AL 1/2, 2003

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gennaio-febbraio 2003

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Governo del Territorio

Mensile di informazione degli Architetti Lombardi

Proposta di articolato per il Governo del Territorio presentato dalla Regione Lombardia

Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi M ant ova M ilano Pavia Sondrio Varese

Atti Seminario del 15 novembre 2002 promosso dalla Consulta Regionale Lombarda e dall’I.N.U. Lombardia

Ordini degli Archit et t i delle Province di:

Contributi tematici

Consult a Regionale Lombarda degli Ordini degli Archit et t i via Solf erino, 19 - 20121 M ilano Anno 23 - Sped. in a.p. - 45% art . 2 comma 20/B - Legge 662/96 - Filiale di M lano



AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 1/2 Gennaio-Febbraio 2003

Editoriale di Stefano Castiglioni

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Legge per il Governo del Territorio Regione Lombardia, Direzione Territorio e Urbanistica

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Atti del Seminario del 15 novembre 2002 Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti e I.N.U. Lombardia

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Introduzioni di Stefano Castiglioni, Massimo Giuliani e Alessandro Moneta

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Primo modulo Valutazioni problematiche nodali e “strutturali” della Proposta di Legge interventi di Mario Rossetti, Giulia Rota, Marco Engel, Fortunato Pagano, Gianfredo Mazzotta, Claudio Baracca, Gianni Beltrame, Laura Pogliani, Iginio Rossi, Giuseppe Sala, Maria Cristina Treu, Gaetano Lisciandra, Massimo Ghiloni

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Secondo modulo Gli aspetti applicativi della nuova legge L’esperienza della legislazione regionale di seconda generazione interventi di Pierluigi Properzi, Marco Engel, Alfredo Viganò, Claudio Maffiolini, Giuseppe Franco Ferrari, Fausto Curti, Piergiorgio Vitillo, Michele Monte, Fiorella Felloni, Elio Mauri, Bruno Mori, Angelo Bugatti, Giulia Rota

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Contributi per la riforma della Legge urbanistica regionale Commissione Urbanistica della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, I.N.U. Lombardia

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Contributi tematici Silvio Delsante, Paolo Frenna, U.N.I.T.E.L, Aldo Vecchi

Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Roberta Castiglioni, Martina Landsberger Segreteria: Augusta Campo Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Fotolito Marf-Progetto Fotolito, Milano Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 24.700 copie

Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL

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Sommario

Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 www.consultalombardia.archiworld.it Segreteria: consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola, Ferruccio Favaron Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Guido Dallamano, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Gianfranco Bellesini; Segretario: Franco Andreu; Tesoriere: Gianfranco Bellesini; Consiglieri: Marco Brambilla, Giovanni Cavalleri, Gianfredo Mazzotta, Marco Ortalli, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 13.6.03) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guarnieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Giulio Barazzetta, Maurizio Carones, Arturo Cecchini, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Marco Ferreri, Jacopo Gardella, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza (Termine del mandato: 15.10.01) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Gianni M. Colosetti, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)


Stefano Castiglioni Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Editoriale

Il testo legislativo urbanistico ora proposto dalla Regione Lombardia va al di là della circostanza di un ulteriore provvedimento normativo per il territorio, come già sperimentato negli ultimi anni. In effetti, “la materia del governo del territorio” (così come definita dall’art. 117 della Legge Costituzionale) rientra nell’ambito così detto “concorrente”, cioè di competenza mista Regione-Stato, afferendo a quest’ultimo la determinazione dei princìpi. Le stesse definizioni di “territorio”, “governo del territorio”, “pianificazione”, che non possono risultare differenziate da regione a regione, travalicano con evidenza la specifica valenza regionale. Ed anche contenuti ed obiettivi, come le competenze delle provincie e delle regioni, la nuova riformulazione del piano Comunale, la compensazione, la premialità, investono settori che afferiscono i princìpi piuttosto che l’ambito applicativo. La sensazione è che si sia a fronte di una legge che in realtà riveste la fattispecie di una “prova in vitro”, di una sperimentazione per una nuova legge urbanistica nazionale. Per questo non vi è ragione di accogliere la sbrigativa pregiudiziale avanzata su detta nuova Legge Urbanistica, che afferma travalicare materia di Regione ed essere quindi suscettibile di incostituzionalità. E se in detta nuova disciplina urbanistica è possibile effettuare un distinguo tra carattere strutturale (propriamente di impianto, di metodo e di principio) da un lato e modalità gestionali applicative dall’altro, proprio su quest’ultimo aspetto gli Ordini degli Architetti Lombardi hanno teso soffermarsi, dato che ciò costituirà spazio di confronto e verifica per i progettisti (che dovranno redigere i piani secondo i nuovi criteri), per gli amministratori (che dovranno rispondere politicamente), per i tecnici comunali (che verranno preposti all’interpretazione e gestione). Si è indubbiamente a fronte di un percorso, di indubbia valenza strategica, ma nel contempo tutt’altro che semplice e di non immediata praticabilità, che necessiterà di un completo supporto di regolamenti e allegati, tenendo conto che lascia alle spalle uno strumento di riferimento (la L.R. 51/75) datato ma, va anche detto, collaudato. È dunque necessario evitare che si ripeta quanto già accaduto a proposito dei Lavori Pubblici con la Legge 109/94, dove a otto anni di distanza si è rimasti lontani da un assetto definitivo e chiaro. Una prima serie di osservazioni sul testo normativo ha di conseguenza mirato a: • una “rilettura” con correttivi atti, a garantire un più corretto raccordo con le definizioni di cui alla legislazione nazionale (art. 1, 3); • una riformulazione di articoli in funzione di evitare ambiguità, conflitto di competenze, interpretazioni improprie, espressioni atipiche (art. 4, 5, 6 e 12); • non eludere la problematica di “area metropolitana” (che è cosa diversa da quella della “città metropolitana”, essendo quest’ultima materia di esclusivo ambito statale ex art. 117 della Costituzione) e che sola può scongiurare la diffusa quanto problematica “voglia di nuove provincie” (art. 8); • evitare che l’osservatorio permanente alla programmazione possa ridursi ad un semplice centro di raccolta di dati statistici, venendo quindi meno nei confronti della pianificazione comunale qualsiasi verifica circa compatibilità, congruità e coerenza di strumenti e deliberazioni adottate in materia di territorio (art. 13); • precisare i contenuti (e quindi gli elaborati) costitutivi degli strumenti di pianificazione comunale e tener conto delle necessarie esigenze di semplificazione nell’elaborazione degli strumenti e dell’iter istruttorio per i Comuni minori (art. 14, 20); • introdurre specifici e oggettivi criteri di riferimento, per evitare rischio di discrezionalità ed eccessiva disomogeneità degli strumenti di pianificazione comunale e quindi fornendo limiti agli “ambiti multifunzionali” di cui all’art. 15, riconducendo (a proposito di compensazione e premialità) i “valori medi di mercati” piuttosto ai “valori e riferimenti catastali” (art. 16), garantendo comunque il raggiungimento della soglia minima di dotazione di suoli per servizi pubblici (non inferiore a quanto stabilito dalla legislazione nazionale), definendo la corrispondenza e/o equivalenza tra standards tradizionali metrici e standards innovativi/qualitativi (art. 17); • ricomprendere e valorizzare strumenti e procedure già introdotte dalla legislazione regionale di 2a generazione e positivamente sperimentate, quali le “concessioni convenzionate” ex comma 4, art. 5 L. 1/2001 (art. 19); • non limitare i contenuti e prerogative del Piano Provinciale (art. 22, 25); • considerare opportunamente sia esigenze di raccordo con la normativa territoriale in essere, sia di regime transitorio, sia di incentivazione ad avviare un generalizzato adeguamento e rilancio programmatorio nei Comuni lombardi (art. 30). Trattasi sicuramente di approfondimenti prevalentemente mirati a relazionare la disciplina urbanistica alla specificità e alle multiformi connotazioni delle diverse realtà territoriali, nella consapevolezza dell’esigenza irrinunciabile di raccordare “teorizzazione” ad “esito applicativo”.


Legge per il Governo del Territorio Proposta di articolato per il confronto istituzionale e disciplinare sugli strumenti territoriali di livello comunale e sovracomunale, sulla valutazione e il monitoraggio, sulle procedure e la concertazione, per la definizione della legge di Governo del Territorio (23 luglio 2002) Regione Lombardia, Direzione Territorio e Urbanistica Gruppo di lavoro interdisciplinare per l’elaborazione del Testo Unico della normativa urbanistica regionale in sostituzione e modifica della disciplina vigente Presidente: Alessandro Moneta (Assessore al Territorio e Urbanistica)

Legge per il Governo del Territorio

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Componenti esterni: Antonino Brambilla Angelo Bugatti Lucia D’Ettorre Gaetano Lisciandra Massimo Giuliani Giuseppe Sala Lanfranco Senn M. Cristina Treu Massimo Ghiloni Componenti interni: Mario Rossetti (Direttore generale Territorio e Urbanistica) Anna Bonomo Gian Angelo Bravo Alberto De Luigi Bruno Mori Giulia Clotilde Rota Segretario: Giovanni Leo

1. Norme e Princìpi generali Titolo I: DISPOSIZIONI GENERALI Art. 1 - Oggetto • 1. In attuazione delle potestà di legislazione concorrente di cui all’art. 117 della Costituzione, la presente legge regola la materia del governo del territorio lombardo, disciplinandone l’uso e le trasformazioni e definendo forme e modalità di esercizio delle competenze spettanti alla Regione e agli Enti locali, nel rispetto dei princìpi fondamentali desumibili dall’ordinamento normativo nazionale e nel rispetto dell’ordinamento comunitario. Art. 2 - Princìpi fondamentali • 1. La presente legge attua i princìpi di sostenibilità, partecipazione, collaborazione, flessibilità, sussidiarietà, adeguatezza, sostituzione, compensazione ed efficienza. Art. 3 - Definizioni generali • 1. Ai fini applicativi della presente legge vengono disposte le seguenti definizioni aventi valore univoco nel governo del territorio lombardo: - territorio: per territorio si intende lo spazio, naturalmente e giuridicamente definito, che contiene in forma interrelata l’insieme dei fattori fisico-naturali, sociali ed economici, storici e culturali, nonché dei sistemi infrastrutturali ed insediativi; - governo del territorio: il governo

del territorio concerne gli effetti di attività comportanti trasformazione ed uso dello spazio fisico, inclusa la disciplina del paesaggio e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali; - pianificazione attuativa: affronta le condizioni di conservazione, trasformabilità e rinnovo del territorio per spazi e tempi definiti; - pianificazione settoriale: affronta e risolve problemi connessi ad interventi specifici e deve, pertanto, correlarsi interattivamente con la pianificazione territoriale. Titolo II: SOGGETTI E COM PETENZE DEL GOVERNO DEL TERRITORIO - NORM E GENERALI Art. 4 - Competenze di Regione ed Enti locali - Norma generale • 1. Comuni, Province e Regione, nel rispetto della vigente Costituzione, disciplinano gli ambiti territoriali di rispettiva competenza applicando i princìpi e le norme enunciati dalla presente legge. • 2. In attuazione del principio di sussidiarietà, al Comune è riconosciuta la competenza principale e generale nella materia del governo del territorio. • 3. In attuazione del principio di adeguatezza, alla Provincia e alla Regione sono attribuite le competenze relative alla definizione, per i rispettivi ambiti territoriali, di linee

guida e indirizzi nel governo del territorio. • 4. In relazione alle caratteristiche della composizione territoriale e di popolazione della Regione, si definiscono come: - a) interessi comunali: quelli afferenti il territorio di uno o più comuni individuati, relativamente ad attività od interventi di incidenza limitata al relativo ambito territoriale; - b) interessi provinciali: quelli afferenti attività ed interventi, disciplinate dalle province stesse, di incidenza estesa al territorio dell’intera provincia o di più comuni non individuati o individuabili, o comunque di ambiti significativi del territorio provinciale nel suo complesso, nonché di ambiti di province tra loro confinanti; - c) interessi regionali: quelli afferenti attività od interventi aventi incidenza complessiva sull’intero territorio regionale o su ambiti dello stesso compresi in più province, o connessi all’esercizio di funzioni di esclusiva competenza regionale, o facenti parte di programmazioni di livello nazionale o comunitario. • 5. Ciascun Ente esercita le proprie competenze in relazione agli interessi della comunità rappresentata, promuovendone il massimo e sostenibile sviluppo. • 6. Ciascun Ente esercita, altresì, le proprie competenze coordinando la propria azione con gli Enti competenti su livelli territoriali pari o differenti, al fine di verificarne ed assicurarne la compatibilità con gli interessi del restante territorio e la coerenza con le iniziative e le attività concorrenti degli altri Enti. • 7. La presente legge disciplina le opportune forme di cooperazione e solidarietà tra gli Enti, in vista del complessivo ed equilibrato sviluppo del territorio regionale. Art. 5 - Competenze del Comune • 1. Il Comune, ente territoriale autonomo ai sensi dell’art. 114 Cost., nell’ambito della programmazione regionale e provinciale di cui ai successivi articoli, determina gli obiettivi e gli indirizzi della propria programmazione territoriale in coerenza con i contenuti della sua programmazione socio-economica, e disciplina l’uso e le trasformazioni del territorio. • 2. Spettano al Comune tutte le funzioni amministrative in materia di governo del territorio, eccettuate quelle potestà ed attribuzioni per legge riservate alla Regione, alla Provincia o ad altri Enti. • 3. In particolare spetta al Comune: - a) l’approvazione degli atti di programmazione e pianificazione territoriale generale, come disciplinati dalla presente legge, fatta salva la verifica di congruità dei relativi contenuti con quelli degli strumenti sovracomunali; - b) l’approvazione degli atti di pianificazione attuativa; - c) la promozione delle procedure di programmazione negoziata non riguardanti oggetti di prevalente interesse regionale; - d) l’organizzazione e la gestione dello sportello unico, e l’approva-

zione dei relativi atti autorizzativi, ivi compresi quelli in variante urbanistica nei casi previsti dalla presente legge, il rilascio dei titoli abilitativi alla costruzione e in genere la potestà di autorizzazione, assenso e verifica nelle attività di uso e trasformazione del territorio, secondo le forme di legge, comprese le autorizzazioni paesistiche, fatti salvi i casi previsti dalla presente legge; - e) l’attività di controllo sugli usi e le trasformazioni del territorio, e l’irrogazione delle relative sanzioni; - f) il monitoraggio dello stato e delle trasformazioni del territorio, e la fornitura dei relativi dati per l’aggiornamento dei sistemi informativi regionali e, ove esistenti, provinciali. Il Comune, inoltre, nelle forme previste dalla presente legge, provvede all’esercizio delle competenze ad esso delegate dalla Regione e dalla Provincia. • 4. Il Comune esercita tali funzioni nelle forme e con le modalità stabilite dallo statuto e dai propri regolamenti, nel rispetto della previsioni della presente legge, assicurando, mediante appositi strumenti, la partecipazione dei cittadini, la collaborazione con le altre istituzioni territoriali, il confronto e l’eventuale concertazione con i soggetti privati. Il Comune può esercitare dette funzioni anche sotto forma associativa con altri Enti territoriali. • 5. Il Comune partecipa, nelle forme previste, all’esercizio delle competenze in materia spettanti alla Regione e alla Provincia, in particolare concorrendo alla determinazione degli obiettivi della relativa programmazione socio-economica e territoriale. Art. 6 - Competenze della Provincia • 1. La Provincia, ente territoriale autonomo ai sensi dell’art. 114 Cost., esercita, in materia di governo del territorio, attività di programmazione, coordinamento, indirizzo e promozione in relazione esclusivamente agli interessi di livello provinciale, nel rispetto delle competenze di cui, ai sensi dell’articolo precedente, è titolare il Comune anche in associazione con altri comuni, nonché di disciplina degli usi e delle trasformazioni del territorio direttamente connessi a prevalenti interessi di rilievo regionale o sovraregionale. • 2. Le attività di governo del territorio che richiedono unitario esercizio a livello provinciale sono: - a) la programmazione del territorio provinciale, diretta a definire alla relativa scala gli obiettivi di sviluppo e i criteri di tutela ambientale fissati dalla programmazione regionale, e ad incentivare il coordinamento dell’azione programmatoria dei comuni, con le opportune previsioni di raccordo con la politica di spesa e la programmazione di settore della Provincia; - b) l’attività di assistenza generale e di orientamento tecnico ai comuni, la collaborazione nelle attività conoscitive e di monitoraggio della Regione.


Art. 7 - Competenze della Regione • 1. Alla Regione, ente territoriale autonomo ai sensi dell’art. 114 Cost., spettano in materia di governo del territorio funzioni di programmazione, coordinamento, indirizzo, promozione, orientamento e informazione nei confronti delle attività delle province e dei comuni, nonché di disciplina degli usi e delle trasformazioni del territorio direttamente connessi a prevalenti interessi di rilievo regionale o sovraregionale. • 2. Le attività di governo del territorio che richiedono unitario esercizio a livello regionale sono: - a) la programmazione generale del territorio, funzionale agli obiettivi di sviluppo e ai criteri di tutela ambientale di interesse regionale, nonché finalizzata al coordinamento con gli indirizzi di spesa incidenti su risorse finanziarie amministrate dalla Regione, e al raccordo con la restante programmazione regionale di settore; - b) la programmazione puntuale di ambiti interessati da processi di trasformazione, opere od interventi di rilevanza regionale o sovraregionale; - c) le attività di orientamento generale di carattere tecnico e normativo, comprese quelle della raccolta ed informatizzazione di dati cartografici, statistici e conoscitivi, e di monitoraggio del territorio,

nonché la verifica degli strumenti urbanistici comunali nel caso di cui all’art. 20, comma 6. • 3. In particolare, spetta alla Regione: - a) l’approvazione del piano territoriale regionale, recante la determinazione, in coerenza con i contenuti della propria programmazione socio-economica, degli obiettivi generali del governo del territorio di interesse regionale e dei conseguenti indirizzi per l’assetto del territorio regionale, nonché l’indicazione dei criteri di tutela ambientale; - b) l’approvazione di specifici atti di programmazione concernenti ambiti determinati, interessati da eventi o fenomeni di diretto e prevalente rilievo regionale o sovraregionale, nonché l’annullamento di titoli abilitativi edilizi contrastanti con tali atti o comunque con puntuali prescrizioni della pianificazione regionale; - c) la verifica sulla compatibilità dei piani territoriali provinciali, rispetto agli strumenti di programmazione regionale. - d) la promozione delle procedure di programmazione negoziata riguardanti interventi di prevalente interesse regionale, nonché la promozione di opportune iniziative concertative e di collaborazione, dirette a dirimere i conflitti insorti tra comuni e province nella ripartizione ed esercizio delle relative attribuzioni; - e) l’organizzazione e la gestione di strumenti informativi territoriali regionali. • 4. La Regione esercita tali competenze secondo lo statuto ed i propri regolamenti e nel rispetto delle previsioni della presente legge; ga-

rantisce l’osservanza di forme e modalità che assicurino il confronto e la concertazione con i comuni e le province, nonché la partecipazione dei cittadini. Art. 8 - Competenze della Città M etropolitana • 1. Le competenze della Città Metropolitana, qualora costituita, saranno oggetto di specifica disciplina normativa. Art. 9 - Competenze delle Comunità M ontane • 1. Le comunità montane, con il piano pluriennale di sviluppo socioeconomico, possono formulare indicazioni urbanistiche che concorrono alla formazione del piano territoriale provinciale. La Provincia, previa verifica della compatibilità con gli obiettivi generali della programmazione economica, sociale e territoriale della Regione e propri, inserisce le previsioni del piano della comunità montana nel proprio piano territoriale. • 2. Ove le comunità montane recepiscano le previsioni del piano territoriale provinciale, il piano viene approvato direttamente dalla comunità montana, senza necessità di trasmissione alla Provincia per la sua approvazione. • 3. Le comunità montane esercitano le competenze di programmazione socio-economica loro attribuite, garantendo la collaborazione e il coordinamento con i comuni interessati; i relativi atti hanno, rispetto agli strumenti comunali di governo del territorio, efficacia di indirizzo specifico per le tematiche di interesse comune dell’area montana, con esclusione di ogni effetto di prevalenza.

• 2. La valutazione fa riferimento al Sistema Informativo Territoriale di cui al precedente articolo 11: evidenzia la congruità delle scelte rispetto agli obiettivi e le possibili sinergie con quelle degli altri enti territoriali; individua i potenziali impatti connessi ai nuovi piani territoriali e di governo del territorio e le misure di mitigazione e/o di compensazione; permette di verificare gli esiti attesi e di coordinare le scelte di piano, in rapporto alle esigenze di flessibilità e di eventuali modifiche al piano stesso. • 3. La valutazione indica le scelte coerenti, anche in raffronto alle scelte strategiche dei piani territoriali provinciali o dei piani territoriali regionali, relative a determinati ambiti territoriali. • 4. Sino all’approvazione dei criteri regionali, l’Ente territoriale competente ad approvare il piano territoriale o il piano di governo del territorio, nonché i piani complessi che comportino ad essi variante, ne valuterà la sostenibilità ambientale secondo criteri evidenziati nel piano stesso. • 5. La valutazione della sostenibilità ambientale non si applica ai piani già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge.

2. Strumenti di Governo del Territorio

Art. 13 - Osservatorio permanente della programmazione • 1. La Giunta regionale, nel termine di sei mesi dall’adempimento di cui al comma 3 dell’art. 11, costituisce l’Osservatorio permanente delle programmazioni, al quale partecipano rappresentanti degli enti locali. L’Osservatorio, con l’utilizzo degli elementi conoscitivi forniti dal Sistema Informativo Territoriale di cui all’art. 11, provvede al monitoraggio delle dinamiche territoriali e alla valutazione degli effetti derivanti dall’attuazione degli strumenti di pianificazione e programmazione.

Titolo I: NORM E GENERALI

Titolo II: PIANIFICAZIONE COM UNALE DI GOVERNO DEL TERRITORIO

Art. 10 - Correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale • 1. Il governo del territorio si attua mediante una pluralità di piani, fra loro coordinati e differenziati, i quali, nel loro insieme, determinano la pianificazione del territorio stesso. Art. 11 - Strumenti per il coordinamento e l’integrazione delle informazioni • 1. La Regione, in coordinamento con gli Enti locali, cura la realizzazione di un sistema di informazioni territoriali integrato, al fine di disporre di elementi conoscitivi necessari alle scelte di programmazione generale e settoriale e di pianificazione del territorio. A tal fine struttura un Sistema Informativo Territoriale finalizzato alla realizzazione del quadro delle conoscenze del territorio, dinamico ed aggiornato in modo continuo, fondato su basi di riferimento geografico condivise tra gli enti medesimi.

• 2. Gli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale a diverso livello ed i relativi studi conoscitivi territoriali devono essere riferiti a basi geografiche e cartografiche congruenti per potersi tra loro confrontare e permettere analisi ed elaborazioni a supporto della gestione del territorio, nonché consentire le attività di valutazione di cui all’art. 12. • 3. La Giunta regionale, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge definisce le modalità di concertazione e partecipazione degli enti locali allo sviluppo di un sistema informativo territoriale integrato e le modalità di trasmissione dei dati. Art. 12 - Valutazione della sostenibilità ambientale dei piani. • 1. I piani territoriali e i piani di governo del territorio, nonché i piani complessi che comportino ad essi variante, sono corredati di valutazione della sostenibilità ambientale redatta secondo i criteri che la Giunta regionale dovrà approvare entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge.

Art. 14 - Pianificazione comunale • 1. Sono strumenti della pianificazione comunale: - a) il piano di governo del territorio; - b) il piano dei servizi; - c) il piano di assetto morfologico; - d) i piani complessi comunali e gli strumenti della programmazione negoziata. Art. 15 - Piano di Governo del Territorio • 1. Il piano di governo del territorio (P.G.T.) definisce l’assetto dell’intero territorio comunale mediante: - a) la definizione del quadro conoscitivo del territorio come risultante dalle trasformazioni avvenute, e la individuazione degli obiettivi e delle azioni di sviluppo che abbiano valore strategico per la politica urbana, e siano compatibili con finalità di tutela ambientale, e coerenti con le scelte e le invarianti di livello sovracomunale, nonché con quelle

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Legge per il Governo del Territorio

• 3. Spetta, in particolare, alla Provincia: - a) l’approvazione del piano territoriale provinciale, fatta salva la verifica di congruità dei relativi contenuti con quelli degli strumenti regionali; - b) la verifica della compatibilità degli atti di programmazione e pianificazione generale dei comuni, con gli atti di programmazione e pianificazione territoriale di competenza provinciale; - c) la partecipazione alle attività dello sportello unico per le imprese per l’espletamento delle verifiche relative all’approvazione di atti in variante alla strumentazione urbanistica comunale; - d) i poteri sostitutivi in materia urbanistico-edilizia previsti dalla presente legge; - e) la raccolta di dati ed informazioni territoriali nell’ambito provinciale, collaborando al Sistema Informativo Territoriale. • 4. La Provincia esercita tali funzioni nelle forme e con le modalità stabilite dallo statuto e dai propri regolamenti, nel rispetto della previsioni della presente legge, garantendo il confronto con i comuni e le altre istituzioni locali, mediante apposite forme di concertazione, nonché la partecipazione dei cittadini. • 5. La Provincia, inoltre, partecipa, nelle forme previste, all’esercizio delle competenze spettanti in materia di governo del territorio alla Regione, in particolare concorrendo alla definizione degli obiettivi della relativa programmazione territoriale.


Legge per il Governo del Territorio

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locali di natura paesistica, ambientale, storico-monumentale e infrastrutturale; - b) la ricognizione degli immobili assoggettate alle tutele nonché l’individuazione delle aree ed edifici a rischio in base alla normativa statale o regionale; - c) il recepimento delle scelte strategiche contenute negli atti di pianificazione sovracomunale e la proposizione, a tale livello, di obiettivi di interesse comunale; - d) la individuazione delle modalità di intervento sul territorio comunale, articolato in ambiti multifunzionali, e non distinto in zone, anche in relazione ai programmi di sviluppo, al piano dei servizi, ed al piano di assetto morfologico; - e) la programmazione dei tempi di attivazione dei piani complessi in attuazione delle azioni di sviluppo; - f) l’elaborazione di regole e criteri, necessari per la redazione del piano dei servizi, del piano di assetto morfologico e dei piani complessi comunali, nonché per l’attuazione di connesse iniziative di compensazione e di premialità urbanistiche. • 2. Il P.G.T. è aggiornato con periodicità almeno quinquennale, ed è sempre modificabile. Art. 16 - Compensazione e premialità • 1. Il P.G.T. può individuare ambiti cui attribuire diritti edificatori uniformi, indipendentemente dalle destinazioni d’uso, in proporzione alla percentuale del complessivo valore economico detenuto da ciascun proprietario e sulla base dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della formazione del P.G.T. La determinazione del valore viene effettuata in funzione dei seguenti parametri: - dimensione e stato di conservazione; - caratteri urbanistici ed ambientali; - dotazione di servizi ed infrastrutture; - caratteristiche tipologiche e costruttive; - valore medio di mercato. Ai diritti edificatori di cui sopra si aggiungono le volumetrie esistenti. • 2. Sulla base delle indicazioni del P.G.T., i piani complessi e gli atti di programmazione negoziata assicurano la ripartizione dei diritti edificatori e degli oneri per le dotazioni urbanizzative tra tutte le proprietà interessate, mediante l’attribuzione di un identico indice di edificabilità territoriale. Ai fini della realizzazione della volumetria complessiva derivante dall’indice di edificabilità attribuito, i diritti edificatori sono concentrati a livello fondiario su una porzione dell’ambito. Le aree destinate agli interventi di pubblica utilità sono trasferite gratuitamente al comune per la realizzazione di servizi ed infrastrutture, nonché per la loro utilizzazione per compensazioni urbanistiche da attuare tramite permuta di aree finalizzata alla realizzazione di interessi pubblici. I diritti edificatori privati sono liberamente

commerciabili all’interno dell’ambito ovvero tra ambiti diversi, salvo esclusioni disposte dal P.G.T. e possono essere acquistati anche da soggetti originariamente non proprietari degli immobili. • 3. Alle aree destinate a standard, al di fuori degli ambiti individuati, possono essere attribuiti, in termini di indici territoriali, diritti edificatori che possono essere trasferiti sulle aree edificabili ricomprese negli ambiti previsti dal P.G.T., oppure, in termini di indici fondiari, tali diritti possono essere utilizzati per interventi su aree non soggette a piano attuativo. Detti diritti possono essere, altresì, trasferiti su un’altra area della medesima proprietà ovvero su un’area pubblica ricevuta in permuta, oppure, sulla base delle indicazioni del piano dei servizi, il proprietario può realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale, mediante accreditamento o stipula di convenzione con il comune per la gestione del servizio. • 4. In attuazione delle previsioni di cui ai precedenti commi, le aree destinate alla realizzazione di servizi e infrastrutture ed alle compensazioni sono cedute gratuitamente al comune. • 5. I comuni possono prevedere, in favore dei soggetti titolari di concessione o autorizzazione edilizia, che subiscono limitazioni del diritto di edificazione in conseguenza dell’apposizione di vincoli ambientali di cui al D. Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 sopravvenuti successivamente al rilascio di tali provvedimenti abilitativi, idonee misure compensative, eventualmente consistenti nella possibilità di trasferire su aree diverse, concordate tra lo stesso comune e i soggetti interessati, la facoltà di edificare, con contestuale cessione al comune, a titolo gratuito, dell’area sottoposta a vincolo ambientale. Analoghe misure compensative, finalizzate anche alla sola gestione economica del bene, possono prevedersi a favore di soggetti titolari di diritti reali su immobili ricompresi in piani attuativi approvati e sottoposti a vincolo ambientale sopravvenuto dopo la stessa loro approvazione. • 6. Il P.G.T. può prevedere e fissare a fronte di rilevanti benefici pubblici, aggiuntivi a quelli dovuti e coerenti agli obiettivi fissati, una disciplina premiale per interventi finalizzati alla riqualificazione urbana, consistente nell’attribuzione di una maggiore capacità edificatoria rispetto ad una percentuale massima determinata dallo stesso P.G.T. Art. 17 - Piano dei servizi • 1. Il piano dei servizi, in coerenza con gli obiettivi di sviluppo del P.G.T. e con quelli di trasformazione e conservazione del piano di asset t o morfologico: - a) programma l’assetto dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale determinandone gli aspetti, anche non connessi ad aree o immobili, qualitativi, quantitativi e localizzativi e definendo contestualmente la capacità insediativa cui tali previsioni ineriscono;

- b) connette le proprie previsioni con quelle della programmazione comunale delle opere pubbliche e delle infrastrutture, anche al fine di determinarne i contenuti vincolistici, definendone le modalità, i criteri ed i tempi della loro operatività; - c) elabora criteri di realizzazione e gestione degli interventi pubblici e di interesse pubblico o generale, valorizzando ed incentivando anche l’iniziativa dei privati. • 2. Il piano dei servizi non ha termini di validità ed è sempre modificabile. In particolare, può essere modificato in connessione alla adozione del piano di governo del territorio o sue varianti. Art. 18 - Piano di assetto morfologico • 1. Il piano di assetto morfologico definisce gli indirizzi e i parametri delle aree di interesse urbano e paesaggistico individuate in base a criteri e regole del P.G.T. • 2. In particolare esso contiene: - a) l’individuazione delle modalità di intervento nelle aree storiche, nonché l’eventuale completamento o l’ampliamento degli edifici nel rispetto dell’impianto urbano esistente; - b) i criteri e i princìpi insediativi da seguire nelle aree di nuovo impianto e di rilevanza territoriale; - c) l’individuazione di sistemi ambientali e elementi naturali e rurali con condizioni di trasformabilità secondo indirizzi, parametri e salvaguardie; - d) l’individuazione di eventuali caratteristiche insediative che conformano la città da rispettare in caso di eventuali interventi integrativi; - e) i criteri di valorizzazione per gli immobili vincolati. • 3. Gli indirizzi e i parametri di cui alle lett. a, b, c, consistono in particolare nella identificazione di: - allineamenti, orientamenti e percorsi; - indici volumetrici e rapporti di copertura; - altezze massime e minime; - modi insediativi che consentono continuità di elementi di verde e servizi. • 4. Il piano di assetto morfologico non ha termini di validità ed è sempre modificabile. Art. 19 - Piani complessi comunali • 1. Il documento costituente il piano di governo del territorio, dispone che l’attuazione degli interventi di trasformazione e sviluppo ivi indicati, avvenga mediante l’approvazione di piani complessi comunali, rappresentati da tutti i piani attuativi previsti dalla legislazione statale e regionale. • 2. Il P.G.T. connette direttamente le azioni di sviluppo alla loro modalità di attuazione mediante i vari tipi di piani complessi comunali. Art. 20 - Approvazione del piano di governo del territorio e del piano di assetto morfologico • 1. Il piano di governo del territorio è adottato ed approvato dal Consiglio comunale.

• 2. A tal fine, prima del conferimento del relativo incarico, l’Amministrazione comunale pubblica avviso di avvio del procedimento su almeno un quotidiano, o periodico, a diffusione locale affinché chiunque abbia interesse possa presentare in merito suggerimenti e proposte. Parimenti e fino all’approvazione del piano territoriale regionale il Comune indice una consultazione preventiva con Regione, Provincia ed altre Amministrazioni interessate. • 3. Una volta adottato, il piano è depositato, per un periodo di trenta giorni, presso la segreteria comunale per la presentazione di osservazioni nei successivi trenta giorni. • 4. Il piano è, contemporaneamente, trasmesso alla Provincia per la valutazione esclusivamente della sua compatibilità con atti provinciali di pianificazione e programmazione territoriale, da effettuarsi entro novanta giorni dal ricevimento della documentazione, decorsi inutilmente i quali la valutazione è data come favorevolmente espressa. • 5. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, a pena di inefficacia degli atti assunti, il Consiglio comunale decide sulle stesse, apportando al piano le modificazioni conseguenti l’eventuale accoglimento di osservazioni, e provvede agli adeguamenti del piano adottato nel caso in cui la Provincia abbia ravvisato elementi di incompatibilità con i propri atti di pianificazione e programmazione. • 6. Qualora negli atti regionali vi siano determinazioni che devono obbligatoriamente essere recepite da parte dell’Amministrazione comunale, la stessa è parimenti tenuta nei confronti della Regione a quanto previsto nei precedenti commi 4 e 5. • 7. La delibera del Consiglio comunale di controdeduzione alle osservazioni e di recepimento delle indicazioni provinciali o regionali di cui ai precedenti commi non è soggetta a ripubblicazione. • 8. Il piano acquista efficacia con la pubblicazione dell’avviso di sua approvazione definitiva sul Bollettino Ufficiale della Regione da effettuarsi a cura del Comune. • 9. Il piano, definitivamente approvato, è depositato presso la segreteria comunale ed è inviato per conoscenza alla Provincia ed alla Giunta regionale. • 10. Le varianti al piano di governo del territorio, il piano di assetto morfologico e sue varianti sono approvati con la medesima procedura sopra descritta. • 11. La redazione del piano di governo del territorio e del piano di assetto morfologico può essere delegata alla Provincia, o per i comuni inclusi nella Comunità Montana, alla Comunità Montana stessa, con deliberazione del Consiglio comunale assunta a maggioranza assoluta dai suoi membri. Apposita convenzione tra i due enti disciplinerà modalità, tempi ed oneri attuativi della delega.


Titolo III: PIANO TERRITORIALE PROVINCIALE Art. 22 - Contenuti del Piano Territoriale Provinciale • 1. Con il piano territoriale provinciale, la Provincia definisce gli obiettivi generali relativi all’assetto e alla tutela del proprio territorio connessi ad interessi di rango provinciale o costituenti attuazione della pianificazione regionale; detto piano è atto di indirizzo della programmazione socio-economica della Provincia, nonché di coordinamento della programmazione territoriale dei comuni, ed ha efficacia paesistico-ambientale per i contenuti, e nei termini, di cui ai commi seguenti. • 2. Per la parte di carattere programmatorio, il piano territoriale provinciale: - elabora, con opportuni studi, un quadro ricognitivo di riferimento dello sviluppo economico-sociale del territorio provinciale, anche approfondendo le risultanze della programmazione regionale ed eventualmente proponendo, nelle fasi di verifica del proprio programma, le modifiche o integrazioni di quest’ultima che ravvisi necessarie; - indica le prescrizioni necessarie all’individuazione degli obiettivi qualificati come prioritari per il conseguimento delle finalità della programmazione provinciale; - indica, in coerenza con la programmazione regionale, il programma generale delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione e la relativa lo-

calizzazione di massima sul territorio; - definisce le opportune misure attuative da assumersi nell’ambito della propria programmazione di settore; - suggerisce le azioni di coordinamento della pianificazione comunale, eventualmente indicando le necessarie misure di concertazione o apprestando modalità finanziarie o compensative tra tali Enti. • 3. Per la parte inerente la tutela ambientale e la difesa del suolo, il piano territoriale provinciale: - censisce ed identifica cartograficamente, eventualmente a scala di maggior dettaglio, le aree soggette a tutela e/o classificate a rischio idrogeologico per effetto di atti, approvati o comunque efficaci, delle Autorità competenti in materia di difesa del suolo, regimazione idrica, idrogeologica, idraulica-forestale; - indica, per tali aree, le linee di intervento e le opere prioritarie di sistemazione e consolidamento; - assume il valore e gli effetti dei piani di settore, in caso di stipula delle intese di cui all’art. 57 del D. Lgs. 112/98; - determina, in conseguenza delle intese di cui al precedente alinea e sulla base del quadro delle conoscenze acquisito, l’adeguamento e/o l’aggiornamento degli atti di tutela delle Autorità competenti; - propone modifiche agli atti di tutela delle Autorità competenti, secondo le procedure previste dalla normativa vigente. • 4. Per la parte inerente la tutela paesistica, il piano territoriale provinciale: - censisce ed identifica cartograficamente le aree e gli immobili assoggettati a vincolo in base alle procedure di cui al D. Lgs. 490/99; - definisce, in attuazione del piano territoriale paesistico regionale, i criteri per l’individuazione da parte degli strumenti urbanistici comunali delle zone di particolare interesse paesistico-ambientale; - riconosce, su proposta degli enti locali interessati, i parchi locali di interesse sovracomunale; - relativamente alle aree comprese nel territorio di parchi o di aree regionali protette, per le quali la gestione e le funzioni di natura paesistica-ambientale spettano ai competenti Enti preposti secondo le specifiche leggi e provvedimenti regionali, recepisce i contenuti dei piani territoriali di coordinamento dei parchi e quelli degli strumenti di programmazione e gestione approvati od adottati che costituiscono il sistema delle aree regionali protette; e coordina con i rispettivi Enti gestori la definizione delle indicazioni territoriali di cui ai precedenti alinea e commi, qualora incidenti su aree comprese nel territorio dei predetti parchi ed aree protette. Art. 23 - Approvazione del Piano Territoriale Provinciale • 1. Il piano territoriale provinciale è adottato dal Consiglio provinciale secondo la procedura di cui ai commi seguenti.

• 2. La Giunta provinciale, almeno 90 giorni prima del conferimento dell’incarico o comunque della determinazione di procedere all’elaborazione del piano territoriale provinciale, pubblica avviso sul B.U.R.L. e su almeno due quotidiani con diffusione regionale. Separato avviso è trasmesso alla Regione ed ai comuni compresi nel territorio provinciale. • 3. Nel caso di varianti, la Giunta provinciale pubblica avviso sul B.U.R.L. e su almeno due quotidiani con diffusione regionale e trasmette separato avviso alla Regione ed ai comuni interessati dalla variante. • 4. Tutti i soggetti interessati, nei 30 giorni decorrenti dalla pubblicazione dell’avviso sul B.U.R.L., possono formulare proposte utili alla predisposizione del piano territoriale provinciale, secondo le modalità che saranno stabilite nell’avviso stesso. Nei successivi 30 giorni, la Giunta provinciale esamina le proposte ricevute e valuta gli elementi utili, dei quali si intenda tenere conto nella elaborazione del piano territoriale provinciale e trasmette detti elementi ai tecnici incaricati della sua elaborazione. • 5. Sulla scorta delle elaborazioni effettuate, e delle proposte pervenute, la Giunta provinciale approva il documento direttore del piano territoriale provinciale, sul quale svolge consultazioni con le amministrazioni comunali e con altre province interessate del Piano o sue varianti, con le modalità indicate nell’avviso di cui al comma precedente; in ogni caso, le consultazioni devono prevedere, a favore degli Enti consultati, un termine congruo, decorrente dalla trasmissione del documento direttore e relativi allegati, per consentire l’effettiva e puntuale conoscenza e valutazione da parte loro delle elaborazioni condotte dalla Provincia. • 6. Esaurita l’attività di consultazione, la Giunta provinciale predispone il Piano e lo sottopone al Consiglio provinciale per la sua adozione. • 7. Il Piano adottato dal Consiglio provinciale è soggetto a pubblicizzazione con le stesse forme, modalità e termini di cui al precedente comma 2 e viene trasmesso alla Regione. Entro 30 giorni decorrenti dalla pubblicazione dell’avviso sul B.U.R.L., tutti i soggetti interessati, singoli o riuniti in Associazioni, Consorzi, organismi rappresentativi qualificati, possono presentare osservazioni. • 8. La Giunta provinciale esamina le osservazioni pervenute e formula al Consiglio provinciale proposte di controdeduzioni alle osservazioni nonché di modifiche, conseguenti a richieste regionali. • 9. Il Consiglio provinciale, entro 90 giorni dal suo ricevimento, esamina la proposta di controdeduzioni e di modifiche di cui al comma precedente ed approva il piano territoriale provinciale. • 10. Il piano acquista efficacia con la pubblicazione dell’avviso di sua approvazione definitiva sul Bollettino Ufficiale della Regione da ef-

fettuarsi, a cura della Provincia. Il piano, definitivamente approvato, è depositato presso la segreteria provinciale ed è inviato per conoscenza alla Giunta regionale. • 11. Le varianti al piano territoriale provinciale sono approvate con la procedura descritta ai commi precedenti, con esclusione di quanto previsto al comma 5 e limitando l’informazione e la consultazione degli enti locali unicamente a quelli territorialmente interessati. Titolo IV: PIANO TERRITORIALE REGIONALE Art. 24 - Oggetto e contenuti del Piano Territoriale Regionale • 1. Il piano territoriale regionale costituisce atto fondamentale di indirizzo della programmazione socio-economica della Regione e degli Enti locali, nonché di orientamento nella programmazione territoriale dei comuni e delle province. Con il piano territoriale, la Regione, sulla base dei contenuti della propria programmazione generale e di settore, indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale, e definisce altresì, in coerenza con quest’ultimo, i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di province e comuni. • 2. In particolare, il piano territoriale regionale: - a) indica: - gli obiettivi essenziali di sviluppo socio-economico del territorio regionale, come espressi dal programma regionale di sviluppo e dal complesso della programmazione regionale di settore; - il quadro essenziale delle iniziative inerenti la realizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche di interesse regionale e nazionale; - gli elementi e i vincoli di tutela del paesaggio, nonché i criteri operativi minimi per la salvaguardia dell’ambiente, in relazione alle previsioni del piano territoriale paesistico regionale, dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali, della disciplina delle aree protette, e degli atti di regolamentazione e programmazione regionale e nazionale in materia di salvaguardia delle risorse idriche, geologiche, idrogeologiche, forestali, della riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico, dello smaltimento dei rifiuti; - b) definisce, sulla scorta degli elementi di cui alla lettera a): - le linee orientative dell’assetto del territorio regionale, anche con riferimento all’individuazione dei principali poli di sviluppo regionale e delle zone di preservazione e salvaguardia ambientale; - gli indirizzi per la programmazione territoriale di comuni e province, al fine di garantirne, nel rispetto e nella valorizzazione delle autonomie locali, la complessiva coerenza al quadro programmatico regionale; a tal fine, e in particolare, definisce: le prescrizioni necessarie all’indivi-

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Art. 21 - Approvazione dei Piani complessi e del Piano dei servizi • 1. I piani complessi e loro varianti, conformi alle previsioni del piano di governo del territorio e del piano di assetto morfologico, sono adottati dalla Giunta comunale e la relativa deliberazione è depositata per trenta giorni consecutivi nella segreteria comunale, unitamente a tutti gli elaborati; del deposito è data comunicazione al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio nonché mediante pubblicazione dello stesso avviso su almeno un quotidiano di interesse locale. • 2. Durante il periodo di pubblicazione, chiunque ha facoltà di prendere visione degli atti depositati ed entro trenta giorni decorrenti dalla scadenza del termine per il deposito, può presentare osservazioni. • 3. Entro trenta giorni dalla scadenza del termine di presentazione delle osservazioni, a pena di inefficacia degli atti assunti, la Giunta comunale approva il piano complesso decidendo nel contempo le osservazioni presentante. • 4. Qualora il piano complesso introduca varianti al piano di governo del territorio od al piano di assetto morfologico, dopo l’adozione da parte della Giunta comunale, si applica quanto previsto dal precedente art. 20, commi da 3 a 8. • 5. Il piano dei servizi è approvato con la medesima procedura sopra descritta.


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duazione degli obiettivi qualificati come prioritari per il conseguimento delle finalità della programmazione regionale; gli elementi costituenti limiti essenziali di salvaguardia della sostenibilità ambientale dello sviluppo socio-economico del territorio regionale. - c) individua idonei strumenti per garantire il perseguimento degli obiettivi regionali e, in particolare: - forme di compensazione economico-finanziaria a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni contenitive delle possibilità di sviluppo, in funzione del conseguente riequilibrio delle condizioni economico-sociali; a tal fine, la Regione si avvale di fondi propri o indica le modalità per suddividere solidarmente tra gli enti locali, in rapporto alle differenti potenzialità di sviluppo e ai vincoli di sostenibilità derivanti a ciascuno dai contenuti della programmazione regionale, i vantaggi e gli oneri conseguenti. La Regione riconosce agli Enti maggiormente gravati da vincoli di sostenibilità l’apporto di contributo essenziale alla creazione dello sviluppo economico-sociale sostenibile del territorio regionale; - modalità di aggiornamento ed adeguamento efficaci e flessibili dei contenuti del piano territoriale regionale, in considerazione dell’evoluzione della programmazione socio-economica e settoriale regionale, nazionale e comunitaria, nonché in relazione agli atti di programmazione approvati e alle iniziative attivate; - modalità di espletamento contestuale e coordinato delle procedure previste per l’attuazione degli obiettivi e degli indirizzi contenuti nel piano. Art. 25 - Effetti del Piano Territoriale Regionale – Piano Territoriale Regionale d’Area • 1. Il piano territoriale regionale costituisce complessivamente quadro di riferimento per la valutazione di compatibilità degli atti di governo del territorio di comuni, province, comunità montane, enti gestori di parchi regionali, nonché di ogni altro ente dotato di competenze in materia. Esso orienta la programmazione regionale di settore avente incidenza sul governo del territorio, ed indirizza le determinazioni regionali nei rapporti con lo Stato, nonché nell’esercizio delle attribuzioni regionali concernenti la programmazione comunitaria. • 2. Le valutazioni di compatibilità e coerenza rispetto al piano territoriale regionale, sia per gli atti della stessa Regione che per quelli degli Enti locali o di altri Enti, concernono l’accertamento dell’idoneità dell’atto, oggetto della valutazione o verifica, ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati nel piano, salvaguardandone i limiti di sostenibilità previsti. • 3. Nella continuità degli obiettivi principali, il piano è suscettibile di modifiche, integrazioni, adeguamenti, anche conseguenti ad osservazioni, proposte ed istanze pro-

venienti dagli Enti locali e dagli altri Enti interessati, con le modalità previste dal successivo art. 26. • 4. Il piano territoriale regionale, può, in relazione ad obiettivi prioritari di interesse regionale o sovraregionale, individuare previsioni aventi efficacia di prevalenza immediata e diretta su ogni altro atto di programmazione/pianificazione, e con obbligo a carico dei comuni a disporne, entro un termine prestabilito, il recepimento formale nei propri strumenti di governo del territorio. Il piano territoriale regionale, indica espressamente le previsioni aventi la predetta efficacia speciale, e ne dispone la disciplina. • 5. Qualora aree di significativa ampiezza territoriale siano interessate da opere, interventi, o destinazioni funzionali aventi rilevanza regionale o sovraregionale, il piano territoriale regionale può prevedere l’approvazione di un piano territoriale regionale d’area, che disciplini il governo di tale territorio. Detto piano approfondisce, a scala di maggior dettaglio, gli obiettivi socioeconomici ed infrastrutturali da perseguirsi, detta i criteri necessari al reperimento e alla ripartizione delle risorse finanziarie e dispone indicazioni puntuali e coordinate riguardanti il governo del territorio, anche con riferimento alle previsioni insediative ed alla disciplina degli interventi sul territorio stesso. Le disposizioni e i contenuti del piano territoriale regionale d’area hanno efficacia diretta e cogente nei confronti dei comuni e delle province compresi nel relativo ambito. Il piano di governo del territorio di detti comuni è assoggettato alla procedura di cui al precedente art. 20, comma 6. • 6. Il piano territoriale regionale d’area è approvato con deliberazione della Giunta regionale, con le procedure di cui al successivo art. 26. La Giunta regionale, con deliberazione, può deferire in tutto o in parte l’elaborazione del piano alla Provincia o alle province territorialmente interessate, o comunque avvalersi della collaborazione di tali Enti. In tal caso, il piano territoriale regionale d’Area, per le aree ivi comprese, ha natura ed effetti di piano territoriale provinciale, sostituendosi a quest’ultimo e da esso venendo obbligatoriamente recepito. La delibera della Giunta regionale di adozione del piano d’area specifica i casi in cui il piano sia dotato di tale particolare efficacia. Art. 26 - Approvazione del Piano Territoriale Regionale – Approvazione dei piani territoriali regionali d’Area • 1. La Giunta regionale, almeno 60 giorni prima dell’assunzione della determinazione di procedere all’elaborazione del piano territoriale regionale, pubblica avviso sul B.U.R.L. e su almeno due quotidiani con diffusione regionale. Separato avviso viene trasmesso alle province e alla Conferenza delle autonomie di cui all’art. 1 comma 16 e ss. della legge regionale 5 gennaio 2000 n. 1. Nei 30 giorni decorrenti dalla pubbli-

cazione dell’avviso sul B.U.R.L., tutti i soggetti interessati possono formulare proposte utili alla predisposizione del piano territoriale regionale o sua variante, secondo le modalità che saranno stabilite nell’avviso stesso. La Giunta regionale esamina le proposte ricevute e valuta gli elementi utili dei quali intende tenere conto nella elaborazione del piano territoriale regionale o sue varianti in corso di elaborazione; predispone il piano e lo sottopone al Consiglio regionale per la sua adozione. • 2. Il piano o sua variante una volta adottato è soggetto a pubblicazione; pubblicizzazione con le stesse forme, modalità e termini di cui al precedente comma 1. Tutti i soggetti interessati, singolarmente o riuniti in Associazioni, Consorzi, Organismi rappresentativi qualificati, possono presentare, entro il termine di 30 giorni, decorrenti dalla pubblicazione dell’avviso sul B.U.R.L., osservazioni in ordine al piano territoriale regionale adottato o sua variante. • 3. La Giunta regionale esamina le osservazioni pervenute e formula proposte di controdeduzione al Consiglio regionale. • 4. Il Consiglio regionale, entro 90 giorni dal suo ricevimento, approva il piano territoriale regionale o sua variante. • 5. Il piano acquista efficacia con la pubblicazione dell’avviso sul BURL. • 6. Il piano territoriale regionale d’Area è adottato ed approvato dalla Giunta regionale. A tal fine: - prima della delibera di adozione del piano la Regione pubblica avviso di avvio del procedimento sul B.U.R.L. e su almeno due quotidiani con diffusione regionale, individuando altresì forme integrative di pubblicizzazione, in relazione alle caratteristiche specifiche del territorio interessato e delle opere ed interventi di interesse regionale da programmarsi; - una volta adottato, il piano è depositato per un periodo di 30 giorni presso la segreteria della Giunta regionale per la presentazione di osservazioni nei successivi 30 giorni; - la Giunta regionale esamina le osservazioni e approva il piano controdeducendo alle stesse. - Il piano acquista efficacia con la pubblicazione dell’avviso di sua approvazione sul B.U.R.L. Art. 27 - Aggiornamento del Piano Territoriale Regionale • 1. Il piano territoriale regionale è aggiornato annualmente, mediante gli atti consiliari aventi efficacia di aggiornamento del programma regionale di sviluppo. L’aggiornamento può comportare l’introduzione di modifiche ed integrazioni, a seguito di studi e progetti, di sviluppo di procedure, del coordinamento con altri atti della programmazione regionale, nonché di quelle di altre regioni, dello Stato, dell’Unione Europea. Modifiche possono, altresì, essere introdotte a seguito del recepimento di proposte, istanze, richieste avanzate dagli Enti locali interessati.

