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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

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Direttore Maurizio Carones Comitato editoriale Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione Igor Maglica (caporedattore) Irina Casali, Martina Landsberger, Caterina Lazzari Direzione e Redazione via Solferino 19 – 20121 Milano tel. 0229002165 – fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa Mancosu Editore spa via Alfredo Fusco 71/a – 00136 Roma tel. 06 35192255 – fax 06 35192260 e-mail: mancosueditore@mancosueditore.it http://www.mancosueditore.it Concessionaria per la Pubblicità via Alfredo Fusco 65 – 00136 Roma tel. 06 35192280 – fax 06 35192269 e-mail: isi.spa@mancosueditore.it Sales Manager Gianluca Antonucci Fabrizio Moi Agente pubblicità per il nord Italia: Giacomo Lorenzini (Mass Media) Massimo Aureli Alessandro Martinenghi (Graphic Point) Massimo Aureli per il centro Italia: Elisabetta Arena Alexander Tourjansky

FORUM Architetti iunior interventi di Adalberto Del Bo, Gianfranco Agnoletto, Claudio De Albertis, Gianfranco Pizzolato Sugli onorari degli architetti iunior Quattro domande a... Antonio Monestiroli, Piercarlo Palermo, Giuseppe Turchini Offerta formativa lauree di primo livello in Lombardia

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FORUM ORDINI Bergamo Brescia Como Lecco Lodi Milano Pavia

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OSSERVATORIO Conversazioni Concorsi Libri Mostre

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PROFESSIONE Legislazione Organizzazione professionale Strumenti

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INFORMAZIONE Dagli Ordini Lettere

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INDICI E TASSI

Stampa ati spa – Pomezia, Roma Rivista mensile: Spedizione in a.p. – 45% art. 2 comma 20/b – Legge 662/96 – Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta

EDITORIALE

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Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidenti: Massimo Dell’Oro, Elio Mauri; Segretario: Marco Pogliani; Tesoriere: Vincenzo D. 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Dragoni, Maura Lenti, Gian Luca Perinotto, Giorgio Tognon, Alberto Vercesi (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Aurelio Valenti; Tesoriere: Claudio Botacchi; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Enrico Scaramellini, Giuseppe Sgrò, Giovanni Vanoi, Laura Trivella (Termine del mandato: 15.10.2009) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Laura Gianetti; Tesoriere: Pietro Minoli; Consiglieri:Luca Bertagnon, Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Antonio Bistolettil, Emanuele Brazzelli, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni, Adriano Veronesi (Termine del mandato: 15.10.2009)


Beppe Rossi Presidente della Consulta Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Non si può affermare che gli Ordini abbiano accolto con particolare entusiasmo le novità sulla riforma delle professioni introdotta a suo tempo dal DPR 328/01, certo è che pur nella solita incertezza che questo tipo di provvedimenti comportano, gli stessi Ordini si sono per così dire attrezzati per affrontare alla meno peggio la nuova condizione o se vogliamo il nuovo “problema”. Nell’assemblea dei Presidenti degli Ordini degli Architetti tenutasi a Genova nell’ottobre del 2004, un’apposita commissione istituita per approfondire il problema, della quale facevo parte, rilevava come la figura del laureato triennale potesse costituire una risposta adeguata alla richiesta di tecnici intermedi e nello stesso tempo auspicava che comunque le figure professionali legate al mondo dell’architettura dovessero necessariamente essere inscritte nel quadro normativo europeo al fine di garantire, nel rispetto generale dei contenuti della Direttiva europea 384/85, la libera circolazione dei professionisti in Europa. Questo significa che un corso di laurea triennale deve offrire una buona preparazione affinché il laureato possa accedere al mondo del lavoro come collaboratore fattivo al progetto, ma nel contempo con chiare competenze che per ovvi motivi devono essere differenti da quelle del laureato quinquennale. Ed è proprio sulla questione delle competenze che di conseguenza si aprirà il solito contenzioso, dato che, come spesso accade, rimane sempre una chimera la chiarezza del legislatore. Sull’obiettivo finale della riforma e su ciò che il triennale potrà fare vi è purtroppo molta confusione, generata in buona parte anche dalle università che non hanno voluto o saputo indirizzare adeguatamente gli studenti, tanto è vero che la maggior parte opta giustamente per il passaggio alla laurea magistrale. Non a caso il numero degli iscritti alla sezione B degli Albi provinciali risulta essere esiguo: in tutta la penisola sono solo 336 i laureati triennali attualmente iscritti, ed anche se il numero è destinato a crescere, la tendenza generale non è lusinghiera. Anche per quanto concerne l’ingresso obbligatorio degli iscritti alla sezione B degli Albi vi è stato qualche problema organizzativo all’interno degli Ordini. Il recente rinnovo degli Ordini provinciali, con il meccanismo elettorale che ha introdotto obbligatoriamente la presenza di un triennale in ogni Consiglio di Ordine, ha fatto sì che all’interno di molti Consigli provinciali vi sia un triennale che per ironia della sorte rappresenta solo se stesso. È comunque questa una situazione che senza dubbio in avvenire subirà delle modificazioni ed un assestamento per il naturale aumento dei laureati triennali. È comunque interessante verificare attraverso questo numero di AL come i Presidi delle facoltà, che hanno partecipato al Forum, valutino questa nuova riforma, che per quanto riguarda gli Ordini ha segnato un momento di seria riflessione sull’assetto e sulla funzione degli stessi nell’immediato futuro.


Architetti iunior

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Nel Forum di questo numero intervengono Adalberto Del Bo, professore Ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, Gianfranco Agnoletto, presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano, Claudio De Albertis, presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, Gianfranco Pizzolato, vicepresidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Antonio Monestiroli, preside della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico del Milano, Piercarlo Palermo, preside della Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano e Giuseppe Turchini, preside della Facoltà di Ingegneria Edile/Architettura, sede di Lecco, del Politecnico di Milano, hanno risposto a quattro domande di Maurizio Carones sul tema del numero. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.

Per una figura professionale europea di Adalberto Del Bo

In ottobre si sono laureati al Politecnico di Milano i primi architetti quinquennali del nuovo ordinamento “3+2”, studenti che si sono iscritti al biennio finale nel 2003 dopo aver conseguito la laurea triennale, quella che consente di accedere all’Esame di Stato per l’architetto denominato iunior. Questi nuovi laureati (recentemente definiti magistrali, per una dizione opportunamente modificata) sono il risultato di una travagliata riforma dell’Università che, come noto, ha interessato anche la struttura degli Ordini, introducendo albi professionali dedicati alla nuova figura del laureato triennale. Occorre precisare che questa riforma riguarda l’intera Europa sulla base della Dichiarazione di Bologna del 1999; in quell’occasione i ministri europei dell’istruzione di 29 paesi europei firmarono un documento fondativo nel quale, allo scopo di costruire lo Spazio europeo dell’istruzione superiore, si impegnavano ad adottare entro il 2010 “un sistema di titoli comparabili, un sistema fondato su due cicli (il primo dei quali triennale) e un sistema di crediti riconosciuti per favorire la più ampia mobilità degli studenti”. Trattando del primo ciclo, la Dichiarazione afferma anche che: “il titolo rilasciato al termine del primo ciclo sarà anche spendibile quale idonea qualificazione nel mercato del lavoro europeo”. L’Italia è stata la prima nazione ad adottare le linee della riforma volta a consentire una maggiore mobilità degli studenti, a ottenere una minore età di ingresso al lavoro e a favorire un’alternanza virtuosa (anche socialmente) tra studio e lavoro. Per le nostre Facoltà di Architettura è stata questa la terza riforma in meno di vent’anni, probabilmente un record normativo che ha visto l’affermazione dello specialismo nel 1982, del generalismo nel 1993 e nel 1999 quest’ultima proposta, incerta e divisa tra le due tendenze. Se, infatti, nel 1982 le Facoltà sono state suddivise in

Indirizzi di studio (Progettazione, Urbanistica, Tecnologia, Interni, Design) nel 1993 il recepimento della Direttiva europea sull’Architettura (basata prevalentemente sulla figura dell’architetto costruttore e gravata da un rigido piano didattico che risentiva pesantemente dei problemi di spartizione accademica) ha imposto la direzione opposta, portando allo scorporo degli studi di Pianificazione e di Design, che hanno poi realizzato proprie strutture e statuti legati a figure professionali distinte. L’attuale riforma ha permesso alle Facoltà di Architettura italiane che hanno introdotto il “3+2” (altre hanno mantenuto la struttura quinquennale) di formulare piani e metodi di studio meno vincolati di quanto imposto dal recepimento italiano; il nuovo assetto, però, non ha consentito di giungere alla professionalizzazione contraddittoriamente richiesta dalla normativa alla fine del triennio. Com’è possibile, infatti, dotare una struttura generalista di sbocchi intermedi direttamente volti all’esercizio di attività per giunta differenti? Occorre chiedersi, soprattutto, se un’ipotesi professionalizzante di questo tipo abbia senso, visto che, come scrive Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori nella Relazione 2005 sullo stato delle Università, “l’obiettivo è soprattutto insegnare il metodo per imparare lungo tutto l’arco della vita (la formazione continua così importante a livello europeo) e il tempo dell’Università non è qualcosa di episodico, cioè che comincia e finisce. Il mutare vertiginoso delle conoscenze e delle tecnologie rende obsoleto qualsiasi bagaglio di nozioni e quindi le attività lavorative tendono a cambiare i contenuti per cui l’eccesso di specializzazione nei processi formativi è addirittura dannoso (…) Sbagliava e sbaglia il sistema produttivo se chiede laureati che servono soltanto all’oggi, a fare quello che esso sta già facendo, e non, invece, laureati capaci di portare valore aggiunto nel gestire situazioni complesse con la capacità creativa che solo la cultura generale può fornire”. Si tratta, mi sembra, di una posizione condivisibile sulla base della quale si può costruire un credibile itinerario formativo intermedio che deve vedere tra la scuola e il lavoro un congruo periodo di tirocinio (anche affiancato da specifici corsi di formazione) nelle diverse attività che una figura così importante può svolgere nel campo assai ampio e complesso dei processi di costruzione e gestione degli edifici e della città, fermo restando l’esclusione, come più volte gli Ordini hanno ribadito, di autonome competenze di progettazione in materia di edilizia e di architettura per le quali la Direttiva Europea impone una formazione minima di quattro anni (arrivando a cinque in una successiva raccomandazione). Si tratta di una posizione ampiamente condivisa dalle nostre scuole di architettura e da quelle europee che stanno progressivamente introducendo il nuovo sistema del “3+2”. Tra non molto, dunque, si potrà porre il problema del laureato triennale in architettura nella sua giusta cornice (ovvero nel quadro comunitario) definendone



L’illustrazione del Forum e del Forum Ordini di questo numero è curata da Francesca Fagnano e Caterina Lazzari. Le fotografie, che ritraggono gesti e strumenti caratteristici della vita degli studenti di architettura, sono state scattate nel novembre 2005 presso il Campus Bovisa del Politecnico di Milano, in parte durante le esercitazioni pratiche del corso di Rilievo del prof. Franco Guzzetti, in parte in vari momenti dell’attività svolta presso il Laboratorio Modelli.

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i caratteri, i ruoli e le competenze. È evidentemente un fatto obbligato proporre oggi per i nostri giovani una figura professionale che, sulla base di un accordo tra tutti i paesi interessati, sia davvero spendibile quale idonea qualificazione nel mercato del lavoro europeo rispettando, così, a tutti gli effetti, quanto opportunamente previsto dalla Dichiarazione di Bologna. Occorre, quindi, che Università e mondo professionale, sulla base di una posizione condivisa in Europa, lavorino alla definizione dei caratteri di questa figura intermedia, passaggio indispensabile per poter affrontare davvero seriamente la cosiddetta sfida competitiva e per consentire l’effettiva estensione delle possibilità di lavoro dei nostri laureati.

Le competenze dell’ingegnere triennale di Gianfranco Agnoletto

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 328 approvato, fuori tempo massimo, il 5 giugno 2001, non sarà certo ricordato nella storia delle professioni e in quella universitaria per contenuti e chiarezza; ritengo che, sotto molti punti di vista, dovrà essere modificato e completato. In particolare vorrei, brevemente, soffermarmi su un problema alquanto controverso e scottante e cioè “le competenze” dei laureati triennali in ingegneria; la legge così recita all’Art.46 comma 3 (per il settore “Ingegneria civile e ambientale”): “formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti alla sezione B la progettazione, la direzione dei lavori, la vigilanza, la contabilità e la liquida-

zione relative a costruzioni semplici, con l’uso di metodologie standardizzate”. È evidente che una dizione così vaga comporta le interpretazioni, e conseguenti decisioni, più disparate così come è avvenuto e avviene per i geometri (vedi il R.D. n. 274/29). L’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano si è quindi posto il problema, in attesa della riforma, di porre un rimedio, nei limiti delle sue possibilità, a tali mancanze del Decreto. Mi sembrava, infatti, doveroso, come Presidente dell’Ordine, cercare di dare una risposta a questi giovani ingegneri che, superato l’Esame di Stato ed iscrittisi all’Ordine, sono, per legge, abilitati ad esercitare la professione e quindi chiedono, o potrebbero chiedere, se possono fare un determinato progetto o assumerne la direzione senza incorrere in sanzioni disciplinari. Il Consiglio ha quindi deciso, anche su mio suggerimento, di chiedere ad alcuni professori del Politecnico di Milano di indicare quali potessero essere, a loro avviso, i limiti dei progetti che i triennali potevano sviluppare in funzione degli insegnamenti da loro stessi impartiti. I professori si sono dimostrati disponibili, e di questo li ringraziamo, e hanno fatto pervenire all’Ordine una serie di documenti che, esaminati dal Consiglio in senso un po’ più restrittivo, sono stati messi a disposizione del Presidente; i documenti riguardano: costruzioni idrauliche, strade, strutture e urbanistica. Altro motivo di preoccupazione, non trascurabile e non sufficientemente approfondita, riguarda quanto disposto dal 328/01 circa la possibilità per i laureati triennali di ingegneria di iscriversi ad altri Ordini professionali e Collegi con tutte le conseguenze che ne derivano, in parti-


colare per quanto riguarda la competenza professionale. Vorrei ora soffermarmi brevemente sulla evoluzione dei corsi di studio al Politecnico e sulla preparazione dei nostri neolaureati triennali riferendomi sempre, come esempio, all’Ingegneria civile e ambientale, che è il settore che meglio conosco; ma il discorso può essere di carattere generale. Allo svolgimento degli ultimi Esami di Stato, che constano di tre prove scritte e una orale cui il nostro Ordine ha dato, sia pure dall’esterno nel rispetto dell’attuale legge, un significativo apporto, è risultato che una buona parte degli esaminati non ha dimostrato una preparazione ritenuta sufficiente, tant’è che, nella 2° sessione, oltre il 50%, sempre nell’ambito di Ingegneria civile e ambientale, è stata bocciata (non certo per una eccessiva severità degli esaminatori). È però anche possibile che l’impostazione degli esami, e quindi degli esaminatori, non sia la più adatta per un giudizio equo di laureati che hanno iter scolastici molto diversificati tra loro. Quanto sino ad ora scritto vale per i corsi triennali. Per quanto riguarda i corsi quinquennali, per i quali gli Esami di Stato sono ancora quelli tradizionali, e cioè una sola prova scritta ed una orale (nel 2006 si avranno, in modo consistente, anche gli ingegneri specialisti), si è pure notato un abbassamento di livello; i bocciati, sempre per la sezione civile-ambientale, sono stati circa il 35%. Io penso, ma certo è tutto da approfondire e monitorare, che il “decadimento” di preparazione sia da imputare a vari fattori: la riforma universitaria, (la così detta “3+2” ora sostituita da un percorso a “Y”), che ha portato a corsi eccessivamente intensivi, e quindi poco assimilati, e alla riduzio-

ne delle “esercitazioni”. Io ho fatto per oltre venti anni (sino alla fine degli anni ’90) prima l’Assistente volontario e, dopo la loro abolizione, la “Docenza integrativa” a Costruzioni Idrauliche. Le esercitazioni, una volta alla settimana per un intero pomeriggio, costituivano, di fatto, un vero tirocinio con l’assistenza e la guida di professionisti preparati: gli studenti, al termine delle esercitazioni e prima dell’esame, sapevano impostare correttamente la progettazione di un acquedotto, di una fognatura, di una diga in terra, piuttosto che di un ponte o di una strada in montagna; ora, per quanto mi risulta, non più. D’altra parte il Politecnico, un tempo molto considerato nel mondo accademico mondiale, non sembra più essere tra i primi di Europa. Certamente, la riforma universitaria “3+2” ha forse soddisfatto, in parte, la richiesta di aumentare il numero degli ingegneri, di ridurre il numero di coloro che abbandonavano gli studi universitari e i tempi per la laurea (ricordiamoci che la media per laurearsi aveva largamente superato i 7 anni), ma sicuramente, a mio avviso, non ha giovato alla preparazione degli studenti e quindi all’immagine del Politecnico di Milano: il percorso a “Y”, che ha sostituito il “3+2”, sarà, a mio avviso, un utile rimedio ma solo un rimedio.

Prospettive per il laureato triennale di Claudio De Albertis

La riforma del “3+2”, che ha in breve tempo e in modo rilevante modificato la struttura dell’istruzione universitaria italiana, ha provocato, accanto ai consensi, anche forti dubbi

FORUM GLI INTERVENTI

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l’economicità del progetto, in termini di scelta e di uso dei materiali, di valutazione delle tecniche di cantiere e dei costi di produzione e realizzazione dei manufatti edilizi. Non meno importante dovrà essere la sua preparazione dal punto di vista energetico-ambientale, e cioè la sua capacità di mettere a punto tecniche di progetto ecocompatibili, rispettose dell’ambiente e caratterizzate dall’uso razionale dell’energia. Ma, come accennavo all’inizio, l’importanza del ruolo del laureato triennale in architettura si giocherà principalmente sulla sua capacità di creare un raccordo tra tutti gli attori del processo costruttivo. La sua potrebbe insomma diventare quella figura intermedia, di cui oggi si avverte l’esigenza, in grado di promuovere il dialogo e la collaborazione tra chi progetta e chi costruisce l’opera, e che avrebbe indubbi effetti positivi sull’efficacia dei processi di costruzione e quindi sulla qualità dei prodotti finali.

Il sistema europeo della formazione superiore (European Higher Education Area) di Gianfranco Pizzolato

Processo di Bologna: i tre cicli di studio e il quadro di riferimento per i titoli Queste brevi note si propongono di fare il punto e rendere evidenti gli obiettivi e le strategie dell’Unione, nella definizione di un quadro generale di riferimento dell’istruzione dell’Europa, ai fini della libera circolazione e del reciproco riconoscimento dei titoli. Schemi di riferimento per i titoli (Frameworks of qualifications) Nel Comunicato di Berlino (2003) la U.E. ha ritenuto che per raggiungere effettivamente l’obiettivo di “titoli di agevole lettura e comparabilità” fosse necessario andare oltre la mera indicazione delle denominazioni e delle quantità di crediti. Ha chiesto pertanto agli Stati membri di elaborare uno schema di riferimento per i loro titoli di istruzione superiore, atto a descrivere ogni titolo in termini di carico di studio, di livello, di obiettivi formativi, di competenze, di profilo. Al contempo, si sarebbe provveduto a costruire uno schema europeo di inquadramento (overarching framework of qualifications), nel quale gli schemi nazionali sono destinati a collocarsi. Una apposita commissione ha quindi elaborato un documento denominato “A Framework for qualifications of the European Higher Education Area”. Il documento ha fornito gli elementi che sono stati poi definitivamente inseriti nel Comunicato di Bergen. Gli schemi di riferimento dovranno definire le caratteristiche di ognuno dei percorsi formativi adottati dal Paese per quanto concerne il ciclo breve di istruzione superiore (interno al primo ciclo o connesso con esso) – si tratta di un percorso previsto dal Comunicato di Berlino come possibilità eventuale, per gli Stati che ne valutino l’utilità –, il primo

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e accese polemiche. Diffuse in particolare sono state, almeno nella fase d’avvio del nuovo ordinamento, le perplessità sulla fisionomia e soprattutto sulle competenze del laureato triennale, che rischiava di risultare di fatto un laureato a metà. Si è trattato di dubbi sotto molti aspetti comprensibili e che forse solo adesso, superata la fase di rodaggio della riforma, si possono considerare in parte accantonati. La laurea triennale, infatti, in particolare per quanto riguarda il percorso di studi di architettura, può rappresentare un importante trampolino per l’inserimento nel mercato del lavoro. Mercato che oggi ha sempre più bisogno non solo di professionisti con una solida preparazione riferita alla progettazione, ma anche di figure capaci di affrontare in un’ottica multidisciplinare i problemi relativi all’analisi del costruito architettonico e urbano, alla ristrutturazione, al risparmio energetico, alla conduzione complessiva del cantiere e, soprattutto, alla gestione amministrativa degli interventi sul patrimonio insediativo. E in questo senso il progettista iunior, se dotato di una solida competenza su questi aspetti, ha buone possibilità di giocare un ruolo non meno importante e strategico dell’architetto che ha conseguito la laurea specialistica. La realizzazione di un progetto effettivamente cantierabile non può prescindere da una serie di elementi complessi che vanno al di là degli aspetti meramente tecnici del progetto: penso quindi che il giovane architetto debba possedere necessariamente conoscenze di diritto, economia e urbanistica applicata. Solo così potrà operare valutando gli interventi con lo sguardo rivolto al loro impatto fisico, economico e sociale, solo così potrà dotare l’opera di quel “valore aggiunto” che nasce se alla base c’è la reale conoscenza delle esigenze e delle richieste del mercato. Non va dimenticato infatti che in Italia, a differenza degli altri paesi europei, è fino ad oggi mancata, nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica, una figura professionale in grado di svolgere, accanto al ruolo di progettista tradizionale, quello di “raccordo” fra progettista e committenza, fra amministrazione e impresa, nel processo relativo sia alla progettazione dei manufatti edilizi che alla trasformazione e al recupero di quelli esistenti. Questa nuova figura, che potrebbe essere rappresentata proprio dal laureato triennale in architettura, sarebbe realmente strategica in questi settori e potrebbe avere un ruolo complementare rispetto a quello dell’architetto senior, fornito di laurea specialistica. Perciò – e parlo soprattutto come imprenditore delle costruzioni – mi auguro che le università, nei corsi di laurea triennali, siano realmente in grado di trasmettere agli studenti, e quindi ai futuri architetti, una preparazione “flessibile” unita alla consapevolezza dell’importanza di un approccio all’opera di tipo “prestazionale”, che si traduce in una cultura non solo sui materiali, ma anche di tipo economico, amministrativo e gestionale. Ritengo infatti che il giovane laureato triennale avrà sicuri spazi di inserimento nel mercato del lavoro soprattutto se sarà capace di fornire un prodotto la cui validità si misuri sul-


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ciclo, il secondo ciclo, il terzo ciclo. Circa il numero di crediti che compongono i cicli stessi, sono fornite le seguenti indicazioni: 120 crediti per il ciclo breve, 180-240 per il primo ciclo, 90-120 per il secondo ciclo (di questi, almeno 60 “a livello di secondo ciclo”), mentre il terzo ciclo non deve essere necessariamente descritto in termini di crediti. Elemento fondamentale per gli schemi di riferimento è rappresentato dai cosiddetti descrittori di Dublino (così denominati dalla sede del Seminario che ha concluso la loro elaborazione). Questi descrittori mirano a indicare, per ogni titolo, le competenze che chi lo acquisisce deve possedere in termini di: • conoscenze e comprensione; • capacità di applicare le conoscenze e la comprensione; • espressione di giudizi; • abilità nella comunicazione; • capacità di studio. I descrittori qualificano ognuna tra tali cinque tipologie di competenze, separatamente, per il ciclo breve, per il primo ciclo, per il secondo ciclo, per il terzo ciclo, se, a una prima lettura, i descrittori possono apparire definizioni troppo vaghe, in realtà, se si guarda ad essi come cornice nella quale dovrà essere collocato il quadro costituito dal singolo percorso formativo, con i suoi specifici contenuti disciplinari, ci si rende immediatamente conto delle potenzialità che questo schema presenta come strumento per rendere “leggibili e comparabili” i percorsi stessi. Quando saranno stati completati gli schemi di riferimento (nazionali ed europeo), la precisa collocazione in essi di ogni titolo dovrà essere indicata nel Diploma supplementare relativo al titolo stesso. La costruzione dello schema di riferimento nazionale compete ai singoli Stati, che dovranno verificarne la compatibilità con lo schema europeo di inquadramento e autocertificarla. Il Comunicato di Bergen codifica le linee sopra indicate. Gli Stati si sono infatti formalmente impegnati a completare i loro schemi entro il 2010, e a dare conto nel 2007 dello stato di avanzamento del relativo lavoro. Il Comunicato stesso ha altresì affermato che occorre “garantire la complementarità tra il quadro globale per l’Area europea della istruzione superiore e un quadro più ampio delle qualifiche per l’educazione permanente che comprenda sia l’istruzione generale, sia l’istruzione e la formazione professionali”. Si fa quindi riferimento ad un processo, relativo all’educazione permanente, avviato dall’Unione europea come sviluppo delle scelte di Lisbona (2000). È da rilevare che questo processo si svolga nell’ambito delle competenze dell’Unione e venga quindi guidato dalla Commissione europea, mentre “il processo di Bologna” è intergovernativo. Le qualifiche per l’apprendimento permanente Anche in questo caso l’obiettivo è la costituzione di uno schema europeo di riferimento. Esso però prende in esame non i titoli, bensì i risultati di apprendimento: ciò è necessario poiché si tratta di comprendere anche l’educazione non for-

male, che per sua natura non conferisce formalmente titoli. Anche in questo caso la Commissione, su mandato dei Ministri, ha elaborato al riguardo un documento (8.7.2005), ora sottoposto ad una consultazione presso gli Stati membri ed altri interlocutori. Esso definisce un Quadro Europeo delle Qualifiche (QEQ). In esso le qualifiche sono classificate su 8 livelli, caratterizzati da risultati di apprendimento progressivamente più elevati nel passaggio dal I° all’8°. I livelli che trovano corrispondenza in titoli universitari sono quelli dal 5° all.8°, riferibili in termini crescenti al ciclo breve, al 1° ciclo, al 2° ciclo, al dottorato. Per ogni livello sono state individuate: Conoscenze (Knowledge), Abilità (SkilIs), Competenze personali e professionali. Queste ultime sono a loro volta subarticolate in: Autonomia e responsabilità; Capacità di apprendimento; Competenza comunicativa e sociale; Competenza professionalizzante/professionale (Professional and vocational competence). A livello italiano (per ciò che concerne le Università) una prima importante occasione per collocarsi nella prospettiva indicata è costituita dagli Ordinamenti didattici che esse dovranno adottare in attuazione del D.M. 270/2004. Gli Ordinamenti verranno adottati sulla base della riformulazione delle Classi di laurea in avanzata fase di elaborazione. Nello schema di Decreto relativo a tali Classi è scritto: (in premessa) “Vista la dichiarazione di Bologna (1999) e i comunicati di Praga (2001), di Berlino (2003), di Bergen (2005) relativi all’armonizzazione dei sistemi dell’Istruzione Superiore dei paesi dell’area europea; preso atto, in particolare, di quanto il Comunicato di Bergen prevede circa gli schemi di riferimento per i titoli e circa la specificazione degli obiettivi didattici in termini di risultati di apprendimento attesi”; (all’Art.3, comma 5) “Nel definire gli Ordinamenti didattici, le Università specificano gli obiettivi formativi in termini di risultati di apprendimento attesi, con riferimento al sistema di descrittori adottato in sede europea. Si presenta quindi un’occasione importante e ravvicinata per rimodellare profili, contenuti, competenze professionalizzanti e denominazioni di alcuni nuovi titoli (lauree) introdotte dal D.P.R. 328, nel campo dell’architettura e dell’ingegneria, e per rendere il percorso formativo delle lauree magistrali – nella loro diversa declinazione – sempre più direttamente in sintonia con le competenze professionali che l’Esame di Stato loro attribuisce. È quindi del tutto condivisibile proporsi di offrire ai giovani laureati (triennali e non) un “titolo” non mistificante, ma una figura professionale davvero spendibile sul mercato europeo, nelle numerose e vaste nicchie che la crescente complessità dei processi costruttivi propone, riflettendo seriamente su cosa oggi possa davvero essere definito o individuato come semplice costruzione e procedura standardizzata di progettazione e se sia, oggi, coerente con la tutela dell’“interesse generale”, connesso alle trasformazioni fisiche del territorio, l’immissione sul mercato (solo italiano) di progettisti qualificati da una laurea – non magistrale.



