comitato, su iniziativa di Luisa Secchi Tarugi, figlia dell’ingegnere che ricostruì il teatro dopo la guerra, a cui aderirono 5 mila firme, tra le autorevoli quelle di Dario Fo e Franca Rame. Addirittura venne chiamato in causa il sottosegretario ai Beni culturali, Vittorio Sgarbi, in seguito alla richiesta di intervento da parte di Carla Fracci e di alcune associazioni. Il 25 agosto, in un articolo di Giuseppina Piano su “ la Repubblica” leggevamo le sue dichiarazioni: “ Farò un sopralluogo alla Scala. E se i nostri tecnici ci diranno che il rischio di perdere l’integrità acustica è forte, il vincolo del palcoscenico diventerà un atto dovuto” . Le dichiarazioni in difesa del progetto seguivano a ruota. Il sovrintendente Carlo Fontana rispondeva il 26 agosto sulle pagine di “ la Repubblica” all’intervento di Sgarbi, assicurando che “ i lavori ormai imminenti non possono certo peggiorare l’acustica del teatro, servono semmai a migliorarla” . Le parole del direttore d’orchestra Riccardo Muti, che leggevamo nell’articolo di Rodolfo Sala su “ la Repubblica” del 31 agosto, esprimevano ottimismo: “ quando la Scala riaprirà credo proprio che la sua acustica sarà migliore di quanto non sia adesso.” In seguito al sopralluogo effettuato presso il Teatro alla Scala, Vittorio Sgarbi dichiarava sulle pagine del “ Corriere della Sera” il 14 settembre 2001: “ Ho potuto accertare l’assoluta necessità di un restauro. (…) La Scala è una casbah da rendere più razionale (…) Il re-
stauro non metterà in discussione l’acustica del teatro, me lo ha assicurato Muti” . Nell’articolo si leggeva in seguito: “ Il richiamo a ‘salvare il salvabile’ riguarda invece due significativi elementi di cui l’attuale intervento prevede la rimozione: la Piccola Scala, un teatrino del 1955 adiacente al palcoscenico e da anni in disuso, e la vera e propria macchina scenica progettata dall’ingegner Secchi negli anni Quaranta. (…) L’ipotesi più probabile, ventilata dal sovrintendente Fontana, è quella di pensarne il rimontaggio ‘nei nuovi padiglioni dell’Ansaldo’. Diventerebbe, in sostanza, un bene museale. Questa soluzione al limite può essere usata anche per il vecchio palcoscenico. Tuttavia (…) Sgarbi suggerisce la supervisione di un tecnico specializzato che possa collaborare con quelli della Scala. (…) Si è fatto il nome di Pierluigi Cervellati che ha già operato nella conservazione di palchi teatrali” . Il 3 ottobre, sullo stesso quotidiano, Pierluigi Panza scriveva: “ La Piccola Scala si salverà: ‘Verrà smontata e portata all’Ansaldo’. Un piccolo successo di Sgarbi. La conferma di questa operazione viene dal sindaco Albertini, il quale lascia intendere che (…) anche il vecchio palcoscenico potrebbe andare all’Ansaldo” . Dopo poche settimane, il 27 ottobre, sulle pagine de “ la Repubblica” un articolo di Raffaele Lo Russo ci faceva intendere che la questione non era ancora risolta. Sgarbi, non convinto del progetto definitivo dell’ingegner Parmegiani, dichiarava: “ Alla Scala ho imposto una pausa di riflessione. Ho consigliato di chiamare l’architetto Mario Botta, un tecnico ticinese, e di riflettere per un mese (…) Il nuovo progetto prevede una serie di mobilità che avrebbero prodotto danni sul piano architettonico” . Il giornalista concludeva l’articolo con una domanda: “ Il prossimo 31 dicembre, la Scala chiude e l’attività si trasferisce al nuovo Teatro degli Arcimboldi (…) Contemporaneamente, alla Scala dovrebbero iniziare i lavori. Ma, a questo punto, con quali criteri? E con quali tempi?” Fervevano i preparativi per il trasferimento degli spettacoli scaligeri. Sul “ Corriere della Sera” del 2 novembre 2001, Pierluigi Panza scriveva: “ Si taglia, si cuce, si stira, s’incolla, si sega, si salda, si lima, si pialla. Nella fucina della Scala, i 19 mila metri quadrati dell’ex Ansaldo, quasi 200 operai sono al lavoro per realizzare scene e costumi dell’ultima ‘prima’ al Teatro del Piermarini: l’Otello” . La Scala chiudeva, con una festa, il 31 dicembre 2001. Il 19 gennaio 2002 la Traviata di Giuseppe Verdi, diretta dal maestro Riccardo Muti, inaugurava il neonato teatro degli Arcimboldi, costruito in 27 mesi. ■ Restauro della Scala, pronti via: nell’articolo di Paola Zonca, pubblicato su “ la Repubblica” del 19 marzo 2002, leggevamo: “ Il vice-
13 Mario Botta, restauro e ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano. Pianta livello palcoscenico.
Mario Botta, restauro e ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano. Pianta sopra i tetti.
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piano terra sarà riorganizzato il Biffi, che diventerà, alla riapertura, un ristorante gestito dal teatro. (...) Per la sala sono previsti gli adeguamenti degli impianti tecnologici. (...) Cromaticamente il teatro rimarrà identico” . Una delibera comunale del 27 luglio 2000, affidò gli incarichi per singole competenze ad alcuni professionisti esterni: all’ing. Berti veniva affidata la “ Progettazione preliminare e definitiva impiantistica” ; all’ing. Parmegiani la “ Progettazione definitiva architettonica” ; all’arch. Elisabetta Fabbri la “ Progettazione definitiva del restauro conservativo” ; all’Ing. Franco Malgrande il compito di provvedere alla “ Progettazione definitiva degli impianti scenotecnici” ; agli ing. F. Martinez y Cabrera e G. Salvatoni si attribuiva l’incarico della “ Progettazione definitiva strutturale” . Il valore economico di ciascuno dei suddetti incarichi, singolarmente considerati, era inferiore a quello di applicazione della direttiva comunitaria sugli appalti di servizi, pertanto l’Amministrazione non ricorse all’effettuazione di una gara.
Mario Botta, restauro e ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano. Sezione longitudinale. sindaco Riccardo De Corato ha dato ieri il via al cantiere consegnando le aree esterne all’edificio alla ‘CCC’ di Bologna, l’impresa che realizzerà l’intervento sotto la direzione dell’ingegnere del Comune Antonio Acerbo. Sono 859 i giorni di lavoro previsti (…) fino a quel 12 ottobre 2004 indicato come data di riconsegna del teatro alla città. (…) C’è solo un’incognita: l’approvazione di quel 10 per cento del progetto che ancora sta sul tavolo del Ministero ai Beni Culturali e che riguarda i volumi emergenti (il tetto) derivanti dall’innalzamento della torre scenica. A rivederlo è stato l’architetto ticinese Mario Botta. ‘Contiamo di avere il nulla osta entro due mesi – ha sottolineato De Corato – Abbiamo già ricevuto il via libera di massima dalla soprintendenza, e avuto numerosi contatti con il ministro e Sgarbi’. Ci vorrà un mese per la palizzata, poi si partirà con la demolizione, che durerà nove mesi fino a dicembre e interesserà 81 mila metri cubi. Nello stesso periodo si svolgeranno gli interventi di restauro. Dall’autunno 2002 all’autunno 2003 verranno realizzati la nuova torre scenica e i servizi, mentre dalla primavera 2003 all’autunno 2004 saranno completati gli impianti e le distribuzioni interne degli spazi. ‘Il vecchio palco non sarà distrutto – ha confermato De Corato – ma mu-
sealizzato all’Ansaldo’ (…) Sull’impegno economico, De Corato ha polemizzato col governo: ‘Il costo è di 95 miliardi (49 milioni e 181 mila euro), tutti a carico del Comune. Il governo si è molto interessato al restauro, ma non ha previsto di dare una lira.” A conclusione dell’articolo si leggeva: “ Intanto c’è chi è contrario al rifacimento del palco: giovedì Legambiente organizzerà un girotondo di protesta (ma per distinguersi preferisce chiamarlo ‘abbraccio’) attorno alla Scala” . ■ Come se si ripetesse una situazione già verificatasi all’apertura del cantiere alla Bicocca, il 9 maggio su “ la Repubblica” Luca Fazzo scriveva: “ E adesso sulla Scala indaga la magistratura. Ieri la polizia giudiziaria (…) ha sequestrato gare d’appalto e progetti relativi alla ristrutturazione della sede ‘storica’ del più famoso teatro lirico del mondo (…) A fare scattare l’inchiesta della magistratura è stato un esposto presentato venti giorni fa da Legambiente, in cui si denunciava come i lavori fossero partiti senza nemmeno il controllo della Sovrintendenza per i beni storici e come il progetto fosse stato affidato senza gara d’appalto. Ieri la perquisizione. Che arriva praticamente in contemporanea con la partenza dei lavori di demolizione” .
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■ L’11 maggio 2002 la “ vecchia Signora della Lirica” era sulle pagine dei maggiori qutidiani, in seguito alla presentazione del progetto esecutivo dell’architetto Mario Botta. Su “ la Repubblica” Paola Zonca scriveva: “ Sopra la Scala, il simbolo di Milano nel mondo, spuntano due strutture nuove, una a forma di parallelepipedo proprio al centro, l’altra ellittica sul lato sinistro. Una vera e propria rivoluzione che si deve all’architetto Mario Botta, che oggi ha svelato ogni mistero in un’affollatissima conferenza stampa, presenti anche il sottosegretario ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi, il sindaco di Milano Gabriele Albertini e il sovrintendente scaligero Carlo Fontana. Si può dire che solo la sala rimarrà tale e quale (…). La torre scenica sarà innalzata di tre metri (…), il palcoscenico avrà la profondità complessiva di 70 metri, la struttura ellittica ospiterà mensa, camerini, uffici. Unico punto controverso: le due torrette costruite durante il fascismo sopra la torre scenica. Sgarbi suggerisce di tenerle, Botta preferirebbe eliminarle per dare maggior risalto al contrasto architettonico tra antico e moderno” . Sui tempi - si era parlato di inaugurazione il 7 dicembre 2004 - l’architetto Botta metteva le mani avanti: “ Il tempo non basta mai. Chissà cosa si troverà sotto (...) Sarei felice se tra trenta mesi si potrà riaprire la Scala” . Carlo Brambilla aggiungeva sullo stesso quotidiano: “ Un annuncio alla città, in conferenza stampa, che suona come uno schiaffo all’intero Consiglio comunale, completamente all’oscuro dei dettagli del progetto esecutivo di Botta. ‘È pensabile che una conf erenza stampa sostituisca l’approvazione del Consiglio comunale? – Si è interrogato incredulo Piero Rutelli, consigliere della Margherita – Il Consiglio è stato chiamato a votare sul progetto preliminare e su quello definitivo, ma non su quello esecutivo. Può funzionare così la democrazia?’” . A queste opposizioni il sindaco Albertini rispondeva: “ Tutto regolare e tutto trasparente” e il vicesindaco De Corato annunciava l’apertura del sito www.cantierescala.it, per seguire in diretta l’avanzamento dei lavori. Lo stesso giorno, sulle pagine de “ Il Giornale” , Mario Botta rispondeva a chi parlava di distruzione della Scala: “ Non si snatura proprio niente. Si tratta semplicemente di riorganizzare gli spazi. La situazione attuale (...) verrà riordinata con le due strutture, ricoperte di pietra di Vicenza o botticino” . Positivi i commenti di Sgarbi sul progetto, li leggevamo sul “ Corriere della Sera” : “ Il parallelepipedo e l’ovale hanno funzionalità e neutralità. Sono volumi puri che cercano di coniugarsi in un dialogo” . Nei mesi successivi associazioni, comitati e politici si mobilitarono in una battaglia per la difesa della Scala: Legambiete e “ Salviamo Milano” presentarono un esposto alla Procura per “ possibile danno am-
Mario Botta, restauro e ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano. Modello. bientale” causato dalla demolizione del vecchio palcoscenico; Italia Nostra proponeva di realizzare in carton-gesso i nuovi volumi progettati da Botta e di montarli sul tetto per valutare l’intervento prima della sua realizzazione; l’assessore al Commercio Roberto Predolin suggeriva di proiettare su un maxischermo, davanti alla facciata del Teatro alla Scala, alcune storiche opere liriche. ■ Quanto possiamo aggiungere è cronaca di questi giorni. Lo scorso 11 settembre, sul “ Corriere della Sera” , leggevamo l’articolo di Pierluigi Panza: “ Nessuna sospensione dei lavori, né un’azione di sequestro. Il giudice per le indagini preliminari Bruno Giordano ha respinto la richiesta presentata dalle associazioni ambientaliste che chiedevano di bloccare il restauro del Teatro alla Scala. (...) Anche il Tribunale amministrativo regionale, al quale era stato presentato un secondo esposto, ha negato la sospensiva dei lavori, ma si pronuncerà con discussione di merito il 23 ottobre. (...) Tutto finito? Neanche per sogno. Queste decisioni infatti non frenano l’opposizione nel chiedere al vicesindaco la possibilità di visitare il cantiere.” Il 24 ottobre Massimo Pisa scriveva su “ la Repubblica” : “ Nessuna sospensione dei lavori alla Scala. Almeno fino alla sentenza della seconda sezione del Tar Lombardia sul ricorso di Legambiente, Polis Onlus e Milanolibri contro il progetto di ristrutturazione del Piermarini. (…) Il cantiere alla Scala andrà dunque avanti, in attesa di una decisione che potrebbe bocciare il progetto dell’architetto Mario Botta” . Secondo i ricorrenti, infatti, il pro-
getto dell’architetto ticinese più che “ esecutivo” è una vera e propria innovazione, con un impatto accentuato e i due volumi sul tetto ridisegnati ex novo. Intanto va avanti da mesi il braccio di ferro tra consiglieri comunali d’opposizione e giunta comunale, per la richiesta da parte dei primi di visitare il cantiere del teatro: le opposizioni ritengono “ incomprensibile che l’oggetto di una procedura di evidenza pubblica come l’appalto sia escluso dal controllo diretto dei rappresentanti dei cittadini” . Il 30 ottobre è stata firmata da Marilena Adamo ed Emanuele Fiano, dei Ds, e dall’ambientalista Milly Moratti, una richiesta di intervento del prefetto, per verificare i motivi del “ no” all’ingresso al cantiere. La risposta del sindaco Albertini sul “ Corriere della Sera” del 3 novembre: “ Sul cantiere della Scala non c’è alcun mistero, semplicemente ci sono indagini in corso” e proseguiva “ per il momento i giudici devono avere uno spazio di serenità e silenzio (…) per non essere influenzati dalle pressioni inevitabili” . Più categorico, invece, il vicesindaco De Corato, che adduceva “ motivi di sicurezza” . Il 6 novembre il “ misterioso cantiere” della Scala viene finalmente visto, non solo da chi l’ha richiesto per mesi, ma da tutti i cittadini: le pagine de “ La Stampa” pubblicavano un’impressionante servizio fotografico di Alessandro Calderoni che mostrava l’interno del teatro sventrato. Nei giorni successivi le telecamere di Striscia la notizia hanno portato sui nostri schermi delle riprese aeree che non lasciano più dubbi su quanto è stato finora demolito all’interno dela Scala. Immediate le rassicurazioni del Co-
mune, dell’architetto Botta e del ministro Urbani, che assicura il controllo del cantiere da parte della soprintendenza. 7 dicembre 2002: “ Ristrutturazione della Scala illegittima” . Ma solo in part: il Tar non sospende i lavori. L’articolo di Paolo Sciortino su “ La Stampa” annuncia l’attesa sentenza: “ La sentenza è piovuta come un macigno proprio nel giorno della Prima. Per i giudici del Tar, cui avevano fatto ricorso gli ambientalisti e le opposizioni, il progetto di Mario Botta per la ristrutturazione del teatro alla Scala è nientemeno che ‘illegittimo’. Ma i lavori non verranno sospesi, nè fermati. (...) Il tribunale amministrativo - accogliendo solo uno dei 16 punti contestati dai legali ambientalisti - nel dispositivo ha spiegato che (...) il provvedimento con cui nel marzo scorso il Comune assegnò la realizzazione esecutiva del cantiere all’architetto svizzero, dopo la bocciatura della Sovrintendenza sulle revisioni di volumetria dell’originario progetto dell’architetto Parmeggiani” (in realtà si tratta dell’ing. Parmegiani) “ è, di fatto ‘innovativo’. Si tratterebbe insomma di un progetto diverso, approvato, come si legge nella sentenza del Tar, ‘in spregio delle competenze della giunta’.” L’articolo di Luca Fazzo e Paola Zonca su “ la Repubblica” dello stesso giorno, riporta le parole del vicesindaco De Corato: “ I lavori vanno avanti, perché il Tar ha accolto solo uno dei sedici punti del ricorso. Una vicenda formale che risolveremo quanto prima con una semplice delibera di giunta” . Sul “ Corriere della Sera” Rossella Verga scriveva parole poco rassicuranti: “ Nel momento in cui la giunta procederà all’approvazione del progetto Botta, ovvero, secondo il Comune, ‘di una parte solo aggiuntiva del progetto Parmeggiani già approvato’, i ricorrenti ritengono di potersi appellare al Consiglio di Stato. Chiederanno di rifare la gara d’appalto” . L’ultima notizia che possiamo riportare è quella di mercoledì 11 dicembre. Luca Pagni scrive su “ la Repubblica” : “ Su il sipario nel cantiere negato. A sei mesi dalla prima richiesta, il sindaco Alberini e la giunta di centrodestra, hanno dato il via libera al sopralluogo. Fra una settimana, giovedì 19, i consiglieri comunali di opposizione vedranno soddisfatta la domanda che era stata presentata fin dal maggio scorso. Poter controllare di persona lo stato di avanzamento dei lavori di demolizione e ristrutturazione del teatro del Piermarini.” ■ In attesa che il sipario si rialzi, il 7 dicembre 2004, sull’opera di Antonio Salieri, L’Europa riconosciuta, a ricordare l’inaugurazione del teatro del Piermarini il 3 agosto 1778, non ci resta che sperare di ritrovare davvero quel giorno “ l’ultimo mito rimasto in dote alla ‘milanesità’” , perché “ agli occhi del mondo, può esistere una Milano senza Scala?” . A cura di Roberta Castiglioni
A cura della Redazione
Il caso della Scala della verità storica considera “ monumento autentico” solo ciò che si mantiene in una fissità cadaverica e non tiene conto che ogni costruzione subisce un processo metabolico di mutazione nella continuità, come un qualsiasi organo vivente. Negli oltre duecento anni di vita del Teatro è stata inventata la luce elettrica, l’uso dell’energia elettromeccanica, gli ascensori, l’aria condizionata. Sono avvenuti cambiamenti storici epocali che è inutile ricordare. I piccoli adattamenti ai tempi diversi sono avvenuti nella continuità ed hanno permesso che, pur cambiando, la Scala rimanesse la Scala. Ora si propongono radicali mutazioni che distruggeranno davvero l’autenticità del Teatro. D’ora in poi il cuore del Teatro, il suo apparato scenico, sarà un’altra cosa. Non si può giustificare in nome della razionalità un intervento che poteva essere davvero compiuto come un’attenta, possibile, anche radicale ristrutturazione degli impianti scenici e dei servizi, che però non comportasse necessariamente la demolizione del palcoscenico, della torre scenica Piermariniana e degli edifici storici annessi. La movimentazione delle scene era stata realizzata dall’ing. Luigi Secchi nel 1937 con un impianto che per duttilità d’impiego, facilità di manovra e organizzazione era da tutti considerato un capolavoro ancora non eguagliato ed era perfettamente funzionante. Non tutti sanno che l’impianto sce-
La statua di Verdi nell’atrio (da: Comune di Milano, Milano 1945-1955, 1955).
Veduta verso la platea dal palcoscenico. nico del “ moderno” Teatro Arcimboldi non è dotato di tutti quegli accorgimenti che permettevano nel “ vecchio” Teatro alla Scala performances non più possibili con le attuali attrezzature. La difficile coesistenza tra una tradizione teatrale prestigiosa e le inevitabili concessioni alla realtà attuale (non sempre migliore) era risolta brillantemente con i vecchi impianti e non sarà più possibile con le nuove strutture: la considerazione perciò che fosse inevitabile sacrificare le strutture storiche degli impianti scenici (un bene materiale importante) perché potesse sopravvivere in spazi nuovi (moderni?) la tradizione teatrale scaligera (il bene immateriale più prezioso) credo sia speciosa e costituisca forse l’errore culturale più grande. È avvolta nel mistero la nuova risposta acustica prodotta dalla metamorfosi del palcoscenico. Tutta la progettazione del nuovo spazio scenico è incentrata sulle movimentazioni sempre più complesse richieste dalla moderna concezione delle strutture mobili e non sembra tener in debito conto la riflessione del suono. L’acustica del teatro storico, una volta celebrata in modo leggendario, è oggi invece oggetto di denigrazione, tanto da giustificare ogni possibile modifica. Ma è così vero? Si sono fatti studi rigorosi in proposito? In definitiva io credo che sia improponibile spostare il ragionamento sul progetto, da una valutazione sulla liceità dell’operazione ad una sulla qualità del nuovo intervento dell’architetto Botta. E, a proposito, perché per l’incarico è stato scelto l’architetto Botta, artista importante ma come tanti altri? Qual è la “ ratio” di quest’incarico? Non è che ancora una volta si debba rimpiangere la mancanza di un serio e trasparente Concorso Internazionale, come l’importanza del progetto richiedeva? Penso infine che si debba riflettere, come cittadini e persone di cultura, sullo svolgimento della vicenda della Scala. Le istituzioni (la Fondazione della Scala, il Comune di Milano, il Ministero dei Beni Culturali, il mondo dell’informazione) nello svolgere il loro ruolo hanno promosso, favorito, determinato la distruzione di un monumento così importante per la città, così amato dai suoi (ahimè distratti e disinformati) cittadini, così famoso nel mondo.
Si è deciso senza informare l’opinione pubblica, del tutto indifferenti a possibili condivisioni o dissensi. Si è elaborato un progetto (redatto dall’ing. Parmeggiani e dall’ing. Malgrande) che ha ricevuto un’approvazione in Giunta Comunale anche in assenza di un parere vincolante della Sovrintendenza ai Monumenti (parere che si è dimostrato poi sfavorevole al progetto). Questo progetto è stato oggetto di uno stanziamento di fondi e si è deciso di indire una gara d’appalto secondo la formula dell’appalto integrato. L’appalto è stato vinto da un consorzio d’imprese. Nel frattempo da Roma perveniva a Milano un parere contrario al progetto Parmeggiani ed allora le imprese appaltanti incaricavano l’arch. Mario Botta di rifare il progetto che era stato oggetto dell’appalto. Il nuovo progetto dell’arch. Botta, ancora tutt’oggi allo stato di progetto preliminare di massima, è stato entusiasticamente presentato al pubblico dal vicesindaco Decorato e dato come approvato come variante di un progetto precedentemente approvato, perché le differenze quantitative e di costo erano inferiori al cinque per cento. Il parere favorevole al progetto Botta è ora anche consolidato dalla Soprintendenza. In realtà non capisco bene perché un nuovo progetto di massima (in scala 1:200) sia considerato assimilabile ad un vecchio progetto, solo perché quantitativamente non sostanzialmente diverso. Un chilogrammo di mele è sempre diverso da un chilogrammo di pere, direbbe il buonsenso di un contadino. Per avere un autorevole parere in proposito, siamo ricorsi al T.A.R. e siamo in attesa di sentenza. Va detto che entrambi i progetti prevedevano l’abbattimento della Torre Scenica del Piermarini, della Piccola Scala, degli Edifici Storici annessi e che il vicesindaco con energia insensibile ha proceduto ai lavori di demolizione. Il palcoscenico dell’ing. Secchi più non esiste, la Torre Scenica del Piermarini è demolita e dalle opache cesate di cantiere, alte più di trenta metri, occhieggiano le finestre della quinta muraria esterna che pudicamente maschererà solo parzialmente lo scempio demolitorio. Non sempre basta aver ragione per vincere. Mario Morganti Presidente di Polis onlus
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Io vorrei tranquillizzare Fulvio Irace (“ Abitare” , n. 419). Sono un “ conservazionista per partito preso” , almeno nel caso della Scala, ma non rabbrividisco per la soluzione dell’architetto Mario Botta proposta come “ radicale trasformazione tecnica del palcoscenico e dei suoi annessi” ; (finalmente ecco qualcuno che, per lo meno, definisce in modo onesto quanto è proposto in progetto). La considero piuttosto una cattiva azione, non necessaria, perpetrata nei confronti di un monumento simbolo della città. Credo di non essere il solo a pensarla così, se perfino nelle relazioni ufficiali di progetto si dice ipocritamente trattarsi complessivamente di un’opera di restauro, anche “ rigoroso” e (ridicolmente) addirittura “ filologico” quasi che le parole usate smentiscano ciò che le ruspe clamorosamente stanno compiendo: la demolizione di circa il sessanta per cento della volumetria del complesso scaligero. Chi applaude al rifacimento con forme diverse perché “ introduce un principio di razionalità progettuale” , giustifica la necessità di questo strano procedimento. L’operazione è contraria ad ogni interpretazione del restauro, anche la più disinvolta. È stato detto che in realtà il Teatro non è più quello originale del Piermarini, ma un vestito di Arlecchino, formato da mille aggiunte e rifacimenti che ne hanno distrutto l’autenticità: questo concetto statico
La mostra inaugurale Le stanze dell’arte. Figure e immagini del XX secolo è il titolo della mostra inaugurale (15 dicembre 2002 - 13 aprile 2003) volta ad esplorare l’identità culturale del Mart attraverso le sue raccolte d’arte più significative, arricchite dalla presenza di un centinaio di capolavori dell’arte del XX secolo quali Picasso, Léger, Kandinsky, Klee, Warhol, Boccioni, Modigliani, Morandi, Severini, Balla, Depero. L’esposizione mette in luce affinità artistiche, rivelate da confronti originali, tra alcuni dei massimi artisti del secolo passato e i maggiori protagonisti delle raccolte d’arte del Mart. In occasione dell’evento inaugurale, viene proposta inoltre un’immagine inedita dell’Archivio del ‘900 con un allestimento che accosta ai documenti più rari opere di artisti contemporanei dedicate al tema L’archivio e la sua immagine.
Apre il Mart
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Non solo museo, ma anche laboratorio dell’arte e delle idee: domenica 15 dicembre 2002 il Mart apre al pubblico la sua nuova sede di Rovereto, che va ad aggiungersi a quella di Palazzo delle Albere a Trento e alla Casa Museo Depero di Rovereto. Completamente rinnovato, il Mart ha oggi una nuova veste museografica, articolata nei 12.000 mq delle sue ampie sale, di cui 6.000 dedicati all’arte del XX e XXI secolo,
e più di 5.000 occupati da aree per lo studio e la ricerca, la didattica e i servizi. Grande protagonista di questa inaugurazione è l’edificio progettato da Mario Botta con la collaborazione di Giulio Andreolli. La nuova sede del Mart, realizzata secondo i massimi standard di qualità, si affaccia su una grande piazza posta al centro dell’edificio come un’antica agorà. Il museo si articola su quattro piani: al piano terreno si trovano la recep-
tion, l’area informativa, i servizi al pubblico, il book-shop, la caffetteria, la sala conferenze e il guardaroba; al piano interrato l’Archivio del ’900 e la Biblioteca; al primo le aree dedicate all’attività espositiva temporanea, la sezione didattica, gli uffici; al secondo, in un’area di 3.800 mq, è esposta la collezione permanente del museo, costituita da una ricca raccolta d’arte di profilo italiano, con aperture internazionali, dal Futurismo ai giorni nostri.
La collezione permanente Oltre 7.000 opere tra dipinti, disegni, incisioni e sculture rappresentano il prezioso patrimonio del Mart, che documenta particolarmente il movimento italiano del Futurismo. Una delle parti di maggior rilievo nel percorso espositivo della nuova sede è costituita dalle opere di Fortunato Depero, insieme ai lavori di altri esponenti futuristi come Balla, Carrà, Severini e Prampolini. Il Novecento italiano è rappresentato da opere di particolare pregio, come quelle della collezione Giovanardi, che annovera capolavori di Campigli, Licini, Sironi, Carrà, de Pisis e un nucleo eccezionale di 21 dipinti di Morandi.