Art. 28 - Norma di prevalenza • 1. Le previsioni del piano territoriale regionale e dei piani territoriali provinciali vigenti e in essi espressamente qualificate quali obiettivi prioritari rispettivamente di interesse regionale o provinciale, hanno immediata prevalenza su ogni altra difforme previsione contenuta nei piani territoriali sovracomunali comunque denominati, nei piani territoriali di coordinamento dei parchi, ovvero nel piano di governo del territorio. Art. 29 - Norma transitoria • 1. Sino all’approvazione del piano di governo del territorio, gli altri strumenti della pianificazione comunale, indicati nel precedente art. 14, possono essere approvati nel rispetto dei contenuti di cui alla presente legge, in attuazione del piano regolatore generale vigente nel Comune. • 2. Ai piani territoriali provinciali, nonché ai piani urbanistici generali ed attuativi già adottati e in corso di approvazione alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le norme previgenti, sino alla loro definitiva approvazione. • 3. Sono fatti salvi i titoli abilitativi all’edificazione in esecuzione di piani complessi o di atti di programmazione negoziata cui si riferiscono. • 4. Sino all’adeguamento dei P.R.G. vigenti di cui al successivo art. 30, i comuni possono solo procedere alle varianti a procedura semplificata ed alle varianti connesse a piani complessi comunque denominati e agli atti di programmazione negoziata. Art. 30 - Norma di adeguamento • 1. Le province deliberano l’avvio del procedimento di adeguamento dei loro P.T.C.P. vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, entro 365 giorni da tale data e procedono all’adeguamento secondo i princìpi, i contenuti ed il procedimento stabiliti dalla presente legge. In difetto di deliberazione provinciale di avvio dell’adeguamento entro detto termine la Regione procede a tale atto mediante la nomina di Commissario ad Acta. • 2. I comuni deliberano l’avvio del procedimento di adeguamento dei loro P.R.G. vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, entro 365 giorni da tale data e procedono all’adeguamento secondo i princìpi, i contenuti ed il procedimento stabiliti dalla presente legge. In difetto di deliberazione comunale entro detto termine, la Provincia procede a tale atto mediante la nomina di Commissario ad Acta. • 3. Sino alla loro scadenza convenzionale conservano efficacia e non sono soggetti ad adeguamento i piani complessi comunque denominati e gli atti di programmazione negoziata vigenti. • 4. Sono fatti salvi i titoli abilitativi all’edificazione in esecuzione di piani complessi o di atti di programmazione negoziata cui si riferiscono.


Seminario

Urbanistica in Lombardia: Nuova Legge per il Governo del Territorio contributo degli Architetti degli Ordini lombardi e I.N.U. Lombardia Milano, 15 novembre 2002

PRIM O M ODULO Valutazioni problematiche nodali e “strutturali” della Proposta di Legge SECONDO M ODULO Gli aspetti applicativi della nuova legge L’esperienza della legislazione regionale di seconda generazione

Ordine degli architetti di Bergamo Achille Bonardi Fernando de Francesco Alberto Maffeis Ordine degli architetti di Brescia Claudio Nodari Franco Maffeis Ordine degli architetti di Como Franco Butti Gianfredo Mazzotta Marco Ortalli Bruno Borghesani Silvano Cavalleri Arnaldo Falbo Giovanni Franchi Angelo Monti Michele Pierpaoli Giuseppe Tettamanti Emanuela Venegoni Ordine degli architetti di Cremona Valeria Baruffi Mario Barbieri Pier Paolo Boldi Giuseppe Tamagnini Stefano Dondoni Vincenzo Zucchi

Un particolare ringraziamento: • a Claudio Maffiolini e Paolo Gatti, delegati alla preparazione e all’organizzazione del Seminario;

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• a Leonardo Fiori e Stefano Castiglioni, coordinatori dei 2 moduli; • al Gruppo di lavoro dell’Istituto Nazionale di Urbanistica della Lombardia, composto da: Roberto Almagioni, Andrea Balzani, Gianni Beltrame, Antonio Chierichetti, Fausto Curti, Valeria Erba, Fiorella Felloni, Giuseppe Ferrari, Massimo Giuliani, Luca Imberti, Luciano Lussignoli, Michele Monte, Piero Nobile, Fortunato Pagano, Laura Pogliani, Piero Ranzani, Iginio Rossi, Gian Luigi Rota, Aldo Vecchi, Alfredo Viganò, Piergiorgio Vitillo; • ai membri delle Commissioni Urbanistiche Provinciali degli Ordini degli Architetti Lombardi che hanno collaborato alla realizzazione del Seminario e alla redazione dei documenti programmatici di analisi della proposta di Legge Urbanistica Lombarda:

Ordine degli architetti di Lecco Elio Mauri Massimo Dell’Oro Ordine degli architetti di Lodi Mario Cremonesi Sergio Ugetti Antonio De Vizzi Antonio Muzzi Ordine degli architetti di Mantova Francesco Cappa Paolo Tacci Manolo Terranova Ordine degli architetti di M ilano Giulio Barazzetta Marco Engel Luca Ranza Ordine degli architetti di Pavia Massimo Giuliani Giulio Junco Paolo Lucchiari Mario Mocchi Simona Pizzocaro Franco Varini Bruna Vielmi

Ordine degli architetti di Sondrio Aurelio Benetti Giovanni Bettini Simone Cola Paolo Delvò Giuseppe Galimberti Sergio Leoni Giampaolo Rinaldi Graziano Tognini Giovanni Vanoi Ordine degli architetti di Varese Claudio Baracca Emanuele Brazzelli Claudio Maffiolini Stefano Castiglioni

Atti del Seminario

Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti e Istituto Nazionale di Urbanistica - Lombardia


Atti del Seminario

Atti del Seminario

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Varese, piazza Marsala (foto: Marco Introini).


regionali del territorio, soprattutto a fronte della vastità e complessità dell’ecosistema lombardo che non può concedere nulla ad errori ma neppure a sperimentazioni senza garanzia di esito. Preoccupa soprattutto la condizione di scarsa strutturazione ed efficienza degli uffici territorio-urbanistici dei Comuni, avvezzi da decenni ad una sorta di status quo e torpore, con dotazione di mezzi e personale asfittica per una politica di rilancio qualitativo che non può prescindere da una valutazione oggettiva di risorse disponibili e obbiettivi concretamente perseguibili. Sicuramente comunque la circostanza dell’attuale seminario risulta fertile di approfondimenti, valutazioni, analisi ma anche di proposte operative, di indicazioni di percorso, di puntuali e specifici sviluppi. Pertanto si è voluto distinguere lo svolgimento e la sequenza degli interventi in una prima sessione (dedicata alle caratteristiche strutturali della legge, all’impianto della stessa, agli aspetti che potrebbero essere definiti di “ scocca” e quindi alle connotazioni propriamente giuridiche ed inerenti i princìpi) e in una seconda (propriamente orientata ad una serie di riflessioni sulle modalità gestionali, applicative, strumentali). Trattasi di una duplicità di ottica e di approccio che in ogni caso finisce con l’investire un confronto a tutto campo, anche in termini dialettici e alternativi, ma indubbiamente di seria matrice culturale e sperimentata professionalità. Stefano Castiglioni Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Il Seminario sulla nuova Legge di Governo del Territorio legislativo è conseguente alle aspettative del foltissimo e qualificato pubblico di urbanisti, amministratori e colleghi interessati alla tematica. Se infatti negli ultimi anni la Regione Lombardia ha impresso un’accelerazione alla revisione del compendio normativo urbanistico, sicuramente gli obbiettivi posti dall’ultimo provvedimento restano ambiziosi e tali da generare non semplici problemi di raccordo, sia con il sistema legislativo nazionale, sia nei confronti della stessa legislazione regionale del territorio, cosiddetta di 2a generazione (23/97, 9/99, 1/2000, 1/2001). Gli interventi in proposito quindi, più che un commento all’articolato, configurano una vera e propria “ summa” che investe aspetti e princìpi a fondamento della stessa disciplina urbanistica (e di fatto sempre elusi in passato quali “ perequazione” e “ compensazione” ), rimette in discussione all’origine gli stessi strumenti usuali di gestione del territorio (quale il P.R.G., le N.T.A.), solleva senza ambiguità esigenze attuali (quali l’efficacia e la rapidità degli iter di assenso, l’abbandono del criterio dello zoning, l’autonomia decisionale degli Enti locali). Al presente dibattito hanno inteso contribuire in modalità mirata e incisiva protagonisti autorevoli dell’Amministrazione Pubblica, della cultura e della professione urbanistica, ponendo in evidenza consapevolezza dei contenuti di rilievo dell’attuale proposta, ma anche sottolineando i rischi, le incognite di una scelta che, nel bene o nel male, ha inteso rompere i ponti col passato. Indubbiamente trattasi di critiche da non sottovalutare, considerando le limitate recenti esperienze di nuove leggi


Tempi e rapporti con la committenza nello sviluppo delle pratiche urbanistiche La presentazione del Documento di Inquadramento del Comune di Milano ha riacceso il dibattito su alcune specificità dell’urbanistica lombarda, che negli anni passati erano state liquidate un po’ troppo frettolosamente, come il risultato di una serie di azioni tese a scardinare i meccanismi di piano, sostituendo di fatto la pianificazione con le pratiche dell’urbanistica contrattata.

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La pessima fama dell’esperienza urbanistica lombarda È fuori discussione che la lettura dei fatti milanesi e in genere lombardi degli ultimi venti anni, secondo l’ottica sopra riportata, è in parte corretta (come lo sarebbe del resto in buona parte del territorio nazionale), ma ha il grave difetto di non aver mai indagato l’insieme dei fattori che hanno determinato questo fenomeno e che, per alcuni aspetti, sono stati anche determinati dal modo in cui si sono evoluti processi e pratiche della pianificazione. A partire dalla metà degli anni ’80, e fino al Congresso dell’I.N.U. del 1995, l’atteggiamento della classe politica e di molti amministratori locali si è contraddistinto per un sostanziale distacco-rigetto nei confronti del piano di tradizione. Le motivazioni principali riguardavano la rigidità del piano, la lunghezza estenuante dei processi di variante, la scarsa capacità revisionale rispetto alla dinamicità delle trasformazioni allora in atto. Questo atteggiamento diffuso ha prodotto una serie di leggi regionali, che in vari modi e con vari criteri prevedevano la possibilità di attuare progetti, anche di vasta portata, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. Si trattava prevalentemente di leggi che “ incentivavano” interventi in aree urbane dismesse, dove spesso le previsioni di piano risultavano di difficile attuazione. Riguardandole, con la prospettiva odierna, potremmo dire che si trattava di leggi che “ anticipavano” per certi aspetti gli attuali programmi complessi. In seguito ai risultati del Congresso dell’I.N.U. di Bologna, alla nuova generazione di leggi urbanistiche regionali e all’attenzione ed all’interesse attribuito ai vari tipi di piani complessi, il modo di intendere la pianificazione si è sempre più spostato dal piano alle politiche urbane. Tuttavia non è cambiato di molto l’atteggiamento e la diffidenza nei confronti di qualsiasi sperimentazione “ alla milanese” . Nei molti dibattiti e nei contributi critici riguardo al documento di pianificazione milanese pare, infatti, di cogliere maggiormente l’attenzione dovuta a un piano redatto da un illustre accademico, che non la curiosità di indagare nuove forme, anche sperimentali, per verificare la possibilità di individuare un qualche possibile avanzamento disciplinare. Per questo motivo può essere utile tentare una comparazione tra il documento di inquadramento di Milano e alcuni piani (appena conclusi) che hanno seguito i canali della pianificazione tradizionale. La comparazione potrebbe risultare a prima vista impropria per il fatto, non di poco rilievo, che si tratta di strumenti tecnicamente diversi. In realtà, l’aspetto interessante di questo raffronto sta proprio nell’impostazione del Documento di Inquadramento di Milano stesso, che estende gli specifici contenuti affidati a questo tipo di strumento dalla Legge Regionale 9/99 e si propone quale vero e proprio documento nel quale si declinano i temi e gli orientamenti dell’amministrazione comunale, in ordine agli assetti territoriali ricercati e all’agenda del proprio agire dal punto di vista del governo dello sviluppo urbano.

I piani cui intendo riferirmi per lo sviluppo del mio ragionamento sono il P.R.G. di Pavia redatto dallo Studio Gregotti Associati, il P.R.G. di Voghera redatto dal Politecnico di Milano e il P.R.G. di Vigevano curato da Leonardo Benevolo e Silvano Tintori. Si tratta di piani che, pur diversi per impostazione e metodi disciplinari, sono paragonabili per l’alta qualità del prodotto progettuale. Data la loro eterogeneità, la comparazione non può essere e non sarà né di metodo né di merito, ma verrà svolta riguardo agli aspetti relativi ai tempi della pianificazione e al rapporto tra progettisti e committente. Si tratta di due temi poco trattati nel dibattito teorico, ma molto presenti nei processi di realizzazione di piani e programmi, nei quali il divario tra tempi amministrativi, obiettivi politici e fattibilità economica determina la criticità di molti processi di pianificazione. La durata temporale dei processi di pianificazione Il Documento di Inquadramento di Milano è stato realizzato in circa due anni, permettendo così all’Amministrazione che lo aveva commissionato di completare la fase progettuale e amministrativa e di dare l’avvio al processo di gestione-attuazione di questo strumento. I P.R.G. dei tre principali comuni della provincia di Pavia hanno avuto tutti un periodo di gestazione di almeno dieci anni, durante i quali si sono alternate almeno tre diverse compagini politiche di maggioranza. Questo ha prodotto sospensioni, ripensamenti, riorganizzazione degli strumenti, degli uffici di piano e delle strutture tecniche. A oggi il piano di Pavia e quello di Voghera hanno da poco tempo superato il passaggio delle controdeduzioni, mentre per quello di Vigevano si profila addirittura un cambiamento di rotta rispetto agli indirizzi di piano e la sostituzione dei progettisti, dando vita a un ulteriore riaggiornamento e rielaborazione del progetto. Immaginando che d’ora in avanti le operazioni possano procedere più speditamente, possiamo ipotizzare che questi tre strumenti, commissionati dalle rispettive amministrazioni – comunque diverse da quelle attuali – all’inizio degli anni ’90, vedano la luce nel 2004. Possiamo fare tutti i tentativi di relativizzare il tempo trascorso e anche sostenere, con qualche ragione, che sono i processi di trasformazione urbana a richiedere tempi lunghi, ma rimangono tuttavia una serie di questioni inevase sulle quali risulta opportuna una riflessione. Ad esempio: • poiché solitamente quando le Amministrazioni decidono una revisione generale di piano normalmente sono già in ritardo, come sono state governate le trasformazioni che sono avvenute nell’ultimo decennio? • Le trasformazioni saranno state governate da un piano ormai “ vecchio” oppure, per la loro attuazione, si sarà fatto ricorso proprio a quelle leggi “ aggira-piano” per cui la Lombardia gode di una fama così sinistra? • In questo caso è lecito ammettere qualche concessione al neo-liberismo del rito ambrosiano-lombardo, se la posta in gioco è un piano che nuovamente sarà in grado di prevedere, dirigere, governare tutti i processi urbani? • I quattro Piani triennali delle Opere pubbliche, che nel frattempo sono stati progettati e attuati, avranno seguito le ancor vaghe indicazioni del piano in itinere, oppure avranno aumentato ulteriormente il divario con il nuovo piano che già nella pubertà dovrà faticare per recuperare il tempo perduto? Queste questioni pongono e rappresentano implicitamente una serie di contraddizioni, che innescano numerose inefficienze del piano di tradizione, le quali si sviluppano proprio da un sistema procedurale e da un ap-


e alla complessità delle dinamiche territoriali. Contestualmente si assiste molto spesso all’indulgenza verso pratiche di regolamentazione della città esistente, che si spingono verso un controllo di scale di tipo progettuale che mal si adattano e adeguano ai riferimenti e alle possibilità di controllo del piano. 7. La lunghezza delle procedure di formazione di piano costituisce un elemento determinante nella crisi di credibilità della stessa disciplina. I processi governati dal piano vengono sempre più confinati in spazi ristretti, rendendo difficilmente comprensibile e avvertibile la stessa natura e il senso dei legami della pianificazione urbanistica rispetto ai processi reali di trasformazione del territorio. Il rapporto con il committente è un tema ancor meno praticato di quello relativo alla durata dei processi di pianificazione. Nei testi che illustrano piani e programmi possiamo avere descrizioni dettagliate della situazione territoriale-ambientale di partenza, delle criticità rilevate, degli obiettivi di piano e delle metodologie con le quali sono stati approfonditi e conseguiti. Da un’attenta e avvertita lettura del complesso di questi elaborati e documenti, possiamo forse intuire gli obiettivi del committente, il quale però quasi mai compare come il soggetto che ha posto gli obiettivi di politica urbanistica, che ha assunto consapevolmente la scelta finale sulle alternative progettuali proposte, che si propone di utilizzare il piano per gestire al meglio il complesso delle politiche urbane. Naturalmente sappiamo che il committente politico non identifica un unico soggetto e una razionalità univoca e lineare, tanto che gli obiettivi che questo propone rappresentano una serie di temi determinati, stimolati o anche limitati da una complessa interazione sociale, di cui sia nel piano, sia nei suoi documenti programmatici, è difficile trovare espliciti riscontri e coglierne senso e portata. Così come sappiamo che i processi reali sono regolati da dinamiche molto più complesse, per cui un piano efficace nasce dall’incontro tra valori e obiettivi del committente e dalla capacità di elaborazione progettuale di questi due elementi da parte del progettista. Ciò non significa che la sintesi progettuale non contenga anche obiettivi e valori del progettista, ma se questi ultimi predominano o sostituiscono quelli della committenza, il piano si trasforma inevitabilmente in una esercitazione teorica con scarse possibilità di generare le azioni per le quali è stato predisposto. Partendo da queste considerazioni vorrei proporre una analoga valutazione comparativa con i quattro casi già presi in esame. Il Documento di Inquadramento di Milano corrisponde all’obiettivo dichiarato del committente, che era quello di disporre in tempi rapidi di un documento urbanistico in grado di promuovere, valutare e gestire i Programmi Integrati di Intervento. Un progetto quindi molto specifico e finalizzato sia per gli obiettivi sia per i tempi. L’obiettivo finale non era infatti il documento urbanistico tradizionale, ma l’avvio di una procedura complessa di incentivazione-valutazione di interventi che dovevano essere proposti da soggetti privati, avendo comunque quale orizzonte una strategia di politiche urbanistiche ben chiara. Per quanto riguarda i tre piani della provincia di Pavia abbiamo già visto che nel caso di Vigevano la nuova amministrazione comunale ha deciso un avvicendamento dei progettisti e ciò dovrebbe corrispondere alla volontà di ridefinire obiettivi e priorità del progetto. Per quanto riguarda il P.R.G. del comune di Pavia, sappiamo che il

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proccio alle pratiche che non considera e non valorizza in modo adeguato la rilevanza del fattore tempo nel progressivo degrado dell’efficienza e dell’efficacia dello stesso strumento. Provo, in modo sommario e a titolo di esempio, a elencare quelli che sono gli esiti e le condizioni che più frequentemente sono originate dal protrarsi per un tempo eccessivamente lungo, del processo di piano. 1. Un tempo eccessivamente lungo del processo di piano produce sicuramente una perdita del valore dei quadri analitici e descrittivi dal punto di vista dell’affidabilità e della composizione, nell’uso e nell’interazione tra sistemi di conoscenza, simulazioni progettuali e ipotesi revisionali. Negli ultimi 20 anni i tempi di mutazione delle strutture sociali, economiche, dei bisogni abitativi e degli stili di vita e di lavoro, nonché le soglie e le criticità ambientali che caratterizzano gli organismi urbani, sono contraddistinti da processi sempre più accelerati e radicalizzati dal punto di vista dei loro effetti. La condizione che si profila è quella di produrre progetti di assetto urbano a servizio di comunità che, rispetto alle ipotesi di partenza, si sono modificate e alterate in modo significativo. Si pensi ad esempio alle difficoltà che oggi si riscontrano rispetto al tema della progettazione della città pubblica. 2. Un intervallo di tempo di 8-10 anni per l’approvazione di un piano coincide con una mole enorme di decisioni amministrative e di modificazione dei quadri programmatici. Nella maggior parte dei casi queste decisioni non avvengono in funzione della composizione di un quadro armonico di governo dell’azione amministrativa, ma seguono logiche di tipo settoriale e autoreferenziale. Gli esiti di questo processo, che in molti casi ha ricadute e impatti territoriali molto importanti, producono un progressivo decremento degli spazi e dell’autonomia della pianificazione urbanistica che si trova, passivamente e in modo spesso incoerente rispetto ai propri obiettivi di assetto, nella condizione di doverne assumere i risultati. 3. La lentezza nella produzione dei piani abbatte in modo sempre più significativo le possibilità di sviluppare una cultura della verifica e del monitoraggio rispetto all’esito delle opzioni messe in campo rispetto alle dinamiche territoriali. La sperimentazione di approcci e modelli della pianificazione risulta quindi sempre meno legata a riscontri oggettivi e reali. La revisione critica si costituisce sempre più rispetto a ipotesi di tipo teorico e astratto (magari utilizzando in modo improprio i casi e gli esempi che caratterizzano situazioni e modelli sociali e politicoistituzionali che appartengono a altre realtà e paesi), senza la possibilità di commisurare le opzioni utilizzate rispetto ai fatti territoriali. 4. Gestire la produzione di un piano in tempi eccessivamente lunghi significa esporre il risultato alle “ perturbazioni” derivate dalle mode politiche e disciplinari. Molto spesso si riscontrano piani che, rispetto alle premesse e agli obiettivi prefissati, sviluppano apparati incoerenti e contraddittori. 5. La redazione di un nuovo piano non significa e non garantisce la cessazione delle attività di trasformazione del territorio legate agli strumenti vigenti. A volte il piano in elaborazione si trova a dover fare i conti con interventi e “ debiti” che ne negano gli assunti e ne vanificano l’efficacia. 6. La necessità di operare su tempi e orizzonti di lungo periodo stimola l’attività dei pianificatori verso la semplificazione e l’irrigidimento delle opzioni progettuali, lasciando minore spazio alla costruzione di assetti in grado di interagire positivamente e in modo flessibile, nell’ambito degli obiettivi prefissati, rispetto all’evoluzione


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piano adottato è stato parzialmente ripubblicato in seguito a una serie di modifiche normative e che, in sede di controdeduzioni, sono stati presentati in Consiglio (in massima parte da membri della maggioranza stessa) più di cento emendamenti, che hanno considerevolmente modificato il piano rispetto agli stessi orientamenti della Giunta. Anche in questo caso sembra quindi di poter constatare che il rapporto con il committente ha subìto fasi critiche e che, nella fase finale, si sia verificata da parte del Consiglio una presa di distanze dal piano stesso, ereditato dalla precedente Amministrazione, seppur di stesso segno politico. Al di là degli specifici casi è possibile tuttavia proporre alcune considerazioni generali che, seppur in maniera induttiva, tengono conto proprio del tempo trascorso tra incarico e conclusione del lavoro. Anche in questo caso provo a elencare gli elementi che possono determinare fattori di criticità in grado di ridurre l’efficacia del piano. • Il tempo trascorso ha determinato l’avvicendarsi di due o più Amministrazioni, per cui il rapporto con il committente ha subìto molte soluzioni di continuità, con conseguenti ridefinizioni di obiettivi, che hanno determinato modificazioni progettuali oppure stratificazioni di obiettivi anche tra loro contraddittori. • È probabile che ci siano casi in cui la definizione degli obiettivi di azione del piano siano molto generali e che in pratica l’Amministrazione abbia commissionato ai tecnici la redazione di una sorta di piano autonomo. • L’autonomia della progettazione dall’ingerenza politica (che spesso si traduce in un tentativo di supplenza politica da parte dei tecnici) può a prima vista sembrare una soluzione efficiente poiché, diminuendo le necessità di mediazioni politiche, aumenta la coerenza interna di progetto. Naturalmente l’autonomia del tecnico e la non interferenza dei soggetti politici determina, come conseguenza, che anche i soggetti politici operino in maniera autonoma nei confronti del piano, attraverso l’ormai vasto repertorio di leggi-deroga che è stato prodotto negli ultimi anni. La riunificazione dei due processi (quelli teorici previsti nel piano e quelli reali che nel frattempo sono stati attuati) avviene comunque al momento della conclusione dell’iter progettuale, dove il “ piano autonomo” deve dare coerenza ex post a tutti i processi di pianificazione attuati parallelamente. • Nei confronti di un processo di pianificazione che dura ininterrottamente per oltre dieci anni è lecito, infine, porsi il dubbio di quale sia il vero obiettivo di un committente che accetta di rinviare di oltre un decennio l’attuazione dei propri progetti. È facile essere indotti a pensare che il vero obiettivo e la vera aspettativa nei confronti del piano sia che questo prosegua il suo iter di formazione il più a lungo possibile, per poter gestire nel frattempo gli interventi che nell’agenda politica sono ritenuti “ urgenti ed essenziali” , senza l’assillo dei pianificatori che, una volta terminato il disegno del quadro strategico, saranno in grado di ricondurre a coerenza anche gli interventi “ urgenti e improrogabili” . D’altronde, è anche vero che allo stato attuale il piano risulta di fatto investito di un carico di aspettative eccessive rispetto alle suo stesso campo operativo. Nel piano, e rispetto al piano, si concentrano infatti: a. aspettative di sviluppo del sistema urbano; b. aspettative di aumento dell’efficienza del sistema e della macchina urbana; c. problematiche e aspettative di sviluppo economico; d. problematiche di gestione di temi sociali ed economici (la questione della casa, dei servizi, ecc.); e. problematiche e aspettative inerenti alle questioni della mobilità;

f. aspetti di marketing politico ed urbano; g. problematiche e aspettative di ordine ambientale; h. l’identificazione e la sovrapposizione dello “ strumento di piano” con le politiche urbane; i. le occasioni per inserire opportunisticamente progetti o programmi appartenenti a sfere e a razionalità endogene rispetto alla comunità urbana e non condivisi; l. aspettative immobiliari; m. occasioni per la rappresentazione dei conflitti politici e dei diversi interessi. In questo senso il piano regolatore si costituisce come luogo mediatico di massima concentrazione di tensioni, conflitti e aspettative di tipo generale e, nella maggior parte dei casi, improprie. Da un certo punto di vista, questo suo ruolo improprio svolge una funzione di “ congelamento” , dilazione e ammortizzamento delle questioni sulle quali risulta più difficile la mediazione sociale. Contestualmente questo eccesso di aspettative e motivazioni contribuisce ad allargare lo spettro delle conflittualità e, di conseguenza, ad allungare ulteriormente i tempi di formazione. Alla luce di queste considerazioni potrebbe risultare che il valore aggiunto di un processo di pianificazione, che si propone il governo di tutti gli aspetti che concorrono alla trasformazione del territorio, sia molto limitato proprio a causa dell’eccessiva durata temporale che spesso determina anche rapporti problematici con la committenza. Diminuendo l’utilità del processo, vengono meno anche le motivazioni più condivisibili che hanno determinato l’avvio di un progetto complesso e ambizioso di governo del territorio e aumenta l’interesse verso nuove forme di progetto, che restituiscano una praticabilità ai processi di pianificazione e, quindi, una maggiore affidabilità nella gestione di interventi grandi e piccoli, attraverso i quali si articolano le trasformazioni urbane. Paradossalmente la maggiore efficacia del piano sembra un obiettivo perseguibile attraverso il ricorso ad approcci che ne limitano l’operatività, operando delle semplificazioni dal punto di vista dei temi in favore di un ampliamento delle caratteristiche di tipo relazionale. Un’ulteriore considerazione che emerge da questa comparazione, per certi versi impropria, è la riconferma del valore della proposta di riforma urbanistica dell’I.N.U. che, suddividendo il piano in strutturale e operativo, garantisce sia il contenimento della durata temporale sia la coerenza dell’impostazione progettuale. Il rischio da evitare è che questa impostazione subisca un processo di cristallizzazione, che riproponga la stessa rigidità del piano tradizionale. Massimo Giuliani Presidente dell’I.N.U. Lombardia


Ringrazio tutti i convenuti, in particolare il Presidente della Consulta degli Architetti e il Presidente dell’I.N.U., per aver fortemente voluto questo incontro a chiusura di questo ciclo di presentazioni e consultazioni in merito alla proposta di articolato per una nuova Legge di Governo del Territorio. Per iniziare occorre, innanzitutto, fare delle brevi considerazioni sul metodo che abbiamo scelto e seguito per l’elaborazione della nuova Legge per il Governo del Territorio. A differenza del passato oggi non si vuole dimostrare la bontà di una proposta di legge, ma, al contrario, realizzare un confronto con le associazioni di categoria e tutti gli operatori del settore, idoneo a suscitare un serio dibattito dal quale possano scaturire contributi e suggerimenti. Tale processo di elaborazione è stato già avviato con la pubblicazione del documento “ Linee guida per la riforma urbanistica regionale” nel quale sono stati anticipati i contenuti, i princìpi e gli obiettivi che la nuova legge si propone di perseguire. Come per le Linee guida anche per la bozza di articolato di riforma della L.R. 51/75 sono stati avviati numerosi incontri con tutti i soggetti interessati. Da tutti questi confronti sono emersi suggerimenti, osservazioni e contributi, perlopiù scritti, che ci aiuteranno ad realizzare un testo il più possibile condiviso. Ovviamente la condivisione a cui tendiamo non implica il consenso unanime. La bozza di articolato contiene in se molti elementi fortemente innovativi che inevitabilmente provocano le critiche di coloro che non si riconoscono nelle politiche urbanistiche che guidano l’attività della Regione Lombardia. Politiche sottese a princìpi ormai consolidati anche attraverso la normativa di settore da tempo vigente, basti pensare alle LL. RR. 23/97, 9/99 e 1/01 che introducono significanti innovazioni quali la possibilità di effettuare varianti al P.R.G. con una procedura semplificata, lo standard qualitativo e il documento di inquadramento.Tra i princìpi guida di questa riforma di legge urbanistica desidero evidenziare quello della sostenibilità. La sostenibilità delle scelte di pianificazione intesa non solo sotto il profilo strettamente ambientale ma anche sotto quello sociale ed economico. L’obiettivo fondamentale è quello di contemperare le esigenze di sviluppo con quelle di tutela del territorio. In pratica bisogna tener conto che il territorio è un bene irriproducibile di tutti i cittadini che lo abitano. Quindi è superfluo ricordare che, pur prendendo in considerazione tutti i contributi pervenuti, i suggerimenti che si collocano in coerenza con i princìpi ispiratori pre-citati potranno forse più degli altri costituire un sicuro e valido contributo alla stesura definitiva del testo di legge. Come sopra ricordato la bozza di articolato portata al confronto riguarda la sola riforma della L.R. 51/75. Ciò non toglie che la stesura definitiva della nuova legge per il Governo del Territorio vedrà come risultato finale anche la rielaborazione coordinata di tutta la normativa che tratta la materia urbanistica, attualmente reperibile in maniera difficoltosa nelle innumerevoli leggi di settore. L’intenzione è infatti quella di fornire agli operatori e a tutti i cittadini un unico testo normativo la cui finalità sia quella di offrire a chi opera sul territorio lombardo uno strumento unico, chiaro e di semplice consultazione. Fino ad ora la critica più ricorrente che ci è stata mossa è stata quella di non procedere ad una riforma più generale ma ricorrere come sempre a delle modifiche e aggiornamenti per parti, come se non si avesse il coraggio di affrontare

il difficile tema della riforma. Tali critiche non hanno colto lo spirito che ci ha guidato. La ragione per la quale si è scelto di procedere gradualmente è derivata dall’esigenza di sperimentare sul campo gli elementi innovativi che di volta in volta sono stati introdotti. Tale sperimentazione ci ha dato ragione: ad esempio il modello introdotto con la L.R. 9/99 ha contribuito a rendere più agibile e flessibile la pianificazione comunale e permettere interventi che hanno consentito un recupero qualitativo di molte aree delle nostre città che altrimenti sarebbero ancora in uno stato di degrado ingiustificato. Oggi i tempi per una riforma generale sono maturi. La bozza di articolato si propone, in conformità a quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, di porre al centro dell’attività pianificatoria il Comune, dando così pratica applicazione al principio di sussidiarietà costituzionalmente sancito. La Regione e la Provincia avranno un ruolo, prevalentemente, di programmazione e quindi di governo del territorio soprattutto su scala sovracomunale. È evidente che si vuole dare corretta interpretazione al principio della libertà e della democrazia, superando gli inutili, ed anacronistici controlli. Viene dunque definitivamente abbandonato il cosiddetto modello gerarchico o a cascata: Regione e Provincia potranno prevedere, attraverso i propri piani, solo interventi che obiettivamente assumano un rilievo regionale e provinciale. Ogni livello di governo avrà dunque piena autonomia nell’ambito della propria sfera di competenze. Ciò comporterà piena assunzione di responsabilità politica ad amministrativa in merito alle scelte effettuate. Responsabilità che non è solo degli amministratori ma anche dei privati che contribuiscono all’utilizzo e allo sviluppo del nostro territorio. In altri termini, nessuna legge regionale potrà contribuire a realizzare un corretto ed opportuno modello urbanistico se coloro che direttamente deputati alla applicazione dei princìpi contenuti in una qualsiasi proposta di legge non abbiano la sensibilità e la professionalità necessarie per assumere scelte che contribuiscono a migliorare la qualità delle nostre città. In conclusione l’intento e l’augurio del sottoscritto condiviso, anche dal Presidente della Regione Lombardia, è quello di avere una nuova legge per il governo del territorio che soddisfi le esigenze di crescita e di tutela del territorio lombardo. Alessandro Moneta Assessore al Territorio e Urbanistica del Comune di Milano

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Princìpi e obiettivi della nuova proposta di articolato per la riforma urbanistica regionale


Primo modulo Valutazioni problematiche nodali e “strutturali” della Proposta di Legge

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Coordinatore: Leonardo Fiori, presidente onorario I.N.U. Lombardia Relatori: • Mario Rossetti, direttore generale della Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia; • Giulia Rota, dirigente presso la Direzione Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia; • Marco Engel, delegato della Commissione Urbanistica della Consulta; • Fortunato Pagano, presidente della Commissione nazionale I.N.U. “ Riforma e federalismo” ; • Gianfredo Mazzotta, delegato della Commissione Urbanistica della Consulta; • Claudio Baracca, delegato della Commissione Urbanistica della Consulta; • Gianni Beltrame, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano; • Laura Pogliani, membro del Direttivo I.N.U. Lombardia; • Iginio Rossi, membro del Direttivo I.N.U. Lombardia; • Giuseppe Sala, membro della Commissione Regionale per la revisione della normativa urbanistica; • Maria Cristina Treu, prorettore del Politecnico di Milano, membro della Commissione Regionale per la revisione della normativa urbanistica; • Gaetano Lisciandra, membro della Commissione Regionale per la revisione della normativa urbanistica; • Massimo Ghiloni, membro della Commissione Regionale per la revisione della normativa urbanistica

M ario Rossetti A questo punto del confronto credo sia limitativo fermarsi alla semplice illustrazione della proposta di normativa, così come presentata a luglio, senza tener conto dei dibattiti di questi mesi. Infatti, i numerosi incontri che si sono già svolti e i diversi contributi che abbiamo raccolto costituiscono già spunto di dibattito che non possiamo trascurare e che influenzano le nostre riflessioni. Ma prima di entrare nel merito dei contenuti è opportuno spendere due parole sul metodo che, insieme all’Assessore al Territorio, abbiamo scelto di seguire. A differenza del passato, piuttosto che presentare un progetto di legge e dimostrarne la sua bontà, si è preferito dare vita ad un processo di costruzione della legge, coinvolgendo da subito il mondo istituzionale, le associazioni di categoria e gli operatori del settore. Tale processo è iniziato già nell’anno 2001, con la pubblicazione del documento “ Linee guida per la riforma urbanistica

regionale” contenente i princìpi, gli obiettivi ed i contenuti della nuova normativa in materia di governo del territorio. Come per le Linee guida, anche per la proposta di articolato abbiamo organizzato o partecipato a diversi momenti di confronto, con l’intento di raccogliere i contributi e i suggerimenti di tutti, e per costruire un testo il più possibile condiviso. La proposta di articolato sulla quale abbiamo aperto fino ad ora il confronto rappresenta la sola riforma della L.R. 51/75; le altre leggi riguardanti la materia saranno successivamente trattate all’interno della legge stessa, con gli opportuni adeguamenti che deriveranno dalla proposta di articolato conclusiva, e comunque solo dopo una attività di verifica con le altre direzioni regionali. Questa scelta è per noi indice di disponibilità al confronto, là dove si è offerta alla discussione una proposta ancora incompleta e, per questo, per certi versi più “ vulnerabile” di quanto non sarebbe stato un prodotto completato e consolidato, oltre che ampiamente verificato al nostro interno. Va aggiunto infine, come ho avuto modo di ribadire più volte, che il raccordo con la normativa urbanistica vigente sarà evidenziato nella legge a conclusione del lavoro, attraverso l’abrogazione di tutta la normativa urbanistica intervenuta negli anni a modifica della Legge 51. Il metodo scelto ci ha dato fino ad oggi ragione, per l’interesse che la proposta ha suscitato e per la ricchezza dei contributi che ne sono conseguiti. Ciò dimostra che la nuova proposta normativa, lungi dall’essere una mera riproposizione di contenuti del passato, contiene in sé molti aspetti innovativi, che inevitabilmente suscitano interesse e stimolano la partecipazione, manifestatasi in qualche caso con valutazioni prevalentemente censorie, e in altri con suggerimenti critici costruttivi. Vorrei ora soffermarmi, sia pure succintamente, su alcuni aspetti della nuova proposta normativa, che giudico di particolare rilevanza per il loro contenuto di trasversalità, i cui effetti si ripercuotono su tutto l’articolato, e a tale riguardo vorrei partire con la decisione di riproporre il Piano Territoriale Regionale. Le norme che riguardano il Piano Territoriale Regionale, che come è ovvio avrà forma, finalità e contenuti diversi rispetto a quelli previsti dalla normativa in vigore, traggono origine dal fatto che la Regione non può più essere considerata ente di mero controllo delle scelte pianificatorie degli enti locali, ma deve assumere un ruolo di governo e di programmazione del proprio territorio attraverso la partecipazione ed il confronto con tutti i soggetti interessati. Tale riproposizione è stata vissuta come una riaffermazione di un ruolo regionale in materia di pianificazione, proprio quando questo ruolo sembrava essere stato affidato, dalle riforme legislative e costituzionali, alle province. È chiaro che ciò di cui stiamo discutendo, da un


una procedura che sembrava mettere le province sotto la tutela dei Comuni. Evidentemente la finalità è stata fraintesa, ma se le province ritengono, come esito della propria esperienza, che tale procedura risulta più funzionale alla costruzione dei P.T.C.P., è nostra intenzione riconsiderare la nostra posizione iniziale e accogliere l’istanza degli enti provinciali. L’altro aspetto sul quale vorrei soffermarmi, anche perché sollecitato da osservazioni emerse durante i confronti, riguarda il tema della partecipazione dei cittadini nel processo di costruzione delle scelte strategiche contenute negli strumenti di pianificazione. Riconosco che tale argomento è fra quelli menzionati nelle linee guida e non ancora adeguatamente sviluppato nella proposta presentata. Non è un caso e non si tratta di una dimenticanza. Risulta chiaro a tutti che, nella nuova dimensione della pianificazione e dei rapporti fra enti e piani, il ruolo della partecipazione, della condivisione e del controllo da parte della cittadinanza, oltre che di tutti i soggetti direttamente interessati ad un processo, non può essere preconfezionato; occorre, a mio avviso, lasciare margini alla sperimentazione senza ridurre subito tutto ad una “ burocratizzazione” del processo. È altresì chiaro che la definizione degli strumenti, la loro forma e la relazione fra strumenti diversi è elemento essenziale per stabilire l’articolazione più efficace dei processi partecipativi. In questa fase abbiamo pertanto ritenuto più opportuno ragionare prima dettagliatamente sugli strumenti, e solo dopo rendere esplicito ciò che al momento è trattato, di fatto, in forma implicita. Vorrei qui utilizzare, solo come spunto, il Piano per il governo del Territorio. Così come va delineandosi, esso appare come un documento di disegno soprattutto politico e programmatico, al di là delle implicazioni che produrrà sulla proprietà dei terreni. La partecipazione, a questo livello, oltre che istituzionale, deve coinvolgere la cittadinanza e le organizzazioni culturali e sociali, prevalentemente sulla definizione degli obiettivi, e con questo fine deve essere indirizzata, con quello che ne consegue in termini di procedure. Credo risulti evidente come possa essere diversa, nella forma, la partecipazione alla definizione del Piano morfologico piuttosto che dei Piani complessi. Ma vorrei aggiungere anche che una procedura partecipativa all’interno di uno strumento di piano totalmente innovato rappresenta anch’essa elemento di innovazione e di ricerca, per il quale non esiste una soluzione precostituita e per il quale l’attivazione, anche sperimentale, di procedure ad hoc può risultare proficua. Tanto più se si considera il grado di autoregolamentazione che si ritiene giusto e utile lasciare alle amministrazioni comunali. Non credo, infatti, che la legge debba dire tutto sull’organizzazione della partecipazione; credo piuttosto che, individuati alcuni elementi di base, debba essere lasciato alle singole amministrazioni comunali lo spazio per specificarne i meccanismi.

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punto di vista delle procedure e degli strumenti, nasce da un presupposto ben preciso, e cioè dalla considerazione che la Regione, divenendo un ente la cui competenza nel governo del territorio viene riaffermata e modificata - più che sminuita - non ha più un problema di gestione, ma ha sicuramente un problema di governo e di programmazione. Il governo regionale, pertanto, nella programmazione del proprio sviluppo non può più prescindere da una visione di tipo territoriale, ed è da questa consapevolezza che ha preso avvio l’idea di riproporre uno strumento di pianificazione come il P.T.R. Ci conforta in questo il confronto con le altre regioni le quali, pur con diversi gradi di avanzamento e di maturazione della propria esperienza di pianificazione regionale e provinciale, si stanno tutte ponendo il problema di un progetto di territorio a livello regionale, abbandonando i vecchi schemi e, certo, accettando anche la sfida di rimettere in discussione scelte e procedure, al fine di rispondere adeguatamente alle nuove esigenze e ai nuovi obiettivi posti. La sfida riguarda anche l’individuazione della forma del nuovo strumento. In questo periodo ci siamo confrontati spesso con i colleghi di alcune regioni, ed abbiamo accertato che non ci sono esperienze in grado di indicarci la “ tecnica” o la “ forma” migliore da utilizzare: piano “ strategico” , “ strutturale” , “ Quadro di riferimento” , “ Linee di indirizzo” , ecc. Evidentemente ci troviamo in una fase di innovazione e sperimentazione che deve essere colta e alla quale dobbiamo cercare di rispondere, mettendo anche in campo competenze e professionalità che rappresentano una prova e un’opportunità per il mondo professionale, accademico e della ricerca, oltre che un grande impegno per la pubblica amministrazione, di fronte al quale non intendiamo tirarci indietro. È chiaro pertanto che non si tratta di riaffermare un ruolo di potere della Regione; se così fosse avremmo riproposto l’approvazione con i timbri dei provvedimenti comunali. È anzi esattamente il contrario: nella nuova proposta normativa viene definitivamente abbandonato il cosiddetto modello gerarchico o a cascata, e al Comune è riconosciuta la competenza principale e generale nella materia del governo del territorio. Ma, affinché i vari enti istituzionali si confrontino su uno stesso livello, è necessario che ognuno, al proprio livello, abbia chiaro il disegno strategico a cui riferire la programmazione. Tornando brevemente alla competenza delle province in materia di pianificazione, vorrei aprire una breve parentesi che riguarda il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e, in particolare, la conferma o meno del ruolo dell’Assemblea dei Sindaci. Nell’ottica di quanto ho finora affermato, ogni ente è da considerare responsabile del proprio disegno strategico, da confrontare con gli altri enti ma da non sottoporre ad approvazione di altre istutuzioni. La messa in discussione dell’Assemblea dei Sindaci era pertanto mirata a rimuovere


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In definitiva ribadisco ancora che, nel momento in cui ci accingiamo a superare il modello che conosciamo, fondato sul controllo gerarchico, diventa fondamentale garantire una nuova forma di controllo, “ dal basso” , che dovrà accompagnarsi - e qui introduco il terzo argomento da affrontare - ad un momento di tipo valutativo, nel merito delle scelte, contribuendo a definire un nuovo quadro di costruzione delle strategie dimensionato sull’autonomia dell’ente, sulla valutazione tecnica e sul confronto con tutti i soggetti interessati. La valutazione dei piani, in particolare, assume un ruolo essenziale nel nuovo processo di pianificazione. Nella bozza di articolato essa è al momento solo indicata; ma proprio perché riteniamo la valutazione essenziale nel nuovo processo di pianificazione, abbiamo già iniziato a lavorare al recepimento della Direttiva C.E., attraverso

una sperimentazione che ci fornisca gli elementi tecnici e metodologici dai quali far discendere i criteri necessari per completare la proposta di legge. Anche in questo l’apporto collaborativo e orizzontale è essenziale; si pensi, in particolare, al sistema informativo territoriale, con riferimento al quale stiamo instaurando collaborazioni forti con le Province e con le altre istituzioni. L’obiettivo è quello di arrivare ad un sistema informativo territoriale realmente condiviso per la comunità lombarda e non semplicemente per l’Ente Regione. Naturalmente il S.I.T. è uno strumento di supporto all’attività di valutazione dei piani e non si sostituisce a questa: avere a disposizioni informazioni condivise, e conseguentemente un unico linguaggio, inevitabilmente comporta una maggiore facilitazione nelle procedure di valutazione dei piani. Stiamo quindi lavo-


Giulia Rota

Mantova, chiesa di Sant’Andrea (foto: Marco Introini).

In questi giorni mi è capitato di dover riflettere sull’impostazione generale di questa nostra proposta di legge, in quanto mi è stato richiesto di svolgere una lezione in merito nell’ambito di un corso organizzato per i funzionari regionali che lavorano presso le sedi territoriali decentrate. Questi funzionari si troveranno più direttamente di altri a rispondere alle domande e alle istanze delle amministrazioni locali pur non essendo specificamente addetti ai lavori e dotati di competenze specialistiche. Proprio in considerazione di questo lo sforzo che ho tentato di fare è stato quello di ripercorrere un vissuto di tipo metodologico e i princìpi che stanno alla base delle scelte che informano la bozza della nuova legge. Tali princìpi permeano già abbondantemente tutta la produzione legislativa regionale più recente e sono presenti come istanze della società stessa, tant’è che quando con l’Assessore ci siamo recati presso le sedi territoriali della Regione per spiegare alle amministrazioni locali i contenuti della nuova legge, complessivamente si è potuta ricavare l’impressione che tali contenuti siano largamente condivisi e attesi, al di là di qualche perplessità circa l’eccessiva autonomia che alcuni vedrebbero attribuita ai comuni, ma che peraltro è gia un assunto della legislazione previgente. Andando a ripercorrere, infatti, i princìpi di fondo, direi che nell’ambito istituzionale il discorso comincia già con la Legge n. 59 del ’97 e con i decreti Bassanini, attraverso i quali gli atteggiamenti di tipo autoritativo, che precedentemente connotavano il rapporto tra gli enti, vengono sostituiti da comportamenti improntati a un discorso di cooperazione interistituzionale. La stessa prassi di verifica per l’approvazione dei Piani Regolatori in ambito regionale non è sicuramente quella di alcuni anni fa. Oggi tutto lo sforzo dell’Assessorato nel valutare la congruità dei piani comunali è rivolto alla ricerca del giusto punto di vista regionale, che consenta di stabilire quale è il livello di salvaguardia che ha un interesse per la Regione: non vengono certo più stigmatizzati fatti singoli e specifici che hanno un rilievo soprattutto comunale. In particolare, comunque, se guardiamo appunto alla legislazione, la Legge n. 1/2000, che è quella di recepimento dei decreti Bassanini, all’art. 3, che definisce la

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rando per individuare metodi e regole per poter proporre una procedura valutativa; non le abbiamo prestabilite ed è per questo motivo che esse non compaiono nella proposta di legge. Aggiungo inoltre che, pur in assenza di una legge di riferimento e pur in assenza di una procedura codificata, i Comuni devono comunque iniziare ad attivarsi per impostare una valutazione complessiva dei propri strumenti e non hanno necessariamente bisogno che sia la Regione a dire loro come fare; le amministrazioni comunali sono infatti perfettamente in grado di fissare obiettivi di carattere ambientale rispetto ai quali misurare le previsioni e non potranno più esimersi dall’assumere un approccio valutativo nell’effettuare le proprie scelte di sviluppo. Per concludere, vorrei riaffermare che, pur ritenendo la L.R. 51/75 una legge che ha dato dei buoni risultati, sono ormai maturi i tempi per ultimare il processo di riforma della materia già avviato dalla Regione negli ultimi anni, allo scopo di arrivare ad un nuovo impianto normativo che sia consono alle esigenze di sviluppo, nel rispetto del territorio, della società lombarda.


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competenza dei vari enti in materia urbanistica, in realtà, non definisce qualche cosa di molto diverso da quello che oggi viene proposto, cioè un discorso di governo del territorio sulla base dell’interesse prevalente. Già in questa legge è prevista un’autonomia di formazione del piano comunale, un’autonomia di formazione del piano provinciale e un’autonoma formazione di un piano regionale, che poi si confrontano e interloquiscono esclusivamente per verificare i propri elementi di compatibilità (quindi, non più di conformità) e le proprie possibilità di cooperazione e collaborazione nell’implementazione del piano globale di governo del territorio. Questa legge, che oggi noi stiamo verificando come bozza, ha quindi in tutta la legislazione precedente una serie di motivazioni e, comunque, di anticipazioni. Nel campo, per esempio, strettamente disciplinare, il discorso relativo alle destinazioni d’uso, ai centri storici, agli standard urbanistici è già tutto contenuto nella Legge 1/2001. In particolare, ad esempio, il discorso delle zone omogenee che vengono meno è già completamente presente nei disposti della L.R. 1/2001. Nel momento in cui la legge dice, infatti: “ cambiamo il principio, non classifichiamo più ciò che è ammesso bensì quello che è vietato” , voi capite che, tutto sommato, la connotazione di zona omogenea, come siamo abituati normalmente a vederla nel piano regolatore, già di per se stessa è saltata. Nulla vieta peraltro di spingere la nuova formula, nei casi di necessità, ad individuare comunque, attraverso una negazione, connotazioni molto specifiche per determinate aree. Voglio dire che, se un’area è industriale, vorrà dire che si negherà la funzione residenziale. Ma se, per esempio, un’area è mista, allora a questo punto si dirà che è un’area mista e non si dirà più che è un’area residenziale in cui sono ammesse mille funzioni. Quindi, tutto sommato, è un problema di creazione, secondo me, anche di un immaginario, di una capacità di comprensione dello spazio di grande inventiva che questa modalità di fare legislazione dà, proprio per il fatto di non fornire norme tassative. (...) In fondo la normativa attuale, proprio per il fatto di voler stabilire tutto, ha causato una proliferazione delle zone di piano. Si è inventato di tutto, cosicché una zona B è diventata una zona B1, B2, B3, B15, B18, zona speciale, ecc. I piani si sono complicati moltissimo. In realtà, qui si tenta di dare spazio alla specificità, perché oggi la salvaguardia e la valorizzazione della specificità locale è un’istanza fondamentale. Culturalmente la società odierna è una società estremamente individualista, nel tentativo di contrapporsi a quella omologazione che, a livello mondiale, caratterizza i sistemi di produzione. Nessun periodo della storia ha conosciuto una simile tendenza alla omologazione e mai i territori sono stati, peraltro e per contro, così attenti alla propria unicità e così preoccupati della propria immagine. Non c’è città o regione che non cerchi di far valere i suoi pregi, che non promuova la sua specificità, che non tenti di accrescere l’offerta di servizi, di mettere in luce la sua qualità e di esaltare le differenze, nel tentativo di affermare la sua immagine per dare impulso al suo sviluppo. Il posizionamento dei territori sul mercato passa, infatti, attraverso l’identificazione, la specializzazione e la valorizzazione, poiché per il grande mercato delle migrazioni residenziali e degli insediamenti economici i territori si posizionano sempre più come “ marchi” . Proprio in funzione della competitività è giusto, quindi, potere avere strumenti che consentano di dire: questo sono io, che non sono uguale al comune vicino, che non sono uguale al comune di pianura perché sono in montagna, che ho dei fabbisogni e dei problemi miei propri.