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La nuova struttura dell’Ordine degli Architetti con l’articolazione in nuove figure professionali a cui sono assegnate competenze limitate o per lo meno diverse rispetto alla consuetudine a cui siamo abituati, pone alcuni problemi in merito all’applicazione delle tariffe. Dalla lettura dell’Articolo 16 del D.P.R. 328 del 5 giugno 2001 che descrive le attività professionali, ad integrazione del “Regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto” (il famoso R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537), esce con chiarezza che alle figure degli iscritti alla sezione B sono assegnate competenze non direttamente collegate alla tariffa professionale, sia nella forma destinata ai committenti privati (L. 143/49), sia in quella riservata alle opere pubbliche (L.109/94, D.P.R. 554/99 e D.M. 4.4.2001), sia nel campo dell’urbanistica (CM LL.PP. 1.12.1969 n. 6679). Andrebbero affrontate, innanzitutto, due questioni. Il primo approfondimento dovrà riguardare le prestazioni professionali svolte in autonomia dagli iscritti alla sezione B (per il settore “architettura”: la progettazione, la direzione dei lavori, la vigilanza, la misura, la contabilità e la liquidazione relative a costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate; i rilievi diretti e strumentali sull’edilizia attuale e storica – per il settore “pianificazione”: la costruzione e gestione di sistemi informativi per l’analisi e la gestione della città e del territorio; l’analisi, il monitoraggio e la valutazione territoriale ed ambientale; procedure di gestione e di valutazione di atti di pianificazione territoriale e relativi programmi complessi). Per queste prestazioni occorrerà fissare i princípi per l’applicazione delle tariffe secondo il criterio di analogia a quanto prescritto dalle disposizioni principali, evitando il ricorso generalizzato alla “discrezione”. Un secondo punto riguarda gli onorari che gli architetti e gli urbanisti della sezione B possono richiedere per le prestazioni svolte in collaborazione subordinata (per il settore “architettura”: le attività basate sull’applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo di opere edilizie, comprese le opere pubbliche; per il settore “pianificazione”: le attività basate sull’applicazione delle scienze volte al concorso e alla collaborazione alle attività di pianificazione). Mentre nella pratica tradizionale la distribuzione dei compensi tra professionisti che, con pari competenze, collaborano alla realizzazione di un progetto è regolata da una libera definizione dei reci-

proci rapporti, nel caso di collaborazione subordinata e limitata, andrebbero fissate le quote da assegnare a ciascuna fase del lavoro stimandone l’incidenza quando svolta dal professionista iscritto alla sezione B. Tenuto conto che difficilmente il legislatore porrà mano ad una riforma delle tariffe professionali in relazione alla nascita delle nuove figure professionali (viste anche le continue polemiche circa i minimi inderogabili), gli Ordini dovranno formulare degli indirizzi, possibilmente comuni e validi per tutti gli iscritti sul territorio nazionale; e ciò non solo per creare un quadro di riferimento equo e congruo, ma anche per rendere effettivamente efficaci, nel mondo delle professioni, i dettati della legislazione di riforma. Una prima occasione per affrontare l’argomento sarà certamente l’elezione dei nuovi Consigli degli Ordini che vedranno la presenza di rappresentanti delle nuove figure professionali. REGIO DECRETO 23 Ottobre 1925, n. 2537 Regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto. (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 15 febbraio 1926) Dell’oggetto e dei limiti della professione d’ingegnere e di architetto • Art. 51 – Sono di spettanza della professione d’ingegnere il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo. • Art. 52 – Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere. Art. 16 D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328 Attività professionali. 1. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione A – settore “architettura”, ai sensi e per gli effetti di cui all’Articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività già stabilite dalle disposizioni vigenti nazionali ed europee per la professione di architetto, ed in

particolare quelle che implicano l’uso di metodologie avanzate, innovative o sperimentali. 2. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione A – settore “pianificazione territoriale”: • la pianificazione del territorio, del paesaggio, dell’ambiente e della città; • lo svolgimento e il coordinamento di analisi complesse e specialistiche delle strutture urbane, territoriali, paesaggistiche e ambientali, il coordinamento e la gestione di attività di valutazione ambientale e di fattibilità dei piani e dei progetti urbani e territoriali; • strategie, politiche e progetti di trasformazione urbana e territoriale. 3. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione A – settore “paesaggistica”: • la progettazione e la direzione relative a giardini e parchi; • la redazione di piani paesistici; • il restauro di parchi e giardini storici, contemplati dalla Legge 20 giugno 1909, n. 364, ad esclusione delle loro componenti edilizie. 4. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione A – settore “conservazione dei beni architettonici ed ambientali”: • la diagnosi dei processi di degrado e dissesto dei beni architettonici e ambientali e la individuazione degli interventi e delle tecniche miranti alla loro conservazione. 5. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all’Articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa: • per il settore “architettura”: – le attività basate sull’applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo di opere edilizie, comprese le opere pubbliche; – la progettazione, la direzione dei lavori, la vigilanza, la misura, la contabilità e la liquidazione relative a costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate; – i rilievi diretti e strumentali sull’edilizia attuale e storica. • per il settore “pianificazione”: – le attività basate sull’applicazione delle scienze volte al concorso e alla collaborazione alle attività di pianificazione; – la costruzione e gestione di sistemi informativi per l’analisi e la gestione della città e del territorio; – l’analisi, il monitoraggio e la valutazione territoriale ed ambientale; – procedure di gestione e di valutazione di atti di pianificazione territoriale e relativi programmi complessi. Carlo Lanza

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Sugli onorari degli architetti iunior


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Quattro domande a…

Antonio Monestiroli Piercarlo Palermo Giuseppe Turchini M. C. Alla conclusione del primo ciclo quinquennale del “Nuovo modello formativo”, impostato sull’ormai famoso “3+2”, che giudizio dà, in generale, dell’applicazione di questa organizzazione degli studi universitari? Cosa pensa dell’ipotizzato modello a “Y” che intende distinguere questi due percorsi? A. M. Ho sempre ritenuto la riforma del “3+2” un’occasione per rimettere mano al progetto di formazione dell’architetto, soprattutto dopo la precedente riforma che aveva gravi difetti che causavano il prolungamento dei tempi necessari a terminare gli studi. La prima questione emersa è stata la definizione della laurea triennale e cioé la sua validità rispetto all’uso che il giovane laureato ne può fare. In tutte le facoltà italiane si è protratta a lungo la discussione sull’alternativa fra laurea professionalizzante e laurea formativa, cioè tra una laurea che insegnasse un aspetto particolare del mestiere e una laurea che affrontasse in modo generale le questioni alla base del progetto di architettura. La Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano ha deciso per il secondo modello, cioè per la laurea formativa, una laurea che non dà tutti gli strumenti conoscitivi necessari a esercitare la professione dell’architetto, ma che dà una buona preparazione di base che consente di accedere al mercato del lavoro come collaboratore al progetto avendo piena consapevolezza dei problemi che il progetto di architettura affronta. Quindi non è stato assunto alcun modello a “Y”, ma uno schema lineare di avanzamento per approfondimenti successivi, in cui fosse possibile, ma soprattutto avesse un senso, fermarsi al primo livello e impegnare le proprie conoscenze presso studi professionali o enti di progettazione (società di ingegneria, uffici tecnici, ecc.). È evidente che se si vuole dare allo studente laureato la possibilità di accedere alla laurea magistrale, bisogna definire un piano di studi triennale che fornisca le basi per questo secondo livello, che sarà un ulteriore approfondimento del primo. Su una laurea professionalizzante è impossibile impostare una laurea magistrale, mancherebbero le basi concettuali

su cui procedere. Mentre il mercato del lavoro dell’architetto oggi è molto cambiato rispetto al passato, si è aperto alla collaborazione di tecnici che abbiano queste conoscenze di base e che intendano approfondirle in senso professionale nel luogo di lavoro. P. P. Affrettata e incompresa, la riforma del 1999 ha certamente contribuito a rinnovare un progetto formativo che da tempo mostrava seri limiti, ma inevitabilmente ha creato nuovi problemi. Rispetto alla tradizione italiana, può destare sorpresa la rapidità con la quale la riforma è stata applicata (mentre molti paesi europei, saggiamente, hanno preferito preparare l’innovazione con un paziente lavoro istruttorio). Questa improvvisa efficienza può essere intesa come un segno di debolezza e sfiducia: come se solo un intervento urgente, forzato dall’alto, fosse in grado di superare inerzie ben note. Le conseguenze sono state una diffusa improvvisazione, l’insufficiente attenzione per le differenze tra i contesti (la riforma è stata applicata in modo generalizzato in ogni settore), la sottovalutazione di alcuni (plausibili) effetti perversi. Questi limiti si sono aggiunti ad alcune difficoltà costitutive: l’astrazione del concetto di credito (come se un progetto formativo potesse ridursi all’aggregazione, per certi aspetti occasionale, di innumerevoli esperienze elementari), l’indeterminazione culturale e professionale del primo livello (che non può essere inteso come la prima parte “troncata” dei percorsi formativi tradizionali), la sopravvalutazione delle opportunità creative per gli studenti (le domande e le possibilità concrete di discontinuità formativa tra il primo e il secondo livello sono state molto inferiori alle attese ministeriali). Questa riforma affrettata e non priva di criticità è stata largamente incompresa. Molti settori disciplinari hanno espresso obiezioni di principio e di fatto, rassegnandosi a malincuore agli obblighi di applicazione. Mi pare che gli Ordini professionali abbiano espresso non poche perplessità. Una parte cospicua degli studenti e delle famiglie sembra ancora intendere la laurea di primo livello solo come uno sbarramento intermedio rispetto a un obiettivo immutato: puntare alla laurea


ambientale, Architettura e produzione edilizia, Urbanistica), tutti con finalità formative, ma differenziati per l’approfondimento di alcuni tematismi (evidenti dai titoli). Dopo la laurea, gli studenti con il migliore curriculum possono accedere alle lauree specialistiche, (solo due, Architettura e Pianificazione); gli altri possono rivolgersi ad altre università o cercare di inserirsi nel mercato del lavoro (il numero dei posti di secondo livello è circa la metà di quello delle matricole). Il limite di questo modello consiste nelle difficoltà dell’orientamento iniziale. È possibile che una parte delle prime opzioni dei candidati non siano soddisfatte, ma ognuno ha la possibilità di puntare all’obiettivo desiderato al secondo livello. Si tratta dunque di un modello che tende a valorizzare le risorse. G. T. È ancora troppo presto per poter dare giudizi definitivi; l’esperienza fin qui fatta non è sufficiente: nella mia Facoltà, nel corso di laurea magistrale in Ingegneria edile si sono laureati finora una dozzina di studenti, con buoni risultati che però non consentono di trarre delle conclusioni. Diverso è il discorso per le lauree triennali, per le quali comincia ad esserci una certa esperienza, almeno dal punto di vista della preparazione in uscita dei neo ingegneri iunior. Il primo giudizio che mi sento di dare è relativo al fatto che abbiamo iniziato un esperimento che ha dato risultati contrastanti: la preparazione in uscita è abbastanza buona, ma la fatica spesa per ottenerla, da parte degli studenti, è stata eccessiva. Con ciò si spiega anche il tempo abbastanza lungo mediamente impiegato. In altri termini, la programmazione didattica operata ha tentato di “comprimere” in tre anni, più o meno tutta la conoscenza che veniva tradizionalmente fornita nei cinque anni classici; più o meno le discipline sono rimaste le stesse e i livelli di trasmissione didattica sono stati di poco inferiori a quelli precedenti alla riforma. Non si è tenuto conto di un fattore fondamentale dell’apprendimento che è legato al tempo, e cioè alle possibilità di assunzione delle informazioni in modo utile da parte degli studenti e al tempo di maturazione e di crescita. La conseguenza è che dobbiamo rivedere profondamente i programmi adattandoli alle reali possibilità di gestione utile nei confronti degli studenti. Cosa che stiamo facendo. Al di là di queste considerazioni le prime impressioni che si hanno è che il “livello qualitativo” dei laureati non sia cambiato per ora in modo sensibile, né in meglio né in peggio, il che farebbe pensare, almeno per la facoltà di cui sono preside, ad una forma di inutilità della riforma “3+2”.

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“vera”, quella quinquennale, sperando che offra maggiori opportunità di successo. Comunque, la riforma è ormai un dato di fatto. Non si può immaginare di tornare indietro (anche perché gli altri paesi europei si stanno accingendo a percorrere il medesimo cammino). Ora si tratta di trarre beneficio dalle esperienze compiute, per correggere le disfunzioni più gravi e valorizzare i punti di forza. Particolarmente critica mi sembra la situazione delle scuole di Architettura, perché la prima fase di applicazione della riforma è parsa priva di una guida unitaria autorevole ed efficace: né dall’Unione europea, né dal Ministero, né dalla Conferenza nazionale dei presidi. In sostanza ogni sede ha assunto scelte ampiamente auto-referenziali, cosicché oggi il quadro appare molto diversificato e confuso. Sono stati attivati progetti coerenti con il modello “3+2”, ma anche confermati vecchi modelli quinquennali. In qualche caso i due modelli coesistono nella medesima sede. Inoltre, sono proliferati i corsi di studio, sia di primo che di secondo livello, con qualche problema di legittimazione rispetto ai vincoli europei e nazionali, ma soprattutto rispetto alla tradizione: la figura densa e ricca dell’architetto (che a differenza dell’ingegnere ha sempre privilegiato una matrice e un profilo unitario) si sta articolando secondo declinazioni specialistiche? La facoltà di Architettura e Società ha applicato disciplinatamente la riforma, nel rispetto rigoroso delle regole e con la volontà di mettere alla prova attraverso la sperimentazione ipotesi e opportunità di rinnovamento. Con la consapevolezza della necessità di rivedere il progetto formativo rispetto alla tradizione, poiché il modello “3+2” impone di rinnovare sia il triennio che il biennio, ma anche con il senso dei limiti imposti da un ordinamento didattico troppo rigido, che non consente gradi di libertà adeguati per la differenziazione e la parziale autonomia dei percorsi formativi. Da questo punto di vista la ridefinizione delle classi associata al nuovo ordinamento 270/2004 rappresenta un’evoluzione positiva. Auspichiamo vivamente che l’applicazione sia tempestiva, temiamo ulteriori ritardi. Il cosiddetto modello a “Y” è una formula semplificante, che a mio avviso non risolve alcun problema. Si intende che tutti gli studenti inizino un percorso comune, che al secondo o al terzo anno si ramifica in diversi filoni, alcuni dei quali più professionalizzanti, per coloro che intendono interrompere gli studi al primo livello. Il rischio è che questa sia la destinazione degli studenti che ottengono i risultati più modesti: configurando dunque un corso di secondo rango, con scarse motivazioni per chi frequenta e per chi deve insegnare. Preferiamo invece un modello a “Y rovesciata”, che prefigura all’inizio diversi percorsi paralleli (nella nostra facoltà, Scienze dell’architettura, Architettura


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I risultati cambieranno quando si potrà applicare effettivamente la riforma nella sua pienezza, ad esempio con lauree fortemente trasversali e non solo di continuità come ora. Per quanto riguarda infine il modello a “Y”, devo dire che la mia facoltà, come tutto il Politecnico, credo, ha favorito sostanzialmente il braccio formativo e generalista della Ipsilon, rispetto a quello professionalizzante, con un passaggio, di conseguenza, alla laurea specialistica della quasi totalità dei laureati. M. C. Che tipo di formazione ottiene il laureato triennale nella sua facoltà: la preparazione è volta maggiormente a fargli conseguire competenze proprie e specifiche per una sua attività professionale oppure è propedeutica al corso di Laurea magistrale? A. M. Le due lauree, triennale e magistrale, nella nostra facoltà sono due livelli di approfondimento di uno stesso iter formativo. La formazione che dà la laurea triennale non è specifica, ma è il primo livello di una professionalità generale che si raggiunge solo con la laurea magistrale, che dà il titolo di architetto riconosciuto a livello europeo. Questo ci ha consentito di impegnare gli studenti sul tema del progetto di architettura fin dal primo livello e di fare le lauree, triennali e magistrali, su questo tema, senza dispersioni di energia, ma soprattutto senza sprechi di tempo. Abbiamo già conferito le prime lauree magistrali che si sono tenute alla fine dei cinque anni programmati. P. P. Il Politecnico non propone corsi di studi professionalizzanti. L’obiettivo è sempre formativo, anche se verso la conclusione del triennio sono disponibili esperienze formative opzionali con un più preciso contenuto professionale. Come interfaccia tra formazione e lavoro si punta su una offerta mirata di master di primo livello (che è in fase di rielaborazione dopo alcuni anni di sperimentazione). G. T. La preparazione è essenzialmente di tipo formativo generalista e quindi è propedeutica alla laurea magistrale. Poche sono le attività didattiche volte alla creazione di specifiche competenze professionali, peraltro non particolarmente richieste e seguite dagli studenti. Ma questa situazione, per ora, non è un male, non è da considerare negativa. Infatti, nel caso degli ingegneri edili una preparazione di largo spettro, di tipo generalista, non solo è la più adatta per proseguire negli studi della laurea magistrale, ma è anche la più vicina a quel poco che chiede il mondo del lavoro che vorrebbe trovare disponibili ingegneri giovani, solida-

mente preparati da un punto di vista generale, ma non completamente formati, con specializzazioni che ben possono provenire dall’esperienza del lavoro stesso. M. C. Gli studenti come hanno accolto questa articolazione degli studi? Sono molti i laureati che non proseguono? E secondo Lei quale sarà in futuro la tendenza? A. M. Gli studenti della nostra facoltà hanno accolto favorevolmente questa articolazione degli studi. I laureati che si fermano al primo livello non sono molti perché non c’è certezza sul modo in cui verrà loro riconosciuto il titolo, ma sono molti i laureati che proseguono avendo un impegno di lavoro come collaboratori alla progettazione. La laurea triennale ha un altro vantaggio, quello di poter scegliere, una volta acquisita, tra diverse lauree magistrali, nelle diverse direzioni della disciplina dell’architetto: architetto, pianificatore, restauratore, urbanista, ecc. Ma anche di poter scegliere il luogo, e cioé la facoltà universitaria, dove continuare gli studi. Nel prossimo futuro in Europa si dovrebbe instaurare una competizione fra diversi corsi di laurea magistrale, ognuno con una propria identità culturale, fra cui gli studenti potranno scegliere. P. P. Gli studenti non hanno ben compreso il senso della riforma e le responsabilità sono indubbiamente delle istituzioni (la nostra inclusa). Hanno ancora in mente il vecchio modello quinquennale. Sperano, con qualche illusione, che il titolo di secondo livello offra maggiori garanzie di lavoro. Non hanno ancora compreso l’utilità potenziale di un percorso più articolato di formazione e lavoro (laurea triennale – prima esperienza professionale – eventuale proseguimento degli studi, con maggiore maturità e convinzione). Il mercato del lavoro non li aiuta poiché non si percepisce ancora una domanda chiara e consistente per i laureati di primo livello (come forse avviene in alcuni settori di ingegneria), pur essendo evidente che alcune funzioni di supporto al progetto attualmente affidate a giovani architetti potrebbero essere svolte in modo assolutamente adeguato da laureati triennali. Di conseguenza, per ora sono pochi gli studenti che intendono fermarsi al primo livello. Sarebbero ancora meno se non vi fosse il filtro del numero programmato alla laurea specialistica. Tendenzialmente, il dato sul proseguimento sarebbe dell’ordine del 60% (il 20% lascia gli studi, un’altra quota del 1015% termina gli studi in ritardo). La tendenza non cambierà se mancherà la capacità di spiegare il valore culturale e professionale di un percorso di studio e lavoro più articolato.


M. C. A suo giudizio il laureato triennale in che modo è stato accolto dal “mercato del lavoro”? Le sue competenze sono state definite in modo chiaro rispetto alle concrete possibilità di lavoro? A. M. Il laureato triennale con una buona preparazione di base è un soggetto prezioso nelle società di progettazione o negli studi professionali, dove può approfondire la propria formazione secondo il ruolo che svolge nel luogo in cui si colloca. La sua preparazione, se sufficientemente critica, lo mette in grado di dare un contributo positivo al gruppo di lavoro con cui è chiamato a collaborare. Nella nostra facoltà, il laureato triennale, nei tre anni di formazione, frequenta sei laboratori di progettazione di cui tre di progettazione architettonica, uno di proget-

tazione urbanistica, uno di progettazione degli interni e uno di restauro, oltre ai corsi di base. Questa formazione permette di conoscere i meccanismi concettuali della progettazione e di acquisire la competenza e la consapevolezza critica necessarie. P. P. Il mercato del lavoro sembra non voler esprimere giudizi e orientamenti. Trova qualche alibi in una certa confusione degli esperimenti in corso. Ma a cinque anni dall’applicazione della riforma le università hanno il dovere di rivedere e precisare i primi progetti (la riforma incombente 270/2004 ci obbliga ad una revisione che dovrebbe trarre beneficio dall’esperienza). E allora anche le istituzioni e gli studi professionali che danno lavoro a giovani architetti saranno chiamate a chiarire attese e responsabilità. G. T. Nel mondo dell’ingegneria, e quindi del Politecnico, esistono molte lauree e competenze assai diverse tra loro. Sono convinto che la spinta ad accettare la riforma “3+2” sia venuta essenzialmente da quei corsi e quelle facoltà che sono più vicine e più in contatto con il mondo della produzione industriale. Le industrie, di quasi tutti settori, da sempre assimilatrici di diplomati della scuola media superiore, hanno in tutte le occasioni dichiarato il loro interesse ad avere a disposizione ingegneri ben preparati da un punto di vista generale, ma non completamente formati, e soprattutto giovani. Nel settore delle costruzioni la situazione è diversa. Basti pensare ai diplomati tipici del settore, i geometri, che hanno come obiettivo e come aspirazione fondamentale per il lavoro, la libera professione. Pensando poi alla formazione in architettura, è difficile immaginare rapidi cambiamenti di scenari e di mentalità, per cui l’architetto o l’ingegnere progettista saranno ancora per molto tempo identificati con il laureato quinquennale, come peraltro prevede anche la direttiva europea dell’85, e secondo anche la prime indicazioni emerse dagli Ordini professionali, soprattutto quello degli architetti. Ciò non vuol dire in assoluto che gli ingegneri edili e gli architetti laureati triennali non possano trovare lavoro, e lavoro, intendo, buono, di soddisfazione, adeguato al ciclo di studi universitari che hanno compiuto. Ma ci vorrà tempo. E ci vorrà buona volontà, da parte dell’università, senz’altro, nel capire e nell’adattare i programmi e i modelli formativi alle reali richieste del mondo del lavoro. Da parte di questo, nell’accogliere positivamente i nuovi laureati, nel trasferire loro compiti e responsabilità che sono sicuramente in grado di assumere, nel fidarsi cioè del prodotto intellettuale che la riforma è in grado di fornire.

