AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi
Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali Mina Fiore, Martina Landsberger Direzione e Redazione via Solferino, 19 – 20121 Milano tel. 0229002165 – fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it
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INFORMAZIONE Dagli Ordini Lettere
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INDICI E TASSI
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FORUM Giovani architetti interventi di Carlo Calderan, Mauricio Cardenas Laverde, Luca Molinari, Marco Mulazzani Tre domande a... Franco Purini
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Direttore Responsabile Stefano Castiglioni
EDITORIALE
GENNAIO/FEBBRAIO 2005
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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidenti: Daniela Volpi, Giuseppe Rossi, Ferruccio Favaron; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Angelo Monti; Segretario: Marco Francesco Silva; Tesoriere: Marco Balzarotti; Consiglieri: Franco Andreu, Renato Conti, Gianfredo Mazzotta, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 31.3.06) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guernieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Federico Acuto, Giulio Barazzetta, Antonio Borghi, Maurizio Carones, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza, Antonio Zanuso (Termine del mandato: 14.12.05) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Paolo Marchesi; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Quintino G. Cerutti, Maura Lenti, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 30.6.05) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 30.6.05)
l’architetto, “Il governo del territorio” (quindi urbanistica e lavori pubblici), “La valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e anche le stesse professioni (salvo poi tentare per quest’ultimo tema una difficoltosa e controversa correzione). Ne è pertanto conseguita una diffusa legislazione regionale episodica e disomogenea, con situazioni nettamente differenziate nel territorio, e comunque profondamente incidenti sull’oggetto e sui contenuti dell’attività professionale dell’Architetto. In proposito va rilevato che il vuoto legislativo nazionale, a fronte dell’attivismo regionale, ha finito per essere colmato di fatto e in modo improprio da decisioni giuridiche (come tali spesso contraddittorie, comunque settoriali e inevitabilmente relazionate a circostanze specifiche). È dunque alla U.E. che forse ci si deve rivolgere per disporre di linee programmatiche a tutto campo e di un effettivo quadro di riferimento della nuova professione di architetto. Anche se il tema del XXII congresso mondiale di architettura (promosso dall’U.I.A. a Istanbul per il luglio 2005), “The Gran Bazaar of Architecture”, non può che lasciare perplessi, appare in ogni caso opportuno sorvolare in proposito, trattandosi del necessario “pedaggio culturale” per estendere la partecipazione al consesso europeo anche a paesi marginali. Piuttosto nell’ambito del seminario del Consiglio degli Architetti d’Europa, tenutosi a Milano il 6 maggio 2004 e incentrato sulla tematica “L’architettura e il mercato”, è stato delineato un impegno programmatico riassunto nello slogan “Architettura e qualità della vita” che con efficace lucidità ha indicato e sistematizzato una serie di riferimenti ai quali ricondurre la nuova professione di architetto in ambito europeo (che i giovani colleghi dovranno poi sperimentare di persona) qui riassunti in estrema sintesi: identificare quale obiettivo del programma comunitario la qualità della vita (di cui paesaggio, territorio, valori culturali costituiscono i fattori primari); coniugare ricerca architettonica, nuove tecnologie e processi costruttivi; ricercare nuove modalità di affidamento d’incarico e di confronto delle proposte progettuali; affrontare la difficile sfida di dare qualità ai sistemi urbani e al contesto edificato; rivendicare l’esigenza di una politica comune europea per l’architettura al cui riguardo si darà luogo a un successivo adeguato approfondimento. Stefano Castiglioni
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“AL” si presenta oggi con una nuova veste editoriale, ma indubbiamente ciò che più conta è l’adeguamento continuo, meno appariscente, svolto nell’ambito redazionale per tenere il passo con i tempi e confrontarsi sulla vasta gamma di contenuti e temi attuali e dibattuti. Tale circostanza pone dunque l’opportunità di interrogarsi sul significato e sull’orientamento di una evoluzione dell’operatività degli architetti, che negli ultimi anni ha subìto un’indubbia accelerazione rendendo ardua nel contempo la delineazione di obiettivi comprensibili e condivisi. Il contenuto specifico del numero odierno dedicato ai problemi dei giovani colleghi costituisce una ragione ulteriore per riflettere strategicamente sulle modalità future di esplicarsi nella professione. Il dibattito legislativo in atto nel paese sicuramente non agevola questo proposito: - da un lato vi è il recepimento di una concezione (di derivazione anglosassone) condivisa da un ampio e trasversale schieramento “liberistico”, che tende a leggere e a identificare il ruolo dell’architetto alla stregua di una pura e semplice attività economica applicando quindi alla stessa “sic et simpliciter” le regole del libero mercato e della gestione d’impresa e introducendovi criteri e scelte che spaziano dall’abolizione delle tariffe di legge, alla possibilità di operare tramite società di capitale, alla tutela non tanto del committente quanto dell’utente finale inteso come consumatore, all’applicazione di procedure propriamente aziendali (assicurative/fiscali/inerenti la privacy, di certificazione ISO 9001 ecc.); in realtà l’impostazione di cui sopra tende a essere proposta in termini più che altro di una semplice “deregulation” che a una nuova regolamentazione, lasciando così aperta una serie di spazi di arbitrarietà suscettibili di creare situazioni ambigue e di scarsa chiarezza, tali da prefigurare un assetto nei rapporti tra professionisti, clienti e istituzioni che solo nel lungo periodo si prevede possa stabilizzarsi; - dall’altra parte l’applicazione delle direttive U.E. in materia di professioni stenta a procedere nel nostro paese, anche per una latente situazione di conflittualità tra le professioni “ordinistiche” e quelle “nuove non regolamentate” che hanno suscitato la crescente attenzione (non disinteressata) di diffuse aree politiche; - infine va considerata la modifica costituzionale dell’art. 117, che ha compreso nella materia di competenza congiunta Stato-Regioni (legislazione concorrente) proprio gli ambiti in cui si svolge l’attività del-
Giovani architetti
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Nel Forum di questo numero intervengono Carlo Calderan, architetto italiano che per diversi anni ha operato all’estero, Mauricio Cardenas Laverde, ex-collaboratore dello Studio Renzo Piano Building Workshop, professore a contratto presso il Politecnico di Milano e di Torino, Luca Molinari, direttore editoriale della casa editrice Skira, Marco Mulazzani, redattore di “Casabella” e docente di Storia dell’Architettura presso l’Università di Trento. Franco Purini, docente di Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura “Valle Giulia” dell’Università La Sapienza di Roma, ha risposto a tre domande di Maurizio Carones sul tema del numero. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.
La mia esperienza all’estero di Carlo Calderan
Penso che il mio percorso professionale, una sorta di andata e ritorno durata dieci anni, dalla laurea con Vittorio Gregotti a Venezia nel ’94, passando per Berlino e Basilea per ritornare infine in Italia, in Alto Adige, sia comune a molti architetti della mia generazione. È stato l’”Erasmus”, due semestri all’università di Darmstadt, a spingermi appena laureato ad andarmene all’estero. L’esperienza dell’architettura come atto concreto del costruire appresa, allora, in pochi mesi estivi trascorsi nello studio Kramm, mi fece percepire la distanza dall’estenuante e spesso inconcludente pratica progettuale vissuta negli studi italiani e mi convinse nel ’94 ad abbandonare Venezia per Berlino. Arrivai in ritardo. I mitici, euforici primi anni ’90 in cui era possibile senza troppe difficoltà entrare negli studi più acclamati e lavorare ai progetti più prestigiosi erano ormai passati; oppotunità di lavoro tuttavia non mancavano, i progetti dal centro si stavano spostando verso la periferia e l’immensa pampas branderburghese. Gli architetti italiani cui erano riconosciuti spirito antidogmatico, velocità progettuale e abilità manuali quasi scomparse in Germania, come saper colorare una tavola o disegnare a mano una prospettiva, trovavano lavoro facilmente negli studi di giovani architetti tedeschi che si contendevano attraverso una miriade di concorsi i nuovi incarichi della “Aufbau Ost”, la ricostruzione della ex DDR. Fu un allenamento fondamentale, lavoravo in studio al ritmo di un concorso al mese e parallelamente con Luca Cuzzolin ed un gruppo varialbile di colleghi, la sera o il fine settimana, si partecipava ad altri concorsi in Germania ed in Italia. L’abitudine alla velocità, al lavoro in gruppo, ci permise più tardi, quando Cuzzolin tornò in Italia per aprire un proprio studio professionale, di continuare, via internet, a lavorare assieme, sviluppando una nostra strategia progettuale: un breve incontro a Berlino per sviluppare l’idea e poi una ferrea divisione dei compiti. Nel 2001 assieme con Elena Pedrina partecipammo ad un vago concorso internazionale di idee, denominato “FuturoLiestal”, per lo sviluppo di un’area marginale della conurbazione basilese, bandito da una locale compagnia di assicu-
Ignazio Gardella a Blevio (Co), anni Quaranta, immagine gentilmente concessa dallo studio Gardella.
razioni. La giuria, tra i cui membri tecnici spiccavano Krischanitz, Angelil e Fingerruth, selezionò per la seconda fase di progettazione quattro gruppi, tra cui anche il nostro, l’unico straniero tra i partecipanti al concorso. La nostra proposta è una riscrittura del luogo geografico, laboratori ed uffici si spostano nel sottosuolo mentre la superficie, un prato a pascolo, è modellata a formare una natura artificiale. Un edificio paradossale, un vuoto costruito. L’idea, eterodossa rispetto alla tradizione architettonica svizzera, corrisponde però agli intenti del committente, il quale, accanto alla nuova sede della società, vuol insediare un centro di ricerca la cui architettura “eccezionale” riesca a fermare il progressivo trasferimento di aziende bio-farmaceutiche e bio-meccaniche dalle vallate dello Iura al centro capoluogo. Al termine della seconda fase, l’anno successivo, il nostro progetto venne dichiarato vincitore. Nel 2003 è iniziata la fase di progettazione definitiva del complesso, il committente ha preteso la nostra presenza a Basilea, scartando l’ipotesi di associazione con uno studio locale, nonostante la nostra mancanza di esperienza in opere di queste dimensioni (gli investimenti superano i 100 milioni di CHF). Abbiamo così aperto uno studio in Svizzera per seguire fino al 2008 la realizzazione del progetto. Parallelamente ho iniziato a collaborare a distanza con Rinaldo Zanovello, altro architetto itinerante, trapiantato da Padova a Bolzano. Ci accomunava la voglia di prender parte alla lunga e fino ad oggi ininterrotta stagione di concorsi pubblici che stavano cambiando l’architettura sudtirolese. Giovani architetti (Kohlmayar Oberst per l’università di Bressanone, Delueg per la scuola professionale, nella stessa città, o Zillich per le Terme di Merano, per citarne solo alcuni) erano riusciti ad affermarsi in competizioni internazionali e a realizzare nella maggior parte dei casi i loro progetti. Nel 2002 abbiamo vinto il concorso per la realizzazione della scuola elementare di lingua tedesca a Vipiteno; un zattera allungata, sospesa sulla linea della ex palude che circondava la città il cui cantiere dovrebbe aprirsi l’anno prossimo. Con una prassi di lavoro inconsueta, con aggregazioni professionali che vengono definite di volta in volta ed accettando una forte mobilità sia nostra che dei collaboratori, siamo riusciti ad ampliare il nostro ambito professionale oltre le angustie a cui ognuno di noi sarebbe stato costretto lavorando tradizionalmente da solo o in un luogo unico. Decisiva per noi è ovviamente la pratica concorsuale e, scrivendo queste note per la rivista degli architetti lombardi, non posso non notare con rammarico come a Milano praticamente tutti i progetti di rilievo siano stati affidati attraverso bandi di gara con selezione a curriculum. Una pratica discutibile per un banditore privato, essa mi appare intollerabile per uno pubblico. Presuppone infatti che solo uno studio di grandi dimensioni o affermato da tempo possa affrontare incarichi complessi. Una presunzione priva di fondamento, come la nostra esperienza basilese ha mostrato e che preclude ad un’intera generazione di architetti di esprimersi attorno a temi cruciali per l’assetto futuro delle nostre città.
FORUM GLI INTERVENTI
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Giuseppe Terrragni sul balcone di casa con il nipote Emilio (Archivio Terragni).
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Una pratica sconosciuta in Svizzera e in Alto Adige, dove ogni incarico pubblico è affidato attraverso la corretta competizione di un concorso aperto, senza privilegi di sorta.
A Parigi presso lo studio Piano di Mauricio Cardenas Laverde
L’esperienza di lavoro nello studio di Renzo Piano è stata per me il raggiungimento di un lungo percorso, iniziato con il mio arrivo in Italia dalla Colombia, nel 1993. A Firenze ho fatto un Master di progettazione alla Syracuse University. Al termine del Master, affascinato dall’Italia, di cui avevo studiato soprattutto l’architettura e la pittura del Rinascimento, mi sono trasferito a Milano per cercare lavoro in uno studio di architettura. Prima di venire in Italia avevo vinto una borsa di studio per un semestre in Giappone e avevo lavorato a Tokyo. Da quest’esperienza, in particolare da un professore giapponese appassionato dell’Italia, è nata la mia voglia di conoscere l’Europa. Lavorando e vivendo a Milano ho cominciato ad interessarmi ad un’architettura di ricerca attenta ai materiali e ai dettagli, il cui caposcuola è Renzo Piano. Ho cominciato a studiare, ridisegnare e visitare le sue opere perché mi appassionava il suo approccio che dava luogo ad un manufatto architettonico ben inserito nel contesto ed egregiamente eseguito in tutti i suoi dettagli. A Milano si trova lo studio di un ex collaboratore di Piano, Ottavio Di Blasi; sono andato a lavorare nel suo studio per
sperimentare e imparare direttamente questa metodologia dell’architettura. Ho lavorato tre anni nello studio Di Blasi, ed ho quindi deciso di mandare un curriculum allo studio Piano; due mesi dopo stavo lavorando alla RPBW di Parigi. Per tre anni ho lavorato in studio, il quarto anno ho collaborato, a Milano, nel cantiere della nuova sede de “Il Sole 24 Ore”. La RPBW è una realtà molto dinamica, è un laboratorio di progettazione dove la sperimentazione è il filo conduttore che lega tutti i progetti. Ogni cosa parte da uno schizzo di Piano, viene sviluppata dal gruppo di lavoro con modelli, disegni a mano libera e sezioni tipo, e quindi verificata nuovamente con il maestro che segue personalmente ogni progetto. Il capo progetto presenta a Piano l’evoluzione del progetto appendendo le tavole, i modelli di studio e le sezioni costruttive; durante questo brain storming tutta l’équipe discute con Piano sul progetto. Finita la riunione si riparte e si migliora continuamente il progetto, incontro dopo incontro, sino alla consegna. Al mio arrivo a Parigi, nel 2000, eravamo 40 ragazzi, dopo due anni 60, ed è stato necessario ampliare lo studio. I ragazzi venivano da tutto il mondo, divisi in équipe di circa 3-4 persone ed un capo progetto. Il mio capo progetto, Antoine Chaaya, è stato per me un grandissimo maestro. La preparazione tecnica, progettuale e compositiva degli associati è d’altissimo livello. Lo studio è un laboratorio di progettazione il cui capo carismatico, Renzo Piano, è molto amato e considerato da tutti i collaboratori per l’indubbia capacità, ma soprattutto per l’umanità e conce-
Gio Ponti nel 1923 (da: Marco Romanelli, Gio Ponti: a world, Abitare Segesta, Milano, 2003).
Giovani architetti crescono di Luca Molinari
Fino a qualche anno fa la distinzione tra “giovane architetto” in Italia e in un qualsiasi altro paese d’oltralpe provocava imbarazzo e dolori di stomaco. Il quoziente di “giovinezza” si spostava dai 30 ai 45 solo varcando i patri confini. Il mestiere dell’architetto in Italia corrispondeva ad un filtro di necessaria, eterna giovinezza dovuto al fatto che le prime, interessanti occasioni progettuali per un architetto si profilavano quando in altre realtà si era considerati prossimi alla pensione.
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zione nobile della vita e del progetto. Si lavora moltissimo in studio, non per mera dedizione, ma perché si sta partecipando a un’opera creativa ed ingegneristica. C’è uno spirito di entusiasmo, curiosità e voglia di imparare che Piano e i suoi associati trasmettono a tutti i ragazzi; non si perde mai di vista il lato umano del lavoro e delle relazioni. Il turn over dei ragazzi è molto veloce, quasi ogni mese si festeggia qualcuno che lascia lo studio per tornare al proprio paese, ai festeggiamenti partecipano sempre tutti, come in una grande famiglia. Questa passione, devozione e metodo di lavoro sono per me il più grande insegnamento del periodo di formazione nello studio di Piano. Per uscire da uno studio come la RPBW e iniziare la propria attività “liberal” (come dicono a Parigi), occorrono forti motivazioni verso il mestiere dell’architettura. Il salto di scala è evidente ed incommensurabile. Tuttavia, in tutte le mie esperienze lavorative, accanto all’ammirazione per il “maestro”, era sempre vivo in me il desiderio di imparare per applicare queste conoscenze al mio progetto. Il desiderio di scoprire e sperimentare la mia capacità personale mi hanno così portato a lasciare questa bellissima macchina creativa, con il progetto di un lavoro autonomo. Il Dottorato di Ricerca su l’architettura sensibile agli aspetti ambientali, ottenuto nel frattempo, mi ha aiutato a non sentire troppo l’horror vacui nel mio ritorno alla realtà. Ho iniziato a collaborare come professore a contratto per il Politecnico di Milano e di Torino; l’esperienza universitaria mi aveva, infatti, sempre accompagnato e appassionato. La mia formazione è varia; ho studiato architettura a Bogotà, e in parallelo mi sono interessato alle architetture locali in mattone, in terra cruda e in bambù. Questa ricerca si trasforma in articoli su alcune riviste (“OFX” e “Costruire”), in lezioni all’università, in viaggi nei paesi dove si applicano queste tecniche, in seminari sul tema. Parallelamente a questo lato teorico collaboro con alcuni studi di architettura, di ingegneria e imprese del settore. Questo mix di lavori a diverse scale mi arricchisce e mi appassiona e mi ha sempre portato nuove occasioni di lavoro, forse perché si tratta di un percorso diverso e mirato ad alcuni aspetti del progetto: la conoscenza dei dettagli architettonici, dell’architettura sensibile agli aspetti ambientali, l’applicazione di alcune tecniche costruttive.
Luciano Baldessari nel suo atelier di New York nel 1947 (da: Luciano Baldessari, a cura di Zita Mosca Baldessari, Mondadori, Milano, 1985).
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Più di una generazione di architetti ha vissuto l’ode dell’architettura disegnata come antidoto alla frustrazione di non veder realizzato alcuno dei segni grafici attorno a cui si ponevano tante attenzioni. Era la fuga onorevole di un mondo di promettenti architetti dall’indifferenza di una realtà produttiva e imprenditoriale che distingueva sempre di più tra accademia, ricerca e professione, imponendo uno spartiacque che in pochi sono riusciti veramente ad evitare. Non è che in Italia non si costruisse, ma il problema vero era, ed è in parte ancora, che l’architettura e la sua qualità innovativa non erano considerati come un argomento di interesse sociale ed economico rilevante. Questo ultimo decennio ha visto invece un processo di accelerazione significativo condizionato da una serie di elementi che sono sorti spostando significativamente molti confini, dalla riforma degli enti pubblici locali con l’elezione diretta del sindaco, all’ingresso di una diversa committenza, da internet ad una prospettiva europea ormai definita, dalla pervasività della comunicazione come strumento di affermazione economica nel mercato, all’esplosione della cultura digitale. Si tratta di fenomeni esterni alla disciplina ma che la condizionano fortemente definendo un nuovo quadro in cui molta dell’architettura italiana si trova ad operare in una congiuntura storica che vede contemporaneamente molti dei maestri riconosciuti della nostra cultura architettonica vivere un esaurimento della loro presenza progettuale e concettuale.
Quello che sorprende quindi è rintracciare dall’inizio degli anni Novanta ad oggi almeno tre tornate generazionali di giovani progettisti pronti a recriminare la propria “novità” in termini anagrafici e culturali. Si cominciò con il primo, sferzante passaggio del gruppo Boeri, Ciorra, Aymonino (Aldo), Zucchi, Ferlenga, Zardini, Ricci, Andriani e Desideri che di fatto sdoganò per primo, in Italia temi e contenuti in linea con il dibattito internazionale. È poi seguita una seconda fase, completamente diversa, con una doppia anima digitale e radicale e con epicentri localizzati tra Roma, Torino, Firenze e Napoli (Milano se ci sei batti un colpo... l’unica pubblicazione d’orientamento a riguardo è: 2 a+p, Luigi Prestinenza Puglisi, Marco Brizzi, GR la generazione della rete, Cooper-Castelvecchi, 2003). Questa è la generazione degli anni Sessanta, figlia della Pantera, della consapevolezza di assenza di padri putativi evidenti, con un interesse per la realtà frantumata della città metropolitana che si sovrappone schizofrenicamente a molte, diverse discipline, che lavora preferibilmente in network e che non vede necessariamente nel progetto tradizionale d’architettura una soluzione ai problemi dell’architettura stessa. È la generazione degli Stalker (www.osservatorionomade.it), Cliostraat (www.cliostraat.it), A12 insieme a Ma0, Amgod#n, Ian+, N!, Metrogramma (www.metrogramma.com), ma anche di Arch’it di Marco Brizzi (www.architettura.it), di New Italian Blood (www.newitalianblood.com) di Luigi
Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers all’E42 nel 1940 (da: “QA Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura” n. 15, 1993). Ernesto Nathan Rogers, senza data (da: “QA Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura” n. 15, 1993).
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Giovanni Muzio nel 1917 a Bassano del Grappa (da: AA. VV., Muzio. L’architettura di Giovanni Muzio, Abitare Segesta, Milano, 1994).
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Luigi Figini, Le Corbusier, Gian Luigi Banfi ed Ernesto Nathan Rogers nel 1935 (da: Luigi Figini e Gino Pollini. Opera Completa, a cura di Vittorio Gregotti e Giovanni Marzari, Electa, Milano, 1996).
Almanacco Casabella dell’architettura italiana: 1998-2004 di Marco Mulazzani
Poco più di sette anni sono trascorsi dall’avvio, negli ultimi mesi del 1997, dell’esperienza dell’Almanacco di Casabella. Ricordo come fosse allora ampiamente condivisa, nella redazione della rivista, l’ipotesi di realizzare un extra issue dedicato ai “giovani” architetti italiani, mentre oggetto di discussione era la decisione sulla cadenza da conferire alla rassegna. Una ricorrenza annuale avrebbe infatti assicurato una maggior continuità all’iniziativa; al tempo stesso, però, era difficile prevedere gli esiti di appuntamenti troppo ravvicinati. Alcune esperienze precedenti, quali l’Almanacco dell’architettura italiana (pubblicato dalla casa editrice Electa in due edizioni, nel 1991 e nel 1993) e la sezione italiana della VI Biennale di Venezia (1996), offrivano in proposito indicazioni contraddittorie: i primi, proponendosi come una sorta di registrazione “in presa diretta” della produzione architettonica tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, abbozzavano infatti un panorama ampio ma fin troppo eterogeneo; la seconda, anche in conseguenza di una necessaria selezione delle presenze, non offriva se non visioni parziali di ciò che stava accadendo oltre la prima linea degli architetti “emergenti”. Tuttavia, questi e altri segnali – ad esempio, gli esiti di concorsi e premi quali Europan, Palladio, Luigi Cosenza e così via – facevano pensare a una situazione non più irrimediabilmente irrigidita ma prossima a rimettersi in movimento; nelle redazioni delle riviste si tornava a discutere di architettura made in Italy. Uscito nell’ottobre 1998, il primo Almanacco 97-98 si ricollegava solo nominalmente alle precedenti iniziative editoriali di Electa, rinnovandole radicalmente attraverso una duplice scelta: operare una forte selezione delle opere da pubblicare e mantenere una stretta relazione con la linea della rivista. Raccogliendo la sfida della cadenza annuale, l’Almanacco si proponeva di stimolare, attraverso un campione significativo di opere costruite, riflessioni sullo “stato dell’arte”, sollecitando critici e architetti esterni alla redazione di “Casabella”. A sette anni di distanza, quel primo Almanacco mi sembra sostanzialmente riuscito e, nel complesso, ancora sottoscrivibile; soprattutto perché tra i 34 edifici presentati (scelti tra oltre 200), accanto alle opere realizzate da “giovani-emergenti”, già segnalati nelle iniziative degli anni precedenti, appaiono, in numero non irrilevante, lavori di “giovani-giovani”, sia dal punto di vista anagrafico sia in quanto estranei, sino a quel momento, al circuito mediatico delle mostre e delle riviste. La scelta di privilegiare le opere piuttosto che il curriculum degli autori è espressa con chiarezza ancora maggiore nell’Almanacco 98-99, esplicitamente riservato agli architetti under 50; significativamente, dei 33 lavori (scelti su circa 300) pubblicati in quella edizione, solo 6 erano firmati da progettisti già selezionati l’anno precedente. Questa ed altre caratteristiche hanno trovato conferma negli almanacchi successivi:
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Centola, della rivista romana “Gomorra” e di quella napoletana “Ventre”. Molte di queste esperienze trovarono la prima, importante ospitalità alla Biennale del 2000 di Massimiliano Fuksas che diede con coraggio voce a queste esperienze così poco disciplinari svelando pubblicamente e soprattutto a livello internazionale, una vitalità inedita dell’architettura italiana soprattutto al di fuori dei suoi circuiti ordinari. Una compressione di tempi ed esperienze molto ravvicinate e inedite per la nostra povera architettura che si combina contemporaneamente all’affermarsi di una generazione di nuovi architetti di “provincia” che nel territorio sviluppano inedite esperienze caricate da una forte vena sperimentale e progettuale. Un fermento di inedita professionalità che si muove lungo tutta l’Italia, dai liguri 5+1 e Marco Ciarlo, ai piemontesi Bruna e Mellano, passando per i lombardi Guidarini e Salvadeo, Al.Bo.Ri., Park, Bigi e Della Torre, Mauro Galantino, Camillo Botticini e Associati. Poi, muovendo dagli emiliani Marco Contini e Lelli+Cristofani passiamo in Toscana con Archea, Ipostudio, Pietro Carlo Pellegrini, per arrivare dritti a sud con i napoletani Cherubino Gambardella e Corvino+Multari, i casertani Beniamino Servino e Massimiliano Rendina, Mauro Saito a Matera, arrivando ai siciliani Marco Navarra, Vincenzo Melluso e Vincenzo Latina. Si tratta di una generazione nuova ma ormai nota e pubblicata da qualche anno, con opere interessanti realizzate e una presenza significativa nel territorio segnalata spesso dall’attività della DARC, o dell’agenzia AIDA come dalla Medaglia d’Oro all’architettura Italiana indetta dalla Triennale di Milano nel 2002. Ma ormai una nuova generazione preme alle porte e fa parlare di sé con le opere prime e i primi scritti. Anche in questo caso geografia, tecnologie, culture e riferimenti si mescolano partendo comunque dall’albero ormai abbastanza solido delle prime due esperienze e anche da un progressivo ringiovanimento di una parte del quadro accademico che vede, ad esempio, nel circuito di dottorati nazionale e internazionale di Villard l’esempio più importante. E così le prime opere di Avatar a Firenze, Labics, Nicole_fvr e 2 a+p (www.dueapiupi.it) a Roma, Ghigos (www.ghigos.com), Alessandro Scandurra e Chicco Molteni a Milano, ma anche gli interventi critici di Giovanni Damiani, Maria Luisa Palombo e Furio Barzon, o gli incontri biennali di Marco Brizzi con il suo spumeggiante Festival Video di Firenze. Si tratta solo di pochi nomi che però indicano un percorso su cui riflettere e da conoscere per interrogarsi veramente su cosa sta diventando l’architettura italiana, che sia giovane o vecchia, e su cosa voglia dire oggi essere architetti in Italia sulla soglia dei trent’anni. Che le cose stiano lentamente cambiando anche qua?