Già la legislazione ha introdotto, dall’inizio degli anni Novanta, strumenti di programmazione negoziata che danno risposta all’esigenza di sperimentazione di nuovi modelli e strumenti di intervento, che si potrebbero definire “ contrattuali” , attraverso i quali la tradizionale impostazione legislativa viene innovata, di fatto, sia nel merito che nel metodo, nella consapevolezza che essenziale per l’efficacia e il controllo delle scelte di pianificazione, in un contesto ad elevata dinamicità e complessità, è l’utilizzo di un approccio per progetti, che si confrontino col piano non tanto in termini di parametri, indici, distanze o regole che, magari, mortificano il progetto, ma che rispondano alle linee strategiche che il piano propone. Specifica di tale tipologia legislativa è la Legge n. 9/99, che prevede il documento di inquadramento nel quale il comune esplicita le proprie opzioni programmatiche, rispetto alle quali impostare la valutazione delle proposte progettuali. È chiaro che questa modalità di approccio crea delle difficoltà, sia per chi progetta che per chi valuta il progetto, perché, indubbiamente, è molto più semplice assumere parametri e norme e applicare questi. Tant’è che, in effetti, questa legge che era stata grandemente richiesta dagli operatori, nel momento in cui li espone ad una competizione, li espone al rischio di provare a fare un progetto che potrebbe anche essere bocciato, forse non va più altrettanto bene per tutti. Però, in realtà, questa legge apre la possibilità di un discorso molto più libero e, nonostante la fatica con cui questo processo è maturato negli ultimi anni, oggi si cominciano a vedere dei progetti che, effettivamente, hanno un senso. Per continuare nella nostra ricognizione sui concetti di fondo già presenti nella legislazione settoriale, dal punto di vista della semplificazione amministrativa possiamo citare la L.R. 18/97 per la delega delle autorizzazioni ambientali e la L.R. 23/97 sulle varianti delegate alla approvazione diretta da parte dei Comuni. C’è stata, inoltre, la previsione a livello statale dello Sportello Unico, che oggi è applicato in modo generalizzato per tutte le attività produttive e di servizio. In proposito bisognerebbe, secondo me, trarre dall’esperienza qualche riflessione molto seria sul fatto che queste procedure, che apparentemente sono tutte dalla parte dell’operatore, non hanno alcuna visione di lungo respiro e provocheranno, alla lunga, gravissime conseguenze a livello territoriale, dal momento che il processo localizzativo non riesce ad essere analizzato e validato a monte. Attualmente, infatti, uno arriva con il suo bel progetto, che è costato un’ira di Dio, collocato su un’area che è costata, altrettanto, un’ira di Dio, e quando tu ti permetti di dire che non va bene, evidentemente succede il finimondo. Fondamentale è quindi prendere il processo a monte, ragionare perché la valutazione sia condotta al giusto livello territoriale, probabilmente nell’ambito di procedure, appunto, partecipative, quali quelle che l’ing. Rossetti richiamava prima. Come si può vedere, tutto quanto quello che oggi si tenta di dire nella nuova legge ha comunque già una sperimentazione alle spalle e presupposti nella normativa precedente. Voi conoscete, per esempio, tutto il discorso fatto sugli standard e sul Piano dei Servizi come programma della città pubblica. Il discorso del superamento di uno standard che sia semplicemente parametrato al metro quadro, verso uno standard che miri, invece, a fornire un servizio di qualità, effettivamente rispondente a un fabbisogno. Vi dirò che cominciamo ad avere le prime sperimentazioni in questo senso. E quello che poi, tutto sommato, stupisce, ma fa nello stesso tempo piacere, è che sono forse i comuni più piccoli che stanno co-


di riferimenti così specifici a indici, cubature, distanze, quanto a discorsi un po’ più di tipo ambientale, di inserimento. Sarebbe interessante, ad esempio, valutarne le relazioni con i criteri del Piano Paesistico Regionale.

M arco Engel La nuova legge urbanistica lombarda nel contesto normativo nazionale e regionale Anzitutto si può affermare che una nuova legge urbanistica lombarda già esiste ed è pienamente in vigore: è il risultato della trasformazione della L.R. 51/75 operata attraverso un gran numero di disposizioni normative, a partire dalla metà degli anni ‘90. A causa delle molte innovazioni introdotte, sia di carattere generale che di settore, la prassi attuale della pianificazione urbanistica è caratterizzata da un elevato livello di complessità, per non dire di confusione. Accanto alle leggi “ storiche” , ma tuttora vigenti, che ancora contengono i fondamenti della pianificazione urbanistica, come la legge urbanistica nazionale o il D.M. 2 aprile 1968, è stata sviluppata una vasta produzione normativa riguardante le tematiche, le materie e le finalità più diverse, talvolta in contraddizione fra loro, destinate comunque a trovare sintesi nella strumentazione urbanistica ed in particolare nel Piano Regolatore Comunale. Attualmente è proprio l’unitarietà del P.R.G. ad autorizzare, forse addirittura a stimolare, tale estrema diversificazione delle materie della pianificazione e delle relative disposizioni normative. Questo strumento si è così arricchito di contenuti che spaziano da temi già conosciuti, ma tradizionalmente distinti e separati dal piano urbanistico vero e proprio, come è il caso della pianificazione commerciale o della pianificazione paesistica, a temi nuovi e specialistici, come la zonizzazione acustica (L.R. 13/2001) o la distribuzione degli impianti di telecomunicazione (L.R. 1/2001) e più in generale alla vasta materia ambientale. I Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali sovrappongono a questo groviglio di norme ulteriori disposizioni, per lo più orientative, che riguardano sia le stesse materie trattate dalle leggi nazionali e regionali che temi e princìpi novi e diversi, come il sistema dei coefficienti premiali contenuto nel P.T.C.P. della Provincia di Milano. Già oggi i princìpi stessi della pianificazione urbanistica comunale, che rappresentano ovviamente il centro del progetto di legge in discussione, appaiono radicalmente innovati rispetto solamente a pochi anni fa. Sono stati rivoluzionati, attraverso le disposizioni legislative più recenti, alcuni dei capisaldi della pianificazione: • la suddivisione del territorio in zone funzionali omogenee, quasi cancellata dalla L.R. 1/2001, che tuttavia ancora sopravvive, celata sotto un rimando ad altra Legge Regionale (19/92); • il sistema di calcolo della capacità insediativa di piano; • il principio stesso dello “ standard” , ossia della determinazione di un parametro fisso di misurazione della quantità di aree da destinare ad attrezzature e spazi pubblici; • la sequenza delle procedure, o meglio il sistema gerarchico dei controlli, sostituito dal principio di sussidiarietà; per non citare che i principali. Si tratta dei temi che ritroviamo alla base del nuovo progetto di legge in una formulazione talvolta più radicale, come nel caso delle destinazioni d’uso, talaltra più vaga,

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minciando ad usare bene questi strumenti. È chiaro che nella legge oggi voi non trovate tutti gli apporti normativi derivanti da discipline settoriali (in proposito era stata formulata apposita domanda in preparazione di questo convegno). Sicuramente va trovata collocazione nell’ambito della proposta di legge a tutte le ricadute pianificatorie delle discipline settoriali. Il governo del territorio si è oggi estremamente complicato proprio in relazione a questi fattori, che non possono essere dimenticati o ignorati. Un po’ di giorni fa, per esempio, ho avuto uno scambio di idee con il Presidente dell’Ordine degli Agronomi, in relazione al fatto che molti hanno detto: “ ma qui dell’area agricola non si dice niente” . In realtà l’Ordine degli Agronomi vede questo fatto come estremamente positivo in quanto la modalità di intervento in zona agricola non è fornita, a monte, ma il territorio agricolo deve essere indagato preliminarmente alla costruzione del Piano di Governo del Territorio, che potrà quindi, comune per comune, finalmente riconoscere le specificità di ogni singolo territorio agricolo e le modalità per la sua tutela, valorizzazione o eventuale parziale implicazione con attività di trasformazione. Non sempre, infatti, quello che chiamiamo territorio agricolo è un territorio agricolo produttivo ma, spesso e volentieri, ormai ha esclusivamente una funzione di manutenzione ambientale, che potrebbe ritrovare nel piano un qualche livello di riconoscimento e di compensazione nel caso di eventuale implicazione per espansione. Si tratta di una personalizzazione, come dicevo prima, del Piano che lo rende adatto a quello specifico territorio e a quelle specifiche esigenze e che gli consente di modificarsi nel tempo con sufficiente rapidità, pur nel rispetto delle invarianti, che verranno evidenziate dalle analisi e che si tradurranno in elementi di tutela, difficilmente superabili se non attraverso scelte fortemente documentate. È chiaro che, nel momento in cui in un apparato di piano viene a mancare un controllo gerarchico e viene a mancare un riferimento specifico a norme tassative, il discorso della valutazione diventa un discorso di fondo. Cambia la strumentazione di riferimento, cambia la modalità di approccio al piano, che è un piano che deve confrontarsi soprattutto con un apparato conoscitivo forte e deve attrezzarsi per una valutazione ex ante ed ex post delle sue scelte specifiche. Proprio per facilitare il discorso sia della sua formazione, che della sua modifica il piano comunale è stato diviso in tre parti: il Piano di Governo del Territorio, che è un piano fondamentalmente di tipo politicoprogrammatico e due strumenti, probabilmente ancora in parte da pensare, che sono il Piano dei Servizi e il Piano di Assetto Morfologico. Sul Piano dei Servizi c’è già una sperimentazione in atto: questo è il piano della struttura pubblica e quindi, probabilmente, anche il piano della sostenibilità pubblica degli interventi previsti dal piano. Infatti, gli insediamenti dipendono dai servizi e dalla possibilità che i servizi hanno di reggerli: conseguentemente, quindi, il Piano dei Servizi è una misura della capacità pubblica di reggere l’implementazione del piano. Il Piano di Assetto Morfologico ci sembra uno strumento ancora, probabilmente, da affinare, ma che possa dare delle concrete risposte sia alla valorizzazione e tutela dei centri storici (è questo un discorso largamente consolidato nell’ambito della pianificazione urbanistica perché, ormai, la maggior parte dei piani sono assolutamente adeguati rispetto all’analisi dei centri storici), che alla gestione, magari un po’ più libera e, un po’ più di fantasia, dell’edificato consolidato. La gestione dell’edificato consolidato, probabilmente, non ha più bisogno (poi, bisognerà vederlo caso per caso),


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Brescia, piazza Paolo VI (foto: Marco Introini).


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come nel caso del sistema di valutazione della capacità insediativa, talaltra ancora sotto forma di rimando non esplicitato, come per il Piano dei Servizi, che viene riproposto in maniera un poco diversa, senza chiarire se tale nuova formulazione costituisca una innovazione o sia semplicemente un riassunto, non ancora perfezionato, delle disposizioni vigenti. Ben venga dunque la nuova legge urbanistica lombarda, a patto che rappresenti l’occasione per dare finalmente ordine al complicato quadro legislativo, riassumendo in un unico documento almeno i capisaldi delle disposizioni normative vigenti. Riordinare il complicatissimo apparato legislativo regionale e garantire il necessario coordinamento con la legislazione nazionale deve essere il primo obiettivo della nuova legge: garanzia della chiarezza, della semplicità e dell’affidabilità del processo e delle scelte della pianificazione. In particolare bisogna considerare che il P.R.G. rappresenta la piattaforma sulla quale poggia attualmente l’aggrovigliata impalcatura delle diverse norme generali e settoriali: la sua sostituzione con nuovi e diversificati strumenti di pianificazione non può avvenire senza un minuzioso lavoro di ricucitura di tali disposizioni per renderle coerenti con la nuova articolazione degli strumenti di piano prefigurata dal progetto di legge. Il documento attualmente in discussione non sembra tenere nel giusto conto le esigenze di coordinamento e sostituzione delle troppe disposizioni vigenti: esigenze che troverebbero la loro definitiva soddisfazione nella produzione del tanto atteso “ testo unico” . Ma una prima risposta a tali esigenze potrebbe venire anche dalla parte che non si trova ancora scritta nell’articolato: quella dove si dichiarano le leggi che vengono cancellate e sostituite. In una situazione di così grande confusione questo è un capitolo indispensabile: l’unico in grado di dare l’esatta misura dell’innovazione.

Fortunato Pagano Il tempo è tiranno. Visto che il tempo è tiranno, mi limiterò ad usare il mio intervento ai fini di alcuni flashes. Un contributo l’ho dato nell’ambito dell’Istituto nel quale da lungo tempo sono impegnato. Rinvio alla lettura del contributo stesso del quale forse è possibile avere copia. I piani rigidi non hanno certo indotto (lo dico perché, rispetto a quella degli urbanisti, è prevalente la partecipazione degli architetti), addizioni erculee, quali quella famosissima di Ferrara, ma quasi sempre quelle, per usare una definizione alla quale nella Città nella storia fa ricorso Lewis Mumford, anonime, alienanti “ essudazioni metropolitane” o urbane o, nel caso delle ristrutturazioni urbanistiche, anonime, alienanti escrescenze urbane. Tali non esaltanti sviluppi si sono per lo più determinati, anche se alcuni progettisti di piani regolatori hanno, a livello onirico, pensato di poter assumere il ruolo di urbanisti–architetti; ciò in forza di commesse assimilabili a quella data, ad esempio, da Ercole 1°, duca d’Este, a Biagio Rossetti, ovverosia alla commessa relativa proprio alla suddetta addizione erculea, o alla commessa “ data” da Pio II a Rossellino, quella relativa alla splendida Pienza. Faccio riferimento a coloro i quali – o ad alcuni di coloro i quali – hanno redatto e, in qualche caso, stanno ancora redigendo piani rigidi manifestando propensioni all’urbanistica tridimensionale. Penso ai piani regolatori corredati da schede e c.d. progetti norma, piani matrioska, ovverosia piani generali contenenti conati di piani particolareggiati, anche planivolumetrici.

Qualche volta – dicevo l’altro giorno in una sede I.N.U. – trattasi di piani rigidi che possono essere definiti plumbei, anche in quanto sovraccarichi di presunzioni di dubbia credibilità e di rapida obsolescenza. Essi fanno pensare ad un piano visto come prefigurazione non di ciò che si ipotizza e si auspica possa essere, ma di ciò che si pretende sia. Non hanno, però, dato luogo ad “ addizioni erculee” neppure coloro i quali hanno redatto, in un’epoca più recente, progetti di sviluppo negoziati con amministrazioni comunali, in qualche caso, più che negoziati solo avallati dalle amministrazioni stesse. Siamo lieti di constatare che al vecchio piano rigido sono state date, oltre che “ spallate” dai fautori della deregulation (che, in qualche caso si sono configurati anche come fautori dell’abbandono del metodo della pianificazione), anche più convincenti e meditate “ spallate culturali” , in larga misura condivisibili, quale quella ad esempio, in modo egregio, data di recente da Gigi Mazza. Voi sapete a cosa faccio riferimento. Quelli che fanno paura non sono certo i fautori di nuove laiche regulation urbanistiche (mi sia perdonato l’uso di questo termine in contrapposizione al termine deregulation), di nuove laiche applicazioni del metodo della pianificazione, ma i sostenitori della necessità di liquidare la funzione “ pianificazione” e di limitarsi a disciplinare lo sviluppo mediante negoziazioni, che certo sono importantissime, ma devono sicuramente essere viste come strumenti della pianificazione e non assunte come surrogati della stessa. Fanno paura quelli che – costituiscono probabilmente una piccolissima minoranza – sono assaliti da quella che possiamo indicare come la libido delendi et negotiandi. Quando dico nessuno, intendo fare riferimento anche agli amici (il cui lavoro, sotto alcuni profili, ho apprezzato) che hanno redatto il progetto di legge, che credo sia solo un semilavorato e sia comunque da assumere come un progetto suscettivo di rielaborazione, messe a punto ecc. In diversi stiamo tentando di dare un fattivo contributo in questa direzione. Nessuno, quindi, neppure loro, vuole passare dal dirigismo ingenuo, un po’ fesso, che ha contraddistinto la storia urbanistica italiana per diversi decenni, al qualunquismo urbanistico, ad un’abdicazione dinanzi al mercato (che pur riteniamo debba essere oggetto di attenta considerazione in sede di esercizio della funzione urbanistica). Da parte di alcuni (spero da parte di molti) si pensa che la direzione verso la quale andare è quella di una laicizzazione (lo dicevo l’altra sera in sede I.N.U.) della pianificazione in applicazione, in primo luogo, ma non solo, del metodo critico, e non certo in direzione della liquidazione della funzione. Rapidamente. Una parte dell’evoluzione in direzione della laicizzazione di quella pianificazione urbanistica rigida, che tutti aborriamo, si è avuta, nell’ultimo decennio, in forza di una proposta dell’Istituto (nel quale sono lieto da lungo tempo di essere impegnato) ed in forza anche di alcune leggi urbanistiche regionali dell’ultima generazione. Parziale evoluzione. Perché? Essa è valsa a promuovere una distinzione (non sempre chiarissima), tra il momento di conformazione del territorio ed il momento di conformazione della proprietà nonché una distinzione tra scelte strutturali e individuazione di obiettivi di fondo (accompagnata dalla formulazione di ipotesi strumentali al perseguimento degli obiettivi stessi) e scelte, invece, operative promosse in relazione a obiettivi di medio o breve periodo. Solo una parte dell’auspicata evoluzione si è, a mio avviso, avuta in quanto, sia la proposta I.N.U. (almeno


duazione del momento di conformazione edificatoria della proprietà. A proposito di conformazioni edificatorie mi sia consentita una incidentale piccola notazione polemica. La Regione, quando vuole, è molto puntuale in materia di conformazione della proprietà. Si pensi alla nota legge sui sottotetti che direttamente ha conformato tante proprietà che non pare siano rimaste sconcertate. Tutt’altro! È necessario che, quanto alla suddetta conformazione, venga fatta chiarezza. Forse è da ritenere – lo dico anche alla luce delle considerazioni che dall’I.N.U., con il documento che vi è stato distribuito, sono state svolte circa il Piano di governo del territorio – che il piano stesso debba contenere, in materia di conformazione della proprietà, solo indicazioni di massima e che debba essere chiarito come, a valle di detto piano, si articoli e debba essere portato a conclusione il processo relativo alla conformazione stessa. Occorre fare chiarezza ed anche manifestare qualche preoccupazione per quella che, in qualche caso, – penso solo a casi di patologica applicazione della legge – si potrebbe configurare come una “ conformazione á la carte” . Non sono certo auspicabili sviluppi del genere. Quanto alla flessibilità, rilevo, in breve, che sorprende che alla stessa, anche con il progetto di legge in considerazione, venga prestata attenzione, in termini – mi sia consentito dirlo – tradizionali. Si può avere della flessibilità una visione riduttiva e una meno riduttiva. Qual è la visione riduttiva cui faccio riferimento? Per alcuni flessibilità significa allargare l’ambito dei piani urbanistici attuativi che possono essere promossi in variante e/o legittimare deroghe varie. A mio avviso, la flessibilità dovrebbe, invece, essere vista in termini di “ fluidificazione” di un processo scorrevole del quale piani rigidi e/o ipertrofici (quanto allo sviluppo delle loro previsioni) non debbono costituire grumi o strozzature. Fluidificazione che comporta maggiore attenzione al processo di cui i piani devono essere momenti “ non ingessanti” . Altri brevissimi flashes suggeriti da una mia radicata (forse errata) convinzione, quella avente ad oggetto la necessità di prestare attenzione non solo agli strumenti e alle relazioni fra gli stessi (per soddisfare esigenze minime di coordinamento), ma anche, addirittura forse più, al processo. Mi precipito a dire che io non penso a una legge che, in modo dettagliato, disciplini il processo. Penso solo a poche regole, all’affermazione di alcuni princìpi. Aggiungo che, se nella legge si dovessero riscontrare in materia ipertrofie, si avrebbe una soluzione confliggente, quanto meno nella sostanza, con il principio di sussidiarietà e comunque una soluzione tale da comprimere le autonomie locali. In parte, le regole del processo non devono risultare contenute nella legge ma debbono essere frutto dell’esercizio della funzione urbanistica da parte dei comuni. Le regole o princìpi di rango legislativo devono essere comunque quelle relative ai modi di conformazione edificatoria della proprietà e alle verifiche di sostenibilità, compatibilità e fattibilità delle ipotesi di sviluppo nonché alla selezione di iniziative. Per il resto il processo dovrebbe essere, a mio modesto avviso, disciplinato dai comuni nel momento fondativo di esso, ovverosia con il piano generale. Previe opportune modifiche del testo in considerazione, il proposto strumento “ piano di governo del territorio” può essere oggetto di condivisione. Credo che vadano riscritti alcuni comma, ma che, nel complesso, detto strumento (poco importa che si chiami

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sotto alcuni profili), sia le leggi regionali cui facevo riferimento presentano ancora, sotto alcuni profili, un impianto tradizionale. Si discute, infatti, di un modello e di discipline legislative con i quali viene prestata attenzione quasi esclusivamente agli strumenti e che sono caratterizzate da disattenzione per il “ processo” . Ebbene, anche il progetto di legge in questa sede oggi in considerazione presenta, a mio avviso, un impianto tradizionale. L’ho letto e riletto attentamente ed ho constatato che esso ha a oggetto nella sostanza quasi esclusivamente la disciplina degli strumenti. Anch’esso, come le suddette leggi urbanistiche regionali, è contraddistinto da disattenzione per il processo. Io credo che gli interrogativi principali che bisogna porsi (il tempo, come dicevo, è tiranno e devo quindi costringermi ad un tentativo di sintesi stringata) sono quelli relativi a qualche possibile regressione, che occorre paventare per cautela, e ad alcune approssimazioni i cui effetti, sempre per cautela, occorre ipotizzare. Dicevo che anche il progetto di legge in considerazione (che – io penso – sarà ampiamente modificato, emendato anche, utilizzando gli apporti serenamente critici che, in varie sedi, sono stati dati, che, anche in questa sede vengono dati e che verranno dati) possa dar luogo, se verrà approvato, ad una pianificazione ancora, paradossalmente, caratterizzata da rilevanti elementi di rigidità. Penso a quelle che potrebbero essere le “ sinergie negative” del Piano dei servizi e del Piano di assetto morfologico. In un primo momento, alla luce d una prima lettura del testo ho pensato che il secondo fosse stato, concepito solo con riferimento alle zone consolidate urbane, alle zone di completamento; poi, alla luce di un’attenta rilettura del testo stesso, ho compreso che esso dovrebbe risultare relativo anche alle zone di nuovo impianto, a tutte le non meglio definite zone di rilevanza urbana. Ben sono quindi da paventare le suddette sinergie negative del Piano dei servizi e del Piano di assetto morfologico che, a maggior ragione in quanto relativo ad un così vasto ambito, non potrà non essere coordinato con il primo. L’urbanistica è fatta di relazioni. Non si può certo redigere un Piano dei servizi senza interrogarsi sui fabbisogni da soddisfare, che non sono certo solo fabbisogni arretrati, ma anche fabbisogni emergenti, da individuare in relazione alle ipotesi di sviluppo residenziale e produttivo oggetto di coeve scelte. Credo che quelle testé esposte siano considerazioni banali, che ogni tanto, però, sembra occorra fare. Brevissimamente, su alcuni pericoli che, invece, potrebbero derivare da levità e da approssimazioni. Io – forse a causa della mia deformazione professionale – assumo tra gli oggetti di necessaria privilegiata attenzione il problema della conformazione della proprietà. Ebbene, credo che nel quadro di questo progetto di legge, redatto con un impegno che pur merita il nostro apprezzamento, non sia chiaro in quale momento intervenga detta conformazione. Io non ho certo l’assillo che hanno alcuni operatori che vorrebbero, al contempo, da un lato, certezze giuridiche, quanto alla conformazione edificatoria delle aree di loro proprietà o che vogliono acquisire, e, dall’altro, la garanzia della possibilità di godere di ampi margini di flessibilità in sede di utilizzazione dei diritti edificatori conseguenti alla conformazione stessa. Credo, però, che, comunque, per ragioni anche di certezza del diritto ed anche per la funzionalità del processo di pianificazione, occorra che sia certa l’indivi-


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documento o P.G.T.) possa essere assunto come “ momento fondativo” del processo. Un momento fondativo del processo indubbiamente occorre. Un momento (consentitemi il ricorso ad una locuzione, che è caro a diversi di noi) che faccia configurare uno “ statuto del territorio” , e con esso un momento di individuazione delle invarianti, di individuazione di tutte le parti del territorio insuscettive di sviluppo, un momento anche di individuazione degli obiettivi di fondo. Ebbene (non la faccio lunga, né potrei), è in detto strumento, che come si è detto, è anche da assumere come “ statuto del territorio” , che possono trovare sede regole “ integrative” dei princìpi e delle regole della disciplina legislativa del processo. Nel processo, comunque, non devono, a mio modesto avviso, coincidere – ho quasi finito – momenti di conformazione del territorio e momenti di conformazione della proprietà; ciò perché, altrimenti si ricadrebbe, molto probabilmente, nelle aborrite rigidità. La conformazione della proprietà dovrebbe essere differita a un momento operativo o a più momenti operativi. Detti momenti operativi, non devono, però, essere tanti; ciò perché, altrimenti, dalla fluidificazione della pianificazione passeremmo alla vanificazione della pianificazione. A tal proposito si deve riconoscere che è importante il ruolo delle negoziazioni che, però, devono essere (pare opportuno ribadirlo) strumenti della pianificazione e non surrogati della stessa. Da ultimo ritengo che in termini nuovi vada affrontato il problema della flessibilità. Ho già detto, in breve, ciò che penso in merito. A proposito di flessibilità, concludo con la manipolazione di un detto latino. Noi avvocati non possiamo fare a meno di sbrodolarci, di tanto in tanto, un po’ di latino addosso. Ricordate il vecchio detto frangar sed non flectar? Capovolgiamolo: Flectar, sed non frangar, cioè senza abbandonare il metodo della pianificazione. Aggiungo arbitrariamente sine repere, cioè senza strisciare dinanzi agli interessi, agli operatori che non devono essere destinatari di una peculiare concessione, quella (molto singolare e aberrante) avente ad oggetto un parziale esercizio delle funzioni di pianificazione non attuativa.

Gianfredo M azzotta Gli strumenti sovracomunali: il piano territoriale regionale e provinciale Premessa importante per capire lo spirito di critica propositiva che questo documento vuole affermare è la presa d’atto della necessità, sicuramente irrinunciabile, di un aggiornamento della attuale L.R. 51/75 alla luce dei mutati scenari sociali, economici e disciplinari. Ma anche per la consapevolezza della necessità di una nuova legge urbanistica attenta alle diversità morfologiche e sociali, alle differenti necessità urbanistiche e dei diversi caratteri paesistici, che esprime oggi il territorio lombardo. Senza però nulla togliere a quanto di buono l’attuale L.U.R. ha prodotto per il territorio lombardo. Questo si sposa con quanto la Dott.ssa Rota (Regione Lombardia) sottolineava nell’intervento di apertura di questo seminario, cioè la volontà di questo nuovo progetto di legge di ricercare la specificità del territorio. Concettualmente ci troviamo tutti d’accordo, però questa specificità deve essere reale, deve essere palpabile e deve essere codificata in modo chiaro attraverso la legge.

Il mio intervento prende le mosse dalle Linee Guida per la riforma del territorio regionale presentate nel settembre 2001, che avevano delineato uno scenario metodologico che proponeva un modello pianificatorio che, pur embrionale, sembrava rimandare al “ modello I.N.U.” , ovvero allo sdoppiamento del P.R.G. (Piano Strutturale – Piano Operativo); affidando agli strumenti di scala vasta (P.T.C.P. e P.T.R.) un ruolo importante nel delineare politiche e azioni “ strutturanti” le scelte territoriali. L’attuale progetto legislativo muta completamente l’indirizzo metodologico, ma conserva del precedente i dubbi e le perplessità. Soprattutto in una visione “ pragmatica” della legge, ovvero di chi poi dovrà concretamente non solo redigere gli strumenti di pianificazione, ma dovrà anche comunicarli in maniera chiara ai cittadini e amministratori, essa è di difficile lettura ed interpretazione. Infatti nel nuovo testo continua a mancare una esplicitazione chiara dei rapporti e delle relazioni fra i vari livelli di pianificazione (Piani Regionali, P.T.C.P., P.R.G.). Emerge, infatti, la “ precarietà” del ruolo di ogni singolo strumento rispetto agli altri subordinati o sovraordinati. Appare necessario esplicitare in modo chiaro ed articolato cosa si intende per livelli territoriali pari o differenti (art. 4 comma 6). Ci si chiede, alla luce anche delle diverse leggi regionali e della legislazione nazionale tutt’ora vigente, se si possa superare in questo modo il rapporto gerarchico tra livelli di piano. Io vorrei capire se il P.G.T. (che si configura come una sorta di ibrido tra il piano strutturale e il vecchio P.R.G. azzonativo), è sullo stesso livello del Piano Territoriale e, se sì, come i due strumenti dialogano. Qual è il rapporto che si crea tra gli indirizzi di uno e gli indirizzi dell’altro? Qual è la parte cogente? Il nuovo testo non chiarisce ancora il rapporto fra il nuovo ruolo del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.) e le competenze fino ad oggi dettate dalla recente Legge 1/2000, che sono sicuramente in contrasto, o meglio non coerenti, con quello prefigurato dalle Linee Guida Regionali e dal nuovo progetto di legge. Mancano, ad esempio, riferimenti alle competenze della provincia rispetto al sistema insediativo, per quanto riguarda la tutela paesistica ma, più in generale, per tutte le competenze provinciali sembrano mancare spazi di “ proposizione progettuale” per le scelte territoriali, che devono essere ricondotte solo alla scala regionale. Il nuovo testo di legge in alcuni casi introduce delle contraddizioni che, se non sciolte in anticipo, potrebbero causare incomprensioni e sovrapposizioni di competenze. Ad esempio, si introduce all’art. 25 comma 4 “ previsioni del P.T.R. aventi efficacia di prevalenza immediata e diretta su ogni altro atto di programmazione/pianificazione” , questo in relazione ad obiettivi prioritari d’interesse regionale. Domanda: chi stabilisce quali sono questi obiettivi? Quando accade ciò? Che durata hanno? Altresì, si demanda al P.T.C.P. il ruolo di riconoscere i P.L.I.S. (parchi), invece che alla provincia come ente, con un evidente problema di aggiornamento dello stesso nel momento di variazioni di perimetro. Il superamento della attuale normativa inerente i P.T.C.P. comporterebbe enormi problemi, se non fosse accompagnata da norme transitorie specifiche, per i Piani Territoriali già redatti o in fase di adozione/approvazione, che si vedrebbero così svuotati del loro peso concertativo e di contenuto strutturale verso la pianificazione comunale. Questo comporterà inoltre un disincentivo verso tutte quelle amministrazioni comunali che al momento non hanno ancora redatto i propri P.T.C.P.


• Paesaggio. Mi sembra che questo elemento, come ho sottolineato un anno fa durante il convegno sulle Linee Guida, sia una parola ancora poco concretizzata nel progetto di L.U.R. Esso invece è un elemento fondamentale nella costruzione e sviluppo del territorio, perché tutti diciamo che facciamo piani sostenibili di tipo paesistico, ma forse bisogna dare contenuto alla parola paesistico e sostenibile. Gianni Beltrame sicuramente lo farà meglio di me. Questo elemento pensiamo debba essere sottolineato in maniera forte in questa legge, soprattutto perché penso che (lo diceva prima l’architetto Rota parlando di specificità e di mercato), senza essere utopistici, si possa fare una buona urbanistica pensando al mercato, si possa essere sostenibili stando attenti allo sviluppo. Tutto questo si può fare con regole certe ma, soprattutto, con regole chiare. Perché ognuno di noi

non possa interpretare in funzione della propria metodologia di lavoro, dei propri insegnamenti. In estrema sintesi, il nuovo articolato di legge attualmente sembra mancare di un “ cappello” metodologico, che ci possa guidare nell’interpretazione corretta, e che ci faccia capire quali sono gli obiettivi che la Regione vuole raggiungere e quali sono stati i criteri che hanno portato ad abbandonare la strada intrapresa con le Linee Guida. Il testo, per la parte relativa agli aspetti sovracomunali, è sicuramente carente rispetto alle interazioni e alle relazioni che potranno nascere tra essi. Il ruolo degli enti provincia sembra limitato, e ove non lo è (poteri sostitutivi per la redazione del piano di gestione del territorio) il compito assegnato stride con le realtà tecniche-operative reali di esse, o è in contrapposizione con i contenuti previsti per il P.T.C.P. Si ribadisce come la trasformazione degli assunti concettuali in pratica urbanistica quotidiana rappresenti la vera sfida che la nuova legge urbanistica lombarda deve affrontare. Per aiutare lo sviluppo e la salvaguardia del territorio.

Claudio Baracca La nuova legge urbanistica in Lombardia. Il Piano Comunale quale elemento base della pianificazione urbanistica Un aspetto sicuramente innovativo che emerge dalla nuova disciplina urbanistica regionale è l’articolazione degli strumenti urbanistici di scala comunale in Piano di Governo del Territorio (P.G.T.), Piano di Assetto Morfologico (P.A.M.), Piano dei Servizi (P.S.C.) e Piani Complessi Comunali (P.C.C.). Si modifica, in maniera apparentemente più complessa, la logica della L.R. 51/75 che affidava la pianificazione locale al Piano Regolatore Generale ed ai suoi strumenti attuativi. La situazione notevolmente modificata rispetto agli anni ’70, i diversi meccanismi dell’economia ed un più articolato quadro legislativo generale, hanno portato alla necessità di riformare lo strumento tradizionale del P.R.G., soprattutto ponendo maggiore attenzione alla concreta possibilità di governare i processi di trasformazione del territorio in tempi compatibili e con maggiore efficacia e tempestività. Si tratta ora di capire se la strada scelta dalla Regione Lombardia, attraverso le ancora schematiche bozze di articolato della nuova disciplina urbanistica, sia in grado di condurre ad un metodo di pianificazione più coerente ed aggiornato. La necessità sembra quella di attivare nuove regole che conducano alla governabilità di “ processi complessi” la cui qualità non rimanga una mera enunciazione, ma possa essere misurata attraverso il conseguimento di una maggiore efficienza nel governo del territorio da parte delle amministrazioni locali, utilizzando un complesso di procedure che risultino aderenti agli obiettivi generali e specifici della pianificazione. • Il P.G.T. La prima questione riguarda la funzione del P.G.T. che, per la connotazione strategica e di medio periodo che lo caratterizza, dovrebbe assumere un ruolo prevalente, determinando di conseguenza il P.A.M. ed il P.S.C. Non si tratta di riunire in un unico atto (tornando così al vecchio P.R.G.) i tre strumenti che di fatto si rivolgono ad aspetti diversi dalla realtà territoriale, ma di garantire temporalmente il loro coordinamento (quindi la loro efficacia) attraverso opportune priorità procedurali per configurare una strategia di pianificazione

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In contrapposizione a questo declassamento del P.T.C.P., riappare come strumento di maggior dettaglio degli indirizzi dettati dalla Regione nel suo P.T.R., il Piano Territoriale Regionale d’Area (art. 25 comma 5). Esso ha efficacia diretta verso i Comuni e le province interessate dall’ambito assoggettato al piano. Pur prevedendo la possibilità che questo venga redatto dalle province, sembra poco chiaro il suo rapporto con il P.T.C.P. e gli ambiti di applicazione. Mi sembra che questo Piano d’Area, così come è definito dal progetto di L.U.R. – vorrei magari essere smentito – “ buchi” tutti i livelli convenzionali di pianificazione (Piano Territoriale e Piano Comunale) dettando indirizzi e previsioni immediate e dirette sul territorio. Ipotizzando in positivo che tale strumento possa essere immediatamente cogente, così come definito dalla L.U.R., forse però dobbiamo pensare cosa succede nei rapporti e nelle relazioni che esso crea o non crea con il Piano Territoriale e sul Piano Comunale, per non “ perdere” il contatto reale con il territorio e con i suoi amministratori. Proprio legato al rapporto con la pianificazione comunale, il nuovo progetto di legge introduce la “ perequazione territoriale” (art. 24 comma c) o meglio la “ compensazione territoriale” per il livello regionale, ma non per il livello provinciale, cosa che sembra non solo alquanto strana e non opportuna, ma soprattutto superata dall’attualità dei recenti P.T.C.P. (si vedano i piani della Provincia di Milano, Mantova e Cremona). Inoltre non si specifica attraverso quale meccanismo si pensi di attuare la compensazione, visto anche, come ampiamente ribadito dagli incontri preparatori a questo convegno con l’assessorato, che la legge non è accompagnata da una copertura finanziaria adeguata. Inoltre in mancanza di una legislazione nazionale specifica, il problema appare di difficile soluzione, se non concertato con le singole o gruppi di amministrazioni comunali, ruolo che dovrebbe svolgere il P.T.C.P. Le province possono raccogliere informazioni, dati, finanziamenti e possono dunque aiutare i Comuni nella valorizzazione e nella redazione dei Piani Comunali. Mi sembra – ripeto mi sembra – che questa legge in qualche maniera abbia però delineato per l’ente Provincia (e quindi per il P.T.C.P.) un ruolo sussidiario. Il progetto di legge presenta anche aspetti estremamente positivi, come l’introduzione della valutazione della sostenibilità ambientale, per tutti i livelli di piano. Metodologia di confronto e analisi tra obiettivi e risultati attesi dai piani in chiave di sostenibilità ambientale, già sperimentata in alcuni P.T.C.P. (vedi quello della Provincia d Milano) è sicuramente un primo passo per dare corpo e sostanza alla parola sostenibilità, riferita alle scelte di pianificazione territoriale.


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complessiva. È innegabile che il Piano Regolatore tradizionale, sia pure con i limiti che oggi possiamo riconoscere sulla base di decenni di applicazione, abbia garantito l’applicazione di regole generali sul territorio, contemporanee ed efficaci. L’applicazione delle regole appare oggi più puntuale e coerente, ma anche più frazionabile e dilazionabile nell’attivazione. Il problema rimane in sostanza l’identificazione di un “ processo di pianificazione” in grado di usare coerentemente i diversi strumenti che la legge propone, con un’articolazione logico-temporale che non sembra emergere chiaramente dalla nuova normativa. Un secondo problema riguarda la possibilità di garantire una certa omogeneità qualitativa degli esiti della pianificazione. Appare chiara dalla proposta di legge la sostituzione del concetto di “ conformità” dello strumento urbanistico (effettuata dal competente Servizio Regionale), con i princìpi di “ congruenza e compatibilità” , rivolti sostanzialmente ad evitare la collisione tra gli strumenti funzionali ai diversi livelli di pianificazione. Appare quindi opportuno che l’articolato della nuova disciplina urbanistica regionale affronti con più chiarezza limiti, competenze e caratteristiche di tali controlli. Se è vero che una maggiore autonomia dei comuni può portare a più precise ed efficaci azioni di governo in relazione alle condizioni e alle energie che caratterizzano le singole realtà locali, altrettanto vero è che il territorio, al di là della dimensione comunale, rimane comunque un tutt’uno. Da questo punto di vista, la verifica della corretta applicazione delle regole generali rimane il più probabile meccanismo per garantire un’omogeneità qualitativa degli esiti della pianificazione. Infine, una considerazione sulla necessità di conformazione della proprietà privata nel processo generale di pianificazione comunale. È abbastanza evidente che la sede più opportuna per tale operazione non debba essere il P.G.T. che ha obiettivi più generali, ma piuttosto rimandata al P.A.M. per le aree consolidate ed ai Piani Complessi Comunali per le zone di trasformazione ed espansione. • Il P.A.M. La questione che sembra centrale nell’analizzare il P.A.M. attiene alla sua metodologia di redazione. In difetto di una maggiore specificazione in questo senso, il Piano di Assetto Morfologico potrebbe ridursi alla sostanziale riproposizione delle vecchie Norme Tecniche di Attuazione, anziché costituire un elemento di forte innovazione, capace di concepire la forma della città e regolare con strumenti operativi le interrelazioni ambientali (città storica, città costruita, aree inedificate, ecc.). Utile potrebbe essere anche un autonomo approfondimento, come avvenuto per il P.S.C. (circolare relativa ai criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi). È evidente la forte valenza che uno strumento così concepito potrebbe avere sulla qualità del territorio, oltre a prestarsi a più evolute interpretazioni e maggiori approfondimenti progettuali (ad esempio, diventerebbe più facile il ricorso a concorsi di idee, piuttosto rari nell’urbanistica tradizionale). • Il P.S.C. La definizione del Piano dei Servizi, attualmente più avanzata rispetto agli altri strumenti proposti per la pianificazione comunale, non solleva particolari questioni, se non di coordinamento rispetto al P.G.T. ed al P.A.M., come del resto già sottolineato. A questo proposito vanno evidenziati, anche attraverso le disposizioni normative, alcuni caratteri innovativi che il P.S.C. dovrà mantenere. Innanzitutto l’ipotesi, che sembra sottesa alla stessa logica istitutiva del P.S.C., di non subordinare automaticamente la realizzazione dei servizi all’attività edilizia privata. Ciò in considerazione dei tempi diversi in cui si ma-

nifestano i bisogni di strutture da parte dei cittadini e della necessità di dare maggiore credibilità ed una base urbanistica al Piano Triennale delle Opere Pubbliche. Attraverso il P.S.C. può prendere forma il progetto progressivo della “ città pubblica” , che dovrà tuttavia poter utilizzare forme più perfezionate di finanziamento (maggiore disponibilità di strumenti di anticipazione finanziaria come i F.R.I.S.L., rispetto all’utilizzo degli oneri di urbanizzazione, disponibili solo a seguito di interventi edificatori privati non del tutto programmabili). • I P.C.C. Lo strumento del Piano Attuativo tradizionale (al quale sono riconducibili i P.C.C.) è stato ampiament e ut ilizzat o e non richiede part icolari approfondimenti. Maggiore attenzione va posta invece


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Lodi, piazza Ospedale (foto: Marco Introini).

alla nuova generazione dei programmi operativi che prevedono deroghe alla pianificazione ed elementi di “ urbanistica contrattata” (ad es. i P.I.I.). Non c’è dubbio sull’utilità operativa di poter apportare adeguamenti specifici, di verificare l’articolazione e la coerenza dei comparti di intervento, di dimensionare onerosità e vantaggi e così via. I dispositivi di legge dovranno comunque trovare regole che consentano omogeneità di trattamento del territorio e dei soggetti attuatori, anche in considerazione della prospettata disciplina premiale introdotta dal P.G.T. i cui termini non sono stati tuttavia precisati. Infine alcune considerazioni sulla futura attuazione della proposta di legge. Considerata l’importanza che viene


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correttamente attribuita al Sistema di Informazione territoriale, l’interazione e la collaborazione tra struttura comunale e livelli superiori (Provincia e Regione) dovrà essere garantita, anche attraverso meccanismi di incentivazione. Stessa considerazione vale per il passaggio dall’attuale sistema di pianificazione a quello indotto dalla futura legislazione. Assolutamente da evitare è il determinarsi di lunghi periodi transitori, incentivando i comuni ad aggiornare i propri strumenti urbanistici. Non trascurabile è il conseguente onere economico a carico delle amministrazioni locali, di cui molte di piccola dimensione, e che dovrebbero in qualche forma essere opportunamente supportate. Interessante potrebbe essere la norma transitoria (art. 82 – L.R. Urbanistica) adottata dalla Regione Liguria che dà la possibilità, con una procedura abbastanza semplice, di non modificare ma semplicemente articolare il vigente P.R.G. nei nuovi strumenti normativamente previsti.

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Gianni Beltrame La nuova bozza di legge urbanistica e la “ sostenibilità ambientale” Prima di entrare nel merito della questione della “ sostenibilità ambientale” - tema che mi è stato affidato dal Direttivo dell’I.N.U. e dalla Consulta - vorrei svolgere qualche considerazione generale sulla bozza del testo di legge urbanistica presentata dall’Assessorato regionale nel mese di luglio 2002. Testo che si propone di presentarsi - o che, meglio, avrebbe dovuto presentarsi - come rifacimento della ormai abbandonata e massacrata L.R. 51/75, ovvero, testo che dovrebbe costituire una nuova legge regionale organica e completa, capace di riformulare e di sostituirsi alla ormai invecchiata legge di “ prima generazione” . I temi che una legge organica di “ seconda generazione” dovrebbe affrontare sono stati messi a fuoco ormai da tempo in molti studi e convegni e le recenti leggi urbanistiche elaborate ormai da diverse regioni - purtroppo con i limiti, i rischi e gli azzardi dovuti all’assenza di una legge-quadro nazionale vigente - non hanno fatto che esplicitarli ancor meglio. E d’altra parte è del tutto evidente la necessità e l’urgenza di ricostruire un quadro organico regionale dopo il massacro e lo smantellamento della legislazione urbanistica lombarda (a partire dalla L.R. 23/97 per arrivare sino alla L.R. 1/2001) avvenuto in totale assenza dell’idea e del perseguimento di un preciso nuovo modello alternativo - che non si vede neppure oggi - ma solo con l’evidente volontà di cavalcare l’onda neoliberista della privatizzazione (anche dell’urbanistica) e della deregulation e con l’evidente intenzione (questa sì, chiarissima) di soddisfare e assecondare le spinte e le richieste antipianificatorie del più rozzo “ libero fare” privato e del più esasperato “ localismo” comunale. Dopo i vaghi e assai generici indirizzi esplicitati dalla Regione nelle sue “ Linee guida per la riforma urbanistica regionale” del settembre 2001, ci si aspettava da questa “ bozza” di articolato qualche serio passo in avanti di chiarimento dei nuovi indirizzi e alle nuove idee “ riformatrici” . In realtà ci si trova di fronte ad un testo incompleto e lacunoso che non può nemmeno essere definito e riconosciuto come un nuovo progetto di legge organica e completa. Ci si chiede il perchè di un progetto così “ volutamente” oscuro e incompleto. Il testo suscita molte più domande e dubbi di quelle cui l’articolato è in grado di rispondere.

