AL 12, 2004

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dicembre 2004

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Validazione del progetto

Mensile di informazione degli Architetti Lombardi Ordini degli Architetti delle Province di: Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Pavia Sondrio Varese

Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti via Solferino, 19 - 20121 Milano Anno 27 - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano



AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 12 Dicembre 2004

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Forum Validazione del progetto interventi di Emilio Pizzi, Gaetano de Gattis, Mauro Moroni, Enzo Puglielli, Gionata Rizzi Como Lecco M ilano

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Argomenti

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Concorsi

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Professione e aggiornamento Legislazione Strumenti

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Informazione Dagli Ordini Stampa Libri, riviste e media M ostre e seminari

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Itinerari

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Indici e tassi

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Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Martina Landsberger, Mina Fiore Assistente di Redazione: Irina Casali Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it

Editoriale

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Sommario

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 w w w.consultalombardia.archiw orld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Luigi Fabbri; Consiglieri: Edoardo Casadei, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 30.6.04) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Quintino G. Cerutti, Maura Lenti, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)


Validazione del proget t o: esigenza reale, soluzioni cont roverse!

Stefano Castiglioni Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Editoriale

La verifica di conformità del progetto dell’opera pubblica, di cui al comma 6 dell’Art. 30 della L.109/94 ed agli Artt. 47/48 del DPR 554/99, che poteva sembrare poco più di un ordinario adempimento burocratico, ha via via assunto rilevanza crescente, sollevando un conseguente dibattito anche per lo spazio dedicato a tale aspetto dalla Legislazione regionale in itinere (per la Regione Lombardia vedasi il nuovo “ Testo unico per gli appalti pubblici” ). È notorio il fatto di come il contenzioso nel settore dei lavori pubblici abbia assunto un trend progressivo con oneri e ricadute di elevatissima incidenza per le Amministrazione committenti, identificando il primario “ casus belli” proprio nel progetto dell’opera. Se il ruolo tradizionale della stazione appaltante, rappresentata dal responsabile del procedimento, consisteva sostanzialmente in passato nell’accertare la presenza dei contenuti e dei requisiti idonei a consentire un corretto svolgimento dell’appalto, l’attenzione investe ora sempre più i contenuti della progettazione vera e propria in quanto l’oggetto del contenzioso si rivolge ad aspetti di “ completezza, adeguatezza, chiarezza degli elaborati progettuali, grafici, descrittivi...” , come del resto testualmente richiesto dalla stessa normativa. La polizza assicurativa chiesta al progettista “ per nuove spese di progettazione e maggiori costi che l’Amministrazione (fosse) tenuta a sopportare per le varianti in corso d’opera” , di cui all’Art. 30 della L. 109/94, non solo resta una garanzia accessoria particolarmente onerosa ma, in base al comma 6 f dell’Art. 3 (che rimanda esplicitamente la definizione del problema al Regolamento ove peraltro lo stesso non risulta affatto trattato) si traduce in sostanza in un adempimento non esigibile. In realtà occorre per chiarezza rilevare che gli appaltatori per lo più concorrono all’appalto, proponendo offerte al ribasso (con valori percentuali per così dire convenzionali), senza effettuare un’adeguata disamina preventiva, ritenendo l’utile d’impresa (in entità prefissata! ), come un diritto intangibile, procedendo quindi a contestazione allorquando ciò non si verifichi. La prospettiva tuttavia di istituire in modo generalizzato nuove figure esterne di “ validatori dei progetti pubblici” (retribuiti con specifica tariffa! ) non può che sollevare qualche perplessità, soddisfacendo piuttosto una diffusa vocazione al ruolo ambito di “ controllore” e confermando, semmai ve ne fosse bisogno, un’indubbia creatività nella creazione di nuovi soggetti e spazi professionali: detta diffidenza risulta altresì alimentata dal sospetto di assimilazione dei nuovi soggetti “ validatori” ai “ certificatori di bilanci” che, tralasciando riferimenti recenti fin troppo noti, hanno finito spesso col garantire realtà aziendali invece gravemente compromesse. D’altra parte resta l’interrogativo di fondo, che va ben oltre la problematica dell’opera pubblica: come riconoscere e garantire professionalità e qualità al progetto stante le rilevanti ricadute, troppo spesso in soli termini di negatività, che gli interventi edilizi comportano? Del resto anche la recente “ Legge quadro sulla qualità architettonica” , tuttora in itinere, promossa dal Consiglio Nazionale Architetti e la normativa sulla “ qualità aziendale/gestionale ISO 9001” restano ulteriori aspetti della stessa oggettiva esigenza. Per quanto sopra, si ha ragione di ritenere che in proposito la soluzione reale non possa che ricondursi “ alla reale radice” del problema: • ad una formazione universitaria che stenta ad affrontare in modalità compiuta il confronto con la realtà (indisponibile a dilettantismo e improvvisazione) del mondo economico e del lavoro; • ad un assetto professionale che perpetua una strutturazione antiquata con confusione di ruoli e competenze (in particolare a proposito dei “ laureati triennali” ). Un altro anno si chiude e le riforme attese (universitaria con lo sviluppo del DPR 328/01 e professionale con il relativo nuovo più articolato ordinamento) sono nuovamente prorogate a tempi più lontani, accentuando nodi e incongruenze (di cui il presente argomento non è certo il più rilevante) per le quali appare illusoria la prospettiva di soluzioni autonome o parziali. Proprio i due temi nodali soprarichiamati, benché il confronto con le pubbliche Istituzioni ed il mondo politico risulti difficile, non di meno l’impegno costante e l’attenzione competente, sia a livello nazionale, che a scala regionale, dovranno rappresentare ancora per gli Ordini gli obiettivi di assoluta priorità nell’immediato futuro.


Validazione del progetto

Forum

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Il tema della Qualità del Progetto si riconnette direttamente al sistema dei controlli che necessariamente la Legislazione vigente prevede per le Opere Pubbliche. Essa comporta attività di verifica e validazione che possono essere svolte da organismi di controllo specifici. Nel Forum di questo numero, alla cui realizzazione ha collaborato Emilio Pizzi, Professore Ordinario di Architettura Tecnica presso la VI Facoltà di Ingegneria Edile Architettura del Politecnico di Milano, sono intervenuti Gaetano de Gattis, capo servizio Beni Archeologici della Regione Valle d’Aosta e responsabile del procedimento per la realizzazione del nuovo polo museale e culturale di S. Martin de Corleans ad Aosta, Mauro Moroni, amministratore delegato di Inarcheck SpA, Enzo Puglielli, presidente dell’Ordine di Lodi e membro della “ Commissione Validazione” del C.N.A.P.P.C, Gionata Rizzi, consulente del World Monument Fund e del Getty Conservation Institute e Team leader di Inarcheck per le verifiche su progetti di restauro monumentale. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

Validazione: un primo passo verso la qualità dell’architettura costruita di Emilio Pizzi La verifica ed il controllo delle attività progettuali nella realizzazione di opere pubbliche costituisce da sempre un momento nodale del processo realizzativi. Quanto specificato dal legislatore nel Regolamento di attuazione della Legge Quadro in Materia di Lavori Pubblici n. 109 a proposito di “ verifica e validazione” in realtà richiama ad una attività che in passato era svolta da soggetti diversi in seno ad organismi di volta in volta chiamati a fornire il proprio parere di conformità sull’operato progettuale da mandare in gara. A secondo della provenienza del finanziamento pubblico tali competenze erano, precedentemente alla legislazione vigente, in capo a commissioni tecniche regionali ovvero agli uffici del genio civile ovvero a specifici organismi ministeriali. La carenza di una definizione precisa del contenuto degli elaborati progettuali nei diversi livelli di articolazione alle varie scale ha finito per ridurre sensibilmente l’efficacia di tali controlli, rimandando di fatto al momento della realizzazione il vaglio di eventuali contraddizioni o limiti progettuali con conseguenze molto negative sulla qualità delle opere costruite. La vigente legislazione sui lavori pubblici ha dunque avuto il merito di riportare l’attenzione sulla necessità che vengano attuati controlli sulla attività progettuale finalizzati al buon esito del processo realizzativo.

Vi è peraltro tra i progettisti una preoccupazione diffusa che tali controlli possano introdurre elementi modificativi delle ipotesi progettuali, che in qualche modo possano snaturare la qualità architettonica del progetto. In realtà il dettato della norma nel suo articolato chiarisce assai bene modalità e contenuti dell’azione di verifica ed i compiti del responsabile del procedimento in tal senso. Vi è infatti un aspetto fondamentale dell’azione di controllo che deve essere rivolto a ricondurre i contenuti della azione progettuale alle indicazioni del documento preliminare, documento che di fatto esprime in modo puntuale il quadro delle esigenze della committenza. Il ruolo dell’azione di verifica sul progetto preliminare e di validazione del progetto esecutivo è dunque quello di eliminare possibili errori ed incompletezze negli elaborati progettuali evitando il rischio di contenziosi in fase di gara, ma soprattutto di salvaguardare la fattibilità tecnica dell’opera. Non si tratta unicamente di un controllo formale ma di una attenta lettura e rivisitazione di tutti gli elaborati al fine di correggere, se necessario, quanto in essi non risponda ad una visione compiuta ed integrata. I soggetti terzi che si trovano a svolgere questo compito delicato per conto del responsabile del procedimento assumono una grande responsabilità all’interno del processo attuativo dell’opera. Tanto più attenta è l’azione di verifica, tanto maggiori sono le premesse affinché le fasi successive possano trovare efficace attuazione. Si deve sottolineare come le modalità con cui si opera la validazione a progetto ormai concluso non consentono di poter intervenire efficacemente nei momenti decisionali e quindi anche gli eventuali correttivi che possono essere operati sul progetto a seguito di non conformità non sempre sono in grado di ricondurre l’insieme delle componenti ad una piena integrazione. La possibilità che in futuro organismi di controllo affianchino la compagine progettuale lungo tutto l’arco temporale dello sviluppo del progetto appartiene ad una prospettiva già in atto in altri paesi, capace di produrre sempre più livelli di progettazione esecutiva in grado di guidare il processo realizzativo dell’opera senza che possano essere introdotte arbitrarie modificazioni nel corso delle attività di costruzione. Spesso i gruppi progettuali che si formano in occasione delle gare aggregando le diverse competenze, in molti casi per la prima volta, si scontrano con difficoltà di coordinamento che, complice il tempo ristretto assegnato alle fasi progettuali, non sempre sono in grado di fornire un prodotto effettivamente integrato in cui la componente impiantistica con i suoi ingombri si sposi con la parte strutturale e le parti di finitura e completamento non vengano messe in crisi da una mancata correlazione con queste due componenti. Il processo di validazione può dunque diventare uno stru-


Le illustrazioni sono tratte da: F. Barrera, C. Guenzi, E. Pizzi, E. Tamagno, L’arte di edificare. Manuali in Italia 1750-1950, BE-MA editrice, Milano, 1993. I particolari di una struttura di marmo e di ferro per una scala, Tav. LXXVII (da: Carlo Formenti, La pratica del fabbricare, Ulrico Hoepli, Milano, 1893).

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mento importante nel favorire una maturazione della prassi progettuale attuale verso standard qualitativi più avanzati. A questo importante risvolto se ne potrà aggiungere un altro altrettanto importante che si lega alla arretratezza del cantiere edilizio: un cantiere ancora profondamente dominato dalla improvvisazione e nel quale i singoli operatori quasi mai operano in vista dell’obiettivo dell’opera compiuta; un cantiere in cui si costruiscono difetti che spesso pesano sul corretto invecchiamento di un’opera. Ci si domanda come mai la qualità di opere di architettura realizzate all’estero sia così diffusa mentre nel nostro paese questa costituisca un’occasione di pochi interventi. Credo che al fondo di questo interrogativo vi sia non tanto il fatto che la progettazione non sia di qualità, quanto il fatto che il progetto difficilmente si misura con queste difficoltà esecutive e finisce per definire una realtà praticamente impossibile da conseguire in pratica. Ecco, il processo di validazione potrebbe riassumere in sé anche questa esigenza di cerniera fra il momento ideativo ed una realtà di materiali e tecnologie che devono poter essere messi in campo avendo la visione di una loro integrazione con altri materiali e tecnologie con le quali

deve essere valutato il grado di compatibilità. Occorre conoscere a fondo la realtà del comportamento in opera dei materiali, ma ancor più le difficoltà insite nel processo di posa ed i possibili errori che possono essere commessi. Solo in questa prospettiva il processo progettuale potrà riassumere nella sua completezza l’effettiva fattibilità tecnica dell’opera di architettura. Sempre in questa direzione si vengono a precisare anche gli stessi contenuti del progetto: ciò che in esso deve essere dettagliato ai fini di una costruzione dello spazio in cui i materiali e le linee di giunzione tra di essi diventano parte di un disegno unitario. Con queste premesse il processo di verifica attuato con la validazione necessariamente orienta anche le fasi successive del controllo in corso d’opera, controllo che ha altrettanta importanza nel raggiungimento dell’obbiettivo della qualità finale dell’opera di architettura. L’obiettivo è anche quello di pervenire a regole del gioco condivise da tutti gli operatori e per questo è importante che chi opera nel campo della validazione abbia piena consapevolezza dei processi decisionali in sede realizzativa e possibilmente operi anche in relazione al controllo


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Le imposte di legno per gli usci interni, Tavv. LXXXVII e LXXXVIII; Le imposte di legno per le aperture delle finestre, Tavv. XC, XCI, XCII e XCIII (da: Carlo Formenti, La pratica del fabbricare, Ulrico Hoepli, Milano, 1893).


Una testimonianza dalla prima linea di Gaetano de Gattis La fase di validazione, stabilita dalle leggi vigenti in materia di lavori pubblici, rappresenta un momento di verifica necessario, propedeutico alla corretta realizzazione di un’opera pubblica complessa. La crescente competitività delle imprese private in un mercato sempre più inasprito da un contesto normativo e fiscale restrittivo e penalizzante, impone una particolare attenzione dei responsabili del procedimento nella fasi di controllo e di appalto delle opere pubbliche. Tale controllo diventa indispensabile al fine di evitare, per quanto possibile, errori e omissioni nel progetto destinati a trasformarsi in contenziosi durante l’iter dell’appalto e nel corso dei lavori e che porterebbero inevitabilmente alla dilatazione dei tempi programmati e a un conseguente sicuro aumento dei costi. Di fatto, anche se la normativa prevede in prima istanza che la validazione sia effettuata dagli uffici interni, in realtà, è indispensabile affidarsi a strutture private accreditate ai sensi della normativa europea della serie UNI CEI EN 45004. Infatti, oggi nella maggior parte dei casi, gli enti pubblici si trovano a dover gestire progetti di grandi ed importanti opere, sempre più complesse dal punto di vista tecnologico, con la reale impossibilità di disporre di uno staff interno sufficientemente competente e articolato sul piano della multidisciplinarietà, in grado di condurre un controllo puntuale di ogni singolo ambito progettuale (amministrativo, architettonico, strutturale, impiantistico, ecc.). In definitiva il responsabile del procedimento ha necessità di garantire comunque il corretto funzionamento procedurale e la realizzazione di progetti di grande rilevanza e notevoli costi, con strumenti e risorse interne non sufficienti, e quindi si rivolge a professionalità esterne, pena l’assunzione di responsabilità e rischi che vanno ben oltre le proprie capacità e competenze professionali. Si tenga conto che un accurato controllo evita certamente un salto nel buio e il rischio di lasciare nelle mani di imprese, abituate a gestire a proprio favore tali situazioni, gli esiti del raggiungimento o meno di importanti obiettivi istituzionali.

Risulta quanto mai evidente, quindi, che la validazione deve avere quale requisito principale la qualità del controllo, effettuato da società regolarmente accreditate con tecnici professionalmente preparati e in grado di valutare un progetto in tutte le sue problematiche (cosa che nella mia ridotta esperienza in merito ho potuto riscontrare positivamente). I costi propri della validazione – stabiliti con tariffa professionale dal DM 4.4.2001 – risultano modesti e quindi più che accettabili sia in termini assoluti, sia in relazione all’importo necessario alla realizzazione di un’opera (mediamente lo 0,5-0,6% dell’importo delle opere e, comunque, il 7,5% dell’onorario di progettazione e direzione lavori), soprattutto se si considera che l’assenza di una verifica del progetto, che ne comporti il controllo sostanziale, porta alla rapida crescita del rischio di incorrere in importantissimi aumenti del costo di realizzazione (quindi, in relazione all’ammontare delle opere, valori percentuali prossimi o superiori al 15-20%) causati da varianti indotte da “ buchi” o indeterminatezze progettuali rilevate solo durante l’esecuzione dei lavori. La validazione è quindi una fase che, se attivata con serietà e consapevolezza, aumenta il grado di sicurezza necessario per la realizzazione di un progetto, tutela l’ente pubblico ma anche i progettisti e in definitiva tende a ristabilire un equilibrio contrattuale tra due sistemi, pubblico e privato, che altrimenti sarebbe a sicuro vantaggio di quest’ultimo. In questa sede a conclusione di quanto riportato sopra è tuttavia importante sollevare le seguenti problematiche: • dal punto di vista etico è corretto che i costi della validazione siano sostenuti solamente dall’ente pubblico oppure, almeno in parte, dovrebbero contribuire anche i progettisti visto che molte volte i controlli individuano integrazioni per indeterminatezze o “ buchi” progettuali? • è indispensabile che l’alta qualità professionale di chi valida venga assolutamente mantenuta nel tempo altrimenti, in futuro, potrebbe configurarsi la necessità di dover creare organismi di controllo delle società abilitate a valicare, innescando così un meccanismo che, portato al limite, potrebbe non avere fine.

Validazione del progetto, una scommessa da non perdere di Mauro Moroni La Legge Quadro in Materia di Lavori Pubblici ha introdotto diverse novità sin dalla sua prima stesura del 1994. Nel sistema di riferimento delineato dalla legge, dai regolamenti attuativi e dalle tre successive modifiche, fino a quelle introdotte dalla 166/02 oggi in vigore, si collocano tutte le misure e le prescrizioni relative alle garanzie sulla

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in corso d’opera. I tempi sono maturi per un soggetto terzo di validazione che possa affiancare il direttore lavori ed il collaudatore in corso d’opera nella attività ispettiva sul cantiere, nella consapevolezza di quelle criticità rilevate in fase di progettazione. Si tratta di un processo di maturazione e sensibilizzazione degli operatori complesso ma perseguibile se prevarrà il bisogno di un’architettura costruita di qualità che sappia sfidare il tempo.


Coperture dei tetti, Tav. 18 (da: Luigi Cattaneo, L’arte muratoria, Antonio Vallardi, Milano, 1889).

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qualità della progettazione, al suo controllo e, in particolare, quelle relative alla cosiddetta validazione dei progetti. Ora, in quanto amministratore di una società di validazione, mi viene chiesto di illustrare quali siano, nella mia percezione, le luci e le ombre relative a questi temi e mi si chiede di dire se, a mio avviso, lo sforzo di dare garanzie in merito alla qualità delle opere sia fruttifero o vano. Inutile dire che una risposta certa e circostanziata è pressoché impossibile da dare, ma altrettanto vero è che una risposta dinamica, più articolata, ma di cui non sarei in grado di definire l’affidabilità statistica, è invece possibile. In prima battuta, mi sentirei di formulare questa sentenza: “ la totalità dei casi in cui siamo intervenuti come verificatori di un progetto di opera pubblica si è chiusa con soddisfazione di tutte le parti interessate: stazione appaltante, progettisti, gruppo di verifica” . La seconda affermazione che vorrei fare, e che contestualizza la prima, è la seguente: “ il numero dei casi in cui l’ente appaltante ha attivato la procedura di verifica e validazione prevista dalla legge, affidandola a un organismo esterno specia-

lizzato, è una frazione inferiore all’1% dei casi di realizzazione di opere pubbliche” . Temo che chi volesse concludere con una terza sentenza che suoni all’incirca “ l’impatto delle procedure di validazione sulla qualità media delle opere pubbliche è pressoché nullo” , difficilmente potrebbe essere smentito. Certo vale la pena analizzare il perché di questa situazione, ontologicamente contraddittoria. Se funziona e dà buoni risultati, perché la verifica o validazione dei progetti da parte di un organismo specializzato non diventa prassi comune e consolidata? Credo che i motivi siano molti e che ciascuno concorra a esaltare gli effetti degli altri. Innanzitutto una diffusa ignoranza della legge e dei suoi strumenti, causata sia dall’assurda fraintendibilità del lessico del testo normativo, sia da un’azione legislativa incoerente e sfilacciata che lascia in sospeso i modi e gli strumenti dopo avere definito i princìpi. Si consideri, ad esempio, che il regolamento relativo alle modalità di verifica dei progetti di cui all’Art. 30 comma 6 della 166/02 non è ancora stato emanato ben-


Tetti e loro coperture, Tav. 19 (da: Luigi Cattaneo, L’arte muratoria, Antonio Vallardi, Milano, 1889).

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ché siano passati oltre due anni dall’emanazione della legge. Questa “ incertezza della legge” risulta devastante ai fini del raggiungimento di quegli obiettivi di qualità, obiettivi presumibili del legislatore, perché giustifica immobilità e inerzie operative già spontaneamente presenti nel settore; e poi risulta ancor più devastante perché, non chiarendo quali siano i contenuti della verifica che deve essere condotta, vizia e stravolge la domanda e l’offerta del servizio di validazione, giustificando domande odiose e leziose come “ ma la validazione è un atto formale o sostanziale?” oppure “ ma la validazione entra nel merito tecnico del progetto o si limita a verificarne gli aspetti formali?” oppure ancora (in questo caso con riferimento all’Art. 47 del DPR 554/99) “ ma la verifica di esistenza della relazione di calcolo, implica anche il verificare che i calcoli siano giusti?” . Questi, anche se resi in forma semplificata e forse un po’ brutale, sono i quesiti che più spesso ci sono stati rivolti in questi anni da responsabili di procedimento e progettisti. A questi aspetti si sommano poi altri elementi che hanno

certamente rallentato l’affermazione generalizzata della prassi della validazione: l’esiguo numero di soggetti accreditati e la sostanziale inesistenza di organi rappresentativi degli stessi, ad esempio, ha limitato la capacità di questo settore dell’ingegneria di sensibilizzare il proprio mercato; il disinteresse degli Ordini professionali nei confronti degli organismi di validazione fa venire meno l’azione di controllo deontologico che invece gli Ordini stessi esercitano sui progettisti; la mancanza di chiarezza con cui il DM 4.4.2001 regola le modalità di calcolo dei corrispettivi per la verifica dei progetti, unita al mai chiarito contenuto della verifica stessa ha causato (oggi sembra finita, ma è durata oltre due anni) una guerra al ribasso nelle offerte economiche che ha certamente indotto il pensiero, non del tutto perverso invero, che “ se costa poco vale poco” . In questa realtà, che sembra una galleria degli orrori, è necessario però cercare ed evidenziare, se ve ne sono, gli aspetti positivi legati alla validazione. Ma anche in questo caso, temo a causa della natura stessa


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I particolari pel lineamento dei muri e pel tracciato delle fosse di fondazione, Tav. VI; Il tracciamento dei muri del sotterraneo, Tav. XXVI (da: Carlo Formenti, La pratica del fabbricare, Ulrico Hoepli, Milano, 1893).


ma oggi l’obbligo di dare queste garanzie risiede solo nella volontà e nella percezione deontologica del singolo organismo di validazione. Per questo quindi, per evitare che “ l’operazione sia riuscita perfettamente e il paziente sia morto sotto i ferri” , è necessario che si completi con la massima celerità il quadro normativo e si delinei chiaramente e irrevocabilmente il ruolo dell’organismo di validazione, nonché l’estensione del suo mandato minimo. Se così non fosse, un beneficio per la collettività, in potenza, diventerebbe l’ennesimo costo inutile aggiuntivo in atto; una iattura insomma.

Validazione e deontologia di Enzo Puglielli La validazione del progetto rappresenta un momento di grande importanza nello sviluppo di un’opera, e forte è l’attenzione di tutti i soggetti interessati all’appalto a questo particolare aspetto della realizzazione di un’opera. La verifica tecnica ha ragione di essere in funzione della copertura assicurativa che è garantita dal controllo tecnico del progetto, prima della sua esecuzione e, affinché la copertura assicurativa abbia effetto, deve essere effettuata da soggetti terzi rispetto ai progettisti e alle stazioni appaltanti. Non è un caso che si parli di verifica tecnica proprio nell’Art. 30 della Legge 109/94 dove, appunto, si parla di garanzie negli appalti pubblici. Sostanzialmente tale articolo prevede che, prima di iniziare i lavori, le stazioni appaltanti verifichino la conformità degli elaborati progettuali oltre che alla normativa vigente, anche a quanto prescritto dall’Art. 16 della citata Legge 109/94. Attualmente manca una disciplina specifica delle verifiche tecniche, per tale motivo dovrà essere riformato il D.P.R. 554/99 nel quale dovrà essere inserito appunto uno specifico titolo sulla validazione dei progetti: dell’argomento si sta occupando anche una specifica commissione parlamentare denominata Commissione Russo, dal nome del presidente, la quale ha predisposto una bozza di testo, attualmente in discussione, che ha in parte individuato i termini della questione. Numerosi organismi si stanno attivando per integrare e/o modificare le norme che riguardano la validazione dei progetti: l’UNI ha già provveduto per la modifica delle norme italiane UNI 10722-1-2-3. Non poteva rimanere inattivo il Consiglio Nazionale il quale, con una apposita Commissione, coordinata dall’arch. Pizzolato ha svolto una attenta analisi tesa ad individuare oltre che gli aspetti tecnici (con proposta di modifica al testo della Commissione Russo), anche quelli deontologici.

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di questa come di qualunque altra attività di verifica, tali aspetti possono essere identificati solo come disattivazione della possibilità che accadano eventi indesiderabili. Inoltre, se il panorama tratteggiato prima può avere una valenza generale, ciò che sto per illustrare è strettamente legato al modo in cui l’organismo di validazione pensa a se stesso e, quindi, opera. Se le negatività messe in evidenza hanno, cioè, carattere di generalità, gli aspetti positivi che elenco afferiscono alla specifica esperienza della società che amministro e sono legati al nostro modo di operare. Di altri non so o non posso parlare. Innanzitutto noterei la possibilità che un intervento di validazione effettuato da una parte terza, indipendente e distaccata rispetto al progetto verificato, disinteressata dal e nel giudizio ha cioè la possibilità di portare a una revisione critica, serena e approfondita del contenuto del progetto. Abbiamo sperimentato che questo momento è apprezzato non solo dal responsabile del procedimento, ma anche e soprattutto dal progettista, che spesso è arrivato alla consegna del progetto “ con il fiato corto” , grazie anche alla perversa concessione, fatta dalla legge, il D.Lgs 157/95 in questo caso, di sottoporre a gara i tempi di progettazione. Ora, dopo la consegna affannata, il progettista ha l’occasione di rileggere l’opus da un punto di vista diverso, più oggettivo forse, e di verificare ogni singola scelta in relazione a tutte le scelte fatte. Un altro aspetto importante è il fatto che la validazione, con il suo apporto di multidisciplinarietà e con la visione integrale e integrata del progetto, può mitigare alcuni effetti non propriamente apprezzabili della progettazione svolta da associazioni temporanee di professionisti costituite non già sulla base di consolidate esperienze comuni, ma per far fronte alla necessità di soddisfare requisiti di carattere amministrativo e finanziario, erroneamente identificati dalla legge come elementi di valutazione delle capacità professionali. La drastica riduzione del rischio che omissioni o errori nel progetto – evidenziati e corretti grazie all’intervento di verifica – si traducano, nel corso dei lavori, in un aggravio del quadro economico dell’opera è, senza dubbio, un ulteriore elemento favorevole alla validazione, così come lo sono la puntuale verifica del rispetto di tutta la normativa applicabile al progetto in esame, la verifica che tutte le autorizzazioni, i pareri e le approvazioni necessarie siano stati rilasciati e che risultino ancora validi, la verifica che lo schema di contratto d’appalto non contenga clausole vessatorie o addirittura illegittime oppure lasci dei “ buchi” nella gestione dei rapporti tra l’appaltatore e la stazione appaltante, la verifica che il computo metrico sia effettivamente esaustivo dei costi diretti di costruzione dell’opera, e che il capitolato descriva precisamente e non fraintendibilmente le voci di lavoro e che queste siano inequivocabilmente rintracciabili nel progetto e riconducibili al computo metrico. Tutti questi sono elementi di reale garanzia della qualità,


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Una parte delle murature di cotto dei sotterranei coi loro particolari, Tav. XXIX; Le finestre dei sotterranei, Tavv. XXXI e XXXII; Le strutture complesse del sotterraneo, Tav. XXX; La posa in opera delle pietre decorative, Tavv. XLI e XLII; Le travate di ferro pei muri e le colonne di ghisa, Tav. XXXVIII; Le travate di ferro pei muri, le travi armate delle impalcature e le pilastrate interne, Tav. XL (da: Carlo Formenti, La pratica del fabbricare, Ulrico Hoepli, Milano, 1893).


In funzione delle proposte formulate dalla commissione e approvate dal Consiglio Nazionale, si aprirà la trattativa con la commissione parlamentare incaricata di formulare le integrazioni e le modifiche del D.P.R. 554/99.