Luigi Figini e Gino Pollini davanti al muro a fresco della Villa-studio per un artista, 1933 (da: Luigi Figini e Gino Pollini. Opera Completa, a cura di Vittorio Gregotti e Giovanni Marzari, Electa, Milano, 1996).
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ogni anno la selezione è stata condotta su un numero elevato di lavori (in media, 200) e numerose sono state le opere prime (o seconde) proposte, a dimostrare la costante attenzione riservata agli architetti più giovani. Con il settimo Almanacco 2003-2004, le opere complessivamente pubblicate assommano a 200, mentre 141 sono i progettisti (o studi di architettura) presentati, a confermare come sia stato mantenuto nel tempo l’impegno, preso nel 1998, a fare dell’Almanacco un luogo aperto ad esperienze diverse e voci sempre nuove, evitando ogni “accademia” (o peggio, consorteria), sia pure di “giovani architetti”. Uno degli aspetti più interessanti (e difficoltosi), ma forse meno percepibili dell’Almanacco è il lavoro svolto nel backstage. I 200 progetti proposti in questi anni ai nostri lettori sono infatti un “campione” estratto da ben più di un migliaio di costruzioni. Si tratta di numeri che consentono di avanzare alcune considerazioni. Anno dopo anno, abbiamo constatato “qualità” crescenti e diffuse tra i lavori che ci sono stati proposti; abbiamo visto molti (purtroppo non tutti) progetti interessanti e (abbastanza) curati nella realizzazione; non ignari delle diverse tendenze dell’architettura internazionale e italiana, talvolta propensi a riprenderne le maniere, ma generalmente attenti a non scadere in volgari copiature; interventi spesso assai “civili”, ossia consapevoli delle responsabilità connesse al costruire nei luoghi. L’impressione che ne abbiamo ricavato è che si sia imboccata la via verso una condizione di “normalità”; che nonostante le molte difficoltà si stia insomma profilando anche da noi, come abbiamo scritto in più d’una occasione, una “civiltà del costruire”, ossia una buona base di partenza. L’Almanacco è stato ed è un osservatorio straordinario al fine di cogliere i tratti principali di un paesaggio in trasformazione quale quello dell’architettura italiana a cavallo tra vecchio e nuovo secolo. Le iniziative, fortunatamente sempre più numerose, intraprese negli ultimi tempi nel nostro paese da parte di istituzioni, enti, riviste (l’organizzazione di premi dedicati agli architetti, alle opere, alla committenza; la realizzazione di convegni e mostre; la pubblicazione di cataloghi, e così via), portano finalmente e giustamente l’attenzione su opere e autori “nuovi”; il fatto che le prime e i secondi siano, in buona parte, a noi familiari, costituisce la miglior conferma della tempestività del contributo portato dagli almanacchi alla definizione di questo nuovo quadro di insieme. Proprio per questo, così come respingiamo l’irriflessa definizione dell’Almanacco come “riserva indiana” dell’architettura italiana, ci guardiamo attentamente dal rischio di mutare in vacuo trionfalismo le legittime (e condivise) “speranze” sollevate dal lavoro di alcuni giovani architetti. Come sette anni fa auspicavamo, attraverso le parole di un grande contemporaneo, che nella nostra crestomazia architettonica “la bellezza del dire non fosse scompagnata dalla importanza dei pensieri e delle cose”, oggi ci sembra necessario tenere in sospetto ogni superficiale affermazione circa le “magnifiche sorti, e progressive” dell’architettura italiana.
Franco Purini M.C. Da diversi anni, attraverso la rubrica “Talent scout” sulla rivista “Paesaggio urbano”, Franco Purini osserva il panorama dei giovani. Che cosa ne emerge? Ci sono alcuni caratteri ricorrenti del giovane talento? F.P. Dalla ricerca delle ultime generazioni, anche se non è possibile né utile generalizzare una situazione che è molto diversificata, nonché in rapidissima evoluzione, emerge come dato in qualche modo unificante una grande concretezza operativa. Tale realismo, spesso non sufficientemente critico, si sposa poi con una spiccata attenzione per le problematiche del contesto, il tutto all’interno di una sorta di neofunzionalismo carico di un preciso interesse per gli aspetti programmatici del progetto. Un interesse nel quale si manifesta una motivata adesione alle tematiche proposte dalla scuola olandese. Ciò che in questo quadro appare in secondo piano è una ricerca consapevole e originale sulla scrittura architettonica, che è considerata da molti non già come un obiettivo primario del progetto ma come l’esito parallelo di un impegno riguardante soprattutto i contenuti strutturali del progetto stesso. Deriva da questo orientamento la consistenza indiretta e derivata del linguaggio, confinato quasi sempre nell’omologante ambito iconico del digitale. Ovviamente ci sono eccezioni significative e di queste cerco di occuparmi nella rubrica “Talent scout”. Voglio aggiungere che per fortuna la grande concretezza operativa che io riscontro nelle ultime generazioni non mi sembra esaurirsi in se stessa. Essa apre verso orizzonti più complessi di cui si intravedono alcuni caratteri ancora in formazione che fanno pensare a una nuova alleanza tra l’arte, la tecnologia e la comunicazione. M.C. In questo quadro qual è, se esiste, la specificità del giovane architetto italiano? E qual è il suo rapporto con la società? F.P. Non credo si possa parlare di una specificità del giovane architetto italiano se con questa parola si vuole indicare le presenza nelle ultime generazioni di caratteri identitari comuni, coscientemente condivisi e strategicamente inseriti in un progetto culturale. Nelle ultime generazioni prevale al contrario un’opposta tendenza alla disappartenenza, nel senso che molti giovani tentano, spesso con risultati discutibili, di parteci-
pare di una mitizzata genericità internazionalista, una presunta situazione geografica di immediatezza comunicativa e di equivalenza linguistica che in realtà non esiste. I giovani architetti compiono lo sforzo di dislocarsi dal proprio ambiente di riferimento attraverso autentiche e spesso tortuose procedure di autosradicamento. Va detto a questo proposito che nella dimensione globale ciò che ha la possibilità di conquistare una risonanza planetaria sono piuttosto le espressioni locali, quando queste sono spinte a un’assolutezza tematica e a una densità espressiva che consentono loro di divenire universali. In un altro ordine del discorso questa specificità invece c’è, agendo a un livello molto profondo e a tempi notevolmente più lunghi di quelli ravvicinati oggi imposti alla ricerca architettonica dal rapido alternarsi delle mode. Purtroppo non c’è tempo qui per approfondire ulteriormente questa riflessione. M.C. La complessità e la stratificazione del progetto contemporaneo, l’articolazione del processo costruttivo favoriscono il ruolo dei giovani? E in che modo la scuola fornisce strumenti adeguati? F.P. La rivoluzione informatica, che ha permeato ogni ambito della vita contemporanea, favorisce senza dubbio le ultime generazioni, anagraficamente nate all’interno dell’era digitale e per questo fisiologicamente sintonizzate con il pensiero elettronico e con le sue figure mentali. Anche l’interconnessione dei fenomeni, compresi quelli apparentemente diversi e lontani, pervenuta negli ultimi anni a un’intensità prima impensabile è una condizione che le ultime generazioni vivono con ammirevole naturalezza, così come si sentono a loro agio affrontando problematiche tecnicamente complesse. Le scuole d’architettura italiane sono riuscite, anche se a costo di una straordinaria accelerazione, a tenersi al passo con i tempi mentre sono gli ambiti economico-produttivo e politico-amministrativo relativi alla trasformazione del territorio e della città che sono attualmente in grave ritardo. Rispetto a questo ultimo punto confesso di non capire perché gli architetti – a partire dai giovani – non cerchino di modificare questa situazione strutturale invece di colpevolizzarsi oltre ogni limite fornendo a coloro che dovrebbero riformare in profondità il nostro paese un comodo alibi perché tutto rimanga come è ora.
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Tre domande a…
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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini
Giovani Architetti “Un architetto giovane è un architetto vivente”. Così un illustre collega definì un giorno la categoria dei giovani architetti alla quale sentiva ancora di appartenere, anche se i suoi dati anagrafici non sembravano confermarlo. Tracciare con precisione i limiti di appartenenza a tale categoria può, in effetti, essere problematico in quanto un’architettura giovane è espressione di uno spirito giovane che non sempre però corrisponde all’età anagrafica dell’architetto. Cosa comporta dunque oggi essere un giovane architetto, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i colleghi, il proprio Ordine, la professione e non da ultimo la committenza? Tutti noi sappiamo quanto può essere ardua a volte la via per chi, giovane studente prima e architetto poi, decide di intraprendere la strada della libera professione in un panorama non solo italiano, ma anche europeo, se non addirittura mondiale. Nondimeno l’importanza dell’apporto concreto che nuove forze possono dare alla nostra categoria non è da sottovalutare e sono sempre più numerose le iniziative che interessano e che coinvolgono in prima persona i colleghi più giovani. Un architetto neolaureato con meno di 35 anni oppure under 40, a seconda dei parametri che di volta in volta vengono utilizzati, trova oggi una serie di argomenti, di spazi e di iniziative che lo chiamano in gioco proprio in virtù della sua giovane esperienza professionale. Si pensi alla proliferazione dei premi di architettura dedicati ai giovani architetti, nei quali tra l’altro sempre più spesso vediamo nella veste di banditore un soggetto privato che preferisce in sostanza avvalersi di un giovane professionista, contando sul valore aggiunto che l’entusiasmo e la voglia di fare di un giovane possono garantire, senza nulla togliere al debito che tutti noi sempre avremo con i colleghi più esperti e stimati che ci hanno iniziato a questa professione. In una società come la nostra, basata sull’informazione e sull’informatizzazione, inoltre, il ruolo di chi è cresciuto con il computer e lo considera come un compagno indispensabile da utilizzare fin dalla fase ideativa e non solo per la restituzione grafica finale, diventa sempre più strategico. L’Ordine di Bergamo, ha sempre creduto e sostenuto i suoi giovani iscritti, consapevole delle difficoltà che incontrano e della ricchezza dei contributi che possono dare alla nostra professione, con una politica di agevolazioni, ma soprattutto grazie al lavoro delle commissioni interne che costantemente propongono momenti di
Terzo corso di formazione all’esercizio della professione.
incontro e formazione rivolti ai giovani. Ogni neolaureato, al momento dell’iscrizione riceve, per esempio dei bonus per consulenze legali, fiscali e urbanistiche da parte di professionisti che hanno dato la loro disponibilità per mettere a servizio dei giovani la loro esperienza. Tutte le iniziative culturali come il viaggio studio a Barcellona di questa primavera, la recente visita al Duomo di Modena ed alla Biennale di Venezia, l’organizzazione di mostre espositive nella nuova sede dell’Ordine (ultima in ordine di tempo “Architettura organica viva” di Imre Makovecz), hanno sempre coinvolto i giovani colleghi che con passione si operano per sostenere e per partecipare a tali attività. È recentemente terminato, per esempio, il terzo corso di formazione all’esercizio della professione, organizzato dalla Commissione Giovani e dalla Commissione Sicurezza per avvicinare i nuovi iscritti a tutta una serie di tematiche che li vedranno impegnati nella professione e per instaurare un dibattito aperto al fine di scambiarsi esperienze e pareri sullo svolgimento della nostra attività. La partecipazione è stata decisamente alta contando sulla presenza di oltre settanta colleghi. Particolare attenzione alla categoria è stata posta anche nell’ambito dell’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche. Il sito dell’Ordine di Bergamo ha ormai da tempo istituito una sezione speciale che dà la possibilità di pubblicare annunci di lavoro, molto apprezzata dai colleghi neolaureati che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro e che contiene decine di inserzioni. L’Ordine ha inoltre stipulato accordi con siti internet specializzati per poter offrire gratuitamente ai propri iscritti servizi professionali di informazione per quanto riguarda il mondo dei concorsi di cui si è parlato sopra. Non scopriamo oggi l’importanza ed il peso dei giovani nell’architettura, ai quali è riconosciuto un ruolo sempre più importante ed ai quali è chiesto un contributo sempre maggiore in termini di qualità. L’abbattimento dei confini nazionali all’interno dell’Unione
Matteo Calvi coordinatore della Commissione Informazione ed Internet
Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli
Gruppo Giovani Architetti della Provincia di Brescia Da qualche anno è attivo a Brescia il Gruppo Giovani Architetti della Provincia di Brescia (GGA), associazione riservata agli “under 40” costituitasi agli inizi del 1997. Gli ambiti di approfondimento del gruppo riguardano aspetti culturali, tecnici e di aggiornamento legislativo. Fra le iniziative promosse dal GGA ricordiamo le numerose visite a cantieri (il Castello di Rivoli, il quartiere Bicocca, il MART di Rovereto); meeting dedicati alle nuove tecnologie costruttive; incontri inerenti progetti e opere in costruzione nella città di Brescia (Brescia, città in trasformazione); convegni con grandi architetti (Il teatro La Fenice, il progetto dello studio Rossi); un dibattito inerente al design in ambito bresciano; un concorso nazionale di design; una mostra di progetti dei giovani architetti; corsi propedeutici allo svolgimento della professione; corsi di aggiornamento sulla normativa; viaggi “intorno” all’architettura: Berlino, Vals, Londra, Vienna, Barcellona, Basilea, Strasburgo. Il Gruppo Giovani Architetti è un’associazione senza fini di lucro che conta, attualmente, sessanta associati. Gli organi del GGA sono l’Assemblea degli associati e il Consiglio direttivo. Tra i propositi descritti nello statuto, il GGA annovera il compito di “contribuire alla formazione e sviluppo dello spirito associativo, promuovendo rapporti di collaborazione e solidarietà fra i giovani architetti”. In tale senso va interpretata la volontà di avviare un confronto con i giovani architetti di Darmstadt, città gemellata con Brescia. Il GGA è parte di GIOVANI PER UN PROGETTO, associazione con cui il Gruppo condivide il desiderio di attivare azioni d’incontro tra giovani professionisti. Il nostro contributo per il numero di “AL” dedicato ai giovani, ha preso il via da un piccolo studio statistico, compiuto
tra architetti iscritti al GGA e non: in totale 118 persone, di età compresa tra i 27 e i 40 anni, dei quali 62 donne. Da tale indagine sono scaturite alcune considerazioni. • La quasi totalità dei colleghi contattati è iscritta all’Ordine ed è titolare di una partita IVA. La maggior parte di essi, pari al 18%, collabora con uno studio di architettura in forma continuativa, seppure con un rapporto definito fiscalmente di tipo occasionale: sono pochi i casi di assunzione vera e propria, e in particolare le donne rappresentano ben più della metà di questo gruppo. • In successione numerica possiamo collocare i giovani architetti che svolgono la libera professione associandosi ad uno o due colleghi: questi rappresentano il 16% del totale e si tratta in prevalenza di uomini. Pari incidenza percentuale possiedono i colleghi che hanno trovato spazio all’interno dello studio professionale del padre, che svolgeva attività come tecnico (architetto, geometra o ingegnere), con il quale hanno iniziato a collaborare o al quale sono subentrati. Anche in questo caso maggiore è l’incidenza maschile. • Una cospicua presenza femminile (82% su 14% totali) è invece rilevabile nell’ambito degli uffici tecnici della pubblica amministrazione (Provincia di Brescia, Comune di Brescia o altri comuni). • Una diffusa forma di cooperazione tra giovani architetti è quella della condivisione degli spazi (e dei relativi oneri) dedicati allo svolgimento dell’attività; a questo tipo di soluzione ha aderito il 10% dei colleghi intervistati, con una debole presenza di donne, più numerose nella categoria che definiremmo “mista”, cioè quella di colleghe e colleghi che svolgono la loro attività dividendosi tra lavori e committenze propri e collaborazioni sporadiche con studi professionali più strutturati e con più anni di attività alle spalle, o con negozi di arredamento che offrono la consulenza di un architetto ai propri clienti. • L’8% dei giovani architetti svolge la libera professione in forma singola con studio professionale e clientela propri, senza avvalersi di collaboratori, se non saltuariamente. • Pochi gli insegnanti (il 3%) mentre solo l’1,5 % collabora con un’impresa di costruzioni in forma stabile. Valutando i racconti degli intervistati e i conseguenti dati numerici emersi, il percorso-tipo di avviamento alla professione per un giovane architetto sembrerebbe quello in seguito descritto. Quasi tutti gli intervistati svolgono una prima esperienza lavorativa presso uno studio di architettura, dove viene loro richiesta, in particolar modo, la capacità di utilizzare un determinato programma di disegno per il computer. L’iscrizione all’Ordine professionale avviene, mediamente, non prima dei 27 anni; un laureato è sollecitato ad iscriversi e a dotarsi di una partita IVA per poter lavorare presso uno studio: rarissimi sono i casi di assunzione vera e propria mentre è molto diffuso l’uso di ricevere compenso dietro emissione di fattura. In moltissimi casi tale compenso è definibile come poco dignitoso. Il giovane architetto permane “alle dipendenze” di un
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Europea comporterà inoltre un maggior contatto con realtà diverse e stimolerà ulteriormente il rapporto dialettico tra le culture architettoniche e non solo dei vari paesi. È per questo motivo che le azioni intraprese dagli Ordini e dalle associazioni di categoria sono fondamentali per non restare esclusi dal dibattito che già oggi è allargato, ma che in futuro richiederà ancor più energia e professionalità agli architetti italiani.
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architetto più anziano per qualche tempo, fino a che non riesce ad ottenere i primi incarichi, grazie ai quali dà avvio alla libera professione. Chi collabora con uno studio non compie quasi mai un percorso di crescita che lo porti ad affiancare il titolare in modo più determinante (e gratificante): solo uno degli intervistati ha raccontato di essersi associato all’architetto per il quale aveva svolto prestazione professionale per alcuni anni. Per i giovani architetti sono ristrette anche le possibilità di pervenire a un incarico in seguito ad un concorso. Sempre più frequentemente i concorsi di progettazione sono riservati a studi con curriculum e reddito sostanziosi e i concorsi di idee non generano quasi mai un’opportunità di lavoro. Roberta Alghisi, Presidente GGA e Gianni Senco, Tesoriere GGA
Gruppo Giovani Architetti della Provincia di Brescia Sede legale: via Grazie 6, 25122 Brescia Sede operativa: via Cattaneo 70, c/o arch. Gianni Senco, 25121 Brescia www.archigiovani.brescia.it
Como a cura di Roberta Fasola
Giovani Architetti: la speranza progettuale Un titolo sicuramente provocatorio quello da me scelto, a riassumere sia i pensieri della “nuova generazione di progettisti” che i desideri della “vecchia”. Speranza di farcela per entrambe… a dare una ritrovata qualità all’architettura...; speranza di inserirsi all’interno del difficoltoso panorama lavorativo che si offre oggi. Troppo spesso la necessità di sopravvivere economicamente diventa ostacolo alla qualità progettuale: la necessità del fare si scontra con quella del progettare. Vero è che le attese cariche di entusiasmo tipiche del neolaureato lo invogliano ad accelerare la propria fase di crescita professionale, ma che in realtà necessita di un periodo di apprendistato presso uno studio professionale.
Ma quanto deve durare questo momento? Forse si tratta di maturare una sensibilità tale da riuscire a capire quando si è pronti ad affrontare un lavoro in maniera indipendente. La fase dell’apprendistato, a detta dell’arch. Francesco Castiglioni – esponente degli ultimi 50 anni dell’architettura comasca – spesso finisce con lo sfociare nella difficoltà di gestione del rapporto datore di lavoro-dipendente: la volontà di creatività ed autonomia di quest’ultimo diventano ostacolo nell’apprendere un lavoro che, al contrario, necessita di sapienza ed esperienza. Di rimando l’arch. Angelo Avedano – titolare di uno studio composto da due professionisti “anziani” che si sono nel tempo associati a due “giovani” – ritiene invece fondamentale la curiosità tipica di questi, quale fonte di idee scevre da condizionamenti: “la voglia di fare e di emergere deve interagire con l’esperienza di chi vuole tramandare il proprio sapere”. Entrambi i professionisti colgono però un aspetto comune della questione: la presenza di una certa globalizzazione culturale che, nel caso del primo viene interpretata come l’evidente necessità di riscoprire una coscienza, o una conoscenza, critica nel progettista che lo liberi da banali compiacimenti formali. “Ciò che traspare spesso dai progetti ‘giovani’ è una traduzione forzata nell’immagine fotografica dove l’opera architettonica è data solo da effetti di luci ed ombre e non dalla presenza della materia vissuta, nata e cresciuta alla ricerca di un proprio senso ed uso. Materia che diviene fondamentale nel giudicare il prodotto d’architettura e non puro gioco che, seppur in maniera raffinata, si fa semplice rivisitazione da rivista”. Meno severo il punto di vista dell’arch. Avedano che interpreta la globalizzazione come un momento di crescita: se la gente “copia” significa che si informa; ciò che occorre è solo la capacità di reinterpretare criticamente ciò che si osserva. Solo attraverso un reciproco scambio si riuscirà ad avere una capacità di giudizio: “la sola opinione personale fa invecchiare precocemente il progettista”. Una critica dura nei confronti di noi giovani, ma che credo voglia spronarci a dimostrare che vogliamo e sappiamo fare di meglio: ritrovare la poesia del progettare, riscoprire il valore dei luoghi e della materia, dei sapori e degli odori. È saper vedere ciò di cui parla Zumthor nel libro Pensare architettura: “La presenza di certe costruzioni ha per me qualcosa di misterioso. Sembrano essere lì, semplicemente. Non prestiamo loro nessuna attenzione particolare, eppure è pressoché impossibile immaginarsi senza di loro il luogo in cui sono insediate; sembrano dire: sono così come tu mi vedi ed è qui che devo stare… Quando nell’acqua di uno stagno viene gettato un sasso, un vortice di sabbia si solleva e si rideposita; il sollevamento è indispensabile affinchè il sasso trovi il suo posto. Ma lo stagno non è più lo stesso di prima”. A questo punto ritengo sia essenziale ascoltare l’opinione di chi sta tentando di lavorare con l’entusiasmo necessario per far sì che i propri pensieri si facciano cosa fisica.
R. F.
Cremona a cura di Massimo Masotti
Diamo voce ai giovani architetti L’idea che mi è venuta per quest’articolo è stata quella di far parlare direttamente i giovani architetti. Ho inviato una breve mail ai giovani iscritti al “Progetto newsletter” (un servizio d’informazione dell’Ordine che aggiorna i propri iscritti tramite internet ogni 3-4 giorni) in cui chiedevo loro di raccontarsi, non essendoci i tempi tecnici per un sondaggio a più larga scala.