Vediamo alcune domande di fondo alle quali il nuovo testo non risponde. • Che fine fanno le leggi urbanistiche regionali già emanate e vigenti (dalla L.R. 23/97 in poi)? Rimangono in vita? Scompaiono? Come si correlano al nuovo testo? • La nuova formulazione dei contenuti del P.T.C.P. (art. 22) - che indebolisce ulteriormente il carattere programmatorio del Piano Territoriale, compresa la parte inerente la tutela paesistica e ambientale (si veda la relazione Mazzotta) - sostituisce o abroga quanto stabilito dalla Legge 1/2000? In quale rapporto si mette con questa, considerando anche che l’art. 6 definisce nuovamente le competenze della Provincia? • Che tipo di strumento è il nuovo Piano comunale definito dagli artt. 14,15,16,17,18 e 19? I quattro strumenti ora denominati Piano di governo del territorio (P.G.T.), Piano dei servizi, Piano di assetto morfologico, Piani complessi comunali e gli strumenti della programmazione negoziata, definiscono un unico Piano organico e coerente o definiscono quattro strumenti che possono essere autonomamente e separatamente elaborati e variati? Perché sono sparite le N.T.A? Oltretutto non si capiscono nemmeno le specificità e i contenuti di questi quattro strumenti né si capiscono le loro relazioni reciproche. • Esiste ancora una pianificazione strategica distinta e separata da una pianificazione operativa? Da dove si evince tale distinzione? Impostazione che era data per accettata e condivisa in tutti i dibattiti e convegni, nonché dalla gran parte delle recenti leggi regionali: perché è stata respinta? • Desta grande preoccupazione l’oscurità dell’art. 16 “ Compensazione e premialità” e in particolare dei commi 4, 5.1, e 6. • Perché si è dimenticato il fondamentale positivo insegnamento, proveniente dal disegno di legge dell’I.N.U. del ‘95, sulla necessità di separare, nel piano comunale, l’aspetto conformativo della proprietà dall’aspetto della conformazione del territorio? E, perché si è dimenticato di togliere valore giuridico al piano generale? • Il tema dello “ sviluppo sostenibile” rimane ancora irrisolto, ridotto, ancora una volta, a semplice esercizio ed enunciato retorico, relegato nei “ Princìpi fondamentali” dell’art. 2. • La Regione Lombardia continua ancora a non fare nulla né per definirne con esattezza il concetto, né i modi di applicazione e, soprattutto, non propone criteri, misure, parametri e indici comparabili e confrontabili per poterla meglio definire, riconoscere e misurare e per poter definire cosa è sostenibile e cosa non lo è, e in quale misura (solo la Regione Emilia Romagna respinge l’equivalenza, che purtroppo si sta diffondendo un po’ ovunque, della identità e della sostituibilità tra “ valutazione di compatibilità” e “ valutazione di sostenibilità” degli interventi). • È vero che in questo testo (art. 12) si introduce per la prima volta un articolo riguardante la “ Valutazione della sostenibilità ambientale dei piani” . Ma si tratta di un articolo ben poco convincente, sia perché rinvia, ancora una volta, alla emanazione di criteri futuri, sia perché affida le valutazioni di sostenibilità al Sistema Informativo Territoriale - sistema definito per tutt’altri fini, informativo e non valutativo - sia perché anche la valutazione dovrà essere “ flessibile” in relazione alla flessibilità dei piani (art. 12, comma 2.1), sia perché, dulcis in fundo, “ la valutazione della sostenibilità ambientale non si applica ai piani già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge” (art. 12, comma 5)! Forse, uno sforzo per definire e utilizzare la V.A.S. “ Va-


Laura Pogliani La perequazione urbana e territoriale Una delle questioni più urgenti, che da tempo dovrebbe essere nell’agenda di un legislatore attento alle pratiche urbanistiche innovative, è indubbiamente quella all’origine del “ doppio regime dei suoli” , cioè la disparità di trattamento tra i proprietari di aree che l’approccio perequativo intende superare, anche al fine di evitare la decadenza dei vincoli ablativi. La proposta di legge, sebbene non utilizzi mai il termine “ perequazione” ha il merito di affrontare esplicitamente tali questioni, ma ci delude nel suo esito, perché non sembra risolvere i problemi, ma, anzi, in alcuni casi, complicarli. • La perequazione urbana (riferimento ai contenuti dell’art.16). I criteri estimativi assicurano semplicità e univocità di valutazione? È innanzitutto opportuno esprimere un apprezzamento per alcune intuizioni dell’art. 16 che potrebbero essere utilmente sviluppate attraverso una revisione del testo. In sintesi: - una positiva considerazione, a livello legislativo, delle questioni di perequazione urbana; - l’introduzione di alcuni elementi innovativi e in particolare: l’assunzione di criteri basati sulla lettura del contesto (lo stato di fatto e di diritto al momento della formazione del P.G.T.) e sul valore economico delle aree, per la differenziazione degli indici di edificabilità; l’apertura verso un mercato dei diritti edificatori non strettamente legato alla superficie fondiaria di proprietà; la conseguente previsione di una pianificazione attuativa “ ad arcipelago” , con concentrazioni volumetriche assegnate; l’individuazione di modalità premiali per accelerare la trasformazione di parti urbane da riqualifi-

care o incrementare la dotazione di aree e attrezzature pubbliche. La lettura del testo di legge evidenzia, tuttavia, alcuni problemi irrisolti: - il criterio estimativo, seppure motivato da esigenze legate al passaggio dall’espansione alla trasformazione urbana, è molto meno neutrale della superficie fondiaria, e più facilmente soggetto a difficoltà attuative e contenzioso giuridico, anche perché, ad esempio, non è certo univoca la definizione del “ valore medio di mercato” (1); - la stima del valore di mercato del bene posseduto dovrebbe correttamente essere confrontata anche con le dichiarazioni effettuate in precedenza dai proprietari per la determinazione dell’entità soggetta a tassazioni (ad es. I.C.I. comunale) (2); - se i fabbricati esistenti costituiscono diritti volumetrici aggiuntivi rispetto ai diritti edificatori assegnati all’ambito, essi non dovrebbero concorrere alla stima del valore delle aree, altrimenti si rischia di computare due volte uno stesso bene (3). Infine, la questione delle aree a standard è appena accennata e normata in modo inadeguato. Il richiamo alla cessione gratuita di aree “ destinate alla realizzazione di servizi ed infrastrutture e alle compensazioni” (secondo quali parametri di riferimento?) è troppo vago, per non ipotizzare il rinvio ad una contrattazione locale, addirittura in sede di pianificazione attuativa. In questa fase, nonostante lo standard di legge designi soltanto un minimo da rispettare, qualsiasi scostamento consistente rispetto a tale limite rappresenta fonte di conflitti, anche laddove la posta in gioco, per la riqualificazione urbana, è decisamente elevata. A tale riguardo, occorre ricordare che in molti piani “ perequati” un’equa redistribuzione di oneri e onori tra pubblico e privato comporta una cessione consistente di aree a standard cedute all’amministrazione, ben superiore alla misura minima di legge, che i piani di lottizzazione hanno da sempre praticato e che purtroppo la L.R. 9/99 si limita a richiedere per gli “ innovativi” piani integrati di intervento. È appena il caso di ricordare che lo standard urbanistico ha sempre rappresentato una condizione quantitativa necessaria di aree per garantire una fornitura di servizi, al fine di realizzare qualità urbana e welfare per i cittadini. Affiora legittimamente il dubbio che il legislatore non intenda perseguire finalità prettamente urbanistiche, cioè una perequazione tra i proprietari al fine di predisporre un migliore assetto degli spazi urbani, bensì, come opportunamente indica il titolo dell’articolo, una “ compensazione” economica, a acquisire volta per volta, tra i titolari di beni immobiliari oggetto di trasformazione urbanizzativa. • Volumetrie volanti e densità fondiarie incontrollate Le potenzialità edificatorie degli ambiti individuati dal P.G.T. producono una volumetria che può atterrare in tutte le aree edificabili (con o senza piano attuativo), nonchè in aree a standard non assoggettate direttamente a esproprio, salvo esclusioni espresse dal P.G.T. Anche in questo caso è necessario esprimere alcuni rilievi: - La promozione del “ m3 volante” (4) rischia di concentrare densità edilizie inaccettabili per consistenza o per ragioni ambientali, ovvero fortemente disomogenee rispetto al contesto urbano. Infatti la volumetria può atterrare ovunque, salvo espressa limitazione. - L’amministrazione comunale sarà tenuta a precisare e motivare puntualmente tale “ espressa limitazione” , che a fatica potrà, ragionevolmente, esaurirsi nel P.G.T. e

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lutazione ambientale strategica” avrebbe potuto essere fatto. Essa prende origine oltretutto dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE del 27 giugno 2001 che è una direttiva molto recente e ancora in fase di sperimentazione e di messa a punto. La V.A.S. può essere definita come: “ un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte - politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi - ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti e affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale, sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale” . Finalità dunque della V.A.S. è la verifica della rispondenza dei piani e dei programmi (di sviluppo e operativi) con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, verificandone il complessivo impatto ambientale, ovvero la diretta incidenza sulla qualità dell’ambiente. Uno scenario di valutazione, quindi, nel quale la valutazione strategica assolve al compito di verificare la coerenza delle proposte programmatiche e pianificatorie con gli obiettivi di sostenibilità dello sviluppo, definendo priorità di intervento e criteri di insediamento e di trasformazione in grado di minimizzare gli impatti a livello strategico. La V.I.A. non scompare ma diventa complementare alla V.A.S. in un sistema di valutazione articolato in più fasi. Ma, forse, corrisponde al vero, e non si tratta di un semplice errore di stampa, che la Regione voglia proprio che ciascun Ente persegua il suo “ massimo” sviluppo (art. 4, comma 5) che sarà, naturalmente, anche e sempre “ sostenibile” per definizione!


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che pertanto aprirà un lungo contenzioso in fase attuativa. - La legge dovrebbe mettere in grado il P.G.T. di governare i trasferimenti volumetrici e le densificazioni, attraverso la definizione di capacità insediative massime distribuite sul territorio e un disegno di assetto funzionale almeno per grandi maglie (5). Tra i contenuti del P.G.T., elencati all’art.15, tali compiti non sono affatto delineati. Se si concorda che il piano generale (P.G.T.), in quanto assimilabile al piano strutturale altrove praticato, sia il livello adeguato alla definizione delle “ regole del gioco” per l’attuazione concertata tra pubblico e privato degli interventi previsti dal piano, occorre che, a partire da una valutazione attenta dei contenuti morfologici e di sostenibilità della trasformazione ai fini dell’ammissibilità del mix funzionale, il P.G.T. possa individuare i “ paletti” per la negoziazione in sede di pianificazione attuativa (6). • Premialità: effetti moltiplicativi di volumetria e incertezza di interesse pubblico La proposta introduce una discutibile nozione di premialità, in quanto: - l’innesco di meccanismi moltiplicativi delle volumetrie consentite è demandato ad un giudizio discrezionale della rilevanza dei benefici pubblici, valutati in assenza di criteri affidabili; - non si può trascurare il fatto che la stessa volumetria aggiuntiva produce a sua volta un fabbisogno di standard e quindi occorrerebbe ponderare adeguatamente la distribuzione di costi e benefici all’interno di meccanismi così complessi. • La perequazione territoriale (riferimento ai contenuti dell’art.22). Necessità di uno strumento efficace per gli interventi di interesse sovracomunale Se si condivide la prospettiva di indicare nel P.T.C. alcuni interventi con forti esternalità intercomunali, occorre attrezzarsi per introdurre nel Piano alcune adeguate misure di compensazione finanziaria tra i comuni inclusi e quelli esclusi dai processi di trasformazione insediativa, tenendo anche conto del fatto che i diversi interventi comportano differenti impatti fiscali nelle diverse realtà territoriali. A tal fine il testo di legge opportunamente segnala la possibilità di ricorrere a strumenti di compensazione, che per essere attivati richiedono la messa a punto di accordi intercomunali duraturi. Non v’è dubbio che sia la Provincia l’ente più opportuno per organizzare tavoli di concertazione interistituzionale e per coordinare, attraverso il proprio Piano Territoriale, sia le politiche di spesa e di prelievo che le pratiche di compensazione, in ambiti di interesse sovralocale. Occorre tuttavia riflettere anche sugli attuali limiti di natura politica, fiscale, giuridico-istituzionale (7) che ostacolano l’iniziativa delle province. • La carenza di una disciplina operativa rende difficili le sperimentazioni Un motivo di insoddisfazione proviene dalla carenza di una disciplina operativa per la perequazione intercomunale, limitata alla sola espressione contenuta al comma 2 dell’art. 22 della proposta di legge, che può invece risultare lo strumento privilegiato per dar corpo ed efficacia alla programmazione degli interventi, affrontando seriamente i problemi veri del livello sovracomunale (il coordinamento infrastrutturale, le questioni ambientali e paesistiche, la riorganizzazione dell’assetto insediativo). Le sperimentazioni avviate in questi anni da alcune province lombarde potranno acquisire maggiore autorevolezza e migliori possibilità attuative se anche la legge regionale si esprimesse con chiarezza, soprattutto in

merito alle possibilità di redistribuzione fra comuni di parte degli oneri alla realizzazione di opere infrastrutturali ed ambientali che riguardano ambiti sovracomunali, di intesa con l’ente provinciale. Note: 1. A. Chierichetti, Contributo al Documento I.N.U. Lombardia, 2002. 2. A. Viganò, Contributo al Documento I.N.U. Lombardia, 2002. 3. M. Viviani, Contributo al Seminario organizzato dal gruppo Verdi della Regione Lombardia, 5 novembre 2002. 4. L’espressione è mutuata da M.Viviani, cit. 5. F. Pagano, Contributo al Documento I.N.U. Lombardia, 2002. 6. P. Urbani, Aspetti giuridici della perequazione urbanistica, in: “ Urbanistica Informazioni” , n. 184/02. 7. A tale proposito si veda la ricerca promossa dalla Provincia di Modena e dall’I.N.U. sez. Emilia Romagna: Perequazione territoriale, esperienze in corso alla luce della legge regionale 20/2000, presentata a Modena, 27 settembre 2002.

Iginio Rossi La partecipazione dei cittadini nel processo di pianificazione Questo intervento si propone d’inquadrare velocemente l’argomento della partecipazione nel processo di pianificazione partendo però dall’ottica dei cittadini. Non entrerò nel merito degli aspetti che fanno capo ai rapporti tra i vari enti, titolari degli strumenti, e che regolamentano i differenti passaggi della scala gerarchica in cui si articola il governo del territorio. Nella proposta regionale le relazioni istituzionali hanno un ruolo debole, mentre la partecipazione dei cittadini è inconsistente. Tutto ciò è abbastanza singolare se si considera che proprio in questi giorni a Milano si sta svolgendo la presentazione dei progetti partecipati di riqualificazione delle corti del “ quartiere Aler” di via Maratta che è finanziato dall’assessorato regionale all’Edilizia residenziale pubblica. Di conseguenza non vi può essere una posizione di chiusura culturale. Tornando al mio contributo, questo ha un obiettivo specifico, si tratta d’indicare possibili modalità attuative della partecipazione dei cittadini inseribili nella proposta della nuova L.U.R. Alcuni aspetti generali s’impongono però prima d’entrare nel vivo dell’argomento. Nel contesto culturale generale, affidare alla consultazione tra gli enti, alle osservazioni e al dibattito nelle istituzioni la partecipazione dei cittadini al fine di favorire condivisione e consenso sugli strumenti di pianificazione, è una scelta totalmente esterna all’innovazione che non tiene conto dei “ passi avanti” compiuti in altri luoghi sulla materia. Inoltre, sono convinto che tra i fattori d’indebolimento del piano si debba anche considerare l’incapacità dell’urbanistica tradizionale di dialogare con gli abitanti, ma anche di ascoltare e di condividere energia creativa nella ricerca di risolvere le criticità del territorio. In questo senso è importante che la gente partecipi, ma è anche fondamentale che l’assetto culturale della pianificazione si sappia interrogare su come permettere alla partecipazione dei cittadini d’entrare nel proprio processo d’attuazione.


A questo punto si può provare a dare risposta al quesito ovvio del mio intervento: come inserire la partecipazione dei cittadini nella L.U.R.? Personalmente sono convinto che tutti i livelli di pianificazione possono accogliere la predisposizione dei loro specifici strumenti con l’adozione della partecipazione di cittadini che troverà di volta in volta dimensione, modalità e processo più adeguati agli obiettivi. La L.U.R. non deve imporre la partecipazione, ma ne deve favorire l’adozione per esempio con il ricorso al sostegno economico di azioni pilota che dispongono di un programma specifico all’interno della redazione dello strumento. La L.U.R. potrebbe rimandare all’adozione di un regolamento attuativo per la corresponsione dei finanziamenti e, quindi, anche per indicare modalità di base e contenuti fondamentali del programma di partecipazione dei cittadini al fine d’evitare soluzioni prive di qualità, demagogiche e che ripercorrono strade “ formali” spesso giustificate dalla sola volontà di aggettivare il piano urbanistico con il ben noto e, ahimè, vuoto termine di “ partecipato” . Al fine di ribadire il ruolo sperimentale della partecipazione dei cittadini, la L.U.R. potrebbe anche avviare nell’Osservatorio permanente della programmazione una specifica azione di monitoraggio delle esperienze a livello regionale per svariati motivi quali, per esempio, ricalibrare e ottimizzare le misure attuative del regolamento, dimensionare a misura le risorse da destinare all’ambito, risolvere criticità e difficoltà del rapporto cittadino-processo-piano-gestione. Una possibile integrazione della Proposta di articolato che ci è stata presentata dalla Regione Lombardia potrebbe già nel Titolo II, Soggetti e competenze del governo del territorio - Norme generali, laddove sono elencate le competenze degli enti (Comune, Provincia, Comunità Montana e Regione), indicare esplicitamente: la promozione e la gestione degli interventi di partecipazione, indirizzati ai cittadini relativi alla redazione degli atti di pianificazione e programmazione. Per evitare equivoci con il filone della partecipazione tra gli enti, personalmente sono dell’idea di proporre una specificazione che potrebbe trovare nei termini “ partecipazione attiva” un’identità anche culturale. È però nel quadro degli Strumenti di governo del territorio, la Parte II, trattando delle Norme generali, il Titolo I, che potrebbero trovare un’autonoma collocazione, per esempio con un articolo dedicato appunto agli Interventi per la partecipazione dei cittadini. Dopo una premessa d’inquadramento dell’obiettivo, cioè, assicurare le migliori condizioni attuative agli strumenti di pianificazione e programmazione nelle diverse scale previste, il testo potrebbe indicare che l’attuazione degli stessi strumenti è supportata dagli interventi di partecipazione attiva. Sarebbe inoltre opportuno spiegare che sono interventi di partecipazione attiva le azioni, promosse dagli Enti competenti sul territorio, indirizzate al coinvolgimento dei cittadini già nella fase del progetto e finalizzate alla conformazione preliminare delle aspettative affinché queste, dopo un processo condiviso e sistematizzato delle criticità – opportunità delle opzioni – bisogni, trovino accoglimento nello strumento territoriale e integrazione con le scelte di pianificazione e programmazione. Il meccanismo attuativo che mi sembra possa reggere adeguatamente la proposta sta prima di tutto nell’assunto che la promozione della partecipazione attiva, condotta dagli enti competenti sul territorio, è favorita e sostenuta con apposito capitolo di finanziamento per

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La complessità delle trasformazioni territoriali anche nei termini socio-econonomico-culturali implica sempre più diffusamente la nascita di conflittualità estese, forti e difficili da risolvere. Il più delle volte, sono gli stessi abitanti che “ subiscono” le scelte d’insediamento e/o trasformazione territoriale e che non dispongono di adeguate ed efficienti modalità di confronto con gli enti titolari degli interventi. Si tratta, quindi, di assicurare forme e strumenti per la partecipazione sociale. Spesso si verifica che quando le conflittualità emergono, il tono del confronto ha già raggiunto livelli di contrasto molto elevati che non rendono possibile il dialogo tra promotori e utenti. L’esperienza da diverso tempo attuata, specialmente nei paesi nord-americani e anglosassoni, ha ormai dimostrato che la composizione dei conflitti e l’ottenimento del consenso sono meno problematici se ricercati già nel corso della fase progettuale dell’intervento. Le stesse esperienze, inoltre, presentano un bilancio costi-benefici largamente positivo nonostante l’ulteriore aggravio delle azioni di partecipazione sociale che si aggiungono anche economicamente alle tradizionali operazioni del progetto urbanistico. Le azioni specifiche sviluppate in contesti e ambienti differenti, tutte riconducibili all’ambito della “ partecipazione” , trovano una maggiore applicazione sul fronte degli interventi edilizi (spazi pubblici, fabbricati sociocollettivi, ecc.) e di trasformazioni urbane circoscritte (aree a verde, centri commerciali, riqualificazione di quartieri, discariche, ecc.), ma si stanno sempre più diffondendo anche interventi di partecipazione finalizzati alla redazione di strumenti urbanistici nelle diverse scale (locale, comunale e d’area vasta). In generale è bene ricordare quanto afferma uno dei pionieri della partecipazione in Italia. Avvisa Giancarlo De Carlo che la partecipazione è questione complessa, non è meccanica, tanto meno è automatica; e ricorda che lo sforzo d’organizzare e dare forma allo spazio fisico resta un’impellente esigenza che deve essere il frutto della passione umana. Entrando più nello specifico dei caratteri peculiari, che si possono inoltre desumere dalle esperienze effettuate, si raccolgono indicazioni utili allo scopo preannunciato all’inizio di questo breve intervento. Le pratiche di partecipazione hanno dimostrato che il loro grado di successo è direttamente proporzionale all’effettivo impegno di chi le conduce. In altri termini, la partecipazione non può essere imposta, ma è una scelta “ filosofica” del progetto, versus i cittadini. Le metodologie “ testate” sono diverse e ripongono sempre la massima giustificazione all’interno delle condizioni locali e dell’oggetto per cui la partecipazione prende l’avvio; inoltre la stessa trasformazione nella stessa città, ma in luoghi differenti, può essere sottoposta a tecniche e percorsi diversi. In altri termini, la metodologia di partecipazione dei cittadini non è definibile come modello da perseguire a priori. La partecipazione dei cittadini per essere efficace implica la messa in campo di risorse professionali ad hoc e di mezzi finanziari non trascurabili in grado di sostenere eventi di aggregazione socio-culturale, azioni formative e di condivisione del linguaggio, illustrazione dei modelli di riferimento per l’apertura di nuovi scenari, e ancora, analisi complesse, proposte di ampia e facile comprensione, ecc. In altri termini, la scelta di promuovere la partecipazione implica una disponibilità economica maggiore rispetto a quella necessaria per la redazione tradizionale degli strumenti di pianificazione.


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Milano, via Arcivescovado (foto: Marco Introini).


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azioni pilota, messo a disposizione, per esempio, dalla Giunta regionale con specifico regolamento attuativo emanato in un termine contenuto (sei mesi) dall’entrata in vigore della legge. Conseguentemente il testo potrebbe indicare che l’accesso ai finanziamenti delle azioni pilota, di cui alla precedente trattazione, è subordinato alla predisposizione di un programma, inserito nel percorso di predisposizione dello strumento di pianificazione, con indicate modalità e forme per attuare la partecipazione attiva. Lasciando in questo modo libertà di scelta metodologica senza imbrigliare le capacità progettuali del processo di pianificazione innestato sulle specificità del territorio. In conclusione la L.U.R. dovrebbe riuscire a porre alla base del percorso di formazione degli strumenti urbanistici proprio le figure degli abitanti ribaltando, in un certo senso, l’iter più tradizionale del piano che invece pone la fase di partecipazione, ahimè, proprio al termine. Non ridurre, quindi, la presenza alla lettura territoriale, all’individuazione delle esigenze, ma ricercare una maggiore innovazione nell’ambito del progetto. Ed è proprio questa la sfida che la nuova L.U.R. dovrebbe essere in grado di affrontare e superare, mi auguro, con successo.

Giuseppe Sala Oggi, in Lombardia le leggi che incidono con valenza urbanistica, a parte alcune leggi che insieme alla parte economica prevedono la variante urbanistica automatica come loro corollario attuativo, sono circa 103. Di queste, 23 per l’esattezza riguardano l’istituzione di parchi, 8 riguardano l’approvazione dei P.T.C. dei parchi e altri 5 o 6 riguardano la disciplina di carattere ambientale. Si può, quindi, fare il conto che sotto diversa denominazione si continuano a confondere i due termini ambiente e paesaggio. Circa la metà della produzione legislativa regionale, articolatasi dal ’72 (data di inizio attività normativa della Regione) ad oggi, dopo 30 anni, è di questo tipo. Vi sono poi leggi di spiccato contenuto urbanistico ma, in parte noti solo come fatto storico; cito ad esempio, la Legge Regionale 14/84, legge che è stata trasfusa nella L.R. 23/97. Tutti giustamente si chiedono che cosa succederà di questa congerie di leggi; è evidente che la nuova Legge Regionale dovrà dare esauriente risposta, conservando leggi con la loro efficacia normativa. Nessuno pensa di poter abrogare leggi che hanno una propria autonomia perché la legge che istituisce un parco regionale è la legge che ha dato vita al parco e con l’abrogazione della legge istitutiva, l’Ente verrebbe privato del piedestallo su cui si fonda. Altre leggi, invece, sono superate dalla legislazione intervenuta; la legislazione di nuova generazione. I princìpi base di queste leggi che hanno avviato l’attuazione di un progetto di modifica (ad esempio Leggi Regionali quali la 23/97, la 9/99, la 22/99), o le leggi che hanno recepito la disciplina statale modificata, ma modificata prima della modifica costituzionale entrata in vigore l’8 novembre 2001, come la 1/00 che ha recepito il D. Lvo 112/98, saranno inseriti nella nuova Legge Regionale di cui si discute e che costituisce un aspetto, una parte del contenuto quale risulterà dal testo globale. Il quadro generale, chiamiamolo Testo Unico, è l’agglomerato delle norme, è la loro trasfusione, è la elimi-

nazione dove c’è contrasto, o dove non c’è più coerenza con l’attuale normativa legislativa regionale. Normativa condizionata da un dettato costituzionale e da direttive comunitarie che hanno una loro precisa valenza. L’apporto conoscitivo e propositivo e di critica che oggi affluisce è un apporto che permetterà di fare questo sforzo. Tra un po’ di tempo valuterete se questo sforzo sia arrivato validamente alla fine; questa è l’ulteriore verifica che sarà fatta sulla base di quello che oggi e ieri, e prima, abbiamo sentito o man mano è pervenuto. Personalmente, nel rispetto degli impegni temporali assunti dalla Regione, ho tratto un incoraggiamento leggendo le note distribuite gentilmente prima di questo dibattito, soprattutto il documento dell’I.N.U. che è in distribuzione. Se si vuole essere nuovi bisogna essere nuovi fino in fondo; essere nuovi a metà non funziona. L’incoraggiamento significa: se dovete cambiare, cambiate, e cambiate decisi.

M aria Cristina Treu Apprezzo molto la frase finale dell’avvocato Sala perché è molto ottimista; però per cambiare con decisione e con coraggio bisogna evitare per quanto è possibile, sia noi che andremo avanti nel lavoro, sia quelli con cui ci confronteremo ancora, di mantenersi su un livello di osservazioni che anziché introdurre contraddizioni le risolvano. E farò un esempio per farmi capire. Io credo che oggi ci si debba domandare se il piano è ancora quell’oggetto che arriva ad avere la forma finale - sentiti tutti gli enti e avendo avuto tutte le autorizzazioni che noi siamo abituati a vedere: quella forma finale che ha una grandissima forza, un grande valore aggiunto, non solo perché conforma gli usi del suolo ma perché manifesta un’idea di disegno finale che arriva dopo un processo lunghissimo e quando le situazioni e la domande sono cambiate; oppure se la forma del piano non debba fare proprio un cambiamento totale per cui l’attenzione che noi mettiamo per arrivare alla forma a cui siamo abituati vada spostata tutta sul processo di formazione e di gestione del piano. Questo, però, impone un passaggio culturale e di strumentazione che è epocale. Io prima vedevo scritto: “ la questione se alcuni criteri estimativi sono univoci” . Bisogna ricordare che la materia estimativa è molto più vecchia della materia urbanistica (ne troviamo i primi segnali con l’editto di Efeso, quindi torniamo indietro di qualche secolo). L’editto sancisce che i criteri estimativi dipendono dagli obiettivi e si basano solo sulla comparazione, sulla comparazione contestualizzata. È la traduzione in numero che deve essere univoca, ovvero nella moneta del momento, se la si vuole trovare nella moneta. E il numero è un codice, è un linguaggio fortissimo, ma non è la verità. Allora, se noi dobbiamo spostare tutta l’attenzione dal momento finale della tavola dell’azzonamento, su cui di fatto si esercita gran parte della tanto richiamata partecipazione, al metodo con cui facciamo il lavoro e arriviamo a delle decisioni (al metodo con cui poi gestiamo anche il processo attuativo del piano), bene, allora, non dobbiamo più attaccarci alle vecchie sicurezze. Possiamo accettare di avere alcuni elementi fissi, alcune “ invarianti” come molti amano ricordare. Questo potrebbe essere un problema che, come molti hanno sottolineato, va chiarito, nel senso che deve essere esplicitata la posizione, il ruolo, il documento, dove queste cogenze troveranno posto nella nuova forma del piano.


posta legislativa vanno riferiti alle reali difficoltà che tutti noi incontriamo nel fare i piani generali, di settore e quelli che oggi dovrebbero essere i programmi di intervento più complessi come i programmi integrati di intervento. Su questi aspetti va sviluppato il confronto tenendo presente che oggi l’altro vero pericolo, o difficoltà, sta nel come può essere sviluppata e resa efficace la partecipazione, quella nei confronti di piani più tradizionali e soprattutto quella nei confronti di una forma piano che utilizzi con sistematicità la valutazione. Io ho provato ad inserire la valutazione in un piano provinciale e sto provando, in modo sperimentale, ad applicare anche la V.A.S. Mi rifiuto di applicare l’impronta ecologica e riuscirò a far capire il perché ai miei colleghi e a chi me l’ha chiesto. Invito tutti a leggere l’ultimo manuale sull’impronta ecologica uscito e vi renderete conto che è un metodo difficile, se non impossibile, da applicare. La quantità di informazioni che richiede è enorme, almeno per il livello attuale di conoscenza. Sarebbe interessante approfondire il livello di difficoltà che c’è in queste operazioni, che sono molto più difficili che scrivere una norma astratta da applicare. Introdurre la valutazione nel metodo di formazione della decisione vuol dire avere molta attenzione al come e al quando si organizza il confronto e si ripassa, per esempio, dall’assemblea dei comuni o in consiglio comunale o in una sede decentrata e specifica; solo, vuol dire, verificare anche gli esiti degli interventi, farli conoscere e confrontarli. Questo è l’approccio valutativo. A questo proposito sarebbe interessante sentire anche chi ha applicato il piano dei servizi con riferimento a un documento di inquadramento che potrebbe essere molto vicino al documento del piano di governo del territorio. Per approfondire come il piano dei servizi possa diventare effettivamente il piano della sostenibilità pubblica che ricordava l’arch. Rota. Anche in questo caso potrebbe essere molto più interessante il confronto sui contenuti della legge piuttosto che quello sulla forma tradizionale del piano.

Gaetano Lisciandra Mi è sembrato che molti interventi - nei loro rilievi critici i quali, pur nella diversità degli argomenti, proponevano di integrare la legge con maggiori specificazioni al fine di essere più sicuri degli effetti della legge stessa - abbiano in comune un retro-pensiero. La maggior parte degli interventi parte dal presupposto che i comuni sono inaffidabili. Come se fossero più affidabili le province o come se fossero più affidabili le regioni. Noi abbiamo ritenuto di fare una legge anti-autoritaria. Non c’è un principio di autorità per cui c’è il sovraordinato, il semisovraordinato e il sott’ordinato. E non tanto perché noi siamo di questo parere, quanto perché la nostra Costituzione è stata modificata nel Titolo Quinto. Questa modifica, approvata nella scorsa legislatura, pone il Comune al centro dell’azione amministrativa. Quindi, al di là della nostra adesione, esiste una legge dello Stato, non una legge qualsiasi, ma la Costituzione, che pone il Comune come soggetto principale. E, quindi, le cose che sono state dette, e che pur sono interessanti per alcuni aspetti, dovrebbero fare un passo indietro rispetto ai ruoli e alle funzioni dei diversi organi di governo locale assumendo il fatto che la Costituzione non affida alla Provincia e nemmeno alla Regione il ruolo di attore principale nel processo di pianificazione urbanistica e

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Atti del Seminario

Però, attenzione, anche questo può essere un grosso palliativo perché, una delle domande dell’I.N.U. dice: “ se non vengono previsti adeguati strumenti di verifica, non si corre il rischio che venga esaltato il ruolo degli enti al cui parere lo strumento urbanistico va sottoposto in forza di altre leggi, come è il caso delle A.S.L. e dei Parchi regionali?” , ma, questi problemi ci saranno sempre, soprattutto in una forma chiusa di piano. Il regolamento di igiene e sanità, probabilmente avrà una sua vita e andrà avanti man mano che la medicina, o l’epidemiologia, ci dirà quali sono le soglie giuste per tenere le finestre aperte, per le distanze, per le emissioni del gas. Non abbiamo dei criteri fissi, abbiamo dei criteri e delle soglie che variano. E il piano non dovrà comunque confrontarsi con questi cambiamenti? Certamente il piano dovrà sottoporsi ai contenuti delle leggi sanitarie: in itinere durante la formazione del piano, e dopo, una volta che il piano è stato adottato e con esso è stato adottato un metodo di attuazione che rimane aperto. Allora, forse, bisogna dare il colpo finale alla sacralità del piano, per come eravamo abituati a pensarlo. Bisogna dare un colpo finale anche per arginare il vero pericolo denunciato dall’ avvocato Pagano e che viene da chi sta attaccando il piano dal punto di vista della “ deregulation laica” . È il pericolo che viene da una negoziazione caso per caso e che di fatto può sancire qualsiasi cosa. Io sto facendo un piano provinciale nuovo. Ho finito quello di Mantova e sto cominciando quello di Lodi e ho incrociato alcuni piani firmati da colleghi molto raffinati intellettualmente e molto impegnati che hanno giustificato scelte incomprensibili, pur all’interno di un piano di forma consolidata. Allora, però, togliamo il velo al piano regolatore e togliamoglielo totalmente. Perché anche quella forma, attraverso una negoziazione cosiddetta partecipata, può giustificare cosa vuole il sindaco in quel momento e cosa vuole uno specifico attore in quel momento. Allora, questa legge, forse in modo ancora non chiaro, visto che anche con il mio amico Beltrame non ci siamo capiti, tenta di introdurre un sistema di valutazione che si dovrà basare su elementi di continuità come quelli che possono derivare da obiettivi ambientali (declinati rispetto alla salute dei cittadini) e sociali. Sarà la V.A.S., saranno le impronte ecologiche; tutti i metodi potranno essere buoni o cattivi. Dipenderà da come saranno utilizzati. La V.A.S. non è ancora stata recepita; c’è l’unica esperienza di Torino, su cui il Ministero sta cercando di capire come orientarsi. Ma la valutazione è un atteggiamento, anche questo di natura culturale prima che normativo: cerchiamo di conoscere per decidere. Allora, da un lato abbiamo uno strumento che sarà generale, che forse, per sicurezza, per accompagnarci in questo cammino di forte cambiamento dovrà avere degli elementi di cogenza espliciti. Ma questi sono i paletti che abbiamo della storia, dei molti strumenti di Piano che già ci sono e che nessuno vuole togliere. Dall’altro lato dobbiamo sviluppare le procedure di valutazione, un metodo di fare e di gestire il piano, appoggiato a un sistema di conoscenza che non può cominciare ogni volta che si fa un piano, e che deve avere una “ forma terza” e una certificazione, perché anche l’informazione è sempre manipolata; dobbiamo farlo in modo chiaro. Allora, forse, questo ci aiuterà anche a fluidificare il processo di piano (altra cosa che è stata chiesta) senza legittimare qualsiasi variante, o qualsiasi operazione, facendo i salti mortali per mantenere la forma tradizionale del piano, con tutto il suo apparato normativo e di definizione di gruppi funzionali. I contributi per chiarire la stessa pro-


Atti del Seminario

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territoriale. Ora, questa non è cosa da poco. Un rapporto di subordinazione gerarchica è ben diverso da un rapporto concorrenziale. Da qui nasce la differenza tra l’essere conformi dei piani comunali a quelli provinciali e regionali e l’essere compatibili. La compatibilità è frutto di uno scontro, di un conflitto, di un rapporto e, alla fine, di un accordo. La subordinazione è cosa completamente diversa. Questo ha a che fare anche con la forma del Piano provinciale e con la forma del Piano regionale, non soltanto con quella del Piano comunale. Quindi, al di là dei dettagli, esiste questo principio di fondo: la legge che si propone mette il Comune al centro dell’azione di pianificazione. Questo fa sì che non possano essere accolte, se non contraddicendo questa impostazione, molte delle osservazioni ad integrazione e a specificazione che qui sono state portate. Due questioni più specifiche. La prima riguarda la compensazione. Intanto, abbiamo voluto chiamarla compensazione. Questa non è una cosa da poco. Abbiamo rifiutato di chiamarla perequazione perché la perequazione attiene ad un livello molto diverso rispetto a quello a cui il Piano regolatore può arrivare. Quindi, compensazione. Compensazione significa che cerchiamo di mitigare, con la legge, gli effetti negativi che possono venire da alcune scelte urbanistiche. Può essere forse interessante l’obiezione che la proposta di legge non afferma esplicitamente che la Provincia, nel suo Piano provinciale, possa prevedere forme integrative di compensazione. Si potrebbe anche dirlo, anche se non mi sembra sostanziale. Vi è una certa differenza tra la compensazione a livello comunale e la compensazione tra comuni. La prima si riferisce a forme di “ risarcimento” per i privati che possono essere più o meno danneggiati per la realizzazione di servizi o infrastrutture di interesse pubblico. La seconda si riferisce a comuni che, per una diversa posizione territoriale, si trovano in condizioni diverse. Nulla vieta peraltro che il Piano regionale, al quale spetta poi in questa bozza di legge di individuare i criteri per questa compensazione territoriale, li possa prevedere anche per le Province. Questo può essere interessante. Ha ragione, secondo me, Laura Pogliani quando dice che la parte relativa ai criteri estimativi dei valori è una parte complessa e difficile. Abbiamo discusso a lungo e, alla fine, abbiamo ritenuto di introdurre i criteri del catasto. Potrebbero essere sbagliati o di difficile applicazione. Forse potrebbe essere anche inutile indicare i criteri e quindi potrebbe anche essere il caso di eliminarli dalla proposta di legge. Ricordo, per esempio, che molte delle leggi alle quali facciamo riferimento, perché sono le più recenti, affrontano il tema della perequazione-compensazione. La legge della Basilicata, che io conosco in particolare, che è una legge dell’I.N.U., nel senso che è stato l’I.N.U. a produrre la legge, e non semplicemente ad ispirarla, si limita ad affermare il solo principio. Allora, perché affermare in questa sede che non si sa cosa succede nella compensazione e che la legge della Lombardia deve specificare tutti i meccanismi attuativi? Abbiamo in effetti ritenuto che il solo principio della compensazione, in mancanza di leggi nazionali che lo supportino, potesse essere insufficiente e abbiamo pertanto fissato alcuni indirizzi generali. Molte regioni non l’hanno nemmeno fatto. Perché dunque questa obiezione? Perché non può essere il Piano di governo del territorio a decidere i meccanismi e le modalità di utilizzo e di trasferimento dei diritti edificatori assegnati alle aree destinate a servizi e alle infrastrutture pubbliche e di interesse generale in modo tale da lasciarle libere ed utilizzabili per tali scopi? Perché deve

essere la legge a deciderli una volta per tutte, e non il Piano di governo del territorio? La diversità delle situazioni locali e delle strategie urbanistiche rende certamente più opportuno che siano i comuni a decidere se e come attuare meccanismi di compensazione. Per ultimo ritengo utile dare un chiarimento sul rapporto tra zone omogenee, che la proposta di legge non ripropone, e norme morfologiche. Le zone omogenee del Decreto 1444/68 non sono omogenee tanto rispetto alle funzioni - stiamo attenti su questo! - anzi lo sono molto poco. Sono omogenee molto di più rispetto ad altri fattori. La zona A è una zona funzionalmente mista ed è omogenea solo in quanto storica. La zona B è omogenea in quanto zona costruita e semicostruita in epoca recente, ma ospita tutte le funzioni urbane. Cominciano ad essere omogenee dal punto di vista funzionale le zone C, che identificano le zone per nuovi insediamenti residenziali, e le zone D che identificano i nuovi insediamenti di tutte le attività economiche, tranne l’agricoltura. La zona E è la zona agricola. La zona F raggruppa tutte le zone pubbliche ad eccezione degli standard che sono, invece, assunti nelle altre zone. Sotto quale aspetto si possono dunque considerare omogenee le zone del D.M. del ‘68, molto più che nella funzione? Sono omogenee nella normativa, nella densità, nell’altezza, nei rapporti tra spazi pubblici e spazi privati. Si pensi alle norme tecniche, ai nostri Piani regolatori. In generale sono ripartite in tre parti: quella generale, quella procedurale e le norme di zona. Le norme di zona cosa ci dicono? Ci dicono, in riferimento alla omogeneità normativa della zona, che tutti gli edifici di quella zona sono assoggettati a certi indici e parametri uguali per tutti: altezza, distanza, densità, volume, ecc. Noi abbiamo avuto un’esperienza in Lombardia con i Piani di centri storici inseriti nei Piani regolatori. È stata una forzatura, una forzatura positiva, ma che ha incontrato non poche difficoltà e ostacoli per affermarsi. Io ricordo che ho fatto il primo piano per il centro storico, come parte del Piano Regolatore, a Voghera negli anni Ottanta e la Regione non me l’ha passato. Ho dovuto trasformarlo in un Piano particolareggiato perché si riteneva che fosse illegittimo dare norme diversificate per singolo edificio nell’ambito di un P.R.G. Ecco, quello è un primo esempio di Piano morfologico, il quale, non per grandi categorie, ma in relazione alle specifiche esigenze, specifica e articola gli interventi ammessi. Sono d’accordo con chi dice di stare attenti a non introdurre rigidità eccessive di cui vorremmo, invece, fare a meno. Però la conseguenza logica della soppressione di norme omogenee per zona non può che portare all’introduzione di norme differenziate in relazione alla diversità degli edifici e dei luoghi finalizzate anche alla migliore definizione della forma urbana. È perciò importante che l’esperienza acquisita nei centri storici venga trasferita e applicata anche nei nuovi insediamenti. I tracciati, l’allineamento, il rapporto con il lotto sono cosa diversa che non la distanza dai confini. Forse sono più importanti le recinzioni di quanto non sia la porzione di spazio che c’è tra l’edificio e la strada. Certo è più importante il rapporto con il lotto di quanto non sia il rapporto di copertura. Le altezze relative sono certamente altrettanto necessarie di quelle assolute, e così via dicendo. Tuttavia il pericolo di scadere nei malfamati “ Progetti Norma” non è da sottovalutare. Io comunque ritengo che le norme morfologiche, pur trattate con grandissima prudenza e forse anche rivisitate rispetto a quelle indicate nella proposta di legge, debbano essere prese in seria considerazione.


Alcune disposizioni dell’articolato della Regione Lombardia sulla nuova legge per il governo del territorio intendono disciplinare gli istituti della perequazione e compensazione, quale contributo per una nuova gestione degli strumenti di pianificazione. In proposito, si deve preliminarmente evidenziare che altre leggi regionali si sono limitate ad affermare il principio della perequazione, senza però entrare nel merito. La Regione Lombardia intende, invece, affrontare il tema delle regole applicative, quantomeno per ricondurre ad unità gli schemi di perequazione e compensazione già presenti in molti piani regolatori. Volendo differenziare i due istituti, si potrebbe dire che la perequazione opera nella programmazione e la compensazione nella gestione urbanistica. Ambedue non alterano ma anzi esaltano la potestà pianificatoria del Comune. Il meccanismo della perequazione trova più agevole applicazione nelle zone di espansione della città, mentre la pratica di essa diviene più complessa, come il passato ha ampiamente dimostrato, a causa della discrasia dei valori immobiliari frequentemente non proporzionali alla volumetria, nel caso degli interventi su immobili già esistenti. La perequazione ha come corollario il superamento, o quanto meno la limitazione del ricorso all’esproprio, all’interno dei comparti edificatori. Essa realizza un sistema di redistribuzione delle utilità economiche dei vari proprietari in una logica di consorzio obbligatorio: concentra gli indici di edificabilità su una porzione dell’ambito e conseguentemente prevede il trasferimento gratuito ai comuni delle ulteriori aree necessarie per gli interventi di pubblica utilità. Nei comparti urbanistici, quindi, in luogo della apposizione di specifici vincoli finalizzati alla espropriazione, il Comune indica la quantità di aree da cedere gratuitamente per il conseguimento degli interessi pubblici. Il Comune stabilisce, inoltre, la volumetria complessiva realizzabile come indice territoriale ed indica i relativi diritti edificatori. Tali diritti, attribuiti al comparto, vengono ripartiti tra i proprietari in proporzione della quota del complessivo valore-volumetria da ciascuno di essi detenuta. I diritti edificatori privati sono liberamente commerciabili all’interno del comparto e possono essere acquistati anche da soggetti originariamente non proprietari dell’immobile. La figura che si delinea è dunque quella di un sistema organico di scambi tra privati e tra questi e la pubblica amministrazione. In tale contesto si inquadra l’istituto della compensazione la cui finalità è, principalmente, quella di attribuire bonus urbanistici a bilanciamento delle proprietà incise da provvedimenti ablatori o comunque limitativi della disponibilità del bene, in linea con quanto previsto anche dal recente Testo Unico sugli Espropri. L’istituto può trovare applicazione in molteplici fattispecie connesse all’attuazione dei piani urbanistici e a tal fine si prospettano alcune esemplificazioni. Per favorire il rapido conseguimento di interessi pubblici che implichino la demolizione di edifici privati (es. ampliamento sedi stradali urbane) il Comune può stipulare una convenzione con i proprietari incisi per compensarli, in ragione della cessione degli edifici, con analoga quantità di diritti edificatori su aree pubbliche, eventualmente inquadrate in un apposito programma edili-

zio promosso dalle imprese che si convenzionano con il Comune. Sempre in tema di vincoli, come già previsto nella sentenza n. 179/1999 della Corte Costituzionale, in luogo dell’esproprio di aree può essere stabilito, in alternativa all’iniziativa pubblica, l’impegno dei proprietari a realizzare infrastrutture e servizi di interesse generale, a gestione privata convenzionata. Si potrebbero, inoltre, ampliare i margini di applicazione dello strumento compensativo anche alle ipotesi di riconoscimento di un ristoro del sacrificio imposto ai proprietari degli immobili, fermi restando i vincoli di cui al D. Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, relativamente alle previsioni dei piani volte alla tutela paesaggistico-ambientale, ma sostanzialmente aventi natura di vincolo urbanistico e di norma oggetto di un rilevante contenzioso. Potrebbe, in tal caso, essere riconosciuta al Comune la facoltà di stipula di una convenzione con il proprietario, in virtù della quale si riconosca, in caso di cessione degli immobili, un’area pubblica in permuta, ovvero il trasferimento dei diritti edificatori su altri immobili a compensazione della sottratta edificabilità. Analoghi sistemi compensativi potrebbero altresì essere individuati ai fini della rilocalizzazione di impianti industriali ed artigianali ubicati in sede impropria a seguito dello sviluppo edilizio, riconoscendo bonus urbanistici per l’area dismessa e priorità nell’assegnazione di aree in nuovi ambiti produttivi. Le linee tendenziali di questo processo evolutivo della gestione del territorio intendono perciò assicurare la medesima capacità edificatoria tra i soggetti legittimati a realizzare in base alle previsioni del piano, ma anche compensare il proprietario dell’area incisa da un vincolo di inedificabilità o espropriativo. Questi temi sono ripresi nell’articolato regionale, il quale fissa alcuni princìpi generali. Anzitutto, tale forma di gestione dei diritti edificatori è facoltativa ed è prefissata nelle scelte strategiche del piano di governo del territorio elaborato dal Comune, ossia in base a regole di gestione urbanistica generale e non indotta dall’esigenza di risolvere particolari fattispecie a posteriori. Si opera, così, una saldatura tra principio generale ed applicazione concreta ed uniforme, evitando di produrre deroghe. Il Comune, in questa logica di economia territoriale, diviene il gestore di una banca di diritti edificatori e di operazioni di permute immobiliari. Al fine però di evitare che venga liberamente emessa moneta inflazionata rispetto alle capacità realizzative totali prefissate nel P.U.G., si prevede che questa banca venga alimentata dalla cessione di aree nell’ambito dei piani attuativi finalizzate anche alle operazioni di compensazione. Si delinea, in questo contesto, una pluralità di strumenti compensativi del vincolo, alternativi all’esproprio, che spazia dalla possibilità di trasferire i propri diritti edificatori su altre aree edificabili, anche ricevute in permuta dal Comune, alla cessione di essi, nonché alla possibilità di realizzare direttamente strutture e servizi di interesse generale a gestione privata convenzionata. Simile alla compensazione ma con finalità diverse è poi il tema della premialità. Per il perseguimento di particolari interessi pubblici non accollabili ai soggetti realizzatori, si può prevedere, nell’ambito di una forbice prefissata, la concessione di diritti edificatori a fronte della dotazione di ulteriori opere di interesse pubblico con particolare riguardo alla riqualificazione urbana.

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Atti del Seminario

M assimo Ghiloni


Secondo modulo Gli aspetti applicativi della nuova legge L’esperienza della legislazione regionale di seconda generazione

Atti del Seminario

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Coordinatore: Stefano Castiglioni, presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Relatori: • Pierluigi Properzi, segretario generale dell’I.N.U.; • Marco Engel, delegato della Commissione Urbanistica della Consulta; • Alfredo Viganò, membro del direttivo I.N.U. Lombardia; • Claudio Maffiolini, coordinatore del gruppo di lavoro della Consulta per la preparazione del Seminario; • Giuseppe Franco Ferrari, professore ordinario di diritto pubblico comparato, Università Bocconi, Milano; • Fausto Curti, membro del Consiglio direttivo nazionale dell’I.N.U.; • Piergiorgio Vitillo, membro del direttivo I.N.U. Lombardia; • Michele Monte, membro del direttivo I.N.U. Lombardia; • Fiorella Felloni, membro del direttivo I.N.U. Lombardia; • Elio Mauri, consigliere dell’Ordine di Lecco; • Bruno Mori, dirigente Unità Organizzativa Attività Generali e di Conoscenza del Territorio; • Angelo Bugatti, membro del Gruppo Interdisciplinare Urbanistico Regionale; • Giulia Rota, dirigente presso la Direzione Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia

Pierluigi Properzi Le Leggi Regionali di seconda generazione nello scenario della Riforma • Una perimetrazione dall’alto Mi sembra innanzitutto necessario ridefinire la “ latitudine” dell’attività legislativa regionale, capire in quale quadro essa si colloca, rispetto a quali coordinate si sta evolvendo. La riforma del titolo quinto, nel definire il “ governo del territorio” come superamento dell’” urbanistica” , ha cambiato sostanzialmente i ruoli e i rapporti tra i soggetti responsabili del governo nella logica di equilibrio di poteri e di separazione di competenze in cui le regioni devono riconfigurare le proprie legislazioni. Una sorta di “ riperimetrazione” dell’attività legislativa regionale, una sua ridefinizione dall’alto, in termini meno dichiarati, era già avvenuta negli anni passati. Se infatti riflettiamo all’insieme costituito dal Testo Unico sull’edilizia, dalla D.I.A., dallo Sportello Unico, questi provvedimenti e questi istituti avevano in qualche modo, gia rideterminato, con la separazione della parte regolamentare afferente ai titoli abilitativi, una diversa e residuale tipologia di legge urbanistica regionale, di tipo piuttosto regolativo (dei rap-

porti tra i soggetti titolari di competenze di pianificazione) quale appunto deve essere una legge di governo del territorio, ma si sono così definitivamente separate le dimensioni regolative dell’uso dei suoli (titoli abilitativi - vincoli ablativi) da quelle previsive degli assetti (pianificazione). Questo non è un problema di secondo conto ma non è il solo. Se noi infatti riguardiamo a quello che sta avvenendo nel panorama delle nuove leggi regionali, questa ridefinizione del governo del territorio, in assenza di una riforma statale, è avvenuta essenzialmente secondo due prospettive, che hanno ingenerato altri problemi, che definirei di incertezza di rotta. • Approcci legislativi ibridi Introduco due definizioni, che riguardano l’approccio legislativo. Passatemele per buone, le desumo dalle politiche pubbliche. Una è una prospettiva di tipo “ neocontrattuale” , basata essenzialmente su un’etica della giustizia, che corrisponde in larga approssimazione all’urbanistica che noi conosciamo, quella della L. 1150, soprattutto del Decreto interministeriale del ‘68. Un sistema di regole condivise sulle quali si è definita la natura degli strumenti. È il piano che conosciamo, il piano costruito sulle zone omogenee e sugli standard, il piano di tradizione che, nel bene e nel male, ha concorso alla costruzione dell’Italia. È un piano che deriva da una precisa concezione di interesse pubblico (consenso predefinito) che lo sostiene, antiquata ma precisa, un piano che si articola in una dimensione strumentale gerarchica e prescrittiva dalla quale derivano vincoli di carattere urbanistico, con una procedibilità limitata nel tempo (per la parte ablativa) del tutto incoerente con la sua dimensione previsiva. Un piano che ha mostrato i suoi limiti in questi anni. Ma questa forma neocontrattuale del piano può evolvere, e sta evolvendo in una logica riformista, verso forme diverse, anch’esse di carattere neocontrattuale: non più standard ma prestazioni, non più prescrizioni ma indirizzi, non più conformità ma valutazioni di compatibilità. Un mondo nuovo che è stato delineato da più interventi.


indicatori di un percorso per tentativi, per successive approssimazioni. Governance e governement, comportamenti V/s strumenti, concertazione V/s titoli abilitativi, prestazioni V/s standard, strategie V/s pianificazione conformativa. Ci sono degli amici, tra cui Federico Oliva, che dicono: “ ma perché continuate a fare leggi regionali? Perché vi occupate ancora di leggi regionali? Non servono, non risolvono i problemi reali” . Su una cosa hanno ragione, non servono o perlomeno servono a poco, se non c’è una legge statale che disegni una rotta. Le leggi regionali (Tab. 1) hanno esplorato dall’interno il territorio dell’isola (che in fondo era già conosciuto) ma conoscono solo il bordo dell’oceano in quanto coincidente con la riva. Prima del titolo quinto, questo av-

Tabella 1 - LEGGI QUADRO SISTEM A PIANIFICAZIONE / PROCESSO EVOLUTIVO REGIONI

1ª generazione

ABRUZZO

2ª generazione

Post ’95

18/83 —————Y

70/95

ATTIVITA’ in CORSO Documento Indirizzi (INU)

BASILICATA

23/99 (INU)

P. BOLZANO

13/97

CALABRIA

19/02

CAMPANIA E. ROMAGNA

Ddl in formazione 47/78 abrogata

F.V.GIULIA

36/88 abrogata 6/95 abrogata 52/91 —————Y

20/00 (fase conoscitiva) INU DPR 126/95 (Revisione Std)

LAZIO

LINEE GUIDA (INU) 38/99

LIGURIA

36/97

LOMBARDIA

51/75

MARCHE

22/90

Ipotesi revisione

1/01 (dest.d’uso e Std) 34/92 Y 18/97

DOCUMENTO INDIRIZZI (INU)

PUGLIA

56/ 80

PIEMONTE

56/ 77

SARDEGNA

45/ 89

SICILIA

71/78

20/01 2 Ddl in esame nn° 7023-7029 20/91

TOSCANA

5/95

P. TRENTO

25/00

22/91

UMBRIA

VENETO

LINEE GUIDA Ipotesi Articolato

MOLISE

V. d’AOSTA

Regolamento (INU)

DOCUMENTO INDIRIZZI (INU) 28/95 \/ 31/97

3/60

Revisione in corso

27/00

ACCORDO QUADRO per revisione legge (INU)

11/98 61/85

DdL in esame

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Atti del Seminario

C’è, di contro, un approccio di tipo “ utilitarista” che non procede da una concezione data di interesse pubblico, posta a base di un ordinamento neocontrattuale, ma di volta in volta propone obiettivi (consenso condiviso) per il raggiungimento dei quali costruisce strumenti coerenti la cui razionalità è parziale, limitata all’obiettivo e che non postulano un sistema di regole predefinito. In realtà questi due approcci non sono mai puri, in quanto tali. Non esistono impianti legislativi solo neocontrattuali e impianti legislativi solo di tipo utilitarista. Esistono impianti ibridi, e lo stanno diventando sempre di più. Ma questo non è un male in quanto tale. • Incertezze di rotta In questo scenario assumono allora significato le incertezze di rotta che caratterizzano le leggi regionali quali


tuzionalizzazione che è stata descritta in termini allarmistici da De Rita, nel suo ultimo testo Il regno inerme, che la tratteggia in termini quasi apocalittici. Il tema della deistituzionalizzazione è comunque un tema che dobbiamo avere di fronte, quando parliamo di leggi, così come si deve tener conto che non esiste più un modello di sviluppo “ dato” ; dato in quanto finanziato e in quanto sostenuto e proposto in primis dallo Stato. Esistono oggi, e vengono praticati, molti e diversi percorsi di sviluppo, progetti di sviluppo locali, spesso fra loro conflittuali, progetti di sviluppo tendenti al modello della globalizzazione, progetti di sviluppo aziendalistici. Ma, se all’idea di sviluppo dato, all’idea di interesse pubblico che ad esso si rapportava, noi oggi Tabella 2 L’INNOVAZIONE OPERANTE

ABRUZZO

CONOSCENZA

Carta Uso dei Suoli

70/95

BASILICATA 23/99 Carta Regionale dei Suoli SIT

STRUMENTI e LIVELLI REG.