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G. T. In generale l’articolazione attuale è stata accolta bene da parte degli studenti. Gli studenti del vecchio ordinamento, che sono in via di esaurimento, hanno guardato alla riforma con sospetto, ora rallegrandosi di non essere le “cavie”, ora preoccupandosi di essere gli “ultimi” e di subire quindi la concorrenza dei colleghi formati col nuovo modello. Questi conoscono invece solo il modello attuale e non essendo in grado di fare confronti, se non per sentito dire, sono contenti, come lo erano gli studenti precedenti. Attualmente, il passaggio alla laurea magistrale sfiora il 100%, cioè tutti i laureati con qualche eccezione per studenti “anziani” che avevano iniziato molti anni fa un percorso di laurea (tradizionale) mai concluso. Questo fatto è spiegabile in molti modi. Anzitutto non basta fare le riforme perché queste entrino in atto subito o perché siano accolte nella loro interezza: tutti sanno che la laurea in Ingegneria dura 5 anni (almeno) e prima di accettare l’idea che si possa esere ingegneri in tre anni ci vorrà molto tempo. Ma in particolare la pensano così i probabili clienti degli ingegneri professionisti: in un settore come quello delle costruzioni, dove la più consistente condizione di lavoro è quella della libera professione, è evidente che la laurea magistrale continuerà ad essere il traguardo vero e ambito. Non so prevedere quanto tempo ci vorrà per arrivare a situazioni diverse e organizzazioni diverse del lavoro e delle responsabilità: vorrei citare un episodio. Qualche anno fa, era il 1998 o ’99, quando Berlino era tutto un cantiere intorno alla Potsdammer Platz, avevo notato che, contro a moltissimi cartelloni di cantiere nei quali c’era il nome di un Dipl. Ing. (ingegnere con tre anni di studio) c’erano 2, 3 al massimo 5 nomi di ingegneri laureati (con 5 anni di studi universitari). Prima di arrivare a questa situazione in Italia ci vorrà molto tempo.


Regolamento didattico su: www.ingcat.polimi.it/?id=700

Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale (I Facoltà di Ingegneria) sede: Milano Leonardo preside: prof. Osvaldo De Donato

Informazioni: Segreteria Didattica, 02 23997141 didarc.bv@ceda.polimi.it

Offerta formativa su: www.arch2.polimi.it

Facoltà di Architettura Civile (II Facoltà di Architettura) sede: Milano Bovisa preside: prof. Antonio Monestiroli

Informazioni: Centro Orientamento Studenti: 02 23992602 Ufficio Corsi di Laurea: 02 23992611

Offerta formativa su: www.arch.polimi.it

Facoltà di Architettura e Società (I Facoltà di Architettura) sede: Milano Leonardo preside: prof. Piercarlo Palermo

POLITECNICO DI MILANO

Rettore: prof. Giulio Ballio

FACOLTÀ

ATENEO

a cura di Caterina Lazzari

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile 4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile 7 – Urbanistica e Scienze della pianificazione ambientale

Architettura e Produzione Edilizia sede: Milano Leonardo presidente: prof. Sergio Mattia Architettura e Produzione Edilizia sede: Mantova presidente: prof. Paolo Carpeggiani Urbanistica sede: Milano Leonardo presidente: prof. Federico Oliva

8 – Ingegneria civile e ambientale 8 – Ingegneria civile e ambientale

Ingegneria per l’ambiente e il territorio sede: Como presidente: prof. Fernando Sansò

4 – Scienze dell'Architettura e dell’Ingegneria edile Ingegneria per l’ambiente e il territorio sede: Milano Leonardo presidente: prof. Barbara Betti

Architettura delle Costruzioni presidente: prof. Chiara Molina

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

Architettura ambientale sede: Piacenza presidente: prof. Gianni Scudo

Scienze dell’Architettura presidente: prof. Angelo Torricelli

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

Scienze dell’Architettura sede: Mantova presidente: prof. Alberto Grimoldi Architettura ambientale sede: Piacenza presidente: prof. Gianni Scudo

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

(in base a DM 04/08/2000 e DPR 05/06/2001)

Architettura

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Pianificazione territoriale

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SETTORE

Architetto iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

Pianificatore iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

Architetto iunior

TITOLO

CLASSE DI LAUREA ISCRIZIONE ALL’ORDINE

Scienze dell’Architettura sede: Milano Leonardo presidente: prof. Antonio Piva

CORSI DI LAUREA TRIENNALI

OFFERTA FORMATIVA LAUREE DI PRIMO LIVELLO IN LOMBARDIA CHE PERMETTONO L’ISCRIZIONE ALLA SEZIONE B DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI

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Informazioni: 800 904081

Regolamento didattico su: www.unibs.it/atp/page.1006.1017.0.0.atp? instance=3&node=120

Facoltà di Ingegneria preside: prof. Pier Luigi Magnani

Informazioni: 800 014959

Regolamento didattico su: www.unibg.it/struttura/struttura.asp?cerca= ingegneria_cdl3_intro

Facoltà di Ingegneria preside: prof. Giancarlo Maccarini

Offerta formativa su: www.unipv.it/ingegneria

Facoltà di Ingegneria preside: prof. Virginio Cantoni

8 – Ingegneria civile e ambientale

Ingegneria Civile sede: Pavia presidente: prof. Carlo Ciaponi

Ingegneria per l’ambiente e il territorio presidente: prof. Francesco Colleselli

Ingegneria Civile presidente: prof. Francesco Colleselli

Ingegneria Edile presidente: prof. Tommaso Pastore

8 – Ingegneria civile e ambientale

8 – Ingegneria civile e ambientale

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

8 – Ingegneria civile e ambientale

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

Edilizia sede: Lecco presidente: prof. Ettore Zambelli

Ingegneria per l’ambiente e il territorio sede: Mantova presidente: prof. Carlo Ciaponi

4 – Scienze dell’Architettura e dell’Ingegneria edile

Ingegneria Edile sede: Milano Leonardo presidente: prof. Emilio Mazzarella

8 – Ingegneria civile e ambientale

8 – Ingegneria civile e ambientale

Ingegneria civile sede: Lecco presidente: prof. Alberto Giussani

Ingegneria per l’ambiente e il territorio sede: Pavia presidente: prof. Carlo Ciaponi

8 – Ingegneria civile e ambientale

Ingegneria civile sede: Milano Leonardo presidente: prof. Roberto Nova

FORUM GLI INTERVENTI

I dati riportati hanno valore indicativo: sono stati ricavati dai siti delle Facoltà e verificati con le rispettive segreterie nonché confrontati con i contenuti dei testi di legge.

Rettore: prof. Augusto Preti

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA

Rettore: prof. Alberto Castoldi

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO

Rettore: prof. Roberto Schmid

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

Regolamento didattico su www.ingeda.polimi.it/?id=1742

Facoltà di Ingegneria Edile/Architettura (VI Facoltà di Ingegneria) sede: Milano Leonardo preside: prof. Giuseppe Turchini

8 – Ingegneria civile e ambientale

Ingegneria per l’ambiente e il territorio sede: Cremona presidente: prof. Marco Mancini Architetto iunior Architetto iunior Architetto iunior Architetto iunior Architetto iunior Architetto iunior Architetto iunior Architetto iunior

Architetto iunior

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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis

Una laurea triennale: l’architetto iunior L’esperienza della laurea triennale per me è risultata positiva. Ho conseguito la Laurea di I livello in Scienze dell’Architettura il 3 ottobre 2003 dopo tre anni di studi al Politecnico di Milano e ciò mi ha permesso di affacciarmi “presto” al mondo del lavoro. Ho scelto, infatti, di non proseguire negli studi, ma di cominciare a lavorare in quanto avevo voglia di mettermi in gioco sul serio e non volevo solamente avere dei voti su un libretto: volevo vedere realizzato qualcosa su cui mi ero impegnata e di cui mi occupavo. Devo dire che quando ho cominciato l’università non sapevo ancora che al terzo anno avrei potuto scegliere se proseguire per altri due anni o fermarmi conseguendo una laurea. Durante i tre anni poi, venendo a conoscenza di questa opportunità, ho preso la decisione di cui sono soddisfatta; non escludo, in futuro, di riprendere gli studi per conseguire la laurea quinquennale. Credo di essere stata fortunata perché ho trovato un’occupazione dopo un mese e mezzo dalla laurea: infatti, a fine del 2003, dopo alcuni colloqui, ho iniziato a collaborare presso uno studio di architettura che si occupa di progettazione di interni. Ritengo che nella riforma dell’università ci sia qualcosa di buono: si può scegliere di iniziare a lavorare prima, avendo comunque delle buone basi da poter sviluppare con l’esperienza sul campo. La riforma offre anche l’opportunità di fare una prima esperienza lavorativa grazie al tirocinio obbligatorio per poter ottenere i crediti necessari per laurearsi dopo i tre anni (oltre, ovviamente, agli esami). Forse bisognerebbe organizzare meglio il tirocinio, in modo più sistematico, continuativo e per un periodo di tempo più lungo, non solamente per due mesi. Pongo l’accento su questo aspetto perché credo che l’università non possa e non riesca a professionalizzare e quindi un primo approccio al lavoro, durante il tirocinio, lo ritengo necessario. Dopo circa sei mesi di esperienza lavorativa ho deciso di fare l’Esame di Stato per conseguire l’abilitazione professionale: devo sottolineare che mi è stato molto utile, anzi direi indispensabile, l’aver collaborato con uno studio di architettura. Infatti, la prima prova dell’Esame di Stato consisteva nella ristrutturazione di un appartamento a Milano tramite la consegna in comune di una D.I.A. Avendo seguito nello studio progetti simili sono riuscita con facilità nella prova. Lo stesso discorso vale per la seconda prova scritta, che proseguiva il progetto della prima prova sviluppando la computazione metrica delle opere decise. Dico questo perché, se non avessi già avuto un approccio concreto con la realtà della progettazione, gli esami sostenuti

nel triennio non sarebbero stati sufficienti per superare le prove d’esame. Il problema non è da riferire al fatto che io abbia la laurea triennale, ma a come sono impostate le lezioni su tali argomenti all’università. Nello studio di architettura in cui lavoro ho la possibilità di contribuire alla progettazione e posso dire che il titolo di studio che ho conseguito mi permette di occuparmi di quello che mi piace con grande entusiasmo: ristrutturare abitazioni private seguendo il cliente in tutte le scelte, chiavi in mano; progettare nuovi interni, anche di uffici, negozi, ecc. Spero un giorno di poter firmare progetti simili a quelli cui oggi collaboro solamente: firmare quei “progetti” definiti dalla normativa “semplici con l’uso delle metodologie standardizzate”. Devo purtroppo confermare il fatto che i compiti dell’architetto iunior non sono ben definiti, o meglio che sono definiti in modo piuttosto generico e suscettibile di possibili e molteplici interpretazioni. È quindi necessario che venga stabilito un ruolo specifico per la figura professionale in questione. Credo che spetti allo Stato legiferare in materia e dare un’identità specifica ai laureati triennali, possibilmente in collaborazione con i diversi Ordini professionali. Con le nuove elezioni dei Consigli degli Ordini degli Architetti è stato necessario eleggere, in misura proporzionale al numero degli iscritti della sezione B, anche consiglieri con la laurea triennale. A Bergamo i candidati per tale carica erano tre, per un solo posto possibile. Tra i tre candidati ero presente anche io, che sono stata eletta a maggioranza. La mia candidatura è derivata dalla richiesta fattami da alcuni colleghi; ho deciso pertanto di accettare questa opportunità per fare una nuova esperienza e perché credo importante che all’interno di un Consiglio di “laureati tradizionali” ci sia anche un rappresentante dei colleghi iunior. In tal senso mi auguro che l’Ordine degli Architetti di Bergamo possa essere promotore di iniziative atte a dare un senso alla nostra figura professionale. Carolina Ternullo

Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli

La figura del laureato triennale Con le elezioni dei Consigli degli Ordini provinciali degli architetti ed anche di altre categorie, è iniziata una nuova epoca per la nostra professione; i laureati triennali diventano parte integrante ed attiva all’interno degli Ordini professionali. L’evoluzione della riforma universitaria, che ha


vo di istituire un albo unico dei tecnici, formato da geometri, periti edili, ecc. e a inglobare la sezione B degli Ordini in tale nuovo albo, costituisce l’ultimo tentativo, per ordine di tempo, da parte dei diplomati (della scuola secondaria) di appropriarsi virtualmente e gratuitamente di un titolo universitario e della relativa formazione professionale. Il titolo universitario rilasciato a un triennale o a un quinquennale è il riconoscimento e la garanzia da parte di un’istituzione dell’avvenuta formazione di un individuo, che si ritiene in grado di operare al meglio sul mercato; è il riconoscimento che l’individuo preparato ha acquisito quelle conoscenze a volte generiche, a volte specifiche, che lo collocano nella posizione di poter gestire i processi produttivi o progettuali e quindi di operare scelte mirate e di convenienza. Istituire un nuovo albo tecnico che riunisca una serie di figure professionali – anche alla luce della riforma scolastica per la scuola superiore, che a partire dal 2007 non prevede più la formazione di figure tecniche abilitate ad operare, ma prevede un percorso propedeutico alla formazione universitaria – risulta essere deleterio per la professione di architetto, sia esso iunior o senior. Il patrimonio culturale e professionale dei diplomati è comunque un patrimonio che deve essere conservato, in quanto riveste il carattere di specificità riguardo alcuni aspetti propri del mondo delle costruzioni. L’alternativa alla costituzione di un nuovo Albo potrebbe venire dal riconoscimento di una fase di transizione tra una gestione storica e forse più tecnologica delle categorie, ed una nuova configurazione in cui anche le figure che intervengono sul territorio e sul tessuto edilizio, più come tecnici che non come progettisti, abbiano una maggiore sensibilità e conoscenza dei problemi che la nostra attività implica. La preparazione, dunque, è il garante generico della competenza di ogni operatore. Il riconoscimento di tale competenza, subordinato al superamento di un esame abilitativo, attualmente può essere scambiato per incapacità da parte del mondo universitario di offrire una preparazione adeguata. L’inasprimento dell’Esame di Stato (tre prove scritte e una orale contro una prova scritta e una orale), che i triennali hanno sempre sostenuto, a differenza dei quinquennali che si apprestano ad affrontarlo solo dall’anno 2006, assume, dunque, più l’aspetto di condanna dell’università italiana, che non l’occasione per verificare la preparazione di un individuo per lo svolgimento di una professione. Con maggior favore viene accolta la proposta, che comunque dovrebbe diventare legge a breve periodo, dell’istituzione di stage universitari anche per i laureati quinquennali, visto che per i triennali era già previsto obbligatoriamente nella misura di 200 ore. Questo, per esperienza, permette non di avvicinare, ma di inserire il laureando nel mondo che di lì a poco lo vedrà protagonista. In sintesi, il laureato triennale, non rivendicando le competenze dell’architetto senior o magistrale, si pone come:

21 FORUM ORDINI

caratterizzato gli ultimi dieci anni, non ha sempre seguito un percorso lineare ed equo. I laureati triennali sono tuttora distinti in due categorie: quelli che hanno conseguito il diploma universitario con il vecchio ordinamento (vecchia laurea breve) e quelli che, nell’ambito della normativa vigente, hanno conseguito, conseguono e conseguiranno la laurea di primo livello, istituita con il D.P.R. 328 del 2001. Nonostante il percorso formativo sia nella totalità dei casi comune ai due titoli, con l’introduzione dei crediti formativi, molte università italiane hanno riconosciuto ai diplomi universitari un credito globale al termine del corso inferiore a quello necessario (180 crediti) per il conseguimento della laurea di primo livello. Nessun intervento equiparativo o di equipollenza è stato avanzato dal legislatore per far sì che ai diplomati universitari del vecchio ordinamento (che possono a tutti gli estremi definirsi cavie del nuovo sistema) fosse riconosciuto lo status di laureato di primo livello, necessario per la prosecuzione degli studi e il raggiungimento della laurea specialistica. L’autonomia degli atenei ha contribuito ad incancrenire tale divisione mediante la diversa indicazione, da ateneo ad ateneo, adducendo quale motivazione la variazione dei manifesti degli studi, dei debiti formativi da colmare per ottenere la laurea di primo livello. Il riconoscimento della figura del laureato triennale avvenuta con il D.P.R. 328, pur essendo recente, sconta ancora una volta l’imprecisione, se non l’indecisione, del legislatore, che ha caratterizzato la diatriba tra ingegneri e architetti contro i geometri o periti edili. Bisogna dar atto al legislatore che normare una materia così vasta come la nostra è sicuramente un compito difficile e lungo, ma la definizione vigente delle competenze è sicuramente troppo generica e lascia spazio a innumerevoli interpretazioni, con il pericolo di intasare i tribunali amministrativi e gli altri livelli di giustizia e di giungere alla definizione delle competenze a mezzo di sentenze, come spesso è accaduto con i geometri. L’auspicio dei triennali è dunque di raggiungere una definizione, se non proprio univoca, comunque precisa delle competenze professionali per le varie figure tecniche che intervengono nel processo produttivo, senza nessuna pretesa di vedersi attribuite competenze che sicuramente prevedono un percorso formativo più ampio, come quello previsto per il laureato quinquennale. L’obiettivo dei triennali non è dunque quello di offuscare o svilire la figura dell’architetto quinquennale e dell’architettura, anzi, è quello di enfatizzarla attraverso competenze specifiche che devono trovare manifestazione nei processi produttivi e anche progettuali entro definiti ambiti, senza però discriminazioni pregiudiziali. Di fronte a tale manifestazione di coscienza dei triennali deve comunque corrispondere da parte degli Ordini professionali l’intento di difesa di questi nuovi soggetti professionali. Il disegno di legge avanzato pochi giorni orsono, teso al duplice obietti-


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• figura coadiuvante, dotata di specifiche preparazioni nel processo progettuale complesso, mentre in quello ordinario lo pone quale figura alternativa al diplomato, in termini di sensibilità e di approccio architettonico, urbanistico e di tutela delle risorse naturali; • figura in grado di gestire il processo produttivo relativo alle costruzioni, nelle sue più ampie accezioni; • figura tecnica in grado di tradurre il progetto in termini concreti nei confronti delle maestranze, spesso molto qualificate, come nel campo del restauro. Il laureato triennale è, dunque, una risorsa indispensabile ed insopprimibile nel processo di riqualificazione dell’architettura italiana, a maggior ragione quando il percorso di riqualificazione avvenga nell’alveo della qualità. Roberto Saleri

Como a cura di Roberta Fasola

La laurea triennale come possibilità o come vincolo? Si è deciso di affrontare questa “giovane” tematica attraverso una serie di aspetti possibili, vale a dire intervistando il presidente del nostro Ordine, un docente e un neolaureato: confrontando tra loro le interviste sono emersi dubbi e problematiche comuni, seppur visti da punti di vista differenti. L’arch. Franco Butti, attuale presidente dell’Ordine, citando il D.P.R. 328/2001, sottolinea la necessità di un recupero di continuità tra università e mondo professionale, da troppo tempo allontanata: la laurea breve, in questo senso, fornisce una preparazione troppo sommaria per poter formare individui in grado di inserirsi nel mondo del lavoro; i laureati triennali dovrebbero inserirsi negli studi professionali ed essere elemento di cerniera tra il professionista e l’impresa; in realtà la definizione che recita “semplici costruzioni con tecniche standardizzate”, essendo troppo generica, offre loro un ampio e indefinito spettro lavorativo, finendo con l’essere causa dei soliti contenziosi e ricorsi che certo non giovano agli intenti e non contribuiscono alla qualificazione della figura professionale. Risvolti positivi si sono invece visti all’interno della Facoltà di Ingegneria, dove la figura del laureato triennale trova affermativa collocazione nel campo dell’industria, quale elemento “intermedio”, in grado di far avanzare velocemente il lavoro. Purtroppo, invece, si prospetta un ripetersi tra il laureato tradizionale e il triennale, la stessa conflittualità vissuta tra architetti e geometri a seguito dei decreti del decennio 1920. Detto questo,

il presidente, concorda anche con l’arch. Marco Ortalli (docente di Composizione Architettonica per il laboratorio del III anno di laurea triennale presso il Politecnico di Torino) circa il disagio che questo tipo di laurea sta creando: disagio dovuto sia ad un’impostazione troppo generica che ad una vaghezza degli intenti su cosa il professionista possa realmente fare: “una preparazione data da una base liceale sommata a soli tre anni di studi universitari è troppo poca per formare figure professionali in grado di inserirsi nel mondo del lavoro; ibridi senza futuro” (arch. Franco Butti). Per lo stesso Ortalli, a differenza di facoltà dove c’è un unico programma quinquennale (ad es. Ferrara), l’esperienza del corso della laurea triennale comporta elevate difficoltà sia per gli studenti che per i docenti nel riuscire ad arrivare alla conclusione del triennio con conoscenze sufficienti sia teoriche che pratiche: questa, infatti, è stata inizialmente concepita come laurea specialistica, poi, in realtà, per scarsità sia di fondi che di docenza, ciò non è avvenuto, perché i primi tre anni sono diventati semplicemente propedeutici agli ultimi due; di fatto questi primi tre anni di corso costituiscono anche la base per chi deciderà di proseguire con gli altri due, per cui il laureato triennale finisce con l’avere un livello di approfondimento della professione superficiale; chi si ferma al terzo anno deve avere la possibilità di acquisire anche una conoscenza del progetto esecutivo e non essere dotato solo di formazione teorica. Per questo motivo andrebbero sicuramente meglio differenziati i corsi di chi sceglie di seguire una laurea triennale da quelli di chi invece predilige da subito la quinquennale; da qui la necessità di specializzarsi maggiormente su argomenti pratici maggiormente definiti. Il corso di laurea del triennio è la sommatoria degli studi fatti, di una tesi conclusiva e di uno stage di circa 150 ore da farsi durante questo periodo. L’esperienza del professore, però, segnala anche che, spesso, dopo un anno di praticantato, la maggior parte dei laureati decide di proseguire con gli studi. A seguito di ciò, ci è sembrato interessante sentire anche il parere dell’arch. Alessandro Cappelletti, laureato triennale in Architettura Ambientale presso la I Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, sede in cui ha sostenuto l’Esame di Stato e ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione e attualmente unico iscritto (con questo tipo di laurea) nell’anno 2005 all’Ordine degli Architetti di Como. La scelta di affrontare un corso di laurea di questo tipo è scaturita dall’esigenza di ottenere un titolo di studi universitario, consolidando una posizione professionale già acquisita in circa 8 anni di pratica in collaborazione con studi d’architettura. Scelta che è stata forzata anche considerando l’impossibilità di frequentare l’università, vincolato dagli impegni di lavoro e dalla richiesta di frequenza obbligatoria ai corsi, anche se rimane la volontà di riprendere gli studi in futuro per poter conseguire la laurea quinquennale. Mi è sembrato interessante, a seguito dei colloqui poco sopra raccontati, chiedere quale sia stata il tipo di formazio-


questa laurea circa ruoli e competenze professionali, nonché una scarsa informazione circa la sua non validità a livello europeo. Da qui la necessità di una migliore definizione della stessa.

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R. F.