Un po’ scarse le adesioni. Peccato. L’esiguo spazio editoriale dato ai redattori con la nuova veste di “AL” fa, però, rientrare la mia preoccupazione. Prima di dare la parola ai nostri colleghi fornirò un po’ di dati. Da una stima fatta con i dati in possesso dell’Ordine, gli architetti con meno di 40 anni sono più del 40% di tutti gli iscritti. Una percentuale molto alta e in continuo aumento. Le nuove iscrizioni sono arrivate a 35 per il 2004: tra queste anche 2 di architetti junior e 6 di laureati in pianificazione. Nel 2003 le iscrizioni avevano avuto un calo rispetto agli anni precedenti (17 di cui 2 trasferimenti), in cui il trend dei nuovi iscritti era sostanzialmente stabile (27 nel 2000, 28 nel 2001 e 24 nel 2002). Numeri che raccontano di una popolazione di architetti sempre più ampia (550 iscritti a fine 2004) e di una coperta sempre più piccola. Un quadro non certo entusiasmante per un giovane che si avvicina alla professione. Ne consegue che il primo problema dei giovani architetti è quello economico. Chiara ha 27 anni ed è laureata da poco più di un anno. Lavora con un gruppo affiatato di amici in uno piccolo, ma attivo studio fiorentino. Scrive: “Aspirerei a grandi idee, a meravigliose chimere, ma il mondo del lavoro si scontra con la realtà economica, molto più di quanto le mie idee progettuali non lo facessero quanto ero ancora studente”. E ancora: “Dopo la laurea non ho incontrato grosse difficoltà a introdurmi in uno studio (…) Molto più difficile è stato ottenere un retribuzione adeguata. Penso di aver trovato un luogo dove mi apprezzano, mi stimano e ripagano economicamente bene il mio lavoro. Purtroppo sono un caso abbastanza isolato (…) Sento ancora di amici professionalmente in gamba che ricevono 700 euro al mese lordi in fattura. Una vergogna!”. Il problema economico non tocca solo Chiara. Teresa ha 35 anni e lavora come collaboratrice didattica e scientifica presso il Politecnico di Milano. Afferma che ha accettato ob torto collo la precarietà senza confini cui obbliga l’organizzazione dell’università italiana, in attesa che la categoria dei co.co.co. ottenga contratti con stipendio dignitoso, come esistono nelle università americane”. Il lavoro di studiosa è interessante e impegnativo ed è paragonabile all’attività professionale vera e propria. Infatti “l’architetto che lavora sulla storia progetta una lettura dell’evoluzione del costruito e delle riflessioni su di esso, esattamente come il suo alter ego tradizionale progetta un edificio”. E conclude amaramente dicendo che “l’unico vero problema è conciliare le necessità della vita quotidiana con la scarsità dei proventi”. La carenza non è solo economica, ma anche dell’offerta lavorativa: Mariano (37 anni) e Paolo (34 anni), due architetti che lavorano da qualche tempo insieme nella loro “officina di architettura”, mettono in rilievo quest’aspetto. Il panorama professionale è caratterizzato da una sub cultura architettonica della committenza, che predilige un discorso mirato al risparmio di tempo e denaro, a
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La prima esperienza raccolta è stata quella dell’arch. Laura Cappelletti, quale esperto in materia di Tutela Ambientale: “La figura dell’Esperto Ambientale è nuova, ed essere chiamati ad esprimere un giudizio sul tema dell’ambiente a volte è difficile perché questo si basa su criteri sia oggettivi che soggettivi: vale a dire che le regole con cui ci si deve confrontare non sempre indicano esattamente cosa va e cosa non va bene in un determinato contesto. Per poter svolgere al meglio questo mandato è fondamentale e confrontarsi e collaborare con l’Amministrazione Comunale. Personalmente lo ritengo un momento importante e significativo per la mia formazione professionale. Negli ultimi anni è aumentata la sensibilità comune sul tema dell’ambiente, indipendentemente dal fatto che questo interessi un’area vincolata o meno: esperienza questa che porta a riflettere su come e cosa vuol dire fare architettura”. Altra esperienza formativa è quella di un gruppo giovani architetti che hanno recentemente vinto il concorso “Una porta per Brienno” (Luca Balestreri, Franco Tagliabue e Stefania Saracino): “La considerazione più immediata per lo ‘strumento’ del concorso ha a che fare con la grande possibilità che può dare a giovani architetti, che ancora non hanno un circuito consolidato in grado di sostenerli professionalmente, di presentare le loro idee progettuali. È di fondamentale importanza comunque che si presentino alcune variabili atte a non vanificare l’importante processo culturale messo in moto e fare sì che il patrimonio intellettuale sotteso si possa concretizzare in architettura. A nostro avviso la condizione prima è che esista una forte volontà di procedere con la realizzazione dell’oggetto di concorso da parte del soggetto. Altra condizione fondamentale è la presenza di una giuria di riconosciuta qualità e al di sopra della piccola rete degli interessi locali consolidati. Infine, la redazione di un buon catalogo dei progetti partecipanti e una buona pubblicità estesa ai tecnici e alla gente comune aiuterà a migliorare gli effetti del confronto sensibilizzando anche i veri fruitori del progetto”.
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discapito dell’etica e della qualità architettonica. La mancanza inoltre di una legislazione a tutela del lavoro delle giovani figure professionali non favorisce, di certo, l’ingresso di un giovane studio nel mercato architettonico contemporaneo”. Roberto (36 anni) lavora a Pizzighettone, a circa una ventina di km da Cremona. Rimarca la difficoltà di avere un ambito di lavoro stimolante e fa notare come vi sia “poca attenzione a discutere d’architettura, soprattutto dalle persone che ritenevo più inclini alla stessa, ossia da parte degli architetti più grandi, quelli considerati senior”. Non perde però la speranza: “Credo che ogni nuovo progetto che affrontiamo sia una nuova esperienza, l’attenzione ad altre discipline è necessaria e molte volte determinate per il buon esito dello stesso; questo continuo ricercare rende, a mio modo di vedere, sempre vivo e affascinante questo mestiere“. E cita Renzo Piano: “Su un piccolo pianeta chiamato terra dove tutto è già stato scoperto, progettare è ancora una delle più grandi avventure possibili”. Infine Laura Maria, 38 anni, imprenditrice edile, non si occupa di progettazione, ma realizza progetti di altri. Ci racconta: “Il lavoro che faccio mi piace. È stimolante, affascinante, mai di routine (…) Ogni nuovo cantiere, che sia di restauro, di edilizia scolastica o un centro sportivo, è sempre una nuova sfida (…). Ed aggiunge una nota romantica: “Per me questo lavoro è un altro modo di ‘fare architettura’ e le motivazioni e gli stimoli ognuno li trova dentro di sé, nei rapporti umani che sa creare nell’ambiente di lavoro, non solo nella tipologia di lavoro che svolge”. M. M.
Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti
Intervista a Davide Bergna. Utopie di un giovane architetto... Ci descriveresti il tuo ruolo all’interno dell’Associazione Gruppo Giovani Architetti della provincia di Lecco, illustrandoci di che cosa si occupa esattamente detta associazione? L’AGGA, di cui sono presidente da 4 anni, nasce nel 1999 grazie a un gruppo di giovani architetti, di cui facevo parte, con l’intento di dare spazio e voce ai giovani colleghi. L’associazione ha il compito di promuovere iniziative, proporre e organizzare viaggi culturali, così come di attivarsi per ideare momenti ricreativi in sintonia con le esigenze dei giovani architetti; tutte iniziative che il vecchio Consiglio dell’Ordine negava a noi giovani. Nel 2000
Davide Bergna (coll. Alessandra Manzoni e Chiara Baccarini), Museo del Ciclismo, Madonna del Ghisallo (Lc) in corso di costruzione.
l’AGGA promuove all’interno del rinnovato Ordine la Commissione Giovani con il proposito di dare indirizzi professionali, sviluppare concorsi, proporre corsi per l’introduzione alla professione dei giovani iscritti. È così raggiunto lo scopo dei giovani di avere voce all’interno della struttura dell’Ordine. Ora però i giovani si sono disinteressati e ciò comporta la mancanza di persone che partecipi alla programmazione futura dello sviluppo professione, sempre più in mano ai politici e alle lobby dei grandi studi associati. Dalla tua esperienza di questi anni, quali sono state, e sono, le problematiche professionali legate all’ingresso dei giovani architetti nel mondo del lavoro
Ritieni che il mondo accademico sappia preparare i giovani architetti e come dovrebbe essere strutturato il percorso di preparazione che conduce i giovani all’esercizio della professione? Siamo obiettivi, il giovane che conclude il ciclo accademico ben poco conosce della nostra realtà professionale: non è colpa dei programmi e delle istituzioni, ma dei professori che sono rimasti troppo accademici! Io proporrei, a costo di scandalizzare molti colleghi, un tirocinio professionale sino ai 35/40, età nella quale si potrebbe aver raggiunto una sorta di doppia maturità: professionale oltre che interiore. Solo dopo questo lungo percorso dovrebbe essere consentito fregiarsi del titolo di Architetto Senior (per capirci, colui che ha una bella targa all’ingresso dello studio... ed ha la capacità professionale di seguire un intero progetto!). È spontaneo chiedersi come è possibile “sbarcare il lunario” sino a detta età... Lo studio dell’Architetto Senior dovrà remunerare adeguatamente i più giovani permettendo loro di guadagnarsi stima e fiducia, magari consentendo di divenire soci con il titolo di Architetti Junior. L’esistenza di soci senior e junior consentirebbe il raggiungimento di traguardi professionali all’interno dello studio. Ed in tal modo si acquisirebbe una graduale responsabilità nei confronti del committente. Ciò che realmente occorre è rilanciare la figura professio-
nale dell’architetto che è stata, passatemi il termine, “sputtanata” dai colleghi ormai meno giovani. Spesso si commettono gravi errori, a causa della mancanza d’esperienza, nei computi metrici e nella successiva programmazione di spesa da parte del committente. Proporrei un obbligo di assicurazione sulle incompetenze professionali e sul superamento dei preventivi. L’assicurazione potrebbe intervenire per coprire le spese non previste o erroneamente valutate dall’architetto. Automaticamente l’assicurazione non rinnoverebbe la polizza ai professionisti chiamati più volte a rispondere e quindi si eliminerebbe il peggio della concorrenza. Per continuare la mia “utopia di giovane” per garantire un futuro certo e migliore alla nostra professione proporrei un obbligo di fidejussione da parte del proprietario per garantire al Comune che i lavori saranno ultimati. La fidejussione dovrà essere pari alla cifra necessaria per concludere il progetto; se l’impresa non dovesse portare a termine quanto iniziato, il Comune potrebbe utilizzare detta fidejussione a suo favore per finire ciò che si era iniziato. Non assisteremmo più alla visione di scheletri edilizi o allo scempio di aree senza uno scopo preciso e ben calibrato economicamente. Non dimentichiamo che questa proposta consentirebbe anche l’eliminazione dell’evasione fiscale. Inoltre il Comune non dovrebbe più essere organo di controllo preventivo: l’agibilità verrebbe rilasciata immediatamente dopo la conclusione dei lavori e solo l’ottenimento di quest’ultima dovrebbe consentire i vari allacciamenti, (acqua, luce, gas ecc.). In tal modo si eviterebbe alle famiglie di occupare edifici non ancora resi agibili con il conseguente rischio per la loro salute ed incolumità. Partendo da tue considerazioni sul nostro ruolo professionale cosa consiglieresti ad un giovane architetto e che cosa lo dissuaderesti a fare? Nella professione l’architetto è spesso incaricato di progettare e gestire la casa, è quindi chiamato ad essere il responsabile del patrimonio famigliare e, nel caso ne calcoli le strutture portanti, anche responsabile della vita di coloro che occuperanno l’opera progettata. L’architetto non deve pensare alla professione come mera fonte di ricchezza ma, innanzittutto, ad una missione finalizzata all’insegnamento e alla diffusione dell’architettura che sopravviverà al suo ideatore ed ai suoi primi utenti. L’opera dell’architetto è d’interesse pubblico e costituisce un patrimonio della comunità. Tutti i giovani devono aspirare a divenire grandi architetti, pur nella consapevolezza che tale traguardo implica tanta strada, tanta umiltà e sacrificio. Il mio consiglio è di far valere sempre le proprie motivazioni professionali legate alle scelte progettuali e non scendere mai a compromessi con imprese e committenti, colleghi ed Enti pubblici. Ciò che occorre è procedura, metodo, continuo aggiornamento professionale, confronto e dialogo con i colleghi.
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che è importante sottolineare e quali le maggiori difficoltà dei giovani architetti? In primo luogo bisogna considerare che la concorrenza nella nostra professione è elevatissima e pertanto un giovane si scontra con un mercato saturo. Un dato decisamente significativo: io sono iscritto con il numero 344 ed ho appena compiuto 40 anni; oggi gli iscritti nella provincia di Lecco sono ormai 800, il che significa che più della metà degli iscritti non è ancora quarantenne!! Siamo molti e molti di più sono i giovani. C’è moltissima concorrenza sleale combattuta con il solo ribasso delle nostre parcelle; la carenza di incarichi porta i colleghi (per la verità anche meno giovani) a proporsi operando spesso al di sotto delle soglie tabellari. Spesso questo sfocia in un decadimento di qualità del prodotto. La difficoltà nel sostenere la tesi dell’importanza di un ottimo progetto giustamente remunerato nasce anche dalla polemica con l’Associazione dei Costruttori. Quest’ultima sostiene che una delle cause della difficoltà economica nel settore dell’edilizia è il costo elevato delle parcelle professionali. Ritengo semplicemente assurda questa tesi. Ricordo che è vero che la nostra parcella (sempre ammesso che non si lavori al di sotto delle soglie minime di cui abbiamo appena accennato) corrisponde mediamente al 8-10% del costo di costruzione, ma in realtà, rispetto al prezzo di vendita attuato dal costruttore, l’esborso economico per il progetto corrisponde a circa il 4% e con le responsabilità a cui siamo chiamati a rispondere penso che siano addirittura da alzare.
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Lodi a cura di Antonino Negrini
Noi giovani architetti Per l’Italia dell’architettura non è più tempo di idealismo, ma di pragmatismo. Il nostro paese sta uscendo da un periodo difficile, quello in cui gli architetti volevano fare solo i designer. La tendenza di questi ultimi anni sta cambiando e ritornando alle sue origini, o meglio, alle fondamenta realistiche dell’architettura e della sua professione. Gli architetti stanno tornando a fare gli architetti. E questo è un segnale positivo. Il cambio di rotta si avverte maggiormente nelle grandi città, soprattutto a Milano, dove il design è stato protagonista indiscusso nel periodo del suo massimo splendore e di maggior richiamo. Questa corrente non è stata inglobata nelle realtà provinciali – che sono un po’ diverse e meno alimentate dall’ambizione metropolitana – ma è riuscita ugualmente a trasmettere i suoi concetti anche fuori dalle mura della grande città. I segnali che ci arrivano dal mondo del lavoro e dalle informazioni quotidiane, ci mostrano fortunatamente uno scenario in cui prevale la progettazione e il realismo architettonico. Il design ha predominato per anni sulle passerelle milanesi, e ha fatto da traino culturale anche nelle altre realtà locali, ampliando l’espressione artistica degli architetti da un nuovo punto di vista. Forti di questo know-how, che ci ha permesso di crescere e valutare anche gli aspetti più emozionali del nostro lavoro, abbiamo avuto l’opportunità di integrare la cultura del mattone con il valore aggiunto del bello e dell’estetica. Il design ha il merito di averci fatto scuola per esprimere emozioni e sentimenti all’interno del razionalismo architettonico ed è da questo dualismo da cui bisogna continuare il nostro lavoro. In Italia i modelli di progettazione viaggiano su due binari paralleli: quello delle grandi città e quello dei piccoli centri. A Milano, ad esempio, i grattacieli sono di casa, fanno parte da sempre della sua storia architettonica. Basti pensare alla Torre Velasca e al grattacielo Pirelli: quando lo studio BBPR e Gio Ponti li avevano progettati non erano certo provinciali ma, al contrario, cercavano di adattare un modello internazionale all’idea di una modernità tutta italiana. L’importante non è tanto l’altezza, ma che i grattacieli non siano solo scatole. Nei piccoli centri sta emergendo, invece, la ristrutturazione del vecchio: c’è la voglia di valorizzare le vecchie cascine e le case agricole trasformandole in ambienti moderni mantenendo allo stesso tempo tratti originali della loro costruzione. Grattacieli e case agricole nascono da due radici architettoniche ben diverse, però oggi ciò che avvicina le due real-
tà è la costante ricerca dell’uno nell’altro: il palazzo cerca elementi di rustico da integrare come il rustico cerca di arricchire elementi di moderno nel suo piccolo emisfero. È l’occasione, quindi, per noi architetti che operiamo in provincia di valorizzare il nostro costante lavoro di recupero di un patrimonio storico e culturale mai stato così importante per la rinascita di tante piccole realtà soffocate e abbandonate per anni a favore dell’urbanistica metropolitana. Troppo spesso però agli architetti si chiede di adeguarsi ad una linea, ad un’idea, già preconfezionata dagli esperti di mercato. L’ente pubblico la fa sua e l’architetto si deve adattare. Gli si chiede di ritagliare un abito per un corpo già pensato da altri, secondo logiche puramente commerciali e politiche. L’architettura si fa con i pensieri e con i disegni. Però servono anche i mattoni. Incidere nella realtà che si vive, non solo per interpretarla, come si fa oggi, ma per metterla in discussione. Forse quello che manca ai giovani architetti di oggi è un po’ più di fiducia da parte della società e un po’ di spazio su cui cimentarsi per poter continuare a crescere e a imparare la nostra professione. Massimo Bentivegna Usualmente si considera “giovane architetto” un progettista che non ha ancora raggiunto la soglia dei quarant’anni, meta fatidica – secondo molti – per poterlo ritenere un vero professionista; indiscutibilmente il cammino professionale che mi aspetta è molto lungo, essendo ancora un “under 30”, ma spero le esperienze fino ad ora maturate possano servire da stimolo per altri giovani colleghi che, come me, si sono da poco affacciati su quel complesso mondo che è la professione dell’architetto. Laureato nel 2000, mi sono adoperato, da subito, nell’assolvere la cosiddetta “gavetta”, comune e tacita convenzione secondo la quale un neolaureato, al primo impiego, non merita altro che una pacca sulla spalla e un simbolico rimborso, quel poco che basta per sperare in un futuro sempre migliore… Di fronte a tale usanza, diffusa tra quasi tutti i liberi professionisti, in ogni settore, scelsi, per la mia prima esperienza lavorativa, di “imparare il mestiere” in uno studio di progettazione per il quale ambivo davvero lavorare, che si occupava di bioarchitettura e Feng Shui, dove ho avuto l’opportunità di mettere in pratica le conoscenze approfondite nel corso dei miei studi universitari. Da sempre affascinato dal mondo orientale, dalle filosofie che lo sottendono e che sintetizzano ogni aspetto della vita materiale e spirituale dell’uomo in un unicum di cui tutto e tutti siamo parte, fui fortemente sorpreso ed incuriosito nell’apprendere, ancora studente, dell’esistenza di una disciplina cinese, il Feng Shui appunto, che analizza gli spazi e articola la casa, considerandola non solo dal punto di vista prettamente materiale, ma ponendola su un piano più sensibile e simbolico, ricco di signi-
Luca Negri
Milano a cura di Roberto Gamba
Giovani e professione a Milano Per affrontare il tema tre erano gli indirizzi che si sarebbero potuti prendere in considerazione: una rassegna di opere progettate e realizzate da “giovani” che apparissero significative nel panorama architettonico italiano; un’inchiesta sul ruolo e sull’attività dei numerosissimi iscritti all’Ordine di Milano; la “voce” – originale oppure conforme, che esprimesse gli ideali, le sensazioni, gli obiettivi di coloro che da poco hanno iniziato a cimentarsi nella professione dell’architetto. Riguardo al primo tema Milano avrebbe offerto troppo; o meglio: troppo complicato e vasto sarebbe stato il compito di recensire le tante o poche opere, realizzate dai sub-quarantenni. Per il secondo indirizzo abbiamo chiesto al “consigliere” Valeria Bottelli di riassumere l’attività investigativa che l’Ordine ha impostato, al fine di chiarire cosa fanno gli oltre diecimila iscritti di Milano. Infine, il contributo pervenuto, riguardo il terzo aspetto, non si può affermare con certezza se sia significativo nel rappresentare per intero la realtà dei giovani professionisti. Non è certo che possa rappresentare la realtà civile di una
città, che vorrebbe rispecchiarsi nella dialettica tra varie componenti culturali e sociali, tra tradizione e avanguardia giovanile, ma che pare oggi più attenta ai subdoli giochi del potere e dell’economia che ai valori dell’architettura. Milano appare soprattutto attraversata da un’efficienza costruttiva tipo “fai da te” che, tutto sommato, è tecnicamente responsabile e corretta. Quella di Marco Brugnara – associato alla comunità dei Cantieri Isola di Milano, laureato nel 2002 presso il Politecnico di Milano – è, così, da ritenersi una testimonianza parziale ma ugualmente utile per conoscere la composizione del nostro ambiente urbano. R. G.
L’Ordine degli Architetti di Milano: un Ordine giovane Al fine di conoscere più da vicino le caratteristiche e le esigenze dei propri iscritti, l’Ordine di Milano ha incaricato una società di ricerca di realizzare un’analisi sull’universo dei propri iscritti. È terminata la prima elaborazione delle informazioni ottenuta incrociando i dati anagrafici e i dati più dettagliati, derivanti dalle risposte a un questionario inviato dal 2000, agli iscritti e compilato ad oggi da 6.015 architetti. Sono in maggioranza donne i nuovi iscritti (0-7 anni di iscrizione), una tendenza iniziata fin dalla fascia 11-15 anni di anzianità; nelle fasce successive gli uomini sono ancora in maggioranza (77% oltre i 26 anni di anzianità). Un altro dato di interesse è la constatazione del progressivo e continuo “ringiovanimento” dell’Ordine. I neo-iscritti operano per circa metà in provincia, mentre gli iscritti fino a 40 anni sono al 55-58% localizzati in Milano città. Gli uomini provengono prevalentemente dagli studi di maturità tecnica (43% nei neo-laureati – 45% degli iscritti fino a 40 anni) e scientifica (34 dei neo-laureati, 31% degli iscritti fino a 40 anni). Le donne, invece, prevalentemente dalla maturità scientifica (35% delle neo-laureate, 38% delle iscritte fino a 40 anni) e artistica (32% sia delle neolaureate che delle iscritte fino a 40 anni). Tra coloro che svolgono attività specialistiche, prevale la maturità tecnica, seguita dalla scientifica e artistica; la classica è ancora diffusa tra coloro che si occupano di ricerca, di attività editoriale e pubblicistica e restauro dei monumenti; la scientifica e l’artistica tra chi si occupa di disegno industriale. Si vede una larga prevalenza della condizione di libero professionista singolo, che si riduce però progressivamente con l’anzianità di iscrizione (67/68% dei neo-iscritti; 47/48% degli iscritti fino a 40 anni). La condizione di associato acquisisce rilevanza solo in età più avanzata, mentre è limitata al 3% dei neo-iscritti e circa al 10% degli iscritti fino a 40 anni. Più frequente appare la condivisione di incarichi e spazi, il 6/8% dei neo-iscritti e addirittura il 12/16% degli iscritti fino a 40 anni.
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ficati racchiusi nelle profonde radici di ogni uomo, ma ormai lontani dalla nostra moderna cultura occidentale. Scoprire come i miei interessi personali e la mia professione potessero correre su binari strettamente paralleli è stata per me una folgorante e stimolante sensazione. Con il supporto del prof. Dell’Acqua Bellavitis, presso il Politecnico di Milano, ho approfondito lo studio di tale disciplina, facendone argomentazione di laurea, sviluppata insieme alla mia collega Daniela Bailo, amica con la quale ho condiviso gli anni di università e i medesimi interessi culturali. La tesi, affrontata con grande impegno e passione, discussa a pieni voti, è divenuta un libro arrivato già alla sua seconda edizione: Vivere e abitare Feng Shui, pubblicato dal gruppo editoriale Giunti. Attualmente, oltre a collaborare in un affermato studio associato di Lodi, nell’ambito della progettazione d’interni, promuovo, insieme al Daniela Bailo, la tematica del Feng Shui attraverso un’attività di consulenze a privati e società, seminari, interventi presso master universitari e collaborazioni con associazioni culturali locali. Chi volesse avvicinarsi a questa antica disciplina proveniente dal lontano Oriente, ma guidata da un profondo senso comune, patrimonio di ogni uomo, in ogni tempo e ogni luogo, può visitare il sito www.ventoeacqua.it
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Per tutti i giovani la seconda attività per diffusione è il lavoro dipendente presso privati (14/15% dei neo-iscritti, 11/12% degli iscritti fino a 40 anni) seguita dal lavoro dipendente nel settore pubblico. L’attività prevalente è la progettazione architettonica (56%) e d’interni (51%), insieme alle attività specialistiche (41%). Il 95% degli iscritti dichiara di svolgere attività inerenti all’architettura, di questi solo il 55% svolge la professione come attività unica; l’incarico diretto è la modalità più diffusa per ottenere l’affidamento di un incarico (97%), contro un 13% di incarichi ottenuti attraverso bandi di gara e un 14% attraverso i concorsi di progettazione. L’attività inizia solo dopo i 36 anni per stabilizzarsi oltre i 50, sia per quanto riguarda la progettazione architettonica che quella urbanistica. Gli uomini fino a 40 anni sono prevalentemente professionisti singoli (48%), con studio a Milano (55%) o in provincia (43%), con uno scarto positivo rispetto alla media verso attività come il disegno industriale, la progettazione strutturale e impiantistica e le attività specialistiche. Ben al di sotto della media risultano invece attività come il restauro dei monumenti, la progettazione urbanistica e la progettazione ambientale. Scarsa risulta anche l’attività di studio e ricerca. Le donne fino a 40 anni, sono in prevalenza libere professioniste singole (47%), di queste un 16% condivide incarichi e spazi. La sede dello studio è prevalentemente Milano (58%) e, rispetto alla media, hanno uno scarto positivo solo nelle attività di ricerca e nella progettazione di interni. Scarsa, assai più che per i colleghi uomini, è l’incidenza di attività di progettazione urbanistica e ambientale, il restauro, ma anche il disegno industriale e le attività specialistiche. Andando avanti con l’età un dato significativo è la percentuale delle docenti: 23% tra 51-59 anni e 14% dopo i 60, classe di età in cui prevale la formazione classica (46%) seguita da quella artistica (39%) con solo il 2% di tecnica. Dei giovani fino a 40 anni, i risultanti redditi medi dichiarati nel 2002 sono di circa 29.000 per gli uomini e di 17.700 e nelle donne. Le prossime fasi della ricerca, attualmente in corso di programmazione, riguarderanno l’attivazione di quattro focus groups (di cui due specificamente indirizzati a indagare meglio i giovani), un centinaio di interviste e infine un questionario via web a tutti gli iscritti. I risultati, attesi per la primavera del 2005, saranno oggetto di una presentazione con dibattito pubblico presso la sede dell’Ordine. Valeria Bottelli
Essere oggi giovani architetti a Milano Nel febbraio del 2000 l’Amministrazione Comunale di Milano ha presentato pubblicamente il progetto di trasformazione urbana Garibaldi Repubblica-Città della
Veduta della Stecca degli Artigiani e dei giardini di via Confalonieri nel quartiere Isola.