L’Archivio del ‘900 raccoglie preziosi fondi storici acquisiti nell’ultimo decennio. Rappresenta in un certo senso l’identità culturale del museo e ne definisce i percorsi della ricerca. L’attuale fisionomia dell’Archivio è caratterizzata da specifici ambiti d’interesse, quali il Futurismo e l’architettura razionalista,
La biblioteca Negli ultimi cinque anni la biblioteca del Mart, specializzata nella storia dell’arte del XX secolo, si è notevolmente arricchita, grazie ad acquisti e donazioni, passando da circa 17.000 volumi agli attuali 60.000. Importante la raccolta d’editoria futurista, che comprende oltre ai periodici, ai cataloghi delle esposizioni dell’epoca, saggi e manifesti teorici, importanti “ libri-oggetto” nei quali gli artisti hanno sperimentato svariate possibilità in ambito tipografico (libro imbullonato di Depero). La didattica Ogni anno oltre 30.000 persone - bambini, studenti, insegnanti e adulti - prendono parte alle attività didattiche proposte dal Mart. Accanto ai laboratori per le scuole, per il pubblico e per le famiglie, la sezione didattica del Museo svolge corsi di aggiornamento per insegnanti, mostre didattiche, visite guidate alle mostre temporanee, al museo e all’architettura delle sedi museali ed infine incontri a tema ed eventi speciali. a cura del Mart
L’Urban Center di Milano L’Assessorato allo Sviluppo del Territorio del Comune di Milano ha aperto nel settembre 2001 il primo Urban Center d’Italia nel centro istituzionale, simbolico e culturale della città, Galleria Vittorio Emanuele, tra piazza Scala e piazza Duomo. Da molti anni le associazioni culturali di settore avevano studiato le diverse realtà già operative all’estero, prima negli USA e poi in Europa, per individuare un modello gestionale coerente con l’assetto italiano ed alla fine ha prevalso la soluzione di una struttura interamente pubblica, direttamente collegata con l’organismo di gestione urbanistica comunale. Negli Stati Uniti prevalgono invece associazioni no profit partecipate prevalentemente da privati ed in parte minoritaria legate agli organismi di go-
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spesso intrecciati alla storia e alla cultura del territorio e connessi all’intero patrimonio.
verno del territorio, mentre in Europa sono spesso collegati alle associazioni di architetti o anche al sistema museale della città. Questi centri, già avviati da anni, sono anche promotori in forma autonoma di iniziative e di ricerche oltre che luoghi di esposizione del patrimonio architettonico urbano e dei progetti di tasformazione. L’Urban Center della città di Milano, nasce con l’obiettivo primario di comunicare ai cittadini le grandi trasformazioni che interessano il loro territorio ed illustrare le politiche urbanistiche e le forme attuative che l’Amministrazione Comunale mette in atto per realizzarle. Non ha quindi alcun ruolo amministrativo o di governo dei processi di trasformazione della città, ma quello prioritario di organo di comunicazione con il compito di selezionare
e rielaborare i contenuti, quindi diffonderli in forma “ comprensibile” ad un pubblico quanto più allargato è possibile. Il target è infatti molto diversificato e vasto, ma certamente i contatti devono prioritariamente rivolgersi alle categorie normalmente “ escluse” dai canali di comunicazione specializzati e convenzionali del settore, riviste, convegni, mostre di architettura ed in questa direzione sono finalizzate sia la programmazione che i documenti distribuiti. Fondamentale sarà la specializzazione dell’Infopoint, ancora generico sulle attività di tutti gli assessorati, e l’attivazione del sito internet, attualmente in costruzione, per poter garantire disponibilità di informazione e trattazione dei dati a tutti i livelli di richiesta. La sua localizzazione e la condizione tipologica di “ negozio” all’interno di uno degli itinerari turistici e commerciali urbani a maggior flusso, costituisce ovviamente un plus che amplifica le potenzialità di contatto del centro per la sua incredibile visibilità e accessibilità sia sui percorsi dei cittadini che dei visitatori esterni. Per quanto riguarda il contatto con il pubblico più specializzato, italiano ed internazionale, che comprende operatori economici di settore e non, studenti e ricercatori, amministratori pubblici ai quali fornire informazioni puntuali e dati sull’assetto territoriale della città, sulle sue potenzialità evolutive e sulle politiche territoriali, si sta costruendo la rete di referenti attraverso un programma di comunicazione articolato in forme diverse. Il centro è presente alle più rilevanti
esposizioni di settore come Mipim di Cannes o Progetto Città a Milano e sono in corso missioni ed iniziative che coinvolgono in primo luogo le città gemellate oltre agli altri comuni nazionali ed internazionali. È proprio ora in fase di aggiudicazione il premio “ il Principe e l’Architetto” , condotto in collaborazione con la città di Bologna, in occasione del quale Urban Center ha coordinato un’approfondita ricerca preliminare estesa a tutti i comuni italiani sopra i 10.000 abitanti ed alle trenta città gemellate, al fine di individuare i progetti e le opere di maggiore rilievo ed efficacia promosse dalle Amministrazioni pubbliche. Questo screening sarà annualmente aggiornato ad ogni scadenza del premio e costituisce un osservatorio davvero esauriente sugli obbiettivi e le priorità delle politiche di trasformazione delle città italiane oltre che sulla loro effettiva capacità di realizzare con coerenza ed in tempi accettabili i programmi di valorizzazione avviati. Sono state inoltre stipulate convenzioni con sedi universitarie anche internazionali come il M.I.T. di Boston con il quale sono già in corso scambi formativi con stagisti che attualmente svolgono la loro attività di ricerca presso Urban Center. In particolare il primo Dossier realizzato dai ricercatori M.I.T. ha riguardato un’analisi comparata sulla struttura organizzativa ed i programmi dei centri analoghi ad Urban attivi fino dagli anni Ottanta in Europa, negli USA e in Giappone. La situazione italiana risulta da questa indagine ancora poco ricettiva nei confronti dei temi della comu-
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Oltre alla testimonianza di alcuni protagonisti degli anni tra le due guerre, come de Chirico, Severini, Savinio, e della “ Scuola romana” con Mafai, si conservano dipinti dell’area astratta e informale, da Melotti a Fontana, da Burri a Vedova, che con l’astrattismo lirico di Licini danno conto di alcune delle più significative esperienze artistiche del secondo dopoguerra. L’ambito internazionale è invece rappresentato da artisti quali Nauman, Rainer, Nitsch, Kiefer, Long, Cragg, Gursky, Beuys e da giovani emergenti. Negli anni più recenti sono state acquisite opere di artisti degli anni Settanta e Ottanta, da Merz a Kounellis, da Boetti a Pistoletto da Pascali a Paladino. Di grande interesse, infine, il capitolo dedicato alla ricerca contemporanea. La collezione Panza di Biumo ha una parte di rilievo grazie ai lavori di artisti americani degli anni Ottanta e Novanta.
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nicazione e della promozione del territorio e Milano costituisce per ora l’unico centro aperto anche se numerosi sono i progetti in fase di attuazione. Tra questi segnaliamo Torino che da anni svolge “ virtualmente” un’ottimo programma di iniziative e scambi con i referenti europei ed ha appena concluso la gara di aggiudicazione per la realizzazione di un proprio spazio all’interno del complesso delle Officine Grandi Riparazioni e Bologna che presenterà proprio in questo mese di dicembre, presso l’Urban Center di Milano, il nuovo InfoPoint, su progetto dell’architetto Mario Cucinella, la cui apertura è prevista per la prossima primavera. Urban Center è inoltre centro di confronto, dibattito e approfondiment o per le t emat iche che riguardano il progetto di sviluppo urbano in tutti i settori disciplinari che in esso convergono, dall’architettura alla sociologia, dall’economia alle scienze ambientali. Questa attività si svolge attraverso esposizioni di progetti e realizzazioni, conferenze, workshop negli spazi in Galleria Vittorio Emanuele e con la organizzazione di iniziative, sempre finalizzate alla conoscenza e promozione del territorio, come gli Itinerari di visita tematizzati. È stata realizzata, nei mesi di maggio, giugno e ottobre 2002, una prima serie di Itinerari di visita alla città, orientati alla conoscenza delle zone di trasformazione e sviluppo di nuove funzioni. L’iniziativa “ Conoscere Milano” promossa da Urban Center, e coordinata con AIM, Associazione Interessi Metropolitani, ed il Politecnico di Milano ha realizzato un programma di visite guidate ad aree industriali dismesse all’interno dei confini comunali ed oggi caratterizzate da un nuovo assetto funzionale e morfologico. Gli itinerari di visita, illustrati da studenti del Politecnico e completamente gratuiti per i cittadini, si sono svolti nella primavera ed autunno del 2002 e sono raccolti in una serie di guide disponibili presso il centro. Si sono
di recente aggiunti nuovi percorsi di conoscenza del territorio derivati da una accurata ricerca svolta dal Settore Pianificazione Urbana dell’Assessorato allo Sviluppo del Territorio sul settore nord-ovest della città e sarà presentata all’inizio del 2003 la nuova edizione di Conoscere Milano. Si sono inoltre sperimentate modalità alternative di conduzione di questi itinerari di visita con l’obbiettivo di coinvolgere target differenziati di utenti. Nello scorso mese di ottobre erano disponibili dieci “ geo-bici” attrezzate con computer palmare a ricarica con batteria solare sul quale vengono di volta in volta inseriti itinerari di visita georeferenziati. Urban Center attua un programma molto serrato di esposizioni a carattere documentario e divulgativo per tutti i progetti di significative trasformazioni urbane o di funzioni di rilevante interesse pubblico. In
questo settore nell’ottobre 2001 è stata allestita la mostra dei progetti selezionati per il concorso internazionale di progettazione: ” Arengario Museo del Novecento” , con il progetto vincitore di Italo Rota. Nel gennaio 2002 l’università Bocconi ha presentato i risultati del concorso internazionale ad inviti per l’ampliamento del “ Campus Bocconi” con il progetto vincitore dello studio irlandese Grafton Architects, alla quale è seguita l’esposizione dei progetti selezionati nel concorso internazionale di progettazione per la biblioteca europea di informazione e cultura Beic e quelli del concorso per il nuovo Parco Forlanini. La presentazione dei progetti per il polo esterno della Fiera di Milano ha chiuso la rassegna del 2002 che si riaprirà in gennaio 2003 con l’esposizione dei risultati del concorso internazionale di progettazione ” Piazze 2001” , promosso dal Co-
mune di Milano e coordinato dalla sezione Milano dell’Istituto Nazionale di Architettura. Si svolgono in Urban Center tutte le conferenze stampa di presentazione di concorsi, attuazione di procedure urbanistiche di rilievo e parallelamente procede il programma dei seminari e workshop su tematiche centrali della politica e del dibattito sulla città e il territorio come il seminario del maggio scorso sui P.I.I., Programmi Integrati di Intervento, e la relativa mostra appena conclusa su di una selezione delle proposte ammesse, oltre a conferenze di approfondimento coordinate con le altre istituzioni culturali attive nella città. La prima, nell’ottobre 2001, “ Soleri incontra la città” in collaborazione con il Politecnico di Milano/DiAP poi “ La grande casa delle parole” con la Fondazione dell’Ordine degli Architetti, sul progetto vincitore del Concorso Beic. Si è appena concluso il convegno internazionale Urban 2 che ha raccolto i contributi di rappresententi di tutti i paesi partecipanti. Questo primo anno di sperimentazione ha chiaramente dimostrato l’utilità e l’efficacia di questo Centro di comunicazione e diffusione della conoscenza del territorio che, seppure ancora non completamente realizzato nelle dotazioni e funzioni previste dal programma, è già entrato nella consuetudine urbana come punto di riferimento per l’approfondimento dei nuovi progetti e delle trasformazioni in corso. Naturalmente dovranno essere sviluppate le sue potenzialità soprattutto con il consolidamento della struttura di ricerca ed elaborazione di letture della città e del suo sviluppo tematizzate e rese costantemente disponibili in tutte le forme. Anna Giorgi Responsabile scientifico di Urban Center del Comune di Milano
Situato nel settore occidentale della città, lungo la direttrice per Lecco, il quartiere Loreto a Bergamo, a partire dal secondo dopoguerra, si è andato addensando attorno all’asse storico di via Broseta, inglobando alcune emergenze preesistenti, ma sviluppandosi senza una logica insediativa coerente. Differenti idee di città si affiancano, proponendo assetti urbani e sviluppi tipologici incoerenti. L’asse baricentrico del quartiere è caratterizzato in modo particolare da una condizione di frammentarietà, dovuta al sommarsi nel tempo di interventi eterogenei: la sezione stradale, gli allineamenti e le altezze degli edifici, variano continuamente; le emergenze architettoniche e i numerosi spazi aperti pubblici presenti, hanno potenzialità inespresse da valorizzare (Chiesa di Loreto come terminale del tracciato Città Alta-via Borgo Canale, Parco Locatelli, area di parcheggio della Croce Rossa, per citare i principali). La qualità degli ambiti di percorrenza pedonale, siano essi marciapiedi, slarghi o piazze, è da reinterpretare al fine di rafforzare il ruolo baricentrico di via Broseta, non solo come asse viabilistico, bensì come spazio vivibile.
L’Ente banditore del concorso, la Confesercenti della Provincia di Bergamo, ha individuato come obiettivi da soddisfare nella proposta progettuale, la ridefinizione del ruolo di elementi nodali del Parco Locatelli, asse Piazza Risorgimento-Chiesa di Loreto, posteggio della Croce Rossa; di riequilibrio della sezione stradale di via Broseta, senso naturale della roggia Serio, considerata come una spina dorsale commerciale, che compie un ruolo di collegamento, ma nello stesso tempo provoca un importante flusso automobilistico, causando dei fenomeni di separazione; di riassetto dei parcheggi esistenti; con la realizzazione di nuove aree a parcheggio (area ENEL); di massima per un nuovo arredo urbano e di superamento delle barriere architettoniche. La Giuria era composta da Luigi Nappo, Claudio Re, Lorenzo Carminati, Stefano Boeri, Achille Bonardi, Sergio Sottocornola, Mario Cortinovis, Maurizio Rocchi, Silvano Martinelli, Paola Morganti. Sono stati segnalati anche i progetti di Luca Brembilla; Giampaolo Gritti; Giovanni Raccagni; Marco Dal Mas.
turalmente e nello stesso tempo protetta dall’ombra degli alberi, una zona capace di gestire l’incontro del flusso automobilistico con il flusso pedonale. Questa è la banda attrezzata, contenente parcheggi, chioschi, panchine, fermate
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2° classificato Massimo Nodari
1° classificato Luca Battaglia, Raffaele Papadia, Ulisse Gnesda Considerando la via Broseta come generatrice di un sistema di flussi binari, possiamo proporre che il traffico sia deviato, mettendo in primo piano il ruolo economico e commerciale di questa via, creando delle sequenze di parcheggi. La via diventa un corso alberato, accompagnato nel paesaggio dalle due rogge; mette in collegamento, in una maniera più diretta, il centro di Bergamo Bassa con il parco dei colli di Bergamo e il parco Loreto. L’introduzione di linee di elementi naturali e urbani, come gli alberi, permettono di collegare fisicamente i parchi, i giardini pubblici e i centri sportivi lungo una passeggiata chiaramente strutturata. La
tipologia del “ corso” non è un elemento estraneo della città di Bergamo e della regione. Si può dunque considerare che la scelta di questa tipologia s’integri facilmente in questa parte della città. La linea d’alberi è centrata sull’asse della via Broseta. Il suo compito è di regolare e di riorganizzare la sezione architettonica della via. La via Broseta è un seguito di architetture e di allineamenti non sempre regolari. La nuova struttura che s’introduce in questo spazio regola fisicamente queste differenze. Suolo e alberi seguono rigorosamente questa linea centrale principale. La posizione centrale di questi alberi e l’orientamento est-ovest della via Broseta determinano automaticamente una zona pedonale esposta di preferenza al lato sud della strada. Dunque illuminata na-
dell’autobus. Gli alberi e la carreggiata hanno una sezione regolare di 4 metri. La sua larghezza ci permette di alternare dei parcheggi a pettine e di organizzare una zona capace di accogliere bar, ristoranti, mercati, fiere.
Concorsi
Riqualificazione urbana del quartiere di Loreto a Bergamo
Lo schema proposto è impostato su quattro assi portanti, posti trasversalmente a via Broseta quasi a costituire quattro “ ponti” funzionali e prospettici tra le due parti del quartiere tagliate dalla strada di comunicazione. Le direzioni individuate, tutte orientate lungo la direzione nord-sud, e tutte caratterizzate da allineamenti di alberi ad alto fusto, sottolineano in alcuni casi direzioni prospettiche verso i monumenti della città alta. L’intersezione di questi assi con la spina di via Broseta è l’occasione per generare luoghi centrali di collegamento e aggregazione, ognuno con caratteristiche proprie e specifiche dell’ambito, ma tuttavia accomunate da un uso di elementi e materiali simili, che rendano immediatamente riconoscibili le funzioni pubbliche presenti. L’asse di parco Locatelli è il primo della serie di elementi di connessione degli spazi pubblici del quartiere di Loreto. Struttura riconoscibile, comune a tutti questi elementi, è l’allineamento di alberi, connessione funzionale e visiva attraverso il parco e al tempo stesso segnale di riconoscibilità degli spazi pubblici limitrofi all’asse portante di via Bro-
seta. Tale asse ciclopedonale si sovrappone, integrandoli, ai percorsi esistenti all’interno del parco, disegnando al contempo il fondale dello slargo di accesso al parco che diviene una piccola piazza. Sull’area dell’ex parcheggio Enel, sfruttando il dislivello altimetrico del terrapieno, si ricava in interrato un’autorimessa, oltre ad un ulteriore parcheggio a raso, una nuova struttura di ristoro con ampia terrazza pergolata sul verde; al di sotto, alla quota del parco, uno spazio pubblico porticato rende fruibile la struttura direttamente dal giardino. L’asse del parco sportivo di via Diazvia Rillosi segnala su via Broseta l’area dello sport e del tempo libero (mantenimento del campo di calcio e con l’introduzione di una nuova piscina scoperta). L’asse piazza Risorgimento-Loreto vuole costruire un luogo centrale del tutto mancante nel quartiere. L’allineamento di alberi, facendo perno sulla facciata della chiesa, lega le due parti della piazza rafforzando e uniformandone il fondale. Per l’area di via Croce Rossa viene confermata la funzione importante di parcheggio a raso, che viene tuttavia coperta ricavando un’ampia piazza sopraelevata, con quattro grossi alberi che attraversano la soletta.
3° classificato Beniamino Servino, Giovanni Ambrosio, Barbara Cimino, Marco Cicala
Concorsi
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Una parte della città, quella degli ultimi decenni, dei condomini (prima della periferia, dopo il centro), si è costruita con caratteri morfologici tratti da un vocabolario unico-indifferenziato. Città diverse, caratteri comuni. Identità senza differenze. Cultura omogenea diffusa. Mass-mediale. Pochi frammenti dissonanti (residui superstiti) sono inglobati, annullati. La percezione di questa parte di città, di queste parti di città, avviene tenendo basso lo sguardo. I segnali di riconoscibilità sono collocati in basso, in modo che l’occhio non debba alzarsi. Lo sguardo è basso, per evitare la perdita di equilibrio di chi è ad occhi chiusi, senza riferimenti.
E in basso questa parte di città adotta un codice di comunicazione di tipo mercantile. Dal logos al logo. La vetrina diventa la soglia tra il fuori (disordinato, senza qualità) e il dentro (microcosmo di immaginario collettivo) tra l’opaco e il luminoso. La strada (la gente) è risucchiata all’interno dei negozi. Il negozio diventa la matrice formale dello spazio pubblico di questa parte della città. Il marciapiede, lo slargo, il parcheggio, il piccolo parco urbano. Sono riscritti utilizzandone il repertorio espressivo. Piani orizzontali e verticali, opalini e luminosi. Il dentro diventa fuori. Il logo diventa testo. Comunicazione multipla. Gli spot commerciali e le grida popolari s’incontrano su una piattaforma unica. Televisione e nuovi cantastorie. Reti e rete. Annunci, Messaggi, writers. Uomini e cose attraversati da una luce bianca, diffusa. Poi il sonno…
Concorso per il centro sportivo multifunzionale comunale di Gerre de’ Caprioli (Cr) Il paese, a pochissimi chilometri da Cremona, si colloca a settentrione di un’ampia ansa del Po, in un’area territoriale definita come “ pianura irrigua a bassa densità” . La trama insediativa di questo territorio ha maglie molto larghe, che si diradano ulteriormente avvicinandosi all’ambito fluviale del Po. I centri abitati sono di piccole dimensioni; le vaste estensioni agricole che li connettono sono fittamente disseminate dalle grandi
cascine a corte e non sono compromesse da fenomeni particolari di urbanizzazione e infrastrutturazione. Il centro sportivo multifunzionale comunale di Gerre de’ Caprioli sorgerà nella frazione di Bosco ex Parmigiano, in un lotto di terreno adiacente al tracciato dell’autostrada Cremona-Piacenza. L’obiettivo dell’ente banditore era ottenere progetti che offrano la migliore combinazione qualità costo, per la realizzazione di opere
funzionali, con linee architettoniche dai contenuti essenziali, finalizzate ad individuare un luogo che sia rappresentativo del comune di Gerre de’ Caprioli e che
costituisca centro di aggregazione della popolazione anche dei comuni limitrofi. L’area presa in considerazione ha un’estensione di 27.000 mq circa.
1° classificato Gianfranco Mondini, Massimiliano Beltrami, Carlo Laudati, Gianluca Boldrini
per creare un’opportuna barriera fra il campo e le abitazioni vicine e per ospitare panchine di seduta per 100 spettatori. La palestrabocciodromo-bar rappresenta la struttura principale di tutto il complesso sportivo; si è ritenuto opportuno collocarla al centro dello stesso. I campi da gioco scoperti sono costituiti da due campi da bocce e da un campo polivalente; l’area per il gioco dei bambini viene situata fra questi ed il parcheggio principale, ai piedi del rilevato naturale piantumato che corre lungo la recinzione dell’Autostrada. La connotazione architettonica preminente della soluzione proposta per la struttura coperta consiste nell’omogeneità dei caratteri formali dell’intero edificio, che si concreta, in particolare,
La soluzione proposta si concreta in una struttura coperta posta al centro del lotto, quale elemento nodale dell’insieme, attorno a cui ruotano le varie funzioni: campo di calcio, situato lungo il lato di ponente; campi da bocce, campo polivalente e area per il gioco dei bambini allineati in prossimità del bar, per un necessario controllo degli stessi; parcheggio collocato sul lato est. Il campo di calcio è collocato con il lato lungo parallelo alla recinzione delle villette esistenti sul lato ovest. In detta fascia verrà realizzato un rilevato naturale, piantumato alla sommità,
2° classificato Diego Toluzzi, Enea Toluzzo Si è operato in modo da rispettare i vincoli dell’area: fasce di rispetto stradali e confini nonché orientamenti con preciso riferimento ed una serie di impianti e strutture regolamentari ai fini CONI. L’ulteriore ripartizione in lotti, richiesta dal bando, è risolta in modo semplice: tutte le edificazioni fanno parte del 1° lotto così come gli impianti richiesti; il 2° lotto prevede la pura realizzazione degli spazi esterni (al palazzetto), con il solo completamento e trasformazione del deposito annesso alla palestra ad uso spogliatoi e servizi per il campo di calcio. L’organizzazione dell’impianto è geo3° classificato Mario Barbieri, Tino Grisi, Luca Zanotti, Luigi Fedeli L’accesso al centro è posizionato nella parte con meno interferenze viarie; perciò vicino al sottopassaggio dell’Autostrada. La principale caratteristica è l’impianto planimetrico, con un sistema di percorsi che diventa sistema compositivo e connettivo, basato su un’asta parallela all’autostrada che definisce spazi triangolari similari e cerniere circolari. Il centro non è studiato solo come luogo di fruizione ottimale delle strutture sportive, ma anche per conferire allo spettatore una posizione di completa percezione di spazi e situazioni. Per questo si propongono i percorsi sopraelevati da terra (circa
prevista su di un lato longitudinale. Su di una testata è stato ricavato un corpo a due livelli, con, a piano terra, gli spogliatoi, un magazzino e l’infermeria; ed al piano superiore i locali tecnologici.
Concorso di progettazione: un edificio scolastico per l’istruzione professionale, campus di Sondrio Sondrio (300 m.s.m.), si colloca al centro dell’ampia Valtellina, alla confluenza della Valmalenco; fra alte montagne che raggiungono con il Pizzo Bernina i 4.050 metri. Il concorso prevedeva la progettazione degli adeguamenti architettonici, funzionali ed impiantistici e l’inserimento di un nuovo Istituto scolastico professionale di Stato, per l’industria e l’artigianato - IPSIA - in un cam-
pus e lo studio di inserimento di altri due istituti superiori, oggi sparsi in varie parti della città. Esso diviene occasione per ridisegnare e per dare un senso logico ad un’area cresciuta per interventi frammentari ed a volte disarticolati tra loro. In ottobre si è tenuta, presso il “ palazzo Muzio” , la mostra dei progetti partecipanti. Quarto classificato è stato Diego Toluzzo.
1° classificato Laura Luconi, Sergio Fumagalli, Piero Luconi, Alessandra Manzoni, Giovanni Sacchi, Dario Mario Zappa
rapporto tra gli spazi interni e gli spazi esterni, vere e proprie estensioni didattiche all’aperto. Il livello inferiore, a cui si accede dalla piazza bassa, ospita i servizi più generali e le otto aule speciali, disposte su tre lati e distribuite da un percorso che si snoda sul perimetro esterno; si affacciano su un chiostro piantumato e attrezzato con percorsi parzialmente protetti da pensiline, alcune sedute lineari ed una grande vasca d’acqua. A questo livello sono collocati inoltre: l’aula magna, il bar, gli spogliatoi, i servizi, depositi, archivi, la centrale termica. Il livello superiore con l’ingresso principale dalla piazza alta, si organizza con un corpo a tre piani. Dall’atrio principale, si accede direttamente alla lunga strada interna sulla quale sono affacciate in sequenza le dodici aule didattiche ed i relativi servizi.
metrica con allineamenti fondati sulle migliori utilizzazioni degli impianti stessi. Il bar ed il suo nucleo sono il punto di partenza dell’intero complesso che si struttura attorno all’edificio a palestra, avente caratteristiche planivolumetriche obbligatoriamente rilevanti. I campi da bocce, interni ed esterni, vengono quindi a far parte di tale logica: se coperti rientrano nella parte edificata, se esterni mutuano la loro esistenza con le parti e gli impianti all’aperto; unica evidenziazione è il pergolato che, una volta attrezzato con piantumazioni, ripercorre nella memoria situazioni similari tradizionali sotto la cui struttura le generazioni passate hanno trovato gioia e socialità. + 2.80), utilizzando all’uopo il (richiesto) rilevato in terreno vegetale lungo l’Autostrada e lungo un lato del campo da calcio. Questo rilevato si dirama e costituisce il percorso sopraelevato per raggiungere le tribunette per il pubblico. La composizione architettonica dei fabbricati (palestra, bocciodromo, bar) è formata da 3 parallelepipedi emergenti dal podio (costituito dai percorsi in quota e dalle coperture dei servizi e spogliatoi) e “ galleggianti” sulle finestre a nastro continuo. I percorsi a raso, coperti da quelli in quota, innescano un sistema distintivo dei portici, culminante col portico circolare d’ingresso e con la fascia semicircolare esterna su cui potrà essere collocata la scritta del Centro.
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Concorsi
nella scelta tipologica della copertura, tutta continua, con andamento sinusoidale, e dei frontespizi, risolti con muratura in prismi di argilla espansa a faccia vista. La palestra ha copertura a volta. L’illuminazione naturale è
Il nuovo edificio della scuola si incunea all’interno del campus, sfruttando i dislivelli naturali esistenti e prende una conformazione aperta che gli dà una connotazione urbana, dove trovano spazio aree di uso collettivo. Così se una parte consistente dell’edificio è ad uso esclusivo per la scuola, la parte più a sud, allungandosi verso la palestra ed i laboratori, dispone di un grande spazio porticato aperto, di uso collettivo, caratterizzato da un pilastro centrale a forma di fungo che consente di mantenere libero lo spazio sottostante. L’elemento di connotazione specifica di questo progetto è “ la pianta estesa” che privilegia il
Da uno spazio di pausa di uso comune, che affaccia sul porticato a doppia altezza, si può accedere all’ampio terrazzo, sopra le coperture piane delle aule speciali. Per riqualificare la pedonalità interna al campus si è creato un percorso, lungo il quale riorganizzare e porre in relazione le aree di uso comune, esistenti e nuove;
un grande parco naturale interno, arricchito da una collinetta artificiale; una nuova piazza alta pedonale, protetta da una grande pensilina e attrezzata con un chiosco bar e servizi; un nuovo spazio pubblico pedonale centrale collocato al piede del nuovo edificio, che ne sfrutta la parte porticata “ pubblica” .
2° classificato ex-aequo Franco Luminari, Silvano Rossini, Grazio Frallonardo, Sergio Pasquinelli, Alberto Speroni, Roberto Faedda, Fabio Tarabelli
trale di distribuzione dell’impianto è impostato su via Tirano; da questa si diramano tre nuove aste di riconnessione generale. La prima, parallela a via Tonale, costituirà un “ fronte urbano” tramite il nuovo Liceo Scientifico da costruire su pilotis.
Concorsi
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Il nuovo principale “ asse direttore” di riferimento, quale spina cen-
La seconda asta viene definita da un elemento lineare posato sul terreno, dal quale emerge per due livelli il plesso per l’Istituto Magistrale. La copertura praticabile è destinata ad attività per il tempo libero e lo sport, individuandovi anche una pista di atletica la quale, per il tramite di una struttura a ponte, scavalca via Tirano inserendosi all’interno delle due nuove palestre. La terza asta consolida e ridisegna il “ polo tecnologico” costituito dall’istituto tecnico industriale e dal nuovo istituto professionale di stato per l’industria e l’artigianato. L’attuale spazio tra i laboratori e la palestra viene parzialmente coperto a formare un porticato protetto, di arrivo ai vari corpi dei
due istituti, nella parte terminale ad est emerge su pilotis il nuovo IPSIA; dalla parte opposta l’asta continua attraversando il varco presente nell’istituto tecnico. Un ulteriore sistema di camminamenti e gradonate riconnettono le strutture sportive dell’Istituto per geometri; questo percorso termina con un’area a parcheggi. Tale impianto ha quindi quali “ assi direttori” due vie, cardo e decumano di un “ castrum” , orientate secondo gli assi cardinali. Ciò consente loro di rappresentare la funzione ordinatrice, unitamente agli assi secondari ed ai percorsi pedonali leggibili nel progetto. Il tutto secondo una maglia razionale che dà identità ai singoli ambiti ed al campus nel suo complesso.
FACCIATA SUD
2° classificato ex-aequo Karl Spitaler L’edificio proposto è del tipo a configurazione lineare con orientamento in direzione est-ovest; le aule sono posizionate sul lato sud, mentre gli spazi riservati alla circolazione interna si trovano sul lato nord. L’ accesso è sit uat o nella part e centrale dell’ edificio sul lato nord. Le aule (venti) sono disposte in batteria su tutti e tre i livelli dell’edificio, mentre il collegamento verticale, a servizio di
tutti i piani, viene assicurato da un impianto di scale con ascensore, posto in corrispondenza dell’entrata. Nell’attuale fase di progettazione si è cercato di mettere in evidenza l’effetto di verticalità degli spazi. Al 1° piano sono poste 4 aule speciali intervallate da locali preparazione e per sussidi didattici. Il piano si completa con 2 aule didattiche. Anche in questo caso è garantita la visuale verso sud nella zona dell’unità dei servizi igienici. Al 2° piano si trovano 8 aule didattiche.
Legislazione a cura di Walter Fumagalli
La vigente legislazione in materia di affidamento di incarichi pubblici di progettazione (cioè la legge 11 febbraio 1994 n. 109, così come da ultimo modificata dalla legge 1 agosto 2002 n. 166, ed il relativo regolamento di attuazione, approvato con il D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554) stabilisce che, qualora ricorrano i presupposti indispensabili perché una pubblica amministrazione possa affidare le attività di progettazione di un’opera pubblica a professionisti privati, la stessa può provvedere a conferire i relativi incarichi direttamente a soggetti di propria fiducia (da scegliere sulla base dei curricula fatti pervenire dai professionisti medesimi all’amministrazione committente) solamente nei casi in cui l’importo stimato di detti incarichi sia inferiore a 100.000 Euro. Stabilisce, infatti, l’articolo 17, dodicesimo comma, della legge n. 109/1994 che gli incarichi di tale importo possono essere affidati dalle amministrazioni appaltanti “ ai soggetti (…) di loro fiducia, previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare” . In tal caso, trattandosi dunque di una sorta di affidamento “ fiduciario” , le amministrazioni aggiudicatrici possono conferire i suddetti incarichi senza necessariamente esperire le procedure concorsuali, che invece la legge impone per l’affidamento degli incarichi di progettazione di importo superiore a 100.000 Euro. Al fine di evitare il rischio che le stazioni appaltanti possano artatamente suddividere l’incarico da affidare in più lotti, ciascuno di valore inferiore a 100.000 Euro, e procedere così al loro affidamento senza l’indizione di alcuna gara, il legislatore ha espressamente sancito il divieto per le amministrazioni aggiudicatrici di frammentare gli incarichi di progettazione, quando ciò sia finalizzato esclusivamente ad eludere l’applicazione delle specifiche procedure di gara previste dalla legge per l’affidamento degli incarichi di valore superiore alla soglia di cui sopra. L’articolo 62, ultimo comma, del D.P.R. n. 554/1999 stabilisce infatti chiaramente che “ la progettazione di un intervento non può essere artificiosamente divisa in più parti al fine di eludere l’applicazione delle norme che disciplinano l’affidamento del servizio” . Il divieto dell’artificiosa suddivisione degli appalti, finalizzato ad impedire l’elusione delle disposizioni di derivazione comunitaria che impongono alle pubbliche amministrazioni il rispetto di determinate procedure nella scelta dei contraenti privati e nella stipulazione dei relativi contratti, era stato già codificato prima dell’entrata in vigore del citato D.P.R. n. 554/1999 con specifico riguardo alle materie dei lavori pubblici, delle pubbliche forniture e dei pubblici servizi.