Lecco a cura di M. Elisabetta Ripamonti

La serie A del futuro In un’interessante intervista apparsa su “Il Sole 24 Ore” il 14 ottobre 2005 Gianfelice Rocca, vice presidente di Confindustria con delega per l’Educational (oltre che presidente del Gruppo Techint), analizza le richieste di laureati da parte delle imprese: “Oggi i laureati in Italia sono in netta crescita e positiva risulta l’offerta formativa di vasta gamma che va dai superdiplomi alle lauree brevi delle cui problematiche non può essere solo l’università ad occuparsi. I laureati triennali, afferma Rocca, non sono laureati di serie B, ma costituiscono la seria A del futuro, è in questo spazio che ci giochiamo la competitività”. È proprio con la consapevolezza che le lauree triennali costituiscono una grande risorsa per il mondo professionale e produttivo, seppur con le difficoltà e gli interrogativi tipici di una fase iniziale, che andiamo ad analizzare la nostra realtà territoriale provinciale. L’offerta didattica del Politecnico di Milano presso la sede del Polo Regionale di Lecco prevede l’attivazione di quattro corsi di laurea triennali: Ingegneria Civile, Ingegneria Gestionale, Edilizia ed Ingegneria Meccanica. I corsi di laurea specialistica sono invece due, cioè Ingegneria Civile e Meccanica. Anche la nostra provincia si trova ad affrontare nel concreto la questione dell’inserimento dei nuovi laureati triennali all’interno dal mondo professionale a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 328/2001, sebbene nessun laureato triennale sia iscritto all’Ordine di Lecco. Sarebbe opportuno un approfondimento di un tema che tocca così da vicino la nostra realtà professionale, dal momento che per molti permangono dubbi sull’applicazione della nuova legge. Spesso non si conoscono le potenzialità offerte dall’attivazione di queste nuove lauree e si tende a vedere con sospetto la sovrapposizione di competenze fra laureati iunior e senior. Se, a seguito dell’entrata in vigore delle nuove normative, scompariranno gli istituti tecnici e non si avranno più periti o geometri, i laureati triennali potrebbero svolgere mansioni in passato attribuite ai diplomati tecnici. Gli architetti senior concordano sul fatto che i colleghi, i quali hanno conseguito lauree triennali, avrebbero grandi

FORUM ORDINI

ne ricevuta, vale a dire se prevalentemente teorica o pratica. Ecco la risposta: “durante la formazione ho integrato quanto più possibile i due aspetti, infatti ritengo semplicistica la suddivisione in formazione teorica o pratica, poiché esercitare la professione dell’architetto, sottintende la padronanza di una ‘cultura tecnica’ che comprende sia nozioni teoriche che conoscenze tecniche, se il fine è la realizzazione di opere che nella loro fisicità esprimono le idee di chi le ha progettate. Per quanto riguarda poi la ricerca di un posto di lavoro è difficile parlare di vantaggi o svantaggi se non si ha un termine di confronto e se non sono chiare le competenze della figura professionale proposta (la domanda che mi è stata rivolta più frequentemente è: ‘si occupa di giardini?’)”. La riflessione che ne consegue è: la formazione professionale del laureato triennale deve essere supportata anche da una forte volontà personale oltre che dalla facoltà, dato che sia il presidente che il prof. Ortalli hanno evidenziato invece grosse deficienze in questo senso? Quindi il giovane collega prosegue: “spero che in futuro si tenga conto in misura maggiore del periodo di apprendistato, poiché lo ritengo una fase essenziale nella formazione ed ho potuto notare che il Politecnico di Milano si sta già muovendo in questa direzione, anche se i 3 mesi richiesti mi sembrano solo una formalità. Spero altresì che vengano agevolati i professionisti che trovandosi nella mia stessa situazione abbiano intenzione di aggiornarsi e completare l’iter di studi, pur non potendosi permettere di frequentare a tempo pieno l’università. Inoltre credo che non sia corretto ritenere il laureato triennale incapace di progettare, se così fosse verrebbe da chiedersi a cosa mai serve il triennio universitario e l’utilità di un titolo o di un’abilitazione alla professione ottenuta superando un Esame di Stato. Soprattutto se, come è capitato durante la prova cui ho partecipato, oltre a sondare le conoscenze culturali del candidato, l’esame stesso richiede, nella simulazione, la preparazione e presentazione di una pratica edilizia, la quale presuppone, oltre alle conoscenze normative e procedurali, la capacità di intervenire in una ristrutturazione, dovendosi così adattare a situazioni diverse. Se davvero si vuole rendere possibile uno sbocco lavorativo a queste figure professionali, non si può negare in assoluto la possibilità di firmare i progetti, e non credo che questa possibilità possa far sentire usurpati del loro potere i laureati quinquennali o i professionisti che già operano, in quanto le capacità di questi ultimi saranno sicuramente superiori. Pertanto credo sarebbe più costruttivo lavorare ad una griglia che definisca le possibilità operative dei laureati triennali, ovviamente rendendoli partecipi fin da subito alla definizione della stessa, evitando di calare dall’alto una regolamentazione troppo rigida che rischierebbe di fatto di rendere inutilizzabile la loro qualifica”. Affermazioni quest’ultime sicuramente “di parte”, anche se ciò che comunque si evidenzia (come sostenuto sia dall’arch. Butti che dall’arch. Ortalli) è la non chiarezza di


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potenzialità occupazionali in due ambiti professionali, trovandosi come figura intermedia tra diplomato e laureato quinquennale. Il primo ambito è legato ai molti aspetti della professione attualmente di competenza del laureato quinquennale a seguito dell’entrata in vigore delle nuove normative (si pensi alla sicurezza in cantiere, alla Legge 626, alle normative antincendio, ecc.); il secondo ambito è, invece, riferito allo svolgimento di mansioni in passato svolte dai geometri (ad esempio: le pratiche catastali). Il problema è che la legge parla di “semplici costruzioni” riservate ai laureati triennali. Attribuire agli architetti iunior la facoltà di firmare progetti sembra generare una totale commistione di competenze data la vastità d’interpretazione che il termine “semplice costruzione” genera. “Ma allora che cosa ci differenzia dai colleghi iunior?” si chiedono i professionisti senior. Certo, i dubbi dei colleghi sono molti e giustificati e sarà compito degli organi istituzionali cercare di fare chiarezza in tal senso. Ma l’aspetto che si ritiene utile sottolineare è la portata decisamente innovativa che questa figura racchiude al suo interno. Se un bilancio vero e proprio sul campo sarà possibile solo fra anni, quello che possiamo constatare sin da ora è che il mondo del lavoro si trova di fronte a giovani laureati (ricordiamo che il mondo anglosassone da anni ha adottato questa formula) in grado di svolgere mansioni utilissime in molti campi della professione. Afferma Guido de Novellis neo-eletto Coordinatore della Commissione Studio e Aggiornamento all’interno dell’Ordine di Lecco: “L’architetto iunior sarà una figura molto apprezzata nell’economia degli studi professionali. Il fatto di non poter firmare progetti di una certa rilevanza potrebbe fermare l’emorragia di giovani e validi architetti che una volta formati lasciano lo studio per intraprendere la carriera professionale. Spesso uno studio investe molto sulla formazione dei collaboratori; sapere che possono continuare a contare su figure preparate in grado di gestire aspetti specifici, dà più fiducia a tutti, soprattutto al titolare. Questi architetti iunior potrebbero avere responsabilità sempre maggiori con il passare del tempo e, perché no, retribuzioni adeguate alle loro competenze”. Molti dei comuni interrogati sulla figura del laureato triennale in provincia di Lecco vedono positivamente l’inserimento di queste figure negli ambiti amministrativi comunali, cronicamente carenti di personale, soprattutto di personale qualificato. Le stesse imprese edili guardano all’architetto iunior come una preziosa risorsa da utilizzare all’interno del mondo delle costruzioni dove non sempre è richiesta una competenza progettuale. Si è spesso sottolineato come sia ancora problematico per un laureato triennale affrontare la professione, viste le difficoltà che già hanno i laureati senior. Si auspica che si sia superata la visione di un’università professionalizzante. L’università deve offrire gli strumenti per affrontare il mondo professionale, che è in continua evoluzione, e solo il tirocinio (che diviene obbligatorio con la nuova

legge) ed il lavoro sul campo avvicinano alla professione. Sarebbe inopportuno pensare che l’università, in un mondo che vive un’evoluzione così rapida, possa insegnare nella pratica le problematiche legate alle nuove leggi o creare specialisti in vari settori. È compito del laureato aggiornarsi in continuazione, l’università continuerà a dare le basi ed offrire gli strumenti perché queste capacità siano attivate. Il tirocinio obbligatorio post-laurea, così come la possibilità per i laureati triennali di entrare concretamente nel mondo professionale per un certo periodo prima d’intraprendere il corso di specializzazione (i due anni che conducono alla laurea magistrale), avvicina due mondi che troppo a lungo nel nostro paese sono stati agli antipodi. Ritengo che molti colleghi concordino sul fatto che per cultura oggi s’intendano sempre più le competenze, anche tecniche, e che la padronanza di linguaggi conosciuti universalmente ci rendano capaci di aver un alto grado di libertà d’azione anche professionale. Non solo l’esperienza didattica e culturale acquisita in ambito universitario, ma anche una formazione intensa e competente vissuta nello “scontro sul campo” del tirocinio e nella pratica, ci renderanno capaci di affrontare le complessità insite nella professione in una realtà dai confini più ampi di quelli nazionali. M. E. R.

Lodi a cura di Antonino Negrini

L’articolo è stato redatto dal collega Roberto Muzzi, attualmente unico iscritto alla Sezione B dell’Albo degli architetti della Provincia di Lodi, che ringrazio molto per aver cercato di fare luce su un argomento che presenta non poche zone d’ombra. A. N.

L’esperienza di un architetto iunior Molti di voi professionisti si staranno chiedendo: “Chi è e che cosa fa un architetto iunior nell’inflazionato e difficile mondo del lavoro? O forse, come si diventa architetto iunior? Quale percorso formativo bisogna intraprendere?” Per rispondere a questi e ad altri quesiti, o solo per una miglior identificazione della mia professione, proverò, qui di seguito, a spiegarvelo ripercorrendo brevemente la mia personale esperienza formativa e professionale. Alla fine degli anni ’90 nasceva, da parte delle più grosse


relativo Esame di Stato, viene attribuito il titolo di “Architetto iunior”. La normativa, infine, regolamenta mansioni e responsabilità di ogni sezione, attribuendo agli architetti iunior competenze per la collaborazione alle attività di progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo di opere edilizie, comprese opere pubbliche; progettazione, direzione lavori, vigilanza, misura, contabilità e liquidazione relative a costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate; i rilievi diretti e strumentali sull’edilizia attuale e storica. L’esperienza professionale del sottoscritto è maturata a partire dall’impiego in un’impresa, proseguendo poi in uno studio di ingegneria ed approdando attualmente in una società di Real Estate. Nello specifico ho approfondito l’attività di gestione dei progetti e delle commesse, già ampiamente trattate durante il corso di studi, occupandomi di project management di un complesso progetto di sviluppo immobiliare. Nella speranza di aver meglio illustrato questa neonata figura professionale, desidero fare un augurio a tutti i miei “colleghi iunior” di poter trovare il proprio sbocco professionale. Roberto Muzzi

Milano a cura di Roberto Gamba

Architetti iunior e ordine professionale Sono attualmente 18 coloro che si sono iscritti all’Ordine di Milano, dopo aver conseguito una laurea triennale e aver sostenuto l’Esame di Stato. Di questi, tre sono laureati in pianificazione territoriale; inoltre, tre più uno appartengono al nascente Ordine di Monza. Tra di loro Alessandra Messori e Guja Gazza (pianificatrice) si sono candidate alle elezioni per il rinnovo del Consiglio, per contendersi il seggio riservato alla loro categoria. Alcuni di questi architetti iunior sono stati invitati a esprimere opinioni, o semplicemente a esporre, brevemente, notizie personali, utili a delineare per i lettori quale sia la loro condizione professionale. Marco Belloni ha 24 anni. Nel luglio del 2000 ha conseguito il diploma di maturità scientifica presso l’Istituto Gonzaga a Milano. Nell’ottobre del 2003 si è laureato in Scienze dell’architettura presso il Politecnico di Milano; nel 2004 si è iscritto all’Albo degli Architetti di Milano. Continua gli studi alla Facoltà di Milano Leonardo. Parallelamente al percorso di formazione universitaria,

25 FORUM ORDINI

imprese edili milanesi, l’esigenza di creare nuove figure professionali specializzate nella gestione tecnico-economica di commesse complicate, per cui veniva avviato un progetto formativo, in collaborazione tra Assimpredil e il Politecnico di Milano, specificatamente mirato alla preparazione di queste risorse. Questo corso, denominato Diploma Universitario in Edilizia, era suddiviso in complessivi tre anni di studio, per un totale di 33 esami, propedeutici il primo anno e specifici nei restanti due, e comprensivo del corso di formazione per lo svolgimento dell’attività di coordinatore della sicurezza. Alla fine del terzo anno di corso era previsto uno stage lavorativo presso un’impresa edile iscritta all’Assimpredil, della durata di tre mesi circa, durante il quale, oltre all’affiancamento a professionisti del settore, veniva sviluppata e redatta una tesi di approfondimento dell’esperienza lavorativa. Questa tesi veniva poi presentata e discussa in sede di esame finale per il conseguimento del diploma universitario. Contemporaneamente la legislazione italiana, al fine di adeguarsi alle normative europee sull’istruzione e la formazione scolastica, recepiva e definiva attraverso il Decreto n. 509 del 3 novembre 1999, un nuovo “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”. Nello specifico la norma detta “Disposizioni concernenti i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari” determinava la tipologia dei titoli di studio rilasciati dalle università, differenziando per la prima volta il corso di laurea (triennale) dal corso di laurea specialistica (ulteriori due anni). L’obiettivo del corso di laurea, secondo quanto disposto dall’Art. 3 comma 4 del citato D.M., è quello di assicurare allo studente un’adeguata padronanza di metodi e contenuti specifici generali, nonché l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali. A questo punto ritengo opportuno ricondurre il mio percorso formativo alla riforma universitaria in corso. Nella fattispecie il diploma universitario da me conseguito, con opportune integrazioni stabilite dall’università e dalla normativa, ottiene i crediti formativi mancanti e viene così “trasformato” in laurea di primo livello. Una volta allineato il percorso formativo agli standard europei, l’attenzione si sposta sulla struttura degli attuali Ordini professionali per regolamentare l’inserimento di queste nuove figure professionali. Tutti gli ordini professionali sono chiamati ad adeguarsi alla nuova normativa ed in particolare al D.P.R. 328 del 2001, che si riferisce principalmente alla disciplina dell’Esame di Stato, introducendo elementi nuovi sull’accesso agli ordini professionali e determinando innovazioni in seno alla struttura degli ordini stessi. Il regolamento modifica ed integra la disciplina dell’ordinamento ed i requisiti per l’ammissione all’Esame di Stato. La norma non modifica le attività attribuite o riservate, dalla legislazione vigente, alla professione di architetto. L’Albo viene suddiviso in due sezioni A e B ed agli iscritti alla sezione B, previo superamento del


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ha svolto attività lavorativa presso vari studi di architettura. Oggi esercita presso un suo studio a Milano, insieme al padre e a un collega, curando soprattutto progetti di ristrutturazione d’interni. Presso la Fondazione dell’Ordine, sta frequentando il corso per coordinatori della sicurezza. Non ha riscontrato particolare difficoltà nell’affrontare le quattro prove dell’Esame di Stato; mentre non comprende chiaramente quali siano le competenze progettuali che gli spettano in questa fase d’inizio della professione, anche riguardo alla definizione a ciò relativa “semplici costruzioni con tecniche standarizzate”. Crede che per la valorizzazione delle diverse figure professionali che fanno parte dell’Ordine, sia indispensabile mettere prima chiarezza sulle competenze spettanti a ciascuno. La riforma degli ordinamenti va portata avanti assieme a quella delle professioni, perché si tratta di due aspetti dello stesso problema. Alessandra Messori si è laureata in Economia Politica una decina di anni fa, con una tesi sulla qualità dell’abitare di Milano. Dopo un’intensa esperienza professionale nel campo dell’editoria specializzata nella moda, si è iscritta, per passione, alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, frequentando insieme a compagni di undici anni più giovani. Ha seguito il laboratorio di progettazione con il professore Cino Zucchi; storia dell’architettura contemporanea con il professore Fulvio Irace; disegno; urbanistica, lavorando di giorno come libera professionista nella comunicazione, studiando e disegnando di sera e nel week-end. Si è laureata nel luglio 2004, con una tesi sui musei d’arte contemporanea. Ci tiene a segnalare i “nei” presenti nel percorso formativo alla professione: la mancanza nell’università, nonostante l’istituzione del tirocinio, del contatto con la pratica professionale. Guja Gazza è nata a Milano nel 1978. Si è iscritta per passione al corso di laurea in Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale (PTUA) del Politecnico. Ha svolto tutti gli studi con il vecchio ordinamento, scegliendo come specializzazione la progettazione ambientale. Con l’avvento del nuovo ordinamento, ha deciso di terminare, temporaneamente e per motivi personali, il corso di laurea (ottobre 2003), ma ha intenzione, nel futuro, di proseguire gli studi. Ha subito iniziato a lavorare in uno studio di architettura, con mansioni di segretariato; quindi è stata impiegata brevemente con un altro studio; da circa un anno infine collabora con un terzo studio, con soddisfazione umana e professionale (segue progettazione di massima e definitiva, cantiere, pratiche edilizie). Coltiva il desiderio di avere uno studio proprio; d’altra parte non le è chiaro che cosa un architetto con la laurea

di primo livello possa effettivamente firmare. Ha deciso di sostenere l’Esame di Stato e di iscriversi all’Ordine per cominciare a lavorare, dal momento che senza l’abilitazione professionale e la titolarità di una partita Iva è davvero difficile trovare un lavoro. A suo parere, suscitano dubbi i contratti previsti dalla Legge Biagi (ad esempio il contratto a progetto), utili invece per i neo-laureati. Ha sostenuto due volte l’Esame di Stato e i relativi ed elevati costi, in conseguenza di una prima impreparazione. Il suo esame è consistito in tre prove scritte, di carattere urbanistico, senza alcuna prova di disegno; non le ha ritenute difficili, ma riferite a temi completamente differenti rispetto a quelli trattati in università. Si è candidata alle elezioni del Consiglio dell’Ordine di Milano con una lista che sostiene princípi di attenzione verso temi fondamentali della professione: la necessità di più trasparenza nei concorsi di architettura e la reale possibilità che siano accessibili a tutti; la promozione dei giovani architetti; la necessità di migliorare il rapporto con le università. Ilaria Scansani è da sempre affascinata dall’edilizia. Dopo la maturità scientifica, ha scelto la laurea triennale in edilizia ad indirizzo gestionale, per la possibilità offerta di acquisire le basi della progettazione e nel contempo la professionalità per l’inserimento negli organici di impresa, con ruoli di gestione del cantiere e/o negli uffici con ruoli tecnici. Dopo quasi due anni di collaborazione con uno studio d’ingegneria, attualmente collabora a tempo pieno con una società che offre servizi di project management ed è Cultrice della materia al corso di Economia e gestione delle imprese al Politecnico di Milano. Per il futuro ha l’ambizione di ricoprire il ruolo di project manager come libera professionista o in un’impresa di costruzioni. La decisione di affrontare l’Esame di Stato per l’abilitazione è scaturita dalla volontà di completare la professionalità acquisita e di ampliare le possibilità lavorative. Nell’occasione dello svolgimento delle prove d’esame ha purtroppo constatato che vi sono pregiudizi infondati verso il laureato triennale e la sua preparazione. Roberta Oltolini è diplomata geometra. Ha seguito il corso di laurea in PTUA presso il Politecnico di Milano – vecchio ordinamento. È passata al nuovo, per scelta di lavoro (presso uno studio di architettura). Si occupava prevalentemente di un PRG per un comune piemontese. Ha sostenuto l’Esame di Stato (superato al primo tentativo) e si è iscritta all’Ordine anche per rendere possibile la promessa di un nuovo accordo professionale e finanziario, che non è stato concluso. Attualmente collabora dall’esterno con alcuni studi, impegnata sia in materia urbanistica che architettonica. Probabilmente sosterrà l’Esame di abilitazione per Geometri,


R. G.

Pavia a cura di Vittorio Prina

Ritorno al futuro Viviamo oggi un momento di riforma degli studi universitari. Si tratta di una realtà poco conosciuta sebbene sia, opinione comune a molti, una tematica di grande importanza per le ricadute e i cambiamenti in gioco. Avremo quindi, da un lato, proprio gli studi universitari, che devono garantire sia una preparazione spendibile in ambito professionale che in ambito scientifico accademico, dall’altro vi saranno modifiche sulle competenze professionali e quindi dei relativi ordinamenti. Si fa riferimento in particolare al fatto che, dal momento in cui gli Ordini saranno rinnovati, si accerterà la presenza dei nuovi laureati triennali nei loro Consigli. Infatti, i laureati triennali possono sostenere un Esame di Stato, di difficoltà ridotta in proporzione al percorso di studio svolto e potranno progettare “costruzioni semplici con l’uso di metodologie standardizzate”. Anche questo punto non risulta chiarificatore, in quanto la definizione di “costruzioni semplici” è soggetta a varie interpretazioni. In merito alla riforma universitaria si ricorda che la laurea triennale dovrebbe preparare delle figure che si collocano a livello “intermedio” tra i diplomati e i laureati specialistici. La legge sembra non definire chiaramente quali siano le competenze specifiche di questa figura professionale pertanto risulta difficile la sua collocazione nell’ampio processo del settore dell’architettura. A questo punto si possono porre numerose domande, una di queste, in riferimento agli studi universitari nel contesto della riforma in atto, potrebbe essere relativa al ruolo dell’università. Dal momento in cui la riforma universitaria stessa si autodefinisce professionalizzante, bisogna chiedersi se proprio l’università abbia questo compito. Si ritiene, in prima analisi, che l’università dovrebbe prima di tutto formare figure in grado di adeguarsi alla professione cioè in grado di professionalizzarsi nel tempo. Infatti, creando figure professionalizzate a partire dalla loro uscita dai corsi universitari, il rischio maggiore che potrebbe verificarsi è quello di creare laureati adeguati solo per

un breve periodo, non in grado di valorizzarsi con i rapidi cambiamenti e innovazioni in atto nella società. Il problema pertanto non è sulla validità o consistenza delle lauree triennali ma sulla sequenza degli studi che vengono proposti in serie con la dicitura oramai nota come “3+2”. In altre parole, si ritiene che la preparazione in un unico ciclo quinquennale sia profondamente diversa dalla formazione derivata dalla somma combinata da due fasi di tre più due anni. La laurea specialistica, infatti, ha l’obiettivo di fornire una preparazione culturale e scientifica di livello avanzato, mentre la laurea triennale dovrebbe concludere un unico ciclo di studio e non una fase di studio, corrispondendo alla formazione di tecnici laureati, preparati per lo sviluppo e la realizzazione di progetti elaborati da altri. È evidente la complessità dell’argomento trattato, si ritiene importante proporre una breve riflessione sulla formazione del progettista architetto (o ingegnere edile/architetto) nel tentativo di ricondurre il discorso sul campo disciplinare proprio. Per affrontare questo argomento si rimanda ad alcune considerazioni provenienti dalla lettura della Direttiva CEE 85/384 del Consiglio europeo del 10 giugno 1985. Nello specifico, per quanto riguarda la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pavia il corso di laurea in Ingegneria Edile/Architettura U.E. (riconosciuto dalla Direttiva CEE insieme agli atenei di L’Aquila, Roma La Sapienza e Catania) è una laurea specialistica di cinque anni. A Pavia si è ritenuto che il ciclo di formazione per il progettista di architettura debba essere quinquennale in quanto i corsi di laurea triennale garantirebbero soltanto una formazione di tecnici per l’edilizia. L’obiettivo è quello di fornire una preparazione forte e nei tempi stabiliti. Tali studi sono ripartiti in modo equilibrato tra gli aspetti teorici e pratici della formazione del progettista allo scopo di assicurare adeguate capacità di creare progetti architettonici che soddisfino le esigenze estetiche e tecniche; conoscenza della storia e delle teorie dell’architettura; capacità di cogliere i rapporti tra uomo e creazioni architettoniche e tra creazioni architettoniche e il loro ambiente; capacità di capire l’importanza della professione e delle funzioni del progettista nella società; conoscenza dei problemi di concezione strutturale, impiantistica, di costruzione e di ingegneria civile connessi con la progettazione degli edifici; conoscenza adeguata dei problemi fisici e delle tecnologie nonché della funzione degli edifici; conoscenza adeguata delle industrie, organizzazioni, regolamentazioni e procedure necessarie per realizzare progetti di edifici e per l’integrazione dei piani nella pianificazione. Alla luce di questo quadro, del tutto preliminare e non esaustivo, emerge che tali problematiche dovranno essere affrontate a livello nazionale se non continentale. Angelo Bugatti e Tiziano Cattaneo

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per avere (a suo parere) più occasioni e attività di un qualsiasi Pianificatore laureato anche in ambito urbanistico. Momentaneamente non ritiene di iniziare la specializzazione in PTUA. Fa parte dell’Albo del nuovo Ordine di Monza, attualmente in corso di costituzione.


a cura di Antonio Borghi

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Intervista a Rafael Moneo Rafael Moneo si è laureato a Madrid dove vive, lavora e sta portando a termine l’ampliamento del Museo del Prado. Per i suoi progetti, tra i quali il Municipio di Logroño, la sede Bankinter e la stazione di Atocha a Madrid, il Museo di arte romana a Merida, l’aeroporto di Siviglia, il Museo d’Arte Moderna di Stoccolma, gli Auditorium di Barcellona e San Sebastian, il Museo di Belle Arti a Houston e la Cattedrale di Nostra Signora di Los Angeles, nel 1996 ha ricevuto il Pritzker Prize. Alla pratica professionale ha affiancato l’insegnamento nelle università di Barcellona, Losanna, New York, Princeton, Harvard e Madrid e l’impegno teorico con ampie riflessioni sulla cultura architettonica contemporanea. Nel 2005 sono usciti in Italia Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei (Electa) ed il secondo volume de La solitudine degli edifici e altri scritti (Umberto Allemandi). Questi due testi documentano il grande interesse per il lavoro di Aldo Rossi e la sua Architettura della città. Crede che ancora oggi si possa assumere il concetto di tipo come fondamento teorico per la costruzione della città? Riflettere sulla città è ancora importante, ma non credo che la tipologia sia l’unico mezzo per farlo e per spiegare come si costruisce una città. Nel lavoro di Aldo Rossi bisogna distinguere due tappe: nella prima prevalgono le ambizioni intellettuali che, pur non essendosi realizzate, hanno contribuito a risvegliare tante coscienze, aiutando tutta la mia generazione a riflettere sulla città in un modo nuovo. Nella seconda fase, invece, quando la carriera professionale prende il sopravvento sulla ricerca, emerge la difficoltà di mettere in pratica i princípi che aveva enunciato. Per questo oggi si valuta maggiormente il suo apporto teorico rispetto alle sue opere realizzate. Oggi l’indagine metodologica si rivolge verso il modo di operare

degli architetti e ai meccanismi che regolano l’evoluzione delle città. Il gusto e le problematiche di oggi ci pongono in una condizione molto distante da quella degli anni Sessanta, quando nascono le teorie di Rossi, ma a me interessa ancora pensare all’immanenza della città. Credo che questo dovrebbe essere la sostanza iniziale del lavoro di ogni architetto, in ogni suo nuovo progetto. L’atmosfera idealista e ideologica di quegli anni non esiste più e la nostra estetica è completamente diversa, ma molte delle cose che ho imparato attraverso Aldo Rossi sono ancora oggi alla base dei miei ragionamenti progettuali. Dunque, nella storia recente dell’architettura, c’è un prima e un dopo Aldo Rossi, ma la sua eredità è stata recepita in modo diverso nei diversi contesti culturali… Possiamo dire che c’è un prima e un dopo, ma non credo si possa parlare di una vera e propria eredità che venga portata avanti oggi. Durante gli anni Ottanta, durante il postmodernismo, Aldo Rossi è stato materia di studio in molte scuole d’architettura in tutto il mondo. Oggi non è più così. Questo fenomeno è scomparso rapidamente e la testimonianza del suo lavoro è legata principalmente ai suoi disegni, alla sua capacità di illustrare l’architettura come artista, quasi come un pittore, mentre la sua opera architettonica non è più al centro dell’attenzione. Oggi l’architettura viene assimilata sempre più spesso alla sua immagine mediatica, con l’accentuazione del suo carattere spettacolare e molti sostengono che questo sia un vicolo cieco, una forma di suicidio dell’architettura. Condivide questa proccupazione? Quali saranno secondo lei le prossime tendenze? È difficile anticipare le prossime tendenze. È vero che oggi si dà molto peso alla capacità dell’architettura di inserirsi nella vita pubblica con la forza delle immagini, nell’interesse dei committenti, soprattutto politici. Ma non credo che ci siano stati molti momenti felici di questo nuovo atteggiamento. L’espe-

rienza di Bilbao ha fatto parlare molto e ci sono stati molti tentativi di ripeterla, ma senza lo stesso successo. Io non credo che il successo di un unico progetto possa risollevare le sorti di una città. Per migliorare le città è meglio affidarsi all’esperienza di architetti che vivono e lavorano in quella città. La città non si fa con le architetture ad effetto, destinate a invecchiare in fretta.

“questo era un buon progetto, ma l’edificio non lo rispecchia a causa dei tanti problemi che ci sono stati” io non ci credo. Questo non può accadere. Un buon progetto diventa sempre meglio nel suo processo di realizzazione, nonostante tutti i problemi che possono sorgere, a patto però che venga seguito con volontà critica dall’inizio alla completa realizzazione.