QRR PS/PST *

12 3 QSR 6 Docum. Preliminare

PROV.

PT

7 PSP

PRP * PIANO COMUNALE

Z————Y

13

Docum. Preliminare

DOC. PREL. 11 9 PSC 14 12 PO 15 Ambiti e Distretti 34

PRG PRE

Regolam. Urb.

RU

Piani Attuativi Comunali

P.A P.P. PII PRU

Approvazione Piano Comunale

Comune previo certif. Coerenza PTP

16

18 P.A. 19 P.Complessi 30bis 30ter Comune attraverso

CONFERENZE

di Localizzaz. 27 di Pianificaz.

ACCORDI

VALUTAZIONE

X

STU

CONVENZIONI Pubbl/Privato STANDARD PIANO SERVIZI

26

Ver. coerenza 29 Verifica compatib. 30

PEREQUAZIONE

SPORTELLO URBANISTICO

25

di Program. 8bis di Localizzaz. 28 di Pianificaz.

COMPARTI

17 18

Z

Atti del Seminario

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veniva per i limiti costituzionali e, oggi, che all’oceano è stato dato il nome di “ legislazione concorrente” resta l’incertezza. Ricordiamoci che la Legge costituzionale n. 3 ha aperto una voragine di incertezze. Ci sono già molti ricorsi delle regioni presentati alla Corte Costituzionale (ovviamente non tutti sul territorio e sull’urbanistica) e la Corte Costituzionale si è dichiarata soggetto non abilitato a rispondere perché parte in causa. C’è un disegno di legge “ La Loggia” , che prevede (attraverso una “ prudente ricognizione” delle quote di concorrenza nella legislazione regionale e statale) una definizione comunque dall’alto della concorrenza. Io penso che in tema di territorio una delimitazione dall’alto e unilaterale della concorrenza sia una contraddizione in essere. In questo clima di grandi incertezze, le regioni hanno in qualche modo (dal basso) tentato di definire il perimetro dell’oceano percorrendo le spiagge dell’isola, ma hanno anche cercato di navigare, in assenza di una rotta che deve essere data da una bussola (nazionale), e in questo tentativo hanno sperimentato aspetti non secondari della concorrenza legislativa: gli standard (Lombardia), i regimi (Basilicata), la concertazione (Emilia Romagna), l’impianto conoscitivo dei vincoli ricognitivi e questo nell’assoluta inerzia statale. • Tra “ concorrenza” e “ cedevolezza” Mentre sono convinto che non si possa affrontare il tema della perequazione senza una ridefinizione fiscale dei diritti immobiliari in sede statale, ritengo d‘altro verso che anche alcuni princìpi generali possano essere affrontati dalle regioni in una logica di “ cedevolezza” . Uso termini giuridici perché, a forza di frequentare amici giuristi, ho anch’io imparato qualche termine. Ma la cedevolezza dell’impianto statale, rispetto all’iniziativa regionale, per esempio sulle prestazioni minime, sui nuovi standard, è questione aperta. Non a caso, per esempio, la legislazione regionale affronta con molta timidezza il problema degli standard. Cosa che voi conoscete, perché lo avete affrontato per primi. Questi temi aprono una problematica del tutto nuova nei rapporti con lo Stato ma, sui nuovi contenuti delle prestazioni minime, non c’è ancora un avanzato testo legislativo regionale. La questione della concorrenza non può pertanto essere risolta da una scelta governativa ma verificando nei fatti cosa spetta allo Stato e cosa alle Regioni. Probabilmente anche a livello regionale, una volta comunque concordata una definizione delle “ prestazioni minime” nella legge statale, spostando l’attenzione dai mq/ab alle prestazioni delle armature urbane, si tratterà di affrontare questo tema non in legge ma attraverso atti di indirizzo regionali. Dico questo perché ritengo che il titolo quinto riformato abbia sicuramente detto una cosa, che è il Comune il soggetto che governa il territorio. E, quindi, diffido di quelle leggi regionali che prescrivono ai Comuni tutto, che dicono come deve essere fatto il piano, che dicono come devono essere applicati puntualmente gli standard. Anche qui la Regione non deve sostituirsi in sedicesimo allo Stato. Sono cambiati i rapporti. Il soggetto di governo del territorio è il Comune. Di questo anche la Regione deve tener conto nelle proprie leggi. Leggi che devono essere in qualche modo “ leggere” nei confronti dei Comuni. • Piano, deistituzionalizzazione e sviluppo locale Torniamo al tema degli impianti legislativi ibridi tra un approccio neocontrattuale e un approccio utilitarista. Potrei utilizzare i termini riformista e liberista, ma mi sembra improprio. Oggi ci troviamo in una condizione molto particolare della quale soprattutto noi urbanisti tendiamo a non voler prendere atto. Siamo all’interno di una deistituzionalizzazione molto avanzata. Deisti-

X

26

33-34


non siamo in grado di contrapporre un modello unico, e forse questo è un bene, dobbiamo riconsiderare l’idea di piano, la sua natura e la sua (pubblica) utilità. Deistituzionalizzazione, modello di sviluppo non più unitario e tanto meno condiviso, nature divergenti del piano. Stiamo – e tutti ne siamo consapevoli – attraversando una stagione di rivisitazione sostanziale da un punto di vista disciplinare del piano. Non possiamo continuare a praticare queste forme di autosostentamento fra piano e istituzione senza una concezione condivisa di sviluppo e senza una dimensione pubblica (istituzionale) della pianificazione. In questa non condivisione entra anche il modello di sviluppo sostenibile che, ovviamente, non è un modello condiviso. Noi possiamo continuare a scri-

vere in tutti gli articoli uno (Finalità) di tutte le leggi regionali che il modello di sviluppo è quello sostenibile, ma questo non corrisponde probabilmente a un modello condiviso. È, quindi, una stagione molto complessa. Non ci sono ricette. Non c’è una ricetta, di tipo neocontrattuale, o di tipo utilitarista, che ci aiuti a definire un nuovo tipo di piano, agibile da istituzioni certe, e con modelli di sviluppo certi. Di qui le incertezze. • Le leggi regionali innovative Come hanno interpretato le leggi regionali (Tab. 2) questo panorama di incertezze? Chiaramente in una logica prudente, molto prudente. Ed è lo zoccolo duro che si è conservato dell’impianto neocontrattuale, che è un impianto sostanzialmente garantista. E come è stato de-

43 19/02

E. ROMAGNA LAZIO 20/00

Carta Unica del Territorio 9 17 SITR 8 Quadro Conoscitivo 4

Quadri Conoscitivi Osservatorio SITO

QTR (*)

PTCP (*)

17 PTR

18 PTCP

23 PTRG PRS 26 PTPG *

PUGLIA

LIGURIA 38/99

TOSCANA 20/01

36/97

Statuto dei Luoghi

Conoscenze per la Pianificazione 7 17 SIRPT

65 SIT

7 PTR

5/95

24 SIT

UMBRIA FRIULI 28/95 - 31/97

24 4 SITER

DRAG

5 PIT

6 PUT

PTCP

6 PTC

16 PTCP

PRG 9 P.S. P.I.T.

23 24 PRG p strutt. p. oper. 29

Quadro descrittivo 9 Quadro strutturale 11

29 PTCP

52/91

35 SITER

117

5 PTRG PRS PTRP

4 9 12

12 PTP

23

Descriz. Fond. 17/18

PdA

40 PTPR *

DOC. PREL. PSC POT

DOC . PREL. 20 PSC 23 POC

RUE

REU

PAU 21 PINT 33 PRU-PRA 34-36 PUA RIURB 35

24 PR 28 PUCG 29 30 disp. Struttur. disp. program. 30 PUOC

PROG. PRELIM. P.U.C. 24 Descriz. Fond. 25/27 PUG Descr. Strutt. Ambiti e Distretti 27/28

28 PUO 50 Sistema Infr. e servizi pubblici 32 PA 55 PUE

31

Comune

Provincia

68

PTC Paesistico

2 PRGC 3

R.U.

28 REU

14 RE

15 P.A.

39 P.A.

15 PRPC

Conf. di Servizi 53 Comune su Prog. Def. Comune

29

55

Provincia

Comune

Parere Reg. e Prov. su Prog. Prelim.

di Servizi

14 di Pianificazione

di Pianificaz. 32 di Servizi

di Pianificaz. 13 di Pianificaz. di Programma 46

14

di Programma 15

Partecipativa

6

Istituzionale

9

59/60

di Pianific.

di Pianificaz. 6/57

36

di Programma 52

Territoriali 15 di Programma 49 di Programma 58 di Programma 40 di sostenibilità e di sostenibilità 5 di compatibil. 63 di impatto 10 68 X

54

X X

X

7

X

7

55

X

47

31

X

48

Certificazione Urbanistica 70 X 71

X

73

X

76

ACCORDI Con Privati X * (con valenza paesistica)

53 Allegato A 22

18

26

* (costituisce parte paesistica del PTR)

di compatibil. 8 di carattere Igenico X

22

14

49 Peso insediativo 33 Revisione 34

26 DPR 41 42 43 44

126/95

Atti del Seminario

CALABRIA


e attraverso quali processi di verifica, di garanzia, di concorsualità e concorrenza. • Il ruolo della conoscenza nella decisione Il primo tipo di leggi tende alla costruzione di impianti conoscitivi (che non sono sistemi informativi territoriali, ma sono processi molto più complessi) nei quali interagiscono le conoscenze istituzionali (quelle che maggiormente conosciamo in quanto descrivono, riconoscono i vincoli ope legis-morfologico ricognitivi), con le conoscenze identitarie e locali (che sono quelle che in genere si collocano all’interno dei piani regolatori) e le conoscenze di progetto (che hanno la loro legittimità a interagire con gli altri livelli di conoscenza perché, spesso, molto più puntuali e approfondite). Sono impianti conoscitivi la cui costruzione avviene in termini di concertazione fra i diversi soggetti portatori di conoscenze. Conoscenze plurali e concorrenti. Questo tipo di conoscenze postula modalità di valutazione, non solo di tipo parametrico, ma anche di tipo argomentativo. Si tratta di un tipo di valutazione non basata soltanto sugli indicatori europei che sono indicatori di tipo parametrico a base socio-economica o ambientale, ma a delle valutazioni connesse alla nuova dimensione della pianificazione che è una dimensione di tipo progettuale e che richiede, quindi, una valutazione di tipo argomentativo. È un passaggio lento ma che, probabilmente, va verso un maggior contenuto progettuale dei piani. In un certo senso penso al piano come ad un atto ge-

Tabella 3 L’INNOVAZIONE IN ITINERE CONOSCENZA

ABRUZZO Documento Indirizzi

CAMPANIA Ddl

CARTA dei LUOGHI

F.V. GIULIA (solo Pianif. Strategica)

LOMBARDIA

CARTA dei LUOGHI Quadri Conoscitivi Locali

Quadro Conoscitivo

Ddl

MARCHE Ipotesi di articolazione

UMBRIA (solo parte comunale)

VENETO

Carta del Patrimonio e delle Tutele

SISTEMA CONOSCEZA

Quadro Conoscitivo Informativo Osservatorio

Osservatorio SIT STRUMENTI e LIVELLI

REG.

QRR

PTR PSR

PSRT PIT

PTR Atti di Progr. PTR d’A

PROV.

PTC

PTP PSP

PIT

PTP

PIANO COMUNALE Doc. Preliminare Strategie

PRG Doc. Preliminare

Assetti Strutturali

parte strutturale

Attuazione

parte operativa

MODALITA’ VALUTAZIONE

X

COPIANIFICAZIONE

X

CONFERENZE

di Pianificazione

ACCORDI

di Pianificazione

PEREQUAZIONE STANDARD

Ddl

PTRC PdAR Prog. Strateg. PTP

X

PUC PRGC Previsioni Parte strategica programmatiche

PGT

PUA

Piano dei Servizi P. Morfologico Piani Complessi

PIT

Coerenza Compatibilità

CONCERTAZIONE

X Agende Sviluppo Locale

Coerenza Compatibilità

di Programm.

X

X

In Regolamento

X

Prog. Urb. Strumenti Attuativi

PA PUA Piano dei Servizi

X Compatibilità

X

Inchiesta Pubblica

di Pianificazione

di Pianificazione

di Pianificazione Compensazione premiale

di iniziativa Reg. di iniziativa Com. X

di Pianificazione

D.P.R. 126/95

PSC

Doc. Preliminare Parte strutturale POC

Correlazione

Linee Guida

PRG Piano Idea

Z———

Atti del Seminario

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clinato questo zoccolo duro? In alcune leggi l’impianto neocontrattuale si è spostato dall’accordo, basato sugli standard, e dallo zoning come strumento di equità, ad un accordo su una conoscenza condivisa. Gli impianti di tipo neocontrattuale forti (quello della Toscana, per capirci, con lo statuto dei luoghi; quello della Basilicata, con la carta regionale dei suoli; quello della Liguria con la conoscenza condivisa; i quadri conoscitivi locali di diversi impianti, quello umbro, quello emiliano) e ora molte delle nuove leggi - quelle in corso di definizione - fondano le basi contrattuali su un impianto conoscitivo condiviso (poi vedremo che tipo di conoscenza e che tipo di condivisione). Mentre declinano, con modalità valutative, riferite all’impianto di conoscenza, e con modalità concertative (accordi, conferenze di pianificazione, accordi di pianificazione) quella parte che affronta la ricerca – costruzione – del nuovo interesse pubblico, quindi la dimensione utilitarista pubblica della pianificazione. Sono impianti legislativi che mediano un approccio neocontrattuale con un approccio utilitarista riferito alla costruzione concertata di una nuova dimensione dell’utilità pubblica. Ci sono altri impianti legislativi che privilegiano invece una più ampia consensualità nelle scelte spesso solo di tipo strategico e/o preliminari ed aprono alla partecipazione del privato nella costruzione dell’interesse pubblico; questo aspetto non può essere demonizzato in quanto tale. Si tratta di capire come questo viene fatto

X

Preliminare di Istruttorie copianificazione Istituzionale X X


Ne derivano alcune considerazioni: la prima in ordine alla “ prudenza” delle regioni nell’abbandonare i bordi conosciuti dell’impianto di tradizione e comunque, quando questo avviene, è molto più frequentato il bordo neocontrattuale, sia nelle dimensioni legate agli standard ed alla sussidiarietà verticale (nelle Conferenze), che in quella delle valutazioni sostantive (attraverso valutazioni di compatibilità). La seconda è relativa alla “ tendenza” utilitarista, che connota alcuni impianti, ma che tende ad essere ricondotta ad una sorta di controllo centrale da parte delle regioni riducendo la sussidiarietà verticale (Puglia Friuli V.G. ). Si tratta di tendenze contrastanti che risentono delle tradizioni e storie locali. Il Friuli Venezia Giulia ad esempio sta costruendo un impianto legislativo per normare la “ pianificazione strategica” . La cosa può anche destare una qualche perplessità perché la pianificazione strategica è di sua natura adattiva, fattuale e non regola-

mentare, però i titoli delle leggi molto spesso sottolineano, così come gli articoli uno, le finalità, i desiderata dalle società locali. Il voler chiamare la propria pianificazione “ strategica” , pone il Friuli in termini molto avanzati verso l’ipotesi utilitaristica, in quanto intende eliminare molte delle rigidezze strumentali nella costruzione del piano. In quest’ottica di semplificazione, anche su consiglio dell’Istituto, il D.d.l. riconduce comunque tutte le valutazioni ad una Carta dei Luoghi e dei Paesaggi che, in qualche modo, ricostituisce un buon impianto neocontrattuale (e come tale viene intesa quale “ patto” tra gli enti locali). Personalmente ritengo che per l’esplorazione del IV quadrante, in gran parte non praticato, serva una decisa interazione tra legislazione regionale e legge statale. E questo deve avvenire non attraverso una nuova riperimetrazione dall’alto (D.d.l. La Loggia) di emanazione governativa, ma proprio per interazione, tra una ampia produzione legislativa regionale in essere, e molto variegata ed innovativa, e l’individuazione di alcuni princìpi nella legge statale: - la riconfigurazione del significato di pubblica utilità della pianificazione in relazione alla costruzione di progetti di sviluppo (locali); - la natura interagente delle “ prestazioni minime” sia rispetto alla vivibilità che ai processi di sviluppo; - la concorsualità e la concorrenza di tutti i soggetti nella loro attuazione; - la natura dei regimi urbanistici abilitativi ed ablativi; - la trasferibilità dei diritti immobiliari nell’ambito della pianificazione. • I problemi aperti Restano comunque dei problemi aperti nell’evoluzione della legislazione regionale (IV quadrante). Ne individuo perlomeno cinque; sono problemi che possono essere declinati in maniera diversa con stili diversi che corrispondono ai diversi stili di governo delle maggioranze: la concertazione, la conoscenza ed i processi valutativi, la natura del piano comunale, la consensualità e la contrattualità. - La concertazione Abbiamo detto che esistono perlomeno due approcci alla concertazione, uno di tipo procedurale più legato ai termini garantisti del rapporto e uno più sostantivo. Tutti conosciamo una retorica dell’accordo praticata spesso da amministrazioni che non mettono nulla nell’accordo stesso ma che si esaltano a vicenda rispetto a programmi di natura essenzialmente retorica. Esiste poi una concertazione sostantiva, legata ai progetti, progetti di territorio, progetti di sviluppo, che implica anche l’impiego di risorse. È probabilmente questa la più interessante. Perché non è ancora presente negli impianti legislativi? Perché questo implica una coerenza tra programmazione e pianificazione, sogno inseguito per anni, che si scontra con le divisioni per settori dei governi regionali e dei governi locali. L’impianto dello stato francese, che è quello che noi abbiamo in qualche modo assunto, era un impianto che funzionava, in quanto dietro c’era una forte concezione dello Stato, cui corrispondeva un modello di sviluppo, ed una concezione del pubblico interesse, sulla concezione dello Stato modellata. Tutto questo oggi non c’è più. Può piacere o non piacere, però non c’è più e, probabilmente, il piano è il miglior strumento per ricostruire dal basso nuove dimensioni aggregative fra le istituzioni, fra quelle istituzioni che sopravviveranno, intorno ad una nuova concezione di pubblico interesse. Ricostruzione del pubblico interesse; questo tema dovrebbe essere affrontato nelle leggi ed in particolare come si è detto nella nuova legge statale che ridefinisce il senso

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Atti del Seminario

nerale - nel senso giuridico del termine - che non ha bisogno di motivazioni. Un atto generale che porti a coerenza razionalità parziali, le razionalità dei progetti, che verifichi la compatibilità di queste razionalità parziali e, quindi, che si “ costruisca” su processi decisionali espliciti legati a valutazioni di coerenza e di compatibilità. Ci sono già molti impianti legislativi regionali che hanno spostato dalla verifica di conformità alla verifica di coerenza e alla verifica di compatibilità l’asse delle valutazioni. Le leggi di tipo utilitaristico, ma in verità non ce ne sono molte tra le leggi Quadro, privilegiano proprio questo aspetto progettuale valutativo (Tab. 2). • Una possibile evoluzione Se confrontiamo la produzione legislativa più recente e quella in via di definizione cartiglio (Tab. 3) in un diagramma che ordina i diversi articolati in relazione alla loro maggiore o minore aderenza alle tipologie “ pure” prima descritte (neocontrattuale-utilitarista) ed alla loro minore o maggiore caratterizzazione + – in questo senso si può considerare il centro del diagramma (Basilicata) come una condizione di equilibrio, mentre le posizioni di margine quelle che caratterizzano una natura più decisamente connotate da forme neocontrattuali tradizionali a bassa sussidiarietà orizzontale (Lazio), o di contro ad alta sussidiarietà verticale (Abruzzo) in relazione al recepimento estensivo della Bassanini o da forme utilitariste retoriche bloccate in costruzioni decisamente neocentraliste (Puglia).


Atti del Seminario

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della pianificazione la sua pubblica utilità. Oggi piuttosto si procede in una logica incrementale, migliorando qualche passaggio dell’Accordo di programma della L. 142/90, facendolo diventare Accordo di Pianificazione o Accordo di Territorio; si tratta di costruire strumenti attraverso i quali portare a coerenza le razionalità parziali, che interagiscono nella costruzione dei diversi progetti di sviluppo e di verificare la loro compatibilità con forme condivise di responsabilità rispetto alle ragioni dei luoghi (Territorio - Ambiente - Paesaggio). Questo è il Piano, il nuovo Piano. - La conoscenza ed i processi valutativi Abbiamo detto, che uno dei nodi è sicuramente quello degli impianti conoscitivi e della loro condivisione: l’intervento della Treu lo chiariva molto bene. Si, di appli-

care la concertazione anche alla costruzione degli impianti conoscitivi. Non c’è un soggetto che è padrone della conoscenza. Non è possibile praticare concertazioni senza impianti conoscitivi condivisi, altrimenti ci troveremo di fronte a rivendicazioni di conoscenze particolari, usate in termini “ terroristici” , all’interno di fasi concertative senza soluzione, o alla prepotenza dei possessori di conoscenze istituzionali. La conoscenza è un qualche cosa che deve essere costruita in termini altrettanto attenti e concertati di come si costruisce il progetto nell’interesse pubblico, perché ad esso è strettamente connesso. Ne discende, che i processi valutativi e decisionali devono essere processi che in qualche modo recuperino dimensioni non solamente parametriche. Io diffido degli indicatori della Unione Europea. Capisco benissimo


Lecco, via Nava (foto: Marco Introini).

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Atti del Seminario

che non si può stare in Europa senza avere dei linguaggi comuni e so che questi linguaggi sono gli indicatori: gli indicatori dei fondi strutturali, gli indicatori a base essenzialmente socio-economica o gli indicatori ambientali a base quantitativa. Noi non ci occupiamo di questo. Ci occupiamo di progetti di sviluppo locale per i quali i piani sono la dimensione di reale garanzia. E, se ci occupiamo di piani e di progetti di sviluppo locali, dobbiamo utilizzare indicatori che consentano argomentazioni, di contenuto territoriale, utili a verificare la qualità dei nostri progetti. - Il piano comunale La proposta dell’Istituto, che è stata più volte richiamata, quella della dimensione strutturale ed operativa, fu formulata nel ’95 a Bologna; era una proposta di contenuto disciplinare e culturale che riconosceva una duplice natura (previsiva e regolativa) ed una corrispondente diversa processualità interne al piano di tradizione e spesso conflittuali tra loro. A questa proposta ha corrisposto una sua traduzione in termini legislativi forse troppa diretta, spesso solo nominalistica. Ma non è questo il problema. La scissione tra strutturale e operativo non risolve tutti i problemi della pianificazione comunale. Sono convinto che ogni comune deve poter fare il piano che gli serve e lo deve fare nei modi in cui “ può” farlo. La legge regionale non deve dire come “ deve” essere fatto il piano. Deve però garantire che ci siano alcuni elementi di fondo che il piano deve affrontare e questi non possono essere solo zone e standard. Questa mattina sono stati sollevati i problemi dei regimi urbanistici che la divisione, tra strutturale e operativo, non sempre risolve. La legge regionale deve definire con chiarezza qual è lo strumento che definisce i regimi urbanistici operativi. Poi, si può chiamare lo strumento come vogliamo, ma esso non può coincidere con lo strumento che definisce le strategie, gli assetti generali. Esso deve essere, inoltre, atto generale. Atto generale che porti a coerenza le razionalità parziali. Ci sono molti impianti legislativi che stanno affidando al documento preliminare la definizione di alcuni di questi caratteri essenziali, quello della definizione dell’impianto previsivo strategico e quello della concertazione tra i soggetti. Il Documento preliminare è presente in quasi tutte le leggi regionali innovative (vedi Tab. 3). Se al documento preliminare è in qualche modo legata una dimensione spaziale, uno schema strutturale, uno schema direttore, un assetto strutturale (chiamiamolo come vogliamo), esso può dialogare con gli altri soggetti in termini di reale copianificazione e di concertazione. Questo strumento, a mio avviso, non può però definire i regimi urbanistici operativi. Non li deve definire, perché, altrimenti, perderebbe tutte le dimensioni di flessibilità che stiamo ricercando. Di contro deve definire i perimetri che ne caratterizzano le tipologie generali di intervento (conservazione - trasformazione - nuovo impianto) intorno ad un riferimento che “ viene prima” come definizione e che “ viene prima” come contrattazione, che è quello che, in maniera diversa, viene definito: piano dei servizi, armatura urbana, parte pubblica e via dicendo. Questa parte deve essere definita (in termini di prestazioni e forse in termini di spazi e di soggetti attuatori) già nel documento preliminare. Questo, non perché ci sia una dimensione pubblica che precede quella privata in termini di importanza, ma perché, se c’è questa dimensione del piano come coerenza di razionalità parziali e come soluzione delle conflittualità, che sono sempre più ampie (la nostra è una società che si avvia a una crescente conflittualità, un’anarchia molecolare viene definita da qualcuno), questo deve avvenire intorno alla condivisione della sua “ parte pubblica” . È da questa sua centralità nel processo di pianifi-


Atti del Seminario

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cazione che si deve partire. La sua definizione nel documento preliminare (che non determina regimi urbanistici operativi - ablativi - abilitativi) deve viceversa costituirne l’impianto forte; di qui le difficoltà di operare senza un impianto legislativo generale (Stato - Regioni) quando si affrontano contemporaneamente questioni che riguardano regimi di suoli e prestazioni minime. L’armatura urbana, il piano dei servizi deve (ri)trovare una sua centralità nella pianificazione attraverso la definizione da parte dello Stato dei suoi caratteri generali e di pubblica utilità e questo può avvenire per concorrenza con le regioni, o per iniziativa delle regioni stesse per “ cedevolezza” , perché lo Stato prenderà difficilmente questa iniziativa. La definizione delle prestazioni minime, del piano dei servizi, dell’armatura urbana è infatti un diritto di cittadinanza omogenea che deve derivare in termini di principio da una legge statale, deve essere declinato da una legge regionale in termini di comportamenti dei soggetti e deve trovare la sua specificazione e realizzazione nei piani dei comuni. Ogni Comune ben sa quali e quanti sono i propri “ bisogni” , tant’è vero che la Legge Merloni 109 parte dalla ricognizione dei bisogni. Rispetto a questa armatura, preferisco chiamarla armatura urbana, può essere costruito il nuovo Piano, la sua utilità, e da esso è possibile far discendere una modulazione dei regimi urbanistici (in fondo i P.R.U.S.S.T. i Programmi di Riqualificazione che cosa ricercavano? Ricercavano di ricostruire armature urbane territoriali). Ritengo che attorno a questo scheletro del Piano, abbiano diritto di concorrere concorsualmente tutti i soggetti portatori di interessi, che con l’interesse pubblico si devono non solo confrontare ma devono in qualche modo contribuire sia a definirlo che a costruirlo. - Concorsualità, concorrenza, partecipazione Ritengo che concorsualità, concorrenza, partecipazione debbano essere alla base dei nuovi processi di costruzione della città. I meccanismi del Project Financing, delle S.T.U., trovano ancora difficoltà in quanto si rappresentano a valle del processo di formazione del piano. Le forme di partecipazione nel processo di piano sono ancora troppo divaricate tra una partecipazione retorica a sostegno di una condivisione coatta di antica tradizione ed una partecipazione liberista che ha tardivamente scoperto i vantaggi del privato. Le tendenze ad una “ urbanistica consensuale” devono ancora trovare negli impianti legislativi regionali una formulazione credibile che superi in termini più sostanziali di quanto P. Urbani propone la limitazione di cui all’art. 13 della L. 241/90 (non ammissibilità delle transazioni con i privati in tema di pianificazione). Questo, a mio avviso, può avvenire proprio nella configurazione (autonoma nel tempo e nelle prestazioni) dell’armatura urbana essenziale. È una strada ovviamente garantista e neocontrattuale, tipica di un approccio riformista, ma che nulla toglie all’apertura verso una sostanziale partecipazione del privato alla costruzione della città. Bibliografia di riferimento P. Properzi, La stagione delle Riforme, in: Le leggi e le azioni nella normativa urbanistica Regionale, (a cura di F. D. Moccia), in “ Urbanistica Dossier” n. 40; L. Seassaro (a cura di), Stili e Contenuti delle recenti leggi urbanistiche regionali, in “ Urbanistica Dossier” n. 14; P. Properzi, L. Seassaro, (a cura di), Leggi Urbanistiche regionali tra istituzione disciplinare e riprese istituzionali, in “ Urbanistica Dossier” n. 5/96; Ministero L.L.P.P. (Responsabile Scientifico P. Properzi), Orientamento della Legislazione Regionale, in: Rapporto sullo stato della Pianificazione del territorio, 2000.

M arco Engel La “ validazione” del progetto urbanistico La crescente complessità del quadro normativo richiede al pianificatore di dotarsi di nuove competenze e di coordinare queste con una quantità crescente di informazioni e di indicazioni che il piano urbanistico è tenuto a produrre. Tale crescente complessità è in parte determinata dall’ormai diffusa applicazione del principio di sussidiarietà che, se da un lato riconosce nella giusta misura il valore della pianificazione locale, dall’altro produce l’effetto di riversare sullo strumento urbanistico comunale una gran quantità di compiti un tempo assenti oppure assolti da altri livelli di pianificazione. Contemporaneamente, la progressiva e grandemente attesa semplificazione procedurale produce lo smantellamento della sequenza dei controlli ai quali lo strumento urbanistico comunale è ancor oggi assoggettato. Si tratta di una condizione già indotta dalle leggi attualmente vigenti, che il nuovo testo non fa che confermare ed ampliare. A partire dalla L.R. 23/97, è sempre più lasciata ai Comuni la responsabilità della costruzione degli strumenti urbanistici e del loro controllo: responsabilità che, con l’entrata in vigore dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali, assumerà carattere definitivo. Finalmente la comunità locale sarà così interamente responsabile delle proprie scelte di pianificazione, delle quali sarà solamente verificata la “ compatibilità” con le indicazioni del piano di livello superiore. La soppressione della sequenza dei controlli, ed in particolare della faticosa fase dell’istruttoria e dell’approvazione regionale, rappresenta un risultato importante della recente produzione legislativa ed è auspicabile che la nuova legge confermi tale risultato, estendendone, se possibile, gli effetti positivi di accelerazione dei tempi e di semplificazione dei rapporti istituzionali. Assieme al sistema gerarchico del controllo tramonta anche il metodo tradizionale, o meglio la strumentazione tecnica, del controllo stesso, che non sarà più affidato all’applicazione di parametri quantitativi, che oggi appaiono rozzi e inadeguati, ma che conservano ancora il vantaggio della chiarezza e della dimostrabilità. La soppressione del sistema tradizionale dei controlli può produrre alcuni effetti indesiderati ai quali pare necessario proporre rimedi: • Aumenta il rischio che il piano approvato contenga errori o imprecisioni che un tempo sarebbero stati evidenziati nel corso dell’istruttoria di approvazione. Aumenta conseguentemente il rischio che tali errori vengano sottoposti al giudizio della magistratura amministrativa da chi se ne ritenesse danneggiato, secondo una prassi ormai largamente diffusa. La magistratura amministrativa rischia quindi di essere gravata del compito di solo ed ultimo controllore della correttezza delle scelte urbanistiche: compito per il quale non può risultare adeguatamente attrezzata. • Aumenta parallelamente la responsabilità dell’Amministrazione che produce lo strumento urbanistico e del professionista che lo elabora. Sono loro infatti i garanti della correttezza e della legittimità delle scelte del piano, non supportati dal confronto, prima, e quindi dall’approvazione dei superiori livelli amministrativi. Si tratta di una responsabilità importante, gravida di potenziali ricadute economiche, poiché entrambi, l’Amministrazione ed il progettista, potrebbero essere chiamati a rispondere dei danni subiti da terzi a causa degli errori conte-


Alfredo Viganò Alla cortese attenzione del presidente rispondo che sono Amministratore da qualche mese, quindi non è poi così significativo, anche se Monza è una città molto complicata ed esemplificativa del problema che abbiamo di fronte. Ho partecipato nel dibattito anche del Direttivo I.N.U., di cui faccio parte, quindi mi riferisco sostanzialmente a quel dibattito ed a quella sede anche se ci potrebbero essere riferimenti di altre esperienze, ma questa questione non è sostanziale. Io partirei da una questione di fondo. Premetto che non vorrei passare oggi per quello che spezza qualche lancia a favore dei contenuti e procedure affrontate dalla proposta di legge. Non vorrei cioè apparire fuori dal coro delle critiche, per alcuni aspetti, però, la questione di fondo, per contenuti e metodi, secondo me, va segnalata ed affrontata. Il problema, la “ crisi” che investe la metodologia e politica dei Piani Urbanistici, trova le sue radici nel fatto che con altri ho più volte ripetuto in questi anni: vi sono, sul territorio nazionale, due leggi urbanistiche (dicendo questo cito importanti sentenze della Corte Suprema): la famiglia di leggi urbanistiche generali e particolari che discendono dalla Legge 1150 del 1942 (“ legge urbanistica” di programmazione e pianificazione generale coi limiti del tempo che tutti conosciamo ed i suoi completamenti ed aggiustamenti successivi e vari) e la famiglia di leggi che deriva dalla Legge 179 del 1992 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica), legge questa che si pone il problema della criticità della Legge urbanistica nazionale, nata prevalentemente per l’espansione e l’urbanesimo, di fronte al tempo in corso della prevalente “ trasformazione” delle città e del territorio nel costruito e urbanizzato. Legge, la 179, che tra l’altro aveva visto uno specifico precedente nella Legge della Regione Lombardia (Legge 23 del 1990), era nata per l’edilizia residenziale pubblica (e questo non è aspetto indifferente), individuando nella procedura dei Programmi Integrati di Intervento il modo possibile di inserire e attuare edilizia residenziale pubblica nel contesto di aree di ristrutturazione e rinnovo urbanistico. Quindi, e questo aspetto è fortemente da sottolineare perché spesso frainteso, con un’intenzione di riproporre la scelta pubblica, per finalità e contenuti di risposta a fabbisogni, dentro il quadro dell’uso di risorse private (negoziazione urbanistica) nella trasformazione della città. Uso da rendere più trasparente di quanto avveniva nel normale processo di programmazione urbanistica tramite Piani Regolatori Generali e Piani Attuativi. In questa dissociazione, al di là delle specifiche “ origini e finalità” delle due leggi, in particolare

per la seconda, si è poi sviluppata, nelle legislazioni regionali ma anche nella legislazione nazionale, un forte dibattito urbanistico e politico (l’urbanistica per sua natura è connessa alla politica e non potrebbe essere altrimenti). Qui in Regione Lombardia, in particolare e per molti anni, si sono assunte posizioni contrapposte nell’ambito disciplinare. Questa dicotomia del quadro legislativo ha portato stranamente ad una dissociazione anche nella disciplina. C’è chi ritiene che il Piano non esista più, che abbia perso la sua funzione e che la “ centralità” del Piano, nell’organizzazione della città e del territorio, non esista più se non come documento letterario. Altri invece ritengono che si debba riconfermare pienamente la forza ed utilità del Piano, talvolta disconoscendo le forti necessità del suo rinnovo per contenuti, procedure e metodologie. Io devo dare atto che, in questa situazione, chi nell’amministrazione della disciplina, in sede tecnica o politica, vedeva sfuggire la centralità del Piano, soffriva per la mancanza di tentativi di ricomposizione del quadro disciplinare e strumentale, frantumato tra una “ programmazione e pianificazione urbanistica generale” della città e delle aree urbane e la “ gestione urbanistica degli interventi e dei grandi progetti” (dissociazione sempre presente per contraddizioni di tempi, modi, uso di risorse, scelte, per cui ogni scelta di gestione diventa contraddittoria con gli strumenti generali urbanistici, per loro natura tecnicogiuridica, statici e atemporali). Chi in sostanza si accorgeva della necessità della ricomposizione non può che dare atto che ogni tentativo per ricercare la “ centralità” del Piano è da sostenere. Infatti questo è stato ed è il problema, quello di strumenti che non rispondono ai nuovi obiettivi di adeguamento urbanistico e paesistico della città e del territorio: da una parte perché i “ Programmi” , senza regole generali, privilegiano il “ negozio” rispetto alla coerenza con le finalità di Piano, dall’altra perché tempi e modi della trasformazione urbana sono incompatibili con tempi, modi e risorse del Piano Generale. Bisogna dare quindi atto che il tentativo, in sede di Governo regionale, di ricomporre in una legge la “ centralità del Piano” , nelle sue varie forme e nelle sue varie gerarchie, è molto importante. In questo senso, con la giusta procedura di ampia consultazione in atto, spezzo una lancia per la nuova legge. Accettare questa sfida da parte nostra è importante e non va sottovalutata. Entrando più nel merito, non sono stato tra quelli, nell’I.N.U., che hanno letto in questa legge un testo definitivo e completo, perché farei affronto all’intelligenza di chi l’ha prodotto, dal punto di vista tecnico e giuridico. Questo sia per l’evidente contenuto di bozza del testo presentato che per il metodo di partecipazione proposto, aspetto, anche questo, che non posso che richiamare come positivo, con ciò non mancando di evidenziare gli aspetti di profonda critica che vanno affrontati in merito ai contenuti della proposta di legge. Mi chiedo, come Amministratore, qual è la cosa importante che abbiamo di fronte, il nocciolo che dobbiamo aggredire? Penso che noi dobbiamo passare da una metodologia e gerarchia di Piani, che terminavano la loro funzione nella definizione e previsione decennale e oltre di programmazione generale, indipendentemente dalla trasformazione dei fabbisogni ed eventi della città (Piani cioè senza obiettivi e strumenti di continua programmazione della gestione, capaci anche di retroagire sui riferimenti di programmazione generale che sovente, negli anni, diventavano sempre più dissociati dai contenuti in atto e necessari di gestione urbanistica), alla definizione di una nuova famiglia di Piani atta a distinguere (per contenuti, verifiche, procedure

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nuti nello strumento urbanistico. Per non dire degli eventuali danni territoriali dei quali, nel nostro Paese, raramente qualcuno è stato chiamato a rispondere. In questa situazione è legittimo ipotizzare che si ponga anche per la produzione del piano urbanistico il problema, già affrontato per le opere pubbliche, della “ validazione” del progetto. Ossia il problema della certificazione della correttezza e della qualità della progettazione, nel nostro caso della progettazione urbanistica, che non può essere solamente garantita dal titolo di studio detenuto dal progettista. Questo tema non pare contemplato nel testo della nuova legge: potrebbe rivelarsi una grave carenza per una legge che pone fra i suoi obiettivi centrali la semplificazione ma anche l’efficienza del processo di pianificazione.


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e strumenti) tra contenuti non variabili e variabili e metodi di verifica complessiva delle retroazioni, dettate da esigenze di gestione e attuazione del Piano. Partire, quindi, da ipotesi di piani generali che nel loro iter di formazione trovino struttura di riferimento nella partecipazione (concertazione per delineare gli obiettivi di interesse generale, gli orientamenti per la stessa gestione, gli indirizzi non tanto come documento ma come strumento “ strategico e strutturale” , con qualità tecnicodisciplinare urbanistica) con le parti socio-economiche della città e del territorio, più che nel negozio strumentale e localizzato in ragione del sistema della proprietà. Mi sembra importante ribadire la necessità non di un documento di programmazione, che pure assume carattere di importanza, ma di un vero piano urbanistico, anche se redatto con contenuti e “ cogenze” differenziate e diverse da quelle attuali, per poi procedere nella gestione, con scelte operative di tipo politico-amministrativo, scientifiche, di verifica e conoscenza dei fabbisogni e del territorio, di disponibilità delle risorse, ecc., per raggiungere man mano i fini “ strategici e strutturali” di Piano, con l’adattabilità e celerità propria degli strumenti più parziali d’intervento (anche con capacità di retroazione controllata), celeri e capaci di rispondere alle realtà che abbiamo di fronte. Credo che questa sfida sia la sfida sostanziale per trasformare in meglio le città ed il territorio, con strumenti urbanistici adeguati, condivisi e che producano soluzioni contestuali e coordinate nei contenuti pubblici e privati. Noi abbiamo di fronte problemi gravi, di trasformazione e risanamento, determinati dal veloce sviluppo passato, spesso incontrollato per dimensione e localizzazione, ed a questi abbiamo il dovere di dare risposta con strumenti adeguati che ripropongano la “ centralità” del Piano e della programmazione e pianificazione, pena riproporre su altra scala gli errori, fatti in passato, di confusione tra sviluppo e spreco di territorio, dettato dalle “ occasioni” parziali spesso legate solo al sistema della proprietà. Questo è un punto - credo - molto importante da cui far discendere poi le valutazioni e contenuti della proposta di legge. Infatti la proposta sul tavolo non è sufficiente a delineare il fatto che dobbiamo essere in grado di definire ipotesi e strategie di pianificazione del territorio come Piano, o quadro di riferimento delle scelte che si traducono in verifica ed opportunità di strumenti urbanistici più precisi, attuativi e cogenti al loro livello. Questa ipotesi di Piano deve contenere quelle invarianti e quelle determinazioni che appartengono più propriamente alla tematica della “ sostenibilità” e della valutazione e concertazione, con tutte le componenti costituenti e d’uso del paesaggio (componenti la cui definizione dettagliata appartiene alla stessa storia urbanistica di ogni parte del territorio o necessità). Essa non deve essere messa in gioco nel negozio contrattuale con singole risorse private (pericolo ancor più grave nei piccoli e medi Comuni) nella gestione, se non tramite processi di verifica alla stessa scala del Piano Generale. Quindi, non dobbiamo mai confondere strumenti di “ programmazione di interesse generale” , dove deve avvenire la partecipazione e la concertazione in regole istituzionali (oltre che in quelle libere che appartengono al mondo democratico), con strumenti “ particolari di attuazione e gestione” , dove avviene il negozio urbanistico per il reperimento di risorse atte a raggiungere certi fini dentro un quadro generale di riferimento. In questo senso io distinguo molto, come altri hanno fatto, e apprezzo molto di più il riferimento, non tanto alla perequazione, ma alla compensazione, nella strumentazione urbanistica. Non è da

ora che propongo i miei dubbi sulla generalizzazione della perequazione nei Piani Generali. Tema cioè che investe il concetto di negozio urbanistico di fatto e di diritto sui valori delle aree ed a modifica forzata dello stesso. Questo fatto o tecnica, introdotta nel Piano Generale, mi sconcerta molto di più di una compensazione che entra, invece, come strumento di verifica nell’uso delle risorse e delle indennità, per un riequilibrio del territorio. Ho sostenuto e applicato questo concetto nella Pianistica, sia urbanistica che ambientale, dato che la tecnica della compensazione si rifà e trova origine nella strumentazione ambientale. È utile sottolineare che la compensazione è tecnica prevalentemente riferita al “ costruito” da modificare profondamente, mentre la perequazione è tecnica prevalentemente riferita all’uso di nuove aree inedificate. Così come il tema della par-


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Cremona, corso XX Settembre (foto: Marco Introini).

tecipazione, che non deve essere confuso con quello della pubblicizzazione e della negoziazione all’interno dell’attuazione degli strumenti urbanistici. Devo anche dire che il tema di un maggior ruolo programmatorio della pianificazione territoriale, cioè di un’ipotesi nuova e non statica, sconcerta molti di noi, ma è tema obbligato che da troppi anni si discute senza coerente soluzione disciplinare. Consentitemi un esempio: avete presente il brodo, quando è freddo, con sopra la patina bianca ghiacciata? Ecco, quelli sono i Piani che facciamo adesso. Siamo invece in una realtà e sperimentazione dove il brodo bolle, quindi dobbiamo controllare una materia molto più complessa e trovare strumenti coerenti con tale complessità per una risposta credibile. Strumenti dove la contrattualità deve trovare regole trasparenti, dato che questa contrattualità è indispensa-


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bile nella trasformazione dei grandi nodi delle questioni urbane. Non vedo altra strada. Entrando più nel merito della proposta, mi pare importante chiedere: cosa manca di sostanziale in questa proposta di riforma di legge? La Legge 51 del 1975, oggi spesso subissata di critiche improprie, dopo 27 anni di attività, alla sua nascita individuava e rispondeva a grandi priorità. La Regione usciva dalla maggior trasformazione demografica della sua storia millenaria. Trasformazione urbanistica e socio-economica concentrata in pochi decenni (non sto a sottolineare dati e contenuti propri della grande migrazione interna). La legge esprimeva priorità forti: nei diritti dei cittadini, per gli standards (oggi visti solo come quantitativi), per le scuole, il verde, i campi sportivi, le opere di urbanizzazione primaria e le fognature, per il dimensionamento del Piano ed il rispetto ambientale, per gli oneri di urbanizzazione. In sintesi una risposta, per alcuni aspetti, sin troppo elementare e di controllo e omogeneità su tutto il territorio, ma di indirizzo preciso delle “ grandi priorità” . Anche noi oggi abbiamo delle grandi priorità. Io credo che questa proposta di legge regionale sfugge alla definizione dei compiti regionali di dettare gli attuali e prioritari obiettivi generali, come allora furono dettati dalla Legge 51. Obiettivi che siano riferimento di ogni strumento urbanistico di assetto del territorio, piccolo o grande che sia, e che sia fatto in Lombardia. Ritengo, e non dico certo cosa nuova, che queste priorità oggi sono la “ mobilità” e parte della tematica “ ambiente” , come “ la sostenibilità” , ma anche aspetti più specifici di natura paesistica e paesaggistica. Ritengo che sia compito regionale che queste priorità debbano essere definite e appartenere alla nuova legge, come obiettivo cui rimandare tutte le scale di pianificazione sul territorio. Un altro elemento che voglio sottolineare, e che ritengo molto importante, è quello di rompere la gerarchia meccanicistica dei Piani Territoriali con invadenze di scale di definizione e gestione. Ho poca fiducia nel Piano di Coordinamento Territoriale Provinciale cogente e vincolante alla scala urbanistica propria dei Piani Regolatori Generali (comunque si vogliano chiamare oggi), perché spesso gli errori a scala provinciale, dal punto di vista urbanistico, sono più gravi degli errori a scala comunale, purtroppo, quando assumono, ad esempio, la stessa tecnica di intervento nella scelta di poli di sviluppo e di organizzazione urbana del territorio. Ritengo che la scala giusta sia quella propria del coordinamento delle opportunità e delle compatibilità generali, della programmazione (più che solo a scala urbanistico-territoriale a quella socio-economica e di coordinamento delle risorse) alla scala paesistico-ambientale e della grande infrastrutturazione e dei servizi. In questo contesto allora diventa fondamentale ed importante non affrontare solo il tema della centralità del Piano, ma anche quello delle regole delle “ retroazioni” che debbono governare il rapporto tra gestione e Piano e tra Piani locali (comunali ed intercomunali) e Piani Territoriali. Cioè in che misura la pianistica comunale e intercomunale (che è la vera scala urbanistica) retroagisce in riferimento al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (si pensi anche solo al P.T.C.P. della provincia di Milano, che interessa oltre quattro milioni di abitanti, quasi un medio piccolo stato europeo che pretenda di fare un piano urbanistico! ). Ritengo che la nuova legge debba approfondire il tema della vera scala urbanistica che risolve i nostri problemi che, per esempio, in riferimento a buona parte della Lombardia, certamente in riferimento ai noccioli centrali, è quella intercomunale. È pertanto necessario il superamento, per certe problematiche urbanistiche (sicu-

ramente quelle di attuale priorità), del Piano Comunale con il Piano Intercomunale, che non vuol dire il Piano Territoriale di Coordinamento. Di questo la legge dice poco o nulla, come lo stesso Piano Territoriale Provinciale di Milano. Diceva di più la Legge 51. Così come mi pare molto debole la questione degli indennizzi dei vincoli urbanistici ed ambientali, che pure è problematica connessa alla questione della perequazione e della stessa opportunità di compensazione. Tema questo essenziale e nodale per gli strumenti di intervento in aree urbane, nel costruito, o da trasformare. Dove i limiti di proprietà non possono corrispondere ai limiti di pianificazione. Il negozio comporta la consensualità. La consensualità comporta la firma delle proprietà. E non sempre questo coincide con gli obiettivi di pianificazione e, anche, di area. Questo è un problema da superare anche con gli effetti di coercizione della pianificazione. È il ruolo pubblico che deve poter scegliere lo strumento più idoneo in funzione del risanamento e della ristrutturazione urbana, senza schiacciare le opportunità solo su strumenti di programma negoziato. Questo è un grave pericolo di deformazione della nostra storia urbanistica e che la proposta di legge rischia di produrre. Come, d’altra parte, ricordo le proposte nazionali sull’azionariato delle proprietà. È un rischio grave. Altro elemento critico è la sperimentalità. Come è già stato sottolineato, dobbiamo auspicare una legge urbanistica che non produca acriticamente strumenti uguali per tutti i Comuni sul territorio lombardo (per Comuni piccoli montani e per Comuni metropolitani). Comuni così diversificati da non essere assolutamente necessaria una strumentazione complessa, differenziata e articolata per ogni situazione. Io credo che dobbiamo offrire una strumentazione delle opportunità, dove lo stesso Comune sceglie lo strumento che gli è più adatto. Se a un Comune basta il Piano dei Servizi, fa solo quello, dentro a un Piano Generale a carattere di indirizzo. Se a un Comune basta il Piano Morfologico, date le caratteristiche storiche ed ambientali, fa solo quello. Ritengo in sostanza che debba esserci un’articolazione molto più laica dell’uso di questa strumentazione secondo la dimensione e la problematica territoriale che le Amministrazioni, a vari livelli, hanno di fronte. Sono molto sensibile a quanto è già stato detto, e cioè al fatto che la legge non è fatta solo per rispondere ai problemi dell’economia e degli operatori pubblici e privati, ma che determini i valori minimi, o meglio giusti, inerenti il diritto dei cittadini di partecipare (anche quando non hanno una proprietà, una carica o un negozio) alla definizione degli elementi strutturali e strategici (e con diverse forme anche a quelli di gestione) del Piano, anche solo esprimendo il suo diritto alla risposta che il Piano, come fabbisogno, deve coprire e dare. Concludo dicendo che non mi spaventa il fatto di avere a che fare con il brodo bollente nei prossimi anni. Preferisco una legge che cerchi interventi propri sul brodo bollente, sperimentale, in trasformazione per i nuovi eventi che abbiamo di fronte e per i problemi di grande dimensione. Pensiamo alla mobilità. Oggi dovremmo essere in grado di introdurre, oltre che sugli aspetti ambientali, nei processi di pianificazione e gestione la coerenza e soluzione di problematiche inerenti la mobilità. È quasi, per analogia, un nuovo livello di standard territoriale, in assenza del quale non è opportuno avviare trasformazioni sensibili del territorio e delle destinazioni. In questo senso appare importante che il Piano Territoriale di Coordinamento e la pianistica intercomunale intervengano sulla giusta scala di riferimento, perché si sappia, a meno di giustificate retroazioni, cosa è utile o inutile investire, trasformare e lo-


Claudio M affiolini C’è un passaggio nella liturgia che dice: “ animalis homo non percipit ea quae sunt de spiritu” . Tradotto, significa: l’uomo al suo stato naturale ha difficoltà a capire le cose di un certo livello spirituale. Introduco questa stranezza per dichiarare che, forse, l’architetto è quell’animalis homo sempre un po’ insoddisfatto. Chiedo quindi scusa ai regionalisti, e a quanti hanno contribuito alla preparazione del testo della nuova legge per dire che se esprimiamo qualche insoddisfazione – magari perché non siamo riusciti a comprendere alcuni concetti di alto livello – lasciatecela dire, senza crocefiggerci. Devo parlare dei problemi dei comuni minori, che sono tanti in Lombardia e che sono dei soggetti fragili: fragili per la loro struttura e per la loro economia, fragili perché spesso a pochi abitanti corrisponde un’ampia estensione territoriale. La fragilità può esprimersi anche nel comportamento dissennato di qualche amministrazione che abusi della libertà con risultati devastanti. Mi limito a richiamare il fatto che la mancanza di una struttura organica in questi piccoli comuni può causare disagi anche nell’approntamento degli atti procedurali, soprattutto con l’impatto di una nuova evenienza, come questa, che arriva dopo una tradizione, ormai più che venticinquennale, di un certo ritmo codificato. La domanda che noi poniamo alla Regione è questa: insieme a questa legge che sconvolge un po’ le nostre abitudini, soprattutto per questi soggetti delicati, ci sarà anche un intervento incentivante, di aiuto, di sostegno? Se i funzionari regionali non avranno più l’obbligo di dare una validazione formale ai piani regolatori, potrebbero affiancarsi agli architetti nella fase di preparazione di questo nuovo Piano di Governo del territorio in modo da fornire una specie di validazione, informale ma autorevole, vista lo loro specifica competenza. Se i comuni piccoli si consorziassero per predisporre dei Piani concertati tra di loro, avranno qualche supporto, in questo caso anche di natura economica, per poter vedere riconosciuto questo loro sforzo di aggregazione, di studio comune? E poi – forse scado nel banale – non sarebbe il caso di proporre alla Regione, nel momento in cui sta varando questa nuova riforma, di fornire anche a noi operatori un vademecum operativo? Per pervenire ad un linguaggio comune, orientato dalla Regione, dove, per esempio, la grafia stessa sia facilmente riconoscibile, dove siano definite una volta per tutte le modalità di calcolo degli indici di fabbricabilità (a metro

cubo? a metro quadrato di superficie lorda? consideriamo o no le scale condominiali?). Saranno questioni marginali, ma con le quali ci dobbiamo rapportare quotidianamente. Ed è assurdo che oggi due comuni vicini utilizzino criteri alternativi, visto che siamo nella stessa Regione, (forse) nello stesso Stato. Se ci fossero delle tracce, delle indicazioni, forse eviteremmo la Babele perché questo, evidentemente, è il rischio cui ci può condurre una non giusta interpretazione delle indicazioni che ci verranno dalla Regione attraverso questa nuova norma. Mi permetto di dire che forse l’entusiasmo con il quale l’Assessore ha salutato il successo della Legge 23 e della Legge 9 potrebbe essere più mitigato se l’Assessore fosse a conoscenza diretta di quello che ha provocato questo successo nel territorio. Per l’esperienza che abbiamo raccolto noi che viviamo in comuni minori lontani dalla metropoli, qualche volta la disinvoltura ha prevalso sul buonsenso, e nel giro di poco tempo si è dilapidato il territorio. Ecco, queste cose vorrei affidare alla Regione affinché non si ripeta quello che succede per la Legge Merloni dove per l’ampliamento di un’aula in un comune di montagna occorrono le stesse procedure richieste per realizzare il Ponte di Messina. Mi sembra che i due interventi siano così abissalmente diversi che, forse, siano meritevoli di attenzione, metodologie di approccio, più semplificate per quelli del primo caso. Analogamente, anche a livello urbanistico potrebbero essere previste dalla Regione procedure semplificate per certi livelli di comuni che non hanno grandissime problematiche se non quella di avere attenzione e riguardo per il patrimonio del loro territorio.