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Il verificatore non conforme di Gionata Rizzi Faccio l’architetto e, occasionalmente, il verificatore di progetti. In entrambi i ruoli sono prevalentemente coinvolto in opere di restauro. Quando faccio l’architetto pavento il setaccio dei verificatori che verranno; quando faccio il verificatore uso il setaccio con il lavoro degli architetti che sono venuti. Nei panni dell’architetto mi capita di imprecare contro quello che mi sembra zelo e pedanteria da parte di chi collabora al processo di validazione; nei panni del verificatore mi succede di scandalizzarmi per quelle che mi sembrano imperdonabili mancanze di chi ha redatto il progetto. Due pesi e due misure? La trave nell’occhio del vicino? O, peggio, meschinità d’animo umano che spinge a far subire agli altri quello che è stato fatto a te? Forse, ma non credo sia la sola ragione: un poco di onestà intellettuale sopravvive anche dopo anni di professione. E siccome la ragione mi impone di escludere quello che naturalmente mi verrebbe fatto di pensare – e cioè che i miei progetti sono ineccepibili e meritevoli di essere validati ad occhi chiusi mentre quelli degli altri hanno inevitabilmente bisogno di un acribioso esame – sono costretto ad immaginare che tale doppiezza di comportamento abbia altre ragioni. Quali? Credo che in realtà le prospettive dei due ruoli siano, soprattutto nel restauro, effettivamente diverse e che progettista e validatore debbano lavorare su due lunghezze d’onda differenti. Come progettista vorrei dire che il restauro è un’avventura; che molte cose emergono soltanto in corso d’opera, nel momento in cui si mette fisicamente mano al costruito; che è molto difficile “ blindare” un progetto d’intervento, definendolo in ogni suo aspetto. Come progettista vorrei affermare il contrario del presupposto stesso della verifica, e cioè che in un progetto di restauro si sa come si comincia ma non come si finisce; che alla stregua dell’integrazione pittorica, si dovrebbe quasi navigare a vista, con progetti che mutano e si precisano man mano che avanzano i lavori. E come progettista mi sento di sostenere che, se si lavora con imprese di assoluta fiducia e si segue il cantiere quotidianamente, questo è il modus operandi che permette le realizzazioni migliori, sia da un punto di vista tecnico che estetico. Ma questo ideale modus operandi, sono costretto ad ammetterlo anche da progettista, tende a viziare l’architetto,

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Come è noto, la validazione del progetto, obbligatoria per i RUP, richiede la specifica ed approfondita conoscenza della pratica progettuale, la quale “ se non reperita all’interno della struttura” può essere affidata all’esterno sotto forma di “ supporto” al RUP, il quale, per la validazione dei progetti, può affidarsi anche al singolo professionista (con le caratteristiche individuate nella bozza di testo di modifica dell’Art. 30 comma 6 della Legge 109/94) oppure da “ organismi di controllo di tipo A” (accreditati UNI CEI 45004) al cui interno prestano la loro opera architetti, come responsabili tecnici degli organismi di controllo o come collaboratori o consulenti temporanei. È evidente che, ove si voglia perseguire la indipendenza, la imparzialità e l’integrità delle attività di ispezione, la riduzione delle possibilità di verificarsi occasioni di conflitto di interessi fra colleghi professionisti, la riduzione delle possibilità di concorrenza sleale tra professionisti e, infine, aprire il mercato della “ Validazione” ad una pluralità di soggetti anche professionali, è assolutamente necessario darsi delle regole. Non sfugge, infatti, la presenza all’interno del rapporto di un possibile conflitto di interessi tra controllore e controllato, caso questo possibile se l’ispettore dell’Organismo di controllo è un collaboratore o un consulente che, contemporaneamente, svolge anche autonome attività di progettazione, ma non è tutto: la verifica del progetto, particolarmente nella fasi di controllo “ in itinere” prima del rapporto finale, porta certamente l’ispettore a conoscere in modo approfondito il contenuto del progetto, il metodo di progettazione con il quale il progetto si è sviluppato ed anche molte delle caratteristiche del gruppo che ha svolto la attività di progettazione, non parliamo poi della possibilità che un controllore e un controllato, specialmente nelle piccole realtà possano alternarsi nei due ruoli. A tale scopo è stata fatta la prima stesura di una bozza di norma deontologica che prende in esame il ruolo del validatore di progetti, il quale deve comunicare al proprio ordine, in forma scritta, di essere affidatario di un servizio di controllo, verifica e validazione di progetti specificando con quale ruolo partecipa al servizio, dichiarare che nessuna altra parte della struttura con la quale collabora, della quale è titolare o socio, sia coinvolto in attività di progettazione o D.L. connessi con il servizio svolto, dichiarare che per un numero “ X” di anni (da definire) dalla fine del servizio di validazione, non assumerà altri incarichi di progettazione e/o direzione lavori dalla Amministrazione per la quale aveva svolto attività di verifica. Le modifiche richieste al testo della Commissione Russo riguardano principalmente le soglie oltre le quali deve intervenire un organismo di validazione accreditato, e quelle per le quali è possibile un intervento di un tecnico consulente del RUP e quelle per le quali invece, il RUP stesso può procedere alla validazione, i requisiti per la partecipazione alle gare per l’affidamento delle attività di verifica, le procedure di gara, le responsabilità e le garanzie.


Le scale coi gradini di marmo e coll’armatura di ferro e le scale a chiocciola di metallo, Tav. LXXX (da: Carlo Formenti, La pratica del fabbricare, Ulrico Hoepli, Milano, 1893).

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a impigrirlo e a fargli rimandare soluzioni e decisioni. Di più: questo modus operandi è improponibile in un’opera pubblica dove non si può pensare che con danaro pubblico si sostenga il costo aggiuntivo di un cantiere in cui le lavorazioni vengono decise giorno per giorno. E allora mi rendo conto che è necessario fare tutto il possibile per prevedere, specificare, dettagliare l’intervento già in fase di progetto. E, come verificatore, mi balzano all’occhio le incongruità, le lacune, le imprecisioni che l’architetto ha lasciato nel progetto, o per leggerezza, o (e voglio pensare che sia la maggioranza dei casi) nell’inconsapevole desiderio di poter “ aggiustare il tiro” durante l’esecuzione. Ma come verificatore mi viene da dire che un progetto esecutivo non è una dichiarazione d’intenti, ma la descrizione di come quegli intenti debbano essere realizzati; che non è ammissibile che gli esecutivi lascino tante imprecisioni, tante inesattezze, tanto margine di decisione alla fase di cantiere; che la cura del dettaglio architettonico (Dieux est dans le détail, diceva Flaubert) è fondamentale per raggiungere risultati soddisfacenti. Ecco, come progettista del restauro, cerco sempre di riservarmi e di difendere un margine di libertà per la fase esecutiva, come verificatore agisco per limitare questo

margine: le due prospettive, ovviamente, si scontrano. Ma da questo scontro – emergono progetti che si realizzano meglio. Non necessariamente più “ belli” (un cattivo progetto resta un cattivo progetto anche dopo la verifica, e la verifica non agisce sul “ bello” ), ma più ordinati e meglio gestibili in fase di appalto e di realizzazione. In parte perché lo strumento della verifica corregge le inesattezze ed elimina le lacune più vistose (e l’esperienza mi dice che sono tante), in parte perché spinge gli architetti ad essere più rigorosi (e Dio sa quanto ce n’è bisogno). Concludo: per l’architetto, quella di verificatore è un po’ un’attività “ contro natura” (si fa quello che non si vorrebbe fosse fatto al proprio progetto), un po’ un esercizio spirituale. Da verificatore faccio una gran fatica a distinguere fra le “ non conformità” (sulle quali bisogna intervenire) e le scelte progettuali (che per il verificatore non sono materia di giudizio); a volte la linea di demarcazione si confonde (un intonaco cementizio su una muratura antica è una scelta che non condivido o una specifica sbagliata?), ma questa fatica mi fa essere più attento quando progetto. Forse per migliorare la qualità media dei progetti bisognerebbe dare a tutti i progettisti l’opportunità di esercitarsi come verificatori.


Come si calcola il corrispettivo per il servizio di validazione del progetto

Organismi di validazione del progetto

l corrispettivo per la validazione è stato definito, sotto il profilo tariffario, dal D.M. 4.4.2001 “ Corrispettivi delle attività di progettazione e delle altre attività, ai sensi dell’Art. 17, c. 14bis della L. 11 febbraio 1994 n. 109, e successive modifiche” . Il decreto, che ha subito le note traversie sospensive, è ora, dopo l’ordinanza del Consiglio di Stato dello scorso 9 ottobre 2003, definitivamente in vigore e accettato come tale da tutte le stazioni appaltanti pubbliche. I corrispettivi per il servizio di validazione si ottengono, ai sensi dell’Art. 1 del decreto applicando la tabella B6, che quota le diverse attività di supporto al responsabile del procedimento, categoria di attività cui il servizio afferisce. Utilizzando quindi l’aliquota definita dall’ultima riga della tabella B6 e specificamente relativo alla validazione, risulta quindi, nel caso di affidamento del servizio a un soggetto esterno alla pubblica amministrazione, che il calcolo si debba sviluppare con la formula riportata in calce alla tabella stessa: Corrispettivo validazione = 0,25 x 0,30 x (onorario di progettazione e direzione lavori). Le difficoltà interpretative sono sorte in merito a quale onorario di progettazione e direzione lavori debba essere utilizzato per il calcolo. L’interpretazione più fondata e giuridicamente più attendibile è quella che considera l’intero onorario di progettazione e direzione lavori, quello cioè che è stato determinato come base d’asta per la gara di servizi, se ve ne è stata una, oppure quello che è servito come base per addivenire all’incarico fiduciario se questo è stato il caso. Per richiedere quindi l’offerta all’organismo di validazione sarebbe opportuno inoltrare all’organismo stesso il documento di articolazione del calcolo della parcella di progettazione e direzione lavori. La prestazione, se resa verso pubbliche amministrazioni, è ovviamente assoggettabile al regime di riduzione previsto dall’Art. 4 comma 12bis della Legge 155/89. Per questa e altre questioni di pertinenza giuridica e normativa un eccellente lavoro è stato ultimamente pubblicato, per i tipi della DEI Tipografia del Genio Civile (cfr. Marchetti Silvia Costanza, La validazione dei progetti nella legge quadro sui lavori pubblici, Editore DEI Tipografia del Genio Civile, Roma, 2004).

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Mauro Moroni

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Bureau Veritas Italia Srl v.le Monza 261, Milano 02270911 info.bv.italia@it.bureauveritas.com http://www.bureauveritas.it

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Studio preliminare del progetto e definizione delle esigenze di multidisciplinarietà

Individuazione del gruppo di lavoro (definizione ruoli e competenze)

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Definizione del piano dei controlli (quadro normativo, esigenze, prestazioni, check-list, responsabilità e obiettivi temporali)

PIANIFICAZIONE DEL SERVIZIO

Il processo di validazione del progetto

Verifica degli elaborati del progetto in conformità al piano dei controlli

Redazione del rapporto di verifica del progetto ➤

Riunione con la Stazione Appaltante e i progettisti per analizzare il rapporto di verifica del progetto

NO

Acquisizione delle nuove elaborazioni sviluppate dai progettisti e nuova analisi del progetto

il progetto è scevro da errori e omissioni?

SI ➤

Redazione e consegna del rapporto finale di verifica del progetto ➤

Validazione del progetto

EROGAZIONE DEL SERVIZIO

Aggiornamento del progetto a fronte delle eventuali non conformità rilevate


a cura di Roberta Fasola L’ing. Antonio Guffanti si è da sempre occupato della qualità: inizialmente in una grossa società (Impregilo), interessandosi del controllo, della gestione e della validazione della qualità del progetto, rapportandosi sia con Enti Pubblici, che studi professionali che imprese edili. Da alcuni anni si occupa in prima persona di questi aspetti. Segnaliamo inoltre, che l’Ordine degli Architetti di Como, in quanto responsabile dell’aggiornamento professionale della figura dell’architetto, sta organizzando una serie di comunicazioni finalizzate alla promozione di corsi sul tema: l’arch. Corrado Tagliabue, in qualità di consigliere, ne è il delegato per conto dell’Ordine stesso. R. F.

La certificazione di qualità del progetto. Riflessioni e considerazioni La certificazione di progetto si presenta nel nostro settore delle costruzioni sotto diversi aspetti che si riconducono sempre alla necessità da parte di committenti di cantierizzare i lavori con documenti di appalto compiuti e completi. Il concetto del controllo del progetto nasce ufficialmente in Italia con la Legge Merloni che prevede la “ validazione dei progetti“ da parte delle stazioni appaltanti le quali possono eseguire questo controllo con i propri uffici tecnici o con organismi di controllo accreditati. Viene posto un limite di 20 milioni di Euro al di sopra del quale è obbligatorio certificare il progetto con organismi accreditati. È ovvio affermare che il controllo c’è sempre stato da parte dello studio professionale o della società di ingegneria stessa, ed è quello eseguito attraverso metodiche interne di autocontrollo. Il legislatore ha però colto che, nella prassi degli appalti, non era sufficiente dettare norme riguardanti solo l’appaltatore ma era necessario spostare l’attenzione anche sulle stazioni appaltanti e sul progettista per eliminare potenzialmente le carenze storiche dei progetti che degeneravano in lungaggini esecutive e raddoppio di costi. Perciò il controllo è diventato cogente per l’esecuzione dei lavori pubblici. Un altro fattore di cogenza si è avuto con l’introduzione anche in Italia dell’obbligo da parte dell’appaltatore, per particolari valori, di costituire alla fine dei lavori una assicurazione decennale a favore del committente. Le compagnie di assicurazione in questi casi hanno preteso la nomina di un controllore esterno del progetto non solo nella fase di vidimazione iniziale ma anche nel corso della esecuzione delle opere da certificare. Questo secondo tipo di controllo di progetto voluto dalle compagnie di assicurazione si è esteso anche presso committenti privati o istituzionali importanti che operano nei più svariati campi. Sono esempi la Nuova Fiera di Milano, le concessioni in project financing, gli interventi di area. Un terzo tipo di controllo si è sviluppato nel settore di operazioni immobiliari importanti. In questo caso sono le immobiliari o le imprese capofila stesse che chiedono alle società di certificazione un controllo sul progetto prima della cantierizzazione che può estendersi in corso d’opera. Questo ricorso al controllo viene giustificato e motivato dalla ricorrente prassi di subappaltare la gran parte delle

opere, specie quelle impiantistiche, per le quali gli uffici tecnici di questi committenti privati non sempre sono preparati e competenti. Quindi si può affermare che il controllo del progetto diventa un’opportunità di accrescimento della qualità del progetto stesso che investe diverse categorie di operatori. Per gli Ordini professionali ed in particolare per l’Ordine degli Architetti di Como questa opportunità è vista come una via di non ritorno che dovrà essere percorsa a tutti i livelli per arrivare a definire degli standard comportamentali che investano tutti gli iscritti. L’azione preventiva che verrà sviluppata porterà a richiedere una maggiore responsabilizzazione del progettista nell’eseguire il suo progetto in modo compiuto e completo ed in ultima analisi a far applicare, con costi aggiuntivi apparenti, un autocontrollo ferreo che riduca in modo significativo le non conformità poi riscontrate a valle da parti terze. Una raccomandazione che l’Ordine fa ai propri iscritti è quella di far avviare il processo di certificazione di qualità dei propri studi quale premessa per garantire standard operativi appropriati ed adeguatamente corrispondere ai requisiti del cliente tra cui quello di ottenere l’idoneità ad effettuare una validazione interna senza ricorrere al supporto degli organismi di controllo. Sarà compito dell’Ordine seguire gli orientamenti delle varie stazioni appaltanti istituzionali con le quali si dovranno aprire dei tavoli di lavoro che definiscano le criticità inderogabili ed i dettami di base per le varie fasi progettuali. Nel linguaggio dei Sistemi di Gestione per la Qualità il controllo interno del progetto consiste nel definire i dati di input o di ingresso della progettazione attraverso specifici riesami con il committente in tutte le fasi critiche in corrispondenza dei mile stone, nell’effettuare le verifiche ed i riesami di progetto nonché effettuare la validazione interna. Ci sono dei committenti attrezzati nel definire al massimo livello gli input di progetto attraverso propri uffici tecnici, che garantiscono un apporto di specifiche di base di tipo tecnico e prestazionale che permettono ai progettisti di rispettare norme, leggi e standard operativi specifici del settore. È il caso di Italferr per le Ferrovie dello Stato ed in particolare per l’Alta Velocità, dell’Enel per le proprie Centrali o forniture ed anche per le varie Società Metropolitane o Municipalizzate. Per quanto riguarda il nostro Ordine che opera nella Provincia di Como non c’è stato un monitoraggio di quanto è stato validato da parte dei vari Enti con relative certificazioni di progetto. Le amministrazioni pubbliche che sono ricorse a questo tipo di prestazione da parte di società terze riteniamo che siano quasi nulle; non ci risultano bandi pubblicati nella nostra zona rivolti alla individuazione della società di certificazione anche perché tali procedure sono connesse generalmente all’esecuzione di grandi opere infrastrutturali per le quali da decenni si spera in un decollo nella nostra provincia. Il recente bando per la Progettazione Preliminare del nuovo Ospedale S. Anna di Como ha solo sancito un vincitore internazionale, che peraltro non ha ancora sviluppato il proprio progetto. Per i nostri Ordini si dovranno prendere iniziative, non necessariamente di tipo corporativo o che portino ad un’autodifesa acritica dell’operato dei propri iscritti, ma allo sviluppo di una coscienza dell’importanza della gestione manageriale del progetto integrato con il coinvolgimento di tutte le figure professionali interdisciplinari richieste a garanzia di un valore aggiunto da dare al proprio operare. Questo è l’obiettivo principale che l’Ordine di Como si pone nell’affrontare questo aspetto del fare, attraverso la diffusione di una cultura di base presso i propri associati. Antonio Guffanti

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Como


Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti

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Relativamente al tema affrontato in questo numero di “AL”, ho poste alcune domande all’architetto Antonello Longoni, dirigente del Settore Programmazione, Gestione e Controllo Opere Pubbliche del Comune di Lecco e responsabile del procedimento di validazione. Longoni ha saputo offrirci chiarimenti su una questione che spesso sembra poco conosciuta dai colleghi della Provincia di Lecco che proprio in questo quadro si trovano ad operare e che rischiano di considerare tale certificazione un elemento sovrastrutturale d’intralcio al progetto forse proprio perché di tale ambito poco conoscono. Con l’auspicio che detta certificazione, una volta conosciuta nei suoi molteplici risvolti, possa essere considerata un utile strumento di gestione del progetto nell’ottica di un aspettativa di qualità sempre maggiore nel costruire, lascio la parola a Longoni che con l’occasione ringrazio nuovamente per la disponibilità. M. E. R.

Certificazioni di progetto Arch. Longoni, ci spieghi qual è il suo ruolo nell’ambito del Comune di Lecco. Sono Dirigente del Settore Programmazione, Gestione e Controllo Opere Pubbliche. Detto settore, composto da una trentina di tecnici, 10 amministrativi e 12 operai (delegati all’esecuzione di interventi di manutenzione ordinaria prevalentemente su strade e verde), si occupa della gestione dell’intero “ percorso” di realizzazione dell’opera pubblica, dallo studio di fattibilità al collaudo finale, passando dal DPP, alla redazione del Programma Triennale delle Opere Pubbliche, attraverso varie fasi di progettazione, “ validazione” ed esecuzione. Il Settore Programmazione cura al proprio interno gli aspetti amministrativi, la predisposizione delle procedure di gara per l’affidamento all’esterno dei servizi di progettazione e direzione lavori, la stesura dei bandi di gara per l’appalto dei lavori, sino alla gestione delle controversie. Ne consegue che le competenze sono di carattere tecnico, economico/finanziario, amministrativo, organizzativo e legale. Operiamo in simbiosi con altri Settori dell’Amministrazione Comunale, in particolare con il Settore Servizi Finanziari che ha al suo interno anche l’Ufficio Affari Legali e l’Ufficio Gare. In che cosa consiste esattamente la “validazione” del progetto? Quando è richiesta? La validazione di un progetto di opera pubblica è un procedimento di qualità atto ad attestare la conformità del progetto agli obiettivi iniziali prefissati dall’amministrazione, alle norme di legge specifiche sull’intervento in esame, alla qualità del progetto. È richiesta sostanzialmente prima di iniziare le procedure di appalto, come atto propedeutico all’approvazione del progetto. Insomma, se un progetto non risulta “ validato” , non può procedere. Dal punto di vista procedurale, proprio per evitare il rischio di doversi trovare a “ combattere” con un progetto esecutivo definito in ogni sua parte ma non rispondente ai criteri richiesti, sin dall’inizio di questo nuovo percorso imposto dall’” impianto Merloni” , abbiamo ritenuto opportuno accompagnare in progress lo sviluppo del progetto, durante le tre fasi progettuali di rito, anche se la validazione opera for-

malmente solo sull’ultima fase progettuale. Per questo abbiamo un ufficio appositamente istituito, che di fatto coordina l’intero percorso progettuale a fianco dei progettisti (interni all’ente o esterni), interfacciandosi tra questi e gli enti esterni (ASL, VV.FF, Soprintendenza, ecc.) e tra i progettisti e l’amministrazione. Il progetto “ cresce” vedendoci attenti coordinatori e suggeritori nei confronti dei responsabili dell’azione progettuale, nel pieno rispetto dei ruoli assegnati. Quando il progetto arriva allo stadio finale non ha più “ segreti” . Di regola la validazione diviene quasi un atto formale e gli imprevisti, che potrebbero comportare allungamenti dei tempi, risultano quasi sempre scongiurati. Dopo quasi quattro anni di esperienza, mi sento di affermare che la strada intrapresa è quella giusta, anche se assai impegnativa per la struttura interna. Quali requisiti deve avere il progetto per ottenere la validazione? In estrema sintesi dovrebbe essere un progetto perfetto, in grado di soddisfare gli obiettivi iniziali fissati dal Sindaco e dalla Giunta, oltre che privo di errori che possano comportare riserve da parte delle imprese esecutrici ed aumenti dei costi inizialmente stabiliti. Ovviamente la tipologia di controllo può variare a seconda della complessità del progetto da appaltare. Sebbene la normativa consenta, per i progetti di importo non superiore a € 500.000,00 la possibilità di far coincidere la figura del RUP con quella del progettista, abbiamo sempre ritenuto opportuno differenziare le figure. Questo avviene proprio nello spirito e negli obiettivi della norma, che persegue un progetto “ verificato e validato” . Riteniamo, infatti, che nessun progettista intenzionalmente possa compiere sviste o scelleratezze, ma proprio per lo stesso motivo potrebbe non rilevarle. Il concetto, di per sé, può apparire banale, ma nella sua semplicità ritengo sia efficace. Quale ruolo ricopre il responsabile del procedimento? Su chi ricade la responsabilità legale di un progetto che ha ottenuto la certificazione? Da un punto di vista formale la norma prevede che nella validazione del progetto il RUP, alla “ presenza dei progettisti” , provveda ad una disamina puntuale del progetto. È ovvio che questa attività implica, per progetti complessi e multidisciplinari, la necessità di disporre di una moltitudine di competenze che porta a delineare l’impossibilità per il responsabile stesso di essere specificamente competente in tutte queste materie. In questi casi lo stesso RUP deve avviare, il più tempestivamente possibile, le procedure per attivare quelle figure di supporto (interne o esterne all’Ente), normativamente previste, che lo assisteranno durante la fase di validazione. Sostanzialmente, il RUP ed il suo gruppo non sono tenuti (per tutti i progetti gestiti contemporaneamente) ad entrare nel merito di ogni dettaglio di realizzazione e ad avere una conoscenza approfondita specifica e dettagliata su ogni materia, ma sono tenuti alla consapevolezza della loro esistenza e concatenamento, tanto da poter governare l’intero processo in parallelo e non in rete. Quando l’attività di supporto è affidata ad accreditate società esterne, queste devono essere assicurate e potranno essere chiamate a risarcire eventuali errori di valutazione che avranno comportato danno all’Amministrazione, parimenti al progettista. Anche se il responsabile, per l’Ente, è e resta il RUP. Come viene tutelato il committente nel momento in cui il progetto ha ottenuto la certificazione? Il committente Ente Pubblico, una volta che il sistema è in movimento a pieno regime, sarà decisamente tutelato. Il problema, se mai, è rappresentato dai tempi necessari per mettere tutto a regime. Per quanto, in teoria, tutto dovrebbe risultare perfetto: i progettisti qualificati, i progetti validati, le imprese certificate SOA (Società Organismi di Attestazione) in sistema di qualità. In realtà non è sempre scontato che lo sia. È mia pre-


A suo parere, la certificazione del progetto è più utile al progettista o al committente? È utile ad entrambi. Per il progettista significa diminuire (o annullare) i rischi di errore progettuale che, se accertati in fase esecutiva dal RUP, potrebbero portare ad un danno enorme (e questo è un aspetto della Merloni quanto meno da rivedere). Per il committente, fatto salvo il rischio impresa a cui accennavo prima, significa avere un controllo di tutti gli elaborati di progetto preventivamente all’appalto dei lavori. Ricordiamo che l’impresa, in fase di gara, dovrà dichiarare di accettare e condividere incondizionatamente tale progetto anche se, talvolta, le cose sembrano svolgersi diversamente. A quali testi il progettista può far riferimento relativamente alle certificazioni di qualità? Il progettista ha come documento fondamentale di indirizzo progettuale il DPP, oltre al Capitolato d’oneri ed il Disciplinare. Nel DPP sono elencati gli obiettivi che il committente intende perseguire. Il riferimento normativo regolamentare è l’Articolo n. 47 del DPR 554/99, oltre alle norme, regolamenti e vincoli specifici che possono “ gravare” sulla progettazione specifica. Per quanto concerne l’adeguatezza, la completezza e la chiarezza degli elaborati progettuali si fa riferimento alle norme UNI 10722-3; per la validazione, alla norma UNI EN ISO 9001. Ritiene che i progettisti di Lecco considerino tale certificazione un elemento sovrastrutturale più d’intralcio che di aiuto oppure lo ritengano un utile strumento? I progettisti del Comune di Lecco non sono diversi da altri progettisti. Alcuni lo considerano un ulteriore balzello burocratico, altri collaborano fattivamente con chi è deputato alla validazione. Sicuramente i problemi sono di norma inferiori quando si innesca una forma di stima reciproca tra verificatore e progettista, altrimenti possono essere “ dolori” , perché non sempre si accetta di buon grado l’appunto o l’osservazione di un collega. Tutti, in fondo, ci sentiamo un po’ maestri, da una e dall’altra parte. Molto dipende da come ci si pone. Succede quello che conosciamo tutti quando ci rechiamo all’ASL, o ai VV.FF. o alla Sopraintendenza con un progetto: quello che realmente pensiamo della persona che ci sta di fronte, non lo esterniamo mai. Quali ambiti andrebbero modificati al fine di migliorare le attuali procedure con le quali si trova ad operare? I compiti tradizionali di un tecnico comunale sono difficili da comprendere all’esterno. Le pressioni sono sempre moltissime e dall’esterno si è più propensi a vedere ciò che non va; anche se, devo ammettere, non tutto funziona come si vorrebbe. Sono in atto degli sforzi che hanno dato e stanno dando buoni risultati: negli ultimi 10 anni le opere pubbliche hanno subito un impulso notevolissimo, ed alle sollecitazioni dell’Amministrazione Comunale gli uffici hanno risposto in modo più che soddisfacente. Sta avvenendo una riorganizzazione che porterà a strutturare un vero e proprio ufficio progetti e direzione dei lavori, ove i tecnici saranno chiamati ad operare esclusivamente su aspetti tecnici, demandando ad un’altra struttura, interna al Settore lavori pubblici, i compiti tecnico/amministrativi. In parte questo processo è già stato sperimentato con buoni risultati, ora si tratta di completare l’opera.

Milano a cura di Roberto Gamba Con riferimento al tema della verifica e validazione del progetto d’architettura, abbiamo interpellato il collega Massimo Capolla, funzionario dell’ALER di Milano, esperto Federcasa per “ metodologie di verifica dei progetti” e autore del libro La validazione di progetti di opere pubbliche, Maggioli, 2003. Qui di seguito, Capolla inquadra la problematica che sottende la procedura e i vari aspetti di verifica e validazione del progetto, riportando le sue competenze teoriche, di studioso della materia (membro commissione revisione UNI 10722) e le sue ampie esperienze, maturate quale responsabile di procedimento, all’interno della struttura dell’Istituto milanese, che continuativamente redige e gestisce progetti costruttivi di piccola e grande entità. Egli ricorda che questa procedura di fatto è obbligatoria per le stazioni appaltanti e in particolare l’ALER ne ha adottato la metodologia.

Stazioni appaltanti: problematiche di validazione dei progetti L’introduzione dei concetti di qualità nella progettazione, ha rappresentato uno dei principali elementi innovatori nel nuovo ordinamento dei lavori pubblici strutturato sulla L. 109/94 s.m.i, ed ha permesso alle stazioni appaltanti di avere nuovi strumenti tecnico-amministrativi per il controllo del progetto. Il nuovo impianto legislativo, a distanza di quasi 10 anni, ha prodotto solo parzialmente quel cambio di marcia culturale da parte degli enti pubblici (del personale tecnico-amministrativo), del mondo professionale, delle imprese, dei vari Organismi di Attestazione e Ispezione (SOA-ODI) e delle assicurazioni, che era assolutamente necessario perseguire al fine di ricondurre tutte le fasi del processo edilizio nell’alveo dell’efficacia ed efficienza dell’azione pubblica nella realizzazione delle opere, con tempi e con costi certi. La procedura di verifica e validazione dei progetti di opere pubbliche rappresenta uno dei mezzi più efficaci di effettivo controllo pianificato nel processo edilizio che le stazioni appaltanti hanno a disposizione nella realizzazione degli interventi, in riferimento all’Art. 30 della L. 109/94 s.m.i. Tale articolo ha obbligato le S.A. alla verifica del progetto, ma è solamente con l’entrata in vigore del D.P.R. 554/99 (Regolamento di Attuazione) attraverso gli articoli 46, 47, 48, 49, che la disposizione ha trovato una sua coerenza applicativa. La verifica e validazione del progetto attualmente è in capo al Responsabile unico del Procedimento che decide se procedere autonomamente o farsi affiancare da un Organismo di Ispezione (ODI) accreditato dal Sincert secondo le norme UNI EN ISO 45004; al di sopra dell’importo di 20 milioni di euro vi è l’obbligo di affidarsi esclusivamente agli ODI (attualmente vi sono 16 organismi accreditati). La Legge 166/2002 ha modificato l’Art. 30 introducendo la possibilità a nuovi soggetti autorizzati (definiti ad operare dall’emanazione di un nuovo regolamento) con apertura del mercato al mondo professionale tecnico e alle società di ingegneria. Il nuovo regolamento (la bozza attualmente in circolazione) renderà ancor più stringente il processo di validazione, classificando gli organismi che possono operare, comprese le Stazioni appaltanti (tipo B, con accreditamento alle norme UNI CEI EN

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mura far notare, comunque, che il problema non è la 109 ed il suo impianto; spesso il vero problema sono gli interpreti, il più delle volte non all’altezza della situazione. Quando tutti avremo raggiunto il grado di qualità auspicato ed intrinseco alla Merloni, ma solo allora, potremmo eventualmente discutere di migliorare qualche aspetto normativo. L’anello della catena più debole, per quanto riguarda la nostra esperienza e la tipologia dei nostri interventi, soprattutto negli appalti di manutenzione, sono le imprese. La SOA non sempre ha dato la qualità che auspicava la 109.