Con riferimento ai lavori pubblici, l’articolo 24, quarto comma, della legge n. 109/1994 dispone che “ nessun lavoro può essere diviso in più affidamenti” , se ciò è esclusivamente finalizzato ad eludere la disposizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo, il quale consente l’affidamento dei lavori pubblici a trattativa privata (e quindi senza l’esperimento di alcuna procedura di gara) solamente quando l’importo complessivo di tali lavori sia inferiore alle soglie previste dalla legge. Analoga disposizione è contenuta sia nel D.Lgs. 24 luglio 1992 n. 358, che detta la disciplina per l’affidamento delle pubbliche forniture di beni, sia nel D.Lgs. 17 marzo 1995 n. 157, che disciplina invece l’assegnazione degli appalti pubblici di servizi, sia infine nel D.Lgs. 17 marzo 1995 n. 158, che regolamenta l’aggiudicazione degli appalti di lavori, forniture e servizi da parte di amministrazioni che operano nei c.d. “ settori esclusi” (acqua, energia elettrica, energia termica, gas, trasporti, telecomunicazioni). Tali norme, che nel rispetto della disciplina comunitaria dettano rigorose disposizioni procedurali per l’affidamento degli appalti di importo pari o superiore alle specifiche soglie di valore indicate in ciascuna di esse, vietano tutte alle amministrazioni appaltanti di frazionare artificiosamente l’appalto al fine di sottrarlo alla loro applicazione, ed in particolare: • l’articolo 3, secondo comma, del D.Lgs. n. 358/1992 dispone che nessun contratto “ può essere artificiosamente frazionato allo scopo di sottrarlo all’applicazione del presente testo unico” ; • l’articolo 4, secondo comma, del D.Lgs. n. 157/1995 stabilisce che “ nessun insieme di servizi da appaltare può essere (…) frazionato” allo scopo di sottrarlo all’applicazione delle disposizioni del decreto stesso; • l’articolo 9, tredicesimo comma, del D.Lgs. n. 158/1995 prevede, infine, che “ i soggetti aggiudicatori non possono eludere l’applicazione del presente decreto suddividendo gli appalti o utilizzando modalità di calcolo particolari del valore degli appalti” . Le norme qui sopra riportate dettano una disciplina per l’affidamento dei pubblici appalti chiaramente volta, da un lato a garantire l’imparzialità e la trasparenza della condotta delle amministrazioni aggiudicatrici, e dall’altro a tutelare il regime di concorrenzialità del mercato degli appalti, aspetto quest’ultimo a cui la normativa presta particolare attenzione. Consentire l’elusione delle rigorose procedure di assegnazione degli appalti contenute nella suddetta normativa, significherebbe dunque mettere a repentaglio il rispetto dei generali principi di imparzialità e trasparenza della pubblica amministrazione, con effetti negativi soprattutto per l’interesse dei soggetti privati, per i quali cesserebbe qualunque garanzia di “ par condicio” . Occorre inoltre osservare che, al di là di quanto disposto dalle norme in materia di pubblici appalti, anche la
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Professione e Aggiornamento
L’artificiosa frammentazione degli incarichi di progettazione: il divieto normativo
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c.d. normativa di contabilità di Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e R.D. 23 maggio 1924 n. 827), pur consentendo la ripartizione in lotti di un unico lavoro od opera laddove ciò sia riconosciuto vantaggioso per l’amministrazione aggiudicatrice, vieta l’artificioso frazionamento di incarichi unitari. Ed in particolare: • all’articolo 19, quinto comma, del R.D. n. 2440/1923 stabilisce che “ per il medesimo oggetto non possono essere formati più contratti, salve speciali necessità da farsi constare nel decreto di approvazione del contratto” ; • ed all’articolo 43, secondo comma, del R.D. n. 827/1924, prevede che “ quando l’appaltatore o il fornitore sia la medesima persona, e le forniture e i lavori comunque parzialmente descritti formino sostanzialmente parte di una sola impresa, non si ammette alcuna divisione artificiosa in più e diversi contratti” . Tutto ciò al fine di evitare che, mediante un artificiosa suddivisione di uno stesso incarico in più parti, l’amministrazione possa eludere le norme (e cioè l’articolo 5 e l’articolo 19 del R.D. n. 2440/1923) che impongono di sottoporre al preventivo parere del Consiglio di Stato ed alla preventiva registrazione della Corte dei Conti i contratti di valore superiore agli importi stabiliti dalla legge. Le amministrazioni aggiudicatrici nell’affidamento degli incarichi di progettazione a professionisti privati dovrebbero dunque tenere in considerazione, oltre le specifiche disposizioni di ispirazione comunitaria che regolano l’affidamento dei servizi di progettazione, anche quelle espressamente dettate dalla normativa di contabilità di Stato qui sopra citata, che attualmente è ancora in vigore. Luca De Nora
Il “frazionamento artificioso” degli incarichi: chi era costui? Per ragioni non necessariamente inconfessabili, spesso i pubblici amministratori che decidono di affidare un appalto di servizi non sono contenti di dover seguire le procedure concorsuali che la legge impone di rispettare per gli appalti di maggior valore. Questo vale in particolar modo per la progettazione di un’opera pubblica, cioè per un servizio il cui buon espletamento può dipendere in maniera fondamentale dalle capacità e dall’inventiva del professionista (capacità ed inventiva che possono uscire mortificate da una gara basata essenzialmente su valutazioni di carattere economico). Grande è perciò la tentazione, molte volte, di ricondurre l’incarico al di sotto delle soglie che rendono necessaria la procedura concorsuale, e spesso il “ frazionamento artificioso” dell’incarico costituisce l’espediente più efficace per raggiungere questo obiettivo. La legge non vieta, è subito bene chiarirlo, che gli incarichi di progettazione di opere pubbliche vengano frazionati, sempre che ciò ovviamente sia fatto per il perseguimento di finalità di interesse pubblico e nel rispetto di quei principi di buon andamento ed imparzialità che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono costantemente improntare di sé l’attività della pubblica amministrazione. La legge vieta invece che il frazionamento venga posto in essere in modo “ artificioso” (cioè in modo da far apparire all’esterno una situazione diversa da quella reale),
allo scopo di non applicare i procedimenti concorsuali imposti dalla legge: in questi casi, dunque, non è illegittimo il frazionamento in sé, ma è illegittimo che l’incarico di progettazione venga conferito a trattativa privata. Ma quando ricorre un “ frazionamento artificioso” ? La legge non lo dice, e al di fuori di ipotesi clamorose ed evidenti (che però, di fatto, ricorrono assai di rado) non è molto facile stabilirlo a priori. Bisogna pertanto sforzarsi di rintracciare il filo logico che lega le disposizioni sparse nei diversi testi di legge che trattano la materia, per cercare di risalire ad alcuni principi cui fare di volta in volta riferimento al fine di dirimere i casi più controversi. A questo scopo vengono in evidenza sia le norme che disciplinano l’attività di progettazione come particolare tipo di servizio pubblico (il decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157 e il decreto legislativo 17 marzo 1996 n. 158), sia quelle che la regolamentano come momento fondamentale della realizzazione delle opere pubbliche (la legge 11 febbraio 1994 n. 109 e successive modificazioni e integrazioni, il D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 e il decreto del Ministro di grazia e giustizia in data 4 aprile 2001). Spigolando fra queste norme, si possono individuare le seguenti disposizioni di rilievo. • “ La redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione, in caso di carenza di organico (…), ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali (…) che richiedono l’apporto di una pluralità di competenze, (…) possono essere affidati” anche a liberi professionisti singoli o associati (articolo 17.4 della legge n. 109/1994, come modificato dalla legge n. 166/2002). • Per progetto integrale di un intervento si intende “ un progetto elaborato in forma completa e dettagliata in tutte le sue parti, architettonica, strutturale e impiantistica” (articolo 2 del D.P.R. n. 554/1999), comprensivo tanto della progettazione preliminare quanto di quella definitiva ed esecutiva (articolo 5 del decreto ministeriale in data 4 aprile 2001). • “ Per l’affidamento di incarichi di progettazione di importo pari o superiore alla soglia di applicazione della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi, si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157 (…) ovvero, per i soggetti tenuti all’applicazione del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 158, (…) le disposizioni ivi previste” (articolo 17.10 della legge n. 109/1994, come modificato dalla legge n. 166/2002). • “ Per l’affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia compreso tra 100.000 Euro e la soglia di applicazione della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi, il regolamento disciplina le modalità di aggiudicazione che le stazioni appaltanti devono rispettare, in alternativa alla procedura del pubblico incanto” (articolo 17.11 della legge n. 109/1994, come modificato dalla legge n. 166/2002). • “ Per l’affidamento di incarichi di progettazione, ovvero della direzione dei lavori il cui importo stimato sia inferiore a 100.000 Euro, le stazioni appaltanti (…) possono procedere all’affidamento ai soggetti (…) di loro fiducia, previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare” (articolo 17.12 della
fidamento del servizio” (articolo 72.10 del D.P.R. n. 554/1999; disposizioni analoghe sono dettate dall’articolo 4.2 del decreto legislativo n. 157/1995 e dall’articolo 9.13 del decreto legislativo n. 158/1999). Sulla base di queste disposizioni alquanto disorganiche, si può dunque tentare di fissare alcune regole di fondo. a. Sia l’affidamento dell’incarico di redigere un “ progetto integrale” (comprensivo di quello preliminare, di quello definitivo e di quello esecutivo), sia l’affidamento congiunto dell’incarico di redigere il progetto definitivo e quello esecutivo sono previsti come mera facoltà, e non come obbligo, della pubblica amministrazione: non compie quindi un “ artificioso frazionamento” la pubblica amministrazione che affida separatamente, in momenti distinti e temporalmente autonomi, prima l’incarico di redigere il progetto preliminare, poi quello di redigere il progetto definitivo, ed infine quello di predisporre il progetto esecutivo. b. Nell’incarico di redazione dei progetti sono ricomprese anche tutte le attività strumentali al suo adempimento, ivi comprese in particolare le indagini geologiche, geotecniche e sismiche, i sondaggi, i rilievi, le misurazioni, le picchettazioni, e la predisposizione di elaborati specialistici di dettaglio con esclusione delle relazioni geologiche: nel calcolo del valore del servizio, pertanto, deve necessariamente essere ricompreso anche il corrispettivo per tali prestazioni. c. Anche il conferimento congiunto della progettazione e della direzione dei lavori è configurato dalla legge come una facoltà, e non come un obbligo della pubblica amministrazione, fermo restando che in caso di affidamento congiunto il valore della progettazione deve essere determinato tenendo conto pure dell’importo della direzione dei lavori: anche in questo caso, pertanto, non compie un “ artificioso frazionamento” la pubblica amministrazione che affida separatamente prima l’incarico di redigere i progetti, e poi quello di dirigere i relativi lavori. d. In ogni caso, però, tutte le volte in cui l’incarico di progettazione venga suddiviso in più lotti, il valore dell’incarico nel suo complesso e quello di ciascuno dei lotti in cui è suddiviso vanno determinati sommando il corrispettivo dovuto per le prestazioni relative ad ogni singolo lotto. e. Nel caso in cui le particolari caratteristiche dell’opera da realizzare impongano la predisposizione di un “ progetto integrale” che richieda l’apporto di competenze diversificate, la pubblica amministrazione può affidare a diversi professionisti ciascuna fase della progettazione (preliminare, definitiva ed esecutiva), senza con ciò porre in essere un “ artificioso frazionamento” . f. Ove peraltro ciascuno di questi incarichi sia considerato come singolo “ lotto” di tale fase di progettazione, il valore dello stesso dovrà essere quantificato sommando il corrispettivo dovuto per tutti gli incarichi di quella fase. Walter Fumagalli e Debora Folisi
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legge n. 109/1994, come modificato dalla legge n. 166/2002). • “ Per effettuare il calcolo dell’importo stimato dell’appalto le amministrazioni aggiudicatrici si basano sulla remunerazione complessiva dei prestatori di servizi” (articolo 4.1 del decreto legislativo n. 157/1995 e articolo 9.2 del decreto legislativo n. 158/1995), ed in particolare “ in sede di valutazione dell’importo stimato dell’appalto occorre tener conto: (…) nel caso di contratti comprendenti la progettazione, degli onorari (…) da pagare” (articolo 4.3 del decreto legislativo n. 157/1995). • “ Nel caso di affidamento di incarichi di progettazione (…), l’attività di direzione dei lavori è affidata, con priorità rispetto ad altri professionisti esterni, al progettista incaricato. In tal caso il conteggio effettuato per stabilire l’importo stimato, ai fini dell’affidamento dell’incarico di progettazione, deve comprendere l’importo della direzione dei lavori” (articolo 17.14 della legge n. 109/1994). • Per stimare l’importo degli incarichi, “ i corrispettivi delle attività di progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell’importo da porre a base dell’affidamento, applicando le aliquote che il Ministro di grazia e giustizia (…) determina con proprio decreto” (articolo 17.14-bis della legge n. 109/1994, aggiunto dall’articolo 6 della legge n. 415/1998: in attuazione di questa norma, dette aliquote sono state approvate con il decreto ministeriale in data 4 aprile 2001). • “ l’affidatario non può avvalersi del subappalto, fatta eccezione per le attività relative alle indagini geologiche, geotecniche e sismiche, a sondaggi, a rilievi, a misurazioni e picchettazioni, alla predisposizione di elaborati specialistici di dettaglio, con l’esclusione delle relazioni geologiche, nonché per la sola redazione grafica degli elaborati progettuali” (articolo 17.14-quinquies della legge n. 109/1994, aggiunto dall’articolo 6 della legge n. 415/1998). • “ La progettazione definitiva ed esecutiva sono di norma affidate al medesimo soggetto (…), salvo che in senso contrario sussistano particolari ragioni (…) L’affidamento può ricomprendere entrambi i livelli di progettazione, fermo restando che l’avvio di quello esecutivo resta sospensivamente condizionato alla determinazione delle stazioni appaltanti sulla progettazione definitiva” (articolo 17.14-sexies della legge n. 109/1994, aggiunto dall’articolo 6 della legge n. 415/1998). • “ Nel caso di affidamento parziale delle fasi di progettazione e della attività di direzione lavori non è dovuta alcuna maggiorazione delle tariffe” (articolo 4 del decreto ministeriale del 4 aprile 2001). • “ Quando un appalto di servizi (…) è ripartito in più lotti, il suo valore (…) è dato dalla somma del valore dei singoli lotti” (articolo 4.4 del decreto legislativo n. 157/1995; disposizione analoga è contenuta nel articolo 9.9 del decreto legislativo n. 158/1995). • In ogni caso, “ la progettazione di un intervento non può essere artificiosamente divisa in più parti al fine di eludere l’applicazione delle norme che disciplinano l’af-
Strumenti a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Leggi G.U. n. 255 del 30.10.2002 - Serie generale Determinazione 2 agosto 2002. Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia. (Determinazione n. 57/ 2002) È stato approvato il documento “ Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002-2010” che individua gli strumenti, gli obiettivi, le aree tematiche principali e gli indicatori per monitorarne lo stato di attuazione. Protezione a valorizzazione dell’ambiente sono considerati fattori trasversali delle politiche settoriali, delle programmazioni e dei relativi interventi che saranno perseguiti entro gli stanziamenti previsti dalla legislazione vigente. Le pubbliche amministrazioni sono soggetti di iniziative legislative finalizzate al perseguimento degli obiettivi ed all’adozione dei relativi strumenti fra cui si possono citare: • l’applicazione della legislazione di protezione ambientale tramite la semplificazione del complesso quadro normativo vigente; • l’integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore; • l’integrazione del fattore ambientale nei mercati; • l’introduzione di ecotasse su prodotti inquinanti; • il promuovere l’adesione volontaria delle imprese ad effettuare analisi degli impatti ambientali della propria attività produttiva e a certificare la qualità ambientale dei prodotti; • la consapevolezza e la capacità decisionale dei cittadini; • il rafforzare le ricerca scientifica e tecnologica sull’ambiente e lo sviluppo sostenibile. I principali obiettivi individuati e articolati secondo le aree tematiche della Strategia sono i seguenti: • clima ed atmosfera; • natura e biodiversità; • qualità dell’ambiente e qualità della vita negli ambienti urbani; • uso sostenibile delle risorse naturali e gestione dei rifiuti. G.U. n. 256 del 31.10.2002 - Serie generale Determinazione 9 ottobre 2002 Q/ 266 - Ab/ 44/ 01 - Norme accelerat orie del cont enzioso Accordo bonario sottoscritto ai sensi dell’art 31 bis della legge n. 109/ 1994 - Ipotesi di una risoluzione “parziale” del contenzioso correlato all’iscrizione di riserve sui documenti contabili (Determinazione n. 26/ 2002) Si è evidenziato, da parte della stazione appaltante, un’utilizzazione anomala dell’accordo bonario, finalizzato non al raggiungimento di un compenso omnicomprensivo a tacitazione di tutte le riserve iscritte dall’impresa nel registro di contabilità, bensì ad una risoluzione parziale del contenzioso con l’impresa aggiudicataria, rinviando alla conclusione dei lavori la valutazione. Tale scelta è stata motivata come diretta conseguenza di imprevedibili ed eccezionali eventi che avevano rallentato l’esecuzione dei lavori, mentre altre concernevano fatti oggettivi. In sintesi, il quadro della situazione è risultato il seguente: • il contenzioso accantonato all’atto del precedente tentativo di accordo bonario, si è incrementato di circa il 50% ; • il contenzioso risolto bonariamente, si è riproposto nel prosieguo dell’appalto producendo una richiesta che risulta equivalente a quella tacitata. Un’ulteriore contenzioso ha superato quello che aveva formato oggetto dell’accordo bonario. Se l’importo dell’opera varia in misura sostanziale, si deduce che l’accordo tra stazione appaltante ed appaltatore non può intervenire solo su una parte del contenzioso venutosi a creare. La stazione appaltante dovrà procedere alla valutazione di ammissibilità e non manifesta infondatezza delle riserve. In conclusione, il ricorso, da parte delle stazioni appaltanti ad un accordo bonario parziale non assicura il risultato voluto dal legislatore. Qualora le riserve riguardino circostanze suscettibili di differente apprezzamento economico, il responsabile del procedimento deve co-
munque considerare le medesime circostanze alla stregua di fatti oggettivi ed oramai compiuti. È possibile inoltre, allorché le riserve analizzate siano ulteriori e diverse da quelle precedentemente analizzate, procedere ad un accordo bonario. G.U. n. 272 del 20.11.2002 - Serie generale Decreto 1° ottobre 2002, n. 261 Regolamento recante le direttive tecniche per la valutazione preliminare della qualità dell’aria ambiente, i criteri per l’elaborazione del piano e dei programmi di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 Il seguente regolamento stabilisce: • le direttive tecniche sulla cui base le Regioni provvedono ad effettuare le misure al fine di valutare preliminarmente la qualità dell’aria ambiente; • i criteri per l’elaborazione dei piani e dei programmi per il raggiungimento dei valori limite nelle zone e negli agglomerati; • le direttive sulla cui base le Regioni adottano un piano per il mantenimento della qualità dell’aria. G.U. n. 257 del 2.11.2002 - Serie generale Bandi per l’affidamento di incarichi di progettazione che fissano termini incongrui per la prestazione (Determinazione n. 25/ 2002) L’Autorità ha avuto modo di accertare come le stazioni appaltanti tendano con una certa frequenza a stabilire termini, per l’affidamento di incarichi professionali, che appaiono a volte assolutamente incongrui. Detti termini di fatto costituiscono una limitazione della partecipazione dei professionisti, oltre a determinare progetti di qualità carente, soprattutto privi di adeguate indagini e rilievi preventivi. Il ricorso a tempi brevi è giustificato dalla necessità di accedere ai finanziamenti. Pertanto l’urgenza rappresentata dalle stazioni appaltanti in ordine a bandi per l’affidamento di incarichi di progettazione, non può giustificare il contrasto di questa scelta con il principio di favorire la massima partecipazione e concorrenza tra i professionisti. Sussiste inoltre la necessità a disincentivare il ricorso a procedure d’urgenza nell’affidamento della progettazione. B.U.R.L. 1° Suppl. Straordinario al n. 46 del 12 novembre 2002 D.g.r. 18 ottobre 2002 - n. 7/ 10706 Approvazione del piano della riserva naturale “Palude Brabbia” (art. 14 della l.r. 30 novembre 1983, n. 86) La Giunta regionale delibera di approvare la proposta di revisione del piano della riserva naturale “ Palude Brabbia” costituta dai seguenti elaborati: • Relazione generale del Piano della riserva; • Norme di attuazione; • Programma degli interventi prioritari; • Allegati 1, 2, 3; • Tav. 1 - Confini, azzonamento, accessi, percorribilità, interventi e strutture previste. B.U.R.L. 2° Suppl Straordinario al n. 47 del 21 novembre 2002 D.g.r. 8 novembre 2002 - 7/ 11045 Approvazione “Linee guida per l’esame paesistico dei progetti” prevista dall’art 30 delle Norme di Attuazione del Piano territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.) approvato con d.c.r. 6 marzo 2001, n. 43749 - Collegamento al P.R.S. obiettivo gestionale 10.1.3.2. La Giunta regionale delibera di approvare ai sensi dell’art. 30 delle Norme di Attuazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale le “ Linee guida per l’esame paesistico dei progetti” . Il presente adempimento costituisce elemento integrativo del Piano Territoriale Paesistico Regionale che prevede un periodo sperimentale di applicazione della metodologia di esame paesistico dei progetti di durata pari a quindici mesi. C. O.
Acque Tribunali delle acque addio. È disegno di legge (da “ Italia Oggi” del 16 ottobre 2002) Passeranno dai tribunali regionali delle acque al giudice ordinario le cause relative alla demanialità delle acque, ai limiti di corsi e bacini, alle derivazioni e utilizzazioni delle acque pubbliche e alle controversie previste dall’art. 140 del rd n.1775/93. È quanto prevede il disegno di legge approvato lo scorso 6 settembre dal Consiglio dei ministri. Ambiente Annullato l’ordine di Galan all’Enel di risanare gli elettrodotti a rischio. Legge regionale valida ma solo per i nuovi impianti (da “ Edilizia e Territorio“ Norme e Documenti del 25-30 novembre 2002) Il Tar di Venezia ha annullato il provvedimento del presidente della Regione Veneto che imponeva all’Enel di adottare le misure per evitare il superamento dei valori previsti dalle norme regionali sull’elettrosmog. Galan aveva chiesto inoltre alla Società di presentare un programma di risanamento. Il Tar ha annullato il provvedimento perché la legge regionale riguarda solo i nuovi impianti e la legge quadro statale, la 36/2001, non fissa le soglie massime di esposizioni rinviando la definizione di questi parametri a decreti che, però, non sono ancora stati varati. Condono Finanziaria senza condono. Si rafforza lo sconto 36% . Ritirati tutti gli emendamenti per sanare gli abusi edilizi (da “ Edilizia e Territorio” del 1116 novembre 2002) Saltano tutti i condoni in Finanziaria. Durante la discussione nell’aula di Montecitorio, la maggioranza ha infatti ritirato tutti gli emendamenti in materia, compresi quelli sulla sanatoria edilizia. Il Governo sembra intenzionato a salvare il 36% estendendolo a tutto il 2003 e a riconfermare l’Iva al 10%. Edilizia Imprese edili in buona salute. Le 50 maggiori società italiane hanno aumentato le dimensioni e si sono finanziariamente rafforzate (da “ Edilizia e Territorio” del 30 ottobre 2002) Alla nuova stagione delle grandi opere, sulla quale il governo impegna parte della sua credibilità, il vertice dell’imprenditoria delle costruzioni italiana si sta preparando. La sua radiografia è infatti più confortante che in passato. Lasciata alle spalle la crisi degli anni ’90 (che ha fatto scomparire oltre la metà delle aziende) le cinquanta maggiori realtà imprenditoriali si presentano cresciute nelle dimensioni, consolidate patrimonialmente e rafforzate nella redditività. Dal Cipe 1,2 mld per opere sanitarie. Lombardia capofila dei finanziamenti. Sono operative le proroghe di tre anni per edilizia universitaria e ferrovie (da “ Edilizia e Territorio” Norme e documenti del 4-9 novembre 2002) In “ Gazzetta” , la delibera Cipe sugli investimenti in sanità. Alla Lombardia i finanziamenti maggiori (270 milioni). Ancora il Dl con le disposizioni in materia di termini legislativi in scadenza” , che introduce proroghe in vari settori: dalla realizzazione di immobili per l’edilizia universitaria, alle disposizioni per la rideterminazione delle risorse da trasferire alle Regioni per la copertura dei costi di servizio ferroviario. Operativa, infine, la determinazione dell’Autorità “ verbale di aggiudicazione e perfezionamento del contratto” . Fisco Tra professionisti e Irap lite continua. Commissioni provinciali favorevoli alla non imponibilità con motivazioni “quantitative” (da “ Il Sole 24 Ore“ del 25 novembre 2002) Sull’Irap cresce il fiume del contenzioso. Per molti professionisti contabili, e lavoratori autonomi in genere, che pur avendo debitamente assolto l’Irap sui redditi professionali hanno presentato la relativa istanza di rimborso, sono ormai decorsi i termini per la formazione del silenzio-rifiuto da parte dell’amministrazione finanziaria e per gli stessi si prospetta, dunque la percorrenza della via del contenzioso per tentare la restituzione dell’imposta a suo tempo versata. Infrastrutture Infrastrutture Spa vicina al decollo. Sta per nascere la nuova società che avrà il compito di finanziare le grandi opere pubbliche (da “ Edilizia e Territorio” del 28 ottobre - 2 novembre 2002) Reperire fondi per le opere pubbliche e le infrastrutture, una “ strozzatura” che finora ha fatto naufragare progetti economicamente validi, in futuro diventerà addirittura un “ bonus” trasformandosi in un’accelerazione nel processo di aggiudicazione della gara di appalto. È questo quanto si augura la neonata Infrastrutture Spa, l’intermediario finanziario non bancario creato dall’Economia con la missione di “ favorire il coinvolgimento di soggetti privati nella realizzazione e gestione di opere infrastrutturali mediante forme di finanziamento complementari” .
Portafoglio Infrastrutture, Tav Torino–Milano in pole. Il progetto per l’alta velocità ferroviaria costerà 22 milioni di Euro e sarà finanziato per primo dalla società di Siniscalco (da “ Italia Oggi” del 23 ottobre 2002) Tra i primi progetti che saranno finanziati da Infrastrutture Spa, controllata al 100% dalla Cassa Depositi e prestiti, c’è la realizzazione del progetto per l’alta velocità ferroviaria sull’asse Torino-Milano per un importo complessivo di 22 mln di Euro. Inoltre nei piani ci sono anche l’autostrada Asti-Cuneo e la Salerno-Reggio Calabria, la linea Verona-Padova dell’alta velocità ferroviaria, il sistema integrato del nodo di Napoli, quello del nodo di Bari e la linea C della metropolitana di Roma. Ponte sullo Stretto. Darà lavoro alle imprese del Nord. I risultati dello studio Bocconi sull’impatto economico (da “ Italia Oggi” del 23 ottobre 2002) La costruzione del Ponte di Messina interesserà per grandi cifre anche le regioni del Centro nord e coinvolgerà settori superspecializzati dell’industria delle costruzioni e della produzione industriale. L’impatto economico complessivo dei cantieri per il Ponte sullo Stretto sarà di 5,86 mld di Euro, e i cantieri daranno lavoro a 14.500 persone l’anno, per i nove anni previsti di attività dei cantieri. Darà lavoro anche a 5.800 persone delle regioni del Centro Nord interessate dalla fornitura dei materiali. Sono i risultati dello studio qualitativo realizzato dal Certet, Centro di Economia Regionale, dei trasporti e del turismo, dell’Università Bocconi di Milano.
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Lavori pubblici L’Authority spiega la nuova Merloni: per le Soa necessario il regolamento. Guida alle modifiche introdotte nella 109 dal collegato infrastrutture (da “ Edilizia e Territorio” Norme e documenti del 4-9 novembre 2002) Validità delle attestazioni Soa ferma a tre anni fino all’arrivo del nuovo regolamento di qualificazione. Ok alla partecipazione delle società di ingegneria alle gare sottosoglia anche se bandite prima del 18 agosto. Stop al diritto di prelazione riconosciuto al promotore su gare di project financing in corso. Chiarimenti su consorzi stabili e opere iper-tecnologiche. Con una determinazione “ omnibus” l’Autorità di vigilanza fornisce la corretta interpretazione delle novità normative introdotte dalla legge 166/2002 (collegato infrastrutture) in vigore dal 18 agosto scorso. Nuova Merloni e legge obiettivo aumentano lo spazio dei gruppi. L’aggregazione fra imprese diviene un centro di imputazione di interessi (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 25-30 novembre 2002) Le nuove regole sui lavori pubblici introdotte dal collegato infrastrutture (legge 166/2002) nella Merloni e dal Dlgs 190/2002, che ha dato attuazione alla legge obiettivo, ampliano lo spazio del gruppo imprenditoriale, ossia di un’insieme di imprese che, grazie a rapporti di collegamento e di controllo, diventa un centro di interessi e assume una configurazione unitaria. Si tratta di un fenomeno che deriva soprattutto dalla nuova disciplina della concessione di costruzione e gestione e dall’introduzione della figura del general contractor. Professione Architetti a scuola nelle imprese. Accordo tra Ordine e costruttori romani per stage operativi post-laurea (da “ Edilizia e Territorio” del 28 ottobre 2 novembre 2002) Un’opportunità per fare esperienza direttamente in azienda, arricchendo con la pratica del lavoro le proprie conoscenze teoriche apprese all’università. Questo è l’obiettivo che l’Acer (Associazione dei costruttori di Roma) ha promosso firmando lo scorso 15 ottobre l’accordo con l’Ordine degli architetti di Roma e Provincia. Il protocollo d’intesa conferisce la possibilità a giovani architetti laureati e neolaureati di praticare un tirocinio presso le imprese romane di costruzione che aderiscono all’iniziativa. Sulla riforma degli Albi scende in campo Castelli. La commissione di esperti sarà integrata con altri due componenti (da “ Il Sole 24 Ore” del 31 ottobre 2002) Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, nominerà due esperti che integreranno il gruppo di lavoro incaricato di scrivere la proposta di riforma delle professioni. L’avvio del confronto ha fatto emergere i capitoli in cui si dovrà articolare la riforma: dalla definizione di professione intellettuale al livello di protezione necessario per la tutela dell’interesse pubblico, dall’organizzazione attraverso gli Ordini alle modalità di riconoscimento delle Associazioni rappresentative delle categorie emergenti, dall’accesso alla disciplina delle esclusive. Programmi triennali I Comuni devono realizzare le opere inserite nei programmi triennali. Ammessa l’impugnazione da parte dei cittadini (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti del 11-16 novembre 2002) Il Consiglio di stato ha chiarito che l’amministrazione comunale è obbligata a realizzare gli interventi compresi nel programma triennale di opere pubbliche, dopo aver valutato la loro utilità e fattibilità. Per gli interventi di importo inferiori ai 20 miliardi di Lire (10,33 milioni di Euro), le amministrazioni possono inserire un progetto all’interno del programma solo dopo l’adozione di uno studio sintetico che tenga conto dell’impatto dell’opera stessa. I giudici amministrativi di Palazzo Spada hanno così capovolto una precedente sentenza del Tar Lazio. M. O.