Giuseppe Franco Ferrari • 1. Il nuovo modello di pianificazione territoriale che la legge di riforma regionale (“ Legge per il governo del territorio” ) propone prende le mosse da un quadro normativo storico, a livello nazionale come regionale, più volte e da più parti criticato, e che non è stato fin dall’origine, o non è più, in grado di offrire una valida ed efficace strumentazione per la gestione dell’urbanistica e dell’ambiente. In particolare a livello comunale, si parte da una situazione caratterizzata dalla presenza di uno strumento urbanistico generale onnicomprensivo e rigido, da un rapporto di subordinazione dello stesso a livelli di pianificazione gerarchicamente superiori, e da un obbligo di verifica della conformità degli interventi agli strumenti di pianificazione vigenti. Ancora, a differenza di altri paesi (come ad es. la Francia), la nostra tradizione di pianificazione del territorio si trova completamente staccata dalla programmazione e gestione dello sviluppo economico, regionale e locale. In una situazione di questo tipo la Regione Lombardia ha varato un programma di riforme, divergente rispetto al modello di pianificazione della L.R. 51/1975, che si collocava invece nell’alveo della tradizione, ma - almeno inizialmente - frammentato. Le innovazioni introdotte hanno trovato dapprima espressione in programmi e strumenti di pianificazione isolati: ci si riferisce ad es. ai programmi integrati di intervento di cui alla L.R. 9/99; ai piani attuativi in variante al P.R.G. di cui all’art. 3, L.R. 19/92 e all’art. 6, L.R. 23/97, come tentativo di superamento della predetta rigidità del P.R.G.; al piano dei servizi (introdotto dall’art. 7, L.R. 1/2001, in sostituzione dell’art. 22, L.R. 51/1975), e alle aperture in materia di standard e capacità insediative, con i c.d. standard pri-

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calizzare. Questo aspetto è del tutto carente nella legge e ritengo debba essere valutato. In sostanza, sempre per esemplificare col brodo freddo o bollente, quando si prende una cucchiaiata di P.I.I. bisogna soffiarci sopra ben bene prima di ingurgitarla, in tal senso vanno costruiti gli strumenti adatti di riferimento di scala intercomunale, provinciale e regionale, per risolvere quegli schemi (la mobilità, le questioni paesistiche ed ambientali, la sostenibilità) che sono in grado di poter fare intervenire l’autonomia del Comune nelle sue decisioni. Senza questa scala di riferimento, di risorse, di interventi, io credo che l’autonomia comunale conti come prima, conti solo se ci sono operazioni immobiliari. Il che sarebbe disastroso nella visione di una nuova legge di programmazione e pianificazione urbanistica che si ponga il tema della centralità del Piano per il riordino e risanamento del territorio e per nuovi livelli sostenibili di intervento.


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vati, ossia attrezzature e servizi privati, concorrenti a soddisfare le dotazioni minime, regolati da apposito atto di asservimento o da regolamento d’uso a garanzia della destinazione pubblica (L.R. 1/2001). Per altro verso, interventi legislativi che si sono stratificati nel tempo, pur se di carattere settoriale, hanno comportato comunque una progressiva erosione del ruolo e della centralità delle prescrizioni contenute nel P.R.G. in tema di conformazione del territorio. Si allude, in particolare, a tutti gli strumenti di pianificazione attuativa, per i quali è stata prevista la possibilità di approvazione anche se contenenti previsioni non conformi al P.R.G., grazie all’efficacia di variante automatica loro attribuita dalla legge. Per una rapida rassegna dei principali strumenti pianificatori in questione, si può ricordare anzitutto la L. 18.4.1962, n. 167 introduttiva dei piani di

edilizia economica e popolare, con la possibilità della loro approvazione anche in variante al P.R.G. (art. 8). A livello regionale, invece, si ricorda la L.R. 4.7.1986, n. 22, sui programmi integrati di recupero del patrimonio edilizio esistente, che all’art. 3, comma 3, prevedeva come l’approvazione regionale dei programmi, in caso di difformità dalle previsioni urbanistico-edilizie generali, costituisse “ approvazione di specifica variante dei regolamenti edilizi, dei regolamenti di igiene e degli strumenti urbanistici generali ed attuativi, vigenti ed adottati” . La L.R. 9.5.1992, n. 19, all’art. 3, ha poi introdotto la possibilità di approvazione di piani attuativi relativi alle zone A e B del territorio, in variante allo strumento generale, a condizione che si trattasse di varianti relative a destinazioni d’uso comunque compatibili con la zona


Pavia, piazza Vittoria (foto: Marco Introini)

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omogenea, comportanti maggiori altezze unicamente per gli allineamenti dei fabbricati, maggiori volumetrie nel limite del 10% , rapporti di superficie coperta e scoperta nel limite del 50% , minori distanze dai confini salvo i limiti del Cod. Civ. Tale disciplina è stata poi ripresa dalla L.R. 23.6.1997, n. 23 che, all’art. 6, prevede la possibilità di piani attuativi in variante nei casi previsti dall’art. 2, commi 1 e 2 della medesima legge e in quelli sopra descritti di cui all’art. 3, L.R. 19/92. Possibilità di pianificazione attuativa in variante è anche quella studiata con l’introduzione dei Programmi integrati di intervento di cui alla L.R. 12.4.1999, n. 9, la quale non ha comunque individuato nuove ipotesi di erosione del P.R.G., ma ha semplicemente richiamato i presupposti di variante automatica già previsti dall’art. L.R. 23/1997 (art. 8, comma 4, L.R. 9/99). Altre ipotesi derogatorie, sebbene con portata limitata a singoli interventi e non estesa all’attuazione di interventi urbanistici mediante piani preventivi, sono quelle previste per il recupero abitativo dei sottotetti (art. 3, comma 3, L.R. 15/1996, mod. L.R. 18/2001) ed ancora quelle dei parcheggi (art. 9, L. 122/1989 e art. 2, comma 1, L.R. 22/1999). In sintesi, il P.R.G. nasce nella Legge urbanistica del 1942 come norma sovraordinata di carattere generale ed onnicomprensivo, di durata tendenzialmente illimitata e a natura rigida: un po’ come la norma di primo livello in una costruzione kelseniana a gradi, chiude il sistema e gli dà organicità. Nondimeno, esso non era un atto di provenienza solo comunale, ma a fattispecie complessa, anche se dottrina e giurisprudenza amministrativa, almeno negli ultimi venticinque anni, non hanno mai esaurientemente chiarito i modi della convivenza delle due competenze, comunale e regionale. Per semplificare la complessità, numerosi decreti-legge, tra il 1994 e il 1996, da ultimo il 495/1996, tentarono di introdurre il silenzio-assenso per l’approvazione del P.R.G. da parte delle regioni. La sentenza 429 del 1997 della Corte costituzionale chiarì definitivamente che i meccanismi acceleratori di approvazione non sono applicabili, in quanto i poteri discrezionali devono trovare necessariamente traduzione in un provvedimento espresso. Poi sono venuti il D.P.R. 447/1998 sullo sportello unico, che prevede la possibilità per il Comune di convocazione di una conferenza di servizi a partecipazione regionale, che ha valenza decisoria ed effetto approvativo, e gli artt. 21 e 22 della Legge 136 del 1999, che sembrano ammettere l’approvazione regionale come meramente eventuale. Comunque, le originarie monoliticità e rigidità del piano regolatore sono andate progressivamente perdute per lasciare il posto ad una congerie di disposizioni variabile a seguito di procedure diverse. Emblematica è la vicenda delle varianti, che dovevano essere di unico tipo, mentre a partire dal 1978, e forse anzi dal 1971, si sono manifestate in forme diversissime: varianti localizzative, automatiche, imposte, discrezionali, ed altre ancora. Analogamente, verso l’esterno, cioè al di fuori del versante strettamente urbanistico, il piano ha dovuto sottostare a vicende evolutive molto complesse, raccordandosi con strumenti di governo preposti alla tutela di interessi pubblici diversi da quelli propriamente urbanistici. Da ultimo, nel raccordo tra pianificazione territoriale e valenza socio-economica della sostenibilità degli interventi si è inserita ad es. l’introduzione della disciplina delle Società di trasformazione urbana (artt. 17, comma 59, L. 59/1997 e 120, D.Lgs. 267/2000) sempre però in forma alquanto isolata e settoriale. La nuova bozza di legge di riforma (cfr. art. 2, principi


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fondamentali) prende dunque spunto dalle esigenze sin qui emerse di maggior flessibilità dei piani urbanistici, di maggior raccordo di questi con la programmazione socio-economica degli interventi, sempre nel rispetto di garanzie di coerenza e di compatibilità, cercando inoltre di attuare anche a livello di gestione territoriale il noto principio di sussidiarietà, introdotto nel quadro nazionale generale dalla riforma Bassanini (L. 59/1997 e D.Lgs. 112/1998) e poi confermato a livello costituzionale con la riforma del titolo V della Costituzione. Sul principio di sussidiarietà è ora basata la ripartizione delle competenze pianificatorie, che include la definizione delle attribuzioni del Comune, al quale è riconosciuta la competenza principale e generale in materia (artt. 4, comma 2 e 5), e poi, a risalire, di quelle di Provincia e Regione (artt. 4, commi 3 e 4, 6 e 7). Viene data nuova veste anche ai princìpi della partecipazione e della collaborazione, sia tra enti, che attraverso il potenziamento e la valorizzazione del rapporto tra pubblico e privato: ci si riferisce ad es. all’introduzione espressa dei c.d. “ strumenti di programmazione negoziata” , previsti tuttavia solo nell’elenco degli strumenti di pianificazione di cui all’art. 14, lett. d, ma non disciplinati ex novo. • 2. I nuovi strumenti di lavoro che hanno dato vita alla riforma regionale sono dichiarati già nelle Linee guida per la riforma urbanistica regionale dell’ottobre 2001; in linea con le esigenze e i princìpi ora esposti, essi consistono: - in un nuovo concetto di programmazione, intesa come coordinamento di plurimi centri di spesa in funzione di finalità ed obiettivi di sviluppo predeterminati (Linee guida, punto 0.3. - definizioni generali); - in un nuovo concetto di pianificazione, suddivisa in territoriale generale, attuativa e settoriale, incentrata sulla sostenibilità ambientale (art. 12) e sugli obiettivi primari di conservazione, trasformabilità e rinnovo del territorio per spazi e tempi definiti; - in un processo preliminare di indagine conoscitiva e di ricognizione delle previsioni di programmazione sovracomunale incidenti sul territorio locale, delle caratteristiche morfologiche, storico-culturali ed economico-sociali del territorio stesso, nonché delle invarianti infrastrutturali, insediative ed ambientali; - in obiettivi di sviluppo del contesto territoriale in ambito sovracomunale, attraverso piani delle opere pubbliche, del traffico, dei parcheggi, dei servizi urbani, con relativa valorizzazione delle risorse. • 3. Il piano di lavoro sopra esposto ha trovato in un primo momento collocazione negli strumenti di gestione territoriale suggeriti dalle Linee guida del 2001: - documento di inquadramento; - documento di piano urbanistico; - norme tecniche. Questa impostazione è stata poi in parte disattesa dalla Legge di riforma che ha sostituito la predetta articolazione con l’introduzione di: - piano di governo del territorio (P.G.T.) - art. 15; - piano dei servizi – art. 17; - piano di assetto morfologico (P.A.M.) - art. 18; - piani complessi comunali - art. 19 - che altro non sono che i piani attuativi già previsti dalla legislazione nazionale e regionale vigente. Il nuovo assetto prevedrebbe la sostituzione del vecchio P.R.G. con due strumenti di pianificazione strutturale generale (il P.G.T. e il P.A.M.) e due piani attuativi (Piano dei servizi e Piani complessi). L’impostazione riprende, sebbene con un impianto più articolato e complesso, quella già suggerita nella proposta di nuova legge ur-

banistica avanzata dall’I.N.U. in occasione del XXI Congresso nazionale (tenutosi a Bologna il 23-25 novembre 1995), che distingueva tra piano comunale strutturale e piano c.d. attuativo. Un modello già esistente è poi quello attuato dalla Regione Liguria, con L.R. 4.9.1997, n. 36 (art. 24 e ss.), sebbene con un disegno riecheggiato in Lombardia più dalle Linee guida del 2001 che dalla successiva Legge di riforma. La pianificazione territoriale comunale si incentra infatti nel c.d. piano urbanistico comunale (P.U.C.) e dunque in un unico strumento, però articolato in vari documenti costitutivi: - descrizione fondativa; - documento degli obiettivi; - struttura del piano; - norme di conformità e di congruenza. Come si è accennato, il primo strumento del progetto di legge lombardo è il Piano di governo del territorio (P.G.T.), il quale sembra essere un pezzo del vecchio P.R.G., ma non è definito né come piano strutturale né come piano operativo, ed anzi l’art. 19 lo qualifica come “ documento” , forse tradendo un riferimento al “ documento di inquadramento” dei programmi integrati di intervento di cui all’art. 5, L.R. 9/99. Ad esso è attribuito il compito primario di delineare: - il quadro conoscitivo-ricognitivo dell’esistente; - le invarianti sia di livello comunale che sovracomunale (secondo un criterio di coerenza sovracomunale); - le azioni di sviluppo del territorio (strategie sostenibili); - le modalità di intervento sul territorio comunale, secondo ambiti multifunzionali, con sostituzione quindi delle tradizionali zone di cui al D.M. 1968; - la programmazione dei tempi di attivazione dei piani complessi di attuazione, secondo una sorta di sostituzione dei vecchi programmi pluriennali di attuazione; - l’elaborazione delle regole e dei criteri per la redazione dei piani sottordinati. Tra questi ultimi è descritto per primo il Piano dei servizi: l’ordine di elencazione peraltro non sembra rispecchiare i rapporti di gerarchia assegnati dalla legge al P.G.T. e al P.A.M. rispetto agli altri piani. In ogni caso il Piano dei servizi (art. 17) è stato introdotto dalla L.R. 1/2001 (art. 7) e la nuova legge ne ripropone la denominazione con qualche variante del contenuto. Esso deve essere redatto in conformità con i princìpi fissati dal P.G.T. e dal P.A.M. (rapporto di gerarchia) ed il suo contenuto deve riguardare la disciplina e la programmazione dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, con l’estensione – poco opportuna – dello stesso anche alla definizione della capacità insediativa cui le previsioni dei servizi ineriscono. Esso recupera in parte gli aspetti strategici del P.G.T. ed in parte quelli operativi-conformativi del P.A.M., ma con specifico orientamento ai servizi. Al P.A.M. (art. 18) sembra invece essere affidata in via elettiva la disciplina della città consolidata, delle espansioni e trasformazioni urbane e delle aree di interesse ambientale, con indicazioni dei relativi parametri tecnici. Esso contiene l’unico riferimento alla normativa tecnica prevista dalle Linee guida del 2001, che non trova altro riscontro e disciplina nell’attuale Legge di riforma. Alla pianificazione attuativa (i c.d. piani complessi di cui all’art. 19), ossia ai piani attuativi previsti dalla legislazione vigente (P.P., P.E.E.P., P.I.P., P.d.R., P.I.I.), è rimesso, invece, peraltro quasi integralmente, il compito della conformazione del territorio comunale e della proprietà privata. Tale impostazione è tuttavia discutibile con riferimento all’opportunità che i suddetti piani, di carat-


- il rapporto di gerarchia rispetto agli strumenti di pianificazione sovracomunale e tra gli strumenti di pianificazione comunale, sebbene sotto questo profilo il rapporto gerarchico non sia disciplinato positivamente, ma sia solo deducibile dalla lettura delle disposizioni (ad es. attraverso l’obbligo che gli strumenti operativi rispettino i princìpi fissati dal P.G.T. e dal P.A.M. e che il P.G.T. detti le regole per la redazione degli altri piani); - l’obbligo di coordinamento dei vari strumenti urbanistici, attraverso valutazioni di compatibilità del P.G.T. e del P.A.M. rispetto ai piani sovraordinati (art. 20.4), nonché dei piani complessi e del piano dei servizi rispetto ai primi. Nuova è invece l’introduzione di un sistema territoriale informativo integrato (art. 11), al fine di agevolare le predette verifiche. • 4. Gli obiettivi di fondo perseguiti dalla riforma, come dichiarato dall’art. 2, ossia la sostenibilità, la partecipazione, la collaborazione, la flessibilità, ecc., non trovano sempre efficace riscontro in un’adeguata disciplina. Si è fatto cenno ai meccanismi di partecipazione e di collaborazione in ambito di redazione e approvazione degli strumenti di pianificazione comunale. Va detto però che manca del tutto una previsione normativa volta a dettare soluzioni procedurali concrete per risolvere eventuali conflittualità decisionali tra gli enti coinvolti, non improbabili, soprattutto se si pone mente alla differenza degli interessi in gioco (ad es. quelli di Provincia e Comune – art. 4). Il nuovo impianto di pianificazione comunale desta inoltre preoccupazioni in ordine alla sovrapposizione tra i vari strumenti urbanistici e alla carenza di linee di confine precise tra gli stessi. Gli strumenti di pianificazione comunale risultano ora moltiplicati, senza tuttavia una sufficiente caratterizzazione dei singoli piani sia a livello di contenuto che di funzioni. Così ad es. il P.G.T. sfugge a qualsiasi inquadramento, rivestendo in parte le caratteristiche e le funzioni di un piano strutturale generale, di pianificazione-quadro, ed in parte avendo anche contenuti prescrittivi dettagliati (ad es. le modalità degli interventi nel territorio comunale, l’articolazione del territorio in ambiti multifunzionali, con funzioni di conformazione forse anche della proprietà privata). Il Piano dei Servizi, invece, sembra un inutile duplicato, per certi versi, delle funzioni programmatorie del P.G.T. e, per altri, di quelle conformative del P.A.M., con dubbi circa la scelta di “ settorializzare” la materia dei servizi pubblici rispetto alle previsioni insediative a cui gli stessi sono connessi. Non sono poi descritte in modo perspicuo le relazioni esistenti tra i piani e le modalità di redazione e approvazione, contestuali o anche autonome. La riforma inoltre sceglie di mantenere in vigore le recenti leggi regionali urbanistiche (L.R. 23/97, 9/99, 1/2000, 1/2001), anziché optare per la redazione di un testo unico organico, con ulteriori problemi di sovrapposizione normativa tra la disciplina vigente per i singoli piani e la denominazione e la configurazione di quelli nuovi. Sembra dunque mancare un approfondito riesame della legislazione previgente, che si intende superare, ed un confronto con la legislazione parallela riguardante settori e materie comunque connesse (cfr. ad es. il raccordo tra ambiti multifunzionali e la destinazione d’uso commerciale di cui parlano il D.Lgs. 114/1998 e la L.R. 14/1998). Più in generale, occorre forse essere più coraggiosi nell’innovazione, distinguendo per ciascuno strumento la parte conoscitiva da quella prescrittiva. Si ha l’impressione che tutti e quattro gli strumenti enfatizzino la dimensione dell’indirizzo e del coordinamento, mentre la

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tere prettamente settoriale, siano deputati in via elettiva alla conformazione del territorio. La criticità di tale soluzione può essere oltretutto aggravata dal rischio di un’eccessiva “ leggerezza” della pianificazione strutturale generale (P.G.T. e P.A.M.), ove cioè questa individui solo poche invarianti e indichi scelte di programmazione troppo generiche, con l’emergere di un ruolo di pianificazione troppo sbilanciato in favore del privato. Tali perplessità sono giustificate tanto più se si considera la meno rigida procedura prevista dall’art. 21, che ne rimette l’approvazione esclusivamente alla competenza della Giunta comunale. Non vanno trascurati poi sotto tale profilo anche i dubbi di legittimità della nuova competenza attribuita all’organo esecutivo comunale, ove si consideri che i piani in questione hanno comunque rilevanza conformativa dell’attività edilizia, per effetto della quale, dunque, dovrebbero essere rimessi alle competenze del consiglio comunale (art. 42, lett. b, D.Lgs. 267/2000 con riferimento ai “ piani territoriali ed urbanistici” ), e che la nuova procedura di approvazione potrebbe anche presentare problemi di compatibilità con la disciplina vigente dei singoli strumenti attuativi, comunque richiamata dalla Legge di riforma (art. 19). Infine, l’art.117, comma 2 lett. p, del nuovo Titolo della Costituzione, assegna allo Stato la disciplina delle funzioni fondamentali degli enti locali e l’assegnazione delle relative competenze: si pone quindi anche un problema di costituzionalità della disciplina ipotizzata. Per gli stessi motivi è poi azzardato pensare ad una competenza esclusiva della Giunta comunale per l’approvazione di uno strumento così complesso e fondamentale come il Piano dei Servizi. La nuova disciplina prevede, come già sopra accennato, la sostituzione del tradizionale azzonamento, secondo i criteri di cui al D.M. 1.4.1968, con i nuovi “ ambiti multifunzionali” . Di essi manca un’attenta definizione; si consideri comunque che alcune zone hanno per natura una vocazione monofunzionale (ad es. zone agricole e ambientali) e che dunque le singole porzioni del territorio dovranno essere attentamente vagliate per la disciplina della destinazione d’uso. La disciplina proposta specifica inoltre i termini di validità dei piani, prevedendo che il P.G.T. sia aggiornato con periodicità almeno quinquennale e sia sempre modificabile, come il P.A.M. e il Piano dei servizi, che sono però previsti senza limiti di durata. Deve ritenersi che il termine quinquennale assegnato al P.G.T. si riferisca esclusivamente al suo aggiornamento e non imponga limiti di validità ed efficacia dello stesso; altrimenti, l’imposizione di una durata medio-breve come quella quinquennale sarebbe incompatibile con la natura di pianificazione-quadro del P.G.T., oltre che contraddittoria rispetto alla durata sine die assegnata invece agli altri piani ad esso sottordinati. Anche a livello procedurale sono riscontrabili differenze ed innovazioni rispetto al regime vigente. Non è più prevista l’approvazione regionale: il Piano di governo del territorio è approvato dal C.C. e trasmesso alla Provincia e alla Regione per le verifiche di conformità alle quali il Comune è obbligato ad adeguarsi; una volta approvato a livello comunale, il piano è trasmesso alla Provincia e alla Regione solo per conoscenza. La descrizione procedurale è comunque sommaria, essendo ad es. solo accennata la fase di adozione del piano (art. 20, c. 3). Sebbene alcuni aspetti risultino innovati, ad es. la più spiccata autonomia pianificatoria del Comune, di fondo sono in parte riconfermati i princìpi tradizionali. Sono mantenuti:


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chiarezza sui rispettivi ambiti precettivi è essenziale, in un contesto in cui la moltiplicazione delle fonti può produrre anche un incremento del contenzioso impugnatorio. • 5. La proposta di legge di riforma vede la luce poco dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V, il cui tasso di innovatività nel settore urbanistico è molto rilevante. Anzitutto, il concetto di urbanistica scompare dalla disciplina dei commi 2 e 3 dell’art. 117, nel quale appare invece il “ governo del territorio” , che potrebbe essere anche nozione più ampia della stessa urbanistica, ma è fondamentale il raccordo che si instaurerà con la materia ambientale, a sua volta spaccata in due parti, tra competenza dello Stato e delle Regioni. Prima che la Corte costituzionale si pronunci sul problema, magari in occasione delle decisioni relative alle Leggi 447 e 448 del 2001, dovrà trascorrere più di qualche mese. Nondimeno, è corretta la scelta regionale di occupare gli spazi in un momento in cui i confini tra le due sfere di attribuzioni sono ancora incerti, come d’altronde accadde nelle altre due fasi della crescita del regionalismo, nel 1970 e nel 1977. Va poi considerato che la Regione deve oggi raccordarsi non solo verso l’alto, con le competenze statali, ma anche verso il basso, con l’attribuzione diretta in Costituzione - fatto senza precedenti - di potestà amministrativa e regolamentare ai Comuni (artt. 117, comma 6 e 118). Poiché il piano regolatore ha natura di regolamento amministrativo locale, per tradizionale affermazione giurisprudenziale, il problema dei limiti del potere conformativo regionale esiste.

Fausto Curti Piano, Programma, Attuazione nel sistema di pianificazione comunale Premetto un giudizio sommario per anticipare il taglio della mia nota. Credo sia di grande interesse l’orizzonte metodologico delineato nella bozza di riforma orientata a promuovere la perequazione, la compensazione e le premialità per facilitare la raccolta di un consenso motivato su politiche e progetti urbani; ma la strumentazione messa a punto – almeno nell’attuale stesura – non risponde a quelle ambizioni di rinnovamento metodologico e suscita riserve in ordine ai suoi presumibili esiti politici. È del tutto condivisibile l’importanza attribuita alla descrizione nel processo di piano, che consente di accordare il criterio di conformità normativa degli interventi (spesso obsoleto) con il criterio di compatibilità con lo stato di fatto, opportunamente restituito attraverso S.I.T. costruiti e aggiornati secondo formati standard. Su queste basi risulta possibile avviare in modo non episodico la valutazione ex ante degli impatti attesi dei maggiori interventi e il monitoraggio ex post degli effetti rilevati attraverso appositi osservatori. È inoltre apprezzabile il lavoro di decostruzione degli elementi costitutivi il tradizionale Piano degli usi del suolo in strumenti settoriali che servano da cornice alle politiche sociali, estetiche e di sviluppo urbano. È invece discutibile il loro montaggio in una pluralità di piani locali (il P.G.T., il P.A.M., il P.S., i P.C.C.) ove si confondono (senza una logica discernibile) funzioni strutturali e compiti gestionali, che – come ho altrove sostenuto nel solco della proposta dell’I.N.U. (cfr. “ AL” 5/2002) – converrebbe mantenere disgiunte.

Argomento questa tesi a partire da alcune domande accompagnate da spediti rilievi tecnici che hanno soprattutto la funzione di chiarire il senso della questione. • Perché nei componenti del P.G.T. non si distingue chiaramente tra quadro di assetto duraturo e programma di legislatura? Nella bozza di legge appare in primo luogo irrisolto il trattamento del tempo (della durata) dei materiali costitutivi i diversi piani municipali. Nel P.G.T. i riferimenti di lungo periodo (come le descrizioni, le invarianti, le tutele, gli obiettivi strategici) coesistono con elementi di medio periodo che designano programmi e progetti realizzabili nell’arco del mandato. Ancora il P.A.M. (come il P.S.) non ha termini di validità, ma le aree sulle quali agisce sono individuate in base a “ criteri e regole” sanciti dal P.G.T., aggiornabile ogni 5 anni. Ora è ragionevole che le scelte che fondano le politiche di welfare lo-


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Sondrio, scorcio del Duomo visto dal retro (foto: Marco Introini).

cale e di controllo della qualità estetica ed ambientale della città siano meno aleatorie dei programmi di una giunta, ma questo conferma la necessità di distinguere tra quel che è durevole e costituisce il sostrato condiviso delle decisioni, da quel che viene deciso e realizzato dall’amministrazione eletta. • Il P.S. va inteso come corredo incrementale di prestazioni di pubblico interesse al servizio dei P.C.C. via via approvati, o è parte del quadro di riferimento condiviso e duraturo? In questo secondo caso perché l’approvazione del P.A.M. rimane di competenza del consiglio mentre l’approvazione del P.S. è attribuita alla giunta? Per quanto siano definiti con nettezza i contenuti del P.S. non è chiaro se esso sia destinato ad adeguare – ogni quinquennio – le dotazioni esistenti ai Piani Complessi assentiti dalla giunta (in una logica di offerta di breve periodo delle prestazioni di pubblico interesse), o


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se invece vada inteso come sistema delle attrezzature e degli spazi aperti integrati col sistema ambientale (e quindi come ricognizione della domanda sociale di lungo periodo della comunità insediata), che costituisce anche termine di riferimento trasparente e duraturo alle contrattazioni sulle cessioni concordate caso per caso. Credo convenga distinguere le due funzioni, cioè riconoscere il P.S. come componente fondamentale del quadro di assetto desiderato – di durata indeterminata e di competenza del consiglio, come il P.A.M. – e ammettere invece che la selezione delle priorità (quali parti realizzare nell’arco del mandato, in coerenza col piano triennale delle opere pubbliche e a seconda dei P.C.C. approvati) rimanga di competenza della giunta. Peraltro, se il PS costituisce la base di riferimento per giustificare le richieste di trasferimento gratuito al comune di aree ed opere per servizi e infrastrutture, è necessario che esso non sia modificato troppo di frequente, per una semplice ragione di “ equità orizzontale” , cioè di parità di trattamento tra i diversi promotori che negoziano con la municipalità su aree e progetti diversi (e che costituisce la principale fonte di contenzioso anche nei paesi con una consolidata tradizione di collaborazione pubblico-privato). • Perché non sono identificate con chiarezza le diverse parti urbane assoggettabili a discipline differenziate, che dovrebbero sancire il superamento delle zone funzionali omogenee? Disparati “ ambiti” ed “ aree” con caratteri peculiari sono richiamati nelle diverse parti del testo (“ aree ed edifici a rischio” , “ ambiti multifunzionali” , “ ambiti” perequativi, “ aree di interesse urbano e paesaggistico” , “ aree storiche” , “ aree di nuovo impianto e di rilevanza territoriale” ) senza pervenire ad una classificazione che presenti la chiarezza necessaria alla redazione pertinente degli strumenti urbanistici. Nella prospettiva auspicata, il riconoscimento dei caratteri che identificano le diverse parti urbane non serve a uniformare le funzioni ammissibili, bensì a dichiarare a priori le specifiche modalità normative e di prelievo fiscale sullo sviluppo immobiliare, che saranno applicabili in ragione delle condizioni esistenti e degli interventi migliorativi programmati nell’area (infrastrutture, parchi, attrezzature). È questa la premessa per rendere rendicontabili le ragioni del prelievo in rapporto ai programmi di spesa e per motivare il negoziato pubblico-privato. Ed è una funzione eminente che il piano è tenuto a svolgere in regime di sussidiarietà e ai fini di un federalismo operante. • I diritti edificatori tornano ad essere assegnati col piano alle proprietà, anziché in fase attuativa ai progetti fattibili? E come viene motivata la discrezionalità della loro assegnazione a pacchetti? Sulla scorta del sistema britannico – esplicitamente richiamato nel documento di inquadramento milanese – l’innovazione fondamentale prospettata tanto nel modello dell’I.N.U. che nel modello lombardo consisteva nello spostare l’assegnazione dei diritti edificatori dal momento di approvazione del piano più a ridosso dell’attuazione (col P.O. o coi P.I.I.). Su questo nodo decisivo la bozza di legge lombarda è piuttosto confusa, e sembra persino regressiva, in quanto i diritti edificatori vengono ancora assegnati col piano, o meglio vengono distribuiti a pacchetti: - in parte col P.G.T., negli “ ambiti cui vengono attribuiti diritti edificatori uniformi” (che circa equivalgono ai comparti di trasformazione del modello perequativo dell’I.N.U.); - in parte col P.A.M. che, nelle “ aree di interesse urbano e paesaggistico” prevede l’assegnazione di “ indici volumetrici e rapporti di copertura” ;

- in parte coi Piani complessi comunali, cui è comunque possibile attribuire premi volumetrici. La discrezionalità di tale elargizione a cascata della capacità edificatoria – con strumenti approvati in momenti diversi e con diverse motivazioni – rischia di pregiudicare la già precaria legittimità del regime immobiliare, soprattutto in assenza di una procedura concessoria univoca ed impugnabile in base a criteri certi – come nel caso britannico. • I P.C.C. sono realizzabili solo negli ambiti perequativi previsti dal P.G.T.? E in questi ambiti è fatto comunque obbligo a tutti i proprietari di compartecipare in forma associata a qualsiasi intervento di trasformazione? O, a quali maggioranze (di superficie o di valore)? A fine mandato i diritti edificatori assegnati a progetti che non hanno aperto i cantieri decadono? Se la risposta fosse positiva il P.G.T. assegnerebbe la capacità edificatoria per i maggiori interventi realizzabili nel quinquennio coerentemente all’attuazione delle opere, dei servizi e degli spazi pubblici previsti nei programmi triennali, come implicitamente disposto dall’art. 15 e assumerebbe in tal modo una fisionomia molto simile a un Piano Operativo, che differisce dall’approvazione estemporanea dei P.I.I. proprio nell’intento di mettere a sistema – per un limitato arco temporale – le principali trasformazioni previste, pubbliche e private. A questi possono essere applicati prelievi fiscali (in parte statuiti in parte negoziati) commisurati agli impatti urbani generati. Su queste basi si possono inoltre allestire le condizioni per una gara tra i programmi proposti che consenta di selezionare i migliori, incentivando così un processo di apprendimento migliorativo anche da parte dei proponenti. Infine due riserve di fondo sui presumibili esiti politici del documento in bozza. L’articolato è chiaro nel definire contenuti e cogenza degli strumenti di competenza regionale (il P.T.R.), e degli strumenti locali di competenza della giunta (P.S. e Piani Complessi); è assai meno chiaro (e talvolta inagibile) quel che residua alle amministrazioni intermedie (le Province o le Associazioni intercomunali), e quel che riguarda il consiglio comunale (P.G.T. e P.A.M.). Se non vi si pone rimedio, un effetto probabile è l’indebolimento degli istituti intermedi e di rappresentanza generale in merito a scelte che modificano l’ambiente di vita dell’intera comunità insediata. In effetti, a scala territoriale la bozza di legge disloca il potere di piano verso l’alto (la Regione). Il principio di sussidiarietà scarica sui comuni responsabilità onerose con risorse scarse, che espongono l’ente locale alle spinte immobiliari per fare cassa (via oneri concessori e I.C.I.), mentre il principio di efficacia decisionale consegna le principali scelte territoriali alla Regione. È una divaricazione insostenibile se non sono rafforzati gli istituti intermedi (come la Provincia e le associazioni intercomunali) per mediare tra istanze contraddittorie e per temperare le spinte della concorrenza fiscale inter-comunale. Mentre a scala locale il documento sposta il potere di piano dal consiglio alla giunta, infirmando l’idea del piano come visione condivisa di un destino comune (o come “ costituzione locale” ). Se infatti vengono definiti con nettezza gli strumenti di competenza della giunta (P.S. e P.C.C.), mentre rimangono malcerti e sovra-esposti a contenzioso gli strumenti di competenza del Consiglio Comunale (il P.G.T. e P.A.M.), è facile pronosticare un decadimento del carattere bipartisan del governo del territorio, che vedrà ulteriormente ridimensionato il ruolo degli organi di rappresentanza generale come necessario contraltare alla potestà già conferita al sindaco con la recente riforma amministrativa.


Il Piano di assetto morfologico: strumento per il miglioramento della qualità della città e degli spazi pubblici? Tutti concordiamo sul fatto che la nuova legge regionale debba dare risposta in modo chiaro agli aspetti critici del piano di tradizione (onnicomprensività, rigidità, inefficacia), nell’indirizzo di riformare in profondità il piano e i suoi processi. La lettura della bozza dell’articolato, che risulta a mio parere pasticciata e confusa soprattutto nella commistione di aspetti prescrittivi, programmatici e gestionali, solleva alcune preoccupazioni con particolare riferimento alla sovrapposizione di forma e contenuti dei differenti strumenti. Mi scuso per l’estremizzazione e la semplificazione tipica di ogni sintesi: mi pare però opportuno, per orientare chiaramente un punto di vista, fare alcune schematizzazioni, inevitabilmente forzate. • 1. Due questioni generali per orientare uno specifico punto di vista Definire con precisione i campi di attenzione e di interesse degli strumenti. Da questo punto di osservazione, due sono le problematiche che si pongono. - I contenuti. Nel testo elaborato, i quattro differenti strumenti di governo locale individuati (Piano di Governo del Territorio, Piano di assetto morfologico, Piano dei servizi, Piani Complessi), presentano sovrapposizioni, sia dal punto di vista di contenuti che di tempi della pianificazione, il P.G.T. e il Piano di assetto morfologico in particolare. Occorre al contrario definire con puntualità e precisione - per evitare faticosi contenziosi amministrativi - i campi di competenza e di attenzione dei differenti strumenti. Anche altre leggi regionali recenti di riforma hanno pasticciato su questo tema, come i primi bilanci attuativi hanno messo in luce (penso ad esempio alla Legge Toscana, 5/95). - Relazioni fra gli strumenti. La somma degli strumenti delineati nella proposta di legge dà ancora come somma il vecchio piano regolatore generale, non modificando nulla degli aspetti negativi attribuiti al piano, duplicandone anzi i difetti, le procedure, i tempi. Nonostante questo, all’interno degli strumenti individuati manca il livello di definizione del quadro di coerenze delle trasformazioni urbane (che per la parte delle trasformazioni pubbliche può essere utilmente svolta dal Piano dei servizi), in grado di selezionare per un arco ragionevolmente breve di tempo le trasformazioni da mettere in campo, anche attraverso concorsi e bandi di evidenza pubblica, sulla base delle indicazioni strutturali del Piano di governo del territorio. Le previsioni del piano diventano in questo quadro di coerenze e priorità vincolanti e attuative (entrano effettivamente nel ciclo del mercato urbano), separando chiaramente la conformazione del territorio (che attiene appunto al quadro generale) dalla conformazione della proprietà (che attiene invece al quadro operativo). • Definire poche regole semplici. Il controllo della forma urbana non deve stare nel piano, negli strumenti di pianificazione di carattere generale, comunque questi siano denominati. Questo in riferimento sia ai risultati attesi che agli stessi esiti fisici delle esperienze dei piani disegnati: andando a vedere e verificandone le attuazioni, appare inevitabile constatare il fallimento generalizzato di queste esperienze (aree progetto, progetti norma, schede progetto, ecc.), e la mancanza quasi assoluta di

rapporto fra la normativa morfologica indicata nei piani ed esiti tipo-morfologici dei prodotti finiti. Si tratta di esperienze che si sono dimostrate non solo inefficaci ma in alcuni casi inopportune, non avendo fatto i conti con due differenti distanze: la distanza nel tempo fra le prescrizioni disegnate e la fase dell’attuazione delle previsioni del piano; la distanza fra le prescrizioni disegnate e i soggetti reali dell’attuazione). La morfologia e la forma urbana hanno un duplice sbocco: la città esistente (storica e moderna) e le relative trasformazioni diffuse; e la nuova città e le relative trasformazioni intensive, che interessano i luoghi urbani maggiormente significativi. - La città esistente. L’Istituto condivide da tempo l’idea (contenuta nella stessa proposta di riforma urbanistica nazionale e in alcune leggi regionali recenti) di depositare in un apposito regolamento (urbanistico ed edilizio al contempo), tutte le previsioni per la città esistente (gli usi del suolo e i diritti esistenti): regole, parametri, criteri e modalità di costruzione (si veda a questo proposito il Regolamento Urbanistico ed Edilizio introdotto dalla L.R. 20/2000 dell’Emilia Romagna). Un regolamento (e non un piano) dovrà però indagare e fornire le regole prestazionali, che orientino, suggeriscono ma non preordinino, individuino le qualità prestazionali, i requisiti, mettendo in campo ragionamenti sulle qualità attese, non sui modi per ottenerla, propri del progetto di architettura. - La città da trasformare. Per quanto riguarda le grandi trasformazioni urbane (le “ certezze ipotetiche” ), la morfologia deve a mio parere stare nella fase della progettazione attuativa. Negli strumenti attuativi devono essere depositate indicazioni maggiormente pertinenti, ma anche in questo caso dettate con estrema leggerezza e sapienza, suggerendo i principali elementi di riferimento con i quali confrontarsi ed interagire nella costruzione del progetto architettonico. Le linee guida del progetto urbano dovranno fornire riferimenti per la progettazione in grado di garantire la coerenza e la qualità della città futura, costruita da molteplici e differenti attori. Elemento non secondario è, inoltre, la necessità di ricorrere per le più significative trasformazioni urbane a pratiche concorsuali, di valutazione e di selezione dei progetti, anche sulla base dei connotati funzionali, morfologici e tipologici dei progetti. • 2. I contenuti del Piano d’assetto morfologico La disciplina della città consolidata (i “ diritti esistenti” ) è affidata dalla proposta di legge regionale ad un unico strumento, il Piano d’assetto morfologico. Occorre preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco che non è solo terminologico ma di sostanza e di legittimità: lo strumento di disciplina della città consolidata non deve configurarsi come un piano ma deve risultare un vero e proprio regolamento, separando chiaramente gli aspetti di regolamentazione urbanistico edilizia (i “ diritti esistenti” ) da quelli di pianificazione (i “ diritti ipotetici” ) - per comodità continuerò di seguito a chiamarlo Piano di assetto morfologico - mettendo in campo, come detto, ragionamenti sulle qualità attese, non sui modi per ottenerla, propri del progetto di architettura. Rispetto alle questioni di ordine generale prima indicate, il Piano d’assetto morfologico contiene tre aspetti critici e tre connotati positivi, da meglio chiarire e sviluppare, ma che vanno nella direzione del punto di vista sopra esplicitato. • Le preoccupazioni da dipanare: - Il Piano d’assetto morfologico non deve riguardare tutto il territorio comunale, ma solo gli insediamenti esistenti: diversamente il risultato darebbe ancora il vec-

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Piergiorgio Vitillo


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chio piano regolatore generale. Non deve quindi occuparsi direttamente di ambiente e di aree agricole (intesi come sistemi ambientali), né tantomeno di indirizzi, parametri e salvaguardie (le “ invarianti” che spettano al livello generale), se non come valutazione degli aspetti più propriamente insediativi; - Il Piano d’assetto morfologico non deve disciplinare le aree di trasformazione, di nuovo impianto, se non in termini di orientamento e di guida della morfologia urbana e dei nuovi sistemi insediativi, che spettano più propriamente alla fase attuativa del processo di pianificazione; - Occorre meglio indirizzare ed orientare il Piano d’assetto morfologico verso la regolamentazione e la disciplina di parti omogenee di tessuti urbani (di “ sistemi di città” ) che risultano omogenei per caratteristiche funzionali, insediative e ambientali.

• Gli aspetti positivi da sviluppare: - Il Piano d’assetto morfologico si occupa della città consolidata nel suo complesso, storica e moderna, cosa che altre leggi regionali non hanno fatto (la nuova legge emiliana ad esempio affida la città storica e gli elementi di valore storico-architettonico alla fase strutturale del processo di pianificazione); - Il Piano d’assetto morfologico non ha validità ed è sempre modificabile, anche se i tempi e le procedure della sua approvazione indicat i nella propost a di legge sono ancora troppo da piano e poco da regolamento; - Occorre meglio chiarire e specificare che la disciplina funzionale, e non solo le regole, la precisazione degli indici e dei parametri insediativi, sono campo di specifica competenza del Piano d’assetto morfologico.


M ichele M onte

Como, piazza Verdi (foto: Marco Introini).