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45004), e legando ulteriormente il processo, per tutti, all’adozione di sistemi di gestione per la qualità. Inoltre, vengono meglio riformulati i princìpi generali delle verifiche e il bando e la lettera di invito dovranno contenere gli estremi della validazione del progetto. In questo quadro, è necessario, fin da ora, che le stazioni appaltanti, in primis, si dotino di una procedura di verifica e validazione dei progetti interni sulla base dell’adozione di un sistema interno di controllo della qualità del progetto e nel caso di affidamento esterno programmi fin dalla formazione del Programma Triennale e dell’elenco annuale dei lavori gli incarichi da esternalizzare sia di progettazione, sia di altri servizi da richiedere, compresa la verifica e validazione dei progetti. I servizi di validazione del progetto possono essere assegnati secondo procedure fiduciarie o se superano i 200.000 euro mediante l’espletamento di una gara. La correttezza di redazione del bando, la valutazione degli importi seconda la tab. B6 delle tariffe professionali, la preminenza ai criteri metodologici e procedurali del procedimento proposto, sono alla base dell’ottenimento di un servizio adeguato da parte degli organismi di ispezione, confacenti alle esigenza di una amministrazione pubblica. Altro aspetto da non sottovalutare può essere l’adeguamento procedurale del servizio in relazione all’emanazione di leggi regionali che possono modificare la procedura della L. 109/94 s. m. i. e del suo regolamento. Il Responsabile unico del Procedimento è la figura chiave del processo di verifica, può seguire una procedura interna all’ente o farsi affiancare da un organismo di ispezione; in ogni caso è il soggetto che valida il progetto, indipendentemente dal parere espresso dall’ODI. L’organismo di ispezione nel rapporto finale potrebbe avanzare dubbi o, “ non conformità” o “ parziali non conformità” , ma la scrittura del verbale di validazione e la sua approvazione sono decisione del responsabile del procedimento. Il R. P. può operare alle verifiche con la struttura tecnica dell’ente di appartenenza o in forma mista con organismo esterno, può anche costituire una commissione allo scopo che operi anche in forma mista. Risulta importante da parte di una stazione appaltante definire una procedura per le verifiche sulla base della definizione di una metodologia che trova riferimento nell’articolato di legge, nelle norme UNI in particolare attualmente la UNI 10722, nei rapporti tecnici dettati dal Sincert per gli organismi di ispezione, negli studi e letteratura tecnica di settore. Tale procedura potrebbe anche essere acquisita esternamente e modellata sulle esigenze della stazione appaltante. La procedura non è di per se stessa esaustiva della problematica, in quanto in funzione della complessità dell’intervento il R. P. dovrà valutare se ha le competenze per effettuare le verifiche, in caso non le abbia o le abbia solo parzialmente dovrà incaricare soggetti esterni abilitati a tale scopo. In questo caso dovrà controllare se: • la società è accreditata e svolge questa attività: con quali criteri e metodologia e il livello professionale del personale, costi delle verifiche; • la società è in via di accreditamento al Sincert (tra l’altro il nuovo regolamento ha fatto cadere i precedenti limiti percentuali societari che imponevano una quota fissa molto bassa alla entrata nel pacchetto azionario alle società di ingegneria), quale organizzazione può vantare, referenze societarie, metodologia; • il gruppo orizzontale composto da: professionisti, ente assicurativo, ente certificatore, si propone come raggruppamento qualificato a fornire tali servizi: in che modo, con quale offerta, con che criteri e garanzie; • altri soggetti autorizzati da nuovo regolamento (le società di ingegneria, la società di professionisti, associazioni di settore, ecc.) siano conformi alle specifiche dettate dal regolamento stesso;

• predisponga, se necessario, un idoneo bando di gara in cui si dia maggior valore ai criteri di verifica e validazione del progetto, ferma restando l’applicazione dei minimi tariffari previsti di legge. Altra questione, non meno importante è quella relativa alla polizza dei soggetti che validano (nelle polizze-tipo emanate non c’è), in breve, il tipo “ indennitaria civile per danni a terzi...” , non si sa bene cosa sia e come può essere stipulata, in relazione anche ai diversi tipi di organismi. Inoltre nella polizza decennale postuma non è previsto il controllo tecnico in esecuzione da parte di un organismo terzo (ODI), altro elemento decisivo per la qualità di un’opera costruita. Come si può intuire, le attività riferite a questo procedimento per una SA sono molteplici e intersecate e concatenate all’attività di programmazione e progettazione con preparazione di: relazioni, elenchi, pareri, atti deliberativi, determinazioni, eventuale organizzazione della gara di servizi, oltre ad approvazioni di commissioni tecniche, di Consiglio, di Giunta, ecc. che rendono il procedimento più complesso di quello che sembra, e da effettuare in tempi estremamente serrati; si aggiunga a questo la necessità di organizzarsi secondo le nuove prescrizioni, quando sarà pubblicato il nuovo regolamento; la capacità di gestione e coordinamento unita alla competenza tecnico-amministrativa da parte del Responsabile del Procedimento, acquisita con una formazione “ permanente” , saranno alla base della riuscita positiva del processo di validazione di un’opera pubblica, finalizzato alla realizzazione dell’opera e al soddisfacimento dei bisogni espressi in sede di programmazione. Massimo Capolla


Europa riconosciuta

Da cittadini milanesi non ci si può che augurare che l’apertura della nuova stagione lirica nella sede ristrutturata del Piermarini coincida con la chiusura definitiva della controversa, confusa e accidentata stagione delle operazioni edilizie del Teatro alla Scala iniziata nel 1996. Della vicenda relativa alla discussa ristrutturazione della sede storica si è occupato ampiamente il Forum di “ AL” del dicembre 2002 nel quale, in un intervento intitolato Il bis della Scala Bis (ricordando il successo dell’Ordine di Milano nel ricorso alla Corte di Giustizia europea e i rischi di legittimità che si profilavano in quella seconda fase), avevo posto diverse domande alle quali, come previsto, non è stata data risposta alcuna da parte degli interlocutori chiamati in causa. Una risposta (indiretta) è arrivata da una ordinanza di archiviazione formulata dal giudice Bruno Giordano del Tribunale penale di Milano in merito ad una

delle principali questioni di procedura allora sollevate: da qui l’obbligo di tornare (si spera per l’ultima volta) sulla tormentata vicenda. Il giudice, dovendo valutare la legittimità dei comportamenti relativi al procedimento di autorizzazione e approvazione dei lavori di trasformazione di uno dei principali monumenti italiani, ha interrogato i dirigenti della Soprintendenza di Milano e del Ministero per i Beni e le attività Culturali al fine di chiarire la prassi amministrativa, l’organizzazione interna e la suddivisione dei compiti tra i due enti e tra questi e l’Amministrazione comunale. Riporto testualmente dall’ordinanza di archiviazione (neretti compresi): “É pacifico che per consuetudine – più che per una esatta interpretazione delle disposizioni in materia di procedimento amministrativo/autorizzatorio – la Soprintendenza si rivolga al Ministero (che investe il c.d. Comitato di settore, secondo una vecchia definizione) per un parere consultivo, ferma restando la competenza della Soprintendenza a rilasciare l’autorizzazione. Si può ritenere, in breve” prosegue il giudice “ secondo le univoche dichiarazioni degli stessi tre dirigenti, che l’autorizzazione dei lavori de quibus sia costituita dalla missiva del

Territorio rurale, tra salvaguardia e trasformazioni Si è tenuto a Milano a Palazzo Turati, nei giorni 13 e 14 ottobre 2004, il Convegno internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni organizzato dalla Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia in collaborazione con il Centro di documentazione dell’Architettura e del Territorio del Politecnico di Milano. Tale iniziativa si pone come prosecuzione del processo, già avviato dai due enti e presentato nel corso del dicembre 2002 (vedi “ AL” n. 3, marzo 2003), di elaborazione di una metodologia riguardante la salvaguardia e la valorizzazione del territorio rurale e di Linee guida per la pianificazione del territorio rurale. L’obiettivo di questo incontro è un’indagine sulle diverse componenti del sistema rurale e sulle attività plurisettoriali che gravitano su di esso, dalle attività produttive, non solo agricole, alla riqualificazione dell’urbanizzazione diffusa, fino agli interventi infrastrutturali. Si evidenzia spesso in questi tipi di approccio la mancanza di una visione d’insieme che sia in grado di interconnettere specificità dei diversi settori secondo una logica integrata che tenga conto dei problemi del territorio rurale. Si evidenziano così fenomeni di frammentazione del paesaggio agrario con conseguente perdita d’identità naturalistico-ambientale. Ciò conduce anche ad una diminuzione dei

valori economici intrinseci. Occorre indirizzarsi verso una gestione del territorio rurale sostenibile che possa produrre risultati validi per l‘insieme dell‘ambiente antropico: dalla difesa idrogeologica, alla valorizzazione del ciclo dell’acqua, al controllo dei cambiamenti climatici, alla qualità del paesaggio e alla creazione di interdipendenze con le attività del tempo libero, la didattica e le attività dell’uomo in generale. L’insieme dei lavori è stato finalizzato a fare il punto sulla situazione di gestione e pianificazione del sistema rurale sia in Italia che all’estero, con la scelta di alcuni particolari casi studio di paesi appartenenti all’Unione Europea, Spagna, Austria, Polonia, diversi tra loro per sviluppo, struttura territoriale e caratteri socio-economici. Tre sono state le sessioni in cui si sono approfondite le tematiche di studio: valore e potenzialità delle funzioni ambientali; opportunità e risposte del mercato; qualità e compensazioni delle pianificazioni e trasformazioni. Tra gli eventi collaterali si inserisce la mostra I nuovi segni del territorio, frutto della campagna fotografica realizzata da Francesco Jodice nell’ambito del progetto della Regione Lombardia, Osserva.Te.R.; catalogo con testi di Barbara Capozzi, Carlo Peraboni e Maria Cristina Treu. Manuela Oglialoro

20.05.02 con cui la Soprintendenza comunica al Comune di Milano il parere favorevole espresso dal Comitato di settore (sul c.d. progetto Botta)”. Così prosegue l’ordinanza: “Il 21.3.02 il Comitato di settore emette il proprio parere favorevole al progetto Botta. Tale provvedimento viene trasmesso il 2.5.02 dal direttore generale arch. Cecchi alla Soprintendenza di Milano con una formula che evita espressioni direttamente autorizzatorie ma evidenzia il valore vincolante dello stesso: ‘Si trasmette, per i provvedimenti di competenza, copia del verbale (...) al quale codesta Amministrazione dovrà attenersi, tenendo informata la scrivente Direzione Generale sul prosieguo della questione de quo.’ Dalle deposizioni ora raccolte dal p.m. emerge che il parere – anche nella prassi amministrativa del Ministero – costituisce l’espressione della attività tipica e tradizionale di un organo consultivo. Di conseguenza, è evidente che si tratta della mera emissione e trasmissione di un parere consultivo, e come tale non vincolante. Sorprende, quindi, la formula (tutt’altro che idonea per un parere) che attribuisce vincolatività al parere del Comitato. Si badi che lo stesso arch. Cecchi, sentito a seguito del supplemento istruttorio, ribadisce che ‘il Comitato di settore ha carattere consultivo non vincolante’ e alla domanda se ‘La Soprintendenza poteva disattendere quanto contenuto nella nota di trasmissione del Direttore generale con cui si disponeva affinché la stessa si

attenesse al parere favorevole del Comitato di settore?’ Risponde ‘Teoricamente sì’. É evidente che il parere doveva confluire in un atto autorizzatorio della Soprintendenza di Milano. La considerazione che la dr.ssa Di Francesco – come dalla stessa riferito – adeguandosi alla prassi amministrativa, quindi di certo in buona fede, abbia recepito il parere automaticamente, costituisce una normale espressione del proprio potere amministrativo ma non spiega e non giustifica come nel complesso l’autorizzazione debba emergere dalla sommatoria di due atti (parere del Ministero e lettera di trasmissione dalla Soprintendenza al Comune di Milano) che insieme non hanno una motivazione esauriente, chiara e convincente”. “Si tratta quindi” conclude il giudice ” di un’autorizzazione/approvazione gravemente viziata se non addirittura sostanzialmente inesistente (se si considera la complessiva assenza di un vero contenuto autorizzatorio da parte di un organo competente)”. Non resta che archiviare a nostra volta la sorprendente quanto sconcertante e deprimente conclusione del giudice sulle modalità di trasformazione del più importante teatro del mondo con la speranza che Europa riconosciuta, l’opera di Salieri con la quale si apre la stagione della Scala rinnovata, sia titolo di buon auspicio per il futuro della nostra città e delle sue istituzioni. Adalberto Del Bo

Istanbul 2005: XXII Congresso UIA

La città di Istanbul ospiterà la prossima edizione del Congresso Mondiale dell’Architettura, promosso dall’Unione Internazionale degli Architetti. L’UIA, organismo che si occupa del dialogo tra le più rappresentative organizzazioni professionali di architetti provenienti da oltre 100 nazioni, convoca ogni tre anni, a partire dal 1948 – e per il 2008 è già stata designata la città di Torino – grandi Forum per lo scambio di idee e visioni sui temi emergenti del dibattito architettonico, urbanistico e ambientale. Dal 3 al 7 luglio 2005, invitati dalla Camera degli Architetti della Turchia, i partecipanti alla XXII sessione si confronteranno sul tema generale: ” Le città: gran bazar di architetture” . Il termine bazar orienta la lettura dell’architettura contemporanea secondo le nozioni di moltitudine, pluralità, differenza e concorrenza; contemporaneamente, solleva problematiche di commercializzazione, consumo, frammentazione, definizione d’identità. Ba-

zar è inoltre metafora della struttura organizzativa del convegno stesso: un grande “ mercato” per la circolazione delle idee, un luogo di scambio sospeso tra interesse collettivo e contributi locali. Ognuna delle quattro giornate declinerà aspetti specifici del tema generale proposto: “ Celebrazione delle città del mondo” ; “ L’architettura e la vita nelle città” ; “ L’architettura delle città” ; “ L’esercizio e la formazione professionale dell’architetto di fronte al problema della città” . Come sottofondo all’intero dibattito, oltre alla convinzione che la città sia punto di accumulazione e insieme di soluzione delle dinamiche odierne, l’impegno per uno sviluppo sostenibile, af frontato in questa edizione nell’accezione di “ emergenza di una democrazia ecologica” . All’iniziativa dell’UIA è tradizionalmente collegata una gara internazionale di progetti di studenti di architettura, che avrà come tema: “ Estremo. La creazione di spazi nelle condizioni estreme o eccezionali” e tributerà al vincitore il prestigioso premio UNESCO. Per le iscrizioni al congresso – che, se effettuate entro il 31 dicembre, godranno di tariffe vantaggiose – e per tutte le informazioni, si può consultare il sito internet www.uia2005istanbul.org Mina Fiore

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A cura della Redazione


Conversazioni a cura di Antonio Borghi

Intervista ad Aimaro Isola • Incontriamo Aimaro Isola all’inaugurazione della nuova sede IBM a Segrate, tra la Mondadori di Niemeyer e la sede IBM di Zanuso e ne approfittiamo per rivolgergli alcune domande. Innanzitutto quali concetti hanno ispirato la progettazione di questo edificio che ospita circa duemila posti di lavoro?

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• Tutti i progetti nascono con una loro storia e le loro radici ne determinano spesso la logica. Abbiamo partecipato al concorso ad inviti insieme ad altri architetti italiani e forestieri facendo molta attenzione alle raccomandazioni del bando. Da una parte il radicamento sul territorio di IBM Italia e il suo ruolo strategico nell’area mediterranea e dall’altra l’apertura nei confronti dei nuovi modi di lavorare derivati dalle innovazioni tecnologiche. In questo campo avevamo due esperienze importanti in ambito milanese: la trasformazione da locali industriali a uffici per il gruppo Fabbri in via Mecenate, con un nuovo rapporto tra interno ed esterno grazie alle serre vetrate, e il quinto palazzo uffici per l’Eni a San Donato, dove è fortissima la presenza della natura e dove l’edificio diventa paesaggio. Dunque, per il concorso IBM, avevamo un solido retroterra, un bando con richieste precise e un luogo con un carattere ben determinato dall’impianto di Zanuso, una sorta di moderna pianura padana, con i segni dell’acqua e del bosco. • Possiamo definirlo un edificio a corte? • Ci è sembrato naturale riprendere la forma dell’edificio che si richiude su se stesso, come quello dell’Eni, invece di far ricorso alle maniche dei classici edifici per uffici ad H, a C o a pettine. Abbiamo creato un anello che offre grandi vantaggi distributivi e richiama la forma della cascina che ricorre in tutta la pianura padana, dal vercellese fino a Venezia, seppur declinata in forme sempre diverse. Il progetto di concorso ha subito una profonda evoluzione nel dialogo con il luogo, con le esigenze funzionali e soprattutto con i dirigenti dell’IBM. L’esterno ha avuto, fin dall’inizio, un carattere di so-

lidità e chiusura (nel concorso avevamo presentato due proposte: una con il paramento in mattoni e l’altra in metallo con la libera variazione delle aperture) mentre l’interno è caratterizzato da maggiore trasparenza e continuità. La corte non è mai stata chiusa, ma tagliata da otto coltellate, quasi come dal coltello di Apollo che taglia le strade piuttosto che tracciarle, in senso fondativo. • E una volta vinto il concorso, come si è sviluppato il lavoro? • La committenza ha richiesto una maggiore apertura, quasi una spaccatura del cortile. Ricordo che era lo stesso presidente dell’IBM a ribadire la volontà di aprire l’edificio verso l’esterno, in un gesto di accoglienza per i visitatori, e dicendo questo apriva le braccia come San Pietro. Questa è diventata una caratteristica specifica dell’edificio, quasi un imbuto che fa entrare nell’edifico la pianura circostante, un’architettura dei vuoti che culmina al centro con funzioni pubbliche e rappresentative: il forum, i ristoranti, le aule di formazione e gli spazi espositivi. Questi spazi sono particolarmente importanti perché i dipendenti IBM non stanno più chiusi nei loro uffici, ma vivono tutto l’edificio, compresi i suoi spazi esterni. Le quattro porte rivestono un ruolo determinante per l’orientamento all’interno della continuità dell’edificio: l’arco di mattoni, il ponte di legno, la porta dei giunchi e quella degli alberi sono segni che arricchiscono lo spazio di simboli e di ricordi. Se dovessi attribuire a questo edificio un merito particolare direi che ogni spazio è diverso dall’altro, con una propria individualità. • Qualche mese fa ci siamo visti alla Triennale per l’inaugurazione della mostra per la nuova sede della Regione Lombardia. In quell’occasione il vostro progetto aveva stupito per la grande individualità del linguaggio che concedeva pochissimo alle analogie con il contesto urbano. • Io credo invece che ci sia un’analogia. Purtroppo abbiamo ancora una concezione centrica della città, la pensiamo come luogo di condensazione delle funzioni e della complessità dell’era moderna e questo è vero, ma solo in una certa misura. Io preferisco pensare alla continuità e alle contiguità delle cose, invece di essere sempre alla ricerca di un inizio e di una fine. Nel progetto per la Regione Lombardia abbiamo privilegiato il rapporto con il territorio, con spazi che entrano e fluiscono nell’edificio: viali, giardini, il cielo, le viste e l’intero panorama circostante. L’edificio era pensato come un elemento della città minerale, ma anche un pezzo di natura in città. Per questo il gioco dei vetri trasparentissimi, il riconnettere la città al di sotto dell’edificio e ricreare un paesaggio urbano con nuovi elementi. Abbiamo proposto una piazza in quota, sopra ai tetti milanesi, una grande piazza aperta a tutti i cittadini dalla quale si poteva vivere la città e il territorio della Regione, dalle montagne alle pianure ai laghi, invece di vederla dalla finestra chiusa del proprio ufficio.

• La natura è sempre più un tema architettonico in termini di risparmio energetico, coscienza e sostenibilità ambientale. Il quinto edificio per uffici Eni è stato un precursore di questo atteggiamento ed è un paradigma dell’architettura sostenibile. Come si è evoluto il vostro atteggiamento rispetto a questi temi? • Abbiamo tutti origini contadine nel sangue e il tema della sostenibilità non è niente di nuovo. È un tema ritrovato che in molti momenti della nostra storia è stato più pressante di adesso. Chi ha vissuto in campagna gli anni della guerra sa cosa vuol dire risparmio energetico e sistemi passivi: in sostanza è il vivere con poco. Sono i temi di sempre che hanno una profonda radice storica nel nostro modo di vivere e non vanno resi retorici. Talvolta si mettono a punto sistemi complicatissimi che si rivelano il contrario della sostenibilità, mentre basterebbe fare i muri un po’ più spessi, mettere un po’ di terra sul tetto e piantare un albero di fronte a casa. La ricerca va portata avanti, ma senza esasperazioni, all’interno di sistemi complessivi, in continuità con la natura e col paesaggio. Occorre superare la separazione cartesiana tra res cogitans e res extensa, una semplificazione cui dobbiamo moltissimo, ma che da tempo mostra i suoi limiti. Bisogna riconnettere l’io con il noi, con ciò che ci circonda, e non solo affermarlo, ma metterlo in pratica anche quando facciamo architettura. Mi piace pensare l’architettura come estensione del nostro corpo, staccarsi dall’oggetto separato da noi, che nel nostro caso sono le città e i loro drammatici monumenti, e ricongiungere l’ambiente con il nostro corpo. • A proposito di città viste dall’esterno, qual è la sua esperienza di Milano? • Architettonicamente conosco poco Milano, sono sempre un po’ spaesato, anche perché le cose che ho fatto o che stiamo facendo riguardano più il suo intorno: la chiesa di Desio e quella di San Giuliano, oltre agli esempi cui accennavo prima. È anche vero che ho costruito molto più a Milano che a Torino, ma a Torino mi trovo molto bene sia come modo di vivere che di lavorare. Ammiro la tensione dei milanesi, il loro essere sempre sulla cresta dell’onda, sempre moderni nel divenire della storia, però mi piace lavorare nella città dove sono nato e ho sempre vissuto. A Milano l’architettura gode di una considerazione che a Torino sta giungendo con molto ritardo. Il dialogo con la committenza milanese è a un livello più alto e questo per merito degli architetti milanesi che hanno sempre avuto una presenza culturale forte in città. È un fenomeno che riguarda tutte le arti: molti artisti contemporanei provengono da Torino – Casorati, Pistoletto, Paolini e Boetti – ma il successo l’hanno trovato a Milano, a Roma o in altre città. Lo stesso vale per l’architettura: un ingegnere della Fiat, anche se aveva progettato motori tutta la vita, non avrebbe mai ammesso di saper fare

le case meno bene di un architetto. Al contrario la borghesia milanese usa l’architettura, nel bene e nel male, come espressione della propria immagine. Le cose stanno cambiando anche a Torino, si sta affermando una maggiore attenzione alle arti e all’architettura, ma sono sviluppi molto recenti. • Fino a un po’ di tempo fa i giovani architetti accusavano i maestri di precludere loro l’accesso alla professione, rastrellando tutti gli incarichi. Le ultime generazioni sembrano invece cercare un rapporto di collaborazione con quelle precedenti, come a cercare nel passato energie e idee per il futuro. Secondo lei è necessario un conflitto generazionale o è possibile un pacifico passaggio di consegne? • Personalmente, anche grazie al fatto di aver sempre insegnato, non ho mai sentito un problema generazionale, ma è vero che fino a ieri i giovani erano fortemente penalizzati. A scuola abbiamo sempre fatto grandi laboratori interdisciplinari dove io raccontavo quel che sapevo, ma spesso gli studenti ne sapevano più di me, grazie al loro radicamento sul territorio e alla maggiore sensibilità su alcuni temi. Anche il mio studio è pieno di giovani, a partire da mio figlio, mentre ho frequentato meno gli architetti della mia generazione. Anche in questo Torino non è come Milano, Venezia o Roma, dove tra colleghi ci si confronta tutti i giorni. Comunque è necessario superare questo salto generazionale attraverso un confronto piuttosto che ponendosi come figure da imitare. Mi pare che ci sia un grande potenziale, negli studi e nelle università, cui bisogna dar modo di esprimersi e il modo migliore è quello dei concorsi per giovani architetti. Credo sia necessaria la formazione di gruppi interdisciplinari e intergenerazionali, come cerchiamo di fare nel nostro studio, per confrontarsi apertamente sui vari temi di progetto. • Per concludere vogliamo parlare dei suoi progetti futuri? • Lasciando il Politecnico dopo cinquant’anni d’insegnamento pensavo di mettermi a riposo e andare a coltivare i campi. Lo faccio già un po’, ma meno di quanto pensavo perché mi diverto molto a progettare. Abbiamo riorganizzato lo studio con forze nuove e brillanti e siamo coinvolti in diversi progetti a scala territoriale, un tema che ho portato avanti per decenni e che finalmente è diventato oggetto di maggiori attenzioni. Stiamo finendo il porto turistico di Varazze, studiamo un’area molto importante a Bocca di Magra, siamo in fase esecutiva della porta Sud di Livorno e in un altro porto sull’Adriatico. In questi progetti si parte dal bacino portuale, ma bisogna fare i conti con le infrastrutture che vi convergono e con il territorio circostante, dai parchi naturali agli agglomerati urbani. Il porto diventa un luogo di continuità e di incontro invece che di separazione come è stato spesso in passato.


Museo dell’Industria e del Lavoro a Brescia Il concorso bandito dal comune, per la progettazione preliminare di un Museo dell’Industria e del Lavoro, da realizzarsi all’interno del Piano Particolareggiato “ Comparto Milano” , prevedeva a tal fine il riuso di un complesso industriale dismesso. Il bando richiedeva: l’esclusione dell’allestimento del museo; il progetto degli spazi pubblici e di uso pubblico; l’indicazione di indirizzi e criteri per il coordinamento degli interventi previsti sulle aree a utilizzazione privata. Il costo massimo indicato per la realizzazione dell’intervento da progettare era di € 15.640.000,00. Dieci partecipanti sono stati selezionati, in base a vari requisiti dimostrati nella fase di qualificazione preliminare, fra cui un fatturato globale per progettazione e direzione lavori espletati negli ultimi 5 anni (di minimo € 10.800.000,00). A discrezione del Comune, al vin-

citore potranno ora essere affidati i successivi livelli di progettazione nonché la direzione dei lavori. La Giuria era composta da Aurelio Galfetti presidente, Goncalo Byrne, Esteban Bonell, Rudy Ricciotti, Franco Maffeis, Carlo Simoni, Pier Paolo Poggio, Alfredo Bonomi, Alberto Garlandini; membri supplenti Gianpiero Ribolla, Franca Dalé, Aldo Pirola. Erano richieste 5 tavole A0 e un plastico in scala 1:500. I premi erano di € 13.000,00 per il vincitore e di € 6.500,00 oltre l’I.V.A. a ciascuno degli altri progettisti. Oltre ai progetti qui presentati si sono classificati i gruppi guidati: da Pasquale Culotta, 5°; Mauro Galantino, 6°; Studio Archea, 7°; Massimo Pica Ciamarra, 8°; non è stato ammesso alla valutazione, ma oggetto di menzione Roberto Collovà.

1° classificato Klaus Schuwerk, Jan Kleihues (Germania, Rheine)

La torre ha un valore simbolico, ma è anche un segnale della presenza del museo a scala urbana (un punto di riferimento anche di notte, essendo illuminata dall’interno) e luogo privilegiato di lettura della città; essa costituisce il terminale visivo dello spazio lineare tra laminatoio e museo ed evidenzia l’ingresso per chi arriva a piedi dalla città. La scelta di collocare l’ingresso principale sul fronte sud della fabbrica discende dal fatto che il trasporto pubblico e i mezzi privati raggiungono l’area soprattutto da questo lato ed è pure una scelta architettonica: la costruzione di un sistema lineare di hall lungo l’intero edificio. Il primo tratto della hall lineare, che parte

Un metodo specificatamente industriale, quello della serialità, utilizzato per la produzione di oggetti d’uso, nel progetto viene adottato per realizzare spazi della “ memoria culturale” . Ciò che nella fabbrica aveva logica di pura utilità conferisce al museo valore di permanenza. Da questa contraddizione tra la natura non permanente dell’industrializzazione e quella permanente dell’istituzione museale si sviluppa la logica del progetto. Nella torre, senza alcuna funzione specifica, il tema acquisisce la maggiore densità.

dall’atrio d’ingresso, è uno spazio interno da cui si accede all’auditorium e alla sala di lettura del museo, che si salda con la corte d’acqua, posta tra la fabbrica e il recinto cimiteriale. L’ultimo tratto è una stoà che media il rapporto tra lo spazio delle esposizioni permanenti e la piazza lineare. Coerentemente col carattere del progetto e in continuità con l’esistente, si è scelto di utilizzare il calcestruzzo armato facciavista come materiale principale. Al calcestruzzo si affiancano pochi altri materiali: il vetro non intelaiato per le separazioni esterne e il legno, utilizzato nella biblioteca e nell’auditorium. Per la parte esistente sono previsti, oltre al restauro delle strutture, pochi interventi tesi a rafforzarne il carattere e le suggestioni: il recupero dei lucernari integrati da frangisole per garantire il controllo della radiazione solare; la realizzazione del piano ammezzato della biblioteca, con struttura in acciaio, nel suo più sem-

plice aspetto industriale; la messa in opera di una pavimentazione industriale a getto di cemento e resina con alte caratteristiche di resistenza; il recupero del paramento murario in mattoni che chiude ad est la biblioteca. I laboratori del museo sono stati collocati nello spazio dell’esposizione permanente in un volume vetrato, come in una teca. La biblioteca e la sala di lettura possono funzionare sia indipendentemente che con un’unica gestione. Un volume, sospeso sulla copertura dei depositi, potrà ospitare, su due livelli, un eventuale ampliamento. La struttura del laminatoio deve essere coservata; per questo l’intervento rimane sospeso all’interno del corpo di fabbrica. Le funzioni previste (loft per appartamenti/uffici, auditorium, cinema, locali ricreativi e gastronomici, negozi ecc.) sono inserite nell’edificio come corpi liberi creando, su un lato, una sorta di strada coperta.