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Lecco
Lodi L’oratorio di S. M aria Assunta di Ca’ dell’Acqua Il presente lavoro è stato realizzato come tesi di fine Corso della Scuola Triennale di Arte Sacra del Museo Diocesano d’Arte Sacra di Lodi, direttore Mons. Virginio Fogliazza. Il lavoro di ricerca è stato effettuato sotto la direzione e con la competente consulenza della Dr.ssa Elena Cattaneo, che sentitamente ringraziamo.
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Vista esterna dell’Oratorio di Ca’ dell’Acqua. con smussi arrotondati in corrispondenza dell’incrocio dei bracci. L’ingresso dell’oratorio è chiuso da un portone in legno a due ante, con catenaccio in ferro battuto e con due riquadri su ogni anta con, in rilievo, un elemento con contorno a scopo decorativo. Interessanti sono anche i chiodi in ferro a testa romboidale, ancora presenti nel telaio della porta. Analisi storico architettonica Sulla base della presente descrizione architettonica si possono evincere riflessioni ed ipotesi sull’epoca di costruzione dell’oratorio e delle successive modifiche. Sono evidenti tre distinti sistemi di costruzione, propri di periodi storicamente diversi. La volta a crociera, i costoloni e l’arco a sesto acuto, sono elementi tipici dell’architettura romanica e gotica, quindi attribuibili ad un periodo compreso fra il 1000 ed il 1500. I falsi capitelli della sacrestia, per la loro tipologia, appartengono al periodo rinascimentale (XV secolo); tutti gli altri, che descrivono delle volute, al periodo barocco (XVII secolo). I costoloni e l’arco a sesto acuto sono collocati all’interno del presbiterio; mentre i capitelli, di due diverse tipologie, sono nella parte esterna della sacrestia e della navata. Questa ben distinta collocazione fa intuitivamente pensare ad ampliamenti e modifiche, successive all’erezione dell’edificio originario che, molto probabilmente, consisteva in una semplice cappella costituita solamente dalla parte attualmente occupata dal presbiterio. Più tardi, forse per un significativo incremento del numero dei fedeli nella piccola frazione, la cappella fu trasformata in oratorio a navata unica, dotato di sacrestia e della torre campanaria. La sacrestia venne annessa al presbiterio
aprendo, su un lato di questo, un vano per la porta; la realizzazione del soffitto è a volta con crociera semplice, senza costoloni e chiave di volta, a differenza del presbiterio. In tempi successivi l’oratorio viene modificato nella parte che riguarda la navata; è probabile che la costruzione sia stata alzata, è infatti evidente la differenza di altezza con la sacrestia, sicuramente sono state ricostruite le lesene e realizzata la cornice di coronamento della copertura: sono tuttora visibili le aggiunte murarie di decorazione. All’epoca di quest’ultima trasformazione sono state ricavate le finestre, tuttora esistenti, compresa quella aperta nel presbiterio, che ha interrotto un affresco particolarmente interessante. In epoca recente il pavimento originario è stato completamente ricoperto. M ateriali utilizzati nella costruzione La costruzione è stata realizzata con mattoni, malta di calce e legno, i materiali più semplici usati un tempo, attingendo esclusivamente dalla disponibilità propria del territorio. Le origini e le vicende dell’oratorio Le vicende tardo medievali della frazione di Ca’ dell’Acqua si possono evincere da una serie di pergamene del 1300 conservate presso l’Archivio della Congregazione di Carità di Milano. Aldilà dell’interesse che possono avere a livello storico, queste pergamene danno un’idea sufficientemente dettagliata di come poteva essere Ca’ dell’Acqua nel Trecento. In esse vengono menzionate le tipologie dei campi: aratori, a prato, a ortaglia oppure a bosco. Vi sono citati i caseggiati, magari con torre ed annessi; si sa di una cassina murata, atta ad eventuale difesa, di un molino, di un cascinale di
paglia ed un orto con aja e sono, inoltre, ben dettagliate le ubicazioni dei vari lotti terrieri. Si sa che nei pressi vi era una fornace; si parla di rogge, canali, bocchelli e ponti. Le descrizioni sono talmente minuziose che si può in un certo senso, ricostruire com’era Ca’ dell’Acqua a quei tempi ma, cosa strana, della piccola chiesa non si fa mai menzione. Viene spesso citata anche la strada che porta in cascina, nei pressi della quale sorge l’Oratorio, ma di questo proprio non se ne parla. E sì che, specie a quei tempi, una chiesa sarebbe stata sicuramente considerata più importante di una torre, o di un’ortaglia, di un mulino o di un’aia. Tutto ciò fa supporre che, stranamente, l’Oratorio non fosse mai coinvolto nelle descrizioni delle coerenze dei beni in questione ma, molto probabilmente non esisteva. Forse il numero degli abitanti non era tale da giustificarne l’esistenza, questo vale anche per l’osteria, binomio quasi inscindibile, che comparirà più tardi. L’Oratorio lo troviamo citato più tardi, nel 1500, nelle relazioni delle visite pastorali dei diversi vescovi di Lodi. Tutto ciò fa ragionevolmente supporre che sia stato eretto nel 1400, come per un certo verso attesta anche la tipologia degli affreschi che vi si conservano. La prima notizia sull’Oratorio di Ca’ dell’Acqua si ha dalla visita pastorale di Mons. Antonio Scarampo (1569-1576), effettuata fra il 13 agosto 1572 e il 10 novembre 1573, in cui si legge testualmente: “ Anchora vi è una chiesa de lassumptione nel loco de la ca de laqua…” Le visite pastorali si susseguono nel tempo. Il 4-5 giugno 1622, dalla relazione della visita di Mons. Michelangelo Seghizzi (16161625) si apprende che vi è il campanile con una sola campana e
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Descrizione architettonica La piccola costruzione di Ca’ dell’Acqua è collocata nei pressi di un gruppo di edifici rurali in aperta campagna. L’Oratorio è orientato con la parte presbiteriale ad est e l’ingresso ad ovest, orientamento proprio delle chiese di antica datazione. La costruzione è costituita da un’unica aula che, all’esterno misura circa otto metri e mezzo di lunghezza e sette di larghezza. Il presbiterio con la retrostante sacrestia ne misura circa sette di lunghezza e cinque di larghezza; la torre campanaria è a base quadrata con circa due metri e venti centimetri di lato. La navata ha un soffitto di legno in travi e travetti che sostengono l’assito; il presbiterio ha una volta a crociera, con costoloni e chiave di volta. All’esterno la chiesetta ha una copertura a capanna, a doppia falda, presenta elementi architettonici e decorativi. Una serie di lesene con capitelli rompono l’uniformità delle pareti; alla base vi è una zoccolatura e, sotto la gronda, una cornice di coronamento che corre lungo tutti i lati dell’edificio che dà sulla facciata, s’incontrano in corrispondenza del culmine della copertura. Dei falsi capitelli posti alla sommità delle lesene vi sono due tipi ben distinti, anche se molto simili. Il primo tipo, presente nella parte di costruzione che si riferisce all’aula, consiste in una voluta costruita in mattoni a tavelle, in cotto, intonacate che, oltre al capitello, prosegue come cornice nel sottogronda. Il secondo tipo, in mattoni a lavorazioni in cotto a vista, è presente nella costruzione della sacrestia e dei capitelli che si riferiscono alla stessa. La torre campanaria, altro elemento importante della costruzione, si trova sul lato nord, addossata alla costruzione stessa, a fianco del presbiterio. Ha un’altezza di poco inferiore al doppio di quella della chiesetta, è a forma quadrata con copertura a forma piramidale e in sommità, per ogni lato presenta un’apertura con arco a tutto sesto. Elemento caratterizzante della torre sono le fessure aperte sul lato nord, realizzate non come semplici feritoie, ma curate nel dettaglio, ottenendo una sorta di croce allungata in senso verticale,
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Volta a crociera del presbiterio, l’incrocio dei costoloni con chiave di volta e il sole dardeggiante.
Sposalizio mistico tra S. Caterina di Alessandria e Gesù Bambino in braccio alla B.V. Maria.
“ sopra l’altare c’è un’immagine della Beata Vergine dipinta sul muro da un pennello mediocre” . Le visite pastorali continuano ed in ognuna di esse si raccomandano interventi sulla chiesetta, ma non vengono mai citati i dipinti che vi sono sulle pareti della stessa. Il primo documento reperito in cui vengono citati gli affreschi è una relazione del 17 agosto 1933, per il Sinodo X. “ È un oratorio dedicato a S. Maria Assunta. La sua origine non si conosce. L’Archivio di Lodivecchio non ha documenti. È un oratorio antico. Vi è un altare in marmo bianco donato dal fittabile Dott.re Giuseppe Ferrari. Nella volta vi sono segni di figure antiche, come sulle pareti. Per questo venne detto Oratorio dichiarato monumento nazionale(?) con decreto della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia, il 21 gennaio 1929. VII.” .
buon livello di certi suoi particolari anatomici, questo dipinto è da considerare posteriore ai dipinti della navata. La parte alta della parete sinistra del presbiterio è quasi completamente rovinata dall’umidità dovuta alle infiltrazioni di acqua piovana, che hanno portato alla formazione di uno strato di muschio. Nella parte bassa, fino ad un metro circa d’altezza, vi è dipinto un motivo, tipo tessuto, costituito da disegni in rosso su fondo bianco. Questo motivo richiama quelli sui panneggi e le stoffe delle due Madonne della navata e dell’arco che divide il presbiterio dalla navata stessa. Anche questa parete, come quella di destra, un tempo doveva essere interamente dipinta, come si può ancora verificare per la presenza di cornici con motivi ornamentali. Sotto questi dipinti, quindi di epoca precedente, si può tuttora rilavare la presenza di decorazioni con graffiti a linee parallele.
I dipinti ● Il presbiterio I quattro spicchi della volta a crociera sono suddivisi da costoloni, un tempo sicuramente dipinti. In ogni comparto vi è raffigurato un santo aureolato; dei quattro solo due sono a malapena leggibili. I santi sono raffigurati su seggi in legno con, davanti, ripiani per la scrittura-lettura: dovrebbe trattarsi dei quattro Evangelisti. Del tutto scomparsi, o quasi, sono i simboli che iconograficamente caratterizzano gli Evangelisti: l’aquila per Giovanni, il bue per Luca, il leone per Marco e l’angelo per Matteo. Potrebbe essere individuabile S. Giovanni nella figura rappresentata senza barba: era l’unico ad esserne privo. Inoltre, con molti sforzi e non senza fantasia, sul bracciolo della sua cattedra sembra d’intravedere vagamente un’aquila. Al centro della crociera, intorno alla chiave di volta, vi è un sole fiammeggiante, con tre raggi per ogni spicchio della crociera. All’interno del disco solare vi è di-
pinta la parte terminale dei quattro bracci di una croce greca. Il tutto è racchiuso in una sorta di ghirlanda, composta da ovuli policromi, dove i colori degradano – dall’interno verso l’esterno – dal blu al rosso cupo, passando dal verde, al giallo, all’arancione e al rosso. Si tratta di un contorno simile a quello usato per formare la mandorla che, in dipinti ben più antichi, racchiudeva il Cristo Pantocratore (vedi il dipinto nell’abside della Basilica dei Dodici Apostoli di Lodi Vecchio). Quasi sicuramente nel cerchio della chiave di volta vi erano, opportunamente disposte, le lettere “ J.H.S.” , le iniziali di “ Jesus Hominum Salvator” , Gesù salvatore degli uomini. “ J.H.S.” è il monogramma di Gesù e, come simbolo iconografico, contraddistingue S. Bernardino da Siena. Nella parete destra del presbiterio vi è parte di un dipinto mutilato dall’apertura di una finestra. Sono visibili solamente due gambe nude ed il bacino di una figura coperta solamente da un perizoma. S’intravedono anche parte del braccio e della mano sinistra libera, non legata e non aderente al corpo. L’anatomia è abbastanza curata, i piedi poggiano su un pavimento a riquadri bianchi e rossi, in prospettiva. Il pavimento raffigurato nel dipinto occupa buona parte della parete, come doveva essere per il dipinto. Il personaggio, del quale sono rimaste solamente le gambe, è raffigurato sull’estrema destra e non si notano altre figure. Probabilmente al centro del dipinto, nella parte più alta, vi era raffigurato un santo o la Madonna in trono e, sulla sinistra un altro personaggio: questi sono scomparsi con l’apertura del vano finestra. Il personaggio, del quale sono rimaste le gambe, potrebbe essere Gesù al cospetto di Pilato, oppure di S. Giovanni Battista davanti ad Erode, Adamo o, ancora, S. Sebastiano, del quale però mancano gli inconfondibili segni iconografici, come le frecce. Per il
Assunzione della Vergine Sopra l’altare vi è un dipinto che raffigura l’Assunzione della Vergine, alla quale è dedicato l’oratorio. La Madonna è rappresentata in piedi su una nuvola posta sull’avello sepolcrale che, come vuole la tradizione, è colmo di fiori. A fianco della Madonna, in alto vi sono due testine alate di angioletti e, in basso sempre due angeli alati, rappresentati interamente. Questa immagine deve aver avuto un passato più glorioso, infatti sembra sia stata ritoccata piuttosto malamente da mani inesperte. Su entrambi i lati della parete di fondo del presbiterio, si notano teste aureolate, tutto ciò che rimane di santi che guardavano al centro in alto, presumibilmente verso l’immagine della Madonna. ●
L’arco trionfale Nella parete che divide il presbiterio dalla navata, si apre un grande arco gotico, a sesto acuto. In alto, proprio alla sommità dell’arco, vi è un carti●
glio di foggia antica in cui s’intravede ancora la scritta: “ Ego deligentes me deligo” (Io amo quelli che mi amano). La frase era sicuramente riferita al Crocifisso che vi era appeso. Come il presbiterio, anche la parete dell’arco doveva essere completamente dipinta. Madonna col Bambino Sulla parte destra della parete con arco gotico che divide il presbiterio dalla navata, vi è dipinta una Madonna col Bambino seduta in trono. Entrambi i personaggi, ieratici, sono rivolti verso sinistra e guardano entrambi un punto fisso posto in basso, dove probabilmente vi era la figura ridotta del committente, o dei committenti. La Madonna tiene il Bambino con la mano destra, mentre con la sinistra pare sostenga un oggetto, di non facile lettura dato il pessimo stato del dipinto (una corona?). Entrambe le figure sono aureolate. Le aureole hanno una doppia riga verso l’esterno e, tra le due righe, vi sono dei puntini equidistanti. La Madonna ha sul capo un panno bianco che ricade sul collo; il vestito è bordato al collo con un motivo che si ripete sulla spalla e nella fascia che dalla spalla sinistra scende verso il centro del petto. Queste bordature sono di colore scuro con bollini rotondi bianchi, distribuiti regolarmente. Questo dipinto è del ‘400, difficile è un’attribuzione più precisa sul periodo. ●
Sposalizio mistico di S. Caterina Sulla parete laterale destra della navata, verso la porta d’ingresso, vi è un frammento di dipinto. Si tratta di una Madonna in trono col Bambino, entrambi rivolti verso sinistra dove vi è S. Caterina con le mani incrociate sul petto che trattengono una palma. L’anulare della mano destra è proteso a ricevere l’anello dal Bambino. In basso a sinistra, proprio al limite del frammento scoperto del dipinto, si nota una piccola ruota ●
● S. Antonio Abate (?) - S. Cristoforo (?) Sulla parete laterale sinistra, verso l’ingresso, vi è un frammento di dipinto del quale si possono rilevare solamente alcuni dettagli. Vi è raffigurato un personaggio con un saio marrone, con la mano sinistra appoggiata devotamente al petto, e la destra che tiene un bastone, abbastanza grosso. Non si riesce a leggere nient’altro. Potrebbe trattarsi di S. Antonio Abate, il bastone infatti rientra come soggetto ricorrente della sua iconografia. Non è da escludere possa essere S. Cristoforo, infatti sulla spalla sinistra pare d’intravedere il particolare di un vestito e di un piede, che potrebbero essere del Bambino, che il Santo portava sulle spalle.
Santo Abate Sulla parete laterale sinistra, verso l’altare, vi è un frammento di dipinto raffigurante un santo aureolato, forse un abate, con la barba che si divide. Davanti alla figura vi è una sorta di leggio-scrittoio: potrebbe trattarsi di un Dottore della Chiesa (S. Bernardo di Chiaravalle?). Con la mano sinistra tiene un bastone, probabilmente un pastorale (il pastorale abbaziale). Dovrebbe portare il saio bianco dei monaci cistercensi, anche se gli stessi lo portavano nero nei viaggi.
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Motivi a cornice Su entrambe le pareti laterali, in prossimità dell’arco, vi sono dipinti raffiguranti una sorta di riquadro con cornice, con volute allegoriche. Sopra questo, praticamente al centro, è stata
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ridipinta una nicchia rettangolare in verticale, con arco a tutto sesto che, forse, conteneva una figura, o serviva da sfondo per statue di santi. La facciata Sopra la porta d’ingresso vi è un rettangolo verticale, con tracce di colore, che presumibilmente ospitava un dipinto, probabilmente l’Assunta. Appena sotto la finestrella di sinistra, nel poco intonaco rimasto, s’intravede la sinopia di un’aureola: probabilmente sulla facciata vi erano dipinte figure di santi. ●
Quante volte abbiamo sentito levare un “ grido di dolore” per la scomparsa di testimonianze artistiche – ben degne di essere conservate – nel nostro territorio? Tante, comunque sempre troppe. L’Oratorio dell’Assunta di Ca’ dell’Acqua (Borgo S. Giovanni) è ancora “ in piedi” con i suoi non trascurabili tesori artistici. È ancora in piedi, ma forse non per molto: il tetto minaccia di cadere e, una volta caduto, si sa, arriva la ruspa per abbattere anche i muri. Fortunatamente si è ancora in tempo – speriamo – per porvi rimedio, basta (si fa per dire) reperire qualcosa come circa 25.000 Euro (una cinquantina di milioni di lire), per rifare il tetto e, per il momento si arresterebbe la rovina certa della chiesetta. Di essa si sono interessati nel passato più recente A. Bassi, F. Pallavera e G. Zuffada, nella monografia storica di Borgo S. Giovanni. Lo stesso Giuseppe Zuffada, con grande sensibilità e decisione, ha poi costituito un comitato per la salvaguardia della chiesetta, che purtroppo non ha avuto nessun tipo di collaborazione, e tutto è naufragato nel nulla. Recentemente, proprio nell’esplicito intento di preservarla dalla scomparsa, è stata oggetto d’interesse anche sulle pagine de “ Il Cittadino” . Nel febbraio del 2000 Carlo Catena lanciava “l’ultimo appello” (tuttora non raccolto). A seguire l’illustre e dotta penna di don Domenico Pezzini, docente dell’Università di Verona, il quale oltre che sul nostro quotidiano, ha voluto segnalare il pietoso stato in cui versa, anche sulle pagine di una rivista bancaria. Sono trascorsi ormai più di due anni dal primo appello, ma non c’è stato seguito di sorta. Don Antonio Spini, Delegato Vescovile della Basilica di S. Bassiano e Centro Bassianeum, nell’aprile della scorso anno ha tentato di “ avviare concretamente il recupero” degli affreschi ma, non certo per colpa sua, senza alcun esito positivo. Lo stesso don Peppino Cipelli, emerito parroco di Dresano, nonché Responsabile dei Beni culturali della Diocesi di Lodi si è, anche pubblicamente, schierato per salvare l’oratorio di Ca’ dell’Acqua. Personaggi illustri e studiosi di
fama confidano quindi, dando il loro appoggio, per il suo recupero. Se ciò avvenisse, in concreto si sarebbe salvato dalla rovina un monumento che, oltre ad essere di grande importanza religiosa, conserva in parte la storia e la memoria del Lodigiano e della sua gente. Ma è mai possibile che si debba assistere alla sua ineluttabile rovina e scomparsa senza che nessuno metta una mano sulla coscienza, e al portafoglio, per evitarla? Sarebbe un’opera altamente meritoria, poi giustamente e pubblicamente riconosciuta ed attribuita a chi se ne farebbe carico. È mai possibile che fra le tante istituzioni, enti pubblici e privati, non ci sia proprio nessuno che se ne faccia carico? Intanto si aspetta che la chiesetta crolli, poi si leveranno cori di protesta che, indignati, grideranno allo scandalo, additando e palleggiandosi le responsabilità: ma intanto non ci sarebbe più niente da fare. Sarebbe veramente inconcepibile, che si possano spendere centinaia
di milioni di lire per riesumare vecchie fondazioni, e non si riesca a reperirne una cinquantina per sottrarre dall’ineluttabile “ crollo” un gioiello come l’oratorio di Ca’ dell’Acqua. Invece, recuperata in tempo, vi si potrebbe tornare a celebrare – che era ed è la sua funzione primaria – e potrebbe magari diventare un centro vivo di aggregazione spirituale e culturale per il nostro territorio. La “ gente” potrebbe così tornare a popolarla, a viverla perché, se è vero, come è vero, che la gente deve andare alla chiesa, la chiesa ha bisogno della gente. Ci rendiamo conto che questo ha tanto l’aria di “ ultimo appello” , speriamo tanto e ancora di più confidiamo, perché dopo di esso non ce ne sia più bisogno perché, nel frattempo, una coscienza civile ed illuminata, da qualsiasi parte provenga, ha deciso veramente di dare mano. Saremo, anzi saranno, in molti a riconoscerne il merito, ringraziando. arch. Antonino Negrini Giuseppe Pettinari
COMUNE DI BORGO S. GIOVANNI (LO) ORATORIO NELLA FRAZIONE DI CA’ DELL’ACQUA
Pianta dell’Oratorio di Ca’ dell’Acqua.
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con denti, segno iconografico di S. Caterina d’Alessandria. Si tratta di un dipinto forse non affrescato, del Bambino infatti si sono conservate solamente le linee di contorno, mentre i colori sono quasi completamente scomparsi. In questo dipinto si trovano molti particolari che si rifanno alla Madonna dipinta al fianco dell’arco. Nella parte alta del trono ligneo e nel vestito sotto il mantello, vi è rappresentato un arabesco che imita la stoffa, che richiama quello riprodotto nella parte bassa del dipinto che si trova a fianco dell’arco e quello nella parte bassa, a sinistra del presbiterio. Il vestito di S. Caterina porta due fasce che scendono dalle spalle e s’incontrano sul petto. La fasce sono simili a quelle della Madonna dipinta a fianco dell’arco; anche i tratti dei visi porterebbero a considerare i due dipinti coevi. Le tre figure di questo dipinto sono aureolate, le aureole sono a raggiera. Questo dipinto, come abbiamo già detto, rappresenta lo “ Sposalizio mistico di S. Caterina” . Indicata come la “ fidanzata del Cristo” , S. Caterina d’Alessandria veniva invocata come protettrice delle ragazze ancora nubili. È visibile solamente la parte superiore del dipinto, quella inferiore è coperta da dipinture successive della parete.
Milano Circolari del Comune in materia edilizia e urbanistica Il Comune di Milano ha inviato al nostro Ordine per conoscenza e diffusione le Circolari che pubblichiamo di seguito. Le stesse possono essere scaricate in formato digitale dal sito internet www.comune.milano.it presso info&servizi Settore Concessioni e Autorizzazioni Edilizie, le prime due, la terza in materia di traffico si trova invece nel settore Urbanistica ed Impianti, nel sottogruppo Urbanistica.
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A. B. La Circolare n. 5/02 annulla e sostituisce la precedente circolare informativa dell’11.4.02, e reintroduce la piena efficacia della L.R. n. 22/99, in funzione della Legge n. 166/2002 pubblicata sulla G.U. lo scorso 3 agosto. La circolare quindi precisa che con decorrenza lunedì 19 agosto è possibile presentare le pratiche edilizie di denuncia di inizio di attività secondo le modalità già in uso prima dell’entrata in vigore delle norme della L. 443/2001, poiché le limitazioni introdotte da tale normativa sono state superate dall’entrata in vigore della legge in oggetto. Inoltre la circolare ricorda ai professionisti la facoltà di “ convertire” in DIA le richieste di concessione già presentate, integrando una nota di rinuncia ed un nuovo modulo di presentazione ai sensi della L.R. n. 22/99, senza dover presentare nuovi elaborati.
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Circolare n. 5/ 02 (Progressivo n. 22) sulla Legge 166/ 2002 in materia di Concessioni Edilizie e “Super DIA”, L.R. n. 22/ 99 Lo scorso 3 agosto è stata pubblicata sulla G.U. la Legge n. 166/2002. Questa norma contiene, tra l’altro, alcune modifiche al testo della L. 443/2001 riguardo ai procedimenti abilitativi all’esecuzione di opere edilizie che si riportano nel seguente stralcio dall’art. 13: 7. Al comma 12 dell’articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dopo le parole: “ della presente legge” sono inserite le seguenti: “ salvo che le leggi regionali emanate prima della data di entrata in vigore della presente legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici” . 8. Al comma 12 dell’articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, il secondo periodo è sostituito dal seguente: “ Le regioni a statuto ordinario possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente” . Tali disposizioni hanno sostanzial-
mente l’effetto di reintrodurre a pieno titolo la disciplina regionale previgente (L.R. 22/99) riguardo alla c.d. Super Dia. A partire dal giorno lunedì 19 agosto, è quindi di nuovo possibile presentare le pratiche edilizie di denuncia di inizio di attività secondo le modalità già in uso prima dell’entrata in vigore delle norme della L. 443/2001, con la possibilità quindi di procedere all’esecuzione delle opere a decorrere dal ventesimo giorno dalla data di presentazione della DIA. In proposito giova peraltro ricordare che, anche decorso tale termine, il Comune conserva intatti i poteri di controllo e repressione dell’attività edilizia abusiva conferitigli dalla legge. Si segnala inoltre la possibilità di richiedere la “ conversione” in DIA delle richieste di concessione presentate negli ultimi tempi, presentando semplicemente una nota di rinuncia alla richiesta di concessione e la nuova DIA sui moduli in uso, senza necessità di presentazione di nuovi elaborati. A questo fine sul sito internet è disponibile uno schema di richiesta. La Circolare n. 6/02 a distanza di alcuni anni di applicazioni della L.R. n. 15/96 e della successiva L.R. n. 22/99 in materia di recupero dei sottotetti, intende chiarire ulteriormente alcune difficoltà operative. In particolare si chiarisce che la disciplina prevista dall’art. 27 non deve essere applicata nei casi di recupero dei sottotetti, ma devono essere rispettati i limiti di altezza massima. Inoltre la circolare ricorda ai progettisti che deve essere sempre verificato l’art. 51 del Regolamento Edilizio, trattandosi di una norma igienico-sanitaria, e che nel caso di interventi di nuova edificazione i locali sottotetto non abitabili devono essere privi dei requisiti di abitabilità, quindi con altezza media inferiore a m 2.40. Infine la circolare modifica alcune modalità di computo degli oneri di urbanizzazione e del contributo del costo di costruzione; precisando che il volume sul quale pagare gli oneri dovrà essere quello virtuale – ovvero s.l.p. x 3.00 m. –, e che per il calcolo del contributo sul costo di costruzione nei casi di recupero dei sottotetti in alternativa al computo metrico è applicabile la tabella ministeriale allegata al D.M. 10/4/77 estesa a tutto l’edificio. ●
Circolare n. 6/ 02. (Progressivo n. 23) sul recupero abitativo dei sottotetti. Disposizioni operative di dettaglio I molteplici interventi di recupero abitativo dei sottotetti evidenziano spesso difficoltà operative che richiedono interventi puntuali di chiarificazione. Con le seguenti note si forniscono quindi indicazioni operative rispetto ad alcune problematiche riscontrate con una certa frequenza nell’ambito dell’attività istruttoria.