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In primo luogo desidero chiarire che, con la finalità di stare nei tempi previsti e per intendersi sulle problematiche principali della questione, dovrò fare ricorso ad alcune semplificazioni che potrebbero dare adito ad equivoci ed essere intese come affermazioni di carattere perentorio. Mi scuso preventivamente per questo eventuale inconveniente. • Il carattere strategico della problematica dei servizi e degli spazi di uso pubblico e collettivo. Nel corso del dibattito promosso dall’I.N.U. Lombardia a seguito della pubblicazione delle Linee guida per la riforma della legge urbanistica regionale, il tema della costruzione della città pubblica e della pianificazione dei servizi ha da subito assunto una connotazione centrale, affidando molto spazio a riflessioni di carattere disciplinare dedicate a questo tema specifico. Le motivazioni di questo interesse derivano da una condivisa lettura che affida al tema dei servizi e delle parti della città di uso collettivo un carattere strategico e nevralgico rispetto allo sviluppo di pratiche e processi di trasformazione urbana. In sintesi, questo carattere di interesse nevralgico può essere argomentato rispetto alle seguenti questioni, alcune di carattere strutturale, altre di tipo contingente: - La questione dei servizi, identificata nello standard pubblico, costituisce un tema rispetto al quale le amministrazioni sono sempre storicamente state in affanno. La difficoltà di reperire le aree, i problemi di acquisizione, il nodo della reiterazione dei vincoli, lunghissimi tempi di attuazione delle scelte, costituiscono un tale appesantimento dell’azione pubblica che ha spesso prodotto comportamenti scomposti e la rottura del legame tra scelte localizzative e azioni di piano. - L’evoluzione delle pratiche urbanistiche, da un sistema e una cultura della pianificazione tesa a controllare e governare gli effetti di una crescita rilevante quanto relativamente veloce degli insediamenti, verso la ricerca della qualità urbana, di un uso coerente delle risorse urbane, ambientali e infrastrutturali, pone l’elemento della città pubblica e dello spazio di uso collettivo quale valore aggiunto di qualsiasi azione o intervento di politica urbana. Richiamando brevemente alcuni esempi: funzioni di servizio/spazio di uso collettivo = fattore di incremento della qualità e dell’armatura urbana; funzioni di servizio/spazio di uso collettivo = fattore di consolidamento dell’identità sociale e della dimensione dell’abitare; funzioni di servizio/spazio di uso collettivo = fattore di controllo e manutenzione del territorio; funzioni di servizio/spazio di uso collettivo = criterio di valutazione e monitoraggio delle trasformazioni urbane. - Il tema della pianificazione della città pubblica assume un significato di particolare importanza nel momento del passaggio verso un sistema di pianificazione e di governo delle pratiche urbane sempre più improntato da caratteri di flessibilità e copianificazione delle scelte, costituendosi quale elemento guida nella valutazione e concertazione degli interventi sulla struttura urbana. - In un contesto che vede gli enti locali in costante evoluzione dal punto di vista della crescita di autonomia e competenze e della gestione delle risorse economiche e finanziarie, la programmazione di una struttura organica dell’offerta dei servizi costituisce un eccezionale elemento organizzatore e unificante dell’azione amministrativa e di aumento di efficacia delle politiche di settore. • Che cosa è successo in questi anni? In questi ultimi anni diversi sono stati i provvedimenti legislativi che hanno, in modo diretto o indiretto, inciso sulle modalità di organizzazione, dimensionamento, localizzazione di


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standard e servizi. Questi provvedimenti hanno portato alla riduzione del dimensionamento complessivo attraverso l’introduzione di nuove modalità di calcolo della capacità insediativa teorica e degli stessi standard attraverso l’uso del parametro s.l.p., all’introduzione di nuove categorie di standard e alla definizione del cosiddetto standard qualitativo, al progressivo decremento delle aree localizzate a standard attraverso l’uso intensivo delle varianti ex 23/97 che, prima della Circolare Regionale del 2001, hanno riguardato molto spesso proprio aree a standard e all’introduzione del Piano dei servizi. • Il Piano dei Servizi è stato introdotto con la Legge Regionale 1/2001, successivamente meglio precisato nei suoi contenuti dalla relativa circolare di criteri di indirizzo per la sua formazione. In sintesi, questo strumento operativo, che viene proposto dalla 1/2001 come un elaborato del P.R.G., si propone di: determinare la dimensione del complessivo sistema dell’offerta dei servizi, di individuare nelle previsioni la tipologia dei servizi ed i soggetti gestori degli stessi, di determinare le aree da assoggettare a standard; di determinare criteri e standard prestazionali e di prevedere criteri di uso e fruibilità. Senza dubbio, l’introduzione di questo strumento costituisce un notevole salto di qualità rispetto alle pratiche abituali, elevando la pianificazione di quote importanti di elementi che costituiscono caratteri rilevanti della “ qualità urbana” e della “ città pubblica” da un livello di mera previsione e localizzazione dagli esiti incerti verso un piano-programma corredato da ipotesi fortemente caratterizzate dal punto di vista del come declinarlo. • Formazione del Piano dei Servizi e integrazione con la pianificazione urbanistica. In relazione a queste problematiche, la coerente attuazione della nuova Legge Regionale 1/2001 sembrerebbe dare delle risposte interessanti. Ad esempio, la progettazione complessiva del sistema di offerta dei servizi e dell’individuazione dei criteri generali per il suo funzionamento e consolidamento, impone – se non altro per questioni di buon senso – la ricerca di un legame con gli elementi di programmazione generale di diversi settori dell’azione amministrativa che caratterizza il profilo dell’ente locale. La legge cita alcuni casi rispetto ai quali l’interazione delle progettazioni specialistiche va non solo ricercata ma anche verificata (Piano del Traffico, Piano della Mobilità, Programma delle Opere Pubbliche); in realtà le possibilità di tale integrazione e reciproca assunzione di contenuti potrebbe/dovrebbe essere estesa anche a quegli episodi di pianificazione/programmazione degli interventi in ambito urbano in cui l’elemento dei “ servizi” costituisce il catalizzatore e il parametro decisivo per l’avvio di processi di valorizzazione urbana, l’aggregazione funzionale e la creazione di mix funzionali di qualità, e per la valutazione delle proposte di trasformazione (P.I.I. o altro). A questo proposito si pensi all’impatto di una tale sintesi e integrazione rispetto alla pianificazione delle attività commerciali (L.R. 3/2000) e ai processi di rivitalizzazione dei centri storici, alla pianificazione del trasporto pubblico, alla promozione e all’attuazione di progetti per lo sviluppo di politiche “ di quartiere” finalizzate al recupero di ambiti di degrado sociale e urbano e, ancora, alla pianificazione e al consolidamento delle aree verdi e dei parchi urbani. Nell’ambito dei compiti e delle funzioni affidate al Piano dei Servizi un ulteriore elemento di interesse è dato dall’identificazione dei soggetti attuatori e gestori degli stessi. Tale pratica introduce nuovi scenari di programmazione e conseguenze rilevanti sia dal punto di vista della realizzazione in tempi certi e celeri delle previsioni, sia dal punto di vista dell’accompagnamento e della realizzazione delle funzioni di servizio nell’ambito di un di-

segno organico delle trasformazioni urbane. A questo proposito, la definizione di parametri di tipo qualitativo e gestionale in funzione dell’attuazione di criteri e standard di tipo prestazionale delle diverse tipologie di servizio, costituisce un interessante elemento e strumento per l’amministrazione al fine di negoziare e valutare le proposte e i progetti di trasformazione, recupero e ristrutturazione di ambiti urbani. • Il rapporto tra Piano dei Servizi e nuovi strumenti di pianificazione urbanistica del livello comunale. In una ipotesi di riforma del piano comunale come quella che in qualche modo è avanzata dalla bozza di legge che contempla la dimensione strategica e le diverse articolazioni operative dell’azione di governo che complessivamente il comune svolge nei confronti del territorio, il Piano dei servizi costituisce il fondamentale elemento di cerniera. Questo ruolo gli deriva dal fatto che interagisce con tutti gli strumenti di programmazione, previsione e attuazione che sostanziano l’azione comunale; che tale interazione si sviluppa sia in senso orizzontale (costruendo e definendo reciprocamente alcuni contenuti dei piani operativi/attuativi) sia in senso verticale (concorrendo a definire parti sostanziali e strategiche della città pubblica); che contiene elementi strategici e concorre a definire contenuti di carattere prescrittivo e regolamentare (standard); che si costituisce mediante un procedimento di tipo circolare assumendo in sé caratteri di previsione/attuazione/gestione delle funzioni di servizio e infine che opera quale principale elemento connettivo e canale di sviluppo e attuazione delle politiche promosse dall’amministrazione (sociali, sanitarie, infrastrutturali, microurbane) interagendo e intervenendo su parti cospicue e rilevanti dell’azione amministrativa e del relativo bilancio delle risorse economiche. È evidente che la coerente applicazione di questo scenario comporta notevoli e numerosi vantaggi sia dal punto di vista dell’armonizzazione e della razionalizzazione dell’uso e del bilancio relativo alle risorse impegnate dall’amministrazione comunale (in termini finanziari, tecnici, organizzativi), sia dal punto di vista della accelerazione dei procedimenti attuativi delle scelte prefigurate. Anche sul versante degli aspetti regolamentari e prescrittivi un approccio dinamico e, costantemente aggiornato delle politiche finalizzate ai servizi, produrrebbe un diverso (e sicuramente più adeguato e motivato) rapporto con le necessità di individuazione delle aree determinate a standard. • Le questioni poste. Rispetto a questo tipo di interessi e di lettura delle possibili declinazioni a cui affidare il piano, la bozza però presenta diversi aspetti su cui risulta necessario lavorare e approfondire i contenuti. In particolare questi aspetti si riferiscono proprio a molti elementi di connessione con l’insieme degli strumenti prospettati e al reciproco rapporto che questi definiscono con il Piano dei Servizi. L’assenza di queste interconnessioni, di fatto propone un Piano dei Servizi che, nella bozza di legge, risulta molto depotenziato rispetto al profilo che emerge dalla stessa Circolare Regionale del 2001. Queste riguardano alcune questioni inevase relative al P.G.T. relative al dimensionamento complessivo degli scenari di sviluppo con le conseguenze sulle tipologie di servizi e il dimensionamento complessivo dell’offerta e ai criteri di valutazione degli interventi di sviluppo urbano e il ruolo relativo che la problematica dei servizi svolge nella promozione e vaglio delle diverse opzioni di scenario. • Alcune questioni relative al ruolo che viene affidato al


Fiorella Felloni Il titolo dell’intervento assegnatomi dal Consiglio di Presidenza dell’I.N.U. sottolinea efficacemente la situazione attuale, in cui l’ambiente si trova in una posizione problematica e irrisolta tra pianificazione territoriale generale e pianificazioni di settore. Per questa ragione, una delle attese riposte nella nuova legge urbanistica lombarda sta nella definizione di un percorso in cui le pianificazioni ambientali separate possano essere implementate e progressivamente assorbite nei processi di pianificazione territoriale generale. Si tratta, peraltro, di un’aspettativa supportata dalla convinzione che sono disponibili gli strumenti e i princìpi per l’attuazione di questo processo, senza dubbio carico anche di numerose incertezze. È opportuno ricordare, a tale proposito, che la Legge Costituzionale n. 3/2001, già citata più volte nel corso della giornata in riferimento alla riarticolazione delle competenze in materia di governo del territorio, riformulando anche il sistema in materia di tutela del territorio e di paesaggio ha avviato un’ulteriore fase di dubbi interpretativi e operativi, nonché lasciato, o anche posto ex novo, molti problemi. A questo scenario si è recentemente aggiunto il Progetto di legge n. 1798 di delega al Governo per l’emanazione di Decreti legislativi e Testi Unici in materia ambientale, rispetto al quale non sono ancora possibili valutazioni ma che, con ogni probabilità, introdurrà nuovi passaggi problematici sotto il profilo del coordinamento interistituzionale e dei contenuti ambientali degli strumenti di pianificazione territoriale (1). Rispetto a questo quadro generale, caratterizzato da criticità e da potenzialità, si può osservare che, così come presentata, la bozza di legge di governo del territorio lombardo concorre debolmente all’auspicato processo d’integrazione tra settoriale e generale. Il motivo di questo giudizio è che non sono stati introdotti con la necessaria chiarezza e forza alcuni strumenti e alcuni princìpi. A questo proposito, vorrei ricordare che durante la mattinata Rossetti ha spiegato che, in alcuni casi, la bozza di legge non si è soffermata su alcuni elementi, poiché già sufficientemente sviluppati, conosciuti e condivisi. Pertanto, è possibile che le debolezze del testo della bozza, che mi accingo a rilevare, rientrino semplicemente tra quelli impliciti della stessa. Nel qual caso si tratterebbe, più positivamente, di una mancanza fa-

cilmente superabile proponendo, per il successivo confronto istituzionale e disciplinare, il testo legislativo completato. • La copianificazione istituzionale e settoriale Un primo macro-tema, eccessivamente implicito nella bozza offerta dalla Regione al confronto, è quello dell’esigenza della disciplina dei processi di copianificazione istituzionale e settoriale, disciplina che ci si aspettava e ci si aspetta ancora. Questa mattina Rossetti si è soffermato a rassicurare che la copianificazione è un elemento di attenzione della legge urbanistica. Riprendo pertanto le ricadute positive che a, a mio avviso, potrà avere per l’integrazione delle tematiche ambientali di settore nei processi di pianificazione generale. In primo luogo per rispondere all’esigenza di una rete coordinata, esplicita tra le attività di pianificazione e programmazione degli enti elettivi e le attività di pianificazione e programmazione degli enti funzionali, e per arrivare a definire il ruolo di nodo e di sintesi della pianificazione generale rispetto a questa rete coordinata di attività. In secondo luogo, sarà possibile, per professionisti e amministratori, operare sulla base di quadri conoscitivi e strategici condivisi delle potenzialità e criticità ambientali del territorio, di quadri definiti preventivamente, sui quali calibrare, definire e valutare la sostenibilità delle trasformazioni urbanistiche e territoriali individuate dai piani. La copianificazione istituzionale e settoriale può infatti contribuire al raggiungimento di questi obiettivi. Sarà possibile, inoltre, allontanare i Piani Generali Urbanistici e Territoriali da indesiderati contenuti onnicomprensivi e da elevati costi di redazione delle fasi propedeutiche al progetto di assetto urbanistico/territoriale. Una legge di governo del territorio, che conformi parte rilevante della propria attuazione sul principio/strumento della copianificazione, ha probabilmente il difetto di richiudere l’elaborazione degli strumenti di pianificazione generale dentro se stessi, rendendoli ancora una volta autoreferenti e insufficienti nella definizione della sostenibilità ambientale delle proprie scelte, nonché appesantiti da elaborate fasi conoscitive. In terzo luogo, guardando più specificamente all’effetto della copianificazione interna allo stesso strumento di pianificazione, si potrà migliorare e qualificare il contributo settoriale di elaborati specialistici dei Piani Regolatori. Lo Studio geologico allegato al Piano Regolatore costituisce, a mio avviso, un caso esemplare di fase conoscitiva e valutativa delle componenti ambientali che, nell’occasione della nuova legge urbanistica, deve trovare una migliore collocazione o, comunque, una migliore implementazione. È necessario ricordare anche che le recenti Direttive regionali di attuazione della Legge n. 41/97 (2) hanno modificato profondamente la natura di questo strumento “ separato” affinché fosse adeguato, ad esempio, al complesso sistema di analisi e valutazioni di compatibilità previste dalla pianificazione di bacino, tanto da renderlo un oggetto di fatto diverso da un semplice studio geologico di supporto, da collocare, più opportunamente, in uno strumento integrato di valutazione complessiva della sostenibilità ambientale dei piani. Anche il modesto stato di attuazione della Legge 41/97 - il sito della Regione fornisce il dato che meno del 50% dei Comuni lombardi è dotato di Studio geologico - impone, nell’attuale fase di stesura della legge urbanistica quadro, di affrontare esplicitamente questo tema, ma più in generale, il tema dell’integrazione delle componenti ambientali nei processi di pianificazione generale. • Il rilancio del Piano territoriale regionale Una seconda famiglia di aspettative in parte disattese

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P.d.S. e all’architettura del sistema di pianificazione proposto: - È un pezzo autonomo del P.G.T.? - È subalterno o parallelo agli altri strumenti di tipo attuativo? - Si adegua o orienta gli indirizzi di sviluppo delle politiche urbane e dei piani complessi? - Come si organizza in funzione della durata temporale degli altri strumenti e loro varianti? - Come definisce quelle componenti dell’offerta dei servizi che assumono carattere di rilevanza sovra o intercomunale? - Perché viene adottato dalla giunta e non dal consiglio? - Come si pone rispetto al dimensionamento e alla localizzazione dell’offerta di servizi di rilevanza e livello inter e sovracomunale? La costruzione di percorsi procedurali legati alla soddisfazione di questi quesiti costituisce (o costituirebbe) una prima (e necessaria) definizione di questo strumento, mediante un profilo di reale ed effettiva innovazione che, allo stato, risulta difficilmente rilevabile.


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è riferibile alla definizione dei contenuti e requisiti ambientali degli strumenti di pianificazione territoriale di scala regionale, provinciale e comunale. Dalla bozza di legge sembra emerge il ruolo cardine del P.T.R. nel sistema delle pianificazioni generali lombarde, anche per il profilo ambientale. Il titolo V, in particolare, sviluppa con un certo dettaglio, certamente maggiore che per gli altri livelli di pianificazione, i contenuti di carattere ambientale del P.T.R. delineando uno strumento che integra e coordina le numerose pianificazioni di settore (3). Il documento I.N.U., che raccoglie gli esiti degli ultimi mesi di dibattito e approfondimento sulla bozza di legge lombarda, assume una posizione di cautela rispetto alla prospettiva del rilancio del P.T.R., posizione condivisibile se si considera che, sino ad oggi, il curriculum della Regione in materia di pianificazione territoriale generale non è stato eccellente e, inoltre, che le leggi urbanistiche regionali di seconda generazione già operanti hanno attribuito al Piano Territoriale un ruolo meno impegnativo. Guardando invece alle tematiche ambientali credo che un approccio di scala regionale sia il più appropriato, in quanto l’uso non equilibrato delle risorse, il riconoscimento delle criticità e delle potenzialità del territorio e la compatibilità delle trasformazioni insediative, così come le priorità d’intervento per la tutela e il ripristino di equilibrati usi del suolo, sono individuabili e definibili a partire da una visione di scala vasta e il più possibile integrata. Pertanto, sulla base di tali motivazioni, è possibile condividere questa scelta strategica regionale. Sorgono, in ogni modo, numerosi quesiti. In primo luogo, la bozza si sofferma, a scala comunale, quasi esclusivamente sulla competenza relativa alla certificazione paesistica, quando invece – ricordo l’esempio dello studio geologico – è necessario ampliare e integrare le componenti ambientali dei processi di pianificazione urbanistica. In secondo luogo, non si fa alcun riferimento a parametri e indicatori di scala urbana, come l’impermeabilizzazione, i consumi di suolo, le dotazioni ambientali ed ecologiche della città, utili e diffusamente utilizzati – per esempio dalla legge emiliana - per delineare i contenuti minimi della sostenibilità ambientale della pianificazione urbanistica comunale. Stamattina è stato rilevato che la Valutazione di sostenibilità ambientale dei Piani, introdotta opportunamente nella bozza, è il sito dove tutti questi elementi vanno a comporsi. Purtroppo, la sinteticità del testo della bozza sui contenuti della Valutazione non consente di sviluppare il dibattito su questo tema centrale. In terzo luogo, sembra che il ruolo del P.T.C.P., prezioso momento di specificazione e attuazione di direttive ambientali, sia stato appiattito al minimo sindacale: non è per nulla promosso ma, piuttosto, previsto come mera eventualità, l’esito positivo dell’intenso lavorio in corso delle province, finalizzato alla integrazione delle componenti ambientali mediante la definizione delle intese ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. n. 112/98. • La disciplina delle compensazioni, premialità e incentivazioni Anche se non ancora sufficientemente recepito nel dibattito disciplinare, le pianificazioni ambientali di settore si informano sempre più a metodi di valutazione e compatibilità, quindi indirizzi e direttive da implementare nei piani urbanistici e territoriali, più che all’applicazione di vincoli inibitori a trasformazioni insediative con efficacia immediata. Si tratta di disposizioni che interessano vasti territori e differenziate forme di tutela e trasformazione. Le regioni fluviali costituiscono, a pro-

posito, un ambito territoriale esemplare, in quanto vi si concentrano disposizioni di estensione e valorizzazione del demanio fluviale, procedure di tutela del paesaggio introdotte con la legge Galasso, vincoli e direttive di natura idraulica introdotti dal Piano di bacino, tutele ecologiche e naturalistiche dei parchi e dei più avanzati piani regolatori e territoriali, aspettative insediative e funzioni di aree per servizi comunali, il cui piano è stato oggi frequentemente citato. In questo scenario le pianificazioni generali sono chiamate a svolgere un ruolo attivo e propositivo di sintesi, raccordo e gestione delle diverse forme di compensazione, incentivazione e premialità inerenti l’attuazione di direttive e obiettivi di sostenibilità ambientale dei piani. Questa mattina un intervento ha sottolineato opportunamente le diverse fattispecie cui sono riferibili compensazioni e incentivazioni, facendo riferimento della demolizione senza ricostruzione. È opportuno ricordare che si tratta di una fattispecie prevista anche per l’attuazione di direttive ambientali di settore: mi riferisco al Piano di Bacino, che indirizza la pianificazione comunale a interventi di demolizione senza ricostruzione in zone soggette a esondazione. Aggiungo, per soffermare ulteriormente l’attenzione della Regione sulla rilevanza di questi temi, l’esempio delle delocalizzazioni. Gli incentivi o le compensazioni per realizzare organici piani di delocalizzazione, previsti in numerosi casi d’incompatibilità ambientale di insediamenti urbani, richiedono, a mio avviso, di essere trattati il più possibile in modo integrato e unitario, nell’ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale generale, al fine di garantire coerenza complessiva al progetto di governo del territorio. Note: 1. Il disegno di legge prevede (art. 1) il riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori: a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati; b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette e di flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e per l’autorizzazione ambientale integrata (I.P.P.C.). 2. Si ricordano in particolare la D.G.R. 20 ottobre 2001 - n. 7/6645 recante Approvazione direttive per la redazione dello studio geologico ai sensi dell’art. 3 della L.R. 41/97 e la D.G.R. 11 dicembre 2001 - n. 7/7365 relativa all’attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino del fiume Po (P.A.I.) in campo urbanistico, art. 17, comma 5, Legge 18 maggio 1989, n. 183. 3. Il comma 2 dell’art. 24 della bozza specifica che il Piano Territoriale Regionale indica: gli elementi e i vincoli di tutela del paesaggio, nonché i criteri operativi minimi per la salvaguardia dell’ambiente, in relazione alle previsioni del piano territoriale paesistico regionale, dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali, della disciplina delle aree protette, e degli atti di regolamentazione e programmazione regionale e nazionale in materia di salvaguardia delle risorse idriche, idrogeologiche, geologiche, forestali, della riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico, dello smaltimento dei rifiuti. Lo stesso comma prevede per il P.T.R. l’individuazione di forme di compensazione economico-finanziaria a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni contenitive delle possibilità di sviluppo. L’art 25 prevede che il P.T.R. può, in relazione ad obiettivi prioritari di interesse regionale e sovraregionale, individuare previsioni aventi efficacia di prevalenza immediata e diretta su ogni altro atto di programmazione/pianificazione.


Bergamo, un particolare del Broletto (foto: Marco Introini).

Elio M auri Risorse, strumenti e supporti per un’azione di riproposizione pianificatoria diffusa e non episodica Nel ritenere comunque indispensabile un processo di revisione della Legge Urbanistica Regionale è da rilevare come per l’epoca di promulgazione (1975) sia da riconoscere alla Legge Regionale n. 51 un pregio, forse poco conosciuto, ma sicuramente importante, quello di aver avviato e stimolato il rinnovamento della strumentazione urbanistica comunale presente in Lombardia, promuovendo la realizzazione di una pianificazione diffusa sul territorio attraverso procedure ordinarie di semplice applicazione. In tal modo è stato governato il processo di trasformazione della strumentazione urbanistica che da una pianificazione espansiva (P.di F. anni ‘50-’60) è passato a una pianificazione contenitiva (P.R.G. anni ‘80-’90). Si tratta ora di promuovere un ulteriore salto di qualità, che attraverso una nuova fase di progettualità, definisca il futuro assetto territoriale e pianificatorio che secondo i presupposti della nuova legislazione potrebbe essere definito consapevole e sostenibile. Ritengo, quindi, indispensabile che il rinnovamento legislativo si faccia promotore di una nuova campagna di aggiornamento della Pianificazione Urbanistica in Lombardia sulla scorta dei nuovi indirizzi, in parte già enunciati (Piano Territoriale Paesistico Regionale e bozza articolato della nuova Legge Urbanistica), e a quelli che le amministrazioni sapranno trarre dalle sperimentazioni e dalla autonomia di ricono-

scimento delle proprie valenze territoriale e paesistiche caratterizzanti i vari ambiti di pianificazione e, di conseguenza, indicare le relative prescrizioni di dettaglio. Fra le operazioni più complesse è sicuramente la costruzione di un quadro analitico territoriale di conoscenza e monitoraggio delle risorse presenti indispensabile per documentare correttamente lo stato di fatto. Sarebbe pertanto opportuno la costituzione di un sistema informativo (con disaggregazione dei dati a livello comunale) che raccolga sperimentazioni, studi, ricerche, normative e quant’altro al fine di costituire una base comune di conoscenze nella quale poi calare le azioni di piano. Considerate le ristrettissime condizioni economiche in cui versano la maggior parte delle amministrazioni comunali sarebbe opportuno che nella nuova Proposta di Legge fossero contenuti oltre alle norme di adeguamento ai dettami della legge stessa anche gli idonei incentivi di carattere economico necessari a promuovere una nuova azione di riproposizione pianificatoria diffusa e non episodica. Consentendo in tal modo l’aggiornamento e la dotazione di idonee cartografie informatizzate di base oltre naturalmente ai necessari contributi per la redazione dei nuovi strumenti urbanistici. Considerata la complessità e l’interdisciplinarietà delle nuove procedure, che si renderanno necessarie per una corretta valutazione della sostenibilità ambientale e le limitate dimensioni della maggior parte dei comuni lombardi, si potrebbe anche, per aggregazioni significative, incrementare i contributi di finanziamento al fine di stimolare le amministrazioni stesse all’aggiornamento della strumentazione urbanistica con dimensioni sovracomunali.

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Si esprimono quindi i seguenti quesiti: - Quali saranno gli incentivi e le motivazioni che potranno innescare al di là dei meri obblighi di adeguamento, contenuti nel nuovo articolato, un rinnovamento responsabile della strumentazione urbanistica vigente? - Saranno previsti incentivi economici per finanziare le nuove procedure di pianificazione?

Bruno M ori

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Come emerge immediatamente nella bozza del nuovo testo di legge è a tutt’oggi mancante la parte concernente le tematiche geologiche. L’argomento è infatti ancora al vaglio della Commissione. D’altro canto va rimarcato come la Regione Lombardia abbia al suo attivo una notevole gamma di esperienze in merito, basate sull’applicazione sia della Legge Regionale 41/97, sia della normativa P.A.I., quest’ultima, come noto, a sua volta attuazione dalle Lleggi 183/89 e 267/98. In particolare la L.R. 41/97 risulta attualmente applicata nel 70% circa dei Comuni lombardi, dove sta dando prova di essere strumento grandemente efficace nella prevenzione dei rischi idrogeologici. Appare pertanto logico attendersi di mutuare da qui le finalità e le procedure del nuovo testo di legge. Più in generale, si ritiene di trasferire le esperienze acquisite ai vari livelli pianificatori previsti, soprattutto per quanto riguarda i comuni e le province. Operazione che sarà integrata con l’inserimento nella legge in itinere di procedure di approvazione mutuate dal meccanismo di recepimento dei provvedimenti relativi al P.A.I. da parte degli strumenti comunali. La preoccupazione del legislatore è infatti soprattutto quella di rendere governabile il sistema dei vincoli, da concepirsi come apparato non statico, ma dinamico, al fine di garantire in ogni momento tutte le modifiche e gli aggiornamenti necessari. Appare evidente come i vincoli siano destinati a modificarsi, ad esempio in funzione dell’esecuzione di opere di difesa. La legge in fieri dovrà, dunque, contemplare anche gli strumenti di governo atti a modificarli, oltre all’insieme organicamente rielaborato di tutte le esperienze maturate sulla prevenzione dei rischi. Date queste premesse, la componente geologica godrà della medesima dignità delle altre componenti tradizionali della pianificazione territoriale. I dispositivi del testo di legge seguiranno essenzialmente due filoni. Da una parte si curerà la conoscenza del territorio, strumento fondamentale a tutti i livelli, dal Piano Territoriale Regionale, fino ai più particolareggiati studi comunali. Il tutto, alle diverse scale di informazione, troverà la sua collocazione nel Sistema Informativo Territoriale, sistema implementabile e continuamente aggiornabile, oltre che trasparente e fruibile da tutti gli interessati, in capo alla Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia. Il S.I.T. sarà pertanto previsto all’interno dell’articolato della legge, strumento imprescindibile, standardizzato, organico, cui la stessa L.R. 29/79 che lo istituisce obbliga a fare riferimento per governare il flusso delle informazioni. Dall’altra parte i contenuti e le procedure relative ai vari livelli pianificatori saranno essenzialmente analoghi a quelli insiti nella L.R. 41/97, disarticolati alle varie scale: dal P.T.R. attraverso il P.T.C.P., fino ad arrivare al Piano di Governo del Territorio. In particolare, per quanto riguarda i contenuti, si farà riferimento alle direttive relative ai rischi geologici, idrogeologici, idraulici e sismici, che sarà necessario aggiornare continuamente, esattamente come avviene attualmente.

A tal proposito, riguardo ai rischi sismici, si sottolinea come sia in corso la riclassificazione dell’intero territorio regionale. Per dare un’idea dell’urgenza della operazione, si rammenta come i recenti eventi sismici si siano verificati in aree non classificate sismiche. Si rammenta che, attualmente, in Lombardia la classificazione riguarda 41 comuni, anche se il problema è analogo in tutte le regioni italiane. Infine, nel nuovo testo di legge è in via di valutazione l’inserimento di procedure concernenti il concetto della compensazione, consistente in un meccanismo atto a consentire ai comuni, in sede di formazione dei Piani di governo dei territori, di incentivare il trasferimento di immobili che si trovino in aree ad elevato rischio geologico, secondo procedure che le regioni stanno mettendo a punto insieme all’Autorità di Bacino del Fiume Po.

Angelo Bugatti Intendo solo affrontare due o tre punti, perché ovviamente molti sono i temi che sono stati già affrontati e l’arricchimento che ne è venuto. Io credo che questa proposta di legge abbia il merito di considerare la Regione come un insieme di Comuni che hanno molte caratteristiche diverse l’uno dall’altro. Allora, credo che all’interno di questa logica sia stata fatta una bozza di norma nell’ambito della quale ogni Comune può ritrovare la propria peculiarità singola, anche di strumentazione urbanistica da praticare. Potrebbe anche succedere che non sempre tutti gli elaborati, così come sono definiti, vengano allegati al P.G.T. che è il vero strumento programmatorio dell’amministrazione e urbanistica, ma che non ci sia, credo, il P.A.M., per esempio. Questo impone una grande libertà. Io capisco che la libertà sia una questione anche panicogena, però devo dire che il vero panico per coloro ai quali interessa la qualità della città è determinato dai brutti risultati anche di una buona pianificazione attuale. Con il Piano di Governo del Territorio, l’amministrazione comunale si deve assumere la responsabilità degli obbiettivi strategici e i progettisti di formulare, attraverso i piani allegati (Piano dei Servizi e Piano di Assetto Morfologico), la loro migliore interpretazione; per di più ogni Comune potrà scegliere il grado di complessità degli strumenti urbanistici. Le competenze sono proprio chiare e sono quelle della piena autonomia, nella coerenza con le scelte e le invarianti di livello sovracomunale. L’adeguamento al nuovo strumento sarà molto semplice, se fondato sulla ricchezza delle analisi e degli strumenti esistenti, che verranno semplicemente trasformati in piani di governo della qualità e del benessere sociale e individuale. Qualità e benessere incentivati proprio da una innovazione culturale basata per esempio sull’annullamento della dicotomia tra infrastrutture e territorio, tra manufatto storico e contesto (assetto morfologico), tra tempo urbanistico e tempo individuale. Certo, nel nuovo P.G.T. non ci saranno più i rassicuranti azzonamenti, non conterà più il perimetro del centro edificato, perché il territorio lombardo è una realtà urbanistica unica, non si potrà più giocare sulle rendite di posizione (…) e, per ottenere il consenso, bisognerà dimostrare di aver colto la vocazione giusta di un’area, senza nascondersi in assemblee di sindaci soggette a maggioranze suggestive. La nuova legge, voluta dall’assessore Moneta, è una grande operazione di chiarezza e consapevolezza: sono altresì comprensibili gli atteggiamenti panicogeni davanti al nuovo e verranno giudicati dai cittadini. E anche i pro-


Giulia Rota Non voglio assolutamente fornire alcun tipo di risposta ai molti problemi posti. Mi preme sottolineare, semplicemente una questione relativa al Piano dei Servizi. È vero che nella bozza della nuova legge il riferimento al Piano dei Servizi appare estremamente riduttivo rispetto a quanto previsto nell’ambito della L.R. 1/2001. Ciò, peraltro, è determinato dal fatto che in qualche modo si è dato per scontato tutto quello che già, nella legislazione vigente, esiste e funziona. Conseguentemente si è semplicemente detto ciò che risulta nuovo rispetto a quanto previsto dalla L.R. 1/2001 e cioè l’autonomia di questo strumento di piano e la necessità di un suo raccordo con il Piano Triennale delle Opere Pubbliche. L’impianto del Piano dei Servizi rimane, peraltro, quello che già esiste, salvo un’eventuale messa in coerenza con i contenuti del Piano di Governo del Territorio. Anche noi abbiamo il problema di capire, forse, un po’ meglio se c’è una parte strutturale anche del Piano dei Servizi e una parte più operativa. Il lavoro è tuttora in fase di implementazione. D’altronde non potrebbe essere che così. La Regione non poteva certo promulgare una legge l’anno passato, poi deliberare una circolare applicativa e, proprio nel momento in cui i Comuni incominciano a sperimentare il nuovo strumento dire: “ Ci siamo sbagliati. Abbiamo deciso di cambiare strumento” . Non sarebbe stato serio. Al contrario stiamo aprendo un forum sull’argomento. Sul sito della Regione abbiamo organizzato la documentazione relativa a questo tipo di piano e abbiamo in questi giorni aperto un forum, proprio perché ci interessa un lavoro di implementazione, che avvenga attraverso domande e risposte, consulenze ad hoc, rappresentazione di esperienze di eccellenza, nella convinzione che questa sia, nel futuro, la funzione propria dell’Ente Regione, cioè quella di indirizzo e coordinamento, anche tramite la raccolta, la catalogazione e la messa in rete delle esperienze migliori.

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gettisti potranno finalmente essere giudicati solo per la qualità del loro lavoro. Attenzione; l’assetto morfologico non è la tipologia, non sono schede, non sono timpani, non sono archi. Significa, però, tentare, per esempio, di restituire il controllo della qualità urbana. Credo che oggi bisogna assumersi le responsabilità di dire che alcune parti di territorio, se ne vale la pena, devono avere degli orientamenti, degli assetti in cui, appunto, infrastruttura, architettura, verde, si confrontano con delle regole. È un regolamento o un piano? No, questo si chiama piano perché queste regole possono essere regole scritte e possono essere regole di tracciati, che non devono far paura a nessuno. Sono quelle dei piani attuativi esecutivi, in pratica, che però si consolidano in un quadro di coerenze generali scelte dal consiglio comunale. Attenzione, non c’è nessuna garanzia, e nessuna legge può essere da sola delegata a salvaguardare l’ambiente: e a considerare il territorio come opportunità di conservazione e di valorizzazione. Allora, quegli assetti morfologici che possono essere estesi a delle aree particolarmente rilevanti di trasformazione, anche non a tutto il territorio, a parti di città storiche, non a tutta la città storica perché tutta la città storica ha un suo assetto preciso, possono consentire una guida progettuale sicura, all’interno della quale un progettista può esprimersi con delle responsabilità che derivano dalle responsabiltà della libertà. Il piano può basarsi poi su indici, e su regole morfologiche. Molti sanno che significato ha Metanopoli a San Donato e molti saprebbero tracciare un assetto morfologico di espansione urbana. Molti sanno cosa ci vorrebbe al Comune di Grosio o di Sirtori ma, proprio all’interno di questo grande ventaglio di differenze dei comuni, il piano di assetto morfologico può salvaguardare quegli assetti rilevanti non delegandoli ai piani esecutivi che poi sono di difficile controllo se non inseriti all’interno di una riflessione generale sulla vocazione del territorio. Assetti che sono suggeriti appunto dalla proposta di legge. Non sono niente di più. Mi sembra un avanzamento importante sotto questo profilo dal punto di vista del miglioramento anche della qualità delle nostre città.


Disamina della proposta di “Legge per il Governo del Territorio”

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Di seguito pubblichiamo la lettera del Presidente della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, Dott. Arch. Stefano Castiglioni, inviata, in data 2 dicembre 2002, al Presidente della Regione Lombardia, Dott. Roberto Formigoni, al Presidente della Provincia di Milano, Dott.ssa Ombretta Colli, al Presidente del Consiglio della Regione Lombardia, Avv. Attilio Fontana, all’Assessore al Territorio e Urbanistica, Dott. Alessandro Moneta, all’I.N.U. - Lombardia e al Presidente della Consulta Regionale Ordini Ingegneri della Lombardia, Dott. Ing. Sandro Mossi, e il testo della prima serie di osservazioni relative alla Legge per il Governo del Territorio redatto a seguito delle riunioni della Commissione Urbanistica svoltesi, in seno alla Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, in data 25 novembre 2002. Con la presente, si esprime innanzitutto doveroso ringraziamento per la disponibilità dell’Assessorato al Territorio ed all’urbanistica ad approfondire e confrontare la complessa tematica della nuova proposta di legge, nel seminario promosso per il 15 novembre 2002 da questa Consulta unitamente alla Sezione lombarda dell’I.N.U., che ha consentito una disamina ed uno scambio di valutazioni a tutto campo. Mentre s’inoltrano una prima serie di emendamenti scaturiti principalmente da considerazioni applicative e di raccordo con la legislazione sia regionale sia nazionale vigenti, non si può non sottolineare come il carattere innovativo, unito alla vastità degli ambiti disciplinari coinvolti, ma soprattutto l’incidenza sull’intero contesto socio-economico territoriale richiedano ulteriori necessari approfondimenti e considerazioni. In particolare appare non dilazionabile l’esigenza di correlare la formulazione di princìpi e di metodi generali (propri di una legge quadro) a indicazioni e criteri puntuali per una pratica corretta, coerente e concreta applicazione, alla luce sia della vasta gamma di provvedimenti legislativi regionali (di prima e seconda generazione) in essere, sia dell’assenza di un testo unico nazionale relativo a princìpi e linee guida che solo avrebbe consentito una equilibrata armonizzazione dei livelli statale e regionale, propria di una materia di legislazione “ concorrente” quale è il “ governo del territorio” come definito dall’art. 117 della nuova costituzione. Si osserva che quanto sopra riveste particolare rilevanza per ciò che attiene la redazione e attivazione degli strumenti comunali ed il ruolo di coordinamento attribuito al P.T.C.P. In particolare con la presente proposta si è inteso tra l’altro: • evitare che l’osservatorio permanente alla programmazione si riducesse ad un semplice centro di raccolta di dati statistici; • tener conto delle esigenze di semplificazione nell’elaborazione degli strumenti e nell’iter istruttorio, per i Comuni minori; • non ignorare la problematica di area metropolitana (che è cosa diversa da quella della “ città metropolitana” , essendo

quest’ultima materia di esclusivo ambito-statale, ex art. 117 della Costituzione) e che sola può scongiurare la diffusa quanto problematica “ voglia di nuove province” ; • considerare opportunamente sia esigenze di raccordo con la normativa in essere, sia di regime transitorio, sia di incentivazione ad avviare un generalizzato adeguamento programmatorio nei comuni lombardi. Si confida pertanto che in proposito prosegua una sessione d’incontri, dibattiti ed elaborazione per una efficace e proficua messa a punto del testo definitivo.

Prima serie di osservazioni relative alla “Legge per il Governo del Territorio” 1. NORME E PRINCÌPI GENERALI Titolo I: DISPOSIZIONI GENERALI Art. 1 - Oggetto Comma 1 (così modificato) “ In attuazione delle potestà di legislazione concorrente di cui al testo della Costituzione, la presente legge regola la materia del governo del territorio lombardo, disciplinandone l’uso e le trasformazioni e definendo forme e modalità di esercizio delle competenze spettanti alla Regione e agli Enti locali, nel rispetto dei princìpi fondamentali desumibili dall’ordinamento normativo nazionale e nel rispetto dell’ordinamento comunitario.” Art. 2 - Princìpi fondamentali (non modificato) Art. 3 - Definizioni generali Comma 1 (così sostituito) “Ai fini applicativi della presente legge valgono le definizioni di cui alla legislazione nazionale.” Titolo II: SOGGETTI E COMPETENZE DEL GOVERNO DEL TERRITORIO - NORME GENERALI Art. 4 - Competenze di Regione ed Enti locali - Norma generale Comma 6 (così modificato) “ Ciascun Ente, secondo le proprie competenze, coordina la propria azione con gli Enti competenti su livelli territoriali pari o differenti, al fine di verificarne ed assicurarne la compatibilità con gli interessi del restante territorio e la coerenza con le iniziative e le attività concorrenti degli altri Enti.”


Comma 3 (così modificato) “ In particolare spetta al Comune: - a) l’approvazione degli atti di programmazione e pianificazione territoriale generale, come disciplinati dalla presente legge, fatta salva la verifica di congruità e/o compatibilità e/o coerenza dei relativi contenuti con quelli degli strumenti sovracomunali, come meglio disciplinati da leggi regionali specifiche; - b) l’approvazione degli atti di pianificazione attuativa; - c) la promozione delle procedure di programmazione negoziata; - d) l’organizzazione e la gestione dello sportello unico, e l’approvazione dei relativi atti autorizzativi, ivi compresi quelli in variante urbanistica nei casi previsti dalla presente legge, il rilascio dei titoli abilitativi alla costruzione e in genere la potestà di autorizzazione, assenso e verifica nelle attività di trasformazione del territorio, secondo le forme di legge, comprese le autorizzazioni paesistiche, fatti salvi i casi previsti dalla presente legge o quanto non espressamente di competenza regionale o provinciale; - e) l’attività di controllo sulle trasformazioni del territorio, e l’irrogazione delle relative sanzioni.”

apposite forme di concertazione, nonché la partecipazione dei cittadini”. Art. 7 - Competenze della Regione (non modificato) Art. 8 (così sostituito) Area metropolitana e competenze della città metropolitana “1. È considerata area metropolitana ai sensi del D.L. 18/08/2000 n° 267 la zona comprendente il Comune di Milano e gli altri Comuni i cui insediamenti abbiano con esso rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali. 2. I Comuni il cui territorio configura contesto caratterizzato da integrazione territoriale, continuità urbanizzativa e da un carico residenziale complessivo di almeno 200.000 abitanti residenti possono altresì proporre istanza di costituzione di “area metropolitana” al cui riguardo la Regione è tenuta a provvedere ad istruttoria di competenza in conformità all’art. 22 del D.L. 18/08/2000 n° 267.” Art. 9 - Competenze delle Comunità Montane (non modificato) 2. STRUMENTI DI GOVERNO DEL TERRITORIO

Comma 4 (così modificato) “ Il Comune esercita tali funzioni nelle forme e con le modalità stabilite dallo statuto e dai propri regolamenti, nel rispetto della presente legge, assicurando, mediante appositi strumenti, la partecipazione dei cittadini, la collaborazione con le altre istituzioni territoriali, il confronto e l’eventuale concertazione con i soggetti privati. Il Comune può esercitare dette funzioni anche sotto forma associativa con altri Enti territoriali.” Comma 5 (così modificato) “ Il Comune partecipa, nelle forme previste e/o opportune, all’esercizio delle competenze in materia spettanti alla Regione e alla Provincia, in particolare concorrendo alla determinazione degli obiettivi della relativa programmazione socio-economica e territoriale.” Art. 6 - Competenze della Provincia Comma 4 (così modificato) “La Provincia esercita tali funzioni nelle forme e con le modalità stabilite dallo statuto e dai propri regolamenti, nel rispetto della presente legge, garantendo il confronto con i comuni e le altre istituzioni locali, mediante

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Titolo I: NORME GENERALI Art. 10 - Correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale (non modificato) Art. 11 - Strumenti per il coordinamento e l’integrazione delle informazioni (non modificato) Art. 12 - Valutazione della sostenibilità ambientale dei piani Comma 1 (così modificato) “ I piani territoriali e i piani di governo del territorio, nonché i piani complessi che comportino ad essi variante, sono corredati di valutazione della sostenibilità ambientale strategica (V.A.S.) redatta secondo i criteri che la Giunta regionale dovrà approvare entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge.” Art. 13 - Osservatorio permanente della programmazione Comma 1 (così modificato) “ La Giunta regionale, nel termine di sei mesi dall’adempi-

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Art. 5 - Competenze del Comune Comma 1 (così modificato) “ Il Comune, ente territoriale autonomo ai sensi dell’art. 114 Cost., in relazione alla programmazione regionale e provinciale di cui ai successivi articoli, determina gli obiettivi e gli indirizzi della propria programmazione territoriale in coerenza con i contenuti della sua programmazione socio-economica, e disciplina le trasformazioni del territorio” .


mento di cui al comma 3 dell’art. 11, costituisce l’Osservatorio permanente delle programmazioni, al quale partecipano rappresentanti degli enti locali e membri scelti tra personalità che operano con riconosciuta professionalità nel settore tecnico-economico-territoriale, nominati dal Consiglio regionale. L’Osservatorio, con l’utilizzo degli elementi conoscitivi forniti dal Sistema Informativo Territoriale di cui all’art. 11, provvede al monitoraggio delle dinamiche territoriali e alla valutazione degli effetti derivanti dall’attuazione degli strumenti di pianificazione e programmazione, e alla verifica di compatibilità, congruità e coerenza con i criteri di cui alla presente legge.”

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Titolo II: PIANIFICAZIONE COMUNALE DI GOVERNO DEL TERRITORIO

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Art. 14 - Pianificazione comunale Nuovo comma 2 aggiuntivo “Gli elaborati costitutivi degli strumenti di pianificazione comunale verranno definiti con successivo provvedimento.” Nuovo comma 3 aggiuntivo “Per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e non inseriti in speciale elenco regionale gli strumenti di cui ai punti a), b), c) del comma 1 possono essere riassunti in un unico documento di piano.” Art. 15 - Piano di Governo del Territorio Comma 1, paragrafo d (così modificato) “ la individuazione delle modalità di intervento sul territorio comunale, articolato in ambiti (anche) multifunzionali, secondo criteri di compatibilità individuati dai singoli Comuni e non distinto in zone, anche in relazione ai programmi di sviluppo, al piano dei servizi, ed al piano di assetto morfologico;” Art. 16 - Compensazione e premialità Comma 1 (così modificato) “ Il P.G.T. può individuare ambiti cui attribuire diritti edificatori uniformi, indipendentemente dalle destinazioni d’uso, in proporzione alla percentuale del complessivo valore economico detenuto da ciascun proprietario e sulla base dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della formazione del P.G.T. La determinazione del valore viene effettuata in funzione dei seguenti parametri: - dimensione e stato di conservazione; - caratteri urbanistici ed ambientali; - dotazione di servizi ed infrastrutture; - caratteristiche tipologiche e costruttive; - valori e riferimenti catastali.” Art. 17 - Piano dei servizi Comma 1 (così modificato) “ Il piano dei servizi, in coerenza con gli obiettivi di sviluppo del P.G.T. e con quelli di trasformazione e conservazione del piano di assetto morfologico: - a) programma l’assetto dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale determinandone gli aspetti, anche non connessi ad aree o immobili, qualitativi, quantitativi e localizzativi e definendo contestualmente la capacità insediativa cui tali previsioni ineriscono; - b) connette le proprie previsioni con quelle della programmazione comunale delle opere pubbliche e delle infrastrutture, anche al fine di determinarne i contenuti vincolistici, definendone le modalità, i criteri ed i tempi della loro operatività; - c) elabora criteri di realizzazione e gestione degli interventi

pubblici e di interesse pubblico o generale, valorizzando ed incentivando anche l’iniziativa dei privati; - d) garantisce comunque il raggiungimento della soglia minima di dotazione di suoli per servizi e attrezzature pubbliche non inferiore comunque a quanto stabilito dalla legislazione nazionale; - e) definisce la corrispondenza e/ o equivalenza tra standard tradizionali (quantitativi riferiti a dotazioni di aree) e standard innovativi/qualitativi.” Art. 18 - Piano di assetto morfologico (non modificato) Art. 19 - Piani complessi comunali Nuovo comma 3 aggiuntivo “Il P.G.T. stabilisce altresì ambiti, criteri, soglie per cui è previsto ricorso a procedura edificatoria di concessione convenzionata.” Art. 20 - Approvazione del piano di governo del territorio e del piano di assetto morfologico Nuovo comma 12 aggiuntivo “Nella casistica di cui all’art. 14, comma 3, il documento di piano è approvato con Delibera di Consiglio comunale tramite procedura di cui ai precedenti comma 7, 8, 9.” Art. 21 - Approvazione dei piani complessi e del piano dei servizi (non modificato) Titolo III: PIANO TERRITORIALE PROVINCIALE Art. 22 - Contenuti del Piano Territoriale Provinciale Comma 2 (così modificato) “ Per la parte di carattere programmatorio, il piano territoriale provinciale: - elabora, con opportuni studi, un quadro ricognitivo di riferimento dello sviluppo economico-sociale del territorio provinciale, anche approfondendo le risultanze della programmazione regionale ed eventualmente proponendo, nelle fasi di verifica del proprio programma, le modifiche o integrazioni di quest’ultima che ravvisi necessarie; - indica le prescrizioni necessarie all’individuazione degli obiettivi qualificati come prioritari per il conseguimento delle finalità della programmazione provinciale; - indica, in coerenza con la programmazione regionale, il programma generale delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione e la relativa localizzazione di massima sul territorio; - definisce le opportune misure attuative da assumersi nell’ambito della propria programmazione di settore; - suggerisce le azioni di coordinamento della pianificazione comunale, eventualmente indicando le necessarie misure di concertazione o apprestando modalità finanziarie o compensative tra tali Enti; - indica criteri e indirizzi per il sistema insediativo provinciale.” Nuovo comma 5 aggiuntivo “Il Piano territoriale provinciale individua idonei strumenti per garantire il perseguimento degli obiettivi provinciali e, in particolare: - forme di compensazione economico – finanziaria a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni contenitive delle possibilità di sviluppo, in funzione del conseguente riequilibrio delle condizioni economico – sociali; a tal fine la Provincia si avvale di


Art. 23 - Approvazione del Piano Territoriale Provinciale (non modificato) Titolo IV: PIANO TERRITORIALE REGIONALE Art. 24 - Oggetto e contenuti del Piano Territoriale Regionale (non modificato) Art. 25 - Effetti del Piano Territoriale Regionale - Piano Territoriale Regionale d’Area Comma 4 (così modificato) “ Il piano territoriale regionale, può, in relazione ad obiettivi prioritari di interesse regionale o sovraregionale, individuare previsioni aventi efficacia di prevalenza immediata e diretta su ogni altro atto di programmazione/pianificazione con cui si coordina, e con obbligo a carico dei comuni a disporne, entro un termine prestabilito, il recepimento formale nei propri strumenti di governo del territorio. Il piano territoriale regionale, indica espressamente le previsioni aventi la predetta efficacia speciale, e ne dispone la disciplina.” Art. 26 - Approvazione del Piano Territoriale Regionale - Approvazione dei piani territoriali regionali d’Area (non modificato) Art. 27 - Aggiornamento del Piano Territoriale Regionale (non modificato) Art. 28 - Norma di prevalenza (non modificato) Art. 29 - Norma transitoria (non modificato) Art. 30 - Norma di adeguamento Nuovo comma 5 aggiuntivo “Fino al termine di 3 mesi dall’entrata in vigore della presente legge il Comune può adottare il proprio strumento urbanistico generale sulla base delle prescrizioni della precedente legislazione. Sino al termine di 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, i comuni hanno la facoltà di chiedere la restituzione dei piani regolatori generali e loro varianti in istruttoria presso la Regione, al fine di consentirne l’adeguamento. Per i piani regolatori generali e relative varianti in adozione ma non ancora trasmessi alla Regione alla data di entrata in vigore della presente legge, il comune può procedere all’adeguamento sulla base delle disposizioni di cui alla presente legge oppure concludere il procedimento sulla base della previgente normativa.” Nuovo comma 6 aggiuntivo “La Regione istituisce entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge capitolo di spese con accollo dell’80% degli oneri professionali per la redazione degli strumenti di pianificazione comunale, purché approvati entro 2 anni dall’entrata in vigore della presente legge. Tale contributo viene ridotto al 60% per approvazione entro 3 anni e al 40% per approvazione entro 5 anni.”

Il contributo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica alla nuova legge urbanistica regionale “Legge per il governo del territorio” A seguito della pubblicazione da parte della Regione Lombardia della bozza della Nuova legge urbanistica regionale (luglio 2002), preceduta dalle Linee Guida per la riforma (ottobre 2001), l’INU Lombardia ha attivato e promosso diversi momenti di dibattito e di confronto. Come noto, il nostro Istituto, che accoglie segmenti qualificati del mondo della professione, della ricerca e della pubblica amministrazione, esprime da sempre una particolare attenzione e sensibilità nei confronti del “ sistema delle regole” e della riforma degli strumenti che supportano le pratiche urbanistiche, finalizzate all’aggiornamento disciplinare e al recupero di efficacia ed autorevolezza del metodo della pianificazione e della programmazione del territorio, dei suoi usi, delle sue risorse. In vista della nuova legge urbanistica regionale, nel corso del primo semestre 2002 è stato quindi organizzato un percorso di ricerca e di approfondimenti tematici attraverso lo svolgimento di un ciclo di tre seminari, tenutisi presso la sede dell’Ordine degli Architetti di Milano, i cui atti sono stati pubblicati sul numero 184/02 di “ Urbanistica Informazioni” . I seminari sono stati dedicati: • agli strumenti della pianificazione urbanistica di livello comunale; • alla trama dei rapporti fra istituzioni e strumenti di pianificazione alle varie scale; • al confronto tra alcune recenti leggi regionali (Toscana, Basilicata, Emilia Romagna) e al consuntivo dei loro esiti. Successivamente, l’Assessore al territorio Moneta ed i funzionari regionali hanno presentato nella sede dell’Istituto (settembre 2002), la bozza di articolato nel frattempo redatta (luglio 2002). Nel corso della discussione molti contributi hanno segnalato la discontinuità e le notevoli differenze fra la proposta della nuova legge (luglio 2002) e le Linee guida formulate preliminarmente dalla Regione (ottobre 2001), che avrebbero dovuto informare la stesura dell’articolato. L’obiettivo della nuova legge dovrà essere un sistema di pianificazione efficace, autorevole ed adeguato rispetto al territorio lombardo e alle dinamiche insediative che caratterizzano l’attuale ciclo storico, garantendo all’urbanistica e alle sue pratiche reali capacità di governo del territorio. Il contributo alla nuova legge proposto dall’Istituto è diviso in due parti: • la prima parte è rappresentata dall’” indice ragionato” dei temi e delle valutazioni emerse dai contributi dei Soci, ed è a sua volta suddivisa in due capitoli: gli strumenti e le procedure (la pianificazione comunale, la pianificazione di area vasta, la conoscenza e il monitoraggio); i princìpi e gli obiettivi (la sostenibilità, la partecipazione); • la seconda parte è rappresentata dai contributi dei Soci (non riportata nel presente articolo). Parte prima: Indice ragionato delle valutazioni Il documento dell’Istituto è finalizzato a mettere sul campo della discussione alcune questioni e ragionamenti che a nostro avviso la nuova legge regionale nella sua stesura definitiva dovrà inevitabilmente affrontare. Perché un indice ragionato Le note che seguono rappresentano l’indice ragionato delle valutazioni e delle argomentazioni formulate dai soci dell’Istituto sulla proposta di nuova legge urbanistica regionale. Vengono in questo

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fondi propri o indica le modalità per suddividere solidarmente tra gli enti locali, in rapporto alle differenti potenzialità di sviluppo e ai vincoli di sostenibilità derivanti a ciascuno dai contenuti della programmazione regionale, i vantaggi e gli oneri conseguenti.”