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Concorsi

A cura di Roberto Gamba


2° classificato ex aequo Odile Decq, Benoit Cornette Sarl in a.t.p. (Francia, Parigi)

Concorsi

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Il progetto mantiene la struttura esistente nella sua integralità, il suo ordine per assicurare una certa libertà nell’inserimento del MUSIL al suo interno. L’idea di mettere in risalto l’esistente è rafforzata dall’introduzione di un altro universo all’interno di questa struttura rigida, un universo di esposizione dinamico e flessibile. Mettere in mostra l’industria significa presentare la sua storia, il suo sviluppo e le sue particolarità, ma anche presentare l’industria odierna e la ricerca tecnologica nel suo svolgimento. Il Museo dell’Industria e del Lavoro non può considerarsi un museo ordinario, basato sulla contemplazione degli oggetti, un museo “ scrigno” , ma un museo vivente, di azione, spettacolare, ludico, scientifico e pedagogico. Essendo gli obiettivi del MUSIL multipli e complessi, l’importante sarà moltiplicare le griglie di lettura, rendere possibile molteplici percorsi, assicurare la flessibilità. La Galleria del Novecento sviluppata lungo la facciata è un percorso cronologico dove l’indice del tempo è ricordato in permanenza.

Questo spazio risponde in eco a quello didattico situato vicino all’ingresso prima dell’entrata allo spazio espositivo. La Galleria delle Macchine si sviluppa lungo la facciata retrostante in una lunga hall in cui le macchine sono presentate in isole tematiche. “ Cinema e comunicazione” è costituita da un insieme di spazi, alcuni chiusi come le sale di proiezione, alcuni semiaperti come lo spazio didattico per i bambini. Unificato in un solo volume, l’edificio destinato al MUSIL è composto da una successione di corpi addizionati gli uni agli altri. L’accesso al MUSIL è situato in corrispondenza del punto di unione dei piani di facciata sulla facciata est. L’organizzazione dei volumi all’interno dell’edificio è articolata in base alle quattro funzioni assegnate al Museo: • l’auditorium; • a lato dell’auditorium, nella grande hall coperta a sheds, l’area espositiva; • nel cuore del Museo ed accessibili dall’ingresso l’insieme delle funzioni articolate intorno al foyer; • all’estremità dell’edificio, la mediateca che può funzionare in maniera indipendente. Infine, le funzioni logistiche e di

deposito così come i locali tecnici sono stati collocati all’interno di cinque volumi, nella parte retrostante dell’edificio, in maniera

coerente con le funzioni che svolgono. Questa successione di volumi crea una serie di corti tecniche.

2° classificato ex aequo Miralles-Tagliabue Embt in a.t.p. (Spagna, Barcellona)

La hall rappresenta il Portale del sistema museale nel territorio: oltre ad essere spazio di orientamento e centro fisico del Museo è luogo della riconoscibilità della dimensione territoriale dell’industria bresciana e della sua storia e cultura. La hall di entrata e il nuovo taglio nella copertura esistente introducono il visitatore nel Museo, accompagnandolo attraverso la Vetrina delle Innovazioni, i pannelli informativi, le sale lettura e di orientamento. Vicino all’entrata, nella parte centrale della fabbrica, sono collocati l’auditorium, la caffetteria ed il bookshop. L’Esposizione temporanea è accessibile dalla Vetrina delle Innovazioni e considerata parte conseguente di questa. Nella parte confinante con il cimitero viene proposta la demolizione di due campate dell’edificio parallele al muro del cimitero. Un corridoio funzionale accompagna il percorso museale e i visitatori attraverso i laboratori, le sale di lettura e le attività minori. A partire dalle indicazioni del Piano Particolareggiato, sono state individuate alcune modalità di riqualificazione dello spazio pubblico nelle vicinanze dell’edificio dell’ex-Tempini in prossimità del laminatoio e a est del laminatoio stesso.

Ci avviciniamo al luogo di progetto dall’alto. Un pezzo di città vecchia, un cimitero e una zona industriale convivono. Le foto del luogo lette insieme alla pianta degli edifici raccontano di navate industriali di un’epoca in cui la dimensione degli spazi era ancora limitata. Il bellissimo cimitero e il nuovo Museo dovranno raccontare l’intensa storia culturale della città e creare un’apertura del luogo alla vita cittadina. Il nuovo Museo dovrebbe conservare e intrecciare le antiche strutture con le nuove. Una nuova dimensione nel tetto che sia capace di far percepire al pubblico la nuova dimensione e di rendere visibile l’edificio da lontano. L’edificio che deve ospitare il nuovo Museo è composto da una serie di spazi concatenati per successive aggiunte e variazioni. Le figure spaziali ricorrenti sono la sala ipostila, la galleria, la campata. Una delle strategie progettuali è stata quella di intrecciare, incastrare i corpi rigidi esistenti (i telai in cemento armato) e quelli flessibili (la hall, la galleria, l’auditorium).


3° classificato Joao Alvaro Rocha Arquitectos (Portogallo) con Camillo Botticini, Gianfranco Sangalli, Francesco Apollonio, Antonio Montanari, Bruno Finzi, Arturo Busà, Ennio Sandal, Stefano Ferracini, Alberto Barbosa Vieira Il progetto del museo dell’Industria e del Lavoro e con lui l’insieme degli interventi regolati da Piano Particolareggiato del Comparto Milano, si pongono quale occasione per costruire una nuova centralità urbana capace di generare un nuovo sistema di relazioni. L’ipotesi di conservare gli edifici ex-Tempini nell’area Bisider era

tamento dell’intervento privato. L’ex laminatoio borda a est tutta l’area pubblica: è come una grande navata con rovine, date dal suolo scavato, inciso da ferite a volte profonde, traccia dei vecchi percorsi di lavorazione, passaggi sotto i carri-ponte.

stema: cimitero-laminatoio, spazi aperti a sud e ad est. A questo fine, significativo diverrebbe l’interramento del parcheggio sul lato sud del Musil, realizzando così una continuità dello spazio aperto, intorno al recinto cimiteriale. Determinante diviene la misura serrata compresa tra Musil ed il laminatoio, uno specchio d’acqua attraversato da ponti, interferito dai tralicci del vecchio opificio su cui si apre una piazza da cui avvengono gli ingressi centralizzati. Per restituire questo grado di complessità, per coglierne il nuovo ruolo, legato alla tradizione industriale e proiettato verso la nuova condizione di “ macchina culturale” , non più produttiva, si è operata una trasformazione mediante una sorta di grande, potente, quanto elementare struttura, costituita da putrelle in acciaio, tra loro sovrapposte e distanziate con un intervallo pari alla loro altezza. L’intervento espresso da un solido, compatto, ma anche trasparente recinto, ingloba lasciandola trasparire nel suo profilo, la struttura esistente tamponata da una superficie vitrea. Si realizza una sorta di scrigno metallico che accoglie, valorizzandolo, l’edificio industriale. A rendere emblematico il carattere del sistema, riconfigurato in contrappunto alla forte tensione

longitudinale del museo, emerge una torre, necessario contrappunto alla fortissima longitudinalità del volume. Un terzo ambito espresso dal progetto è il rapporto con l’interno. Il sistema si configura per articolare con autonomia i tre ambiti e simultaneamente definire un accesso centralizzato, collocato nella parte mediana che, caratterizzata da lucernari con fornici rettangolari, ben si adatta alle esposizioni temporanee. Un deck ligneo si connette ad una terrazza in cemento sull’acqua a disposizione come piazza, accesso e bar all’aperto. Un chiosco esterno funziona, per orientare i visitatori e come supporto al bar interno; una vetrina che si affaccia sul grande spazio pubblico aperto, viene segnata dalla scritta Musil e rivolta al laminatoio, trasformato in spazio pubblico con negozi e residenze. La non ricostruzione della copertura nel corpo centrale realizza un patio intermedio di accesso, cui corrisponde la torre ad uffici e aule didattiche. La sala per 245 persone resta completamente autonoma ed interrata sotto il patio aperto verso il muro cimiteriale. Sopra, con un altezza di 33 metri, è la “ torre” destinabile ad uffici elaboratori, con una terrazza panoramica all’ultimo livello.

4° classificato Gregotti Associati (Augusto Cagnardi, Vittorio Gregotti, Michele Reginaldi - Milano), Michela De Stafanis, Alberto Rovetta

(il concorso ne imponeva la conservazione) il valore puramente testimoniale e figurativo dello scheletro di memoria, privandole deliberatamente (e con grandi vantaggi per la loro sopravvivenza in mutate condizioni istituzionali) di ogni funzione statica, esaltan-

presente anche nelle proposte precedenti. Dalla conservazione dell’opificio nella sua totalità si passa ad una sua perimetrazione, nella ricerca di una relazione significativa anche rispetto al monumentale e vicino cimitero vantiniano. Il piano ha scelto di mantenere alcuni caratteri insediativi del quartiere industriale: la maglia stradale; i recinti; ha prescritto di conservare il vicino edificio del laminatoio. A partire dal rapporto tra le diverse categorie spaziali, si indica un riassetto che stabilisca un chiaro principio insediativo che alla scala locale, colga le relazioni tra i principali elementi dal si-

Il principio è stato quindi quello di assegnare alle strutture esistenti

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Una serie di percorsi pedonali attraversano in direzione est-ovest l’intera area del Comparto, superando il laminatoio con passerelle, in corrispondenza del suolo, al di sotto della grande copertura. Al di sopra sono previsti volumi commerciali e residenziali, a comple-


Concorsi

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done il puro valore spaziale, protette da una nuova copertura unitaria e indipendente. La nuova copertura è appoggiata su due muri continui, staccati da terra a diversa quota con una struttura in calcestruzzo arretrata rispetto al filo della facciata. Sui due muri è appoggiata una sequenza di travi metalliche spaziali a sezione triangolare che portano una copertura ed un controsoffitto translucidi su cui si proiettano gli scheletri delle strutture preesistenti, in contrappunto con il nuovo allestimento fatto di materiali leggeri (legno, metallo) del tutto indipendenti. La grande superficie continua dei muri esterni ha una duplice funzione: si confronta per scala, ma in modo sommesso, con il grande monumento vantiniano e si propone come fondale alla frammentazione che sembra dominare le intenzioni del piano particolareggiato, con i suoi sin troppo minuziosi dettagli. Le testate, aperte e vetrate, hanno il compito di rivelare la relazione tra i tre diversi livelli: il contenitore, le strutture preesistenti e quelle che organizzano gli allestimenti delle diverse parti del museo. Dimensioni, parti e funzioni del museo sono stati chiaramente definiti nel programma di con-

corso; la loro sequenza è stata organizzata a partire dalla forma allungata dello spazio di ingresso, per permettere accessi indipendenti alle varie funzioni contenere i principali elementi costitutivi dell’ingresso stesso: biglietterie, informazioni, bookshop, spazi pubblicitari e le richieste sala di lettura e bar caffetteria (al piano superiore), ed infine l’accesso indipendente alla sala di riunioni e congressi collocata nell’unico punto in cui i muri trasversali esistenti vengono riutilizzati per definire il nuovo complesso funzionale: sala, servizi con accesso dal retro e foyer indipendente. Dallo spazio di ingresso è possibile accedere sia all’archivio documenti ed alla relativa sala di consultazione, sia alle sale museali. All’estrema sinistra dell’ingresso si accede alla biblioteca, pensata come organismo indipendente su due livelli, con depositi a piano terra e sale di lettura al primo piano, profittando qui della maggiore altezza delle strutture esistenti da contenere. Nella parte centrale sono collocati lo spazio per le mostre temporanee e l’area dell’amministrazione e dell’accoglienza delle scolaresche, intorno ad un patio centrale a cielo aperto.

Riqualificazione delle piazze di Cardano al Campo (Varese) La piazza oggetto del concorso si colloca in centro storico e si identifica con l’unione delle Piazze S. Anastasio e Giuseppe Mazzini; attualmente la sua utilizzazione è limitata a parcheggio e a strada a doppio senso di marcia. Su di essa prospettano la Chiesa con il sagrato, un edificio comunale che sarà oggetto di prossima ristrutturazione (Villa Usuelli), l’accesso al Parco Pubblico, negozi e condomini residenziali e il Municipio. L’obiettivo da perseguire è la realizzazione di un’area pedonale che valorizzi l’asse est (Municipio) e ovest (Villa Usuelli), coinvolgendo nel contempo la Chiesa e i fabbricati prospicienti. Il traffico veicolare verrà deviato. Il progetto dovrà prevedere una pavimentazione in pietra naturale; elementi di arredo e impianti di illuminazione simili a quelli presenti nel giardino del Municipio;

un elemento d’acqua (fontana) dotato di impianto di ricircolo e depurazione; un impianto d’irrigazione per le aiuole e le parti a verde. Erano richieste tre tavole in formato Uni A0. Per la realizzazione del progetto è stata stanziata la somma di euro 375.000,00. I premi attribuiti sono stati di euro 3.000,00, 1.200,00, 800,00 e altri tre da 250,00 euro. La commissione giudicatrice era presieduta dal sindaco, Mario Anastasio Aspesi, da Donato Belloni, Antonella Cioffi, Matteo Bottari, Amelio Croci, Claudio Maffiolini, Alfredo Martegani, Orazio Claudio Cavallo, Giovanna Reboni, Vincenzo Proto, Enrico Tommasini. Sono stati inoltre attribuiti “ rimborsi spesa” ai seguenti giovani progettisti: Davide Sironi, Carlo Venegoni, Marco Martini.

1° classificato Paolo Perrone (Novara), Marcello Tomei collaboratori: Giovanni Cavallazzi Torres, Manuela Aimo

serimento di un’area a verde a livello intermedio (il giardino) fra le quote principali, in luogo dell’attuale parcheggio pavimentato a porfido rosso. La fontana si articola in un percorso d’acqua e una vasca dove l’acqua confluisce e riposa. L’asse est-ovest è stato inteso come riferimento sicuro nella lettura del tessuto degli spazi recenti di Cardano al Campo. Il progetto osserva l’asse est-ovest e disciplina l’intero sviluppo delle nuove piazze secondo il reticolo a maglia quadrata con passo di metri 5,5 sul quale la chiesa è stata progettata ed edificata. È stata estesa alle piazze la griglia utilizzata all’interno, al fine di osservare quella disciplina geome-

Si è cercato di risolvere la scarsa o nulla accessibilità pedonale dell’area, attraverso la netta separazione dei percorsi viabilistici e pedonali e la creazione di percorsi e soprattutto “ luoghi” caratterizzati ognuno per una propria specificità (fontana con sedute, giardino intermedio con aiuole e panchine). Si è inteso valorizzare l’asse estovest, attraverso la realizzazione di una fontana che si sviluppa lungo l’intero “ asse” dal Municipio fino alla Villa Usuelli e con l’in-


di illuminazione, raccolta acque piovane), rimuovere la pavimentazione esistente delle piazze per sostituirla con materiale di forma analoga, ma di colore diverso (granito del Piemonte - serizzo delle valli dell’Ossola), in quanto materiale “ autoctono” rispetto a quello rosso del Trentino, di colore grigio-chiaro, tale da valorizzare per contrasto il volume di colore bruno della chiesa ed “ alleggerire” al contempo l’impatto cromatico complessivo del sito. L’illuminazione delle carreggiate e delle aree di parcheggio deve rispondere a precisi requisiti in termini di sicurezza della marcia nelle ore notturne e in condizioni di scarsa visibilità.

27 2° classificato Valerio Cozzi (Legnano, Milano) collaboratori: Barbara Frangi, Giuseppe Verga Non uno, ma tre percorsi possono portare dal Municipio alla Piazza. Sfruttando le quote come si sfrutterebbero le balze di una collina, un primo percorso porta direttamente al sagrato della chiesa offrendo un paesaggio gentile, ma forte. La grazia (il filare di magnolia soulangeana) e la forza (le siepi sagomate di prunus laurocerasus Otto Luyken) della vegetazione definiscono questo intento a sua volta schiarito dai prati che

aprono ambiti spaziali ben precisi. Il tragitto è veloce e siamo subito in chiesa. Solo poche panche in pietra. Dal municipio alla piazza si scende attraverso una scalinata. All’inizio e alla fine della scalinata quattro vasche d’acqua suggeriscono un primo passo. L’asse centrale, la forte prospettiva, si rafforza solo con una doppia striscia di fibre ottiche a terra che mimano, sognanti, un rivolo d’acqua, un ruscello. Come ora l’asse centrale si infrange contro un edificio, in questo progetto il ruscello s’infrange contro la fontana che restituisce l’acqua all’ampio spazio della

Concorsi

trica in tracciato che informa la recente struttura dell’area di concorso. Viene recepito il nuovo schema della viabilità e confermata la rotatoria esistente, evidenziata e migliorata attraverso la segnaletica verticale, orizzontale e l’illuminazione. I parcheggi nel progetto non sono stati eliminati, anche se vengono significativamente ridotti di numero. Sono posizionati lungo la carreggiata dell’attuale piazza Mazzini che costeggia l’asse. C’è l’intenzione, dovendo intervenire in maniera estesa per la realizzazione delle opere in progetto (fontana, pavimentazione, aree a verde, parcheggi, impianti


illuminazione e “ colonizzate” da una struttura leggera di ferro e da rose rampicanti. I percorsi sono spezzati. Rotti dalle siepi sagomate. Spaccati dalle pavimentazioni in pietra naturale (recuperata da quella attualmente posata) e generano uno spazio di mezzo che nasce dall’ingresso laterale della chiesa. Nascono così dei “ Giardini Piazza” . Dal nodo alla chiesa il dislivello è notevole ed è superabile tramite un sistema di rampe, a partire dall’unica lunga rampa che porta al primo livello, protetto dall’ombra del grande cedro esistente. La scalinata della chiesa perde la forma pungente e respingente attuale per essere “ rettificato” e fatto parte dello stesso disegno generale.

3° premio Andrea Faccio (Gallarate, Varese)

le alberature, le panchine e i giochi d’acqua. L’asse è caratterizzato da due punti focali individuati con elementi rotondi e pavimentazione in acciottolato. Gli stessi sono stati posizionati davanti all’attraversamento pedonale in prossimità del municipio e davanti all’ingresso della Villa Usuelli. Quest’ultimo punto focale è anche il punto d’incrocio con il secondo asse, ortogonale rispetto al primo e ubicato tra via Mazzini e via Garibaldi. Nel centro dello stesso, in opportuna scala, è prevista la riproduzione dello stemma comunale in acciottolato chiaroscuro. Il suddetto modulo è arricchito con differenti tessiture della pavimentazione: fasce di beola scura, acciottolato di fiume e porfido. La pavimentazione è dotata di 11 gradoni che permettono di superare il dislivello tra l’ingresso della Villa e il punto focale posto ad est. Le alberature esistenti di un certo pregio sono mantenute. Ci si riferisce al cedro deodara adiacente alla chiesa, oltre ai tre “ tassi” disposti lungo il fianco della stessa. In adiacenza al campanile è stata prevista una zona d’acqua costituita da un canale a filo della pavimentazione che sfocia in una fontana. La stessa, leggermente

rialzata rispetto alla quota della pavimentazione, prevede spruzzi d’acqua inseriti in un “ bosco urbano” utilizzando il modulo delle fioriere inserite lungo l’asse al fine

di accentuare verticalmente il cono ottico. Per tale proposito e per il suo portamento fastigiato l’essenza vegetale prevista è il carpinus betulus.

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piazza spezzandosi in tre balze. La luce soffocata delle fibre ottiche continua con lo stramazzo della prima vasca sulla seconda. Quest’ultima è divisa dalla terza da un ponticello di acciaio corten. Il ponticello genera un punto. Dalla scalinata seguendo le fibre ottiche si raggiunge la scalinata della chiesa e la parte di piazza antistante ad essa. Il terzo percorso è il più importante. Spezza definitivamente l’asse centrale che si è sfibrato in tre parti. Tra prato e siepi, tra comode panche con sedute di listelli di legno, e grandi sfere di alloro si arriva alla piazza passando attraverso sette soglie, sette porte. Sono sette semplici strutture di acciaio con particolari sistemi di

Vengono mantenuti i parcheggi adiacenti ai due palazzi degli anni ‘60 posti a sud-est del Municipio e, simmetricamente, se ne ricavano altri sul lato opposto della strada. Tra questi sono previsti anche due posti auto destinati ai disabili. Questo tratto di strada è previsto a senso unico. Altri posti auto è comunque possibile reperirli nel fabbricato posto all’angolo di via Volta, oggetto di Piano di Recupero. Una volta definito il posizionamento dei parcheggi, si è impostato il progetto tenendo un asse di raccordo tra l’accesso della Villa Usuelli, la chiesa e l’edificio municipale, al fine di consentire un dialogo tra questi edifici che pur essendo distanti tra di loro si affacciano sulla piazza. A tale proposito è stata dapprima creata una cunetta per il rallentamento del traffico, leggermente sopraelevata rispetto alla quota stradale, che agevola il passaggio pedonale tra la scalinata di accesso al municipio e la piazza. Una cunetta analoga è stata prevista tra i parcheggi adiacenti agli edifici degli anni ‘60. L’asse progettuale è arricchito da un modulo di m 2,50 x 2,50. All’interno dei quadrati che vengono a crearsi si sono posizionate

Nuova pista ciclopedonale da Gavarno a Nembro (Bergamo) La nuova pista ciclopedonale si svilupperà nel comune di Nembro, dal Cimitero della frazione di Gavarno sino alla sponda orografica destra del fiume Serio, collegandosi con il sistema ciclopedonale già esistente. La spesa prevista per i lavori è di due milioni di euro. Le proposte progettuali dovevano tenere conto dei seguenti obiettivi e temi: dimensioni pista, se-

zione trasversale 2,5/3 m; opere di superamento del Torrente Gavarnia, compatibilmente con il regime idraulico del corso d’acqua; opere di superamento strada provinciale; opere di superamento fiume Serio, compatibilmente con il regime idraulico del corso d’acqua; opere di superamento nuova strada statale; collegamento con il circuito ciclabile esistente e/o di previsione; illumi-


nazione pubblica a norma L.R. 17/00; studio della viabilità ciclabile, con collegamenti ad aree verdi ed a spazi esterni attrezzati, dedicati al tempo libero nonché ad edifici “ notevoli” del territorio (scuole, municipio, biblioteca, fermata Tramvia Elettrica Bergamasca); minimizzazione dell’impegno di risorse e materiali non rinnovabili; massimo utilizzo di risorse e materiali naturali; massima manutenibilità, curabilità dei materiali e dei componenti, sostituibilità degli elementi, compatibilità dei materiali e agevole controllabilità delle prestazioni dell’intervento nel tempo; utilizzo

di elementi di ingegneria naturalistica. Il concorso si è concluso con una graduatoria di merito e con la attribuzione di tre premi (euro 10.000,00; 4.000,00; 3.000,00) e due rimborsi spese (euro 1.500,00 cadauno), per i progetti segnalati di Alberto Capitanio e Francesco Stefinlongo. Al vincitore il Comune attribuirà l’incarico per l’elaborazione del progetto definitivo ed esecutivo. La commissione giudicatrice era composta da otto membri: Piergiorgio Magoni, Domenico Leo, Silvia Garbelli, Maurizio Panseri, Ivan Ruggeri, Sebastiano Moioli, Bruno Pulcini, Marino Foini.

1° classificato Paola Giaconia (Monza), Paolo Danelli, Elena Sacco consulente: Alessandro Rocca

attrezzature per il gioco e lo sport. Verso Nembro il parco si estende sulle due rive del Serio. Le piazze: in corrispondenza della chiesa di Gavarno spazi asfaltati si ritagliano tra l’edificato. Spazi da trasformare in un insieme omogeneo di piazze lastricate. Scendendo oltre il centro di Gaverno la campagna è suddivisa in orti, organizzati in un disegno geometrico e regolare. Le recinzioni e i ricoveri per gli attrezzi sono unificati. I piccoli appezzamenti coltivati diventano elementi qualificanti del paesaggio. La barriera vegetale: macchie vegetali mitigano l’inquinamento acustico e visivo nascondendo le nuove strade. Siepi arboree e arbustive sono sormontate da alberi in raggruppamenti irregolari: le differenti altezze creano l’effetto di una barriera impenetrabile. Lungo il Serio la pista è inserita in un parco fluviale che dalla strada scende verso il fiume. Tra le diverse specie arboree, arbustive ed erbacee igrofile, gli spazi per la sosta si raccordano con il greto in prossimità dell’acqua. Il ponte consente sia l’attraversamento del Serio che la discesa al greto. Il Museo racconta il Serio e il suo ambiente: è diffuso lungo tutta la pista (cartelli esplicativi), mentre in un edificio si concentrano gli spazi per esposizioni, le attività didattiche e i punti di ristoro. Le quote del greto, della pista e dell’edificio sono collegate da un sistema di piattaforme di legno che aggettano sul fiume.

Tutti gli elementi del progetto sono organizzati con l’obiettivo di costruire un nuovo sistema paesaggistico: il flusso ininterrotto della pista ciclabile diventa l’arteria che, scorrendo insieme al Gavarnia e al Serio, genera una situazione paesaggisticamente controllata. Lo scavalcamento della strada provinciale, avviene attraverso una passerella sospesa (lunghezza 30,7 m; luce 26 m; altezza 19 m; larghezza 3 m). Il superamento del Serio avviene grazie a un nuovo ponte strallato con antenne di oltre 15 m, passerella pedonale e ciclabile (lunghezza 70,35m; luce 54 m; altezza 20 m; larghezza 5 m). Essa prosegue con un nuovo percorso che, passando attraverso i piloni della nuova strada statale, si riallaccia alla viabilità ciclabile esistente. In questo punto la connessione tra le due rive del Serio ha valore strategico, collegando due nuovi ambiti paesaggistici: sulla riva di Gavarno la pista ciclabile genera una serie di interventi di riqualificazione, terrazzamenti e discese all’acqua, che invitano ad avvicinarsi e a sostare sull’acqua. Sulla riva di Nembro il nuovo ponte si connette direttamente al nuovo parco, che caratterizza i due estremi del tracciato. A Gavarno si affaccia sulla strada includendo il viale del cimitero e

2° classificato Francesco Gentilucci (Roma), Alessandra Agrello, Massimiliano Di Martino, Salvatore Di Michele La biocompatibilità dei materiali utilizzati e la eco-compatibilità dell’intero intervento hanno rappresentato uno dei temi fondamentali del progetto. Alle sponde del Serio è demandato, attraverso un attento intervento di sistemazione, il compito di promuovere la fruizione dell’intero “ parco fluviale” . Il percorso ciclabile e pedonale esistente, con opportune integrazioni e sistemazioni, sfocerebbe, superando il canale artificiale che corre parallelo al Serio e poi sotto passando la nuova strada statale utilizzando il tombotto esistente opportunamente modificato, in un’area verde attrezzata, giardino urbano, animato da funzioni commerciali, culturali e sportive. Qui è prevista la realizzazione di un ponte pedonale e ciclabile ad unica campata, con una struttura leggera e poco impattante, costituita essenzialmente da un elemento portante in cemento armato, da un ordito secondario di centine metalliche ortogonali alla travatura primaria, su cui si impostano un’ampia pista ciclabile sul versante est e un percorso pedonale e panoramico sul lato ovest, ambedue rivestiti in teak. La particolare conformazione della trave principale si presta a considerare il suo estradosso come una lunga seduta, su cui impostare il nuovo sistema di illuminazione. La soluzione strutturale della trave e la conformazione variabile delle centine sottostanti contribuiscono

a rendere particolarmente “ leggero” il ponte, che proprio nella parte centrale riesce ad avere spessori esigui. Il percorso, sul versante sud del fiume, si snoda utilizzando per il primo tratto il tracciato del canale artificiale a ridosso del Serio, costituendo una parziale copertura dello stesso. Una struttura modulare in profilati in acciao riciclato zincato (materiale metallico ottenuto dalle macerie mediante l’utilizzo di adeguati separatori magnetici in una demolizione controllata) ed un’orditura lignea (doghe in teak) costituiscono gli elementi essenziali e sempre riconoscibili di tutto il percorso. A tal proposito sono stati infatti studiati moduli differenti, in grado di assolvere, oltre alla primaria funzione di percorso ciclabile, anche quella di terrazze panoramiche, luoghi per la sosta, aree per la pesca sportiva. Sono previsti elementi che garantiscono il superamento pedonale e ciclabile trasversale, per consentire l’accesso diretto dalla e alla provinciale; sono provvisti di un brise soleil di protezione e di un impianto fotovoltaico, in grado di contribuire a fornire l’energia elettrica necessaria all’illuminazione di tutto il percorso. Si prevede un attraversamento in quota della provinciale, all’altezza dell’affluente Gavarnia, mediante un sistema di rampe, che, per un primo tratto, utilizzeranno il pendio esistente degli argini del canale artificiale, per poi discendere dolcemente (la pendenza massima non supera il 4% ) verso la sponda Ovest dell’affluente stesso.