Applicabilità delle norme dell’art. 27 del RE in materia di distanze ed altezze al recupero dei sottotetti La disciplina prevista dall’art. 27 R.E. non è applicabile al recupero abitativo dei sottotetti, in quanto la LR 15/96 ammette espressamente la deroga ai parametri edilizi ed urbanistici vigenti, ad eccezione dei limiti di altezza massima. L’art. 27 non fissa invece limiti di altezza massima, ma limiti relativi tra distanze ed altezze. Si osserva peraltro che le norme dell’art. 27 sono riferite espressamente alle nuove costruzioni, mentre il recupero dei sottotetti è definito per legge quale intervento di ristrutturazione edilizia. Applicabilità delle norme dell’art. 51 del RE in materia di corti e cortili La prescrizione dell’art. 51.3 del R.E., deve essere rispettata in quanto si tratta di norma igienica (è infatti inserita nel capo 4 del RE: “ Norme Igieniche” ) e non può quindi essere derogata, secondo quanto stabilito dall’art. 1, 5° comma della LR 15/96. In proposito si precisa inoltre che negli interventi di recupero dei sottotetti, e in generale negli interventi di sopralzo fisico, le condizioni dei cortili non possano considerarsi peggiorate qualora il sopralzo sia realizzato in arretramento al filo di facciata, lasciando libera una superficie orizzontale pari o superiore ad 1/4 della nuova superficie di facciata. Non si considereranno comunque peggiorate le condizioni dei cortili qualora non sia modificato il filo della gronda, anche se saranno modificate le pendenze delle falde. Si osserva infine che la norma dei cortili, essendo come detto una norma igienica, deve applicarsi alla realtà fisica del cortile. Non hanno quindi rilievo ai fini della verifica dell’art. 51.3, le divisioni di proprietà o le delimitazioni dei cortili stabilite con le convenzioni ex art. 44 del vecchio RE, se non corrispondenti con delimitazioni fisiche. In particolare non debbono considerarsi delimitazioni del cortile, le recinzioni e i muri di confine (la cui eliminazione è peraltro auspicata dall’art. 51.6). Si chiarisce infine che qualora il cortile, o l’insieme dei cortili contigui, sia anche parzialmente aperto sulla pubblica via, le norme dell’art. 51 divengono comunque inapplicabili in quanto riferite inequivocabilmente a spazi chiusi. Altezze interne dei locali sottotetto di nuova costruzione Si è quasi costantemente osservata la realizzazione di locali sottotetto nei progetti di nuova realizzazione definiti “ senza permanenza di persone” ma inequivocabilmente destinati ad essere “ recuperati” ai fini abitativi dopo la loro realizzazione fisica. La LR 15/96 infatti, secondo quanto chiarito da numerosi pronunciamenti regionali e, da ultimo dalla LR 18/01, ammette il recupero abitativo dei sottotetti esistenti alla data della presenta-
zione della richiesta di concessione o della DIA relative al recupero stesso. Si è conseguentemente posto il problema delle altezze massime di tali sottotetti, non computati ai fini delle verifiche della s.l.p., ma chiaramente destinati al successivo recupero abitativo. Si ritiene in proposito che questi spazi, non specificatamente normati dal R.E. non possano comunque eccedere i requisiti massimi di altezza ammessi per gli interventi di recupero dei sottotetti preesistenti e in particolare debbano avere un’altezza media comunque inferiore ai 2,40 m. Calcolo degli oneri di urbanizzazione Con la nota esplicativa diramata in data 19/1/98, si disponeva l’applicazione degli oneri di urbanizzazione tabellari al volume reale oggetto di recupero. Tale disposizione, antecedente l’entrata in vigore della L.R. 22/99, consentiva di differenziare i contributi secondo l’altezza interna dei locali sottotetto. Nell’esperienza di questi anni di applicazione, si è verificato che la maggior parte dei sottotetti, soprattutto dopo l’entrata in vigore della L.R. 22/99, presentano altezze lorde di interpiano assai prossime all’altezza virtuale di 3.00 m. Per contro, la verifica dell’altezza media ai fini del computo degli oneri, risulta spesso laboriosa sia per i progettisti sia per chi cura la verifica dei computi per gli oneri. Stanti le considerazioni esposte si dispone che gli oneri siano quindi calcolati facendo riferimento al volume virtuale pari alla s.l.p. oggetto di recupero per l’altezza teorica di 3.00 m. Calcolo del contributo commisurato al costo di costruzione La L.R. 15/96 stabilisce che il contributo sul costo di costruzione (come anche gli oneri), siano calcolati con riferimento alle tariffe per le nuove costruzioni. Per il relativo calcolo, ai fini della determinazione della classe, deve quindi normalmente applicarsi la tabella allegata al DM 10/4/77 estesa a tutto l’edificio. In alternativa, con le citate disposizioni del 19/1/98, si riteneva ammissibile l’applicazione della percentuale fissa del 10% al costo di costruzione documentato con computo metrico estimativo. Tale metodo risulta infatti più agevole nell’applicazione nel caso di interventi su fabbricati complessi. Si precisa, con le presenti note, che è comunque sempre ammessa la determinazione del contributo “ a tabella” , la cui compilazione è sicuramente più rapida per edifici semplici. Il seguente Comunicato riguarda invece l’adozione di variante, ai sensi dell’art. 2 - comma 2 lett. 1 della L.R. n. 23/97, alle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale relative alla disciplina degli interventi direttamente connessi con il tema del traffico urbano, efficace in regime ●
Il Sindaco commissario delegato per l’emergenza del traffico e della mobilità nella città di Milano, Visto il decreto del presidente del consiglio dei Ministri 15/11/2001, pubblicato sulla G.U. n. 296 del 19/11/2001, con il quale è stato dichiarato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2003, determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nella città di Milano; Vista l’ordinanza del ministro dell’Interno n. 3171 del 28/12/2001, pubblicata sulla G.U. n. 1 del 2/1/2002 di nomina a commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare detta emergenza; avvisa che, con provvedimento n. 93 del 5 agosto 2002, ha disposto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 2, lett. I) della Legge Regionale 23 giugno 1997, n. 23, l’adozione della Variante alle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale vigente del Comune di Milano, approvato con Deliberazione della Giunta Regionale della Lombardia n. 29471 in data 26/2/1980, e successive modificazione ed integrazioni, relativamente a quanto concerne la realizzazione dei parcheggi e delle infrastrutture varie e di trasporto, nonché l’attuazione dei servizi e degli interventi connessi alla mobilità (artt. 51, 51 bis, 58, 61, 63, 63 bis, 45, 46). La suddetta Variante normativa sarà depositata in visione al pubblico nel Palazzo Comunale di via Pirelli n. 39, presso il Settore Pianificazione e Progettazione Urbana - 8° piano a far tempo dal 23 settembre 2002 fino al 23 ottobre 2002 con il seguente orario: nei giorni dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 14.30 alle ore 16.00. nei giorni di sabato e festivi dalle ore 10.00 alle ore 12.00. Le osservazioni a detta Variante dovranno essere redatte in sei copie di cui l’originale in carta da bollo da € 10,33 e le restanti cinque in carta semplice e dovranno essere presentate all’Ufficio Protocollo del Settore Urbanistica via Pirelli n. 39, 4° piano, entro le ore 16.00 del giorno 22 novembre 2002. Detto termine di presentazione delle osservazioni è perentorio e, pertanto, quelle che pervenissero oltre tale termine non saranno prese in considerazione. (ndr. ricevuto per la pubblicazione l’11 novembre).
Designazioni dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di M ilano nelle Sedute di luglio e settembre 2002 • In relazione alla richiesta avanzata dall’architetto Antonino VITALE in data 8 luglio 2002, il 22 luglio il Consiglio dell’Ordine ha comunicato alle parti interessate, FINMOTOR INDUSTRIE srl e l’impresa AB COSTRUZIONI srl, la nomina dell’architetto Valentino MONTI quale “ terzo arbitro” con funzioni di Presidente per la controversia in oggetto. ● Il 25 luglio è stata comunicata al geometra Angelo PASSERO, Legale Rappresentante Pro-Tempore dell’Impresa “ La Passero S.a.s. di Passero & C.” che ne aveva fatto richiesta l’8 luglio 2002, la nomina dell’Architetto Antonio COLAGRANDE quale terzo arbitro con funzioni di Presidente nella controversia riguardante la ristrutturazione di una Villa di proprietà di Ivana Bonini a Milano. ● Il 31 luglio è stata comunicata all’architetto Letizia GIARDINETTI, Assessore all’Urbanistica ed Edilizia Privata del COMUNE DI DRESANO la nomina della terna di professionisti richiesta con una nota del 18 luglio. La terna è composta da Alessio ARENOSTO, Francesco PASQUALI e Celestino RAINOLDI tra i quali l’Amministrazione potrà scegliere il componente della Commissione Edilizia, in qualità di esperto in materia di tutela paesistico-ambientale. ● Lo stesso 31 luglio è stata comunicata al Responsabile del Procedimento dell’Università degli Studi di Milano, architetto Aldo Di Silvestro, la nomina della terna di professionisti all’interno della quale l’Università potrà scegliere il rappresentante in seno alla Commissione Tecnica Giudicatrice dell’appalto-concorso in oggetto. Il concorso riguarda l’affidamento della progettazione esecutiva ed esecuzione lavori di ristrutturazione del complesso edilizio per le esigenze del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria e dell’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento (ICP); nonché per l’affidamento della fornitura di arredi, del servizio di noleggio operativo quinquennale delle apparecchiature tecnico medicali odontoiatriche e del servizio di manutenzione e gestione quinquennale dell’immobile e relativi impianti. La terna è composta dai professionisti Ferdinando ANICHINI, Massimo CIOFFI e Francisca PONTI (PONTI FERRARI). Data l’urgenza la segreteria non ha potuto contattare telefonicamente tutti i professionisti designati per avere conferma della disponibilità ad accettare l’incarico (considerato anche il periodo di chiusura degli uffici per la pausa estiva), per cui ha deciso di segnalare due ulteriori professionisti quali riserve, gli architetti Sergio AGAPE e Teodolo MANGANELLI, da contattare in caso di necessità.
In data 11 settembre 2002 è stata comunicata al Sindaco del Comune di Cuggiono, avv. Giuseppe Locati, la nomina degli architetti Annalisa BARBIERI, Nicola RIGHINI e Elio Guido RONZONI quale terna di professionisti, tra i quali l’Amministrazione potrà scegliere il componente della Commissione Edilizia. ● Il 17 settembre è stata comunicata all’impresa Edil Immobiliare TAMBURINI srl, che ne aveva fatto richiesta il 28 agosto 2002, la nomina della terna per collaudo di opere in cemento armato per la realizzazione di case d’abitazione unifamiliari in Comune di Arluno. La terna è composta dagli architetti Giuseppe DE MARTINO, Romano GARAVAGLIA e Claudio MOLTENI. ● In relazione alla richiesta pervenuta il 26 agosto da parte di IMPREDIL di Longo Santo, il Consiglio dell’Ordine di Milano ha comunicato il 18 settembre la nomina della terna per collaudo statico inerente la ristrutturazione di immobile ad uso civile abitazione in via Marconi 73 a Bovisio Masciago. La terna è composta dagli architetti Antonio CATALANO, Antonio ERRICO e Angelo ROCCHI. ● Il 17 settembre è stata comunicata all’architetto Alfredo VILLA, Responsabile Servizio LL.PP. e al Capo Settore Gestione e Pianificazione del Territorio del Comune di Opera architetto Mauro BROCCA, la nomina dell’architetto Bianca Maria ZIRULIA quale rappresentante del Consiglio dell’Ordine in seno alla Commissione Giudicatrice relativa al Concorso nazionale di idee per la riqualificazione delle aree centrali di Opera . ● Il 23 settembre sono stati comunicati al Rettore del Politecnico di Milano e al Preside della Facoltà di Architettura Campus Leonardo i nominativi dei rappresentanti dell’Ordine nelle sedici Commissioni per la sessione degli esami di Laurea in Architettura nei giorni 7-8 ottobre 2002. I professionisti designati sono risultati: Franco GALAVOTTI nella Ia Commissione, Chiara Maria FREYRIE nella IIa, Luigi CAREGNATO nella IIIa, Mario AIRAGHI nella IVa, Marco VISTARINI nella Va, Sandro PINNA nella VIa, Enrico CHIAPPETTI nella VIIa, Giovanna PEREGO nella VIIIa, Claudio MADESANI nella IXa, Renato GERBINO nella Xa, Daniele MARICONTI nella XIa, Paola Maria TERENGHI nella XIIa, Ilva ZIMMARO nella XIIIa, Gianluigi REGGIO nella XIVa, Erminio D’ORSI nella XVa e Tiziana Maria DE PAOLI nella XVIa Commissione. ● Lo stesso 23 settembre 2002 sono stati comunicati al Rettore del Politecnico di Milano e alla Segreteria della Facoltà di Architettura Civile i nominativi dei rappresentanti dell’Ordine per la sessione degli esami di Laurea in Architettura nei giorni 15-16 ottobre 2002. I professionisti designati sono Manuela MANDELLI per la Ia Commissione, Paolo Donato FARE’ ●
per la IIa, Flavio LAZZATI nella IIIa e Egidio PORTA nella IVa. ● Il 27 settembre 2002 sono stati comunicati al Rettore del Politecnico di Milano e al Preside della Facoltà del Design (III Facoltà di Architettura) del Politecnico di Milano i nominativi dei rappresentanti dell’Ordine per la sessione degli esami di Laurea in Disegno Industriale nel giorno 7 ottobre 2002. I professionisti designati sono Francesco Vittorio CASTIGLIONI per la Ia Commissione, Claudio SALOCCHI per la IIa, Laura Valeria NAJ nella IIIa, Gianfranco CESCHIA nella IVa e Mara Carlotta BERETTA nella Va Commissione. ● In seguito alla stessa seduta sono stati comunicati al Preside della Facoltà di Architettura del Campus Leonardo i nominativi dei professionisti Marco A. COPPI e Francesco Pasquale PARAVATI quali rappresentanti dell’Ordine nelle due Commissioni relative agli Esami di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale (PTUA), nella sessione dell’8 ottobre 2002.
Deliberazioni della 118a seduta di Consiglio del 11.11.2002 Domande di prima iscrizione presentate nei mesi di ottobre e novembre 2002 (n. 28, di cui 22 architetti unicamente l.p e 6 architetti che svolgono altra professione): 13329, Bettera, Rossana, 16.5.1974, Milano; 13337, Betti, Fabio Egidio, 5.9.1973, Bollate; 13333, Bianchi, Elena, 15.3.1973, Milano; 13341, Bianchi, Sergio, 7.11.1971, Como; 13330, Biorcio, Valentina, 25.1.1970, Milano; 13346, Bocciardi, M aira, 12.10.1974, Giussano; 13339, Bosco, Massimiliano, 18.10.1957, Milano; 13328, Bricchi, Stefania, 25.2.1969, Fiorenzuola D’Arda; 13349, Calloni, Umberto Carlos, 29.12.1973, Milano; 13331, Camera, Davide Carlo, 30.8.1974, Milano; 13350, Camisasca, Anna, 1.5.1976, Milano; 13326, Cavagna, Lorenzo, 18.1.1975, Milano; 13352, Clerici, Andrea Luigi, 7.7.1970, Legnano; 13347, Cocilovo, Paolo, 8.4.1971, Pavia; 13327, Coluccia, Sara, 6.8.1973, Busto Arsizio; 13351, Gestori, Paola, 20.12.1972, Rezzonico; 13353, Griletto, Andrea, 7.4.1973, Milano; 13354, Iero, Eugenio Francesco, 2.4.1955, Cataforio; 13335, Imbriani, Paola, 27.6.1973, Milano; 13343, Marino, Alessandra Maria, 10.10.1972, Nevilly Sur Seine; 13355, Palmieri, Andrea, 4.3.1974, Rimini; 13342, Palmieri, Giorgio, 15.9.1966, Suez; 13345, Parola, Maria Chiara, 28.7.1971, Busto Arsizio; 13336, Perego, Manuela, 2.7.1974, Milano; 13344, Pirola, Matteo, 5.9.1975, Cernusco S. Naviglio; 13332, Radaelli, Elena, 3.2.1975, Monza; 13340, Rastelli, Maria Federica, 16.11.1972, Milano; 13338, Settanta, Monica, 9.5.1969, Desio; 13348, Terni, Luca, 25.2.1970, Besana in Brianza; 13356, Tripodo, Letteria, 7.10.1960,
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Informazione
di salvaguardia a far tempo dal 5 agosto 2002. La variante modifica gli articoli inerenti i seguenti argomenti: parcheggi di natura pertinenziale e non pertinenziale, le aree a parcheggio pertinenziali agli esercizi commerciali, le attrezzature per la distribuzione di energia per autotrazione e le isole di servizio, le attrezzature destinate ad officine e quelle destinate al lavaggio, le aree per attrezzature connesse alla viabilità.
Informazione
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M essina; 13334, Villa, Vit t orio,29.2.1964, Giussano. Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Eugenio Francesco Iero da Reggio Calabria; Andrea Palmieri da Rimini; Letteria Tripodo da Messina. Cancellazioni su richiesta: Anna Gobbi Cavanna (* ); Vincenzo Hybsch (* ). Cancellazione per trasferimento ad altro Albo: Francesca Petroli a Lecco (16.10.2002). Rilascio n. 3 nulla osta per trasferimento ad altro Albo: Vito Giuseppe Buoio ad Avellino; Michela Piva a Bergamo; Silvia Simoni a Lucca. Inserimento nell’Albo d’Onore: (* ) Anna Gobbi Cavanna, (* ) Vincenzo Hybsch. Cancellazioni dall’Albo d’Onore per decesso: Renzo Dal Zotto (dec.li 5.10.02); Sandrino Garofoli (dec. li 4.2.02). Cancellazione per decesso: Gianemilio Monti dec. li 22.10.02.
Nuova Convenzione con l’Arca edizioni l’ARCA, rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva diretta da Cesare Maria Casati, offre agli iscritti all’Ordine degli Architetti di Milano uno sconto pari al 20% sul prezzo dell’abbonamento, che può essere di due tipi ● Abbonamento a l’ARCA (11 numeri) + l’ARCA on line ● Abbonamento a l’ARCA (11 n.) + l’ARCA on line + l’ARCAPLUS (4 n.) Per ulteriori informazioni contattare Laura Ronchi, ufficio abbonamenti, abbo.arca@tin.it
Sconti sui periodici Mondadori L’Ordine degli Architetti di Milano e la casa editrice Mondadori hanno stipulato una convenzione che consente agli iscritti di abbonarsi a condizioni particolarmente vantaggiose ai circa 60 periodici del suo gruppo. Tra questi citiamo Casabella (38% ), Interni + Guida + Annual (38% ), Ville e Giardini (33% ), AD (52% ) e Casaviva (55% ). Per attivare un nuovo abbonamento, rinnovarne uno in corso o ricevere informazioni più dettagliate, rivolgersi al Sig. Paternò alla Segreteria del S.G.C. Mondadori al numero di telefono 02 9063 9952 oppure inviare e-mail all’indirizzo e.paterno@tin.it
In occasione delle festività natalizie le segreterie dell’Ordine e della Fondazione dell’Ordine Architetti saranno chiuse dal 23 dicembre 2002 al 6 gennaio 2003.
Pavia
l’ostacolo di una legislazione non particolarmente consona.
Convegno “Architetture castellane nel pavese: nuove funzioni e conservazione” Pavia, Aula magna del Collegio Ghislieri nel complesso di San Francesco da Paola 24 ottobre 2002 Soprintendenza Regionale della Lombardia Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano
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Interventi: ● Carla Di Francesco, Soprintendente regionale della Lombardia Introduzione ● Giuseppina Vago, Soprintendenza regionale della Lombardia Problemi di metodo nell’adattamento alle nuove funzioni ● Giuseppe Stolfi, Soprintendenza B.A.P. di Milano Aspetti della trasformazione d’uso nella storia ● Lorenzo Jurina, Politecnico di Milano Metodologie compatibili di consolidamento strutturale per il riuso ● Silvana Garufi, Soprintendenza B.A.P. di Milano Problemi di metodo e riutilizzo dei castelli di proprietà privata ● Carlo Bernasconi, Presidente del Collegio Ghislieri di Pavia Adeguamento funzionale e destinazione d’uso con finalità culturali del Castello di Lardirago ● Donata Vicini, Direttore dei Musei Civici di Pavia Il Castello Visconteo di Pavia: destinazione d’uso museale e problemi di gestione ● Vittorio Prina, Ufficio Tecnico del Comune di Pavia Il Castello di Pavia: la manutenzione ● Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti, Politecnico di Milano Conservazione e riuso del Castello di Voghera: indirizzi metodologico-progettuali e soluzioni impiantistiche L’intento del convegno è senza dubbio quello di fare il punto sui problemi e sulle soluzioni che emergono nella pratica del restauro e del riuso di architetture storiche e monumentali, castellane e non. L’attenzione è posta sull’acquisizione di nuove metodologie dedotte dai temi principali che si devono affrontare nel restauro: le nuove funzioni che necessariamente sono introdotte e che modificano l’uso dell’immobile storico, il consolidamento strutturale, l’adeguamento funzionale, normativo e impiantistico, le conseguenti gestione e manutenzione. È rilevante notare che nessuno di questi temi si può sviluppare secondo metodologie convenzionali e spesso ormai obsolete ma che tutti necessitano di un approccio innovativo, di un intervento concepito come vero e proprio progetto che deve spesso superare
L’architetto Giuseppina Vago pone l’accento sui problemi della messa a norma impiantistica e strutturale e sulle nuove destinazioni d’uso soprattutto negli esempi di architetture castellane di proprietà pubblica. Fondamentale è l’approccio al restauro che si fonda su di un esaustivo rilievo geometrico e materico e su una approfondita analisi storica; a questo proposito viene esaminato il progetto di restauro del Castello di Voghera, iniziato nel 1994, a cura della Soprintendenza, analizzando la sua storia, le modificazioni, le trasformazioni d’uso, i progetti di restauro precedenti, le nuove funzioni introdotte che prevedono spazi per convegni, attività culturali ed espositive. L’intento metodologico è basato sulla conservazione di tutte le strutture storiche sovrapposte in modo che siano leggibili. “ L’argomento che ci siamo proposti di trattare in questo incontro è significativo per le difficoltà che comporta l’adattamento a nuove funzioni di strutture architettoniche quali sono i castelli. Un primo notevole problema è dato dal fatto che gli edifici fortificati, proprio per le caratteristiche della loro funzione, sono quasi completamente privi di aperture verso l’esterno, condizione sfavorevole questa alla soddisfazione dei rapporti aero-illuminanti imposti dagli attuali regolamenti d’igiene. L’inaccessibilità tipica di queste costruzioni, in caso di destinazione ad uso pubblico, determina così la necessità di ridisegnare gli ingressi, predisponendo anche passaggi facilitati per i disabili. A questi problemi specifici si aggiungono poi quelli che riguardano più in generale il recupero funzionale degli edifici storici che comporta sempre la necessità della loro messa a norma impiantistica e strutturale, esigenza che non sempre corrisponde ad una corretta conservazione delle caratteristiche architettoniche e statiche della costruzione. Per trovare una soluzione a questi problemi la prima questione che si deve porre il progettista del restauro e, con lui, l’amministratore pubblico, è quale destinazione d’uso sia più adatta all’edificio. In Lombardia sono numerosi gli esempi di castelli di proprietà pubblica utilizzati come sede di uffici comunali. In queste situazioni il diritto di chi svolge il proprio lavoro a soggiornare in ambienti allestiti nel rispetto di tutte le norme igienico-sanitarie e di scurezza è spesso in conflitto con la necessità di conservazione delle caratteristiche storiche degli edifici. Lo stato di disagio che si crea in questi casi ci porta a pensare che, per i castelli in particolare, si debba prevedere un uso pubblico più compatibile sia con le esigenze degli utenti che con la conserva-
zione dalle caratteristiche storiche ed architettoniche. Quello che mi propongo di analizzare in questa riflessione è, in particolare, la problematica legata al recupero architettonico e funzionale delle strutture castellane di proprietà pubblica e pertanto destinate ad un uso pubblico. Nel programmare l’inserimento di nuove funzioni in un organismo architettonico di valore storico quale è un Castello si dovrà tendere alla conservazione integrale delle sue caratteristiche, che già di per sé costituiscono un patrimonio per la collettività e, successivamente, mirare ad ottenere che le funzioni raccolte al suo interno siano utili alla comunità stessa, nel rispetto delle normative vigenti. L’amministratore chiamato a pianificare un intervento di questo tipo deve anche, e innanzitutto, sapere che l’obbiettivo finale non potrà mai essere quello di una piena redditività dell’operazione, in termini finanziari, in quanto l’analisi costi/benefici darà sempre un saldo negativo. Infatti un Ente pubblico che si proponga di occuparsi della gestione di una struttura castellana adibita, per esempio, a museo, e della sua costante manutenzione, dovrà mettere a disposizione una quantità di risorse finanziarie che non potranno certamente essere reintegrate dalle entrate di quel museo, soprattutto se l’edificio che lo ospita si trova in un piccolo comune di provincia e non in una grande città. L’efficacia dell’iniziativa potrà tutt’al più derivare dalla creazione di situazioni favorevoli all’espansione economica del contesto che gli gravita intorno, considerando questo intorno più o meno ampio, in riferimento all’importanza del castello e alla sua localizzazione nel territorio. Ma se l’obbiettivo prioritario è quello della conservazione di un bene culturale, patrimonio della collettività, per ottenere questo scopo la collettività stessa ha l’obbligo di mettere in conto di dover sostenere un costo. Ed è per questo che la legislazione italiana prevede l’intervento dello Stato, o direttamente o con contributi a fondo perduto, per i lavori di restauro di edifici d’importante interesse storico-artistico, non solo di proprietà pubblica ma anche a favore dei proprietari privati. Condizione necessaria per usufruire di questa possibilità è che l’approccio metodologico al restauro e riuso funzionale di un immobile monumentale sia corretto, ovvero, parta dalla conoscenza delle sue caratteristiche architettoniche, strutturali e artistiche, quindi, prioritariamente, dal rilievo metrico e materico, e dalla ricerca storico-documentaria delle origini della costruzione e degli eventi che, nel corso dei secoli, hanno determinato e modificato la sua struttura e le sue caratteristiche tipologiche.
● L’architetto Stolfi sottolinea l’importanza di una prospettiva storica sul tema dell’intervento attuale sull’architettura storica e l’adeguamento delle preesistenze alle nuove funzioni. Il caso più emblematico per definire le coordinate è l’esempio del Duomo di Siracusa. Il riuso permette la conservazione ma comporta inevitabilmente la trasformazione. A questo proposito mostra alcuni esempi quali il castello di Voghera con i suoi caratteri storici e le modifiche d’uso, il castello di Vigevano ed il castello di Milano che vede succedersi i canonici passaggi e successioni funzionali sino al momento critico in cui una società propone un grande piano di lottizzazione per l’edificazione di residenza borghese prevedendo la totale demolizione del castello. In questo caso la novità appare nella conservazione non in funzione del riuso ma solo in quanto bene d’importanza storica. Esistono edifici con valori culturali compresi nella valenza dell’edificio stesso. Il momento problematico è individuato nell’atto della dismissione a cui succede il restauro con l’invenzione di una nuova funzione. L’uso permette la sopravvivenza ma comporta inevitabili trasformazioni. ● Il professor Jurina mostra esempi suddivisi per tipologie d’interventi: il castello di Pergine (Trento) ove è prevista una gestione mista pubblica e privata, il castello di Vigevano, il consolidamento delle torri San Dalmazio e del Majno a Pavia con l’inserimento di una struttura a torre entro la torre, il consolidamento di resti storici a Forte Fuen-
tes vicino a Colico e al castello di Trezzo d’Adda, l’intervento ai Portoni della Bra (Verona) che prevede il consolidamento dei merli senza l’inserimento di alcun elemento all’interno del merlo stesso, la sistemazione di Porta Nuova a Pavia, la ciminiera fessurata a Selargius ove è prevista una struttura interna che diventa scala elicoidale, il consolidamento dei beccatelli al castello di Montorio (Verona); alcuni interventi su archi e volte con l’introduzione di uno speciale arco armato che prevede la sola modifica dei carichi e non della sua geometria negli esempi di casa Giacobbe a Magenta, del Monastero degli Olivetani, della villa San Carlo Borromeo a Senago, dell’ex macello di Milano; il consolidamento delle volte al Castello della manta che prevede una trave superiore che regge tirantini inclinati e inseriti dall’alto all’imposta della volta, l’inserimento di una scala metallica esterna con valenze strutturali a Palazzo Cattaneo a Cremona, Palazzo Pallavicino a Cremona le cui volte sono consolidate per mezzo di cavetti che determinano una struttura reticolare a vista, la struttura sovrapposta per rinforzare il solaio della torre sud-ovest del castello Visconteo di Pavia. Il professor Carlo Bernasconi delinea la storia e le nuove destinazioni d’uso del Castello di Lardirago. “ In passato il Castello ha svolto funzioni difensive, di deposito e custodia delle messi, amministrative del territorio circostante. Tali funzioni non sono più oggi attuali e dopo l’ultimo conflitto mondiale l’imponente edificio è andato gradualmente in disuso. È sorto così il problema di valutare una nuova destinazione per l’utilizzo del Castello, e l’Amministrazione del Collegio ha ritenuto che l’impiego oggi più adeguato si identificasse con le stesse finalità culturali del Ghislieri. ●
La dottoressa Donata Vicini afferma che “ la destinazione museale della splendida dimora viscontea-sforzesca, dopo plurisecolari usi incongrui a caserma, è prescritta nell’atto di cessione da parte dello Stato al Comune di Pavia nel 1933. Nonostante l’obiettivo d’uso, delineato a premessa del recupero, fattori diversi (dal degrado effettivo dell’immensa mole, alla guerra, alla scarsità di risorse) hanno condizionato il restauro (pur sempre imponente tra il 1920 e il 1948), subordinandolo spesso alle esigenze incalzanti delle ostensioni museali. Ne è nato lo iato, tuttora percepibile, tra un piano ordinato di progressione museale e l’assenza di un progetto organico (dal rilievo, al restauro filologico e funzionale) per il castello, con conseguenze assai sofferte sul piano della stabilità e del decoro della struttura come pure della gestione dei percorsi e dei servizi museali, estesi ormai su tre piani e con ulteriori necessità di spazi espositivi in rapporto all’entità, tipologia e qualità delle raccolte, accorpate negli attuali Musei Civici.” ●
L’intervento dell’architetto Vittorio Prina descrive gli interventi di manutenzione generica, impiantistica, strutturale, di messa a norma in corso e previsti presso il Castello Visconteo di Pavia. “ È opportuno accennare, ed approfondire in altra sede, al concetto di manutenzione, che nell’antichità era tutt’uno con la progettazione e cominciava con la fine della costruzione dell’opera, per la manutenzione dovrebbero valere regole non indifferenziate ma specifiche per ogni edificio ed attuate con strumenti specialistici. La manutenzione, se pensata con le caratteristiche e l’impoverimento attuali che ha assunto il termine, ●
si pone in conflitto con il concetto di restauro; la manutenzione è conservazione e deve coincidere con un progetto. Il problema principale è la mancanza di continuità: si opera di volta in volta quando le condizioni lo richiedono e quindi in condizioni di emergenza quando il danno è già successo. L’intervento manutentivo prevede comunque l’utilizzo di conoscenze e strumenti specifici e specialistici che spesso sono andati persi e che risultano disgiunti dalle conoscenze del costruire; sarebbe necessaria una continuità tra costruzione e manutenzione così come tra restauro e manutenzione. Le regole relative alla manutenzione di un edificio storico non possono essere generiche e indifferenziate, bensì specifiche rispetto alle caratteristiche di ogni singolo edificio e al suo contesto fisico e storico. Importante è l’introduzione, da parte della Legge Merloni (che in fase di progetto e soprattutto di direzione lavori non aiuta di fatto l’esecuzione di un opera di restauro), del Piano della Manutenzione che deve essere redatto in fase di progetto esecutivo ma appare uno strumento che, come è descritto, poco si presta agli interventi su edifici storici che necessitano di una pianificazione degli interventi di manutenzione, di una azione sia preventiva che di programmazione nonché di interventi pensati non solo per parti ma nel loro insieme. Attualmente l’Amministrazione e l’Ufficio Tecnico stanno tentando di comporre un progetto d’assieme che, contrariamente a quanto è stato fatto sino ad ora, inglobi ogni intervento relativo al Castello Visconteo di Pavia e permetta una adeguata programmazione delle opere” . Gli studenti della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti del Politecnico di Milano presentano una sintesi del lavoro (tuttora in corso) svolto in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Ambientali di Milano, per la redazione di una tesi di specializzazione presso la SSRM-Politecnico di Milano, avente per oggetto l’intervento di conservazione del Castello di Voghera. “ La destinazione museale del Castello implica la salvaguardia sia del contenuto che del contenitore, oltre che la sicurezza ed il benessere dei fruitori, richiede che la progettazione architettonica ed impiantistica si risolvano in modo integrato e che siano rispettati i requisiti affidabilità, manutenibilità e flessibilità funzionale. La presentazione di esempi di interventi su manufatti storici sottolinea l’importanza di un approccio che privilegi l’apporto di elementi non invasivi e non dissimulati, progettati con attenzione sia verso l’efficienza che verso l’esito formale, nella garanzia della massima conservazione della fabbrica” . ●
a cura di Vittorio Prina
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Informazione
Il progettista del restauro non può nutrire idee preconcette né azzardare ipotesi d’intervento che non poggino su basi scientifiche di questo tipo, tanto meno può ignorare la situazione reale che gli si presenta, nel momento storico in cui affronta il restauro dell’edificio.”