Eppure anche lei lavora e costruisce in contesti molto diversi: a Madrid come a Houston o Los Angeles. Come si rapporta a contesti così diversi? La volontà di rapportarsi al contesto ha dato luogo al termine ambiguo di contestualismo, con il quale non sempre mi trovo a mio agio. Al suo posto preferisco parlare di appropriatezza, concetto più ampio che può anche supporre la dimenticanza del contesto e che si rivela più adatto quando, ad esempio, si lavora nel vasto panorama degli Stati Uniti. Il concetto di contesto ha senso in Europa, dove troviamo molti episodi urbani compiuti che devono essere conservati: allora è naturale che sia il contesto il principale elemento generatore dell’architettura. Essere appropriati, invece, significa rispondere, replicare, reagire, senza la prescrizione preventiva che comporta il fatto di dover conoscere ciò che si deve fare. Significa costruire in una direzione adeguata, il che non suppone necessariamente l’uso di un linguaggio preventivamente stabilito o sottomettersi alle circostanze esistenti.

Come nasce l’idea per un nuovo progetto? La nostra formazione ci permette di affrontare qualsiasi progetto in diversi modi, ad esempio insistendo in una proposta tipologica nota, oppure risolvendo una questione particolare in modo più intuitivo. Credo che nel nostro modo di progettare intuizione e conoscenza debbano convivere e lavorare insieme. Bisogna ammettere che la risposta viene in un modo incoscio, nonostante tutte le razionalizzazioni e i ragionamenti che si possono fare a posteriori. L’intuizione deve però essere seguita da un lavoro lento e paziente in cui la conoscenza è necessaria per definire il progetto. Mi piace lavorare coi modelli, che mi permettono una migliore visualizzazione degli spazi e di poter lavorare con la materia. Si vede meglio. Il progetto per me non è un risultato deterministico della progettazione, ma ci si avvicina meglio per approssimazioni successive e preferisco lavorare sui modelli che con i disegni fatti al computer. Nel mio taccuino ho gli schizzi per un nuovo edificio della Columbia University. Tutto il lavoro che ho fatto per questo progetto è appuntato qui e andrò avanti così ancora per diversi mesi prima di iniziare a fare un modello e poi farlo disegnare col computer.

Nella sua lunga carriera ha vissuto in paesi diversi ed ha visto avvicendarsi diverse tendenze e modi di progettare. Anche il suo modo di lavorare è cambiato? Sono arrivato in America per la prima volta nel 1968 e ci sono tornato per insegnare a metà degli anni Ottanta, ma il mio modo di progettare non è cambiato. A me piace stabilire all’inizio come dovrà essere l’edificio, dopo inizia il lento processo che porta a definire i dettagli. Il processo progettuale è lento e iterativo. La soddisfazione più grande è vedere gli edifici crescere e migliorare mentre li stai costruendo. Quando mi dicono:

Il titolo del libro di Allemandi è molto evocativo e sorprende per l’accezione positiva della solitudine degli edifici. È una doppia solitudine, perchè l’architetto si identifica molto con gli edifici che fa e quando un edificio è terminato ti lascia distante, allontana l’architetto da sè. E questo è anche positivo, è un sentimento contrastante. L’edificio non vuole avere nessun debito con l’architetto e questo è bello, perchè l’edifico


Siamo nella sede di Santa e Cole per la presentazione di un libro sul Moneo designer. Il design per lei è una disciplina autonoma o fa parte della progettazione architettonica? Rispetto all’architettura, il design soddisfa più rapidamente le ambizioni del progettista. Un mobile può essere pronto nell’arco di qualche mese, un edificio ha bisogno di anni. Una seconda peculiarità è data dal maggior valore che la precisione assume nel progetto di design e dei suoi aspetti visivi. Si lavora in millimetri e anche la scelta del materiale esige una determinazione molto maggiore rispetto all’architettura. Nel disegno di dettaglio si esplicita la struttura dell’oggetto, si esplicita la presenza della logica nella forma. Del resto i mobili contribuiscono molto a definire l’aspetto dell’architettura e sono determinanti per una sua corretta fruizione. In definitiva di un edificio si dovrebbe sempre progettare tutto. Proprio quest’anno abbiamo portato a termine un ospedale e, progettandone gli arredi, ci siamo resi conto di quanto fossero importanti per definirne l’atmosfera e l’immagine. Io appartengo a una generazione che ha sempre ritenuto il disegno degli arredi parte intergrante del mestiere dell’architetto. Durante la nostra formazione, attraveso gli scritti e i progetti di Mies o di Le Corbusier, quelli di Wright o di Alvar Aalto, ci sembrava naturale che nel fare architettura avremmo dovuto definire l’edificio in ogni suo dettaglio, compresi gli arredi, l’illuminazione, ecc.

E sulla sua produzione di designer che giudizio potrebbe dare? Certamente mi sento molto più architetto che designer e mi sento quasi in imbarazzo a parlare di design in una città come Milano, che al design ha dato così tanto. Lo sforzo di Juli Capella di raccogliere i miei progetti di design nella accurata pubblicazione di Santa e Cole mi ha permesso di riflettere in modo organico

su questi episodi e mi sono reso conto che alcuni oggetti sono inseparabili dal loro contesto, mentre altri sono più adatti per essere prodotti in serie. Ad esempio il corrimano della stazione di Atocha è molto legato a quel progetto, per-

chè si adatta ad ogni spazio in modo doverso e quindi non è isolabile dal contesto. Invece la poltroncina che ho disegnato per una piccola biblioteca e che è stata presentata alla mostra Le affinità elettive, pur essendo stata prodotta in pochi esemplari, mi pare perfettamente isolabile da quel contesto e adatta per essere prodotta in serie. Credo che in architettura siano molto importanti i valori atmosferici e questi sono dovuti in gran parte all’arredamento per cui, specialmente negli edifici pubblici, si dovrebbe prestare la massima attenzione alla progettazione degli interni, in modo che anche nei mobili venga rispecchiata la qualità del progetto.

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deve vivere la sua vita propria, affermare la propria realtà indipendentemente dalla sua qualità. Tutto quello che è stato costruito con la consapevolezza del valore di ciò che si stava facendo si fonda sui suoi stessi attributi. È vero che ci sono edifici migliori di altri, ma è anche vero che gli edifici più personalizzati sono meno soli, come la Casa sulla Cascata di Wright che ha sempre su di sè l’ombra del suo architetto. Io preferisco quando gli edifici possono lasciarsi alle spalle l’impulso che è stato dato loro dall’architetto, per vivere di vita propria.


a cura di Roberto Gamba

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Riqualificazione del nucleo antico di San Genesio ed Uniti (Pavia) Tema del concorso è la riqualificazione del nucleo antico, con interventi che riguardano la piazza comunale, piazza della chiesa e una serie di vie, le cui funzioni primarie (disimpegno viabilistico agli accessi carrai, accesso alle unità immobiliari) dovevano essere rispettate, anche se potevano risultare modificate, arricchite, corrette e regolamentate per un migliore uso. I concorrenti erano invitati a elaborare proposte progettuali che, oltre all’arredo, operassero una reale riqualificazione del tessuto urbano. L’ammontare massimo della spe-

sa prevista per la riqualificazione non avrebbe dovuto superare gli euro 1.000.000. Erano richieste un massimo di tre tavole in formato A0. La commissione giudicatrice era formata da Roberto Mura, Angelo Ciocca, Laura Robecchi, Paolo Vignati, Giancarlo Genta, Aldo Gobbi, Gianpaolo Calvi, Cesare Stevan, Massimo Massara, Patrizio Faggio, Dario Racagni, Agatino Cantarella. Al vincitore il Comune ha affidato l’incarico per la progettazione definitiva ed esecutiva di tutto l’intervento. Gli altri premi sono stati di euro 2.000 e euro 1.000.

1° classificato (foto 1-3) Angelo Bugatti (Milano) con Massimiliano Koch, Paolo Bacci, Carlo Berizzi, Tiziano Cattaneo, Roberto De Lotto, Stefano Pugni

menti per le pavimentazione e gli arredi e di differenziazione dei luoghi, attraverso la concezione di spazi diversi in relazione alla vocazione dei siti. Viene così interpretata la piazza comunale come luogo per l’incontro e il ritrovo, attraverso il progetto che prevede un gioco d’acqua, sedute e sistemi informativi, mentre la piazza della chiesa come un luogo di riposo e di meditazione, attraverso l’inserimento di nuove alberature. Le due strade, via Roma e via Alla Chiesa, vengono contrassegnate da linee ordinatrici in granito longitudinali che danno nuovo assetto ai disuguali profili degli edifici, segnalando, con elementi ortogonali, le soglie di accesso agli spazi semipubblici e privati.

Il progetto, elaborato dai componenti del Laboratorio di Costruzione del Paesaggio dell’Università di Pavia, ristabilisce il rapporto tra gli abitanti e il luogo attraverso un confronto tra i caratteri di identità e di memoria collettiva, enfatizzando l’effetto percettivo del contesto con l’introduzione di elementi ordinatori gerarchicamente definiti. La sistemazione delle due piazze e dell’asse trasversale che le attraversa, si basa sul principio di unitarietà di linguaggio, attraverso l’utilizzo degli stessi ele-

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2° classificato (foto 4-5) Giovanna Franco Repellini (Milano) con Massimo Canevazzi, Yehiel Tsoobery, Andrea Canevazzi, Wolmer Cantoni

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I princípi base del progetto sono la coesione e continuità dei percorsi e dei materiali, unità stilistica complessiva, incentivazione del senso di accoglienza, funzionalità pedonale e veicolare. Per la piazza comunale gli elementi caratterizzanti sono: il monumento, una lama d’aratro in bronzo che spacca la terra da cui zampilla acqua; il pergolato

posto come centro conviviale; il filare di alberi per creare zone d’ombra e sottolineare i percorsi. Nell’altra piazza, invece, che mantiene il fascino del vecchio borgo con una piccola pregevole chiesa barocca, mantenuta la distribuzione spaziale esistente, si è sfruttato il dislivello di circa 90 cm tra i due lati della piazza, per creare una leggera scalinata al centro del percorso ed evidenziare l’aspetto scenografico del fondale. Le strade e le fasce laterali alla scalinata mantengono la pendenza attuale per non creare alcuna barriera architettonica.


urbano “a tre navate” unite da due fasce a giardino; nella navata centrale, evocando la sacralità di questo luogo, il dislivello longitudinale di 1 metro circa viene riletto attraverso una pavimentazione disposta su due quote differenti, a separare il sagrato da

uno spazio più conviviale arredato con panchine in legno. Dalla chiesa un rigolo d’acqua taglia tutta questa superficie, fino a giungere alla grande vasca posta al fondo della piazza. Una fascia verde avvolge il sagrato.

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3° classificato (foto 6-8) Luciano Giorgi (Pavia), Liliana Bonforte collaboratori Andrea Rubini, Margherita Parati, Luca Moscelli; consulente ambientale Andrea Borlini La proposta prevede l’utilizzo della pietra grigia come unica

materia prima a pavimentare piazze e strade, in forma di smolleri, di differente texture di superficie, più ruvida per i percorsi carrabili, più liscia per le aree pedonali. La piazza del comune risulta schermata da una quinta verde di siepi ridotte a grandi volumi astratti e profumati. Il progetto riconferma lo schema

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parcheggio delle biciclette, l’edicola dei giornali, la fermata dell’autobus, il posto telefonico, il servizio igienico, un chiosco-bar, sedute. Il lungo invaso vuoto della piaz-

Riqualificazione della piazza Pierino Beretta a Corbetta (Milano) La riqualificazione della piazza Beretta a Corbetta è stata oggetto in questi anni di valutazioni e riflessioni circa la sua più coerente destinazione in rapporto ad importanti elementi del suo intorno: rispetto alla progettazione dell’adiacente area del “Consorzio Agrario”, alle dinamiche urbane e architettoniche del centro storico ed alla presenza, a confine della piazza, di elementi storici di rilievo, fra cui la settecentesca “villa Massari”. Il luogo è attualmente destinato a parcheggio con la presenza di una zona verde ad aiuole. Particolare cura doveva essere dedicata al rapporto tra il carattere urbano della piazza e gli elementi con i quali essa deve dialogare: il confinante P.R.U. a nord e non ancora realizzato (esso prevede, in luogo dell’attuale Consorzio Agrario, spazi per la residenza, il commercio ed anche uno spazio polivalente per attività culturali); le

attività commerciali presenti; il monumento dedicato al partigiano Pierino Beretta; la valorizzazione del tracciato storico del tramway “Gamba de Legn”. L’importo dei lavori doveva essere orientativamente contenuto entro euro 1.200.000. Erano richieste tre tavole in formato A1. La giuria era composta da Angelo Bugatti, A. Marco Lovati, Anna Mereghetti, Cesare Macchi-Cassia, Michele Rossi; supplenti Walter Vicari, Dario Vanetti. Ai progetti vincitori sono stati attribuiti premi di euro 5.000, 2.500 e 1.000. Euro 500 sono stati attribuiti ai progetti di: Marco Mario Tommaseo, con Claudio A. Ciccioni, Monica Chiericati, Alessandra Lelli; Franco Puccetti, con Annalisa Moles, Elia Odoguardi; Elisa Maria Pedone, con Luigi Andrea Di Mauro Morandi, Matteo Michele Romano, Stefania Presti.

1° classificato (foto 1-3) Maria Grazia Folli (Milano), Mirko Bertinotti, Daniele Bonzagni, Giovanni Buzzi, Lucia Paci collaboratori Alessandra Ambrogi, Simone Daniele Beccardi, Daniela Ermetici, Claudia Romano

rio urbano e agricolo, introducendo un principio di ordine geometrico e topologico. Un piano orizzontale liscio – rettangolo di 46 x 26 m, rivestito di lastre di granito con inserti di botticino – è circoscritto da una superficie più ruvida di porfido. Un muro delimita e apre la piazza verso nord, per valorizzare un sistema urbano di luoghi collettivi. Il muro costituisce la spina di una sequenza lineare di attrezzature coperte da una leggera tettoia: il

La nuova piazza si inserisce all’interno di un ampio sistema di relazioni tra spazi privati, attrezzature collettive, trame del territo-

za – con la statua di Pierino Beretta valorizzata nella sua ricollocazione – è parzialmente concluso sul lato est da un “coperto” aperto sui quattro lati.

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2° classificato (foto 4-6) Silvia Nessi (Milano), Caterina Morganti, Luca Sivieri, Barbara Birolini per GnuLab; Christian Steiner per Natphilosophy con Jesse Oona Nickerson L’area è stata interpretata come testa del sistema di piazze a sca-

la urbana. L’intervento proposto più che una piazza può essere considerato un ibrido funzionale, risposta ad un contesto eterogeneo. In relazione con il nuovo edificato in progetto, la curva, le onde e gli alberi, il lastricato si increspa sul suo antico tracciato, ancora leggibile da alcune ango-


so alla sala civica, la fontana termina l’ideale sistema di scorrimento sotterraneo dell’acqua. Il muro di Villa Massari è in evidenza: un percorso al margine, utile anche per delle esposizioni, che dal corso conduce al vicino parcheggio, toccando il campo da bocce e il chiosco bar.

neità dei fronti costruiti non permette di realizzare uno spazio raccolto, una piazza nel senso classico del termine. Per renderlo un luogo pubblico fruibile e rappresentativo il progetto ricerca attraverso elementi minimi di potenziarne l’identità latente. Si immagina quindi, un disegno semplice e chiaro della morfologia del suolo, articolando due elementi principali: un manto di

acciottolato esteso a tutta l’area di progetto e, “appoggiato” su di esso, un lastricato di granito con una sua geometria definita. Il contrappunto fra questi due elementi, uno materico e organico, con le sue lievi pendenze, l’altro puro e astratto, perfettamente orizzontale, genera il carattere del luogo, definendone le percorrenze, modulandone lo spazio, suggerendo ambiti di uso. 7

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3° classificato (foto 7-9) Roberto Cosenza (Pozzuoli) Piazza Beretta si configura, attualmente, come un ampio vuoto

al margine del centro storico, senza una fisionomia definita e su cui insistono elementi architettonici diversi, quasi dissonanti. La lontananza e la disomoge-

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lazioni, movimento ricordato dal suono dell’acqua che scorre ma non si vede, la pavimentazione si alza in onde che accolgono il gioco e la sosta tra gli alberi. L’attestamento sul corso è con il passeggio, l’edicola, la fontana; una pavimentazione piana si prolunga verso la piazzetta di ingres-


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Addio, città Margherita Petranzan, Gianfranco Neri Franco Purini. La città uguale. Scritti scelti sulla città e il progetto urbano dal 1966 al 2004 Il Poligrafo, Padova, 2005 pp. 384, € 27,00 Nell’illustrare il progetto di una metropoli per 100 milioni di abitanti esposta alla Biennale di Venezia da Franco Purini nel 2000, il libro, curato da Margherita Parenzan e da Gianfranco Neri, propone la raccolta degli scritti dell’architetto romano, uno dei più attenti e appas-

A quale visione può rimandare un tappeto di case isolate inesorabilmente uguali, collocate secondo geometrie altrettanto inesorabili e destinate a coprire indiscriminatamente i nostri territori punteggiandone gli orizzonti con immensi volumi massicci disposti in libertà se non ad una condizione sociale di netta separazione tra vita individuale e vita associata nella quale il vivere domestico si riduce al solipsismo sorretto dalle estensioni tecnologiche (la casa, terminale delle reti energetiche e informatiche, interessa solo come interno) e il momento collettivo consiste nei riti mediaticamente imposti? Si tratta, quindi, di una acuta riflessione tutta architettonica sulla condizione metropolitana, un ammonimento senza moralismi su un destino non necessariamente più infelice dell’attuale (a detta dell’autore) dove l’aspetto figurativo, nell’impeccabile nitore del disegno computerizzato, designando un avvenire estremo, pone alla cultura la necessità dello studio della forma degli insediamenti della città futura, attività da troppo tempo colpevolmente trascurata. Adalberto Del Bo

sionati protagonisti del dibattito architettonico attuale e saggista architettonico infaticabile. Il progetto della Città uguale, nel celebrare millenaristicamente l’inizio del terzo millennio definisce, attraverso una studiatissima provocazione, un quadro elegantemente minaccioso di un futuro possibile: non si tratta certo della città ideale del nostro tempo bensì del destino urbano verso il quale l’incerta situazione dell’esistenza attuale sembra voler condurre la nostra società e le nostre metropoli. “La città uguale”, scrive Purini, “è la città dopo l’automobile. È una città semplificata ridotta nelle sue parti, fatta di tre soli elementi. Una rete di metropolitane aeree consente di accedere alle case, tutte uguali, ciascuna delle quali abitata da una sola persona. Tra le case sorgono grandi edifici isolati, monumenti e nello stesso tempo piazze: luoghi metropolitani che raccolgono tutte le funzioni collettive”.

La lezione del Po Federica Pocaterra Lungo il Po Araba Fenice, Asti, 2005 pp. 180, € 16,50 Identità e differenze nell’ambito territoriale eridaneo sono indagate dalla Pocaterra con precisione e dovizia di documentazione. Il suo racconto di viaggio scavalca la malinconia che struttura fisicamente questo territorio, supera il rimpianto per la grandezza raccontata, per proporre l’ambito di studio come modello di un’integrazione riuscita. Nel testo la terra dei passaggi –

dei pellegrini e dei mercanti, delle culture e delle famiglie al potere – diventa paradigma della possibilità di declinare secondo il luogo e la sua realtà un’economia di fatti e di pensieri, di lavoro e di costruzione. Da sempre artisti, politici, costruttori di altre terre hanno studiato il luogo e lo hanno ripensato, con l’entusiasmo del progetto quando è programma di una cultura totale, quando tenta di farsi interprete profondo dello spirito della realtà. È interessante il contrasto tra questo racconto di “terre di passo” e le belle immagini a corredo, racconto di una stanzialità assoluta, di paesaggi immobili, di atmosfere bloccate nella religiosità del silenzio brumoso. La monumentalità delle terre del Po ha origine nel carattere agricolo, nel ritmo ossessivo dei pioppeti, nella potenza tutta contadina dei filari di gelsi, nella dimensione straniante dei piani orizzontali premuti dall’umidità solida. Gli elementi del paesaggio padano sono i primi monumenti di una fatica nobile e antica, che si traduce in un’architettura di muri, di bastioni, di contrafforti. L’elemento drammatico e caratterizzante dell’architettura del Po è costantemente l’attacco a terra, il piede contadino della costruzione. Di ritorno dal suo viaggio lungo il Po, Pocaterra ci porta molti, diversi documenti; spunto per molte, diverse riflessioni. Olga Chiesa

La “complessità” del progetto Claudio Sangiorgi Appunti sul costruire. Attualità di Giuseppe Pagano LibreriaClup, Milano, 2005 pp. 154, € 9,00 “Col tambureggiamento della polemica moderna, col dar libero corso a tutte le frasi reboanti si è creata dell’architettura moderna una veste esteriore fittizia e retorica: movimento di masse, finestre orizzontali, tetto piano, terrazze frastagliate, intonaci sgargianti, novità impensate, pensiline, pareti in curva, scale

ad elica e oblò e grandi fasci littori e aste per bandiere e portali e torri, torri, torri… ogni capomastro vuole inventare una nuova trovata, ogni geometra si sente in diritto di stupire il borgo natio con le sue meraviglie mai viste, ogni ingegnere civile e ogni architetto convertito al moderno credono che per fare roba di oggi sia necessario perlomeno usare scritte incomprensibili e colori molto vistosi e soprattutto distinguersi ad ogni costo.” Citando Giuseppe Pagano e il suo articolo “Architettura nazionale” pubblicato su “Casabella” nel 1935, si apre la raccolta di interventi – già pubblicati su alcune riviste di “settore” – di Claudio Sangiorgi. Sulla scia di Pagano, l’autore analizza la nostra realtà, descrivendola secondo il punto di vista del “professionista” che quotidianamente si pone il problema del progetto e della sua realizzazione, della coerenza che deve esistere, come è sempre esistita, fra il momento dell’ideazione e quello della costruzione. Ciò che emerge dalla lettura dei singoli scritti è la “complessità” del progetto. Progettare significa fare interagire competenze diverse. L’architetto, nell’intero processo, deve ricoprire il ruolo del “compositore”, per la sua capacità di mettere insieme gli elementi di cui il progetto stesso è fatto, e per la sua “posizione” di regista. Un buon esempio di “collaborazione” di figure e competenze diverse è riscontrabile nel progetto di Ignazio Gardella per la casa al Parco di Milano di cui Sangiorgi mette in evidenza la razionalità e la coerenza di ogni scelta, architettonica e tecnicocostruttiva. La descrizione della facciata e della costruzione delle sue logge, il rapporto istituito fra solaio e fronte, fra fronte e serramento, la scelta del sistema di oscuramento, diventano i temi in cui si esplicita il rapporto fra forma e costruzione, un rap-


Martina Landsberger

Il “realismo visionario” di Fuksas Luca Molinari Massimiliano Fuksas. Opere e progetti 1970-2005 Skira, Milano, 2005 pp. 288, € 60,00 L’elegante monografia che Luca Molinari ha dedicato all’opera di Fuksas è una “testimonianza” per diverse ragioni. Innanzitutto si tratta di una riflessione che non nasconde i dubbi e le predilezioni dell’autore, anzi ne rivendica il ruolo militante. Interroga direttamente la committenza “illuminata” (Veltroni, Armani, Nardini) provando a districare la matassa che lega, nel complesso connubio, già descritto dal Filarete, il “padre” e la “madre” di ogni architettura. Infine sembra proporsi come il frammento di un più ampio discorso sulle “vite” di alcuni “illustri architetti”, tutti nati tra il 1941 e il 1945, che da oltre un decennio stanno segnando inequivocabilmente il paesaggio del villaggio globale: Fuksas, Nouvel, Koolhaas, Koolhoff, Tschumi, Ito. Il volume si compone di 3 capitoli e 2 incisi. Un saggio fa da spartiacque tra due versanti dell’attività progettuale di Fuksas: da una parte, le opere sperimentali realizzate in alcune real-

tà di provincia dell’Italia centrale e della Francia non metropolitana tra il 1970 e il 1990; dall’altra, i progetti e le realizzazioni che negli ultimi 10 anni hanno accompagnato il crescente successo mediatico dell’architetto di origine lituana. I due incisi sono collocati nel capitolo dedicato alla consacrazione del personaggio e trattano due questioni essenziali: la comunicazione dell’architettura e la questione del progetto nel nostro paese. Lo spunto per queste digressioni è offerto dai momenti salienti della biografia culturale di Fuksas: la direzione della VII Biennale di Architettura di Venezia 2000 (Less aesthetics, more ethics), la progettazione di opere di grande impatto sul tessuto delle città italiane: a Milano, a Roma, a Torino. Sullo sfondo di questa trama essenziale, che esibisce un gran numero di esperimenti progettuali, spesso basati sul sistema della prova e della ripetizione, l’autore fa balenare la tesi che Fuksas lavori sulla “forza delle contraddizioni” e che la dimensione narrativa, posta al centro del suo operare, sia destinata ad oscillare costantemente tra una forma diretta, “realista”, persino “brutale” (come nei riusciti progetti di Niaux, Rezé, Salisburgo, Bordeaux, Foligno ed Eindhoven) e un contrapposto istinto alla seduzione attraverso immagini e visioni, spesso effimere e cangianti (come nella “nuvola” dell’Eur, nelle “bolle” di Nardini o nelle “onde” della nuova Fiera di Milano). Tutto ciò fino a ieri: perché in alcuni recenti esperimenti sembra inutilmente prevalere il tentativo di rendere sempre più

stupefacenti le personali “revérie” dell’architetto, piuttosto che liberare le emozioni che derivano dalla comune percezione della “poetica dello spazio”. Andrea Gritti