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origine la sua “ doppia rastremazione” , longitudinale e trasversale. Dal punto di vista strutturale, gli elementi portanti principali sono costituiti da tre travi reticolari ad arco in legno lamellare di abete, con una luce di circa 45 m. L’impalcato è posto sopra le travi principali ed è composto da pannelli strutturali in legno a listelli incrociati, impermeabilizzato e finito con pavimentazione in stabilizzato legato con resine. In corrispondenza dei nodi delle travi reticolari ed ancorati ad essi, sono posti, ad intervalli regolari di 2,5 m, degli elementi in lamiera zincata leggermente arcuati ad altezza variabile, che nella parte superiore formano i sostegni per il

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3° classificato Marco Celeri (Torre Boldone - Bergamo), Danilo Celeri, Davide Pini, Claudia Capeti, Nadia Casati collaboratori: Matteo Casali, Silvia Pennacchio La viabilità ciclabile è pensata in modo tale da consentire al tracciato da un lato di intercettare alcuni elementi “ notevoli” della frazione di Gavarno (scuola, cimitero, chiesa, oratorio e piazza Rinnovata); dall’altro, congiungendosi alla pista ciclabile esistente, assicura il collegamento con i servizi pubblici sul territorio del comune. Dal punto di vista tecnico-costruttivo, è stato privilegiato l’utilizzo del legno, in quanto risorsa naturale e rinnovabile, materiale impiegato sia con funzione strutturale che per realizzare componenti di arredo.

Il ponte per l’attraversamento del fiume Serio costituisce il principale manufatto architettonico del progetto. È stato valutato con quale atteggiamento progettuale fosse corretto porsi nei confronti del preesistente ponte cinquecentesco: la scelta tipologica è stata orientata verso l’esclusione di manufatti di matrice iper-tecnologica. Il progetto prevede un ponte ad arco ad unica campata, in legno, per ottenere, sotto il profilo architettonico, un manufatto dai “ toni poco accesi” di composizione geometrica toroidale. La geometria del ponte è infatti determinata dall’intersezione di due cilindri concentrici, disposti longitudinalmente al fiume, intersecati da due tori. Dalla volontà di rendere evidente la pulizia e la leggerezza del gesto di superamento del fiume, trae

parapetto del ponte ed in quella inferiore costituiscono il supporto per le tavole in larice di protezione. Queste ultime sono di sezione differenziata, distanziate tra loro e disposte a “ ventaglio” , in modo tale da compensare l’aumento dell’altezza delle travi reticolari verso l’imposta e da rendere la composizione lineare. Le travi reticolari sono così protette dall’azione degli agenti atmosferici sia dall’impalcato che dal rivestimento laterale in lamelle inclinate. Il parapetto è in cavetti di acciaio con corrimano in legno. La configurazione strutturale soddisfa anche la necessità di garantire una facile manutenzione e sostituibilità delle parti.


Legislazione a cura di Walter Fumagalli

Quando si parla di certificazione di qualità ci si riferisce, di regola, a quel complesso di norme internazionali e nazionali che vanno sotto il nome di “ ISO 9000” . In particolare, le disposizioni in questione sono contenute nei seguenti testi normativi: • 1. ISO 9000, che definisce i concetti, i principi, i fondamenti e la terminologia dei sistemi di gestione della qualità; • 2. ISO 9001, che individua le prescrizioni che devono essere ottemperate per il possesso di un sistema di gestione della qualità; • 3. ISO 9004, che costituisce una guida per migliorare le prestazioni del sistema di gestione della qualità. Tali disposizioni sono state elaborate da una organizzazione non governat iva f ondat a nel 1947, l’Int ernat ional Organisation for Standardization (ISO), e sono state successivamente recepite dal Comité Européen de Normalisation (CEN) e dall’Ente Nazionale Italiano di Normazione (UNI). Secondo quanto stabilito dalla direttiva CE n. 34 del 22 giugno 1998, il CEN e l’UNI sono le uniche organizzazioni competenti ad emanare, rispettivamente a livello europeo e nazionale, norme tecniche in tutti i settori economici, eccettuati quelli elettrotecnico, elettronico e della telecomunicazione. La finalità della UNI EN ISO 9000, denominazione della versione nostrana delle suddette disposizioni, è quella di individuare una serie di prescrizioni operative che consentano ad un operatore di migliorare qualitativamente e con continuità il proprio operato nella realizzazione di un prodotto o di un servizio, in guisa da soddisfare le esigenze e le aspettative dei clienti e, più in generale, di tutti i soggetti con cui essa entra in contatto. In parole povere, si può definire l’ISO come l’insieme delle disposizioni che individuano le modalità da seguire per produrre un bene, per venderlo, per assistere i clienti, ecc., in guisa da raggiungere una organizzazione lavorativa razionale e funzionale, che allo stesso tempo soddisfi le esigenze del cliente e permetta al fornitore di ridurre costi, errori e scarti di produzione. Chiunque è libero di rispettare o non tali disposizioni, in quanto non vi è alcuna prescrizione di legge che ne imponga l’osservanza. Chiunque è libero di applicarle senza sottoporsi a controlli particolari. Chi però, avendole applicate, intenda farlo risultare all’esterno della propria organizzazione, deve munirsi di una apposita certificazione che deve essere rilasciata da un ente accreditato secondo particolari modalità, previo espletamento di verifiche ed accertamenti. In qualche caso, peraltro, il possesso di una certificazione ISO è richiesta per espressa disposizione di legge, con la conseguenza che in questi casi le norme tecniche divengono vere e proprie norme giuridiche.

Una prima ipotesi è contenuta nella direttiva delle Comunità Europee del 22 luglio 1993 n. 93/465/CEE, che regola l’apposizione e l’utilizzazione della marcatura CE. In forza di tale direttiva, le aziende che intendono apporre tale marcatura ai propri prodotti devono dotarsi di un sistema di gestione della qualità conforme a quello ISO 9000. In altro settore, la Legge 11 febbraio 1994 n. 109 – che disciplina gli appalti pubblici di lavori – prevede all’Articolo 8 comma 1 che gli appalti di valore superiore a 150.000,00 euro possono essere eseguiti esclusivamente da soggetti che siano in possesso di una apposita attestazione. Tale attestazione è rilasciata – previa verifica della sussistenza in capo alla azienda dei requisiti di idoneità tecnico-finanziaria previsti dalla legge – da particolari organismi di diritto privato, denominati SOA (Società Organismo di Attestazione), espressamente autorizzati dalla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. La attestazione SOA individua quali siano le categorie di lavori che possono essere affidati in appalto alla azienda, nonché il valore massimo delle opere pubbliche alla cui realizzazione essa può candidarsi. Per quanto qui interessa, l’attestazione può essere rilasciata solo se l’impresa è in possesso di una certificazione di qualità UNI EN ISO 9000. In forza del citato Articolo 8, dunque, le norme tecniche sulla gestione della qualità sono diventate vincolanti per tutti quei soggetti che abbiano intenzione di proporsi come appaltatori di lavori pubblici di importo superiore a 150.000,00 euro. In ogni caso, le aziende che intendano partecipare ad appalti pubblici di lavori, siano essi di valore superiore o inferiore a 150.000,00 euro, possono usufruire di una serie di benefici qualora siano in possesso di una certificazione ISO (Articolo 8 comma 11-quater della Legge 109/94). La Legge 109 del 1994 prevede, da un lato, che i soggetti che abbiano intenzione di concorrere ad appalti pubblici di lavori devono prestare, al momento della presentazione della propria offerta, una cauzione o una fideiussione pari al 2% dell’importo dei lavori e, dall’altro, che l’aggiudicatario deve costituire una garanzia fideiussoria pari al 10% dell’importo dei lavori. Orbene, dette percentuali sono ridotte della metà per le aziende in possesso di una certificazione ISO. Chi possiede la certificazione, inoltre, usufruisce di un ulteriore beneficio in tema di appalto-concorso di lavori. L’Articolo 8, comma 11-quater, della Legge 109/94 prevede, infatti, che l’amministrazione appaltante, nel valutare quale sia l’offerta economicamente più vantaggiosa tra quelle presentate, deve prendere in considerazione, in aggiunta agli elementi prescritti dal comma 2 dell’Articolo 21 della medesima legge, la circostanza che un partecipante sia in possesso della certificazione ISO. A ben guardare, per gli appalti superiori a 150.000,00 euro il primo beneficio opera sempre, mentre il secondo perde di significato, essendo condizione necessaria per l’affida-

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La certificazione di qualità: aspetti giuridici


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mento dei suddetti appalti che le aziende partecipanti alla gara siano in possesso della attestazione SOA e, quindi, della certificazione ISO. Sempre a livello nazionale, un’altra ipotesi in cui le norme tecniche sulla qualità assumono veste giuridica è contenuta nel Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 157, con il quale si è data attuazione alla Direttiva europea n. 92/50/CEE, concernente il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. Questa legge detta la disciplina relativa ai soli appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione di servizi di cui all’Allegato 1 del decreto, di importo pari o superiore a 200.000,00 euro. Per quanto qui interessa, l’Articolo 14 comma 4, sulla falsa riga dell’Articolo 33 della direttiva, prevede che “ qualora le amministrazioni aggiudicatrici richiedano la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti, attestanti che il concorrente osserva determinate norme in materia di garanzia della qualità, esse fanno riferimento ai sistemi di garanzia della qualità basati sulla pertinente serie di norme europee EN 29000 (ora EN 9001), certificati da organismi conformi alla serie di norme europee EN 45000” . Le norme di cui si sta trattando, dunque, divengono vincolanti solo nel caso in cui il bando di gara o il capitolato d’oneri preveda espressamente come requisito per l’aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi il possesso di una certificazione di qualità, non potendo questa essere altro che quella ISO 9000. In Lombardia, infine, la Giunta regionale ha recentemente approvato un disegno di legge in tema di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. Tale disegno di legge prevede, fra l’altro, che le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare le disposizioni statali che prescrivono i requisiti che un soggetto deve possedere per l’accesso alla gara. Ciò significa richiamare la disciplina nazionale di cui all’Art. 8 della Legge 109 del 1994, nella parte in cui prescrive che gli appalti pubblici di lavori di valore superiore ai 150.000,00 euro devono necessariamente essere aggiudicati a soggetti in possesso di una attestazione rilasciata da una SOA. Inoltre, il citato disegno di legge contiene una disposizione del tutto identica a quella contenuta nell’Articolo 14 del Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 157, riferendola però in via generale a tutti gli appalti pubblici, a prescindere dal loro oggetto e dal loro valore. In forza di detta disposizione, qualora le amministrazioni richiedano come requisito per l’aggiudicazione il possesso di una certificazione di qualità, i servizi, le forniture e i lavori potranno essere affidati esclusivamente ad aziende certificate ISO. Giovanni Guarnieri

La “super-D.I.A.” ancora nell’occhio del ciclone In un’epoca in cui i fatti di cronaca si susseguono vorticosamente davanti ai nostri occhi, in un battibaleno diventano storia, ed in men che non si dica preistoria, chi ricorda le traversie occorse alla “ super-D.I.A.” disciplinata dalla legislazione lombarda? Forse neppure gli addetti ai lavori. Eppure l’Articolo 4 della Legge Regionale 19 novembre 1999 n. 22 (la norma che per prima aveva regolamentato in Lombardia la “ super-D.I.A.” ) e l’Articolo 3 della Legge Regionale 23 novembre 2001 n. 18 (la norma che aveva fornito

un’interpretazione autentica dell’Articolo 4) erano stati trascinati già una volta davanti alla Corte Costituzionale. Il Tribunale Amministrativo Regionale di Milano, infatti, con ordinanza dell’11 febbraio 2002 emessa nel corso di un giudizio promosso per ottenere l’annullamento del divieto di eseguire i lavori fatti oggetto di una Denuncia di Inizio di Attività, aveva ritenuto che le norme richiamate fossero in contrasto con alcuni princìpi dettati dalla legislazione statale vigente in materia, e quindi anche con l’Articolo 117 della Costituzione, ed aveva chiesto pertanto il pronunciamento del giudice delle leggi. Quella volta le disposizioni regionali se l’erano cavata proprio per il rotto della cuffia! Era, infatti, accaduto che, qualche mese dopo l’ordinanza del Tribunale, era entrato in vigore il Decreto Legislativo 1° agosto 2002 n. 166, il quale aveva modificato la disciplina statale della Denuncia di Inizio di Attività. Con Ordinanza n. 516 del 4 dicembre 2002, quindi, la Corte Costituzionale aveva rispedito gli atti al Tribunale Amministrativo, invitandolo a verificare se la questione di costituzionalità sollevata qualche mese prima avesse mantenuto la propria rilevanza anche dopo l’entrata in vigore della nuova normativa statale. Il Tribunale poi non si era più occupato della questione in quanto il ricorrente aveva rinunciato all’impugnazione, e quindi il relativo giudizio era stato dichiarato estinto con Sentenza n. 3113 del 19 giugno 2003, e della presunta incostituzionalità della “ super-D.I.A.” si erano scordati un po’ tutti. Oggi però la questione è tornata di attualità per iniziativa della III Sezione penale della Corte di Cassazione, la quale con Ordinanza n. 2956 del 28 gennaio 2004 ha nuovamente inviato alla Corte Costituzionale la normativa regionale lombarda sulla “ super-D.I.A.” , avendola ritenuta in contrasto con le nuove norme statali nel frattempo intervenute. Per meglio inquadrare i termini del problema, un “ riassunto delle puntate precedenti” non guasta. Vigente un sistema in cui, salvo le cosiddette “ opere interne” (soggette alla comunicazione prevista dall’Articolo 26 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47), tutti gli interventi edificatori erano subordinati a concessione o ad autorizzazione edilizia, l’Articolo 2.60 della Legge 23 dicembre 1996 n. 662 aveva reso applicabile anche al settore dell’edilizia l’istituto della Denuncia di Inizio di Attività, già previsto per altre materie dall’Articolo 19 della Legge 7 agosto 1990 n. 241. Nel fare ciò, peraltro, la norma aveva circoscritto in modo rigoroso il campo di operatività della “ D.I.A.” , limitandolo agli interventi suscettibili di generare un minor impatto sul territorio. Nonostante questo, il Legislatore lombardo aveva ugualmente approvato l’Articolo 4 della Legge Regionale n. 22/1999, il quale aveva ampliato a dismisura il campo di applicazione della Denuncia di Inizio di Attività, estendendolo praticamente a tutti gli interventi edilizi possibili ed immaginabili. Era così nata la “ super-D.I.A.” . Dopo qualche tempo però veniva approvato il Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), il cui Articolo 22 si poneva sulla stessa lunghezza d’onda della Legge n. 662/1996. Il Testo Unico tuttavia, salvo una fuggevole “ anteprima” durata qualche giorno all’inizio del 2002, per la parte che qui interessa entrerà in vigore solo il 30 giugno 2003, e prima ancora di tale data verrà modificato. Probabilmente allo scopo di diffondere in tutto il Paese l’esperienza lombarda, infatti, il sesto comma dell’Articolo 1 della Legge 21 dicembre 2001 n. 443 (la “ Legge Lunardi” ) ridisegnava i contorni della denuncia di inizio di attività, ed


22/1996, come modificato dall’Articolo 3 della Legge Regionale n. 18/2001, sia in contrasto con gli Articoli 3, 5, 25, 97 e 117 della Costituzione, “ nella parte in cui applica la facoltà di Denuncia di Inizio di Attività a tutti gli interventi edilizi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica anche se non disciplinati da piani attuativi comunque denominati, che contengano precise disposizioni planivolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, o da strumenti urbanistici generali, recanti precise disposizioni planivolumetriche” . Le ragioni di tale presunto contrasto, desumibili da una motivazione resa di non facile comprensione da una prosa alquanto involuta, possono essere così sintetizzate. • a) L’esistenza di una pianificazione di dettaglio costituisce il fattore fondamentale, la cui presenza è indispensabile per giustificare la “ estensione della D.I.A. nell’ambito dei princìpi generali, che regolano detto istituto in via normale (...), consentendo di ritenere largamente ristretta la discrezionalità amministrativa o quella tecnica” . • b) Da ciò deriva “ l’obbligo della legislazione regionale di attenersi al principio fondamentale secondo cui la D.I.A. edilizia, alternativa al permesso di costruire, è consentita solo qualora sia prevista una normazione urbanistica di dettaglio” . • c) Costituisce principio fondamentale dello Stato quello per cui non è possibile “ il sostanziale superamento del permesso di costruire e di un esame preventivo per gli interventi edilizi più complessi, in cui la discrezionalità amministrativa e tecnica è consistente, non solo per i riflessi penali, ma anche per l’incidenza sui rapporti privatistici di competenza legislativa esclusiva statale” . • d) Poiché il quattordicesimo comma dell’Articolo 1 della Legge n. 443/2001 aveva conferito al Governo il potere di approvare solamente le modifiche strettamente necessarie per adeguare il Testo Unico dell’edilizia alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 del medesimo articolo, l’Articolo 13, settimo e ottavo comma, del conseguente Decreto Legislativo n. 301/2002 deve essere interpretato nel senso che le Regioni possono estendere l’applicazione della Denuncia di Inizio di Attività agli interventi di nuova costruzione, solo in presenza di una pianificazione di dettaglio. • e) Inoltre, “ la generale liberalizzazione dei titoli edilizi sembra che possa determinare una disparità di trattamento tra Regioni a causa dell’omessa individuazione” dei princìpi fondamentali cui la legislazione regionale deve attenersi. • f) Si prospetta altresì “ un’irragionevolezza della disciplina ex Art. 3 Cost., poiché si disciplinano con regimi giuridici dagli effetti diversi situazioni eguali ovvero si consente un regime semplificato per interventi edilizi complessi, dando luogo ad una depenalizzazione, introdotta dalla legislazione regionale, di quei tipi di interventi edilizi, assentibili, in virtù della legislazione statale, solo con il permesso di costruire, non sostituibile (...) con l’alternativa D.I.A., giacché è necessario un procedimento amministrativo preventivo più complesso e maggiormente attento all’esercizio della discrezionalità amministrativa o tecnica” . • g) “ È configurabile, anche, la violazione degli Artt. 25, 97 e 117 della Costituzione per inosservanza dei princìpi fondamentali in materia di governo del territorio (...) ed in tema di giusto procedimento tramite D.I.A., di potestà legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale e, quindi, della riserva statale in materia penale e del principio di buon andamento della P.A.” . Come si vede, la carne al fuoco è tanta, e per gli operatori del settore un rapido intervento chiarificatore della Corte Costituzionale, più ancora che auspicabile, è assolutamente indispensabile. W. F.

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in particolare ne stabiliva l’applicabilità anche agli “ interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni planivolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti” (lettera “ c” ). Il successivo dodicesimo comma statuiva poi che “ le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno alla data di entrata in vigore della presente legge” , e che “ le regioni a statuto ordinario, con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione o ad autorizzazione edilizia” ; il quattordicesimo comma disponeva infine che “ il Governo è delegato ad emanare (...) un decreto legislativo volto a introdurre nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13” . A questo punto interveniva l’Articolo 13.7 della Legge 1° agosto 2002 n. 166, il quale modificava il dodicesimo comma poc’anzi riportato. Per effetto di tale modifica, il dodicesimo comma veniva ad assumere la seguente configurazione: “ le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno alla data di entrata in vigore della presente legge, salvo che le leggi regionali emanate prima della entrata in vigore delle presente legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c), e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici. Le regioni a statuto ordinario possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente” . Investita della questione di costituzionalità di questa disposizione, con Sentenza n. 303 del 1° ottobre 2003 la Corte Costituzionale ne riconosceva la legittimità affermando che “ le fattispecie nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla realizzazione delle opere con Denuncia di Inizio di Attività a scelta dell’interessato integrano il proprium del nuovo principio dell’urbanistica: si tratta infatti (...) di interventi edilizi di non rilevante entità o, comunque, di attività che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici” . Nel frattempo comunque il Governo, in attuazione della delega conferitagli dall’Articolo 1.14 della Legge n. 443/2001, aveva approvato il Decreto Legislativo 27 dicembre 2002 n. 301, il quale aveva riscritto integralmente l’Articolo 22 del Testo Unico dell’edilizia. In particolare, tale articolo stabilisce ora che: • è possibile realizzare mediante Denuncia di Inizio di Attività anche “ gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati (...) che contengano precise disposizioni planivolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti” (terzo comma, lettera “ b” ), nonché “ gli interventi di nuova costruzione, qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni planivolumetriche” (terzo comma, lettera “ c” ); • “ le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti” (quarto comma). Sembrava quindi che la “ super-D.I.A.” lombarda fosse stata “ messa in sicurezza” , ma la Corte di Cassazione si è dichiarata di opinione diversa, e con l’Ordinanza n. 2956/2004 ha sostenuto che l’Articolo 4.3 della Legge Regionale n.


Strumenti a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Leggi G.U n. 205 del 1.9. 2004 - Serie generale Deliberazione 14 luglio 2004 Applicazione del criterio di offerta economicamente più vantaggiosa - Richiesta di parere (Deliberazione n. 133) L’ aut orit à per la vigilanza sui lavori pubblici ha espresso in t ale determinazione il parere relativamente alla richiesta presentata dall’OICE - Associazione delle organizzazioni di ingegneria, di architettura e di consulenza tecnico-economica - riguardante la procedura per l’affidamento di servizi di ingegneria da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con indicazione delle modalità di presentazione dell’offerta. G.U. n. 205 del 1.9.2004 - Serie generale Determinazione 28 luglio 2004 Chiarimenti in merito ai lavori di manutenzione ed ai contratti aperti (Determinazione n. 13/ 2004) L’Autorità risponde nella determinazione alle richieste presentate dall’Associazione Nazionale Comuni d’Italia (ANCI) dell’Emilia e Romagna in ordine ad alcuni problemi che si presentano negli appalti di manutenzione e nei contratti aperti previsti dall’Art. 154 del Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 e successive modifiche, nonché in ordine alla possibilità di ricorrere per questi lavori all’appalto integrato di cui all’Art. 19, comma 1, lettera b) della Legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche ed all’Art. 140 del Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 e successive modifiche. G.U. n. 209 del 6.9.2004 - Serie generale Direttiva 25 agosto 2004 Criteri di progettazione, installazione, verifica e manutenzione dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali La presente direttiva tratta, in relazione al comune impegno sul tema della sicurezza stradale, principio ispiratore del piano nazionale della sicurezza stradale, predisposto dal Ministero ed approvato dal CIPE nel novembre 2002, delle misure di prevenzione cui attenersi nell’ambito della progettazione in relazione alle condizioni di efficienza e di manutenzione dei dispositivi di ritenuta, con particolare riferimento alle modalità di installazione. G.U. n. 217 del 15.9. 2004 - Serie generale Circolare 6 settembre 2004 Interpretazione in materia di inquinamento acustico: criterio differenziale e applicabilità dei valori limite differenziali La seguente circolare definisce le finalità primarie di garantire una continuità nella protezione territoriale dall’inquinamento acustico quale criterio guida interpretativo principale alla luce del quale analizzare la questione dell’applicabilità dei valori limite differenziali. G.U. n. 224 del 23.9.2004 - Serie generale Decreto 17 settembre 2004 Individuazione dei beni immobili di proprietà dello Stato Il Direttore dell’Agenzia del Demanio decreta all’Art. 1 che sono di proprietà dello Stato i beni immobili individuati nell’allegato A, facente parte integrante del presente decreto. All’Art. 2 il presente Decreto ha effetto dichiarativo della proprietà degli immobili in capo allo Stato e produce ai fini della trascrizione gli effetti previsti dall’Art. 2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi dell’iscrizione dei beni in Catasto. L’Art. 3 definisce che, contro l’iscrizione dei beni nell’elenco di cui all’Art. 1 è ammesso ricorso amministrativo all’Agenzia del demanio entro sessanta giorni dalla pubblicazione del presente Decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, fermi gli altri criteri di legge.

L’Art. 4 stabilisce che gli uffici competenti provvederanno, se necessario, alle attività di trascrizione, intavolazione e voltura. L’Art. 5 afferma che eventuali accertate difformità relative ai dati catastali indicati non incidono sulla titolarità del diritto sugli immobili. L’Art. 6 dichiara la possibilità di emanare ulteriori decreti relativi ad altri beni di proprietà dello Stato. G.U. n. 38 del 25.9.2004 - 3a Serie speciale Legge Regionale 13 maggio 2004, n. 7 M odifica alla Legge Regionale 2 maggio 1980, n. 28 (Norme concernenti l’abusivismo edilizio ed il recupero dei nuclei edilizi sorti spontaneamente). Disposizione transitoria Il Presidente della Giunta Regionale promulga la seguente legge. L’Art. 1 riguarda le modifiche alla Legge Regionale 2 maggio 1980, n. 28: “ Norme concernenti l’abusivismo edilizio ed il recupero dei nuclei edilizi sorti spontaneamente” e successive modifiche. L’Art. 2 si riferisce alla disposizione transitoria, ed in particolare che sono fatte salve le perimetrazioni eventualmente adottate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge in difformità alle norme previgenti, purché non in contrasto con le modifiche introdotte dall’Art. 1. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 36 del 31 agosto 2004 D.g.r. 30 luglio 2004 - n. 7 18476 Variante generale al Piano territoriale di Coordinamento del Parco regionale delle Groane approvato con L.R. 43/ 88 (ai sensi dell’Art 19, comma 2 della L.R. 30 novembre 1983, n. 86 e successive modificazioni) Il titolo I° del presente Decreto tratta le disposizioni generali; il titolo II° delle norme generali di tutela; il titolo III° dell’azzonamento; il titolo IV° delle norme particolari di settore; il titolo V° delle norme finali e transitorie. C. O.


Appalti Appalti, dalla Comunitaria il testo unico. Nella delega per recepire le direttive via la riforma della 109 (da “ Edilizia e Territorio” del 27.9.2004 e del 2.10.2004) È stato approvato l’emendamento avanzato dal Governo alla Direttiva Comunitaria con i seguenti risultati: un testo unico per gli appalti di lavori, servizi e forniture, sia dei settori tradizionali che di quelli speciali e un’ampia delega al Governo per semplificare le gare sotto soglia. La parte di emendamenti che consentiva anche di rivedere la Legge 109 è stata stralciata. Edilizia Fondo antisismico, pronti 65 milioni per le verifiche su immobili statali (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 38/2004) L’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 settembre 2004, n. 3376, sblocca i 32,5 milioni per ciascuno degli anni 2004 e 2005 del fondo per interventi straordinari antisismici gestito dalla Protezione civile e riservato agli immobili statali. Il nuovo provvedimento assegna 90 giorni per richiedere i contributi per le verifiche di staticità sugli edifici pubblici statali. Fisco Stretta sugli studi di settore. Per ingegneri, architetti e geometri la revisione obbligatoria scatterà nel 2005 (da “ Edilizia e Territorio” dell’11-15.10.2004) Le novità di maggior rilievo introdotte in materia di accertamento dal disegno di legge relativo alla finanziaria per il 2005 sono: revisioni periodiche degli studi di settore e relativa applicazione in sede di accertamento anche per i contribuenti in contabilità ordinaria; possibilità di accertamenti successivi a quelli basati sugli studi di settore, anche nella stessa categoria di reddito. Introdotto l’aggiornamento automatico ogni quattro anni. Opere pubbliche M axiopere, decide lo Stato. Con la riforma costituzionale viene riscritto l’Articolo 117 (da “ Edilizia e Territorio” del 27.9.2004 e del 2.10.2004) Le grandi reti strategiche di trasporto e navigazione nazionale, la sicurezza sul lavoro, l’ordinamento delle professioni intellettuali, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia saranno di esclusiva competenza statale. La Camera ha approvato l’emendamento della maggioranza che riscrive l’Articolo 117 della Costituzione, riportando al centro molte delle competenze che erano state assegnate alla legislazione concorrente dalla riforma del Titolo V. Professione È legittimo non pagare il progettista se manca il finanziamento dell’opera. M a la Pubblica Amministrazione deve adoperarsi per avere i fondi (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 36/2004) La clausola di un contratto che condiziona il pagamento dell’onorario del progettista all’esistenza del finanziamento dell’opera secondo i giudici della Corte di Cassazione è ammissibile. Nello stesso tempo la Corte di Cassazione (sezione I, sentenza 28 luglio 2004, n. 14198) ha rilevato che la pubblica amministrazione ha il dovere di attivarsi in modo adeguato per ottenere il finanziamento dell’opera. Riforma, è pronto il nuovo testo. Gli Ordini allo Stato. Previdenza garantita per i senza Albo (da “ Italia Oggi” del 6.10.2004) Le principali novità contenute nel nuovo testo di riforma delle profes-

sioni sono in sintesi: le professioni con l’esame di Stato passano dalla competenza delle regioni a quella dello Stato; saranno istituiti uno o più enti previdenziali per l’erogazione delle pensioni dei professionisti non iscritti ad un Albo; probabile eliminazione della commissione istruttoria del Ministero della Giustizia che aveva voce in capitolo sull’organizzazione delle professioni in ordini o associazioni. Tariffe, i dubbi di Palazzo Spada sul salvataggio degli incrementi. Alla consulta il ripescaggio del DM del 2001 (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 38/2004) Il Consiglio di Stato ha rimesso al vaglio della Corte Costituzionale la legittimità dell’Articolo 7, (comma 1, lettera i) della Legge 166/2002 che salvava il contenuto del DM 4 aprile 2001, dopo che questo era già stato annullato dal Tar Lazio. Secondo il Consiglio di Stato l’operazione viola il principio di separazione dei poteri e rende blindate le attuali tariffe senza porre alcun termine. Riqualificazione urbana Pronta la “Legge obiettivo” per le città. Il ministero delle Infrastrutture ha messo a punto il testo destinato a entrare in finanziaria o a diventare un collegato (da “ Il Sole 24 Ore” del 15.9.2004) La bozza di “ Legge obiettivo” è pronta. Manca da affrontare il nodo delle risorse che dovranno affluire al “ fondo pilota pubblico-privato” , nome che compare nel Dpef approvato dal Governo ad agosto. Nell’allegato sulle infrastrutture il punto 9.10 è dedicato alle città. Lo strumento legislativo richiede un totale di fondi per 945 milioni di euro, e contiene molte iniziative in materia urbana: i fabbisogni per i piani di riabilitazione urbana (“ riqualificazione delle periferie” e “ riqualificazione di ambienti urbani in declino” ), il programma Urban, i piani di mobilità urbana. Ristrutturazioni Se la ristrutturazione amplia i volumi il lavoro diventa di nuova edificazione (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 37/2004) Il Consiglio di Stato tenta una definizione dell’intervento di ristrutturazione con la sentenza n. 5792 depositata il 7 settembre dalla IV sezione, che legittima l’annullamento da parte di un Comune di una concessione edilizia. Se l’intervento edilizio prevede anche la realizzazione di volumi edilizi oltre che le demolizioni e ricostruzioni dell’esistente, non si rientra più nella ristrutturazione, ma nella nuova edificazione. Urbanistica Riforma urbanistica, primo sprint. Approvati alla Camera quattro articoli della legge per il governo del territorio: l’obiettivo è di chiudere a gennaio (da “ Il Sole 24 Ore del 13.10.2004) La commissione Ambiente ha approvato i primi quattro articoli che costituiscono la cornice delle competenze legislative statali e regionali, con un rafforzamento dei poteri statali in materia di ambiente, beni culturali, pianificazione paesistica ed emergenze idrogeologiche. È con l’Articolo 5 che si comincia a parlare propriamente di pianificazione urbanistica con il principio cardine che “ l’ente preposto alla pianificazione urbanistica è il Comune” . Alle Stu ruolo e funzioni pubbliche. Si applica la normativa sugli appalti. Le Spa sono organismi di diritto pubblico (da “ Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n.3 6/2004) Le società di trasformazione urbana sono strutture che svolgono funzioni ausiliarie degli enti locali nell’attuazione del PRG. Predispongono i progetti, attuano gli espropri ed eseguono gli interventi. Per questo il Tar Emilia Romagna (Bologna, sezione I, sentenza del 30 luglio 2004, n. 2338), seppure in modo implicito, le classifica come organismi di diritto pubblico, proponendo una lettura originale delle norme contenute nell’Articolo 120 del DLgs 267/2000 (testo unico degli enti locali). M. O.