Da un decennio il Collegio è quindi impegnato nel restauro del Castello di Lardirago, per destinarlo a sede di molteplici attività culturali: congressi, corsi di specializzazione e di aggiornamento, seminari scientifici, centri di studio e di ricerca. Il recupero di una costruzione tanto complessa, la cui struttura rispecchia un millennio di storia, comporta necessariamente difficili scelte architettoniche, che conservino e valorizzino le impronte del passato, ma nel contempo consentano l’utilizzo dell’edificio secondo le esigenze attuali (…) Nel 1992 sono iniziate le opere dapprima di straordinaria manutenzione e poi per la realizzazione di un primo lotto funzionale ormai ultimato. Con il procedere dei lavori, la conoscenza dell’edificio, attraverso rilievi e sondaggi appropriati, si è fatta sempre più precisa. Nel frattempo sempre più importante è apparso il ruolo di coordinamento, svolto dal Collegio committente, dei contributi di un’ampia cerchia di esperti, coinvolti in un’efficace collaborazione interdisciplinare.”
Dalle Istituzioni
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Ill.mo Dott. Castiglioni, con la presente Le invio alcune informazioni circa il contenuto del convegno che il Servizio Parchi della Regione Lombardia organizzerà il prossimo 20 gennaio 2003. A questo Servizio è sembrato corretto informarLa su tale iniziativa, sia per gli aspetti sociali che comporta sia che per gli aspetti tecnici. Questo servizio si metta sin da ora a Sua disposizione per fornire tutte le informazioni del caso, confidando nella Vostra disponibilità a promuovere l’iniziativa tra i Vostri associati. Certi di aver sucitato il Suo interesse, si porgono distinti saluti. Stefano Paganini 2° Convegno sull’ambiente naturale ed il disagio sociale “Nuove fruibilità nelle Aree Protette lombarde” Centro Convegni “ Fondazione Cariplo” 20 gennaio 2003 Milano, via Romagnosi, 6 La D.G. Qualità dell’Ambiente della Regione Lombardia, ha in programma di organizzare il prossimo anno, un convegno che si ripropone da una parte di illustrare gli interventi realizzati o in fase di realizzazione all’interno delle aree protette regionali, per favorirne la fruizione con particolare riguardo alle persone con problemi di handicap, dall’altra, di come l’ambiente naturale possa essere di valido supporto per l’attuazione di programmi a sostegno di quelle persone che vivono in situazioni di particolare disagio. L’iniziativa, alla sua seconda edizione, segue quella realizzata nel 1999 presso la sede dell’Istituto Martinitt che ha visto una nutrita partecipazione di Enti e Associazioni. Il convegno dal titolo “ Disagio sociale ed ambiente naturale” , si proponeva lo sviluppo di indirizzi di ricerca e di sperimentazione per dare una risposta a domande sociali quali i problemi dell’handicap, del disagio giovanile e delle tossicodipendenze, richiamandosi alla centralità dell’ambiente naturale e che ebbe un notevole successo di pubblico. Dopo quel convegno, partirono una serie di iniziative sperimentali
nelle aree protette regionali, che in alcuni casi sono diventate permanenti (es. ortoterapia, ippoterapia, musicoterapia, miglioramento della rete sentieristica, convenzioni con ASL, servizi sociali, associazioni di volontariato e coop. Sociali). Di questo convegno sono stati inoltre pubblicati gli atti, che ancor oggi rappresentano un valido contributo scientifico in materia. Nel corso della manifestazione del 20 gennaio 2003, verrà invece presentato e distribuito (gratuitamente) un manuale che consta di due tomi: ● il primo di servizio in cui sono elencate le aree naturali che presentano itinerari ad “ alta accessibilità” ; ● il secondo tecnico, indirizzato in particolar modo a chi si occupa di progettazione (Architetti, geometri, uffici tecnici pubblici, studi di progettazione), non solo per sensibilizzarli su tali argomenti ma soprattutto perché tali interventi richiedono un supporto creativo e tecnico elevato. Il Convegno verrà organizzato con il contributo del Consorzio Parco “ Campo dei Fiori” di Varese. L’invito e la locandina del convegno, saranno pubblicati prossimamente sul sito: www.parchi.regione.lombardia.it Il programma non è naturalmente al suo status definitivo, è possibile però avere una chiara idea di come sarà strutturato: Saluti: Presidente Fondazione Cariplo; Presidente Regione Lombardia Interventi: ass. Nicoli Cristiani; dirigente del Ministero Ambiente; dott. Zambetti, Presidente 6a Commissione Ambiente del Consiglio Regionale lombardo Il significato di fruibilità: dott. Osti, Università di Trieste Parco specchio complessità sociale: Fondazione Minoprio - formazione; Presidente del Parco del Serio - Ippoterapia; Responsabile Educazione Ambientale del Parco Nord - Ortoterapia; Direttore del Parco Naz. Foreste Casentinesi - Sentieristica Riflessioni: coordinatore del Centro di Etica Ambientale; A.I.A.S. Lombardia; don Annino Rocchi, Responsabile Caritas Presentazione: Manuale tecnico su interventi per disabili all’interno delle aree protette (a cura dell’arch. Monica Brenga); intervento di sua Eminenza il Card. Tettamanzi Chiusura: Dirigente D.G. Qualità Ambiente Seguirà buffet La Segreteria del Convegno
Lettere redazione.al@flashnet.it
Recupero abitativo dei sottotetti Si deve riconoscere ad “ AL” il merito di averci fornito, sulla disciplina del recupero abitativo dei sottotetti in Lombardia, due utili contributi all’esercizio della nostra professione, esemplarmente rispondenti alla principale ragion d’essere della pubblicazione; mi riferisco a: Sui sottotetti è scontro aperto (o quasi) di Walter Fumagalli e Sottotetti in pericolo di Matteo Salvi, entrambi sul n. 7/8 2002. Esemplari anche per chiarezza e sinteticità, sono tra i pochi (per taluni aspetti, gli unici a me noti) ad avere evidenziato i contorni del disastro “ legislativo” combinato dalla Regione Lombardia. Ovviamente non mi riferisco ai termini politici del disastro (sia pure con qualche difficoltà, prendo atto che per molti si tratta di “ liberalizzazione” ) ma a quello – già palpabile – che potrebbe divampare in termini di guerre di condominio e ulteriore intasamento dei tribunali nonché di noie professionali per certificatori poco prudenti (o solo di difficoltà a rimediare un compenso professionale per i recuperi che rimanessero progetti o cantieri interrotti). Suggerisco quindi ad “ AL” di riprendere e portare avanti il discorso, allargandolo agli aspetti legali civilistici e a quelli tecnici. A tale fine, mi permetto di accennare, poco più che in forma di schematico elenco, ad alcuni tra i tanti problemi sollevati dal recupero dei sottotetti: non propongo esempi ipotetici ma reali (in nessuno dei quali sono professionalmente coinvolto); ben lieto se qualcuno riuscirà a convincermi che i miei dubbi sono infondati, o anche solo eccessivi. 1. La Regione consente di derogare a quasi tutte le norme igienico-edilizie comunali, ma il mancato rispetto di tali norme lede inevitabilmente i diritti di condomini e confinanti; tra i confinanti di un edificio le cui fronti si alzano (anche se l’Assessore regionale dice che non configurano sopralzo) ci stanno certamente i partecipanti alle convenzioni relative ai cortili: convenzioni “ altius non tollendi” si chiamavano, sotto●
Per ulteriori informazioni contattare: • Segreteria Parco Campo dei Fiori - Brinzio (Va) Sig.ra Alessandra tel. 0332.435386 e-mail: campfior@skylink.it • Segreteria Servizio Parchi Regione Lombardia Paganini Stefano tel. 02.6765.4446 e-mail: Elena_Urciuoli@regione.lombardia.it
scritte a migliaia nella Milano edificata fino alla soglia degli anni ‘70; nella edilizia in serie chiusa, la densità è spesso doppia o tripla della massima oggi consentita; mentre i rapporti di aeroilluminazioni possono essere definiti medioevali se rapportati a quelli attualmente vigenti. E che dire dei diritti dei frontisti, in strade di larghezza inferiore o appena uguale all’altezza delle fronti che vi prospettano: debbono subire riduzione di luce e aria senza nulla eccepire? ● 2. All’interno del condominio, una volta chiarito di chi sia la proprietà del sottotetto, in assenza di un titolo scritto (proprietà che in troppi, compreso qualche collega, confondono con il diritto di sopralzo) si deve pur sempre considerare che il sopralzo (anche se la Regione non lo considera tale) costituisce una vistosa innovazione, realizzabile con il consenso della maggioranza stabilita dal Codice Civile, sempre che la minoranza soccombente, stante la ricchezza di appigli possibili, non si rivolga al giudice. ● 3. Una volta superati gli scogli della proprietà e dell’innovazione, si incontra quello dell’indennizzo. Tema meno controverso, in passato, che rischia di complicarsi oggi (a fronte dei troppi aspetti tecnico-legali da considerare, proprio in conseguenza delle deroghe indiscriminate) oppure di innescare ulteriore contenzioso. ● 4. Da ultimo segnalo una “ follia” particolare, meritevole di riflessione. C’è, in Milano, un intero isolato vincolato da sempre a zona RX (vincolo tipologico), sorto nel 1920 su progetto unitario e sopravvissuto, pressoché intatto, fino al 2000; si tratta di oltre quaranta casette unifamiliari a schiera, altezza in gronda m 8, due piani fuori terra. Negli scorsi mesi, sopra due casette, è comparso il terzo piano; due vere e proprie protuberanze che, con l’edificio sottostante, hanno in comune solo la tinta di facciata; sono state consentite senza esame da parte della Commissione Edilizia; verificatori delle misure dichiarate (dubbie): due geometri. Molti residenti nell’isolato vogliono mettere in discussione lo scempio; molti altri, fatti quattro conti a valore di mercato, dicono che, appena trovati i soldi necessari, faranno a loro volta il sopralzo. Non capita tutti i giorni di aumentare di quasi un terzo volume e superficie utile del proprio alloggio. Alla faccia non solo del diritto ma anche, nel caso specifico, della civiltà urbanistica che ha prodotto un insediamento esemplare; oggi a rischio di trasformarsi in “ favela” , senza alibi di povertà. Demetrio Costantino Milano, 18 novembre 2002
Ho consegnato da qualche settimana il mio intervento (AL 10, ottobre 2002, ndr) relativo all’esperienza di lavoro presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Pavia che ho descritto con entusiasmo, e già devo prendere atto che la situazione che ha reso possibile questa esperienza sta mutando, e non di poco. Il motivo di questa precisazione è causato da una notizia che io e i miei colleghi di settore abbiamo saputo dalla stampa locale (cfr. “ La Provincia Pavese” , venerdì 25 ottobre 2002) che descrive uno scenario futuro a dir poco allarmante per il settore Lavori Pubblici. Appare inoltre significativo che la Giunta abbia condotto l’operazione evitando sia di coinvolgere nell’elaborazione del progetto i dipendenti e i sindacati, sia di informarli preventivamente, ma presentando il fatto già compiuto. Nella delibera di Giunta Comunale datata 30 ottobre 2002 si legge che dopo la costituzione di una nuova Società (denominata “ Pavia Patrimonio S.p.A.) “ le incombenze del Settore Lavori Pubblici e Manutenzione risulteranno ridotte e si procederà quindi all’attribuzione delle incombenze ‘residuali’ al Settore Ambiente e Territorio. Il Settore Lavori Pubblici e Manutenzioni verrà soppresso” . Premesso che questo nuovo sostanziale indirizzo dell’Amministrazione deve prevedere un nuovo organigramma dell’Ente, una modifica al suo Regolamento e una preventiva concertazione di tali cambiamenti, ci si domanda in che modo i dipendenti possano scegliere se rimanere o “ transitare” nella nuova società e, in questo caso, quale tipologia di contratto verrà adottata. Di fatto si tratterebbe comunque di smembramento e non di soppressione, termine che gioca a favore di eventuali tagli del personale. L’uso del termine “ soppressione” in delibera non è casuale in quanto con la sentenza n. 2405 del 27.9.1998 il T.A.R. Lombardia ha stabilito che “ La soppressione di un settore di attività dell’amministrazione e della relativa struttura organizzativa configura ab origine uno dei casi di legittima risoluzione del rapporto di pubblico impiego” (si legga: licenziamento). L’art. 36 della L. 28 dicembre 2001 n. 448 prevede inoltre che “ le pubbliche amministrazioni apportano (…) variazioni in diminuzione alle proprie dotazioni organiche: ai fini dell’individuazione delle eccedenze di personale e delle conseguenti procedure di mobilità, si applicano le vigenti disposizioni, anche di natura contrattuale” . A seguito di un colloquio da noi richiesto con il Sindaco, il Diret-
tore Generale e l’assessore al personale appare che, al di là degli adempimenti di legge che comportano lo scorporo delle reti, degli impianti e di altre dotazioni, la cui proprietà è conferita ad una società, e non certo di interi settori (art. 35 della L. 28 dicembre 2001 n. 448), pare che si possano prefigurare due ipotesi, una leggera ed una pesante. La prima consiste nella creazione da parte del Comune di una S.p.A. con la sola proprietà lasciando all’Ufficio Tecnico e all’A.S.M. le funzioni attuali; questa soluzione comporta alcuni dubbi sulla costituzione del relativo capitale (con quale patrimonio?) e prefigura per i dipendenti un contratto pubblicistico con caratteristiche simili alle attuali (contratto che peraltro scade tra due anni e potrà dunque essere trasformato in privatistico). A questo punto viene spontaneo chiedersi quale perversa logica sia sottesa alla creazione di una società che lascia tutto inalterato e che di fatto non porta benefici né economici né gestionali, al di là di una eventuale rivalutazione del patrimonio. La seconda ipotesi prevede la costituzione di una S.p.A. proprietaria del patrimonio che comprende anche la progettazione e nella quale verrebbero riversati i dipendenti dell’Ufficio Tecnico con un contratto privatistico. In ogni caso non esiste di fatto un diritto di opzione che i dipendenti possano esercitare: non essendoci nessuna possibilità da parte dell’Amministrazione di “ assorbire” altrove i dipendenti (soprattutto se tecnici), questi si vedranno costretti a passare in blocco alla nuova società, a meno di non restare nel “ residuo” di dipendenti che verranno affidati al Settore Ambiente e Territorio e che svolgeranno mera attività di controllo delle procedure e quindi burocratica, con una svalutazione delle competenze professionali. Nella seconda soluzione, alla luce delle attuali tendenze di carattere legislativo, ci si può aspettare modifiche che prevedono la partecipazione anche di società private con un conseguente totale cambiamento delle modalità di lavoro dei dipendenti. Alcuni esempi recenti di allargamento a privati hanno confermato che non esiste risparmio di spese ma al contrario un aumento di queste, a fronte di un mancato guadagno. La ragione principale addotta dall’amministrazione sarebbe il risparmio possibile dell’IVA che in una società può essere “ scaricata” , ma questa giustificazione, a fronte di un cambiamento così radicale, non ha bisogno di commenti. È inoltre non auspicabile il passaggio del patrimonio comunale dal pubblico al privato (con quali garanzie?). Una commissione di dirigenti è stata nominata dall’Amministra-
zione per pilotare e gestire il passaggio alla nuova realtà e per valutare se tale manovra è economicamente fondata (quali immobili e relative attività possono veramente avere una resa economica?). Lo scopo di questo cambiamento pare essere una diversa gestione e distribuzione del potere ed è probabilmente anche la conseguenza di pressioni di società di ingegneria e grosse società di costruzione e gestione che vogliono mettere le mani sui lavori pubblici e che hanno interesse ad eliminare un Ufficio Tecnico che funziona e produce un considerevole numero di progetti e realizzazioni. Detto questo il pensiero corre alla logica di pareggio di bilancio e di profitto sottesa ad una società di questo tipo; i contratti del personale cambieranno completamente e saranno di tipo aziendale, apparentemente vantaggiosi nell’immediato dal punto di vista economico, ma che di fatto, nel caso di partecipazione di privati, lasciano il dipendente in balia di “ tagli” drastici del personale (licenziamenti, mobilità, ecc.). È da ricordare che tale cambiamento si ripercuoterà anche su altri settori (ragioneria, ecc.) che lavorano quasi esclusivamente per il Settore Lavori Pubblici. Sconcerto è stato espresso anche dall’Associazione Costruttori. Esaminate le conseguenze tecnico-funzionali, la questione principale è che in un ambito privatistico di tale fatta la conseguenza principale è la perdita inequivocabile delle caratteristiche di qualità della progettazione e della realizzazione dell’opera, componenti essenziali di un’opera pubblica che verranno sacrificate in funzione di una logica di mero profitto, tagliando qualsiasi investimento in ricerca, studio, analisi, redazione del progetto, scelte di qualità in corso di realizzazione dell’opera… Si perderanno anche le professionalità costruite con fatica e investimento all’interno dell’ente in favore di una logica di risparmio a tutti i costi che trasformerà in rami secchi da potare qualsiasi investimento che non sia motivato da giustificazioni utilitaristiche. Verranno anche sconvolti gli equilibri, trovati con fatica e lavoro nel corso degli anni, tra gruppi di lavoro consolidati, tra gli uffici progettazione, manutenzione e appalti, tra tecnici e amministrativi; verrà di fatto disgregata una macchina ben rodata, che funziona e produce lavoro. Una logica di tale portata può essere applicata alla manutenzione del verde, alla riscossione dei tributi o ad altre attività marginali analoghe, ma non certamente ad un Settore Lavori pubblici che deve essere la diretta emanazione degli indirizzi di una giunta pubblica che propone interventi di qualità alla città in funzione del cittadino. Una ricchezza “ storica” che sarà smantellata e persa. Ricordo con inquietudine una se-
rie di comunicazioni di aggiornamento tenute lo scorso anno al personale dell’Ufficio Tecnico dall’Università Bocconi relative alla nuova legislazione in materia di lavori pubblici. Dopo una lunga esposizione dei fatti con largo uso di termini, schemi e diagrammi tanto astratti quanto astrusi, quando feci presente al docente bocconiano (che aveva partecipato alla redazione di tali leggi) che tra le righe si prospettava una situazione in cui gli enti pubblici avrebbero demandato a società private la progettazione, esecuzione dell’opera e gestione della stessa sostituendosi agli uffici tecnici e decretandone la loro eliminazione, il docente glissò senza rispondere con chiarezza alla domanda. Ora capisco l’entità del pericolo sotteso a queste leggi anche se non avevo inteso l’immediatezza del pericolo stesso. Queste considerazioni sono in parte frutto di supposizioni e restano da verificare alla luce di una risposta precisa da noi richiesta all’Amministrazione. È comunque scontato che la situazione di mancata informazione, non conoscenza di quanto accadrà ed in quali termini, il sospetto del pericolo di mobilità o licenziamento, lascia i dipendenti in una situazione di ansia e inquietudine che minaccia anche la tranquillità nello svolgimento del proprio lavoro; inoltre i sindacati – solo parzialmente presenti – hanno dichiarato di non essere favorevoli all’apertura di una vertenza. I dipendenti hanno per ora chiesto ufficialmente di modificare entro breve tempo la parte della delibera di giunta che nomina la soppressione del settore, e si riservano comunque di presentare ricorso al T.A.R. e di adire a vie legali nominando un proprio avvocato. Mi riservo di approfondire meglio quanto esposto e di fornire il maggior numero di chiarimenti rispetto ad una questione che interessa non solo questa Amministrazione o questa città, ma sicuramente un ambito più generale; come cittadino mi aspetto che venga al più presto chiarito come sono investiti o utilizzati soldi e beni pubblici. Vittorio Prina Pavia, 25 novembre 2002
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L’architetto nella pubblica amministrazione: un aggiornamento
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Rassegna a cura di Manuela Oglialoro
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Architettura Le Corbusier, l’invenzione della verticalità. I 50 anni de l’Hunitè. (da “ Il Sole 24 Ore” del 20.11.02) Compie cinquant’anni l’edificio più discusso del Novecento e una grande festa organizzata dagli abitanti sulla sommità del suo “ tetto giardino” ne ha rimesso in discussione l’immagine arcigna di madre di tutti i gulag da abitare del mondo. 165 metri di lunghezza, 24 di larghezza, 56 di altezza: la carta d’identità di questa colossale trave di cemento porta i segni della grandeur del suo autore, Le Corbusier, cui il dinosauro armato di boulevard Michelet a Marsiglia era stato commissionato nel 1945 dal Ministero della ricostruzione come tentativo di applicare alla casa i metodi industriali della produzione in serie per risolvere la carenza d’alloggi nella Francia del dopoguerra. Edilizia scolastica Edilizia scolastica. Province sul piede di guerra contro la Finanziaria che non ha previsto risorse straordinarie (da “ Il Sole 24 ore” del 28.10.02) A sei anni di distanza dalla Legge 23/96 che ha siglato il passaggio degli edifici scolastici da Stato e Comuni alle Province, queste non hanno mai ricevuto risorse straordinarie adeguate – finanziarie e umane – per far fronte ai nuovi impegni di gestione, manutenzione ordinaria e straordinaria, e realizzazione di nuovi istituti scolastici: impegni che in tutte le amministrazioni si sono duplicati se non triplicati, considerando il numero degli edifici scolastici ereditati e soprattutto il fatto che il passaggio di competenze ha previsto, per le Province, anche gli obblighi della messa a norma e del rispetto del decreto legislativo 626/94 in materia di sicurezza e igiene, da adempiere entro il 31 dicembre 2004.
strutture. Al via maxipiano da 2 miliardi (da “ Il Sole 24 Ore “ del 2.11.02) Investimenti per nuove infrastrutture per oltre 2 miliardi di Euro. Così Modena intende ripartire attraverso la realizzazione di una complessa serie di interventi di riassetto urbanistico, di riconversione di vecchie aree industriali cittadine e di modernizzazione della viabilità stradale e ferroviaria. Sono opere attese da anni nella città emiliana rimasta legata a trasporti inadeguati. Nel capitolo della viabilità ferroviaria un investimento di 694 milioni di Euro è stato destinato alla realizzazione della linea ad Alta velocità nel nodo ferroviario di Modena, sulla tratta Milano-Bologna. M ilano “Pronti 192 milioni di Euro per M ilano”. La giunta il governo finanzierà le grandi opere. L’Ulivo: città trascurata. È un fallimento (dal “ Corriere della Sera” del 19.11.02) Il centro sinistra ritiene che “ gli impegni assunti dal governo per Milano si sono rivelati un fallimento” . Albertini invece insiste: “ Il Presidente del consiglio saprà mantenere, in maniera puntuale oppure equipollente, l’impegno preso con la sua città” . Ma i dubbi permangono ad esempio sui 192 milioni di Euro (l’impegno preso da Berlusconi durante la riunione con tutti parlamentari milanese del centro destra) che in realtà non compaiono nella finanziaria ma all’interno della Legge Obiettivo per le infrastrutture. Questi in sintesi i finanziamenti richiesti: potenziare le linee 1, 2 e 3 del Metrò; creare la nuova linea 4 che porta a Linate e la 5; costruzione della Biblioteca Europea; studio di fattibilità del secondo Passante. “Allarme per la falda, M ilano tornerà sott’acqua”. Caduti 312 millimetri di pioggia contro una media di 92. (dal “ Corriere della Sera “ del 30.11.02) Il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del dipartimento della protezione civile, la dichiarazione dello stato di emergenza per sei regioni tra cui la Lombardia. Mentre si lavora per riparare voragini d’asfalto, per contare gli alberi caduti al Parco Lambro, ripristinare gli impianti idrici e le centrali termiche dell’Aler., si pensa già al dopo alluvione. L’assessore all’Ambiente Domenico Zampaglione si esprime così: ” Mi aspetto che dopo questi giorni di pioggia eccezionale possa alzarsi la falda. Tra un mese potremmo trovarci allagamenti che oggi non ci sono ancora” . Recupero
Infrastrutture Alta velocità ferroviaria, viabilità, poli produttivi e commerciali. M odena rilancia le infra-
Sopralluoghi metropolitani. Che delusione quei 70 progetti (dal “ Corriere della Sera” del 24.11.02) La mostra “ Progetti per Milano: I
Programmi integrati d’intervento” presentata all’Urban Center è importante e tutti i cittadini dovrebbero visitarla. I Programmi integrati d’intervento (P.I.I.) sono strumenti urbanistici istituiti dalla legge regionale 9/99 per sbloccare il recupero delle aree dismesse di proprietà privata attraverso una procedura speciale che consente ampie deroghe rispetto al Piano Regolatore, sotto il controllo dell’amministrazione pubblica. Dopo l’infornata dei P.R.U., i settanta P.I.I. approvati o in fase di approvazione rappresentano le principali occasioni di trasformazione della città. Essi costituiscono l’asse portante del Documento di inquadramento “ Ricostruire la Grande Milano” varato dalla giunta due anni fa: l’esito è sconfortante: gli unici, per cui si può parlare di Architettura, sebbene ampiamente discutibili e criticabili, sono il progetto di Montecity/Rogoredo e in parte quello Marelli/Adriano. Ricerche Felicità è arrampicarsi su un albero. I bambini disegnano la città ideale (dal “ Corriere della Sera” del 5.11.02) I bambini sanno quello che vogliono. È che nessuno glielo chiede. Gli unici a farlo sono i comuni di circa 50 città italiane che, dal 1991 hanno via via aderito al progetto “ La città dei bambini” voluto dall’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione” del Cnr: non c’è una regola. Ci sono città come Roma che hanno istituito i Consigli dei bambini – età 9/10 anni – ; città come Cremona dove è stato avviato il progetto “ a scuola da soli” ; o come Fano, la “ capostipite” , che ha attuato la progettazione partecipata all’architettura urbana. Strade pulite; scuole aperte tutto il giorno; palestre con una fascia oraria gratuita per i bimbi; giardini nei quali arrampicarsi sugli alberi; spazi condominiali aperti al gioco; poter andare a scuola senza essere tenuti per mano dalla mamma. Questo chiedono i bambini: una città che non c’è. Gli studenti “riscoprono” il Novecento a Peschiera Borromeo (dal “ Corriere della Sera” del 30.11.02) Un viaggio nel tempo, tra ricordi, documenti, oggetti, musica e film per tracciare la storia del ‘900. A compierlo una decina di classi elementari e medie dell’Istituto Comprensivo “ Fabrizio De Andrè” di Peschiera Borromeo, su iniziativa della Cooperativa edificatrice lavoratori. La cooperativa per festeggiare i 50 anni ha proposto e finanziato uno studio su “ la Città costruita” , poi trasformato in mostra. Il progetto interessa diversi aspetti della storia locale: dalle modificazioni del territorio, alla vita quotidiana, alla cultura.
Tutela ambientale Formigoni e gli imprenditori a Hong Kong. “Tecnologia lombarda per la tutela ambientale” (dal “ Corriere della Sera” del 19.11.02) La Lombardia vuole esportare in Cina il suo know-how e le tecnologie per la tutela ambientale. Cerca di conquistare commesse in materia di depurazione delle acque, lotta all’inquinamento atmosferico, smaltimento di rifiuti, e vuole anche partecipare ai ricchi appalti per la metanizzazione di Pechino. Per farlo il Presidente della Regione, Roberto Formigoni, ha guidato in Cina la missione forse più importante e massiccia nella storia delle relazioni internazionali della Lombardia. Kyoto, la prossima tappa a M ilano. L’Onu sceglie l’Italia per la conferenza sul protocollo per clima e inquinamento: si passerà dai programmi all’applicazione delle intese (da “ Il Sole 24 Ore” del 2.11.02) Il protocollo di Kyoto si trasferirà a Milano. A Nuova Delhi l’Onu ha deciso che la prossima conferenza mondiale per discutere il protocollo internazionale sull’inquinamento dell’aria e sui cambiamenti del clima si terrà fra un anno in Italia. Il congresso mondiale dell’ambiente si terrà dal 1° al 12 dicembre 2003, con perno sulla Fiera di Milano, che ha già dato ai negoziatori internazionali un assenso di massima. È previsto l’arrivo di centinaia di delegazioni da tutto il mondo, circa 5mila persone, ai quali si aggiungeranno esperti, scienziati, rappresentanti di aziende e di organizzazioni. Per le centrali “pulite” pronti 279 progetti (da “ Il Sole 24 Ore” del 2.11.02) Secondo il piano italiano per ridurre le emissioni di anidride carbonica, nei prossimi anni per rispettare il protocollo di Kyoto saranno realizzati impianti pari a 3.200 megawatt con la tecnologia del turbogas a ciclo combinato, con investimenti per 1984 milioni di Euro. Ma sarà rafforzata la capacità di importare elettricità per altri 2.300 megawatt e – questa la stima del “ piano Kyoto” elaborata dal Cipe – ci sarà un’ulteriore crescita per 2.800 megawatt delle centrali alimentate con fonti rinnovabili, cioè quelle che non producono fumo. Le aziende energetiche credono nelle centrali elettriche alimentate con fonti rinnovabili. In Italia sono centinaia i progetti di nuovi impianti alimentati soprattutto con il vento e con l’acqua, ma anche centrali a “ biomasse” (legna, paglia, scarti dell’industria del mobile e latri combustibili vegetali).