Moda, simbolo per l’Amministrazione di una nuova epoca di ripresa e realizzazione dei grandi progetti. A seguito dell’analisi del piano si è avuta una forte accumulazione d’interesse coinvolgente differenti soggetti, da chi all’Isola ha sempre difeso il tessuto di quartiere a nuove, giovani energie interessate a viverlo, a chi, esterno al quartiere, ha visto nel progetto del Comune la minaccia di una trasformazione troppo rigida e penalizzante per il tessuto locale. Si è costituita così dopo alcuni mesi d’incontri l’associazione Cantieri Isola nata inizialmente dall’iniziativa di giovani architetti, ricercatori, educatori, abitanti, commercianti, artigiani, artisti ecc., pronti a offrire le proprie competenze per muovere i primi passi nella ricerca di una corretta informazione su quanto stava avvenendo nel quartiere. Da quando l’associazione ha preso sede alla Stecca degli Artigiani, edificio industriale posto al centro dell’area verde al margine sud del quartiere, interessata dalla trasformazione, le attività si sono moltiplicate dando inizio a un periodo di incontri. Si è dedicato il proprio tempo a questa avventura che è entrata a far parte della nostra quotidianità. Con questo atteggiamento è stato discusso lungamente se cogliere o meno l’opportunità di partecipare al concorso per la progettazione dei Giardini di Porta Nuova, ovvero il Campus del progetto Garibaldi Repubblica. Incertezza superata grazie all’incontro con Giancarlo De Carlo, interessato al nostro lavoro e alle nostre considerazioni. Si scelse di accettare la proposta offertaci, di costituire un gruppo unitario di lavoro (oltre allo studio Giancarlo De Carlo Associati, il prof. arch. Mark Francis, Ic99, arch. Paolo Pejrone, prof. Elio Tarulli, MSC Associati, Milanoprogetti, Alterstudio Partners, ABCittà, Avventura Urbana e Cantieri Isola). Quest’esperienza partecipativa, se fosse proseguita, sarebbe andata ancora più a fondo e avrebbe sicuramente visto nuove modificazioni, tenendo conto di aggiorna-
menti e l’integrazione con gli altri progetti dell’area. Un’importante traccia nel percorso collettivo e individuale di tutti noi, più o meno giovani architetti, appartenenti al gruppo di progetto. Per noi di Cantieri Isola una parentesi che ha comunque confermato la fattibilità di occuparsi della progettazione e trasformazione di aree complesse. Un viaggio, proseguito nel libro La costruzione di un progetto che ha lo scopo di diffondere, attraverso l’esempio concreto, un metodo progettuale che aderisce alla realtà. Il progetto è inteso capace di leggere le trasformazioni della città dovute alle modificazioni sociali e di proporre i valori e gli ingredienti che possono facilitare la comunicazione, l’aggregazione e l’interazione di una comunità. L’impegno all’Isola continua; continuano i lavori di riattivazione della Stecca degli Artigiani, si progettano nuove disposizioni e funzioni degli spazi, si studiano e interpretano i più che cento documenti costituenti l’”Accordo di programma Garibaldi Repubblica”. Si preparano, insieme agli avvocati, i ricorsi al Tar, contro le delibere, relative al suddetto accordo, al Programma integrato di recupero e al Programma integrato di intervento adottati dal Comune. Si cambia di nuovo strategia, per rimettere in discussione questo progetto.
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Marco Brugnara
Pavia a cura di Vittorio Prina
Giovani architetti a Pavia Non è facile indagare la situazione professionale dei giovani progettisti; dato l’esiguo spazio a disposizione, la scelta, parziale, arbitraria e per niente esaustiva, è limitata a quattro professionisti che esercitano un’attività progettuale, che intendono la progettazione come un fatto complesso, dal disegno sino al cantiere, e che hanno costruito la loro formazione progettuale anche collaborando con noti architetti. Ad un sintetico curriculum vitae seguono poche righe o di descrizione dell’opera o relative alle condizioni di lavoro in una realtà di provincia. Massimo Bossaglia nasce a Milano nel 1973. Acquisisce una borsa di studio Erasmus/Socrates per presso la Brunel University, Faculty of Design, West London. Si laurea presso il Politecnico di Milano nel 1998. Collabora dal 1999 al 2001 con lo studio di architettura ASSPN di Pavia. Dal 2001 costituisce lo studio OdA_associati Officina di Architettura con gli architetti Remo Dorigati, Anna Brizzi e Paolo Menudo. Dalla relazione di progetto del negozio-wellness centre Contempora a Pavia: “Un open space in cui i materiali ‘naturali’ legati alla terra (…)
Massimo Bossaglia, negozio Contempora, Pavia, 2001. Massimo Curzi, casa Marucchi a Borghetto di Borbera.
si fondono con elementi tradizionali del costruire (…) dando vita a fantasiose contaminazioni. Gli arredi in metallo diventano ‘micro architetture’, volumi semplici, forme naturali, capaci di dominare e strutturare i differenti spazi funzionali dell’unico ambiente (…) Una grande parete, stratigrafia di sabbie di diversi colori, diventa il fondale di questa articolazione di corpi”. Massimo Curzi nasce a Pavia nel 1966. Ha esperienze di studio con M. Alder e con A. Castiglioni. Nel 1994 apre lo studio professionale a Pavia; nel 1995 incontra A.G. Fronzoni di cui diventa “studente, collaboratore, assistente ed amico”. Dal 1998 è professore a contratto al Politecnico di Milano. Nel 2000 diventa assistente di P. Zumthor per due anni presso l’Accademia di Architettura della Svizzera Italiana. Dal 2002 è titolare di un Laboratorio di Progettazione Architettonica presso il Politecnico di Milano. Relativamente al lavoro di progettista in una città di provincia scrive: “Abito a Milano e lavoro a Pavia. Tutte le mattine mi muovo in direzione della città in cui sono nato, lasciandomi alle spalle la caotica Milano. Il tratto di strada che divide le due città e corre tra risaie e filari di pioppi, diventa uno spazio in cui pensare (…) Lavorare in una piccola città come Pavia è per me un grande piacere. I miei artigiani, i loro discorsi in dialetto, i loro ruvidi e genuini comportamenti, la loro grande disponibilità, il loro entusiasmo. A loro devo la ‘mia’ attenzione ai materiali e ai dettagli. Lavorare in una piccola città vuol
alla ricerca creativa di quanto non si possa credere. Grazie all’incontro con clienti imprenditori ho avuto la possibilità di esprimermi sviluppando una ricerca con riscontri anche a livello internazionale”. Stefano Vassallo nasce a Milano nel 1968. Dopo un periodo di studi all’Università di Valladolid si laurea nel 1997 al Politecnico di Milano. Dal 1994 collabora con vari studi professionali. Nel 2001 apre il proprio studio a Pavia progettando sia per committenti privati che pubblici. Gli ultimi progetti realizzati sono una villa a Casteggio (Pv) e la ristrutturazione di un palazzo in Pavia; in corso di esecuzione: una villa a Travacò e la riqualificazione di un edificio industriale a Stradella. Il testo seguente descrive un’abitazione minima ricavata nella corte interna di un edificio in Pavia: “Il progetto nasce quale scommessa tra l’architetto e il costruttore: trasformare un piccolo volume, affiancato ad una palazzina di quattro piani da ristrutturare, che sarebbe dovuto diventare un’autorimessa. La proposta, complice anche l’altezza interna dei locali e un parziale incastro con il corpo principale, prevede la realizzazione di un bilocale soppalcato. Il principale intento progettuale è la ricerca della migliore illuminazione all’interno, risolto con una sorta di serramento gigante in ferro che comprende tutte le aperture e i meccanismi del sistema di oscuramento”.
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V. P.
Varese Luciano Giorgi, “Casa sulle Alpi” a Chiesa Valmalenco, 1998-2002. Stefano Vassallo, casa a Pavia, 2002.
dire passare metà del proprio tempo a convincere la gente che si può fare un’architettura ‘diversa’. Mostro a loro architetture moderne che ho ‘vissuto’ all’estero durante i miei viaggi. Li convinco solo dopo avergli spiegato che l’architettura moderna di cui parlo non è quella dei centri commerciali, unica ‘architettura moderna’ di cui abbiano mai fatto esperienza”. Luciano Giorgi nasce a Pavia nel 1966. Studia con A. Castiglioni, M. Alder, J.L. Carrilho da Graca e si laurea presso il Politecnico di Milano. Dal 1996 al 1999 collabora con A.G. Fronzoni e nel 1999 apre il suo studio a Pavia. Dal 1998 è cultore della materia al Politecnico di Milano. Dal 2004 è professore a contratto al Politecnico di Milano e nello stesso anno è invitato alla 9 mostra internazionale di architettura (Biennale di Venezia). I suoi progetti sono stati pubblicati su numerose riviste di architettura. Un commento sull’attività di progettista in Pavia: “L’architetto deve poter muovere i primi passi in un contesto che gli sia favorevole. Dopo gli anni della formazione il desiderio di confrontarmi da subito con l’architettura è stato il motivo per cui ho deciso di restare. La grande città non offre possibilità di confronto se non a carriera ampiamente avviata. La provincia è molto più aperta
a cura di Enrico Berté e Claudio Castiglioni
Giovani professionisti a Varese È cosa nota a tutti che la libera professione ed in particolare quella relativa ai giovani architetti, da anni soffre di una crisi dovuta a varie ragioni, tra le quali emergono le seguenti: la pletora di laureati e diplomati delle categorie che svolgono la stessa attività professionale e cioè di architetti, ingegneri civili, geometri e periti edili; la burocrazia, intesa come difficoltà per l’ottenimento delle autorizzazioni e dei permessi a costruire, le difficoltà interpretative perfino nella compilazione della modulistica richiesta dalle amministrazioni comunali, le difficoltà e le responsabilità nello svolgimento della direzione dei lavori, nei cantieri edili. Tutto ciò comporta per i giovani liberi professionisti una serie di ostacoli durante l’immettersi nel mondo del lavoro e di continuare a restarvi, operando con la necessaria tranquillità. Ecco perché, da un’indagine effettuata, sono tanti quei giovani architetti che si associano, nella maggiore parte dei casi anche per limitare le spese dell’affitto dello studio (con gli annessi accessori indispensabili per l’espletamento del lavoro) e nei casi più fortunati per le spese di personale di aiuto.
In che anno vi siete laureati? Mazzucchelli nell’anno 1998, Rivolta nell’anno 1994 e Miatello nell’anno 1995, tutti e tre al Politecnico di Milano. Cosa significa “Ecoarch”? Rivolta: significa “architettura bioecologica” intendendosi che sia nella progettazione sia nella sua realizzazione vengano tenuti in considerazione gli elementi naturali e quindi l’adozione di materiali idonei e compatibili con l’uomo ed il suo ambiente. Perché vi siete associati? Mazzucchelli: per le ragioni da te scritte nella premessa ma anche e soprattutto per la condivisione tra noi tre degli ideali dal punto di vista culturale ed architettonico e per ottenere, essendo in tre, una maggiore incisività nello sviluppare il nostro lavoro di architettura sostenibile. Che tipo di incarichi professionali svolgete? Miatello: il nostro studio svolge incarichi di progettazione e di direzione dei lavori, ma soltanto relativamente alle nostre progettazioni e di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, anche in questo caso soltanto relativamente ai nostri interventi. All’attualità i nostri incarichi sono esclusivamente con una committenza privata. Stiamo anche collaborando con uno studio professionale, che da più anni di noi si occupa delle tematiche da noi perseguite, con lo scopo anche di sensibilizzare le amministrazioni pubbliche. Siete soddisfatti della scelta fatta, cioè vi sentite gratificati durante il vostro lavoro? Mazzucchelli, Miatello, Rivolta: nonostante il fatto che durante lo svolgimento degli incarichi siamo costretti a subire i cavilli della burocrazia e nonostante i numerosi problemi, connessi con la nostra attività, i risultati finali sono tuttavia gratificanti. Con la committenza riuscite ad instaurare un rapporto fiduciario? Mazzucchelli, Miatello, Rivolta: sì, perché la nostra committenza, essendo privata e soprattutto sensibile al nostro tipo di lavoro, è la prima a richiederci un rapporto fiduciario e pertanto di ciò siamo soddisfatti. E. B.
Prospettive di Architettura L’iter del premio “Prospettive di Architettura II edizione” si è recentemente concluso con la pubblicazione di un bellissi-
mo catalogo a cura di Emanuele Brazzelli e Laura Gianetti. La pubblicazione, presentata il 12 novembre 2004 nelle sale della Biblioteca Comunale di via Raimondi in Como, offre una panoramica sul mondo professionale degli architetti insubrici dell’ultima generazione. Il Premio riservato ai giovani architetti under 40, giunto alla sua seconda edizione, oltre alla buona partecipazione dei giovani colleghi ha riscontrato il favore della Consulta Regionale degli Architetti e degli Assessorati interessati al Territorio delle province di Como e Varese. Il Bando del Premio, pubblicato nei primi mesi del 2003, redatto da Gianfredo Mazzotta e Corrado Tagliabue coordinatori della “Commissione Cultura Ordine Architetti di Como” e dai “Giovani Architetti Varese” rappresentati da Laura Gianetti e Emanuele Brazzelli, ha avuto l’intento di radunare l’impegno immesso dagli architetti nelle loro partecipazioni ai concorsi di architettura, nel tentativo di impedire che questo patrimonio vada perduto, istituendo un riconoscimento che dia una nuova attualità agli interessanti lavori che vengono dimenticati allo smantellamento delle esposizioni riferite ai concorsi di architettura. La giuria del Premio presieduta da Claudio Castiglioni, ha inteso interpretare il proprio ruolo promuovendo senza distinzioni il lavoro dei colleghi che con generosità partecipano ai concorsi. Il catalogo consta di 170 pagine in formato 21 per 21, per 36 progetti e si presenta con una veste grafica particolarmente convincente realizzata dal collega Fabio Bezzecchi. La pubblicazione, accattivante, invita a scorrere le pagine dedicate ai colleghi, che oltre a mostrare i progetti, tutti accompagnati da interessanti relazioni illustrative, riportano anche un breve curriculum con foto degli autori e indirizzi dei relativi studi. Il catalogo è introdotto dagli interventi del Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Stefano Castiglionii, dei Presidenti degli Ordini di Como e Varese Franco Butti e Riccardo Papa, dal Presidente della Giuria Claudio Castiglioni e dai coordinatori del Premio componenti della segreteria organizzativa, Gianfredo Mazzotta, Corrado Tagliabue e Laura Gianetti, Emanuele Brazzelli. La scelta, in questa edizione, di indagare il tema dell’attività concorsuale, una delle poche aree di confronto per i giovani professionisti, vuole mettere in luce le opportunità che le amministrazioni potrebbero cogliere aprendo il dibattito sulle nostre città. Più esplicitamente, la seconda edizione del premio, vuole essere un invito alle amministrazioni ad abbracciare la pratica concorsuale come metodo principale di trasformazione del territorio, attraverso concorsi sempre meglio condotti che si concludano con la realizzazione del progetto premiato. L’auspicio è che queste pubblicazioni possano in qualche modo propiziare la “sperimentazione” della nuova architettura delle ultime generazioni. Laura Gianetti per la Segreteria organizzativa
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Ma quali sono le condizioni di lavoro in generale? Cosa fanno i nostri giovani colleghi? Si sentono gratificati, operando in siffatte condizioni? Ho interpellato in proposito tre colleghi, due giovani ed uno meno giovane che, recentemente nel centro di Varese, hanno aperto il proprio studio denominandolo “Ecoarch”. Trattasi degli architetti Cristina Mazzucchelli, Mauro Rivolta e Fulvio Miatello, ai quali ho posto le seguenti domande.
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Un Premio regionale di architettura under 40 Ritengo che la promozione della cultura architettonica costituisca un impegno futuro al quale gli Ordini con difficoltà potranno sottrarsi. Gli Ordini di Varese e Como con la seconda edizione del Premio “Prospettive di Architettura” hanno evidenziato come sia possibile, grazie al lavoro appassionato di molti colleghi componenti le Commisioni Culturali, travalicare l’angusto mandato del sistema ordinistico e proporre l’architettura come valore ed esigenza per tutti. Istituire, sull’esempio di “Prospettive di Architettura”, un Premio/Concorso di respiro regionale è l’intento attorno al quale alcuni colleghi lombardi oggi stanno lavorando. Nei mesi scorsi si è riunito nelle sale della Consulta Regionale degli Ordini degli Architetti Lombardi un gruppo di architetti, rappresentativo delle realtà provinciali, per una prima riflessione sugli intenti generali, individuando nella promozione della professione giovanile e nella diffusione del valore dell’architettura delle nuove generazioni i fondamenti attorno ai quali il Premio dovrà essere incentrato. Una Commissione composta da delegati provinciali, che verrà appositamente costituita, dovrà presto presentare il bando definitivo che orientativamente sarà aperto a tutti i colleghi under 40 iscritti agli Ordini lombardi e avrà come fine ultimo la pubblicazione di un catalogo e la realizzazione di una mostra che sarà messa a disposizione di tutti gli Ordini che si renderannno disponibili a replicare l’evento nel territorio di loro competenza. Il bando sarà pubblicizzato e promosso da ogni singolo Ordine e i partecipanti faranno riferimento alle sedi provinciali per la consegna dei plichi. Orientativamente la selezione degli elaborati avverrà mediante due diversi livelli di valutazione: un primo livello provinciale nelle sedi dei singoli Ordini in cui verrebbero prescelte opere in numero doppio rispetto a quelle da pubblicare e un secondo livello di cer-
nita finale da realizzare nella sede della Consulta Regionale selezionando definitivamente quanto trasmesso dagli Ordini. Ogni Ordine istituirà una giuria locale di tre personalità per la prima analisi e analogamente avverrebbe poi per la scelta definitiva in sede di Consulta Regionale. Il catalogo della mostra, che indicativamente destinerà una pagina per ogni autore, verrà realizzato in collaborazione con la redazione di “AL”. La tiratura potrebbe essere compresa tra 3.000-5.000 copie, ripartita tra gli Ordini in ragione del numero degli iscritti all’Albo Provinciale. Le copie verrebbero poi consegnate ai vari Ordini lasciando ai Consigli la massima libertà di interpretazione rispetto alla distribuzione delle copie. Questo evento, innescando un processo virtuoso, che solo la diffusione delle idee e delle esperienze consente, agevolerebbe la conoscenza di esperienze progettuali prodotte dai giovani iscritti, permettendo così di affrontare in ambito regionale e locale il tema della comunicazione della rilevanza e della competenza ed esplorando una realtà stimolante spesso ignorata dalle distratte riviste specialistiche. Con la promozione di eventi legati all’architettura che si indirizzino anche ad un pubblico non specializzato, si tenderebbe ad innalzare i livelli delle esigenze della committenza sia pubblica che privata. Con la pubblicazione del catalogo si cercherà di avvicinare i giovani professionisti ad una platea che difficilmente visiterebbe una mostra di architettura, ma che con più facilità sfoglierebbe un bel volume ben confezionato.
La figura dell’architetto deve essere riqualificata, nel convincimento della alta funzione sociale rappresentata dalla nostra professione. Il Premio dovrà instillare una rinnovata fiducia ai giovani progettisti che si distinguono per rigore di idee e tecniche applicate, ai quali spetta di affrontare l’articolato e difficile compito di escogitare una diversa cultura progettuale che riduca gli strappi che il nostro territorio ha subìto in cinquanta anni di crescita contraddittoria determinata unicamente dalle contingenze sociali, politiche ed economiche. Invito i colleghi lombardi under 40, sin da ora, ad immaginare la pagina del catalogo a loro dedicata, pensando ad un progetto rappresentativo della propria poetica, smentendo la consuetudine che vuole gli architetti gelosi delle proprie opere e timorosi delle critiche. Dobbiamo credere nel confronto, unico strumento utile per dilatare lo spazio dedicato alla cultura di progetto, alla qualità e all’accesso dei giovani preparati alla professione. Emanuele Brazzelli
L’archivio Steiner alla Bovisa L’archivio di Albe Steiner (19131974), una delle figure centrali della storia della grafica europea, è stato acquisito dal Politecnico di Milano. La vedova e le figlie hanno venduto i circa 2500 volumi della biblioteca e donato migliaia di carte tra disegni, ritagli di giornale, fotografie, stampati, manifesti, carteggi, schizzi, studi e progetti al Dipartimento di Progettazione dell’Architettura. Si tratta di un archivio denso di materiale diverso che attesta il valore della grafica per Albe Stainer che, come ebbe a dire Italo Calvino, univa “il piacere dell’invenzione formale e il senso globale di trasformazione della società”. Steiner iniziò l’attività di grafico nel ‘33; nel ‘39 assieme alla moglie Lica – con cui lavorò tutta la vita – aprì lo studio milanese LAS. Nell’arco delle sua carriera collaborò con importanti riviste
(“Il Politecnico” di Vittorini, “Rinascita”, “Domus”), editori (Einaudi, Feltrinelli, Zancihelli) e aziende (Pirelli, Olivetti, Coop, Rinascente) coniugando la ricerca del bello e della modernità con la passione civile e politica. Steiner è stato protagonista di un periodo importante per la formazione di una coscienza del progetto grafico coltivando una delle idee estetiche fondamentali del ‘900 che Calvino sintetizzò con queste parole: “la forma delle cose che ci circondano, degli oggetti della nostra vita quotidiana, delle scritte, tutto ciò che serve per comunicare” bisogna che “esprima qualcosa, una mentalità, un’in-
Irina Casali Archivio Albe e Lica Steiner v. Durando 38/a – 20158 Milano tel. 02-23995812 archivio.steiner@polimi.it
Primo museo del design in Italia Dopo anni di rimandi e discussioni Milano vanterà il primo Museo del Design in Italia. È stato firmato un protocollo d’intesa tra Regione Lombardia e la Fondazione della Triennale grazie a cui la prima s’impegna a sostenere il museo con un finanziamento di 500.00 euro l’anno per quattro anni, cifra che va ad aggiungersi a quelle già stanziate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (5 milioni e 7000 euro) e dalla stessa Triennale (1 milione e 200 mila euro). La Triennale, sin dalla sua fondazione, è stata fulcro di proposte e dibattiti per il mondo del progetto e promotrice di alcune grandi mostre – tra cui il I Congresso Internazionale dell’Industrial Design nel ‘54 e la XIV Triennale del ‘68 Il grande numero, fino a quelle altrettanto significative degli anni ‘90 – a partire dalle quali si è costituita, nel 1997, la Collezione Permanente del Design Italiano. L’istituzione milanese ha intrapreso, da tempo, un lavoro preparatorio alla costruzione del museo immaginato come una struttura a rete in grado di attingere ai vasti giacimenti di
design presenti sul territorio regionale e nazionale. Il museo si presenterà non solo come una collezione di oggetti, ma anche come laboratorio di indagine e rappresentazione di un settore che vede il suo fulcro produttivo e progettuale in Milano e Lombardia – area che, per la quantità e l’importanza dei giacimenti, si presenta già come una sorta di museo diffuso. L’obiettivo è la creazione di un istituto culturale internazionale capace di promuovere la conoscenza storica del design italiano e le sue prospettive future. L’ambizioso progetto sarà gestito da una Fondazione a cui parteciperanno la Triennale, la Regione e altri partner pubblici e privati impegnati nella valorizzazione del settore, nella formazione degli operatori, o proprietari di autorevoli raccolte di oggetti di design. Il nuovo museo sarà allestito in un’ala del Palazzo dell’Arte su una superficie di oltre 2000 metri quadri. L’architetto Michele De Lucchi, autore del recente restyling del palazzo, si occuperà della ristrutturazione. Per il progetto di allestimento, invece, sarà bandito un concorso internazionale di idee. Coordinatore dell’operazione è Arturo dell’Acqua Bellavitis, docente alla facoltà di Design del Politecnico e vicepresidente della Triennale. I lavori inizieranno ad aprile del 2005 per concludersi nell’arco di un anno. L’ingresso al museo, situato al primo piano del Palazzo, sarà un ponte leggero tramite cui si arriverà ad un portale di vetro. Da qui si accederà alla prima sala destinata alle esposizioni temporanee dove saranno ospitate mostre tematiche. Nella seconda saranno accolti gli allestimenti permanenti, tra cui una ventina di pezzi considerati i capisaldi della storia del design. La sala principale sarà volutamente lasciata aperta per permettere massima flessibilità alle installazioni successive. Il nucleo centrale del museo sarà rappresentato dalla Collezione Permanente del Design Italiano di proprietà della Triennale: oltre mille pezzi creati dal dopoguerra ad oggi e appartenenti alle più svariate branche del design che, a rotazione, saranno esposti nel museo.
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tenzione, il senso che si vuole dare alla civiltà industriale”. Il concetto romantico di “un’arte per l’arte” fu estraneo all’opera di Steiner che, come sottolinea Gillo Dorfles, concepì invece il suo lavoro “sempre volto ad un fine artistico e insieme educativo, politico e morale”. Gli scritti e le considerazioni del maestro risuonano con forza anche a distanza di anni: “la tecnica” – egli afferma – “è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a se stesso, per giustificare la sterilità del pensiero o peggio sollecitare inutili bisogni”. La comunicazione visiva è un mezzo che “contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori”.
a cura di Roberto Gamba
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Riqualificazione funzionale dell’ex-sede municipale di Bollate (Mi) Il concorso aveva per oggetto la “riqualificazione funzionale dell’ex-sede Municipale di Bollate sita in piazza Martiri della Libertà”. La proposta doveva prevedere l’inserimento nell’edificio di spazi polifunzionali di aggregazione sociale e di promozione della crescita culturale della cittadinanza, con aule didattiche; spazio teatro/conferenze con almeno 50 posti a sedere; spazio espositivo; spazi di aggregazione ludica e punto di ristoro, con utilizzo anche del cortile esterno.
L’importo presunto dei lavori è di euro 1.200.000,00; i compensi presunti di euro 63.000,00 per la progettazione definitiva, esecutiva e c.s.p., oltre a euro 26.000,00 per direzione lavori e euro 15.000,00 per “c.s.e.”. La commissione giudicatrice era composta da Francesco Collini, presidente; Piero Lissoni, Luciano Tonetti. Il montepremi complessivo era di euro 11.000,00: al progetto vincitore: euro 5.000,00; al 2° classificato euro 2.500,00; al 3° euro 2.500,00; al 1° e 2° menzionato euro 500,00.
1° classificato Benedetto Besio (Genova), Andrea Guiglia, Daniele Reimondo, Francesco Besio
marciapedi ha guadagnato, con una rampa, la quota della platea rialzata; si è creata così una seconda piazzetta pedonale che ha consentito di inquadrare visivamente il nuovo volume luminoso della sala conferenze. Questa ha forma e trattamento della sua superficie esterna volutamente in contrasto con l’edilizia circostante ponendo in evidenza il suo carattere di novità e di intrusione. È racchiusa da una muratura perimetrale irregolare continua, raccordata da curve, priva di spigoli, completamente rivestita da una pelle in lamiera stirata di alluminio staccata dal suo supporto e retroilluminata da luce radente. La superficie metallica si apre soltanto per creare un grande ingresso vetrato rivolto verso la corte interna.