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Dagli Ordini

M ilano a cura di Laura Truzzi Designazioni • Comune di Baranzate: richiesta di segnalazione professionista per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Sebastiano BRANDOLINI D’ADDA.

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Ordine di Bergamo tel. 035 219705

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Ordine di Brescia tel. 030 3751883

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• Comune di Cinisello Balsamo: richiesta nominativi professionisti per nomina commissione tecnica gara “ Riqualificazione e restauro Villa Forna” . Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Gianfilippo BROVIA, Massimo PARIANI, Franco PISTOCCO. • Comune di Paderno Dugnano: richiesta di segnalazione professionisti per commissione giudicatrice bando di gara d’appalto per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura relativi al recupero degli immobili denominati “Corte Stiria” a Paderno Dugnano. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Simonetta LICATA, Vincenzo MONTALDO, Antonio MONTANARI. • Impresa F.lli Carà s.n.c. di Carà Tommaso e Domenico di Pregnana Milanese (Mi): richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla costruzione di casa bifamiliare con box in Pregnana Milanese (Mi). Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Massimo ANTONICELLI, Gennaro BARATTA, Salvatore Augusto PINELLI. • T.S. Immobiliare S.r.l. di Severino Tramarin di Desio (Mi): richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di palazzina ad uso residenziale da erigersi in Desio (Mi). Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Maurizio CUNIOLO, Fabio Massimo DE CASTIGLIONI, Giacomo MORI. • Impresa Edile I.C.G. S.r.l di Mediglia (Mi): richiesta terna per collaudo strutturale relativo al recupero di sottotetto in Melegnano (Mi). Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Roberto FOCARDI, Enrico RIGAMONTI, Luca VIVIANI. Ricordo di Lodovico Barbiano di Belgiojoso Lo scorso 11 ottobre la sede dell’Ordine degli Architetti ha accolto grandi personalità del mondo politico, culturale ed accademico per ricordare l’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso, scomparso a Milano il 10 aprile 2004. Ha introdotto la serata l’architetto Daniela Volpi, Presidente dell’Ordine, con l’invito ad affrontare la

serata, oltre che come ricordo di un grande architetto milanese, anche come l’occasione di una costruttiva riflessione sulle nostre radici. Ugo Rivolta, Vice Presidente dell’Ordine e coordinatore della serata, ha tra l’altro sottolineato il ruolo centrale di Belgiojoso nello studio BBPR grazie alla sua predisposizione all’equilibrio ed alla mediazione. L’Onorevole Giuliano Urbani, Ministro per i Beni e le Attività Culturali, interessato ad approfondire la conoscenza dell’architetto milanese, per il quale ha proposto due anni fa al Capo dello Stato la medaglia d’oro della Repubblica – ottenendola – ribadisce come lo Studio BBPR abbia rappresentato una vera e propria scuola di qualità. Per questo il Ministro coglie l’occasione della serata per annunciare che la legge da lui proposta due anni fa sulla qualità architettonica è oggi all’esame della commissione cultura del Senato. Per il Ministro è difficilissimo stabilire cosa sia la qualità architettonica, ma non impossibile, soprattutto in quelle architetture dense di personalità che ci riportano a Belgiojoso, con una citazione: “ una casa ha da essere prima di tutto una casa” . L’intervento del Prof. Giulio Ballio, Rettore del Politecnico di Milano, ripercorre in un momento gli insegnamenti ricevuti dallo studio di via dei Chiostri che aveva conosciuto e frequentato grazie alla mamma che era prima cugina di Rogers: il senso della libertà, l’onestà e l’indipendenza intellettuale. Antonio Monestiroli, Preside della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano-Bovisa, introduce la figura dell’architetto Belgiojoso come appartenente ad una generazione, tra cui Gardella, Albini, che ha creato la “ Scuola di Milano” . Il loro fare architettura non era assolutamente accademico, ma si rifaceva a dei princìpi che applicavano molto naturalmente e con grande razionalità ad ogni tema progettuale proposto. Senza gerarchia, nello studio di via dei Chiostri, gli architetti collaboravano in quattro su ogni progetto come fossero quattro muratori. Da qui emerge il confronto, quasi crudele, con l’attualità dal soggettivismo esasperato dove un’opera è tanto più riuscita quanto è inspiegabile. Breve intervento di Cesare Stevan,

Pro Rettore Vicario del Polo Regionale della Facoltà di Architettura del Politecnico di Mantova, che erge Belgiojoso a protettore delle idee nuove e che rinnova il bel messaggio dei BBPR: “ La formazione dell’uomo architetto è fondamentale per la realizzazione dell’architettura umana” . Per Fulvio Irace, critico d’architettura de “ Il Sole 24 Ore” e Docente di Storia dell’architettura contemporanea presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, è difficile scindere “ Lodo” dallo studio, così com’è impossibile scindere la storia dal contesto: lo studio di via dei Chiostri, fondato nel 1932, è stato insieme un progetto di architettura e di vita. Belgiojoso cercava continuamente l’equilibrio nella vita come nel lavoro, cercava il dialogo con tutti e la mediazione tra la pazienza vissuta come una virtù e un carattere forte. Non dobbiamo diminuire l’intensità del ricordo: solo il filo della memoria tiene viva l’esistenza, solo così “ Lodo” continuerà a esistere e con lui la sua lezione. Testimonianza confermata da Roberto Cecchi, Capo del Dipartimento per i Beni culturali e paesaggistici, che ha conosciuto Belgiojoso, come “ controparte” , quando era alla Soprintendenza: l’architetto milanese non si poneva mai come cattedratico, addetto ai lavori, ma come cittadino che notava le trasformazioni della sua città, disponibile all’ascolto ed al dibattito. Toccante l’intervento di Gianfranco Maris, Presidente dell’ANED (Associazione Nazionale degli ex-Deportati) e amico di “ Lodo” dall’arresto, alla deportazione, fino alla sua morte. Importantissimo per lui il ruolo di Architetto della Testimonianza di Belgiojoso che ha progettato i Memoriali tra cui quello di Carpi che è divenuto il punto della memoria della storia italiana. Infine Maris ricorda la grandissima fame di giustizia di Belgiojoso che lo ha condotto dal momento dell’arresto per tutta la sua vita. Conclude la serata Raffaele Sirica, Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, con una nota, che vuol essere un appello a nome di tutti gli architetti italiani, sulla Legge della qualità architettonica accennata dal Ministro Urbani: l’Italia, che ha vissuto 500 anni da protagonista e gli ultimi dieci da Cenerentola, torni a garantire la qualità architettonica come diritto per tutti i cittadini.


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a cura di Manuela Oglialoro Architettura Arti e Architettura agli antipodi della Biennale (da “ la Repubblica” del 29.9.04) Si è aperta a Genova la mostra “ Arti e Architettura 1900/2000” , un’iniziativa di grande respiro, che declina attraverso un numero imponente di opere il confronto tra le due discipline così come si è manifestato nel corso del Novecento fino ai giorni nostri. La mostra è ospitata a Palazzo Ducale ma si dirama anche nella città, attraverso venti installazioni disseminate in alcune delle più suggestive corti genovesi lungo via Garibaldi. M usei In un hangar alla Bicocca il polo dell’arte. Lo spazio Pirelli potrebbe ospitare il M useo del contemporaneo. Fermo il piano alla Bovisa per la città della cultura (dal “ Corriere della Sera” del 26.9.04) Con l’esposizione de “ I sette palazzi celesti” dell’artista Anselm Kiefer, tenutasi all’interno dell’ex padiglione industriale della Pirelli alla Bicocca, di fatto si è inaugurato il nuovo polo espositivo milanese per le installazioni d’arte contemporanea e tutte le forme d’arte che non possono trovare spazio nelle sedi espositive tradizionali. Il Comune aveva già indicato la zona degli ex gasometri della Bovisa come sede del Museo del contemporaneo, ma il progetto non è partito poiché la bonifica delle aree non è stata ancora eseguita. Si profila quindi la scelta di questo spazio di 15 mila mq alla Bicocca, in alternativa a quello della Bovisa. Un artista sfuggente restituisce a Brera il ruolo che le spetta (dal “ Corriere della Sera” dell’11.10.04) Con la mostra Fra Carnevale. Un artista rinascimentale da Filippo Lippi a Piero della Francesca la Pinacoteca di Brera conferma il suo prestigio internazionale, grazie alla fattiva collaborazione con i maggiori musei di qua e di là dell’Atlantico. Questo avvenimento offre anche l’occasione per riflettere sul ruolo di questa importante istituzione cittadina in relazione alle notizie del trasferimento della Pinacoteca negli ampi spazi attualmente affidati all’Accademia. M useo Diocesano, i tesori della città (dal “ Corriere della Sera” del 17.9.04) Il Museo Diocesano è stato completamente rinnovato, dopo soli tre anni dalla nascita, con nuove sale espositive, nuove disposizioni delle opere e con un percorso multimediale che, già dall’ingresso del museo, proietta il visitatore in “ un’atmosfera spirituale ed artistica” . “ Questa non è una galleria come tutte le altre – dichiara il direttore, Paolo Biscottini – è un Museo ‘diocesano’, un aggettivo del quale non dobbiamo avere paura, perché indica un luogo nel quale è possibile ammirare il patrimonio artistico della Chiesa” . Paesaggio Ecomostri via, ma condono nelle zone protette (dal “ Corriere della Sera” del 14.10.04) Rispunta, anche se limitato ad abusi minori, il condono edilizio in aree paesaggistiche tutelate. È contenuto nel maxiemendamento che assorbe tutto il disegno di legge di delega per l’ambiente. Nel testo è prevista anche una misura speciale per giungere alla demolizione degli ecomostri come Punta Perotti a Bari.

Politecnico

37 Il Rettore del Politecnico: aiuti dal governo o saremo costretti a ridurre gli iscritti (dal “ Corriere della Sera” del 12.10.04) Il Rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, ha voluto inaugurare il 142o anno accademico sotto un tendone, montato nella sede che sta sorgendo alla Bovisa, per testimoniare la solitudine in cui viene lasciata l’università italiana a livello di fondi. Il Rettore ha sottolineato che, se perdura questo stato di cose, il Politecnico sarà costretto a ridurre il numero di iscrizioni. Risorse Terra, pianeta troppo sfruttato. Risorse per meno di 50 anni (da “ la Repubblica” del 22.10.04) È stato presentato nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra il Living Planet Report 2004 del Wwf. Il Rapporto denuncia che l’uomo consuma in media il 20% delle risorse in più rispetto alle capacità di rigenerazione della Terra. Questo stile di vita ha già lasciato delle pesanti tracce, negli ultimi trent’anni sono diminuite più del 40% delle specie terrestri, di acqua dolce e marina, a causa della domanda di cibo, acqua ed energia della popolazione mondiale. Se nessuno fermerà questa corsa alla distruzione, secondo le previsioni più fosche, entro 50 anni le risorse del pianeta saranno esaurite. Sociologia Città, come cambia e come ci cambia la vita (da “ la Repubblica” del 22.10.04) Mobilità, trasporti ed esclusione sociale nella città sono i temi della terza edizione di Mobility Venice, il forum internazionale che si tiene a Venezia organizzato dal Mobility Venice, un osservatorio internazionale sul trasporto pubblico creato, tra gli altri, dall’Arci. Guido Martinotti, responsabile scientifico del forum, viene intervistato sulla svolta epocale avvenuta nel 2000: gli esseri umani che vivono in città hanno superato quelli che vivono in campagna. Questa svolta arriva al termine di un processo di urbanizzazione che potrebbe essere incominciato sessanta secoli fa. Attualmente si sono prodotte trasformazioni territoriali in cui non è più possibile distinguere tra città e campagna, ma si assiste a concentrazioni territoriali che hanno cambiato la stessa forma della città.

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Rassegna


Riletture a cura di Antonio Borghi Vecchia M ilano Due articoli usciti alla metà ottobre guardano all’evoluzione della Milano degli ultimi decenni giungendo a simili conclusioni. Il primo, pubblicato sul “ Corriere della Sera” del 14 ottobre a firma di Beppe Severngnini, si intitola Ripensare Milano con le parole di Gaber e inizia

Le réclames, trentacinque anni dopo, sono ancora più grandi, ma adesso non si chiamano più così: sono installazioni, impalcature, poster inquietanti (una sera di pioggia ho intravisto un milanista alto dieci metri dalle parti di via dell’Orso: ma vi pare possibile?). I magazzini hanno subìto una mutazione genetica: ora si chiamano ipermercati e megastore, e stanno sulle strade d’uscita, che invece non sono diventate più grandi. Anche i grattacieli sono rimasti quelli. Quelli nuovi stanno sui plastici degli architetti, ma non è escluso che i nostri pronipoti pos-

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citando il testo di una sua magnifica canzone. Com’è bella la città, com’è grande la città, com’è viva la città, com’è allegra la città. Piena di strade e di negozi e di vetrine piene di luce, con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce. Con le réclames sempre più grandi, coi magazzini, le scale mobili, coi grattacieli sempre più alti e tante macchine sempre di più. Così cantava Giorgio Gaber nel 1969. Indubbiamente, se ne intendeva: a trent’anni era riuscito a riassumere, in modo poetico e preciso, il fascino e i limiti di Milano. (...) Vediamo, guidati dalla canzone, come se la passa Milano, trentacinque anni dopo. Bella è ancora bella, e attraente: non è, per fortuna, una città-velina che piace a tutti, ma di cui nessuno s’innamora. Grande, è grande: una metropoli spiaccicata nella pianura, con un centro sexy, e una periferia mal servita e vogliosa. Viva, è viva: penso sia la città più generosa d’Italia con gli immigrati (da Cremona o da Crotone: fa lo stesso). Di certo, Milano è allegra: basta avere soldi in tasca, due gambe che funzionano e non dover telecomandare un bambino sui marciapiedi ingombri. Di sicuro, la città è piena di strade e di negozi, ma non se la passano bene (troppa gente, troppo poca gente). È indiscutibile che, ancora oggi, ci sia tanta gente che lavora e tanta gente che produce. Quello che trova in busta-paga, però, è meno entusiasmante d’un tempo: lo stipendio medio permette d’avvicinarsi alla vetrine piene di luci, ma non di più.

sano cenare all’ultimo piano, come a Varsavia e a Monaco di Baviera. Rimangono le macchine: sempre di più, come aveva previsto il signor G. Neppure lui, però, poteva immaginare i metodi preistorici con cui gli amministratori di Milano – non da oggi – tentano di regolare il parcheggio. Prendete il “ panettone” , dolce nome milanese rifilato a un orrendo manufatto in cemento: dovrebbe impedire la sosta, invece serve solo a restringere la carreggiata (la gente sosta comunque, occupando la strada). Pensate agli archetti metallici (gialli! ) messi a proteggere i marciapiedi: non li proteggono (la gente sale sfruttando un passo carraio), ma impediscono la fermata, che pure è prevista dal codice della strada. Anzi, no: la gente si ferma comunque, ma senza accostare, rallentando il traffico (chiedere ai taxisti, che si stanno giocando il purgatorio a furia di tirare accidenti). Cosa dire, infine, dei grandi fuoristrada che occupano tutta la strada e, quando si fermano, prendono due posti in parcheggio? E dei proprietari quarantenni che gridano alla violazione dei diritti dell’uomo, se qualcuno suggerisce di limitarne la circolazione? Diciamolo: sono più seri i guidatori dei TIR. Non possono posteggiare in via Manzoni, eppure non si lamentano. Scriveva il signor G.: “ La mia generazione ha perso.” Be’: la nostra, per adesso, pareggia. Ma, girando per Milano, penso che rischierà nel finale. Il secondo articolo riguarda un’intervista a Gillo Dorfles tratta dal numero 22 del mensile gratuito “ Chia-

mamilano” , sul cui bellissimo sito www.chiamamilano.it si trovano raccolti, oltre al notiziario, le inchieste e le interviste, anche moltissime segnalazioni, proposte e progetti dei cittadini, comitati e associazioni ben ordinati su una mappa interattiva della città. L’intervista si intitola: Milano: alla ricerca della bellezza perduta ed è a cura di Beniamino Piantieri e David Pasquali. • È inevitabile, parlando con Lei, iniziare dall’estetica di Milano. Nel sentire comune se si dice Milano, “bellezza” non risulta certo tra i primi concetti che vengono in mente (...) • Indubbiamente Milano non è considerata, in Italia e all’estero, come esemplare del concetto di bella città. Una bella città è solitamente attraversata da un grande fiume, grandi parchi, bellezze naturali. Peraltro Milano ha rovinato la propria bellezza. Stendhal diceva che Milano era la più bella città d’Italia ed evidentemente se lo diceva aveva buone ragioni per farlo. Milano è stata una città piena di giardini segreti, di corsi d’acqua come i navigli. Milano è stata quindi una bella città, basti pensare alle sue meravigliose basiliche come San Simpliciano, Sant’Eustorgio, Sant’Ambrogio. Poi man mano è diventata una città dell’industria e si è dimenticata di essere una città con grandi bellezze artistiche. Oggi Milano ha le potenzialità per ritornare ad essere una bella città, soprattutto se terrà conto che la città è l’intera area metropolitana che può vantare grandi aree verdi come il parco del Ticino, il Parco delle Groane, il Parco dell’Adda. • Si potrebbe dire che nell’attraversare le proprie trasformazioni, Milano non riesca a portare con sé la bellezza del passato poiché è troppo impegnata a guardare il futuro? • Sarebbe una fortuna se guardasse solo avanti. Ma Milano guarda indietro, costruisce indietro piuttosto che avanti. Il grande difetto di Milano oggi è di non fare quello che hanno fatto Barcellona, Francoforte o Madrid, cioè di sviluppare l’architettura, che Milano aveva iniziato a sviluppare nel secondo dopoguerra con edifici come la Torre Velasca, il grattacielo Pirelli, il Palazzo dell’Olivetti in via Clerici, solo per fare degli esempi. Milano nell’immediato dopoguerra si era preoccupata di darsi una nuova architettura d’avanguardia. Da oltre un trentennio, salvo che vengano eseguiti i grandi progetti di cui si parla e che sono tutt’altro che sicuri, non vengono costruiti edifici d’avanguardia. Il grande difetto della Milano attuale è di non aver sviluppato, come invece è accaduto in molte altre città europee, nuove aree cittadine con aree di costruzioni architettonicamente importanti. Ciò è tanto più grave se pensiamo che Milano è considerata, giustamente, capitale del design e della moda. Questa carenza si ripercuote anche sulla vita sociale della città che è estremamente arida e vissuta per lo più al chiuso. Quando si torna da altre

città italiane o europee si rimane colpiti dalla mancanza di vivacità nelle strade. • Anche il mondo della cultura milanese sembra essere assai meno vivace di qualche decennio fa (...) • Basta pensare alla Milano degli anni ’60 nella quale c’erano punti di ritrovo quasi quotidiani come il Blu Bar di piazza Meda dove mi incontravo con Anceschi, Montale, Sereni, oppure la libreria Aldrovandi di via Manzoni, o le strade di Brera dove era facile incontrare gli artisti. Questi luoghi sono venuti a mancare. Se poi guardiamo alle arti figurative, per le quali nel corso del XX secolo Milano è stata la culla delle avanguardie il panorama è sconfortante. • Quindi si coglie nel segno quando si parla di Milano come città ripiegata su se stessa, affaticata? • Affaticata dal non fare un bel niente. Se pensiamo a quello che ha fatto Torino nel campo dell’arte: il Museo di Rivoli, il Museo di Arte Moderna, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Palazzo Bricherasio, solo per citare le prime cose che mi vengono in mente. Lo stesso si potrebbe dire per Roma: per non parlare poi dell’estero. A Milano sono quarant’anni che si parla del Museo del Design ed è ancora sulla carta. Ma ciò che è più grave è che nonostante le moltissime collezioni private Milano non ha un museo d’arte contemporanea e il progetto dell’Arengario non può essere che definito meschino se pensiamo che potrà contenere duecento o trecento pezzi, mentre Milano ne ha pronti per essere esposti almeno 3.000. Altra necessità non più rinviabile è la sistemazione del Castello, che al di là della ottima recente risistemazione dei mobili antichi curata dallo studio King e Miranda, necessita di un intervento complessivo. • M ilano ama considerarsi una grande città europea. Più presunzione o più realtà? • Sicuramente più presunzione. Basta visitare non solo le grandi capitali, ma anche le altre grandi città del nostro continente per comprendere quanto Milano sia lontana dall’essere una grande città europea. Voglio fare un esempio molto concreto: l’insufficienza della rete metropolitana il cui impianto di base risale a cinquant’anni fa. Milano dovrebbe avere una metropolitana che estendendosi all’ambito provinciale ed oltre riuscisse a ridurre drasticamente il traffico privato dei pendolari. • Milano è stata una capitale dell’architettura, della cultura, dell’arte. Ad un certo punto tutto ciò è venuto meno. Perché? • Quando Milano ha smesso di essere una capitale industriale e si è trasformata in una capitale del terziario avanzato ha vissuto questo trapasso con scarsa vitalità dando luogo così a una involuzione, salvo per quanto riguarda i settori del design, della moda e dell’editoria.


Libri, riviste e media a cura della Redazione

di Carlo Gandolfi e Giulia Miele F. La Cecla, P. Zanini Lo stretto indispensabile. Storie e geografie di un tratto limitato Mondadori, Milano, 2004 pp. 250, € 20,00 R. Palma, C. Ravagnati (a cura di) Macchine nascoste. Discipline e tecniche di rappresentazione nella composizione architettonica Utet, Torino, 2004 pp. 226, € 22,40 Adriano Gentili Tipologie residenziali. Idee e progetti Kappa, Roma, 2004 pp. 200, € 23,00 Richard Weston Planimetrie, sezioni e prospetti delle pietre miliari del XX sec Logos, Modena, 2004 pp. 102, € 34,95 Raffaella Laezza Peter Eisenman. Città della Cultura della Galicia, Santiago de Compostela Unicopli, Milano, 2004 pp. 96, € 10,00 Alessandro De Magistris High rise. Percorsi nella storia dell’architettura e dell’urbanistica del XIX e XX secolo attraverso la dimensione verticale Utet, Torino, 2004 pp. 106, € 21,00 D. Pini, F. Boschi (a cura di) Stazioni ferroviarie e riqualificazione urbana Editrice Compositori, Bologna, 2004 pp. 224, € 34,00 G. Cristoforetti, H. Ghiara, S. Torre Genova. Guida di architettura moderna Alinea, Firenze, 2004 pp. 250, € 18,00 Alfonso Acocella L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi Lucense-Alinea, Firenze-Lucca, 2004 pp. 624, € 120,00 AA. VV. Barriere architettoniche. Regole internazionali Hpress, Monza, 2003 pp. 178, € 15,00 info.: tel. 039 380475

Milano ottocentesca in letteratura

Inquadrare Carlo Mollino

Deserti urbani

Per quale ragione un libro di letteratura su una rivista per architetti? Per rispondere ai molteplici interessi della categoria, ma anche perché di recente la letteratura ha prodotto volumi sulla storia dei luoghi che offrono spunti di grande valore per la progettazione. È il caso del testo di Giovanna Rosa, una raccolta di saggi che, con i metodi e gli strumenti propri della critica letteraria, mette in luce i caratteri peculiari dello spirito milanese e lombardo. Da Porta a Manzoni, da Boito a De Marchi, la letteratura dell’800 ha avuto spesso un rapporto contraddittorio con Milano. Da una parte, molti letterati hanno subìto la fascinazione di una città che rappresentava le magnifiche sorti e progressive dell’Ottocento come nessun’altra in Italia: una fascinazione ambigua, sempre sull’orlo di rovesciarsi in sostanziale rifiuto delle dinamiche economiche, dell’onnipotenza del denaro. Dall’altro, proprio il pubblico dei lettori locali, compiaciuto protagonista di quelle stesse dinamiche, manifestava talvolta un sostanziale rifiuto – o quanto meno una presa di distanza – proprio dal contenuto critico di quegli stessi testi: si pensi ai brani più marcatamente dissacratori di Porta o Boito. “ Milan del ghel” , del mercantilismo dominano dunque le dinamiche di sviluppo sociale e l’immaginario di quello scorcio dell’800. Non è un caso che il cuore spirituale della città ambrosiana, il Duomo, e persino la piazza antistante – che in quegli anni vedeva l’opera di ridisegno di Giuseppe Mengoni – facciano solo rare comparse nella narrativa del tempo. Sono piuttosto la Scala, la Galleria, le stesse banche a costituire lo sfondo di tante narrazioni coeve. Una situazione di crisi ma che in fondo possiamo invidiare, oggi che la Milano delle banche informa di sé lo sviluppo della città senza grandi obiezioni da parte di una cultura letteraria che in questo campo appare poco più che afona.

Il sottotitolo del libro di De Giorgi è La casa è una conchiglia, citazione tratta da un testo dattiloscritto che lo stesso Mollino compose nel 1959 per una trasmissione radiofonica, e che rappresenta lo sforzo molliniano di raccontare in casa d’altri il proprio concetto di spazio domestico. Gli interni molliniani erano concepiti esclusivamente per il proprio cliente; Mollino lo conosceva, lo frequentava. Egli non comprese mai il recapito ultimo del disegno industriale di oggetti domestici, che trasforma il bisogno in serialità. Mollino non comprendeva il progetto per un cliente senza volto e per un oggetto senza luogo. Gli ambienti erano colti, ma non troppo, sfacciati, ma non volgari, sensuali, ma severi nella loro intenzionalità (non progetta forse Mollino per una borghesia torinese illuminata?). Ed è proprio il disegno lo specchio del suo darsi da fare in modo furioso, la trasfigurazione in pianta del “ luogo dello scambio con il cliente” o “ luogo dei malumori dei lavori in corso” come nota l’autore del libro che rianalizza l’abitazione Devalle e le due case Minola, insieme ad un ambiente come la Sala da ballo Lutrario, la balera vicino al dopolavoro ferroviario. Ed è proprio quest’ultima che nel libro pare emergere in tutta la sua sostanza, rispetto alle ambientazioni casalinghe. La differenza risiede proprio nella diversità della committenza e l’autore del libro compie un ulteriore sforzo rispetto a quasi tutte le altre pubblicazioni proprio perché porta alla luce, con l’ausilio dell’Archivio Mollino della Facoltà di Architettura di Torino, questa incredibile opera di allestimento scenografico ancor oggi esistente nella sua concezione originaria ed utilizzata tuttora come sala da ballo.

Scenario dell’ultimo saggio di Paul Virilio, filosofo, urbanista ed esperto di nuove tecnologie, è la città contemporanea. Un testo lucido e toccante che sfreccia per associazioni d’immagini: descrizioni fisiche si stringono a dati storici e citazioni letterarie tessendo diversi livelli ermeneutici in un’ampia rete di metafore. Per tracciare la mappa dei recenti mutamenti urbani Virilio parte dalle strade di Parigi. Ma Parigi “ è un lungo piano sequenza, una carrellata di più di mille anni che porta da Lutezia, nell’Île de la Cité, all’Île-deFrance, e domani, dopodomani, fino a questa grande periferia planetaria in cui la metropolitica delle mondializzazioni succede alla geopolitica delle nazioni” . In questo denso viaggio immaginale si passa per Berlino, Dresda, Hiroshima fino a Gerusalemme, Baghdad e New York: luoghi che l’autore definisce città panico, dominate dall’esercizio strategico del terrore e segnate da un’“ estetica della scomparsa” . Virilio collega i primi attacchi aerei della storia all’odierno “ iperterrorismo anonimo” nella comune minaccia all’integrità urbana. L’“ aeropolitica” degli anni ‘20 diventa “ cosmopolitica del terrore nucleare” per giungere con Ground Zero all’immagine della città come tabula rasa. Il “ deserto” non è più in periferia, lungo il limes dell’impero, ma “ intra muros, nel centro della metropoli” . L’erede dell’antica cittàstato è onnipolis: megalopoli eccentrica, “ non-luogo senza limiti né leggi” . Il mondo muta in una metacittà fantasma “ in stato d’assedio permanente” , dove “ armi di comunicazione di massa” replicano in modo “ isterico” le stesse immagini producendo, in ogni dove, pensieri ed emozioni identici: una “ sincronizzazione” che porta a compimento la parabola iniziata con la “ standardizzazione” dell’ethos nell’era industriale, grazie a cui il “ riflesso condizionato” prende il posto della “ riflessione” .