Stanza delle meraviglie Il mondo in una stanza. Quando gli oggetti hanno nomi di luoghi Triennale di Milano 16 ottobre 2002 2 febbraio 2003
a cura di Ilario Boniello, e Martina Landsberger
Rassegna mostre
Rassegna seminari
Stile di Caccia. Luigi Caccia Dominioni. Case e cose da abitare Verona, Museo di Castelvecchio Corso Castelvecchio 2 7 dicembre 2002 - 9 marzo 2003
Master ASP in Ecologia del Progetto Milano, Istituto Europeo di Design via Sciesa 4 13 febbraio - 5 luglio 2003
Alessandro Mendini Verona, Swinger Art Gallery via Mazzini 2 21 settembre 2002 11 gennaio 2003 Premio internazionale Dedalo Minosse Vicenza, Basilica Palladiana 12 dicembre 2002 9 marzo 2003 Il design Cartier visto da Ettore Sottsass Milano, Palazzo Reale 11 ottobre 2002 12 gennaio 2003 Anni Venti e Trenta. L’arte a Brescia fra le due guerre Brescia, Palazzo Bonoris 16 novembre 2002 12 gennaio 2003 Dialogo nel buio - Impara a vedere Milano, Palazzo Reale 16 ottobre 2002 16 febbraio 2003 Il mondo nuovo. Milano 1890-1915 Milano, Palazzo Reale 10 novembre 2002 28 febbraio 2003 Utopie Quotidiane - L’uomo e i suoi sogni nell’arte dal 1960 ad oggi Milano, PAC via Palestro 14 22 ottobre 2002 19 gennaio 2003 Impressionismo Italiano Brescia, Palazzo Martinengo 20 novembre 2002 23 febbraio 2003 Alberto Savinio Milano,Fondazione Mazzotta Foro Buonaparte 50 28 novembre 2002 2 marzo 2003
Edilizia sostenibile - Materiali e tecniche costruttive in Bioedilizia Collegio dei Geometri, Brescia piazzale Cesare Battisti 17-31 gennaio, 14 febbraio 2003 L’alluminio e l’alta qualità percepita nei componenti d’arredo Milano, Assomet via dei Missaglia 97 14 gennaio, 18 febbraio, 25 marzo 2003 tel. 02 23996014 - Tiziana Poli Ingegneria dell’involucro. La progettazione dei sistemi di involucro trasparente Milano, VI Facoltà di Ingegneria Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci 32 30 - 31 gennaio 2003 Il progettista degli spazi del sapere. Metodi, tecniche ed esperienze applicative a Verano Brianza Milano, Politecnico di Milano via Durando 10 gennaio - marzo 2003 English for Architects Milano, ISAD, Istituto Superiore di Architettura e Design via Orobia 26 gennaio - giugno 2003 tel. 02 55210700
“ Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse.Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell’universo (...), vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della morte, vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l’inconcepibile universo” . La vertigine che Jorge Luis Borges provò nell’anonimo sottoscala dell’edificio di Via Garay a Buenos Aires derivava, come ben sappiamo, dall’impatto che lo scrittore ebbe con l’Aleph: il luogo fantastico ove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. Gli oggetti chiamati a raccolta da Silvana Annicchiarico nei locali della Triennale per la mostra Il mondo in una stanza, ognuno con una sua precisa tecnica e modalità, sono, nella loro essenza, accomunati per il grado di vertigine che riescono ad incutere su chi li osservi o ne faccia uso. Dalla caffettiera La Cupola di Aldo Rossi, capace di miniaturizzare il più complesso dei sistemi costruttivoarchitettonici, al sistema Capitello, capace, deformando il più classico degli ordini architettonici, di offrire un archetipo di seduta, dal sistema d’illuminazione Manhattan nella cui sagoma è ridotta la più ricorrente tipologia architettonica dello skyline
newyorkese sino ai nomi più esotici, attribuiti dagli autori ai propri progetti come il tavolo Lipari, emerge, alle volte con i connotati emozionali ed ingenui della fuga dalla realtà, altre volte con sorprendente coerenza tra oggetto e sua denominazione, un sistema di rimandi ed allusioni soprasseduto dal demone dell’analogia. Ecco allora che gli oggetti presi in rassegna, accomunati da una supposta o evidente capacità evocativa di altri mondi o altri ambiti disciplinari, fanno finalmente luce su di un rapporto intimo e quasi segreto tra oggetto ed autore: l’intestazione dell’opera che molte volte, nella mente dell’autore, precede il concepimento dell’opera stessa. L’allestimento di Giancarlo Basili, caratterizzato da pavimenti specchiati e pareti a campiture policrome dilatate ci scaraventa infine, con sorprendente senso dell’accelerazione, verso i territori poco accomodanti della vertigine. Con mille scuse a Jorge Luis Borges, ancora una volta scomodato per dipanare complessi casi di allusioni simboliche e di vertigini architettoniche. Matteo Baborsky
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Mostre e seminari
Una coppia felice L’opera di Charles e Ray Eames. L’eredità dell’invenzione Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 24 settembre 2002 8 gennaio 2003
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Un libro di Luciano Rubino: Ray e Charles Eames, il collettivo della fantasia. Sulla copertina alcune immagini: la “ coppia felice” , la casa-studio a Pacific Palisade, California (1948-49), la Wire Chair (1951), poi la cupola geodetica (1952) di Buckminster Fuller, la Spaeth House (1958) di George Nelson, un “ mobile” di Alexander Calder, la celebre figura disegnata sulla poltroncina da Saul Steinberg. All’interno ci si avventura nella civilizzazione americana attraverso vicende storiche ed economiche, progressi tecnologici e sociali, in cerca delle radici di quella cultura pragmatica, riconoscibile tanto nelle comunità utopistiche (gli Shakers) che nella produzione industrializzata, praticata dagli Eames con intelligenza e fantasia nel loro lavoro. Una mostra: L’opera di Charles e Ray Eames. L’eredità e l’invenzione svela il fascino di una ricerca progettuale quotidiana segnata dalla fiducia nella realtà delle cose e raccontata con strumenti originali. La fotografia: migliaia di diapositive del loro archivio trasformano con la passione del dettaglio brani di ordinaria realtà in frammenti straordinari. La collezione di objets trouvés: cartoline, pupazzi, semplici oggetti, altrettanti frammenti del mondo, smontati e conservati per essere successivamente ricomposti in nuovi progetti. I film: investigazioni cinematografiche per la divulgazione scientifica o narrazioni sperimentali. In particolare: Glimpses of USA (1959), commissionato dal Dipartimento di Stato per la partecipazione americana alla
Fiera di Mosca, mostra alla società sovietica le immagini del benessere e del successo della società americana; Powers of ten (1968), visione elementare dell’universo dalla scala umana a quella delle galassie e ritorno fino alle minime dimensioni dell’atomo, per spiegare le sensazioni del salto di scala in relazione al concetto di misura. Sarebbe un errore ridurre il progetto degli Eames alle sole immagini dei loro oggetti, immagini efficaci e attuali grazie alla politica di riedizione di Vitra. Le loro intenzioni vanno oltre la moda. Detto con le parole di Ray Eames: “ Ciò che funziona è meglio di ciò che è bello. Ciò che è bello può cambiare, ma ciò che funziona, funziona” . I mobili e le sedute degli Eames funzionano perché sono il risultato di un processo di ricerca progettuale molto più vasto e pluridisciplinare, animato dalla curiosità, dalle idee e da una concezione ottimistica della tecnologia; come scrive Rubino: “ Charles Eames non ha mai ritenuto di rispettare i confini esistenti tra architettura, mobili, esposizioni, grafica, giocattoli, cinema, (...) visto che covava un disprezzo profondo per una simile suddivisione dell’espressione artistica” . Così la loro casa a Pacific Palisade diventa un vero e proprio manifesto per la democratizzazione dell’architettura moderna, la dimostrazione di come, grazie ad una buona progettazione, il concetto della machine à habiter può tradurre in vantaggi sociali i princìpi della prefabbricazione e l’estetica dell’assemblaggio. Un libro di qualche anno fa e una mostra oggi, per non dimenticare il lavoro degli Eames, per riscoprire la fiducia nel progetto di quella generazione che, con la stessa curiosità, è riuscita a curvare il compensato per farne poltroncine e a portare l’uomo sulla luna... Alessandro Vicari
Spagna… Nuova maestra Madrid 002. Architettura contemporanea Como, Casa del fascio piazza del Popolo 4 settembre-ottobre 2002 L’architettura contemporanea spagnola è stata la protagonista del ciclo di conferenze che l’Ordine degli architetti della Provincia di Como ha proposto tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. Relatori sono stati Antonio Angelillo, profondo conoscitore dell’architettura luso-iberica, e gli architetti spagnoli Alberto Campo Baeza e Esteve Bonell che hanno presentato una scelta delle loro opere. Antonio Angelillo, docente di Composizione architettonica alla Facoltà di Architettura di Ferrara, ha offerto al pubblico una panoramica sulle nuove tendenze dell’architettura contemporanea, in cui rintracciare le specificità del lavoro degli architetti spagnoli. L’architetto Campo Baeza ha subito spiegato che la sua architettura è fatta di luce e struttura. Quest’ultima serve per misurare lo spazio, la luce ha lo scopo di mettere in mostra la costruzione; in seconda battuta ha presentato quattro dei suoi molti edifici costruiti. La casa unifamiliare di Cadice del 1992 che esprime il senso del recinto e della perfezione introversa rispetto al caos dell’esterno, un quadrato costruito dalla luce e dalla natura. Operazione opposta concepisce nella casa unifamiliare di Sevilla de la Nueva a Madrid del 1999 dove l’architetto costruisce un podio stereotomico tutto in cemento armato e sopra quest’ultimo uno spazio trasparente da dove si può osservare il paesaggio circostante. Ha presentato poi il Centro Balera de Innovacion Tecnologica a Inca in Maiorca del 1995 un edificio per il lavoro che sfrutta ancora una volta il principio del recinto costruendo questa volta una grande corte interna triangolare dedotta dalla forma del lotto di partenza. Il quarto progetto presentato è stato quello della Sede Centrale della Caja General de
Ahorros, Granada del 2001 la costruzione più complessa sotto ogni aspetto, da quello compositivo a quello costruttivo. Un grande cubo di luce e alabastro posizionato su un podio; la sua immagine affonda le radici nella storia, dall’invaso di luce del Pantheon alla iconografia più mistica del El navigante interior di Guillermo Pérez Villalta, alle colonne maestose della cattedrale di Granada. L’architetto catalano Esteve Bonell, con studio a Barcellona in società con Josep Maria Gil, ha presentato sette progetti realizzati negli ultimi vent’anni, fra cui il Velodromo della Vall d’Hebron del 1984 e il Palazzetto dello sport di Badalona del 1987, due opere esemplari per qualità tettoniche e di relazione con il contesto, da annoverarsi tra gli edifici meglio riusciti del programma di “ Barcellona olimpica” . Il Velodromo si presenta come una magistrale soluzione in cui si fondono orizzontalità e trasparenza, adattabilità al suolo e contrasto tra i pieni e i vuoti: un edificio circolare dal fronte continuo, distribuito in sezione su due piani che sfruttano i differenti dislivelli. Il Palazzetto dello sport si caratterizza per la cura degli aspetti distributivi e per la copertura, studiata per coprire un’ellisse di 120 x 150 m e per far filtrare e diffondere la luce naturale. Il Centro penitenziario di Brians, sempre in Catalogna, è stato concepito come la fondazione di una piccola “ città” in un paesaggio collinare aperto: la zona interna è strutturata lungo una “ strada” che sfrutta il declivio, le scale e le rampe, la torre di controllo, sporgenze e rotazioni per dare valore a facciate senza finestre e contribuire all’effetto prospettico generale. A seguire, sono stati illustrati i progetti del Palazzo di Giustizia di Gerona del 1987, del Padiglione dello sport e centro di canottaggio di Banyoles del 1990, dell’Hotel Citadines a Barcellona del 1988, e dell’edificio amministrativo realizzato nel 1993 sul fronte marittimo di Vigo. Francesco Fallavollita
Steven Holl, architetto poeta
Giuseppe Samonà e la scuola di architettura di Venezia 14 - 15 novembre 2002 IUAV, Venezia
Steven Holl architetto Vicenza, Basilica Palladiana 5 settembre - 1 dicembre 2002
Il convegno “ Giuseppe Samonà e la scuola di architettura di Venezia” , svoltosi nell’Aula magna dello IUAV è stato il terzo episodio, di un ciclo di eventi dedicato dall’Istituto veneziano alla figura di Giuseppe Samonà. Roberto Sordina e Marco Pogaçinik, responsabili scientifici del convegno, hanno predisposto, in due giornate di lavoro, la prima intitolata “ La situazione degli studi sulla figura e l’opera di Giuseppe Samonà” e la seconda “ La scuola di Venezia nel panorama del dibattito architettonico del secondo dopoguerra” , una serie di interventi che hanno ricostruito da diverse angolazioni, seppur per episodi, la figura di Samonà docente, saggista, progettista di urbanistica e di architettura, costruendo una narrazione continua, senza salti. A perfezionare la sequenza dei contributi sono state utilissime le ricuciture di Roberto Sordina nella prima giornata e di Luciano Semerani, chairman, nella seconda. Nella narrazione continua è emersa anche la volontà di Samonà di separare, quasi nascondere, la sua attività di progettista dagli altri ambiti, compiacendosi e proponendosi, a volte, più come filosofo che come architetto. Questa scelta, quasi il vezzo di un intellettuale della Magna Grecia ha, solo in parte, giustificato una disattenzione della critica architettonica che, ad eccezione, dell’efficace e sintetico libro di Francesco Tentori, Giuseppe e Alberto Samonà fusioni fra architettura e urbanistica, ha sottovalutato, negli anni recenti, le opere del Samonà progettista, nate anche, dalla fine degli anni Cinquanta, dalla collaborazione con il figlio Alberto. Rispetto alla figura del Samonà progettista, al di là degli interventi puntuali che hanno svelato peculiarità di singole architetture, restano le parole di Guido Canella e Carlo Aymonino che, a conclusione del convegno, hanno ricordato proprio la centralità e la qualità del Samonà progettista lasciando per una volta sullo sfondo i mille rivoli delle sue curiosità intellettuali. Andrea Sciascia
Nel consueto appuntamento annuale con i maestri dell’architettura contemporanea, la Basilica Palladiana apre le porte al lavoro e alle architetture di Steven Holl, architetto americano nato a Bremerton, Washington, nel 1947, che vive e lavora a New York e che negli ultimi dieci anni si è affermato a livello internazionale grazie ad una ricca produzione di progetti e opere realizzate in tutto il mondo tra cui sicuramente le più note e pubblicate sono: il Museo d’Arte contemporanea “ Kiasma” a Helsinki, la cappella di S. Ignazio presso la Seattle University (Washington) e il complesso residenziale di Fukuoka. Come intellettuale e artista Steven Holl indaga il mondo che lo circonda con la prospettiva interpretativa dell’architettura, alla quale attribuisce un ruolo fondativo nel dare concretezza ad una “ visione più ampia della società e del pianeta” . Holl immagina “ una nuova architettura che affronti le questioni urgenti, provocando una risposta poetica” . Kenneth Frampton, autore del catalogo della mostra edito da Electa, fornisce due interessanti chiavi interpretative per comprendere il lavoro di Steven Holl. La prima chiave, apre ai legami tra l’architetto e il mondo dell’arte contemporanea e in particolare a come Holl riesca, nel progetto, a trarre spunti da aspetti fenomenologici. La seconda chiave introduce ai legami che Holl ha intrattenuto, e intrattiene, con l’universo della ricerca architettonica: gli studi sulla tipologia, sul luogo, sulla natura e il carattere dei materiali tradizionali. Fatte queste premesse è importante sottolineare la difficoltà di riferire l’architettura di Holl ad una tendenza o ad una scuola di pensiero, fissandone i postulati ideologici. Sicuramente è possibile scorgere nelle sue architetture e nei suoi acquarelli molte suggestioni e analogie che ricordano le esperienze delle avanguardie artistiche d’inizio ‘900, in particolare la corrente dei costruttivisti sovietici degli anni Venti, o l’esperienza del Cubismo. La mostra organizzata a Vicenza, propone una serie di progetti realizzati dall’architetto americano negli ultimi quindici anni. Il grande spazio della
Basilica diventa, diventa il luogo per mettere in scena il dramma della città contemporanea. Holl raccoglie una ventina di progetti a scala urbana, lungo un percorso fatto di pareti parallele traforate. Contrapposto ai “ setti urbani” il piccolo edificio-padiglione, prototipo sperimentale in scala 1:1 di una futura costruzione pensata per il deserto del New Mexico. Paesaggio urbano e paesaggio naturale messi a confronto, considerati come aspetti di un unico problema, intimamente legati alla necessità di riflettere su un rinnovato rapporto tra casa e natura. Come afferma lo stesso architetto “ tra la densità degli agglomerati urbani e l’isolamento della casa rurale prende forma la riformulazione di un paesaggio naturale protetto. La sfida posta alla città, contenere la propria espansione incontrollata e ripristinare il verde nelle fasce adiacenti, è analoga a quella della casa rurale, sorvegliare l’ambiente naturale che la circonda” . Il prototipo della Turbolence House, progettata nel 2001 per l’amico e artista statunitense Richard Tuttle, è mostrato solo nel suo involucro strutturale. Il piccolo edificio, a due livelli, sarà costruito adiacente ad un gruppo di case a patio realizzate dallo stesso Tuttle e sarà disposto sulla sommità di una mesa battuta dal vento che l’attraverserà. “ Forma pura concepita come la punta di un iceberg” questo padiglione per gli ospiti è interamente costituito da elementi prefabbricati in alluminio, elaborati digitalmente a Kansas City per essere poi assemblati sul sito definitivo. Concepita come unità autonoma e autosufficiente, la Turbolence, comprenderà una cisterna per l’acqua piovana e pannelli fotovoltaici installati sulla copertura che permetteranno una produzione d’energia tale da coprire anche il fabbisogno delle costruzioni vicine. Nella concezione dei rapporti con il contesto, nelle forme e nella sperimentazione dei materiali la piccola opera di Holl si ricollega ad altre analoghe esperienze contemporanee dedicate al tema dell’abitare nel deserto americano, prima fra tutte a quella di Frank Lloyd Wrigt. Rimane, infine, il rammarico per l’esiguità del materiale esposto (riproduzioni di schizzi, disegni, e qualche modello) che non restituisce a pieno la complessità e la ricchezza del processo elaborativo e del metodo progettuale di uno fra i più interessanti interpreti della contemporaneità. Luca Gelmini
Tradizione e Modernità. La casa di Coderch Coderch 1940-1964 Politecnico di Milano Spazio Mostre della Facoltà di Architettura Civile via Durando 10, Milano Si è inaugurata allo Spazio Mostre della Facoltà di Architettura Civile (aperta fino al 20 dicembre 2002) la mostra “ Coderch 1940-1964” , promossa dal Col.legi d’Arquitectes de Catalunya e dal Ministerio de Fomento, curata da A. Pizza e J. M. Rovina e coordinata, per la tappa milanese, da M. Fortis e S. Malcovati. Una importante retrospettiva dedicata a una delle figure più significative dell’architettura spagnola del secondo dopoguerra, già al centro del dibattito, nel processo di revisione critica del Moderno, come esponente di quella modernità “ regionale” che unisce tradizione locale e innovazione, e che appare ora, in seguito all’apertura degli archivi (donati dalla famiglia alla Escuela Tecnica Superior de Arquitectura de Barcelona e resi pubblici), in una nuova lettura più articolata e criticamente fondata. Se infatti di Coderch si è sempre sottolineato il legame con l’architettura spagnola, o più in generale mediterranea, nel senso soprattutto di attenzione alla tradizione materiale (uso di tecniche costruttive elementari e soluzioni tipo-morfologiche ripetute), dalla discussione (a cui hanno partecipato A. Pizza, D. Vitale e S. Pierini), è invece emersa la dimensione internazionale dell’architetto, che, nonostante una dichiarata, perfino ostentata, estraneità al contemporaneo, sembra, in realtà, schierarsi decisamente dalla parte della modernità. Tra i progetti presentati mi sembrano, tuttavia, da segnalare quelli degli esordi di Coderch, architetto municipale della città di Sitges, per lo più inediti, che rappresentano il punto di partenza della sua riflessione sul tema centrale dell’abitazione, e anticipano, in forme decisamente “ tradizionali” , i progetti “ moderni” della maturità. Razionalità costruttiva, cura dei dettagli, semplicità ed economia di forme, praticità: questi i caratteri costanti della casa di Coderch, in cui tradizione e modernità, forse, in fondo sono la stessa cosa. Michele Caja
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Informazione
Giuseppe Samonà e Venezia
Libri, riviste e media a cura della Redazione
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Rassegna
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Decio Giulio Riccardo Carugati Bertone. Dialogo con la forma mobile Electa, Milano, 2002 pp. 168, € 78,00 AA.VV. Il mondo nuovo Electa, Milano, 2002 pp. 288, € 45,00 Gino Finizio Design & management gestire l’idea Skira, Milano, 2002 pp. 248, € 32,00 Giancarlo Mazzocchi, Andrea Villani (a cura di) Sulla città, oggi. Governo e politiche urbane nella società globale Franco Angeli, Milano, 2002 pp. 336, € 22,00 Laura Freolent, Francesco Indovina (a cura di) Un futuro amico. Sostenibilità ed equità Franco Angeli, Milano, 2002 pp. 344, € 26,00 Carlos Martì Aris Silenzi eloquenti. Borges, Mies, Ozu, Rotko, Oteiza Christian Marinotti, Milano, 2002 pp. 174, € 13,00 Regione Lombardia - Direzione Generale Sanità Edilizia sanitaria in Lombardia pp. 120 www.sanita.regione.lombardia.it Maria Cristina Tarantelli Bruno Zevi e la città del duemila Rai Eri, Roma, 2002 pp. 128, € 10,00 Gino Malacarne, Patrizia Montini Zimolo Aldo Rossi e Venezia. Il teatro e la città Edizioni Unicopli, Milano, 2002 pp. 90, € 12,00 Istituto regionale per le ville venete e Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio (a cura di) Andrea Palladio. Atlante delle architetture Marsilio, Venezia, 2002 pp. 32 + Cd, € 14,50
Il viaggio del giovane Adam
Le “Inscripciones” di Architettura fisica Ignasi de Solà-Morales e atmosferica
Quando nel 1754 l’architetto scozzese Robert Adam, con alle spalle quasi dieci anni di praticantato presso lo studio del padre William, decise di intraprendere il viaggio in Italia alla maniera dei Grand Tour dell’epoca, non aveva ancora definita con chiarezza la prospettiva dei suoi studi. Tuttavia di una cosa era certo: del fatto che l’architettura “ contemporanea” di derivazione palladiana era anacronistica per un giovane e ambizioso ventiseienne come lui; di conseguenza sceglie di “ rinnovarsi” professionalmente studiando “ gli edifici degli Antichi” per acquisire “ nuovi strumenti” compositivi più consoni al suo tempo. Ormai al terzo anno del soggiorno italiano, dove tra l’altro stringe l’amicizia con G. B. Piranesi, Adam scarta alcune ipotesi di lavoro: la versione ampliata del libro di A. Desgodetz sugli antichi edifici di Roma, studi sulla Villa di Adriano o sulle Terme di Diocleziano a Caracalla. Si trasferisce da Roma a Venezia, per partire da lì definitivamente per Spalato (e il Palazzo di Diocleziano) accompagnato da due disegnatori e da C. L. Clérisseau, conosciuto precedentemente a Firenze e scelto come guida. Il lavoro di rilievo, di sole cinque settimane, presenta numerose difficoltà dovute principalmente alla sovrapposizione di tracce del Palazzo di epoca romana a quelle delle parti di città costruite direttamente sulle fondazioni originarie. Qui Adam dimostra tutta la sua grandezza: interpreta e “ ricostruisce” secondo i mezzi culturali che ha a disposizione (a volte anche sbagliando) agendo come un vero e proprio “ architetto moderno” e non più come un “ qualsiasi” viaggiatore romantico. Il volume, pubblicato nel 1764 a Londra, si rivelerà professionalmente un successo: frutterà all’autore fama (e conseguentemente altro lavoro) e nuovi “ mezzi” progettuali (adoperati in alcune opere come il complesso dell’Adelphi).
“ Se la storia è stata l’anima (…) della ricerca di una teoria dell’architettura moderna, una progettazione senza una competizione con la storia proprio sui valori delle sue pratiche ridurrebbe l’architettura a saperi tecnologici, con tutte le illusioni ontologiche che questi si portano dietro: e la storia a ornamento superfluo della stessa discussione sul moderno” . Così Carlo Olmo introduce l’antologia degli scritti di Ignasi de Solà-Morales curata insieme a Daniele Vitale e Michele Bonino per l’editore Umberto Allemandi. Gli scritti in essa raccolti datano tra il 1982 e il 2000 e sono dedicati al ‘900, un secondo volume sarà dedicato al XIX secolo. La cultura architettonica del secolo passato è ritratta in alcuni episodi cruciali: la teoria della forma delle avanguardie storiche; il problema della costruzione della città (dalle testimonianze di Benjamin, alle teorie lecorbuseriane, fino all’American Vitrusius di Werner Hegemann); lo svolgersi dell’intreccio tra produzione teorica, storica e progettazione (con riferimento all’opera di Giedion). Importante è stato il legame del critico catalano col nostro paese: egli fu vicino all’ambiente veneziano dell’inizio degli anni ’70. Due saggi approfonditi sono infatti dedicati alle teorie storiche di Manfredo Tafuri e all’opera di Aldo Rossi e Giorgio Grassi. “ Ogni generazione ha diritto di riscrivere la storia” così si rivolgeva Ignasi de Solà-Morales agli studenti. Nei suoi scritti ritroviamo i temi di un dibattito che la cultura architettonica sembra oggi trascurare cercando di costruire la propria identità tutta volta al presente ed al futuro prossimo. La vitalità spirituale di queste “ inscripciones” e la libertà di pensiero del loro autore ci restituiscono l’importanza di riprendere quei percorsi culturali e ne fanno sentire viva e attuale la necessità.
Igor Maglica
Robert Adam Ruins of the Palace of the Emperor Diocletian at Spalatro in Dalmatia (a cura di Marco Navarra) Biblioteca del Cenide, Cannitello (Rc), 2001 pp. 264, € 75,00
Il volume costituisce una significativa opera di riflessione critica sull’attività di Enric Miralles, architetto spagnolo recentemente scomparso, e sulla produzione del suo studio, diretto dal 1993 con Benedetta Tagliabue. Lo studio EMBT si afferma a livello internazionale all’inizio degli anni Novanta, in seguito alla vittoria nei concorsi per la realizzazione del nuovo parlamento scozzese a Edimburgo e per la facoltà di architettura di Venezia. Arricchito da un notevole apparato iconografico e corredato, oltre che dai testi dei due curatori, anche da interventi, tra gli altri, degli stessi Miralles e Tagliabue, di Marino Folin e di Bigas Luna, il volume non intende operare un bilancio “ definitivo” dell’opera dello studio. Il testo raccoglie i progetti degli ultimi dieci anni, tutti lavori tra i quali si scorge una sorprendente continuità; pur fornendo una panoramica completa sulle opere di Utrecht, Barcellona, Salonicco, Copenhagen, Edimburgo e Salerno, gli autori si concentrano in particolare sui due grandi interventi per Venezia e per il nuovo campus universitario di Vigo. La “ rete di connessioni e rimandi” nella quale ci si trova coinvolti seguendo il percorso trasversale che conduce tra opere realizzate, in fase di cantiere o rimaste sulla carta conferma la presenza di emblematiche analogie per progetti profondamente distinti “ per contesto, requisiti funzionali e scala d’intervento” : è la fisicità dell’intorno in cui si inseriscono a costituire la loro comune e prima sorgente di ispirazione. Una fisicità con cui Miralles dialogava apertamente, stravolgendone spesso l’ordine consolidato nel tempo per farne emergere “ potenzialità sepolte” . Per dare infine luogo a quell’architettura “ atmosferica e diffusa” di cui parla Rafael Moneo nel ricordare l’opera dell’architetto catalano. Paola Giaconia
Marco Lecis
Ignasi de Solà-Morales Decifrare l’Architettura. “Inscripciones” del XX secolo Allemandi, Torino, 2001 pp.168, €18,00
Marco De Michelis, Maddalena Scimeni (a cura di) EM BT M iralles Tagliabue. Architetture e Progetti Skira, Milano, 2002 pp. 260, € 25,00
Severini e la cultura classica
Una macchina complessa
“Conoscere il contesto”
L’Andil, associazione degli industriali dei laterizi, affronta e sviluppa con questo libro l’argomento inerente la progettazione del più tradizionale dei “ sistema tetto” , evidenziandone le complessità, insite nelle nuove funzioni che oggi una moderna copertura è chiamata ad assolvere. La premessa ripercorre una storia sommaria dell’uso e della diffusione delle coperture in cotto. Nella prima parte si classificano le forme dei tetti a falde, quindi si fissa la terminologia dei vari elementi e si specificano le caratteristiche di geometria, che determinano la composizione delle falde e la loro pendenza. Quindi si prescrivono le regole utili alla progettazione di un manto con buoni requisiti di resistenza meccanica, che prevede un controllo ottimale delle condizioni igrotermiche, di isolamento termico, di ventilazione. Vengono illustrati i vari tipi di manufatti, con le loro caratteristiche e con gli accessori previsti per l’assemblaggio di insieme. La seconda parte riguarda gli elementi di supporto del manto, l’utilizzo di pannellature di isolamento, i sistemi di fissaggio e i sistemi di disposizione dei pezzi. Ogni dettaglio di posa e di assemblaggio è illustrato con disegni, che adottano una grafica a colori, di eccellente realismo e di buon effetto esplicativo. L’appendice riporta una bibliografia e le normative Uni di riferimento, con i criteri che determinano le qualità dei prodotti. Questi periodicamente, presso laboratori accreditati, vengono sottoposti a prove che ne verificano i limiti di accettazione, previsti dalle regolamentazioni comunitarie. L’autore, architetto, è ricercatore presso il Dipartimento di tecnologie dell’architettura e del design dell’Università di Firenze, dove insegna “ tecnologia dei materiali e degli elementi costruttivi.
Pubblicato nel 1921 a Parigi, questo breve testo, che può essere considerato un trattato sulla tecnica pittorica, è il frutto di appassionati studi che Severini sviluppa a partire dagli anni precedenti la guerra. In questo periodo la sua ricerca artistica è indirizzata alla rappresentazione di nature morte, composizioni fondate su un preciso e rigoroso rapporto fra gli elementi. Il suo obiettivo è dimostrare il metodo che permette di determinare rapporti corretti. La lettura del De Architectura di Vitruvio e dei successivi trattati rinascimentali, lo studio della filosofia platonica, la conoscenza dei testi moderni francesi (Viollet-le-Duc e Choisy) consentono a Severini di ritrovare le regole del buon comporre in alcuni princìpi classici. L’idea che le proporzioni siano determinate da un rapporto con il corpo umano, il concetto di modulus, l’unità di misura comune che lega ogni parte dell’opera, di ordinatio, il rapporto armonioso che deve legare la parte al tutto, sono solo alcune delle questioni di derivazione classica affrontate nel trattato. Come la natura si fonda su rapporti proporzionali precisi lo stesso dovrà accadere nell’opera d’arte il cui obiettivo è quello di permettere il riconoscimento di un principio di armonia. Questo sarà raggiunto solo tramite un attento processo conoscitivo. “ L’arte non è che la scienza umanizzata” scrive Severini e in queste parole è leggibile il suo legame con la tradizione classica. Non avendo come oggetto la sola composizione pittorica ma investendo campi artistici più ampi, in particolare l’architettura, il trattato è un testo di riferimento della cultura architettonica del tempo (Perret e Le Corbusier soprattutto) e possiede una sua attualità oggi, per tutti coloro che credono che la composizione del progetto si fondi sul riconoscimento del giusto rapporto fra gli elementi.