Guerra per Ground Zero Philip Nobel 64.748 mq. La feroce battaglia per la ricostruzione di Ground Zero Isbn, Milano, 2005 pp. 334, € 16,50 Philip Nobel – con un passato da studente di architettura alla Columbia University, corrispondente per il “New York Times”, “Vogue”, “Artforum”, “Architectural Digest” – racconta il destino di Ground Zero a partire dalla mattina dell’11 settembre 2001: con dovizia di particolari riproduce le tappe che hanno segnato il processo di ricostruzione del sito simbolo dell’occidente, carico, come nessun altro, di valenze, ambiguità e aspettative. Con un ritmo a rotta di collo, nella miglior tradizione del giornalismo d’inchiesta di matrice anglosassone, l’autore racconta lo scontro d’interessi che si è scatenato dal crollo delle Twin Towers: la rabbia dei parenti delle vittime, gli interessi degli imprenditori immobiliari e dei gruppi finanziari, la vanità e il prestigio giocato delle star dell’architettura, il potere dei media, l’influenza dei politici – dal Sindaco della città al Presidente degli Stati Uniti. Nobel pedina i protagonisti della storia, mettendo a nudo intrighi, alleanze, tradimenti, vendette: fatti e retroscena dell’affare più lucroso e rappresentativo dell’era contemporanea. Alternando fonti ufficiali, voci e testimonianze, tra colpi di scena e finali rinviati, l’autore ammicca allo stile della detective story, in un reportage avvincente, scritto come un romanzo. Nelle pagine di 64.748 scorrono le passioni e le tragedie umane. Ground Zero diviene un “punto d’osservazione per capire la condotta umana”: qui si condensa lo spirito della capitale

del XXI secolo, figura dell’uomo moderno, che, nel costruire e attribuire significato ai propri monumenti, è combattuto tra la necessità di compiangere i morti e l’impellenza di ritrovare il ritmo della vita. Una storia paradigmatica, non solo per il luogo e la carica simbolica che esso esprime, ma perché il caso si erge a modello di episodi meno eclatanti, ma diffusi, di una logica del costruire dettata da condizioni estranee alle regole della “pura” architettura, dove numerosi altri fattori di carattere politico, finanziario, di immagine e consenso pubblico, entrano in gioco a determinare l’esito del processo costruttivo. La forma finale del sito del World Trade Center, più che dall’idea di un architetto, è scaturita dal corso che hanno preso gli eventi: “la battaglia, il circo, il processo”. L’autore dimostra come il risultato di un progetto edilizio sia il prodotto d’innumerevoli conflitti accidentali, ed “eco delle loro soluzioni rappezzate”. Il ruolo degli architetti non è stato che una parte, importante finché è servita, di un meccanismo più grande, articolato e complesso: imprevedibile, arduo da governare e comprensibile, forse, solo a posteriori. In questo senso Nobel definisce l’architettura l’arte del compromesso, quella “più condizionata – un’arte che non è né alta né bassa, un’arte che arriva all’arte solo dopo aver baciato la realtà”. Irina Casali

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porto che se corretto, contraddistingue ogni “bel”, o per citare ancora Pagano, “sano”, progetto di architettura.


a cura di Sonia Milone

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Inchiesta sul paesaggio Il paesaggio tradito. Sguardi su un territorio compromesso Milano, Galleria San Fedele via Hoepli 3 26 novembre 2005 – 4 febbraio 2006 La galleria San Fedele ha promosso una ricerca fotografica sul paesaggio italiano. Non vi è sovrapposizione con altre recen-

ti esposizioni sull’argomento: in questo caso una descrizione, o una visione estetizzante, vengono sostituite da una riflessione sullo sviluppo presente e futuro del nostro territorio. Nove autori posano lo sguardo su casi emblematici in otto regioni italiane, con immagini sottilmente interrogative: dietro i paesaggi, si scorgono le dinamiche di governo del territorio e la responsabilità sociale verso fenomeni avanzati di degrado. Ogni “capitolo” inoltre richiama un processo urbanistico spesso in atto anche nel resto d’Europa. In Lombardia emerge il tema delle aree dismesse e del rapporto tra grandi progetti e visione democratica dei luoghi. In Toscana si valuta l’impatto delle infrastrutture sul territorio: i lavori per l’alta velocità causano gravi problemi alle falde acquifere. In Sicilia, un esempio virtuoso come il parco scultoreo di Fiumara d’arte, viene ignorato dalle istituzioni. Nella pianura dell’Emilia-Romagna la memoria del paesaggio si perde, con l’abbandono di cascine che diventano macerie sterili, anziché rovine vive. Le immagini scattate in Lazio affrontano il tema dei distretti commerciali, insediamenti atopici, estranei all’identità del paesaggio circo-

stante. In Campania, le rovine antiche vengono soffocate da un’edilizia disordinata che ne distrugge il senso e la riconoscibilità. Nelle valli del Piemonte troviamo casi di sfregio delle risorse naturali per interesse privato, con la costruzione di cave, tunnel e strade. Infine in Veneto, un tessuto diffuso di insediamenti produttivi e residenziali discreti ma privi di qualità, snatura i caratteri tipici del paesaggio agricolo. I casi presentati – nella consapevolezza ormai condivisa che paesaggio non è “natura originaria”,

ma piuttosto “natura antropizzata” – mostrano quanto sia incrinato, appunto tradito, il rapporto armonico tra natura e cultura. Tuttavia, a margine di questi esempi di denuncia, vengono esposti tre episodi “positivi”: l’abbattimento di una costruzione abusiva sulle coste pugliesi, il progetto della greenway MilanoPavia-Varzi, la costruzione del depuratore San Rocco a Milano. Sono piccole testimonianze di trasformazione che aprono a una sensibilità diversa: concepire il paesaggio come partecipazione, come coscienza del luogo, come oggetto non solo estetico, ma soprattutto etico. Mina Fiore

La “Ragione” per David Chipperfield David Chipperfield. Idea e realtà Padova, Palazzo della Ragione via VIII Febbraio 19 novembre 2005 – 19 febbraio 2006 Scegliere come sfondo il Palazzo della Ragione di Padova per ospitare la mostra dedicata a David Chipperfield è sicuramen-

te coerente con la filosofia dell’architetto che ha sempre anteposto nei propri progetti il concetto di razionalità a quello di spettacolarità. Supportata da un allestimento “discreto” in tiranti d’acciaio, che sospendono i pannelli e l’illuminazione alla volta trecentesca senza alterare la forza dello spazio interno, la mostra presenta una rilettura del lavoro degli ultimi vent’anni. L’itinerario espositivo si svolge attraverso quaranta progetti sviluppati in tutto il mondo e suddivisi, per l’occasione, in tre categorie: “realizzati”, come il primo Gotoh Museum a Chiba, in Giappone (1987), o il più recente Figge Art Museum di Davenport, Usa, terminato nell’agosto 2005; “in costruzione”, come il Museo della Cultura a Liangzhu; e “in fase di progettazione”, come la Città della Cultura Ansaldo a Milano o il Cimitero di S. Michele a Venezia. La massa e le forme volumetriche degli edifici sono illustrate con modelli architettonici e pannelli di grande formato fedeli sia nella scelta dei colori, sia nella grafica, al metodo di comunicazione con cui la David Chipperfield Architects presenta normalmente i propri lavori. La rappresentazione dei progetti attraverso disegni-pitture e plasticisculture concentra l’attenzione sull’articolazione dello spazio e della forma; l’assenza di linee rende le piante chiari schemi distributivi e i prospetti mappe indicative dei pieni, dei vuoti e dei materiali, ma non soddisfa la curiosità di chi invece cerca il dettaglio architettonico. Uscendo dalla mostra quello che resta è la sensazione di aver fatto un percorso sintetico e completo nella carriera di un architetto la cui opera è mirata alla ricerca di un equilibrio tra idea e realtà, tra fisicità e astrazione, che mostra di saper ascoltare le necessità dell’individuo e della società, ma che non si presta all’esasperazione comunicativa sempre più comune nell’architettura contemporanea. Maria Chiara D’Amico

Il gioco è un Diritto Fondamentale Playgrounds and toys Milano, Hangar Bicocca viale Sarca 336 28 ottobre – 23 dicembre 2005 “Ogni bambino del mondo deve poter giocare per crescere e diventare l’Uomo che ha dentro. Il gioco è un Diritto Fondamentale.” L’ONG “Art for the world”, affiliata all’ONU, che promuove l’arte contemporanea come mezzo per la diffusione dei princìpi dei diritti umani, vuole sensibilizzare il pubblico su questo tema attraverso l’esposizione di progetti per parchigioco. La mostra, itinerante, è insieme ponte di valori universali; banco di prova per grandi artisti, che si confrontano con la necessità di immediatezza e facile realizzabilità delle proprie idee; strumento ludico, didattico e benefico, in quanto ad ogni tappa una giuria di adulti e bimbi (destinatari di tutte le fasi e del significato dell’iniziativa) decreta la costruzione di due progetti destinati a scuole ed orfanotrofi delle zone più disagiate del mondo. Questi gli intenti programmatici messi in risalto nella presentazione. Non c’è quindi da stupirsi se rimane un po’ l’amaro in bocca a chi, entrando nell’immenso spazio di arte contemporanea della Bicocca, vede, soverchiati dalle pur splendide torri di Kiefer e resi leggermente sinistri da una poco felice illuminazione al neon, i piccoli plastici, la cui lettura è ulteriormente inquietata dalla pervasiva musica misticheggiante diffusa a corredo di altre installazioni. L’immagine illusoria della chiassosa piccola giuria che si diverte ed acquisisce coscienza critica ad un tempo è così disattesa, tantopiù che i giochi non si possono toccare… Non convince poi del tutto l’osservazione dei progetti: in molti casi pregevoli esempi di opere


Caterina Lazzari

Architettura ed effetti Kazuyo Sejima & Ryue Nishizawa Vicenza, Basilica Palladiana piazza dei Signori 30 ottobre 2005 – 29 gennaio 2006 Chiamati a mettere in mostra la loro opera nel prestigioso interno della Basilica Palladiana di Vicenza, Sejima e Nishizawa (SANAA) scelgono anzitutto un’interpretazione radicale del tema dell’allestimento dentro uno spazio. Sono infatti le stesse condizioni spaziali di partenza a venire com-

pletamente riformulate, e le vaste penombre dell’interno basilicale spariscono, sostituite da una bianca stanza di leggerissimo tessuto teso che – con la sua inaspettata, abbagliante luminosità – sorprende chi arriva dal loggiato esterno. Scartate possibili interpretazioni progettuali più riverenti verso l’esistente, con questa spregiudicata affermazione spaziale gli architetti ottengono la singolare condizione per cui all’osservazione delle qualità atmosferiche visibili nelle foto e nei modelli, corrisponde, amplificata ed analoga, la percezione diretta e avvolgente dello stesso spazio allestito. La ricerca di Sejima e Nishizawa riduce al minimo la sostanza tettonica degli edifici, ed esplora le suggestive qualità sensibili della trasparenza, del riflesso, dell’ambiguità della deformazione, della vaghezza dei limiti. Da queste esplorazioni conseguono architetture dalle caratteristiche percettive sempre stimolanti, e sono proprio queste caratteristiche a venire puntualmente evidenziate dai seducenti materiali presentati. Se da un lato questa scelta soddisfa efficacemente l’obbligo di stupire imposto dai meccanismi del successo, d’altra parte concede però pochissimo alla descrizione delle altre ragion d’essere dei progetti. Ed è proprio nella ricerca di senso, nella faticosa operazione del darsi strategie rispetto alle dinamiche dei luoghi, dell’uso umano, del tempo, che ci

Amanzio Farris

L’utopia prossima passata Paolo Soleri. Etica e Invenzione urbana Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, MAXXI, Casa dell’Architettura 8 ottobre 2005 – 8 gennaio 2006 Chissà che strade avrebbe percorso la visione di Soleri se questi avesse deciso di rimanere in Italia, paese d’elezione per ogni percorso di ricerca che voglia rimanere marginale. Certo, paradossalmente, è proprio in Italia che Soleri costruisce la sua prima opera-manifesto, quella manifattura ceramiche Solimene a Vietri che, forse meglio di quanto è poi stato realizzato negli USA, riassume e prefigura la vena più stimolante e vitale di quella visione

efflorescente che ha alimentato e sostanziato, seppure in gran parte sulla carta, l’utopia di una società eco-misticheggiante predestinata alla marginalità. Viene appunto da chiedersi che effetti avrebbe potuto indurre Soleri sul panorama italiano se non avesse tolto (anticipatore anche in questo) l’incomodo a una critica incapace di accettare la portata di tanti percorsi dissonanti e perciò pronta a ostracizzare i diversi, mettendo al margine i Moretti, i Michelucci, i Mollino o lo stesso Scarpa. Soleri perciò ci ha sempre parlato da lontano, a distanza di sicurezza, da quelle piccole figure cui sono state annichilite le sue gigantesche tavole, neutralizzate dall’accondiscendenza che si accorda a uno zio un po’ matto. Oggi, in piena sovraesposizione da immagini, guardiamo sempre più spesso indietro (non senza pelosi interessi editoriali) scoprendo “l’attualità” di personaggi ed episodi volutamente ignorati; meritoriamente, questa mostra colma invece una lacuna importante soprattutto nelle generazioni più recenti portando finalmente alla luce materiali affascinanti. Oggi perciò, vediamo le sue tavole colossali, entriamo nella sua visione potendo finalmente perderci nell’infinità di meandri e recessi di Mesa City e Cosanti, ma vediamo anche le strutture aperte cristallizzarsi in organismi centripeti e ridondanti, la retorica e la monumentalizzazione affiorare sempre più spesso, pescate dalla deriva totalitaria-totalizzante che le utopie nascondono in vene sotterranee e che Cosanti, scavando troppo a fondo, deve aver intercettato. Filippo Lambertucci

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d’arte, ma un po’ inimmaginabili come parchigioco effettivi, forse anche per via dell’assenza di scala umana o di spiegazioni che rendano comprensibile la proiezione reale di quanto rappresentato. Il risultato è un sottile sospetto di esercizio di stile, che riguarda molti tra gli autori, o, perlomeno, di un’insufficiente attenzione a forme e modi del gioco, ai suoi risvolti psicologici, ai materiali ad esso necessari. L’idea che se ne ricava, che è insieme un augurio per questa, in ogni caso, lodevole iniziativa, è che in fase di realizzazione i progetti scelti rivelino aspetti virtuosi che l’intellettualismo dell’installazione e l’inadeguadezza del luogo non rendono percepibili.

sembra di individuare la sostanziale differenza tra le opere di SANAA e, ad esempio, le cristalline composizioni di un Mies o di un Jacobsen, con le quali condividono esiti simili nella rarefazione della forma. Se l’architettura ed il suo racconto si riducono quindi alla sola questione degli effetti percettivi, questo può forse sortire l’effetto imprevisto di un alleggerimento dell’architettura stessa, questa volta non nella sua materialità concreta, ma proprio nel terreno decisivo della sua consistenza concettuale e quindi della forza della sua presenza nella complessa realtà dell’oggi. (Nell’immagine, foto di A. Chemollo)


a cura di Walter Fumagalli

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I Piani regolatori vanno (un po’ per volta) in pensione La Legge Regionale 11 marzo 2005 n. 12, mentre da un lato ha istituito i Piani di Governo del Territorio (PGT), dall’altro ha mandato in pensione i “gloriosi” Piani Regolatori Generali, che negli ultimi sessant’anni hanno svolto un ruolo di fondamentale importanza, nel bene e nel male, nello sviluppo delle nostre città. Il legislatore, tuttavia, non poteva pensare di operare una così radicale riforma dell’urbanistica lombarda, senza dettare una disciplina transitoria preordinata a regolare questa delicata fase di transizione da un regime all’altro. A ciò ha pertanto provveduto con gli Articoli 25 e 26 della citata Legge Regionale n. 12/2005, i quali peraltro sotto certi profili non brillano per chiarezza e completezza. Non è quindi privo di interesse esaminare tale disciplina transitoria, magari cercando di mettere un po’ di ordine nella materia attraverso un’analisi dei vari argomenti trattati. L’efficacia dei Piani regolatori vigenti Anzitutto occorre capire quale sorte sia riservata agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della Legge Regionale n. 12/2005. In proposito il legislatore ha fissato un principio che risponde all’ovvia esigenza di non azzerare di punto in bianco le norme che a quella data disciplinavano il territorio, e quindi di non privare quest’ultimo di un’efficace regolamentazione urbanistica. In questa prospettiva, egli ha pertanto stabilito che “gli strumenti urbanistici comunali vigenti conservano efficacia” anche dopo l’entrata in vigore della nuova legge regionale (Art. 25.1). Al contempo, tuttavia, il legislatore si è preoccupato di non protrarre a tempo indeterminato l’operatività di tali strumenti, che la legge ha considerato ormai obsoleti ma ai quali certe amministrazioni comunali potrebbero essere quanto mai affezionate.

A questo scopo ha quindi precisato che gli strumenti urbanistici vigenti conservano sì la loro efficacia, ma questo solamente “fino all’approvazione del PGT e comunque non oltre quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente legge” (Art. 25.1). Considerato che quest’ultima è entrata in vigore il 31 marzo 2005, quindi, salvo sempre possibili proroghe a partire dal 31 marzo 2009 che i Piani regolatori che in quel momento non saranno stati ancora sostituiti dai Piani di governo del territorio perderanno la loro efficacia, i relativi territori si troveranno privi di pianificazione urbanistica, e pertanto saranno soggetti alla disciplina dettata dall’Art. 9 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali. C’è da sperare che questa regola non trovi mai applicazione; ma ove ciò dovesse accadere, viene da domandarsi se si tratti di una regola coerente con i princìpi costituzionali che disciplinano le autonomie locali, il diritto di proprietà, e il territorio e l’ambiente. Ai posteri (e alla Corte Costituzionale) l’ardua sentenza. I Piani regolatori in corso di approvazione Definita dunque la sorte dei Piani regolatori vigenti, il legislatore si è preoccupato di regolare quelli che alla data di entrata in vigore della Legge Regionale (come si è già visto, il 31 marzo 2005) erano già stati adottati, ma non avevano ancora concluso il loro procedimento di approvazione. In questo caso il legislatore si è attenuto al criterio di non vanificare l’attività amministrativa svolta fino a quel

momento, e quindi ha stabilito che “ai piani urbanistici generali e loro varianti (…) già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi, sino alla relativa approvazione, le disposizioni vigenti all’atto della loro adozione” (Art. 25.3). Di conseguenza, per tali piani continueranno ad avere applicazione sia le disposizioni che al momento della loro adozione ne regolavano il contenuto, sia quelle che ne disciplinavano il procedimento di approvazione. Può essere interessante rilevare come, curiosamente, in forza di questa disposizione tali strumenti siano esonerati dal rispettare non solo le regole dettate dalla Legge Regionale n. 12/2005 (il che può essere comprensibile), ma anche le regole entrate in vigore nel periodo intercorrente dalla data della loro adozione al 31 marzo 2005 (il che è molto meno giustificabile). L’adeguamento dei Piani regolatori vigenti e l’approvazione dei Piani di governo del territorio Allo scopo di rendere il più sollecito possibile il passaggio dal regime dei Piani regolatori a quello dei Piani di governo del territorio, il legislatore ha fissato termini differenziati, entro i quali i comuni dovranno provvedere


Caricatura del barone Haussmann come artiste démolisseur (da: Cesare De Seta, Le città capitali, Laterza, Roma-Bari).

L’approvazione delle varianti di Piano regolatore Sempre nell’ottica di indurre i comuni ad approvare senza troppi indugi i nuovi strumenti urbanistici generali, il legislatore ha limitato considerevolmente il loro potere di apportare varianti ai Piani regolatori vigenti, nelle more dell’approvazione dei Piani di governo del territorio. Anche da questo punto di vista, ha dettato una disciplina differenziata a seconda della data di approvazione dei Piani regolatori (vedi box). I comuni dotati di strumenti urbanistici generali approvati prima del 21 aprile 1975, invece, fino all’approvazione dei Piani di governo del territorio “non possono dar corso all’approvazione di varianti di qualsiasi tipo, (…) nonché di Piani attuativi in variante e di atti di programmazione negoziata di iniziativa comunale, con esclusione delle varianti dirette alla localizzazione di opere pubbliche da assumersi con la procedura di cui all’Art. 3 della L.R. 23/1997” (Art. 25.2).

In definitiva, dunque, tali comuni potranno modificare le previsioni del Piano regolatore solo allorquando ciò risulterà indispensabile per poter realizzare opere pubbliche. L’approvazione di varianti in contrasto con i divieti stabiliti dal primo e dal secondo comma dell’Art. 25 “configura lesione di interesse regionale ai fini dell’applicazione dei poteri regionali di annullamento, sospensione e

inibizione di cui all’Art. 50” (Art. 25.5). Questo significa che in applicazione del citato Art. 50 la Regione potrà procedere all’annullamento d’ufficio dei permessi di costruire rilasciati, o delle denunce di inizio di attività presentate, per dare attuazione alle varianti illegittimamente approvate in violazione di tali divieti.

Adeguamento dei PRG vigenti e approvazione dei PGT • I comuni dotati di strumento urbanistico generale approvato prima del 21 aprile 1975 (data di entrata in vigore della Legge Regionale 15 aprile 1975 n. 51), “deliberano l’avvio del procedimento di adeguamento dello strumento urbanistico generale entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge e procedono successivamente all’approvazione di tutti gli atti di PGT” (Art. 26.3): detti comuni, pertanto, sono tenuti ad avviare il procedimento di cui sopra entro il 30 settembre 2005. • I comuni dotati di strumento urbanistico generale approvato dopo il 21 aprile 1975 ed aventi una popolazione di almeno quindicimila abitanti, “deliberano l’avvio del procedimento di adeguamento dei loro PRG vigenti entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge e procedono all’approvazione di tutti gli atti di PGT secondo i princìpi, i contenuti ed il procedimento stabiliti dalla presente legge” (Art. 26.2): detti comuni, pertanto, sono tenuti ad avviare il procedimento di cui sopra entro il 31 marzo 2006. • Per i comuni dotati di strumento urbanistico generale approvato dopo il 21 aprile 1975 ed aventi una popolazione inferiore a quindicimila abitanti, invece, l’obbligo di adeguamento decorre dalla data di entrata in vigore della delibera con cui la Giunta regionale è tenuta ad individuare i contenuti obbligatori dei

relativi Piani di governo del territorio, ai sensi dell’Articolo 7.3 della Legge Regionale n. 12/2005 (Art. 26.2).

W. F.

Approvazione delle varianti di PRG I comuni dotati di strumenti urbanistici generali approvati dopo il 21 aprile 1975, fino all’approvazione dei Piani di governo del territorio e comunque non oltre il 31 marzo 2009 (giorno in cui i Piani regolatori in quel momento ancora vigenti perderanno comunque efficacia in virtù del già esaminato Art. 25.1 della Legge Regionale), potranno modificare le previsioni di tali strumenti solamente mediante l’approvazione di (Art. 25.1): • atti di programmazione negoziata; • progetti edilizi in variante ai sensi della normativa sullo sportello unico per le attività produttive, dettata dal D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 (nel caso di mancanza di Piano territoriale di coordinamento provinciale vigente, detti progetti potranno essere approvati solo previa acquisizione di un parere positivo della Regione); • varianti di Piano regolatore previste dall’Art. 2.2 della Legge Regionale 23 giugno 1997 n. 23, con la procedura regolata dall’Art. 3 di quest’ultima legge; • Piani attuativi in variante, con la stessa procedura di cui sopra (la norma non lo specifica, ma sembra logico ritenere che i Piani attuativi in variante ammessi siano solo quelli indicati dall’Art. 6.2 della Legge Regionale n. 23/1997).

39 PROFESSIONE LEGISLAZIONE

all’espletamento dei relativi adempimenti (vedi box). Le norme testé richiamate parlano prima di “adeguamento” dei Piani regolatori vigenti, e poi di “approvazione di tutti gli atti di PGT”: a rigore, dunque, sembrerebbe trattarsi di due attività diverse, l’una successiva all’altra. Siccome però sarebbe abbastanza superfluo imporre ai comuni questo duplice adempimento, al di là del tenore letterale della norma non sembra illogico concludere che in realtà i comuni nei termini loro assegnati, più che “adeguare” i vecchi Piani regolatori, dovranno redigere i nuovi Piani di governo del territorio. A proposito di termini, può essere curioso rilevare come la legge regionale abbia fissato quelli (abbastanza rigorosi) entro i quali “avviare” i procedimenti di approvazione dei Piani di governo del territorio, ma non abbia fatto altrettanto in merito a quelli entro i quali concludere tali procedimenti, essendosi a tal fine limitata a rinviare alle procedure stabilite in proposito dalla Legge Regionale.


a cura di Sara Gilardelli

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Organizzazione professionale Organizzazione professionale, ossia? Tutti quegli aspetti di contorno alla nostra professione, oggi sempre più numerosi ed in continua evoluzione, riguardo ai quali non sempre si ha tempo e modo di aggiornarsi con tempestività. Si tratta di tematiche forse un po’ ostiche, non proprio entusiasmanti, ma spesso necessarie e complementari alla nostra attività. Cercheremo quindi di proporre in chiave diretta e concreta alcuni di questi aspetti per offrire al lettore approfondimenti, aggiornamenti legislativi, memorandum, opportunità per agevolazioni, indicazioni procedurali e quant’altro possa essere utile. Affronteremo aspetti di natura legale, come le responsabilità del tecnico asseverante e del direttore lavori o le modalità di recessione da un incarico; di natura fiscale, districandoci tra i diversi regimi di Partita IVA o seguendo lo sviluppo delle indicazioni per gli Studi di Settore; di taglio più burocratico, approfondendo adempimenti normativi quali il trattamento dei dati sensibili; di deontologia professionale, concretizzando, ad esempio, la discussione riguardo ai minimi tariffari o ai rapporti professionali tra architetti senior e iunior. Ci proponiamo, in breve, di offrire un quadro il più possibile completo, ma al tempo stesso snello e sintetico, lasciando indicazioni e contatti per successivi approfondimenti. Un primo interessante contributo viene dagli Ordini stessi che offrono agli iscritti, secondo modalità e caratteristiche differenti, alcuni servizi di consulenza, generalmente gratuiti. A partire dai servizi istituzionali presenti in tutti gli Ordini, quali l’istituzione di una Commissione Parcelle, che possa convalidare le parcelle emesse dai colleghi che ne fanno richiesta in caso di contenzioso, e la presenza di una delegazione di Inarcassa disponibile ad assistere i propri iscritti, diversi Ordini mettono a disposizione la possibilità di ricevere una prima consulenza in materia fiscale, legale, deon-

tologica e di “pratica professionale”. Si tratta di servizi informali tenuti da professionisti specializzati in materia ai quali è possibile rivolgere i quesiti più diversi, da una prima sbozzatura procedurale, all’interpretazione di un contenzioso. Da una rapida indagine emerge che i servizi sono molto apprezzati e frequentati soprattutto dai colleghi più giovani che trovano modo di sanare dubbi e incertezze inevitabilmente legati alla mancanza di esperienza. Tra i colleghi più navigati il servizio non è molto conosciuto ma altrettanto apprezzato soprattutto quale primo orientamento cui far seguire, se è il caso, una consulenza più approfondita.