Luciano Bolzoni

Alberta Bergomi Irina Casali

Giovanna Rosa Identità di una metropoli. La letteratura della M ilano moderna Nino Aragno, Torino, 2004 pp. 370, € 16,00

Manolo De Giorgi Carlo M ollino. Interni in piano-sequenza Abitare Segesta, Milano, 2004 pp. 168, € 21,00

Paul Virilio Città Panico Raffaello Cortina, Milano, 2004 pp. 130, € 9,80

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Informazione

Rassegna


Informazione

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La vera storia del Partenone

Progettare l’illuminazione

La storia di Gratum Solium

Saluti da Milano

“ Quando nel 1904 Sigmund Freud visitò per la prima volta il Partenone, fu sorpreso dallo scoprire che esso esisteva davvero (...) Fu come se camminando lungo il Lago di Loch Ness avesse scorto il leggendario Mostro arenato sulla riva e fosse stato quindi spinto ad ammettere che, dopo tutto, non si trattava soltanto di un mito” . Si apre così il testo che Mary Beard dedica ad uno dei più famosi monumenti della classicità: il tempio con cui architetti, letterati, intellettuali e scrittori, dopo averlo visitato, hanno dovuto inevitabilmente fare i conti. Lo studio della Beard ripercorre, facendo uso di una scrittura agile e spesse volte spiritosa, le vicende costruttive e i 2500 anni di travagliata storia di questo edificio che proprio per la sua “ grandezza” , ha avuto la possibilità, o forse l’occasione, di assistere, all’avvicendarsi di culture e religioni differenti, di volta in volta assimilandole ed adattandosi ad ognuna di esse. Quella di Mary Beard non è esclusivamente una storia “ architettonica” , un’indagine sulle trasformazioni, manomissioni, distruzioni subite dal Partenone, ma piuttosto un racconto teso a mettere in evidenza quanto la cultura classica greca abbia inciso sulla costruzione delle civiltà successive. Come, cioè, nella storia, non sia possibile costruire delle cesure nette fra i diversi momenti, ma come, al contrario, ogni civiltà si sia formata sempre a partire da una riconoscimento di quella precedente. Oltre alla storia documentata l’autrice riporta le reazioni e le impressioni dei grandi intellettuali che al Partenone si sono avvivicinati. A parte Freud, anche Virginia Woolf, Oscar Wilde, Lord Byron, Churchill, oltre a Le Corbusier (di cui viene ricordato l’ampio spazio dedicato al monumento in Verso un’architettura) ed altri fanno la loro comparsa, quali attori di una vicenda non ancora giunta a una propria conclusione.

“ La luce artificiale è una preziosa risorsa in ogni tipo di spazio costruito, ma per diventare a pieno titolo un fattore qualificane dell’habitat umano la luce deve essere progettata” . La questione del progetto, anche in un campo complesso come quello dell’illuminotecnica, rientra, secondo l’autore, all’interno di quelle attività conoscitive in cui gli strumenti e le leggi fisiche della materia di cui si occupa la disciplina sono governate da una metodologia di progetto finalizzata alla qualità della vita nei luoghi in cui essa si svolge. All’interno di questo procedimento, il progetto dell’illuminazione artificiale rientra nell’ambito del progetto di architettura come una componente necessaria alla definizione delle qualità specifiche di ogni ambiente costruito, come la luce naturale lo è stato per le architetture del passato; si pensi alla coerenza fra struttura e illuminazione nella costruzione delle cattedrali gotiche. Una coerenza interna al progetto in cui le diverse competenze tecniche contribuiscono, attraverso le specifiche conoscenze delle singole discipline, al progetto di architettura come fatto unitario, adeguato alla vita dell’uomo. Il testo si presenta come un manuale il cui la disciplina è indagata a partire dallo studio degli strumenti a disposizione del progettista, sono analizzati i vari tipi di lampade in produzione, gli apparecchi e gli impianti. La parte centrale è dedicata a come tali strumenti sono utilizzabili attraverso l’esemplificazione di un metodo di progettazione della luce, seguito da un’analisi dei campi di applicazione in ambienti interni ed esterni dove vengono esposte le motivazioni tecniche e qualitative del contributo dato dall’illuminazione alla definizione del progetto di architettura. Il testo si conclude con una sezione dedicata ai fondamenti disciplinari che stanno alla base di ogni progetto che riguardi la luce.

Molteplici possono essere le finalità di una ricerca storica che si ponga come oggetto l’indagine locale, cercando con questa di interrogare il passato e il futuro di un territorio: dal recupero della memoria, alla documentazione di fatti e vicende, alla conoscenza dei luoghi in cui si vive. La storia locale ha il pregio di richiamare valori e testimonianze dimenticati che possono suscitare il desiderio di rimpadronirci dell’eredità culturale lasciataci dai nostri territori. Questo conduce non solo all’interesse per il passato, ma anche alla possibilità di costruire responsabilmente ipotesi per il nostro futuro e quello delle prossime generazioni. Il lavoro in oggetto presenta la storia del quartiere Gratosoglio, situato a sud di Milano lungo il fiume Lambro Meridionale, posto sulla direttrice che anticamente collegava Milano e Pavia. Si tratta di un territorio il cui sviluppo è sempre stato strettamente connesso a quello del capoluogo lombardo, ma che ha mantenuto per lungo tempo il suo carattere d’insediamento legato alla compagine rurale. Ancora oggi permangono tracce di questo passato agricolo in alcune porzioni di territorio che hanno conservato i caratteri del paesaggio agrario e che oggi ricadono all’interno del Parco Sud. Il libro ripercorre la storia del Gratosoglio dalle antiche origini, risalenti all’Età del Bronzo, attraverso le trasformazioni delle località storiche dai nomi familiari, quali “ Ronchetto” , Moncucco, Stadera, Chiesa Rossa, fino alla sua aggregazione, nel XVIII secolo, ai Corpi Santi di Porta Ticinese, per arrivare alla sua annessione al Comune di Milano e alla configurazione urbana attuale.

Aldo Nove scrive una “ guida d’autore” , genere che indica un rinnovato interesse da parte della letteratura per la città come oggetto di descrizione – si veda, ad esempio, Portland Souvenir di Chuck Palahniuk del 2003, libro che ha un rapporto analogico con quello di Nove – ma anche, in particolare, per Milano, ricorrente scenario narrativo nell’opera di molti autori contemporanei (Colaprico, Genna, Parazzoli, Tuzzi). Il lavoro di Nove ha suscitato interessi e polemiche, un po’ insiti nello stile del personaggio, uno dei più interessanti scrittori della letteratura italiana delle ultime generazioni. Polemiche in parte provocate da alcune approssimazioni e da una “ svista” – l’attribuzione della Torre Velasca a Ponti – di cui, peraltro, Nove ha già dato conto e che, probabilmente, dice qualcosa anche su mancate procedure di verifica editoriale. Al di là di tutto ciò, il libro rappresenta uno sguardo particolare su Milano, affidato a determinati temi, anche poco convenzionali come, ad esempio, “ La collinetta dell’amore e altre locations sentimentali milanesi” , “ Pornomilano” , “ Le ossa di Milano” , i “ McMilano’s” , “ My Nation Underground” (sulla metropolitana), “ Le prodigiose sorti del Moplen” (sulla fiera campionaria); oppure l’intera storia di Milano in otto pagine “ Milano tutta d’un fiato” , rapidissima corsa senza punteggiatura, alla maniera di Nanni Balestrini, dalla creazione del mondo sino al progetto della Bicocca. Citando Bonvesin de la Riva e Memo Remigi, Gadda e i fratelli Vanzina, l’itinerario di Nove indica in Milano una città in continua trasformazione. La città è paragonata al mito azteco di Axolotl: “ un dio simpaticissimo e bizzarro. Uno strano animale, un bruco che rinnega la sua propensione a trasformarsi in farfalla, ma non del tutto, ogni tanto farfalla ci diventa. Ogni tanto. Una divinità che si trasforma in pianta. Per non morire. Che diventa pesce. Che incessantemente si trasforma. Come Milano” .

Martina Landsberger

Gianni Forcolini Lighting. Lampade, apparecchi, impianti. Progettazione per ambienti interni ed esterni Hoepli, Milano, 2004 pp. 532, € 39,00

Mary Beard, Il Partenone Laterza, Roma-Bari, 2004 pp. 200, € 16,00

Manuela Oglialoro

Ilario Boniello

Achille Barzaghi Gratosoglio. Vicende storiche di Gratum Solium dalle origini al 2000 Marna, Barzago (Lc), 2004 pp. 102, € 8,00

Maurizio Carones

Aldo Nove M ilano non è M ilano Laterza, Bari, 2004 pp. 146, € 9,00


a cura della Redazione

Rassegna mostre

Rassegna seminari

Ueli Brauen Doris Wälchli 1999-2004 Cernobbio, Archivio Cattaneo via Regina 43 5 novembre - 5 dicembre 2004

Terragni. Architetto europeo. A 100 anni della nascita • 3 dicembre 2004, ore 21.00: Incontro con Gillo Dorfles, Ettore Sottsass, Guido Canella moderatore Luciano Caramel Como, Biblioteca comunale piazzetta Lucati 1 www.gt04.org • 12 dicembre 2004, ore 20.30: Eisenman Terragni Tavola rotonda introduttiva con Franco Purini e Pier Vittorio Aureli Como, ex Casa del Fascio • 12 dicembre 2004, ore 21.00: Terragni / Eisenman conferenza di Peter Eisenman: Giuseppe Terragni: trasformazioni, scomposizioni, critiche Como, ex Casa del Fascio www.gt04.org

Terragni Futuro Roma, Casa dell’Architettura piazza Manfredo Fanti 47 4-31 dicembre 2004 Charters de Almeida. La costruzione della forma tra architettura e paesaggio. Alcune Opere 1983-2004 Milano, Facoltà di Architettura Civile via Durando 10 22 novembre 2004 - 7 gennaio 2005 1990-2004. Architettura e design del Portogallo Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 12 novembre - 9 gennaio 2005 Da Giotto a Malevic. La reciproca meraviglia Roma, Scuderie del Quirinale via XXIV maggio 16 2 ottobre 2004 - 9 gennaio 2005 Mostra dell’8ª edizione Premio di architettura città di Oderzo Oderzo (Tv), Palazzo Foscolo via Garibaldi 14 27 novembre 2004 - 15 gennaio 2005 Mauritius Cornelius Escher Roma, Musei Capitolini piazza del Campidoglio 1 29 ottobre 2004 - 25 gennaio 2005 L’estetica della macchina. Da Balla al futurismo torinese Torino, Palazzo Cavour via Cavour 8 29 ottobre 2004 - 30 gennaio 2005 Spazi atti / Fitting spaces. 7 artisti italiani alle prese con la trasformazione dei luoghi. Milano, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea via Palestro 14 12 novembre 2004 - 20 febbraio 2005 Origine ed originalità dell’arte brasiliana Milano, Palazzo Reale piazza Duomo 12 29 ottobre 2004 - 23 gennaio 2005 Ettore Sottsass jr. Architettura e design Rovereto, Mart corso Bettini 43 11 dicembre 2004 - 7 marzo 2005

Costruisci la professione. II edizione Corso di aggiornamento professionale: La sicurezza sul lavoro in edilizia Milano, sede STR, via Monte Rosa 15 14 dicembre 2004 ore 9.00 - 16.00 www.edilio.it Cantieri aperti Ciclo di conferenze Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 • 22 dicembre 2004: Dominique Perrault Metropolitana di Napoli, stazione di Piazza Garibaldi • 19 gennaio 2005: Odile Decq Macro, Roma Corso sull’accessibilità ed il superamento delle barriere architettoniche Roma, Casa dell’Architettura piazza Manfredo Fanti 47 15 gennaio - 31 febbraio 2005 tel. 0697604560

Venezia rivisitata da Turner

Le geografie dell’arte

Turner and Venice Venezia, Museo Correr 4 settembre 2004 - 23 gennaio 2005

Bauhaus e Primitivo Milano, galleria ab.Origena corso Monforte 39 27 ottobre - 10 dicembre 2004

La mostra è stata realizzata dai musei civici Veneziani e dalla Tate Britain, curata da Ian Warrell, responsabile delle collezioni Tate e prodotta in collaborazione con Venezia Musei, e si compone di più di centoventi opere tra schizzi, disegni, pitture e acquarelli che in un percorso espositivo immerso nella penombra di Palazzo Correr si rivelano ai nostri occhi in una successione serrata ed emozionante. Il carattere del lavoro di quest’artista, che s’intercetta fin da subito, è il suo rapporto privilegiato, quasi mistico, con Venezia e la luce. Anche per Turner, come lo era già stato per Canaletto e poi successivamente per altri pittori e artisti d’ogni parte d’Europa e vedutisti contemporanei del Nostro (Marlow, Caffye Doyle), parlare di Venezia significa parlare di tutto: del tempo, dell’acqua, della luce, della forma e dell’occhio che la guarda. Iosif Brodskij nel libro “ Fondamenta degli incurabili” scrisse: “ Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo-alias-acqua abbia lasciato sulla terra ferma, in qualsiasi parte del globo” . E Turner sembra colga questa sfida di fissare e concretizzare quell’attimo di luce in cui tutto il Canal Grande sembra ricostruirsi per la seconda volta dentro l’acqua. Si, perché sono i luoghi monumentali della città, piazza San Marco, Canal Grande, l’isola di San Giorgio, la Dogana, che divengono soggetti poetici da indagare sempre sotto la luce unica del mattino o del crepuscolo, o addirittura nella luce buia della notte, com’è nel caso di Santa Maria della Salute. Pitture e disegni che costruiscono una narrazione, una sorta di storia delle vite e della vita di questa città, dagli interni degli alberghi fino ai luoghi della magnificenza pubblica.

Provocatoria, stimolante, ideata quasi come una delle celebri “ Finzioni” di Borges, l’esposizione curata da Davide Manfredi mette in scena l’incontro mai avvenuto fra Bauhaus e arte extra-occidentale che in quegli stessi anni, all’opposto, stava ispirando la ricerca di molte altre correnti dell’avanguardia. Opere tribali e fotografie sperimentaliste della scuola di Gropius insediano, nella galleria milanese, l’eterotopia di due universi inconfinanti, configurando uno spazio pluridirezionale che procede lungo i rettilinei del logos modernista per precipitare improvvisamente nelle profondità vertiginose del mito alla ricerca delle radici rituali della creatività. Dagli idoli africani ai pannelli architettonici indonesiani al “ workshop di disegno industriale” di G. Muche, l’itinerario espositivo diviene un viaggio che obbliga a slittare da una regione all’altra, per attraversare un territorio dalla topografia discontinua, dove ciascuna opera è un paesaggio orientato secondo coordinate geo-culturali differenti. Alle diverse latitudini della terra, ogni cultura ha i suoi occhi, i suoi miraggi, i suoi orizzonti, la sua arte, intesa come interpretazione del senso del mondo. Un viaggio deve sempre coordinare prossimità e lontananze. Così, la società tribale non separa dimensione estetica e funzionale (sociale, rituale), e promuove (più che l’innovazione individuale) un’incalcolabile reiterazione di temi condivisi dal gruppo, ma non si invola mai nell’ideale di un principio estetico dato a priori. Lo spessore, la densità simbolica del mito, si oppongono alle rarefazioni dell’intellettualismo astraente occidentale, su cui il Bauhaus ha f ondat o il suo manif est o programmatico di addomesticamento e rimodellamento uniforme della realtà industrializzata. Una mostra, dunque, organizzata per dissonanze e opposizioni, che parte dal “ lontano” , dall’” altrove” , per esplorare gli orizzonti culturali dell’Europa degli anni ’20.

Francesco Fallavollita

Sonia Milone

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Informazione

Mostre e seminari


Informazione

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Arti e Architetture

Scultura e architettura

Architettura e fotografia

Il teatro e il suo spazio

Arti&Architettura Genova, Palazzo Ducale piazza Matteotti 9 2 ottobre 2004 - 9 gennaio 2005

Anselm Kiefer. I sette Palazzi Celesti Milano, Hangar Bicocca viale Sarca 336 24 settembre - 7 dicembre 2004

Carlo Scarpa nella fotografia. Racconti di architettura (1950-2004) Vicenza, Museo Palladio, Palazzo Barbaran da Porto 24 settembre 2004 - 9 gennaio 2005

Architettura & Teatro. Seminario internazionale sulle relazioni fra progetto di architettura dei teatri e arti sceniche Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza 23-24 ottobre 2004

La mostra propone una lettura dell’opera di Carlo Scarpa (1906-1978) attraverso il lavoro di ventinove fotografi europei che si sono misurati con la rappresentazione di alcuni capolavori dell’architetto veneziano e, di frequente, in rapporti personali con l’architetto, con la sua particolare visione della fotografia. L’itinerario espositivo, progettato da Umberto Riva, si sviluppa attraverso quattro sezioni tematiche. In Sguardi d’autore il percorso s’incentra su alcune opere chiave del Maestro e offre la possibilità di confrontare le diverse interpretazioni date da “ occhi” come Ferruccio Leiss, Paolo Monti, Ugo Mulas, Gianni Berengo Gardin e molti altri fino a giungere alle opere di Guido Guidi dedicate alla luce all’interno del tempietto della Tomba Brion e della Gipsoteca a Possagno. È l’occhio di Carlo Scarpa che nella seconda sezione, attraverso alcuni schizzi veloci, piccole prospettive a margine dei fogli di lavoro, prefigura la sua concezione dello spazio e della luce così che il visitatore può immediatamente misurare affinità e lontananze con quello interpretato dai fotografi. Nell’ultima sala la terza e quarta sezione mettono a confronto due diversi approcci: da una parte le diapositive di parte del lavoro di ricerca della Fototeca Carlo Scarpa curata da Italo Zannier e Guido Beltramini sulla documentazione analitica delle opere di Scarpa; dall’altra la proiezione della multivisione con sonoro Spazio, tempo e luce realizzata da Arno Hammacher nel 1981-82 in occasione della mostra Carlo Scarpa a Castelvecchio. Due parole infine sul catalogo della mostra che, oltre a raccogliere parte delle foto esposte (disponibili anche su cd), con l’interessante scritto di Beltramini e le interviste ad alcuni dei fotografi, testimonia un continuo, articolato, e fino a oggi forse ancora poco indagato, interesse di Scarpa verso l’interpretazione delle sue opere attraverso la fotografia.

Il seminario promosso dalla Fondazione I Teatri di Reggio Emila ha aperto un confronto tra architetti e uomini di teatro per illuminare i problemi dovuti all’assenza di dialogo tra chi progetta lo spazio scenico e chi lo vive. L’incomunicabilità tra le diverse figure professionali è, infatti, la prima causa dell’inadeguatezza di molte strutture teatrali costruite o ristrutturate nel nostro paese negli ultimi decenni, inabili ad accogliere le forme espressive del teatro contemporaneo. A differenza dell’Inghilterra – dove esistono organismi di coordinamento che seguono il lavoro di edificazione e restauro dall’ideazione all’esecuzione – in Italia manca una vera collaborazione tra artisti e progettisti: ciò incrina l’aderenza tra forma architettonica e organizzazione funzionale dello spazio scenico. Grandi architetti, scenografi, registi, coreografi, compositori, musicisti e storici del teatro si sono succeduti in un acceso dibattito per rispondere ad alcune questioni cruciali. Tra loro Klaus Kada, Kenneth Frampton, Maurizio Balò, Frédéric Flamand, Pet er St ein, Graham Vick, Pierre Boulez, Maurizio Pollini e Iain Mackintosh. Perché il ‘900 ha conosciuto la fuga dai teatri e l’appropriazione di spazi altri? Qual è il luogo del teatro oggi? Se, come dice Peter Brook, “ il teatro è la vita” , come dev’essere perché sia abitato? Fare teatro è imprescindibile dal rapporto con l’edificio: l’azione e il luogo si costruiscono insieme. Come ha ricordato Jean-Guy Lecat “ Molière non ha mai avuto un teatro, usava un campo da tennis. Shakespeare ha costruito il proprio luogo teatrale. Le persone creative hanno bisogno di libertà” . I teatri, allora, dovrebbero rinunciare alla funzione di “ icone scultoree” per divenire mobili e trasformarsi in relazione alla messa in scena: lasciar spazio all’evento. Se è vero – come ha sottolineato Vittorio Gregotti – che “ l’architettura è lo sfondo scenico dell’esperienza umana” , quando essa diviene mera “ esibizione” perde la sua facoltà di “ relazione” , tanto col teatro come con la realtà e la vita.

Poteva intitolarsi “ Arti&Architetture” , e non Architettura, la prorompente mostra in corso a Genova, capitale europea della cultura 2004. Curata da Germano Celant che non ci risparmia disegni, progetti, sculture, foto, video e maquette di notevole qualità, la rassegna genovese sembra essere penetrata, come un enorme blob, nelle sale e nei meandri di Palazzo Ducale così come nell’intera città. Un blob di qualità che, nella sezione “ storica” della mostra, quella dedicata alle avanguardie artistiche del secolo trascorso, sebbene in assenza di speciale interpretazione critica, non risparmia intensi momenti di commozione. Così avviene soprattutto nella sezione dedicat a alla ricerca degli ult imi trent’anni dove relazioni trasversali (a volte banali, a volte complesse e ben strutturate) indicano, in un ritmo sincopato e sempre serrato, la confusione contemporanea sulle discipline. Operazione colta e pericolosa questa di Celant dove i limiti tra le arti e l’architettura si fanno sottili, tanto da rischiare il luogo comune dell’architetto-artista, che putroppo oggi è da temere molto di più del suo omologo in campo artistico. Ma dove l’iniziativa riacquista solidità e forze è nell’ambito urbano: in quelle installazioni all’interno dei palazzi storici (dai “ tronchi” di Koolhas ai giardini di vetro di Branzi) e nelle piazze (come avviene per il felice connubio tra Pesce e Rotella) e ancora di più nei mega-cartelloni fotografici disseminati fuori dal centro storico, spazi in cui si sono confrontate più generazioni dell’immagine (Basilico, Lambri, Jodice); così Genova si riappropria dei propri spazi architettonici del ‘900. Va infine segnalato il notevole catalogo, in due volumi, dove agli importanti contributi di voci internazionali della critica d’arte e d’architettura si alternano, quasi a creare suggestioni inaspettate, brani e saggi tratti dagli scritti dei protagonisti in mostra.

I sette palazzi celesti è la mostra inaugurale di un nuovo spazio milanese dedicato all’arte contemporanea: un luogo misterioso, ai confini della città, un enorme hangar metallico sospeso nel tempo. È un vero viaggio iniziatico quello che la scelta localizzativa dell’esposizione impone alla scoperta della periferia industriale di Milano: e già per questo si stabilisce un rapporto, forse non programmato, ma inevitabile, tra il contenitore architettonico e il contenuto artistico. Ma la relazione è ancora più profonda: dentro l’hangar ci sono sette “ torri” , architetture nell’architettura. Da lontano potrebbero sembrare gigantesche colonne doriche: massicce, scanalate, sommariamente finite. C’è qualcosa di arcaico, di mitico, in questa rozza tettonica, ma anche di immediatamente attuale: in questo equilibrio precario che Kiefer mette in scena possiamo riconoscere un cantiere aperto, una città in rovina, il preludio di un grattacielo o una baraccopoli in verticale. Poco importa. Il messaggio è chiaro e diretto. Le sette torri sono il nostro mondo, la metafora del fragile confine che separa la costruzione dalla distruzione nel progresso della nostra civiltà, inarrestabile e insieme sempre dubbioso: si fondano sui libri, ma si ergono incerte. Sculture o architetture? Sicuramente salta all’occhio l’assimilazione dei processi costruttivi tipici dell’architettura (casseri in cemento armato, armature metalliche, ecc.). “ Sculture architettoniche” le definisce Ardenne nel catalogo. Sono oggetti plastici, tridimensionali, che costruiscono delle relazioni spaziali al loro interno e all’esterno nel rapporto reciproco e con l’intorno, ma sono privi di una destinazione d’uso in senso stretto, di una destinazione d’uso che non sia quella puramente evocativa. Le sette torri sono architetture della memoria, forse, monumenti, nel senso più letterale del termine.

Maria Vittoria Capitanucci

Silvia Malcovati

Fabrizia Franco

Irina Casali


Prodotto artigianale e sua diffusione

Costruzione e necessità

Natura e Maniera. Le ceneri violette di Giorgione tra Tiziano e Caravaggio Mantova, Palazzo Te 5 settembre 2004 - 9 gennaio 2005

Design in Triennale 1947-1968. Percorsi tra Milano e Brianza Monza, Arengario 10 ottobre - 8 dicembre 2004

Aldo Favini. Architettura e ingegneria in opera Milano, Politecnico Facoltà di Architettura Civile via Durando 10 20 ottobre - 18 novembre 2004

Coloro che desiderano ammirare alcuni capolavori, noti (talvolta celeberrimi) e meno noti, frutto dei più virtuosi pennelli italiani e stranieri del XVI secolo, fattisi interpreti, in ambito padano, della lezione coloristica e luministica di Giorgione, non possono mancare all’appuntamento. Palazzo Te, che con le pitture di Giulio Romano costituisce a pieno titolo parte integrante della rassegna, ospita, alle Fruttiere, ben 130 opere provenienti da diversi musei italiani ed esteri, oltre che da non meno numerose chiese parrocchiali e raccolte private. Un’occasione unica per ammirare un patrimonio figurativo altrimenti impossibile da radunare, selezionato da Vittorio Sgarbi con la collaborazione di Mauro Lucco. Un intero secolo percorso attraverso gli occhi di Tiziano, Tintoretto, Veronese, Lotto, Correggio, Parmigianino, Dossi, Bassano, solo per citarne alcuni, concludendo con Caravaggio. L’allestimento curato dall’architetto Giampaolo Benedini rende la visita particolarmente piacevole. Articolato in ambienti e percorsi correttamente proporzionati e che mai prescindono dalle dimensioni delle opere, grazie anche all’estrema sobrietà, non distrae, ma concilia. Il rosso d’oriente che riveste uniformemente i pannelli costituisce, è il caso di dire, un fil rouge che trova frequente riscontro nelle purpuree e variamente sfumate tonalità delle tuniche e dei manti di Cristo, della Vergine, dei Santi e dei tanti altri soggetti raffigurati. Una considerazione infine sull’illuminazione, elemento fondamentale di qualsiasi esposizione. Ogni pannello è dotato di un sistema autonomo di illuminazione che, solo in rari casi, complice la riflettente superficie pittorica di alcune opere o l’ ombra proiettata dai visitatori, risulta parzialmente efficace. Carlo Togliani

Metodologie di riordino per gli archivi di architettura. Nuove proposte Seminario di studio Milano, Palazzo della Triennale 7 ottobre 2004 Il seminario di studio promosso dal Casva (Centro di Alti Studi sulle Arti Visive) e dalla Soprintendenza Archivistica della Lombardia rivela l’importanza oggi acquisita dagli archivi di architettura, non più angolo buio della memoria ma luogo vivo e pulsante, in sinergico contatto con il presente. La crescente consapevolezza del significato del dato documentale e della eterogeneità dei materiali che compongono l’archivio di un progettista (sia questi architetto, ingegnere, designer o grafico) si configura come un pressante problema fisico di allocazione delle risorse cui si connette la ricerca di metodologie di riordino condivise. Il confronto tra i diversi organismi partecipanti (la Direzione Generale per l’Architettura e l’Arte Contemporanee, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, l’Archivio Progetti dell’Istituto Universitario di Venezia, l’Archivio del ‘900 del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, l’Archivio del Moderno dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, i Politecnici di Milano e Torino) ha ribadito la volontà di raggiungere modelli descrittivi comuni, fatte salve alcune distinzioni di approccio più direttamente mutuate da matrice archivistica o da matrice storico-progettuale. La definizione di liste d’autorità e thesaurus condivisi e la limitata versatilità dei software utilizzati dagli addetti ai lavori sono una delle problematiche più spesso affrontate dai riordinatori archivisti, una nuova professionalità che si avvale di competenze derivanti dal campo del progetto come dell’archivistica. Al termine delle varie esperienze di riordino presentate, la giornata di studi si è comunque conclusa in maniera positiva, ribadendo la necessità di una concertazione virtuosa tra enti pubblici ed istituti universitari finalizzata alla maggior circolazione del sapere. Maria Teresa Feraboli

Nel 1923 Guido Marangoni, fondatore dell’Esposizione Biennale Internazionale delle Arti Decorative, così tracciava un bilancio della prima edizione tenutasi nella Villa Reale di Monza: “ gli oggetti d’arte decorativa debbono quasi sempre essere suscettibili di ripetizioni in parecchi esemplari a meno di essere dei semplici saggi d’arte pura (...) Uno degli elementi principali perché l’arte decorativa svolga la sua benemerita funzione sociale ed estetica è la possibilità di prezzo moderato dei suoi prodotti” . Il tema della riproducibilità a costo contenuto, prerogativa della moderna disciplina del design, attraversa le varie edizioni della Biennale di Monza, tramutata con un atto di legge in Triennale Internazionale delle Arti Decorative ed Industriali Moderne, le cui manifestazioni dal 1929 vengono trasferite nel Palazzo dell’Arte appositamente costruito da Muzio a Milano. Appare evidente come il rinnovamento della produzione artigianale verso la logica del prodotto industriale coinvolga l’intero distretto produttivo della Brianza in un processo che per lenti e successivi stadi d’avanzamento dal prodotto dell’artigianato di lusso approdava, nel 1947 con la Triennale Ottava, alla produzione di mobili in serie che, improntata sull’economia, la praticità ed il buongusto, sapesse far fronte alle nuove richieste postbelliche per un arredo popolare direttamente verificabile sulla cifre della ricostruzione edilizia in corso. La mostra Design in Triennale, muovendo dal rinnovamento etico ed espressivo che la Triennale Ottava apportò alla logica produttiva del disegno industriale, ripercorre le rivoluzioni tematiche che le manifestazioni della Triennale registrarono da quella data sino al 1968, disegnando un percorso evolutivo che, dalla sostituzione di un arredamento progettato per stanze con la logica della produzione d’elementi singoli, approda ad una nuova prassi progettuale applicata ad un nuovo modo di produrre derivato dall’uso della macchina.