La scelta progettuale ha proposto la demolizione dei volumi aggiuntivi alla palazzina già sede del Municipio, creando un riordino generale del lotto che ha permesso la costruzione di un nuovo piccolo volume distaccato, in cui è stata ubicata una sala conferenze per 110 posti, posto su di una platea rialzata, pavimentata in teak a listoni e raccordata alla piazza con un piano inclinato in pietra. La continuità dello spazio esterno all’isolato e la corte interna è stata ricercata anche su altri lati, dove il sedime dei vecchi volumi demoliti è stato lasciato libero e la pavimentazione in pietra dei
2° classificato ex-aequo Emilio Caravatti (Monza), Emanuele Panzeri, Alberto Ferré, Carolina Francesca Rozzoni, Piero Faraguna, Marco Girotto collaboratori: Maddalena Merlo, Andrea Carmignola L’edificio è formato dal Municipio esistente e da un nuovo volume che gli si innesta in maniera morbida. Due diaframmi vetrati sono le giunture: una in appoggio, arretrata, su via Matteotti; l’altra in sovrapposizione sul prospetto nella corte ad offrire un filtro tecnico per la scala che conduce al piano interrato. L’ingresso principale è offerto
alla città con un invito creato dalla piega del basamento del nuovo volume, che apre sullo spazio illuminato dalla grande vetrata a nord. La pavimentazione della corte, è uno spazio che si dilata fino alla lunga seduta che regola la dimensione della corte, offre sede per esposizioni, rappresentazioni, ma anche spazio di pausa all’ombra del grande albero esistente. Verso l’alto si percepisce il soppalco che misura l’altezza della grande vetrata. Al livello soprastante si apre uno spazio di “preludio“ per tutte le attività didattiche e multimediali e nuovi spazi flessibili per esposizioni e sale prove.
Quale supporto figurativo, geometrico e cromatico del progetto è stato scelto l’acquerello di Paul Klee Murale dal Tempio dei Desideri. Il progetto stabilisce una simbiosi tra il nuovo volume e l’edificio esistente. Il volume aggiunto è una struttura leggera, piccola, discreta; in rapporto dialettico e simbiotico con la struttura pesante, continua, silenziosa, costituita dall’edificio esistente; ha fronti vetrati e, nelle ore serali, funzio-
na come una lanterna urbana. La pianta del volume aggiunto rappresenta una sezione orizzontale di una conchiglia il cui accrescimento è disegnato secondo la sezione aurea. La giacitura del nuovo volume coincide con quello dell’attuale municipio stabilendo con esso una relazione visiva. Per la scelta di materiali e colori si prevede una simbiosi di materiali diversi: la facciata a mosaico è metafora di multiculturalità-intreccio-grafia. Similmente alla villa Arconati di Castellazzo, poco distante dal sito, il progetto inoltre interpreta la musicalità, le geometrie ed il colore del prospetto.
3° classificato Antonio V. Sechi (Milano), Andrè Straja, Annese Marzia, Evaristo Iori, Giuseppe Pepe, Myriam Presti, Corrado Reina, Matteo Sartori, DEWG Italia, FGS sas Il livello attuale della corte interna, abbassato alla stessa quota dei piani interrati, diventa vero e proprio spazio interno “scoperto”, dilatandosi per tutto il piano terra. La separazione tra l’interno e l’esterno è garantita da una parete vetrata con telaio metallico, che senza soluzione di continuità diventa anche copertura dell’edificio. Il grande “fulcro” centrale rettangolare a tutt’altezza, seguendo, insieme al nucleo (scala, ascensori, servizi igienici), un’organizzazione cruciforme, si pone com-
positivamente come vera e propria “iniezione di modernità” all’interno della preesistenza. Le porzioni di piano ricavate internamente, infatti, sono organizzate ad open space, funzionalmente divise da partizioni interne in materiali leggeri (lamiera zincata, pannelli lignei o trasparenze in vetro). L’auditorium con il suo volume a tutta altezza è stato studiato come organismo flessibile: i gradoni impacchettabili permettono di “recuperare in piano” l’intero spazio interno, così da ottenere un unico grande salone, aperto sulla corte. Una sala sospesa sulla platea, dotata di una parete apribile a “visiera”, si trasforma da sala chiusa e fisicamente divisa dall’auditorium, in galleria con affaccio sulla sala sottostante.
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2° classificato ex-aequo Elvio Leonardi (Milano), Alessandro Gullo, Marco Valentino
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Riqualificazione dell’area di piazza Garibaldi a Broni (Pv) Il Comune di Broni ha posto ai concorrenti del concorso di idee l'obiettivo della riqualificazione estetica del centro urbano, con interventi che riguardassero la centrale piazza Garibaldi e la zona circostante. Le funzioni primarie delle vie dovevano essere rispettate, anche se le stesse potevano risultare modificate, arricchite, corrette e regolamentate per un migliore uso. L'obiettivo comprendeva attenzione alla sostenibilità economica, ambientale e ecologica dell'intervento, con particolare riguardo al quadro storico, paesaggistico
e sociale delle vie e dell'abitato. Gli elaborati potevano prevedere modifiche agli strumenti urbanistici in essere e proposte innovative di convenzione con i privati frontisti o con gli esercizi commerciali che si affacciavano su questi spazi. Il costo delle opere non doveva superare l’importo di euro 150.000,00. La giuria era composta da: Elisabetta Troysi, Claudio Gramegna, Franco Rovati, Marco Chiolini, Giuseppe Bargigia, Tiziano Gramegna, Siro Brondoni. Il montepremi del concorso era stabilito in euro 8.000,00.
1° classificato Fabrizio Zambelli (Bergamo), Andrea Borghi, Carmen Marchionna
come un percorso delimitato dal portico esistente, dalla serie di cubi/seduta in pietra che emergono dalle intersezioni delle fasce a pavimento ortogonali. La forma ellittica, stilizzazione della planimetria allungata del centro di Broni, è stata la figura meglio rispondente all’intento di unificare percettivamente l’attuale complessità spaziale. Semplici e calibrati elementi di arredo sono stati pensati anch’essi come elementi costitutivi del disegno stesso: una parte dell’ellisse viene estroflessa dalla piazza e diviene panca curvilinea; lampioni incassati in pali d’alluminio scandiscono i punti di incontro del reticolo regolatore con il margine della vasca e sono integrati da un’illuminazione a bassi fasci di luce che assecondano e sottolineano la scansione stessa.
La proposta ha voluto dare un senso alla forma poco afferrabile della piazza, ma inscrivendo gli edifici che vi si affacciano in un sistema costituito da pochi elementi: una griglia ortogonale, un’ellisse e gli episodi generati dal loro incontro/intersezione /fusione. La scansione di fasce parallele che raccordano il portico dell’edificio ad ovest della Basilica con quello del Municipio è attraversata ortogonalmente dal proseguimento virtuale del sagrato della chiesa e dal cordolo che delimita la nuova sezione stradale della via Emilia, ridotta ad un solo senso di marcia. Il “sagrato” è stato configurato
2° classificato Alessandra Giannini (Milano) Il progetto ha mirato all’esaltazione dei valori di identità locale creando più spazi pubblici identificabili per funzione: uno spazio di sosta davanti al bar, delimitato da un segno d’acqua che segnala la direttrice storica viaria, uno spazio di sosta e passeggio, compreso tra la direttrice storica viaria, segnata dall’acqua e un breve filare di alberi, che separano il percorso
pedonale dal traffico automobilistico; uno spazio davanti ai portici, destinato a eventi culturali e commerciali, qualificato da una porta d’acqua, da cui ha origine il segno d’acqua che riprende la direttrice storica viaria, un secondo spazio di sosta davanti al bar pasticceria, delimitato da un segno di illuminazione; l’identificazione, tramite un piccolo ampliamento e una nuova pavimentazione, delle due funzioni, civile e religiosa, costituite dal municipio e dalla chiesa.
Riqualificazione urbana delle piazze di Mortara (Pv)
3° classificato Paolo Bardon (Crema) È stata valorizzata la chiesa, che risultava molto decentrata rispetto alla piazza. Essa ha acquistato la sua centralità tramite un “taglio visivo”, dato da un pergolato costituito da colonne in pietra, traversi in ghisa. È stata mantenuta l’illuminazione attuale di stampo classico, integrata con lampade e lampioni in ghisa, diffusori in vetro a pallone e basamenti in pietra. La piazza vera e propria è stata aperta prospetticamente verso
una fontana; a destra troviamo ancora dei giochi d’acqua; a sinistra il pergolato già citato. Di fronte alla piazza è stata pensata la sosta per autobus, utilizzabile anche come spazio per manifestazioni all’aperto. Lateralmente alla chiesa sono stati posti dei parcheggi per cicli e motocicli, realizzati attorno ad un filare di alberi. La continuità dei portici, tra Comune e edificio laterale alla chiesa, è stata garantita da un pergolato che pone in una zona riparata il verde per il gioco dei bambini.
Oggetto del concorso è stata la riqualificazione urbana del centro storico con riferimento a una serie di piazze. Gli interventi dovevano prevedere la conservazione della fontana di piazza Marconi, il mantenimento o traslazione dei parcheggi pubblici e il mantenimento della pavimentazione in porfido di recente installazione. Per quanto riguarda la zona antistante la Basilica di Santa Croce potevano essere previste anche modifiche all’assetto viario, al fine di consentire una zona di sicurezza per i fedeli che accedono alla Basilica.
L’importo complessivo dei lavori non doveva superare i 2.500.000,00 euro. Sono stati attribuiti tre premi: al vincitore 3.500,00 euro, al secondo classificato 1.500,00 euro e al terzo 750,00 euro. La giuria era formata da sette membri: Giorgio Spadini, Marco Bosi, Giovanni Patrucchi, Remo Dorigati, Giuseppe Curcio, Vincenzo Piscioneri e Renato Cavezzale; segretario: Fabiano Conti. Di seguito, ai primi tre, si sono classificati Paola Amedea Savini, Cesare Omodeo Zorini, Paola Mira, Sara Capittini, Roberta Reggio, Michele Mor.
1° classificato Mario Bonomo (Vigevano)
mata dal disegno della pavimentazione e dalla ritmica presenza di filari di alberi e luoghi di sosta. In piazza Martiri della Libertà, è stata prevista la realizzazione di un pergolato a fianco di un filare di alberi con, al centro, una grande vasca, punto d'arrivo di una traccia bianca della pavimentazione, che unisce idealmente l'area pedonalizzata. Dalla vasca emergono gruppi di canne d'acciaio, con inserito a un estremo un elemento luminoso. Il tratto iniziale del corso Garibaldi è stato dotato di alberature, aree di parcheggio e di una pista ciclabile. La piazza Marconi è stata strutturata con una rotatoria al centro.
Il progetto ha proposto la chiusura al traffico del centro storico e il rinnovamento della pavimentazione. La piazza Vittorio Emanuele è stata arricchita di un punto d'informazioni e di un luogo di sosta lungo un filare di alberi a ridosso dell'Abbazia di S. Croce. La piazza Urbano II costituisce un ampio sagrato di quell'Abbazia e è dotata di un'ampia scalinata con una rampa laterale; la piazza Carlo Alberto viene a formare con le altre due sopra citate un'ampia area di aggregazione. La zona pedonale è stata unifor-
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3° classificato Chiara Dondi (Garlasco) Filo conduttore dell’intero progetto è la presenza dell’acqua. Lo scorrere dell’acqua trova anche un’analogia con lo scorrere del tempo che ha trasformato la vita della città e le abitudini dei cittadini. All’interno di questa idea si sviluppa il progetto che cerca di dare un’identità precisa agli spazi
2° classificato Mario Giorcelli (Vigevano) L’intervento sulla piazza del Teatro intendeva segnare l’asse del pronao dell’edificio, come connessione funzionale con il corso Garibaldi e valorizzazione del rapporto con Palazzo Cambierà. Il rapporto degli allineamenti è stato risolto mediante percorsi ottenuti con lastre in marmo bianco Montorfano, inserite nella pavimentazione in cubetti in porfido, con integrato il sistema di illuminazione. È stata prevista la pedonalizzazione della piazza Urbano II per la formazione del sagrato di pertinenza dell’Abbazia di Santa
Croce, per la quale sono state proposte migliorie ai prospetti. Il progetto di piazza Martiri della Libertà ha previsto un piccolo giardino pubblico circolare, con varchi posizionati sugli assi geometrici della piazza. Per piazza Monsignor Dughera è stato proposto un restauro della pavimentazione, un nuovo marciapiede-trottatoia e dei lampioni. Lo slargo nella Contrada San Dionigi è stato valorizzato attraverso una nuova pavimentazione e illuminazione. È stato ipotizzato un disegno unitario per Piazza Olivelli. Il restauro della chiesa di San Dionigi ha un ruolo importante nella riqualificazione del comparto.
delle piazze nel rispetto delle loro caratteristiche originarie. Sono stati messi in evidenza i problemi della creazione di una zona di sicurezza per i fedeli che accedono e recedono dalla Basilica di Santa Croce; quelli che rendono poco vivibili gli spazi pubblici oggi esistenti, quali ad esempio la scarsa luminosità e la non definizione delle piazze come spazi di aggregazione.
La carenza di parcheggi in centro storico affligge da tempo Cremona ed assume una rilevanza del tutto particolare in occasione del sopraggiungere delle feste e dell’apertura dei negozi nel fine settimana, con conseguente crescita del traffico e dell’inquinamento. Uno dei casi più eclatanti è rappresentato dal previsto e da vent’anni rimandato autosilo di piazza Marconi, che verrebbe a trovarsi a breve distanza da piazza del Duomo. La sua costruzione, inoltre, avrebbe delle profonde ripercussioni su alcuni progetti approvati da parte della precedente e dell’attuale amministrazione (l’ampliamento della zona a traffico limitato, il riuso di Palazzo dell’Arte quale Museo del Calcio). I due principali quotidiani cremonesi, “la Cronaca” e “la Provincia”, evidenziano le conseguenze della scarsità di parcheggi esaminando il problema in generale, specie in queste giornate che precedono le festività natalizie. Il 21 novembre “la Cronaca” ricorda che anche l’ultimo progetto di parking sotterraneo di piazza Marconi non offre garanzie: “Un lavoro che sembra ancora lontano dal diventare realtà, visti i molti cavilli e paletti messi dalla Soprintendenza ai Beni Culturali. Sotto piazza Marconi come hanno dimostrato anche gli scavi eseguiti vi sarebbero reperti di troppo valore per consentire la realizzazione di un parking. Rimane quindi il problema e altre alternative in vista proprio non sembrano esservene. Addirittura, di recente, alcune aree un tempo utilizzate per la sosta, vedi piazza Sant’Angelo (retrostante piazza Marconi e Palazzo dell’Arte, n.d.r.), sono state vietate, andando ancora ad accrescere il fabbisogno di posti auto”. Tale constatazione affianca il commento di Daniele Rescaglio: “Smog e traffico, un’equazione che fila alla perfezione se non fosse per una variabile, non certo di seconda importanza: dove mettere le auto? Dovremmo chiederlo agli automobilisti che ieri, dopo aver girato per un tempo variabile dai trenta ai sessanta minuti in
Piazza Marconi (sede di posti auto all’aperto, n.d.r.), hanno deciso di gettare la spugna. Parcheggiare era impossibile. (…) Cremona ha una cronica insufficienza di parcheggi e buona parte della classe politica preferisce dibattere per ore in consiglio comunale sul no alla guerra in Iraq, mentre centinaia di automobili sgasano per i viottoli del centro a caccia di un posto. (…) su questa cronica insufficienza si sono anche di recente costruiti castelli inevitabilmente dalle fondamenta di sabbia, vedi la nuova Ztl ad esempio, quasi ignorando il problema. Ma non solo: i bus che circolavano per le vie della città erano maledettamente vuoti, come tutti i giorni del resto. Il numero di parcheggi risulta insufficiente per gli stessi residenti, figurarsi quando da fuori, specie al fine settimana appunto, arriva altra gente (…) Il centro di Cremona sta morendo lentamente”. Sempre il 21 novembre “la Provincia” offre il resoconto dell’incontro promosso da Legambiente sulla Ztl attraverso le parole di Giuseppe Bruschi che commenta: “Ma la sorpresa è arrivata a mezzogiorno ed è stata un vero choc.
Infatti, l’assessore ai trasporti del Comune di Milano, Giorgio Goggi (un architetto senza tessere di partito), ha letteralmente gelato gli ambientalisti ed i sindacalisti presenti affermando che: (…) le zone a traffico limitato vanno fatte solo se ci sono i parcheggi”. Anche “la Cronaca”, con l’articolo di Alessandro Rossi, riporta le affermazioni di Goggi: “Le Ztl e le isole pedonali vanno bene. L’esperienza ci dimostra che dove sono state attuate anche le attività commerciali sono rifiorite. Ma attenzione: a patto che siano supportate da tutte le altre infrstrutturazioni”, e conclude con le parole di Daniele Soregaroli, assessore all’urbanistica del Comune di Cremona, sulle linee del piano della mobilità e della sosta: “Riforma del trasporto pubblico: quest’anno dopo dieci anni di emorragia c’è stata un’inversione di tendenza, con una crescita, anche se modesta, dei passeggeri (…) Semaforizzazione intelligente (…) Il terzo pilastro, la nota dolente, sono i nuovi parcheggi: creeremo nuovi posti auto nell’area Bonomelli-XI Febbraio e riorganizzeremo tutti i posti auto oggi non regolamentati.
Poi interverremo sul parcheggio della Stazione e bisognerà anche pensare ad altre aree a sud della città”. Ancora dalle pagine di “Cronaca” il 23 novembre Rossi riferisce la positività dell’incontro tra l’assessore Soregaroli, il sindaco Corada e i rappresentanti dei sindacati (dei commercianti) sulla Ztl; annota, tra i vari, il commento di Mario Daina, segretario generale della Cisl cremonese, sul problema parcheggi: “Esistono ancora alcuni punti di domanda sul silos di piazza Marconi. Soregaroli ci ha detto che l’Amministrazione intende portare a compimento questo parcheggio. Ma sulle modalità e sui tempi non esiste nulla di definitivo (…) Così come si attende il potenziamento del parcheggio della stazione. Ma non basta, dovranno anche essere individuate delle aree dove realizzare i sospirati parcheggi corona, anche nella zona sud della città”. Gilberto Bazoli, il 24 novembre, scrive su “la Provincia” della mozione presentata dal centro sinistra per la costruzione di un parcheggio nell’area della exstazione delle tramvie e riporta le affermazioni di Soregaroli: “Abbiamo chiesto all’Aem un’analisi sulla fattibilità costi inclusi del parcheggio. L’idea è di mettere in piedi alle ex tramvie una struttura smontabile. Né cemento né pilastri quindi. – Il nuovo autosilo sarà su uno, due o più piani ancora? – Non lo sappiamo ancora ma l’intenzione è di raddoppiare gli attuali spazi, circa 600, disponibili per la sosta in quella zona”. Di nuovo Bazoli, il 26 novembre, riporta la lettera scritta dall’Associazioni Commercianti “per protestare contro questa amministrazione comunale che istituisce altre Ztl senza creare prima nuovi parcheggi”; la loro affermazione sull’autosilo alle ex tramvie: “quel progetto è stato rispolverato sotto la nostra pressione” per concludere con la protesta del centrodestra che pretende “un piano complessivo dei parcheggi”. Una situazione, quindi, sempre in attesa di risposte definitive. Teresa Feraboli e Massimo Masotti
33 OSSERVATORIO RILETTURE
Parcheggiare a Cremona
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Il luogo e l’anima James Hillman L’anima dei luoghi Rizzoli, Milano, 2004 pp. 154, € 14,00
Nel suo ultimo scritto il grande filosofo e psicologo junghiano James Hillman riflette sull’architettura in un dialogo con l’architetto Carlo Truppi, professore ordinario di Cultura tecnologica della progettazione. Varcando i limiti delle rispettive discipline i due studiosi s’incontrano su una terra di frontiera. Ne emerge un’analisi dei princìpi (archai) che presiedono a ciascun ambito disciplinare grazie a cui affiorano inattesi punti di contatto e illuminanti suggestioni. Rifacendosi alla cultura pagana Hillman recupera la nozione di natura animata in contrapposizione alla tradizione del razionalismo scientifico per il quale essa non è che spazio vuoto, sezionabile e quantificabile: mero oggetto nelle mani dell’homo-faber. In un mondo “pieno di dèi”, com’era quello degli antichi elleni, invece, i luoghi erano popolati da ninfe, dee e demoni, entità grazie a cui possedevano immaginazione, sensibilità e memoria proprie. Hillman crede che i luoghi abbiano un’anima: una “qualità intima” che li contraddistingue. L’anima del luogo, come quella di una persona, si scopre col tempo, ciò “richiede attenzione, sensibilità e pazienza”. Per percepirla è necessario stare in esso e assorbirne i “pensieri”, così da corrispondere alle sue qualità specifiche. Se non si vuole imporre ai luoghi la propria volontà, il disegno preconfezionato di come devono essere,
si ha da stare in attesa che essi si rivelino, che si dicano da sé. Questa modalità passiva si contrappone alla tentazione di porsi nei confronti dello spazio come nuovi Prometeo assetati di gloria e di conquista. Un’“architettura terapeutica” è quella che rinuncia all’effetto “shock” della novità fine a se stessa e alle sue derive megalomani, per recuperare la saggezza insita nel luogo. L’uomo moderno, figlio d’un modello di azione faustiano, “pensa erroneamente che il fare richieda un agente”. Ma questo non è l’unico modo d’intendere la poiesis. La “bildung”, infatti, è “un’attività progressiva”. “Le cose non sono costruite da qualcuno, ma sono ‘costruende’, capaci di attuare loro stesse delle trasformazioni”. Irina Casali
Densità concettuale e luogo geografico Franco La Cecla, Piero Zanini Lo stretto indispensabile. Storie e geografie di un tratto di mare limitato Bruno Mondadori, Milano, 2004 pp. 250, € 20,00
zioni (poiché esiste davvero l’Indispensable Strait, quasi a conferma di un sospetto, quasi a soddisfare un’intuizione). Può indubbiamente colpire il lettore la definizione storico/geografica del luogo mentale che ci descrive con precisione chirurgica e dovizia, ora fantastica ora scientifica. Si tratta di indizi assai efficaci per una lettura della fenomenologia geo-territoriale, oltrechè un originale spunto speculativo e modo possibile di vedere, in primis, di esplorare, di guardare un luogo; descrivendolo ed instaurandovi un vero e proprio dia-legomai. Ed il tentativo riesce grazie alla raccolta di numerosissime, continue, rapide, variabili equazioni concettuali che gravitano attorno al termine e che altro non sono, poi, che la costruzione di un affascinante e coinvolgente viaggio trans-disciplinare nella vita degli uomini, nei loro dilemmi, paure, concretezze quotidiane; nei loro rapporti, legami, vicinanze e paradossali lontananze: lo stretto come dispositivo, come clessidra, membrana. E ancora come possibilità, come specchio dagli esiti mutevoli e inaspettati, inattesi e incerti, dove tutto si carica di una nuova relatività, fino a sfumare nella potenza fascinatoria di eterogenei stralci letterari. E tutto è reso tangibile dalla descrizione vivida e vissuta (dai protagonisti/autori) di un’inedita storia di questo tema solo apparentemente inesplorato. La struttura è semplice e sciolta e la chiarezza è quella tipica, poiché richiesta, dei temi semanticamente complessi. Carlo Gandolfi
Una variabile continua Progetto di un tema. Progetto di una parola, anzi, due: stretto e indispensabile. Partire da un termine, partire da una metafora: quella geografica di “un tratto di mare limitato” (indispensabile) come se l’equivoco fosse motore di una nuova chiave di lettura. Il libro di Franco La Cecla e Piero Zanini traccia i contorni di questo luogo mentale, densamente concettuale e fisico, tangibile nelle sue molteplici acce-
Raffaella Laezza Peter Eisenman. Città della cultura della Galicia, Santiago de Compostela Unicopli, Milano, 2004 pp. 96, € 10,00 Il libro fa parte di una collana che si propone l’analisi interpretativa di progetti di architettura moderna e contemporanea attraverso il ridisegno e lo studio dimensionale, adottati come strumenti privilegiati per la conoscenza della
ragione degli edifici presi in esame. Tale procedimento affida la sua validità al fatto che ad ogni segno corrisponde un significato che riporta alla memoria, tramite la forma delle architetture, un’intenzione riconoscibile. Nella tradizione dell’esperienza classica questa operazione avviene all’interno della disciplina. Per Alberti o Palladio le regole del mestiere sono lo strumento attraverso cui misurare nel progetto lo scarto alle convenzioni date. Secondo questa posizione è l’architettura stessa che, attraverso la condivisione dei suoi strumenti, dimostra in forma palese le ragioni prime del progetto, anche nell’alternativa a ciò che non è riconosciuto più valido. Eisenman, come ogni grande architetto del passato, si pone la questione dell’alternativa ad uno stato di fatto non più condiviso. Da qui ha origine il testo che si sviluppa attraverso un’intervista ad Eisenman stesso sul progetto, ancora in costruzione, della città della cultura a Santiago de Compostela. All’intervista è affiancato un commento che individua i termini su cui Eisenman fonda il proprio particolare punto di vista sull’architettura, mostrato dai disegni che illustrano la “variabile continua” propria del procedimento compositivo adottato. I disegni dell’autore del progetto e i ridisegni dell’autrice del libro, mettono in evidenza una possibile chiave di lettura fondata sul principio della variazione. La composizione delle parti avviene attraverso “la variabile continua” di un atto fondativo che conduce ad una forma. La forma finale, nell’accomunare tutte le accidentalità delle parti che la costruiscono, diventa forma unica e a tale unicità è affidato il riconoscimento dell’identità del luogo. Ilario Boniello