Vediamo di seguito quali sono le problematiche più ricorrenti nelle diverse consulenze. Tariffe professionali A differenza del servizio istituzionale offerto dalla Commissione Parcelle, volto alla convalida di parcelle in caso di contenzioso, questo servizio è istituito con l’intenzione di fornire ai professionisti che lo desiderano una consulenza preliminare alla definizione dell’incarico professionale. Fornisce pareri unicamente verbali, che in nessun caso costituiscono presup-

posto di convalida, relativamente a prestazioni ancora da svolgere, quesiti relativi ai disciplinari di incarico, applicazione delle Tariffe Professionali, criteri di calcolo degli onorari. Procedure e normative edilizie Offre consulenza per gli aspetti procedurali legati principalmente ai titoli abilitativi e edificatori sia nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, sia nel rapporto con i committenti. Tra le tematiche più ricorrenti: qualifica delle diverse tipologie di intervento (manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione, nuova edificazione), adempimenti necessari alle procedure abilitative (D.I.A., Super D.I.A., permesso di costruire, varianti, fine lavori, abitabilità), legittimità delle procedure, decorso dei termini di silenzio assenso. Aspetti legali sulla disciplina urbanistico-edilizia Offre consulenza legale in materia urbanistico-edilizia: procedimenti amministrativi relativi agli interventi edilizi, appalti di lavori pubblici, concorsi di progettazione e gare d’appalto, certificazioni di conformità legale degli interventi, ogni altro aspetto inerente tutele speciali (ambientali, storico-artistiche) di natura amministrativa, procedimenti sanzionatori civili, amministrativi e penali, procedure di condono e sanatoria edilizia, espropriazioni, vincoli e piani attuativi. Sono esclusi pareri e memorie scritte o atti giurisdizionali che saranno oggetto di rapporti convenzionati, per chi ne vorrà usufruire. Aspetti legali in materia di Diritto Civile Offre consulenza in merito ai diversi ambiti trattati nel Diritto Civile: contrattualistica (disciplinare di incarico, revoche-rinunce all’incarico, inadempimenti contrattuali, contratto d’appalto…), responsabilità del progettista, responsabilità del Direttore Lavori, responsabilità del tecnico asseverante (D.I.A.), diritto d’autore, collaborazione con studi, prestazione di mezzi e prestazione di risultato (per Direzione Lavori), ecc.


Inarcassa I funzionari Inarcassa sono disponibili per chiarimenti in merito a iscrizioni e cancellazioni, sanzioni, pensioni, ricongiunzioni, riscatti, richieste di mutuo per prima casa o studio, richieste di abitazione o studio in locazione, dichiarazioni dei redditi a Inarcassa, modulistica e consulenza sulla compilazione, informazioni a congiunti superstiti del professionista, informazioni su rapporti con altre Casse di Previdenza e vari aggiornamenti statutari e legislativi. S. G.

Consulenza agli iscritti Qui di seguito illustriamo il quadro delle consulenze disponibili presso gli Ordini provinciali. Bergamo Sono possibili, solo su richiesta (tel. 035219705), appuntamenti per pareri relativamente a: • disciplina urbanistico-edilizia; • aspetti fiscali; • aspetti legali. Brescia Sono possibili, solo su richiesta (tel. 0303751883), appuntamenti per pareri relativamente a: • aspetti fiscali; • aspetti legali. Cremona Si prevede di istituire a breve alcuni servizi di consulenza agli iscritti; per informazioni tel. 0372535422. Lecco Si prevede di istituire a breve alcuni servizi di consulenza agli iscritti in materia legale, fiscale e di deontologia professionale, tenuti da consulenti esterni e da consiglieri dell’Ordine. Per informazioni tel. 0341287130. Mantova Sono possibili contatti diretti tra professionisti iscritti all’Ordine per pareri relativamente ad aspetti di deontologia ed esercizio della professione (tel. 0376328087). Milano Presso la sede dell’Ordine sono istituiti diversi servizi di consulenza agli iscritti tenuti da professionisti in materia. Si possono richiedere, solo su appuntamento (tel. 0262534355) e con cadenza variabile, pareri relativamente a: • tariffe professionali (arch. Carlo Lanza) settimanale: lun., 14.30 – 16.30; • procedure e normative edilizie (arch. Giulio Orsi) quindicinale: mer., 14.30 – 18.30;

• aspetti fiscali (dott. Attilio Marcozzi) mensile: mer. o gio., 14.30 – 18.30; • aspetti legali sulla disciplina urbanistico-edilizia (avv. Costantino Ruscigno, Studio Legale Mantini e Associati) mensile: gio. o ven., 14.30 – 18.30; • aspetti legali in materia di Diritto Civile (avv. Mario Battaglia, Studio Legale avv. Danovi) mensile: gio. o ven., 14.30 – 18.30; • Inarcassa (funzionari Inarcassa) mensile: mer. e gio., 9.30 – 13.00 e 15.00 – 18.00/19.00 • utilizzo di software per la progettazione (supporto telefonico OneTeam, per prodotti Autodesk) settimanale: mar. e gio., 15.00 – 18.00; tel. 0247719331. Pavia Sono possibili, solo su richiesta (tel. 038227287), appuntamenti o contatti telefonici per pareri relativamente a: • sicurezza dei fabbricati (arch. Quintino Cerutti) Un pool di professionisti, architetti e geologi è disponibile, gratuitamente, per consulenze strutturali e geologiche; • privacy e trattamento di dati sensibili (dott. Angelo Senaldi); • aspetti fiscali (dott. Angela Martinotti).

41 PROFESSIONE ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE

Aspetti fiscali Offre consulenza in materia fiscale relativamente alle problematiche inerenti all’esercizio dell’attività di architetto quali: tenuta libri contabili, liquidazioni IVA, compilazione della dichiarazione dei redditi e dei questionari degli studi di settore, valutazioni circa l’esercizio dell’attività professionale in forma individuale o associata, esame di documenti emessi dall’Agenzia delle Entrate (avvisi bonari, inviti al contraddittorio, avvisi di accertamento). Sono escluse eventuali prestazioni aggiuntive come, ad esempio, la rappresentanza tributaria o la predisposizione di ricorsi presso le Commissioni Tributarie.


a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato

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Legge G.U. n. 181 del 5.8.2005 Serie generale Decreto 28 luglio 2005 Criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare Il Decreto all’Art. 1 definisce i criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici in attuazione dell’Art. 7 del Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, tenuto conto dell’Art. 15, comma 1, lettera f, della Legge 18 aprile 2005, n. 62. L’Art. 2 tratta le definizioni riportate all’Art. 2 del Decreto Legislativo 16 marzo 1999, n. 79, escluso il comma 15, nonché le definizioni riportate all’Art. 2 del Decreto Legislativo 29 dicembre 1003, n. 387, oltre alle seguenti: impianto o sistema fotovoltaico, potenza nominale, energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico, condizioni nominali, punto di connessione, data di entrata in esercizio di un impianto fotovoltaico, soggetto responsabile, soggetto attuatore, potenziamento, produzione annua media, rifacimento totale. L’Art. 3 stabilisce i criteri per individuare i soggetti che possono beneficiare dell’incentivazione, l’Art. 4 i requisiti minimi dei componenti e degli impianti. L’Art. 5 individua i princípi per la determinazione dell’entità dell’incentivazione per gli impianti fotovoltaici di potenza nominale non superiore a 20 kw; l’Art. 6 per impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 20 kw. L’Art. 7 fissa le regole di priorità per l’accesso all’incentivazione effettivamente riconosciuta. L’Art. 8 sancisce gli obbilighi connessi alla realizzazione dell’impianto. Gli artt. successivi riguardano le modalità e condizioni per l’erogazione dell’incentivazione. Decreto 15 settembre 2005 Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per i vani degli impianti di sollevamento ubicati nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi L’Art. 1 del Decreto stabilisce il campo di applicazione. Nel rispetto della Direttiva 95/16/CE, la regola tecnica allegata al Decreto si applica ai vani degli impianti di sollevamento installati nelle nuove attività

soggette ai controlli di prevenzione incendi ed in quelle esistenti, alla data di entrata in vigore del Decreto, in conformità alle prescrizioni di settore in materia di prevenzione incendi. L’Art. 2 definisce gli obiettivi che consistono nel minimizzare le cause d’incendio, limitare danni alle persone ed alle cose, limitare danni all’edificio ed ai locali serviti, limitare la propagazione ad edifici e/o a locali contigui, consentire ai soccorritori di operare in condizioni di sicurezza. L’Art. 4 riguarda la commercializzazione di materiali e prodotti. Gli Artt. 5 e 6 trattano delle disposizioni finali, abrogazioni ed entrata in vigore del Decreto. G.U. n. 238 del 12.10.2005 Serie generale Decreto 6 ottobre 2005 Individuazione delle diverse tipologie di architettura rurale presenti sul territorio nazionale e definizione dei criteri tecnico-scientifici per la realizzazione degli interventi, ai sensi della Legge 24 dicembre 2003, n. 378, recante disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell’architettura rurale L’Art. 1 individua le tipologia di architettura rurale e discipline applicabili. Sono pertanto individuate le tipologie di architettura rurale, gli spazi e le costruzioni adibiti alla residenza ed alle attività agricole, recinzioni e pavimentazioni, viabilità rurale storica, sistemi di canalizzazione, irrigazione ed approvvigionamento idrico, sistemi di contenimento dei terrazzamenti, ricoveri temporanei anche in strutture vegetali, elementi e segni della religiosità locale. L’Art. 2 stabilisce gli interventi ammissibili a contributo. L’Art. 3 individua le specifiche tecniche dei materiali, murature, solai, volte e coperture, facciate e superfici esterne, infissi e serramenti, pavimentazioni esterne e recinzioni, impianti tecnologici. L’Art. 4 istituisce un Comitato paritetico per l’architettura rurale. L’Art. 5 sancisce le modalità di collaborazione. B.U.R.L. 1° Suppl. straordinario al n. 40 del 4 ottobre 2005 Circ.R. 30 settembre 2005, n. 41 Prime indicazioni per l’applicazione della L.R. 27/2004 “Tutela e valorizzazione delle superfici, del paesaggio e dell’economia forestale”

La premessa riportata dal punto 1 della circolare fornisce talune indicazioni relative alle procedure amministrative e ad alcuni aspetti applicativi della L.R. 28 ottobre 2004, n. 27. Il punto 2 riguarda gli aspetti generali. Il punto 3 stabilisce la definizione di bosco, il punto 4 la tutela e trasformazione del bosco. Il punto 5 tratta dei vincoli idrogeologici e della trasformazione d’uso del suolo. Il punto 6 fissa le linee guida per la programmazione e pianificazione forestale. Il punto 7 considera le attività selvicolturali e norme forestali regionali, il punto 8 l’associazionismo e consorzi forestali. Il punto 9 istituisce l’Albo delle Imprese Boschive. Il punto 10 regolamenta la viabilità agro-silvo-pastorale, gru a cavo e fili a sbalzo. Il punto 11 fissa le modalità di vigilanza e le sanzioni. C. O.

Stampa Ambiente La Via diventa preventiva. Prima di iniziare l’esame il progetto deve essere approvato dagli enti locali interessati (da “Il Sole 24 Ore“ del 17.10.05) Il Testo unico sulla Valutazione d’impatto ambientale (Via) delinea il nuovo iter burocratico per l’approvazione delle opere pubbliche. Si tratta del primo corpo organico della normativa sull’esame “verde” a cui sono soggette le infrastrutture e gli impianti industriali. Una disciplina unitaria sulla Via in Italia è ancora assente, nonostante la prima direttiva europea, la 85/337, abbia compiuto vent’anni. Ora a racchiudere in un solo testo l’insieme delle disposizioni di legge ci prova il dicastero guidato da Altero Matteoli che, con la Legge 308/2004, ha ottenuto la delega per elaborare sei testi unici compreso, appunto, questo sulla Via. Ne è scaturito un Testo unico che si propone di recepire e coordinare le tre procedure autorizzative delineate dalla Ue: oltre alla Via, anche la “Vas” (Valutazione ambientale strategica su piani e programmi di opere pubbliche) e l’“Ipcc” (procedura per la prevenzione e la riduzione integrata dell’inquinamento riservata agli impianti industriali).


Se l’incarico è “sbagliato” niente compenso (da “Edilizia e Territorio” del 17-22.10.05) Il professionista che si vede annullare la delibera di incarico in autotutela deve rinunciare al compenso già pattuito. Lo precisa la Corte di Cassazione (I sezione civile) con la Decisione numero 17697, depositata il 2 settembre 2005: si tratta di un caso in cui i giudici hanno dovuto dirimere un contenzioso tra il Comune di Spadafora (Messina) ed un ingegnere al quale era stata affidata la redazione del Piano particolareggiato e del Regolamento edilizio. Due anni dopo il Consiglio comunale revocava l’incarico, ravvisando gravi vizi di illegittimità. Progettazione, meno rischi di esclusione a causa di errori commessi nel passato (da “Edilizia e Territorio” Commenti e norme n. 43, del 7-12.11.05) Il Consiglio di Stato chiarisce entro quali limiti nelle gare di servizi e forniture può scattare l’esclusione per chi ha commesso errore grave nella propria attività professionale: gli unici sbagli che contano sono quelli commessi in passato presso la stessa stazione appaltante che bandisce la gara. Sconti fino al 100% per le prestazioni accessorie (da “Edilizia e Territorio” Commenti e norme n. 43, del 7-12.11.05) Per il Consiglio di Stato un ribasso del 100% su alcune delle prestazioni accessorie non soggette a vincolo tariffario è legittimo. Inoltre, è automatico che per remunerare queste prestazioni si utilizzi parte dei compensi ottenuti per le prestazioni soggette a vincolo tariffario. La V Sezione del Consiglio di Stato, con la Decisone 20 ottobre 2005, n. 5893, ha ammesso la facoltà dei concorrenti alle gare di presentare offerte con ribassi anche sugli importi delle spese e dei compensi accessori, nei valori minimi previsti dal Decreto del 4 aprile 2001. Normative Con il Testo unico sulle costruzioni, mai più progetti realizzati senza il modello geologico (da “Edilizia e Territorio” Commenti e norme n. 43, del 7-12.11.05)

Le nuove Norme tecniche in materia di costruzioni, entrate in vigore lo scorso 23 ottobre, sono destinate ad imprimere una svolta culturale ed operativa al settore delle costruzioni. Il progettista non è più solamente il garante del rispetto di un complesso di norme tecniche prescrittive, ma diviene interprete delle prestazioni della costruzione e questo determina un aumento delle sue responsabilità. Tra i nuovi impegni previsti vi è l’obbligatorietà della formulazione del modello geologico, non più solo in presenza di particolari vincoli sismici o idrogeologici. Urbanistica Sui Piani attuativi Giunte più forti. Il Consiglio di Stato sospende l’ordinanza del Tar che bloccava i programmi approvati dagli Esecutivi (da “Edilizia e Territorio” del 17-22.10.05) Con l’Ordinanza n. 4548 del 28 settembre 2005, la IV sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dal Comune di Monza contro il provvedimento con cui il Tar Milano (sezione II, Ordinanza 1600/2005) aveva sospeso l’efficacia delle delibere di Giunta di adozione e approvazione, ex Articolo 14 della Legge Lombarda 12/2005, del Piano di lottizzazione proposto da una cooperativa. Il giudice di secondo grado consente che le delibere di Giunta, emanate dopo la legge urbanistica lombarda, ma in assenza dello strumento urbanistico generale da questa introdotto (Piano di governo del Territorio, Pgt), riacquistino piena efficacia, in attesa del giudizio di merito. Lombardia, la pianificazione con il database del territorio (da “Edilizia e Territorio” del 31.10-5.11.05) Per la progettazione e l’analisi territoriale, la Regione Lombardia potenzia il proprio database on line con un sistema informativo che mette a disposizione dati cartografici, foto aeree e satellitari, e permette di visualizzare a display fenomeni franosi e legati al dissesto idrogeologico. Attraverso un semplice browser sarà possibile rilevare per una determinata area le informazioni necessarie per supportare le amministrazioni locali nella realizzazione dei rispettivi Piani di Governo del territorio, previsti dalla L.R. 12/05. Ulteriori informazioni sono consultabili all’indirizzo www.cartografia.regione.lombardia.it/supportocomuni.

Edilizia Legge obiettivo, senza turbo la crescita dei big dell’edilizia (da “Edilizia e Territorio” Commenti e norme n. 43, del 7-12.11.05) Nel 2004 sono aumentati del 14% il giro d’affari e il portafoglio ordini delle 50 maggiori imprese di costruzioni, ma gli effetti del piano grandi opere sono ancora limitati. Crescono gli utili a macchia di leopardo, ma rallenta la redditività, a conferma della cronica fragilità del settore. Il numero speciale di Edilizia e Territorio contiene 50 schede sulle maggiori imprese di costruzione italiane e alcuni dati significativi richiesti per la qualificazione presso le Soa. Nuove case, triplicati gli oneri di urbanizzazione. Sconti per l’uso di materiali eco-compatibili. Costerà di più anche ristrutturare (dal “Corriere della Sera” del 2.11.05) Palazzo Marino incrementa gli oneri di urbanizzazione per le nuove costruzioni, l’ampliamento degli edifici esistenti e le ristrutturazioni. Con un’eccezione: chi costruirà con materiali eco-compatibili e garantirà un risparmio energetico si vedrà aumentare gli oneri di urbanizzazione “soltanto” del 50%. L’aumento varia dal 50% al 200%: ad esempio, per una residenza della zona “b” (quindi non centrale) oggi si pagano 26,62 euro al metro cubo di oneri di urbanizzazione. Con la nuova norma, la spesa balzerà a 76,82 euro al metro quadrato. Ma, rispettando gli accorgimenti per il risparmio energetico, si arriverà a pagare 38 euro a metro cubo. La nuova delibera entrerà in vigore quando verrà approvato il nuovo bilancio 2006. Il vincolo porta in dote gli sconti del Fisco. Le agevolazioni spettano solo con il riconoscimento del pregio storico-artistico; nessun beneficio negli altri casi (dal “Corriere della Sera” del 2.11.05) Il vincolo storico-artistico può convenire, soprattutto se riguarda un immobile, perché permette di versare in misura ridotta tutti i principali tributi e consente contratti di locazione libera. Avere questa consapevolezza dà una marcia in più ai professionisti che danno consulenza ai proprietari degli immobili; secondo l’Unesco il 60% dei beni culturali sono concentrati nel nostro Paese. M. O.

43 PROFESSIONE STRUMENTI

Professione


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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it

Cremona Inizia un nuovo quadriennio Come previsto dal D.P.R. 169/05 in data 3, 4, 5 e 6 ottobre si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Cremona per il quadriennio 2005/2009. Tra le numerose candidature (n. 30) si contavano autorevoli professionisti ed ex presidenti, tutti intenzionati ad occupare i 10 posti disponibili; infatti, l’undicesimo posto era riservato al titolare di Laurea breve (triennale) per il quale si era proposto un solo candidato. Le votazioni, a scrutinio segreto, si sono svolte nella massima legalità denotando una chiara scelta nell’individuazione degli eletti. Nelle prime riunioni si è provveduto alla distribuzione delle cariche e all’individuazione dei responsabili per le principali commissioni e precisamente: arch. Emiliano Campari, Presidente, residente a Casaletto Ceredano; dott. Gian Paolo Scaratti, Vice Presidente, residente a Castelverde; arch. Federica Fappani, Segretario, residente a Cremona; arch. Luigi Fabbri. Tesoriere, residente a Crema; arch. Luigi Agazzi, Consigliere, residente a Cremona; arch. Giuseppe Coti, Consigliere, residente a Crema; arch. Davide Cremonesi, Consigliere, residente a Crema; arch. Antonio Lanzi, Consigliere, residente a Soncino; arch. Fiorenzo Lodi, Consigliere, residente a Soresina; arch. Paola Samanni, Consigliere, residente a Crema; arch. iunior Fabio Rossi, Consigliere, residente a Cingia De Botti. Commissione Parcelle, responsabile: arch. Giuseppe Coti; Commissione Giovani, responsabili: arch. iunior Fabio Rossi e arch. Paola Samanni; Commissione Cultura, responsabili: arch. Luigi Fabbri e arch. Davide Cremonesi; Commissione Professioni, responsabili: arch. Emiliano Campari e arch. Giuseppe Coti; Commissione Lavori Pubblici, responsabili: arch. Luigi Agazzi e arch. Paola Samanni;

Commissione Territorio, responsabili: dott. Gian Paolo Scaratti, arch. Antonio Lanzi e arch. Giuseppe Coti; Commissione Internet, responsabili: arch. Luigi Agazzi e arch. Davide Cremonesi; Redattore AL e rapporti con la stampa: arch. Fiorenzo Lodi. Sono giunte alcune proposte per nuove commissioni, il Consiglio, valutati gli argomenti proposti, ha scelto di accorparli a quelle già esistenti; solo in un secondo momento, e se si verificherà l’esigenza di creare gruppi, si provvederà all’eventuale scorporo con creazione di apposita commissione. Per quanto riguarda il funzionamento dell’Ordine e delle commissioni, sono stati redatti e approvati appositi regolamenti, visibili nel nostro sito internet (http://www.architetticr.it/). A tale proposito si invitano tutti gli iscritti alla consultazione periodica del sito, che permette all’Ordine di evadere in tempo reale sia le richieste ordinarie che straordinarie, che eventuali richieste per la partecipazione attiva alle commissioni; sicuramente lo strumento on line permette a tutti una maggiore informazione e la possibilità di partecipazione attiva nelle scelte dell’Ordine; archiviando definitivamente l’antica prassi delle scelte affrettate ricadenti tra i soliti pochi o scaturite da conoscenza personale. Tra le novità, si preannuncia la possibilità di accedere gratuitamente, sotto l’egida dell’Ordine, ad un sito in cui si potrà consultare una banca dati on line con oltre 1000 bandi attivi, bollettini periodici d’informazione, rassegna stampa, calendari eventi, nuovi prodotti e concorsi d’idee. Fiorenzo Lodi

Milano

a cura di Laura Truzzi Designazioni • INFRASTRUTTURE LOMBARDE SPA: richiesta di rappresentanti per la Commissione Giudicatrice “Appalto integrato mediante licitazione privata per l’affidamento della progettazione

esecutiva e dei lavori di realizzazione dell’Altra Sede della Regione Lombardia”. Il Consiglio dell’Ordine ha nominato i seguenti professionisti: Franco DE NIGRIS, Marco Ernesto PESTALOZZA. • COMUNE DI VAREDO: richiesta nominativi per sostituzione componente di Commissione Edilizia Comunale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Massimo BALZAROTTI, Samuele MANZOTTI, Renzo TERZOLI. • COMUNE DI BAREGGIO: richiesta rappresentante per commissione giudicatrice del Concorso di idee per la realizzazione di una nuova Scuola per l’infanzia in località San Martino. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Linda POLETTI. • Impresa ROTA COSTRUZIONI S.R.L. di Inzago: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di nuovo edificio composto da n.4 abitazioni in Comune di Inzago. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Antonino DE BENEDETTO, Franco Roberto DELL’ACQUA BELLAVITIS, Sauro Ernesto VERGA. • Impresa Costruzioni Edilizie DANTE ARMANDO S.R.L. di Milano: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alle strutture di un edificio residenziale in Comune di Desio Via Dante s.n. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Sergio Roberto COLAUTTI, Eliseo PARESCHI, Elio Guido RONZONI. • Impresa Edile MANGIARACINA VITO di Agrate Brianza: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla realizzazione di un edificio residenziale costituito da due corpi separati fuori terra, con piano interrato in comune destinato a boxes per un totale di 4 unità in Comune di Lentate sul Seveso – Via Europa 10. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Elena BOSCIANO, Antonio CATALANO, Salvatore Augusto PINELLI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di I° in Scienze dell’Architettura del 27 settembre 2005. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Margherita BOLCHINI.