La mostra, promossa dal Politecnico di Milano e dalla Facoltà di Architettura Civile e realizzata dal Dipartimento di Ingegneria Strutturale e dal Dipartimento di Progettazione dell’Architettura, mette per la prima volta in rilievo adeguato l’opera di Aldo Favini. Strutturista che nel corso della seconda metà del novecento ha lavorato con molti noti architetti – fra gli altri, assiduamente, con Mangiarotti e Morassutti – Favini ha anche sviluppato un lavoro autonomo di progettazione di edifici, brevettando numerosi dispositivi costruttivi ed elementi prefabbricati in cemento armato precompresso. La mostra offre interessanti spunti di riflessione che vanno dal riconoscimento del contributo teorico che deriva dalla valorizzazione di un archivio professionale, al ruolo delle tecniche nel progetto di architettura, alla attualità della questione del rapporto tra struttura e forma. Tutti temi di cui il materiale esposto ed il bel catalogo, a cura di Giulio Barazzetta, danno adeguata testimonianza, evidenziando come il lavoro di Favini rimandi sempre al carattere di necessità della costruzione architettonica, ai suoi aspetti razionali. Come in matematica la soluzione più corretta è quella più semplice, gli edifici presentati nella mostra affermano sempre una loro semplice razionalità, propria della tradizione classica. In questo senso molti progetti ben rappresentano l’individuazione della copertura come preciso problema di architettura, archetipo costruttivo dell’architettura e codice di lettura della mostra proposto dai curatori. Decine di pannelli con belle fotografie di archivio, disegni architettonici, testi – dello stesso Favini o citazioni tratte da descrizioni di progetti – modelli realizzati appositamente e diversi disegni e schizzi strutturali affermano la stretta relazione fra il progetto di architettura ed i suoi differenti aspetti tecnici. Maurizio Carones

Matteo Baborsky

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Informazione

L’eredità di Giorgione Il progetto a Mantova della memoria


Gaetano Ciocca e Garlasco, Pavia e provincia di Vittorio Prina

Itinerari

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La figura di Gaetano Ciocca, ingegnere, inventore, architetto, scrittore, costituisce un esempio anomalo nel panorama dell’architettura italiana: è senz’altro un precursore che propone, tra i suoi innumerevoli brevetti, una “ strada guidata” , un mezzo in movimento su guida fissa che costituisce una vera e propria monorotaia il cui prototipo è realizzato nel 1935 in un cortile dell’officina militare di Pavia; sistemi di canali di drenaggio in elementi di calcestruzzo gettati fuori opera e di facile montaggio per la bonifica delle campagne; studi e progetti di case sperimentali, case-macchine da abitare ove il sistema costruttivo anticipa la prefabbricazione e si estende a studi sulla produzione e sull’ottimizzazione dell’assemblaggio in cantiere con il primo prototipo di casa rurale realizzato a Garlasco e studi che si protraggono sino alla realizzazione di un villaggio giardino per operai delle industrie a Pavia e Vigevano nel 1949-50; pro-

poste per ottimizzare la produzione agricola e l’allevamento di animali che convergono nella realizzazione di un porcile razionalista e di meccanismi innovativi per l’accumulo del fieno nella cascina La Capannella a Garlasco nel 1939. Gli studi sull’urbanistica e il territorio iniziano nel 1933 con la collaborazione di Ciocca con un gruppo di giovani architetti, i BBPR, per il progetto di concorso per il Piano Regolatore di Pavia del 1934, iniziando un sodalizio che prosegue con il progetto di concorso per il Palazzo della Civiltà Italiana all’E42 che si aggiudica il secondo posto, sodalizio che, soprattutto con Rogers, durerà negli anni. Pavia e la sua provincia costituiscono per Ciocca i luoghi ove realizzare i prototipi di tutti i suoi studi dedicati alla razionalizzazione del territorio ed alle innovative pratiche costruttive e di produzione. Nel 1933 Ciocca pubblica per Bompiani uno dei suoi libri più famosi, Giudizio sul Bolscevismo che de-

scrive la sua esperienza in Unione Sovietica ove realizza per conto della Fiat, nella periferia di Mosca, il grande stabilimento industriale GPZ per la produzione di cuscinetti, al quale seguirà nel 1936 Economia di massa. Durante la sua permanenza sovietica Ciocca ha occasione di vedere i progetti di Le Corbusier, Gropius, Poelzig, Mendelsohn e altri per il concorso del Palazzo dei Soviet; successivamente inizia a studiare un Teatro di massa per il popolo che ospiti un grande numero di spettatori riducendo così i prezzi di accesso: il progetto, redatto secondo Schnapp con la collaborazione di Bardi, Figini e Pollini e i BBPR, è composto in pianta da due cerchi di diverse dimensioni che si intersecano; è dotato di un innovativo palcoscenico girevole, suddivisibile in parti e completamente mobile e di sistemi per l’afflusso e il deflusso di grandi masse. Il teatro, pubblicato su “ Quadrante” , non è mai stato realizzato. Nel 1936, arruolatosi volontario per il fronte africano, continua la sua attività relativa alla riorganizzazione del territorio realizzando strade, ponti, aeroporti, fortini, impianti, e villaggi. Nel dopoguerra è attivo nello studio dei piani di ricostruzione e progetta diverse abitazioni standard per il proletariato con tipologie non particolarmente innovative ma con un attento studio dei processi di prefabbricazione e di organizzazione del cantiere per abbattere i costi di costruzione. Gli studi e i progetti sulla pianificazione territoriale proseguono nel 1957 con il progetto di un ponte autostradale in forma di sbarramento con turbina delle acque del Po presso Pieve del Cairo che propone un nuovo tracciato dell’autostrada Milano-Genova con la formazione di un lago artificiale per la produzione di energia. Durante gli anni Cinquanta Ciocca, con la collaborazione di Rossi, costruisce a Garlasco l’edificio delle scuole medie, il lavatoio pubblico (demolito) e l’edificio che completa il lato ovest della piazza principale; nel 1956 è incaricato dalla Commissione Tecnica per lo studio del piano regolatore di Vigevano. Ciocca prosegue nell’elaborare invenzioni e brevetti e nel 1955-59 progetta e realizza il Palazzo Lido Sport a Milano.

Biografia Nasce a Garlasco nel 1882. Allievo del matematico Peano si laurea a Torino nel 1904 in Ingegneria industriale, lavora come ingegnere elettrotecnico per la società Ansaldo e diventa ingegnere capo dell’ufficio tecnico delle officine Elettro-Ferroviarie; dal 1911 avvia uno studio professionale a Milano e ottiene i primi brevetti in campo ferroviario ed elettromeccanico. Nel 1933 studia con i BBPR il progetto di concorso per il Piano Regolatore di Pavia redatto nella caserma Menabrea. Dal 1944 inizia la collaborazione con il geometra Pier Luigi Rossi. Le opere principali, oltre a innumerevoli pubblicazioni, studi e ricerche, sono: il complesso industriale GPZ a Mosca del 1931, il progetto di un teatro di massa del 1934, l’intervento alla fattoria La Capannella a Garlasco, progetti per lavori fognari e di bonifica a Garlasco realizzati con Ernesto Aleati nel 1938-40, diversi tratti sperimentali di strada guidata negli anni Trenta, varie realizzazioni di case prefabbricate negli anni Quaranta, il Palazzo Lido Sport a Milano del 1955-59. Ciocca stringe amicizie e collabora oltre che con i BBPRanche con Bardi, Ponti, Nervi; collabora con “ Quadrante” di Bontempelli pubblicando articoli che riguardano l’Unione Sovietica, il teatro di massa, la legislazione edilizia, la città corporativa, la casa rurale, l’autonomia alimentare e l’economia di massa. Scrive per il “ Corriere della Sera” , il “ Tempo” e altri quotidiani e riviste pubblicando decine di articoli. Nel 1954 inizia a collaborare con “ Il Giornale dell’Ingegnere” per il quale scrive oltre cinquanta articoli relativi alle case dei contadini, alle autostrade, alla pianificazione di trasporti, energie e materie, alla prefabbricazione, all’urbanistica, all’architettura teatrale, al territorio, alla viabilità ed agli argomenti più vari; testi che avrebbero dovuto costituire la base di un libro, La chiara scienza, che non viene mai pubblicato. Muore a Garlasco nel 1966. Bibliografia Per una bibliografia completa e per le principali pubblicazioni di Gaetano Ciocca si veda: J. T. Schnapp (a cura di), Gaetano Ciocca. Costruttore, inventore, agricoltore, scrittore, Skira, Milano, 2000.


1. Progetto di rettifilo per Pavia (e nuovo ponte), 1926-33 (con Ernesto Aleati)

2. Progetto di concorso per il Piano Regolatore di Pavia, 1933-34 (con BBPR, Ernesto Aleati, M. Mazzocchi)

3. Prototipo di “Strada guidata”, 1935 Pavia cortile dell’Officina Militare

4. Prototipo di casa rurale, 1935 Garlasco Cascina Valbona

1. “ Il rettifilo di Pavia è una variante al tracciato della strada statale dei Giovi (...) L’attuale tracciato della statale dei Giovi in corrispondenza dell’attraversamento di Pavia dovrà necessariamente essere variato in dipendenza della camionabile Genova-Serravalle, destinata a entrare in attività nella primavera del 1935 (...) Il rettifilo lascia a lato degli abitati di S. Martino e del Gravellone, e mantenendo la sua costante direzione (sud-nord con leggera inclinazione a levante), passa il Ticino a monte di metri 1.150 del vecchio ponte, e a valle di m 350 del ponte ferroviario, lambisce l’ampia zona ora paludosa ed in attesa di essere bonificata, compresa fra i due ponti, il fiume e la città, sottopassa la ferrovia, passa accanto alla chiesa di S. Mauro, che pone in bella luce, sottopassa la strada della Riviera, sfiora il Policlinico dalla parte opposta alla Città, indi prosegue sino a raggiungere la vecchia strada Pavia-Milano, senza alcun ostacolo avanti o a fianco di sé. (...) Certo, occorrerà che il nuovo ponte non sia uno dei soliti ponti, a molte pile (...) Noi proponiamo un ponte sospeso, lungo m 240 a due appoggi intermedi ad arco rovescio e senza ancoraggi, sul principio del ponte di Colonia del 1929“ . (dalla relazione di progetto)

2. I BBPR, neolaureati, partecipano al concorso assieme a Gaetano Ciocca che cura l’aspetto politico e sociale del piano, elaborando il progetto all’interno di un locale della caserma Menabrea presso la quale svolgono il servizio di leva. Rogers scrive a Bardi: “ Noi quattro, ragazzi di 24 anni, si parla e si lavora con l’ing. Ciocca come con un coetaneo che abbia due vite: due esperienze di vent’anni. I concorrenti locali, pare siano spaventatissimi. Ma la lotta è difficile” . Le direttive indicate dal Piano si articolano in quattro temi principali: le grandi comunicazioni, la produzione industriale, la difesa, la coltura. La divisione funzionale è accentuata dall’individuazione di aree periferiche a destinazione industriale caratterizzate da due grandi stabilimenti per il trattamento di fibre tessili sintetiche e per la lavorazione dei prodotti agricoli locali e da una grande fonderia di ghisa, acciaio e metalli leggeri. I quartieri operai sono collocati in prossimità degli stabilimenti stessi. Particolarmente interessante è la destinazione a funzioni sportive e balneari – la “ Città della cultura fisica” – delle aree a sud-est, che risolve il rapporto tra città e fiume, relazione a tutt’oggi rimasta irrisolta. Poco più a nord dell’area sportiva, nei pressi dell’attuale zona Cravino sede degli Istituti Universitari, è individuata, con particolare lungimiranza, la “ Città degli Studi” , dotata inoltre di residenze per studenti e professori. I margini del centro storico sono risolti creando una corona di zone giardino che mediano il rapporto tra la città vecchia e nuove espansioni. Sono ovviamente previsti grandi interventi di demolizione all’interno del centro storico, in sintonia con i princìpi urbanistici dell’epoca.

3. Una vera e propria ossessione per Ciocca è la realizzazione della strada guidata, una sorta di veicolo che si muove a forte velocità (previsione di 300 chilometri all’ora) su monorotaia, che risolva la contrapposizione tra rotaie e pneumatici. Le prime idee sono proposte nel 1922 al Ministero Italiano della Guerra, nel 1928 alla Fiat e nel 1932 all’Unione Sovietica. Dopo svariate prove, nel dicembre del 1935 si svolge a Pavia la prova finale della “ autoguidovia” con un autocarro Ceirano della portata di 35 quintali modificato da Ciocca, che viaggia sopra una sede fissa lungo una pista circolare di 28 metri di raggio e 85 metri di lunghezza costruita a spese del Ministero della Guerra. Nel 1938 un prototipo a rotaia in cemento armato con ponti, curve e automezzo a sei rimorchi, viene costruito a Casal Fogaccia, disegnato da Pier Luigi Nervi, per un’ulteriore prova; il CNR dichiara il progetto non eseguibile. Le promesse di realizzare la strada guidata si susseguono; il progetto viene presentato anche all’IRI la cui commissione di studi visita il prototipo ma l’opposizione delle FF.SS. e dell’Ispettorato ferroviario assieme a critiche che riguardano la realizzabilità tecnica, l’usura e i costi, assieme a diversi veti incrociati del CNR e di vari enti, ne impediscono continuamente la realizzazione. Nel 1957 Ciocca è nominato membro del comitato della direzione tecnica della nuova Società per la Strada Guidata a Milano che predispone un veicolo, secondo il progetto di Ciocca, primo elemento di una linea metropolitana. Purtroppo alla presentazione nel 1959 del prototipo, scompare il nome di Ciocca che, deluso, inizia una controversia relativa ai brevetti che si trascina sino alla sua morte.

4. La genialità di Ciocca è applicata nel 1935 all’edificazione di una casa rurale ad elementi prefabbricati in serie; il primo esempio è realizzato nella campagna vicina a Garlasco (del quale rimane visibile la struttura integra). Decisamente simili sono le case a schiera progettate dai BBPR, che collaborano con Ciocca al concorso per il PRG di Pavia del 1934, nel 1938 per un quartiere residenziale a basso costo ad Aosta nell’ambito del Piano regolatore della Valle D’Aosta del 1936. “ La camera di soggiorno, ove anche si cucina vuole, oltre la macchina per cucinare, due armadi, l’uno chiuso e l’altro aperto, un tavolo fisso per preparare le vivande e un ripostiglio per gli arnesi casalinghi, tutto fisso al suo posto (...) Ogni camera deve avere a disposizione un lavabo e armadi fissi di sufficiente capacità per le vesti e la biancheria (...) Ho adottato la disposizione di raccogliere i diversi servizi nella parete mediana della casa, che diventa come la spina dorsale dell’edificio (...) La parete centrale, parete dei servizi ha uno spessore di novanta centimetri. Al piano terreno contiene gli armadi delle camere di soggiorno e di deposito, la cucina economica con gli impianti di riscaldamento, il camino, la canna di ventilazione, il tavolo per le vivande, i lavatoi, il serbatoio termicamente isolato dell’acqua calda. Al piano superiore la parete dei servizi contiene quattro armadi per le due camere da letto (...) due lavabi, il gabinetto di decenza e le tubazioni (...) Nella parete della casa esposta verso mezzogiorno, si aprono le porte finestre dei locali di abitazione, tutte ugualmente orientate (...) La casa non ha porte di comunicazione interna fra i locali di abitazione, ma solo tendaggi” . (da: G. Ciocca, Servizi a Mussolini. Progetto di casa rurale, in “ Quadrante” n. 26, giugno 1935).

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5. Prototipo di casa rurale, 1935 Zerbolò

6. Canali di drenaggio in c.a. (cavo colatore), fognature e bonifiche, 1935-40 (con Ernesto Aleati) Garlasco via Mulino

7. Porcile modello e meccanismi per accumulo del fieno (demoliti), 1939 Garlasco Cascina La Capanella

8. Villaggio Giardino Necchi (per Ina Casa), 1949-50 (con Pierluigi Rossi) Pavia zona San Giuseppe, via Acerbi, via Michis, via Trecourt, via Suardi, via Noè, via Sara

6. L’intenzione di razionalizzare la campagna, perseguito da Ciocca con abitazioni rurali sperimentali e cascine modello, prosegue con la realizzazione di un canale drenante realizzato con elementi in calcestruzzo gettati fuori opera e montati con facilità e velocità; il suo intento è quello di usare una rete di questi canali facilmente realizzabili per bonificare con rapidità le campagne ancora paludose. L’incarico gli viene conferito dal Podestà di Garlasco nel 1935; i lavori sono realizzati con Ernesto Aleati nella campagna di Garlasco nel 1938-39. Il sistema vince il secondo premio in un concorso indetto nel 1940 dalla rivista “ L’industria Italiana del Cemento” . L’opera di bonifica e canalizzazione a Garlasco, sospesa a causa della guerra, viene ripresa da Ciocca con un nuovo piano nel 1958.

7. La passione per l’agricoltura e l’allevamento, praticata a Garlasco, unita agli studi sull’abitazione razionale, portano Ciocca a risolvere e razionalizzare i problemi dell’uso del silos e dell’allevamento di animali. Studia e brevetta un meccanismo che centrifuga e comprime il fieno raccogliendolo in balle cilindriche e lo realizza presso la cascina “ La Capannella” a Garlasco. In seguito realizza un “ porcile razionalista” costituito da una sorta di villaggio con capanne-macchine per abitare arredate per i maiali che, appositamente educati, si nutrono di cibi studiati in ambienti puliti e arieggiati, si servono di un letto in paglia e di un gabinetto. Il progetto non ha seguito poiché i maiali allevati nel nuovo porcile e con i nuovi cibi pesano decisamente meno di quelli nutriti con avanzi. Ancora nel 1941 la Casa di Risparmio delle Provincie Lombarde continua a finanziare gli studi di Ciocca sull’allevamento di animali.

8. Nel 1949 l’industria Necchi decide di edificare per i suoi dipendenti un villaggio giardino, finanziato nell’ambito del Piano Fanfani, costituito da 84 alloggi. Le case sono binate, separate dalle scale esterne che conducono al primo piano e disposte a schiere divise l’una dalle altre dalle strade e dagli orti. Il tetto ha le falde inclinate verso l’asse centrale trasversale che corrisponde al canale di scolo delle acque meteoriche. Nella relazione di progetto Ciocca afferma che non è più necessario costruire edifici concentrati presso le ferrovie e le industrie essendoci stata un’evoluzione consistente nei sistemi di trasporto: il rimedio consiste nel “ disurbanare” . Egli aggiunge anche alcuni calcoli in base ai quali dimostra che il pagamento delle quote sia di affitto che di riscatto (che permette all’inquilino affittuario di riscattare l’alloggio in 25 anni) può essere integrato dal reddito che deriva dall’uso del laboratorio al piano terra oltre che dalla produzione dell’” orto domestico” . Particolare attenzione è destinata da Ciocca alla produzione edilizia ed alla costruzione che lamenta essere lontana dai risultati ottenuti con una lavorazione a catena di tipo industriale; egli ritiene fondamentale “ l’industrializzazione del cantiere” , ostacolato dall’inesperienza delle maestranze e dei tecnici e propone di disporre squadre a catena che passino con continuità da un edificio ad un altro, di separare prefabbricazione da messa a dimora, secondo una precisa organizzazione tecnico-scientifica su modello industriale e di affidare la realizzazione possibilmente a cooperative coordinate da una “ organizzazione centrale” che deve inviare disegni, istruzioni, materiali.

Itinerari

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5. Un ulteriore esempio di casa rurale – realizzato con la variante della scala esterna a chiocciola che conduce al tetto – si trova nella campagna nei pressi di Zerbolò (attualmente completamente modificato, ampliato e dotato di tetto a falde). Varianti sono realizzate anche a Vada (Livorno), a Ponte Ginori (Pisa) nel 1938 e a Merano nel 1939, a Condove e alla periferia di Roma. “ La disposizione studiata per la scala ha consentito (...) di utilizzare la copertura del vano per l’accesso al tetto, a cui è data forma di terrazzo accessibile e coltivabile. Non mancano, in questa casa, due grandi balconi alle finestre del piano superiore, uno scoperto e uno coperto, come piace alle buone massaie (...) Ho scelto come materia costitutiva dei pezzi, il calcestruzzo di cemento (...) L’elemento principale della costruzione è un concio dello spessore di centimetri cinque per una altezza di centimetri diciannove e una lunghezza di centimetri quaranta (...) L’altezza di ogni pezzo corrisponde all’altezza di un gradino di scala (...) I solai sono di tipo speciale (...) sono costituiti da una armatura di tondelli di abete spaccati a metà longitudinalmente e accostati, con la faccia piana rivolta verso il basso e formante soffitto (...) il calcestruzzo è gettato sulla armatura di legno per una altezza di otto centimetri e ne sorte una soletta a struttura mista di legno e calcestruzzo” . (da: G. Ciocca, Servizi a Mussolini. Progetto di casa rurale, in “ Quadrante” n. 26, giugno 1935).


9. Villaggio Gianoli, 1949-50 (con Pier Luigi Rossi) Vigevano zona Pietrasana

10. Scuola media, 1955-57 (con Pier Luigi Rossi) Garlasco via Bozzola

11. Edificio residenziale e commerciale, 1955-57 (con Pier Luigi Rossi) Garlasco piazza Repubblica

12. Progetto di edificio a torre, 1957 (con Pier Luigi Rossi) Garlasco piazza Repubblica

9. Il villaggio Gianoli a Vigevano è del tutto simile all’esempio pavese. “ Per provare come è facile confondere fra produttività e produzione, richiamiamo quel diffuso luogo comune per cui i villaggi giardino, in un paese povero di suolo, dovrebbero essere vietati. La verità è che se noi stralciamo dalle cinquanta are di culture di cui l’Italia dispone soltanto un’ara (e che è un’ara di fronte all’acro che Wright riserba ai suoi americani?) per destinarli ad orto domestico, la produttività complessiva aumenta del sei per cento, poiché la produttività di un orto è cinque volte maggiore della media (...) Fino a che all’edilizia mancò un piano e quindi una garanzia di continuità, non le fu possibile svilupparsi industrialmente. Ora la legge Fanfani ha capovolto la situazione e una grande industria edilizia è diventata necessaria per il suo buon esito (...) Al decentramento delle cooperative di lavoro dovrebbe far riscontro il concentramento delle funzioni tecniche e amministrative in una Società generale, possibilmente unica, da costituirsi allo scopo di dare ampia esecuzione al piano Fanfani con metodi industriali e con mezzi adeguati di studio, ricerca e sperimentazione. La forma sociale più adatta per questa Società generale edilizia, e la designazione degli Enti che dovrebbero parteciparvi, nonché le sue relazioni con lo Stato e l’InaCasa sono argomenti che esulano da questo rapporto, il cui scopo è semplicemente di mettere sul tappeto il problema, di natura profondamente sociale, della costruzione industriale dei villaggi-giardino per l’abitazione dei lavoratori dell’industria, del commercio e delle comunicazioni” . (da: G. Ciocca, Rapporto sui villaggi giardino).

10. L’edificio a tre piani completa la cortina edilizia che si affaccia su una via del centro storico. Il primo livello del prospetto è rivestito da lastre in pietra chiara con fascia superiore leggermente aggettante che regge il rivestimento in mattoni a vista con lesene binate del primo livello. Le bucature sono costituite da ampie vetrate con andamento orizzontale; l’ingresso, segnato da un balcone all’ultimo livello, è costituito internamente da uno spazio a doppia altezza con scala rettilinea posta sull’asse.

11. Il complesso è realizzato sulla stessa area del progetto di Lingeri del 1938. L’edificio, che chiude il lato ovest della piazza principale, ha una testata a sei piani e il corpo principale a cinque, con gli ultimi rispettivi livelli arretrati e dotati di terrazze verso la piazza. Il fronte verso la piazza è caratterizzato da portici al piano terra, con pilastri rivestiti in pietra e travi a vista che si rastremano verso l’esterno reggendo a mensola i balconi del primo chiusi da vele bucate e inclinate. Il fronte posteriore sulla via secondaria appare meno concitato e segnato da balconi attestati attorno ai corpi verticali dei vani scala che emergono in altezza; il piano terra è di poco arretrato rispetto al volume superiore. Il volume appare troncato sulla testata nord che corrisponde all’angolo nord-ovest della piazza rimasto svuotato dopo le demolizioni di edifici minori. “ Era prevedibile che l’iniziativa della ricostruzione venuta dal di fuori, suscitasse in luogo discussioni e contrasti. Il pomo della discordia fu una questione di architettura e cioè se fosse tollerabile che la nuova ala (ala 1955) non riproducesse, almeno esteriormente, l’ala vecchia (ala 1855). Quest’ultima costituisce una sincera se pur modesta espressione delle tendenze estetiche e sociali dell’epoca in cui gli avi la concepirono (...) Che si potesse anche lontanamente pensare, nel 1955, a ricopiare le vedute architettoniche e sociali del 1855, come se nulla di nuovo fosse durant e quei t orment at issimi cent’anni passati sotto i ponti della storia, non è neppure concepibile (...) Però il problema non è mai (né a Garlasco né ovunque) quello di ripetere pedissequamente sulla sinistra quello che è sulla destra. Bensì è il problema di legare armonicamente il vecchio col nuovo” . (da: G. Ciocca, Urbanistica e comuni minori, in “ Il Giornale dell’Ingegnere” , n. 15, 1° agosto 1955, pp.1-5)

12. Ciocca, a completamento della piazza e dell’edificio da lui appena terminato, con alcuni schizzi e fotomontaggi, propone diverse soluzioni, non realizzate, per risolvere l’angolo: lo chiude ad esempio con la prosecuzione di due campate dell’edificio del Municipio sul lato nord e una palazzina a otto piani a completamento del suo edificio già realizzato; oppure, costruisce un prolungamento in stile a cinque campate del Municipio che si congiunge con l’edificio esistente e completa l’angolo con una svettante torre di tredici piani con tetto a falde.

Itinerari

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A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno 2001 2002 2003 2004

Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

Febbraio 1435,31 1467,96 1504,37 1537,02

Marzo

Aprile Maggio Giugno 1440 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1470 1480 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1510 1509,4 1511,91 1513,16 1514,42 1540 1538,28 1542,04 1544,56 1548,32

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2001

48

2002 2003

Indici e tassi

2004

Gennaio Febbraio

Marzo

Luglio 1447,86 1481,77 1518,19 1549,58

Agosto Settembre Ottobre 1450 1447,86 1449,12 1452,89 1490 1484,28 1486,79 1490,56 1520 1520,7 1524,46 1525,72 1550 1552,09 1552,09

novembre 1978: base 100

Novembre Dicembre 1455,4 1456,65 1494,33 1495,58 1529,49 1529,48

dicembre 1978:100,72

Aprile

Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82 513,69 514,56 515,86 520 519,78 520,64 522,38 523,25 523,69 524,12 525,43 526,29 527,6 528,03 530 530,21 531,94 532,38 533,68 534,55 535,86 536,29 537,16 537,16

Novembre Dicembre 503,70 504,13 517,17 517,6 529,34 529,34

3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)

anno 1995: base 100

Anno

Gennaio Febbraio

Giugno

2002 2003 2004

111,80 112,18 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24 113,43 113,62 113,91 114,2 114,29 114,77 114,97 115,35 115,54 115,64 115,73 116,02 116,21 116,50 116,60 116,89 116,89 117,08 117,46 117,56 117,85 118,04 118,33 118,42 118,61 118,61

Marzo

Aprile

Maggio

Luglio

giugno 1996: 104,2

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno 2002 2003 2004

Gennaio Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

dicembre 2000: 113,4

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

102,73 103,08 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05 104,23 104,4 104,67 104,93 105,02 105,46 105,64 105,99 106,17 106,26 106,34 106,61 106,79 107,05 107,14 107,40 107,40 107,58 107,93 108,02 108,28 108,46 108,73 108,81 108,99 108,99

4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

gennaio 1999: 108,2

Anno

Gennaio Febbraio

2002 2003 2004

107,67 108,04 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05 109,24 109,42 109,7 109,98 110,07 110,53 110,72 111,09 111,27 111,36 111,46 111,73 111,92 112,19 112,29 112,56 112,56 112,75 113,12 113,21 113,49 113,67 113,95 114,04 114,23 114,23

5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

anno 2001: base 100

gennaio 2001: 110,5

2001 2002 2003 2004 103,07 105,42 108,23 110,40

6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

Luglio

anno 1999: base 100

anno 1995: base 100

1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08

7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51

novembre 1995: 110,6

1999 2000 2001 2002 2003 2004 111,52 113,89 117,39 120,07 123,27 125,74 anno 1997: base 100

febbraio 1997: 105,2

2001 2002 2003 2004 108,65 111,12 113,87 116,34

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.

della Banca d'Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d’Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U. della Banca d'Italia (G.U.

4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “ Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

10,35% 9,85%

2,10% +7

dal 1.1.2004 al 30.6.2004

2,02% +7

9,02%

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159)

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

9,10%

dal 1.7.2004 al 31.12.2004

Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

2,01% +7

9,01%

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10% . Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).

Applicazione Legge 415/ 98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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