Attilio Terragni, Daniel Libeskind, Paolo Rosselli (a cura di) Atlante Terragni. Architetture costruite Skira, Milano, 2004 pp. 424, € 75,00
temente estranei al soggetto principale della foto, riflettono altre realtà e creano spaesamenti. Tale simultaneità visiva, progettata consapevolmente da Terragni – come nella Casa del Fascio, dove su uno stesso piano appaiono il Duomo, un pilastro specchiato, una superficie riflessa, il cielo – gli tributa la definizione di “primo architetto del tempo”. Mina Fiore
Il territorio parmense
Uscito a suggello dell’anno di celebrazioni dedicate a Giuseppe Terragni, questo volume, curato da Attilio Terragni, Daniel Libeskind e Paolo Rosselli, propone un approccio inedito all’architetto comasco: nel presentare sedici opere realizzate tra 1925 e 1941, tralascia un’analisi scientifica per adottare una visione di tipo sincronico. Saggi critici, testi inediti o apparsi su riviste dell’epoca, immagini d’archivio e fotografie delle architetture nel presente, sono accostati a offrire salti continui tra temi consolidati e suggestioni per l’attualità. Da evidenziare, tra i testi, alcuni incisivi scritti redatti dall’architetto stesso per descrivere le proprie opere e affermare con lucida intensità il suo impegno nella costruzione dello spazio moderno, e il saggio di Libeskind. L’architetto, per il quale Terragni è oggetto di appassionato studio e riferimento progettuale, ne esalta la figura umana e professionale e la grande fede nell’architettura come “arte sociale”. A prevalere in questo Atlante è senza dubbio l’apparato iconografico: le fotografie appositamente realizzate da Rosselli restituiscono ai progetti materialità e colore, non solo per semplice confronto con le viste storiche, ma soprattutto per l’attenzione alla compresenza di dettaglio e scorcio; è questa la dimensione appropriata per cogliere alcuni temi fondamentali dell’opera di Terragni, come la rivoluzione del rapporto con la luce e l’intreccio tra spazi interni ed esterni. Inattesi campi di colore e ritagli apparen-
Michela Rossi Strade d’acqua. Navigli, canali e manufatti idraulici nel parmense: dal rilievo del territorio al disegno del paesaggio Mattioli 1885, Fidenza, 2004 pp. 216, € 18,00
Il volume, pubblicato nella collana Ricerche di rappresentazione e rilievo dell’architettura, della città e del territorio curata da Paolo Giandebiaggi dell’Università di Parma, propone una lettura molto “progettuale” del territorio parmense, fondata su due presupposti, riconoscibili nel rapporto di reciproca appartenenza che lega la città al territorio rurale e nell’assunzione del paesaggio come risultato di un secolare progetto collettivo, le cui regole possono essere svelate dal rilievo e dall’analisi cartografica. Lo studio si articola in tre sezioni. La prima descrive le caratteristiche del paesaggio parmense, il ruolo dell’elemento idrico – amico e nemico insieme, comunque imprescindibile nella definizione dell’assetto del territorio e della forma degli insediamenti –, i manufatti e le tecniche progressivamente messe a punto per il controllo e lo sfrut-
tamento dell’acqua, i grandi progetti di trasformazione economico-sociale che, confermando il ruolo infrastrutturale e produttivo dell’acqua, hanno arricchito e precisato un disegno antichissimo. La seconda sezione si compone, invece, di una serie di schede relative ai diversi sistemi e tracciamenti che, intersecandosi, hanno disegnato l’intelaiatura del territorio e determinato la forma percepibile del paesaggio agrario e urbano: la centuriazione romana, le bonifiche medievali, le canalizzazioni e gli interventi moderni d’irregimentazione delle acque. Le carte tematiche di ogni scheda rivelano, con l’uso del disegno a grande scala, le peculiarità dell’impianto formale e costruttivo anche laddove, a causa delle più recenti manomissioni, esso appare ridotto a pochi relitti. L’ultima sezione consta, infine, di un ricco apparato documentale (con rigoroso regesto) che testimonia come, nella tradizione parmense, la cura continua del territorio si sia solertemente accompagnata alla redazione e conservazione del relativo repertorio cartografico e iconografico, fra cui, degne di particolare menzione, le splendide mappe tardo-cinquecentesche di Smeraldo Smeraldi. Maria Pompeiana Iarossi
nostro paese può ancora considerarsi sostanzialmente vigente. Nel volume sono presentate le fasi salienti dell’evoluzione normativa dagli anni Quaranta ad oggi: la Legge ”Ponte” del 1967, la Legge 10 del 1977, i Decreti Ministeriali 1404, 1444, del 1968, le modifiche della pianificazione attuativa, i recenti disegni di riforma della Legge Quadro. Vengono passate in rassegna alcune delle questioni più dibattute in tema di governo del territorio: la formazione dei piani regolatori tra volontà pubblica e attuabilità economica; la mancanza di un coordinamento territoriale degli indirizzi di pianificazione comunale; la nuova attribuzione alle province del compito di predisporre i piani territoriali di coordinamento. La descrizione del quadro storico, in cui si sono verificati i passaggi sensibili per una modifica dell’apparato giuridico urbanistico, è svolta con un intento critico, tra le cui finalità principali vi è quella di chiarire il ruolo nella politica amministrativa locale degli ultimi strumenti attuativi, quali i Programmi Integrati di Intervento (PII), i Programmi di Riqualificazione Urbana (PRU), i Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST), i Contratti di quartiere e le Società di trasformazione urbana
La strumentazione urbanistica italiana Sergio Brenna La Città Architettura e politica. Fondamenti teorico-pratici di urbanistica ad uso di progettisti e pubblici amministratori Hoepli, Milano, 2004 pp. 96, € 13,00 L’analisi della strumentazione giuridica in materia urbanistica inizia dalla Legge n. 2365 del 1865, intitolata “Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità”, primo provvedimento normativo nel quale appaiono i termini di piani regolatori edilizi e di piani di ampliamento. La successiva Legge 1150 del 1942, approvata durante il periodo del regime fascista, ha delineato l’impianto urbanistico-legislativo che nel
(STU), introdotti nella normativa urbanistica in deroga ai piani regolatori. Nell’utilizzo di questi piani di attuazione come strumento di indirizzo pubblico degli assetti insediativi viene ravvisata la rinuncia da parte degli enti locali a procedere nel quadro di un progetto di assetto territoriale generale. Manuela Oglialoro
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Terragni a colori
a cura di Sonia Milone
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Archeologia della cultura europea Miti Greci. Archeologia e pittura dalla Magna Grecia al collezionismo Milano, Palazzo Reale piazza Duomo 12 6/10/2004 – 23/1/2005
Μυ˜ θος [my^ thos] è propriamente “racconto eloquente”; ma è molto più che mera narrazione; né si tratta dell’elaborazione in chiave eroica di gesta o fatti storici. I miti sono invece – scrive Detienne – “des manières d’agir, de penser, que les individus trouvent preétablies devant eux, des ensembles d’idées et de comportements déjà tout organisés”. Il mito è dunque costruzione di un modello culturale nel quale riconoscersi fondando le proprie radici; è rappresentazione concettuale (Vorstellung) del mondo e della vita; e nella sua rappresentazione descrittiva (Darstellung) convergono e si integrano – è un titolo di Lyotard – “discours, figure”. Ecco perché, in riferimento al mondo greco, my^ thos e lógos non sono in contraddizione nella parola “mitologia”. Il mito precede la storia e – insieme al linguaggio, all’arte, alla religione – forma quell’insieme di modi del pensare, del conoscere e dell’agire che definiscono una cultura. Inoltre, questo intimo corrispondersi e integrarsi tra quelle che Cassirer chiamava “forme simboliche” legittima il titolo della mostra, che per l’essenziale espone una ricca produzione vascolare in gran parte proveniente dall’area magnogreca, con riferimenti anche alla sua declinazione latina, raccolta in imponenti collezioni. Il tributo reso al collezionismo, anzi, è forse eccessivo. Se da un lato, infatti, l’aver mantenuto l’unitarietà delle collezioni consente di apprezzarle in quanto tali, dall’altro le tematiche e i
loro rapporti vengono in parte frammentate. Molti pezzi (magistrale lezione di autentico design) sono veramente splendidi, sebbene non sia agevole per noi, ormai del tutto asserviti alla prospettiva e allo spazio metrico, apprezzare ' πος [tópos] greco, cioè la il το specifica qualità che le cose, in quanto tali e nel loro esser-ci, conferiscono allo spazio. Anche per questo motivo non sembra avere molto senso, nell’allestimento, l’aver dipinto sulle pareti, ingigantendole e appiattendole, alcune figure che in realtà non sono proiettate, ma “spalmate” sulla superficie doppiamente curva dei vasi. Non felice l’illuminazione. Il catalogo è molto ricco in illustrazioni e saggi, la cui lettura è tuttavia faticosa per l’uso improprio di un carattere “bastone”. Vittorio Ugo
La poetica dello spazio Spazi Atti. 7 artisti italiani alle prese con la trasformazione dei luoghi Milano, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea 12/11/2004 – 20/2/2005
Sette artisti che fuoriescono dalle strettoie della bidimensionalità del quadro o della tridimensionalità della scultura per invadere lo spazio e architettare luoghi sono i protagonisti della mostra allestita presso il PAC che testimonia una volta di più come si sia aperta e intensificata negli ultimi 40 anni una linea di ricerca che avvicina l’arte all’architettura. Nell’era della riproducibilità tecnica, gli artisti, espropriati dal tradizionale campo di creatori di immagini, non lavorano più sulla superficie della tela, sulla rappresentazione,
ma migrano verso altri territori, occupando aree limitrofe a quelle dell’architettura. Zone di confine disciplinare, se si vuole, che, nei casi migliori, evitano confusioni di genere e diventano anzi occasione straordinaria di confronti stimolanti, come nella mostra curata da Roberto Pinto e Jean HubertMartin (le magicien di Milano) dove gli artisti, mantenendosi sul crinale dell’interrogazione critica, esplorano inediti percorsi per attraversare la nozione di luogo. Molto differenti fra loro per pratiche e stile, le installazioni presentate hanno in comune la ricerca di uno spazio sensoriale e relazionale: uno spazio da vivere, un campo vitale, dove lo spettatore è invitato a entrare e ad interagire, a percorrere e ad usare l’opera. A fronte di un’architettura che si fa sempre più spectrum, spettacolo, le opere scartano la vista come mezzo di orientamento nello spazio e recuperano un rapporto tattile, corporeo con l’ambiente: suoni, odori, ombre sono i canali privilegiati con cui “tastare” il territorio e scoprire mondi altri. Sette luoghi diversi dunque che trasfigurano le aree della galleria milanese in un’eterotopia. L’itinerario espositivo procede per spaesamenti e smarrimenti continui rispetto agli orizzonti abituali, snodandosi anche lungo percorsi inusuali aperti dal PAC per l’occasione. L’edificio progettato da Gardella diviene parte integrante dell’esposizione e oggetto di intervento diretto nel lavoro di Garutti, ad esempio, che, sfidando la funzione canonica del museo di “mettere in mostra”, presenta paradossalmente un’opera visibile solo quando la galleria chiude. Dipinge infatti con una vernice fluorescente le anonime panche e sedie dei custodi che si illuminano solo a luci spente, quando il Pac si svuota: ”Cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno?”. Sonia Milone
Portugal 1990/2004. Architettura e Design del Portogallo Triennale di Milano viale Alemagna 6 12/11/2004 – 9/1/2005
La mostra Architettura e Design del Portogallo risulta a prima vista “perfetta”. Con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica Portoghese, presenta gli ultimi (quasi) 15 anni di produzione nel campo dell’architettura e del design ed è suddivisa in tre sezioni: Architettura e Spazio Pubblico; Design dell’Arredamento e del Prodotto; Design della Comunicazione e Multimedialità. Il tema è uno di quelli importanti: basta pensare al ruolo che ha ricoperto, e copre tutt’ora, nel panorama internazionale, la cosidetta Scuola di Porto o a una figura come quella di Álvaro Siza, di Eduardo Souto de Moura o di un altro degli architetti-personaggi “scoperti” dal potente sistema editoriale italiano. O, basta pensare soltanto a quanti studenti italiani di Erasmus, questa fortunata “invenzione” europea, hanno calcato, e/o si accingono a farlo, i banchi di una delle facoltà di architettura o gli sgabelli di qualche rinomato studio portoghese. Lo spazio espositivo è quello prestigioso del Palazzo della Triennale; l’allestimento è sobrio ed elegante, come dev’essere: non invadente, ma neanche povero o scialbo; il catalogo lo è altrettanto, corredato da un utilissimo indirizzario e dai curricula di tutti i partecipanti. La sezione dedicata all’architettura affronta i seguenti temi: Territorio, Città, Paesaggio; Patrimonio e Contemporaneità; Pluralità; Internazionalizzazione. La apre, per un totale di 35 opere, il padiglione del Portogallo dell’Expo ’98 di Siza, seguito dallo stadio di Braga di Souto de Moura; chiudono i due progetti “internazionali” (Svizzera e Brasile), sempre di loro due. Ecco, se un appunto si può fare (solo a una singola sezione) è che il tutto risulta un po’ troppo “ufficiale”. I progetti sono presentati in un elegante bianco e nero di wendersiana memoria che, però, alla fine, risulta così poco reale. Forse bastava semplicemente selezionare più lavori di architetti sconosciuti al grande pubblico, magari più brutti e meno ortodossi, ma sicuramente più “colorati”. Le altre due sezioni dell’esposizione, dedicate al design e alla comunicazione, sono altrettanto efficaci: presentano oggetti di
Igor Maglica
La lezione di un maestro Marcel Breuer. Design and Architecture Mestre (Ve), Centro Culturale Candiani 23/10/2004 – 9/1/2005
Di questi tempi sembra abbastanza insolito andare ad una mostra di architettura e vedere che si espone proprio quest’ultima nel senso vero del termine. I lavori di Marcel Breuer, una delle figure più importanti del XX secolo (1902-1981), non lasciano spazio ad altri tematismi, se non quelli propri della disciplina. La mostra, prodotta dal Vitra Design Museum, si costruisce lungo un percorso che distingue i lavori di architettura da quelli di design e prodotti per l’industria. Si cammina tra podibacheche di legno che mettono in mostra i modelli delle architetture e che al loro interno “contengono”, come si trattasse di una cassettiera, i disegni (piante, sezioni, prospetti) della costruzione. Un modo semplice, direi classico, per vedere l’architettura e soprattutto conoscerla e studiarla senza traslazioni effimere e sconfinamenti di campo. La sua opera appare tutta inscritta nella tensione del fare, nella conoscenza tecnica come ricerca della ragione del progetto, sia quando disegna un edificio, sia quando l’oggetto del progetto è un arredo. La ricerca non è mai fine a se stessa bensì rivolta alla comprensione delle “potenzialità” della materia; nel caso di Breuer il tubolare d’ac-
ciaio per quanto riguarda gli arredi, e il calcestruzzo armato per le costruzioni. Sembra che l’intento sia quello di portare al limite il rapporto statico-formale tra materia e forma; basti pensare ai progetti di spazi sacri, per esempio l’abazzia di St. John (1954-68) oppure la chiesa di St. Francis de Sales (1964-66) dove per stessa ammissione dell’architetto la volontà fu quella di costruire una grande aula disegnando lo spazio con la struttura in cemento armato e “solo” attraverso quest’ultima dare senso allo spazio (tra i collaboratori di Breuer vi fu anche Pier Luigi Nervi). Questo aspetto è evidente, anche quando si cammina nella sala degli arredi che, disposti alzati da terra, esaltano ancora di più questo lavoro sempre sullo stesso tema ma con risultati ogni volta diversi. L’illusione ottica, ma che in fondo cela la verità del lavoro, è che il tubolare d’acciaio non abbia fine nel pezzo singolo, ma sia un continuum di tavoli, sedie, sgabelli, scrivanie e chaise longue tutto legato insieme. La rappresentazione di un’unica ricerca che ha prodotto un lavoro unico e ricco di cultura architettonica. Francesco Fallavollita
Milano negli anni Trenta Milano Anni Trenta. L’arte e la città Milano, Spazio Oberdan 1/12/2004 – 27/2/2005 Milano negli anni Trenta è il luogo del massimo fermento culturale in linea con le principali capitali europee e, ancora più di Roma, troppo vicina al Regime, il capoluogo lombardo, nella sua relativa autonomia politicogeografica, può guardare senza timidezza alle influenze e alle suggestioni sperimentali tedesche, francesi, anglosassoni. Qui letteratura, arte e architettura intrecciate in un crogiolo di relazioni e di protagonisti si ritrovano, come in un coro a più voci ad alto tenore innovativo, a parlare un linguaggio compatibile. Tale condizione così spe-
ciale è stata ben dichiarata nella bella mostra in corso presso lo spazio Oberdan. Astrattisti, futuristi, novecentisti, chiaristi ecc., si confrontano gravitando attorno alla Galleria del Milione dei fratelli Ghiringhelli o a quella di Bardi, accomunati da un’unica aspirazione al lirismo, alla spontaneità dell’arte. Si tratta, insomma, di artisti che prendono parte al dibattito culturale dell’epoca affiancando fini intellettuali – critici, storici e filosofici – nell’attività editoriale e pubblicistica – si pensi alla rivista “Corrente” fondata da Treccani nel 1938 e con essa “Quadrante” o “L’Italia Letteraria”– alternando arte a digressioni teoriche. Un decennio in cui Milano cambia superando il classicismo anni Venti per un nuovo volto più spirituale; è la città dove arte e architettura si compenetrano: disseminata nei suoi edifici e spazi pubblici di opere di Sironi, Birolli, Fontana, Martini. Non a caso al percorso cronologico della mostra si affianca un itinerario urbano: un’occasione unica per riappropriarsi di capolavori che appartengono alla città ma che vivono spesso nell’anonimato: così sarà d’obbligo una puntata al Niguarda, alla Università Bocconi, al Palazzo di Giustizia o alla ex-federazione dei fasci di Portaluppi. Maria Vittoria Capitanucci
Cerdà Perez, la fatica dissimulata Manuel Cerdà Perez. Opera Incompleta Ceggia (Ve) ProgettoContemporaneo Galleria di Architettura 23/10/2004 – 29/1/2005
Insolito il luogo della mostra dedicata a Manuel Cerdà Perez: la sede degli uffici della ditta General Membrane a Ceggia. Qui il titolare dell’azienda, Lionello Codognotto, ha dato avvio da circa un anno ad una iniziativa certamente interessante: organizzare una serie di mostre per promuovere l’attività progettuale di giovani architetti europei che si siano contraddistinti per rigore intellettuale e chiarezza del processo produttivo dell’opera architettonica, dall’ideazione alla realizzazione. L’iniziativa, con il nome di ProgettoContemporaneo, attraverso il suo direttore Paolo Vocialta, oltre a produrre un catalogo monografico molto curato, organizza incontri tra l’autore dei progetti e liberi professionisti o studenti di architettura affermando la necessità di uno stretto legame tra produzione e realtà accademica. Ogni allestimento è curato dall’autore che espone. Manuel Cerdà Perez è un giovane architetto valenciano che fin dal modo di esporre i suoi materiali denuncia la formazione culturale compiuta su Le Corbusier, Mies van der Rohe ma anche Terragni. Il processo ideativo parte da uno schizzo scarno ma forte dell’idea che informerà tutta la ricerca. Si opera poi per sottrazioni successive per giungere al risultato finale di grande chiarezza compositiva. I temi più trattati sono quelli dello spazio domestico con particolare attenzione alle caratteristiche climatiche e ambientali su cui Perez lavora con diaframmi, schermature, doppie facciate. I numerosi modelli esposti sono plastici di studio, senza concessioni a valenze estetiche, ma testimoni di un lavoro continuo sulla terza dimensione. Spiace solo, forse, che l’interesse denunciato da ProgettoContemporaneo per il costruito trascuri questo aspetto sia nella mostra che nel catalogo: le foto, molto belle invero, e i disegni scarni e asettici riportano ad una architettura un po’ patinata che poco denuncia la fatica del costruire, la ricerca attraverso il disegno esecutivo di non tradire la perentorietà dell’idea anche quando l’architettura diventa materia. Fabrizia Franco
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design e opere di grafica che per la loro originalità e qualità non hanno niente da invidiare alla sezione architettonica.
a cura di Walter Fumagalli
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Tariffe per le opere pubbliche. La parola alla Consulta Nel numero 10/2003 questa rubrica si è occupata delle problematiche conseguenti alla “legificazione” del Decreto Ministeriale 4 aprile 2001, con il quale erano stati indicati i criteri per la determinazione dei corrispettivi dovuti per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché per le attività di direttore dei lavori, di responsabile di progetto e di coordinatore in materia di sicurezza, da effettuarsi nell’ambito dei lavori pubblici. Il decreto in questione, che prevedeva un generalizzato incremento dei compensi spettanti ad ingegneri ed architetti per questo tipo di prestazioni, era stato impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio dal Consiglio nazionale dei Geologi, dal Consiglio nazionale dei Periti Industriali e dal Consiglio Nazionale degli Agronomi e Forestali, nonché, con separato ricorso, dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani, dall’Unione delle Province Italiane e da alcuni Comuni. Con le sentenze 23 luglio 2002, n. 6552 e 8 agosto 2002, n. 7067, il TAR Lazio ha accolto entrambi i ricorsi e ha pertanto annullato il Decreto Ministeriale 4 aprile 2001, sulla considerazione che i Consigli degli ordini ricorrenti non erano stati coinvolti nel procedimento di determinazione delle tariffe. Con la conseguenza che tale decreto è divenuto inapplicabile nei confronti di tutti i cittadini a partire dalla data di deposito della prima delle sentenze sopra citate (e quindi dal 23 luglio 2002). Ma la situazione era destinata ben presto a mutare. Solo otto giorni dopo il deposito della prima decisione, infatti, è stata approvata la Legge 1° agosto 2002 n. 166, meglio nota come “Collegato Infrastrutture”. L’Articolo 7, primo comma, di tale legge, che ha aggiunto il comma 12 ter all’Articolo 17 della Legge n. 109/1994, ha stabilito che, fino all’emanazione del decreto in tema di
tariffe professionali concernenti le attività connesse con l’esecuzione di opere pubbliche previsto dall’Articolo 17 della Legge n. 109/1994 “continua ad applicarsi quanto previsto nel Decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001”. L’intento del legislatore era evidentemente di sottrarre le disposizioni del decreto ministeriale citato alle conseguenze di un eventuale annullamento in sede giurisdizionale. Con ogni probabilità il legislatore intendeva precedere la decisione del TAR Lazio, ma è stato “battuto sul tempo” da quest’ultimo, cosicché la Legge n. 166/02 ha richiamato un decreto ormai espunto dall’ordinamento giuridico. Ne è sortito un vivace dibattito nel quale si sono registrati orientamenti di segno contrario anche tra le pubbliche autorità. Da un lato c’è stato chi, come l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, ha sostenuto che, nelle more dell’emanazione del nuovo decreto in tema di tariffe professionali per l’esecuzione di opere pubbliche, debba trovare applicazione la disciplina previgente al decreto ministeriale annullato, e in particolare quella contenuta nella Legge 2 marzo 1949, n. 143. In senso diametralmente opposto si sono invece pronunciati il Ministero della Giustizia ed il Ministero delle Infrastrutture, i quali hanno ritenuto che, in forza della previsione normativa introdotta con il “Collegato Infrastrutture”, debba trovare applicazione il D.M. 4 aprile 2001 fino a quando entrerà in vigore la nuova disciplina tariffaria. La questione è stata portata anche all’attenzione del giudice amministrativo. Sono stati infatti impugnati davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, da parte dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Treviso, tre avvisi concernenti l’esecuzione di opere pubbliche emanati dalla Provincia di Treviso, che, ai fini della determinazione dei compensi professionali, richiamavano la disciplina previgente al Decreto Ministeriale 4 aprile 2001.