Serate • Programmi complessi di rigenerazione urbana. L’esperienza torinese 7 novembre 2005 Ha presentato: Antonio Borghi. Hanno partecipato: Cecilia Guiglia, Giovanni Mangano

Lunedì 7 novembre presso l’Ordine degli Architetti di Milano si è tenuto l’incontro Programmi Complessi di Rigenerazione Urbana. L’esperienza torinese, un’occasione di dibattito e approfondimento intorno ai temi della riqualificazione delle periferie. Ne hanno discusso l’architetto Giovanni Magnano, Direttore del Progetto Periferie della Città di Torino e l’architetto Cecilia Guiglia di Avventura Urbana. Il Progetto Periferie di Torino nasce nel dicembre del 1997 ed è un tassello importante del grande piano strategico di trasformazione e sviluppo sostenibile della città nel suo complesso che si dovrebbe concludere nel 2011. Per promuovere lo sviluppo locale in alcune aree della città che nel tempo hanno subito un processo di degrado, il Progetto utilizza un approccio integrato che comprende iniziative economiche, interventi urbanistici, attività sociali e culturali, e soprattutto la partecipazione dei cittadini. Un’idea ambiziosa, sulla quale c’è stato il coraggio di scommettere anche dal punto di vista delle risorse finanziarie, che oggi si avvicinano ai 600 milioni di euro composti da fondi investiti dal Comune di Torino, dall’Agenzia territoriale per la casa, dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino, dal Ministero per le infrastrutture, dall’Unione Europea e dai privati. Grazie a questi investimenti, in otto anni, sono nati nuovi poli urbani ed è sensibilmente diminuita la distanza tra il centro e gli altri quartieri, tanto che il 7 Novembre, giorno della conferenza all’Ordine di Milano, “La Stampa” di Torino titolava in seconda pagina “L’anomalia di Torino: è il centro che fa paura – risanati gli ex quartieri dormitorio, mentre le piazze storiche sono piene di disperati e pusher”. A parte le coloriture giornalistiche, dovute alle rivolte nelle banlieu parigine, i risultati ottenuti a Torino con i programmi complessi di rigenerazione urbana costituiscono un esempio significativo a livello europeo di come una città sia riuscita ad uscire con le proprie forze da una pesantissima crisi di deindustrializzazione. È dunque particolarmente interessante osservare i meccanismi grazie ai

quali si sono innescati una serie cicli virtuosi e una atmosfera di ottimismo diffuso che trova un coronamento nei Giochi Olimpici e nel Congresso mondiale dell’UIA (Unione Internazionale degli Architetti) del 2008. Durante l’incontro sono stati brevemente illustrati il progetto di animazione territoriale per l’ex area Mercati Generali, che fiancheggerà le grandi opere olimpiche e il piano strategico di intervento predisposto dall’Agenzia di sviluppo locale per Porta Palazzo e Borgo Dora, nell’ambito del progetto Porta Palazzo – The Gate. In questi otto anni il Settore periferie ha operato con modalità diverse, sviluppando tre filoni principali: gli interventi di riqualificazione fisica del territorio; gli interventi di sostegno allo sviluppo economico; gli interventi sociali e culturali. Molti di essi sono stati avviati, e alcuni già completati, restituendo spazi comuni ai cittadini, migliorando la qualità delle case, delle piazze, dei giardini e della vita sociale dei quartieri. Per quanto riguarda la riqualificazione urbana, nelle zone ove si è operato, sono stati restituiti ai residenti abitazioni rinnovate, nuovi centri e luoghi all’aperto dove incontrarsi. Nelle piazze Livio Bianco e Falchera, per esempio, l’obiettivo è stato ridisegnare completamente, insieme agli abitanti, lo spazio che rappresenta il luogo tipico ove si svolge la vita sociale del quartiere. Gli interventi di sostegno allo sviluppo economico, realizzati attraverso il Decreto Bersani, hanno riguardato 690 piccole imprese, commercianti e artigiani, per un investimento complessivo di circa 34 milioni di euro, metà dei quali provenienti da privati. In proposito una delle aree più attive è San Salvario, dove si è dato sostegno a molte attività commerciali, come negozi di prodotti etnici in uno scenario multiculturale. Ma anche in via Ivrea, Basso San Donato e via Artom sono nate esperienze significative. Così come, a Porta Palazzo, “Balon al centro”, con il cortile del Maglio, destinato ad ospitare insediamenti artigianali, e l’area pedonale realizzata sull’ex canale Molassi. Per quanto riguarda gli inter-

venti sociali e culturali, partendo dai bisogni reali dei cittadini, dalle tradizioni e dalle risorse locali, pian piano si è giunti alla realizzazione di opere e attività, con esiti concreti e visibili. Oggi si può contare su una fitta rete di tavoli sociali, che accompagnano la trasformazione del territorio. I soggetti che hanno contribuito a crearla sono molti: accanto ai dipendenti del Settore Periferie, degli altri Settori comunali, dell’ATC, delle Circoscrizioni e degli altri Enti pubblici coinvolti, infatti, ci sono imprese sociali, organizzazioni sindacali e del volontariato, comitati spontanei e di quartiere, associazioni varie, che hanno partecipato con l’investimento di proprie risorse umane ed economiche in un ruolo paritario a fianco della Città. Torino in questi otto anni è stata un “laboratorio” di sperimentazione per la rigenerazione urbana e lo sviluppo locale; ha elaborato un proprio metodo di lavoro e lo ha applicato a modelli europei e internazionali. Le sue periferie stanno ridiventando centri abitati da persone orgogliose di appartenere a quel territorio, che ne recuperano le tradizioni e ne vivono positivamente la realtà, in una cornice urbana equilibrata. • Osservatorio concorsi. 4 anni di concorsi in Provincia di Milano 10 novembre 2005 Hanno cordinato: Valeria Cosmelli, Marco Engel. Hanno partecipato: Pietro Mezzi, Paolo Radice, Enrico Togni, Giovanni Verga La presentazione, avvenuta presso la sede dell’Ordine il 10 novembre scorso, del CD Rom Concorsi nella Provincia di Milano 2000-2003, si è aperta con la proiezione di alcuni dei contenuti della pubblicazione, frutto della collaborazione tra Provincia di Milano e Fondazione dell’Ordine. Questo significativo e didattico documento contiene tutti i bandi dei concorsi di architettura svolti nella Provincia a partire dal gennaio del 2000 e completati entro il dicembre 2003 ricostruendone anche le vicende, gli esiti e, dove possibile, fornendo una prima rappresentazione delle opere realizzate. Un totale di trentasei ambiti di progettazione descritti

45 INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

• POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di I° livello in Disegno Industriale del 27 settembre 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Valeria Giacoma ARMANI, Gabriele Mario CASILLO, Monica MEZAN. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea “Corso di Studi P.T.U.A” D.M. 509/99 del 28 settembre 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giuseppe BROLLO, Caterina VARANO. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Disegno Industriale del 27 ottobre 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Marco Mario DUINA, Matteo Pietro CASATI. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 27 e 28 ottobre 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Lucia BERGO, Adele BUGATTI, Enrico CHIAPPETTI, Sandro ROLLA. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in Architettura del 28 ottobre 2005. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Umberto ANDOLFATO, Giorgio COSTANTINI, Jacopo DELLA FONTANA, Franco GALAVOTTI, George Alfredo LATOUR HEINSEN, Massimo MAGNI, Franco MISANI, Gianmarco MONTAGNA, Maurizio MONTI, Paolo RAPETTI, Claudio REATO, Vittorio RIGAMONTI, Eugenio VENDRAMET, Alberto ZONA. • POLITECNICO DI MILANO: designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea di II° livello in Architettura delle Costruzioni del 28 ottobre 2005. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Ezio Maria LISSONE.


INFORMAZIONE DAGLI ORDINI

46

con schede riccamente illustrate e riferiti a ventisette concorsi. Ne emerge un dato positivamente significativo: risultano realizzate o in corso di realizzazione il 60% delle opere oggetto dei concorsi di progettazione e il 40% di quelle oggetto dei concorsi di idee. È poco più di dieci anni che anche in Italia, come già avveniva in gran parte degli altri Paesi europei, si è diffusa la pratica del concorso di architettura fornendo un efficace strumento a disposizione di amministrazioni locali e di altri enti che vogliano offrire ai cittadini progetti e opere di qualità, in grado di rispondere al meglio alle esigenze che il territorio esprime. Inoltre i concorsi costituiscono anche un’opportunità per i progettisti che, indipendentemente dalla fama, hanno l’opportunità di avvicinarsi a temi progettuali di varia natura e complessità, confrontandosi con colleghi di esperienza e estrazione disciplinare differenti. Il merito di questa trasformazione può essere in parte attribuito all’entrata in vigore della Legge quadro nazionale sui lavori pubblici (Legge 109/94) e del relativo regolamento di attuazione (DPR 554/99). Le problematiche legate alla diffusione della procedura concorsuale sono spesso legate anche alla difficoltà dei potenziali enti banditori a organizzare competizioni in grado di riscuotere il desiderato successo di partecipazione. Da questa considerazione nasce l’iniziativa dell’Ordine di Milano di mettersi a disposizione per svolgere una funzione di concentrazione delle informazioni e delle esperienze per metterle poi a disposizione, per esempio, di quei comuni di piccole dimensioni che non sono attrezzati ad attivare una procedura concorsuale. Per meglio capire le problematiche e i vantaggi dei concorsi di progettazione sono stati invitati a raccontare la loro esperienza amministratori di realtà molto diverse: Paolo Radice (Assessore all’urbanistica, ai lavori pubblici e all’ecologia del Comune di Ceriano Laghetto) e Giovanni Verga (Assessore allo sviluppo del territorio del Comune di Milano) che, a scale diverse, hanno già sperimentato questa forma di progettazione.

Oltre che, in taluni casi, gli obblighi di legge, le tematiche progettuali peculiari e strategiche sono uno dei motivi principali che spingono a bandire un concorso piuttosto che a rivolgersi a un progettista fiduciario o scelto a curriculum. L’impegno per l’ente banditore non è da sottovalutare: Milano, che per complessità rappresenta sicuramente un caso limite, dispone di un ufficio dedicato. L’Ordine è già attrezzato per dare il suo supporto e anche la Provincia potrebbe in futuro collaborare istituendo un servizio di sportello di assistenza per le amministrazioni interessate. Nel complesso gli enti si fanno testimoni di soddisfazione sia per i risultati temporali che per quelli qualitativi. Qualche osservazione critica e suggerimento viene invece espressa dai progettisti intervenuti. Innanzi tutto emerge la perplessità per l’incongruenza tra la scelta della procedura concorsuale per raggiungere la massima qualità del progetto, con la scelta dell’impresa esecutrice solo sulla base del massimo ribasso che spesso equivale a realizzazioni di qualità non del tutto soddisfacente. Spesso i requisiti di progetto non sono sufficientemente precisi oppure risultano poco rispettati dal progetto vincitore. Inoltre i bandi da un punto di vista economico sono spesso sia disomogenei nella distribuzione dei premi tra i vari classificati, sia sproporzionati rispetto al valore dell’opera oggetto di progettazione. Si manifesta, infine, l’importanza del ruolo dell’Ordine di farsi garante nella nomina delle giurie affinché queste siano effettivamente super partes. È intenzione sia della Provincia che dell’Ordine considerare questo CD il primo di una serie, andando a costituire un appuntamento biennale utile ai professionisti, un incentivo agli amministratori affinché ricorrano sempre più allo strumento concorsuale applicato alla progettazione, un interesse per i cittadini sensibili alle tematiche dell’architettura e della trasformazione del territorio. Copia del CD Rom può essere richiesta presso la segreteria della Fondazione. Alessandro Ferrari

• Tessenow per esempio 17 novembre 2005 Ha presentato: Giorgio Grassi. Hanno partecipato: Rosaldo Bonicalzi, Michele Caja, Riccardo Campagnola. Occasione della serata è stata l’inaugurazione della mostra Disegni di Heinrich Tessenow dall’archivio della Kunstbibliothek di Berlino ospitata presso la sede dell’Ordine dal 17 al 30 novembre scorso, a cura di Michele Caja, Silvia Malcovati e Vittorio Uccelli con la collaborazione di Simone Cagozzi e fotografie di Marco Introini. Tre generazioni di studiosi hanno reso omaggio nel corso della serata a Tessenow, architetto “irregolare, particolare, scomodo” del periodo tra le due guerre. Apre la serata Giorgio Grassi descrivendo le caratteristiche di Tessenow e soprattutto l’influenza che questi ha avuto sulla sua formazione di architetto. Spesso paragonato a Loos, Tessenow è stato uno dei pochissimi che sono andati nella direzione opposta rispetto ai tradizionalisti e al Movimento Moderno, sia come architetto che come teorico dell’architettura. Grassi ha incontrato gli scritti di Tessenow proprio nel momento in cui cercava delle alternative ai suoi studi tradizionali; mentre tutti si confrontavano con il formalismo, gli unici che hanno dato risposte autentiche che venivano da analisi sincere, dirette e appassionate del lavoro dell’architetto e dell’architettura sono stati Tessenow, Loos e Hilberseimer. Giorgio Grassi chiude l’intervento con un accenno ai disegni esposti alla mostra: “commoventi e patetici, sembrano (a prima vista) disegni di favole per bambini mentre in realtà sono molto tecnici (disegni esecutivi) e, soprattutto, sono i disegni delle aspettative di chi li dovrà ricevere. Sono disegni senza abitanti perché sono fatti per essere occupati da chi effettivamente abiterà quegli spazi”. La serata prosegue con l’intervento di Rosaldo Bonicalzi, rappresentante della seconda generazione degli studiosi di Tessenow, per il quale intorno agli anni ’60, dove lo studio dell’architettura era scandito da varie figure ritenute geniali per le solu-

zioni trovate, gli scritti di Tessenow, Loos e Hilberseimer restituivano un senso alla scuola. Essi costituivano delle vere e proprie lezioni di architettura che tornavano a ristabilire nell’architettura un rapporto tra necessità e didattica. Riccardo Campagnola ha conosciuto l’architetto tedesco nel 1973 attraverso un libro scritto in un tedesco molto fitto, con dei disegni severi, ma con una strana aria familiare e un po’ liberty, principalmente prospettive, quasi mai schizzi. Si trattava di disegni molto concreti, mai idealizzati che rivelavano la quotidianità del disegno e la ricerca della completezza scenografica della rappresentazione. Chiude la serata Michele Caja, uno degli organizzatori della mostra nata dall’occasione del Festival dell’Architettura di Parma Ricchezza e povertà. La mostra non vuole costituire una novità e nemmeno una scoperta di Tessenow, in quanto già dal 1925 i suoi disegni sono stati più volte pubblicati, ma piuttosto vuole procedere criticamente sul materiale a disposizione per la messa a punto degli elementi basilari dell’architetto tedesco che permettono di individuare il lessico grammaticale specifico della sua opera che fonda sì le radici nel lavoro artigianale, ma che, nel carattere di generalità con cui essi vengono proposti si mantengono astorici, fuori dal tempo, e quindi ancora attuali. Elezioni per il rinnovo del Consiglio – 2005-09 • Iscritti ammessi al voto: 9.985 (9.971 sezione A + 14 sezione B) • Votanti: 1.085 (schede valide 1075, bianche 1, nulle 9) Hanno ottenuto voti e pertanto risultano eletti con le seguenti cariche (assegnate in data 20.12.2005): Daniela VOLPI (voti 346 – Presidente), Marco ENGEL (308 – Vice Presidente), Silvano TINTORI (263 – Vice Presidente), Alessandra MESSORI, sez. B (253), Franco RAGGI (248), Federico ACUTO (247), Antonio ZANUSO (245), Adalberto DEL BO (244), Maurizio CARONES (223), Annalisa SCANDROGLIO (217 – Tesoriere), Valeria BOTTELLI (215 – Segretario), Emilio PIZZI (204), Antonio BORGHI (196), Alberto


rio VALSASNINI (20), Emilio MANCINI (16), Andrea BERETTI (14), Paolo AGLIARDI (12), Francesco ANZIVINO (11), Fabio CASATI (10), Laura CAVANNA (6), Alessandra CILLI (6), Michele REBOLI (5), Paolo FRIGIERI (4), Andrea Alfredo ARGENTIERI (2), Enrico CHIAPPETTI (1), Francesca PROVANTINI (1).

Monza e Brianza La costituzione dell’Ordine Con la Legge 146/2004 è stata istituita la Provincia di Monza e Brianza. Il Ministro della Giustizia, vista l’istanza presentata da un gruppo di architetti residenti nel territorio della nuova provincia per la costituzione dell’Ordine degli Architetti PPC, acquisito il parere favorevole espresso dal Consiglio Nazionale, in data 5 ottobre 2005, ha decretato la costituzione dell’Ordine, nominando il sottoscritto, fra una terna di nominativi indicata dallo stesso Consiglio Nazionale, Commissario Straordinario con l’incarico di provvedere alla prima formazione dell’Albo ed alla convocazione dell’Assemblea per l’elezione del Consiglio entro 120 giorni dalla notifica del decreto. Avuta la completa notificazione degli atti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecco il 17 ottobre, il giorno stesso ho provveduto a mandarne copia all’Ordine di Milano, così da attivare la formazione del nuovo Albo. Il giorno successivo è stata inviata agli stessi, controfirmata dal Presidente dell’Ordine di Milano, lettera in cui si è comunicato che dal 5 ottobre 2005 tutti gli iscritti con residenza nella provincia di Monza Brianza sono iscritti d’ufficio al nuovo Ordine. L’insolita procedura della nomina di un Commissario, non per costituire un Ordine provinciale, ma per procedere alla prima formazione dell’Albo e alla convocazione dell’Assemblea per l’elezione del Consiglio dell’Ordine attivato con decreto ministeriale, è dovuta alle elezioni in corso per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine di Milano, così da evitare il ritorno alle urne nel giro di brevissimo tempo da parte degli iscritti di entrambi gli Ordini a seguito del

distacco dei residenti nel territorio della nuova realtà provinciale. Avendo avuto a disposizione 120 giorni per l’indizione delle elezioni del Consiglio, invece di farlo contestualmente a quelle di Milano, rischiando di trasformarle in un mero fatto burocratico, ho ritenuto opportuno utilizzare il periodo concesso per incontrare gli iscritti, trovando con loro soluzioni agli inevitabili problemi relativi alla formazione della nuova realtà istituzionale e stabilendo insieme il percorso che li porterà ad eleggere il loro Consiglio direttivo nel prossimo gennaio 2006. Nella riunione del 10 novembre, tenuta presso l’Urban Center di Monza, messo a disposizione dall’amministrazione comunale, sono stati affrontati i problemi di tipo burocratico, quali: nuovo numero di matricola, timbro, certificati, vidimazioni parcelle e quanto altro, confermando la disponibilità data dall’Ordine di Milano a continuare ad erogare i servizi normalmente forniti agli iscritti sino alla costituzione del Consiglio del nuovo Ordine. Nella stessa serata si è concordato il programma che porterà alla delibera d’indizione delle elezioni del Consiglio il prossimo 9 gennaio 2006, così da espletare la procedura prevista dal Regolamento elettorale entro la seconda metà di febbraio. É stata ribadita la possibilità, per coloro che hanno studio o domi-

cilio nel territorio provinciale di Milano, previa richiesta di trasferimento, di rimanere iscritti all’Ordine di Milano, conservando l’originario numero di matricola. É stato altresì stabilito che nella lettera di comunicazione dell’indizione delle elezioni del Consiglio sarà allegato il numero di matricola assegnato d’ufficio sulla scorta dell’anzianità d’iscrizione, oltre al regolamento elettorale contenente i tempi e le modalità sia della presentazione delle candidature che dello svolgimento delle votazioni. Nella stessa lettera sarà fissato dove e quando si svolgerà l’incontro con i candidati per la presentazione dei programmi. Sul sito dell’Ordine di Milano è stato predisposto un link con l’elenco degli iscritti al nuovo Ordine di Monza e Brianza con il relativo numero di matricola assegnato. Vista la disponibilità di alcuni colleghi a coadiuvare il sottoscritto Commissario nell’espletamento delle sue funzioni, è stato costituito un ristretto comitato che si sta occupando delle prime incombenze, quali la costituzione della segreteria operativa per affrontare le procedure elettorali, mentre la ricerca della sede e l’individuazione della tesoreria saranno definite dal nuovo Consiglio. Ferruccio Favaron Commissario Straordinario

Riceviamo da Carlo Aymonino

Venezia, 28 novembre 2005

47 INFORMAZIONE LETTERE

SCARZELLA (187), Giovanni Edoardo (Edo) ZANABONI (177). Inoltre, hanno ottenuto voti: Franco DE NIGRIS (174), Lorenzo SPARAGO (169), Paolo FERRARA (156), Giovanni LOI (151), Enrico MAGISTRETTI (151), Rinaldo SCAIOLI (147), Tomaso GRAY DE CRISTOFORIS (137), Giulia GRESTI (136), Rosanna GERINI (133), Michele CALZAVARA (128), Costanza Maria FAIT (126), Giovanna REZZONICO (125), Sergio Maria D. ROSSI (122), Patrizia POZZI (121), Massimo Alessio CELLA (119), Gionata RIZZI (119), Argia Emma CAPPONI (118), Marco DE ALLEGRI (118), Elena DURANTI (115), Giuseppe AMATO (114), Claudio Luca VALENTINI (113), Michy PETRUZZELLIS (112), Rita BERNINI (111), Giampaolo GUFFANTI (110), Guido DEGLI ESPOSTI (109), Paolo SALA (105), Stefano BELLINZON (104), Carlo Andrea BORGAZZI BARBO’ DI CASALMORANO (103), Giovanni OGGIONI (103), Maria Elisabetta SERRI (93), Guja Beatrice Paola GAZZA, sez. B, (87), Elena SALA (80), Fabio RADAELLI (79), Riccardo NAVA (65), Viviana Marilena BERTOLDI (64), Paola Velleda ROTTOLA (63), Simone HYBSCH (62), Maurizio SPADA (62), Andrea TARTAGLIA (61), Luca BAIO (55), Luca SALMOIRAGHI (53), Paolo Alberto ZORZOLI (53), Luisa GASPA (52), Marco Francesco BIANCHI (51), Clara Maria ROGNONI (50), Maurizio DE CARO (49), Corrado SERAFINI (49), Ugo FERRARI (48), Barbara PIGHI (48), Annalisa BARBIERI (47), Anna GIORGI (47), Silvia Maria Elena PAOLINI (46), Giacomo Cristoforo DE AMICIS (45), Alessandro CALVIPARISETTI (44), Stefano LUNGO (44), Francesco Claudio DOLCE (43), Silvia CANZI (42), Alessandro Dionigi BATTISTELLA (39), Elena LINGERI (38), Michele OTTANA’ (38), Carlo Maria NIZZOLA (37), Marco Guido SANTAGOSTINO (37), Silvia PIETTA (36), Danilo DE CRISTOFARO (34), Fabrizio PATRIARCA (34), Andrea Giuseppe DE MAIO (33), Patricia VIEL (33), Giancarlo GIUSTESCHI (31), Terenzio A. VALENTINO (31), Marco Emilio CERRI (30), Isabella Tiziana STEFFAN (26), Umberto DUBINI (25), Save-


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi Dicembre

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato)

1495,58

G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice-novembre 1969:100 Anno 2002 2003 2004 2005

48

Febbraio Marzo Aprile 1470 1467,96 1471,72 1475,49 1510 1504,37 1509,40 1511,91 1540 1537,02 1538,28 1542,04 1560 1555,86 1560,88 1563,39 1568,42

Maggio

Giugno 1480 1478,00 1480,51

1481,77

1513,16 1514,42

1518,19

1544,56 1548,32 1570 1570.93 1573,44

1549,58

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2002 2003

INDICI E TASSI

Gennaio 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00

2004 2005

dicembre 1978:100,72

Luglio

Agosto

Settembre Ottobre

Novembre Dicembre

509,35

511,52

512,39

512,82

513,69

514,56

515,86

517,17

517,60

522,38

523,25

523,69

524,12

525,43

526,29

527,60

528,03

529,34

529,34

532,38

533,68

534,55

535,86

536,29

537,16

537,16

537,16

538,46

538,46

541,07

542,81

543,68

544,55

545,85

546,72

547,16

548,02

548,02

508,04 520 520,64 531,94 540 540,20

Febbraio 114,97 117,46 119,28

Marzo 115,35 117,56 119,48

Aprile 115,54 117,85 119,86

anno 1995: base 100 Maggio 115,64 118,04 120,05

Giugno 115,73 118,33 120,24

Luglio 116,02 118,42 120,53

4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 2000: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 106,34 108,73 110,49

Gennaio 105,46 107,58 109,25

Febbraio 105,64 107,93 109,61

Marzo 105,99 108,02 109,78

Aprile 106,17 108,28 110,14

Maggio 106,26 108,46 110,31

Luglio 106,61 108,81 110,75

6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)

anno 1999: base 100

Anno 2003 2004 2005

Giugno 111,46 113,95 115,80

Luglio 111,73 114,04 116,08

2005 112,12

Gennaio 110,53 112,75 114,51

Febbraio 110,72 113,12 114,87

Marzo 111,09 113,21 115,06

Aprile 111,27 113,49 115,43

Maggio 111,36 113,67 115,61

7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

2001 103,07

1996 105,55

2003 108,23

2004 110,40

1997 108,33

1998 110,08

1999 111,52

1998 101,81

1999 103,04

Settembre 116,50 118,61 120,82

Ottobre 116,60 118,61 121,01

2000 105,51

2000 113,89

Agosto 106,79 108,99 110,93

Settembre 107,05 108,99 111,02

Ottobre 107,14 108,99 111,19

2002 111,12

Novembre Dicembre 107,40 107,40 109,25 109,25 111,19

gennaio 1999: 108,20 Agosto 111,92 114,23 116,26

Settembre 112,19 114,23 116,35

Ottobre 112,29 114,23 116,54

Novembre Dicembre 112,56 112,56 114,51 114,51 116,54 gennaio 2001: 110,50

novembre 1995: 110,60 2001 117,39

2002 120,07

2003 123,27

2004 116,34

2005 118,15

anno 1997: base 100

2001 108,65

Novembre Dicembre 116,89 116,89 118,90 118,90 121,01

dicembre 2000: 113,40

anno 1995: base 100

9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno

giugno 1996: 104,20 Agosto 116,21 118,61 120,72

anno 2001: base 100

2002 105,42

8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

1555,86

Giugno

506,30

Gennaio 114,77 117,08 118,90

1529,48

novembre 1978: base 100

3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2003 2004 2005

Settembre Ottobre Novembre 1490 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1520 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1550 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1580 1579,72 1580,97 1583,48 1583,48

Maggio

Febbraio Marzo

538,46

1577,21

Agosto

Aprile 510 510,65

Gennaio

519,78 530 530,21

Luglio

2003 113,87

2004 125,74

2005 127,70

febbraio 1997: 105,20

Interessi per ritardato pagamento

Con riferimento all’art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l’elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d’Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.

Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003

4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%

Con riferimento all’art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.

Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003

3,35% +7 2,85% +7

Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003

2,10% +7

Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11)

10,35% 9,85% 9,10%

Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004

2,01% +7

Comunicato (G.U. 8.1.2005 n° 5) dal 1.1.2005 al 30.6.2005

2,09% +7

Comunicato (G.U. 28.7.2005 n° 174)

dal 1.1.2004 al 30.6.2004 2,02% +7 9,02% dal 1.7.2005 al 31.12.2005 Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.

2,05% +7

9,01%

9,09% 9,05%

Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’Art. 1 della Legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’Art. 24 della Legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


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