Il progetto architettonico è una macchina complessa, assemblaggio di fattori produttivi che non possono limitarsi all’autorappresentazione ma che devono rispondere simultaneamente del funzionamento del prodotto finito. La linfa del progetto è dunque la costante verifica che controlla ogni singola operazione, un continuo procedimento di andata e ritorno dal generale al particolare e viceversa in grado di garantire un prodotto qualitativo. La neonata rivista “ The Plan” (n. 1, settembre 2002) decide quindi di privilegiare i contenuti piuttosto che gli autori o le dimensioni dei progetti da analizzare e apre la sua attività pubblicando un’interessante lettura sintetica della struttura del progetto firmata da Mario Cucinella: Curiosità come motore, Ricerca come risorsa cui attingere e Sperimentazione come energia propositiva. Partendo dalla convinzione che la rappresentazione è parziale per definizione, lo sarà certamente anche quella del progetto. Lungi dal considerare questa parzialità una limitazione, ma anzi peculiare strumento dell’analisi del progetto, la rivista propone una struttura articolata in sei sezioni: Architettura, Progetti, Tecnologie e materiali, Design, Catalogue, Zoom. È interessante vedere come attraverso queste sei lenti d’ingrandimento salgano alla ribalta mondi paralleli come quello del dettaglio esecutivo, quello del rapporto storia-luogo-progetto, e quello della produzione che sembrano oggi non godere dei favori di una pubblicistica interessata principalmente alla cultura dell’immagine. Insomma una moltitudine di discipline che intersecandosi ci mostrano come il complesso reticolo tridimensionale del progetto necessiti di un’organizzazione sistematica, di un piano… (The Plan).
Conoscere il contesto in cui operare, potrebbe essere il sottotitolo di questo mensile sull’architettura. Nella serie di rubriche di volta in volta trattate vengono messi in luce casi concreti, legati ad un contesto, a questioni di carattere generale. L’architettura non è raccontata attraverso le sue realizzazioni, ma indagando la realtà in cui l’architetto lavora; realtà che appartengono alla formazione, alle procedure, al luogo. Da qui l’autonomia del giornale rispetto al modo di operare delle riviste. Per la sua contemporaneità all’evento, un giornale, non descrive tanto i risultati quanto i presupposti che ne sono il fondamento, costruisce un opinione; operazione necessaria se si considera il mestiere non solo come esercizio sulle forme o come risposta tecnica, funzionale ad un problema dato. Se da una parte le riviste si occupano di mostrare i risultati di un procedimento, il giornale si pone come contributo sul campo di applicazione di tale procedimento, le questioni poste rientrano in ciò che precede la forma delle architetture. Chiarire la realtà in cui lavoriamo, analizzare le relazioni, ordinarle è un procedimento antico, è il modo per conferire un grado di necessità propositiva al progetto. Sono necessarie competenze precise, anche nella generalità dei problemi. Le università offrono nuovi programmi formativi, l’editoria nuovi sistemi informativi. Sono entrambi strumenti e come tali da usare, per superare la parzialità presente nel lavoro di ognuno di noi. Come “ Il Sole 24 Ore” per il mondo economico, ma non solo, “ Il Giornale dell’Architettura” ci racconta il contesto in cui operare. Tutto il resto (il progetto) è affidato al giudizio del singolo, (di nuovo un progetto) restituito alla realtà.
Martina Landsberger
The Plan quadrimestrale di “ Architecture & Technologies in Detail” diretto da Nicola Leonardi Centauro Ed. Scientifiche, Bologna, € 15,00
Ilario Boniello
Alberto Crespi
Roberto Gamba
Antonio Lauria I manti di copertura in laterizio. Il progetto e la posa in opera Laterservice, Roma, 2002 pp. 120, € 25,00
Gino Severini, Dal cubismo al classicismo Abscondita, Milano, 2001 pp. 132,€ 15,49
Il Giornale dell’Achitettura Mensile di informazione e cultura diretto da Carlo Olmo Allemandi, Torino, € 3,00
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Informazione
Le coperture in laterizio
Vito Rastelli, architetto cremonese di Ambra Milone, Sonia Milone, Luciano Roncai
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Itinerari
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L’itinerario si propone di ricostruire il percorso professionale di uno degli architetti più significativi del ‘900 cremonese, Vito Rastelli, attivo in un arco temporale che va dal 1923 al 1971. Nato a Cremona il 17 agosto 1892, compie però i propri studi a Roma dapprima presso il Regio Istituto Superiore di Belle Arti, dove consegue nel 1915 il titolo di Professore di Disegno Architettonico, e poi (al termine della I guerra mondiale, in cui si distinse come ufficiale dell’aeronautica col ruolo di osservatore del territorio) presso la Scuola Superiore di Architettura, di cui riesce a frequentare solo un biennio, essendo costretto nel 1923 a tornare nella città natale per motivi famigliari. L’inizio della sua attività è caratterizzato dalla progettazione di numerose ville per la borghesia cremonese. Si tratta di un tema tipologico che in luogo riscuote un certo successo, dovuto sia alla richiesta della nuova committenza sia all’abbattimento dei rimanenti tratti della vecchia cinta muraria, che mette a disposizione nuovi terreni edificabili in zone vicine al centro. Le ville progettate da Rastelli fra il 1924 e il 1927 infatti sorgono tutte sui nuovi assi di svi-
luppo della città, individuati nel Piano regolatore, detto Lanfranchi (1908); ben quattro di esse, in particolare, vengono realizzate lungo il viale Trento e Trieste parallelo all’arteria di circonvallazione (ora via Dante). Il tema della villa costituisce un importante campo di lavoro per i progettisti, come Rastelli, esclusi dalle grandi committenze pubbliche, monopolizzate dall’ingegnere Nino Mori. Fa eccezione il concorso vinto nel 1934 per realizzare il Sacrario dei martiri fascisti, con cui l’architetto, ottenendo anche una buona risonanza sulla stampa locale, affronta il primo tema monumentale della sua carriera. Nello stesso periodo partecipa ad un altro concorso, questa volta non vinto, bandito per la realizzazione di un quartiere arabo a Tripoli, segno che la politica coloniale del fascismo apre nuovi campi d’azione per gli architetti. L’occasione professionale più nota e di maggior rilievo è negli anni Trenta il restauro del Palazzo Fodri. L’intervento innovativo, di cui resta una esemplare relazione-diario di recente pubblicazione, attira l’attenzione sul professionista anche oltre l’ambito provinciale. Altra im-
portante opera di questo periodo è la sede della Società Canottieri Leonida Bissolati, realizzata sull’onda degli incentivi promossi dal regime per la diffusione di strutture destinate allo sport e al tempo libero. Con quest’opera Rastelli palesa la raggiunta maturità, approdando ad un linguaggio sensibile alle suggestioni razionaliste. Significative appaiono anche le progettazioni di nuovi edifici per l’industria e per i servizi, tra cui la sede cremonese della Società telefonica interregionale Piemontese-Lombarda, l’officina Edison a Sesto San Giovanni e la sede dei cantieri Navali Riuniti a Genova. Di un qualche interesse sono poi alcuni interventi di riforma e di ampliamento di attività esistenti, come quelli per la Società Anonima Affini del dott. Talamonti, produttrice di saponi, e per le industrie alimentari Sperlari ed ETTER. Pur non avendo praticato una esplicita militanza politica, Rastelli negli anni 1939-40 ricopre il ruolo di presidente del locale Istituto fascista autonomo per le Case popolari, impegno questo che trova una significativa espressione pratica nello studio, progettazione e
realizzazione di numerosi edifici di edilizia economica, in particolare nella fase post-bellica della “ Ricostruzione” . Benché non presente con assiduità nella vita culturale locale, Rastelli è stato uomo di cultura aggiornato e vivace; ne sono sufficienti testimonianze non solo la preziosa biblioteca personale e l’aggiornato restauro di Palazzo Fodri, ma anche il precoce interesse per l’urbanistica. Nel 1937 Rastelli partecipa al primo Congresso Nazionale di Urbanistica (momento fondamentale per l’affermazione della specifica disciplina) nella duplice veste di rappresentante dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e responsabile del Comitato organizzativo provinciale di Cremona. In questa circostanza egli si adopera per lo stretto coinvolgimento di Illemo Camelli, figura di spicco della cultura cremonese, sul tema dell’assetto urbano del capoluogo in epoca romana. L’obbligo di più impellenti necessità costringono l’architetto a ridurre la portata del suo impegno non solo sul tema degli assetti urbani, ma anche su temi più squisitamente culturali, fino a che il richiamo alle armi (il secondo nella vita del nostro architetto) interrompe completamente la sua attività per tutta la durata della II guerra mondiale. Alla cessazione delle ostilità la ripresa della professione è oltremodo faticosa e tribolata. È comunque in questa fase che Rastelli indirizza la propria ricerca al tema del sacro, già sperimentato in gioventù, ma ora ripreso con spirito ed energie nuove ed esteso alle chiese, alle cappelle funerarie, ai monumenti. La testimonianza più completa ed interessante di questa intensa ricerca è la parrocchiale-santuario ad Isola Pescaroli, la seconda esperienza di Rastelli, essendo la prima la partecipazione nel 1930 al concorso, vinto dall’architetto Muzio, del Santuario di S. Antonio nel quartiere di S. Ambrogio a Cremona. Anche se minori, significative e da ricordare sono il rifacimento del pavimento della Chiesa di S. Agata, il Sacro Fonte al santuario di Caravaggio, la tomba Rapuzzi e la cappella Negroni al cimitero di Cremona. Nel 1971 Rastelli chiude l’attività. Muore 10 anni dopo nella casa da lui costruita in via Cesari. Bibliografia essenziale A. Bernardi (a cura di), Vito Rastelli. La vera storia di Palazzo Fodri, Turris, Cremona, 1982. A. Milone, S. Milone, Vita e opere dell’architetto cremonese Vito Rastelli, tesi di laurea della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1998-99, relatori prof. L. Roncai e prof. M. G. Sandri.
1. Palazzina Maldotti, 1925 Cremona, viale Po
2. Villa Martinelli, 1925 Cremona, viale Trento e Trieste
3. Palazzina Castellotti, 1925 Cremona, via Cadore
4. Sede della Società Telefonica Interregionale Piemontese Lombarda (S.T.I.P.E.L.), 1926 Cremona, via Cadolini
1. Tra le prime opere di Rastelli, questa palazzina si colloca lungo il viale di Porta Po, una delle direttrici di sviluppo residenziale più importanti della città per tutto il secolo XX. Secondo i canoni della residenza borghese unifamiliare, consta di due elementi: il corpo dell’edificio vero e proprio e la torretta contenente il vano della scala. I due corpi sono chiaramente distinti in facciata e vengono sottolineati ai bordi da elementi verticali di colore più chiaro. La facciata principale è definita da un trattamento a bugnato nella parte inferiore e da un trattamento ad intonaco giallo nella rimanente. Verso il margine superiore si rinvengono riquadri decorativi orizzontali. Il prospetto è, inoltre, vivacizzato dal diverso trattamento dei balconi: rettangolari al primo piano, di forma ondulata al secondo, in modo da ottenere una maggiore leggerezza. Tutti i balconi sono poi dotati di una balaustra in ferro assai mossa e delimitata, in corrispondenza del secondo piano, da pilastrini sormontati da piccole sfere. Quest’ultimo elemento è ripreso anche nella bella cancellata della recinzione in cui si alternano griglie ad angolo retto e rapide linee curve. L’immobile è costituito da un piano cantinato, un piano terreno rialzato, due piani superiori e una soffitta praticabile. All’interno la distribuzione si ripete uguale su tutti i piani, ed è caratterizzata da un corridoio di disimpegno che collega la sala principale, le due camere, il bagno, la sala da pranzo, la cucina. Sul lato posteriore della casa, a livello del pianterreno rialzato, si colloca un’ampia terrazza, sotto la quale l’architetto ubica la rimessa.
2. Anche quest’opera, così come la palazzina Maldotti, costituisce un buon esempio di residenza unifamiliare in area urbana, realizzata per il rag. cav. Giovanni Martinelli. L’abitazione si sviluppa su due piani ed è collegata da un porticato alla casa indipendente del custode. Il prospetto principale, rivolto verso viale Trento e Trieste, è caratterizzato da un’ampia trifora inscritta in un arco a tutto sesto e da un portico a tre arcate, cui corrisponde al piano superiore un loggiato chiuso da vetrate, con archi retti da colonne. Rispetto al resto della facciata, quest’ultima parte risulta più leggera e articolata, ritmata come è dalla successione di archi e colonne. Una bella fascia marcapiano, che distingue piano inferiore e superiore, è impreziosita da decorazioni geometriche quali rombi, cerchi e rettangoli, ed è interrotta solo da un balcone caratterizzato da un elemento decorativo assai caro a Rastelli, ovvero un pilastrino sormontato da una sfera. Fulcro degli ambienti interni è lo scalone principale, i cui gradini d’invito hanno un accentuato profilo curvilineo. La casa del custode, a due piani, benché più bassa della villa, riprende gli elementi decorativi dei volumi padronali.
3. Pur eseguita nello stesso anno di altre residenze urbane, particolare evidenza riveste la Palazzina Castellotti. L’architetto in questa circostanza sperimenta un organismo promiscuo di abitazione e di industria, che collocato a ridosso dei bastioni di Porta Romana (ora via Cadore), si adatta ad un consistente dislivello del terreno, perciò il lato verso via Giordano si sviluppa su tre livelli fuori terra, mentre quello sul lato opposto ne presenta solo due. Il prospetto principale risulta caratterizzato da un portico centrale ad archi a tutto sesto, a cui si sovrappone una loggia a colonnine. La facciata, ad impianto simmetrico, è animata da un lieve aggetto dei corpi laterali evidenziati dalla sottolineatura degli spigoli. Al piano cantinato Rastelli colloca i locali ad uso industriale, quali il laboratorio, il locale per l’incubazione, la cella frigorifera, l’essiccatoio, nonché il garage. I piani superiori sono, invece, destinati all’abitazione. Un vano scala, situato a destra dell’ingresso, collega verticalmente tutti i piani. L’area sistemata a giardino, il cui progetto originario prevedeva anche fontane e statue, è contornata da un imponente muro di cinta. Il portale d’ingresso, caratterizzato da un arco a tutto sesto, è affiancato da due porte minori architravate, sormontate da due finestrelle circolari inferriate, mentre il muro è intervallato da semi - pilastri, sormontati da piccole sfere e vasi.
4. A partire dal 1926 Rastelli inizia i lavori di ristrutturazione dell’ex-Convento di S. Giovanni Nuovo e dell’ex-orfanotrofio al fine di adattarli alla nuova destinazione funzionale. La sede della società telefonica è composta da corpi di fabbrica disposti intorno ad un cortile. Un primo elemento, accessibile tramite un ingresso indipendente, prospetta verso via Anguissola ed è destinato a sala dei telefoni pubblici, con le cabine e gli sportelli. Un secondo corpo, di lunghezza maggiore, si affaccia su via Cadolini. In esso si trovano due grandi sale al pianterreno e al primo piano, rispettivamente destinate a “ sala automatico” e “ sala intercomunale” . Tra questi locali e la ex-Chiesa, l’architetto colloca un passaggio carraio, cui corrisponde al primo piano uno spogliatoio e un refettorio. Il terzo corpo di fabbrica, a forma di “ L” , prospetta per una parte verso via Cadolini e ospita al pianterreno la portineria e i locali per la centrale telefonica (sala macchina, sala accumulatori, sala operai, rimessa), al primo piano gli uffici e al secondo abitazioni. È da ricordare, infine, il notevole impegno di Rastelli per salvare i bellissimi mosaici romani rinvenuti sotto il pavimento della ex-chiesa proprio durante i lavori.
Itinerari
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5. Villa Bassetti, 1927 Cremona, viale Trento e Trieste
6. Edificio industriale per il Consorzio del Navarolo, 1931 Isola di Pescaroli (Cr)
5. Nel 1927 Rastelli riceve l’incarico di progettare una villa a due piani per Giuseppe Bassetti. Il blocco dell’edificio, di pianta quadrata, è movimentato dal leggero arretramento della parte centrale del prospetto principale e dal leggero aggetto della parte centrale delle facciate ad est ed a sud. I prospetti sono inoltre caratterizzati, nella parte inferiore, da aperture ad arco, cui si contrappongono, nella parte superiore, grandi aperture rettangolari. Dall’ingresso principale si accede ad un vestibolo e ad una hall, da cui si arriva ad un elegante scalone. L’organizzazione degli spazi interni prevede al pianterreno, rialzato, la sala, la cucina, la sala da pranzo, il tinello, il bagno e una camera da letto; al piano superiore le quattro camere da letto, più quella per gli ospiti. Questa architettura segna la fine delle opere giovanili di Rastelli, che possiamo definire come il “ ciclo poetico delle ville” . Si tratta di progetti accomunati, oltre che dalla tipologia, anche da uno stile fortemente influenzato dal clima eclettico ancora dilagante in Italia, ed ereditato da Vito in maniera più diretta durante il periodo della sua formazione a Roma.
6. Nella medesima località ove realizzerà il suo edificio religioso più significativo 15 anni più tardi, l’architetto progetta un bell’edificio industriale per il Consorzio di Bonifica del Navarolo. L’opera, parte di un più complesso intervento di ” bonifica integrale” compresa tra i fiumi Oglio e Po a cavallo dei confini del Basso Cremonese e del Mantovano, è relativa al solo edificio di presa ospitante le turbine e la casa per il custode. I due elementi, addossati, dovevano formare un insieme organicamente connesso. Attualmente si conserva il solo edificio industriale. Il fabbricato ancora visibile è costituito da un volume semplice, a forma di rigoroso parallelepipedo, la cui compatta massa muraria, secondo una logica formale consolidata per questo tipo di edifici, è alleggerita da ampie aperture vetrate, rettangolari nella parte inferiore e quadrate in quella superiore. Il linguaggio di questa architettura è affidato in prevalenza alle proporzioni del volume, all’espressività del caldo colore del laterizio a vista ed alle eleganti cornici bianche. Più in dettaglio si evidenzia il valore estetico del cornicione posto alla sommità dell’edificio, che si sviluppa sui quattro lati e che risulta supportato da una sottostante fascia marcapiano. L’accentuazione della scansione orizzontale del prospetto è poi affidata alle chiare cornici delle finestrate, leggermente rientranti rispetto al piano della facciata.
7. Restauro di Palazzo Fodri, 1930-32 Cremona, corso Matteotti
8. Restauro di Palazzo Pagliari, 1934 Cremona, piazza Roma
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7. Nel campo specifico del restauro la formazione romana di Rastelli con l’insegnamento di uno dei padri del restauro moderno, G. Giovannoni, si rivela di fondamentale importanza. Il suo intervento su uno dei più importanti palazzi del ‘400 cremonese avviene proprio negli anni in cui il suo maestro è impegnato ad Atene nella stesura del primo documento internazionale in tema di tutela. Tuttavia i princìpi sanciti dalla Carta di Atene sono tutt’altro che accettati negli anni Trenta, come dimostra l’attacco della rivista “ Cremona” al restauro di Rastelli. La rivista, ancora arroccata su posizioni tipiche dei restauri ottocenteschi, auspica il ritorno alla configurazione originaria del monumento e accusa Rastelli di seguire criteri “ limitati” alla semplice conservazione. Il nostro architetto, invece, dopo approfondita analisi critica dei documenti e del Palazzo, scarta qualsiasi ricostruzione di elementi solamente ipotizzabili e qualsiasi tentazione di restituire una utopistica unità stilistica all’opera. Esclude ogni possibile alterazione del dato storico confrontandosi senza pregiudizi di tempo e di stile con tutte le stratificazioni che il Palazzo ha sedimentato nel corso della sua complicata storia. Così, ad esempio, sceglie di non ricostruire una torre, poiché ad essa non si può più tornare se non con l’arbitrio e la fantasia. Il medesimo approccio lo porta a scartare qualsiasi tentazione di imitazione di un’antica scala, per cui, dovendo risolvere il problema di collegare verticalmente i piani, ne progetta una che manifesta senza finzioni la propria modernità. Questo restauro è, forse, il nodo cruciale della carriera di un professionista che nel momento di maggior lungimiranza culturale rimane intrappolato nel reticolo di polemiche di chi non ne ha compreso il valore.
8. A conclusione delle tribolate operazioni di restauro di Palazzo Fodri, l’architetto viene gratificato delle incomprensioni con l’incarico di adattare lo storico Palazzo Pagliari a sede della Federazione fascista dei commercianti, il cui nucleo più antico era stato costruito nel XVI secolo dal pittore e architetto G. Campi. Come si evince dalla stessa relazione tecnica accompagnatoria del progetto, anche in questa circostanza Rastelli dimostra di essere restauratore attento e aggiornato rispetto alle più avanzate teorie internazionali. In questo progetto il professionista ha modo di sperimentare, ad esempio, la validità della norma che suggerisce come la destinazione d’uso, laddove compatibile e rispettosa dell’architettura storica, costituisca elemento determinante per la salvaguardia dell’opera d’arte. Lontano da qualsiasi tentazione di ripristino o di completamento, l’architetto si pone concretamente dalla parte della conservazione del reperto storico, anche se ritiene che non tutto debba essere conservato. Il progetto prevede, infatti, in ottemperanza ai precetti della carta del restauro, allora da poco approvata, anche la demolizione di parti dell’edificio di recente costruzione, ritenute prive di valore, anzi ostacolo per la conservazione di elementi di maggiore importanza. È questo il caso dell’ala ad ovest del cortile principale, la cui sostituzione con un leggero portico pone in evidenza le ali del fabbricato antico in precedenza nascoste. Con la stessa logica viene riattivato l’antico accesso, al fine di consentire la percezione della bella infilata di cortili. La riforma più rilevante riguarda l’ala adiacente al giardino e al cortile secondario in cui, al primo piano, viene collocato un grande salone per le assemblee, risolto con una sobria modernità.
9. Sede della Società Canottieri Leonida Bissolati, 1935 Cremona, via Riglio
10. Condominio, 1955 Cremona, via Cesari
11. Chiesa e casa parrocchiale, 1957 Isola di Pescaroli (Cr), piazza dei papi Pio XII e Giovanni XXIII
12. Istituto Tecnico Industriale, 1965 Cremona, via Seminario
9. È del 1935 l’incarico di progettare la sede definitiva della Società sportiva L. Bissolati, posta sulla sponda sinistra del Po nel tratto antistante la città di Cremona. Le difficoltà economiche del sodalizio impongono all’architetto di mantenere la stessa collocazione della sede provvisoria, da lui realizzata nel 1921, onde poter utilizzare parte delle strutture murarie esistenti. L’architettura, di concezione assai moderna, è impostata secondo una logica distribuzione degli spazi. Al pianterreno si situano il cantiere per la costruzione delle barche, il deposito delle biciclette, gli spogliatoi e la zona bar e caffè, con ampia vista sul fiume. Al primo piano, a cui si accede tramite una scala semicircolare, sono dislocati, oltre ad ulteriori spogliatoi, due terrazze-solarium, di cui quella a nord è dotata di docce comuni per l’estate, mentre l’altra a sud, di forma semicircolare, con splendida vista sul fiume, può essere raggiunta direttamente dall’esterno tramite una scala secondaria. La copertura piana secondo il gusto razionalista è destinata ad ulteriore terrazzo-solarium. Particolarmente importante per la caratterizzazione del complesso è l’area circostante, destinata a verde, nella quale sono distribuiti i campi da tennis, il campo da bocce, la zona attrezzata di sbarre, parallele, ecc. L’aggregazione di forme geometriche elementari, lo sviluppo delle finestre in lunghezza, la soluzione del tetto piano pedonale, l’adozione della terrazza semicircolare, sospesa e protesa verso il fiume, non solo costituiscono il segno concreto della adesione al lessico moderno di Rastelli, ma contribuiscono a diffondere questo gusto in tutto il cremonese.
10. L’edificio, orientato secondo l’asse est-ovest, risulta perpendicolare a via Cesari. Si sviluppa per sette piani fuori terra con attico, disimpegnati in verticale da due ascensori e da una scala. La facciata è fortemente segnata da balconate continue, incise nel volume dell’edificio ad evidenziare un particolare effetto di orizzontalità troncato dalla verticalità dei pilastri e del corpo scala, denunciato all’esterno da una vetrata continua. Questa architettura costituisce, per l’ambito cremonese, un unicum che trova i motivi di maggior interesse oltre che nel rapporto fra le linee verticali e orizzontali dell’ossatura strutturale, anche nel dialogo fra differenti materiali, come il vetro delle aperture e la pietra del basamento e del portale d’ingresso, e nei ricercati rapporti cromatici giocati tutti nella gamma dei verdi, i cui toni più scuri sottolineano la scansione strutturale dell’edificio. L’opera poi evidenzia come l’approccio di Rastelli al razionalismo non si manifesti come pedissequa declinazione di un lessico ormai maturo, ma sia costantemente reinventato ed integrato secondo la propria personale sensibilità.
11. L’opera, progettata con l’ing. G. Filippini, sorge in una frazione di S. Daniele di Po, stretta tra l’argine maestro del fiume ed un canale della bonifica. L’aula sacra è anche santuario in quanto dedicata alla Madonna della Fiducia, protettrice dei pescatori della Valle Padana, la cui ricorrenza viene celebrata la seconda domenica di maggio con una solenne processione sul Po. La chiesa, preceduta da un ampio sagrato delimitato da colonne tuscaniche a formare un diaframma fra spazio sacro e spazio profano, è in mattoni a vista, materiale scelto dai progettisti per la sua resistenza e per l’effetto cromatico. La facciata presenta un avancorpo formato da due quinte architettoniche, vivacizzate da finestre ad arco a tutto sesto, che schiudono, come un sipario, il prospetto vero e proprio. L’aula di forma rettangolare è a navata unica, con nicchie laterali rettangolari, delimitate da contrafforti. Sopra le nicchie si colloca il claristorio, impreziosito da monofore a tutto sesto. Il presbiterio, sopraelevato, conclude con un’abside semicircolare finestrata l’aula. La casa del parroco e i locali del ministero pastorale vengono ubicati a sud della chiesa, in un corpo a “ L” , con portico ad archi a tutto sesto. L’opera, mai completata per carenza di risorse economiche adeguate, prevedeva la erezione di un campanile quadrangolare culminato con il simulacro della Madonna della Fiducia, che, secondo le intenzioni dei progettisti, doveva costituire il riferimento, il faro per tutti i fedeli della zona.
12. Nel 1960 gli architetti Rastelli, Gentilini e Guarneri (quest’ultimo prematuramente scomparso e sostituito da Priori e Bentivegna) ricevono l’incarico di redigere il progetto della nuova sede dell’Istituto Tecnico Industriale. Il progetto si presenta sin dall’inizio molto complesso per le notevoli dimensioni e per gli aspetti distributivo-logistici ed obbliga il team dei professionisti a interagire costantemente con la presidenza della Scuola, l’Ufficio Tecnico Provinciale e il Genio Civile di Cremona. Le numerose attività specifiche di questa istituzione scolastica, vengono così distribuite in cinque corpi di fabbrica distinti, ma collegati internamente tra di loro e racchiusi in un anello stradale che consente una agevole accessibilità anche dall’esterno. Il corpo principale, a tre piani, ubicato a sud, ospita gli uffici della presidenza e dell’amministrazione, l’aula magna, la biblioteca, la tavola calda e il bar. Collegato a questo, tramite una galleria, vi è un edificio a forma di “ L” destinato alle aule per le lezioni teoriche rinserrato attorno ad un originale patio coperto. Dal gruppo delle aule si diparte una lunga galleria, che disimpegna un fabbricato di tre piani con pianta a pettine nel quale trovano sede i laboratori e le palestre, mentre i campi da gioco sono stati ubicati all’estremo nord del complesso. Il centro dell’intero organismo è poi costituito dal corpo delle officine elettriche e meccaniche, vero cuore di questa istituzione scolastica.
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A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno
Gennaio Febbraio
1999
1360 1370 1358,71 1361,22 1363,73 1368,75 1371,26 1371,26 1373,78 1373,78 1390 1400 1410 1387,59 1393,87 1397,63 1398,89 1402,66 1407,68 1410,19 1410,19 1430 1440 1430,28 1435,31 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1447,86 1447,86 1460 1470 1480 1462,93 1467,96 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1481,77 1484,28
2000 2001 2002
Marzo
Aprile
Maggio
2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978)
48
Anno
Gennaio Febbraio
1999
470 470,23 471,10 480 480,23 482,40
2000 2001
Indici e tassi
2002
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre 1380 1377,54 1380,05 1385,08 1386,33 1420 1412,70 1416,47 1422,75 1424,01 1450 1449,12 1452,89 1455,4 1456,65 1490 1486,79 1490,56
novembre 1978: base 100 Giugno
Luglio
dicembre 1978:100,72
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
471,97
473,71 474,58 474,58 475,45 475,45 476,75 477,62 479,36 479,79 490 483,70 484,14 485,44 487,18 488,05 488,05 488,92 490,22 492,40 492,83 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 503,70 504,13 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82 513,69 514,56 515,86
3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)
anno 1995: base 100
Anno
Gennaio Febbraio
Giugno
2001 2002
109,30 109,69 111,80 112,18
Marzo
Aprile
Maggio
Luglio
giugno 1996: 104,2
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
109,78 110,17 110,46 110,55 110,65 110,65 110,74 111,03 111,22 111,32 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24 113,43 113,62 113,91
3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno
Gennaio Febbraio
2001 2002
100,44 100,79 102,73 103,08
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Gennaio Febbraio
2001 2002
105,26 105,63 107,67 108,04
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
100,88 101,23 101,49 101,58 101,67 101,67 101,76 102,02 102,20 102,29 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05 104,23 104,4 104,67
4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno
dicembre 2000: 113,4
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
anno 1999: base 100
gennaio 1999: 108,2
Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
105,73 106,09 106,37 106,46 106,56 106,56 106,65 106,93 107,11 107,20 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05 109,24 109,42 109,7
5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
gennaio 2001: 110,5
2001 2002 103,07 105,42
6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
anno 2001: base 100
anno 1995: base 100
1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08
1999 2000 2001 2002 111,52 113,89 117,39 120,07
7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno
1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51
novembre 1995: 110,6
anno 1997: base 100
febbraio 1997: 105,2
2001 2002 108,65 111,12
Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1993, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa
Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.
della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U.
14.4.1999 n° 86) dal 14.4.1999 10.11.1999 n° 264) dal 10.11.1999 8.2.2000 n° 31) dal 9.2.2000 3.5.2000 n° 101) dal 4.5.2000 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001
Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria dell’Ordine.
2,5% 3% 3,25% 3,75% 4,25% 4,50% 4,75% 4,5% 4,25% 3,75% 3,25%
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).
Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.