Il TAR Veneto ha accolto i tre ricorsi in questione rilevando che la finalità perseguita dal legislatore mediante l’introduzione del comma 12 ter all’Articolo 17 della Legge n. 109/1994 è stata esclusivamente quella di conservare transitoriamente la disciplina di cui al Decreto Ministeriale 4 aprile 2001, recependone i contenuti all’interno di una norma di legge. Con la conseguenza che l’annullamento in sede giurisdizionale del sopra citato decreto ministeriale non esplicherebbe alcuna efficacia con riferimento alle disposizioni tariffarie ivi previste “che sono rimaste ferme non più perché fissate nel D.M. annullato ma perché, per così dire, ‘incorporate e rese stabili’ nella disposizione di recepimento” (sentenza n. 2813/03). Il TAR ha dunque sposato la tesi dell’avvenuta “legificazione“ del Decreto Ministeriale 4 aprile 2001 ad opera dell’Articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94. Commentando la decisione del TAR Veneto nell’ambito di questa rubrica, si era avanzato il dubbio circa la costituzionalità della norma che ha “legificato” (o per meglio dire “riportato in vita”) il decreto ministeriale sopra citato. La fondatezza di questo dubbio ha trovato autorevole conferma. La sesta Sezione del Consiglio di Stato, infatti, chiamata a pronunciarsi sugli appelli contro due delle sentenze del TAR Veneto sopra richiamate, ha sollevato davanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’Articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94 per sospetta violazione degli articoli 3, 24, 101, 103 e 113 della Costituzione e dei princìpi costituzionali in punto di separazione tra i poteri dello Stato (ordinanze 22 settembre 2004 n. 6185 e n. 6186). In sintesi il Consiglio di Stato ha rilevato che la legificazione del Decreto Ministeriale 4 aprile 2001 è stata attuata “allo scopo specifico di eludere gli effetti costitutivi della sentenza di annullamento” dello stesso decreto ministeriale. La Corte Costituzionale sarà dunque chiamata a pronunciarsi circa due
Più complesso sarebbe il caso in cui un avviso di gara sia stato bandito sulla base della normativa poi dichiarata costituzionalmente illegittima, nell’ipotesi in cui la pronuncia di incostituzionalità intervenga nel momento in cui il procedimento di aggiudicazione della selezione non è ancora concluso (o in relazione al quale esiste un contenzioso). In tale ipotesi si potrebbe ritenere comunque applicabile il regime tariffario previsto nella norma dichiarata incostituzionale o viceversa dovrebbe farsi applicazione della disciplina tariffaria previgente? La giurisprudenza in tema di effetti sui procedimenti in corso delle modificazioni normative sopravvenute non è per nulla uniforme. Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, l’amministrazione è tenuta all’applicazione delle regole contenute nel bando anche nel caso in cui, successivamente all’approvazione del bando medesimo, la normativa su cui esso si fonda venga abrogata o modificata (e ciò anche a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale). In buona sostanza, ove trovasse applicazione questo primo orientamento, i bandi che si fondano sulle disposizioni tariffarie contenute nel Decreto Ministeriale 4 aprile 2001 approvati prima dell’eventuale di dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’Articolo 17 comma 12 ter della Legge n. 109/94 resterebbero comunque validi. Viceversa, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, la disposizione del bando che contrasti con norme inderogabili – anche ove tale contrasto si produca per effetto di modificazioni normative sopravvenute in corso di gara – equivale ad un richiamo normativo erroneo o non più attuale, come tale da considerare come mai venuto ad esistenza. Secondo questa interpretazione, quindi, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale, la norma dell’Articolo 17 comma 12 ter della Legge n.109/94 potrebbe essere considerata annullata ab origine, con
conseguente illegittimità di tutti i provvedimenti che su di essa si fondano. Certamente potrà anche accadere che, a fronte di un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità delle norme di cui all’Articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94, alcune amministrazioni decidano di annullare ovvero di revocare in via di autotutela gli avvisi di gara relativi a procedimenti non ancora conclusi, che si fondano sulle disposizioni del Decreto Ministeriale 4 aprile 2001. Anche se nel nostro ordinamento non sussiste in capo all’amministrazione un obbligo generalizzato di procedere all’annullamento di un atto precedentemente assunto ritenuto illegittimo ovvero alla revoca di un atto divenuto inopportuno, a tanto l’amministrazione può provvedere in presenza di ragioni di pubblico interesse che giustifichino il provvedimento di autotutela e che devono essere espressamente indicate nel provvedimento stesso. Peraltro la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che non sia richiesta una particolare motivazione del provvedimento di annullamento qualora l’atto di autotutela sia finalizzato ad evitare l’esborso di denaro pubblico senza titolo. In quest’ottica, qualora sopraggiungesse la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’Articolo 17, comma 12 ter della Legge n. 109/94, le amministrazioni potrebbero annullare o revocare, senza la necessità di una particolare motivazione, i bandi che si fondano sul Decreto Ministeriale 4 aprile 2001, sul presupposto che l’applicazione di tale decreto comporterebbe per le amministrazioni stesse esborsi maggiori rispetto a quanto avverrebbe applicando la disciplina preesistente a tale decreto ministeriale. Ciò quanto meno nell’ipotesi in cui la procedura si trovi in una fase ancora iniziale e non siano pertanto configurabili posizioni di interesse differenziato di singoli concorrenti alla conclusione del procedimento stesso secondo le regole fissate nel bando. Riccardo Marletta
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profili: primariamente occorrerà verificare se sia conforme alla Costituzione elevare a rango di norma di legge la materia disciplinata da un atto regolamentare (il D.M. 4 aprile 2001) che, peraltro, è stato espunto dall’ordinamento giuridico per effetto della sentenza di annullamento; in secondo luogo sarà necessario stabilire se, anche a voler ritenere legittima la legificazione, non si sia verificato nel caso di specie una violazione dei princìpi costituzionali in punto di separazione dei poteri dello Stato, considerato che l’Articolo 7 primo comma della Legge n.166/2002 è stato approvato al solo scopo di eludere gli effetti costitutivi della sentenza di annullamento del TAR del Lazio. A questo punto occorre domandarsi quali potrebbero essere le conseguenze dell’eventuale dichiarazione di incostituzionalità dell’Art. 17 comma 12 ter della Legge n.109/94 da parte della Corte Costituzionale. Ai sensi dell’Articolo 136 della Costituzione, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di dichiarazione di illegittimità costituzionale, non si potrà fare applicazione delle disposizioni del D.M. 4 aprile 2001 richiamate dall’Art. 17 comma 12 ter della Legge 109/94 e le tariffe professionali per le opere pubbliche dovranno esser determinate con riferimento alla disciplina previgente. Si pone tuttavia il problema di stabilire fino a che punto si estenda l’efficacia retroattiva della pronuncia di incostituzionalità. Secondo l’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, gli effetti della sentenza si arrestano di fronte ai rapporti che siano già stati regolati in via definitiva dalla legge incostituzionale, mentre si estendono ai rapporti ancora pendenti, cioè ancora in via di esecuzione o in fase di contestazione. Ciò implica che, qualora la prestazione professionale sia già stata resa sulla base di accordi fondati sulle disposizioni poi riconosciute incostituzionali, è a tali disposizioni che dovrà farsi necessariamente riferimento per la determinazione dei compensi professionali.
a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi
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Norme di riferimento per le applicazioni vetrarie in edilizia Il vetro è, tra i materiali di ricorrente impiego nel costruire, quello che più ha segnato l’estetica dell’architettura contemporanea e per il quale maggiormente è vera la profetica affermazione di François Dagognet, secondo cui il nostro è un tempo in cui “la materia corre più in fretta dello spirito” (1). Dietro il termine vetro, nella sua apparente e quasi tautologica evidenza di significato, si cela, infatti, in realtà, un universo in costante espansione di materiali e prodotti, frutto di processi di ricerca che investono sostanzialmente tre ambiti: cicli produttivi e relativi macchinari, esplorazione delle potenzialità prestazionali di prodotti compositi, struttura atomica e molecolare dei componenti di base. Ricerca e innovazione che hanno segnato anche una radicale svolta nel sistema di funzioni assegnate al vetro: dalla semplice trasparenza alla gestione e regolazione dei flussi energetici, in entrata e in uscita, che attraversano la frontiera involucro di separazione tra ambiente esterno e spazi di vita interni agli organismi edilizi. Tale progressiva metamorfosi, da materiale dotato di identità riconoscibile e ben delimitato campo prestazionale, a riserva di potenzialità da esplorare e mettere a sistema volta per volta, ha comportato un parallelo sforzo normativo teso a costruire una cornice di riferimento valida per tutti gli operatori, e in primo luogo per i progettisti, al fine di codificare criteri di impiego e modelli previsionali di comportamento in uso delle singole famiglie di prodotti originatesi in questo tumultuoso quadro evolutivo. Sono, così, non a caso, quasi trenta le norme Uni che hanno per oggetto il vetro per l’edilizia e che costituiscono un indispensabile strumento di lavoro per la formulazione di prescrizioni di capitolato e di norme contrattuali fondate e puntuali, attente al miglior livello di conoscenze scientifiche e sperimentali oggi disponibile, e
utili a una progettazione consapevole priva di rischi per l’utenza e di responsabilità per il professionista. Tra queste le più importanti sono la Uni 7697-2002 “Criteri di sicurezza nelle applicazioni vetrarie” (con esclusione dei vetri curvi e delle applicazioni, coperte da norme specifiche, su mezzi di trasporto terrestri e navali), la Uni 6534-1974 “Vetrazioni in opere edilizie. Progettazione, materiali e posa in opera” e la Uni 7143-1972 “Vetri piani. Spessore dei vetri piani per vetrazioni in funzione delle loro dimensioni, dell’azione del vento e del carico della neve”. La norma Uni 7697-2002 chiarisce quali sono i criteri di scelta delle lastre da impiegare, in relazione alle peculiari condizioni di uso previsto, costruendo una matrice in cui la determinazione appropriata del tipo da concretamente utilizzare in funzione della specifica applicazione vetraria (serramenti vetrati in genere, vetrine interne ed esterne, balaustre e parapetti ecc.), delle principali azioni e sollecitazioni cui è ipotizzabile debba rispondere la lastra (carichi dinamici – da vento, folla, traffico pedonale, onde di pressione e depressione –, carichi statici, urti da grandine, vibrazioni ecc.), nonché del danno da prendere in pre-
minente considerazione in caso di rottura (danni a persone o cose, caduta nel vuoto, danni sociali). Sono ritenute “applicazioni che, nell’uso previsto, non presentano rischi”, e quindi non soggette a particolari prescrizioni, tutte quelle in cui le lastre risultino intelaiate in serramenti di ogni tipo e di qualsiasi materiale, a condizione che, quando questi vengano aperti, non sporgano all’esterno dell’edificio e purché il lato inferiore sia ad oltre 100 cm di altezza dal piano di calpestio. In questi casi, infatti, si valuta che un eventuale rottura della lastra possa comportare l’unico danno economico della sostituzione della stessa. Va, poi, prestata particolare attenzione alla nota informativa finale della norma (una sorta di richiamo circa l’automatismo di cogenza della stessa), che (e questo è vero indipendentemente dallo specifico caso vetro) ricorda come il Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n.115, di attuazione della Direttiva 92/59/Cee e relativo alla sicurezza generale dei prodotti, stabilisca che, in assenza di specifiche disposizioni comunitarie, di regolamentazioni nazionali e del recepimento nazionale di apposite norme europee non obbligatorie, “la sicurezza del prodotto è valutata in base alle norme nazionali non cogenti emanate dagli organismi nazionali di normalizzazione”, quali appunto sono le norme Uni. La Uni 6534-74 disciplina, invece, i sistemi di vetrazione in opere edilizie effettuati in cantiere o a pie’ d’opera, con metodi non industrializzati, mentre non riguarda la cosiddetta “prevetrazione”, realizzata in officina con metodi industrializzati, su serramenti e con materiali di tenuta espressamente studiati. Essa contiene indicazioni di carattere generale di guida alla progettazione (scelta dei vetri, prescrizioni per i vetri, caratteristiche dei serramenti, dimensioni degli incavi di alloggiamento delle lastre, materiali di tenuta e finiture superficiali), più mirate specifiche relative a ciascun singolo punto accennato in questa prima sezione e criteri di posa in opera delle lastre, con particolare riferimen-
Esempi di applicazione. Documentazione Glaverbel.
to alla corretta applicazione dei tasselli di fissaggio dei vetri da inserire nelle apposite scanalature, la cui posizione è strettamente dipendente dalla peculiare tipologia di serramento in esame (ad anta fissa, ad anta apribile, con anta a vasistas, con anta a visiera, a bilico orizzontale, a bilico verticale eccentrico, a bilico verticale, a saliscendi, scorrevoli). La Uni 7143-72, infine, si prefigge lo scopo di fornire un metodo di calcolo degli spessori più adatti, limitatamente alle lastre di vetro piano, impiegate per vetrazioni dei serramenti esterni nei fabbricati non più alti di 50 metri dal suolo all’altezza di gronda, in funzione delle loro dimensioni e delle sollecitazioni dovute all’azione del vento e al carico della neve, tenuto conto delle imprescindibili esigenze di sicurezza. Il suo dettato si divide in “Ipotesi di calcolo per superficie verticali o assimilabili (facciate)” (quando l’inclinazione delle lastre rispetto all’orizzontale non sia inferiore a 60°) e “Ipotesi di calcolo per superficie orizzontali o assimilabili (coperture)” (per giaciture inferiori ai 60°). La formula di calcolo, ricavata dall’equazione delle piastre di Timoshenko, considera la pressione del vento (determinata in funzione di un coefficiente di forma e di esposi-
zione dell’edificio, di un coefficiente k di snellezza del fabbricato e del valore q della pressione cinetica, convenzionalmente attribuito in funzione dell’area geografica di localizzazione della facciata), il carico della neve (parimenti definito con criteri geografici di appartenenza dell’area di progetto e di altitudine), le dimensioni della lastra oggetto di verifica (espressa in termini di lato minore e lato maggiore e loro rapporto), il peso proprio della lastra e la sigma di tensione ammissibile del tipo di vetro piano impiegato. A questo corpus normativo fondamentale, per lo specifico campo delle applicazioni del vetro in edilizia in forma di lastre, meritoriamente raccolto e commentato da Assovetro nel suo recente “Quaderno n.1”, devono poi aggiungersi le indicazioni e le osservazioni derivanti dall’intensa attività di sperimentazione svolta su tale materiale da altri enti di ricerca nazionali. Primo tra tutti la Stazione Sperimentale del Vetro, che opera dal 1956 a Murano ed è l’unico ente che si occupa istituzionalmente in Italia dei problemi tecnici e scientifici di tutta l’industria del vetro (cavo, piano, fibre, tecnico, a mano, materie prime, refrattari, forni ecc.), svolgendo la funzione di trasferimento dei risultati della ricer-
ca, sviluppata autonomamente e in collaborazione con altri centri e università italiani ed esteri, alla applicazione pratica industriale e diffondendone gli esiti tramite la “Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro”, che contiene tutti i lavori a carattere scientifico o tecnologico svolti dai ricercatori dell’Istituto e da esterni. Strumenti tutti, quelli qui di necessità succintamente elencati, che costituiscono, comunque, un valido ed indispensabile strumento di supporto per il progettista, per un primo orientamento nel panorama produttivo dei sistemi di vetrazione per l’edilizia e per un acculturamento che gli fornisca termini di dialogo con i tecnici specialistici delle realtà industriali di settore e coscienza delle responsabilità che assume al momento della definizione dei componenti di facciata e di copertura vetrati nei propri progetti. Carla Icardi e Claudio Sangiorgi
Note 1. François Dagognet, prefazione al testo di Ezio Manzini, La materia dell’invenzione – Materiali e progetto, Arcadia Edizioni, Milano, 1986.
PROFESSIONE NORMATIVE TECNICHE
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a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Leggi G.U n. 260 del 5.11. 2004 Serie generale Circolare 28 ottobre 2004, n. 1254 Fondo per le demolizioni delle opere abusive. Articolo 32, comma 12, Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella Legge 24 novembre 2003, n. 326 L’Art. 32 del Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, ha introdotto nell’ordinamento nuove misure per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali. La Cassa depositi e prestiti S.p.A. è stata autorizzata a mettere a disposizione 50 milioni di euro per la costituzione di uno specifico Fondo di rotazione, denominato “Fondo per le demolizione delle opere abusive”, per la concessione di anticipazioni, senza interessi, sui costi di demolizione delle opere abusive – anche disposti dall’autorità giudiziaria – e sulle spese giudiziarie, tecniche ed amministrative connesse. La presente circolare tratta delle modalità di applicazione relative ai contenuti ed alle procedure da seguire. G.U. n. 264 del 10.11.2004 Serie generale Decreto 14 settembre 2004, n. 267 Regolamento recante modificazioni al Decreto Ministeriale 1 giugno 1998, concernente le modalità di attuazione degli interventi imprenditoriali nelle aree di degrado urbano di comuni metropolitani Il seguente regolamento all’Art. 1 definisce il programma di intervento. I programmi di intervento evidenziano: le aree di degrado urbano e sociale tramite indicatori che misurano il degrado sociale ed ambientale, le attività ed i finanziamenti da intraprendere, gli obiettivi perseguiti, la durata ed il fabbisogno finanziario del programma e delle singole azioni. L’Art. 2 tratta della presentazione dei programmi di intervento e dell’obbligo di relazione. L’Art. 3 stabilisce i programmi di finanziamento delle azioni. Gli articoli successivi dispongono i criteri di agevolazione alle piccole imprese, le spese ammissibili alle agevolazioni, le modalità di presentazione della domanda di agevolazione alle
piccole imprese, le revoche ed i controlli e le disponibilità finanziarie. G.U. n. 266 del 12.11.2004 Serie generale Decreto 22 ottobre 2004, n. 270 Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509 Il seguente regolamento, ai sensi dell’Art 17, comma 95, della Legge 15 maggio 1997, n. 197 e successive modificazioni e integrazioni, detta disposizioni concernenti i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari e determina la tipologia dei titoli di studio rilasciati dalle università. Ai fini della realizzazione dell’autonomia didattica di cui all’Articolo, della Legge 19 novembre 1990, n. 341, le università, con le procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in conformità con le disposizioni del presente regolamento e di successivi decreti ministeriali. G.U. n. 271 del 18.11. 2004 Serie generale Decreto 3 novembre 2004 Disposizioni relative all’installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d’incendio Il presente regolamento stabilisce i criteri da seguire per la scelta dei dispositivi di apertura manuale, delle porte installate lungo le vie di esodo nelle attività soggette al controllo dei Vigili del fuoco ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi, quando ne sia prevista l’installazione. I dispositivi devono essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI EN 1125 o ad altre a queste equivalenti. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 45 del 5 novembre 2004 Legge Regionale 3 novembre 2004, n. 31 Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi La presente Legge all’Art. 1 tratta l’applicazione della sanatoria edilizia. L’Art. 2 definisce i casi di esclusione e limiti alla sanatoria edilizia. L’Art. 3 stabilisce i criteri da adottare per la sanatoria nelle aree soggette a vincoli
e nei siti di Rete Natura 2000. Secondo l’Art. 4 il Comune precisa i termini e le modalità di versamento degli oneri di urbanizzazione connessi alla sanatoria delle opere abusive, nonché il contributo sul costo di costruzione nei casi. C. O.
Stampa Beni culturali Fuori pericolo i “gioielli” dello Stato. Nessuna vendita di monumenti dovuta al mancato rispetto dei termini (da “Il Sole 24 Ore” del 1.11.04) L’operazione che deve valutare l’interesse storico-artistico dei beni culturali, mobili e immobili, posseduti dallo Stato e dagli altri enti pubblici è iniziata senza problemi. Gli elenchi trasmessi dal Demanio e dagli altri enti pubblici sono finora trenta, per un totale di 618 immobili, 179 dei quali sono stati riconosciuti di interesse storico, per cui saranno sottoposti a tutela e non potranno essere venduti. Condono Ampliamenti fino a 500 metri cubi. Vecchie domande con i limiti statali (da “Edilizia e Territorio Norme e Documenti – Speciale Condono Edilizio” n. 44/2004) La Regione Lombardia, n. 31 del 3.11.2004 stabilisce nuove regole valide solo per chi presenterà la domanda di condono dopo l’entrata in vigore della legge regionale. Le domande inoltrate fino al 1° agosto saranno valutate in base alle disposizioni statali: solo il calcolo degli oneri concessori dovrà essere effettuato in base alle disposizioni regionali. La legge esclude la possibilità di sanare il nuovo e fissa al 20% o, in alternativa, a 500 metri cubi l’aumento di volumetria consentito per gli ampliamenti. La sanatoria è vietata nei parchi e nelle riserve naturali. Condono più caro a Milano, obbligo di bonifica nelle aree dismesse (da “Italia Oggi” del 17.11.04) Sarà più cara l’oblazione per condonare gli abusi nel Comune di Milano, dove
Progettazione
Design, Milano vince la sfida “Un museo atteso da trenta anni”. Regione e Triennale firmano l’accordo per le nuove sale espositive (dal “Corriere della Sera” del 23.11.04) È stato firmato l’accordo programmatico tra Regione Lombardia e Triennale per la costituzione del Museo del Design. La nuova struttura sarà realizzata al primo piano sull’ala curva del Palazzo dell’Arte di Muzio. I lavori partiranno alla fine di aprile e il Museo sarà inaugurato per il Salone del Mobile del 2006.
Abitare nelle città del futuro. Musei e aeroporti catalizzatori per l’innovazione (da “Italia Oggi” del 27.10.04) Al Saie di Bologna si è svolto un convegno sulla progettazione delle nuove centralità urbane, tra cui si riconoscono i grandi contenitori di funzioni collettive, come aeroporti, terminal ferroviari, centri commerciali, musei e biblioteche. Architetti di fama internazionale si sono dati appuntamento per svolgere una riflessione sull’evoluzione dell’“architettura radicale” e sul significato delle loro realizzazioni più recenti e originali. Questi interventi, fatti di nuovi materiali e frutto di concezioni innovative rispetto alle funzioni degli edifici, sono in grado di costituire poli attrattivi della vita urbana e motore dello sviluppo delle aree circostanti.
Milano
Urbanistica
Città d’affari, Milano perde smalto. Traffico, trasporti e inquinamento penalizzano la domanda di nuovi uffici (da “Edilizia e Territorio” del 18-23.10.04) Nel consueto Rapporto annuale, European Cities Monitor 2004 a cura di Cushman & Wakefield e Healey & Baker, vengono prese in esame le trenta principali città d’Europa, mettendole a confronto circa tutti i parametri che incidono sulla decisione di acquistare o affittare spazi a uso ufficio. Per Milano il giudizio non è lusinghiero a tal punto che la città scende nella classifica dalla nona all’undicesima posizione. La domanda è sempre più attenta ai servizi e ai trasporti e Milano sembra aver trascurato una offerta di qualità.
Un luogo di incontro pubblico-privato per progettare la rinascita delle città (da “Edilizia e Territorio Norme e Documenti – Speciale Urban Promo” n. 43/2004) L’Istituto nazionale di Urbanistica, attraverso la società Urbit, lancia la prima edizione di Urban Promo: rassegna di progetti di trasformazione urbana e sede di incontro per tutti gli operatori del settore, amministratori, promotori immobiliari, proprietari, imprese. L’evento, per il cui debutto è stata scelta la città di Venezia, si inserisce nella cornice della Quinta Rassegna Urbanistica Nazionale. L’obiettivo di Urban Promo è concentrarsi sulla ultima fase del processo di pianificazione urbanistica, “quella in cui il progetto è definito nei tratti essenziali e occorre promuovere la sua realizzazione”. Nel dossier sono raccolte le schede di presentazione dei maggiori interventi attualmente in corso in Italia, inviate da promotori pubblici e privati.
Design
Santa Giulia, il nuovo salotto di Milano. Case, uffici, alberghi, centro congressi per la “città ideale” di Risanamento SpA (da “Il Sole 24 Ore” del 13.11.04) Si tratta di un’area di 1,2 milioni di metri quadrati con un parco urbano di 333 mila metri quadrati, improntata all’idea di verde e di viabilità differenziata per veicoli e per pedoni. Materiali innovativi per gli edifici, numerosi posti auto e servizi aggiuntivi caratterizzano i disegni progettuali. Così la descrive l’architetto Norman Foster che firma il progetto: “La vita sociale di Santa Giulia si svolgerà intorno ad un promenade esclusivamente pedonale, lunga 600 metri e dalle forti suggestioni architettoniche”.
Edilizia publica Parte il check-up degli istituti. Sei anni di ritardo per l’anagrafe istituita dalla Legge 23/1996 (da “Edilizia e Territorio” del 1-6.11.04) Arriva con un ritardo di sei anni l’anagrafe per l’edilizia scolastica, lo strumento istituito dalla Legge 23/1996, per accer-
tare le condizioni degli istituti pubblici italiani, verrà istituita una banca dati che censirà più di 42 mila edifici per un’utenza di nove milioni di persone. Queste rilevazioni premetteranno alle amministrazioni di poter predisporre gli interventi necessari per la messa in sicurezza degli istituti. Milano riqualifica i quartieri Erp. Recupero di edifici pubblici e nuove case private (da “Edilizia e Territorio” del 1-6.11.04) Il Consiglio Comunale ha approvato i due accordi di programma sottoscritti con la Regione Lombardia e l’Aler per il recupero dei quartieri Stadera e San Siro. Al quartiere Stadera, che si estende nei pressi del Naviglio Pavese, è previsto un complesso piano di recupero urbano (Pru). Per il piano riguardante il quartiere San Siro, l’Aler si occuperà della manutenzione di circa 300 alloggi. Provincia Brebemi, c’è un’alternativa. Provincia: riqualificare la rete stradale esistente (da “Italia Oggi” del 3.11.04) La Provincia insiste nel proporre un’alternativa alla direttissima Brescia-BergamoMilano, progetto della società Brebemi che gode del sostegno della Regione Lombardia. L’Assessore alla Politica del Territorio della Provincia, Pietro Mezzi, avanza la proposta di un progetto alternativo studiato dalla società Polinomia. “Lo studio propone la riqualificazione della Cerca, la Melegnano-Agrate per quanto riguarda la Provincia di Milano” ha specificato l’Assessore. “È necessario sostenere il progetto alternativo all’autostrada Brebemi utilizzando le strade esistenti riqualificate”. M. O.
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sono state già presentate oltre quattromila domande e altrettante sono previste entro il termine ultimo del 10 dicembre. Per abbreviare i tempi, le domande possono essere inoltrate anche via internet.