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modo esplicitati in forma sintetica i nodi e le problematiche attorno ai quali si sono strutturati e articolati i contributi raccolti. L’indice dei temi e delle problematiche così formulato consente di non appiattire in un unico documento di sintesi la posizione dell’Istituto, ma di articolare e argomentare la ricchezza dei temi e delle posizioni espresse. L’indice ragionato delle argomentazioni è diviso in due capitoli: • il primo tratta degli strumenti e delle procedure (la pianificazione comunale, la pianificazione di area vasta, la conoscenza e il monitoraggio); • il secondo dei princìpi e degli obiettivi (la sostenibilità, la partecipazione). Come introduzione ai due capitoli vengono formulate sintetiche considerazioni sull’impianto generale della legge, che argomentano per temi le problematiche messe a fuoco dai Soci. Per ogni capitolo vengono evidenziate le criticità e le potenzialità che il testo della proposta di legge presenta. In ogni caso, per ogni approfondimento e valutazione specifica il testo rimanda ai singoli contributi dei Soci, raccolti nella seconda parte del documento. I contenuti dell’indice ragionato • Considerazioni sull’impianto generale della legge • Capitolo 1 - Gli strumenti e le procedure La pianificazione comunale; La pianificazione di area vasta; La conoscenza e il monitoraggio • Capitolo 2 - I princìpi e gli obiettivi La sostenibilità; La partecipazione Considerazioni sull’impianto generale della legge Le considerazioni che seguono (come negli stessi contributi specifici contenuti nella seconda parte del documento), scontano probabilmente il fatto che le valutazioni fornite sono riferite soltanto ad alcune delle possibili interpretazioni della proposta di articolato, che appare caratterizzata da elementi di incoerenza fra le parti, a volte espressi in forma sintetica o incompleta, altre volte in forma puntuale e dettagliata. Si tratta di un limite che probabilmente appartiene alla natura di bozza del testo di legge, sicuramente bisognosa di precisazioni e integrazioni, che auspichiamo verrà superato nella stesura finale dell’articolato. Il rapporto con la legislazione vigente Occorre preliminarmente evidenziare l’irrisolto e mal esplicitato rapporto con la legislazione vigente, di derivazione sia regionale che nazionale, con particolare riferimento alla revisione del Titolo V della Costituzione e alla legislazione delegata Bassanini. La proposta di legge segue un quinquennio di profonde trasformazioni dello scenario legislativo (L.R. 23/97, L.R. 9/99, L.R. 1/2000, L.R. 1/2001), rispetto al quale il testo in discussione non stabilisce chiari legami di coerenza e neppure propone un superamento in termini abrogativi. Data la natura dichiaratamente sperimentale di alcuni di questi recenti provvedimenti, appare evidente la problematica della transizione/coesistenza fra questi e gli strumenti in corso di redazione, risultato di una complessa attività, il cui accantonamento può configurasi come un vero e proprio spreco di risorse. Gli aspetti strumentali Per quanto riguarda gli aspetti strumentali, occorre distinguere fra il livello comunale e il livello d’area vasta. A scala comunale sono rilevabili diverse sovrapposizioni fra i quattro strumenti di pianificazione locale: il Piano di governo del territorio (Pgt), il Piano di assetto morfologico (Pam), il Piano dei servizi (Psu), i Piani complessi, con particolare riferimento al rapporto fra il Pgt e il Pam ai differenti livelli.

La somma degli strumenti delineati nella proposta di legge dà ancora come risultato il vecchio piano regolatore generale, rischiando di non modificare nulla degli aspetti negativi attribuiti al piano, duplicandone anzi i difetti, le procedure, i tempi. Occorre di conseguenza meglio chiarire e definire con precisione i campi di competenza e di attenzione dei singoli strumenti, la loro autonomia disciplinare e giuridica, anche per evitare faticosi contenziosi amministrativi. E paradossalmente, nonostante l’ipertrofia degli strumenti di scala comunale, all’interno dell’articolato non è previsto il livello di definizione del quadro di coerenze delle trasformazioni urbane (che per la parte delle trasformazioni pubbliche può essere utilmente svolta dal Piano dei servizi), in grado di selezionare per un arco ragionevolmente breve di tempo le trasformazioni da mettere in campo, anche attraverso concorsi e bandi d’evidenza pubblica, sulla base delle indicazioni strutturali del Piano di governo del territorio. La proposta d’articolato non chiarisce né i modi né i tempi dell’effettiva conformazione della proprietà, che non può essere affidata né ai piani complessi (che dovrebbero risultare attuativi, seppure con margini di flessibilità, di previsioni organiche già promosse dal piano generale), né alla negoziazione con gli operatori (la cui utilità ed ammissibilità non si ritiene di contestare, ma che deve risultare separata dagli strumenti del processo di piano). Inoltre, permane una confusione all’interno dei differenti strumenti fra aspetti conoscitivi, di quadro strutturale, prescrittivi e programmatici. Appare al contempo necessario uno sforzo maggiore di contestualizzazione con il territorio lombardo, la sua specifica articolazione amministrativa, geografica, insediativa, ambientale. A scala vasta, il mancato coordinamento con la disciplina della recente L.R.1/00 sembra indurre una riduzione delle competenze della Provincia in materia di pianificazione territoriale e una riconcentrazione regionale delle decisioni in materia di paesaggio ed infrastrutture. Secondo quest’ultima formulazione di legge, il P.T.C. provinciale si configura quale strumento molto leggero, non sufficientemente definito per gli aspetti di natura programmatica e di coordinamento, semplice presa d’atto di decisioni già formate e concordate con altri enti, privo della necessaria attribuzione di piano generale, volto alla sintesi dei contenuti specifici dei piani di settore. E’ infatti assente la facoltà di determinare propri contenuti paesistici, anche d’intesa con Enti gestori dei parchi, (si parla solo di “ criteri di individuazione” per i comuni); l’indispensabile dimensione compensativa territoriale è appena accennata, ma non disciplinata; sono scomparsi i contenuti relativi al sistema insediativo. D’altro canto, mentre il Piano Territoriale Regionale risulta ben delineato, quale nuovo strumento generalissimo, il nuovo Piano d’Area appare di incerta finalizzazione, a meno di non ipotizzare una sostituzione delle competenze e delle decisioni, di rilievo sovracomunale, dal livello provinciale a quello regionale. Si tratta entrambe di scelte non condivisibili, anche in considerazione dei tempi lunghi e del percorso difficile che attende la rideterminazione dei contenuti delle politiche territoriali, sancite (anche come architettura amministrativa) dalla legislazione di riferimento nazionale e avviate da numerose province. I princìpi e le definizioni Per quanto riguarda i princìpi e le definizioni, la loro elencazione speditiva non consente di comprendere i profili interpretativi e operativi che gli stessi devono assumere nel governo del territorio, con l’assenza di alcuni princìpi fondamentali: in primis, la sostenibilità am-


Capitolo 1 - GLI STRUM ENTI E LE PROCEDURE La pianificazione comunale Il Piano di governo del territorio (Pgt) • Criticità da dipanare - Relazioni fra gli strumenti: Occorre come detto meglio chiarire e definire con precisione i campi di competenza e d’attenzione dei singoli strumenti, con particolare riferimento al Pgt e al Piano d’assetto morfologico. E paradossalmente, nonostante alla scala comunale siano individuati ben quattro differenti strumenti, non si capisce come e dove si misurino le necessarie coerenze fra le diverse trasformazioni urbane. - Conformare il territorio e non la proprietà: Il Pgt disciplinato dalla proposta di legge regionale appare ancora – nonostante alcuni elementi vadano nella direzione dell’innovazione –, uno strumento misto, quadro di riferimento strutturale e al contempo con contenuti regolamentare, che assomiglia ancora troppo al vecchio piano regolatore generale: la natura ibrida del piano della Legge del ’42 è pro-

babilmente una delle cause principali della sua inefficacia. Al di là degli aspetti nominalistici e terminologici (strutturale-operativo, prescrittivo-programmatico, ecc.), il Pgt deve limitarsi a conformare gli aspetti territoriali, spostando nella fase d’attuazione del processo di piano la conformazione della proprietà degli immobili. - I contenuti del Pgt: È evidente una frammistione nei contenuti del Pgt fra aspetti conoscitivi, di quadro strategico e strutturale, prescrittivi, programmatici. Occorre al contrario meglio connotare il Pgt in rapporto agli aspetti strategici, strutturali e di quadro di riferimento delle trasformazioni. - La durata del Pgt: La durata medio-breve del Pgt (aggiornamento quinquennale) appare in contraddizione con le sue necessarie caratteristiche di quadro e di scenario delle trasformazioni. Molte legislazioni regionali danno al quadro di riferimento generale una validità di medio-lungo periodo, anche in ragione della necessità di ottimizzare i tempi della pianificazione. • Potenzialità da sviluppare - La necessità di riformare il piano: Tutti gli interventi concordano sulla necessità di riformare radicalmente il piano, i suoi tempi, i suoi processi, superando il piano di tradizione ma non il metodo della pianificazione, al fine di correggere i tre difetti fondamentali che hanno fatto perdere credibilità e utilità all’urbanistica: l’onnicomprensività (il piano che vuole disciplinare tutto), la rigidità (un piano per sempre, a valenza atemporale), l’inefficacia (l’incapacità di governare i reali processi di trasformazione urbana). La necessità di superare il piano tradizionale si dovrebbe tradurre in una maggiore attenzione ai rapporti fra gli strumenti e fra i soggetti pubblici e privati. - L’approccio perequativo: Condivisibile appare la rilevanza assegnata all’approccio perequativo delle scelte di piano, anche se nel testo della legge viene utilizzata la definizione di “ compensazione e premialità” . La disciplina proposta solleva nel merito tre perplessità: il rinvio, alle Amministrazioni comunali, discrezionale e non motivato, della scelta se utilizzare o meno il modello “ compensativo”; la diversificazione dei diritti edificatori sulla base del valore degli immobili, che appare complessa e di difficile applicazione; la mancanza di relazioni fra l’attribuzione dei diritti e le scelte di pianificazione, che dovrebbero al contrario risultare organiche, non episodiche, sostenibili e correlate al dimensionamento del piano. La libera commerciabilità dei diritti edificatori fra ambiti differenti rischia inoltre di indurre processi di densificazione in parti urbane “ sensibili” , la cui progettazione andrebbe al contrario controllata. Lo stesso tema della premialità andrebbe meglio esplicitato e disciplinato, affinché gli oneri connessi alle trasformazioni urbane non ricadano sulla collettività. - L’approvazione del Pgt: Il Pgt è di esclusiva competenza comunale, fatte salve le verifiche di congruenza e di compatibilità (e non più di conformità) con gli strumenti sovraordinati, ed in particolare con il Piano Territoriale Provinciale. - Superamento dello zoning monofunzionale: Appare positivo il superamento delle zone monofunzionali, ma non in modo acritico, indistinto e su tutto il territorio comunale. Occorre mantenere la possibilità di zone a destinazione funzionale prevalente se non esclusiva, anche in rapporto alla vigente legislazione nazionale: si pensi a titolo d’esempio alle zone agricole e ambientali, per loro natura a destinazione esclusiva Il Piano di assetto morfologico (Pam) • Criticità da dipanare – Un regolamento e non un piano: L’Istituto condivide da

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bientale dello sviluppo (rispetto alla quale vanno valutate gli effetti delle trasformazioni ammesse sulla situazione esistente); nonché la qualità del paesaggio (che deve risultare elemento di coerenza imprescindibile nei confronti di qualsiasi altra determinazione quantitativa dello sviluppo). Forse, in ragione delle novità introdotte dal testo, sarebbe più utile la formulazione di un glossario. Inoltre, la formulazione di definizioni generali appare più consona alla legislazione statale, trattandosi di un tema concorrente fra Stato e Regioni. Al contrario, sarebbe auspicabile che tali princìpi fossero correttamente declinati attraverso la definizione delle catene procedurali e decisionali, aspetto quest’ultimo che nella proposta di legge presenta evidenti lacune. Obiettivi e priorità La proposta di legge non lascia trasparire una chiara finalità e un esplicito indirizzo del governo urbanistico, che caratterizzava invece l’impianto della Legge urbanistica lombarda (51/75). La legge si limita a organizzare e coordinare gli strumenti ma non affronta gli obiettivi e le priorità della pianificazione in aree urbane forti, che devono riguardare la soluzione dei due nodi critici del territorio lombardo: mobilità e ambiente. Il metodo della pianificazione deve assumere un ruolo centrale anche rispetto alle programmazioni e pianificazioni di settore, correlando i differenti strumenti attraverso l’apprezzamento e l’integrazione dei contenuti ambientali, infrastrutturali ed urbanistici. Il processo di pianificazione Per quanto riguarda gli aspetti di costruzione del processo di pianificazione, occorre ricordare che nel corso di questi ultimi decenni di dibattito disciplinare, tecnico e politico, le posizioni si sono incentrate sulla necessità di superare modelli di pianificazione eccessivamente rigidi e gerarchizzati, in favore di forme caratterizzate da una forte componente processuale e partecipativa, con un’impostazione maggiormente legata al raggiungimento degli obiettivi, al “ governo delle pratiche” e alla definizione delle regole di partecipazione e concertazione. Su questo aspetto l’articolato della legge, essendo il piano uno strumento di più complessi e articolati processi di pianificazione, sembra piuttosto “ tradizionale” . Non appare certo necessaria una dettagliata disciplina dei “ percorsi” , quanto l’individuazione di princìpi relativi al processo atti a garantire il rispetto del “ metodo della pianificazione” . Potrebbe a questo proposito risultare opportuno che la Regione approfondisca questa problematica, almeno in parte, attraverso successivi atti e documenti regolamentari.


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tempo l’idea (contenuta anche in alcune leggi regionali recenti) di depositare in un apposito regolamento (urbanistico ed edilizio al contempo), tutte le previsioni per la città esistente (gli usi del suolo e i diritti esistenti): regole, parametri, criteri e modalità di costruzione (si veda a titolo di esempio il Regolamento Urbanistico ed Edilizio introdotto dalla L.R. 20/2000 dell’Emilia Romagna). La questione non è solo terminologica ma di sostanza: lo strumento di disciplina della città consolidata non deve configurarsi come un piano ma deve risultare un vero e proprio regolamento, separando chiaramente gli aspetti di regolamentazione urbanistico edilizia (i “ diritti esistenti” ) da quelli di pianificazione (i “ diritti ipotetici” ). Un regolamento di regole prestazionali, che orientino, suggeriscano ma non preordinino, individuino le qualità, i requisiti, mettendo in campo ragionamenti sulle qualità attese, non sui modi per ottenerla, propri del progetto di architettura. – Un regolamento parziale: Il Piano d’assetto morfologico non deve riguardare tutto il territorio comunale, ma solo gli insediamenti esistenti: diversamente il risultato darebbe ancora il vecchio piano regolatore generale. Non deve quindi occuparsi direttamente di ambiente e di aree agricole (intesi come sistemi ambientali), né tanto meno di indirizzi, parametri e salvaguardie (le “ invarianti” che spettano al livello generale), se non come valutazione degli aspetti più propriamente insediativi. Il Piano d’assetto morfologico non deve inoltre disciplinare le aree di trasformazione, di nuovo impianto, se non in termini di orientamento e di guida della morfologia urbana e dei nuovi sistemi insediativi, che spettano più propriamente alla fase attuativa del processo di pianificazione. – Regolamentare i tessuti urbani: Occorre meglio indirizzare ed orientare il Piano d’assetto morfologico verso la regolamentazione e la disciplina di parti omogenee di tessuti urbani (quali “ sistemi” intraurbani), che risultano individuabili per le loro specifiche caratteristiche funzionali, insediative, ambientali. – La necessità di pratiche concorsuali: Elemento non secondario è inoltre la necessità di ricorrere per le più significative trasformazioni urbane a pratiche concorsuali, di valutazione e di selezione dei progetti, anche sulla base dei connotati funzionali, morfologici e tipologici dei progetti. • Potenzialità da sviluppare – Il controllo della forma: Il controllo della forma urbana non deve stare nel piano, nello strumento di pianificazione di carattere generale, comunque questo sia denominato, ma in uno strumento maggiormente a ridosso delle attuazioni. – Una città unitaria: Il Piano d’assetto morfologico si dovrà occupare della città consolidata nel suo complesso, storica e moderna, in modo integrato ed unitario, cosa che altre leggi regionali non hanno fatto (la nuova legge regionale emiliana ad esempio affida la città storica e gli elementi di valore storico-architettonico alla fase strutturale del processo di pianificazione). – La validità del Pam: Il Piano d’assetto morfologico non ha validità ed è sempre modificabile, anche se i tempi e le procedure della sua approvazione indicati nella proposta di legge sono troppo da piano e poco da regolamento. Il Piano dei Servizi Urbano (P.S.U.) • Criticità da dipanare – Carattere ibrido tra piano programma e strumento operativo: Con riferimento al P.S.U., la proposta di legge presenta consistenti ambiguità tra i contenuti di carattere strutturale, destinati alla programmazione delle opere e alla definizione di capacità insediativa, e altri di carattere operativo, finalizzati alla predisposizione di criteri di realizzazione e gestione degli interventi.

Il P.S.U. sembra programmare una sommatoria di frammenti, con adeguamento in itinere della capacità insediativa e senza precisi riferimenti al quadro di coerenze generali: infatti, è al P.G.T. che la legge dovrebbe assegnare la determinazione delle capacità di carico ambientali ed insediative, distinte per funzioni (un compito che invece è del tutto assente nell’elencazione dei temi trattati dal P.G.T.). Appare inoltre da chiarire il rapporto fra il P.S.U., la determinazione dei vincoli e delle relative indennità; e, più in generale, la tematica del rapporto fra standard qualitativo e quantitativo. – L’approvazione del P.S.U.: Appare infine del tutto singolare che il P.S.U. risulti di sola competenza di Giunta comunale, laddove si tratta evidentemente di un piano programma di ampio respiro, destinato al progetto della città pubblica. • Potenzialità da sviluppare – Rapporti con gli altri strumenti: Se si riflette sul valore del tutto innovativo del P.S.U., da intendersi come momento qualificante del complessivo sistema insediativo, occorre ipotizzare una stretta correlazione con il piano generale e con gli altri strumenti della pianificazione e programmazione pubblica. Sono infatti assenti gli elementi della pianificazione infrastrutturale e del rapporto tra assetti insediativi e mobilità, che occorrerebbe integrare con maggiore evidenza ed efficacia. I Piani complessi • Criticità da dipanare – Ambiguità di definizione e d’attribuzione: La definizione di “ piani complessi” è particolarmente disorientante, perché, immotivatamente, sembra si vogliano assimilare tutti gli strumenti attuativi, già vigenti, ai Progetti complessi di ultima generazione, così definiti per i caratteri speciali che li dovrebbero connotare. Appare inoltre preoccupante l’ambiguità della legge, che sembra consentire ai piani complessi l’attribuzione di larga parte delle funzioni di conformazione (della proprietà, delle funzioni e della capacità insediativa), che dovrebbero invece appartenere agli strumenti pubblici di pianificazione urbanistica. • Potenzialità da sviluppare – Un solo piano attuativo: Si dovrebbe cogliere l’opportunità di semplificazione delle procedure, presentata dall’ipotesi I.N.U. e già praticata in altre Regioni, che consente di dotarsi di un solo unitario ed organico strumento attuativo. Pianificazione d’area vasta – livelli e competenze • Criticità da dipanare – Rapporti fra gli Enti: A scala vasta la riconcentrazione dei poteri decisionali in mano alla Regione (norme di prevalenza, piani d’area) si accompagna alla riduzione della pianificazione sovracomunale ad una dialettica Comune/Regione, e ad una malintesa sussidiarietà, che indebolisce l’ente intermedio, aggravando i compiti e le responsabilità dell’ente comunale. È evidente l’intenzione della legge di accantonare il ruolo della Provincia, anche in contraddizione con la stessa L.R. 1/00 e con il recente documento regionale delle Linee di assetto del territorio lombardo, laddove nei contenuti e nelle procedure si sottrae autorevolezza a qualunque tentativo (faticosamente in corso nella redazione dei P.T.C. di molte province lombarde) di affrontare seriamente i problemi veri della pianificazione sovracomunale (i temi di coordinamento infrastrutturale, le questioni ambientali, i criteri di riorganizzazione dell’assetto insediativo). Appare a tale riguardo preoccupante notare come esistano significative difformità tra le definizioni degli interessi comunali e quelle degli interessi provinciali, in particolare all’art. 4.


Conoscenza e monitoraggio • Criticità da dipanare – La conoscenza e l’interpretazione del territorio: La conoscenza e la descrizione nei piani comportano un apparato analitico complesso: questo processo, che ogni volta induce i pianificatori a “ ricominciare da zero” , fa sì che molto spesso si perda il senso vero delle dinamiche e delle relazioni territoriali. Sarebbe auspicabile, al contrario, che tutte le amministrazioni e i soggetti impegnati in procedimenti e azioni di piano potessero contare (e contestualmente si dovessero misurare) con un patrimonio di conoscenze condivise, costituito da poche ma solide banche dati di informazioni essenziali per costruire sintesi valutative e qualitative dello stato di fatto del territorio, del quadro degli interventi e delle decisioni prese dai diversi soggetti, e delle principali relazioni che ne caratterizzano i rapporti con il contesto di riferimento. Si tratta pertanto di un argomento di grande rilevanza nel quadro del riassetto normativo, cui la legge accenna però in termini del tutto generali (Parte II, artt. 11 e 13), ma i cui contenuti, procedure e modalità di costruzione occorrerebbe sviluppare con tempestività, tenendo conto delle esperienze che stanno maturando presso gli enti locali sull’approntamento e uso mirato dei Sistemi Informativi Territoriali e sulla sperimentazione di indicatori di sostenibilità e modalità descrittive necessari per simulare ex ante gli effetti di alternative di piani e progetti e per attivare ex post un osservatorio sugli effetti generati.

• Potenzialità da sviluppare – La carta unica del territorio: L’obiettivo generale da perseguire e da disciplinare nel testo di legge è la costruzione e l’aggiornamento di una carta unica del territorio, in cui sono ricomprese tutte le regole che attengono alla tutela e alla fruizione sostenibile delle risorse, vale a dire l’insieme delle disposizioni vigenti, ad ogni livello e in tutti i settori che riguardano la pianificazione territoriale. Occorre configurare a tale riguardo un nuovo e più complesso ruolo della Regione e delle Province e dei relativi apparati tecnici, ai quali dovrebbe essere affidata a riconosciuta la funzione di “ sportello servizi e banca delle informazioni territoriali” , attraverso l’impegno a svolgere e aggiornare in modo costante ricognizioni e ricerche relative allo stato del territorio e alle sue trasformazioni (si pensi alla Carta Tecnica, allo Stato della Pianificazione, a studi e ricerche sullo Stato dell’Ambiente, al rapporto con il Quadro programmatico di livello nazionale ed europeo, ecc.). Sarebbe infine opportuno che la stessa formazione del S.I.T. regionale (indicata tra i compiti della Regione, all’art. 7 comma e) non prescindesse dalla partecipazione degli enti locali, anche in considerazione del fatto che è attribuito in via del tutto principale al Comune il compito di definire il Quadro di riferimento conoscitivo principale e generale. Capitolo 2 - PRINCÌPI E OBIETTIVI Sostenibilità • Criticità da dipanare – Per la sostenibilità delle trasformazioni urbane: Principio fondamentale ispiratore (al pari di partecipazione, collaborazione, flessibilità, sussidiarietà, adeguatezza, sostituzione, compensazione ed efficienza), la sostenibilità resta però tra gli enunciati generali e astratti, e non si traduce in indicazione operativa, trascurando le precise direttive U.E. in materia. A maggior ragione se la ricerca delle modalità di sviluppo sostenibile per un territorio viene limitata alle sole attività che si possono ricondurre alla pianificazione urbanistica, intesa come unico strumento di governo del territorio e non si promuove il coordinamento e l’interazione con quel complesso di pianificazioni settoriali (ambiente, infrastrutture, programmazione socio-economica) che incidono altrettanto pesantemente sul territorio stesso. La prospettiva delineata per tutti gli Enti è quella del raggiungimento del “ massimo e sostenibile sviluppo” della comunità rappresentata. L’uso disgiunto dei termini “ massimo” e “ sostenibile” appare del tutto improprio o addirittura contestabile, prefigurando piuttosto una condizione irrisolta di possibile contraddizione fra sviluppo e tutela, non solo all’interno di ciascun territorio, ma in relazione a scelte che incidono su territori oggetto di competenze diverse. Lo strumento della Valutazione della sostenibilità ambientale dei piani, previsto dall’art. 12, è coerente con la disciplina europea, non ancora recepita dalla legislazione statale, relativa alla Valutazione Ambientale Strategica. Tuttavia occorre evitare le definizioni generiche ed approfondirne in sede di redazione della legge sia i contenuti innovativi sia le modalità attuative, affinché, in attesa dei previsti criteri regionali, non si deleghi la valutazione allo stesso soggetto che predispone il piano, in totale difformità dagli orientamenti U.E. • Potenzialità da sviluppare – Fattori ambientali e loro relazioni: Riprendendo i contenuti innovativi di altre discipline regionali, si può segnalare come nella legge toscana, la valutazione degli effetti am-

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Contributi per la riforma

• Potenzialità da sviluppare – I contenuti della pianificazione provinciale: Con riferimento alla L.R.1/00, sembra opportuno che la nuova legge confermi i contenuti della pianificazione provinciale, sulla cui base molte province hanno avviato e quasi completato il processo formale d’adozione, al fine di consentire un adeguato periodo di sperimentazione e di superare l’obbligo dell’adeguamento, che imporrebbe di ricominciare un percorso lungo e non sempre privo di ostacoli. Sotto il profilo procedurale, si auspica la reintroduzione della Conferenza dei Comuni, mentre si sottolinea l’esigenza di coordinare tempi e modalità di approvazione dei P.T.C. da parte della Regione. – La compensazione territoriale: Un tema assolutamente innovativo per la pianificazione di area vasta concerne l’approccio compensativo/ perequativo, appena citata nell’attuale proposta di legge: la normativa dovrebbe disciplinare con maggiore incisività ed efficacia le modalità e procedure della perequazione intercomunale, che può risultare lo strumento privilegiato per dar corpo ed efficacia alla programmazione degli interventi. – La scala metropolitana e regionale: Risulta quanto mai necessario accennare almeno ad una disciplina per la Città Metropolitana ed esprimersi sul ruolo futuro delle Comunità Montane, nonché sull’opportunità di prevedere forme di pianificazione intercomunale con capacità retroattiva rispetto alle scelte di pianificazione provinciale. Per quanto riguarda il livello regionale occorre ricordare che altre Regioni, nelle loro riforme, ipotizzano un Quadro di Riferimento Territoriale, uno strumento cioè ben più agile di un “ Piano Territoriale” , cui fa invece riferimento la proposta di legge, che risponde appieno ai princìpi di sussidiarietà verticale. Si tratta di uno strumento strutturale, selettivo e temporale, delle politiche e delle conseguenti scelte regionali, sia verso l’alto (le scelte di natura nazionale e/o interregionali), sia verso il basso (gli altri enti territoriali). Il Quadro di Riferimento territoriale potrà inoltre essere arricchito di specifici “ Bilanci urbanistico-ambientali” , che dovranno monitorare lo stato del territorio e dell’ambiente ed orientare le eventuali modifiche ed integrazioni del Quadro stesso.


Contributi per la riforma

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bientali è estesa a tutti gli atti di pianificazione del Comune e riguarda i fattori ambientali (suolo, acqua, aria, condizioni microclimatiche, patrimonio culturale, fauna e flora, insediamenti, i fattori socio-economici) e le loro interrelazioni. Secondo la legge emiliana, l’attuazione degli interventi di trasformazione viene subordinata alla contestuale realizzazione di interventi di mitigazione degli impatti negativi o di attrezzature e spazi collettive, di dotazioni ecologiche e ambientali di infrastrutture per la mobilità, ovvero alla realizzazione delle condizioni specificamente individuate dal piano, che garantiscono la sostenibilità de nuovo intervento. – Gli indicatori di sostenibilità e la V.A.S: A partire da questi spunti di riflessione, si possono introdurre anche altri riferimenti per arricchire di contenuti la legge lombarda. Tra questi si segnala l’esigenza dell’integrazione dei sistemi informativi della Pubblica Amministrazione, l’obbligo al monitoraggio sistematico delle trasformazioni territoriali (si veda il paragrafo relativo a Conoscenza e Monitoraggio), il ricorso agli indicatori di sostenibilità, idonei a misurare gli effetti delle previsioni di piano sull’insieme delle componenti territoriali. Nel caso di coordinamento e di finanziamenti di opere infrastrutturali complesse, che implicano conoscenze territoriali e socio economiche approfondite, la Valutazione Ambientale Strategica potrebbe infine, molto utilmente, essere esercitata su alternative di tracciato o di qualità dell’intervento fornendo tutte le motivazioni e il confronto di motivazioni e di esiti che potrebbero riuscire a superare ogni forma di conflitto “ a priori” . Partecipazione • Criticità da dipanare – Per una vera partecipazione: Nel corso di questi ultimi decenni si è andata affermando l’esigenza di introdurre una forte componente di tipo partecipativo nel processo di pianificazione, che assume diversi profili (co-pianificazione, concertazione, sussidiarietà, partecipazione) in ragione degli obiettivi e dei soggetti che intervengono nell’arena delle decisioni. Nella proposta di legge tali princìpi sono solo debolmente enunciati, anzi sembra prevalere una logica di tipo neocentralista. Infatti, la disciplina dell’art. 28 (Norma di prevalenza) sancisce il superamento dello spirito di co-pianificazione e di concertazione delle scelte fra i diversi enti e afferma la piena potestà di Regione e Province di elaborare previsioni immediatamente operanti sugli altri strumenti di livello inferiore o settoriale (ad esempio la pianificazione dei parchi risulterebbe minacciata dall’individuazione di infrastrutture altamente impattanti il territorio). In generale, se si condividono infatti i princìpi di negoziazione, partecipazione e valutazione delle alternative; occorrerebbe però insistere sul metodo della concertazione e collaborazione tra gli enti, estendendolo anche alle scelte di competenza territoriale della Regione, tra cui ricadono le infrastrutture, che secondo questa legge potrebbero al contrario assumere efficacia “ speciale” . Rispetto alle procedure partecipative previste negli strumenti di pianificazione comunali un problema risulta immediatamente evidente: il superamento dell’obbligo di ripubblicazione nella fase di approvazione del piano di governo del territorio, del piano di assetto morfologico e delle loro varianti, tutti adottati ed approvati dal Consiglio Comunale. La disciplina di cui all’art. 20 sottrae il diritto ad

opporsi dei soggetti eventualmente lesi dalle nuove previsioni introdotte in sede di controdeduzione e non prevede neppure un nuovo parere di compatibilità alla Provincia. • Potenzialità da sviluppare – Concertare e promuovere la partecipazione nel processo: La complessità delle trasformazioni territoriali implica sempre più diffusamente la nascita di conflittualità estese, forti e difficili da risolvere. Nella prospettiva di una riduzione dei conflitti e di una maggiore partecipazione alle scelte appare necessario approfondire i seguenti temi: - definire obiettivi e senso delle logiche di concertazione; - individuare, rispetto ai differenti livelli e soggetti della pianificazione, quali sono gli elementi delle trasformazioni territoriali e urbanistiche da attuare in co-pianificazione - attribuire, rispetto alle diverse condizioni territoriali e atti di pianificazione, ruoli e coordinate operative ai soggetti che partecipano alla negoziazione - costruire, ai diversi livelli della pianificazione, forme organizzative e sistemi di valutazione finalizzati alla definizione di scelte co-pianificate. Proprio l’esperienza da diverso tempo attuata, specialmente nei paesi nord-americani e anglosassoni, ha ormai dimostrato che la composizione dei conflitti e l’ottenimento del consenso sono meno problematici se ricercati già nel corso della fase progettuale dell’intervento. Ogni cittadino dovrebbe essere messo in grado – e dovrebbero essergli offerti gli strumenti necessari – di poter verificare e decidere della coerenza o della non coerenza tra le scelte strategiche (di prospettiva e di lungo periodo) assunte e predefinite e le scelte tattiche (o proposte attuative, di breve periodo) che l’amministrazione decide di proporre o di assumere. A tale scopo, le richieste di sviluppare azioni valutative e azioni di monitoraggio, orientate alla sostenibilità spazio-funzionale, alla valorizzazione dei sistemi misti, alle qualità percettive dello spazio pubblico, alla vitalità urbana, alla configurazione dello scenario insediativo potrebbero essere le misure che consentono di connettere insediamento - territorio - qualità dell’abitare. La partecipazione dei cittadini per essere efficace implica pertanto la messa in campo di risorse professionali ad hoc e di mezzi finanziari non trascurabili in grado di sostenere eventi, azioni, analisi, proposte, ecc. In altri termini, la scelta di promuovere la partecipazione implica una disponibilità economica maggiore rispetto a quella necessaria per la redazione tradizionale degli strumenti di pianificazione. Nonostante la legge non possa imporre la partecipazione, può tuttavia favorirla con il ricorso al sostegno anche economico di un programma pilota all’interno della redazione dello strumento urbanistico generale e con la formazione di un Osservatorio permanente con specifica azione di monitoraggio. I.N.U. Lombardia, sulla base dei contributi di Roberto Almagioni, Andrea Balzani, Gianni Beltrame, Antonio Chierichetti, Fausto Curti, Valeria Erba, Fiorella Felloni, Giuseppe Ferrari, Massimo Giuliani, Luca Imberti, Luciano Lussignoli, Michele Monte, Piero Nobile, Fortunato Pagano, Laura Pogliani, Piero Ranzani, Iginio Rossi, Gian Luigi Rota, Aldo Vecchi, Alfredo Viganò, Piergiorgio Vitillo novembre 2002


La nuova legge urbanistica lombarda stabilisce che i piani territoriali ed i piani di governo del territorio siano corredati di valutazione della sostenibilità ambientale. Essa non indica quali siano i criteri ed i parametri con cui misurare la sostenibilità stessa, ma rinvia ad un successivo Regolamento da approvarsi da parte della Giunta Regionale, la definizione dei loro contenuti. I Comuni possono quindi approvare i nuovi piani, individuando essi stessi criteri, indicatori, metodologie di redazione delle valutazioni di sostenibilità ambientale ed applicandoli ai loro elaborati. In sostanza la definizione dei contenuti e la valutazione della sostenibilità degli interventi, nei loro aspetti sia quantitativi che qualitativi è delegata allo stesso soggetto che predispone il piano, rappresentato dal P.R.G. nel caso del Comune. Per quanto riguarda i contenuti, secondo l’art. 12 della nuova legge, la valutazione: “ evidenzia la congruità delle scelte rispetto agli obbiettivi, e le possibili sinergie con quelle degli altri enti territoriali; individua i potenziali impatti connessi ai nuovi piani territoriali e di governo del territorio e le misure di mitigazione e/o di compensazione; permette di verificare gli esiti attesi e di coordinare le scelte di piano, in rapporto alle esigenze di flessibilità e di eventuali modifiche al piano stesso” (...) “ La valutazione indica le scelte coerenti, anche in raffronto alle scelte strategiche dei Piani Territoriali Provinciali o dei Piani Territoriali Regionali, relative a determinati ambiti territoriali” . La procedura di Valutazione indicata è in coerenza con la disciplina europea, anche se non ancora recepita dalla legislazione dello Stato Italiano. Di f at t o essa è auspicabile sia estesa, come è stato detto alla valutazione di ” politiche, programmi, piani e progetto, e riguardare anche ad es. “ la congruità territoriale, la compatibilità ambientale, l’accettabilità sociale, l’utilità sociale e la realizzabilità economica” . La V.A.S. (valutazione riferita agli aspetti ambientali) applicata ai piani di area vasta (provinciali e regionali, ecc.) presenta già numerose applicazioni anche nel nostro paese (vedasi La valutazione ambientale strategica in Italia, Centro Via Italia, http: www.centrovia.it). In diverse Regioni inoltre risulta sia già stata attuata l’applicazione di valutazioni di contenuto generale anche ai piani comunali. Da quanto brevemente esposto emerge, in questa sede, la necessità che gli estensori dei futuri

piani, quelli comunali in particolare, possano fruire al più presto di utili riferimenti, sia di tipo culturale che normativo, ed operativo, nell’assunzione della nuova responsabilità loro attribuita. Per tale motivo risulterebbe opportuno che la Consulta Lombarda degli Ordini degli Architetti, (possibilmente con riferimenti ad ogni singolo Ordine Provinciale) e l’Inf lombarda, istituissero un Osservatorio comune riguardante l’applicazione, soprattutto ai piani alla

scala comunale, della valutazione di sostenibilità degli stessi. Il Centro Via Italia, come già accennato potrebbe essere coinvolto per i riferimenti alla V.A.S. applicata a piani e programmi, secondo le direttive U.E., di cui possiede una vasta esperienza. L’Osservatorio potrebbe iniziare ad es. con la organizzazione di seminari itineranti in materia, censiment o e circolazione di documentazione, discussione di esperienze concrete, ecc. e potrebbe costituire anche una significativa sperimentazione ai fini delle nuove normative regionali in materia. Silvio Delsante

Pro-memoria per un percorso verso la nuova legge urbanistica nazionale Lo studio dello scontro tra ente pubblico e proprietà fondiaria privata nel momento in cui l’ente pubblico esercita il diritto di esproprio dal terreno nel quale insediare uno dei servizi pubblici coerenti con la residenza è comunque contemplato dentro il D.I.M. 1444 (2.4.1968) porta ad esplicitare – in ultima analisi – che trattasi di problema di ordine prevalentemente pecuniario. Il problema dell’ente pubblico sarà quello di non urtare gli interessi della proprietà privata. Da un lato c’è l’ente pubblico che deve realizzare i servizi pubblici ed ha bisogno di usare le relative superfici individuabili sui terreni (anche di proprietà privata); e dall’altro lato ci sono i proprietari terrieri che si oppongono e ricorrono – tramite magistrato – alla Corte Costituzionale che – in ossequio all’art. 42 della Costituzione italiana – finisce con il dichiarare incostituzionale il provvedimento legislativo che avoca all’ente pubblico il diritto di esproprio. Quindi l’ostacolo alla realizzazione dei servizi pubblici è l’urto contro l’esproprio. Il contenzioso può – a mio parere – essere risolto con soluzione preventiva: separare il diritto di proprietà del suolo dal diritto di uso della superficie relativa (1) al servizio da realizzare. Esecutivamente l’ente potrà ricorrere al diritto di prelazione d’uso della superficie noleggiata da un minimo di 66 anni a un massimo di 99. La relativa limitazione d’uso potrà essere compensata per affitto(2). La Costituzione non viene disattesa e non scatta alcun meccanismo di incostituzionalità, tanto più che l’ente pubblico effettuerà un uso non in contrasto con la funzione sociale dell’uso della superficie specifica: non vi sarà speculazione. La necessità ormai matura di riformulare la Nuova Legge Urbanistica Nazionale provoca la buona occasione per reimpostare la procedura per la redazione dei singoli piani urbanistici, nella fattispecie il P.R.G.C.

È conseguente rimeditare sul concetto (e/o pratica) di pianificazione urbanistica. Tralasciando, in un primo momento, la trattazione di quella nazionale, restano i livelli inferiori: - pianificazione urbanistica regionale; - pianificazione urbanistica provinciale; - pianificazione urbanistica comunale; - pianificazione urbanistica comunitaria (montana); - pianificazione urbanistica intercomunale (P.T.C.); - pianificazione urbanistica subcomunale (piani di settore). Ma qualunque sia il livello, il problema di fondo è sempre il medesimo: la pianificazione urbanistica è la figlia legittima della programmazione economica del territorio interessato. Infatti, la pianificazione urbanistica interviene nel territorio per apportare le modifiche necessarie (spesso di carattere strutturale a rete) per consentire lo svolgersi del progetto economico, della produzione di reddito da lavoro, fondamento civile per lo sviluppo generale di un popolo. L’attività produttiva (soprattutto nel secondario) diviene “ polo” traente verso altre attività collaterali compresa la residenza, l’attività commerciale, i trasporti, ecc. La Nuova legge Urbanistica Nazionale non può nascere fuori da questo binario. La L. 1150/42 ora bocciata aveva creato il problema dello “ zoning” cioè della discriminazione – all’interno della proprietà dei suoli – tra proprietari favoriti (trasformazione del terreno da agricolo a edificabile) e proprietari castigati (trasformazione del terreno da agricolo in area destinata a servizi pubblici realizzati dall’ente pubblico). La lievitazione dei prezzi diviene tutta a favore della prima categoria (privilegiati). Ma questa caratteristica caricata su alcuni terreni innesca successivamente il problema dello scontro: proprietà privata da espropriare Y indennizzo (punto dolens) (3) – pronunciamento della Corte Costituzionale

– illegittimità, ed il ciclo ricomincia. Tutto ciò può trovare adeguata soluzione introducendo, finalmente, un nuovo modo di redigere i piani urbanistici. In sintesi, si abbandona il piano disegnato a-priori nel quale vanno, appunto, segnate le zone e si passa al Piano processo. Esso si articola in due fasi: • Nella prima: si studia e si definisce il Piano-struttura all’interno del quale dovranno successivamente (e di volta in volta) collocarsi le Funzioni. Coerentemente con queste ultime vanno inseriti i servizi pubblici e vanno soprattutto previsti gli spazi all’aperto adeguatamente attrezzati per le relazioni sociali, per le attività ricreative e di svago. Le scelte (relative alla seconda fase) dovranno scaturire dalle decisioni che voteranno le assemblee dei cittadini all’interno di una proficua attività partecipativa (nei consigli di quartiere e/o di aggregato urbano-frazione): un modo concreto di estrinsecazione del processo democratico con la partecipazione diretta del popolo che non va a subire le scelte, ma le determina. Ad esempio, uno dei problemi divenuti assai nocivi per l’intera comunità è l’inquinamento e in particolare quello dovuto agli scarichi dei gas combusti dai motori degli autoveicoli (pubblici e privati). Abbassare il traffico soprattutto dentro gli aggregati urbani è ormai un imperativo determinante. Il suggerimento che emerge a tal proposito da parte mia consiste nel sollecitare un modo coerente di organizzare la residenza inserendo in essa compatibili modeste attività appartenenti al “ secondario” (produzione) talché raggiungere i relativi opifici non debba richiedere l’uso di un mezzo di trasporto, raggiungibile facilmente a piedi (risultato: minori spese e minore inquinamento). Ai fini, quindi, della pianificazione, diviene prioritario impostare le basi per una programmazione economica; a livello territoriale, significa: individuare, con relativo censimento, l’insieme delle risorse (naturali, artificiali ed umane) presenti nel territorio. Per ogni risorsa utilizzabile (che quindi provoca la messa in moto dell’impiego di manodopera) andrà individuato il sito adatto a supportare l’introduzione del processo di trasformazione (quantomeno delle materie prime); ciò comporterà la necessità di far pervenire in quel sito: energie varie (idrica – elettrica – manodopera); vie di comunicazione, nonché impianti a rete. Tutto ciò comporta il coinvolgimento di assetto di pertinenza urbanistica che andrà regolamentata dentro il piano Regolatore. Colgo pure l’occasione per sottolineare la necessità di rendere molto più esplicita la volontà del legislatore in sede di attribuzione degli incarichi: mi riferisco all’aspetto determinante delle competenze. Conferire l’incarico della pianifica-

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Altri Contributi

Quesito sulla valutazione della sostenibilità dei Piani


Altri Contributi

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zione urbanistica al tecnico ingegnere, appare un controsenso con il tipo di formazione che le due scuole (di ingegneria e di architettura) imprimono durante i rispettivi corsi accademici. Ho da qualche anno terminato il corso di approfondimento sui problemi della sicurezza (normative: 2.626 cantieri, D. 494) e l’esperienza ha messo in evidenza quanto stavo per affermare: l’istruttore del corso era un ingegnere e ci ha comunicato che era stato convocato per più di una volta da giudice sanzionatore che gli ha comunicato: “ Stia attento perché Lei si è messo in condizione di reiterata culpa” . “ Come reiterata?” . Il giudice ribadisce “ Lei può imbattersi in 3 mesi di reclusione e 5 milioni di multa” . L’ingegnere è sfociato in una esclamazione: “ Io che non ho cultura umanistica sono accusato di reiterata (che cosa vuol dire?)” . L’episodio è sintomatico: la scuola di ingegneria continua a ingrossare smisuratamente la tecnica (sostituisce il cervello con il computer) e annulla qualsiasi sottofondo umanistico. Considerato che la pianificazione urbanistica affronta pure i temi sociali oltre che quelli tecnici, essa va affidata semmai agli architetti. Difatti il P.R.G. di Brescia venne affidato ad un ingegnere (albo di Milano) che non volle affrontare la prima importantissima fase che è quella dell’Analisi e i risultati sarebbero stati un fallimento tanto che – in sedi di controllo – il piano venne annullato. Già, ma la favolosa parcella gonfiata per avere allargato l’area del piano a una non definita area “ della grande Brescia” costituì uno sperpero del denaro pubblico. • La seconda fase potrà essere caratterizzata da un processo innovativo di notevole interesse pure sociale: consisterebbe nel predisporre una serie di incontri con la popolazione (soggetto interessato) per discutere partecipativamente le scelte da trasformare in precisi concreti obiettivi. Così la Residenza, se intesa come necessario processo di antropizzazione di un sito, in esso dovrebbe far perno un elemento di forte interesse sociale: “ lo spazio collettivo” aperto e adeguatamente attrezzato per consentire il sorgere e lo svilupparsi della socializzazione; lo spazio potrà essere anche adoperat o per riunioni di “ buon vicinato” . Così impostata la residenza dovrà essere – in sede normativa – provvista di spazi e servizi pubblici nel rispetto delle norme (es. D.I.M. 1444/68), ma anche divenire finalmente un concreto modo di esplicitare la “ democrazia” : da δεηοδ = popolo e πρατοσ = potere; quindi potere di popolo e non potere esercitato sul popolo che è all’opposto: πριπτο-democrazia (falsa democrazia). Certamente va evitata la nefanda esperienza del caso di Brescia, dove un geometra – privo di preparazione e capacità pianificato-

ria urbanistica – ha dal primo dopoguerra provocato un processo di interventi riproducendo case, case e solo case senza servizi, né spazi di relazione, tutto sotto il patrocinio della finanza vaticana attraverso la Banca S. Paolo di Brescia. All’interno del territorio comunale sono cresciuti solo ammucchiate di dormitori chiamati (per l’occasione) villaggi. A nulla è valso l’accordo con i parroci per far passare per spazi pubblici l’area del sagrato della chiesa, né la scappatoia di chiamare verde pubblico l’aritmetica delle aiuole. L’A.C. finì con il favorire il processo di degrado del territorio comunale non avendo fermato neanche l’uso del terreno agricolo per insediarvi i dormitori. Certamente il tecnico da incaricare in fase pianificatoria urbanistica è molto importante sempre che l’A.C. sia vigile nell’assumere il parametro fondamentale di richiedere che il tecnico intanto sia dotato di adeguato titolo di studio (laurea) con esclusione pure degli ingegneri, ai quali la scuola di ingegneria ha sottratto ogni componente umanistica e sociale immettendogli in testa solo tecnica (computer), rendendolo incapace di sensibilità verso i problemi umanitari. Occorre fare pure attenzione alla pericolosa situazione creata dall’entrata in campo di alcuni geometri dotati di titolo accademico acquisito in modo assai discutibile, ma rimasto solo laurea senza acquisizione di correlativa cultura né capacità professionale: difatti non sono abilitati e non lo possono essere (il Ministero non ha mai ritenuto opportuno istituire l’esame di abilitazione alla professione per i laureati in urbanistica). Il 4 settembre u.s. feci pervenire alla Consulta Lombarda degli Ordini degli Architetti lombardi una mia comunicazione con allegato un elaborato (30 facciate) che ha lo scopo di dimostrare che: l’unica legge urbanistica nazionale (L.U.N. n. 1150 del 15 agosto 1942) fu approvata quale compromesso politico e di interessi tra il blocco delle forze cattoliche conservatrici e quello della borghesia rampante progressista. Si dovette far salvo il doppio gioco di una legge a livello nazionale che superava la frammentarietà degli interventi (città per città), ma introduceva il problema dell’esproprio sui terreni necessari da destinarsi a servizi pubblici (art. 18). Era un articolo in contrasto con l’art. 40 della Costituzione italiana ed era il prezzo da pagare dentro il compromesso. Non mancò la contromossa di qualche compiacente pretore che sollevò la eccezione di incostituzionalità. Ne derivò così la sentenza n. 55 dell’1 gennaio 1980 che bocciò l’art. 18 incriminato e con esso la L.U.N. L’Italia è, oggi, orba di legge U.N. e di conseguenza anche quelle regionali sono state trascinate nello stato di vacanza legis.

È lodevole l’iniziativa della Consulta Lombarda tendente a svolgere un seminario per predisporre lo schema della nuova legge urbanistica regionale lombarda, ma ciò ha senso se si sia provveduto a predisporre il disegno per la Nuova L.U. Nazionale dentro i binari della quale dovrà muoversi quella regionale. Paolo Frenna

Note: 1. Criterio non totalmente nuovo se si fa riferimento alla separazione degli alloggi in diritto di superficie da quelli in diritto di proprietà introdotto con la legge 167. 2. Con riferimento alla legge sugli affitti. 3. V. Note da me trasmesse il 4.9.2002 alla Consulta Lombarda.

Si ringrazia l’U.N.I.T.E.L. (Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali) per il contributo inviatoci. Tale documento, frutto di lavoro di un apposito Gruppo di studio, è finalizzato alla formazione di una nuova Legge per il governo del territorio.

Note sul progetto di legge regionale “per il governo del territorio” Brevi considerazioni generali • Si rileva in alcuni articoli una prevalenza “ linguistica” dell’attenzione allo sviluppo piuttosto che alla tutela. • Le definizioni iniziali sono decisamente insufficienti. • Manca in generale un sistema di raccordi espliciti con la legislazione nazionale e regionale: a. rispetto alla prima è necessario costituire, per quanto possibile, un quadro di certezze, anziché di conflitti da affidare agli Avvocati ed alla Magistratura amministrativa e penale; b. rispetto alla seconda abbiamo bisogno di un “ Testo unico” (vedi es. Piemonte), con formale abrogazione del coacervo di leggi e leggine preesistenti, e non solo di un testo di “ buoni princìpi” , che galleggi sui rottami della legiferazione dei precedenti 3 decenni. • La sussidiarietà ed autonomia comunale viene in qualche caso compressa, nella forma o nella sostanza, da residui di centralismo regionale. • Si rilevano incoerenze e contraddizioni interne al testo e rispetto al precedente documento “ Linee Guida” (che diamo per condiviso, ma alla luce di tutti i contributi pervenuti, ben raccolti dal numero 5 di “ AL” ). In particolare: a. la tripartizione dello strumento urbanistico comunale generale (per altro assai diversa da come prospettata nelle “ Linee Guida”

e divergente dalle proposte dell’I.N.U. e delle altre regioni) non risulta ancora ben delineata e calibrata; b. la perequazione proposta è solo di carattere fondiario, senza le altre forme di compensazione indiret t e post ulat e dalla “ Linee Guida” ; c. si riscontra molta confusione in materia di Piani Attuativi/Programmi Complessi/Strumenti Negoziati. Aldo Vecchi Comune di Sesto Calende Ufficio Tecnico Ringraziamo Aldo Vecchi per il suo contributo di cui pubblichiamo soltanto un estratto. Seguono una serie di elementi attuali che investono i seguenti articoli: art. 1; art. 3; art. 4; art. 5; art. 6; art. 7; art. 11; art. 12; art. 14; art. 15; art. 16; art. 17; art. 18; art. 19; art. 20; art. 21; art. 23; art. 24; art. 25; art. 26; art. 30. Queste “ Osservazioni puntuali sull’articolato” risultano significative in quanto investono soprattutto aspetti gestionali dal punto di vista della Pubblica Amministrazione e, quindi, saranno oggetto di particolare attenzione in sede di stesura del Testo definitivo.


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