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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it
Bergamo Imre Makovecz a Bergamo Presentazione della mostra in occasione dell’inaugurazione della Nuova Sede dell’Ordine degli Architetti di Bergamo. Le immagini, che la mostra dedicata alla produzione dell’architetto ungherese Imre Makovecz raccoglie nella Nuova Sede degli architetti dell’Ordine di Bergamo, svelano un “mondo” a noi sconosciuto. Non bastano i riferimenti all’architettura organica (da Frank Lloyd Wright a Scharoun, ad Aalto, fino a Calatrava), né il richiamo al pensiero e all’architettura di Rudolf Steiner per comprenderlo, benché gli uni e l’altro abbiamo una loro importanza. Del tutto insufficiente a fornire una chiave adeguata di lettura è, infatti, la generale contrapposizione o correlazione storiografica tra architettura razionale e architettura organica. Un popolo, una civiltà, una stratificazione culturale, dai caratteri in gran parte per noi inusuali, affiorano in queste architetture ungheresi. Certamente esse testimoniano una vasta e complessa ricchezza di esperienze percettive, sensoriali e immaginative, ma ci sfuggono le ragioni di sintesi architettoniche di rara qualità ed efficacia. Cogliamo, d’altro canto, l’emergere di una potenza simbolica che vorremmo poter condividere, o almeno conoscere più a fondo. Non è neppure sufficiente, benché necessario, recuperare per quest’architettura la metafora dell’“organismo” come ponte tra architettura e natura. Ad essa può essere collegata l’adozione, nel progetto, dei processi germinali e metamorfici naturali, con conseguente generazione di figure plastiche e fluide e utilizzo di materiali naturali, per una tecnologia sostenibile e rigenerabile. Probabilmente è di maggior aiuto a comprendere il richiamo a due architetti a noi più noti, poiché suscitano un’intuizione immediata di loro contiguità con l’opera di Makovecz. Mi riferisco, in primo luogo, ad Antoni Gaudì, in particolare alla sua produzione matura – dalle case Battló e Pedrera in poi –, che segnala la sua definitiva uscita dall’eclettismo stilistico in
direzione di una sintesi personale, di una inedita originalità, tuttavia – in termini paradossali – ancorata alla tradizione europea e catalana, sintesi esemplare tra universalità di valori europei e singolarità di tradizione catalana. Mi riferisco, inoltre, all’architetto italo-americano Paolo Soleri, attivo ancora oggi nel deserto nell’Arizona, la cui architettura trova il proprio fondamento in una complessa visione del mondo, capace di semplice e suggestivo richiamo alla frugalità, alla pietas, al senso sacro della vita. Gaudì offre una produzione dalla figuratività esuberante, Soleri evoca la necessità di un cambiamento di rotta da parte della contemporanea cultura occidentale, a scala mondiale, nel modo di abitare il pianeta. Gaudì è vissuto a cavaliere tra XIX e XX secolo; Soleri percorre, in solitudine rispetto alla cultura ufficiale d’architettura ma circondato da giovani di ogni parte del mondo cui fa scuola, la seconda metà del XX e l’inizio del XXI. Makovecz, mi pare, sintetizza una tradizione dell’est-europeo impedendoci di perderne la memoria; ci appare solitario, tuttavia sappiamo che ha largo seguito nel suo paese e che persegue una continuità della propria cultura. In quest’architettura di Makovecz avverto un richiamo che esprimo con l’aiuto di espressioni di un filosofo contemporaneo, nel cui celebre volume fondamentale Verità e metodo mi sono recentemente imbattuta. Scrive dunque Gadamer: “Noi siamo costantemente dentro a tradizioni e questo (…) è già sempre qualcosa che sentiamo come nostro (…) un riconoscersi nel quale il successivo giudizio storico non vedrà una conoscenza, ma un libero
appropriarsi della tradizione”. Il primo passo di un giudizio storico espresso dall’interno di una tradizione, ci dice il filosofo, è un riconoscimento, un’appartenenza accettata in piena libertà (“libero appropriarsi”), condizione fondamentale perché successivamente possa svolgersi una conoscenza adeguata al senso proprio della stessa tradizione. In Makovecz percepisco esattamente questo “libero appropriarsi”, tramite ripresa e continuità di un modo d’abitare, di una tradizione costruttiva e figurativa, che costituisce l’alveo entro il quale la cultura del suo popolo può essere conosciuta, dal popolo stesso in primo luogo. Mi pare consista in questo il superamento germinale di una infeconda contrapposizione tra internazionale e locale, perché, nell’esperienza di libera appropriazione della propria tradizione, quest’ultima diventa una “soggettività”, storica e attuale, una identità in movimento, aperta al dialogo con altre identità, identità che non si impone ma si propone, provocando confronti, connessioni, chiarezza di legittime e arricchenti differenziazioni. Un altro importante richiamo proviene dai progetti di Makovecz: anche l’architetto, come l’artista, ha il “diritto di sognare”. Il diritto di sognare è il titolo di un volume del fenomenologo francese Gaston Bachelard. Giustamente egli scrive a proposito di Monet e delle sue ninfee: “dacché Claude Monet le ha guardate, le ninfee dell’Ile di France sono più belle. Esse galleggiano sui nostri fiumi più ricche di foglie e più maestose anche”. Monet, afferma Bachelard, esprime nella sua arte “infinita carità verso la bellezza”, “incoraggiamento dell’uomo verso tutto ciò che tende al bello”. Non si ritrova,
Maria Antonietta Crippa
Lodi La storia racconta. L’antica chiesa di Marudo (Prima parte) Mi capita spesso di ammirare la bellissima chiesa del nostro paese, lodando il coraggio e la generosità dei nostri antenati che hanno provveduto a edificarla, non tralasciando chi in tempi più recenti, dopo il crollo del campanile, si è impegnato a restaurarla. L’opera è stata progettata dall’architetto Giovanni Bocca di Lodi, ed edificata in seguito alla decisione di abbattere l’antica chiesa in pessimo stato di conservazione, come confermato dalla relazione dell’ingegnere Paolo Antonio Vitalone del 5 gennaio 1769. L’antica chiesa era ritenuta troppo piccola per la comunità, come emerge da un documento
dei delegati della parrocchia, che erano stati nominati per vigilare sulla costruzione della nuova chiesa e firmare contratti e accordi. La costruzione della nuova chiesa, ha impegnato il paese nella sua edificazione per un ventennio (1770-90), con non pochi sacrifici e difficoltà, che furono ricompensati dall’ottimo risultato ottenuto. Ma come era costruita l’antica chiesa del paese? Dove sorgeva? Esistono tracce ancora evidenti, o elementi che ne testimoniano la sua passata esistenza? Leggendo alcuni documenti sull’antica chiesa, esaminando i disegni dell’attuale costruzione sacra, della casa parrocchiale e riflettendo sulla posizione degli edifici riportati sulla mappa catastale di Maria Teresa d’Austria (elaborata intorno al 1750), è possibile dare una risposta che soddisfi le nostre curiosità. Dalle visite pastorali, emerge in modo sintetico la descrizione architettonica della costruzione, in particolare sul documento redatto in corrispondenza della visita del 6 luglio 1713, vengono riportati una serie di dati e informazioni. Si legge: “La chiesa parrocchiale di Marutto [Marudo] è lunga passi ventotto circa e larga circa dieci” corrispondenti a pressapoco 18,7 x 6,7 m (1 piede corrisponde a circa 0,667 m). Il documento continua: ”Aveva due porte; una grande che guardava verso oriente, ed una piccola che guardava verso mezzogiorno”. Tale orientamento dell’ingresso principale non corrisponde a quello delle chiese di antica datazione, risultando l’esatto opposto. Normalmente le chiese avevano l’ingresso ad ovest e la zona del presbiterio (dove è collocato l’altare) e del coro verso est. La regola dell’orientamento, rispettata in molte antiche chiese del Lodigiano (la chiesa dei dodici Apostoli a Lodivecchio, il Duomo e la chiesa di San Francesco a Lodi, la chiesetta di Calvenzano, per citarne alcune), rispondeva a concetti di religione cristiana ben precisi, legati anche astronomicamente alla posizione del sole in determinati periodi dell’anno (equinozio di primavera e autunno). Per meglio chiarire tale fondamentale aspetto architettonico bisogna notare che tutte le chiese, fino al periodo della
Controriforma, possedevano una sagoma a forma di croce, ad eccezione di quelle più piccole (come quella antica di Marudo), in quanto la sagoma della chiesa, rappresentava il corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, con i piedi corrispondenti all’ingresso (ad ovest) e il capo corrispondente alla zona del presbiterio, o del coro, se presente. Con questo allineamento, si intendeva esprimere un duplice significato: la morte del corpo di Gesù per la nostra salvezza e contemporaneamente la sua resurrezione. È da notare che in epoca arcaica, come testimoniano gli scheletri ritrovati in alcune necropoli, i defunti venivano orientati nelle loro tombe con il corpo lungo la direzione est-ovest, in modo che i piedi fossero collocati verso ovest, e il capo fosse a est, punto dove sorge il sole i cui raggi venivano ritenuti come entità portatrici di vita, permettendo al defunto il trapasso in una forma di esistenza analoga a quella precedentemente vissuta (Edoardo Proverbio, Archeoastronomia. Alla ricerca delle radici dell’astronomia preistorica, Testi Editore, Milano, 1989, p. 33). Antonino Negrini
Milano
a cura di Laura Truzzi Designazioni • COMUNE DI MILANO Settore Strade Parcheggi e Segnaletica, Servizio Parcheggi. Richiesta di segnalazione professionisti per nomine delle Commissioni Giudicatrici per le procedure di licitazione privata per l’affidamento delle concessioni, in diritto di superficie, della progettazione, costru-
zione e gestione, in project financing, di parcheggi pubblici a rotazione per residenti. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Barbara AGOSTINI, Paolo AINA, Giovanni COPPADORO, Gian Paolo CORDA, Giulio FENYVES, Ernesto GRIFFINI. • COMUNE DI COLOGNO MONZESE: richiesta di segnalazione professionisti per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale esperti in materia di tutela paesistico-ambientale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Fausto COLOMBO, Alessandro MARCHESELLI, Corrado SERAFINI. • COMUNE DI MACHERIO: richiesta di segnalazione professionisti per nomina dei componenti della commissione edilizia comunale esperti in materia di tutela paesistico-ambientale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Fabrizio BONAFEDE, Giuliana Caterina CONTI, Carlo GEROSA, Danilo ORLANDI, Giuseppe ROLLA, Raffaele SELLERI, Gregoria STANO. • COMUNE DI CORBETTA: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice del “Concorso di idee per la riqualificazione e arredo della Piazza Pierino Beretta”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Cesare MACCHICASSIA, Walter VICARI. • COMUNE DI DAIRAGO: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice “Concorso di Idee per la viabilità, l’arredo, la migliore disposizione dei parcheggi attuali e l’individuazione di nuove aree per parcheggio”. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Giovanni Matteo MAI. • AZIENDA OSPEDALIERA di Circolo di Melegnano – Vizzolo Predabissi (Mi): richiesta di segnalazione professionisti per nomina commissione giudicatrice gara per “Pubblico incanto per l’affidamento per le opere di manutenzione degli edifici in proprietà e/o in gestione”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Pietro ARIOLI, Enrico MAGISTRETTI, Giuseppe TROPEA. • Impresa SARIMA S.R.L. di Novate Milanese: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla costruzione di una palazzina ad uso residenziale in
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questo stesso incoraggiamento, nei disegni di Makovecz? Non vi si ritrova la stessa “infinita carità verso la bellezza”? Il sogno, la “meditazione sognante” cui anche l’architettura ha diritto non è funzionale a una fuga dalla realtà verso una non-architettura, ma a una ripresa di energia. “Nella solitudine – è ancora Bachelard che parla – la meditazione ha tutta l’efficacia dello stupore. La meditazione primitiva è al contempo ricettività totale e produttività universalizzante”. Questa “meditazione sognante” apre il mondo del possibile, persino quello del ritorno di ciò che avrebbe potuto, ma in realtà non ha potuto, essere. Dove, oggi, l’architetto si assume questo diritto di sognare? Come riconquista la solitudine di un proprio lavoro, meditativo e progettuale, indispensabile per ritrovare possibilità abitative e costruttive troppo in fretta cancellate? Imre Makovecz e il movimento organico ungherese hanno importanti lezioni per noi al riguardo. È importante, per noi, dare più spazio e maggior attenzione alle loro realizzazioni. Ringrazio per questa occasione Maya Nagy, François Burckhard e soprattutto l’Ordine degli Architetti di Bergamo, nella persona del suo Presidente.
INFORMAZIONE DAGLI ORDINI
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Comune di Trezzano Rosa. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Francesco GALLUZZI, Elio Guido RONZONI, Sauro Ernesto VERGA. • Impresa EDIL ART s.n.c. di Ilare Antonino & C. di Lainate: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di un fabbricato pluripiano di sette unità abitative e di due villini in corpo staccato, in Comune di Parabiago. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giordano PEREGO, Giuseppe ROLLA, Elio Guido RONZONI. • Impresa TIEMME S.R.L. di Monza: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di un edificio residenziale, più interrato e sottotetto, Comune di Monza. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Renato Renzo ANGELLA, Clemente Orazio BESTETTI, Vittorio DE MICHELI. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di I° livello in Scienze dell’Architettura del 4-5 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Carlo GERVASINI, Cristina NEPOTE. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di I° livello in Architettura delle Costruzioni del 4 ottobre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Monica SILIGARDI. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Scienze dell’Architettura del 4 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Francesco ALBERTI, Giovanni BOTTINI, Giancarlo FOI, Franco PISTOCCO, Claudio SALOCCHI. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il “Corso di Studio in Edilizia Bazzi D.M. 509/99” del 5 ottobre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Natalino ZANIER. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 12 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Lucia BERGO, Carlo CATTANEO, Enrico FREYRIE, Valerio MONTIERI.
• POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Disegno Industriale del 12 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Raul BERTOLOTTI, Marco Mario DUINA, Elvio LEONARDI, Eugenia NACCI, Cinzia PAGNI, Marco Guido SANTAGOSTINO, Gianni Daniele SCHAPIRA. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A nuovo ordinamento del 5 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Valerio TESTA, Caterina VARANO. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A vecchio ordinamento del 15 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giuliano Paolo BANFI, Mauro MERICCO. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 14 ottobre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Renato Renzo ANGELLA, Emilio CARAVATTI, Valeria Maria CERRUTI, Daniele COPPI, Michele Angelo FERÉ, Barbara FERRARI, Emira MANINA, Daniele Riccardo NAVA, Cristina NEPOTE, Pierluigi RAULE, Andrea Massimo RAVOGLI, Federica SOSTERO, Stefano TUCCI. • POLITECNICO DI MILANO. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il “Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99” del 5 ottobre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Lorenzo NOÉ . • “PROVINCIA DI MILANO – Osservatorio Provinciale per gli Studi di Settore”. Il Consiglio dell’Ordine, nella seduta del 9 novembre 2004, ha nominato l’arch. Alberto CESANA quale proprio rappresentante nell’Osservatorio Provinciale per gli Studi di Settore. Convenzioni È stata stipulata, per gli iscritti all’Ordine, una nuova convenzione con Alinea Editrice s.r.l. I particolari della convenzione sono elencati nel sito: www.ordinearchitetti.mi.it
Serate d’Architettura Un’altra torre per Milano. Una gara per la nuova sede del Comune 9 dicembre 2004 Sono intervenuti: Raffaello Cecchi, Luigi Mangano, Giancarlo Tancredi Conduttore: Fausto Curti La gara per la nuova sede per il Settore Tecnico del Comune di Milano viene a confermare la grande vitalità del Comune di questo periodo. La nuova realizzazione, prevista tra via Pirelli e via M. Gioia e inserita all’interno del Piano Integrato di Intervento Garibaldi-Repubblica, presenta un innovativo procedimento a “costo zero” per il Comune. I soggetti responsabili dell’impostazione del lavoro per la gara sono intervenuti, il 9 dicembre scorso presso la sede dell’Ordine, per presentare l’intervento nella sua complessità. Ha aperto la serata Fausto Curti introducendo due domande ai relatori: come si costruisce il montaggio della fattibilità economica, finanziaria e gestionale di un progetto che dovrebbe garantire obiettivi simultanei diversi – in un equilibrio indubbiamente complesso – quali la convenienza per l’operatore, la gratuità per il Comune e la qualità del progetto. E ancora: “quanto inciderà sul giudizio della commissione la qualità architettonica?”. Pur riconoscendo l’innovazione di questo strumento, Curti sostiene che il buon risultato sia legato, per la prima volta, non solo alle capacità dell’operatore, ma anche a delle “perturbazioni” di scenario molto rischiose legate ad una prospettiva di valorizzazione delle funzioni in gioco. Giancarlo Tancredi, Responsabile del Procedimento e Coordinatore, spiega le motivazioni che hanno spinto il Comune ad intraprendere questo percorso e decidere di realizzare una nuova sede: riunire 10-15 sedi attualmente distribuite su tutto il territorio milanese, risanare e valorizzare il patrimonio immobiliare comunale. Fin dagli anni ’50 l’area dell’intervento, ha mantenuto la sua vocazione direzionale, mentre oggi rappresenta il polo istituzionale milanese con la realizzazione della nuova sede della Regione Lombardia. Il comples-
so, di cui è già stato redatto il progetto preliminare da parte del Settore Progetti Strategici e del Settore Edilizia Demaniale del Comune comprenderà: 30.000 mq di uffici, 2.500 mq di servizi al cittadino e 3.000 mq di spazi di servizio e commerciali gestiti privatamente. Il costo complessivo dell’opera, stimato in circa 100-110 milioni di euro, sarà finanziato, al fine di non gravare sul cittadino, dal privato che otterrà il corrispettivo della vendita della sede attuale di via Pirelli e del parcheggio pertinenziale, vendita di ulteriori altri immobili comunali, concessione in uso di 3.000 mq di s.l.p. per funzioni private complementari, concessione e gestione dei servizi al cittadino e la gestione e manutenzione in global service della nuova sede. Il progetto preliminare, non sarà vincolante per il futuro, ma individua i principali requisiti prestazionali e qualitativi dell’opera. Ai progettisti spetta l’incarico di esprimere idee che interpretino, sviluppino e migliorino i temi progettuali tracciati. Raffaello Cecchi, consulente alla progettazione, presenta i contenuti del progetto preliminare, ponendo l’accento sul rapporto morfologico e volumetrico tra le preesistenze e le ipotesi formulate per un complesso immobiliare che dovrà inevitabilmente essere costituito da una torre di circa 37 piani. Fondamentale per lui sarà la qualità architettonica che saprà esprimere il progettista. Luigi Mangano, consulente per l’ottimizzazione degli spazi, solleva il problema del nuovo insediamento per 1.400 persone e del suo utilizzo nel tempo. Fondamentale diventa quindi l’efficienza degli spazi: “non si possono più concepire spazi grigi con gente grigia”. In seguito alle domande del pubblico, dalle quali emerge l’interesse per il tipo di gara (Gara di concessione di lavori pubblici ai sensi dell’Art. 19.2 della Legge Merloni) e l’augurio che la qualità architettonica del progetto costituisca il contesto del giudizio, chiudono la serata Fausto Curti e Raffaello Cecchi. Ribadiscono l’innovativa procedura di gara, per la quale però c’è ancora molto da lavorare, e la complessità che ha raggiunto
Precisazioni a proposito di Brera…
Varese Architetti dell’Ordine in Cina Nel mese di ottobre 2004 l’Ordine degli Architetti di Varese ha organizzato un viaggio in Cina, il paese dove i cantieri edili sono aperti 24 ore su 24, dove tutti lavorano 7 giorni su 7 e dove milioni di persone cambiano spesso casa e modus vivendi. Questa è la nuova Cina con le sue città e il suo vorticoso sviluppo economico: paese che si sta preparando alle Olimpiadi di Pechino 2008 e all’Esposizione Universale di Shanghai del 2010; paese in cui tutti i più importanti studi di architettura e urbanistica del mondo fanno a gara per lasciare il loro segno. Il viaggio (ideato e guidato dagli architetti Giorgio Giani e Jacopo Pavesi) ha toccato tre regioni e città assai diverse tra loro: Pechino, Hangzhou e Shanghai. Pechino o Beijing, capitale di un paese dalla civiltà millenaria, è il cuore politico del paese. Una città sviluppata intorno ad un’altra città, la Città Proibita: costruzione che rappresenta il cuore della Cina, detto il Regno di Mezzo, e che è uno dei migliori esempi di stile imperiale cinese. La Città Proibita si affaccia sulla piazza più grande del mondo, Piazza Tienanmen, dove si trovano la sede del Parlamento Cinese e il Mausoleo in cui riposa il presidente Mao. Esistono poi numerose costruzioni faraoniche come l’enorme cupola in titanio per l’Opera House, in costruzione e progettata dall’architetto francese Paul Andreu, anche progettista dell’aereoporto di Pudong a Shanghai (che verrà ampliato prossimamente su progetto dello Studio Foster and Partners di Londra). La capitale ospita altresì meravigliosi giardini come quello del Palazzo imperiale d’Estate e quello del Tempio del Cielo, bellissimo esempio di architettura Ming.
Durante il soggiorno nella capitale è stato organizzato un incontro culturale con il Rettore e con il Preside della Facoltà di Architettura della più grande Università di Pechino: la Quing Hua University; si sono portati i saluti del nostro Ordine e scambiate opinioni sullo sviluppo edilizio ed urbanistico del paese, con particolare riferimento ai nuovi cantieri in itinere per le Olimpiadi 2008. A nord di Pechino non è infine potuta mancare la Grande Muraglia: un enorme drago di mattoni grigi che si snoda tra le montagne, una costruzione spettacolare e certamente unica al mondo per la sua particolarità. Da Pechino si è poi partiti alla volta di Hangzhou, cittadina di circa 4 milioni di abitanti e con una storia di oltre 4.000 anni, situata a 180 km a sud di Shanghai e sviluppata intorno al Lago dell’Ovest: una della sette città più antiche della Cina, nel XIII secolo Marco Polo la definì come la più bella città del Paradiso Terrestre. Nella città di Hangzhou è stata organizzata una visita particolare ad un nuovo centro commerciale di nome Eurostreet: costruzione di 30.000 mq che tra poco sarà inaugurata con tutti i marchi della moda e del lusso italiani ed europei. La costruzione, progettata dallo studio americano Jerde Partnership e costruita dalla Hangzhou Hubin Commercial & Tourisme District Construction Ltd, è stata seguita durante la sua costruzione dallo Studio degli Architetti Giani e Pavesi, che hanno quindi potuto illustrare i principali particolari architettonici
e le tecniche di costruzione usati in questo paese. Dalla città di Hangzhou, in treno, è stata infine raggiunta Shanghai: megalopoli di 13 milioni di abitanti e più di 4.000 grattacieli, tra cui il più alto della Cina e il terzo del mondo, la Jin Mao Tower. Progettata dagli architetti Skidmore-OwingsMerrill di Chicago, si può salire fino all’88° piano in soli 45 secondi e raggiungere il punto più alto dell’edificio da cui ammirare tutta la città. Città assai spettacolare sopratutto di notte, con gli enormi grattacieli illuminati, con le infinite circonvallazioni e i numerosi ponti: di notte la città continua a vivere, con i suoi cantieri aperti e la gente indaffarata per le strade. Il quartiere di PuDong, affacciato sul fiume Huangpu, è il cuore finanziario della nuova città e il luogo in cui si concentrano le più belle e moderne costruzioni della Cina: uno skyline davvero affascinante e avveniristico per un architetto europeo. Anche a Shanghai si è visitata la città vecchia, con le tipiche costruzioni chiamate “Shikumen”, che prima erano l’unica tipologia di costruzione e che ora sono sostituite dai nuovi quartieri, con centri commerciali, negozi alla moda, bar e ristoranti. Il viaggio ha pertanto portato interessanti stimoli e numerosi contatti culturali: per un architetto la Cina in questo momento è il più grande cantiere del mondo e rendersene conto sul posto è stato veramente eccitante. Jacopo Pavesi
A proposito di Brera, nell’intervista di Antonio Borghi, pubblicata sul numero 11 di questo mese (“AL” 11, novembre 2004, p. 28 ndr), Bertelli manifesta il rimpianto per le tante cose che si sarebbero potute fare e che invece non sono state fatte. Condividiamo la sua opinione e, poiché anche noi abbiamo partecipato a “quella avventura”, ci permettiamo fare alcune precisazioni per rettifica. Cominciamo col dire che abbiamo avuto il privilegio di essere gli architetti di Franco Russoli e lo abbiamo affiancato nella stesura del primo progetto per la “Grande Brera”. Non appartenevamo, purtroppo, all’establishment degli architetti in voga e questo ci costò molto caro dopo la sua morte. Successivamente, abbiamo collaborato con il nuovo Soprintendente alle varie modifiche progettuali, poiché il progetto era in progress, e a manifestazioni varie, appunto come le mostre Avalle e Burri. Questo per dire che anche con Bertelli ci fu un periodo di lavoro abbastanza lungo e da lui stesso apprezzato. Nel corso dell’intervista questo non appare, mentre è evidenziato solo il sospetto di presunte irregolarità del nostro incarico! Per quello che ci risulta tutte le persone interessate sapevano che lo avevamo avuto dai Soprintendenti e che, per motivi burocratici, i nostri compensi apparivano sul capitolo spese dell’impresa Folli incaricata dei lavori. Nulla di misterioso quindi: erano dichiarati e denunciati al fisco con relative tasse pagate. Infine, a proposito di “progetti di qualità” dopo tanti anni ci asteniamo da polemiche; ricordiamo invece con piacere il consenso avuto allora da persone come Argan, Pica, Melotti e altri. Grazie per l’attenzione e cordiali saluti. Giancarlo Ortelli e Edoardo Sianesi Milano, 12 novembre 2004
47 INFORMAZIONE LETTERE
oggi il progetto d’architettura che non può più essere affrontato dai soli architetti, ma da un insieme di attori specializzati pur mantenendo il carattere del tema urbano, morfologico, importantissimo per Milano.
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Dicembre
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)
1456,65
G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA
1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice-novembre 1969: 100 Anno 2001 2002 2003 2004
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Febbraio Marzo
Giugno
1435,31
1446,61 1480 1480,51
1467,96 1504,37 1537,02
Aprile Maggio 1440 1436,56 1441,59 1445,35 1470 1471,72 1475,49 1478 1510 1509,4 1511,91 1513,16 1540 1538,28 1542,04 1544,56
2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2001 2002
INDICI E TASSI
Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00
2003 2004
dicembre 1978: 100,72 Settembre Ottobre
Novembre Dicembre
500,65
501,09
501,09
501,52
502,83
503,70
504,13
511,52
512,39
512,82
513,69
514,56
515,86
517,17
517,6
523,25
523,69
524,12
525,43
526,29
527,6
528,03
529,34
529,34
533,68
534,55
535,86
536,29
537,16
537,16
537,16
538,46
496,74
497,18
506,30
508,04 520 520,64
509,35
498,91 510 510,65
522,38
531,94
532,38
Marzo 112,47 115,35 117,56
Maggio 500 500,22
Aprile 112,76 115,54 117,85
anno 1995: base 100 Maggio 112,95 115,64 118,04
Giugno 113,14 115,73 118,33
Luglio 113,24 116,02 118,42
4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 2000: base 100
Anno 2002 2003 2004
Giugno 103,96 106,34 108,73
Gennaio 102,73 105,46 107,58
Febbraio 103,08 105,64 107,93
Marzo 103,35 105,99 108,02
Aprile 103,61 106,17 108,28
Maggio 103,79 106,26 108,46
Luglio 104,05 106,61 108,81
6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 1999: base 100
Anno 2002 2003 2004
Giugno 108,96 111,46 113,95
Gennaio 107,67 110,53 112,75
Febbraio 108,04 110,72 113,12
Marzo 108,31 111,09 113,21
Aprile 108,59 111,27 113,49
Maggio 108,78 111,36 113,67
7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2001 103,07
1996 105,55
2003 108,23
2004 110,40
1997 108,33
1998 110,08
1999 111,52
1998 101,81
1999 103,04
Settembre 113,62 116,50 118,61
Ottobre 113,91 116,60 118,61
2000 105,51
2000 113,89
Agosto 104,23 106,79 108,99
Settembre 104,4 107,05 108,99
Ottobre 104,67 107,14 108,99
2002 111,12
Novembre Dicembre 104,93 105,02 107,40 107,40 109,25
gennaio 1999: 108,2 Agosto 109,24 111,92 114,23
Settembre 109,42 112,19 114,23
Ottobre 109,7 112,29 114,23
Novembre Dicembre 109,98 110,07 112,56 112,56 114,51 gennaio 2001: 110,5
novembre 1995: 110,6 2001 117,39
2002 120,07
2003 123,27
anno 1997: base 100
2001 108,65
Novembre Dicembre 114,2 114,29 116,89 116,89 118,90
dicembre 2000: 113,4
anno 1995: base 100
9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
Luglio 109,05 111,73 114,04
giugno 1996: 104,2 Agosto 113,43 116,21 118,61
anno 2001: base 100
2002 105,42
8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
1529,48
Agosto
495,00
Febbraio 112,18 114,97 117,46
1495,58
Luglio
Aprile
Gennaio 111,80 114,77 117,08
1548,32
Settembre Ottobre Novembre 1450 1447,86 1447,86 1449,12 1452,89 1455,4 1490 1481,77 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1520 1518,19 1520,7 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86
Giugno
Febbraio Marzo
3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2002 2003 2004
1514,42
Agosto
novembre 1978: base 100
Gennaio
519,78 530 530,21
Luglio
2003 113,87
2004 125,74 febbraio 1997: 105,2
2004 116,34
Interessi per ritardato pagamento
Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.
Provv. della Banca d'Italia (G.U. 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003
4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%
Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
10,35% 9,85% 9,10%
Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11) dal 1.1.2004 al 30.6.2004
2,02% +7
Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004
Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.
2,01% +7
9,02%
9,01%
Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.